Grice e Macedo:
l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Macedo was a philosopher
and a friend of Aulo Gellio. Macedo. Keywords: Livio. Macedo.
Grice e Machiavelli: l’implicatura conversazionale del
principe di Livio– Machiavelli at Oxford -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Firenze). Filosofo italiano. Grice:
“While Strawson prefers ‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo,
discorso, ovvero dialogo intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes
it sound slightly analytic – ‘whether it should be called ‘florentine, Italian,
or tooscana’ I mean, a stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call
Machiavelli a philosopher of language – the trend being very Florentine between
Machiavelli and Varchi.” -- possibly Italy’s greateset philosopher – Noto come
il fondatore della scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla
sua opera più famosa, Il Principe, nella quale è esposto il concetto di ragion
di stato e la concezione ciclica della storia. Questa definizione, secondo
molti, descrive in maniera compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine
machiavellico, entrato peraltro nel linguaggio corrente ad indicare
un'intelligenza acuta e sottile, ma anche spregiudicata e, proprio per questa
connotazione negativa del termine, negli ambiti letterari viene preferito il
termine "machiavelliano". L'ortografia del cognome è,
purtroppo, ambigua: la versione "Macchiavelli", quella della statua a
lui dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del
museo o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta
in lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo, riportata qui accanto,
farebbe propendere per la "c" singola[senza fonte]. «Nacqui
povero, ed imparai prima a stentare che a godere.» (N. Machiavelli,
Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli
sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo
figlio, dopo le sorelle Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio
di Bernardo e di Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i
Machiavelli sono attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a
Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre
Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa quanto
veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per
carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta
da un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie
sull'infanzia di Niccolò. La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe
composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio
Niccolò. Cominciò a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si
dedicava allo studio della grammatica con Poppi, all'aritmetica e l'anno seguente affrontava le prove scritte
di componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca
paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone,
Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio
e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece
il greco, ma poté leggere le traduzioni di alcuni degli storici più importanti,
soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti
per la sua riflessione sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di
avere degli incarichi istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda
che di lui ci è pervenutala prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché
si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia
dei Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore
fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo
Savonarola. Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò
Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto
negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata
teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato
allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica
attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di
corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe
neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto
ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata,
parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona
fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi
giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel
fine ambiguo sorriso» (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli)
Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già
presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario
della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un
candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica
e religiosa del frate ferrarese, Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto
il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio
maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo
segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce
essere stato suo maestro. Per quanto i compiti delle due Cancellerie
siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari
esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda
Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà
e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della
Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore
responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di
compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il
«Segretario fiorentino». Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura
italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla
riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data
in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire
l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei
Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e
la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze,
autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera,
dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano,
alleato di Firenze. In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa
per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per
fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate diverse
soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o cinquanta dì ed
in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non solamente
cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire, perché se ne
esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti si può; fare
due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle mura; dare libera
licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi ed ognuno,
perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti di
difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa
impossibile che reggessero». Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì alla
contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di Ottaviano
Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare l'alleanza e
ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo vaghe promesse
dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella difficile difesa
del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette ripartire senza aver
nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando le artiglierie
fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la via alla
conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e
temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo
a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento,
quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato. Nessuna
prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la
giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle
critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo
corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per
sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore,
o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il
Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi
soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel
luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi,
lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il
commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro
riscatto. A Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la
Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della
Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di
Pisa. Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte
francese a Nevers, presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le
rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze
non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono
Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la
Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei
francesiche richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti
accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanzamise i legati
fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla
ribellione di Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna
Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi
contro gli interessi fiorentini. Occorreva, pagando, mantenere buoni
rapporti con la Franciascriveva da Tours il 21 novembree guardarsi dalle
macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla
Francia, Machiavelli poteva finalmente ritornare a Firenze. Quella lunga
permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli De natura
Gallorum, dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva
fortuna; nella buona insolenti più cupidi de' danari che del sangue vani et
leggieri più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli
Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di Francia, dove, spostandosi su
un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della Francia
l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la
prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione nazionale,
sentito come la lezione peculiare delle "cose di Francia".
Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi
è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia piccola, e per gloria e
per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima
in un luogo che se ne possa intendere la partita donde si lieva; fassi ben
volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose
lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna»
(Machiavelli, Lettera ai Dieci) La minaccia del Borgia si fece presto concreta:
fermato dalle minacce della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna,
si volse contro Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando
di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento
di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di
sposare. Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale avrà sei
figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e Baccina. Padrone di
Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo
Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle
terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì
passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare
trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia,
padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo stesso
giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per Urbino
Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di Piero:
ricevuti, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica, pena
la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi
francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita,
insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve
scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana
ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi
Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver
trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani
«fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli,
così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di
peccati giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si
siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli
con i beneficii ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed
Anziani non siano stati trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i
popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia
pericolosissima.» Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e
tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte risoluzioni,
come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu resa vitalizia
la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che appariva uomo accetto
tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione che egli affidò a
Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col Borgia il quale,
formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da quello Stato,
intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della sua famiglia,
stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà d'azione nei suoi
piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti quali gli Orsini, i
Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo stesso Bentivoglio
di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza con la Francia,
Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la sua amicizia, per
non essere investita dai suoi aggressivi disegni. Machiavelli giunse a
Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze non aveva aderito
all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai Vitelli, congiurati a
Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in cambio un'offerta di
alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di Cesare Borgia,
guardava con favore più di quanto non facesse il governo fiorentino. Fu al
seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di campagna militare
e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di Oliverotto da
Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i Fiorentini,
invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e Città di
Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia un
ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò
il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli,
ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su
muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et
Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi
conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et
la passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti
al duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma,
veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele,
al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non
schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et
entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et
entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la
nocte al duca parve di fare admazare
Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe'
strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino
che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino,
l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova,
a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo
strangolati» (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle
risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di
Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre
Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio
III, Machiavelli fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse
Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la
rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo
papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche
erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o
fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del
secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo
che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi
bello», gli scrive la moglie Marietta. E Machiavelli, che lungamente in questo
scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale
forse prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che
sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze. In
Francia Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in
Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera
dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi
XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica
tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i
progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò Machiavelli «a vedere in
viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la
coniettura e iudizio tuo». Machiavelli e a Milano per conferire con il
luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in
Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.
Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio, ricevendo
uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In marzo
ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da Jacopo
d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto. È di questo tempo la
stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi degli
ultimi dieci anni volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se invoca
Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio
sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende
Firenze: «L'imperador, con l'unica sua prole vuol presentarsi al
successor di Pietro al Gallo il colpo ricevuto duole; e Spagna che di Puglia
tien lo scetro va tendendo a' vicin laccioli e rete, per non tornar con le sue
imprese a retro; Marco, pien di paura e pien di sete, fra la pace e la guerra
tutto pende; e voi di Pisa troppa voglia avete. Onde l'animo mio tutto
s'infiamma or di speranza, or di timor si carca tanto che si consuma a dramma a
dramma, perché saper vorrebbe dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual
porto, con questi venti, andar la vostra barca. Pur si confida nel nocchier
accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto
se voi el tempio riapriste a Marte» (Decennale primo, vv 529-549) I
tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese
il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai
loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per conferire col
Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per
cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio
a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse
spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino.
Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano che un esercito
popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima appoggiato dal
Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di
soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima
parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella
successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa
di Prato del 1512. Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre
1505, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente
possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le
mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel
luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva
muovere al signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come
Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei Fiorentini.
Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa del papa al
quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi. Giulio II gli dimostrò di
godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare truppe in suo
aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti a sua voltadopo però
che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio che, con la sua
corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13 settembre,
la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e rimprovero
del Machiavelli e, un giorno, anche del Guicciardini, non ebbe il coraggio di
opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte papale, dopo
aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo questi, dei
Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11 novembre.
Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò ancora
dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i Nove ufficiali
dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo, responsabili militari
della Repubblica. In Germania Massimiliano I d'Asburgo Il nuovo anno
si apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re dei Romani»
Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio sulla
penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore del
Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli
l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza
della Repubblica: fu inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e
lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte, e le lunghe trattative sull'esborso preteso da
Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli
fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria. Da questa
esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna,
compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose
della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto
delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande
potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le
popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare
le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e
quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati
non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni
delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo
scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra
loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre
cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in
publico». Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai
minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta
la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa
causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non
basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a
uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza
potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore,
è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una
realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire l'imperatore,
«perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi potente, è
domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia di sorte da
potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi il re di
Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne qualcuno li
ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede». La conquista di
Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa, Firenze mandò
Machiavelli a far leve di soldati: in agosto condusse soldati prelevati da San
Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile. Riunite altre
milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno; poi, il 4
marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di cessare
ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli ambasciatori
di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove truppe, in maggio
era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava finalmente la pace.
Machiavelli accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu firmata la resa e l'8
giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi, Antonio Filicaia
e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era intanto divampato
nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai, Francia, Spagna,
Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana che a maggio
cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno, anche Verona,
Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte sua, doveva
finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto in ottobre, Machiavelli
era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano, che era stato però
costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa possibile dalla
rivolta popolare contro i nuovi padroni. E Machiavelli commentava dei «due re,
che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro ben vorrebbe farla e non
può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se n'era tornato in Germania a
chiedere soldati e denari ai principi tedeschi. Atteso inutilmente il
ritorno dell'Imperatore, se ne tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto
grazie alle divisioni degli alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse
di ridurre all'impotenza Venezia per avere le mani libere nella pianura padana,
Giulio II la voleva abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne
contrasto alle proprie ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della
Francia ma non nemica del papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e
Machiavelli fu mandato a Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo.
Machiavelli confermò l'amicizia con la Francia ma disse di dubitare che la
Repubblica potesse impegnarsi in una guerra contro Giulio II, in grado di
volgere contro Firenze forze troppo superiori: meglio sarebbe stata una
mediazione che evitasse il conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla
responsabilità di un impegno nel quale era difficile trarre un guadagno.
Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre, convinto che la guerra fosse ineluttabile.
Le vittorie militari non furono sfruttate da Luigi XII e la sua indizione di un
concilio a Pisa, che condannasse il papa, provocò l'interdetto di Giulio II
contro Firenze. Il 22 settembre 1511 Machiavelli era ancora in Francia,
ottenendo dal re soltanto un breve rinvio del concilio: dalla Francia andò a
Pisa e riuscì a ottenere il trasferimento del concilio a Milano. Il
ritorno dei Medici a Firenze Le fortune di Luigi XII volgevano al tramonto:
sconfitto dalla nuova coalizione guidata dal papa, era costretto ad abbandonare
la Lombardia, lasciando Firenze politicamente isolata e incapace di resistere
alle armi spagnole. Pier Soderini fuggì a Siena, i Medici rientrarono a
Firenze: disfatto il vecchio governo, il 7 novembre anche Machiavelli venne
rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu confinato e multato
della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu interdetto l'ingresso a
Palazzo Vecchio. Giuliano de' Medici duca di Nemours Il nuovo
regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, accusati di aver
complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte. Anche
Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu anche torturato
(gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze, la
"colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca di
Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma
scherzosa, la sua condizione di carcerato: «Io ho, Giuliano, in gamba un
paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo'
contalle, poiché così si trattano i poeti Menon pidocchi queste parieti
grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in
Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello» Giulio
II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo
il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di
guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere,
Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore
Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo
podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San
Casciano in Val di Pesa. L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra
le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra
la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter
mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma
scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica
dapprima a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516,
a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo
postumo, nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai
essere quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma
da un Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività
cui era stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia. Sperava
che l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo
desiderio che questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento
«che io sono stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe ciascheduno
aver caro servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E
della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la
fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono
quarantatré anni che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e
bontà mia ne è testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma
anche delle sue luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più
famosa lettera della nostra letteratura: L'Albergaccio di Machiavelli
a Sant'Andrea in Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel
mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di
fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente,
entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto
amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui;
dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione delle loro
azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di
tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi
sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non
fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la
loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de
Principatibus» (Lettera a Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514
a Firenze, continuò a sperare a lungo che il Vettori, al quale spedì il
manoscritto del Principe, lo facesse introdurre in qualche incarico
nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto dipendeva dalla volontà del
papa, e Leone non era affatto intenzionato a favorire chi non si era mostrato,
a suo tempo, favorevole agli interessi di Casa Medici. Machiavelli, da parte
sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i pensieri delle cose grandi e
gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose antiche, né ragionare delle
moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci». Si era infatti
innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile e per
natura e per accidente, che io non potrei né tanto laudarla né tanto amarla che
la non meritasse più». La guerra, ripresa in Italia dalla discesa del
nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre 1515 con la sua
grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia «Lega santa»:
Leone X dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la stipula a
Bologna di un concordato che riconosceva il controllo reale sul clero francese.
Si rifece impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano generale dei
Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava Machiavelli il
suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di Firenze
continuava. Si diede a frequentare gli «Orti Oricellari», latineggiamento che
indica i giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai, dove si riunivano letterati,
giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni, Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi,
Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli Albizi, Filippo de' Nerli e Battista
della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche capitolo di quell'Asino,
poemetto in terzine che voleva essere una contaminazione fra l'Asino d'oro di
Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma che lasciò presto interrotto: e al
Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio.
Machiavelli si era già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario
della Repubblica, in composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di
Plauto e una commedia, Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono
tuttavia perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro letterario, la commedia
Mandragola, nel cui prologo egli inserisce un accenno autobiografico
«scusatelo con questo, che s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo
tempo più suave, perch'altrove non have dove voltare el viso; ché gli è stato
interciso mostrar con altre imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche
sue.» Intorno a quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di
Terenzio e stesura della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio
che pigliò moglieil suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favolail cui
tema di fondo è la visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri
umani, tutti intesi al proprio interesse a danno, se necessario, di quello di
ciascun altro. Il ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì,
lasciando il governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a
Machiavelli, lo incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta
retribuzione. Machiavelli, galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe nel
1521 l’Arte della guerra, dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso
anno fu inviato in missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco
Guicciardini di cui, pur avendo opposte visioni della Storia, divenne buon
amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli
le Istorie fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale
dell'interdizione dalla vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in
Romagna in collaborazione col Guicciardini. I Medici furono cacciati da Firenze e venne
instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si propose come candidato alla
carica di segretario della repubblica, ma venne respinto in quanto ritenuto
colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente VII. La delusione per
Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente, cominciò a peggiorare
vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu sepolto nel corso di una
modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia nella basilica di Santa
Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento nella basilica stessa;
esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago marmoreo. Sulla lastra
frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par elogium (Nessun elogio
sarà mai degno di tanto nome). Pensiero Machiavelli e il Rinascimento Con
il termine machiavellico si è spesso indicato un atteggiamento spregiudicato e
disinvolto nell'uso del potere: un buon principe deve essere astuto per evitare
le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela
necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo. Ciò si
accompagna a un travaglio personale che Machiavelli sentiva nella sua attività
quotidiana e di teorico, secondo una tradizione politica che già in Cicerone
affermava: "un buon politico deve avere le giuste conoscenze, stringere
mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie clientelari per avere
un'adeguata scorta di voti". Con Machiavelli l'Italia ha conosciuto
il più grande teorico della politica. Secondo Machiavelli la politica è il
campo nel quale l'uomo può mostrare nel modo più evidente la propria capacità
di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire il proprio
destino secondo il classico modello del faber fortunae suae. Nel suo pensiero
si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone talvolta
di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un popolo.
La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette ideali, è
un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello stato. La
politica, svincolata da dogmatismi e princìpi teorici, guarda alla realtà
effettuale, ai "fatti": "Mi è parso più conveniente andare
dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che alla immaginazione di
essa". Si tratta di una visione antropocentrica che si richiama
all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del Rinascimento. Nel “Dialogo
intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su Alighieri. Alighieri è
rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il
passo assume i caratteri dell'invettiva contro Aligheri, accusato di aver
infangato la reputazione di Firenze: «Alighieri il quale in ogni parte
mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente,
eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori
d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria.
E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli
uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et
questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et
diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta
vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con
la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et
fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in tanta felicità
et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli accuserebbe sé
stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo
risuscitato di nuovo morire.» Poi, durante un altro scambio immaginario
con Aligheri, Mhiavelli rimprovera il carattere "goffo",
"osceno", addirittura "porco" del registro utilizzato
nell'Inferno: «Aligheri mio, io voglio che tu t'emendi, et che tu
consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera; et vedrai che, se alcuno
s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu: perché, se considererai
bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non hai fuggito il
goffo, come è quello: "Poi ci partimmo et n'andavamo
introcque"; non hai fuggito il porco, com'è quello: "che
merda fa di quel che si trangugia"; non hai fuggito l'osceno,
com'è: "le mani alzò con ambedue le fiche"; e non avendo
fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito
infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella» Autografo
delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento
verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia
fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche
le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica
della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li
medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica
della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla
capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente
le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i
mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo
anche violenza, se necessario, alla legge morale. Non a caso il Principe,
nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i
sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo,
a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è
rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La
storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene
esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione
politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del
principe. Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi
protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di
decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una
creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la
fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio
a Cesare Borgia. Il Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la
scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il
cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente
retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una
vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla
responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece
del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola
nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del
Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino
(es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia,
Machiavelli propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia;
così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di
una civiltà italiana, Machiavelli predica la liberazione dell'Italia sotto il
patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che
spezzava in due la penisola. Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un
problema solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea
dell'unità italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli
concreti nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma
la figura ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio
che identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in
patria, ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della
"nazione" (di qui quello che oggi definiamo rinnovamento
culturale). Il principe o De Principatibus. Niccolò Machiavelli nello
studio, Stefano Ussi, Emblematico è il modo di trattare argomenti delicati,
quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed ottenerne
uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni
programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a
vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo
preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al
recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in
modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una
figura rispettata e conosciuta in loco). Altro elemento caratteristico
del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei
sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere amato
che temuto o e converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in un
ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile per
una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la
posizione più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando
che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo,
fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente
la concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a
proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì
una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".
Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia "volpe"
che "leone", in modo da potersi difendere dalle avversità sia tramite
l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone). Mantenendo un solo
atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una minaccia violenta o di
astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di Machiavelli viene associata
la figura di un uomo privo di scrupoli, di un cinismo estremo, nemico della
libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata la frase "il fine
giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo perché la parola "giustifica"
evoca sempre un criterio morale, mentre Machiavelli non vuole
"giustificare" nulla, vuole solo valutare, in base ad un altro metro
di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a conseguire il fine politico,
l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello Stato. Machiavelli
nella stesura del Principe si rifà alla reale situazione che gli si presentava
attorno, una situazione che necessitava essere risolta con un atto deciso,
forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei mezzi giustificati da un
fine, egli pone un programma politico che qualunque Principe che voglia portare
alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo schiava, dovrà seguire. Fuori dai
suoi intenti una giustificazione morale dei punti suggeriti: egli stende un
vademecum necessariamente utile a quel Principe che finalmente vorrà impugnare
le armi. Alle accuse di sola illiberalità od autoritarismo, si può dare una
risposta leggendo il capitolo IX, "De Principatu Civili", ritratto di
un principe nascente dal e col consenso del popolo, figura ben più solida del
Principe nato dal consesso dei "grandi", cioè dei grandi proprietari
feudali. Non esiste un unico tipo di principato, ma per ognuno troviamo
un'ampia trattazione di pregi e dei difetti. Controversie sul Principe
«Quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori gli allor ne sfronda, ed
alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue» (Ugo Foscolo,
Dei sepolcri) La gelida obiettività e un certo cinismo con cui Machiavelli
descriveva il comportamento freddo, razionale ed eventualmente spietato che un
capo di Stato deve mettere in atto, colpì i critici. Così, da una parte vi è la
linea di pensiero tradizionale, secondo la quale "Il Principe" è un
trattato di scienza politica destinato al governante, che tramite esso saprà
come affrontare i problemi, spesso drammatici, posti dal suo ruolo di garante
della stabilità dello stato. Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo
cui il trattato di Machiavelli, che era originariamente un repubblicano, ha
come vero scopo quello di mettere a nudo, e quindi chiarire, le atrocità
compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio del popolo, che di conseguenza
avrebbe le dovute conoscenze per attuare le precauzioni al fine di stare in
guardia e difendersi quando si dimostra necessario. Il principe è visto anche
come figura assai drammatica, la quale, per il bene dello stato stesso, non si
può permettere di lasciare spazio al proprio carattere, diventando così quasi
un uomo-macchina. Secondo alcuni, Machiavelli venne in realtà accusato da
subito di nicodemismo, e: «...di non aver mirato ad altro, in quel libro,
che a condurre il tiranno a precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui
graditi...» (Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]). Machiavellismo §
L'antimachiavellismo e il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda
interpretazione (la cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal
XVII secolo, e avanzata per la prima volta da Alberico Gentili spirandosi a
Reginald Pole, poi ripresa da Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31],
furono numerosi soprattutto in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da
Voltaire), che vedeva in Machiavelli un precursore della politica laica e del
repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33],
Vittorio Alfieri[34], Giuseppe Baretti, Giuseppe Maria Galanti[36], gli
enciclopedisti (in primis Denis Diderot[3 Opere: Discorso 8] e Jean
Baptiste d'Alembert), Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto
nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che
Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove
posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli
allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue».
Forse alcuni di essiad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi
alternativa di Spongano e riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche
che, pur essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse
utile lo stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida
l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli. In generale, per i sostenitori di questa
lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta
di Jonathan Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche
per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di
Giovanni Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi). In epoca
più recente, tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima
interpretazione, quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e
concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di Machiavelli, che non descrive
mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi tempi,e la sua
concezione anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione
obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi
del drammaturgo e attore Dario Fo. Il modello linguistico prescelto da
Machiavelli è fondato sull'uso vivo più che sui modelli letterari; lo
scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di scrivere qualcosa di utile e
chiaramente espressivo lo induce a scegliere spesso modi di dire proverbiali di
immediata evidenza. Il lessico impiegato dall'autore si rifà a quello
boccacciano, è ricco di parole comuni e i latinismi, seppure abbondanti,
provengono per lo più dal gergo cancelleresco. Nelle sue opere ricoprono un
ruolo assai rilevante anche le metafore, i paragoni e le immagini. La concretezza
è una delle caratteristiche salienti, l'esempio concreto ed essenziale, tratto
dalla storia sia antica che recente, è sempre preferito al concetto
astratto. In generale si parla di uno stile "fresco", come lo
ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male, con un
riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa sentenziosità
delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito di un maggior
rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti concetti che, se espressi
con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da decifrare, e
riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità espositiva. Opere
Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di Pisa, Parole da dirle
sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino
nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il
duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto delle cose di Francia, Ritratto
delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi sopra la prima deca di Tito
Livio, Dell'arte della guerra, La vita di Castruccio Castracani da Lucca, Istorie
fiorentine, )Riedizione Istorie fiorentine, Venezia, 1546. Discorso o dialogo
intorno alla nostra lingua, Decennali Mandragola, commedia teatrale Belfagor
arcidiavolo, Epistolario, L'asino, Edizioni critiche in pubblico dominio:
Legazioni, commissarie, scritti di governo. Fredi Chiappelli. Laterza,
Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia, Andria, traduzione-rifacimento dell'Andria
di Terenzio Onori Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus Nella
cultura di massa Il suo nome, modificato in "Makaveli", venne usato
dal rapper statunitense Tupac Shakur tper firmare molte sue canzoni e un album
uscito postumo. Niccolò Machiavelli viene proposto anche nel videogioco
Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed: Brotherhood, in veste di
Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo particolarmente importante,
insieme ad altri personaggi dell'Italia rinascimentale. Niccolò Machiavelli è,
assieme a John Dee, il principale antagonista della serie di romanzi fantasy I
segreti di Nicholas Flamel, l'immortale (come capo dei servizi segreti
francesi), scritta da Michael Scott. Nella mostra "Il Principe di Niccolò
Machiavelli e il suo tempo" (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale,
promossa dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di
Aspen Institute, la sezione "Machiavelli e il nostro tempo: usi e
abusi" presenta, tra altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti
di sigarette, schede telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi
da tavolo e videogiochi dedicati a Machiavelli. Nella serie I Borgia di Neil
Jordan è interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band belga,
catalogabile sotto il genere progressive rock. Il nome della band è un chiaro
omaggio a Niccolò Machiavelli. Nella serie I Medici è interpretato da Vincenzo
Crea, Edizione nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò
Machiavelli, Salerno Editrice di Roma: Il principe, Mario Martelli,
corredo filologico Nicoletta Marcelli, Discorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della guerra.
Scritti politici minori, Giorgio Masi, Jean Jacques Marchand, Denis Fachard, Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo
Varotti, ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia,
Pasquale Stoppelli, Scritti in poesia e
in prosa, Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Filippo
Grazzini, Nicoletta Marcelli, coordinam. di Francesco Bausi, ILegazioni, Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques
Marchand, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti
di governo, Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini, Legazioni.
Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele
Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie.
Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo
Melera-Morettini. La famosa frase
"Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso
come esempio di machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis,
con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli
espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia
della letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un piccolo
libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato
nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo libro, e
questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel
suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice di tirannia,
fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda
l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina. Molte difese sonosi
fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi all'autore questa o quella
intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una discussione limitata e un
Machiavelli rimpiccinito".
Celebrazioni per il V centenario del Principe di Machiavelli, Accademia
della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri dei battesimi: Niccolò
Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi Santa Trinita, nacque a dì 3 a
hore 4, battezzato a dì 4 Dal Villani,
nella sua Cronica. In Discorsi di Architettura del senatore Giovan Battista
Nelli,La sua trascrizione del De rerum natura è nel manoscritto Vaticano
Rossiano L. Canfora, Noi e gli antichi,
Milano Giovio, Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio
graecae atque latinae linguae flores accepisse»
R. Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "Machiavelli". Il
Senato romano fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta:
cfr. Livio, "La sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si
accentua progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo
indotto dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga
tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante
res perdita, post res perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del
Principe, Interpres: rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,. Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi
sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere
incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone
giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo,
e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a'
prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro. Ed avessi fatto una
cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da
quella potesse dependere» Nella sua
Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le
opere storiche, politiche e letterarie. Lettera ai Dieci, Il carcere, la
tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. Ottenendo un giudizio
evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera a Francesco Vettori, David Quint, Armi e nobiltà: Machiavelli,
Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. De credulitate
et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra. Il
machiavellismo, su dizionariostoria.wordpress.com. Machiavellismo, Treccani, 2Citata
in Niccolò Machiavelli, Periodici Mondadori, A. Gentili, De legationibus. R. POLE,
Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae che talvolta elogiarono però anche alcuni
consigli pragmatici dati al principe, come quello della religione come
instrumentum regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere
il popolo nella superstizione, del trattato sulla tolleranza, afferma
l'utilità, entro certi limiti, di una forma di religione razionale per il
popolo La fortuna di Machiavelli nei
secoli, su windoweb «Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma,
essendo legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la
libertà nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia
come proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione
insita negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie
fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata
finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia
vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto
scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani fingendo di dare
lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli. Rousseau, Il contratto sociale. Dal
solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là ricavare alcune massime
immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe in luce (a chi ben
riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà
dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarne...
all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad
ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume, verità, ed
altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e nell'autore
s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di libertà, e un
illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e delle lettere,) «Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli
si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due colombi ad una fava: presentando
dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta e naturale una caricata e
mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si risolvessero a non averne
mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare insidiosamente i Medici a
governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i
fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in quella sua
dannata opera.» G. Galanti, Elogio di N.
Machiavelli cittadino e segretario fiorentino
Alessandro Arienzo, BORRELLI, Anglo-American Faces of M., Voce
"Machiavellismo" dell'Encyclopedie
Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in
Machiavelli e Shakespeare, Fazi Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in
Antologia della letteratura italiana, cfr. l'inizio del Dialogo di Tristano e
di un amico. Introduzione a: ORIANI, M.
//repubblica/rubriche/la-parola news/realpolitik Realpolitik Video di Fo che parla di M. (trasmissione tv
Vieni via con me, su youtube.com. Il Principe di M. e il suo tempo. Catalogo
della mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La su M. è sterminata. Tentativi di redigerla
sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel pensiero
politico di M., seguito da un contributo bibliografico, Milano Silvia Ruffo
Fiore, M.: an annotated bibliography of modern criticism and scholarship, New
York‑Westport‑London 1990; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie
del Machiavelli, in "Lettere italiane", Cutinelli‑Rendina, Rassegna
di studi sulle opere politiche e storiche di M., in "Lettere italiane",
Nell'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi
l'opera Machiavelli: enciclopedia machiavelliana. Di seguito una selezione di
studi. Gilbert, M. e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, LEFORT,
Le travail de l'oeuvre M., Paris, Gallimard, Marchand, M.: I primi scritti
politici Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova, Antenore, Riccardo
Bruscagli, Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova Italia editrice, Roberto
Ridolfi, Vita di M., Firenze, Sansoni, CHABOD, Scritti su M., Torino, Einaudi, John
Greville Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico
fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino, Dionisotti,
MACHIAVELLERIE, Torino, Einaudi, SASSO, M.: Il pensiero politico; La storiografia, Bologna, Il mulino (Napoli);
Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari,
Laterza, Gennaro Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli,
Ricciardi, Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di M., Roma-Bari, Laterza, Cutinelli-Rendina,
Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici
internazionali, Ugo Dotti, Machiavelli rivoluzionario: vita e opere, Roma,
Carocci, Bausi, M., Roma, Salerno editrice, INGLESE, Per M.: l'arte dello
stato, la cognizione delle storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, Niccolò
Machiavelli: i tempi della politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un
segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere M., Bologna,
il Mulino, Pedullà, M. in tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei
'Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio', Roma, Bulzoni,. William J.
Connell, Machiavelli nel Rinascimento italiano, Milano, FrancoAngeli, Attilio Scuderi, Il libertino in fuga. M. e
la genealogia di un modello culturale, Roma, Donzelli, Ciliberto, Niccolò
Machiavelli. Ragione e pazzia, Roma-Bari, Laterza,. Altri contributi A.
Montevecchi, Machiavelli, la vita, il pensiero, i testi esemplari, Milano E. Janni,
Machiavelli, Milano S. Zen, Veritas ecclesiastica e M., in Monarchia della
verità. Modelli culturali e pedagogia della Controriforma, Napoli, Vivarium (La
Ricerca Umanistica, Cosimo Scarcella, Machiavelli, Tacito, Grozio: un nesso
"ideale" tra libertinismo e previchismo, in "Filosofia",
Torino, Mursia, M. Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato
Pontificio in Collectanea Archivi
Vaticani, Città del Vaticano 2002 F. Raimondi, Machiavelli, in La politica e
gli stati, Roma 2004 Pasquale Stoppelli, La Mandragola: storia e filologia.
Roma, Bulzoni, Figorilli, M. moralista. Ricerche su fonti, lessico e fortuna.
Napoli, Liguori editore, A. Capata, Il lessico dell'esclusione. Tipologie di
Virtù in Machiavelli', Manziana, 2008. Giuliano F. Commito, IUXTA PROPRIA
PRINCIPIA Libertà e giustizia nell'assolutismo moderno. Tra realismo e utopia,
Aracne, Roma, Ferri, L'opinione pubblica e il sovrano in M., in «The Lab's
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crea prìncipi, Centro Studi Silone, Pescina. Machiavelli i Guicciardini, Lublin, Marietti,
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Paris, Payot et Rivages, Enzo Sciacca, Principati e repubbliche. Machiavelli,
le forme politiche e il pensiero francese del Cinquecento, Tep, Firenze 2005
Frédérique Verrier, Caterina Sforza et M. ou l'origine du monde, Vecchiarelli, Cutinelli-Rendina,
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Letteratura italiana Francesco Guicciardini Teoria della ragion di Stato
Istorie fiorentine Barbara Salutati Machiavellismo. Treccani Enciclopedie,
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biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Niccolò Machiavelli, su BeWeb, Conferenza
Episcopale Italiana. Niccolò Machiavelli, su Find a Grave. Liber Liber. openMLOL,
Horizons Unlimited Progetto Gutenberg. Audiolibri di M. su LibriVox. di Niccolò Machiavelli, su Internet
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Italiana, Fabrizio Franceschini, M. Enciclopedia dell'italiano, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, -. il Principe, ediz. Istorie fiorentine, ediz. Le
opere minori di Machiavelli, su machiavelli.letteraturaoperaomnia.org. Opere di
M. con giunta di un nuovo indice generale delle cose notabili, Milano, per Silvestri,
Rassegna bibliografica degli studi machiavelliani: una ricognizione dei contributi
scientifici dedicati al Machiavelli negli ultimi decenni. Grice: “L. J. Cohen
told me that he once asked for the MS of The Prince at his college – and they
told him: ‘We cannot find it!’ --. Niccolò di Bernardo dei Machiavelli. Niccolò
Machiavelli. Marchiavelli. Keywords: Livio, storia romana – H. P. Grice on the
history of England – Livio, storia romana –la storia romana come fonte d’essempi
nella filosofia romana --il principe, Macchiavelli fascista – l’ossessione dal
duce per Machiavelli, la dottrina fascista dello stato machiavellico,
impiegatura Machiavelli. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Machiavelli," per il club anglo-italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Macrobio: l’implicatura conversazionale -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Ambrosio Teodosio Macrobio.
MACROBIO AMBROSIO MACROBIO TEODOSIO adere al Platonismo. E
praefectus praetorio Hispaniarum, proconsole d’Africa, praepositus sacri
cubiculi, gran ciambellano. È ignota la patria di
Macrobio. Certamente Macrobio dove essere legato da stretti rapporti alla
famiglia dell’oratore Simmaco, a un figlio o nipote del quale dedica un
saggio. Scrive un commento al Sogno di Scipione di CICERONE, che ci è
giunto intero, e i Saturnalia, lacunosi. Dal saggio "De differentiis
et societatibus graeci latinique verbi", Delle differenze e
concordanze del verbo greco e del latino," restano soltanto estratti,
nulla può risultare sull’argomento. Nel "Commento", dedicato al
figlio Eustachio, cerca d’interpretare in senso platonico il saggio di
Cicerone, accumula molta erudizione e perciò spesso si occupa di argomenti che
poco hanno da fare col suo oggetto. I frequenti riferimenti al
"Timeo" e le lodi del Platonismo -- Platone e Plotino sono chiamati,
i principi della filosofia -- fa supporre che Macrobio si sia servito di un
commento platonico a quel dialogo, probabilmente di quello di Porfirio, derivato
in ultimo dal commento di Posidonio.Si è anche pensato a una fonte latina
intermedia e sulla questione sono state presentate svariate ipotesi.In ogni
caso, anche se non si giunge a considerare Macrobio come un semplice
trascrittore di una o due opere altrui, che non mette nulla di suo, si può
sospettare che non abbia letto i numerosi autori che cita, Posteriori al
Commento sembrano i Saturnali in 7 libri, scritti prima della pubblicazione del
commento virgiliano di Servio, pure dedicati al figlio Eustachio, al quale
volle presentare i risultati dei suoi studi di autori di cui generalmente
riprodusse le parole. Però cerca di organizzare tali temi fingendo di
riprodurre le conversazioni che, durante banchetti fatti in occasione delle
feste dei Saturnali, avevano tenuto persone insigni per cultura su argomenti
svariatissimi. Quest'opera, che e espressione del genere letterario dei
simposio o convito iniziato da Platone, contiene materiali molto diversi, sia
per il significato delle questioni trattate, che per l’importanza delle notizie
riferite. Macrobio cita numerose fonti, ma non è sicuro che le conosca
direttamente tutte, tanto più che non nomina quelle di cui deve essersi servito
più largamente, Plutarco ("Questioni conviviali") e Aulo
Gellio. I libri più significativi sono quelli IV-VI, che riguardano
VIRGILIO, di cui si esalta la universale e profonda sapienza su ogni
argomento. Le dottrine filosofiche che M. espone nel commento al Scipione
di Cicerone si conformano al Platonismo di Plotino. Il divino o il buono,
causa prima e origine di tutti gl'esseri, che trascende il pensiero e il
linguaggio umano, e l’intelletto (nous o mens) che include in sè la idea o il
modello originali della cosa.L’intelletto è poi identificato alla monade o
unità prima pensata col neo-Pitagorismo, non come numero, ma come la sorgente e
l’origine dei numeri. L’intelletto, a sua volta, genera l’anima cosmica,
identificata a GIOVE, che è principio di vita per tutte le cose corporee
che essa forma imprimendo nella materia l’immagine dell'idea.Così una sola luce
divina illumina tutte le cose, connesse tra loro da vincoli reciproci e
ininterrotti. Nei corpi del cielo e delle stelle il principio animatore è
una pura attività razionale.Nella filosofia psicologico, M. dice che nell’uomo
ad essa anima si uniscono l'anima sensitiva e l'anima vegetativa, che sole
si trovano negl'esseri inferiori. Rispetto alla esistenza dell'anima,
prima e dopo la sua unione col corpo, alla sua discesa dal cielo e alla ascesa ad
esso, È pp alla reminiscenza, alla sorte che l’attende dopo la morte.Macrobio
si conforma alle dottrine che il Neo-Platonismo deriva dalla tradizione
pitagorico-platonica e che appartenevano al patrimonio comune della coscienza
dell’età sua. Anche per M. il corpo è un sepolcro dell'anima (soma sema),
sicchè la filosofia deve insegnare all'uomo a liberare l’una dai vincoli
dell’altro.Perciò, riprendendo la teoria plotiniana delle virtù, Macrobio pone
su quelle politiche (dell’uomo nella vita sociale) la virtu purgativa, che lo
purificano dal contagio del corpo, che sono proprie di chi vuole immergersi
nella contemplazione filosofica, quelle di chi ha raggiunto tale scopo,
liberandosi completamente dalle passioni e al di sopra di tutte, la virtù
contemplativa dell’intelletto. Il commento ha così trasmesso al pensiero
medioevale la conoscenza di numerose teorie platoniche e neo-platoniche, fra le
quali ha particolare importanza l’identificazione dell'idea a un pensiero
divino. Ambrogio Teodosio Macrobio. Macrobio raffigurato in una miniatura
del Medioevo Ambrogio Teodosio M. (in latino: Ambrosius Theodosius Macrobius) è
un filosofo Italiano. Studioso anche di astronomia, sostenne la teoria geo-centrica. Una
pagina dei Commentarii in Somnium Scipionis di M.. Della vita di Macrobio non
si sa molto e quel poco che è stato tramandato dai suoi contemporanei non è del
tutto affidabile. Così è dubbio se vada identificato con il M. che fu
proconsole d'Africa o col Teodosio prefetto del pretorio d'Italia, Africa e
Illirico, identificazione oggi condivisa dalla maggior parte degli studiosi. Due
cose appaiono però certe agli storici moderni: che M. nacque nell'Africa romana
e che non professasse il Cristianesimo (come creduto nel corso del Medioevo),
ma fosse pagano. Opere Lo stesso argomento in dettaglio: Saturnalia
(M.). I Saturnalia, la sua opera principale, sono un dialogo erudito che si
svolge in tre giornate, raccontate in sette libri, in occasione delle feste in
onore del dio Saturno. L'opera ha un carattere enciclopedico ed è centrata
principalmente sulla figura di VIRGILIO, anche se i suoi contenuti spaziano
dalla religione alla letteratura e alla storia fino alle scienze naturali. M.
contribuì significativamente all'esegesi dell' “Eneide” e dell'opera di
Virgilio più in generale. Inoltre è grazie a lui se ci sono pervenuti frammenti
di vari autori famosi, tra i quali spiccano Ennio e Sallustio, e se si è
mantenuto il ricordo di autori meno conosciuti come Egnazio e Sueio. Nei
Commentarii in Somnium Scipionis, partendo dal Somnium Scipionis di Cicerone,
scrive un commentario in due libri, dedicato al figlio Eustazio. In questi due
libri emerge il pensiero filosofico neoplatonico: Dio, che è origine di tutto
ciò che esiste, crea la mente (noûs), che crea l'«anima del mondo; a sua volta
l'anima del mondo, a poco a poco, volgendo indietro lo sguardo, essa stessa,
incorporea, degenera fino a diventare matrice dei corpi. M. compose anche
un'opera grammaticale dedicata al verbo greco e latino, De verborum graeci et
latini differentiis vel societatibus (titolo da preferire al più diffuso de
differentiis vel societatibus graeci latinique verbi, basato sia su fonti
grammaticali come Apollonio Discolo, Gellio, e una fonte utilizzata anche da
Carisio e Diomede. L'opera nella sua forma originale non si è conservata ma ne
restano ampi estratti, i più importanti dei quali sono quelli realizzati nel IX
secolo molto probabilmente ad opera di Giovanni Scoto Eriugena. Un altro gruppo
di estratti, più limitato ma testualmente molto valido, è conservato in alcuni
fogli di un manoscritto bobbiese scritto fra il VII e l'VIII secolo. Infine
l'operetta macrobiana è stata ampiamente utilizzata da un trattato grammaticale
sul verbo latino, composto forse in area orientale e tramandato anch'esso da un
codice di provenienza bobbiese. Tutte queste testimonianze ci consentono di
farci un'idea piuttosto precisa del contenuto della perduta trattazione macrobiana,
che sembra destinata, più che ad una utilizzazione scolastica, a fornire esempi
e discussioni erudite sul sistema verbale latino, utile soprattutto per un
lettore colto, in possesso di una buona formazione linguistica. Va inoltre notato
come questa sia in pratica l'unica opera latina dedicata esplicitamente ad
un'analisi sistematica del sistema verbale latino, che trova qualche analogia
solo in alcune sezioni della grammatica di Prisciano. Ampie parti dell'opera
furono citate in un manoscritto del IX secolo attribuito a Scoto Eriugena. Durante
il Medioevo Macrobio fu identificato come cristiano e per questo poté godere di
una buona reputazione, che gli permise di essere letto, studiato e citato dai
più illustri filosofi come Pietro Abelardo. Le sue opere furono copiate dagli
amanuensi nei monasteri e così non venne dimenticato, ma, terminato il
Medioevo, in un primo tempo non venne considerato dagl’umanisti, che poi invece
lo ripresero. Non ha avuto tuttavia grande considerazione nel XV secolo,
poiché, al Neoplatonismo, la maggior parte degli studiosi preferiva le opere di
Platone stesso. L'appartenere ad un periodo così tardo della storia antica non
gli ha mai giovato e solo oggi si sta riprendendo lo studio delle sue opere in
modo più approfondito, pur con meno intensità rispetto al Medioevo. In effetti
gli studiosi oggi non analizzano tanto l'opera di Macrobio per conoscerne e
apprezzarne il pensiero, ma cercano più che altro di dargli una datazione e
un'identità. Codice teodosiano. ^ P. De Paolis in Lustrum, n. 28, 1986. ^
Cicerone, De re publica, lib. VI. ^ Macrobio Ambrogio Teodosio, su
romanoimpero.com. Bibliografia (LA) Ambrogio Teodosio Macrobio, In Somnium
Scipionis, (Venetiis..., Per Augustinum de Zannis de Portesio : ad instantia
Do. Lucam Antonium de Giunta, 1513 Die xv. Iunii). M., Commento al sogno di
Scipione, testo latino a fronte, Saggio introduttivo di Ilaria Ramelli,
traduzione, bibliografia, note e apparati di Moreno Neri, Milano, Bompiani,
2007. Macròbio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alessandro Olivieri, MACROBIO,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ambrosius
Theodosius Macrobius, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Modifica su Wikidata (LA) Opere di M. su Musisque Deoque. Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su
digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro.
Modifica su Wikidata Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Ambrogio Teodosio Macrobio, su Open Library, Internet
Archive. Modifica su Wikidata (FR) Pubblicazioni di Ambrogio Teodosio Macrobio,
su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de
l'Innovation. Macrobio a Ravenna Archiviato il 10 aprile 2018 in Internet
Archive., su patrimonioculturale.unibo.it V · D · M Grammatici romani V · D · M
Platonici. Portale Antica Roma Portale Biografie
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Lingua latina Categorie: Scrittori romani Grammatici romani Funzionari
romaniScrittori del V secoloRomani del V secoloNeoplatonici. Macrobio is best
known as the author of Saturnalia, a semi-philosophical dialogue that covers a
wide range of topics, although its principal one is the poetry of Virgil.
However, there are also some reflections on religion and matters of psychology.
More interesting philosophically is a commentary he wrote for his son on the
Dream of Scipio by Cicerone – an extract from his Republic). In it Macrobio
explores the nature of the soul, mainly from the point of view of the Accademy.
The ssoul’s immortality and divine nature are discussed in the light not only
of philosophy but also in that of the science of his day. Ambrogio Teodosio
Macrobio. Keywords: Macrobio. The Swimming-Pool Library.
Grice e Màdera: l’implicatura conversazionale della
carta del senso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo italiano. Grice: “I like Madera;
especially because he uses words I love, like ‘sense’ – ‘la carta del senso’
and soul – anima --.” Insegna a Milano. Ha insegnato a Calabria e Venezia.
È membro dell'Associazione italiana di psicologia analitica, del Laboratorio
analitico delle immagini (LAI, associazione per lo studio del gioco della
sabbia nella pratica analitica), e fa parte della redazione della Rivista di
psicologia analitica. Fonda i Seminari aperti di pratiche filosofiche di
Venezia e di Milano e PhiloPratiche filosofiche a Milano. Studia Jung.
Define la sua proposta nel campo della ricerca e della cura del senso
"analisi biografica a orientamento filosofico", formando la Società
degli analisti filosofi. Fondat l'”Analisi Biografica A Orientamento Filosofico”,
pratica filosofica volta a utilizzare e a trasformare il metodo psico-analitico,
nata agli inizi Professoree oggi praticata in diverse città. La pratica
dell'analista filosofo si rivolge alle dimensioni “sane” ed è volta alla
ricerca di senso dell'esistenza dell'analizzante. L’orientamento filosofico è
inteso come ricerca di senso che, a differenza della filosofia come modo di
vivere dell’antichità, parte dalla biografia storicamente, culturalmente e
socialmente incarnata. Questo è un tentativo di risposta alla crisi delle
istituzioni tradizionalmente riconosciute come orientanti l’esistenza;
l'analista filosofo si propone di riformulare su base biografica i processi formativi
integrandoli con le psicologie del “profondo”. L’aver cura “terapeutica”
dell’insieme della personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre
vocazione della filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e
discipline delle scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è inteso
come il fattore terapeutico fondamentale. L'analisi biografica a
orientamento filosofico non si occupa della cura delle psicopatologie, a
meno che l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o
psichiatra. Essendo una pratica filosofica, sono richiesti all'analista
non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua
vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici personali e
comunitari. L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva riunisce
l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo valore
terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di
meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la
narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica. Saggi: “Identità
e feticismo” (Moizzi, Milano); “Dio il Mondo” (Coliseum, Milano); “L'alchimia
ribelle” (Palomar, Bari); ““Jung. Biografia e teoria,” Mondadori, Milano,
“L'animale visionario,” Saggiatore, Milano); “La filosofia come stile di vita, Mondadori, Milano, Ipoc, Milano, Il piacere di
vivere, Mondadori, Milano, "Che cosa è l'analisi biografica a orientamento
filosofico", in Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Jung
come precursore di una filosofia per l'anima”, in, Il senso di psiche. Una
filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica. La carta del senso” Psicologia
del profondo e vita filosofica, Cortina, Milano,, Ipoc,
Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e
pratiche filosofiche, Ipoc, Milano Jung. L'opera al rosso, Feltrinelli, Milano. Sconfitta
e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis,
Milano “Che tipo di sapere potrebbe
essere quello della psicoanalisi?”, in Psiche. Rivista di cultura
psicoanalitica, “Dalla pseudo-speciazione
al capro espiatorio", in, Tabula rasa. Neuro-scienze e culture, Fondazione
Intercultura, Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Le pratiche
filosofiche nella formazione, Adultità, Guerini, Milano Bartolini P., Mirabelli
C., L’analisi filosofica: avventure del senso e ricerca mito-biografica,
Mimesis, Milano-Udine Campanello L.,
"L'analisi biografica a orientamento filosofico e le cure palliative”, in
Tessere reti per una buona morte, Rivista Italiana di Cure Palliative, Campanello
L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano Daddi A. I., Filosofia del profondo,
formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta,
Ipoc, Milano, Daddi A. I., “Principio
Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per
l'Occidente del terzo millennio”, in Rassegna storiografica decennale, Limina
Mentis, Monza, Diana M., Contaminazioni
necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia, counselling
filosofici, Moretti, Bergamo, Galimberti U., Dizionario di psicologia.
Psichiatria, psicoanalisi, neuro-scienze, voce “Biografico, Metodo”,
Feltrinelli, Milano Gamelli I.,
Mirabelli C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella
cura, Cortina, Milano Janigro N., La
vocazione della psiche, Einaudi, Torino
Janigro N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano Malinconico A., "Dialettica di redazione
(ancora in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in, Il
senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Malinconico
A., Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Biblioteca di Vivarium,
Milano Montanari M., “Per una filosofia
del profondo”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di
psicologia analitica, Montanari M., La filosofia come cura, Mursia, Milano Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia,
Milano Moreni L., “Intervista a tre
analisti filosofi”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista
di psicologia analitica, Sull’analisi biografica a orientamento filosofico Analisi biografica e cura di sé Una nuova formazione alla cura Psiche e città. La nuova politica nelle
parole di analisti e filosofi
Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico. Romano Màdera. Madera. Keywords: la carta del
senso, “profondo” “la grammatica profonda” “la grammatical del profondo” Tiefe
Grammatik – implicatura del profondo, implicatura del superficiale. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Madera” – The Swimming-Pool Library. Madera.
Grice e
Maffetone: l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Napoli). Filosofo italiano.
Grice: “I like Maffetone; he tries,
like I do, to defend Socrates against Thrasymacus; in the proceedings, he
provides his view on the foundations of Italian liberalism – and has recently
explored the topic of what he calls ‘il valore della vita.’” Si laurea a
Napoli. Ha contribuito al dibattito scientifico sui temi di bioetica e etica
dell'economia e della politica, alla Rawls,, tentando di ricostruire i principi
del liberalismo applicandoli al contesto dell’economia. Insegna a Roma. Presidente
della Fondazione Ravello. Saggi: “I
fondamenti del liberalismo” (Laterza, Etica Pubblica, Il Saggiatore); “La
pensabilità del mondo” (Il Saggiatore, “Rawls” (Laterza). “Un mondo migliore.
Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, “Marx nel XXI secolo,” Luiss University
Press. Radio Radicale. Sebastiano Maffettone. Maffetone. Keywords:
contrattualismo. Rawls on Grice on personal identity. Keywords:
quasi-contrattualismo conversazionale, i due contrattanti – il contratto come
mito – contratto – marxismo, comunismo, laburismo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Maffetone” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magalotti: l’implicatura conversazionale – di naturali esperienze – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Magalotti – very
philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he
was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either –
‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he
is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural
experience – and there is supernatural experience!” Appartenente
all’aristocrazia, figlio del prefetto dei corriere pontifici. Studia a Roma e Pisa,
dove e allievo di VIVIANI e MALPIGHI. Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario
dell'Accademia del Cimento, fondata da de’ Medici. Fa parte anche
dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al
Cimento nacque i “Saggi di naturali esperienze, ossia le relazioni
dell'attività dell'Accademia del Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de'
Medici iniziando così un'attività che lo
porta a una serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue
vivaci e brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la
nomina ad ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si
dedica alla filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere:
“Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del
conte M. e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo,
Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime
composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte M. gentiluomo fiorentino
dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav. dell'Ordine di S.
Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca. Lettere contro
l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere scientifiche.
“Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del
cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana e
descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti di corte e di mondo”
Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo Magalotti con giunta di
otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America dette volgarmente
buccheri” Roma.Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Saggi di naturali
esperienze fatte nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo
principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze:
per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria
canzoniere del celebre conte M. ora per la prima volta dato alla luce e
dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette
anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini,
e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Filips tradotto dall'inglese
in toscano dal celebre conte M. ora per la prima volta stampato con altre
traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso Andrea Bonducci);
Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere slegate: precedute
da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in toscano” (Roma:
Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto
Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico nell'edizione de La
donna immaginaria canzoniere del conte M. con altre di lui leggiadrissime
composizioni inedite, raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi, In Lucca:
nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario critico della letteratura
italiana, Torino, POMBA, M., Relazioni
di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani
Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca, Relazioni di viaggio in
Inghilterra, Francia e Svezia Lettere
scientifiche ed erudite Comento sui
primi cinque canti dell'Inferno di Dante, e quattro lettere del conte M.
Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade Lettere scientifiche ed erudite La donna immaginaria Novelle
(il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di
Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE
poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto
del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un
composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore.
Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78
ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire ,
che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor
Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette
Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima
de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don A n giolo Maria Quirini.
Lettera XIII. 262 INDICE 395 . : 126 Sopra un effetto della vista in occasio
Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor Cavalie
Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa Sopra un
passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XIV.
. Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII, Іоо Letiore
Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo Maria Q u i
rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XV. 85 157 279
Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra un intaglio in
un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi . Lettera XIX.
Sopra la lettera B , e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel principio
de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate Lorenzo
Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere Cognomi.
Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . FINE. SilAJilUsCEn il
poeta per una lelva, per la quale tutta notte aggiratosi, la mattina in
su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui. Kipoaatosi alquanto ^ •!
per voler aalire f quando y fattuegli incontro una lonza, un leone
e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla selva. In questo gli
apparisce Fombra di VIRGILIO , il cui ajuto è da esso caldamente
implorato contro alla lupa, dalla quale il maggior pencolo gli
soprastava. Virgilio discorre lunga* mente della pessima natura di quella
6era, onde cam« porne lo strazio , offerendogli sè per guida | a tener
altra a Canto via lo conforta. Dante accetta Tofferta di
Virgilio « e te- nendogli dietro ti mette in cammino. V. I.
Nel mezzo del cammin tee. Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee
per congetture; ma provasi manifestameute da un luogo del tuo
Convivio, nella aposizione della canzone: Le dolei rime eTamor, eh*
io eolia; dove 9 dividendo il cono della vita umana in
quattro parti, che tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che la
metà del suo corso, secondo la mente del poeta, sia ne' 35 . Che poi questo
primo verso debba intendersi letteralmente, cioò del numero degli anni, e
non alle- goricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un
luogo deir Inferno , caut. XV, nel quale domandato il poeta da Ser
Bnmetto di sua venuta, esso gli risponde, V. 49; Lassù di
sopra in la vUa serena * JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle ,
1 Avanti (he Vetà mia fosse piena: riferendoli a questa
selva» nella quale racconta essersi smarrito nel mezzo del commin del suo
vivere. V, per una selva oscura. Forse questa selva ^
oltre al senso letterale, che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del
suo viaggio , ha sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono
ar- ricchite molte parti di questo primo canto ; e vuol per
avventura s guilicare la selva degli eiTori , per entro la quale assai di
leggieri si perde l' uomo nella sua FRIICO. 3
a<h>1etccnu; e cìie iia *1 vero nel topraccitato luogo del
•uo CoFwivio ti leggono queite formali parole ; È adunque dà f opere, che
y ticcome quello, che mai non fosse stato in una città , non saprebbe
tener le vie -, senza l' insegnamento di colui , che le ha usate : ro/1 V
adolescente » che entra nella teloa erronea di questa vita , non saprebbe
tenere il buon co/m- mino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato ;
nè il mo- strar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse
obbediente, V. 8. Ma per trattar del ben ecc. Del
frutto, il qual ti ritrae dalla meditaiione di quel miserabile stato
pieno di pene e di rimordiinenti , mediante la quale s' arriva alla
caDtemplaaione d' Iddio , che è la fine propostasi dal poeta. V. 1
3. Ma po* eh* »* fui appiè ecc. Il colle è forse inteso per la
virtù , la qual si solleva dalla bassezza della selva. V. l6
vidi le sue spalle VestUe già de* raggi del pianeta ecc.
Il senso letterale è aperto , volendo dire , che la cima del colle
era di già illustrata da' raggi del nascente sole. Ma forse, che sotto
questo senso n' è chiuso un altro ^ pigliando il sole per la grazia
illuminante , la quale all' u- sctr Dance dalla selva degli errori
cominciava a trape- lare con qualche raggio nella sua mente.
V. ao. Che nel lago del cuor ecc. Por che voglia insinuare ,
nella passione della paura commuoversi e fortemente agitarsi il sangue
nelle due cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de'
quali, 4 Canto prrò eh’ e' parla in lingolare ,
pigliando la parte pel tutto , vuol forae dir principalmente del destro ,
che del sinistro i maggiore. ALIGHIERI lo chiama lago , credendosi
forse che il sangue che v’ è , vi stagni , non essendo in que’ tempi
alcun lume della circolazione. Qui però cade molto a proposito il
considerare un luogo maraviglioso del Petrarca nella seconda canzone
degli occhi, finora, che io sappia, non avvertito da altri; nel quale
dice cosa intorno alla circolazione da far facilmente credere, eh*
egli quasi quasi se l’indovinasse, arrivandola, se non con l'esperienza,
con la propria speculazione. Dice dun- que così : Dunque eh'
i’ non mi sfaccia , Si frale oggetto a s\ possente fuoco Non
i proprio valor , che me ne scampi , Ma la paura un poco ,
Che 7 sangue vago per le vene agghiaccia , insalda ’l cor , perchè
più tempo avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte
appassio- nato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sen-
timento di questi versi suppone necessariamente la notizia della
circolazione del sangue ; la quale , a dir vero , so fosse stau
immaginata , non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile ,
eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e discorsa
con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la
cu- riosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri
con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il vedere , come , il
poeta altro facendo , e forte altro in- tendendo di voler dire , gli è
venuto detto cosa , che spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se
ben si considera il lento de' lopraddetti Tersi , ^ tale : Ma
il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di fluidezza il
sangue , il quale nel vagar per le vene s'ag- ghiaccia dalla paura , e
ciò a fine di farlo arder misera- mente più lungo tempo.
Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera nel
sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore, dove si liquefi,
s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar per le vene
lontane o per paura, come in questo caso nel PETRARCA, o per
qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde
poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo
giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a
muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta?
Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai
oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Da- vanzati nella sua
Lezione delle monete. Il luogo ò il se- guente : Jl danojo è il nerbo
della guerra, e della repuhhlica , dicono di gravi autori, e di jolenni* Ma a
me par egli più acconciamente detto il secondo sangue; perchè,
siccome il sangue , eh' è il rugo e la sostanza dei cibo nel corpo
naturale, correndo per le vene gì-osse nelle mi- nute , annaffia tutta la
carne , ed ella il si Bee , com* arida terra bramata pioggia, e rifà, e
ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale s'asciuga, e svapora:
così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della terra , come dicemmo
, correndo per le borse grosse nelle minute , tutta la gente
rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontl- nuatnente nelle
cose , che la vita consuma , per le quali nelle medesime borse grosse
rientra , e cos't rigirando man- tiene in vita il corpo civile delta
repubblica. Quindi assai 6 Canto éi leggler ti
tomprende , eh* ogni ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come
ogni corpo una quantità di sangue , che corra» Che dunque
diremo di queit* autore ? Nuli* altro ceiv tamente , te non che , dove i
profeMori delle mediche facoludi non giunsero, se non dopo un
grandissimo guasto d* inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello
che con la forza d'un perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto
di questo aumiirabile ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò
raltisstmo magistero di quei movimenti, che noi vita appelliamo*
V. 31 . £ qual è quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa
similitudine. V. 35. CoA /'animo miò , eh* ancor fuggiva ecc.
Rara maniera d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77.
Allora , quasi come se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno , le
fuggi Canitno , e vinta cadde ro- paa '/ battuto della terre.
V. 3 o* Si che 7 piè fermo ecc. Solamente camminandosi a
piano : dicansì quel che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente
conviensi dalla dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il
piè fermo retu sempre Ìl più basso. Onde convien dire, che Dante
non avesse ancor presa l'erta, il che si convince anche più
manifestamente da quel che segue : V. 3 i. £d ecco, quoti al
cominriar dell’ erta» La voce quoti vuol significare ( e tanto più
accompa- gnau con l'altra al cominciar t che denota futuro), che
PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non cominciata; c pure in
fin allora avea camminato , adunque a piano. Nè li opponga quello,
ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’ eh’ i fui appii
d" un colle giunto ; poiché appiè d'un colle li dice anche in
qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli le spalle, v. l
6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle , tornava
meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà dilEcoltà il
seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso loco;
dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi saliva.
Saliva , ma dopo aver prima fatto il piano , per lo qual camminando il
pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la lonza non
poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder la
speranza dell’ al- tezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui
avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una
lonza ecc. Una pantera. Per essa , come animai sagacissimo ,
in- tende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per
ritornar, pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’
egli per nn^ volta un simile scherzo , Ub. IV , corm. VI , v. 9 .
Sic bene compones : ulli non ille puellat Seruire.
8 Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la
voglia, elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama
puellis , CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39
quando V amor divino Mone da prima quelle cose belle-
Direi, che per la motta di quelle cose belle non inten- dette altro
il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea
primaria nell* idee tecondarie , che è il diramamento dell* uno nel
diverto tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell*
univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al
mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente
divina. £ non è inveritimile, che ALIGHERI abbia voluto
toccare quetta dottrina platonica, nella quale, come appare ma-
oifettamente da altri luoghi della tua Commedia, e prin- cipalmente nell*
XI del Paradito , egli era vertatittimo , donde ti raccoglie e 1* intento
amor delle lettere e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento ,
mentre in un aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni
pla- toniche , quando i principali autori di quella tcuola o non
erano ancor tradotti dal greco idioma , o t*egli era- no, grandittima
penuria vi aveva de* codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na
t* io ben m'avvito, tal dot- trina Incavò egli a capello da BOEZIO, del
qual aurore il poeta fu ttudioiittimo , dicendo nel tuo Convivio
queite formali parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia
mente» che s'argomentava di tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui
consolare valeva ) ritornare al modo» che F ni u o.
9 alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad
allegare e leggere quello , non conosciuto da molti , libro di Boezio )
ìlei quale » cattivo e discacciato , consolato si aveva. Quivi adunque
potè egli facilmente apprendere a intender Puniverso aotto il nome di
bello , e ti per la moMa delle cose belle intender la mossa del
mondo archetipo disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi *
di BOEZIO sono i seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\. O
qui perpetua mundum radane guhemés» Terrarutn caeUque salar , qui
te/apus ab aeuo Ire iuhes , stabilisque nianeru das cuncta moueri ;
Quent non extemae pepulerunt fingere caussae Materiae fluitantis opus
uerum insita sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno
Ducis ab exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens ,
similiqtte imagine formans , Perfectasque iubens perfectum absoluere
partes. In numeris elemento ligas , ut frigora fiamtnis y
Arida conueniant liquidis : ne purinr ignis Fuolet , aut mersos deducane
pondera terras. Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem
Connectens animam per consona membra resoluis, etc. Che poi per la
motta intenda l'attuazione delle idre mondiali, ciò si convince
apertamente da un luogo ma- raviglioso del suo canzoniere nella canzone
: Amor y che nella mente mi ragiona; dove parlando
della sua donna dice cV ella fu T idea, che Iddio si propose quando creò
il uiondo sensibile, il qual atto di creare vien quivi espresso con la
voce mosse. IO Canto Però qual
donna sente sua beliate , Biasmar , per non parer queta ed umile
^ Miri costei , eh' esemplo è d’umiltate» Questuò
colei, che umilia ogni perverso. Costei pensò , chi mosse l*
universo. Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì in
questo luogo se la passino assai leggìensente ) per la mussa di quelle
cose belle, la mossa data ai pianeti per gli orbi loro; ma trattandosi
d"una mossa data dall" amor divino, panni assai più degna opera
la creazione dell'universo, che r imprimere il moto a piccol numero di
stelle. Dire dunque , che il sole nasceva con quelle stelle , eh*
eran con lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in
Ariete , nella qu^d costellazione fu creato secondo Vopiniooe di
molti. V. 41 * a bene sperar vera cagione. Di quella
fera la gaietta pelle , L*ora del tempo , e la dolce
stagione. Può aver doppio significato : primo in questo modo
, cioè : 51 che Vara del tempo , e la dolce stagione tu erano
cagione di bene sperare la gaietta fera di quella pelle; cioè, Si che
l'ora della mattina e la stagione di prima^ vera (avendo detto che il
sole era in ariete) mi davano buon augurio a rincer l'incontro di quella
fiera, e a riportarne la spoglia. £ in quest' altro : Sì che
aggiunto all' ora e alla bella stagione l' incontro di quella fiera
adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici successi. Così
rincontro d'uno o d' un altro animale recavasi anticamente a buono o a
tristo augurio. F R I M O. (I V. 45. Za vista, che
m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per limbolo della
superbia. V. 4^. £d una lupa eco. L'ararizia.
V. Si. £ molte genti fe' già viver grame. Ciò si può intender
di coloro , l'aver de' quali è ingordamente assorbito ddl' avwo , e per
gli avari me- desimi, che ai consumano in continui affanni per
l'insa- ziabditi della lor cupidigia, onde chiama la lupa bestia
senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di sua vista.
Qui paura con bizzarra significazione vale spavento in significato
attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi. Cosi l'addiettiva
pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3 , V. 8 H. Temer
si dee di sole (fucile cote , eh’ hanno potenza di far altrui male
, Deir altre no , che non son paurose. Cioè non danno
paura ; ma questo non è tanto sin» gulare , quanto il sostantivo paura in
significato di ter- rore, e f.tcllmente se ne troveranno esenipj simili
cosi ne'Crecif come nei Latini. Uno al presente me ne sov- viene,
ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il , v. q, Stare uel insanis cautes
obnoxia uentit , Naufraga quae uatii tunderet unda maris !
V. 60 dove il sol tace. Verso l'onibra della selva.
Canto V. 63 . Chi per lungo silenzio parta fioro.
Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale pare, che debba
intendersi il lume della ragion naturale risve- gliato nella mente del
poeta dalla teologia figurata per ranima di Beatrice de* Portinan in vita
amata da Dante. V. 63 parta fioco. Dal sento delle
parole par, che Dante •* accorgesse , che Virgilio era fioco dalla
semplice vista, ma a bea considerare non è così. Perchè allora eh' egli
scrisse questo verso avevaio già udito favellare, onde può ben dire
qual era la sua voce, oltre al dire eh* e* Paveva veduto. Che poi lo
faccia fioco , ciò è furila per tacciar la bar- barie di quel secolo , in
cui allorché Dante si pose a cercar lo suo volume, cioè a leggere e studiar
TEneide, nino altro era che la cercasse o studiasse , onde poteva
dirsi Virgilio starsene muto ed in silenzio perpetuo. V. 70. Nacqui
suh JuliOt ancorché fosse tardi. Dice esser nato sotto Giulio
Cesare ancorché fosse tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al
nascer di Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo ad
aver Tassoluto imperio di Roma, onde si potesse con verità dire che la
geme nascesse sotto di lui. £ vera- mente Virgilio nacque avanti a Cristo
anui 70, agridi d'ottobre , e per conseguenza avanti che Giulio
Cesare fosse imperatore. V. 90. Ch" ella mi fa tremar le
vene e i polsi, piglia i polsi universalmente per Parterìe, le
quali eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrisponden-
za alla sistole e alla diastole del cuore continuamente R I li
O. i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì
poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che
beni»iÌmo sapea , che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una
violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora
tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro
viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,
ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100.
Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon
congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.
Questi è messer Cane della Scala veronese , onde la sua patria,
dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello
Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer
Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale;
ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera
conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran
saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta,
allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3
oS. V. io 3 * terra , nè peltro» Peltro^ stagno
raffinato con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere , onde il scntimeaio
è questo ; V. io 3 . Questi non ciberà terra , nè peltro ,
Questi non si ciberà , cioè non sarà signoreggiato da ambizione di
stato > uè da cupidigia d'avere. 14 Canto triuo.
V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso il tuo
miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella era
sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc. O
sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro l'uomo
nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima
dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti , preso quel
prima avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun
^rida. Allude al desiderio , che hanno i dannati della morte
deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de'
tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile
super noi, et colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc.
Beatrice de' Portinarì , la quale , siccome à detto di sopra , fn
io vita ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel
primo canto, si consuma un giorno intero , eh' è il primo del viaggio di
Dante. INFERNO. CANTO SECONDO.
ARGOMENTO. Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della
propria mente. Dipoi acconta , com' egli peniando all' impreia di
tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe , e a motirare a Virgilio eoo
molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei ti mettewe ]>er niun conto
a cimento >1 pericoloio. Dopo di che narra, come Virgilio lo ripreie
della tua viltà; e con dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto
mandatovi da Beatrice, tutto di buon ardire lo iraarrito animo gli
rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare. V. 4
. ATapparetfhiava a sostemr la putirà , Si del cammino , e ti delta
pittate. Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori
tpiegano qneito luogo coti ; M'apparecchiava a tiiperar le ilitE-
cultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii per farmi
quei crudeliitimi tirar) , ond’ era per veder tormentare l’anmie de’
dannati. Io però ardirei proporrej6 Canto un* alfr.i roiuMcrazionc
, le a sorte Dante avesse piut- tosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava
a sostcoer la {guerra della pirtare , cioè a ftf forza al suo animo
per non prender pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà de’
«upplizj. fosse per muovergli un certo naturai affetto di comjiafsione ,
al quale ciafcun uomo fi seme ordina- riamenTc incitare per la miseria
altrui. £ veramente il senso letterale pare , che favorisca mirabilmente
questo sentimento ; poiché , s’ei s’apparecchiava a sostener la
guerra della pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la pietà , segno è
eh' e* non voleva lasciarsi vincer da quella, ma si resistere e
comb.ucere con la considera- rione, che quegl' infelici erano puniti
giustamente, anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo
offeso una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro
colpa, questa non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite quanto
all' intensione , non quanto all* estensione , la quale non ha dubbio ,
che durerà eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi
dell’Inferno, ne troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il
sentimento da me addotto in questo passo. Tale è quello
dell’Inferno, canto XIII, dove, dopo il primo ragionamento dì Pier
delle Vigne , Dante dice a Virgilio, eh* c’ seguiti a do- mandare all*
anima del suddetto Piero qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà
Tanimo, tanto si sente strignere dalla pietà del suo infelice stato,
v. OntV io a lui : dimandai tu ancora Di quel, che
credi ^ ch‘ a me soddisfaccia ; eh* i non potrei: tanta pietà in
accora. E piià apertamente si vede questo star su la difesa,
che fa Dante contro l’ importuna pietà de* dannati, la qual tenta di
vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno , quando arrivato in tu ruldina
costa di Malebolge dice cosi, v. 43^ Lamenti saeltaron me diversi
, Che di pietà ferrati avean gli strali : Ond" io
gli orecchi con te man coperti. Il qual terzetto par, che esprima
troppo maraviglio- samente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’
animo del porta , e la difesa di quello con turarsi gli orecchi. £
non solamente si troverà difendersi dalla pietà , ma sovente incrudelire
contro di essi, negando loro conforto e compatimento. Così Inf. cant.
XXXIII , richiesto da Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le
palpebre agghiacciate , non volle farlo , v. 148. Ma distendi
ora mai in guà la mano , Aprimi gli occhi I ed io non gliele aperti,
E cortesia fu lui tesser villarto. E Inf. XIV , vedendo
Capaneo disteso sotto la pioggia di fuoco, dice stargli il dovere, v.
^t. Ma , com' io dissi lui , li tuoi dispetti Sono al suo
petto assai debiti fregi. Io però confesso di non aver per anche si
fatta pra- tica SU questo poema , eh' e' mi sovvengano così a un
tratto tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima Cantica
dell’ Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può addurre taluno ora non
pensato da me , il qual mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta a
terra tutto il pre- sente ragionamento. E considero , che altri potrebbe
ri- spondermi , che il far dimandare da Virgilio Pier delle Vigne ,
e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson i8 Canto
ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo vinto
dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante ; ma io non piglio per
aaiunto di provare , che egli si picchi di non calerti mai piegato a
pietà de' dannati , anzi che in molti luoghi confeita la aua caduta ,
qual è quella , Inf. canto V, v. 70. Poscia eh' i' thhi il
mio dottore udito Nomar le donne antiche e cavalieri , Pietà
mi vinse , e fui quasi smarrito. Nel qnal luogo non meno ti pare la
perdita del poeta, che il contratto antecedente; mentre, te egli non ti
fotte potto in animo di non latciarti andare alla compattione, non
avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli , avendone avuta occatione
molto prima , cioè tubito eh' ei vide la miteria dei peccatori carnali.
Ivi, v. 3S. Or incomincian le dolenti note A [armisi sentire
: or son venuto , Xà dove molto pianto mi percuote. Ma
egli Ita forte il più eh' el potette : però , allora ch'egli ebbe
riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini, e coti alte donne , piegò
l'aaimo alla compattione ; ond'egli dice , eh' ei fu quoti smarrito ,
cioè ti perdè d' animo , vedendoti vinto il pretto. Per lo che concludo,
che, te bene da quetto e da muli' altri luoghi ti comprende la
vittoria della pietà , ciò non toglie il vigore alla ipoti- zinne del
preiente patto , potendo benitiimo ilare in- lieme l'un e l'altro : cioè
che Dante ti ditponeiie a toitener la guerra della pietà , cioè a non
compatire i dannati ; e poi , come di animo gentile ed umano , di
quando in quando cedette. V. 8. O mente , che scru/etti ciò eK io vidi
ecc. Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua memoria, chia-
mandola mente che tcriite ciò eh' egli vide ; cioè, in cui a' impretaero
le tpecie degli oggetti vedati. V. IO. Io cominciai; Vi
a’ intende a favellar di qncato tenore , e queata è maniera uaitatiaaima
di Dante per iafuggir la proliaaità dell' introduaioni de' ragionamenti ;
coal ed io a lui ed egli a me ; cio^ diaai e diaac , ed infiniti altri
aimili faci- lisaimi ad intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di
Silvie lo parente, CoirutlUile ancora , ad immortale Secolo andò ,
e fu tentibilmente. Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna ENEIDE,
che ENEA padre di Silvio , eaaendo ancora nel corrunibil corpo,
andò a aecolo immortale , cioè diaceae airinferno, e ciò non fu per aogno
o per eataai , ma aenaibilmente , cioè in carne e in oaaa. V.
16. Però se I avversario d'agni male Cortese fu , pensando I alto
effetto , Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale
L’avversario d* ogni male è Iddio, e ‘I chi , Romolo fon- dator di
Roma , e 'I quale , e le aue alte qualità ; onde il aenao de' aeguenti
terzetti è tale : Se Iddio , penaando la aerie delle coac , che doveano
farai per Enea c la aua aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di
lui dall'Iu- ferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque
abbia punto d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per
.vutore di Roma e del romano imperio. 20 C
AVTO V. 22. La qual* e *l quale ecc. La qual Roma, e '1
qual imperio. V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior
Piero. Qui Piero per Pontefice , onde il maggior Piero viene
a eMer Cristo , e non S. Piero , come vogliono ì coni» mentatori; perchè
s'e* parlaste di S. Piero, non direbbe del maggiore y il qual ti dice
solo comparativamente ad altri minori ; il che toma appunto bene , però
eh* e* parla di Cristo, il quale rispettivamente a $. Piero può
vcrar mente chiamarti il maggiore* V. aS. Per quest* andata,
onde li dai tu vanto ecc. Onde cotanto T esalti fra gli uomini per
ralcissimo privilegio concedutogli. V. a6. Intese cose che
furon cagione Di sua vittoria , e del papale ammanto.
Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea nel sesto deir
Eneide ; per la quale egli intese la sua vitto- ria, da cui dopo lunga
serie di avvenimenti fu stabi** lito in Roma il papale ammauto , cioè
l'imperio sacro. V. a8. Andovvi poi lo Vas delezione ecc.
S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo. £ veramente ne recò
conforto alla nostra fede con l'oculata tettimo- niaaza delle cose
credute da essa. E notiti che Dajite da principio di questo suo discorso,
fatto qui a Virgilio, non si ristrinse a dir solo di quelli, i quali
ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma di ciascuno, il quale,
sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale. Laonde non
solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo ancora saggiamente
piglia a ragionare. ai V. 34. Perchè se del venire C tn
ahhanJono ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi tgomento di
ve« iiire , come spiegano tutti i couieou , ma come chiosa il
Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire , assai dubito del
ritorno, V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc. Ci mette
con mirabil similitudine davanti agli occhi i contrasti d' un' anima, che
dal male al ben operar si rivolge. V. 41. Perchè» pensando
consumai t impresa y Che fu nel cominciar cotanto tosta. S'accorge
Dante d'averla un po' corsa» allora che nel primo canto, senza pensar nè
che, nè come, s'impegnò ad andar con Virgilio, dicendo, v. i 3 o.
Poeta t i ti richieggio Per quello Iddio, che tu non
conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio. Che tu
mi meni là dov* or dicesti , Si eh* i vegga la porta di S. Pietro
, E color, che tu fai cotanto mesti. Onde ora confessa
, che , sbigottito dalle suddette con> siderazioni, l'amor
dell'impresa, da principio con sì lieto animo incominciata , era per tali
pensieri consumato e svanito. V. 43. Se io ho ben la tua
parola intesa , Rispose del magnanimo quell ombra , Vanima
tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio : Con queste tue
riflesiioni , s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba* paura*
Cauto V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti,
Nel Limba , dove nè godono , nè dolgonti ranìme. V. 53 . E
donna mi chiamò beata e bella. Beatrice , la quale , ticcome è
detto nel IV canto , è poeta per la grazia perSciente o consumante, secondo
i teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò, secondo nota
il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno, per due cagioni : Una,
perchè, siccome non ci è scienza, la quale più alto ne levi nostro
mortale intendimento all’ altissima contemplazione d' Iddio e della
teologia , così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato oggetto
, che più gli facesse scala all’ intelligenza delle celestiali
cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi virtù e l’altre doti
esimie dell' anima di Beatrice. L'altra ca- gione , per la quale sotto il
nome di Beatrice intenda allegoricamente la teologia, è per mantener la
promessa, ch'egli avea fatta nella sua Vita Nuova; dicendo, che, se
Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di lei più altamente, che
aveste scritto altr' uomo di donna mortale. Il che veramente ha egli
molto bene osservato, avendola posta in così bella e maravigliosa opera
per la scienza maestra in divinità. V. 54. Tal che di
comandar i la richiesi- La richiesi. In pregai, ch'ella alcuna cosa mi
comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi più che la stella.
Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7 moto lontana.
Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo lontana. Quanto il
moto s' allontana dal tempo presente : cioè la tua fama durerà quanto dura
il tempo. a3
Piglia moto per tempo ella peripatetica , definendo Ariatotile il
tempo : Tempus tJt aumenu mottu seoundwa prius et poiierUu.
V. 6i. L’ amico mìo, e non della ventura. Dante , il quale
per aver amato di puriaaimo amore le bellezze dell' anima mia, e non le
doti eaterne, che la fortuna coraparte a' corpi terreni e corruttibili ,
fu veramente amico di me , cio^ di quel eh' era mio , e non {Iella
ventura , e non della bellezza, per la quale altri di lui men faggio m’
averà riputata felice e ben avventurata. V. 63. Nella diterta
piaggia i impedito Si nel cammin , che volto , e per paura.
Impedito dalla lupa, e volto indietro per paura di cita. V.
64. E temo eh' e' non ria già zi smarrito, Ch’ io mi sia tardi al
soccorso levata. Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui
tanto piede , che l'ajuto celeste non giunga in tempo. V. 67.
Or muovi ecc. Muoviti , vanne : così il Petrarca : Or
muovi , non smarrir t altre compagne. V. 71. Vegno di loco, ove
tornar disio. Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico
, cioà e a Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare in
cielo ; il che imitando per avventura il Petrarca nella canzone :
Una donna più bella asstù che ’l sole ; disse della teologia
: 34 Cakto costei batte t ale
Per tornar all* antico suo ricetto. V. 72. Amor mi mosse
ecc. É Vamor d* Iddio , pel qual e' desidera che ciascun nomo
ti salvi, e questo è il eeoso allegorico o vero se- condo la lettera ; la
mosse la dolce memoria di quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a
Dante , ond* ella il chiamò, v. 61 , L'amico mio. V. 73
dinanzi al Signor mio» Avanti a Dio. V. 74. Di te mi
loderò sovente a lui. Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice
a Vir- gUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritor-
nare dair adempimento di essa a uu* anima divisa per sempre dalla
comunicazione della grazia e della beatitu- dine. Dice in contrario il
Vellutello , che Beatrice con tal promessa promette a Virgilio in premio
quello, che da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea
maggiore ; ma non dice poi , perchè , nè di ciò adduce alcuna prova. Na
il Cello nella Lezione sopraccitata spa- ne, che anche all* anime perdute
si può (come dicono t teologi ) giovare con levar loro qualche parte di
cagione di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo
elleno celebrar le lor memorie o esser qualche compas- iione di loro in
altrui, elle pigliano alquanto di conforto ( » ei però può chiamarsi tale
) di non si vedere abban- donate al tutto da ogn* uno , e
tiiassituonieuic quelle, le quali non son dannate per fallo alcimo enorme
e brut- to, ma solo per non aver avuto cognizione della fede cmtiana
, come VIRGILIO. Diremo dunque « cYie non »ia ota d'ogni conaoUziune tal
promeMa di Beatrice. V. ^ 6 . O donna di virtù , sola , per
cui L'umana spezie eccede ogni contento Da quel Ciel , ch'ha
minor li cerchi sui. Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso
allego- rico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo
supera , ed è più nobile di tutte le creature contenute dal ciel della
luna;, essendo, che sopra di quello si dà subito neir intelligenza
movente Torbe lunare , la qual •enza dubbio sì per pregio , si per
eccellenza di chia- rissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che
Dante portasse opinione delT intelligenze moventi secondo la
dottrina d' Aristotile, è manifesto per quel clT ei dice in altro luogo
di esse. Par. cant. Vili , v. 37. r’oiy che intendendo il terzo
Ciel movete. Ciò potrebbe anche intendersi in quest* altro senso
: O scienza, per cui l'uomo eccede, cioè trasvola con T in-
telletto dalle sublunari cose alle celestiali e divine. V. 80. Che
Vuhhidir , se già fosse , m'à tardi. Che se io Tavessi obbedito in
questo punto stesso , che m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi
parrebbe tarda: tale e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire
i tuoi cenni. Or venga qualunque si pare, e mi poni da altri poeti
forme così maravigliose e piene di si forte espressiva. Y. 91. Jo
son fatta da Dio , sua mercè» tale ^ Che la vostra miseria non mi
tange , Nè fiamma cTesto incendio non m* assale. l6
Canto Io lono , la Dio mercè , talmente fatata per Tacque
della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti di voi altri
ioaprai , non mi tocca , nè fiamma deir in- cendio de' dannali non m'
assale. E notili, die quella dei aoapeai la chiama raiirria, non
conaiaiendo in arnao do- lorifico, ma in pura afflizione di apirito per
la diiperata viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la chiama
fiamma, perchè tormenta poaitivamente il aenao. V. 94. DoTina
e gentil nel Ciel, che si compiange Di questo impedimento , ov" io
ti mando , Si che duro giudicio lassù frange. Quella donna ,
il cui nome è taciuto dal poeta , è inteaa generalmente da' commentatori
per la prima grazia detta da' maeatrì in divinità grada data; la quale,
perchè viene per mera liberalità divina, è anche detta preve-
niente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni umane. Queata
dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon proponimento d'uacir
della aelva del peccato, e di aalire il monte Bgurato per la virtù e per
la contemplazione, piega e rattempera il rigoroso giudicio d'iddio;
onde dice: che dal compiangerai di quella donna per l'itupe-
dimento, che trova della lupa, il buon voler del poeta, duro giudizio
laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaa- aione , vedendo, che gli manca
più il potere, che il volere; onde merita d'aver in ajuto la aeconda
grazia deiu illu- minante , la quale ( ipongono i commentatori ) da
Dante è chiamata Lucia , dalla luce , eh' ella n'infonde nell'ani-
ma Questa seconda grazia chiama finalmente la terza , detta perficiente o
coniumante , espressa per Beatrice o per la teologia; dalla quale vien
condizionata la niente umana alla contem) dazione della divina etienza :
il che SECOSDO. Ottimamente li conacguiice col
mental TÌaggio dell* In- ferno e del Purgatorio , cioè a dire con la
meditazione di quelle pene ; •! come avviene al noetro poeta , il
qual per tal cammino li conduce alla fruizione del Paradiio , e ai
alla contemplazione d' Iddio. V. 97. Questa chiese Lucia in suo
dimemdo, £ disse , Ora abbisogna il tuo fedele Di te , ed io
a le lo raccoaiando. Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse
, e venne al loco , dov V era : Che mi sedea con l'antica Rachele.
Questa donna, cioè la grazia preveniente, richieee con tua dimanda
Lucia , cioè la grazia illuminante , che aju- tatte il tuo fedele , cioè
Dante ; il quale in altro luogo dice di tè , eh* egli fu fedele a creder
quella, in che la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette
tubilo a chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e
ciò per tignificare, che la teologia è indivitibil compa- gna della
contemplazione, poiché Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel
vecchio teitamento ti piglia per la vita contemplativa. V. Io
3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera. Che non soccorri quei , che
t'amò tanto , Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse
, cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera
lode d' Iddio , forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi
attributi di quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati
di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di
udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue
miaericordie. a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le
/iella volgare schiera. Per te toma bpne nel temo allegorico e nel
letterale ; poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la pro-
fonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per gli altri
parti , a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di
Beatrice. V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^
Qui il Fioretti , non rinvenendoti qual tia qiietta fiu- Dtana ,
poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia. Ma noi , per ora
latciando il Fioretti nella tua tfacciata ignoranza , terberemo ad altro
luogo la tpotizionc di quetto verto. V. 109. Al mondo non fur
mai ecc. Dice Beatrice , che al mondo non fu mai pertona coti
aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male , com' ella dopo
tale avvito del grave pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla
tua tedia beata. V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V
hanno. Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran lui,
che l’ha fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto; onde ditte di té
medeiimo nel primo canto , T. 86. Tu se’ solo colui , da cui io
tolsi Lo hello stile , che m’ ha fatto onore. V. lao. Che del
bel monte il corto andar li tolse. Ti fe' ritornare indietro ,
quando poco di viaggio ti rimaneva per condurti alla cima del bel monte ,
cioè al tommo della virtù o della contemplaiione. 39
V. i 39- Or va, eh" un tot volere è efamendue.
D’amendue noi ; il tuo cT andare , il mio di venire. V. 143.
Entrai per lo cammino alto , e tilvettro. Spoogono i commentatori
alto, cioè profondo. Io però m'aRerrei al parere del Manetti nella tua
ingegnoaa ope- retta circa il silo, forma, e misura delf Inferno di
Dante, dove intende alio nel ano proprio tignificato, cioè d’ele-
vato e aublime ; con ciò aia coaa che egli pone Teotrata deir Inferno in
aur un monte aalvatico , per entro il cui aeno ruoli eh’ e’ ai cominci
immediatamente a acendere. Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente
di fa- vellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra par-
ticolarità del aito e della forma della atupenda architet- tura di queato
Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con ana breve lettura del
aoprammentovato autore. INFERNO. CANTO
TER20. ARGOMENTO. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*)
c Tettersi condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell*
Inferno» la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del
canto» come l'ei leggeue. Di poi, acendendo per J' in- terne vie del
monte, arrivato in quella concaviti o ca- verna della terra, che è quali
come un veitibolu dell' In- ferno, ed è immediatamente sopra il primo
cerchio, cioè sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari,
cioè di coloro, che mentre vissero non furon buoni ni per aè , nè
per altri , ninna buona o rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per
tormento il correr perpetua- mente in giro dietro un' insegna che tutti
li guida , c (*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con
r«atorità dal iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal
quinta canta comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X..3a
Cauto chr in cotal cono ton punti e fieramente trafitti da
tafani e da moaclie. Attraversato quello spazio poi destinato alla
girevoi carriera di quegf infelici , dice essersi con- dotto al fiume d’
Acheronte , e quivi aver veduto venir Caronte per l'anime de' dannati, e
dopo, euer tramortito in su la riva di quello. V. I. Per me
si va ecc. Si finge, che parli essa porta. Ferme, il senso it
Per entro me. Y. 4 . Giustizia mosse ‘I mio aito
fattore. Veramente il motivo di fabbricar P Inferno venne
dalla giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli angeli
suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina potestafe. La
rowaui sapienza , e 'I primo Amore. La Santissima Trinità, della
quale spiega le persone per gli attributi: il Padre per la potenza, per
la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo. V. 7
. Dinanzi a me non far cose create, Se non eterne ecc.
Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che avanti a
lui non fu altra specie di creature se non eterne. Per queste intendono
assai concordemente i commentatori la natura angelica ; la quale, siccome
dovette esser punita per la sua ribellione , cosi par molto verisiiuile ,
che il carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il peccato degli
angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se li chiami eterni,
cioè in ritguardo dell'eternità avvenire. 33
p«r la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano eterni a pitrte
post^ o, come ad altri dì essi è piaciuto di no« minarli, sempiterni, a
distinzione delT eterno a parte ante, il che si conviene solamente a
Dio. Na siami qui lecito il metter in campo una mia con-
siderazione , la qual mi dichiaro , eh' io non intendo di proferire
altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* es- sere , a fine di
sottoporla al savio accorgimento di quello , al quale è unicamente
indirizzata questa mia deboi fatica. 10 discorro così : L’ Inferno
( secondo Dante ) fu creato col mondo , e ’l mondo fu creato in istante.
V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro. Onde io (
vi s’ intende , dissi ) : O Maestro , il senso lor m* è duro. Duro , cioè
aspro , e non , com* altri vo~ gliono, oscuro. Perchè leggendo Dante l’
immutabil de- creto di non uscire della porta d’ Inferno , a ragione
di bel nuovo s’ intimorisce. V. i3. Ed egli a me, tome
persona accorta i Qui si convien lasciar ogni sospetto. Da
questa risposta di Virgilio si conferma il detto di sopra , che Dame non
disse essergli duro , cioè oscuro , 11 senso deir iscrizione dell’
Inferno, ma duro, cioè aspro, spaventoso ; perchè Virgilio non piglia ora
a chiosargli la suddetta iscrizione , ma lo conforta a francamente
entrarvi. Così la Sibilla ad Enea nel VI , v. a6i. Nunc aiwuis
opus, Aenea ^ nane pectore firmo. Ma io di qui avanti non mi
fermerò a conciliare i luoglìi simili di questo canto col sesto delP
Eneide, come benissimo noti , a chi scrivo, le non dove m'occorra
di 34 Canto fare apiccare l'eccellenia di alcuna
di queati col para- gone di quelli. V.i8 il ien étW intelletta.
La viltà e la cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri ,
pimti , e ahi guai. Ne* tre arguenti terzetti par , che Dante abbia
voglia di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’
dan- nati. S'ei ae lo cavi o no , giudichilo chi farà confronto di
quello luogo con quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri
gemi/us , et saeua sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria , sema tempo
, tinta. I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo,
eioh lenza variazione di tempo al contraria dell' aria noatra, la
qual ai tigne a tempo come la notte , e ai riachiara da' raggi del
aopravvegnrnte iole. La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza
tempo, fintai onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai
che il aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel canto che
aegue la chiama eterna , v. i6. JVon avea pianto , ma che di
sospiri. Che l'aura eterna facevan tremare, Cooiidero
di pii), che l'epiteto di eterna in quello luogo del terzo canto
corria[>oude al perpetuo aggirarli delle voci de' dannati , v.
a8. Farevan un tumulto , il qual s'aggira Sempre in quell'
aria , senza tempo , tinta ; poiclià , a’ e' a'aggira eternamente ,
torna molto brne il dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £
poi nè meno può dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza
tempo , cioè ( come tpongono i commentatori ) eterna- mente , perchè
ancorché Dante dica di etta , Inferno , cant. IV, r. io.
Oscura , profonda era , t nebulosa ’ Tanto , che , per ficcar lo viso
al fondo , r non vi disccrnea alcuna cosa, Ciò non
toglie , eh' ella in alcuni luoghi non fotte di continuo illuminata dal
fuoco , come nel terto girone de’ violenti , ed in queito medetimo degli
teiaurad, dove te non altro vi balenava , v. i33- La terra
lagrimota diede vento , Che balenò una luce vermiglia.
V. 3l. £d io, eh' avea d'errar la tetta tinta. Cinta
d’errore, adombrata dall'ignoranza di ciò ch’io ndiva. V. 35.
Che visser sansca infamia , e sanxa lodo. Che in queito mondo ,
nulla mai virtuoiamente ope- rando, non latciaron di tè alcuna
memoria. V. 37 . Mischiate tono a quel cattivo coro
Degli jingeli , che non furon ribelli , Ni far fedeli a Dio ,
ma per te foro. £ opinione , che nel fatto di Lucifero fotte una
terza Lizione d' angeli , la qual nè t'accottaiie a Lucifero , nè
ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale. Di queiti parla il
poeta , e in pena della loro irreiolutezza li mette con gli
teiauratì. Canto V. 4 o> Cacciarla eie! , per non tster
men belli: Nè lo profondo Inferno gli riceve , Ck‘ alcuna
gloria i rei avrebber d elli. n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo
brutti, per rinferno aon troppo belli ; coti ti atanno in quel
mezzo, ciof nel veaubolo di euo Inferno. Notiti ben , eh' egli
dice, V. 41. Nè lo profondo Inferno gli riceve ; volendo dire
per Io profondo Inferno, coli, dove ti tormentano i rei > i quali avrebbono
alcuna gloria cT averli in lor compagnia. Non come dicono gli
i|>otitori.' ti glorierebbero per vederti puniti del pari con etti ,
che non commitero altro peccato , che d’etterti indiflfereoti
tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli occhi loro la piccola
macchia di tale indifferenza non varrebbe ad appannare il lustro di loro
eccella natura, dalla quale ritrarrebbe alcun taggio della gloria , e ti
della celette beatitudine. V. 47. E la lor cieca vita è tanto
batta , Che ’nvidioti ton i ogn altra torte. Non
tolaniente di quella de' beati, ma in un certo modo di quella de'
peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura la lor misera vita, onde
dice, che misericordia e giusti- zia gli sdegna , quella che di loro non
è avuta , questa , che per cosi dir li disjirezza con distinguerli sì di
luo- go, come di pene da’ peccatori. E credo, che P intendi- mento
del poeta sia J* inferire , che la maggior pena di costoro èia vergogna
di non esser almeno stati da tanto, poich’ a perder s’aveano, di
perdersi, come suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli arrabbuno e
mordonsi le ■lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar
almmend la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli)
par loro , eh* ella « per così dir y non gli •cimi , e ai li Timproveri e
facciasi beffe della lor dappocaggine. V. Sa 9Ìdi un insegna
y Che y girando , correva tanto ratta , Che d’ogni posa
mi pareva indegna* Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a
dinotare la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per
giu- stamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero.
V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna. Spiega il
Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun riposQ. Il Buti: Correva
quest* insegna t che mai non mi parca si dovesse posare , e forse meglio.
Non credo però , che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I
Bonanni •e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi : che
la mence del poeta sia stata di pigliar in questo luogo indegno per
incapace, o altra cosa equivalente ; e nel resto io credo, che Dance
abbia forse voluto dar da strologare a* grammatici toscani ; come fece
Ennio a* La- tini in quello indignas turres, dove da Girolamo Colonna
r indignas viene spiegato per magnaSy e dal medesimo vien allegato in
conformazione di ciò un luogo di Servio, il quale spiegando quel verso di
Virgilio nelP Egloga X indigno cum GaUus amore periret , spone indignutn
per magnum, e quell* altro pur di Virgilio nelle Ceiri: Verum
haec sic nobìs grauia atque indigna fuere. Nel quale Giulio Cesare
Scaligero spiega indigna y cioè inefiabile , e per trasUto ,
immensoCarto V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui.
Che fece per viltatt il gran rifiuto. Intende di Piero d«l
Murrone , che fu Papa Cele- stino V , il quale , tra per la tua
sempliciti e l'altrui sottigliezza , s* indusse a rinunziare il papato.
Questi fu ne' tempi di Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà
il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui, che non essendo per
anche dal giudizio mai non errante di Santa Chiesa annoverato tra' santi
, come poi fu , poteva leci- tamente credersi soggetto ad errare, e si
interpretarsi in sinistro i (ini delle sue per altro santissime
operazioni. V, 63. ji Dio spiacenti , ed a’ nemici sui.
Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra , eh’ e' non eran nè
di Dio, nè del Diavolo. * • V. 64 . che mai non fur
vivi. Morde acutamente con questa forma di dire la perduta
loro vita. V. 65. Erano ignudi , e stimolati molto.
Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia. V. yS per
lo fioco lume. Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della
voce, per esprimer con maggior forza quel che s' appartiene alla
vista. Similmente nel primo canto , v. 60 , per si- gnificare l'ombra
della selva disse, dove'l sol tace: qui con non minor vaghezza un lume
assai languido lo chiama fioco. V. 83. Un vecchio bianco, per
antico pelo. Forma assai rara e nobilissima per esprimer la
canizie del vecchio Caronte. Gridando : Guai a coi anime prave
: Non isperale mai veder lo cielo ecc. Coinime
mirabilmente otaervato, ioduceme mollo mag- giore ipavento , l' imrodur
Caronte minacciante l'anime nell' atto d'accottarti alla riva, che
introdurlo muto verao di eaae , aiccome la Virgilio , il quale non lo fia
parlar* ae non con Enea. V. 88 viva , Partili da
codesti , che son morti. Kon diaae da codette , che aon morte ,
perché come anime eran vive ; ma diaae , da codesti , cioè uomini ,
de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr morti. V. 91 .
Disse; Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia , non qui ,
per passare : Più lieve legno eonvien , che ti porti.
Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante la tua
aalvazione , e che però gli dica, che egli arriverà • piaggia per altre
vie , per altri porti , intendendo del porto d' Oatia poato vicino alla
foce del Tevere , dove finge il Poeta , che l'anime imbarchino per l'
itola del Purgatorio ; e che queato più lieve legno aia il vat-
tello con cui vien Vangelo a caricarle , di cui Furg. cani, n, V. 4
^’- e quei s‘en venne a riva Con un vasello snelletto ,
e leggiero , Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il
Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era
cota impropria il porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio , mi
tpiega queato patto in 40 Canto diverto
lentimento. Prende egli altri porti in quetro luogo per altra condotta,
cioè per altri die ti portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo
, che pattò Dante aJdormentato dall' altra riva , tenta che egli te n'
accor- geue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui
Caronte ; mentre di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè
che egli per altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a
batto. V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte
luì. V. 99 ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo
per avea, non ave terta pertona del meno nel preiente del verbo avere,
come hanno alcuni tetti. V. 104 e‘l teme Di lor
temenza, e di lor nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme
di lor semenza , quelli di lor nascimenti, perchè da etti
immediatamente nacquero. Coti il Rifiorito. V. Ili qualunque
s'adagia. Qualunque ti trattiene , non qualunque » accomoda
nella barca , come tpone il Daniello , che tarebbe alato
tpropotito. V, li». Come t Autunno si levan le foglie,
L’una appretto delF altra , infin che 'I rama Rende alla terra
tutte le sue spoglie. Similitudine tratu da Virgilio nel VI , v.
309. Quam multa in tyluit autwnni frigore prima Lapta cadunt
jolia etc. ; ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui InTerno
niuna deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna delle
foglie riman tu Palbero ; al contrario di quel di Virgilio, nel quale
tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati in terra. E poi elf i
grwdemente nobilitata col prose- guimento di essa fino al restare
spogliato del ramo , pa- ragonato al restar voto il lido j dove Virgilio
la regge solamente nella prima parte del cader delle foglie , e
dell' imbarcarti fanime ; passando poi subito a quella degli uccelli ,
che passano oltramare. V. 1 18. Cori seis vanno tu per f onda
bruna. Bellissima ipotipoti , e che mette sotto agli occhi il
camminar della nave. V. lao. Anche di qua nuova tchiera
t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni stante di
tempo muojon dannati. V. laS. Che la divina giuttizia gli
tprona. Si che la tema ti volge in detto. Chiese
innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime paressero si volonterose
di passare il fiume , v. qi. Maettro , or mi concedi ,
Ch’ io tappia , quali tono , e qual cottume Le fa parer di
Irapattar ri pronte. Ora gliene rende la ragione, mantenendogli
nello stesso temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi
76. le cote li fien conte. Quando noi fermerem li
nottri patti Su la tritta riviera d Acheronte. 4
4a Canto £ dice , che ciò accade , perché la divina
giustizia le sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU
epoai/ione di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae
strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo la mera
apiegaaione allegorica, lo però , fìntanto che non trovi meglio da
aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual è : che Dante abbia
preteao d'eaprimere un terri- bile effetto delia diaperazion de' dannati
, per la quale paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti , ed
empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la
quale, secondo loro , è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai
abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelo- sia, o da altra
violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un
diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro
di loro ade- gnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne,
segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile
guato data la mone , v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto
, Credendo col morir fuggir disdegno , Ingiusto fece we
, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente
eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo , dove
parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diapera- aione per
quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata
iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee
Tribuere Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent,
Sed iuuat ipsos satiare Deot.Ancora il Boccaccio fa proromper la
diaperata Fiani- metta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell*
in- gordigia , ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai aono
inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a coloro , co* cfuali
essi sono adirati , benché della lor salme porgano segiu> , nondimeno
gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare
il lor dovere « e saziano f ira loro» V. 117. Quinci non
passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua pattano , aon
dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione , ond* egli
ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o. Finito questo, la
bufa campagna TVemà forte, che dello spavento La mente di
sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento ,
Che balenò una luce vermiglia , La quai tu vinse ciascun
sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,
Quetto luogo è a mio credere oteurittitno , e tengo per fermo , che
a volerne capire il vero tignificato , aia necettario intenderlo affatto
a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono
i commen- tatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,
e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò
all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante
fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche
demonio , potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo
tolaiueute nel principio del IV canto , che, coin' e' fu desto, ti 44
Canto ♦roTÒ «Ter pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché
di ciò ftimo, che §e ne potsa addurre qualche probabi) conjettura , mi
riitrignerò domandare : «e la luce vermi> glia naace dal vento esalato
dalla buja campagna nel auo tremare ( intendo tempre di star tu la fona
della lettera, che col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti
di questi e d'altri maggiori inveritimili ) , come ti può mai
intender per etta vermiglia luce un angelo venuto dal cielo ? E poi qual
nuova virtù hanno i tuoni e baleni di far addormentar le persone ? O qual
necessità v'era d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e
pat- tato dormendo, qual grande avvenimento ti cav' egli da questo
tonno ? Il Vellutello è stato a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo
nascere non il baleno dal terre- moto , ma il terremoto dal balenare ; ma
non ha poi •piegato come ciò post* estere , stante il sentimento
dei versi seguenti: i33. La terra lagrimota diede vento
^ Che balenò una luce vermiglia* Spiega il Landini;
Che, cioè il qual vento balenò una luce vermiglia. Dunque se fu il vento,
che balenò , non fu il baleno , che fe' tremar la campagna e spirare
il vento; e per conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria
infernale, non ti può dire, eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con
pochissimo la lezione del Vellutello si farebbe diventar ottima , cioè
con legger quel Che per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè ; si
che il •enso fosse ; La buja campagna tremò , la terra lagri- mosa
diede vento ; Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma
quello, eh' io diceva da prin- cipio, che a capire e a voler dar qualche
sentimento aquetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello ,
eh' egli era inteso universalmente ; cioè dove gli altri intendevano il
baleno per effetto del terremoto e del vento , intender il vento ed il
terremoto per effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile ,
anzi torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta
deir angelo; il quale, oltre a quello, che n’accennò Ca- ronte quando
disse, v. 91. Per altre vie , per altri porti y errai a
piaggia , non qui , per passare , Più lieve legno convien , che ti
porti. si rende molto credibile, che foste più tosto egli,
cioè l’angelo , che Virgilio , o un demonio , il quale passasse
Dante, si per la gloria della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti
perchè estendo il passar Dante di là dal fiume opera soprannaturale e
miracolosa, molto maggior dignità è farla operar per un angelo, che per
un’anima o per uno spirito ; e ti finalmente perchè altre volte ,
quando è stata da superare qualche gran difficoltà, come alla porta della
città di Dite , dice espresso , che venne un angelo a farla aprire. Che
poi alla venuta dell’ an- gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo
accidente, e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’
avve- nimento. Lo stesso sappiamo esser avvenuto , quando v’arrivò
Tanima di Cristo Signor nostro per liberare i tanti del vecchio testamento;
come ti legge in S. Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più
strettamente; dove, scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto , ne
dà per cagione la scesa iTun angelo ; Et ecce terraemotus factus
est ntagnus ; Angelus enim Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che
quell' zaùn ha la stessa forza, che Canto io intendo dare a
qnel che, cioè di perchè o di percioc- ché , o di conciossiacotoché ,
arnia clic interroghi, nè ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi ,
come si può vedere al Vocabolario, e più difltusamente appresso al
Cinonio. Un simil costume si vede anche osservato da' poeti
gentili, come eh' e' lo conobbero benissimo adattato alla dignità de’
celesti personaggi. Servio : Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia.
Seneca , nell’ Edipo , atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo
stesso Edipo della risposta dell’ Oracolo , v, ao. Vt sacrata
tempia Phoehi supplici intraui pede , Et pias , nutnen precatus ,
rile summisi manus ; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit
, Imminens Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E
Virgilio , Eneide , lib. Ili , v. 90. Vix ea fatus eram , tremere
omnia uisa repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons
circum , et nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF
Oracolo d'Apollo ; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in
lode della stessa Deità , V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro
Só^iroq ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf , inàif , Sant
dXtSpót, Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad
Apolline; Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora:
Lo Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le
sue parole sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come t"e’ icotto quitto
ramo, come i e' scossa questa spelonca! Non , Quanto s' è scosso questo
ramo ree. ; come traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto
avvertire, che Io Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non
di quanto: Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or reggili
le l’ interprete doveva mai tradurre otog ovvero Sicmf per quantus; e pur
era un lolenne tradut- tore , e che li piccava iniioo di icrivere veni
greci. Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no-
bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno , v. iS5. Ecce autem
primi sub lumina solit , et ortut , Sub pedibus mugire solum, et
juca coepta numeri St/luarum , tùtaeque canet ululare per umbram ,
Aduentante Dea : Procul , o procul ette profani. Coll Claudiano de
Rap. Froterp. , lib. 3 , alla venuta di Plutone, V. iSa. Ecce
rrpens mugire fragor , confligere turres , Pronaque uibratis radicibus
oppida uerti. Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo
, ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra il canto
IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli non potea dire le non quel
tanto, eh’ ei vide; e te dice, che la luce vermiglia lo fe’ tramortire ,
vincendogli cia- •cun tentimento, e che in questo fu panato di là
dal fiume , sarebbe stato molto improprio , eh* egli ci aveste dato
conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni- mento. Dico svenimento
, non sonno , al contrario di tutti gli tpositori , i quali , mi
maraviglio , come in cosa tanto manifesta abbiano preso un sì grosso equivoco.
Dice Dante , che la luce vermiglia gli vinse ciascun 48
Canto lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono. Dunque,
a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen- tato, ^ troppo
chiaro, ch'egli cadde per altra cagione; che non li piglia mai il
paragone dalla iteiia cola para- gonata. Qual freddura larebbe mai queita
? Caddi addor- mentato, come cade quegli, che l' addormenta’
Tramortito bensì; e ciò ■' intende molto bene, come polla derivare
dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della luce vermiglia
; ma non già il lonno , il quale è ami •cacciato , come vedremo nel
principio del leguente canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai
limile li legge in Daniele al cap. X , dove egli icrive di lè
medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto col re di
Persia, avea ripieno di tale spavento quelli eh' erano col profeta, che
l'erano fuggiti; ond'egli, vinto in ciascun sentimento e abbattuta ogni
lua virtù , rimase solo a veder la visione ; yidi auttm ego Daniel
solus uisionem. Porro uiri , jui erant mecwn non uiderunt , ted
terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum; ego autem
relictut solus nidi uisionem grandem lume , et non remansit in me
fortitudo, ted et species mea immutala est in me , et emareui, nec habui
quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh'
ei dice al canto V dell’ Inferno , v. 140. E caddi , come
corpo morto cade ? Dunque con qual ragione or , di' e' piglia la
similitu- dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo, eh'
egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante cavarci di questo
dubbio della venuta dell' angelo , fa- cendosela narrare a Virgilio,
siccome nel IX del Purga- torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo,
v. Sa. Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno , Quando f
anima tua dentro dorniia , Sopra li fiori , onde laggiuso è adorno
, Venne uno donna , e ditte : /' ton Lucia ; Latcialemi
pigliar cotlui, che dorme : Si t agevolerò per la tua via.
avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla bizzarria,
quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la modeitia, per la quale
non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto favore; riapetto , che
manca poi nel Purgatorio , dove la tua anima per la meditazione
del- r Inferno era divenuta piti monda , e ti pili vicina a
pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto del
concetto principale di quetto luogo , è ora contegnentemente da vedere
con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena
intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o.
Finito quetto , la huja campagna Tremò ri forte, che dello
tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per
fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, ri- membrando l'alto tpavento, ancor
ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano
con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora
vediamo quell' azione , liati dell' anima , o degli tpiriti, che i'
etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e
romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati , muover
taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.
So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che
crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della
tetra ; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante , come
ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio ; dove in perenna di
Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di
quella mon- tagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse
quaggiù poco , od assai ; Ma per venSo , che irs terra sì
nasconda. Non h dunque gran fatto , che , portando egli
quetta credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc)
vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento , e
forte nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava.
INFERNO. CANTO QUARTO. ARGOMENTO. Raccolta
, eom’ an tuono Io f«ce ritornare in , e come trovò aver pattato il (ìamc
Acheronte dalP al- tra riva, la qual fa orlo al catino de!!' Inferno,
chiamato da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi , d'eticre tcrio
nel primo cerchio <^’ etto Inferno , che è il Limbo. Di- manda a
Virgilio della venuta di Critto in quel luogo , ed ode la tua ritpotta.
Quindi patta a veder 1' anime de* bambini innocenti , e dopo quelle di
coloro , che visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con la
motta per discender nel secondo cerchio , termina il canto.
V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta Un greve tuono , ti
eh' i" mi riscossi , Come persona, che per forza è desta.
Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde chiama sonno
quello , che in realtà era tmarrimento di spiriti , e svenimento.
Chiamalo alto , a differenza del Digitized by Google
Sì Canto «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot
dice, che un greve tuono a gran pena lo ritcofte , rome ai rìacuote
persona, che per forza è desta* £d ecco retta la comparazioDe fin all'
ultimo^ dopo averla fatta operar con grandisiimo artifizio in tutte le
«uè parti. Il tuono potrebbe a prima viata parere non eaaere auto
altro, che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida
de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono. J tu la
proda a mi trovai Della valle d * abisso dolorosa , Che
tuono accoglie d* infiniti guai. Goal di aopra nel terzo canto , t.
3o , rasaomiglia i gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui ,
ove ai aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia
al tuono. Potrebbe forse anclie dirai , che questo tuono venne dall' aria
del terzo cerchio della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo
punto fuor di ragione il credere, che insieme con la gragnuola venisiero
aoche de* tuoni , siccome veggiamo accadere nella noatr* aria , il
che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa> vento de*
peccatori. Considero dall* altro canto , che in sì gran lontananza , qual
è quella del terzo cerchio , volev* essere un gran tuono per esser
sentito da quei , eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna
ancora considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come fa a
noi , ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la volta della terra,
che rintrona e rimbomba per ogni banda, e sì lo strepito vien portato ,
come per cana> le, all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione ,
a qual distaiza arrivi la voce d* uno , che parli aoche pianamente
per una canoa forata, forse non parrà tanto gUAKTo. 53
HiTerUtroile queito pensiero. Senxa che delle campane alla campagna
aperta, dov' elle abbiano il vento in favore, •'odono dieci o dodici
miglia lontano^ e rartiglierie tirate alta marina di Livorno s'odono
talvolta Hn di Firenze, che per retta linea aWà ben cinquanta miglia di
lonta* nanaa. Più coerentemente però al costume non meno , che alla
grandezza della fantasia di Dante, si dirà, che il tuono non fu altro,
che quello incominciato nel canto antecedente , di cui nel ritornare il
poeta in s^ , udendo lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi
dor- me, e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse stato
fuori de* sensi , lo credette ( stando assai bene io sul verisimile ) un
altro tuono. E di vero, per passare il fiume su l'ali d'una potenza
soprannaturale, non vi volea cosi lungo tempo , che giunto su l'altra
riva non potesse ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che
scop- piò col baleno , allorché Dante si ritrovava al di là dal
fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si desta na- turalmente,
perchè già il miracolo della sua trasmignv «ione era fornito, e udendo in
quello tuonare, mostra di credere d'essere stato desto dal tuono , come
farebbe ognuno, che si abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona.
V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc. Questo luogo si vede imitato,
o per meglio dire stem- perato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la
doglia del €uore t quella aspettante , thè tutto il corpo dormente
ritrosie , e ruppe il forte sonno. V. XI. Tanto che per ficcar lo
viso al fondo. Per invece di quantunque , ed opera
graziosissima- mence. Il senso è : Tanto che , quantunque io ficcassi
lo 54 C A H F o viso al fondo. Piglia ficcar la
viltà per Guare gli occhi ; maniera aliai biiiarra. V. i5. r
tarò primo, e tu sarai teconio. Queite parole di Virgilio aono
aliai chiare quanto alla lettera; ma vuol fon' anche lignificare euer
egli nato il primo a entrar a deicriver l' Inferno , lì come fece
nel VI dell' Eneide , e Dante dover eiiere il lecondo. A chi lia riuicito
più felicemente queito viaggio, aitai leggiermente ai può comprendere dal
paragone. V. 15 . Ed egli a me; V angoscia delle genti.
Che son quaggiù , nel viso mi dipinge Quella pietà, che tu per tema
tenti. Spiega r effetto dell' impallidire per la lua cagione
, che è il compatimento de' mortali affanni de' peccatori : forma
di dire veramente poetica, anzi divina. V. ai che tu per tema
tenti. Che tu interpreti per effetto di timore. V. a3.
Cosi ti mise, e coti mi fe' ‘ntrare Ne! primo cerchio , che V
abisso cigne. Qui incominciamo a icender dal piano dell' atrio
dell' In- ferno , cavato lotto la volta della terra , dove abbiamo
veduto eiier puniti gli iciaurati , e corrervi il fiume Ache- ronte.
Entran dunque nel primo cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi ,
secondo che per ascoltare , Non uvea pianto , ma che di
sospiri. S* intende nel primo verto : Secomlo che ti potea
comprendere; cioè. Secondo che per l'udito ti potea quakto. ss
Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo , mercé
dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao. Ma che vale eccetto ,
aalvo , fuorché , aolaniente , pid che. Forae da magit quatti de* Latini;
onde con tal par- ticella vuol lignificare , che non v’ era maggior
pianto eh’ un leniplice lamentar di aoipiri , lecondo che l’anime
del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo, ma lolamente nell’
animo , per la privazione d’ Iddio. Queito viene apiegato mirabilmente
nel verio arguente a 8 . E ciò avvenia di duol senza martiri.
V. 33 innanzi che più ondi. Andi leconda peraona
dell’indicativo preaente del verbo Ando diauaato , dalla railice uiata
andare. • V. 34 e t' egli hanno mercedi. Non basta,
perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e' porta della fede , che tu
credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica
volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad, cant. XXXII, V. ^
3 . Dunque , senza merci di /or costume , iMcate son , per
gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in quello, che tono create,
h.mno da Iddio , lenza lor merito o demerito , maggiore o mi- nor
dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede. Coll vien chiamato
da’ maeitrì in diviniti lanua Sacra- mentoruia, V. 37. E s'
e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo , Non adorar debitamente
Iddio. 56 Canto Parla de* gentili innocenti» cbe
furono avanti alla ve- nuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero
, anzi adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè
secondo il verace concetto , che si dee aver d* Iddio , e secondo il
legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica; ma lo riconobbero o nel
Sole, o nella Luna, o nelle Sta- tue , e sì Tadororono con riti profani
ed abbominevoU. V. 41 e soi di tatuo efesi. Che senza
speme vivemo in disio. Vi •* intende siamo. Cioè , e soì di tento ,
o vero » e sol io CIÒ siamo efesi. Questa dice Virgilio esser
la sola pena di quei del Limbo , Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver
vivo il desiderio, e morta la speranza. V. 47* per ooler
esser certo Di quella fede, che vince ogni errore. Per
aver un riscontro della verità della nostra fede. V. 49. Uscinne
mai alcuno, 0 per suo merto, O per altrui , che poi foste beato
? Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli
antichi Padri operata da Cristo nella sua resurre- zione ; pure da eh*
egli avea sì bell* occasione di chia- rirsi del vero , e con ottimo fine
d* armarsi contro qua- lunque titubaziooe gli potesse venire di così alto
mistero, non si potè tenere di domandar Virgilio , s* e* n* era
uscito mai alcuno. E notisi , com* egli dissimula bene il suo animo :
domanda prima di quel che sa , che non è , e che nulla gl* importa il
sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno per suo proprio merito , per farsi
strada a domandar» di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier
fatto certo, lenza che Virgilio potaa ombrarvi sopra od
accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato ,
Quando ci vidi venire un possente , Con segno di vittoria
incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo , quando ci
vide venir Cristo nostro Signore , che mori intorno a quarantott* anni
dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si non conobbe Cristo
, però non lo nomina. Dice solo , eh* ci ci vide venire un possente
incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope«
rare in quel luogo , traendone sì gran novero d* anime , ond* a ragione
si persuadeva , quegli non poter esser altri , che un grandissimo , e potentissimo
principe. V, 6o. £ con Rachele , per cui tafito fe\
Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban padre della
fanciulla, per averla in isposa. V. 64. JVon lasciavam rondar ,
perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse , badavamo a ire. Lo
stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del
Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra , che ben duuostra la
ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar ,
nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte*
V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per
moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di
questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto
gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito
, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone :
Le dolci Time d amor , eh' io eolia , dice amarrirviii l’uomo
all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro , cap. XV
della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si parlavano
allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e selva finalmente
chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti. Così abbiamo nelle
scritture : Secar decurtus aqua- rum plantauU dominus uineam iuttorum.
Qui molto giudi- ziosamente, trattandosi d'anime dannate, piglia la
metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché si sia servito
ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia limitazione. La
prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più verisimilmenle
delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di quelli della
circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di quelli venuti
corì nudi e crudi dal paganesimo , onde oltre T esser forse tutti
per ancora e male istruiti nella fede, e peggio riformati ne’ costumi ,
ve ne potevano esser molò de’ re- probi. La seconda, che in questo luogo
selva è pro- priamente metafora di metafora, non pigliando il santo
per piante di questa selva le anime a dirittura, ma più tosto le varie
adunanze delle anime , velate prima tali adunanze sotto l’altra metafora
di vigne, per viti delle quali vengono a intendersi le anime particolari,
e di ciascheduna di queste vigne cosi numerose ne forma, per dir
cosi, le piante d’una vastissima selva, che è la metafora secondaria,
come si vede manifestamente dalle seguenti parole , che sono poco dopo il
mezzo del sermone XXX su U Cantica ; Merito et Paulo inter gentet
tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir appresso gli Arabi si trova
usata la stessa figura, come si può vedere da quest* esempio d' Harireo
Basrense nel suo primo • Le sue parole sono le seguenti :
dLJLsNwc jivervio io dunque penetrato nelt interna densissima
teha per saper la cagione di quei pianti. Nè altro intende per
sehat che una grandusima calca di gente, che s'affollava d'intorno a un
ceno romito per udirlo predicare. V« 67. Non era lungi ancor la
nostra via Di qua dal sommo; quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o
di tenebre vincia. Credo, eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale
d«l piano di sopra , dove corre Acheronte , erano calati nel Limbo;
e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli erano caiu- minati ancor poco per la
pianura di esso , quando ei vide un fuoco , che illuminava un emisferio
di tenebre. Questo fuoco non si rinviene molto chiaraiuente,
dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i commentatori si fermano
troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome di lu- miera, e dal
lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che dentro alle mura de)
castello, m'induco volentieri a credere , eh* ella fosse una (ìsunnia
librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte alcune meteore di
fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo, inhn tanto che
dura la lor materia a ardere , e prestar alimento alla bo C
A K T O 6(unina , pfT cui •! rcndon vi«ibili. Nè è da star
attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te quetto fuoco
illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei fotte in terra, poiché
alando in aria veniva ad lUuttrare una porzione maggiore della mezza
tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe intenderti come poeta , e non
come geometra; né è veritimile, eh’ ei pigli itte allora le tette
per miturare il giro dell’ aria illuminata. V. 73. O tu, eh' onori
tee. Parole di Dante a VIRGILIO. V, y(j V onrata
nominanza > Che di ior suona sii ne la tua vita , Grazia
acquista nel ciel , che gli avanza. La fama e ’l pregio , che riman
di loro nella tua vita, cioè nella vita mortale , la qual tu godi ancora
, o Dante , impetra loro quetta grazia dal Cielo. V. 81.
L’ombra sua torna , eh' era dipartita. Partitti allora dal Limbo
Virgilio , quando a’ preghi di Beatrice andò a trovar Dante nella telva
oteura. V. 84. Sembianza avean né trista, né lieta; e però
conlacevole al loro alato nè di gioja, nè di tormento. V. 91.
Peroeehb eiaseun mero si eonviene Nel nome, ehe sonò la voee
sola; Tannami onore , e di ciò fanno bene. Mi fanno onore , e
fanno bene a farmelo ; perchè a tutt’ e quattro ti conviene il nome , che
la voce d’ un •olo diede a me» cio^ in quello di pòeta. In «ustanza:
fanno bene a onorarmi, perchè siamo tutti poeti, e f o- nore , che è
fatto ad uno , toma sopra tutti. Y. 94. Cast vidi adunar la bella
scuola Di quel signor dell’ altissimo canto, D' Omero ,
dal quale hanno cavato tanto i poeti , e in particolare i quattr(\ posti
qui da Dante. V. 9y. Da eh’ ehber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno : £ ’l mio maestro sorrise di
tanto. Qui non accade strologar molto quello , che Virgilio a
costoro dicesse , vedendosi manifestamente ( tanto è artifizioso questo
terzetto), eh' egli li ragguagliò dell* esser di Dante, del suo poetico
spirito, e della sua profondis- sima scienza- Ciò si discuopre dalla
cortesia del saluto, eh* essi gli fecero , e dal sorrider , che ne fece
Virgilio ; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol
signiBcare , che di questo , cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei
grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante , se
da Virgilio non ne fosse loro stata fatta un* assai onorevol
testimonianza, della quale essendo frutto il cenno salutevole, esso ne
sorride per compiacenza di vedere , quanto fossero «tate autorevoli le
sue parole. V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ;
C/f ei si mi fecer della loro schiera, St eh’ V fui sesto tra
cotanto senno. Cosi n andammo insino alla lumiera, Parlando
cose , che ’l tacere è bello , Si co/u era' i parlar, colà dop’
era. 6j Cauto A chi noD aTCMC ancora Bnito d’
intendere quel , che VIRGILIO ditcorreHe con Omero, e con gli altri
tre, Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo , volendoci in
austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun
conaentiuiento giudicato degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai
annoverato tra' mag- giori poeti , eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile
iin. presa stimo , che sia I' indovinare quello , eh’ e’ discor-
ressero in sesto , poiché Dante si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi
egli ad altro, se non di' e' parlaron cose , delle quali A bello il
tacere , com' era bello il parlare colà , dov' egli era. I commentatori
hanno avuto in tal veocrazione quest' arcano , eh' e' non si son
pur anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra molto
un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli,
che tutto il discorso fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor
egli favellasse, men- tre dice , v. io3. andammo infino alla
lumiera. Parlando cose , che ‘l tacer è hello. Il suo
parlare non fu per avventura altro , che recitare qualcuna delle sue
canzoni , secondo che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di
gentilezza ) ne fu richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume ,
ma ( che più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo
verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere quello, che
allora bellissimo era a parlare. V. Ila. Centi v' eran , con occhi
tardi e gravi, Di grand' autorità ne’ lor sembianti :
Parlttvan rado , e con voci soavi. Quello tertetto paò lerrir di norma a
qualunque pi> glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di
gran perionaggio. V. il5. Traemmoei co/l dalF un de'
canti In luogo aperto , luminoso , ed alto ; Si che veder
si potén tutti quotili. Dal dire, eh' e' li trauero da un canto del
caatello, ai convince manifeicamente , eh' ei non era murato a
tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vel- lutello : tanto
pid eh' e' non si può nè anche dire , che il castello era tondo bensì, ma
che v' erano diverse piazze o strade , le quali venivano a formar degli
angolii poiché non pare, che Dante figuri questo castello per altro
, che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e s' ei potè mettersi
in luogo da poter veder tutti quanti , chiara cosa è , eh' e' non vi
doveva essere impedimento di mura, o di case, o d'altri edifizj. A tal
che questo canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio , mostra ,
che la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto meno è
veriiimile , eh' elleno abbracciaiser il foro della valle, come è
opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente immaginati, che tutto il
piano dello scaglione del Limbo fosse diviso , come in due armille
concentriche , una ester- na e maggiore, dove non arrivasse il lustro
della lumiera, e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza
bat- tesimo sospirando continuameote , onde dice , v. a6.
ffon avea pianto , ma che di sospiri , Che laura eterna
facevan tremare. minore l'altra ed interna , ed illustrata dalla
lumiera , è questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi.
£ 64 Canto invrrUimile I dico , tal optDÌone.
Prima , perchè in pro> porzione dell* altr* anime del Limbo y
piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per
tspecialissima grazia dentro al delizioso castello ; per lo che*
rimanendo loro un luogo sì vasto , vi sarebbero seminate più rade
che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo del prato si
fosser tratti Dante e VIRGILIO posto die nel centro non potessero starvi
per essere sfondato * e ter- minar ivi la sboccatura del secondo cerchio
* sarebbe •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre*
eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* en- trata *
perchè da distanza assai minore , che non è quella del solo semidiametro
di questo prato * a farlo cale * qual se lo figurano costoro , si
smarrisce di vista un uomo dì statura ordinaria. Direi dunque * che il
castello fosse da una porle del piano o pavimento del Limbo * e che
per avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboc- catura
del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice
Dante, eh* e* tornarono nelf aura* che trema* cioè in quella, dove sospirano
i padani in- nocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se per
lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla esteriore*
per discender nel secondo cerchio, non oc- correva, eh’ c* ritornassero
in quella, dove l’aria tre- mava. Kè vale il dire* che per aria tremante
si può in- tender anche l'aria del secondo cerchio; perchè la sua
agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era altro che un semplice
tremare, dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8. J* venni
in lungo <t ogni luce muto , Che mugghiai come fa mar per
tempesta, S" e* da contrari venti è combattuto.
Ecco dunque, che il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo io su
la mano , tu la qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti la
sesta compagnia in due , essendo Omero , Orazio , Ovidio e Lucano
rimasti dentro al castello , e Dante e Virgilio essendone usciti o
per altra porta, o per la medesima, ood* erano en- trati , ma voltando
all* altra mano , e incamminandosi per altra via da quella, ond' erano
venuti. Così si condus- sero, dov' era il passo per discendere nel
secondo cer- chio ; si come vedremo nel canto seguente.
INFERNO. CANTO QUINTO. ARGOMENTO.
Xl }>eccato , che ii punisce in questo secondo cerchio , è la
lussuria, come il più compatibile all' umana fragilità, c per avventura
il meno grave. Fmge il poeta di tro- vare al primo ingresso Flinos
giudicante 1' anime. Di poi passa più oltre , e vede la pena de'
peccatori carnali , la qual dice essere un furiosissimo , e perpetuo nodo
di vento , il qual rapisce , e porta seco voltolando in giro queir
anime. Virgilio gliene dà a conoscere alcune , che erano già state al suo
tempo , ma di Francesca da Ra- venna intende dalla sua propria bocca la
cagione della sua morte , e insieme di quella di Paolo suo cognato
, con r ombra del quale si raggirava per 1' aria del se- condo
cerchio. Cori discesi del cerchio primajo Giù nel secondo ,
che men luogo cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a guajo.
Digitized by Google 68 Canto ^ Discesi ; Io
Dante diacesi. Men luogo cinghia ; si di- mostra peripatetico f ponendo
il luogo, distinto dall* esteiH sione della cosa locata. Quindi è , eh*
ei dice il pavi- mento del secondo cerchio cignere, abbracciare,
occupar minor luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo che
per lo digradar della valle gii\ verso il centro si discendeva. Così
veggiamo ne* teatri dalla lor sommità i gradi infmo all' iullmo venire ,
successivamente ordinati , sempre risirignendo il cerchio loro. C ben
vero , che quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto
più di dolore, che non fa il primo. Poiché, dove quello per esser solo
dolor della mente , svapora in sospiri , questo, che alFligge il senso,
pugne a guajo , cioè arriva a trar guai , pianti e lamenti
dolorosissimi. Y. 4. 5 rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia.
Qui orribilmente ha forza di esprimere P orrida resi- denza , il
tribunale formidabile , la fiera accompagnatura de* ministri , e forse il
ferocissimo aspetto dell* infernal giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6 , 42. Quivi
ancora si veggono tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn
altra figura posti. Dove notisi , che per 1 * avverbio onorevolis^
simamenie ci dà ad intendere la preminenza del luogo , quanto la
ricchezza degli ornamenti sacri , ed ogni altra nobile accompagnatura
pertinente al culto degli Dii sud- detti. Ringhia: accresce lo spavento,
dicendosi il ringhiare de* cani , quando irritati, digrignando i denti «
e quasi brontolando, mostrano di voler mordere. V. 6. Giudica
, e manda , secondo eh* awvinghia. Qui avvinghiare per cignere. Ciò
che Ninos ai ci- gneise , viene spiegato appresso. Vede qu«l luogo
Inferno è da essa. Da in luogo di Per, ed esprime attitudine ,
proprietà, c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o
vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi
con la coda tante volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia
messa. Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il
piti eh* ci può dall’ ordinario , rispetto al luogo , e a* perso-
naggi , eh’ egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere strane ed
inusitate di significare ì loro concetti ; come in questo luogo fa, che
Minos si cinga tante volte la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1
* anime con- dannate. Quantunque per quanto , nome indeclinabile.
Bocc. introd. n. i. Quantunque volte , graziosissime donne ^ meco
pensando riguardo ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno
molte: Vanno ^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono , e
odono , e poi son giù volte. In questi tre versi è compresa un*
esattissima e pun> tualissima forma di giudizio. V. a3.
Vuoisi cosi colà » dove si puote Ciò che si vuole ; e più non
dimandare. Le stesse parole per appunto furono usate da
Virgilio a Caronte nel canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni
in luogo d* ogni luce muto. Notisi , come stando sempre su la
medesima bizzarra traslazione d* attribuire il proprio della voce al
proprio della vista , va continuameDte crescendo» Nella selva ,
~e Casto dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali
per l' im- pedimento de' rami e delle foglie , diwe aolamcnte
tacerai la luce , V. 6o. Mi ripigneva là , dove 'I sol
tace. Nell* atrio dell' Inferno dà al lume aggiunto di JSoco ,
ac- cennando io tal guiaa , non eaier ciò per accidente > tua
per natura ; cauto HI , v. 75. Com’ io discerno per lo fioco
lume. Qui finalmente , dove a' ò innoltrato nel profondo
della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre di
queato cerchio non aono accidentali , nè a tempo , nè aaaottigliate da
qualche apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae , folte , oatiuate ,
ed eterne. V. 3l. Za bufera infernal , che mai non retta.
Mena gli spirti con la tua rapina: Voltando , e percuotendo gli
moietta. Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti
, lo qual finge l’ autore , che sempre sia nel secondo cerchio
dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco nobile , o troppo
atrana, ricordiai , che ai parla d' un vento in- fernale , e che merita
maggior lode il cercar la forza dell' eapreaaione , che 1' ornamento
delle parole ; ed è queata una pittura , che non richiede vaghezza di
colo- rito , ma forza; e tanto piti è bella, quanto è meno liaciata
; estendo il naturale coti risentito , che non può bene imitarsi , te non
è fatto di colpi , e ricacciato ga- gliardo di sbattimenti. Questa bufera
adunque leva e mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli
aggira secondo il corto della tua corrente, che va turno torno
^UIHTO. 71 al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua
rapina , cioè col tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in lor
medesimi. Cosi veggiamo la pillotta e '1 pallone , i quali, se vengono
spinti lentamente per Taria, son por- tati con un solo moto ^ che è
secondo la linea della di- rezione del lor viaggio , ma dove urtino in
muro , od in legno, osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente,
ne concepiscono un altro , Bglio di quel novello impeto , che gli aggira
intorno ai proprio asse. V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina
; Qmvi le strida t il compianto t e*l lamento'.
Bestemmian quivi la virtù divina. Qual sia questa rovina, i
commentatori non lo dicono , o se lo dicono, io confesso di non intendere
quello che dicono. Crederei, che per rovina intendesse T autore il
dirupamento della sponda, giù per la quale egli era ve- nuto ; e che
questa fosse la foce , d' onde metteise il vento , il quale foue cagione
di maggiore sbatiimento a quelle pover* anime , che vi passavano davanti.
A simi- litudine d* un legno o d'altro corpo , cui la corrente d'un
fiume ne meni a galla , il quale, se s* abbatte a passare, dove sbocca un
torrente, o altra acqua, che caschi con impeto da grand'altezza, questa
se se lo coglie sotto ^ lo tuffa e rìtufia per molte fiate , e in qua e
in lè con mille avvolgimenti T aggira , e strabalza , in fin tanto
eh' ei non è uscito di quella dirittura , e non ha ritro- vato il filo
della nuova corrente. Di dove, e come possa quivi nascer questo vento ,
vedremo allora , che si dirà della fiumana dell' eterno pianto, di cui
nel canto se- eondo mi rìserbai a discorrere in altro luogo*
71 ClISTO V. 40. E (ome gli stornei ne portan F
ali Nel freddo tempo a schiera larga e piena ; Così quel
fiato gli spiriti mali. Brllisùma iimiUtudlne , e cavata ( «ì come
la «cgitcnte poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da
animali tenuti in niun pregio , e per ogni conto vilittimi. V. 43.
Di qua , di là , di giù , di tu gli mena : Nulla speranza gli conforta
mai Non che di posa , ma di minor pena. Eipretiione
felicistima ed inarrivabile di quel tormento , e che vince quati il vedere
ttetto degli occhi. V. 48. Cori viiF io venir , traendo guai
, Ombre portate dalla detta briga. Qui briga vai lo
ttetto che noja, fattidio, travaglio; e briga preto nello ttetto
significato d’ agitamento di venti. Farad, can. Vili , v. 67.
£ la bella Trinacria , che caliga Tra Pachimo e Petoro sopra
'/ golfo , Che riceve da Euro maggior briga. cioè sopra
’l golfo , eh’ è più battuto dallo scirocco. V. Si. Genti, che faer
nero ri gastiga^ Corrisponde al detto di sopra, v. 18. I' venni
in luogo iT ogni luce muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena
data loro dall’ aria , poiché l’aria col solo agitarsi si li
tormenta. V. 54. Pu Imperadrice di motte favelle. Ebbe
imperio sopra nazioni , che parlavano diversi idiomi. Modo usato altre
volte da Dante : distinguere , o denotare i paeii dalle lingue , che vi
ai parlano. Infer. cant. XXXIII , V. 79. Ahi Pila , vituperio
delle genti Del bel patte là, dove 'I ri tuona. V. 55 .
A vizio di Lutturia fu ri rotta. Che ’l libito fe' licito in tua
legge , Per torre ’l biatmo , in che era eondoita.
Aaaai è nota la legge della diioneatà promulgata da Semiramide ,
per cui ella penaò di aottrarai all' infamia de’ suoi vituperj.
A vizio di Lutturia fu ri rotta. Forma di dire assai
singolare. V. 60. Tenne la terra , che ’l Soldan corregge.
Dice il Daniello , che Dante in questo luogo piglia un equivoco ; e
che abbia voluto dire, Semiramide aver regnato in Egitto, ingannato dal
nome di Babilonia, con cui nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo
, allora signoreggiato dal snidano , non rinvenendosi dell' altra
Babilonia fabbricata da Semiramide nell’ Astiria. Di questo errore
pretende scusarlo con fargli nome di licenza lecita a pigliarsi da' poeti
grandi, tra' quali gli dà per compa- gno Virgilio in un certo patto , non
so già quanto a pro- posito , e con quanta ragione. Se io avesti a
esaminarmi per la verità dell' intenzione , che io credo , che
abbia avuto Dante ; direi forte ancor io , come il Daniello : tanto
più che in que' tempi non ti aveva coti esatta no- tizia della geografia,
che sia sacrilegio l'ammettere, che un poeta anche grandissimo abbia
preso un equivoco in- torno a una città, nella quale era facilittimo
l’equivocare, 6 74 Cauto
intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella d'Egitto;
ticcome oggi per Lione templicemente ('inten- derebbe sempre quello di
Francia, e per Vienna quella di Germania; e quanto a questo, che
Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei
si chiama oggi il Cairo , l' afferma Ortelio. Il Boccaccio
nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo , intende sempre
quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad. , t. loo.
E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del Soldan superba
, Predici) Cristo , e gli altri , che 7 seguirò. Farla
di S. Francesco , il quale i certo , che parla del Soldano d' Egitto , e
non di quello di Bagadet. Il Fe- trarca dice anch' egli nel Sonetto;
L'avara Babilonia ecc. non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per
quel d' Egitto ; e il Gesualdo , se non erro , lo cava da una sua
epistola , nella quale fa menzione delle due Babilo- nie , d' Egitto e d'
Assiria. Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia
errato , potrebbe farlo con dire , che per Soldano intese quegli stesso ,
che nel suo tempo signoreggiava la vera Babilonia di Semiramide , essendo
la voce Soldano nome di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e
da Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Co- liifi di
Soria , particolarmente dove parla di uno di essi, che ebbe guerra con
Alessio Comneno. Siccome e con- verso il Soldano d' Egitto aveva titolo
di Cohffa , prima che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo
insieme, quando egli di semplice Sultano , eh' egli era , diventò
Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar
Digitized by Google 9 0 IRTO. 7$ da lui lecoudo il
lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai
cava da quoto luogo del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa
Ponti- fiiem , aliquando ante , aliquando poit , equilabat Mare-
icallus , siile Soldanus Curiae. lila per vedere adeiao , con
quanta poca ragione il Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco
, laiciaio di riapondere a quello eh’ ei dice , che egli nel Sileno
confondeaae la favola d* lai e di Filomena , e nel terzo della Georgica
acambiaaae Caatore da Polluce , nel che vien Virgilio difeao molto
giudiziosamente dalla Cerda , vediamo il terzo equivoco notato dal
aoprammentovato apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga
del Sileno , T. 74 . Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut
quamfama secuta est. Candida surtinctam latrantihus inguina
monstris, DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo, Ah,
timidos nautas canibus lacerasse marinis ? Qui dice il Daniello ,
senza allegarne alcuna ragione , che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola
di Forco e d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella
figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritro- varla , e dubito
che si possa dir del Daniello nella spo- sizione di questo luogo di
Virgilio, quello che di Virgilio disse il Berni nell' imitazione di
cpiell’ altro d’ Omero ; Perch’ e' m hem detto , che Virgilio ha
preso Un granciporro in quel verso d Omero, Chi egli , con
reverenza , non ha inteso. Noteremo dunque di passaggio , come
bisogna , che quest’ autore si sia cieduto , che Virgilio parli d’
una 76 C A H T O loU Scilla , e che a queita
attribuendo i moitri marini , e r ingordigia degli altrui naufragi ,
liaii dato ad intendere , eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1
ond* egli nota r equivoco in quelle parole : Quid loquar ?
aux tcyllam Nisi ? Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu
cangiata in uc- cello , e fu , come altri vogliono , appiccata alla
prora della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in mare, e
non mai trasformata, come quella di Forco, in moitro marino. Ma la verità
ai à, che Virgilio intese di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e,
toccando di pas- saggio quella di Niso, si ferma a discorrer più
diffusa- mente dell' altra di Forco , come dalla lettura del luogo
è assai facile a comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di
questo passaggio , e trovandosi inaspettata- mente nella favola di Scilla
di Forco, la credette vestita a quella di Niso , equivocando egli
medesimo nell' equi- voco immaginato di Virgilio. V. 61.
L'altra è colei, che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di
Sicheo. Didone , seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile
anacro- nismo , ed accreditando T infame calunnia d' impudiciaia
datale da VirgUio. Eneide IV, v. SSa. IVon servata fides eineri
promissa SUhaeo. V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo
ti volse. Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la
guerra de’ Greci , e l' ultime calamità de’ Trojani,
V. 69. CK amar di nostra vita dipartille. Della morte delle
quali fu cagione Amore illecitOi V. 7». i' cominciai ; Poeta ,
volentieri Parlerei a que‘ duo , che ’nsieme vanno , E
pajon st al vento esser leggieri. Gli accoppia ioaieme , perchè
iniieme avevano peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento ,
dalla facUitè , anzi dalla furia, con la quale il vento li portava;
e ciò molto convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato ,
eaaendo atati per affinità al atrettamente con- giunti, come più abbaaao
udiremo. V. 78. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei
verratmo. Per quell' amore , eh' e' ai portarono , il qual fu
ca- gione di queato loro eterno infelice viaggio. Efficaciaaima
preghiera , e convenientiaaima a due amanti , acongiurarli per lo
acambievole amore. Y. 80 O anime afannate. Aggiunto di
mirabil proprietà, e aenza dubbio il più proprio , che dar mai ai poaaa
ad anime tormentate da ai latta pena. ' V. 8a. Quali colombe
dal disio chiamale Con f ali aperte e ferme al dolce nido
Volan per F aere dal voler portale. Grazioiiaaima aimilitudine , e
piena di tenero e com- paaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti
gentili animali , quali anno le colombe , vien a intaccar punto
della lode , che le gli dette poc’ anzi , per aver para- gonato gli
apiriti di queito cerchio agli atomelli e alle ^8
Cauto gru, 1’ una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè
in ciueato luogo ha maggior obbligo di far calzar la similitu- dine
all' andar di compagnia, che facevano i due amanti, il che ottimamente si
ha dalla comparazione delle co- lombe , che ad avvilire con un paragone ignobile
quegli spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli
ultimi due versi di questo terzetto posson aver due sen- timenti, l’un e
l’altro bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al dolce nido volan
per Vaere , cioè volan per l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte
al dolce nido; o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme
, descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando con
l'ali tese volano velocissimamenie senza punto dibat- terle, e in questa
maniera di volare par che si ratb- giiri un certo non so che pid di
voglia e di desiderio di giugnere. V. 88. O animai graziosa
e benigno , Che visitando vai per V aer perso Noi, che
tignemmo'l mondo di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano pid
volontieri gli annuiti che del loro amore. Quindi è , che quest’ anima
chiama Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole in
darle campo , raccontando i suoi avvenimenti , di dar alquanto di sfogo
al dolore. Per V aer perso. Il perso è un colore oscuro , di cui lo
stesso Dante nel suo Con- vivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice
esser com- posto di rosso e di nero , ma che vince il nero ; e Inf.
caut, VII, V. io3. L' acqua era buja molto più , che persa.
Digitized by Google QUINTO. 79 V. 90. Noi che
lignemmo il mondo di ttmguigno. Scherza in la contrarietà di queiti
due colori ; Fai visitando per F aria di color perso noi , che , per
eaiere arati ucciai in pena del noatro Callo , tignemsno il mondo
di color di aangue. V. 94. Uh Jttel , che udire , e che parlar ti
picKe : Noi udiremo , e parleremo a vui. Non ì gran coaa
(dice aaaai giudiiioaamente il Landino) , che coatei a’ indovinaaae di
quello , che Dante deaide- rava d' udire. Una , perché di niun' altra
coaa , fuori che de’ auoi avrenimenti , potea ragioneTolmente cre-
dere , eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1' altra , perché il
coatume degli amanti é creder, che tutti ab- biano quella voglia, che
hanno eaai d' udire e parlare de’ loro amori , tanto che aenza forai
molto pregare non fanno careatla di raccontarli anche a chi non ai
cura aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che l’ uomo, ciò é
molto adattato al coatume della loro loquacità e leggerezza.
V. 96. Mentre che ’/ vento , come fa , si tace. n ripoaarai
del vento non é coaa impropria , anzi é accidente confacevole alla natura
di quello , dimoitran- doci r eaperienza , che egli non aoffia con aibilo
con- tinuato , al come corrono i fiumi , ma a volta a volta
ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aa- rebbe inveriaimile il
dire , eh’ ei ai fermaaae per divina diapoaizione , acciocché Dante
potesse ammaestrarsi nella considerazione di quelle pene , e riportar
frutto dal suo prodigioso viaggio. Per questa ragione vediamo nel
canto IX spedito un angelo a fargli spalancar le porte della
8o Canto cittì di Dite, e altrove molt’ altre graxie
tingolariuime, le quali la bontà divina gli concedè, per condurlo final-
uiente alla contemplazione della aua euenza. V. 97. Siede la terra
, dove nata fui , Su la marina , dove ‘I Pò diicende Per aver
pace co' teguaci tui. Bavenna ; poco lontano dalla quale il Po
inette nel- r Adriatico. Discende per aver pace co’ sui seguaci.
Ma- niera veramente poetica. Dicono alcuni , per aver pace , cioè
per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha nel auo letto da' fiumi
tuoi teguaci ; perocché , fecondo che quelli tgorgano in lui , lo
conturbano e P agitano , onde ti può dire, che gli facciano guerra. Ma te
Dante volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li chia-
merebbe legnaci ; poiché , fintante che uno è teguace d’ un altro , non
gli fa guerra, e , facendogli guerra, non |i può chiamar più teguace.
Diremo dunque , eh' ei vo- glia dire , che il Po co' tuoi teguaci
diiceode in mare per ripoiare dal lungo corto , eh' ei fa , per giugnervi
, a fine di unirai come parte al tuo tutto , eitendo queita unione
la lola pace , alla quale tutte le creature tono d.a inviiibil mano
guidate. Veduto della patria , è ora da vedere chi folte coitei, che
favella con Dante; per Io che è da taperii , che quetta è Francetea
figliuola di Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale ,
eitendo ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta
da Rimici , uomo valoroto in vero , e nella teienza e inaeitria dell’
armi eiercitatittimo , ma zoppo e deforme d' atpetto troppo più che ad
appajar la grazia e la de- licatezza di conci non era convenevole, fu
cagione, che ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato , il quale non meno
grazioio , e arvenente del corpo , che leggiadro dell’ animo e de'
coatumi , del di lei amore ferventiiii- mamence era preao4 Ora arvenne ^
che , mentre , tcam- bievolmence amandosi , in gran piacere e
tranquillità si Tiveano , indistintamente usando , appostati un
giorno da Lanciotto , furono da esso colti sul fatto, e d'un sol
colpo uccisi miseramente. V. ICO. jimor , eh’ al cor gejuU ratto s'
apprende. Prete costui della bella persona , Che mi fu tolta,
e '/ modo ancor m' offende. Platone nel Convivio , tra le lodi ,
che dà Agatone ad Amore , dice eh’ egli i ancora delicatissimo ,
argumentan- dolo da questo , eh’ egli i ancor più tenero e gentile
della Dea Ati , cioè della calamità , la quale esser mollissima a
delicatissima / argomentò Omero dal vedere , che ella , schifando di
toccar co’ piè terra , si tiene per t ordinario in tu le lette degli
uomini. Iliad. T, v. 93. .... Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in'
ovSit nlAra^as , <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani.
Ma amore non solamente non mette mai piede in terra , o in tu le
teste , le quali , a dire il vero , non sono molto toffei , ma di tutto V
uomo la parte più gentile calpesta , e sceglie per tua abitazione. Negli
animi dunque , e ne’ temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo
trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca , e senza veruna distin-
zione ■ in ogni sorta <t animo la sua tede locando , ma quelli
solamente , che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono , e pieghevoli
con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9 fizaiipii(;ipfits
6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri
npavietr. 8a Cahto ( S, larn iravv fiaX«ut<i)
cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf>
v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’ »ai oò» av f{>7(
ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP
dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu. £'l Petrarca nel
toaetto : Come't ccmdido piiecc., ri- cavando con maniera più morbida lo
ateaao originale, fini di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante
, che rijguarda 1' avversione , che Amore ha ordinariamente agli
animi rosai e dori , dicendo : Amor , che tolo i cuor leggiadri
invesca , Nè cura di mostrar sua forza altrove. E nella
canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc. , par- lando con Amore, tocca
leggiadramente in ogni sua parte il sopraccitato luogo di Platone ,
dicendo dell’ impeWo, eh' egli ha non meno sopra gli Dii , che sopra gli
uo- mini , con questi versi : £ s’ egli è ver , che tua
potenza sia Nel Ciri s) grande , come si ragiona , E neir
abisso ( perchè , qui fra noi Quel che tu vali e puoi ,
Credo, ehe’l senta ogni gentil persona). V. loi. Prese costui
della bella persona che mi fu tolta. Lo prese del bellissimo corpo che mi
fu spogliato dalla morte , e ’l modo ancor m’ offende , perchè mi
fu ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro
amante. V. io3. jimor , eh' a nullo amalo amar perdona, mi prese del
costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m' abbandona,
Belliiiiina repetizione : Àmor , eh' al cuor gentil ratto s'
apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo amalo amar perdona,
prese me come amata. Mi prese del costui piacer, del piacer di costui.
Costui nel secondo caso senza il suo segno si trova spesse volte usato
dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo lungo
può aver doppio significato. Hi prese del piacer di costui, cioè del
gusto, del piacimento , della gioja d’amar costui. E mi prese del piacer
di costui, cioè del piacer che io faceva a costui, e questo corrisponde
ottimamente al detto poco innanzi : Autor , eh' a nullo amato amar
perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per genio , quanto per
vaghezza d' accorgersi di piacere e d’esser amata, e per cert’obbligo di
gentil corrispondenza. V. io6. Amor condusse noi ad una
morte. Arroge forza con la terza replica , e con grandit-
aim' arte diminuisce il suo fallo , rovesciando sopra di amore tutta la
colpa. Tib. lib. l .° el. VII , v. aq. Non ego te laesi prudens : ignosce
fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ? E'I
Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo alla presenza del
Principe Tancredi , non gli sa porre in bocca nè altra, nè piò forte
difesa per iscusar sè , che r incolpare amore, il quale, cioè
Tancredi, tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo , la mia
benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la 84
Casto vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome
io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun altra cosa
ditte te non questo. Amor può troppo più che nè io ni voi pottiamo.
V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente. Calila è la
g)iiaccia, dove nel canto XXXII vedremo euer paniti coloro , che
bruttaron le mani col sangue de’ lor congiunti. Dice dunque , che questa
spera detta Caina sta aspettando LANCIOTTO marito di lei , e
fratello di PAOLO , che fu il loro uccisore. V. Ila O latto
, Quanti dolci pentier , quanto detto Menò costoro al dolorato
patto ! Tenerissima riflessione , e propria d* animo gentile
, ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar dolore. E
qui notisi , come Dante per ancora sta forte all’ assalto della pietA ,
la cui guerra si propose di voler sostenere al principio del secondo
canto, v. l. Lo giorno te n andava , e f aer bruno Toglieva
gli animai , che tono in terra dalle fatiche loro; ed io sol uno m’apparecchiava
a tottener la guerra fi del cammino , e sì della pietose. £
che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener le lagrime , dice ,
che in questo pietoso oflìcio egli era insieme, v. 117, tristo e pio-,
dove mette in considerazione, se quel tristo si potesse in questo luogo
intendere per iscellerato , malvagio , empio , e non per
malcontento, mesto , e maninconoto , come vien preso universalmente
, e (1 come io con gli altri concorro a credere etier re-
ritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo significato
abbiamo nel Inf. triatitiimO) r. 9I. Tra qutJt’ iniqua e trutitiima
copia Correvan genti ignude e spaventate. E di vero tristo in
aendmento d’ empio (a un belliatimo contrapposto con pio , venendo a
estere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la giusta e
dovuta miseria de’ dannati , del cbe nel XX di questa can- tica si fa
riprender acremente da Virgilio, e gli la dire, che è sciocchezza averne
pietà , e somma scelleraggine aver sentimenti contrarj al divino
giudicio, che li pu- nisce, V. a 5 . Certo V piangea poggiato
a un de' rocchi Del duro scoglio , zi che la mia scorta Mi disse : Ancor
se' tu degli altri sciocchi ? Qui vive la pietà-, quandi è ben
morta. Chi è più scellerato di colui, Ch' al giudicio
divin passion porta ? Driaza la letta , drizza ; e vedi , a cui
ecc. E pio poteva dirsi il poeta , per non poter vincere la naturai
violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia lo cottrìgneva a
lacrimare ; dove pigliando tristo in si- gnificato di metto, avendo di
già detto', eh' ei lacrimava, vi vien a esser superfluo ; e non solamente
tristo, ma pio ancora ; chiarissima cosa estendo , che chi piange r
altrui miseria , n' ha rammarico e compatimento. V. lao. Che
conosceste i dubbiosi desiri ? Pubiioti per non esserti ancora l’
un F altro diKoperd. 86 Canto V. I3I. Ed ella a me;
nerrun maggior dolore. Che ricordarsi del tempo felice nella miseria,
e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo
libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer si-
tate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est , fuisse felieeiu. Tanto
che questa volta per il tuo dottore non debbo intendersi VIRGILIO, come,
dal Daniello in fuora, quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere
, ma lo stesso BOEZIO, la cui sopraccitata opera Dante nel suo
esilio aveva sempre tra mano , e leggeva continuamente ; onde nel suo
Convivio scrive queste formali parole. Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia
mente , che i ar- gomentava di sanare , provvide ( poi nè 'I mio , I
altrui consolare valeva ) ritornare al modo , che alcuno sconso-
lato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e leggere quello,
non conosciuto da molti, libro di BOEZIO, nel quale, cattivo e
discacciato , consolato si aveva. V. ia4- Ho , s‘ a conoscer la
prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto , farò ,
come colui , che piange , e dice. Sed si tantus amor casus
cognoscere nostros , Et breuiter Troiae supremum audire
laborem. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit ,
Incipiam. £n. lib. Il , v. io e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un
giorno per diletto Di Lancillotto , come amor lo strinse.
Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene chiarir l’intelligenza
del rimanente di questo canto , con riportar la atoria di Lancellotto
cavata da' romanzi fran- zcsi dal libro di Lancilolto Du Lac, e riferita
in quella dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6 , nella quale
in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d’Erberé
gentiluomo franzeae apiega inge- gnoaamente varj luoghi diSicili de' tre
noatri autori Dante , il Petrarca , e '1 Boccaccio. Farla Claudio Dovile
dunque eapere > eome avendo Galeaui figliuolo della iella Geanda
acquitlalo per sua prodezza trenta reami , s ave a posto in cuore di non
voler <t essi coronarsi , se prima a quelli il regno di Logres dal Re
Arius posse- duto aggiunto non aveste ' £ per ciò , avendolo egli
man- dato a Sfidare , furono le genti deir uno e dell' altro più
volte alle mani. Dove Lancilolto avendo in favore di Artus futa
maravigliose pruove contro di Galeaui , e avuto un giorno fra gli altri
l'onore della battaglia , fu da esso Galealto pregato, che volesse andare
quella sera alloggiar seco; promettendogli, se ciò facesse , di dargli
quel dono, che da lui addomandato gli faste. Accetta Lancilolto con
quel patto l’invito , e poi la mattina seguente , partendoti per
ritornare alla battaglia dichiarò il dono, che da Ga- lealio desiderava :
il quale fu di richiedere , e pregare esso Gale alto , che quando egli
combattendo fatte in quella gionuila alle gerui del re Artu superiore , e
certo d averne a riportare la vittoria , volesse allora andare a
chieder merci ad esso Re , e in lui liberamente rimetterti. La qual
cosa avendo Galeallo fatta , non solamente ne nacque tra Lancillotto e
Galealto grandissima dimestichezza e amistà , ma ne divenne ancora etto
Galealto , per cosi cortese e magnanimo alto , molto del Re Artu , e
della Regina Gi- nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal
pubblico PUI5T0 Amor, eh a null’amato amar perdona, mi prese del costui
piacer it forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Qui
ribadisce : Questi, che mai da me non fia diviso. Nel
che ti ponga niente a quante volte e in quanti modi rioforra V
espressioni d'un ferventissimo ed ostinato amore , e con quant' arte s’ingegna
d’attrar le lacrime e sviscerar la pietà verso que luiserissimi amanti. V. i3y.
Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor , che
lo scrisse , fece tra Paolo e Francesca la parte, che fece Galeotto tra
Lancillotto e Ginevra; onde l’Azzolino nella sua Satira contro la lussuria.
In somma rime oscene, e versi infami dell’altrui castità sono
incantesimo, e all’onestade altrui lacciuoli ed amU Tal eh* io
ti dico , e replico il medesimo. Se stan cotali usanze immote e fisse, la poesia
diventa un ruSianesùno. E questo è quel , eh apertamente disse il
Principe satirico in quel verso. Galeotto “ il libro , e ehi lo
scrisse. Qui è da notare incidentemente, come alcuni hanno voluto
dire, che il cognome di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle
del Boccaccio , possa da questa storia esser derivato; perchè, dicono
essi, ragionandosi in codesto libro del Boccaccio di cose per la
maggior Cauto quinto. parte alle gii dette di Ginevra e di
Francesca simiglianti, pare che quel
cognome di principe Galeotto meritamente te gli convenga. In questa guisa
inferir volendo , estere il Decamerone il principal libro di tutti
quelli , che contengono in loro cose attrattive alla carnale concupiscenza; che
tanto è a dire, quanto dargli titolo di Primo Ruffiano, o vero di principe
de' ruffiani. Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel
soprammentovato dialogo, ove parlando assai diffusamente di tal opinione
ti sforza di mostrare , essere molto veru simile a credere tal disonesto
cognome, come anche quello di Decamerone estere stato posto al
Centonovelle più tosto d’altri, che dal BOCCACCIO; il quale nel
proemio della quarta giornata avere scritte le tue novelle senz’alcun
titolo apertamente si dichiara. Quel giorno più non vi leggemmo
ovante. Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento
della lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti baci agli
amorosi abbracciamenti. Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti.
Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Maggi: l’implicatura conversazionale -- implicatura ridicola – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pompiano). FIlosofo italiano. Grice: “I like his portrait” – Grice:
“My favourite of his essays is on the ridiculous; but his most specifically
philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and the ‘consilia
philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di farmacia.
Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro. Studia a
Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli ambienti culturali della città.
Si laurea e insegna filosofia. Degl’Infiammati, strinse amicizia con Barbaro,
Lombardi, Piccolomini, Speroni, Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del
circolo di Bembo, frequentando insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli.
Conobbe Pole, Vergerio, Flaminio e Priuli. Il dibattito sulla questione della
lingua e sui temi estetici legati soprattutto all'interpretazione della Poetica
aristotelica condusse alla preparazione di un commento allo scritto di
Aristotele che, iniziato da Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto
pubblicare da M., con altra sua opera dedicata ad ORAZIO, a Venezia: le “In
Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem
librum propriae annotations”, dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per
entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore del figlio
Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia a Ferrara. Si conservano appunti
delle sue lezioni sulla Poetica. Anche della vita culturale della città estense
fu protagonista, divenendo principe dell'«Accademia dei Filareti», che
vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere
amico degli umanisti PIGNA, PORTO, e RICCI, che gli diede pubblicamente merito
di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».
“Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la
figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un
brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione
a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando,
che si pone come corollario dell'orazione di M. Alla chiusura temporanea
dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni dell'Accademia
di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella vecchia,
in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile Paris Rosa,.
A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri
comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del
territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come
rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio
Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne,
Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes:
Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De
ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi,
“Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms, Expositio de
Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi,
ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus.
Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de
Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem
serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e
Stato, Modena. Note In Sardi, Estensis latinus 88, Modena,
Biblioteca Estense. G. Bertoni,
«Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle
donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura italiana», Bruni, Speroni e l'Accademia degli
Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di retorica e
poetica, III, Roma-Bari, Laterza, Bisanti,
interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio
Tortelli, “Quattro M. in cerca d'autore”, in «Quaderni del Lombardo-Veneto»,
Padova, Vincenzo Maggi, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vincenzo Maggi, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo Maggi.
Maggi. Kewyords: implicatura ridicola, Eco, il nome della rosa, Cicerone, il
tragico, filosofia tragica, pessimismo, l’eroe tragico, Nietzsche, la tragedia
per musica – I curiazi, catone in Utica – tragedia per musica --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maggi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Magi: l’implicatura conversazionale nell’uso delle parole – il mistico – I
mistici – la scuola di mistica fascista – il veintennio -- filosofia italiana –
filosofia fascista -- Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo
italiano. Grice: “A fascinating
philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!” -- Insegna a 'Urbino. Si dedica alla psicologia “trans-personale”.
Fonda il Centro di Filosofia Comparativa (cf. ‘implicatura comparativa’) e
“Incognita” a Pesaro, tesoreggiando ‘l’intelligenza del cuore’ e il principio
dell’interiorità. Scrisse “I 36 stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal,
BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe. Le porte della percezione per essere
straordinario in un mondo ordinario” vede un clamoroso successo. “I 64 Enigmi.
L'antica sapienza per vincere nel mondo”
(Sperling & Kupfer )è segnalato al
primo posto dei libri più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento
rimosso dei nostri tempi: la morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti
cari agli autori: filosofia, mistica, psicologia transpersonale, esperienze ai
confini della morte. Esce un aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe
con il sottotitolo “La porta dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si
focalizza sui modelli mistici per approfondirne, oltre la portata metafisica e
auto-realizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza: nel libro I 36
stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia psicologica; nel
saggio "Le arti marziali della parola" in La nobile arte dell'insulto
(Einaudi) evidenzia come l'arte del combattimento diventi arte retorica e
dialettica. Nei saggi Il dito e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro
nascosto mostra il rilievo della comunicazione metaforica e umoristica. Elabora
e sviluppa la dimensione della psicologia trans-personale all'interno del Gioco
dell'Eroe, disciplina da lui creata e imperniata sulla capacità umana
dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma del sacrificio del mondo”
(Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf. Grice: ‘timeless’ meaning,
versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola superiore di filosofia comparativa
di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il
Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre pilastri della sapienza, Il Punto
d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso la
filosofia della Liberazione, Scuola superiore di filosofia comparativa di
Rimini, La Via dell'umorismo (Il Punto
d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei frutti delle
azioni nel mondo evanescente, Bompiani, Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra).
Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga
segreto del perfetto sovrano"; “Il gioco dell'eroe” (Il Punto d'Incontro);
“I 64 Enigmi, Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro
nascosto. 100 lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta
dell'Immaginazione” (Il Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato
un cameo, nel ruolo di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato,
a fianco di Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione di La Via dell'umorismo.Blog. «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”.
Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso
immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze». Incognita. Advanced Creativity Il Secolo XIX
(Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre,
un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31 Il Secolo XIX
(R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata
nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi,
Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di M. Il sottotitolo,
"Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma
dei trentasei che compongono che il libro.
Stralcio della quinta puntata (youtube)
Modelli strategici. Corriere della Sera, (Camurri) wuz
Panorama (Mazzone) wuz Panorama (Allegri) Il Secolo XIX Onofrio) "Aprite le porte
all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità" M., I 64 Enigmi,
Sperling & Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero
perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora
così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista
(Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Schisa) Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,.
Libro/CD con prefazione di Battiato Il
Gioco dell'Eroe Gianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky (yout ube) La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro,
Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità della Repubblica
di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha costruito attraverso la
sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa di Rimini ponti
di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente,
attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico,
psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gl’altri premi sono stati
conferiti a: Battiato (Musica), Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive),
S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Sito ufficiale di
Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity
"Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis riflessionisul Senso della vita su riflessioni.
Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico, ‘implicatura
comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Magnani: l’implicatura conversazionale
della linea e il punto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Filosofo
italiano. Grice: “I like Magnani; he has
written about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani;
his treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” -- essential Italian philosopher, not to be
confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna
a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi
allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi
si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista.
Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento
creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina
in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale
nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto
model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning.
Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al
tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza. I suoi
interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le
scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina,
nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito
a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha
riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di
Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un
mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa
una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva
naturalistica e cognitiva. Note Web Page
del Dipartimento di Studi Umanistici Computational
Philosophy Laboratory Web Site [Cfr. le
varie pagine dedicate a questi convegni
in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy
Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia,
Pavia (Italia)] Sun Yat-sen Award Cerimonia
Book Series SAPERElesacademies. org. Edizione cinese: Philosophy and Geometry Morality in a Technological WorldAcademic and
Professional Books Cambridge University Press
Abductive Cognition Understanding
Violence The Abductive Structure of
Scientific Creativity Author Web
Page Handbook of Model-Based
Science Logica e possibilità, su RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the
theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it
in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!”
-- Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per
il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Grice e
Magni: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ –
I’m talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the
chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff –
*Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si
trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia
entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu
eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne
apprezzato consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo
III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in
missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I
di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di
Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e
nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con
il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne
consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario
apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse
a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un
tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto. Riuscì a convertire il
conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie. Dopo che l'Praga venne
affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare
a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a
Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i
protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che
senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come
regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de
acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative
scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia,
logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali.
Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di
Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas
Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus
philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi
Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm.
Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici
retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione
H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia
et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S.
Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”;
“De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De
atheismo Aristotelis ad Mersennum, Demonstratio ocularis, loci sine locato:
corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella
Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et
bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut
typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista
delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La
discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù,
Firenze, Olschki, A. Napoli, La riforma
ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de
Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana,
Milano. Relatio veridica de pio obitu R. P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von
Pastor, Storia dei papi, Roma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad universam Philosophiam. De Ordine &Jl)lo
Dottrimt. Oftii Theophilc nullum entium affitmiri de alio ente, fed fingula
negari de singulis quae verd affirmantur de entibus non lunt entia, sed
habitudines, quae intercedunt entia. Ego enim illa duntaxat nunc upaui entia, qu3e
per al iquam potentiam pofluni efTe, 6c intelligi, feorfum abomni
alioente. Harum habitudiuum, ut docui, aliae funtiden: itatise (Tentiae,
ut, “Petrus est Petrus”. Alias identitatis rationis, ut “Petrus est Paulo idem
m ratione naturae humanae. Demum aliac funt efle aut principium, aut ter-
n)inumalicuius motus – vt: “Petrus generat”, “Paulus generatur”. Ex
quibus duntaxat potest demonstrari et existentia, et natura entium.Verum
non sunt negligendae reliquae: Ille,enim, qua: referent identitatem essentiae sive
affirmatam, sive negatam, inuoluunt Frequenter niotum nostrae rationis a
cognitione imperfecta, ad perfectionem: v.g huius propositionis, “Homo est
animal rationale”. Praedicatum licec sit identicum subiecto, ipsum tamen
explicat diftin&ius. Qux autem consistunt in identitate rationis, sive
affirmata, sive negata, coordinant cognoscimentum et praedicamenta, & in
omni di- £lione, iudicio, ac ratiociatione praetendunt terminos, qui ab
identitate rationis, communi pluribus entibus, denominantur universales. Et
licet eiusmodi identitatesr ationis non inferantur syllogismo, sed
cognoscantur sola collatione, seu comparatione terminorum, cognitorum aut immediate
aut mediante illatione: tamen hae habitudines tum fubeunt illationem, cum
ex identitate rationis affirmata, aut negata de duobus principijsali cuius motus,
infertur proportionalis identitas rationis, inter terminus illorum motuum, v.g.
Quae est ratio entitatis inter Petrum et Paulum, ea eft mter filios Petri et Pauli.
Quoniam vero in primo libro de per se notis, per didboncm connexam ordinavi in
cognoscimento, & praedicamentis entia per se nota: coordinationem graduum
entitatis, nomino cognoscimentum, & A per iu* X
2 Vakriani M. per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin &asomnes
entiurn per se notorum pra:cipuos motus per se notos, quorumillos.
quos quifquc confcit in se, ennarraui (atis accurats, inlibro
demeicon- lcicntia: fupercft, ad complementum appararus philosophici. exhibere
illas propoauioncs. quarum veritasnon dependeat abentium cxi- ftentiajeda
rarionc a?tcrn^ > & incommutabili, cuius modi debent cf- fe
i!la?,qutfin syllogismo denominancuc maiores: Minores enimper se nota propoliciones,
exararaz in cra#atu de per se noris , habenc ve- rit3tem,pendulam ab
exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua? , fi corrumpatur,inducit
Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc: Id, quod mouctur, neceiIari6
movetur ab alio : eft vera,tametfi corrum- pancuromnia mouentia &
mobilia. Harum vero propofitionum incommutabilium funt innumera nequecft
vllaclfYerentia motus, quaenon sibi vendicetpropiias vericate'S mcommutabiles: puta
has.Id, quod Loco-movetur 5 neccessari6 Loco movetur ab alio: ld, quod
alteratur, necelTari6 alteratur ab alio; U> qnod generatur, neceflano generatur
ab alio. Veium hae omnes deriuanc (ibi incommutabilitatem ab hac: Id quod
mouetur, neccessariu mouecur ab aho>oporcetergo congercre invnum
craclacumillasim- fnutabilium,quas nulla ipccialis pars philosophiae
pcrcra&ac, quatenuSjvbiv.g. ventum ficad tra&a cum de generatione.
Ha?c, fd, quod geiif ratur, neceflario generatur ab alio demonftracurperhanc
: id, <juod mouetur, necefl.ui6 mouetur abalioj quae supponatur dcmon-
(trata m ipfo vestibulo Philosophia?,ica vc non fic opus in vllo ratiocir
nco repetere demonftiacionem fadtam. Hiccrgotra&atus comple&iturhas
propositiones ajternas, & ir>» commucabiles>in quas neccirario
refoluancur omnes lllacioncs. quas habebir,& habere poteft vniucrfa
philosophia: has nuncupaui Axiomata, & licniiTec denominarc Maximas, veluc,
quac influanc vim iliatiuam propofitionibus
maioribus. Exordioraucemtraclatum ab habitudinibus idcmitatis
elTentiar, deinde profequar illas,quac funt efle pi incipium &
ccrminum motus, casvero, quae funt ex idcncitareracionis, poftrcmo loco commemorabo.nimirum
ilIas, quacafficiunc motum: mocum, in quam, icalem cx quo duntaxar
argumentor entium exiftencias & nacuras. Scd veiitus, nemeusftylustibi
vfquequao^ue probccur, voloprius ^cxcufareilla. qu^forcaflis exiftimabisnofacii
congrua fini,mjcintcdo Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarem
conditionem, j4xiowata S ncm rhilofophantiura. Respondeo, quod obscurafas
obuenit vcl ab obie&o, ve! a ftylo (cribentis. Meum stylum audafter
dico tam darum quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum clarirate est mihi
& rco- peccisfima, et familiaris.cxcerum grarulor philosophiae
obfcuriracem ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc ftudio, qui Reipublica:
vnlius opera,& aecace impendent in agro>in mechamcis^in bcllo
& iimilibus Laudatur pasfim rraditio do&rinae per quarftiones , quae
rnouentuc de (uL,ie&o alicuius fcicnciae>placecque numerata
partino earum.Hanc methodum refolutiuam Ego non adhibeo, fed compofiriuam
: Haec enim exordicur a nonslimis & prarcendens lucem eacenus partam,
reuelat semper obfcuriora : qui verdmouec quxftionem,obijcit tene-
bras,quas fubmoueac,(olucndo qua^ftionem propofiram. Uli,qui per
qusftiones cradunt lcientiam,ducunt argumenta ex om- nibus locis
diale£ticis:Ego proiequor lineam mocus , tfnde dunraxac infero enrium
exiftencias,tSc nacuras,ijsargumcncis, quadola poflunt efle
dcmonftrariua,quarue,adnumerata Diale&icis , digniratem pro- priam
peflundant Memineris vero, Theophile, argumentum, quod inihi est demonstrativum,
alicui fortasfis vixerit probabile:(untenim plerique, quibus opus fu
pharmaco magis quam syllogismo. Quoniam vero motiu func fubordinati >
demonltrationes anrece- dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem , &
euidentiam a lubfe- ouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi
mouentis confirmatur^ iecundis,alijfque fubfequentibus. Hxc
conditio ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex nacura
Quanti difcreci f 6c continui, nam in Mathematicis vix aliqua
demonftrationum anteccdentium pendec a iubfequenti- bus.
Tibiver6,legentimeostra£htus , occurent frequenter nonnulla
amcnegle&a , qiu? tuo iudicio debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere
confufionera,vcl minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra-
£Undas;Ide6,Licet fciam mulcum lucis acceflurum rci , quam expo- no.fi eo
loci cognofcacur aliquid,alio loco referuarum , ramen id fe- pono,&
pra:ftoloL loco congruo do&rinam,qua: no debec anticipari. Nil
pono moieitius obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod fcpono
obiediones manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra con-
clufionnsillacasa racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle
quietcece in termino trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui co-
clufioni videcur aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na- A i
wraj, - r" — ta....\....^x V
zlcriam M. tttra^fed (tperpendasfolutiones eiufmodi obiedlionurnj facile intelli-
ges eas^fi anteuertantur , neceflai io (us deque conuerfuras vmuerlam
Philosophiam, fine quarlira evidentia. Ponofi vim a.gumenti con-
clufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum exiftennas, &naturas
dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in fyllogifmo.&fupponeslatere
aliquid in entibus concretis,vndecaptas occafionem errorrs.
Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum magna conten-
tionecontrouertuncurintei Philofophos , fi tamenhzc ncghgentu non
detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira differentiam
interdiftin&iones formalem*rationis ratiocinat*e,&mo-
dalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae, non ha- bent
momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat dispucationern zuternam. Non
infero ex conclusionibus primo illatis, reliquas omnes, qur inferripoflunt
ed illas duntaxatj quae cx ponunt natura mcntis, quoi
fub»jciturratiocinio : immopleraquc rranfilio, quxexdcmonftrati* non
obfciueprodcuntinlucem. s :
DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confue- ta oratione
declaratas, significo per vocabuU vfitata,fi Hippetant , vci adhibeo aha
ad placitum meum. Capvt ir. -dxiomata ex identiutt
ejfentiali. Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs
eflenti». A Afeddebeopnusaflignarcrationem communem omnibus cnti'
bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti Theophile. fpecierum.
quascognolcituri adhibcmus . jffiW eflc lenfib.les a . as
imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW aliquod lenfib.le.non
lolum quod aftu exiftat.fed & quod fi, p S n t.ffimum fent.ent.: At
vero imaginab.les. &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J nutum, magmantis
&intcllige. Hisnonrolumentia ^uexiftem praefenua.fed abient, a,pr^erita,futura,poffib,),
a , ac dcmum ab ft ra Exphcaturuserg Rationem communem
omnibusentibus eim affignaredebeo. quxaffirmetur deentibuspr. sentibus
affirmVk dc pwtcri^affirmabitur defuturis , affirmaretur de
poflibSus^f! Tcnirenc X
jixiomata S venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux
inrelliguntur, abftra- hendoabimentione praeteritorum praefentiumjfuturorum^
ac pofli- bilium. Dicoigitur Ensefleid, quod exerceta&um
eflendi, vt v.g amans c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito
Theophilum, coguo id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum. Leo
exercet a&umel- fendi Leonem & quodlibet entium exercct a&urn
eflendi feipfum,fe- cundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego
, quinon fuin Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi
Theophilum: nec Leo poteft exercereadtum eflendi hominem. Qnaproprer
ratio , communis omnibus entibus, abftrahit ab omni fpeciali exercitio
entitatis : ita vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus
, quam quae nuuraliter concipuur ab omnjbus , quaeue habetur in ipfo
communi vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet,
autexer- cuit,aut exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod
aut eft, aut fuit,aut ent,auc efle poteit. Seclufa (citra negadonem )
omni praecisa rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non exercet actum
eflendi, non est ens. Pneterita non (unt.fed fuerunt entia. Futura non sunt/ederuncemia.
PofTibilianonlunt/ edpofluntefle entia, &confequentcmil ho-
r»meflens. Ens vero abftraftum ab intentione praefentis, prarteriti ,
futuri, &C posfibi!is,denotat praedicata cflentialia Entis,mter ,
quae nil eflentiali- us ipfo exercitio eflendi. Porio Gntiopponicur
Non Ens,quodeft inintelligibile noncom- teIle&o Ente: quienimdormiensnilomnium
cogitat, non ideoin- tclligit Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm
autem , int?Heclo Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi
, isdemum intclHgit, feucogitatNon-Ens. Quaproptcr dico, Rationem,
communem oronibus enubus, elie Rationcm Non-Entis, fi, poiitiua
intelleaione, intellicatur sublata: scilicet Non Ens est ens coguatum, vt
ceflauit ab a&ueflendt vel qua - tenusnonvcnita4 aaumexiftcndi.
VerumNon-ens habetfuasd.t- fcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem
narrabo , exorfus a mim- ma Nonentitatcvfquead maximam.
Lapis, cxpeiscaloris,noneft calidus, arpotcftcalcre, fceatenusdi-
<icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin potcntia cft minimus gradu*
m M. Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur
caIor,eftens,tametfi Non-ca* lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum
Non-Ens, quandoqui- dem lapis potcft efie cahdus. Lapis non eft
vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifi-
uum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen* i\x
vifiua? , eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum, non
fic mcrum Non-Ens. Socrates ccrto certius generabit filium; quifilius eft Non-homo:
non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non homines illi , qui nonerunt. Sed est homo futurus.
At vero sunt alh , qiuceflcpoflunt.ncc ta- menerunc;quotfunt
animantium,quotex hominibus,qui poflent gc- nerarcfilios. ncctaracngcncrabtint?
Haccnon funtcntia fucuta, fed denominantur posfibilia,qua: magis recedunt
ab entitatc, quam quod sunt futura. Entibus possibilibus proxime
accedunt entia prastcrita : h*c enim fic non funt,vt nequeant efle ; nec
tamen deficiunc ab omni encitatc, quandoquidem fuerunt aliquando.
Denique illa quae neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt, nec esse
pofliint videntur esse mera non entia.-puta corpus re&ilincum bian-
gulareiid enim imposfibilc eft eflc, fuifle,aut fore. Non-cntium
autem quaedam intelliguntur oppofica negatiue alicui cnti prxcifo,ac
fignato. Vnicum vero Non-Ens incclligicur oppolitum negative omnibus entibus absolutc
confideratis Si ribi oppono ncgatiu Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur
Non-Theophiius- Cuiulmodi fonr Non-Pcti us, Non-hic Leo, et a!ia
innumcia. Non- nsautcm oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis
nun cupatur nihil. Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non !
Entia cftcautelaamulnphcibus, grauis fimifquecrroribus. proucnicoiibus
ex confufa sub.eaione, & predicationc huiulccmodi Non-Ennunv a quibus
tibi caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh * lungo. ^
* iUU V.x est aliqua differentia non cnritntis, qaamnon folcamus aut Lapis
non est, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn- cun
L d U P m g Td. eft ' ""P 0
linsi posfibncfc. Anti- Jlxionuts 7
Antichristus efl furuius , dicitur Ens fumrum. Filiusi ; em non
cognituri mulierem, dicitur ensposfibile. Abraham fuit homo dieitur Ens praereritum.
Corpus reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile
Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis. Nihil, dicitur, Ncgario omnium
entium. Porr6 nil horum por eftcfFc< aut subjectum aut praedicatum
reale, fi exciptas ens in potentia , & ens imposfibile secundum
quid:Iapis e- nim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia, quiue abfolute
negaturvift- uus. Eft ens.
Cetctum nil cntis eitquod fubijcias reliquis Non-entibus, quod per singular
exempla demonstro. Anti-Christus est futurus. Anti-Christus stat loco
subiecti, qui in eadem propofulone supponitur Non- ens,cum aiTeratur futurus.
quocirca fubiedtum illius propofitionisnon est ens. Eadem est conditio
huius. Filius Petri, non cognituri mulierem, est possibilis. Scilicet
subjectum illius propofuionis non est ens, sed poteftetfe ens, vt
fupponitur, haec etiam Abraham fuit Homo: Habet fubiectumj quod fuppomturnoncfie,
fed fusse Ens : dc- naum ifta: Corpus reSiIineum
biangulare eft imposfibile , non fu bijcit en<\ cum in ipfa propositione
afteratur non folum Non ens.led Sc cfie im- posfibi)e,quod fu cns:Cauebis
crgo ubi a multiplici er rore,fi lupra di- dum confuetum modum enuntiandi
ndh:beas conlcius,ennumerata fubie&a di&arum propofitionum non
erte entis. His ergo eatenus explicaris, staruo primas propositiones universalissimas
formatascx Ente& Non ente, abftradasab omni difte-
rentiaentitatis. Vidcote'1 heophiIum,&tuaccuratcin fpecT:us
enuntias v.gde te ip(o,quodfis coloratus, quod fiscerta figura
determinatus, quae propositiones non sum illatae l et tamen dependent a te, ut
a termino simpliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de se enuntiar prasrata, et
aha eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs, quarinter-
ccdunr terminos realiter diftinaos, sed eas duntaxat, quas nos comminifcimur
inter ens, relatum ad lemet ipsum, et ad non ens, cumcnim priroum, quod
obiediue cadit in mentcrn nostram, fitcns, ftlfl M. fit
Ens, fiid simpliciter dictum, seu apprehensum, referarur ad femet ipsum, fefe
pertinacifiime enuntiat, acrepetit Ens. Unde habemus hanc propositionem. “Ens
est ens.” Qux est prima omnium per se notarum incommutabilium, non solum
quia non sit lllata sed etiam quia non sit enuntiata, aut exarata abaho
termino simpliciore, a nobis accurate in(pe&o. Ex hac propositione habetur
haec. “Non ens est non ens.” Quae est notisima, citra ullam illationem:
ignorarem tamen illam fi nelcirem hanc Ens eft ens. Porro quod
ensfit ens,^£quipollere videtur huic. Ens est se ipsum. Hinc vero
fubinfero alias propositiones:Vnam ex eo, quod ens est ensi in numeras ex
eo, quod ens sit se ipsum vfic ergo argumentor; Hoc, “Ens est ens.” Ens
vero est impossibile, fit Non-ens: Ergo hoc ens non est Non ens. Hoc
Ens est se ipsum: ld autem, quod est se ipsum, impossibile est sit ullum
aliorum entiu. Ergo hoc ens non est ullum aliorum entium, scilicet: Hoc: “Ens
non est ens”, nunc upatum A.nequc ens nunc upatum E, neque vJlum
aliud, ex omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri, vniuerfalisfime
confiderato, licet fubfumere quotquot funt entium cxiftentium6c
exindeformare propofitiones, & ilIanones, prasfatis analogas, uno
exemplo commonstro, ut ld fiat. “Theophilus est Thcophilus.” “Theophilus est
se ipsum.” Hmc fic argumentot “Theophilus est Theophilus” Id quod eft Theophilus
imposfibile eft. sit simul non Theophilus. Ergo Theophilus non est simul non
Theophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Id, quod est se ipsumi impossibilc est,
sit vllum ahorum cntium. Ergo Theophilus non est vllum nlioium cncium.
Scilicet Theophilus non ctl Pctius; non hic Lco, non hic lapis,
non vllumaliorurn cntium. Quoddixidc Theophilo, idv erificatur de
quocunquc alioente, quo Axiomata quomodo libet confidermo. v.g.
Ens ad tu est enfac5 Hi ; est re ipsum. Ens m porcnua,cft cns in porcntia, elUe
iplum. i. urrens elt curtens, est se ipsum. Quin iramo aufim
diceie Non ens eft non-ens.est se ipsum. Sic enim argurnentor
Non-Ens est non-ens At Non-ens est impossibile fu Eus Ergo Non ens
non est Ens. Non Theophilus est non Theophilus, At non Theophilus est impossibilc
quod sit non-ens, aliud anon Theophilo. Ergo Non-Theophilus non est non-ens, aliud
a non-Theophilo. Neque bexiftimes harum propositionum luillum ef cvsum in
Philosophuv. tu iple ex pericris freqnent! flimum, £ximiumque solatium
ex-c- uidentiflima incommutabiluatehuiul modi propohuonum: faepius enim
infertur condufio tam recondita, tantique momenti in PHILOSOPHIA, vt trepidi
exhibeamus noftrum aflinfum. Verum conie&i incam necessitatem qucc
nos compellat, aut aflentiri illatfe conclusionem, aut negare ens esse se ipsum,
inttepidi aflentimur illatae conclufioai. Ni> Haenimeftillatio, quae
vimillatiuaranon fibi derivet ab hacptopofuione. “Ens est ens.” Id uno syllogismo
ostendo Luna loco movetur Id, quod-loco mauetur, neceflari61oco-inoiieturabaHo:
Ergo luna Loco movetur ab alio. Quod Locob meueatur, cernisoculocorporali,
quod vcro Ens loco-motum incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo
mentali. lraque pr^bueris assensum duabus illis prasmiflis, & tamen
trepides af- feiuui conclusioni, cogeris praebere affcnfum, fi
animaduertas, ex negata conclusione, et conceflis premissis necessario sequi, Lunam
simul moveri et non moveri. Quod moveatur supponitur in minore: quod
loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac impossibile est
junam moueri Localiter, & non moueri locabiliter, si non sit possubiIe,
Ens simul esse ens, & Non-ens.id sctb est impossibilccum ens necessario sit
ens. Hoc confirmatio cuiuscunque illationis dicitur a Philofophis
probatio pet impossibile Itaqueens quod cunquc simpliciter dictum fefc ex
erit in propositionem hanc identicara. I o VtUrUni Mtgni Ens est
Ens; Ens est se ipsum Ex quibus citra illationem habemus has, “Non ens est
non ens.” Non-Hns.eft fe ipsum I:x quibus qualitcrcunqjtc
ratiocinando habcmus has, Ensnondt Non Ens Non Ens non eit
ens Habes ergo Theophilo ex rarione, comrauni omnibus entibus, unam
primam, vniuet falisfimamque propolirionem, incommutabilem, per se notam, ex
qua ratiocinando intuli alias. At vero nulla cearumillationumfunr reales, quandoquidemhabitudo,
aut affirmata, aut neg3ta, non est realis. Negata non est realis, quia
non negatuc habitudo vlla, sed ipsum Ensdealio ente: Habitudo autem non est affirmata
non est realis.-nam termininon sunt realiter distin- ens cthpraratae
enim habitudines affirmatae, funt habitudines identitatis, inquibusens,
vt fubijcitur, non diueifificatur afe , vt praedicatur. lllx enim propolirones
, quas in Logica denominavi identicas, non fuiil i eales, immo nec sunt
propofuioncs, sed dnftiones. Ut enira is, qui dicit, fecernit ens dictum
a rdiquis entibus, fic qui statuit lllud ipsum Ens clTe se ipsum et: non esTc
ullum aliorum entium, concipic ens catenus cognitum, velut sit indiuisum
in fe,& d uifum ab alijs, jicl vero nolTe de aliquo cnte, est dicere
ens illud. Non tamen inuoluo dictioni mdicium, fcdaio, iudicium de illis propositiombus
non esse realcjecquidem icio eiufmodi affirmationes & negationes elle
notitias intellectuales entium,cognitorum infra intelledioncm ed hanc distinctionem
reieruo in alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice
hazz Grice. Valeriano Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza,
“Grice e Magni: ‘Paolo e Paolo: assiomi e principi metafisici” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mainardini: l’implicatura
conversazionale del popolo romano di Livio – filosofia italiana – il consorzio
degl’eroi -- Luigi Speranza (Padova).
Filosofo italiano. Grice: “Padova
tries to institute the ‘regnum’ as between Aristotle’s ‘polis’ and the modern
‘stato,’ but in which case, we wouldn’t call it ‘politeia’ anymore!” -- Grice: “When I studied change I focused on
von Wright – but then there is Padova and his ‘grammatica del mutamento’!” Nato da una
famiglia di giudici e notai – il padre: ‘di Giovanni’ -- che viveva vicino al
Duomo di Padova, completò i suoi studi a Parigi dove fu insignito dell'autorità
di rettore. Il tempo trascorso a Parigi influì moltissimo sull'evoluzione del
suo pensiero. Gli anni parigini furono molto importanti e fecondi per
l'evoluzione del suo pensiero e la visione dello stato di corruzione in cui
versava il clero lo portò a diventare anti-curialista. A Parigi incontrò
Occam e Jandun, con cui condivise passione politica e atteggiamento di
avversione verso il potere temporale della Chiesa. Con Jandun rimase legato da
grande amicizia e assieme a lui subì l'esilio. Mainardini dopo le sue
dure affermazioni contro la Chiesa venne bollato con l'epiteto di “figlio del
diavolo”. Mainardini si trova a Parigi quando si sviluppò la lotta tra
Filippo, re di Francia, e il Papato. Tutto ciò, assieme al vivace contesto
culturale in cui si muoveva, lo portò alla compilazione della sua opera
maggiore il Defensor Pacis, l'opera cui deve la sua fama e che influì
moltissimo sia sul pensiero filosofico-politico contemporaneo che su quello
successivo. A Parigi sperimentò una monarchia decisa ad accrescere il
proprio potere e la propria autorità su tutte le forze politiche centrifughe
del momento ivi compresa la Chiesa di Bonifacio VIII. Diventato consigliere
politico ed ecclesiastico di Ludovico il aro lo seguì a Roma in occasione della
sua incoronazione imperiale e qui fu nominato dallo stesso Ludovico vicario
spirituale della città. L'incoronazione imperiale avvenne ad opera del popolo
romano anziché del papa inaugurando, così, quella stagione dell'impero laico
che Mainardini vagheggiava e che avrebbe aperto la strada alla laicizzazione
dell'elezione imperiale e alla cosiddetta Bolla d'Oro di Carlo IV di Boemia. Con la Bolla
d'Oro fu eliminata ogni ingerenza del papa nell'elezione imperiale diventando
così un fatto esclusivamente tedesco. Fu ancora con Ludovico quando questi si
ritirò, dopo il fallimento dell'impresa romana, in Germania dove rimase fino
alla morte. È del periodo immediatamente antecedente la sua morte la
compilazione di alcune opere minori tra cui spicca il “Defensor Minor,” un
piccolo capolavoro. Si può definire l'opera di M. come il prodotto di tempi in
cui confluiscono la virtù del cittadino, il nazionalismo francese e
l'imperialismo renano-germanico. Il Difensore della pace” è la sua opera
più conosciuta in cui, fra l'altro, tratta dell'origine della legge. Il
suo fondamento era il concetto di ‘pace,’ intesa come base indispensabile dello
Stato e come condizione essenziale dell'attività umana. Si tratta di un'opera
laica, chiara, priva di retorica, moderna e per alcuni versi ancora attuale. La
necessità dello Stato non discendeva più da finalità etico-religiose, ma dalla
natura umana nella ricerca di una vita sufficiente e dall'esigenza di
realizzare un fine prettamente umano e non altro. Da questa esigenza nascono le
varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa, lo Stato. Ne
deriva la necessità di un ordinamento nella comunità che ne assicuri la
convivenza e l'esercizio delle proprie funzioni. Per Marsilio questa esigenza
ha caratteristiche prettamente umane che non rispondono a finalità etiche ma
civili, contingenti e storiche. Alla base dell'ordinamento c'è la volontà
comune dei cittadini, superiore a qualsiasi altra volontà. È la volontà dei
cittadini che attribuisce al Governo, “Pars Principans,” il potere di comandare
su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato,
esercitato in nome della “volontà popolare.” La conseguenza di questo principio
era che l'autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal “popolo,” inteso
come “sanior et melior pars.” In questa ottica egli propone che i vescovi
venissero eletti da assemblee popolari e che il potere del papa fosse subordinato
a quello del concilio. Ludovico il aro Marsilio pone il problema, che
tratterà anche nel Defensor Minor, del rapporto con il Papato e con i suoi
principi politici costruiti. «occulta
valde, qua romanum imperium dudum laboravit, laboratque continuo, vehementer
contagiosa, nil minus et prona serpere in reliquas omnes civitates et regna
ipsorum iam plurima sui aviditate temptavit invadere segretamente, con i quali
aveva cercato, e continua a cercare, di insinuarsi subdolamente in tutte le
altre comunità e regni che aveva già tentato di attaccare con la propria enorme
avidità» (Defensor pacis) Il giudizio di Mainardini sulla chiesa come
istituzione è molto negativo e lo manifesta con la crudezza di linguaggio che
gli è solita quando affronta l'argomento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
Lo scalpore suscitato da questa opera obbligò Mainardini a fuggire presso
l'imperatore Ludovico il aro, con il quale scese in Italia. Il Defensor minor
si colloca fra le opere minori di Mainardini, ma si distingue per la sua
importanza. Si differenzia dal Defensor pacis per essere un'opera più
propriamente teologica mentre l'altra è prevalentemente politica. Lo studio
condotto nel Defensor Minor riguarda la giurisdizione civile ed ecclesiastica, la
confessione auricolare, la penitenza, le indulgenze, le crociate, i
pellegrinaggi, la plenitudo potestatis, il potere legislativo, l'origine della
sovranità, il matrimonio e il divorzio. Il Tractatus de iurisdictione
imperatoris in causis matrimonialibus che Mainardini compila in occasione del
divorzio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia si trova
nell'ultima parte del Defensor Minor. Le relazioni tra i coniugi erano
tanto insostenibili che la sposa preferì fuggire. Intervenne l'Imperatore, imparentato
con la sposa, e progettò il matrimonio tra la fuggitiva e Ludovico di
Brandeburgo ma a ciò ostavano il precedente matrimonio e alcuni legami di
sangue. Il “Tractatus de translatione imperii” – “Trattato della translazione dei imperii” -- è un'opera che niente aggiunge alla fama
derivatagli dal Defensor Pacis anche se ebbe una certa diffusione. Si può
considerare questo trattato come una storia sintetica dell'Impero dalla
fondazione di Roma da Romolo (alla LIVIO) fino al secolo XIV. In M. lo
“stato romano” è concepito come prodotto umano, al di fuori da premesse
teologiche quali il peccato o simili. È fortemente affermato il principio della
legge quale prodotto della comunità dei cittadini, legge dotata di imperatività
e co-attività oltre che ispirata ad un ideale di giustizia. Questo ideale di
giustizia deriva dal con-sorzio o concerto civile, l'unico soggetto che può
stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è. Per M. , l'uomo deve essere
inteso come libero e consapevole. Nel Defensor Pacis appare diffuso un
costituzionalismo affermato fortemente nei confronti sia dello Stato che della
Chiesa. È tra i primi studiosi a distinguere e separare la legalita (ius) dalla
moralita (ethos, mos), attribuendo il primo alla vita civile e il secondo alla
coscienza. Mainardini è sempre un uomo del suo tempo, saldamente ancorato nella
sua epoca, ma con intuizioni che ne fanno un uomo nuovo, anticipatore per certi
versi del Rinascimento. La definizione del nuovo concetto di Stato, autonomo, indipendente
da qualsiasi altra istituzione umana o, a maggior ragione, ecclesiastica è il
grande merito di M.. Anche nella Chiesa viene affermata una forma di
costituzionalismo contro il dilagante strapotere dei vescovi e dei papi. È
ancora l'universitas fidelium a prendere, attraverso il Concilio, ogni
decisione riguardante qualsiasi materia di ordine spirituale. Il nostro autore
non teme di scagliarsi contro la Chiesa, a negare il primato di Pietro e di
Roma, affermare la necessità del ritorno del clero a quella povertà evangelica
tanto cara ad alcune sette riformiste di cui lui certamente conobbe e comprese
il pensiero. Lotta contro la Chiesa ma solo per conservarne o rivalutarne il
più vero, autentico e originario contenuto e significato. Quasi riformista e
conservatore nello stesso tempo, riformista là dove è contro la corruzione
dilagante nella Chiesa di quel periodo, conservatore là dove accetta la
necessità di un ordine costituito, della religione, della morale, intese nel
senso più puro. La modernità di M. consiste anche nel metodo della sua
trattazione e della terminologia che usa, sempre stringata ed esaustiva, aliena
da qualsiasi di quelle forme di retorica che era caratteristica degli autori
medievali. Altri saggi:: “Il difensore della pace,” C. Vasoli. POMBA,
Torino, BUR, Milano, Ancona E., C. Vasoli, MILANI, Padova (collana Lex
naturalis; Battaglia F., La filosofia
politica del medio Evo, Milano, CLUEB Battocchio R., Ecclesiologia e politica,
Prefazione di G. Piaia, Padova, Istituto per la Storia Ecclesiastica Padovana, Beonio-Brocchieri
Fumagalli M.T., Storia della filosofia medievale (Bari, Laterza,), Berti E.,
“Il ‘regno’ di Mainardini: tra la civis romana e lo stato italiano,” Rivista di
storia della filosofia medievale, Briguglia G.,
Carocci Editore, Cadili A., Amministratore della Chiesa di Milano, in
Pensiero Politico Medievale, Capitani O., Medioevo ereticale, Bologna, Il
Mulino, Capitani O., Il medioevo, Torino, POMBA, Cavallara C., La pace nella
filosofia, Ferrara, Damiata M., Plenitudo potestas e universitas civium,
Firenze, Studi francescani, Del Prete
D., Il pensiero politico ed ecclesiologico, Annali di storia, Università degli
studi di Lecce Dolcini C., Bari, Laterza, Merlo M., Il pensiero della politica
come grammatica del mutamento, Milano, F. Angeli, Passerin d'Entréves A., Saggi
di storia del pensiero politico: dal medioevo alla società contemporanea,
Milano Piaia G., Mainardini e dintorni:
contributi alla storia delle idee, Padova, Antenore, Piaia G., La Riforma e la
Controriforma: fortuna ed interpretazione, Padova, Antenore, Simonetta S., Dal
difensore della pace al Leviatano, Milano, UNICOPLI Toscano A., Marsilio da
Padova e Machiavelli, Ravenna, Longo, Defensor pacis Defensor minor Tractatus
de translatione Imperii Tractatus de iurisdictione imperatoris in causis
matrimonialibus Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Marsilio
da Padova, su sapere, De Agostini. Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. marsilio:
essential Italian philosopher. Marsilio dei Mainardini, Marsilio di Padova.
Mainardini. Keyword: il popolo italiano, consorzio conversazionale, difensore
della pace, leviatano, allegoria del buon governo – allegoria del buon governo,
Livio, Romolo, Machiavelli -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mainardini"
per il Club Anglo-Italiano; Luigi Speranza, “Grice e Mainardini – la massima
del consorzio conversazionale.” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Grice e
Malfitano: l’implicatura conversazionale dei quattro – il complesso sociale -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Siracusa). Filosofo italiano.
Grice: “Malfitano, like me, is an emergentist – each ‘complesso’ grows
(cresce) and the ‘complexity’ is thus best characterised as ‘crescente,’ –
Malfitano uses ‘complexities’ in the plural – a theory of ‘complessita
crescenti’ – The whole point is that you get from one complex to the other.” Grice:
“I like Malfitano. His theory of ‘complessita crescente’ is admirable: he
distinguishes various ‘complesso’ – the material (subdivided into atomic, and
the ‘crescente complessita’ of the molecular), the biological complex (which
comprises the complex of the tissue, and the complex of tthe articular), the social
complex, i. e., the human being in his
inter-subjetctivity -- nd the ideological complex, the abstracta – ideation,
cognition, and conviction – there is a superior geometry, too!” Nacque da
Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa Veneziano. Era l'ultimo di sette
fratelli. Frequentò il Liceo Classico Tommaso Gargallo, dove iniziò a nutrire
l'interesse per la materie scientifiche. Già da giovanissimo frequentava
assiduamente una nota farmacia del centro storico della città natale acquisendo
notevole interesse per la chimica e la biologia. Si iscrisse dunque alla
facoltà di chimica dell'Università degli Studi di Catania per frequentare le
lezioni del professor Alberto Peratoner. Malfitano continuò gli studi
universitari a Palermo, dove si trasferì al seguito di Peratoner e ottenne la
laurea nel capoluogo siciliano. Abbandona la Sicilia per spostarsi a
Milano, dove intraprese una breve carriera lavorativa nel campo della chimica
industriale agli stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente frequentava la scuola
di microbiologia dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca da Golgi,
futuro Premio Nobel per la medicina. Stimolato dall'ambiente favorevole,
Malfitano pubblica I” Comportamento dei microrganismi sotto l'effetto delle
compressioni gassose” -- Inizia in questo modo a farsi notare da colleghi e
professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il carattere disponibile
e solare, come ricorda iPensa, celebre anatomista milanese. La carriera prese una svolta definitiva quando, durante un
congresso internazionale a Pavia, venne notato dal futuro successore di Pasteur,
Duclaux. Venne dunque invitato a trasferirsi a Parigi, avendo ricevuto
l'offerta di un impiego all'istituto Pasteur. Una volta arrivato nella capitale
francese, Malfitano si dedicò in un primo momento alla micro-biologia,
pubblicando come risultati delle sue ricerche: Protease de l'aspergillus niger,
Influence de l'oxygen sur la proteolyse en presence de Clorophorme e
Bactericidie charbonneuse. Decise di ritornare a studiare la chimica pura,
campo d'indagine scientifica che lo rese definitivamente famoso. I suoi studi
sulla chimica colloidale, arrivarono a dimostrare la natura elettrochimica
delle micelle, e riuscì a misurare con notevole precisione la conducibilità
elettrica dei colloidi. In campo pratico, mise a punto i cosiddetti
ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui colloidi. Divenne
capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur. Gli studi si interruppero
durante la gran guerra. Al termine di essa, sposò Vera, una studentessa russa.
Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione della più nota
dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle “complessità
crescenti,” concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo le micelle,
ma l'esistenza in generale. Pubblica Complexité et micelle, e Les composés
micellaires selon la notion de complexité croissant. Le conclusioni non vennero
accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel
Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano. Elaborò
negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso
l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la caratterizzano
strutturalmente. La materia, secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile
in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna
delle classi citate si possono distinguere tre tipi di unità materiali:
ioniche, polari e ionopolari. L'analisi compiuta sulla materia venne
estesa in campo social-ogico da Malfitano. Tenta di ricondurre la complessità
socio-antropologica alla complessità atomica. I quattro ordini di “complesso” che
costituiscono il mondo sono dunque. Primo, il complesso materiale (suddiviso in
due sub-complessi – primo sub-complesso: “complesso atomico” e secondo
sub-complesso materiale: “complesso molecolare”), il complesso biologico (suddiviso
in primo sub-complesso biologico: complesso istologico e – secondo
sub-complesso biologico: complesso citologico). Terzo, il complesso sociale (l'essere
umano). Al culmine di un'ipotetica piramide il quarto complesso: il “complesso
ideologico” (suddivisi in tre complessi: il primo sub-complesso ideologico: ideazione;
il secondo sub-complesso ideologico: la conoscenza, il terzonsub-complesso
ideologico: la convinzione). L'ultimo passo della speculazione e il
concetto di geometria superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica che domina
gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo stesso fuggevole
dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà. In ultima analisi, il
compito era dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del
cosmo e di preservarne la bellezza e l'equilibrio. Soleva spesso tornare
in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a questa abitudine.
L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che gradualmente lo privò della
vista, e le sue convinzioni anti-fasciste, non gli permisero di rivedere il
paese natale. Morì inell'alloggio assegnatogli dell'Istituto Pasteur dove aveva
trascorso gran parte della sua vita. Pubblica le sue convinzioni filosofiche
servendosi dello pseudonimo "Aporema", termine che indica
l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio di un problema. Introdusse
per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido, quello che abitualmente
viene chiamato yogurt, come era già frequente nella capitale francese.
Durante una tempesta patita in mare Carmelo Malfitano aveva fatto voto a Santa
Lucia, patrona siracusana, di sposare un'orfana se fosse riuscito a tornare
incolume sulla terraferma. Carmelo sposò per questo motivo Santa Veneziano, orfana di entrambi i genitori. Da tale unione
nacque Giovanni. Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella
terra di Aretusa, Tyche Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella
terra di Aretusa, Tyche122. Antonio
Pensa, Ricordi di vita universitaria (Citato nel testo Ad Repellendam Pestem
Storie di Medici e di Sanità nella terra di Aretusa), Cisalpino Istituto
Pasteur, su webext.pasteur.fr. Ad
repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche. Ad
repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa,
Tyche124. Ad repellendam Pestem Storie
di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche126. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e
Sanità, Tyche. Ad repellendam Pestem.
Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, Siracusa, TreccaniEnciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice:
“Malfitano is right about the ‘social complexus’ – however, as Talcott Parsons
has shown there is more complexity in the social compexus than Malfitano, a
Sicilian, allows!” -- Grice: the fourth stadia: -- il complesso sociale -- Giovanni
Malifitano. Malifitano. Keywords: i quattro. Refs.: H. P. Grice, “Pirotology,”
– “The pirotological ascent,” in “From the banal to the bizarre: a method for
philosophical psychology” -- emergentismo di Grice – emergentismo di Malfitano
– l’organicismo della diada in Malfitano --. Il complesso di azione e il
complesso di inter-azione, il complesso sociale --. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Malifitano” – The Swimming-Poo Library.
Grice e
Malipiero: l’implicatura conversazionale del trionfo della ragione; ossia,
confutazione del sistema del contratto sociale – the breach of contract – or
Romolo e Remo, I due contrattanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).
Filosofo italiano. Grice: “I love Malipiero’s approach to philosophy: hardly a
profession! As if someone were to be called ‘amateur cricketer’ – Malipiero
loves (‘ama’) philosophy and it shows!” – Grice: “There is philosophical wisdom
in any endevaour he finds himself in!” Grice: “One must love him for his
attempted ‘confutazione’ of Rousseau’s ‘sistema del contrato sociale’ as a
‘triumph of reason’!” -- Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti.
Entrambi i genitori erano patrizi: il padre provene dalla storica casata dei Malipiero (ramo
"delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre apparteneva a una
famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata. Dichiarava di abitare in un
palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo l'estinzione di
un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro botteghe nei
centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case si trovavano
tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino.Esordì in politica con
l'elezione a savio agli Ordini. Divenne provveditore alle Pompe, ma non riuscì
a prendere possesso della carica a causa della caduta della Repubblica. A
questo punto, lasciò la vita pubblica per dedicarsi alla filosofia analitica
del linguaggio ordinario. Fu un autore poliedrico, capace di spaziare
dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito neoclassico.
La prima opera pubblicata è il saggio di matematica “Dimostrazione sulla tri-plicazione
e tri-sezione dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio.” Più tardi si
cimentò nella filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della
passione nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di
moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le
passioni. Questa idea, in contrasto con quanto
asserito da Rousseau, fu ribadita ne “La felicità della nazione realizzata dal
politico e dal sovrano,” uno dei suoi primi scritti in filosofia morale. In
questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di una parte
della società, analizzando come i governi avessero reagito al fenomeno in
epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma anche
all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini. Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo
della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale” -- ristampato,
senza grosse variazioni, come “Il trionfo della verità nella difesa dei diritti
del trono ossia Confutazione del contratto sociale.” Grice: “I find this
interesting, since I also oppose contractualism to rationalism!” -- Qui M.
cercò di dimostrare come la migliore forma di governo non fosse la democrazia,
ma la monarchia. La sua linea anti-rivoluzionaria
fu affermata anche quando si tenne distante dagli organi della Municipalità
istituita sul modello, o ‘sistema’ del contratto. Accolse perciò con favore
l'arrivo degli Austriaci, come dimostrano il ‘Testamento della spirata libertà cisalpine”
e l'annesso sonetto “Confronto fra il genio della Romana Repubblica e quello
dell'Austria.” Di grande importanza è quanto emerge nella “Voce della verità,” una
memoria autografa inviata al governatore austriaco Székhely all'indomani del
suo insediamento a Venezia. Nell'opera, divisa in capitoli dedicati ai problemi
dell'amministrazione asburgica (polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), si
chiede quale dovesse essere il criterio di scelta per la nuova classe dirigente
veneziana. Dimostrandosi critico nei confronti degli ex funzionari della
Repubblica di Venezia (ceto a cui lui stesso apparteneva), nominati non in base
ai meriti, ma per favoritismo, auspicava di non concedere spazio a coloro che
vivevano nel lusso, poiché entravano in politica solo per il proprio
tornaconto, e soprattutto verso i trasformisti che cambiavano opinioni con
l'avvicendarsi delle amministrazioni.
Con questo lavoro anticipò le scelte del governo austriaco che, in
effetti, estromise il patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche
amministrative a personalità lombarde o delle province ereditarie. Si dedicò, con un certo successo, anche alla
stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero
presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste “Il
sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa civilizzazione
delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono “La bottega del caffè” “Quadro
critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in apoteosi del cav.
Canova,” Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa. Sciolti, Atabiba ed
Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello spirito dei tempi e nel
nuovo carattere di nostra età (sul congresso di Verona), Zanghira e Lemanza.
Quadro poetico nelle nozze Malipiero/Martinengo dalle Palle; Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo
dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della
Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile dell'Impero Austriaco,
assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio con Contarina diPisani. Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “I
would often rely on contractualism, but [Welsh philosopher G. R.] Grice made a
job out of it! I saw the cooperative principle as a matter of quasi-contract –
whatever that is. And if it’s a MYTH, what’s wrong with it? Romolo mythically
killed Remus because of a breach of contract, too!” Grice: “My thought exactly
replicates that of Malipiero back in the good old days of Venetian republic –
only there was more rhyme to reason in HIS scheme!” -- Troilo. Malipiero.
Keywords: il trionfo della ragione, ossia, confutazione del sistema del
contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malipiero” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Mamiani: l’implicatura conversazionale di Beltrami contro Euclide – filosofia
italiana – Luigi Speranza (San Secondo Parmense).
Filosofo italiano. Grice: “I like Mamiani; unlike us at Oxford, he takes ‘science’
seriously! But in an amusingly Italian way! He has explored Newton on the
apocalypse! My favourite of his treatises is the one on space which reminds me
of Strawson – Beltrami, unlike Strawson, is non-Euclideian, and thinks Italian
needs Euclideian verbs to match!” Lincei.
Membro dell'Accademia dei Lincei ha insegnato Storia del pensiero scientifico
all'Parma, Udine e Ferrara. Si è
occupato soprattutto di Isaac Newton, del quale ha trascritto un trattato
inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e dell'origine delle enciclopedie
moderne. Saggi: “J. M. Guyau Abbozzo di
una morale senza obbligazione né sanzione,” Firenze, Le Monnier, “Newton
filosofo della natura” Le lezioni di ottica e la genesi del metodo newtoniano,
Firenze, La Nuova Italia, “Teorie dello spazio” -- da Descartes a Newton,
Milano, Angeli, “La mappa del sapere.” La
classificazione delle scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, Angeli,
“Il prisma di Newton,” Roma, Laterza, Introduzione a Newton, Roma: Laterza, “Trattato
sull'Apocalisse,” Torino, Boringhieri, I. Newton, Firenze, Giunti, Storia della
scienza moderna, Roma, Laterza, Scienza e Sacra scrittura, Napoli, Vivarium. I. Newton, Trattato sull'Apocalisse,Torino,
Bollati Boringhieri, Scienza e teologia studi in memoria, Firenze, Olschki, Studi
sul pensiero scientifico Ricordando M., "I castelli di Yale", Il
Poligrafo, Padova 2 La Rivoluzione scientificaI domini della conoscenza: La
sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Newton e l'Apocalisse. Grice: “Mamiani should have left Newton to
the Lincolnshiremen, and concentrate on Galileo!” Maurizio Mamiani. Mamiani.
Keywords: Beltrami contro Euclide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mamiani” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mancini: l’implicatura conversazionale del kerygma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Schieti). Filosofo italiano.
Grice: “I like Mancini: he has expanded on the ethos of cooperation – and
he has explored what he calls ‘linguaggio ontologico’ and ‘alienazione’ in
connection with language – he reviewed Pittau’s philosophy of language, and
published a little thing on ‘language and salvation.’ So how can you NOT like
him?” Grice: “I like Mancini; if I dwell
on philosophical eschatology, he dwells on the real thing!” Grice: “He has
studied Kant thoroughly; all the interesting bits, like his idea of
MALEVOLENTIA!” “La filosofia è il
passaggio dal senso al significato, attraverso le mediazioni culturali,
dottrinali, attraverso la struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni
della prassi.” Studia a Fano e si laurea a Milano dove insegna. Bo lo vuole ad
Urbino. Studia i massimi teologi, curato le opera di Barth, Bultmann e Bonhoeffer
pubblicando, su quest'ultimo, anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha
fondato l'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino, unico esempio, per
molti anni, di "facoltà teologica" in una università laica. Tra
i filosofi, si è dedicato molto a Kant, pubblicando una Guida alla Critica della
ragion pura. In questo senso è ancora
più importante "Kant e la teologia” dove tratta la filosofia della religione kantiana,
fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo
categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati
dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della
religione, in cui Kant mette in rapporto la “religione razionale” con la “religione
rivelata” (e che si contraddistingue per i concetti di “male radicale” e di “chiesa
invisibile”), è considerata feconda. Si è anche confrontato con Marx, allora
dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, tiene in
grande considerazione il concetto di “alienazione” -- presente soprattutto nei
Manoscritti filosofici. Questo concetto, che esprime l'estraneazione
dell'operaio in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi di produzione
capitalistici, capaci di sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere
stimolo per la Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è
l'ateismo e il materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una
prospettiva materialistica (materialismo storico). Questa concezione infatti
mette in discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo
all'insieme dei suoi rapporti economici. Inoltre fa parte della redazione della
rivista Concilium. Fonda “Hermeneutica” ed edita da Morcelliana. La sua
posizione di pensiero verte su un cristianesimo di matrice liberale e
democratica d'impronta sociale, che cerca uno spazio autonomo e libero, dando
una risposta da credente alla cultura laicista e marxista di quegli anni sulle
orme del Concilio Vaticano II. Opere:“Ontologia fondamentale,” La Scuola,
Brescia “Rosmini” “la metafisica inedita, Argalìa, Urbino “Filosofi
esistenzialisti” Heidegger, Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa,
Urbino“Linguaggio e salvezza,” Vita e Pensiero, Milano “Filosofia della
religione,”Abete, Roma “Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia
utopia”Queriniana, Brescia “Kant e la teologia,”Cittadella, Assisi “Futuro
dell'uomo e spazio per l'invocazione”L'Astrogallo, Ancona “Con quale
comunismo?” Locusta, Vicenza, “Con quale cristianesimo” Coines, Roma,
“Novecento teologico”Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia” Queriniana,
Brescia “Fede e cultura”Genova, Marietti “Come continuare a credere” Rusconi, Milano “Negativismo giuridico” QuattroVenti,
Urbino “Guida alla Critica della ragion
pura” I, QuattroVenti, Urbino “ Lettera a un laureando” Urbino, Quattroventi “Il
pensiero negativo e la nuova destra”Mondadori, Milano “Il quinto evangelio come
violenza ermeneutica” in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e altri,
Urbino, Quattroventi “Hermeneutica”
“Filosofia della prassi,”Morcelliana, Brescia “Tre follie, Camunia, Milano “Guida
alla Critica della ragion pura”“L'Analitica” QuattroVenti, Urbino “Il male
radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su
filosofia e religione”, Genova, Marietti 1 De profundis per la dialettica, in
“Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher Tornino i volti, Marietti, Genova Giustizia
per il creato, Urbino, Quattroventi, coll. "Il nuovo Leopardi"
L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero
critico moderno, Marietti, Genova Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso,
Marietti, Genova Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino,
Quattroventi Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana Ethos e cultura nella cooperazione di
credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S.
Bernardino”, Quattroventi Bonhoeffer; Morcelliana,
Brescia Frammento su Dio, Brescia,
Morcelliana Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini,
Urbino, Quattroventi Opere scelte. Brescia,
Morcelliana Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critic
(Verona, Mazzian); A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica” (Urbino, Quattroventi
"Biblioteca di Hermeneutica" P. Grassi, Intervista sulla teologia (Urbino,
Quattroventi "Il nuovo Leopardi"; La filosofia politica” (Urbino,
Quattroventi, Francesco D'Agostino, Filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi,
"Il nuovo Leopardi" G. Ripanti, P. Grassi, Kerigma e prassi, Brescia,
Morcelliana, Hermeneutica, Studi in memoria, Napoli, Scientifiche, G. Crinella.
Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Studium, A. Areddu,
Cristianesimo e marxismo Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance
tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I A. Pitta, G.
Ripanti P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Mancini,
Brescia, Morcelliana, Hermeneutica Mariangela Petricola, Pensare la differenza
-- la questione di Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura
in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", mondo domani.org/
dialegesthai/ mpe. M. Petricola, Pensare
Dio. Il cristianesimo differente, Assisi, Cittadella Editrice Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra.
L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del
diritto, Torino, Giappichelli, "Recta Ratio"sapere, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in
memoriam, su pesaronotizie.com. Centro socio culturale M" presso il suo
paese natale Schieti, su centro M. . . FB cronologica, su uniurb. L'Istituto di
Scienze Religiose fondato da lui su uniurb. Biblioteca personale "Ca'
Fante", su uniurb. Rivista "Hermeneutica" fondata da Italo
Mancini, su uniurb. A. Aguti, Italo Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso
italiano.org. Italo Mancini. Mancini. Keywords: kerygma, “male radicale” “Kant”
“radical evil” --. “cooperative di credito” – “la massima della benevolenza
conversazionale”, il problema del vaticano – patti laternai, ventennio fascista
e patti laterani --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mancini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Mangione: l’implicatura conversazionale d’alcuni aspetti del nazionalismo
culturale nella logica italiana – logica matematica – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bagnara Calabra). Filosofo. Grice: “I like Mangione; for various reasons:
He notes that logic is more related to mathematics – indeed, for logicism
mathematics IS logic – so the opposite to ‘formal’ logic is ‘material’ logic,
not ‘informal’ as Ryle and Strawson want – Mangione has studied ‘categories’
and talks of ‘logica matematica’ – he has studied Frege’s ideografia, as he
aptly translates his grundscrift, and he tried to improve on the ‘nationalism’
which was ubiquitous in logic in Italy in the ‘primo novecento’!” Insegna a Milano.
Diresse le due collane matematiche della casa editrice Progresso tecnico
editoriale di Milano, appendice della A. Martello editore. Presso l'editore
Boringhieri di Torino ha diretto “Testi e manuali della scienza contemporanea. “Serie
di logica matematica.” Contribuito alla
Storia della filosofia pubblicata da Geymonat per Garzanti con specifici
contributi sulla storia della logica matematica. Amplia e sistematizza tali
contributi nella Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni”. Il saggio
costituisce un ampio ed esaustivo lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti
di ricerca e sui risultati della logica. Dirige la collana Muzzio scienze. Insieme a Ballo, Bozzi, Lolli e Pagli cura Gödel
(Boringhieri). Saggi: “Logica matematica” (Torino, Boringhieri); “Giocando con
l'infinito: matematica per tutti, traduzione di G. Giorello (Milano,
Feltrinelli); “Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, “Filosofia:
saggi in onore di Geymonat, Milano, Garzanti “Storia della logica, CUEM “Storia della logica”“Da Boole ai nostri
giorni” (Garzanti); “Frege. Logica e aritmetica” -- Torino, Boringhieri. Regny,
«Breve storia di una lunga amicizia», Franco Prattico, «Pubblicate tutte le opere
di Godel» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF dell'Bari.
6.Peano, A.Nagy, Delbcedp, Logiqìie algorithmique. Revue
Philosophique quindi idem. Liège et Bruxelles Liard L., Les logiciens anglais
contemporains {ISIS). Logique. Masson, Paris. — Cours de
philosophie. Logique CouTURAT L., La logique mathémaiique de M,
Peano, " Revue de Métaphysique et de Morale „, a — La logique de
Leibniz d'après dea documents inédits. Paris, Alcan. L’Algebre de la
logique. Paris, Gautliiers-Villars, ed. Peano G., Calcolo geometrico
secondo VAusdehnungs- léhre di H, Grassmann, preceduto dalle operazioni
della logica deduttiva, Torino Arithmetices principia, nova methodo
exposita — I principi di geometria logicamente esposti Torino, Bocca. Elementi di calcolo
geometrico Principi di logica matematica. R. d. M., t. I. Formule di logica
matematica. R. d. M., t. I. Sul concetto di numero. R. d. M., t. I.
Sui fondamenti della geometria R. d. M., Saggio di calcolo geometrico Studi di
logica matematica Les définitions matJtématiques Formulaire mathématique.
Nagy a., Fondamenti del calcolo logico. Giornale di matematica. Napoli
Sulla rappresentazione grafica delle quantità logiche. Rend. R. Accademia
dei Lincei. Lo stato attuale ed i progressi della logica. Rivista
italiana di filosofia. C. Burali-Forti, G. Vacca, G. Vailati, A.
Padoa, M. Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini, Giudice,
Nagy a., Principi di logica esposti secondo le dottrine mo- derne.
Torino, Loescher I teoremi funzionali nel calcolo logico, Riv. di
Mat., Ueher Beziehungen zwischen logischen Ordssen. Mo- natshefte
fur Mathematik. Wien, La logica tnatematica e il calcolo logico. Riv. Itai.
di Filos. Roma, I primi dati della logica. Id. Roma, Ueber das
Jevons-Cliffordsche Problem. Monatshefbe far Mathematik. Wien, t. Sulla
definizione e il compito della logica. Roma, Balbi Alcuni teoremi intorno
alle funzioni logiche. Riv. di Mat., BuaAn-FoKTi C, Logica matetnatica.
Milano Exercice de traduction en symholes de Logique Mathématique. Bulletin de
Mathématiques élémentaires Sui simboli di logica matematica. Il Pitagora, Padda
A., Note di logica matematica. Riv. di Mat., t. 6, Conférences sur la
Logique Mathématique. Université non velie de Bruxelles Essai d'une
théorie algébrique des nombres entiers, précède d'une introduction
logique à une théorie déductive quelconque. Congresso internaz. di
filosofia. Parigi, Vailati G., Un teorema di logica matematica. Riv. di
Mat., t. Sul carattere del contributo apportato dal Leibniz allo sviluppo
della logica formale. Rivista filos. e scienze affini. Maggio-Vacca G.
Sui precursori della logica matematica. Riv. di Mat., Bettazzi, M. Chini,
T. Boggio, A. Ramorino, M. Nassò, ecc. in Italia. Tutti questi
ultimi A. appartengono alla scuola del Peano, al quale si deve la prima
introduzione della Logica matematica in Italia con Peano, esposti lucidamente
gli studi dello Schrodbr, del Boole, ecc., dimostra l'identità del
calcolo sulle classi, fatto da questi autori, col calcolo sulle
proposizioni di Peirce, del Me Coll, ecc. L'opera de\VS9
{Arithmetices principia contiene per la prima volta la teoria dei numeri
interi completamente ridotta in formòle facendo ricorso ad un
limitatissimo numero di idee logiche che espresse coi simboli: €,
D, = n, u, --, A. Di qui trasse origine la sua ideografia, in cui
ogni idea è rappresentata con un segno, e il suo strumento
analitico andò perfezionandosi rapidamente. Formulaire de
Mathémathiques; Introduction quindi la pubblicazione completata, con nuove
formule ed arriccbita di numerose indicazioni storiche per la
collaborazione di valenti seguaci, procedette alacremente, raccogliendo
e trattando completamente in simboli tutte le proposizioni della matematica.
L'importanza filosofica di questo movimento scientifico non è ancora stata
apprezzata convenientemente dai filosofi, e l'opera di PEANO (si veda) comincia
solo ora a richiamare sopra di se l'attenzione degli insegnanti di logica
pura. Questo ritardo filosofico è tanto più strano quanto più chiara
è la filiazione filosofica di questa ideografia. Peano stesso non cessa mai
di far notare che essa è basata su teoremi di logica, scoperti
successivamente da Leibniz fino ai giorni nostri. È noto infatti che
l'ideografia completa o pasigrafia e intravista da Leibniz, col nome di characteristica. Ma
se, con definizioni opportune, si potè ridurre le Pastore, Logica
formale. Meriti dell' analitica moderna,
Da questo rapido cenno dello sviluppo storico dei postulati del
càlcolo logico e degli autori che più hanno contribuito al progresso
della logica pura e sim- bolica in largo senso della parola (simboli
lette- rali, aritmetici, algebrici, geometrici, ideografici,
ideofisici e via dicendo), e pure in mezzo alle di- vergenze profonde e
attraverso i vari modi onde le forme logiche si manifestano e a quelli
onde vengono interpretate, è possibile scorgere il filo
conduttore. Le dottrine più recenti sopratutto, parte cri-
ticando i metodi e i principi sui quali le antiche erano costruite, parte
proponendo metodi di di- mostrazione più atti all'indagine logica,
parte svolgendo fuori dalla stessa analitica germi di idee nuove
che vi rimanevano prima come oscu- rati ed occulti, sono come una
successione in- calzante di fiotti vitali che, scaturendo dalle
vette del pensiero, sono penetrati nell'organismo della logica formale
alimentandolo e sospingen- idee di logica che si incontrano in molte
parti della ma- tematica ad un numero sempre più piccolo di idee
pri- mitive, attualmente ancora si desidera una riduzione analoga
di tutte le idee di logica che si incontrano nella logica pura.
Questa riduzione presenta invero seriissime difficoltà, ed e più
facile il riconoscere quante e quali siano le idee primitive in
Aritmetica e in Geometria, che in Logica. (Peano). In questo
saggio, continuando le ricerche cominciate nel precedente, che mi
converrà di supporre conosciuto al lettore, tento di portare un
contributo alla soluzione del problema suddetto. Corrado Mangione.
Mangione. Keyword: “logica matematica” “divertente”, “Sidney Harris” Peano,
“not” “no” “and” “e” “or” “o” “if” “si” “some (at least one)” “all” “the” “il” ,
Mangione, simbolistica, logica simbolica, logica formale, logica materiale,
semantica, semantica per un sistema di deduzione naturale, SYMBOLO, whoof and
proof, w’f ‘n’ proof. -- -. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e la proclama di Mangione: logica matematica, la logica
matematica deve essere divertente!” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Manfredi: l’implicatura conversazionale del liber de homine – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I
like the “liber de homine.” It reminds me that among my unpublications there’s
a ‘Why’!” Grice: “While the Italians aptly use the same particle for ‘why’ and
‘for’, the Anglo-Saxons didn’t! That must be because ‘for’ is usually otiose:
“Why are you eating.” “For I am hungry, say I!” cf. “I am hungry.” – Studia a Bologna
e Ferrara. Entra in contatto con circoli umanistici. Insegna a Bologna. Riceve
un compenso superiore alla media ed è il docente più citato nei Libri
partitorum. Esercita l'astrologia ee attaccato da PICO (si veda) (“Disputazione
contro l’astrologia divinatrice””). La
sua opera “Il Perché” fu un successo per secoli. Altre saggi: “Tractato de la pestilentia,”
Bologna, Johann Schriber, “Pro-gnosticon” (Bologna, Bazaliero Bazalieri) “Liber
de homine,” Impressum Bononiae, Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo
Manfredi. Keyword: divination. Those clouds mean rain – Those clouds mean
death. --. Grice: “The present budget means that we will have a bad year –
Prognosticon. “The present budget means we’ll have a hard year, but we shan’t
have.” – x means that p entails p. Pico approaches Manfredi, “You said that the
budget for 1490 meant that we would have a hard year, but we didn’t!” – Girolamo Manfredi. Manfredi.
Keywords: liber de homine, la tradizione pseudo-peripatetici dei problemi – il
problema – la questione di ‘per che’ – Grice sulle tipi di domanda – la domanda
dei bambini – la domanda di Grice a bambini, “Can a sweater be red and green
all over? No stripes allowed? – The philosopher’s question – ‘why is there
something rather than nothing? Why I am me and not you? Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manfredi:
l’implicatura divinatrice” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Manicone: l’implicatura conversazionale della filosofia del gargano – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Vico del Gargano). Filosofo
italiano. Una delle personalità più
caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Definito il “monacello
rivoluzionario” a causa della sua bassa statura, che sembrerebbe di 1,40
m, la sua indole illuministica consiste in una sete di sapere che non si placa con
il dogmatismo, ma con l'esperienza diretta, lo studio approfondito dei fenomeni
naturali e della scienza, un'osservazione empirica che poteva fornire una
risposta valida e concreta alle varie problematiche e quindi un aiuto pratico
all'uomo, al suo benessere e sviluppo, alla sua felicità. Ciò gli costò
l'inimicizia di chi, seppur in pieno illuminismo, diffidava e demonizzava la
scienza. Lo sviluppo economico-sociale che teorizza M. consiste in uno
sviluppo connesso e, per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli
riteneva che la natura fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua
distruzione avrebbe potuto segnare la fine dello sviluppo. Manicone può
essere considerato un profeta dello sviluppo sostenibile, perché in pieno
Settecento, quando le industrie erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute
che gli consentì di prevedere le conseguenze disastrose che avrebbe portato
l'uso improprio e scriteriato delle risorse naturali. Le opere in cui
Manicone tratta, tra gli altri, il tema dello sviluppo sostenibile, sono La
Fisica Appula (cioè dell'Apulia) e La Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico
nome della Capitanata). Secondo il “monacello”, uno dei peggiori atti compiuti
dall'uomo del suo tempo era la cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un
tempo rigogliosi, come anche attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire
putes nemus». Riferisce che il disboscamento del promontorio iniziò nel
1764, con il taglio “barbaro” dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del
Gargano e la cesinazione degli ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad
inizio Ottocento, l'Abate Longano denunciò la carenza di legna da ardere per
gli ischitellani. La causa di questo disboscamento fu la volontà di
destinare i suoli a coltura, anche quelli non adatti a questo scopo e più utili
al pascolo e alla produzione di legname, vista la “rocciosità” della terra sul
promontorio del Gargano. Manicone spiega anche la diminuzione della fauna
selvatica nel Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i
nascondigli per gli animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili. Ne
“La Fisica Appula”, il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità
dell'aria) e alle cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può
avere cause naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche
indigeno (proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il
Manicone le principali cause accidentali del mefitismo erano: 1. Le
condizioni igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana
abitudine di depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei centro abitato (consuetudine abolita con
l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de
Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio
dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono ossigeno e
assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu
talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del
Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di
temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e
mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile
al disboscamento. Il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di
riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i
venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle
alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana
da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i
venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre
coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la
consapevolezza di “aver cantato ai sordi”. Viaggiò molto per l'Europa,
studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze
Naturali a Bruxelles. È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica
Appula. in cui analizza le caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e
soprattutto del Gargano. A M. è intitolato il Centro Studi e
Documentazione del Parco Nazionale del Gargano sito presso il Convento di San
Matteo a San Marco in Lamis. Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica
daunica Al tempo di M. la popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa lo
stesso numero di residenti effettivi attuali. L'area abitata era più ristretta
e consisteva nel nucleo originario (Casale, Civita e Terra) e i quartieri nuovi
di San Marco, Carmine, la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria delle
istituzioni si manifestava nella scarsa attenzione verso l'igiene delle acque
del Casale (quartiere affollatissimo), originariamente buone e dolci ma
inquinate dall'incuria generale; anche le strade strette e ombrose della Civita
erano soggette ad abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi
erano larghi, puliti e soleggiati. Le Istituzioni mancavano anche laddove
era necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori
vichesi, costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti
quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste
spesso in profonde valli o zone impervie. La popolazione vichese era
laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia M. descrive i suoi compaesani come barbari e
incivili, infatti non hanno riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori
lasciano distruggere dalle loro bestie le pianticelle fruttifere e le vigne,
sono dediti all'alcol e spesso ciò li porta a risse feroci. Le donne sono
laboriose come gli uomini e sempre gentili, il frate però critica fortemente
l'usanza vichese, e delle donne dei paesi del Sud in generale, di urlare e
strepitare ai funerali, di portare il lutto a vita e di vestire sfarzosamente i
defunti; il primo comportamento denota la selvatichezza della popolazione, il
secondo uso può essere anti-economico e negativo per la società e il terzo è
uno spreco di denaro, dato in pasto ai vermi. Un difetto presente in
tutte le abitazioni vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva
provocare incendi domestici e inquinare l'aria interna. A Vico molti boschi furono tagliati per lasciare
spazio ai campi di grano, ma ciò fu improduttivo economicamente e causò lo
smottamento dei terreni in pendenza, non più trattenuti dalle radici delle
piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi distruggevano gli alberi,
picchiando forte con i bastoni per far cadere le olive; questa errata abitudine
provocava la mutilazione della pianta e una maggiore esposizione al freddo, e
conseguentemente minori raccolti per gli anni successivi. Per M., il
mancato sviluppo del Gargano e da imputare anche alla pigrizia e indolenza dei
suoi abitanti, che non erano capaci di valorizzare i loro prodotti (olive,
agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta acquistavano prodotti meno pregiati e ad
alto prezzo da altre regioni. Al fine di comprendere come le istituzioni
del tempo fossero distanti dalle reali necessità della popolazione, è
interessante la situazione che riguardò l'uso delle acque di Canneto, infatti
veniva impedito ai vichesi (anche con la forza) di utilizzare l'acqua per l'irrigazione
dei campi, perché avrebbero disturbato l'attività di un mulino sito nel
territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede ragione ai rodiani ma, per
fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata fu annullata dalla Regia
Camera. Dalla lettura di alcune pagine delle opere di Manicone è emerso
che, pur cambiando i tempi, gli usi, le risorse a disposizione, le conoscenze e
le attività, l'uomo garganico (e non solo) viveva e produceva nell'ottica del
profitto immediato, sottovalutando gli effetti che avrebbero potuto causare i
suoi comportamenti errati nella vita della futura comunità. Opere M. contesto – il contesto del contesto.
"Philosophers often say that context is very important." "Let us take this remark
seriously.’ "Surely, if we do,
we shall want to consider this remark in its relation to this or that problem,
i. e., in context, but also in itself, i. e., out of
context.” H. P. Grice, "The
general theory of context." Michelangelo Manicone. Manicone. Keywords: la
filosofia del gargano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manicone” – The
Swimming-Pool Library.
Grice
e Manilio: il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. Astronomer
and poet. He writes a long poem on astronomical matters, part of which
survives. He takes and extreme position on the subject of fate, believing that
not even thoughts – or the will -- are exempt from its influence. Marco
Manilio. Keywords: liberta, il libero. Manilio.
Grice e
Mannelli: l’implicatura conversazionale degl’eroi di Virgilio – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Grimaldi). Filosofo italiano. Grice: “Like me, Mannelli loved Kant,
Goethe, Schiller, Virgilio – and he has his own ‘palazzo’!” -- Fequenta il
ginnasio a Cosenza. Si trasferì con la famiglia prima ad Aosta, dove termina
gli studi liceali, e poi a Roma. S’interessa sempre più al mondo politico e
dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, ritorna a Cosenza e venne eletto Consigliere Provinciale. Proprio in qualità di membro del consiglio
provinciale, si adoperò in prima persona per arricchire e promuovere
l'ampliamento della Biblioteca Provinciale di Cosenza Si dedicò in tempi e con modi diversi
all'attività di approfondimento e divulgazione. Firmò una versione metrica della
Xenia di Goethe (Roma, Paravia. E tra i
maggiori contributori della più importante rivista di arti e lettere della
regione, la Calabria Letteraria. Presidente dell'Accademia Cosentina,
l'istituzione accademica calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che
nel XVI secolo ebbe come presidente Telesio.
Opere: “Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi: scultura di Cambellotti,
Reggio Calabria, Editore Il Giornale di Calabria, Paravia, Le storiche Terme
Luigiane: passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di Calabria, L'Accademia Cosentina
nella sua storia secolare e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo Serafino. Biografia
in Calabriaonline.com M. Chiodo,
L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura in Calabria. Xenia Edizione Paravia. nna Vincenza Aversa,
Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, Editore Pellegrini, Catanzaro, Accademia Cosentina Biblioteca Civica di
Cosenza Goethe Poesia "Mamma"
da "Come le nuvole” su Grimaldi Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero.
Filippo Amantea Mannelli. Mannelli. Keywords: gl’eroi di Virgilio, gl’eroe di
Virgilio, l’eroe stoico, Acri, Enea come eroe stoico, gl’eroi di Vico. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mannelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mantovani: l’implicatura conversazionale dei curiazi – percorsi di
comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Moncalieri).
Filosofo italiano. Insegna a Roma. Membro della Società Tommaso D’Aquino. Gli
ambiti delle sue ricerche spaziano sulla Filosofia della Storia, l'Ontologia,
la Teologia filosofica, e loro rapporti con la scienza. Ha compiuto studi sulla
storia del tomismo (cf. griceianismo). È uno dei maggiori studiosi e
conoscitori del realismo dinamico e di Demaria. Opere: “Fede e ragione: opposizione,
composizione?” Scaria Thuruthiyil, Mario Toso, Roma, LAS, “Quale
globalizzazione?: l'uomo planetario alle soglie della mondialità,” Scaria
Thuruthiyil, Roma, LAS, “Eleos: l'affanno della ragione: fra compassione e
misericordia,” Roma, LAS, “Sulle vie del tempo: un confronto filosofico sulla
storia e sulla libertà, Roma, LAS, “Paolo VI: fede, cultura, università,” “An Deus sit (Summa Theologiae). Fede, cultura
e scienza, Città del Vaticano, Libreria Vaticana, Didatttica delle scienze: temi,
esperienze, prospettive,” Vaticano: Libreria editrice vaticana, “La discussione
sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani” “Oltre la crisi: prospettive per
un nuovo modello di sviluppo: il contributo del pensiero realistico
dinamico Demaria. Roma, LAS,,”Momenti
del logos: ricerche del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio,
scientia): Roma, Nuova cultura, “Per una
finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive, Roma, LAS, “Una
ricognizione sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino” in Un pensiero per
abitare la frontiera: sulle tracce dell’ontologia trinitaria di Hemmerlie, Roma
Incisa Valdarno, Città Nuova Istituto
universitario Sophia, Lorenzo Cretti, La
quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione
Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Francisco de Vitoria, Sul
matrimonio, Roma, Scritti teologici inediti. Demaria; Roma,Editrice LAS. Pontifical
University of Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. su avepro. glauco. L’Università
Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione La Stampa Autorità
accademiche «Il nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don
Bosco» La Stampa, su lastampa,Conferenza Rettori delle Università e Istituzioni
Pontificie Romane, su cruipro.net. redazione, Nuovi accordi di co-operazione
interuniversitaria, su FarodiRoma, Pontificia Accademia di Aquino, su
cultura.va. Direttorio, su S.I.T.A.. Premio Mediterraneo. su Fondazione
mediterraneo. org. Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Demaria è
più che mai attuale. Fondazione Adriano Olivetti. Mauro Mantovani. Mantovani. Keywords:
i curiazi, percorsi di comunicazione, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mantovani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marassi: l’implicatura conversazionale degl’eroi di Vico – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Cardano al Campo). Filosofo italiano. Grice:
“I like Marassi; he has written a ‘natural’ history of ‘man’ – which is
interesting, ‘progetto uomo,’ he calls it!” -- Grice: “I like Marassi; he has
explored hermeneutics in the German tradition, Schleimacher to be more
specific; but has also written an essay on Heidegger; his links with me come
with his idea of metaphysics and transcendental arguments which he takes from
Kant, who he reads in both German and Italian, unlike I, or me.” – Grice: “He
has written an introduction to a comparative study of the approaches to ‘the
antique’ in both Italian and German philosophy – a fascinating topic. I suppose
the Oxonian approach, indeed Cliftonian, is a mixture of both!” Allievo di Melchiorre,
si laurea a Milano con la tesi “La differenza
ontologica in Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la co-relazione
di Bontadini. Ha discusso “Il profilo della presenza: Heidegger e il regno
della pluralità” con Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha
coordinato l'edizione dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano). Direttore del Dipartimento di Filosofia a
Milano. Dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica. Dirige per la casa editrice AlboVersorio la
collana Epoche ed è membro del comitato del festival La Festa della
Filosofia. Si occupa di storia
dell'umanesimo (BRUNI (si veda), ALBERTI (si veda), VICO (si veda)), della scolastica,
di ermeneutica (Grassi), di filosofia trascendentale, del pensiero postmoderno.
I temi della sua ricerca ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione
sui modelli storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione
dell'umanesimo italiano (Alberti, Bruni, Vico) in riferimento alla dimensione
storica e morale, l'analisi della fondazione trascendentale del sapere. Saggi:
“Ermeneutica della differenza in Heidegger, Vita e Pensiero, Milano, Schleiermacher,
“Ermeneutica,” Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Kant, “Critica del giudizio,”
Bompiani, Milano, Metafisica e metodo trascendentale,” Lotz, “La struttura dell'esperienza, Vita e
Pensiero, Milano; “Metamorfosi della
storia. Momus e Alberti,” Mimesis, Milano/ Coordinamento generale e direzione
redazionale della Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano. docenti.unicatt.
Marassi. Massimo Marassi. Marassi. Keywords: gl’eroi di Vico, Alberti, Bruni,
Vico, metamorfosi della storia – Alberti, Momus, il concetto d’eroe in Vico,
l’uomo come eroe – l’eroico, l’altruismo eroico, la nudita eroica – la nudita
eroica nella representazione degl’imperatori romani, la nudita eroica in Giulio
Cesare, la nudita eroica dell’atleta – la postura eroica dell’eroe in nudita
eroica – napoleone in nudita eroica – Mussolini in nudita eroica, la statua
equestre di Mussolini, la nudita eroica del stadio dei marmori, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marassi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Marcello: la filosofia sotto
Giulio Cesare – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A pupil of Cratippo. He has a career in public life
and is one of those who opposes to Giulio Cesare. Cesare pardons him but he is still
murdered. Marco Claudio Marcello. Keywords: Livio, Machiavelli. Marcello.
Grice e Marcello: il principe filosofo –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. The nephew of Ottaviano, and until his death, his chosen
heir. A pupil of Nestore. Marco Claudio Marcello.
Grice e Marcello: del sillogismo – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Writes about logic, including a book on syllogisms. Tullio Marcello.
Grice e
Marchesini: l’implicatura conversazionale dell’educazione del soldato –
l’implicatura del capitano – e l’amore sessuale – la società eugenica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Noventa
Vicentina). Filosofo italiano. Grice: “Cassatta has unearthed some opinions by
Marchesini which are revolutionary!” Esponente del positivismo. Alievo di Ardigò, insegna filosofia a Padova.
Direttore della Rivista di Filosofia.Diresse, anche, un Dizionario delle
scienze pedagogiche, edito dalla Società Editrice Libraria di Milano. Tradusse,
inoltre, un testo di Locke Pensieri, edito da Sansoni. Opere: “La vita,” –
Grie: “Sounds promising: a treatise on life! Cf. my ‘Philosophy of Life’”). Montagnana,
Tip. di A. Spighi, “Saggio sulla naturale unità del pensiero,” Firenze,
Sansoni, “Elementi di Psicologia tratti dalle opere filosofiche di Ardigò,” Firenze,
Sansoni, “ Elementi di logica” -- secondo le opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain
ecc., prefazione di Ardigò, Firenze, Sansoni,” Grice: “A fascinating little
book: it reminded me of Strawson’s Introduction to Logical Theory! Only
Strawson would rather die than axe me to foreword it!” –[ whereas Marchesini
commissioned his tutor to drop a word “or two””].—Grice: “Marchesini shouldn’t
be so reverential towards Ardigo.” Grice: “I count Marchesini’s oeuvre as being
by Marchesini; if I want to read Ardigo, I read Ardigo!” – “Elementi di morale,
ad uso anche dei licei, secondo le opere degli scienziati moderni, prefazione
di Ardigò, Firenze, Sansoni, “Il positivismo e il problema filosofico, Torino,
F.lli Bocca, “Le amicizie di collegio” – Grice: “I should note that Marchesini
uses ‘amecizia’ in quotes! So it doesn’t really apply to my Clifton days!” -- (con prefazione di E. Morselli e in
collaborazione con Obici), Roma, Società Ed. "Alighieri ", “Elementi
di pedagogia: Con un'appendice di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, Doveri
e diritti: ad uso delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R.
Sandron, “La teoria dell'utile,” principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo,
R. Sandron, “ Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Bocca, “
Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità e il diritto
all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, Pedagogia, Torino, Paravia, Il principio
della indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Pakdova-Verona, Fratelli
Drucker, “Elementi di logica,” ed. interamente rifusa, -- Grice: “This makes me
laugh! It’s like saying: my previous, Ardigo-based stuff, was nonsense!” -- Firenze,
Sansoni, Disegno storico delle dottrine pedagogiche, Roma, Athenaeum, “La
dottrina positiva delle idealità,” Roma, Athenaeum, “L'educazione morale,
Milano, F. Vallardi, “I problemi fondamentali della educazione,” Torino,
Paravia, “I problemi dell'Emilio” di G. G. Rousseau, Firenze, R. Bemporad e
Figlio, “La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come se,” Torino,
Paravia, “L'educazione del soldato, con 50 problemi per esercitazioni,” Firenze,
Ed. La Voce, “Il problema della scienza nella storia delle scienze: per i licei
scientifici, Milano, Signorelli, “Dizionario delle scienze pedagogiche: opera
di consultazione pratica con un indice sistematico, direttore Marchesini,
collaboratori: Antonio Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano, Soc. Edit.
Libraria, Vedi Treccani L'Enciclopedia Italiana. Ultima ristampa: Firenze,
Sansoni, Mariantonella, M. e la «Rivista di filosofia e scienze affini». La
crisi del positivismo italiano, Collana di filosofia, Angeli, Treccani L'Enciclopedia
Italiana. A proposito dei sofismi di parole ricorderemo ancora quel
capitano che avendo conchiuso col nemico
una tregua di dieci giorni, si credette lecito attaccarlo di notte. E
ricorderemo i seguenti sofismi di Eutidemo: Qualcuno che si trova
in Sicilia e vede in questo momento, col pensiero, il porto
d’Atene, vede egli le due triremi che vi si trovano? E se non vede
le due triremi, come può egli vedere il porto d'Atene? Quelli che
imparano sono essi sapienti o ignoranti? Se sono gli ignoranti che imparano,
devono apprendere ciò che non sanno; ma come si può imparare quando non
si sa neppure ciò che si devo imparare? E se Clinia risponde che sono i
sapienti che imparano, la difficoltà resta la medesima: come possono i sapienti
imparare dal momento che sanno? Chi Ba qualche cosa possiede il sapere,
eli’ 6 tutto: dunque chi sa qualche cosa sa tutto. Origine ed evoluzione
del linguaggio. La questione del linguaggio è ancora un po’ oscura, ma
fra le ipotesi cbe su tale questione si proposero, si può stabilire
quale è la più legittima. Si esclude innanzi tutto l ipotesi che il
linguaggio sia stato inventato da un uomo più intelligente, e adottato
dagli altri in virtù d’nna convenzione -- ipotesi attribuita a Democrito. Si
esclude altresi che il linguaggio sia stato l’opera di una rivelazione, o
di un miracolo. Due filologi contemporanei, Renan e Muller, attribuirono
l’origine del linguaggio a una specie d’istinto. Nell’umanità primitiva
ogni idea avrebbe suggerito per sé stessa una parola, e la medesima
parola a tutti gli spiriti. Questo istinto, col tempo, si sarebbe
atrofizzato. +A proposito di questa ipotesi si osserva ch’essa non spiega
nulla, essendo questo istinto per sé medesimo inesplicabile, ed esscudo
esso stesso, per cosi dire, un miracolo. È strano infatti che quei 400 o
500 tipi fonetici, a cui il Muller riduce le parole delle varie lingue,
aspettino, a manifestarsi, le idee rispettive. Il linguaggio, dice Humboldt, è
il prodotto necessario dello svolgimento dello spirito umano. E sta bene.
Ma questo svolgimento non è spiegato dall’istinto di Réuan o Muller,
mentre importa appunto stabilire come il linguaggio si
produca. Whitney, nella “Vita del linguaggio”, dice che l’origine
del linguaggio è dovuta al concorso di tre cause, che s’ incontrano nella
specie umana: 1° la facoltà di emettere un’infinità di suoni e di
riprodurli a volontà; 2°: il desiderio, determinato da un bisogno di
socialità superiore, di comunicare le idee per mezzo di segni; 3: la
facoltà di generalizzare, di giudicare, di concepire dei concetti e di
percepirne i rapporti. E queste sono infatti le condizioni del sorgere e
svilupparsi del linguaggio, ma come effettivamente il linguaggio sia sorto e si
sia sviluppato, Whitney non dicono. Si paragonò l’origine del linguaggio
nelle razze all’origine del linguaggio nel bambino. Il bambino, per attività
puramente riflessa, emette un grido che manifesta in lui un dolore, un
bisogno. Al grido accorre la nutrice, e accorre ogni volta che il grido
si ripete. Cosi, si va fissando un’ associazione mentale tral’atto dell’
emettere il grido e il successivo accorrere della nutrice, onde, a
chiamar questa, finuli j^ uXr ri- peterà, ma coscientemente, intenzionalmente,
il'^-WyoHl il grido assume un significato. Più tardi, altri suoni
esprimeranno il pensiero del bambino, come quando il bambino indica gl’oggetti
imitandone in qualche modo l’impressione sensibile che ne riceve. Dice ad
esempio “Jcolcò” per indicare il pollo; “mìàou” per indicare il gatto. Il
bambino produce un dato sensibile, nel nostro caso uditivo, a cui si
associeranno altri dati sensibili, come quelli visivi. Da prima il bambino
designa con questo suono non soltanto gli oggetti dai quali l’ udì, ma anche
altri oggetti consimili, che hanno in comune, oltre a quelle, altre
qualità sensibili. Con lo stesso suono e ad esempio dal bambino indicato,
da prima, ogni uccello. Le distinzioni di linguaggio verranno piti tardi,
mano mano che si distingueranno e aumenteranno nel bambino le
percezioni. Questa è, a larghi tratti, la formazione e lo svolgimento del
linguaggio, nel bambino, a cui contibuiscono in modo particolare gli
ammaestramenti speciali che il bambino riceve da chi gli apprende la
lingua. Si puo inferirne che l’origine e lo sviluppo del linguaggio
d’una razza, avviene come nel bambino. Con tale inferenza si
dimenticherebbe un fatto importantissimo, ch’è fondamento d’una netta
distinzione. Il fatto che il fanciullo nascendo porta anche per il
linguaggio delle disposizioni funzionali organiche-psichiche, diverse da quelle
che potevano avere gl’uomini primitive. Il paragone adunque, e l’
inferenza, non reggono. L’ipotesi piu accreditata intorno all’origine
del linguaggio è quella di Darwin, illustrata particolarmente da Spencer,
per cui il linguaggio è opera dell’evoluzione, come ogni altro fatto naturale
ed umano. Originariamente gl’uomini si servivano di un gesto,
indicativo o imitative. Poi, provveduti, per evoluzione organica, di
organi capaci di mandar suoni articolati, accompagnarono questi al gesto,
ed espressero cosi le proprie sensazioni e i propri bisogni, e designarono
gl’oggetti. Tale espressione e tale designazione avevano da prima
carattere essenzialmente imitativo, conservatosi, quanto al suono articolato,
nell 'onomatopeici, ed erano piuttosto istintive. In progresso di tempo, i
movimenti del gesto e dell’ articolazione si utilizzarono più largamente, e
venne cosi a sostituirsi al linguaggio naturale un linguaggio
convenzionale. Cominciato per evoluzione, il linguaggio di un Popolo, come
quello dell’individuo, continuò a svolgersi pure per legge evolutiva,
mediante i rapporti sempre più ampi e riflessi che si stabilirono
successivamente tra i segni e la cosa significata. Si ebbero cosi
nel linguaggio la forma mimica, l’ideografica, e la fonetica, e la parola
divenne per ultimo il linguaggio per eccellenza. Presso certe tribù selvage,
la parola non può comprendersi senza il gesto. Anche presso gli antichi, la
mimica aveva la massima importanza, come presso i sordo-muti, che devouo
esprimere il pensiero col gesto proprio, naturale e artificiale. La
l'orma ideografica, che troviamo presso gl’egiziani, i chinesi e
altri popoli, è un disegno abbreviato e più o meno convenzionale,
in cui ogni carattere esprime direttamente un'idea. I popoli ocei- [Innumerevoli
sono le forme che la parola assunse presso i vari popoli o razze, poiché
ogni popolo o razza ha la sua lingua. Tuttavia si riuscì a
ricondurre tutte le lingue a un piccolo numero di tipi, che sembrano
corrispondere agli stadi successivi dell evoluzione della parola. 1° Tipo:
Lingue monosillabiche (es. la chinese). Sono composte di sillabe che
costituiscono ciascuna una parola rappresentante un’idea astratta e
generale. Secondo l’ordine nel quale i monosillabi si dispongono, si
esprimono le diverse combinazioni e modificazioni delle idee. 2°
Tipo: lingue agglutinanti o poli-sintetiche (es. le lingue delle tribù
americane). Sono composte di radici di cui le une esprimono le idee più
importanti, le altre le idee accessorie: messe insieme, cosi
dal costituire spesso una parola straordinariamente lunga e complessa,
esprimono sia le modificazioni d’un idea principale, sia una combinazione
più o meno complessa di idee principali e accessorie. 3° Tipo: lingue a
flessione: (es. le lingue semitiche, e indo-europee). Sono composte di
parole ciascuna delle quali esprime un’idea principale modificata da
una accessoria. Le diverse modificazioni dell’idea principale si esprimono per
il modificarsi, per l’inflettersi, della terminazione delle parole stesse]
dentali non se ne servono più se non per certi usi (cifre, segni algebrici
eoe.). Usano invece della scrittura fonetico, in cui ciascun carattere è
il seguo non d'nu idea uia di un suono. Di questi tre tipi, il secondo
sarebbe derivato dal primo, per l’addizione delle radici accessorie alle
radici principali; e le lingue a flessione sarebbero derivate da lingue
agglutinanti piu antiche, per la fusione delle radici accessorie con le radici
principali. Con le parole non comunichiamo soltanto delle idee, ma anche
delle credenze, dei fatti. E poiché le nostre credenze, le nostre
rappresentazioni dei fatti, e la interpretazione di questi, mutano,
mutano anche i significati delle parole. Una mutazione che si può
ritenere primitiva, quanto è costante, l' abbiamo nella trasformazione del
senso di una parola, da proprio a traslato -- ciò avviene per
quella certa somiglianza che si riconosce tra il significato proprio (Sidonio:
EX-PLICATVRA), o etimologico, e quello traslato (IM-PLICATVRA). Una casa
grande e sontuosa oggi si chiama impropriamente “pallazzo,” parola che indica
prima costruzione dei Romani più antichi, eretta in onore della dea “Pale,”
nel monte Palatino. La parola “palazzo” sopravvive, ma con significato
diverso dal primitivo. “Pagano” significa propriamente l’abitante
del “pagus”. Poi, significò l’idolatra, l’adoratore di una divinità esoterica,
perché a Roma, mentre gl’abitanti delle città erano i primi a render
colto a Marte, gl’abitanti non-romani della campagna sono gl’ultimi. “Villano”
si dice propriamente chi e soggetto a minori oneri, ed e, per
conseguenza, oggetto di disprezzo da parte dell’ aristocrazia militare. Al
villano si attribusce, con qualche esagerazione, i vizi e delitti. Per
implicatura, ‘villano’ divenne perciò una qualifica ingiuriosa. Il significato
adunque di questi tre termini -- palazzo, pagano, villano -- si trasforma
generalizzandosi, come si trasformarono generalizzandosi., per citare ancora
due esempi, il termine “sale,” che propriamente designa il cloruro di sodio, e
il termine “olio” che propriamente indica soltanto l’olio d’oliva. Nella
trasformazione della parola si ha pure un processo inverso, di
specializzazione. Cosi il termine “vitriolo,” da “vitruni,” propriamente
significa ogni corpo cristallino, poi si attribui a una specie
particolare. Il termine “oppio” (da ònòg succo) propriamente vuole dire
un i succo qualunque, ora indica per implicatura soltanto il succo del
pa- J pavero. E il termine “fecula” (da foex, feccia) proprio a
significare ogni materia che si depositi spontaneamente in un liquido,
poi lo si applica per implicatura al1’ amido che si deposita quando si agita,
nell’acqua, della farina di frumento. E il significato di “fecula” si
specifica per implicatura poi ancor più, venendo a indicare un principio
vegetale particolare che, come l’amido, è insolubile nell’acqua fredda,
ma è completamente solubile nell’acqua bollente, con la quale forma
una soluzione gelatinosa. Il cocchiere chiamai suoi cavalli “le mie
bestie”. Un cacciatore può intendere per “uuccelli” le pernici. V’ è
adunque nel significato di una parola una transizione, della quale, nel suo
uso, devesi tener conto. Si consideri, ad esempio, il vario significato
della parola “lettera” (propriamente, lettera dell’alfabeto, per implicatura: lettera
missiva, letteratura) e della parola “gusto” (sentimento estetico, e
facoltà di distinguere il bello). E quanto alla *metafora*, si consideri, ad
esempio, il significato che la parola “luce” acquista quando si applica
all’istruzione, e la parola “fuoco” applicata alla collera e allo zelo. E
si considerino le parole “nascere” e “morire”, che si usano in un senso
molto piu largo che non sia quello propriamente e strettamente
biologico. A tale varietà di significato in una medesima parola,
contribuiscono anche la *metonimia* (es. “corona” per re- (/no), i
suffissi (es. pre-giudizio, di-fetto, il-limitato), le perifrasi (es. padre
della storia), la composizione (es. strada-ferrata, acquavite ecc.). Vediamo
adunque come, o per circostanze accidentali, o per bisogni veri, si trasformi
il significato di una parola, cosicché non sarebbe né possibile né
utile restar fedeli al significato proprio primitivo. E ciò dicasi
sia del linguaggio tecnico di una scienza, che si muta col
progredire e con lo trasformarsi di questa, sia del linguaggio
familiare. Non possiamo pertanto accontentarci del dizionario, dove il
senso di una parola è spesso piuttosto indicato che non esattamente precisato.
La precisione del significato deriva dall’uso, nel quale pertanto
trovasi il migliore ammaestramento. Chi tenesse a sola guida il
dizionario, non riconoscerebbe somiglianze e differenze, e anche semplici
sfumature di significato, di cui il dizionario non tiene conto. Come
avvertiamo facilmente in chi parla una lingua di cui non ha il più sicuro
e largo possesso. Giovanni Marchesini. Keywords: “L’educazione del
soldato” --. Marchesini. Keywords: l’educazione del soldato, con il capitano
Ercole Meoli, la Societa di Genetica e Eugenica SIGE – Societa Italiana
diGeneica ed Eugenica – il simbolismo – la dottrina del simbolismo – I
simbolisti – I filosofi simbolisti – I artisti simbolisti – Welby, Ogden,
Grice, ‘il simbolo del simbolo’ -- il cammino del cavaliere, codigo
cavalleresco, cavalleria, cavallo, equites romano – tutii questi appartneno
all’altro Marchesini – questo Marchesini e tradizionale --. Resf.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchesini: l’implicatura conversazionale -- postumanar, trasumanar –
sovrumanar – età degl’uomini – vico -- umanar – equites romani -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Grice:
“I don’t think Marchesini has a philosophical background, but he fascinates me!
I especially liked his idea about ‘virility’ and the idea of a knightly code –
‘codice cavalleresco’ – The other field that fascinates me is his research on
‘inter-subjectivity’ in the living form – which he now extends to plants –
‘vivente’ – Surely we don’t refer to a cat as an object – and the philosophical
keyword here is ‘threshold,’ that Marchesini aptly uses.” Cardine della sua
proposta filosoficariconducibile, seppur con caratteristiche proprie, alla più
ampia corrente del Post-humanè lo smascheramento di quell'errore prospettico
che pone l'uomo al centro e a misura dei suoi predicati. «Comincerò il
mio viaggio dal prato più bello, quello che l'aria non abbandona un istante, il
sole vi si intrappola da splendere pur di notte ed i profumi vergini coesistono
con quelli gravidi. È qui che il dio Pan cadde la notte dei tempi, da qui
iniziò il suo girovagare incerto, all'unico desiderio d'amare» (M., Il
dio Pan). Da sempre affascinato dalla natura e, in particolare, dal regno
animale, consegue la laurea a Bologna. Parallelamente agli anni di formazione
universitaria, spinto da un forte interesse verso il comportamento animale,
stringe una feconda collaborazione e amicizia con Celli, con il quale inizia a
indagare le interazioni sociali degli imenotteri. Per cinque anni conduce
ricerche “sul campo” e, con l'ausilio della macrofotografia, è in grado di
immortalare quegli attimi di vita animale altrimenti nvisibili all'occhio
nudo: rituali di corteggiamento, di accoppiamento e di trofallassi tra gli
insetti che diventeranno il viatico per tutta la sua ricerca futura. Nei
suoi studi di entomologia approfondisce l'analisi dei sistemi feromonali che
saranno tema di alcune pubblicazioni e della successiva ricerca sul
comportamento e sul benessere animale. Nella seconda metà degli anni ottanta,
sotto la guida del professor Franco Pezza, dell'Università degli Studi di
Milano, studia i metodi di allevamento, i parametri di benessere nelle aziende
zootecniche, i fattori di incidenza del rischio in zootecnia, le modalità di
individuazione dei sinistri, pubblicando alcuni lavori sulla medicina
veterinaria delle assicurazioni. Inizia così la sua collaborazione con
diversi atenei sui temi del comportamento animale, tenendo corsi e master di
etologia applicata e medicina comportamentale. Alla metà degli anni novanta
entra nel Consiglio Direttivo della Società di Scienze Comportamentali
Applicatedi cui diverrà Presidente focalizzando la propria attenzione sul
comportamento degli animali domestici, sugli stili di relazione interspecifica,
sui problemi e sulle patologie comportamentali. Osservando sul campo le
espressioni comportamentali e i processi di apprendimento degli animali, inizia
a considerare anacronistici e contraddittori i modelli esplicativi
tradizionali. In sintesi, quello che Marchesini propone nel panorama
delle scienze cognitive è un superamento dei tre modelli interpretativi al
comportamento animalequello behaviorista, quello etologico classico e quello
antropomorficoin virtù di un modello mentalistico unitario (un'unità necessaria
che la mente, come fenomeno unico, richiede), che valga sia per i processi
consapevoli che inconsapevoli e che descriva espressione e apprendimento in termini
elaborativi dell'informazione, sistemici o composizionali dellecomponenti,
solutivi e non reattivi, evolutivi e relazionali nella realizzazione
ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione di tre testi dal forte impatto
innovativo: Intelligenze plurime e Modelli cognit ivi e comportamento
animale ed Etologia cognitiva. Alla ricerca della mente animale. Gli assunti di
base della proposta di Marchesini sono i seguenti: il soggetto è immerso
in un campo di possibilità filogenetiche che definiscono il tipo di
intelligenza propensionale o specie-specificada cui l'idea di pluralità
cognitiva dove le diverse intelligenze sono comparabili ma non commensurabili;
il processo ontogenetico di costruzione dell'identità si realizza grazie alle
dotazioni innate, che ricche di virtualità evolutive, possono essere
organizzate in una molteplicità di modida cui l'idea di rapporto dimensionale o
direttamente proporzionale di innato e appreso; l'espressione del soggetto è
sempre proattiva, mossa cioè da un obiettivo, e quindi frutto di una condizione
problematica che il soggetto cerca di risolvere attraverso ricette solutive
fino al raggiungimento dell'obiettivoda cui il superamento del concetto di
rinforzo. Vi è quindi una ridefinizione della soggettività animale, come
possesso del suo qui e ora, e come capacità di mettere in dialogo tutte quelle
istanze (ontogenetiche e filogenetiche) che gli appartengono nella sua
relazione con il mondo. Bioetica e diritti animali Alla fine degli anni ottanta
si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di
sondare il rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica.
In questi anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente
a misura di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo
animale evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai
sedimentati repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi
cardine nell'attività di M.: egli si accorge che le potenzialità che è in grado
di esprimere il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale) è da
ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che la
relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto
nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse
una fonte miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è
nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio interlocutore
che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso formativo.
L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta M. alla stesura del volume
Natura e pedagogia, inizialmente nato per divenire la sua tesi di laurea, ma
pubblicato prima della conclusione degli studi umanistici. Le attività con i
bambini lo conducono in tutta Italia portando in evidenza due aspetti: il
divorzio che si è andato realizzando tra l'uomo e le altre specie nella cultura
contemporanea, con bambini che non sono in grado di relazionarsi con gli
animali e spesso nemmeno conoscono le specie domestiche; la svalutazione degli
animali e l'incapacità della società contemporanea di avere consapevolezza
dell'importanza della relazione con le altre specie per lo sviluppo della
personalità. Per Marchesini la svalutazione operata dalla società contemporanea
parte dalla perdita di quel rapporto di convivenza e di ospitalità che
viceversa ancora caratterizzava la cultura rurale. Nasce così il Concetto di
soglia (che esprime il bisogno di uscire dalla dicotomia novecentesca
dell'antropomorfismo e della reificazione dell'eterospecifico. Temi già
affrontati in due saggi precedenti, Animali di città, critico verso
l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre il Muro, critico verso
la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono gli anni in cui
riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale fondando, insieme a
colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina Golfetto, la casa
editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove ospitare riflessioni e
dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui abbraccia, senza più
abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Battaglia e a Hack a
un'intensa attività convegnistica che confluirà nella collana Quaderni di
bioetica di cui sarà direttore. Nel
sostituisce Caffo, che ne era stato fondatore e primo direttore, nella
direzione di Animal Studies: Rivista Italiana di Antispecismo. Nel
maggio esce per le Edizioni Sonda Contro
i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio
affronta il tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le incoerenze
nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che pretende di
sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice umanistica.
Il testo vede i commenti finali di Rodotà, Sax, Vallauri e Fadini. Porta
la neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno della quale compie
una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto a Fiorani e Tonutti, sia a
livello applicativo con la delineazione di protocolli operativi nelle aree
educative e assistenziali. Per ciò che concerne la zooantropologia
teorica, l'ipotesi di fondo proposta da M.i, e riconducibile alla sua teoria
della zootropia, è che gli animali nel corso della storia non abbiano funto
solo da produttori di prestazioni o di collezioni di modelli da imitare ma
altresì da alterità referenziale nei processi antropopoietici. Marchesini
sviluppa il concetto di "referenza animale", inteso come contributo
di cambiamento offerto all'uomo dalla relazione con l'etero-specifico. Gli
uccelli non hanno insegnato all'uomo l'arte di volare -- il modo di realizzare
questa attività -- ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare.
Per M.i i predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la tecnicavanno
considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro relazionale con le
altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per M. rintracciabile
nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma di una vera e propria
epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano dal suo centro
filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove possibilità
esistenziali. Per ciò che concerne la zoo-antropologia applicata,
opera una trasformazione in alcuni settori delle attività di relazione con gli
animali, dalla pet therapy alla pedagogia cinofila, impostando i
"protocolli dimensionali", vale a dire individuando nel rapporto
delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di specificità sia di ordine
relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare secondo l'approccio
dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un paziente e un animale
ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili al fruitore secondo i
suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso attività
specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di lavorare
secondo i protocolli dimensionali fonda “Scuola di Inter-Azioone Uomo-Animale
on sede a Bologna. Sii fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e
dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero
della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della
attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere
dell'animale coinvolto e il principio inter-relazionale che dal binomio
scaturisce. Pubblica “Etologia filosofica: alla ricerca della inttersoggettività
animale” con il quale inaugura la riflessione ontologica sul carattere
dell’intersoggettività animale, vale a dire su che cosa differenzia un “oggetto”
da un essere “vivente.” Rilegge l'ontologia animale in termini di
"desiderio". “Essere animale” (essere vivente) significa prima di
tutto "essere desiderante", una condizione di *non*-equilibrio che
rende due animali protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il
corso della filogenesi di specie. L'etologia filosofica diviene ben
presto un campo di ricerca entro il quale dialogano allo scopo di ridefinire i
contorni di ciò che intendiamo con essere animale. Inizia la ricerca
filosofica che va a innestarsi nella costellazione di studi definita come
post-human. È di questo period della ri-definizione dell'umano quale
entità ibrida, puntualizzato nel dettato che vede l'uomo non più misura del
mondo ma nemmeno misura di se stesso. In tale corrente filosofica ci sono per
Marchesini le giuste premesse per poter articolare la propria riflessione in
quanto il concetto di “alterità” nel progetto post-human assume un significato
molto più vasto, abbracciando di fatto le entità non umane animali e
macchiniche. Collabora con la rivista Virus inaugurando una nuova
estetica basata sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In
tale luce il Manifesto del Teriomorfismo rappresenta il documento attraverso il
quale gli artisti rifiutano il dettato antropocentrico e riconoscono la natura
ibrida di ogni processo creativo. All'interno di tale campo d'indagine
pubblica Animal Appeal e una feconda collaborazione che travalica i campi
disciplinari e rivela ancora una volta i debiti che la cultura, in questo caso
l'arte, ha contratto con le alterità. Conosce Salsano, storico, sociologo ed
editor della casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di M.
decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne dal titolo
La fabbrica delle chimere, testo che si pone a cavallo tra le precedenti
esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione
postumanistica. Esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, testo
corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che ha
suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a
divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i
rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica.
Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo
scopo di promuovere e sviluppare le tematiche legate al post-human da diverse
prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione. Innumerevoli
saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che vedranno la
pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive
la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion Species Manifesto
di Haraway. Esce per Mimesis Epifania animale. L'oltreuomo come
rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la cultura non vada pensata in
modo antropocentrico come l'esito autarchico di un processo creativo
interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale zoomorfo, ma come
una rivelazione epifania ispirata dal non umano. Torna in libreria con un
volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera.
Proiezioni per un futuro postumano (Castelvecchi). Rilegge il connubio tra
essere umano e tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico
della specie Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e
plasmatrici della tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni
scoperta, ha un effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di
imprevisto e di opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che
definiamo umano. Il mondo degli insetti (“as I observed squarrels” –
Grice) così minuziosamente osservato risulta essere particolarmente evocativo
anche da un punto di vista estetico e narrativo tant'è che dà alla luce la
raccolta di racconti lirici “Il dio Pan,” frutto in parte anche delle
osservazioni compiute tra gli imenotteri. Nei brevi racconti dedicati al
dio agreste della mitologia greca, cerca di sfatare il mito di una natura, da
un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica) e
dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che
l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte
crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la
preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito
positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto
contatto con il Roversi, altra figura che influenzerà profondamente la sua
attività futura portandola a spingersi in plurimi territori e a cavallo di
numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia, passando per la
filosofia. Pubblica il romanzo Uscendo da Lauril e la raccolta di racconti Specchio animale che
ospita la postfazione di Leonetti. Con la pubblicazione di Uscendo da Lauril in
particolare,intraprende l'esperimento di trasferire sul piano narrativo le
evocazioni postumanistiche partendo dalla poetica cyber-punk. In entrambi i
lavori è possibile ritrovare quegli elementi che contraddistinguono la speculazione
filosoficai: la dialettica tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito
della purezza originaria e di ogni forma di antropocentrismo. Esce per la
casa editrice Mursia Ricordi di animali, l'autobiografia volta a raccogliere la
storia di vita dell'etologo osservata tramite la lente dei numerosi animali che
ne hanno scandito le tappe fondamentali. -- è invece la volta de La filosofia del
giardiniere, pubblicato dalla Graphe edizioni nella collana Parva. Il libro è
composto di due parti, nella prima il lettore è condotto dalle parole a
passeggiare nel giardino, novello atelier darwiniano, con stupore e riverenza.
Nella seconda sono le immagini di alcuni giardini del mondo a far continuare la
riflessioni sulla cura, portate avanti da M. M. nel Centro Studi di
Galliera (Bologna) Progetti esteri Roberto Marchesini tiene regolarmente
conferenze in diversi paesi del mondo tra i quali: Stati Uniti, dove dal tiene annualmente una lecture presso
l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India, Australia, Francia, dove è stato
ospite della Sorbona, Spagna, Portogallo. Cura la rubrica etologia a
cadenza settimanale "Gli animali che dunque siamo" per Il Corriere
della Sera. “Intelligenza emotiva versus intelligenza cognitive” in
Pluriverso, 3, La Nuova Italia, La via vegetariana per un mondo migliore,
Vimercate, La spiga vegetariana, pagina 2:// novalogos/drive /File/ LIBRO% 20ANIMAL
%20 STUDIES %201- novalogos// drive/File/
animalstudies. R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna, Apeiron. Bioetica,
diritti animali, pedagogia e scienze cognitive. Oltre al muro, Torino, Franco
Muzzio Editore, Natura e pedagogia, Roma, Theoria, Il concetto di soglia, Roma,
Theoria, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, La fabbrica delle
chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati Boringhieri, Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni
Scientifiche Italiane, "Intelligenza emotiva versus intelligenza
cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, Bioetica e
biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech, Bologna, Apeiron,
Intelligenze plurime. Manuale di scienze cognitive animali, Bologna, Peridsa,
“Il galateo per il cane” Milano, Giunti, “Modelli cognitivi e comportamento
animale: Coordinate di interpretazione e protocolli applicative;; Contro i
diritti degli animali? Proposta per un anti-specismo post-umanista,
Alessandria, Edizioni Sonda, Vivere con
il cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De
Vecchi, Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zoo-antropologica,
Roma, Anicia, Etologia cognitiva. Alla
ricerca della mente animale, Bologna, Apeiron, Pluriversi cognitivi. Questioni
di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, Geometrie esistenziali. Le diverse
abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron, Zooantropologia. Animali e umani: analisi di
un rapporto, Como, Red, Animali in città. Manuale di zoo-antropologia urbana,
Como, Red, Homo Sapiens e mucca pazza. Antropologia del rapporto con il mondo
animale, Bari, Dedalo, R. Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia
applicata, Bologna, Perdisa, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi, Il codice degli animali magici, Firenze, De
Vecchi, L'identità del cane. Storia di una implicatura conversazionale tra
specie; Bologna, Apeiron, L'identità del gatto. La forza della convivialità,
Bologna, Apeiron, Cane & Gatto. Due stili a confronto, Bologna, Apeiron, Etologia filosofia. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman.
Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Il problema del
corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus, Tecno-scienza e approccio post-umanistico, in
Millepiani, M., Il tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista, Bari, Dedalo,
M., Filosofia postumanista e antispecismo, in Liberazioni. Rivista di critica
antispecista, L. Caffo, M., Così parlò il postumano, a cura di. Adorni,
Aprilia, Novalogos, M., Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione, Milano,
Mimesis, M. Ibridazioni e processi
evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della
tecnica, Milano, Cortina, Etologia filosofica. Alla ricerca della inter-soggettività
animale, Milano, Mimesis, Alterità. L'identità come relazione, Modena, Mucchi, Tecno-sfera. Proiezioni per
un futuro postumano, Roma, Castelvecchi, Eco-ontologia. L'essere come
relazione, Bologna, Apeiron, R. Teriomorfismo, Bologna, Hybris, Poetiche postumaniste in Polimorfismo,
multimodalità, neobarocco, Dusi e Saba, Silvana Editore,, M. , "Ontani. Argonauta
dell'ibridazione", in Ontani incontra Morandi. Casamondo, Montanari, Il Dio Pan. Racconti lirici, Firenze, Firenze
Libri, Graphe edizioni, Perugia, Uscendo da Lauril, Roma, Theoria, Specchio
animale. Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, Ricordi di animali, Milano,
Mursia, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai cani, Alessandria,
Sonda, La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla cura, Perugia, Graphe edizioni.
Blog ufficiale, su marchesini etologia. vegetti
della letteratura fantastica, Fantas cienza Academia.edu. Sito ufficiale (Scuola
di Inter-azione Uomo-Animale). Centro Studi Filosofia Postumanista diretto da. Grice:
“There are two Robeto Marchesini – but only one is a philosopher. The other
writes on ‘il cammino del cavalier’ and the ‘codice caavlleresco’ and the
equites romani, but he is not recognized as a philosopher!” -- Roberto
Marchesini. Marchesini. Keywords: terio-morfismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Marchesini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchetti: l’implicatura conversazionale della natura delle cose – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Empoli). Filosofo italiano. Grice: “I love Marchetti; for once, he
had to find vulgar terms for all of Lucretius’s learned ones! The Italians used
to call their own tongue ‘volgare’ then --; this is not easy matter (to
translate Lucretius, not to call your tongue volgare), especially since
Lucretius was often unclear to himslf – talk of my conversational desideratu of
conversational perspicuity [sic]!” -- Grice: “I like him because he axiomatised
Galilei!” Professore a Pisa, contina le ricerche di Galileo come Viviani. Collabora
con Papa. Scrive rime morali ed eroiche. L’opera cui deve la sua fama è la
traduzione “Della natura delle cose” di LUCREZIO. Considerata come un manifesto
di razionalismo, “La natura dellle cose”
influì notevolmente sul gusto arcadico per la purezza della lingua e l'eleganza
dello stile. La diffusione di idee
materialiste attira su M. l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella poesia,
non riusce ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate soprattutto da VANNI.
Per altre sue opere di successo e attaccato dagli oppositori di GALILEI. Dei “Disuniti”,
Arcadii, Fisio-critici, Risvegliati, Accademia della Crusca e Accademia
Fiorentina. Saggi: “De resistentia solidorum” (Firenze, typis Vincentij Vangelisti
e Petri Matini (Grice: “Opera abbastanza
interessante, basata sulla teoria galileiana, cui Marchetti dà una struttura
assiomatica – ripetto, ‘assiomatica’ -- rigorosa. Tratta in larga parte il
problema dei solidi di uniforme resistenza, precedendo di mezzo secolo l'importante
trattato di Grandi), “Exercitationes mechanicae” (Pisa, Ferretti); “Della
natura delle comete,” “Lettera scritta all'illustriss. sig. Francesco Redi,”
Firenze, alla Condotta, “Saggio delle rime eroiche morali e sacre,” dedicato
all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana” (Firenze, Bindi); “Anacreonte,”
radotto in rime toscane, e da lui dedicato all'altezza reale di Ferdinando
principe di Toscana, In Lucca, per L. Venturini. “Della natura delle cose libri
sei” (per Pickard) Vita e poesie da Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo
sig. cavaliere F. Feroni marchese di Bellavista patrizio fiorentino e
accademico della Crusca (Venezia, aValvasense (Contiene poesie con la “Vita” scritta
dal figlio Francesco). G. Costa, Epicureismo e pederastia: il Lucrezio e l'Anacreonte secondo il
Sant'Uffizio, Firenze, Olschki, Dizionario
di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Mario Saccenti, “Lucrezio in
Toscana: Studio su Marchetti” (Firenze, Olschki); De rerum natura Razionalismo, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Crusca. Alessandro Marchetti. Marchetti. Keywords: implicatura,
lucrezio, della natura delle cose, pederastia, il poeta filosofo, l’essamero di
Lucrezio, l’essameri di Lucrezi, il poema filosofico latino, il genero
filosofico nella poesia latina. Lucrezio, alma figlia di giove, inclita madre. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Marchetti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchi: l’implicatura conversazionale della missione di Roma – la religione
civile di Mussolini -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Potenza).
Filosofo italiano. Grice: “Marchi displays a few features hardly found at
Oxford: He edited a magazine, “filosofia mazziniana” – I can imagine Bradley
wanting to edit “Hegeliana” at Oxford – and we do have a Gilbert Ryle Room, and
an Occam Society! The other trait is illustrated by his manifesto, “La missione
di Roma,” – Churchill would have equaled with something Anglian!” Generale di
corpo d’armata italiano, Medaglia d'oro dei Benemeriti dell'Educazione
Nazionale. Insegna a Roma. Cura la pubblicazione di diverse riviste in cui si
confrontarono alcuni studiosi del primo Novecento italiano come Varisco. Tra
queste Dio e Popolo e “L'idealismo realistico.” Dio e Popolo, rivista di
ispirazione mazziniana, accoglie scritti miranti alla ricostruzione della filosofia
religiosa di Mazzini e i rapporti tra religione e stato; nega l'ateismo e
persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo realistico” raccoglie teorie
filosofiche di stampo anti-gentiliano. A
lui è dedicato il Premio tesi di Laurea “Vittore Marchi”, bandito da Roma Tre
per i neolaureati che abbiano sostenuto tesi su un argomento concernente il
pensiero filosofico antico degne di essere pubblicate; e un parco al Municipio IV.
Saggi: “La filosofia religiosa di Mazzini, in Dio e Popolo, “La missione di
Roma” o, Atanòr Ed., Il concetto e il metodo della ‘storia della filosofia,’ –
Grice: “His apt implicature is that if
you are an idealist, don’t shed your idealism when discussing J. J. C. Smart!”
-- Filosofia e religione, La perseveranza Ed., Potenza, La filosofia morale e giuridica di Gentile,
Stabilimento Tipografico F.lli Marchi, Camerino, Relazione tra la filosofia teoretica
e la filosofia pratica – Grice: “I would strongly assert that it’s the same
thing: ‘Poodle is our man in practical philosophy’ sounds obscene’” -- in L'idealismo realistico, Roma, “Le prove
dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico, Roma, Gli è stato dedicato un
parco a Roma. Gramsci (Buttigiec), Turris, Fenomenologia dell'individuo
assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee. //uni roma3/ news.php? news=603. Vittore
Arnaldo Marchi. Vittore Marchi. Marchi. Keywords: la missione di Roma, Mazzini,
filosofia mazziniana, rivista di filosofia mazziniana, gentile. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marchi: l’implicatura conversazionale dell’anima del corpo – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Brescia). Filosofo italiano. Grice: “His ‘poesia del desiderio’ is
confusing – he means tenderness, as Scruton does in his book on “Sexual
arousal”” -- Grice: “Perhaps Marchi’s most provocative piece is “L’anima DEL
corpo.” If I were to be tutored on that by Hardie, I can very well imagine
Hardie – he was a Scot – ‘what d’you mean, ‘of’?” Psicoterapeuta di formazione
reichiana, umanista, autore di scritti talvolta controversi perché a scopo provocatorio,
si define Solista ed ama stare «fuori dall'Accademia». Psicologo
clinico e sociale, politologo e autore di numerosi saggi, è stato protagonista
di varie battaglie per i diritti civili e sessuali, riuscendo con una sentenza
della Corte Suprema sulla “Vertenza tra il Presidente del Consiglio dei
Ministri, On. Emilio Colombo, e M.”, ad
ottenere la revoca dei divieti penali all'informazione e all'assistenza anti-concezionale
e ad avviare la realizzazione di una rete di migliaia di consultori
sessuologici e familiari pubblici. Fonda l’'AIED, guidando l'Associazione in
qualità di Segretario. Ha dato per oltre quarant'anni un contributo
determinante non solo alla segnalazione della pericolosità dell'esplosione
demografica (da lui definita “la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi
corollari (fame, guerre, genocidi, disastri ambientali, disoccupazione di
massa, migrazioni disperate, crisi energetica mondiale) ma anche al chiarimento
dei meccanismi psicologici che hanno finora impedito di comprendere e di
affrontare questa tragedia planetaria. Dimostrato con alcuni foto-romanzi
interpretati da noti attori (Paola Pitagora, Pagliai, Gassman, Zavattini e Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici
associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per
indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da
varie organizzazioni internazionali. --Presidente italiano di tre
importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella psico-corporea di Reich,
quella bioenergetica di Lowen e quella umanistica di Rogers. M. matura un
diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich, Lowen e
Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della
coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche
umane) e propone una teoria della
cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura
Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ” Ed. Longanesi “Lo shock primario”,
Ultima Ed. Rai-Erit) che viene proclamato “Libro del Mese”. Fonda a Roma
l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto da Filastro.
Pioniere della ricerca psico-sociale, è
stato Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica. I suoi
contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un
metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che propone una “lettura” psicologica di tali
fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista
finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche
tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale".
Si è interessato anche al teatro e alla televisione, creando programmi di cui Fellini
scrisse: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E
per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave
d'oro” con Baldini. Guzzanti ha scritto di lui: “ è un felice incrocio tra
Russell ed Allen”. Attivista per il riconoscimento dei diritti alla
contraccezione, al divorzio, all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha
fondato il Centro informazioni sterilizzazione aborto) che anticipò la legge sull'aborto
in Italia, e l'Associazione italiana per l'educazione demografica. Ha costantemente sostenuto l'importanza del
problema della crescita demografica e dei problemi economici, ecologici,
sociali e psicologici ad essa connessi. Pur essendo favorevole alla
chiusura dei manicomi, ha criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle
famiglie il problema dei malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti
in famiglia, evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in
cui avvengono gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento"
della legge 180 sulla salute mentale. Propose «una riforma radicale e
l'apertura di cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma
strutture umanizzate, oltre che di centri per l'attività riabilitativa».
Aderente al Partito Radicale, ha tenuto per tredici anni la rubrica
bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi
che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la
procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le
rendite, la libertà e l'autoritarismo. È stato autore della "Teoria
liberale della lotta di classe", nel volume O noi o loro!. Istituto di
Psicologia Umanistica Esistenziale Modello, Fondatori e Storia della Scuola -- è
mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche riconducibili alla
fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti filosofiche del
‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della psicologia
umanistico-esistenziale in particolare Rogers, Rank, Frankl, Binswanger, Boss, Jaspers,
Minkowski. Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita, che
rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.
Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia
esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale. Preferì
lavorare nell'ambito di indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi
e fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di
Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di
Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare
l'opera pionieristica di Rank con la
pubblicazione della sua opera: "Rank pioniere misconosciuto" Melusina,
Esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e antropologico
imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte come uno dei
più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza psicologica e
psicopatologica. Sentì allora l'esigenza di creare una nuova Scuola che
riuscisse a riconoscere la rilevanza di questa angoscia primaria dell'uomo e di
sviluppare un approccio originale, pluralista e non dogmatico alla sofferenza
umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre dimensioni, di approccio
simultaneoall'essere umano in terapia verbale, corporea ed esistenziale.
Si tratta di un modello che nasce sulla scia della filosofia esistenziale,
dalla quale eredita la concezione dell'uomo e della vita che rivendica
all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e, intende: offrire la
possibilità di elaborare e affrontare le tremende tensioni esistenziali di ogni
essere umano anche nel percorso di malattia psichica e somatica nel clima di
contatto empatico, di solidarietà, convogliando nel processo terapeutico il
grande potenziale di crescita e comunicazione del paziente, la sua conoscenza
dei propri bisogni, la sua creatività, l'apporto decisivo della sua
esperienza. 2) che si presenta multidimensionale, integrato e non dogmatico
alla sofferenza umana e psichica e costantemente aperto ad arricchire la
propria prospettiva teorica e clinica attraverso un confronto critico e di
fertilizzazione con altri approcci psicoterapici, e interviene su 4 dimensioni
fondamentali dell'esperienza umana: la dimensione empatico relazionale,
che definisce il nostro modo di essere nel mondo con gli altri; la
dimensione corporea, che spesso esprime sotto forma di tensioni e dolori
muscolari la sofferenza psicologica; la dimensione esistenziale, che
riconosce l'importanza del senso che si riesce a dare alla propria
esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la rilevanza sintomatica
della sofferenza psicologica e psicopatologica. Un esempio di testo provocatorio, scritto
senza avere alcuna competenza in infettivologia, è il seguente sulla cospirazione
dell'AIDS: AIDS......affare multi Miliardario, su mednat.org. e Aids, la grande truffa continua in: L.M., Il nuovo pensiero forte. Marx è
morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio; altri scritti di critica, più
documentati, hanno riguardato le sue critiche alle prassi della chemioterapia
dei tumori e gli effetti collaterali, come in Kaputt tutta la ricerca sul
cancro? sempre in De Marchi, op. cit. lo
psicologo che inventò l'Aied Repubblica
Addio a Marchi, lo psicologo che
inventò l'Aied L. De Marchi, Il Solista Autobiografia
d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali, Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine,
su lucabagatin.ilcannocchiale. Opere:“Sesso e civiltà,” Laterza; “L’orgasmo” Lerici,
Sociologia del sesso, Laterza, Repressione sessuale e oppressione sociale,
Sugar, Wilhelm Reich Biografia di un'idea, Sugar, Psico-politica, Sugar, Vita e
opere di Reich, Sugar, Scimmietta ti
amo, Longanesi, Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle
Torri Gemelle, Poesia del desiderio, La Nuova Italia, Seam, Perché la Lega,
Mondadori, Il Manifesto dei Liberisti Le idee-forza del nuovo Umanesimo
Liberale, Seam, Aids. La grande truffa, Roma, Seam, O noi o loro! Produttori
contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti,
Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali,
Psicoterapia umanistica. L'anima del corpo: sviluppi (Franco Angeli, Reich Una formidabile avventura scientifica e
umana, Macro Edizioni, Il nuovo pensiero forte Marx è morto, Freud è morto e io
mi sento molto meglio, Spirali, Svolta a destra? Ovvero non è conservatore chi
combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio Editore, La
Psicologia Umanistica Esistenziale Rivista delle Psicoterapie, Roma “La
Sapienza”, Associazione italiana per l'educazione
demografica, Reich luigidemarchi.blogspot.com
openMLOL Horizons Unlimited srl. Radio Radicale. Istituto di Psicologia
Umanistica Esistenziale IPUE, su ipue. Archivio IPUE, su M.. wordpress.com.
Archivio della rubrica "Controluce" che Marchi teneva su Radio
Radicale,, Renato Vignati Luigi De Marchi, un pioniere della psicologia
italiana in Psychomedia, R.Vignati Lo sguardo sulla persona. Psicologia delle
relazioni umane, Libreria universitaria edizioni, Padova. Luigi De Marchi.
Marchi. Keywords: l’anima del corpo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Marziano: il principe filosofo –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Marziano is a philosophy teacher to Ottaviano. Marziano
Grice e Marco: filosofo principe – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. There is a tradition that Marco is a philosopher who rules the Roman
empire between the death of Gordian III and the accession of Philip. Marco
Grice e
Marconi: l’implicatura conversazionale del linguaggio privato – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice:
“Perhaps his most brilliant exegesis on ‘Vitters’ is that about what Marconi
calls ‘linguaggio private,’ as in Robinson Crusoe. Not!” -- Grice: “Marconi has
attempted to ‘formalise’ dialectic – as in Oxonian dialectic – which is what
Zeno was trying to do with his reductio ad absurdum.” Grice: “While Marconi
starts alright, with Frege, he gets entangled with ‘Vitters;’ p’rhaps his
innovative approach is best seen in phrases like ‘il significato eluso’, which
may describe my implicature; but points to an etymology: ‘eluso’ is indeed
‘eluso,’ and means ‘ex-ludic,’ out of the game. The idea being that the game is
a simulated fight, and by eluding a punch from your adversary, you are, well,
‘implicating’!” Professore a Torino, studia con Pareyson a Torino e con
Rescher, Sellars e Thomason a Pittsburgh, dove studia Hegel. Grice: “In Italy, it is not considered
Italian to get your PhD without – not within – Italy. Similarly, at Oxford, you
cannot get your B. A. Lit. Hum. anywhere
else if you want to be regarded as Oxonian. That’s why I never considered B. A.
O. Williams an Oxonian!” -- Noto per i suoi contributi su ‘Vitters,’presenta
diversi risultati, specie riguardo alla semantica. Su questi temi ha pubblicato
“Filosofia e scienza cognitiva (Laterza). Cura con Ferraris la nuova edizione
della Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società
Italiana di Filosofia Analitica. Saggi: “Il mito del linguaggio scientifico” studio
su Vitters, Milano, Mursia, Dizionari e
enciclopedie, Torino, Giappichelli, “L'eredità di Vitters” Roma, Laterza, Lampi
di Stampa; “La competenza lessicale,” Roma, Laterza, “La filosofia del linguaggio.” Da Frege ai giorni
nostri, Torino, Pomba, “Filosofia e scienza cognitiva,”Roma, Laterza, “Per la verità: relativismo e la filosofia,”
Torino, Einaudi, “Verità, menzogna” – Grice: “The etymology is an interesting
one; since menzogna is cognate to my meaning, so Marconi actually means ‘truth’
versus ‘trust’ – or honesty versus dishonesty – seeing that one can ‘lie’ while
asserting a truth – provided the utterer thinks ‘p’ is ‘false’.” Grice: “But
this is a commissioned thing, so it shouldn’t count as it is Marconi discussing
with a priest!” Trento, Il Margine,; “Flosofia e professionismo,” – Grice: “His
implicature, and a right one, too, is that philosophy is a profession, which
reminds me of ‘A Room with a view’: “And what, Sir Cecil, is your profession?”
“I don’t HAVE a profession!” -- On the
other hand, his translation of my ‘metier’ (mestiere) is an interesting one
(The tiger’s métier is to tigerise). Torino, Einaudi,.“La formalizzazione della
dialettica”: Hegel, Marx e la logica,”Torino, Rosenberg); “Guida a Vitters Il
«Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio
privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Roma, Laterza, Filosofia analitica,
Prospettive teoriche e revisioni storiografiche. Milano, Guerini, Vercelli,
Mercurio, Scritti sulla tolleranza di Locke, Torino, POMBA, Saggi su Marconi, “Il
significato eluso” saggi in onore di Marconi, numero monografico della «Rivista
di estetica», Treccan Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Intervista di M. Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica,
sito dell'Università degli Studi di Milano. Diego Marconi. Marconi. Keywords:
linguaggio privato, il significato non eluso, alusione ed elusione, eludire,
aludire, l’alusion elusa, l’aluso eluso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marconi”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mariano: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Capua).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mariano: his study of Risorgimento applying the philosophy of history is
brilliant” Fedelissimo allievo di Vera, insegna a Napoli. La sua indagine e prevalentemente orientata verso
l'interpretazione di Hegel. Si colloca insieme a Vera in quella tendenza che
privilegia l'interpretazione sistematica e razionale. Inserì talvolta temi non
strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra l'altro che la
filosofia deve essere compiuta dalla religione" (Dall'idealismo nuovo a
quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane),
trattando riguardo a ciò che dell'idealismo di Hegel è morto e di ciò che non
può morire", argomento precedentemente trattato da Croce, il quale
risponde aspramente alle argomentazioni proposte da M.. “M. non ha mai capito
nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha meditata
seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne ha mai
letto le opere. Immaginarsi che M. si
afferma hegeliano, mentre sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane
insuperabile il mistero; che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche
senza il mondo; e che la filosofia deve essere compiuta dalla religione! Insomma,
ciò che di Hegel "non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai
detto perché affatto indegno della sua mente altissima.» Si schierò a
favore del mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo
con iVera (La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera Napoli. ), uno
dei più autorevoli difensori del mantenimento di questa pratica. È ancora Croce
che commenta con grave disappunto l'argomento. “Notiamo in ultimo che sempre
riecheggiando i vaniloqui di Vera, M. si professa filosofico difensore della pena
di morte: come se la maggiore o minore opportunità di mettere i delinquenti in
segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli, garrottarlie
impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma Mariano ama tutte le cause
generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino i limiti della
filosofia.» E anche saggista con un gusto per la "critica della
critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Balduino") –
filosofica -- non trascurando l'arte che annetteva strettamente alla morale.
Rivolse la sua indagine anche al rinascimento con un Saggio biografico critico
su Bruno La vita e l'uomo. Pubblica nche una monografia "apologetica"
di Vera. La sua produzione fu in un secondo momento soprattutto riferita alla
storia, in particolare la storia del cristianesimo e quella delle religioni in
genere, argomenti affini anche alla materia insegnata presso l'università
napoletana. Non sono presenti particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu
uno dei primi a discutere la tesi proposta da Croce riguardo alla riduzione
della storia al concetto di ‘arte. Saggi: “L’Eraclito di Lassalle: saggio
sulla filosofia hegeliana” (Cf. Speranza e ill suo Grice: saggio sulla
pragmatica oxoniense”), “Il Risorgimento
italiano secondo i principi della filosofia della storia,” ““La libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, “Vera.”
Saggio critico, Roma, Civelli, “L'individuo e lo Stato nel rapporto sociale.
Milano, Treves, “Il Machiavelli di Villari,
Roma,” Loescher, (cf. “Il Grice dello Speranza”), Leopardi, Roma, Tip. Botta, La
pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera, Napoli. Carlo Maria Curci,
Milano, Vallardi, Vera. Necrologio, Annuario Napoli, Dio secondo Platone,
Aristotele ed Hegel, Acc. SMP Napoli. Atti, Biografie del Machiavelli, 1Arte e religione, Il brutto e il male nell'arte. Il brutto e il
male nel romanzo moderno, Dall'idealismo nuovo a quello di Hegel, Motivi,
risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti
dello stato con la religione, Firenze, Civelli, Il problema religioso in Italia,
Roma, Civelli, La riforma ecclesiastica in Italia, Il diritto, Cristianesimo,
cattolicesimo e civiltà, Papato e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma,
Artero, Buddismo e cristianesimo, La Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla
della Domenica», La conversione del mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo
dei primi secoli. Capua, gli ha dedicato una strada, sede, tra l'altro, del
Banco di Napoli. La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta
da Croce, Armando Balduino, Storia
letteraria d'ItaliaL'Ottocento, III,
Piccin Nuova Libraria, Piero di Giovanni, Gentile, La filosofia italiana tra
idealismo e anti-idealismo, Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica
conversazionale: tra griceianismo e anti-griceianismo.” Franco Angeli, Paolo
Malerba, Luciano Malusa,, sito della Società filosofica italiana Guido Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Raffaele Mariano. Mariano. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mariano” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Marin: l’implicatura conversazionale e l’ottimo precettore – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Venezia). Filosofo italiano. Grice: “I
like Giovanni Marin; for one, he loved, like I do, rhetoric – in his own
Venetian kind of way!” Nato dal nobile
Rosso Marin, studia con profitto sotto l'insegnamento di Feltre, dal quale
apprese la retorica. Frequenta il ginnasio, presso il quale recita eloquenti
orazioni in encomio agli uomini illustri veneziani. Si laurea a Padova. Ambasciatore
della Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi presso Firenze.
Rosmini, Carlo de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e disciplina
di Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto. Giovanni Marin. Marin.
Keywords: l’ottimo precettore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marin” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Marliani: l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mariliani; especially the cavalier way in which he refers to philosophers in
his brilliant “De secta philosophorum.” Austin would say that there possibly
are sects and sub-sects!” Fglio del patrizio milanese Castello Marliani. Studia
a Pavia sotto PELECANI. Entra nel Collegio dei intraprese una carriera
nell'insegnamento della filosofia e astrologia. Attivo a Milano e Pavia. Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a
capo del Ducato di Milano, appartenente a una famiglia ghibellina, aumenta il prestigio.
Ottiene la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del
Secchia nei pressi di Moglia, nel Mantovano.
Alla morte del duca Francesco Sforza, scrisse una lettera al nuovo duca
Galeazzo Maria Sforza in cui dichiara di essere stato richiesto da molti Studi
in diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a
Milano e di ricevere un aumento di salario. Il Consiglio segreto di Milano intercedette
presso lo Sforza in favore di Marliani, esaltando la sua fama anche oltre i
confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi, acconsente per
conferirgli un'assegnazione annua di 1 000 fiorini, il più alto salario
riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la reggenza di Ludovico il Moro
ottenne i dazi di Gallarate e della sua pieve. I suoi studi lo portarono ad
essere tra i più grandi scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in discussione
Bradwardine e Sassonia. Nel suo saggio,
“Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasis distingue la temperatura dell'organismo dalla
quantità e dalla produzione del calore naturale del corpo e sostenne che la
produzione del calore naturale è più elevata in inverno che in estate. Si reca
a Novara dal conte Vimercati, colpito da problemi respiratori e cura Rinaldo
d'Este da una gravissima malattia che lo colse durante una visita alla corte
milanese. Raggiunse i vertici della propria carriera e presta le sue doti di
medico a Federico I Gonzaga. Le opere del Marliani furono oggetto di studio da Vinci,
che lo cita in diverse occasioni nel suo Codice Atlantico. Ebbe tre figli: Paolo, Gerolamo e Pietro
Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne all'inizio. Saggi: “Quaestio
de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de
antiperistasi,” “Disputatio cum Iohanne Arculano de materiis ad philosophiam pertinentibus,”
“Quaestio de proportione motuum in velocitate,” “Algebra Algorismus de
minutiis,” “De secta philosophorum,” “Probatio cuiusdam sententiae,” “Calculatoris
de motu locali.” Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Marliani. Marliani. Keywords: implicatura,
Vinci. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marliani e le sette filosofiche” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Marotta: l’implicatura conversazionale di Mario l’epicuro – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I
like Marotta; the idea of a library for the Istituto Italiano per gli studi
filosofici’ at Via Monte di Dio, 11, is a geniality!” Si laurea con il massimo
dei voti a Napoli, presentando la tesi, La concezione dello stato in Hegel.” Si
interessa presto di storia, letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima
all'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce, poi fondando
l'associazione Cultura Nuova che diresse organizzando manifestazioni e
conferenze rivolte ai filosofi che richiamarono tutte le più grandi personalità
della cultura Italiana. Incoraggiato
dagli auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei
Cerulli, di Piovani e di Carratelli, fonda a Napoli l'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, del quale è Presidente. Donato, all'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, la biblioteca personale, con una dotazione di oltre 300.000
volumi frutto di trent'anni di appassionata ricerca. Per i suoi importantissimi
apporti al mondo della filosofia ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di
ricerca e di formazione di rilievo internazionale. Ha vinto la sezione Premio Speciale del Premio
Cimitile. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in Filosofia
dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e
dalla Seconda Napoli. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato
conferito, nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix
Jacques Muehlethaler, "Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento
artistico culturale "Esasperatismo Logos & Bidone". G. Capaldo, Fondatore
dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, Claudio Piga (cur.), Per
Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Marotta, Arte
Tipografica, Napoli, Registrazioni di Gerardo Marotta, su Radio Radicale, Cinquantamila
Giorni de Il Corriere della Sera. Gerardo Marotta. Marotta. Keywords: Mario
l’epicuro, il concetto del stato, il risorgimento – la recezione di Hegel in
Italia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marotta” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Marramao: l’implicatura conversazionale del kairós – apologia del tempo debito
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Catanzaro).
Filosofo italiano. Grice: “Surely Marramao’s theory of
time-relative identity is more complex than Myro’s! (Myro never read Heidegeer
and was proud of it, can you believe it! He was born in Russia and studied in the New World – so
that’s understandable!” - Grice: “I like Marramao – he has philosophised on
many things, usually homoerotic: Kairos – the opportune time – and its iconography,
and Jesus against power” Essential Italian philosopher.
Allievo di Garin, si laurea Firenze. Pubblicato Comunismo, laburatismo e
revisionismo in Italia, rintraccia in Gentile la chiave di volta filosofica del
comunismo italiano. Insegna a Napoli. -- è uscito il suo saggio Il politico e
le trasformazioni, nel quale pone a confronto le tematiche del
comunismo/laburismo, con le analisi delle trasformazioni. A partire da “Potere
e secolarizzazione” elabora una teoria simbolica del potere (e del nesso
politica-tempo) incentrata sulla ricostruzione archeologica' dei presupposti
del razionalismo. Fondamentali, nel dibattito politico-culturale e filosofico le
sue collaborazioni a Laboratorio politico e il Centauro. Direttore della
Fondazione Basso-Issoco. Insegna a Roma. Muovendo dallo studio del comunismo italiano
(comunismo e laburatismo e revisionismo in Italia, Austr-omarxismo e socialismo
di sinistra fra le due guerre), analizza le categorie politiche (Potere e
secolarizzazione), proponendone, in dialogo con i francofortesi (Il politico e
le trasformazioni) e con Weber (L'ordine disincantato), una ricostruzione
simbolico-genealogica. Nelle forme di organizzazione sociale si depositano
significati che derivano da un processo di secolarizzazione civile di un contenuto
sacro religioso, ossia dalla ri-proposizione in dimensione mondana o secolare dell'orizzonte
sacro simbolico. Il laico o pro-fano ha il suo centro in un processo di
temporalizzazione della storia, in virtù del quale le categorie del tempo (che
traducono l'escatologia in una generica apertura al futuro: progresso, ri-voluzione,
liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni
politiche. Su queste considerazioni, riprese anche in “Dopo il Leviatano, Passaggio
a Occidente. Filosofia e globalizzazione, La passione del presente, Contro il
potere, si è innestata via via una tematizzazione esplicita del problema della
tempo, che per molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno all’accelerazione
e al rapporto politica-velocità, sia i temi della svolta spaziale. Contro le
concezioni di Bergson e Heideggeri, che delineano con sfumature diverse una
forma pura della tempo, più originaria rispetto alla sua rappresentazione spaziale,
argomenta l'inscindibilità del nesso spazio-tempo e, richiamandosi tra l'altro
alla fisica, ri-conduce la struttura del tempo a un profilo a-poretico e
impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento
formale per ri-solvere i paradossi. (Minima temporalia, e Kairós. Apologia del
tempo debito. Lectio magistralis. Roma
Tre, Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano. Figure del conflitto.
Studi in onore. a c. di A. Martinengo, Casini,
Roma, D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano.
Roma Tre, su host.uniroma3. Video intervista al Festival della Filosofia su
asia. Giacomo Marramao. Marramao. Keywords: Grice – ontological Marxism,
marxismo ontologico, lavoro e essistenza, comunismo, Kairós – apologia del tempo debito, la
filosofia della storia nella antica Roma, storia lineale, storia circolare,
l’eterno retorno nella scuola di Crotone, Gentile, dopo il leviatano, il
comune. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Marrameo," The Swimming-Pool Library, Villa Speranza,
Liguria, Italia.
Grice e
Marsili: l’implicatura conversazionale del cimento – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Siena). Filosofo italiano.
Grice: “I like Marsili, and the founder of the ‘accademia del cimento.’
‘Cimento’ you know, means ‘experiment,’ – only in Florence!” Si laurea a Siena.
Insegna a Siena e Pisa. Conosce Galilei. Dei cimentanti. Le sue convinzioni
dichiaratamente lizie gli impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propone
un esperimento per capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico
durante l'esperienza di Ruberti contenesse esalazioni di mercurio. Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro
Marsili. Marsili. Keywords: il cimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Marsili” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Martelli: l’implicatura conversazionale -- etica e storia -- l’assassinio di
Giulio Cesare – filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Marco in Lamis). Filosofo italiano. Grice:
“I like Martelli: he wrote on Croce, Gramsci, and Nietzsche!” Insegna a Urbino.
Prtecipato a lungo alla lotta politica in formazioni marxiste nate a cavallo
del Sessantotto. D Ha diretto il master interfacoltà «Management etico e
Governance delle Organizzazioni». Collabora con MicroMega (periodico). I suoi studi si sono concentrati su Nietzsche,
Gramsci, e di numerosi autori del Novecento, affrontando alcune tra le più
dibattute vicende e problematiche filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Si è
occupato di temi di forte attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta
ad una critica radicale del dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in
generale di ogni forma di assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i
diritti civili, le istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo aimpegno
di saggista è rivolto in particolare alla difesa della laicità, contro
l'interventismo politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Saggi: “La
felicità e i suoi nemici: apologia dell'agnosticismo,” Manifesto, “Il laico
impertinente: laicità e democrazia nella crisi italiana,” Manifesto, “La Chiesa
è compatibile con la democrazia?” Manifestolibri, “Italy, Vatican State, Fazi,
“Quando Dio entra in politica, Fazi, Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa
Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del terrore. Filosofia, religione,
politica dopo l'11 settembre, Manifesto, Il secolo del male. Riflessioni sul
Novecento, Manifesto, Etica e storia. Croce e Gramsci a confronto, La città del
sole, I filosofi e l'Urss. Per una critica del «Socialismo reale», La città del
sole, Gramsci filosofo della politica, Unicopli, Nietzsche inattuale, Quattroventi,
Filosofia e società in Nietzsche, Quattroventi, Urbino "Carlo Bo"
Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche Laicità
Il laico impertinente: il blog di Michele Martelli, su
michelemartelli.blogspot.com. Michele Martelli. Martelli. Keywords: l’assassinio
di Giulio Cesare, il laico, la religione civile dell’antica roma -- -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Martinetti: l’implicatura conversazionale -- i veliani e l’amore alcibiadico – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pont Canavese). Filosofo
italiano. Grice: “I like Martinetti;
he wrote about eros, or as the Italians call it, ‘amore,’ – a different root
from cupidus, too! He edited a platonic anthology.” “He also has a strange
treatise on ‘the number’ which post-dates Frege!” -- «Di sé soleva dire di
essere un neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro secolo» (Cesare
Goretti). Professore di filosofia, si distinse per essere stato l'unico filosofo
che rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al Fascismo. E il primo
dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza contare una bambina che morì
piccolissima) di un avvocato. Dopo aver frequentato il Liceo classico Carlo
Botta di Ivrea, si iscrisse a Torino, dove ebbe come insegnanti Allievo, Bobba, Ercole, Flechia e Graf, laureandosi
con una tesi, “Il Sistema Sankhya: un Studio sulla filosofia nell’India”
discussa con ERCOLE, docente di filosofia teoretica, pubblicata a Torino da
Lattes e, grazie all'interessamento di Allievo,
risulta vincitrice del Premio Gautieri. Dopo la laurea M. fa un soggiorno
di due semestri presso l'Lipsia, dove poté venire a conoscenza del fondamentale
studio di Garbe sulla filosofia Sāṃkhya. Si può dunque "ipotizzare che tra
gli scopi del viaggio vi fosse anzitutto quello di approfondire gli studi
dell’India, iniziati a Torino con
Flechia e 'Ercole." Iinsegna filosofia nei licei di Avellino,
Correggio, Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino. Compone la
monumentale “Introduzione alla metafisica” e “Teoria della conoscenza”, ch
edopo che consegue la libera docenza in
Filosofia teoretica a Torino gli valse di vincere il concorso per le cattedre
di filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano,
che diventa Regia Università degli Studî, nella quale insegna. Divenne socio
corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze
e lettere, fondato da Napoleone sul modello dell'Institut de France.
Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare
figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come
ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali
antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la prima
guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli ordini
sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali dà un primato
effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia moralmente
l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della nazione strappa
gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di
violenze e di dissolutezze. In seguito a quelle che qualifica di circostanze
pesantissime -- la marcia su Roma e la successiva nomina di MUSSOLINI a
presidente del Consiglio -- rifiuta la nomina a socio corrispondente dei reali
lincei. Mentre nelle sue lezioni sviluppa un sistema di filosofia della
religione, inaugura a Milano una Società di studi filosofici, formata da un
gruppo di amici in piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico dove
si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e in cui
organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da Banfi e
da Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni,
riunite sotto il titolo comune di “Il compito della filosofia nell'ora
presente” segnano la sua rottura con Gentile. In seguito ad una denuncia per vilipendio
della eucaristia» presentata a Mangiagalli, dove sottoscrivere un memoriale in
difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione. Incaricato dalla
Società filosofica italiana, organizza e presiedette il congresso di filosofia.
L'evento e sospeso dopo solo due giorni da Mangiagalli a causa di agitatori. Il congresso e poi chiuso d'imperio dal
questore. Da un lato incise l'opposizione di Gemelli, fondatore dell'Università
Cattolica, che fac parte del Comitato organizzatore (quale rappresentante
dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di M., non e tra i relatori. Dall'altro
lato la partecipazione, fortemente voluta da M., di Buonaiuti, scomunicato
"expresse vitandus" dal Sant'Uffizio, dette ai filosofi cattolici
neoscolastici la scusa per ritirarsi dal congress. Le minute cronache del
congresso hanno già messo in luce come M. nell'assolvere al compito di
organizzatore dell'incontro, assunto con una apparente riluttanza, operasse
assai poco da ingenuo filosofo fuori dal mondo. Al contrario, ricorrendo a una
certa qual abile ruse egli mise assieme un programma che costituiva quanto di
più ostico potesse risultare ai palati dei cattolici fascisti sia dei filosofi di
regime. Martinetti firma con Goretti (segretario del Congresso) una lettera di
protesta al rettore Mangiagalli: «Compiamo il dovere d'informarla che
conforme al suo ordine il congresso si è sciolto senza incidenti. Sciogliendosi
ha votato all'unanimità il seguente ordine del giorno di protesta: Il Congresso
della Società filosofica italiana riunito in Milano: avuta comunicazione che è
stato rivolto alla Presidenza un invito superiore achiudere i lavori del
Congresso. Protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione
italiana contro un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione
filosofica ed invano pretende di vincolare la vita del pensiero.» M. fu
il direttore della Rivista di filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi
comparve mai come tale. Tra i collaboratori della rivista vi furono: Carando,
Bobbio, Geymonat, Fossati (che
ufficialmente ne era il direttore responsabile), Solari, Levi, Grasselli, e
Goretti.. Quando il ministro dell'educazione Giuliano impose ai professori il Giuramento di fedeltà al Fascismo,
Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin dal primo momento: “Eccellenza!
Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato
le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le
considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un
atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in
nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni morali più
profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto
quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia condotta di
funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso
vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza. Ho sempre diretta la mia
attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso
in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste
esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che
la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere
nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra
considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col
giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a
smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che questo non è
possibile. Con questo non intendo affatto declinare qualunque eventuale
conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che l'E.V. mi abbia dato
la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non da una disposizione
ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare contro ai principî
che hanno retto tutta la mia vita. Dell'E.V. dev.mo Dr.” In una
lettera a Cagnola scrive: «Ella ora saprà che io sono uno degli undici
(su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che hanno rifiutato il
giuramento di fedeltà e che perciò sono stati o saranno fra breve espulsi
dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: Ruffini, Carrara, De
Sanctis, Vida, Volterra, Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce non tanto la
cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia rumore
intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile quanto
una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento. E in un'altra lettera ad
Adelchi Baratono. Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli undici)
per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della
terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia
oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i persecutori.» Come
scrive al proposito Minazzi. M. ha infine opposto un netto rifiuto a sottostare
al giuramento preteso e voluto dalla dittatura da tutti i docenti universitari
italiani. Giustamente occorre sempre sottrarre, criticamente, questo
straordinario gesto martinettiano, invero assai emblematico, da ogni ottundente
e vacua retorica antifascista, onde comprenderlo in tutta la sua genesi specifica.
Nel caso di M. non può allora essere certamente negato, in sintonia con Alessio,
il carattere dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla,
lo ha infine indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha
avuto l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza
compromessi all'imposizione del regime. In questa prospettiva M. non ha giurato
proprio perché nutriva una particolare percezione critica dello stesso
"giuramento" in connessione con i suoi più profondi convincimenti
morali che avevano peraltro guidato tutta la sua attività di filosofo.
Tuttavia, nel riconoscere questa precisa matrice religiosa della sua scelta,
non deve essere neppure negato il suo specifico valore e il suo preciso
significato civile, culturale e anche filosofico.» Scrive in proposito Vigorelli.
Una certaretorica resistenziale si è impadronita anche di M. , impedendo un
approfondimento più serio e radicale dei tratti originali del suo antifascism0.
L'atto di M. non era cioè solo un monito
contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni forma di
politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra
religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa di
forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non
sempre si ama ricordare che l'avversione di M. al fascismo era innanzi tutto
avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche all'esaltazione
demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura, Martinetti fu
critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della democrazia, di cui
colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e
dell'ultraparlamentarismo» In seguito a questo suo rifiuto, M. venne messo
in pensione d'autorità e si dedicò
unicamente agli studi personali di filosofia, ritirandosi nella villa di
Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di nascita. In questo
lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò
approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata con la Introduzione
alla metafisica e continuata con La
libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo; Ragione e fede. M.
propose come suoi successori a Milano Baratono e Banfi. Lontano da ogni forma di impegno
politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle
degenerazioni del parlamentarismo, prese ad annotare minuziosamente sul suo
diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti esponenti
fascisti. così ad esempio a fronte di una serie di scandali annotava "è
dunque l'associaz[ione] dei malviventi d'Italia!" Come persuadersi che uno
stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal
terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al
servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli
intelligenti possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre all'estrema
rovina? Si scagliava nei suoi appunti contro il dispotismo che accomunava
socialismo marxista e fascismo: "Tutto deve servire alla propaganda e alla
educazione di stato. Non vi è più libertà di pensiero, non vi è più
pensiero". A questo proposito Vigorelli evidenzia «il valore pedagogico, di educazione alla
libertà, che l'esempio morale di M. ebbe per quella generazione di
intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un decisivo punto di
riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente diretta»
L'arresto e il carcere M. e arrestato in casa d Solari, dov'era ospite, in
seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino Segre), agente dell'OVRA
(delazione che porterà all'arresto e alla condanna al confino di Antonicelli,
Einaudi, Foa, Giua, Levi, Mila, Monti, Pavese,
Zini e di due studenti, Cavallera e Perelli, e all'ammonizione di Bobbio), ed e
incarcerato a Torino per sospetta connivenza con gli attivisti anti-fascisti di
Giustizia e Libertà, benché fosse del tutto estraneo alla congiura anti-fascista
degli intellettuali che facevano riferimento a Einaudi. Al momento
dell'arresto, a detta della signora Solari, M. dice una frase che aveva
già sentito pronunciargli più volte. Io sono un cittadino europeo, nato per
combinazione in Italia. Il suo declino fisico comincia in seguito a una
trombosi che menomò le sue capacità mentali, consecutiva ad una caduta
accidentale da un pero nella tenuta di Spineto. Alla fine ubì una prima
operazione alla prostata. La sorella Teresa scrive a Cagnola: "Il
Professore è da oltre un mese degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza
trasportato ed operato in seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento
chirurgico avviene in questo caso in due tempi: operazione preliminare alla vescica,
per ovviare immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e
susseguente operazione alla prostata che ne è la causa originale. La prima
operazione già venne effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che
il tempo opportuno per procedere alla seconda."[ M. fu ricoverato all'ospedale Molinette di
Torino, sfollato a Cuorgnè, dove muore, dopo aver disposto che nessun prete
intervenisse con alcun segno sul suo corpo. Nonostante "l'invito del
parroco di Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso
anche nella morte perché aveva disposto di essere cremato" una decina di
persone seguirono l'autofurgone che portò il corpo di M. alla stazione, da dove
partì in treno per Torino, per la cremazione. In prossimità della morte M.
lascia la sua biblioteca in legato a Nina Ruffini (nipote di F. Ruffini), G.
Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi
alla "Fondazione M. per gli studi
di storia filosofica e religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del
Rettorato alla Biblioteca della Facoltà di
Filosofia. La sua casa di Spineto
è attualmente sede della "Fondazione Casa e Archivio Piero
Martinetti", che intende promuovere la diffusione del suo pensiero e della
sua operae. FiLa filosofia di M. è un'interpretazione originale
dell'idealismo post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico
trascendente che va da Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista
trascendente, un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico
che fu Spir, il quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o Spinoza) fu il
filosofo preferito di M., quello a cui fu più particolarmente legato, sulquale
scrisse molti studi e un denso saggio monografico e al quale fece consacrare il terzo numero della
Rivista di filosofia, filosofo che fu come lui profondamente inattuale. Professò
una altissima stima per l'opera di questo solitario filosofo, tanto da
considerarla "immortale: in essa infatti vede un tentativo d'un rinnovamento
speculativo-religioso di tutta la filosofia.
Il carattere speculativo dell'interpretazione d iMartinetti dipese da
particolarissime circostanze. La speculazione di Spir esercitò sul pensiero suo
un influsso profondo sin dagli inizi; e anche nella costruzione dell'idealismo
trascendente di M. la speculazione di A. Spir rivestì un peso pressoché
decisivo. Oltre che in Kant, in Schopenhauer e in Spinoza, le radici e la linfa
dell'idealismo di M. si trovano nella speculazione di A. Spir. In nessun altro
pensatore A. Spir occupò tanto spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte,
senza perdere la configurazione sua propria, il pensiero di Spir viene
trasposto da M. entro la sua propria filosofia, riferito in modo diretto al suo
proprio pensiero, così intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto,
per così dire, anche su di esso. Proprio questo condusseMartinetti a penetrare
e nell'atto stesso a svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir
e questo si trova come penetrato e attraversato da quello di M. In nessun altro
pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura,
continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente essenziale. La
lettura di M. insiste sul nucleo metafisico di Spir, che gli pare incarnare
"la forma pura della visione religiosa". L'affermazione fondamentale,
in cui per Martinetti si riassume tutta la filosofia dello Spir, è quella della
dualità fondamentale tra il vero esserel'Unità incondizionata, assoluta e
trascendente in cui si esprime il divinoe l'essere apparente e molteplice
rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio alla rivelazione di tale realtà
dualista mediante la teoria della conoscenza (l'idealismo gnoseologico di Spir)
non è che premessa e introduzione all'autentico nucleo metafisico della sua
filosofia, consistente in una forma di dualismo acosmista. Il dualismo di
realtà e apparenza è in effetti esso stesso apparente: "non è fra due
effettive realtà, ma fra un'unica realtà assoluta e l'irrealtà in cui il mondo
sprofonda."» Si può così dire che in M.: «il motivo desunto
probabilmente da Spir, il contrasto tra "anormale" (il mondo
dell'esperienza empirico e molteplice) e "norma" (il principio
d'identità, rivelazione incoativa del divino in noi) si spoglia qui
dell'originario aspetto dualista per confluire in una visione coerentemente
monista dell'esperienza di coscienza. Monismo coscienzialista, quello
martinettiano, che non sfocia però in una forma di panteismo, in quanto il
termine finale di questa unificazione formale rimane trascendente. L'unica realtà
metafisica assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità formale
assoluta", che trascende l'intero processo dell'esperienza, che di tale
unità è solo un'espressione simbolica.» Della filosofia di Spir, M.
mantenne sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione kantiana, aveva
d'altronde dichiarato che dopo Kant nessun filosofo serio può non essere in
Etica "kantiano. L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal
suo anticlericalismo", e aggiunge: "la natura del suo
anticlericalismo lo portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse
di non essere mai stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a
questa Chiesa cattolica di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo
l'ha portato ad un antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini in
cui egli si sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della
religione". ENoce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di
Martinetti si situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso e
come la sua posizione più coerente e rigorosa. L'antologia Il Vangelo scrive M.
«lasciando da parte l'elemento leggendario e dogmatico, cerca di disporre il
materiale evangelico nell'ordine logicamente più appropriato. Tutto quello che
i vangeli contengono di essenziale per la nostra coscienza religiosa è stato
qui conservato.» Il risultato di questo ordinamento logico è
l'espunzionein quanto elaborazione teologica successiva ai lòghia di Gesù o
ancora propria all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immunedel Vangelo di
Giovanni, degli Atti degli Apostoli, delle Lettere (anche le Lettere di Paolo)
e dell'Apocalisse. Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un profeta ebraico,
l'ultimo e il più grande dei profeti. Non quindi Figlio di Dio, nemmeno
resuscitato dalla morte, né apparso realmente ai suoi, Gesù in quanto Messia
annuncia un regno messianico a cui succederebbe escatologicamente il regno dei
cieli, quello di Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento escatologico, di
fatto Gesù è soprattutto un maestro di dottrina morale che esorta a rinunciare
al mondo per unirsi spiritualmente e interiormente a Dio, il bene supremo,
amando il prossimo. Per Martinetti bisogna aspirare ad una "Chiesa
invisibile", in cui si possano compendiare i valori moralmente più elevati
di tutte le culture religiose, dando vita così ad una società universale
fraternamenteunita, egli scrive: «In tutti i tempi, ma specialmente nelle
età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili
che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione
invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo
naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione
della verità e la promessa della vita eterna» Gesù Cristo e il
Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena stampato, come M. scrive a Cagnola: «Il mio libro
venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono mandati i 3
es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle 17 dello
stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so. Così il
libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il decreto
definitivo di sequestro.» Con decreto, “Gesù Cristo e il Cristianesimo,
Il Vangelo” e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri proibiti della
Chiesa cattolica. La rinascita del pensiero filosofico-religioso martinettiano
scaturisce alla fine degli anni novanta del secolo scorso in virtù della
rinnovata proposta ermeneutica di Chiara che cura l'inedito L'Amore, Il Vangelo
(Genova) e Pietà verso gli animali (Genova); in particolare l'interpretazione
elaborata da Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della
religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche
attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione
spirituale dei quaccheri. Capitini rese visita a Martinetti, che a
proposito della nonviolenza gli disse: "Forse se discutessi con lei mi
convincerei, ma ora come ora le assicuro che se mi fosse detto che con
l'uccisione di diecimila persone si estirperebbe il male che c'è in Europa,
firmerei la sentenza senza esitazione." Negli scritti La psiche degli animali e Pietà
verso gli animali, Martinetti sostiene che gli animali, così come gli esseri
umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi l'etica non deve limitarsi
alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve estendersi a ricercare il
benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di vita senzienti (cioè
provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in grado di provare gioia
e dolore: «Nella relazione sulla psiche degli animali M. tra l'altro
affronta il problema dello scandalo morale suscitato dall'indifferenza delle
grandi religioni positive occidentali di fronte all'inaudita sofferenza degli
animali provocata dagli uomini: gli animali hanno una forma dell'intelligenza e
della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo leggere nei loro occhi
l'unità profonda che ad essi ci lega. M.
cita le prove di intelligenza che sanno dare animali come cani e cavalli, ma
anche la stupefacente capacità organizzativa delle formiche e di altri piccoli
insetti, che l'uomo ha il dovere di rispettare, prestando attenzione a non
distruggere ciò che la natura costruisce. Nel proprio testamento dispose
che una somma significativa fosse versata alla Società Protettrice degli
Animali; egli personalmente nutriva per gli animali una profonda pietà e tale
sentimento lo aveva persuaso a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva
per lui quasi il carattere di un valore religioso. Scrive al proposito Vigorelli:
«La scelta del vegetarianesimo non era "generica simpatia, e neppure un
ideale politico, bensì meditato atteggiamento filosofico", da porsi in
relazione sia con la sua profonda conoscenza della filosofia indiana sia con
convinzioni radicate in una personale metafisica, sulla "unicità"
della sostanza vivente e sul destino di "perennità" dello
spirito.» La scelta della cremazione M. fu un fautore della cremazione e
una testimonianza "ci dice come M. portasse sempre con sé, in una busta,
le ceneri di sua madre."Secondo Paviolo, per i M. la cremazione era una
specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in quei tempi nei quali,
specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e oggetto di scandalo
per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i parroci. Non è però da
escludere, nel caso preciso di M., che questa scelta, come quella del
vegetarianesimo, avesse anche una relazione con il suo interesse per la
filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e religioso. I suoi resti sono
tumulati nel cimitero di Castellamonte in provincia di Torino. Opere: Una
" martinettiana" C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale
della Rivista di Filosofia Pietro Rossi: nel cinquantenario della morte, Dopo
questa data, di M. sono stati pubblicati. “Ragione e fede, Italo Sciuto,
Gallone, Milano, Luca Natali, Morcelliana, Brescia,. Il Vangelo, Alessandro Di
Chiara, il nuovo melangolo, Genova, L'amore, Alessandro Di Chiara, Il nuovo
melangolo, Genova, “Pietà verso gli animali” Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo,
Genova, “La religione di Spinoza” Amedeo
Vigorelli, Ghibli, Milano, “La Libertà” Aragno,
Torino, Schopenhauer, Mirko Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, “Breviario
spiritual” Anacleto Verrecchia, POMBA, Torino, “L'educazione della volontà” Domenico
Dario Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, “Conoscenza in Kant” Luca Natali, Franco Angeli, Milano, Pier
Giorgio Zunino, Piero Martinetti, “Lettere”, Firenze, Olschki, “Gesù Cristo e
il Cristianesimo” Castelvecchi, Roma,; edizione critica Luca Natali,
introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, “Il Vangelo:
un'interpretazione” Castelvecchi, Roma,
“Spinoza, Etica, esposizione e comment”, Castelvecchi, Roma,. Il numero,
introduzione di Argentieri, Castelvecchi, Roma,
Luca Natali, Le carte di Piero Martinetti, Firenze, Olschki, “Spinoza”
Festa, Castelvecchi, Roma,. Riconoscimenti Nella seduta del Senato Accademico
dell’Università degli Studi di Milano del 19 settembre, è stata approvata
ufficialmente la decisione del Dipartimento di Filosofia di intitolarsi alla figura
di M.. La città di Roma gli ha intitolato una piazza, nel Giorno della Memoria.
A Milano Martinetti figura tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte
Stella dal " nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Goretti, “M”,
Archivio della Cultura Italiana. Fiori, I professori che dissero "NO"
al Duce, in La Repubblica, «Ebbe molta
influenza sulla scelta che M. fece di iscriversi alla facoltà di Filosofia, fu
suo professore, ma non un Maestro. Scrisse di lui Martinetti: "Era un
uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi giorni prima della sua
morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo questa vita non c'è nulla.
Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su questo come su tutti gli
altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza delle sue
convinzioni"»: Paviolo. «che morì
proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe con lui, forse per
la comune origine canavesana, un particolare rapporto»: Paviolo 2 «Di una reale
affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si può parlare forse solo in
un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e pessimismo si può trovare
qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui poesia, piena di dolente (e
a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti tornerà anche negli anni
maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto spirituale. Più
documentata è l'influenza su M. di un'altra singolare figura di poeta-filosofo:
quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche con lo pseudonimo poetico di Alessandro
Goreni e con quello di Theophilo Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si
adoperarono intensamente Ercole e Alemanni, nell'ultimo decennio del secolo
scorso e ai primi del nostro. Nel breve verbale relativo all'esame di laurea
(qui il laureando è indicato come Pietro Martinetti) si dice semplicemente che il
candidato ha sostenuto durante quaranta minuti innanzi alla commissione la
disputa prescritta, sopra la dissertazione da lui presentata e sopra le tesi
annesse alla medesima; e ha sostenuto anche la prova pratica assegnatagli dalla
Commissione. La tesi ottenne la votazione di 99/110. Il lavoro di tesi non
ebbe, come noto, il riconoscimento che meritavaanche a motivo di certe
resistenze accademiche nel settore filologico della Torino e forse per questo
lo studioso sentì il bisogno di attingere direttamente alle fonti dell'erudizione
tedesca, fuori dal chiuso ambiente provinciale. Del resto il suo intent e più filosofico che filologico, e la prima
suggestione a interessarsi del “Samkhya” poté venirgli, piuttosto che dalle
lezioni di Flechia, dalla conversazione con Ercole. Proprio del Samkhya, Ercole
si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista
Italiana di Filosofia diretta da Ferr. Di suo interesse costante per la
filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano e pubblicato a
Milano da Celuc, “La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù
e Buddhisti. Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora
una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei suoi primi contatti
coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia nella sua formazione
filosofica. Nella Lipsia conosciuta da lui sopravvive Drobitsch, lil maestro
herbartiano di Spir e dalla sua Lipsia si diffondevano le edizioni di A. Spir
entro il moto allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua. Il
pensiero di Spir, Torino, Albert Meynier. Anno che fu per lui particolarmente duro, vedi
Lettere ai famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", Minazzi, Il
Protagora, Lettere. Prima che della dittatura fascista, e critico altrettanto
risoluto del comunismo e della democrazia, di cui colse gli aspetti
degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo. Non si vede in chi e
in che cosa un uomo come lui che, per sua scelta culturale ma anche per
disposizione personale, agiva in modo disgiunto da ogni partito, movimento,
gruppo avrebbe pouto trovare un legame per immettersi in un flusso di attivo
anti-fascismo. Tra dittatura e inquisizione negli anni del Fascismo", in Lettere,
Firenze. Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese partecipazione e la prego di
esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di codesta R. Accademia che
hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma circostanze pesantissime, sulle
quali non è il caso di [parola illeggibile] mi vietano nel modo più reciso
di poterlo accettare»: Lettera al presidente dei Lincei, e a L. Mangiagalli. Il
Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia
italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come
deve essere in qualunque tempo la filosofia. A T. Scotti. Che accusa M., ricambiato,
di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia scolastica, cf. Goetz,
Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze. Per
M.. Gemelli è tutto fuorché un filosofo. Varisco, in: Lettere 33. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti
universitari e il regime fascista, Firenze, Il congresso di filosofia. Tutto
l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal
Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso a Gemelli
di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue
rappresentazioni ciarlatanesche. A B. Varisco, a C. Goretti a L. Mangiagalli. Quando
M., con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandona
l'insegnamento non rinuncia a quegli incarichi o a quelle adesioni che non
erano a tale giuramento connesse: guarda di non compromettere quella sua
creatura che era diventata La Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione
effettiva ma continua l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a
che le sue condizioni di salute glielo permisero. Giuliano, Cagnola,
Baratono, Assael, Alle origini della Scuola di Milano: Barié, Banfi,
Milano. Ella già saprà certamente che io, in seguito all'affare del negato
giuramento, sono stato collocato a riposo. Non appartengo quindi più all'Milano
e non posso più esserle utile che indirettamente»: a C. Gadda, in: Lettere
114. «del resto io sono perfettamente
sereno come chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora
innanzi applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei,
fatti per mè, per la mia personalità e la mia vita»: Lettera M. a Alfieri, Sulla
cui porta fece mettere un'indicazione che diceva: "M. agricoltore": Paviolo «Perciò appunto non
ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In
questo senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è
preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi
te per la F.[ilosofia] e Banfi per la Storia della Filosofia. A A. Baratono, Nel registro di
entrata delle Carceri Nuove di Torino egli è l'unico che nella scheda personale
si faccia registrare, nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti
gli altri non di religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese,
Antonicelli, Salvatorelli e così via) si dichiarano "cattolici"alcune
schede, peraltro, tra cui quella di Mila, sono andate perse (il registro è
conservato all'Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale
di Torino, Registro matricole)", in: Lettere. "M. veniva rinchiuso in una cella sulla
cui porta veniva apposto il cartellino "Politico: sorveglianza
particolare". Il giorno successivo cominciavano gli interrogatori che si
ripetevano finché dopo alcuni giorni d'arresto M. veniva finalmente
scarcerato.", Giorda, M., Castellamonte, «Devo darle una notizia
terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da
una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un
leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera, M. a Nina Ruffini, in:
Lettere 2Cit. in: Lettere. «Si può comunque, in base a testimonianze diverse,
ritenere che Martinetti sia deceduto all'Ospedale Molinette sfollato a Cuorgnè,
ove si tentò inutilmente di salvarlo e che il corpo sia stato immediatamente
trasferito (abitudine che rimase in uso per decenni in circostanze analoghe)
alla casa d'abitazione, per evitare lungaggini burocratiche e maggiori spese
funerarie. L'atto di morte recita:
" il g alle ore quattro e minuti zero, nella casa posta in frazione
Spineto n. 106 è morto Martinetti Piero, anni 70, residente in Torino,
professore pensionato"»: Paviolo.
Paviolo. "Per ultimo
desidero di essere cremato e che le mie ceneri riposino nel Camposanto di
Castellamonte", frase finale del testament, Paviolo. Il testamento di
Martinetti, da lui riscritto, "in una grafia incerta e in una forma in cui
non si trova lo stile abituale del nostro filosofo"(Paviolo) fu
considerato da sua sorella Teresa come estorto: "Le opere che al tempo del
decesso di Piero erano ancora solo allo stato di manoscritto vennero devolute
ai beneficiari della biblioteca, la quale, a dirtelo in assoluta confidenza,
cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per un testamento fatto fare a
nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era stato colpito da un insulto
di trombosi al cervello la preziosa biblioteca, che per volontà recisa,
assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente espressa alcuni mesi prima che
fosse colpito dalla trombosi, doveva andare all'Milano, prese altre vie e e sta
presentemente ancora peregrinando in attesa di destinazione definitiva."
Lettera di Teresa Martinetti al cugino Bertogliatti, in: Paviolo Fondazione
Casa e Archivio. Allo Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi
legano tante affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della
"Riv. di Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante
dottrine dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano
pensate per il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite.
La lucequesto passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo
sepolcrovolle penetrare le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera, M.
a Ruffini, in: Lettere 155.. «io sono
sempre stato un filosofo inattuale»: Lettera, M. a Giorgio Borsa, in: Lettere Emilio Agazzi, La filosofia di M.,
Milano, Unicopli. Ma è stato Alessio a dimostrare l'importanza e l'anteriorità,
rispetto ad altri autori, della lettura di Spir per la maturazione della
metafisica martinettiana»: Vigorelli, Alessio, Vigorelli Vigorelli, M.,
Breviario spirituale, Bresci, Torino,
Lettera M. a Cagnola, Lettere. Sulla riflessione religiosa di M. vedi
Franco Alessio, L'idealismo religioso di M., Brescia, Morcelliana, (Tesi di
Pavia: relatore Michele Federico Sciacca)
Paviolo Paviolo Amedeo Vigorelli,
"Martinetti e Capitini: attualità di un confronto", in: Vigorelli, La
nostra inquietudine. M., Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi,
Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Mondadori, Milano. E si conversa a
lungo della inumazione e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere
della mamma, per avere vicine le sue ceneri)" Capitini, Antifascismo,
Célèbes Trapani, Paviolo Paviolo. L'eretico
Martinetti, italiano per caso", Recensione di Raffaele Liucci su Il fatto
quotidiano, Libera cittadinanza Il
Dipartimento di Filosofia "M. a Milano, Battista, "Le vie dedicate ai
razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al fascismo", Corriere
della Sera, S. Chiale, "Dall'attivista curda al pioniere green I nuovi
Giusti del Monte Stella", Corriere della Sera, Cronaca di Milano13. "Monte Stella I nuovi Giusti in diretta
su Facebook", Corriere della Sera, 7 marzo, Cronaca di Milano9. ,
Commemorazione dTorino, Accademia delle Scienze, Giornata Martinettiana,
Torino, Edizioni di "Filosofia", Rivista di Filosofia, Agazzi,
"La storiografia filosofica", Rivista critica di storia della filosofia,
E. Agazzi, Sandro Mancini, Vigorelli e Zanantoni, Unicopli, Milano, Alessio,
L'idealismo religioso, Brescia, Morcelliana, Alessio, introduzione Il
pensiero di Spir, Torino, Meynier, Assael, Alle origini della Scuola di
Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano, Guerrini, Banfi, M. e il razionalismo
religioso", in: Filosofi contemporanei, Firenze, Parenti, Bersellini
Rivoli, Il fondamento eleatico della filosofia -- Milano, Saggiatore, Guido
Bersellini Rivoli, La fede laica, Appunti sul confronto religioso e politico
(in Italia e nel villaggio globale), Lecce, Manni, Rivoli, Appunti sulla
questione ebraica. Da Rosselli a M., Milano, Angeli, Boatti, Preferirei di no,
Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino, Einaudi, B. Bonghi, La fiaccola sotto il moggio della
metafisica kantiana. Il Kant, Milano, Mimesis, Minazzi, Sulla filosofia
italiana, Prospettive, figure e problemi, Milano, Angeli); ranco Bosio, "L'uomo
e l'assoluto", in: Filosofie "minoritarie" in Italia tra le due
guerre Ceravolo, Roma, Aracne, Remo Cantoni, "L'illuminismo religioso” in:
Studi filosofici, G. Colombo, La filosofia come soteriologia. L'avventura
spirituale e intellettuale di Milano, Vita e Pensiero, E. Colorni, La malattia
della metafisica. Scritti autobiografici e filosofici, Torino, Einaudi, Noce,
Filosofi dell'esistenza e della libertà, Milano, Giuffrè, Pra, "Momenti di
riflessione sull'esperienza religiosa in Italia tra idealismo e razionalismo
critico", in: La filosofia
contemporanea di fronte all'esperienza religiosa, Parma, Pratiche); C.
Ferronato, "Filosofia e religione”, in: Percorsi e Figure Filosofi
italiani, Salvatore Natoli, Genova, Marietti, Filoramo, Letture M. "Gesù
Cristo e il Cristianesimo" nel pensiero religioso, "Rivista di
filosofia", Gervasio, M.: l'interpretazione di Kant nel quadro della
filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Giorda, M., Castellamonte, Helmut
Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista,
Firenze, La Nuova Italia, C. Goretti, Il pensiero filosofico di Piero
Martinetti, Bologna, Accademia delle Scienze, Mariani, Esperienza ed intuizione
religiosa: saggio sul pensiero di M., con appendice sugli inediti, Roma, Mazzantini,
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Meattini, Ragion teoretica e ragion pratica. M. interprete di Kant, Pisa, Vigo
Cursi, Franco Milanesi, La filosofia neognostica, in: "Paradigmi", Morelli,
tesi di laurea in Filosofia (A. Aliotta), Biblioteca Facoltà di Lettere e Filosofia,
Napoli); Paviolo, M. aneddotico. L'uomo, il filosofo, la sua terra, Aosta, Le
Château Edizioni, Alfredo Poggi, Vicenza, Collezione del Palladio, 1ora
Riedizione Cosimo Scarcella e Introduzione di . Mas, Milano, Marzorati, Rambaldi,
Voci dal Novecento, Milano, Guerrini; Romano, Il pensiero filosofico di Piero Martinetti,
Padova, Milani, Santoro, Il problema della libertà, Lecce, Milella, Scarcella,
La dottrina politica di Piero Martinetti: aspetti teoretici ed aspetti pratici,
in Il Pensiero Politico, Firenze, Olschki Editore, Cosimo Scarcella, M.
Politica e filosofia. Con alcuni ‘Pensieri' inediti, Napoli, Collana La Cultura
delle Idee diretta da Fulvio Tessitore e Giuliano Marini, Edizioni Scientifiche
Italiane, Terzi, La vita e il pensiero originale, Bergamo, Editrice San Marco,
Carlo Terzi, "Lettere inedite di M.", in: Giornale di metafisica,
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in:, L'impegno della ragione. Per Agazzi, Cingoli, Calloni, Ferraro, Unicopli,
Milano (nuova ed. "Agazzi e la "fortuna milanese" di M., in:,
Vita, concettualizzazione, libertà. Studi in onore di Alfredo Marini, R.
Lazzari, M. Mezzanzanica, Storace, Mimesis, Milano, Vigorelli, Piero
Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Mondadori,
Vigorelli, "Nuove pagine", Rivista di storia della filosofia, Vigorelli,,
"L'eredità contestata. Lettere di Banfi e Solari", Rivista di storia
della filosofia, Vigorelli, "Plotino, Spinoza, Spir. La reviviscenza
neoplatonica nel razionalismo religioso (Atti del Convegno “Presenza della
tradizione neoplatonica nella filosofia del Novecento”, Vercelli), Annuario Filosofico,
Mursia, Milano, A.Vigorelli, La nostra inquietudine. Banfi, Rebora, Cantoni,
Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Mondadori,
Milano, Vigorelli, Lettore di Spinoza. Il tempo e l'eterno", in:, Spinoza
ricerche e prospettive. Per una storia dello spinozismo in Italia (Atti delle
Giornate di studio in ricordo di Emilia Giancotti, Urbino), Bostrenghi e C.
Santinelli, Bibliopolis, Napoli, Vigorelli,
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della religione civile", in:, Le due Torino. Primato della religione o
primato della politica?, Gianluca Cuozzo e Giuseppe Riconda, Trauben, Torino, Spir,
Scuola di Milano Solari Goretti Basso Baratono Banfi, Giuramento di fedeltà al
fascismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. siusa. archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Torino, Biblioteca
della Fondazione M., Torino. Fondazione Casa e Archivio M., su Fondazione piero
martinetti. D. Fusaro sul sito Filosofico.net. Colombo, La filosofia come
soteriologia. La prima forma di comunione fra esseri, quella che fonda le prime
forme di società, quella che sussiste anche in quei gradi della vita animale
onde è esclusa ogni altra forma di socievo lezza, è l’amore. Che cosa non è
stato detto e iscritto in ogni tempo intorno all’amore? Io non intendo qui
certamente aggiun gere su questo argomento nuove ed inutili speculazioni :
voglio solamente trattarne in quanto aneli’esso è nella vita umana una
sorgente di importanti doveri. L’amore, qualunque possano essere le complicazioni
senti mentali che ne mutano profondamente la natura e possono dargli finalità
più elevate, non ha originariamente altro fine che la (pro pagazione Astica
della specie. L’unione fisica di due individui di sesso diverso ha per effetto
l’estensione della vita organica nel tempo : per essa l’individualità effimera
si sottrae in un certo modo alla morte e celebra l’eternità sua confondendosi per
un istante con la serie delle generazioni venture. La voluttà fisica non è che
una forma di quel piacere che accompagna ogni esten sione dell’individualità,
ogni fusione delle coscienze singole in un tutto capace d’una vita più alita e
più larga. Sotto questo aspetto la voluttà riveste un carattere ideale e direi
quasi sacro : e tutta la poesia dell’amore non è che la poesia del primo, del
più universale ideale umano. Ma il desiderio antico che in questo senso trae
tutti i mortali è diventato attraverso le innu merevoli generazioni mn istinto
: e l ’ uomo avendo volto lo sguardo verso forme più alte di unità e di vita si
è abituato a'Vedere in questo dovere della propagazione della vita solo il
compimento d’una funzione organica e nella voluttà un .semplice fremito del
senso che non deve interessare la personalità superiore e che anzi può essere
per la medesima un ostacolo ed un arresto. Di qui il duplice carattere
dell’amore e della voluttà : da un lato essi sono la secreta aspirazione d’ogmi
vivente, il movente di una gran parte delle attività umane; dall’altro
appariscono come una debolezza, una vittoria dell’essere inferiore sull’es
sere superiore e veramente umano. Nel pudore che accompagna l’unione dei due
.sessi e tutto ciò che la riflette vi è qualche cosa della riverenza che impone
un sacro mistero e della vergogna che desta l’esercizio di tutto ciò ohe è vita
puramente animale. Il complesso delle attività e delle facoltà che si
riferiscono a questa funzione costituisce, forse in modo più marcato che iper
ogni altra funzione umana, un tutto ben distinto, che si stacca nella
personalità complessiva come una personalità mi nore e subordinata : vi è in
ogni individuo umano una perso nalità sessuale che, per quanto non sempre
chiaramente co sciente, ha la sua sfera di visione, la sua vita, le sue oscure
tendenze e spesso influisce in misura non indifferente sopra lo svolgimento e
il destino di tutta la persona. Questa personalità sessuale è già in un certo
senso, per l’individualità organica bruta chiusa, nel suo egoismo repulsivo, un
essere ideale : l’in dividualità atta all’amore appare come qualche cosa di
deside rabile e di bello : ed è precisamente in questo carattere di idea lità
che circonfonde tutto ciò che all’amore serve, che ha avuto origine il senso
umano della bellezza. Il « tipo » estetico che le donne in genere e molti
uomini cercano di realizzare con tutti i mezzi che l’arte e la moda
suggeriscono non è altro che la presentazione della personalità sessuale :
questa costituisce per molti l’apice di tutte le aspirazioni e di tutti gli
ideali. D’altra parte la vita non si arresta all’amore e vi sono ideali più
alti che la perpetuazione fisica, della specie : quindi di fron te alla
personalità morale ed all’umanità vera la personalità sessuale appare come
qualche cosa di inferiore e di miserabile. Quando perciò essa si svolge in noi
senza alcun legame od in opposizione con i nostri sentimenti più elevati, noi
possiamo bensì cedere per un istante al suo fascino, ma la sua vita resta pure
sempre per noi qualche cosa di straniero che più tardi rigettiamo con vergogna
e con disprezzo. Non è però affatto necessario che la vita sessuale si svolga
nell’uomo senza alcuna continuità e senza accordo con le sfere più alte della
vita interiore. Nello stesso mondo animale essa svolge nella maternità e nella
famiglia una vera attività di ordine morale che la compie e la nobilita : e
nell’uomo tutta la storia dell’evoluzione della famiglia che altro è se non il
moralizzamento progressivo della funzione sessuale? Così puri ficato ed
elevato, il desiderio del senso si intreccia con i più nobili e delicati
sentimenti della vita morale, con i.1 sentimento della, protezione e della
carità, dell’amicizia, della solidarietà, della fedeltà; anzi,
intellettualizzandosi vieppiù e collegandosi con le aspirazioni più elevate,
diventa comunione di vita inte riore, di gioie alte e pure : l’amore animale e
sensuale si tra sforma nelle forme più nobili dell’amore umano. Certo il
fattore sensuale non scompare mai : l’amore platonico non esiste o, se esiste,
non è una forma viva e sana dell’amore. Ma anch’esso si raffina e si assimila :
il piacere medesimo del possesso di venta, per la confusione della
spiritualità di due esseri elevati, più delicato e più profondo. Sopra tutto
poi esso elimina gra dualmente da sè tutto ciò che urna viva sensibilità
estetica e morale giudica o ignobile o incompatibile con le tendenze della
personalità superiore : così sorgono le virtù dell'amore, la leal tà, la
fedeltà, la castità. L’ amore sensuale vive del piacere dell’istante e cerca
nell’oggetto suo soltanto il soddisfacimento del suo ardore : esso non è che il
contatto superficiale e momen taneo di due personalità sessuali che si
avvincono e si confon dono mentre le anime restano straniere l’una all’altra
diffi denti, sordamente ostili. L’amore veramente umano si completa con
l’unione delle volontà, che esige urna reciproca dedizione intiera, leale,
duratura ed esclude come cose indegne la men zogna, l'ingiustizia e tutto ciò
che diminuisce questa perfetta comunione di vita. Così è possibile un amore che
sorge non dal senso, ma da tutta la personalità; un amore che purifica e no
bilita, che ispira ad alte cose e ¡santifica la voluttà stessa. Questo concetto
dell’amore traccia ad ogni uomo la via che deve seguire se egli sinceramente
sdegni di degradare sè stesso ; essa, è del resto anche la via più saggia sotto
l’aspetto della felicità. Certo può sembrare un’ingenuità chiedere alla
ragione consigli contro una passione che si mde della ragione : mentre
l’eperienza quotidiana ci mostra con mille esempi come essa sconvolga talora le
menti più equilibrate, soffochi i sentimenti più sacri, precipiti nell
turbamento e spesso nella più irrepa rabile rovina esistenze, che
l’educazione, l’intelligenza, i vincoli sociali e morali sembravano
assicurare contro la prevalenza di ignobili tendenze. Tanta è del resto la
potenza di questo «niver i-sale e profondo istinto che esso è il movente
secreto o palese di gran parte dell’attiviità umana : la massima parte dei
ritrovi, delle feste, dei divertimenti sociali, la moda e per molti ri spetti
anche l’arte non hanno altra ragione d’essere; e i vizi che esso alimenta danno
origine ad un vero pubblico mercato e ad industrie fiorenti. Come sperare
dunque che la ragione possa qualche cosa contro una volontà oscura e ribelle
che sembra avere la violenza e la regolarità delle forze di natura? La mo rale
predica contro questa passione quasi soltanto come per sod disfare un debito :
la giovinezza, la fantasia e l’arte la rivestono dei più brillanti colori e si
ridono della morale : ed anche i predicatori più severi del resto non sanno,
tra un sermone e l’altro, esimersi da un sentimento che sta fra il compatimento
e la malrepressa invidia. Io non credo tuttavia che qui la riflessione sia del
tutto mutile. L ’ esperienza della vita insegna (e ciascuno lo ricono scerà in
stesso) che vi sono nella vita interiore dei momenti decisivi nei quali una
parola, un pensiero che sono caduti un giorno nell’anima indifferente, si
risvegliano e fortificano una nobile ispirazione, soffocano una passione
nascente, provocano un deciso cambiamento d’indirizzo. Questo è vero anche
della pas sione dell’amore. Certo è inutile invocar la ragione quando la
passione è ingigantita e il vizio è inveterato : ma questo non vale egualmente
di tutte le passioni? La ragione non può di struggere l’istinto, ma può
dirigerlo : e può dirigerlo se, come un medico accorto, cura il male nei suoi
inizi. Ora l’origine del male sta, come già videro i saggi antichi, nelle
illusioni che noi ci formiamo circa la realtà. L ’ uomo, sopratutto nella giovi
nezza, non si precipita verso i piaceri che l’amore promette se non perchè la
sua fantasia presenta al desiderio le immagini più allettatrici e riveste ila
¡realtà delle forme più ¡belle e più desi derabili. Lo spirito soggiace allora
ad una specie di limita zione del proprio orizzonte : esso si
chiude nei propri sogni e diventa cieco all’aspetto del vero essere delle cose.
In questo appùnto può intervenire efficacemente la ragione. Lo sforzo che si
deve e si può compiere in quel momento in cui sorgono le prime illusioni, è di
dissipare1queste visioni ingannevoli col tenere viva e presente diinnanzi al
pensiero la realtà che esse nascondono, col rievocare le esperienze dolorose,
col ravvivare le intuizioni profonde che ci svelano l’intima e vera natura
delle cose. In fondo a tutte le cose sta la tristezza, ha detto Amici : e
veramente l’aspetto ultimo delle cose è triste, mia anche fecondo di salutare
saggezza. L’aspetto supeSiciale della realtà è lieto, vario e giocondo come
l’aspetto d’una folla che popola le vie d’una città in un giorno di festa. Ma
quante cose sordide e tristi non nascondono anche qui le varie e splendide
apparenze! Ora in nessuna parte la fantasia è tanto fertile d’in ganni quanto
nelle cose dell'amore : ed in nessuna parte l’in- gànno è così lusinghiero ed
ostinato. Tanto anzi che qualcuno hai voluto vedere nell’amore una specie
d’inganno della natura ; che si serve dell’individuo per la propagazione e lo
sacrifica, viìttimn volontaria, alla specie. Ma la natura non è in questo caso
che la nostra natura inferiore ; noi soggiacciamo all’inganno solo perchè
l’istinto ci oscura l’intelligenza e noi non sappiamo più vedere che con gli
occhi della sensualità. Questa ci dipinge la via tutta sparsa di dolci
desiderii e di soavi ebbrezze; l’amore ci si offre dinnanzi come un palazzo
incantato pieno di misteri e di delizie. Bisogna invece che l’intelletto nastro
si sforzi di mantenere sempre a sé presente questa prima, considerazione : che
l’illusione sessuale ci mostra sotto un solo aspetto un es sere che
freddamente considerato ¡nella sua 'realtà, è il più delle volte tutt’altro che
desideratile. La personalità sessuale non è che un aspetto, uno stato della-
persona; è una specie di trasfi gurazione di tutto l ’ essere che in fondo
rimane così straniera alla persona come se fosse veramente un’altra
personalità. Per ciò quando la persona amata non è per sè stessa degna di
sti- una e d’amore, l’illusione sessuale è seguita inevitabilmente
da una profonda delusione : soddisfatto il desiderio l’immagine ideale, oggetto
d’un’adorazione appassionata, isi risolve in un essere prosaico e volgare che
ci 'meravigliamo d’avere deside rato. Bisogna, in .secondo luogo tener
presente quest’altra, consi derazione : che la «tessa personalità sessuale,
dato che in noi potesse persistere lo stato passionale corrispondente, è ben
lun gi dall’essere una sorgente di gioie pure ed immutabili : la sen sualità
è, come ogni passione, un fuoco che consuma se stesso. Un amore puramente
sensuale, non potrebbe lessero che un triste ed insaziato ardore : la vita
dominata dalla lussuria ap pare, freddamente considerata, dolorosa ed ignobile
nello stesso tempo. L ’ amore d’ una donna non rende beati che quando può
trasformarsi in un sentimento più alto, come accade nella fa miglia, od
associarsi la sentimenti ideali e diventare una co munione morale ed
intellettuale di due nobili spiriti. Anzi, nelle persone di più profondo
sentire l’attrazione sessuale maschera quasi sempre un’oscura aspirazione
spirituale, il bisogno d’una comunione di vita, che riempia l’anima loro, la
elevi e la consoli ; è un vago presentimento ideale sperduto nella sfera
sessuale. Perciò quando esse non riconoscono la vera natura del senti mento
che le attrae e, nella loro cecità, ne cercano la soddisfa zione nel senso, la
loro illusione finisce, il più delle volte, in una tragedia dolorosa. Bisogna
in terzo luogo ancora aver presente che, mentre per ogni animo 'ben nato vi
sono nella vita aspira zioni e soddisfazioni 'ben più alte che quelle
dell’amore, l’amore è spesso l'impedimento più forte a questa vita superiore.
La donna, come puro .essere sensuale, è la nemica naturale degli interessi
ideali dell’uomo; essa non vive che per sè stessa e per i suoi istinti : la
volontà sua egoistica è tutta tesa verso il piacere, il lusso, i godimenti
della vanità. In cambio della vo luttà l’uomo deve il più delle volte
sacrificare alla sua vanitosa ed insignificante persona il suo lavoro, il suo
benessere, il suo valore spirituale e disperdere in una vita di agitazioni vane
í quelle preziose qualità che potevano servire ad un ben più no
bile scopo. Quante nobili esistenze non ha /perduto il fuoco oscuro della
sensualità! Quante volte l’influenza funesta della donna non è stata causa dei
più gravi turbamenti nella vita dell’uomo; della decadenza della volontà, della
rinunzia ai fini più alti, e infine della completa rovina morale! Sopratutto
quindi è necessario, per resistere a queste sollecitazioni della vita inferiore,
suscitare e tener vivo nello spirito qualche alto e degno amore che lo ©levi
sopra la sfera della bellezza sensi bile. La passione ardente ohe travolge
qualunque considera zione e saggezza puramente umana, s’arresta dinanzi alle
vo lontà più aJlte dello spirito, che aprono all’uomo una realtà d ’ un valore
infinitamente superiore. E ’ vero che non sempre noi possiamo rivolgere il
nostro pensiero verso queste realità idea, li con tanta fermezza che non possa
essere vinto degli ardori del senso : ma la contemplazione e ¡l’amore delle
cose ideali tra sforma sempre il nostro modo di vivere ed apre i nostri occhi
ad una luce che non va più .perduta. Quindi anche quando questo amore non è per
sé abbastanza forte, esso favorisce lo svolgersi della riflessione critica e
induce nell’anitmo una disposizione abituale in cui il germe della passione non
trova un terreno fa vorevole e viene soffocato prima di svolgersi. Inoltre la
con suetudine con una sfera più alta di vita crea un sano e salutare orgoglio
che respinge da sè, senza esitare, ogni ibassezza. Un’i stintiva fierezza,
permette al selvaggio di sopportare con viso impassibile i più aspri tormenti :
un uomo che sopporterebbe la povertà, la fame e qualunque strazio per il suo
dovere ed il suo onore, vorrà diventare lo zimbello dei suoi istinti e sacri
ficare tutto quello che di grande e di safro ha per lui la vita per il possesso
d’una donna? Da queste considerazioni discende anzitutto la condanna di ogni
degenerazione ignobile dell’amore. L’istinto che tende ciecamente verso la sua
isoddisfazione è soggetto a singolari aberrazioni : e l’istinto sessuale umano
può essere anche aiutato in queste sue deviazioni dal ritorno atavico
della associazione sua con altri istinti ed altre tendenze; per es. coll’impulso
alla crudeltà. Anzi anche dall’associazione con sentimenti superiori non
ignobili : come è avvenuto' per es. nell’amore omosessuale greco. La cura
estrema con la quale queste tendenze vengono tenute segrete le fa apparire come
eccezioni : ma coloro che se ne occupano per dovere professionale sanno che
esse sono tutt’altro che rare, anche fra individui delle classi elevate.
Esporre i pericoli e le vergogne a cui queste degenerazioni con ducono è cosa
inutile : coloro stessi che vi soggiaccione li cono scono. Ogni animo non
ignobile deve del resto essere trattenuto sull’orlo di questo abisso dal
rispetto di sè stesso. Ma se ciò noni bastesse, egli deve rappresentare a sè
chiaramente che, degradando la sua vita in queste turpitudini, sacrifichereb
be a misere, bestiali voluttà tutto ciò che di migliore e di desi derabile può
offrire la vita dell’ uomo. L ’ atto dell’ uomo non è qualche cosa che si possa
isolare dalla natura sua e se ne stacchi, appena compiuto, come il frutto che
cade dall’albero : esso ri mane anche dopo e non si cancella. Seguire
l’istinto nelle sue depravazioni vuole dire rassegnarsi a diventare un essere
be stialmente istintivo : non bisogna illudersi di potere dopo ciò conservare
in sè qualche cosa di veramente elevato. E vuole dire quindi anche abbandonare
la propria vita a tutte le mi serie dolorose che accompagnano la vita d’un
essere tutto con finato nella sua animalità. Ma vi sono anche altre forme
ddl’amore in apparenza più normali ed elevate che vengono coinvolte in questa
condanna. Non parlo dell’amore prettamente mercenario, che è anch’esiso una
forma di degenerazione : parlo dell’amore vago che, pure fuggendo ogni
attaccamento saldo, circonda il godimento d’una parvenza di sentimentalità che
sembra 'redimerlo e nobilitarlo : è l’amore per l’amore, l’amore libero che
comincia generalmente fra le rosee illusioni e finisce quasi sempre nella
vergogna e nel pianto. Non vi è uomo quasi che non abbia- lasciato fra-
le sue spine qualche illusione di giovinezza insieme con qualche brandello
di felicità e di onore, che, se avesse la magica arte dello ^scrittore, non
potrebbe scrivere anch’egli, come romanzo, una pagina della 'sua vita e
dedicarla a suo figlio «quando avrà vent’aoani». Non vi è da illudersi quindi
che la saggezza degli altri possa sostituire totalmente l’esperienza vissuta;
ma essa potrà, se non altro, aiutare a formarsi rapidamente questa esperienza e
a non consumare dolorosamente anni preziosi ad inseguire un vano fantasma che
ci allontana dalia felicità vera e durevole. L’amore tende per sua natura, in
ogni animo ele vato, a stringere un’unione indissolubile; quindi il correre ap
presso ad un amore che noi già sappiamo non poter condurre ad una simile unione
è un preparare a sè stesso, a scadenza più o meno lunga, una sicura infelicità.
Vero amore è soltanto l’a more che è legato da un senso profondo di pietà e di
respon sabilità : e questo senso impone all’uomo di rimanere sino alla fine
della vita al fianco della donna che gli si è data e di non ab bandonarla in
balia dell’incerto destino. Perciò ogni abbandono, ogni mutamento lascia amari
rimpianti e rimorsi : la slealtà e l’ingiustizia che l’uomo addossa alla
propria coscienza, quando viene meno alle ¡menzognere promesse, è una bassezza
che avvi lisce chi la commette. Del resto già sappiamo che un amore pu
raímente fìsico è sempre deluso : di qui ]’universale ed infrenabile desiderio
degli uomini attratti verso le donne non ancora cono sciute. Ma anche questo
errare, dato che potesse sempre avere soddisfazione, non sarebbe che un passare
continuo di delusione in delusione, di rimpianto in rimpianto. Non vi è quindi
in realtà vita più triste di quella passata nei facili amori : vita che è
inseparabile dal sentimento della propria degradazione, perchè l’amore che non
termina in altro, che non isi associa con i senti menti più elevati della
natura umana, è un ben misero fine : esso non è in ultimo, se lo si spoglia di
tutti i fronzoli sentimen tali, che pretta e pura sensualità. La ricerca
affannosa della donna 11011 è che la ricerca di una donna : l’amore vago e
libero è la conquista, attraverso molte amare esperienze, di questa
semplice verità : che non vi può essere amore veramente felice se non nel
nobile sentimento che lega l’uomo con una sola donna per tutta la vita. Ohe
l’amore pertanto, io direi al giovane dinnanzi a cui si apre questo mondo di
vaghe lusinghe, non si disisoci mai in te, dai nobili principi d’urna coscienza
retta e pura! Anche at traverso le passioni e gli errori, sii un uomo onesto!
Non acqui stare il piacere d’un’ora a prezzo della rovina d’un povero essere
debole e indifeso : questo sarebbe un tradimento vile che nes suna riparazione
pecuniarda cancellerebbe dalla tua vita. Pensa che nessuna violenza di passione
può scusare la disonestà di chi non esita, per soddisfare un desiderio, a
gettare la vergogna e la disperazione in una famiglia : sebbene la leggerezza
del mondo biasimi l ’ adulterio quasi sorridendo, non vi è dinnanzi alla retta
coscienza morale infamia più bassa. E sopratutto pensa alla condizione di
quelli che la viltà dei loro genitori ha lasciato in abbandono e che una fredda
carità cresce agli stenti, alle tristezze, alle umiliazioni di all’esistenza
miserabile. Se vi è un pensiero che valga a farci vergognare dei bassi amori,
questo è bene il sospetto che forse ora in qualche parte del mondo vi sia
qualcuno che deve a noi la vita e che ha ragione di impre care, in mezzo alle
sue miserie, al nostro egoismo inumano. Sii dunque casto : la castità è la
virtù dell’amore. Essere casti non vuol dire andare in cerca d’una virtù
soprannaturale, ma saper rinunciare a ciò che è al di sotto della nostra
natura, alle soddisfazioni dei sensi che sono ignobili ed ingiuste. Essere
casti vuole dire anzitutto dunque essere forti, saper tenere lon tano da sè i
vizi vergognosi che minano ila salute e corrompono la, delicatezza e la dignità
del carattere : vuole dire inoltre essere giusti e pietosi e non cercare ili
nostro piacere a prezzo del disonore e della rovina di altri. Se tu vuoi che
l’amore non sia per te fonte di infelicità e di rimorsi, fa sì che esso sia
l’armo, nia di due volontà nobili e pure, per le quali l’amore non è che
l’inizio d’una comunione più alta di vita. Piero Martinetti. Martinetti.
Keywords: l’amore velia, antologia platonica, amore socratico, sezione sull’Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martinetti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Martini: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cambiano).
Filosofo italiano. Grice: “One would
think that his ‘discorsi filadelfici’ are about brotherly love, but they were
delivered at the Philadelphia American-Italian Philosophical Society!” – Grice:
“He wrote on Emilio and Narciso, and a story of philosophy – starting not from
Thales but Gioberti!” – Grice: “His science of the heart – scienza del cuore –
is a mystery!” Compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio di
Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la laurea in
medicina, cui seguirà anche quella in
filosofia, ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una
brillante carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza
in fisiologia e poi quella di medicina
legale, cattedra quest'ultima, istituita di cui fu il primo insegnante in
assoluto. Di Torino fu anche rettore,
negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di
cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Ma non mancarono episodi tragici, allorché,
pochi anni dopo le nozze, perse la moglie, dalla quale ancora non aveva avuti figli,
né li avrebbe avuti in seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi
completamente all'insegnamento e alla stesura di saggi e manuali nelle
discipline mediche. In questo filone, il più ricco, vanno almeno segnalati gli “Elementa
physiologiae” e “Lezioni di fisiologia” così come “Medicina legale”, accanto
agli Elementa medicinae forensis, politiae medicae et hygienes, cui avrebbe
fatto seguito il Manuale di medicina legale. Il variegato percorso saggistico non si limitò
(e non si esaurì) a studi a carattere medico-fisiologico e medico-legale. Anzi,
forte del curriculum studiorum seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire
i pensatori classici, come nel caso di un “Coompendio” dedicato a Platone, di
cui peraltro riuscì a terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando
persino a stilare, sia pure non in forma
sistematica, una Storia della filosofia.
Risultati migliori li ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico.
Questo indirizzo è testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima
educazione dai dodici volumi dell'Emilio. Qui, facendo leva della sua vasta
cultura, tratta emblematicamente di argomenti in cui si fondono, senza
soluzione di continuità, il "viver sano" e il "maritaggio",
il "governo della famiglia" e la felicità, le "tendenze
morali" e la "moderazione nella prosperità", passando per i modi
attraverso i quali "sopportare le avversità". Saggi: “Elementa
physiologiae” (Pica, Torino); “Dei vantaggi che la medicina apporta alle
nazioni” (Chirio, Torino); “Mdicina legale” (Marietti, Torino); “Medicina
curativa” (Marietti, Torino); “Polizia medica” (Fontana, Milano); “La scienza
del cuore” (Fontana, Milano); “La colera indica” (Fodratti, Torino); “Elementa
medicinae forensis, politiae medicae et hygienes,” Marinetti, Torino “Manuale d'igiene,” Fontana, Milano “Lezioni di fisiologia,” Pomba,
Torino “Patologia generale,” Elvetica,
Capolago “Invito a' medici piemontesi all'occasione
del cholera morbus,” Cassone, Torino “Storia
della fisiologia,” Cassone, Torino “Manuale
di medicina legale,” Fontana, Milano;
“Emilio, Marietti, Torino “Della
solitudine,” Marietti, Torino “Narciso o regalo agli sposi,” Marietti,
Torino “Guerra e pace dei sensi,”Tip.
Marietti, Torino “Emilio o sia del governo della vita,” Tip. Fontana, Milano “Discorsi
filadelfici; ossia, fasti dell'ingegno italiano,”Tip. Marietti, Torino “Riforma
della prima educazione,” Marietti, Torino “Della sapienza dei greci,” Cassone, Torino;
“Storia della filosofia,” Pirotta, Milano “Platone compendiato e comentato,” Elvetica,
Capolago “Alcune vite di donne celebri,”
Fontana, Milano “De clarissimo viro Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae
facultatis professore in regio Taurinensi Athenaeo, Regia, Torino Vita del
conte Gian-Francesco Napolio, Bocca, Torino
Vita Francisci Canevarii, Torino Cenni biografici di Lagrangia, Cassone
e Marzorati, Torino Curatele A. von Haller, Poesie scelte, Reale, Torino J.L. Alibert, Riflessioni sulla fisiologia
delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Marietti, Torino, F.
Redi, Consulti medici, Elvetica, Capolago, D. Alighieri, La Divina Commedia, Marietti,
Torino; G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano.
G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo
risorgimento, F. Predari, Pomba,
Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere,
s.e., Bologna); Emilio, Tip. Marietti, Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti
del professore cavaliere, s.e., Bologna); G. Corniani, I secoli della
letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari, Pomba, Torino G. Gerini, Due medici
pedagogisti. M. Bufalini, Tip. Bona, Torino, G. Gianelli, L'uomo ed i codici
nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico.
Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale», Milano. Lorenzo Martini. Martini. Keywords:
storia della filosofia, ingegno italiano, il cratilo di Platone -- . Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Martini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Martino: l’implicatura
conversazionale -- la religione civile della prima e unica Roma! – magismo -- filosofia
italiana meridionale – filosofia del sud – filosofia italiana -- Luigi Speranza
(Napoli). Filosofo
italiano. Grice: “I like Martino –
and his interviewees – there is indeed a ‘discepolato’ around him.” Grice: “We
don’t have anything like Martino at Oxford – Hollis is the closest I can
think.” Grice: “In his strictly philosophical explorations, Martino aptly clashes
with Croce!” -- Dopo la laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni
sui gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle
discipline etnologiche. Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria,
collaborando a L'Universale di Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia
ristretta di collaboratori un Saggio sulla religione civile poi rimasto
inedito. L'ingresso nel circolo crociano «Erano quelli gli anni in cui
Hitler sciamanizzava in Germania e in Europa, e ancora lontano era il giorno in
cui le rovine del palazzo della Cancelleria avrebbero composto per questo
atroce sciamano europeo la bara di fuoco in cui egli tentava di seppellire il
genere umano: ed erano anche gli anni in cui una piccola parte della gioventù
italiana cercava asilo nelle severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per
risillabare il discorso elementarmente umano altrove impossibile, persino nella
propria famiglia». Il suo saggio, “Naturalismo e storicismo
nell'etnologia” è un tentativo di sottoporre l'etnologia al vaglio critico
della filosofia storicista di Croce. Secondo M., l'etnologia solo attraverso la
filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che
accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli
indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a
introdurre il giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la
pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già
scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul "magismo
etnologico". Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato
nel 1948, Il mondo magico è il libro nel quale M. elabora alcune delle idee che
rimarranno centrali in tutta la sua opera successiva. Qui M. costruisce
la sua interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità
di una "presenza" non ancora determinatasi, viene padroneggiata
attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In quel periodo, de
Martino comincia a militare nei partiti di sinistra. Lavora come
segretario di federazione, in Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato
da Gramsci e da Levi, cinque anni dopo,
entra a far parte del Partito Comunista Italiano. Anche per questa ragione,
negli anni che seguono, M. comincia a interessarsi sempre di più allo studio
etnografico delle società contadine del sud Italia, in contemporanea con le
inchieste di Vittorini e l’opera documentaristica di Zavattini. Di questa fase,
talvolta detta "meridionalista", fanno parte le opere più note al
grande pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del
rimorso. Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare,
che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del
rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da
uno psichiatra (Jervis), una psicologa (Jervis-Comba), un'antropologa culturale
(Signorelli), un etnomusicologo (Carpitella), un fotografo (Pinna) e dalla
consulenza di un medico (Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo
vengono utilizzati anche filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina. A
queste monografie segue la pubblicazione dell'importante raccolta di saggi,
“Furore Simbolo Valore”. E stato collaboratore di R. Pettazzoni all'Università
"La Sapienza" di Roma, nell'ambito della Scuola romana di Storia
delle religioni. Come ordinario di Storia delle religioni e di Etnologia, dha
insegnato all'Cagliari, dove ha avuto uno stuolo di allievi. Con Cirese,
Lilliu, Cases, la sua assistente Gallini, e in seguito altri studiosi, quali
Cherchi, Angioni, Clemente, e Solinas, saranno esponenti di una significativa,
sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Cagliari, della quale de
Martino è considerato uno dei fondatori. È considerato uno dei più
importanti antropologi dell’età contemporanea, fondatore in Italia
dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo critico. La presenza La
presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come
la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie
per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica,
partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre
attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci (il
"da-sein" heideggeriano) come persone dotate di senso, in un contesto
dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi
della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo
minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti
offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito
definita come "tradizione". 11spedizione in Lucania Se si vuole
rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e
gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua
militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto ritual, Sud e
magia e La terra del rimorso e gli
appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è presente
un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico,
esistenzialista e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente dal
riordino delle carte ad opera di Brelich e Gallini, bisogna rendere centrale il
nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione del
negativo ad opera dell’ethos del trascendimento; l’immaginazione simbolica
collettiva è la realizzazione di un’ethos del trascendimento che, come un mito
di fondazione per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell’”oggetto”
per scopi espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della
“presenza” in quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi
in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia
tramite la cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra se’ e il
mondo “altro da se’”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di
vita e nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende
incessantemente alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni)
come base insopprimibile della costituzione di sè come soggetto: “Vi è
dunque un principio trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le
altre valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del
trascendimento della vita nel valore: attività dunque, ma ethos,
dover-essere-nel-mondo per il valore, per la valorizzante attività che fa mondo
il mondo, e lo fonda e lo sostiene.” Costante, inoltre, nella ricerca sul
campo, come nelle analisi ed elaborazioni degli ultimi anni, fu l’indagine sul
valore euristico assegnato ai dati psicopapatologici, sempre legato a una riflessione
critica sulla trasferibilità delle relative nozioni in contesti culturali
diversi e sulle loro implicazioni sul piano antropologico e filosofico più
generale: dalla figura dello sciamano come “Cristo magico” ne Il mondo magico,
ai fenomeni di dissociazione e possessione (influenzato dalle letture di
Shirokogoroff e PJanet) nei riti della taranta, fino alle note sulle
“apocalissi psicopatologiche” ne La fine del mondo. Il folklore
progressivo Il concetto di folklore, come concezione del mondo regressiva,
secondo le “osservazioni sul folklore” del Quaderno XXVII di Gramsci “un
agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo e superstiti documenti
mutili e contaminati”, ma anche di positiva creatività delle classi subalterne
(come i canti popolari), in opposizione alla cultura dotta delle élite
dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo partenopeo, con il saggio
“Intorno ad una storia del mondo popolare subalterno”, pubblicato su Società
sul nr.3 di quell’anno, in cui riprende studi e indagini della nuova etnologia
sovietica (Tolstov, Hippius, Cicerov, ispirati da Propp). In un saggio lo
define come proposta consapevole del popolo contro la propria condizione
socialmente subalterna, o che commenta, esprime in termini culturali, le lotte
per emanciparsene.” Il concetto fu poi ripreso, discusso problematicamente e allargato
in particolare da Cirese (in rapporto a Gramsci) e Satriani (il folklore come
cultura di contestazione). I “folkloristi” erano stati oggetto di critica
di de Martino già nella sua prima opera del 1941, Naturalismo e storicismo
nell’etnologia, in quanto puri descrittori e catalogatori con criterio naturalistico
e non storico-culturale: per cui il folklore rimane, pur categorizzato come
“progressivo”, come fenomeno di indagine antropologica nei termini più
complessivi di cultura popolare. Crisi della presenza e destorificazione
del negativo In quanto alla “crisi della presenza” come spaesamento, ne La fine
del mondo, M. racconta di una volta in Calabria quando, cercando una strada,
egli e i suoi collaboratori fecero salire in auto un anziano pastore perché
indicasse loro la giusta direzione da seguire, promettendogli di riportarlo poi
al posto di partenza. L'uomo salì in auto pieno di diffidenza, che si trasformò
via via in una vera e propria angoscia territoriale, non appena dalla visuale
del finestrino sparì alla vista il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il
campanile rappresentava per l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto
spazio domestico, senza il quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo
riportarono indietro in fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal
finestrino, scrutando l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo
quando lo rivide, il suo viso finalmente si riappacificò. In un altro
esempio, per esprimere il medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa,
cacciatori e raccoglitori australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza,
che avevano però l'usanza di piantare al centro del loro accampamento un palo
sacro, intorno al quale celebravano un rito ogni volta che
"approdavano" in un luogo nuovo. Il giorno che il palo si spezzò, i
membri della tribù si lasciarono morire, sopraffatti dall'angoscia. Il
concetto di spaesamento, come una condizione molto "rischiosa" in cui
gli individui temono di perdere i propri riferimenti domestici, che in qualche
modo fungono da "indici di senso", viene inserito dunque da M. nelle
sue categorie di “crisi della presenza” e destorificazione del negativo.
La crisi della presenza caratterizza allora quelle condizioni diverse nelle
quali l'individuo, al cospetto di particolari eventi o situazioni (malattia,
morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi
radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in una
storia umana", scrive de M.) in quel dato momento scoprendosi incapace di
agire e determinare la propria azione. La destorificazione del negativo
permette l'universalizzazione della propria condizione umana in una dimensione
mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito. Secondo
Signorelli, antropologa ee collaboratrice della spedizione nel Salento,
"Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e
altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto storico per entro il
quale è stato esperito e viene ricondotto a un tempo e a una vicenda
mitici". Se il mito è narrazione, il rito è un comportamento
orientato ad uno scopo e ripetuto con parole e gesti di significato altamente
simbolico. È così che mito, rito e simbolo diventano un circuito volto alla
soluzione della crisi, astraendo dalla storia reale in cui agisce il
negativo. Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in fasi
particolarmente drammatiche dell’esistenza umana (come la morte di una persona
cara), può manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”,
per cui l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel
valore e la mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale.
L’attività etica della valorizzazione è necessaria per impedire la
destrutturazione dell”esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il
suo spazio, quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene
allora che “la presenza abdica senza compenso”. L'elaborazione del lutto
ed il pianto rituale antico Magnifying glass icon mgx2.svg Morte di Gesù negli studi antropologici e
Planctus. Organizza una serie di spedizioni di ricerca in Lucania, accompagnato
da un’equipe interdisciplinare, tra cui Vittoria De Palma, anche lei etnologa e
compagna di vita e con l’utilizzo di strumenti quali il magnetofono e la
cinepresa, innovativi rispetto all’indagine folklorica classica.
Riconnettendosi a Il mondo magico, decide di concentrarsi sul lamento funebre e
la “crisi del cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle ritualità legate ad una
crisi esistenziale tra le più gravi, come quella che segue la perdita di un
caro, e il pianto e il dolore collettivi che rappresentano la “crisi della
presenza”, della propria e di tutti, minacciata dalla morte. Il pericolo del
lutto è dunque quello dell’annullamento totale. In Morte e pianto
rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria affronta anche il senso
della morte di Cristo in rapporto alla condizione esistenziale dell'uomo nel
mondo ed al momento traumatico della esperienza della morte dei propri cari. Di
fronte alla "crisi del cordoglio" che può portare al crollo esistenziale,
emerge la esigenza di elaborare culturalmente il lutto, nella forma socialmente
codificata del rito. La consolazione offerta dal credo religioso riconduce a
forme sopportabili la carica drammatica del lutto, riferendola simbolicamente alla
morte tragica di Cristo sulla croce, forme che consentono di ritrovarsi uguali
nel dolore, ma che diventano anche promessa di resurrezione. «È possibile
interpretare la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione di una
storica risoluzione del cordoglio che trasforma Gesù morto in Cristo risorto e
il morto che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel banchetto
eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la
Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano
temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca
in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta
alla testimonianza missionaria. Il Cristianesimo diventa un grande rituale
funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e come
pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore (il che
poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)".
Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la
fede della presenza del Risorto nella comunità. La celebrazione eucaristica
rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del
piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e
l'evento futuro della definitiva Parusia.» De Martino indaga la
persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del pianto funebre,
come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo e diffuso prima
del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La destorificazione dell’evento
luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di riportarlo ad una dimensione
mitico-rituale, e dunque al superamento della crisi. Su questi temi si è
soffermata una sua studentessa e collaboratrice, lEpifani, nella commedia La
fuga, scritta a dieci anni dalla sua scomparsa. Saggi: “Naturalismo e
storicismo nell'etnologia” (Laterza, Bari) – l’ennico – Grice: “Italians cannot
pronounce ‘-tn-‘ so that the etnico becomes ‘ennico’!” --; “Il mondo magico:
prolegomeni a una storia del magismo” (Einaudi, Torino); “Morte e pianto
rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria” (Einaudi,
Torino); “Sud e magia La terra del
rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud” (Feltrinelli, Milano); -- cf. Grice, magismo – two kinds of magic
travel, carpet route-travelling, routeless travel – the exercise of judgment --“Furore,
simbolo, valore” (Saggiatore, Milano); “Magia e civiltà. Un'antologia critica
fondamentale per lo studio del concetto di magia in occidente” (Garzanti, Milano);
“Mondo popolare e magia in Lucania” (Basilicata, Roma-Matera) -- Grice: “There
are two types of magic actually: carpet flying and disappearance!” – “La fine
del mondo -- contributo all'analisi dell’pocalissi” (Einaudi, Torino); “La collana
viola” (Boringhieri, Torino); “Re-ligione, comunismo [lavorismo] e psico-analisi”
(Altamura, Roma) Compagni e amici” (La nuova Italia, Firenze); “Storia e Meta-storia”“i
fondamenti di una teoria del sacro” (Argo, Lecce); “Note di campo: spedizione
in Lucania” (Argo, Lecce); “L'opera a cui lavoro: apparato critico e
documentario alla Spedizione etnologica in Lucania” (Argo, Lecce); “Una
vicinanza discrete” (Oleandro, Roma); “I viaggi nel Sud” (Boringhieri, Torino);
“Panorami e spedizioni” (Boringhieri, Torino); “Musiche tradizionali del
Salento” (Squilibri, Roma); “Scritti filosofici” (Mulino, Bologna); “Dal
laboratorio del mondo magico” (Argo, Lecce); “Ricerca sui guaritori e la loro clientele”
(Argo, Lecce); “Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione
nel Salento” (Argo, Lecce); “Promesse e minacce dell'etnologia”; G. Angioni,
Una scuola antropologica sarda?, in “Sardegna: idee, luoghi, processi culturali”
(Roma, Donzelli); “Antropologia e il comunismo del lavoro”; “Marxismo e
religione”, “Il folklore pro-gressivo, in l’Unita’, “Teoria antropologica e
metodologia della ricerca, L'asino d'oro ; Il mondo magico, ed., Torino, Rèpaci,
G. Angioni, Fare dire sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Nuoro, Il
Maestrale, M. Baldonato e B. Callieri, Soglie dell'impensabile. Apocalissi e
salvezza, Rivista sperimentale di freniatria: la rivista dei servizi di salute
mentale (Torino: [Milano: Centro Scientifico; Angeli). R. Beneduce, Un'etno-psichiatria
della crisi e del riscatto, "aut aut", S. Fabio Berardini, Ethos
Presenza Storia. La ricerca filosofica, Trento
Giordana Charuty, Le precedenti vite di un antropologo, Angeli,
Milano, P. Cherchi, Dalla crisi della
presenza alla comunità (Napoli, Liguori); P. Cherchi, Il peso dell'ombra:
l'etnocentrismo critico e il problema dell'auto-coscienza culturale, Napoli,
Liguori, P. Cherchi, Il signore del limite: tre variazioni critiche (Napoli,
Liguori); S. Matteis, Il leone che cancella con la coda le tracce. L'itinerario
intellettuale, Napoli, d'If, Donato, La Contraddizione felice? Martino e gli
altri, ETS, Pisa, M. Epifani, La fuga. Opera teatrale, Roma, riedita da La mongolfiera edizioni e
spettacoli; F. Faeta, I viaggi nel Sud, Boringhieri, collana «Nuova Cultura», F.
Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente. Laterza, Bari); Dizionario Biografico degli
Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Mariannita Lospinoso, Enciclopedia
Italiana, Appendice, Istituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani M. Massenzio, L’antropologia, in Il
Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, stituto
dell'Enciclopedia italiana Treccani A. Momigliano, Recensione a "La terra
del rimorso", in Rivista storica italiana, Quarto contributo alla storia
degli studi classici e del mondo antico,
Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, G. Sasso, M. Fra religione e
filosofia, Napoli, Bibliopolis, Taviani, Ridere un mondo, Roma, Aracne, Zanardi,
Sul filo della presenza. Fra filosofia e antropologia. Unicopli, Tabacchini,
Dramma e salvezza: il carattere protettivo del mito in G. Leghissa, Enrico
Manera, Filosofie del mito nel Novecento, Carocci, Roma. A. Rigoli, Magia ed
etno-storia, Boringhieri, Torino); B. Croce Vittorio Lanternari Claude
Lévi-Strauss Diego Carpitella, “Tarantismo” -- Altan Alberto Mario Cirese G. Angioni
Antropologia culturale P. Cherchi Scuola antropologica di Cagliari A. Gramsci
Storia delle religioni Etnologia Pizzica, Treccani Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M.
Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, VDizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, siusa. archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Massenzio, M. e l'antropologia, in Il contributo
italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana,. Recensione a Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al
pianto di Maria. Recensione a Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del
magismo. Pagina autore Liber Censor.net
di Ernesto de Martino, Istituto Ernesto De Martino, su iedm. Società di
Mutuo Soccorso Ernesto de Martino, su sms de martino.noblogs.org. Interpretazioni
dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto de Martino, su
L’analisi e la classe, "Intorno a una storia del mondo popolare
subalterno", su Academia.edu. Grice: “The more Martino speaks of
‘meridionale’ and ‘sud’ the less I’m willing to qualify him as an Italian
philosopher simpliciter – so I categorise him as a representative of ‘filosofia
del sud’ or ‘filosofia meridionale’. Ernesto de Martino. Martino. Keywords:
religione civile, magismo – essercizio del giudizio – viaggio magico en route –
carpet route travelling – o routeless --. Luigi Speranza, “Grice e Martino” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Masci: l’implicatura conversazionale -- critica della critica della ragione –
implicatura solidale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Francavilla
al Mare). Filosofo italiano. Grice:
“But perhaps more interesting that his explorations on the judicative are
Masci’s conceptual analysis, and fascinating ‘natural’ history of the will,
with a focus on Aristotle!” Grice: “Like Masci, I make a conceptual connetction
between willing and free-will.” – or “volonta” e “liberta” in his words!” -- Grice:
“I like Maci; he has philosophised on forms of intuition and instincdt – cf. my
“Needs’ – and what he calls the psycho-physical materialism. Also on what he
calls the psychological parallelism – He spent a few essays on quantification
and measurement in atters of the soul -- -- and speaks of an ‘indirect measure’
in psychology. He has opposed ‘conoscenza’ to ‘credenza’ (cf. my knowledge and
belief), and further, ‘conosecenza and pensiero’, knowledge and thought. Nato
in una famiglia della borghesia abruzzese, perse il padre all'età di 4 anni.
Frequenta il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli studi
liceali, e allievo di MOLA, che gli insegna filosofia. Inizia gli studi di giurisprudenza all'Napoli, dove
si laureò ed in seguito studiò scienze politico-amministrative. Comincia ad
approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni tenute da Spaventa
nella stessa città. Influenzato dalla sua formazione universitaria e dallo
stesso Spaventa, al centro dei suoi primi studi c'era il pensiero di Kant e
Hegel. Ottenne la cattedra di professore reggente di filosofia a Chieti, prima dell'abilitazione che gli fu
consegnata a Pisa. Inoltre venne nominato vincitore di un concorso della Reale
Accademia delle scienze morali e politiche grazie ad un saggio sulla Critica
della ragion pura. Divenne libero docente di filosofia teoretica all'Napoli e,
l'anno successivo, di storia della filosofia presso l'Pavia. Abbandona
l'insegnamento a Chieti per recarsi a Padova, dove era stato nominato
professore straordinario di filosofia morale. All'istituto scolastico lasciò
numerosi scritti sulla filosofia antica. Un anno dopo divenne Professore
all'Napoli. Ottenne la carica di rettore dell'Napoli e di consigliere
comunale della medesima città. Nel corso della sua carriera politica fu eletto
deputato dal collegio di Ortona al Mare per la legislatura e fu un sostenitore
di Annunzio. Entra nel Senato del Regno,
dove intervenne più volte sul tema dell'istruzione pubblica. Sosteneva la
maggiore importanza della formazione classica rispetto a quella tecnica o
scientifica nelle scuole secondarie. Liceo scientifico
"Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente dell'Accademia di lettere ed
arti della Società Reale di Napoli, socio della Regia Accademia dei Lincei,
membro del Consiglio superiore dell'Istruzione Pubblica e di altre istituzioni
culturali. Presso i lincei difese l'importanza di Kant e Fichte in contrasto
con le parole di Luzzati che li aveva criticati per essere filosofi tedeschi.
S’erige un busto commemorativo a Francavilla al Mare e il neonato liceo
scientifico di Chieti fu intitolato in suo onore. Nel corso della sua
carriera conobbe Scarfoglio e Annunzio, che continuò a frequentare negli anni
successivi. Inoltre fu tenuto in grande considerazione da Spaventa. Compone “Pensiero
e conoscenza”, in cui sono racchiusi gli aspetti più importanti della sua
filosofia. Ha molteplici interessi (filosofia, psicologia, sociologia,
pedagogia, diritto e storia) ed è considerato uno dei più importanti esponenti del
neo-kantismo o neo-criticismo, avendo rifiutato sia alcune posizioni di
Spaventa, sia l'affermato positivismo di Ardigò, che esclude ogni possibile
principio a priori della conoscenza. La ripresa della filosofia di Kant e segnata
dalla convinzione che e sbagliato ridurre la realtà a pura rappresentazione, ma
anche dal tentativo di studiare la genesi psicologica delle categorie e quindi
negare la loro formulazione numericamente rigida. Nel materialismo psico-fisico
cerca di dimostrare l'unità tra anima e natura in una concezione psico-fisica
della realtà, ma la sua filosofia e criticata da Gentile, anche a causa della
mancata adesione al ne-oidealismo. Altri saggi: “Le forme dell'intuizione”
(Vecchio, Chieti); “L’istinto” (Società Reale, Napoli); “Il materialismo
psico-fisico”“Il parallelismo in psicologia, “Atti dell'Accademia di Napoli”,
Napoli Intellettualismo e pragmatismo,
“Atti della Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”, Napoli, “Quantità
e misura nei fenomeni psichici”Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e
Politiche della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni &
Figlio, “Della misura indiretta in psicologia.”Conoscenza scientifica e
conoscenza matematica. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Credenza e
conoscenza” -- “I like the latest bit,
where he discusses the reciprocity of the faculties” – Grice.) Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, “Pensiero
e conoscenza,”Bocca Editori, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italian astrino
per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale
dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note Schede di personalità
abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo). Storia
del liceo M. e biografia, Liceo M.).
Discorso di commiato per la morte di Masci, su notes 9. senato.
Pietrangeli, M. e il suo neocriticismo, Milani, Padova, Gentile, M.: dal
criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs, Chieti. Giuseppe Landolfi
Petrone, M., Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Atreccani
Enciclopedie , Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere M., su Liber Liber. Opere
di M., su open MLOL, Horizons Unlimited srl.
M., su storia.camera, Camera dei deputati. M. su Senatori d'Italia,
Senato della Repubblica. Differenza tra la filosofia e le scienze pparticolari.
Oggetto della Filosofia. La Gnoseologia e la Filosofia prima come parti
fondamentali della Filosofia generale. Distinzione dei sistemi filosofici, loro
significato e importanza. Distinzione delle altre parti della Filosofia
generale ed applicata, partizione e limiti della Filosofia elementare. LOGICA PRELIMINARE.
CONCETTO DELLA LOGICA E SUE ARTI. La Logica come scienza formale e
dimostrativa, sua definizione. Importanza della Logica. Suo rapporto con le
altre parti della Filosofia e con la scienza. Pensiero e conoscenza;
divisione generale della Logica. Nozioni preliminari sulle formo elementari,
concetto, giudizio, sillogismo; forme metodiche. I PRINCIPII LOOICI.
Determinazione dei principii. Il principio d'identità. Il principio di
contraddizione, valore di questo principio. Il principio di terzo escluso.
Il principio della ragion sufficiente. Valore dei principii logici.
Illustrazioni filologiche. Logica, dialettica, annliticn, elementi, c
oncetto , nota, rappresenzione, teoria. Teorema, problema/Speculativo. Astratto
e concreto, soggetto ed oggetto, contenuto ed estensione, analisi e
sintesi. Teoria delle forme elementari. Il concetto. Formazioni: k
natura dei. concetto. Il concetto e l’astrazione. L'iinagine concettuale.
Il concetto e la parola. Caratteri del concetto. Il concetto e l'essenza.
Il concetto e il giudizio. II. CONCETTO CONSIDERATO IN SE STESSO. Lo note,
loro significato rispetto all'unità del concetto, e loro ordine in esso. Concetti
nstrutti e concreti; qualità, generi, specie, forme diverse
dell'astrazione. Nota e parte, concetti di relnzioue, Contenuto ed
estensione dei concetti, rapporto tra il contenuto e 1' estensione. Contenuto
ed estensione nei concetti di relaziono. Della chiarezza del concetto. Il
concetto considerato in rapporto ad altri concetti. Rapporto d identità e
diversità, concetti equipollenti e concetti reciproci, significato delle parole
sinonimo ed omonimo. Rapporto d'opposizione, concetti limitativi e privativi,
concetti in opposizione contraria reciproca. Rapporto «li subordinazione
e coordinazione, contiguità ed interferenza dei concetti, i sistemi dei
concetti. Subordinazione e coordinazione dei concetti di relazione, condizione
e condiziauato, principio e conseguenza. Le categorie. Categorie
grammaticali, logiche e gnoseologiche, classificazione aristotelica delle
categorie, differenza tra le categorie logiche e le grammaticali. Le
categorie gnoseologiche, la classificazione kantiana, Le categorie di .sostanza
e di causa; il numero come epicategoria. Grammatica e Logica.
Elementi materiali ed elementi formali del linguaggio. Influenza del pensiero
sul carattere formale della lingua. Influenza delle forme grammaticali sullo
sviluppo del pensiero. Il Giudizio. Del giudizio in generale.
Definizione logica del giudizio, le definizioni realistiche e le logiche,
teoria del Brentano, Elementi dol giudizio, Della classificazione dei
giudizu. La classificazione tradizionale dei giudizii e il suo fondamento
logico. Discussione delle obiezioni contro d i essa, Forme dei giudizii
secondo la qualità -- il giudizio affermativo e le varie specie d'identità da
esso espresse; il giudizio negativo, sua essenza e sue forme principali,
limite della predicazione negativa; r) il giudizio infinito, se è una
forma a sé rapporto te» l affennaaione e la negazione nel giudizio
infinito,’ Jorme dei giudizi! secondo la quantità; il giudizio
universale, sue forme quantitativa e modale; il giudizio par- 6
ÌUdUttÌV “' se sia ™specte «ordinata de universa ' 6 ;^! 1 giudeo individule,
sue forme si laro Polme ?-’ sua ,. ,rre f ucibiIità al giudizio
universale, p. ICO Forme de. giudizi, d,
relazione; a) il giudizio categorico sua funzione sua irreducibilità; ») il
giudizio ipotetico, se Sia .m giudeo Ino g j 17 - 1 1 ?°|. etl ° 1
' c> ’’ S lm,izio disgiuntivo, suo significato logico condiziom di
validità; si mostra che non iuchiudfn con catto della re^rocità d' azione
ed è un giudizio dell’estensione, ft* e giuiUzi.
modali, critica delle obiezioni del Sigivi | deMVundt Dki GIUDIZII
COMPOSTI. Natura dei giudizii composti, loro specie, p. 171 s U
Ghi notti ::rr u >i r f eiazìoue <,mogen,;u 172 -§ m. (h^ CO
m- post. a relazione eterogenea, Giudizii contratti, Qnadro
generale di tutte le forme dei giudizii, p. no. Giudizi analitici e
sintetici. r t i I | GÌ j d !? ÌÌ analitici - sintetici, e
sintetici a priori, II -ritmile della teoria dei giudizii sintetici a
priori, significato vero di questa teoria, Giudizi! empirici e giudizii a
priori. Delle relazioni dei concetti nei giudizii DELLE RELAZIONI
DEI GIUDIZII. Attribuzione del predicato ni soggetto nei giudizii, Dipendenza
delle relazioni dei giudizii dulie relazioni del loro contenuto,
relazioni immediate, e mediate, e specie della prima tecnica dei
raziocina immediati, e schema della subalternuzioue e dell opposizione
dei giudizii. Delle trasformazioni dki annui Trasformazioni quantitative e
modali per subalternazione, Trasformazioni quantitativo-qualitative e
modali por opposizione, Trasformazioni por equipollenza qualitativa, per
equipollenza della relazione, per equipollenza tra la quantità o la
modalità, Teoria delle reciproche, suo valore logico; teoria delle
reciproche universali affermative ; caso delle reciproche condizionali,
(teorema di Hauberì. Lo reciproche universali negative. Lo reciproche
particolari affermative e negative, Teoria della contrapposizione, Si
prova che le reciproche e le contrapposto delle proposizioni
universali sono, quando sono possibili, vere illazioni, Il
Sillogismo. Ragionamento e Sillogismo. I gradi del sapere e le
vie della ricerca, sillogismo e induzione, Strutturo del sillogismo e sua
definizione, La sillogistica aristotelica e la sillogistica delle
scuole, generalizzazione logica e generalizzazione scientifica, l'universale
come fondamento ili qualunque dimostrazione, Il sillogismo
categorico. Regole gonerali del sillogismo. Figure sillogistiche, Modi
generali del sillogismo, e modi speciali di ciascuna figura, Valore delle
figure sillogistiche, la quarta figuro, Specie del sillogismo; 1'
entimema, la sentenza entimematica, l'epicherema, il polisillogismo,
Il sorite; sorite deduttivo e sorite induttivo, Rapporto tra la vorità dell’
illazione e la verità delle premesse SILLOGISMO IPPOTETICO E IL
SILLOGISMO DISGIUNTIVO. Il sillogismo ipotetico: impossibilità di ridurre
1 una all altra le forme del sillogismo; sillogismo ipotetico con termine
medio, sillogismo ipotetico senza termine medio e suoi modi, Il
sillogismo disgiuntivo e sue formo, Il dilemma, sue forme, sue regole, Del riii Nciptp e dui. valore del
sillogismo. Esposizione ed esame delle obiezioni contro il valore
dimostrativo del sillogismo, Critica della teoria del Mill, che ogni
ragionamento, e quindi anche il sillogismo, e un inferenza dal
particolare al particolare, Esame della quistione se il sili ogismo sia
la forma generale del raziocinio, Del principio fondamentale del sillogismo; se
sia materiale o formale; i principii aristotelici e quelli del Lambert. Si
dimostra che il sillogismo si fonda sugli assiomi logici e sul principio
della sostituzione dell'Identico, Teoria pei. Metodo Metodo
sistematico Oggetto e parti del metodo; oggetto e parti del metodo
si stemutico, La definizione. Elementi della definizione ;
come 1' individuazione del concetto sia effetto della loro composizione, Le definizioni come principii proprii nelle
scienze deduttive e induttive, Concetti indefinibili e loro specie ; forme
approssimate della definizione, e loro valore assoluto e comparativo,
Definizione nominale e definizione reale, specie della definizione nominale, la
definizione nominale induttiva; la definizione reale, definizioni
riversibili, difficoltà opposte delle definizioni metafisiche «d
empiriche, metodo delle definizioni reali induttive, definizioni reali
deduttive, Definizioni analitiche e sintetiche, la definizione genetica, Regole
delle definizioni, Divisione e Classificazione. Concetto della divisione,
e sue regole, Da dicotomia, sue specie, suo valore logico, La classificazione
scientifica, suo fino; le classificazioni per qualità apparenti; la
classificazione tassonomica e la classificazione per serio, La classificazione
per tipi , sue specie; inferiorità della classificazione per tipi alla
classificazione per definizioni, Le classificazioni genetiche ; come siono
apparecchiate dalla fase comparativa delle scienze; Jifficoltà delle
classificazioni genetiche, loro perfezione rispetto a tutte le altre,PnOVA DEDUTTIVA
K J'HOVA INOUTTIVA. Oggetto della prova; i principii di prova e
loro specie; specie •della prova, La prova deduttiva, sue forme logica
e causale, analitica e sintetica. Procedimenti e modi varii della
prova deduttiva analitica, Sqhema della prova induttiva; la teoria
dell’induzione in Aristotele, Bacone, Hume e Milli; verità ed errore
della teoria del Mill; so il calcolo dello probabilit à, o il principio
d'identità possano essere fondamento deU'induziono, Differenza
dell'induzione dall' associazione psicologica; solo fondamento della logica
dell'induzione la dipendenza della realtà da principii a da cause come
una legge necessaria del pensiero e dell'essere. L'induzione come
operazione inversa della deduzione, limiti di questa teoria, Delle forme di
ragionamento che sembrano, ma non sono induzioni II postulato
dell'uniformità delle leggi di natura, come debba intendersi, e quali
sieno propriamente leggi ili naturu: rapporto del postulato col principio di
causa; si mostra che questo assicura non solo l’uniformità degli effetti,
ma anche l'uniformità delle cause, Gradi dell'induzione; di verse
condizioni della sua val idità nelle scienze della natura e in quelle
dello spirito; l'induzione nelle Matematiche, La PROVA ENTIMEMATICA E
L'ANALOGICA. La prova entimematica, sue specie, suo uso o valore
essen¬ ziale nelle ricerche scientifiche, suo carattere deduttivo,
Tecnica del ragionamefl4£jmjjlo£ieo, somiglianze e differenze dall
induzione, in che senso e in che limiti debba intendersi che è un’inferenza
dal particolare al particolare, Rapporto tra l'analogia c l'as sociazione
psicolo gica: il nesso tra la funziono logica e la psicologica come causa
dell'uso larghissimo dell'analogia nella prova scientifica, e dei facili errori
ili cui è causa, L a ngioma perfetta e l'impe rfetta, grudi di
quest'ul- tima, e limiti della~sua validi^, p. ,'!tt "Tj Y.
L'analogia d'identità e l'analogia «li coordinuzione, La prova
indiretta. Tecnica della prova indiretta , sue forme contraddittoria
e disgiuntiva; e rrore d ella L gica tradizionale che ammette solo l
a prim a: critica delle contrarie teorie del Sigsvart e del Wundt,
La prova indiretta disgiuntiva multipla, e l’ alternativa; la prova indiretta
contraddittoria, Paragono tra la prova diretta e l’indiretta; casi del
loro uso cumulati vo, e funzioni in essi della prova indiretta, 1 PUINUIPII DI
PROVA. Necessità che vi siano princi pii primi ; j vr indpii
proprii, Specie dei principii; d efinizi oni, ipotesi, postulati, a
ssio mi; caratteri logici di ciascuno di essi e loro funzioni; discussione sui
caratteri dell’assioma, Il criterio della certezza consiste
nell'inconcepibilità del contraddittorio, e nei postulati della verit à d ell'
esperienza ~~e ifolLy informità della natura, Sofismi . Se la
Sofistica sia una parte della Logica, Difficoltà di dare una buona
classificazione dei sofismi, esame delle classificazioni di Aristotele,
del Whately e dello Stuart Alili; ragioni di ridurre i .sofismi a tre classi
secondo che riguardano o le premesse, o l'illazione, o la conseguenza logica
della prova, n. 3( il - Sofismi verbali e so fismi morali , p. Sili —
Sofisrnìuigici relativi alle premesse; loro specie, premesso
apparentemente vere, petizione di principio , inversione tra principio e
conseguenza, Sofismi relativi all'i llazi one, loro specie, 1 'ignorano
elenchi, e il ai- auto» probare nihil probare, So fismi r i rr» |a
conse- Metodo inventivo. Oggetto o parti del metodo
inventivo, Dei metodi ikdutitvi. Analisi dell'idea di legge; leggi
normative, causati, matematiche. Definizione della legge, Oggetto della
ricerca induttiva sono le leggi causali; distinzione ili esse dalle
leggi di consistenza. Il concetto.sperimentale della causa. Caratteri
fondamentali della causalità nella natura; la pluralità delle cause, lu
molti- plicità delle serie causali, hi composizione a collocazione delle
causo, la trasformazione delle cause, la causalità unilaterale e
reciproca, L’osservazione scientifi ca: il suo carattere fondamentale è
la prevalenza del ragionamento sulla percezione. Precetti a cui deve
conformarsi. Le tre operazioni nelle quali si risolve sono, l'analisi,
l'eliminazione, la generalizzazione. Osservazione esterna od interna,
L'esperimento, suo maggior valore rispetto all induzione. Necessità di
mezzi superiori di ricerca sperimentale, i metodi induttivi, Logica. ? o:
t guenza logica della p rova: s ofismi dedu ttivi, loro specie,
sofismi di conversione e di opposizione, sofismi por inosservanza delle
regole sillogistiche circa la qualità o quantità dell'illazione in
rapporto alla qualità e quantità dello premesso, sofismi di divisione e
di composizione, sofismi a dirlo secondimi quid ad ilictum simplieiter,
et secundunr alterimi quid. Sofismi induttivi; sofismi di osservazione, loro specie; sofismi di
generalizzazione, loro specie; i sofismi di falso analogio derivanti
dall'uso delle metafore sognano il limite di transizione dai sofismi di
pensiero ai verbali p. Dki metodi induttivi. (muti nuaz unir)
Metodi induttivi in Bacone, Herschell e Stuart Mill, Il metodo di concordanza,
Il metodo di differenza, e il metodo di concordanza negativa, Il metodo delle
variazioni, Il metodo dei residui; uso cumulativo dei metodi induttivi, Limiti
del valoro dei metodi induttivi dipendenti dalla mol teplicità delle
cause p ^dOili di uno stesso effe tto, e dalle complicazioni delle cause.
Necessità dell'integrazione deduttiva per ricollegare le parti del
procedimento induttivo, Dei. metodo deduttivo. Oggetto e
forme del procedimento inventivo deduttivo ; uso di questo procedimento
nelle scienze razionali, il valore delle ijw- tcsi in queste dipende
dall'inversione del procedimento deduttivo. Applicazione del metodo alla
risolupiona dei problemi ; necessità della dcdueione dei concetti come
fondamento di esso, 11 proce dimento deduttivo nelle scienze eimteri che
causali; suppone l'induzione anteriore delle leggi causali più semplici,
o consiste o in una riduzione o in una sintesi. Necessità j ella
itjerificazio D e. Il procedimento deduttivo da i uotegi causali. C ondizioni
cIVih i- missibilità delle ipot esi, Condizioni di neiificazione ;
verificazione completa e incompleta.gradi di ciascuna, osompii. p.tòO. Discussione
delle cr itiche mosse all'uso dol imi unteci. Importanza dello ipotesi, e largo
uso di esse in ogni ramo di scienze come condizione del loro progresso ;
condizioni soggettive ed oggettivo delle vere ipotesi scientifiche,
Haitouti tua l'induzione e la deduzione. Divisione delle leggi in
primitive e secondarie, o delle secondarie in empiriche e derivate ; limiti
relativi della loro estensione, Si mostra con l'esame dei variimodi di
spiegazione di un fenomeno, che spiegare è dedurre. Limiti della
generalizzazione nella scienza, Significato relativo della
distinzione delle scienze in induttive e deduttive ; tendenza generale
delle scienze a diventare deduttive ; difficoltà di tale trasformazione,
ed Muti che riceve dall'applicazione del Calcolo, I P li O. Definizione
logica del problema, distinzione dei problemi in ipotetici ed assoluti, e
modo di risolverli, I problemi antitetici, modi di risolverli,
VEBISIMIOLIANZA QUALITATIVA. Verisimiglianza Qualitativa e
verisimiglianza quantitativa: norme logiche della prima, Delle ragioni di non
credere alle testimoniauzo contrarie a leggi causali note, Ul. e
alle uniformità non causali, Delle ragioni della incredibilità delle
coincidenze e delle serie, Veiusisik; manza quantitativa. II calcolo delle
probabilità e le sue norme fondamentali, I suoi presupposti: in che senso e in
che limiti è vero che il calcolo dello probabilità suppone l'ignoranza delle
condizioni qualitative dell'evento, Il calcolo delle probabilità come
procedimento di eliminazione del caso; concetto logico del caso, Eliminazione
del caso rispetto all'effetto; olimiuaziona del caso rispetto alla causa,
Metodi delle Matematiche. Le Matematiche come scienze deduttive, I Metodi
dell'Aritmetica come metodi di formazione dei numeri; il siste¬ ma di
numerazione, e le operazioni, L' Algebra
come scienza delle funzioni: notazioni algebriche; l'Algebra come
scienza dell'equivalenza dei modi di formazione delle quantità, La
Geometria come scienza dell'equivalenza delle grandezze; i tre metodi
principali della Geometria elementare, la risoluzione delle figure; le c
ostruzioni ausilia rie, le c ostruzioni genetic he . L'induzione in Matematica,
Estensione e limiti dell applicazioue dello Matematiche allo altre
scienze, METODI DKU.K SCIENZE BTOBIOHK. La testimonianza come nnirp
[iri-mH-Jal Wvoi!i|-à 'lei fatt i stormi; valore Tjel rritijrio I ntrinse co,
la verisijjiigliuuza; necessità del criterio estrinseco, cioè desumo
dalle reiasioni di tempoo luogo del racconto col fatto. Valore della
leggenda per la storia. S li.Monumenti; monumenti preistorici, f ihdmria o s|^
ri,i p .ts-. g m. Monumenti storici, maggior valore di essi in confronto
con lu testimo- niuiiza; le due quistioni possibili rispetto a questa,
l'autenticità e la credibilità; Iti credibilità è tanto maggiore (pianto
più è possibile riportare il racconto alla percezione diretta come a
causa- Maggior valore della tradizione scritta e suoi limiti,
L'autenticità è tanto maggiore quanto maggiore i- la possibilità di escludere
lo falsifica - zioni e le alterazioni, i ncertezza e limiti della
tradizione orale, esempio del valore storico dell’ epopea francese,
I criteriidei numero e della credibilità dei testimoni, Passaggio dai
fatti alle leggi ; s cienze storiche e sociul i. p. Dei metodi ueij-k scienze
storiche, Tre specie di melodi por la ricerca delle leggi storiche:
critica del metodo deduttivo astratto,Critica della teoria antropologica.
Critica dell'analogia biologica, Critica dal materialismo storico .Critica
della aeuola .dorica, L'indeterminismo storico, e la scuola
psicologica, Il metodo deduttivo inverso o storico, funzione
essenziale dell'Induzione in esso, le leggi storiche come lci/</i di
tendenze. \ ili Insnflii-ionza iL-1 |n'i n• i < 1 i nn •( 1 1• »
induttivo desunta dalla natura delle uniformità accertate dalla
Statìstica, p. òli Si IX. Si mostra che lutti i metodi hanno n p valore
limit ato nella rìcercu delle leggi storiche,e che tutti possono essere
utili, se subordinati al metodo deduttivo inverso. Concetto della Filosofia
della storia, LA SOCIETÀ, IL DIRITTO, LA MORALITÀ. L'aspetto sociale perla
coscienza di sè, S I. L'io sociale, sua formazione, sue fasi di sviluppo,
Identificazione dell'io sociale con l'io formale, l'io come principio sociale,
LA SoCIETA. Condizioni comuni della vita sociale animale ed umana, e condizioni
proprie di questa. Le società animali, Diffe renza tra la società umana e
l'animale. La teoria biologica, e l'ato mistico-contrattualista. Se la società
sia una realtà indipendente dalle coscienze individuali, Definizione della S o
cietà. CAPO III. LE FoRME soCIALI PRIMITIVE E IL LoRo svILUPPo. Il gruppo
sociale primitivo, il costume, la sanzione religiosa,
organizzazioneprimitivadell'assicurazionesociale. Ori gine dello Stato, il
diritto e lo Stato, DIRITTO E MORALITA'. Unità primitiva delle regole della
condotta, separazione pro gressiva della religione, della morale e del diritto.
Dif ferenze tra la morale e il diritto, Caratteri differen ziali derivati,
Rapporto fra il diritto e la moralità; concetto dell'Etica come scienza, La
Coscienza morale. I GIUDIzn vALUTATivi MoRALI. Giudizii di cognizione e
giudizii di valutazione, i giudizii valutativimorali, La teoria dei valori in
Economia, La teoria che pone il principio della valutazione m o rale nel
sentimento, Una forma speciale di questa, la teoria dei valori normali, Esame
della teoria sentimen talistica, Il senso morale, la simpatia, la pietà, I GIUDIziI
VALUTATIvi MortALl. Il sentimento non può essere principio di valutazione
morale, perchè è mezzo non fine, e perchè è correlativo delle idee, e prende
nome da esse. Il sentimento del rispetto morale (Achtung) secondo Kant. Si
mostra che la ragione può operare sul sentimento, e che
èilgiudiziodivalorequellochelodetermina, Esame della teoria appetitiva e della
volontaristica dei valori morali, La teoria biologica dei valori,Il carattere
ra zionale della valutazione morale provato, a) dalla necessità del cre terio
morale, e dalla dipendenza del sentimento da esso; b) dalla sistemazione
finalistica dei valori morali; c) dal carattere scientifico dell'Etica; d)
dalla idealizzazione progressive del sentimento morale, ANALISI DELLA cosCIENZA
MORALE. Coscienza morale e coscienza psicologica, genesi della c o scienza
morale nell'individuo, l'equazione personale della moralità, Genesi della coscienza
moralesociale, suo procedimento dal particolare all'universale, Contenuto ed unità
della coscienza morale, Autorità della coscienza morale, san zione, Sentimento
morale, affinità del sentimento m o rale col sentimento religioso, L'idea del
dovere come categoria morale ultima; essa suppone il dualismo morale, ed è la
condizione del progresso morale. Critica della teoria psicologica. Dovere e
diritto. La subordinazione dei doveri dipende dal grado della loro universalità.
Coincidenza del dovere e del bene.ANALISI DELLA CosCIENZA MORALE. La volontà
morale, esame della teoria che il fine giustifica i mezzi,Il carattere
psicologico e il carattere morale, Teoria aristotelica della virtù, che è un
abito, che è una medietà; critica di questo secondo carattere. Classificazione
ari stotelica delle virtù. La teoria kantiana, e sua opposizione con la
precedente. La loro conciliazione si può avere se si concepisce la virtù come
la sintesi superiore della coscienza morale, Se possa concepirsi l'estinzione
della coscienza morale,Le basi della moralità. LA LIBERTA' MORALE. Rapporto
teorico tra la libertà e la moralità, antinomia tra la libertà e la causalità,
vicende storiche del problema, i tre punti di vista dai quali deve essere
considerato, La libertà d'indifferenza, argomenti indeterministici, il numero
infinito, il nuovo, i casi d'indeterminazione nella natura, il caso, la
statistica. La li bertà intelligibile di Kant; teoria del Bergson, la causalità
ridotta all'identità, e la libertà creatrice. La libertàela testimonianza della
coscienza; argomenti opposti dei deterministi e degl'indeterministi; il
risultato della disputa non è favorevole alla libertà d'indifferenza, LA
LIBERTA' MORALE. La libertà e l'ordine morale, libertà e responsabilità, loro
nesso necessario. Contro di questo non valgono nè la critica dell'idea di
sanzione, che lo nega, nè l'idea dell'autonomia che non lo spiega, La libertà d'indifferenza in contrasto con la
respon sabilità, questa ammette la causalità del motivo; ilrimorso e lo sforzo
morale ne sono prova, Esame del criterio della pre vedibilità degli effetti
dell'azione, La libertà morale s'identifica con la causalità dell'io; la teoria
psicologica dell'auto coscienza e quella della volontà, come potere
d'inibizione e d'im pulso proprio dell'io, sono la dimostrazione di questa
causalità. I n stabilità delle condizioni psicologiche della causalità dell'io,
con solidamento di esse nel carattere morale, La respon sabilità morale
richiede come suo fondamento una formazione psi cologica identica per tutti,
quindi non potrebbe riconoscerlo nel temperamento o nel carattere psicologico.
Differenza del consenso teoretico e dell'adesione pratica in cui consiste la
libertà. Rapporto della responsabilità con lo stato d'integrità della causalità
dell'io,e loro variazioni correlative. Suo rapporto con l'educazione della v o
lontà. La libertà e la vita sociale, intimo rapporto della libertà con la
solidarietà. LA solIDARIETA' MORALE.
Libertà e solidarietà; suggestione individuale e suggestione collettiva della
solidarietà; la solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso; la
solidarietà e l'eguaglianza, p. La soli darietà economica, sua causa la
divisione del lavoro; influenza di questa causa sulle forme superiori della
vita sociale; anomalie. Li bertà, solidarietà, giustizia; loro nesso
necessario, giustizia ed egua glianza, Se la divisione della voro possa essere considerata
come il principio morale della solidarietà nelle società superiori; solidarietà
nel diritto, nella storia, nell'arte, nella scienza, nella religione. L'unità
morale della natura umana, e la giustizia come condizione della solidarietà, LA
Giustizia, La giustizia come idea morale fondamentale; la giustizia come virtù,
cenni storici, La giustizia come norma; teoria aristotelica, Teoria di Mill, La
giustizia come unità della libertà e della solidarietà;lagiustizia nell'ordine
economico, Giustizia e carità; il progresso morale, La legge morale.I sisTEM1
MoRALI. Classificazione dei sistemi morali. La morale eteronoma, La morale
autonoma; isistemi sentimen talistici e gl'intellettualistici, I sistemi aprioristici e gli empirici, I
sistemi universalistici e gl'individuali stici, I sistEMI MORALI. I sistemi soggettivi, l'edonismo e l'eudemonismo,
I sistemi oggettivi, l' utilitarismo; utilitarismo individuale e utilitarismo
sociale, l'utilitarismo nella filosofia dell' evoluzione (Spencer). Altre forme
della morale oggettiva, la morale della perfezione, la morale del progresso, la
morale del vi vere secondo natura, La morale biologica, socialismo e
individualismo biologico, Critica della morale bio logica. Necessità di una
morale razionalistica. LA LEGGE MORALE. S l. Differenza tra la legge naturale e
la legge morale, carattere di obbligazione, altri caratteri della legge morale,
Concetto del Bene; la prima formula della legga morale, l'univer MAscI–
Etica. - – salità. La seconda formula
della legge, la finalità. La terza formula della legge, l'autonomia. Unità
delle tre formule. Il sentimento m o rale, Il carattere formale della legge morale
kantiana; vecchie e nuove critiche contro di esso; parte innegabile di verità
che è in esse. Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista
gnoseologico, S Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista
oggettivo, L'accentuazione formalistica
della dottrina kantiana come conseguenza dell'opposi zione contro l'empirismo
morale, necessità della negazione del for malismo morale, e del dissidio tra la
ragione morale e il sentimento morale. Valore storico e teorico dell'etica
kantiana. LE FORME DELLA COMUNITÀ MORALE. INTRODUZIONE S I. L'Etica come
scienza sociale; suoi aspetti ideale e storico. Le diverse forme della vita
sociale: la famiglia, la società civile, lo Stato, la società religiosa. LA
FAMIGLIA. S I. Cenni sulla storia della famiglia, la famiglia paterna,
L'idealità morale nella famiglia. La famiglia dal punto di vista giuridico e
dal morale; monogamia, fedeltà, indisso lubilità, divorzio. Critica della
teoria che considera la famiglia come una forma transitoria della comunità
morale, Il m a trimonio civile e il religioso; i rapporti tra i coniugi, e tra
i geni tori e i figliuoli; la patria potestà,
LA SOCIETA' CIVILE. Concetto della società civile; in qual senso e in
quali limiti si può dire che la società civile derivi dalla famiglia, la
società ci vile e lo Stato, Le classi sociali, gli antagonismi so ciali e lo
Stato, LA SoCIETA' CIVILE COME SISTEMA DEI DIRITTI PRIVAT1. Diritti personali e
diritti reali, loro comune fondamento. D i ritto di libertà e sue
specificazioni, la personalità morale e giuridica –della donna,
limitazione della seconda nella sfera del diritto pubblico; carattere sociale
dei diritti personali, Dei diritti reali, la proprietà, suo fondamento
psicologico e suo sviluppo sto rico; impossibilità di dare un fondamento
esclusivo all'una o all'altra delle sue forme, la proprietà delle opere
dell'ingegno, Le obbligazioni,lorospecie; il diritto contrattuale, sua natura, suoi
limiti, Il diritto di associazione, sua natura, suoi fini, sua storia; le
corporazioni medievali e le libere associazioni moderne. Varie specie di
associazioni; le associazioni e lo Stato, DEL CONCETTO E DEI FINI DELLO STATO.
Necessità dello stato, elementi ideali del concetto dello stato, Elementi
materiali, il popolo e il territorio; fattori naturali e fattori spirituali della
nazionalità, La sovranità, suo fondamente razionale; lo Stato di diritto, la
costituzione, la personalità dello Stato, Definizione dello Stato, I fini dello
Stato, loro distinzione in proprii e d'inte grazione, Limiti dell'azione dello
Stato, I POTERI DELLO STATO. S I. Modi varii di distinguere i poteri dello
Stato, Della divisione dei poteri, suo carattere relativo, Il diritto punitivo,
suo sviluppo storico, Esame delle varie teorie sul fondamento del diritto di
punire, G i u stizia civile e penale, delitto e pena, la pena come limitazione
della libertà; la pena di morte, l'infamia, la gogna. Valore relativo degli
altri fondamenti del diritto di punire. LA cosTITUzioNE E LE FORME DELLO STATO.
Le costituzioni degli Stati, definizione, loro carattere storico, moltiplicità
dei loro fattori,Le forme dello Stato, divi sione aristotelica, quali siano
ancora vitali; necessità del governo rappresentativo, sue forme repubblicana e
monarchica, e caratteri differenziali di queste, LE RELAZIONI FRA GLI STATI E
LA PATRIA. Del diritto internazionale, se sia un vero diritto, sua distin zione
in diritto pubblico e privato, Cenni storici, Diritto internazionale pubblico;
la sovranità e le sue limitazioni; la sovranità territoriale e la libertà dei
mari. Diritto di guerra e sue limitazioni. L'ideale della pace universale,
Diritto internazionale privato, statuti personali e reali, dispo sizioni
speciali, Se l'idea di patria sia un'idea transi toria, sua necessità storica e
psicologica e doveri che ne derivano. Elementi più generali di questa idea, e
formazione storica diversa pei diversi popoli. Patriottismo e imperialism. LA COMUNITA'
RELIGIOSA, CHIESA E STATo. S I. Concetto della Religione, ReligioneeReligioni.
SII. Le religioni positive e la cultura; perennità dellavitareligiosa;suo
adattamento ad ogni grado di coscienza, Importanza sociale delle religioni
positive, e unità primitiva della società reli giosa e della civile, Ragioni
della loro separazione, l'universalità della religione, e il principio della
libertà di coscienza; impossibilità per lo Stato di subordinare la cooperazione
sociale alla fede religiosa, I quattro sistemi di regolamento dei rapporti tra
la Chiesa e lo Stato; loro irrazionalità relativa, e confusione dei medesimi
nella politica pratica, Dif ficoltà
teoriche e pratiche del regime della separazione, Difficoltà speciali del
regime della separazione nei paesi cat - tolici; la separazione come meta ideale
nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, p. Nati ra e classificazione dei fatti
psichici. Il fatto psichico come l'atto psicofisico, Differenze trai fatti
psichici e i materiali; che s’intende per stato di coscienza, conscio ed
inconscio. La teoria delle facoltà e quella dell’ unità di composizione
dei fenomeni psichici; il rifesso psichico primitivo, le forme piu
generali delle attività psichiche cóme suoi momenti, loro distinzione
progressiva, Svi l,t'PP O DEI PATTI PSICHICI. La coesistenza e la
successione nei fatti psichici, fatti psichici primarii e secondarii;
l’associazione come loro legge generale; fatti psichici di terzo grado, loro
rapporto con gli altri. Partizione della Psicologia, La subordinazione
progressiva dei fatti psichici alla coscienza è indirizzata alla
conoscenza Il mondo dello spirito oggettivo. La Psicologia della
sensibilità. Delle sensazioni in
P£w.v« Definizione e classificazione delle .sensazioni in loro
stesse e in rapporto agli stimoli , Rapporti fra la geu sa- /ione e
lo stimolo quanto all intensità e all’estensione: soglio e
<iifferensa;quantità negativa; stimolo, eccitazione, sensazione, So ggetti
vità delle sensazioni: limite del principio delle energie specifiche;
moltiplicità di sensazioni per uno stesso stimolo, sensazioni di consenso. Le
sinestesie. In che senso le sensazioni si possono sostituire .L’
eccentricità non è, come la spazialità, una proprietà primitiva delle
sensazioni, Qualità, intensità, t ono delle sensazioni. Irredncibilità
delle qualità. Lpgge di Weber sul rapporto tra la sensazione e lo
stimolo. La legge di Fechner,c eltica de lla medesima, Che s‘ intende per
tono delle sensazioni; rapporto tra la qualità e l’intensità delle sensazioni e
il loro tono. Le. sensazioni in particolare. Le sensazioni particolari si
distinguono in piterne edjtf terne. e le prime "in organiche 0 e
muscolari" Le sensazioni orga¬ niche.'la coinestesia o senso vitale;
le sensazioni organiche speciali. norma li e patologiche, loro funzione
biologica, loro tonalità, loro dipendenza da stimoli periferici e da
stimoli centrali e psichici, Le s ensaz i oni musco lari; diverse teorie
intorno ad esse; si mostra che sono sensazioni centripete del
movimento eseguito, non dello stato organico del muscolo. Contenuto qualitativo
e tono delle sensazioni muscolari. Coinestesia, cinestesia e cinestesi. Le
sensazioni esterne; differenziazioue ed isolamento degli organi relativi,
il loro numero un fatto d'esperienza soltanto. Il senso del tatto, sensazioni
di contatto e sensazioni di tamperàTuraT^SS^Tia ed altezza di stimolo per
le sensazioni termiche: rapporti tra la sensibilità termica e la tattile.
Sensazioni di pressione, di c ontatto . di discriminazione locale. Teoria
del Weber intorno alla discriminazione; i segni locali. Le
sensazioni di forma, 1 sensi chimici, loro carattere biologico;
mancanza di figurabili e quindi minore oggettività del loro contenuto. Il
gusto, stimoli e condizioni di questo senso, varie specie di sensazioni
gustative. Loro fusione e rimemorabilità, penetrazione e intensità.
L’olfatto, natura dello stimolo, penetrazione delle sen¬ sazioni
olfattive,loro intensità e fusione, loro classificazione, e scarso valore
oggettivo, loro valore emotivo e rimemorativo. L’ udito , stimoli delle
sensazioni uditive. Qualità delle sensazioni uditive, rumori e suoni.
Percezioni spaziali dell’udito. L'udito e il linguaggio, la musica.
Altezza, intensità, timbio. Armonia, melodia, ritmo, La vista., stimoli
delle sensazioni visive, corpi luminosi, opachi, trasparenti. L'organo
visivo.Percezione di spazio e di forma; teorie empiriche e teorie
nativiste. Percezioni di luce e di colore. Colori tondamentali e
derivati, acromatismo. Somiglianze e deferenze tra la gamma dei colori e
la scala musicale. Contrasto successivo e contrasto simultaneo. Luminosità
proprie dei diversi colori . colori caldi e freddi, saturi e non saturi. Il
sentimento sensiti ivo. Definizione del sentimento , piacere e
dolore indefinibili e di qualità opposta, soggettività dei sentimenti,
finalità biologica dei sentimenti sensitivi, loro differenza dalle
sensazioni. Fisiologia del piacere e del dolore. Dipendenza degli stati
emotivi dai pre¬ sentativi, II sentimento sensitivo e il sentimento
vitale 4 \\ punto neutro, Dipendenza del sentimento dallo stato del
soggetto, dall’intensità dello stimolo, Rapporti vari! dei sentimenti sensitivi
con l'oggettività, la frequenza, e la qualità delle sensazioni.
Dimostrazione particolari raggiata del primo di questi rapporti,
Sentimenti sensitivi di natura estetica, loro dipendenza dalla
forma delle sen- j sazioni, armonia, euritmia, proporzione. L\ TEND5ì^U-B
L’ISTINTO. I *L’istinto. L’ azioni? riflessasue proprietà e
differenze. Impulsività delle sensazioni, legge di diffusione e legge di
specificazione. La tendenza, Definizione della te nden za, sua
dipendenza dal sentimento che ne è causa; ten denze primitive e derivate;
la tendenza, come stato psichico per sè, è il prodotto dell’inibizione. Carattere
biologico della tendenza, legge di riversione tra l’azion
volontaria e la riflessa. S viluppo dell’attività pratica mediante l’isolamento
e la combinazione dei movi¬ menti. Differenza di s viluppo dell’attività
prat ica nell’animale e nell’uomo, e differenza di finalità. Funzione
dell'imitazione in tale sviluppo. L atti vità pratic a dir etta alle
rappresentazioni, forme dell'attenzione spontanea, L’istinto ;
teorie opposte sulla sua natura ed origine; teoria della lapsed intelligence
(Romanes). Errori del Komaues circa la natura dei fattori dell istinto, e
circa il loro rapporto. Natura dell’esperienza che è base dell istinto, 1
intelligema adattatine), suo carattere frammentario, sua meccanizzazione.
L’istinto cpme uno sviluppo ol- latepale deU’ attività pratica, senza
continuità con le forme supe¬ riori, p. Le condizioni dello sviluppo
psichico. L’ ATTENZIONE. Natura dell attenzione; attenzione
spontanea e attenzione volontaria, specie della prima: attenzione esterna
ed interna. Fenomeni fisici dell’attenzione, Intermittenza e ritmicità dell’
attenzione, Attenzione e percezione, attenzione e coscienza. Carattere emotivo
dell’attenzione spontanea, origine e sviluppo dell’attenzione nella serie
animale, L’ attenzione d’esperienza: e le sue forme singolari dell'
attenzione aspettante, dell’ inversione delle imagini, e dell at tenzione
marginale. L’attenzione interna. La memoria. Analisi del fatto della
memoria, memoria organica e memoria psicologica, loro riversione e
sostituzione. Non ci è una memoria come facoltà generale, ina un numero
grande di memorie particolari. IL Condizioni della memoria,
anomalie mnemoniche, Stato primario e stato secondario nella
memoria, loro differenze, e loro rapporti, Sviluppo della memoria, prova
desunta dalle amnesie, La memoria psicologica e le sue leggi. La
collocazione nel tempo. L’ ABITUDINE. Dell’abitudine dal punto di
vista fisiologico e psichico, Effetti dell’abitudine, l’attenzione e
l’abitudine, I' abitudine come educazione di tutte le funzioni psichiche,
L’abitudine e la volontà. La psicologia della conoscenza. LA PERCEZIONE.
Natura della percezione, sua differenza dall’associazione: la
percezione come integrazione. Condizioni della percezione,. |percezione ed
appercezione^ Altre prove dell’integrazione percettiva, Cause soggettive
ed oggettive delle integrazioni percettive, Misura del tempo della
percezione, equazione personale,[variazioni, percezione e sensazione,
Percezione sensitiva e percezione intellettiva,
La percezione interna, Le illusioni percettive e loro specie, Le
allucinazioni, diverse ipotesi sulle loro cause. L’ ASSOCIAZIONE.
Associazione e percezione, serie percettive e serie rappresentative, Teorie
intorno alla reviviscenza delle rappresentazioni. Critica della teoria
herbartiana, la teoria morfologica, dell'associazione, Se siano
riducibili, Condizioni prossime delle associazioni, Tempo di associazione,
L’oblio. I sogni come fenome ni dell’associazione psicopatica. Il son no.
Diverse specie di sogni. Cause, Rapporto tra le cause positive e le negative
dei sogni, la volontà nel sogno. Sogni telepatici, L’io.
Associazione e coscienza, continuità e dinamismo delle serie
rappresentative, il pensiero delle cose e il pensiero dellMo. Varii significati
della parola cosciente: la. fase irrelativa e l’integrale
oggettiva, La.^u?cifenza \li sé (formale) e 1' empirica o storica, elementi
di quest’ ultima, (u- deducibilità della coscienza di sè
dall’associazione e dall’astrazione, unità e continuità della coscienza di sè.
Lacoscienza dell’identità dell’io; funzióne della'memoria e dell’associazione,
casi di coscienza doppia, La coscienza di sè e l'astrazione come
caratteri distintivi della psiche umana dall’animale. L’astrazione, Il
concetto, Il giudizio. Il principiod'identità come fondamento del
raziocinio, natura dell’identità logica e sua invenzione. Sintesi e analisi.
L’intelligenza animale e l’umana. Il genio scientifico, Dimostrazione del
doppio procedimento del raziocinio nel raziocinio quantitativo e nel
qualitativo, Le forme dell' intuizione e le categorie, Psicologia e
linguistica: l’origine del linguaggio, Vili. Rapporto tra la parola e il
pensiero. Azione reciproca tra la parola e il pensiero. Natura logica
della lingua: suo sviluppo dal concreto all' astratto, L’ IMAGINAZIONE.
Rapporto dell’imaginazione con l’intelligenza e con 1 associazione;
l’imaginazione riproduttrice. IL Rapporto dell’imaginazione con la sensibilità
e col pensiero astratto, L’imaginazione artistica, sue funzioni, L’imnaginazione
neiia scieuza. L’imaginazione nell’Arte: momeuto realistico e momento
idealistico. L’Arte e la Scienza,. Relatività i>ei sentimenti. La
legge della relazione nel sentimento, Il sentimento e le altre funzioni
psichiche, L’ associazione e la memoria dei sentimenti, Affetti e passioni. Gli
affetti, p. Le passioni. Classificazione
dei sentimenti. Metodo della classificazione; classificazione dello
Spemi e ilei Nahlosvski. La classificazione biologica e genetica, e
sua integrazione con la rappresentativa. Passaggio dai sentimenti primitivi ai
derivati. 1 SENTIMENTI MORVU. Le teorie intorno ai sentimenti
morali. Esame della teorìa empirica; se il sentimento morale sia il
riflesso delle sanzioni esterne. Impossibilità di spiegare con la
morale empirica il sacrifizio defini tivo, Erroi-' logico della dottrina
empirica, parte di verità che è in essa. La teoria razionalista; la direttrice
psicologica e la socia ;; la ragione e il sentimento, Classificazione ed
a .a- lisi dei sentimenti morali, La carità e la giustizia, I sentimenti
religiosi. Natura del sentimento religioso, sua forma primitiva, direzione
di sviluppo. Il sentimento morale e il sentimento religioso. Rapporto tra
l’intelligenza, il sentimento e la volontà nella religione. La forma
superiore del sentimento religioso. Le tre forme del sentimento
religioso. I SENTIMENTI ESTETICI. Il sentimento estetico e il sentimento
del gioco. I fattori del sentimento estetico. La simpatia estetica. I fattori
intellettuali. La verità in Arte. Idea e forma. I SENTIMENTI
INTELLETTUALI. Le origini dei sentimenti intellettuali ; la curiosità e
il dubbio pratico. IL II sentimento intellettuale della ricerca, e
quello del possesso della verità. Il sentimento intellettuale e il sentimento
di sé. Dei sentimenti estetici in particolare. Il sentimento del bello in generale,
IL li sentimento della bellezza finita e le sue forme: la bellezza
plastica, il arioso, il drammatico. Il sentimento del sublime, sua
natura, sua forma; il sublime naturale, l’intellettuale, il morale. Il
sentimento del comico , sua natura, suo rapporto col sentimento di sè e
col sentimento della libertà. Comicità ed umorismo. Il sentimento della
natura, sue forme diverse nell' età antica e nella moderna. Perche è
la forma più evidente della catarsi estetica. La Psicologia della Volontà. Il desiderio e la. volontà. Il
desiderio, Fenomeni intensivi del desiderio. Le azioni volontarie nelle loro
forme derivate e contingenti; elementi essenziali dell'atto volontario. Il
problema della causalità della volontà. Teoria della volontà. La teoria
metafisica della Volontà. La teoria associazionista. La volontà come
facoltà del fine. e dei valori razionali; la funzione d’inibizione
come suo momenti essenziale, Il sentimento del conato volitivo, In
che consistono e come sì producono l'inibizione e l’impulso. L’attenzione
volontaria e le sue forme p&- K tologiche. La misura del tempo nelle
volizioni. Le malattie della Volontà, e l'ipnosi. L'aboulia e la forza irresistibile,
il capriccio isterico. L’estasi, Fenomeni sensitivo-rap- presentativi,
mnemonici, e volitivi dell'ipnosi; suoi gradi. La suggestione normale e
l’ipnotica; somiglianze e differenze tra il sonno naturale e l’ipnosi: cause
specifiche della suggestione ipuotiCa. Temperamento e cvrattere. Natura
del temperamento, suo rapporto col sentimento vitale, sua dipendenza
dall’eredità. Il carattere, sua natura, sua unità col temperamento, La
teoria ippocratico-galenica dei temperamenti, e le sue interpretazioni
fisiologiche. La classificazione psicologica riunisce il temperamento e
il carattere: forme varie di essa, la classifica¬ zione del Ribot. Della
modificabilità del temperamento e del carattere. Forme patologiche. La volontà
e le altre attività psichiche. L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ. La
Volontà e P inconscio. Mezzi di azione della volontà sull’ intelligenza :
necessità della limitazione della valutazione; forme patologiche, e forme
estreme, ma normali, dì questa limitazione. Modi d’azione della
volontà sul sentimento. Azione delia volontà su sè stessa; genesi
della volontà comune, azione reciproca dellajiilpiUàindividuale e della volontà
comune, il costume, la/fm(fl*A.' Influenza della volontà iudividuajeV
sulla vomW^ comune: l’educazione, la gerarchia, la dittature/<Qe
sue du^rfiel la militare e la morale. L’idea di giustizia comprende
le eguaglianze aritoteliche, e il carattere imperativo e di necessità
rilevati dallo Mill; ma perchè sia ben compresa ha bisogno di
essere guardata in rapporto alla solidarietà morale, dalla quale
l’eguaglianza in cui consiste deve attingere la norma. Se la giustizia si
fa derivare dall’utilità sociale, se ne assegna una derivazione che può
spesso esser falsa, (p. es. la necessità che taluno muoia pel popolo); e
se si oppongono la giustizia e la carità, si crea una scissura
nell’ordine morale, che toglie alla giustizia quel caldo sentimento di simpatia
che deve renderla operosa , e si fa della carità qualche cosa che va
oltre il dovere, e che può essere anche ingiusta e nociva. Se della
giustizia si fa invece la sintesi, soggettiva e oggettiva, come virtù e
come norma, della libertà e della solidarietà, essa non solo oltrepassa
la sfera del diritto, ma appare come la sintesi superiore della moralità, come
progressiva nella ragione stessa dei suoi due fondamenti. Che siano
progressive la libertà e la solidarietà è fatto indubitabile della
storia umana; la prima tende a ricomprendere tutti gli uomini in un
rapporto d’eguaglianza dal punto di vista morale; e la seconda da questo
stesso punto di vista, che è quello del valore di fine che ogni persona
morale ha in sè, tende ad estendersi dalle opere alla persona come tale,
a conservarla, a promuoverla, anche quando soggiace all’avversa fortuna e
al dolore. Noi concepiamo la giustizia come la forma dell’
unità della libertà e della solidarietà già raggiunta dalla coscienza
morale; cioè come il giudizio della proporzionalità degli utili agli
sforzi, e della loro migliore ripartizione tra gli sforzi individuali e i
sociali, posto un minimum di utilità spettante a ciascuno in forza del
valore di fine che ha la persona morale, e della solidarietà che stringe
gli uomini tra loro. A chiarire questo concetto gioverà vederne l’applicazione
ad uno dei problemi più gravi del tempo nostro, quello relativo
alla migliore distribuzione della ricchezza, che ha preso il nome
di giustizia sociale. Il Fouillée indica tre teorie intorno ad essa,
la individualistica degli economisti smithiani, la collettivista ed
egualitaria del socialismo , l’idealistica che cerca di con temperare i
diritti deirindividuo e quelli della società. La teoria economica
considera troppo il lavoro come merce, e i lavoratori come cose o come
macchine di produzione. Ma dal punto di vista sociale e morale il lavoro
rappresenta le energie accumulate di esseri viventi, sensibili e
consapevoli , tra i quali ci è necessariamente la solidarietà che deriva
dal fine comune e dal lavoro comune. Di più questi esseri e queste
energie sono parte della società, e questa è una solidarietà più vasta
che abbraccia come abbiamo visto tutte le energie dello spirito. Nella
prima metà del secolo passato T individualismo economico ebbe libero
corso, e la merce lavoro fu considerata a parte dalla personalità del
lavoratore, e dalla solidarietà sociale. Il lavoro fu sfruttato
prevalendosi della concorrenza dei lavoratori, e fu sfruttato di più quello
pagato meno, il lavoro delie donne e dei fan¬ ciulli; cosi Tingiustizia
più aperta fu legge. La sorte dei lavoratori fu abbandonata al meccanismo della
concorrenza, alle leggi che si dissero naturali, e la società si disinteressò
della protezione dei deboli. Pareva che pei seguaci di questa scuola la
ricchezza tosse tutto, l'uomo nulla. La legge di MALTHUS e il
darwinismo biologico fecero il resto sottomettendo la persona umana
alla concorrenza vitale, ed elevando la voluta giustizia della
natura a giustizia sociale. Della solidarietà sociale non si davano
nessun pensiero. Ma una società di esseri morali non ci è solo per
la produzione della ricchezza, e 1’ uomo è qualche cosa di più che
un accumulatore di capitale. La società umana sussiste per realizzare l’ideale
umano; P idea di giustizia è umana, e non può quindi prendersene il
modello dalla natura, perchè essa non esiste nel senso morale se non è
fondata sulla solidarietà. Anche Peconomia collettivista inculca una
giustizia che non è quella dello spirito, ma quella della natura. Facendo
della lotta di classe una necessità sociale, e del trionfo della classe
più numerosa e [più forte l'esito necessario di quella,cangia i termini
della lotta economica, non la natura; la lotta di classe non è meno
brutale della concorrenza, ed è pari o maggiore il disdegno delle
ideologie nei collettivisti e negli economisti smithiani. Se non che 1
primi non tengono conto che del solo lavoro materiale nella produzione ,
e non badano che non ci è giustizia senza libertà. Invece la parte del fattore
sociale nella ricchezza, e specialmente quella dovuta all'addizione di
esso nel tempo è così grande, che mal si potrebbe confonderla con quella
che vi ha il lavoro mate¬ riale in un'epoca determinata. Basta riflettere
all’importanza capitale che hanno le scoperte scientifiche in generale e le
tecniche in particolare nella produzione della ricchezza, per persuadersi
che la parte della mano d'opera è assai minore di quella che il
collettivismo afferma. Questa parte sociale, ovvero buona parte di essa è
dovuta all’iniziativa individuale, alla forza individuale di lavoro, e
non sarebbe giusto di togliere ad esse quello che senza di esse non
sussisterebbe, e sopprimere lo stimolo che le fa operare togliendo loro quello
che producono. Anche solo nella produzione della ricchezza non si può
giustamente sopprimere V alea a cui la potenza di lavoro individuale va
incontro con una speciale costituzione sociale. Poiché è impossibile
sopprimere le disuguaglianze naturali, come la forza fisica e morale, la
bellezza, il valore, il genio, così non si può prescindere dalla potenza
individuale di lavoro, perchè il prescinderne è contro la giustizia
distributiva, contro la libertà, e quindi contro il bene sociale. L'idea
di giustizia è la sintesi della libertà e della solidarietà e solo quella
forma di essa è vera, che non ripudia l’una per l’altra. Non si può
negare airindividuo la proprietà di quella parte di ricchezza, che esso
ha prodotto, più di quello che si possa negare a un popolo la proprietà del
territorio sul quale si esercitò per secoli il suo lavoro trasformatore e
creatore. Sotto questo rispetto la negazione della proprietà individuale non
sarebbe ingiustizia minore dì quella di negare al popolo italiano o francese
la proprietà del territorio della patria in nome del diritto dei selvaggi
bruciati dal sole tropicale, o di quelli agghiacciati dai geli delle
regioni circum-polari. La giustizia, che accorda la libertà e la
solidarietà, considera il lavoro come una forza propria di un essere
personale, che deve essere padrone di se stesso. Quindi essa riconosce la
libertà di associazione e di resistenza dei lavoratori, riconosce ad essi
il diritto di trasportare dovunque la loro forza di lavoro, ed
evita che la libertà del lavoro sia manomessa con la schiavitù
forzata del lavoratore, qualunque forma questa possa assumere.
D’altra parte rassicurazione dagl’ infortunii, il riposo festivo, le ore
di lavoro, il divieto del lavoro notturno, la disciplina del lavoro
delle donne e dei fanciulli, e il riconoscimento infine del diritto al
lavoro, sono tutti atti di giustiziaci quali sostituiscono la carità
indeterminata e di pura coscienza che prima vigeva. È in forza del
principio della solidarietà che la società deve oggi far profittare anche
gli esclusi e i diseredati, dei beni strettamente necessarii alla sussistenza,
e di quelli che sono inesauribili dall'uso/come i beni superiori dello spirito,
la cultura, l’arte, la religione, È in forza dello stesso principio che la società
deve evitare che il profitto individuale danneggi il sociale in rapporto
al futuro. La società deve conservare alle generazioni che verranno i
beneficii del passato, come la potenza di lavoro e la sanità della razza,
cosi dal punto di vista fisico che dal morale. E rispetto al presente, il
regolamento del lavoro non può essere più quello di una volta, quando il
lavoratore animato essendo la sola fonte del lavoro, e l’utensile un semplice
organo aggiuntivo dell’individuo, tutti i rapporti del contratto di
lavoro potevano essere abbandonati al regolamento privato. Oggi il
la’ voro è collettivo, l’utensile si è trasformato in macchina, e
la forza di lavoro umana è diventata un accessorio della forza naturale e
meccanica resa dalla scienza strumento dei fini umani.Il grande lavoro è oggi,
pel numero e per la qualità, un’opera sociale, e vuole quindi un
regolamento sociale. Se si considerano gli stadii dello sviluppo
etico-sociale, il primo è rappresentato da una giustizia nella quale
prepondera l’elemento della solidarietà, quindi la libertà individuale o
non esiste, o è in tutti i modi limitata dalla regola sociale. Diventati
sempre più complicati e più numerosi i rapporti sociali, si va
necessariamente all* individualismo, e la giustizia s’identifica con la
libertà individuale. Nel terzo stadio, il grado di massima complicazione dei
rapporti esige il loro regolamento sociale; ma questo non deve
dimenticare gl' interessi connessi con la libertà, e che non sono più
individuali che sociali. La giustizia, in questo terzo stadio, è il
contemperamento della libertà con la solidarietà, che è anche il suo
ideale. Filippo Masci. Masci. Keywords: implicatura, critica della
critica, criticismo, neo-criticismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masci” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Masi: l’implicatura conversazionale -- i peripatetici del Lizio – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano.
Grice: “Unlike Masi, I don’t think ontology has reached its end – il fine
dell’ontologia” – Grice: “Masi has elaborated on the power of reason not from
an Ariskantian perspective but from a Plathegelian one! – Masi: “Il potere
della ragione: Eraclito, Platone, Hegel.” -- Grice: “It’s amazing Masi was implicating the
same things as I was on S izz P and P hazz S; he even managed a coinage, ‘uni-equivocity’
– I love it!”. Figlio di Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda
Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica
presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi a Bologna, vi si laureò con lode
con una tesi sul diritto di famiglia
negli Statuti Bolognesi. Assolse agli obblighi di leva e fu trattenuto alle
armi in base alle disposizioni di emergenza del periodo. Congedato, riprese gli
studi di filosofia a Bologna, dove conseguì la laurea con lode, discutendo co
Battaglia la tesi, “Individuo, società, famiglia in Rosmini”. La tesi gli valse
l'ammissione, con borsa di studio a Milano. Dopo il primo anno, fu richiamato
alle armi nel periodo bellico. Ottenuto il congedo definitivo, insegna
filosofia a Bologna. Participa ai principali convegni e congressi, come quelli
del Centro Studi Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione
alla Enciclopedia filosofica quel Centro. Dona su collezione alla Pinacoteca
comunale di Pieve di Cento. L'interesse storiografico che muove M. alla
ricostruzione di Kierkegaard da un profondo e originale impegno teoretico,
volto ad approfondire il concetto metafisico di "analogia", cui il
discorso di Kierkegaard, come l'A. si propone di illustrare nel suo saggio,
risulta fortemente legato. Sotto un profilo strettamente storiografico, M.
approda, attraverso un'attenta rilettura delle "opere edificanti" di
Kierkegaard, ad un'interpretazione che ridimensiona questo pensatore,
scoraggiando molti luoghi comuni della critica.." (Baboline). "Nel linguaggio filosofico contemporaneo
l'aggettivo "platonico", riferito a una qualsiasi entità, vuole
denotare l'immobilità a-storica, il suo permanere in un'assoluta identità con
sé medesima al di sopra delle alterne vicende del divenire. Ciò deriva da una
tradizione ermeneutica del platonismo. Uno degli aspetti più rilevanti del
volume di M. risiede appunto nello sforzo operato a de-mitizzare una tale
ermeneutica... questa ricerca del Masi costituisce un lucido esempio di come
oggi una filosofia, che si presenta spiritualistica e umanistica, sappia
ripiegarsi a cogliere con consapevolezza trasparente e spregiudicata, le
proprie radici alle fonti più vive della tradizione culturale
dell'Occidente" (A. Babolin).
"Le zitelle è un libro divertente, curioso, strano. Il pregio
maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno stesso tema musicale.” Saggi:“Esistenza”
(Bologna); “La verità” (Bologna); “La libertà,” Bologna, “Metafisica,” Milano,
“La fine dell'ontologia,” Milano, “Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie
kierkegaardiane” (Padova, “Il potere della ragione,” Padova, “Il problema aristotelico,” Bologna,
“L'esistenzialismo,” “Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo,” Milano
“Il pensiero ellenistico,” Bologna, “L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele
(Genova: Casa Editrice) – cf. Grice, “Aristotle on the multiplicity of being”
-- Tilgher “Lo spiritualismo” antico. Il pensiero religioso egiziano classico,
Bologna: Clueb, “Lo spiritualismo ellenistico.” La grande svolta del pensiero
occidentale, Bologna: Clueb, Lo spiritualismo dalle origini a Calcedonia,
Bologna: Clueb Origène o della riconciliazione universal, Bologna, “Lo
spiritualismo Dalle Upanishad al Buddha, Bologna: Clueb Lo spirito magico.
Saggi sul pensiero primitivo, Bologna: Clueb, Studi sul pensiero antico e
dintorni, Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento, Bologna:
Clueb, Il concetto di cultura, Bologna:
Clueb, Commento al Timeo” (Bologna: Clueb); “Dell'eternità, e altri argomenti,’
Bologna: Clueb); “Penombre,” Torino: Casa Editrice A.B.C. S), “L'esile ombra, Torino:
Casa Editrice A.B.C. Le zitelle, Milano: Todariana Editrice, Il cane cinese, Roma:
Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese, Roma: Vincenzo Lo Faro Editore. Il figlio
dell'ufficiale, Marta, L'ultima estate, Firenze: Firenze Libri “La carriera di
un libertino,”La dea bambina, Firenze: Firenze “Oltre le dune,” Firenze:
Firenze Libri Le donne, Roma: Gabrieli); L'ignoto. Il sogno, Firenze: L'Autore Libri, Tra le quinte del
liceo. L'orologio a Pendolo, Firenze: L'Autore Libri, Il palloncino rosso e
altri racconti, Firenze: L'Autore Libri, La partenza, Firenze: L'Autore Libri
Il sogno, Roma: Gabrieli Angelina e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri La
croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di Sestola, Firenze:
L'Autore; Apollo e Dafne, Padova: L'Edicola Le stagioni e i giorni, Padova:
L'Edicola, La tomba d'erba, Padova: L'Edicola Maremma tu, Milano: Todariana
Editrice. Premio Montediana di poesia, A. Babolin, rec. a Disperazione e
speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.", A. Babolin, rec. a il potere della ragione, in:
"Riv. di Fil. Neosc.", F. Tombari, rec. a Le zitelle, Milano:
Todariana Editrice Nunzio Incardona. Giuseppe
Masi --. Keywords uni-equivociat dell’essere in Aristotele. Giuseppe Masi. Masi.
Keywords: i peripatetici, la carriera di un libertino. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Masi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Masila: l’implicatura
conversazionale – Ercole -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A reference to him as a philosopher in a papyrus
found at Herculaneum. Masila.
Grice e
Massarenti: l’implicatura conversazionale -- stramaledettamente implicaturale –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Eboli). Filosofo
italiano. Grice: “His dictionary of
non-common ideas I would give to Austin on his birthday; he would hate it! He
was all for common lingo!” -- “I like Massarenti: he can be provocative. I like
his study on what he calls a ‘neologissimo’ – and the idea of the
pocket-philosopher! I know I’m one! On the other hand, he has written on ‘la
buona logica,’ but isn’t ‘logica’ already a value-paradeigmatic expression? His
study on god-damn logic is good – since that’s what I do, with my theory of
implicature. To say, “My wife is in the kitchen or the bedroom” when I know
where she is – and thus when I have truth-functional grounds to utter the
stronger disjunct, it’s still goddamn logic – I haven’t lied! True but misleading
– aka god-dman logic!” Responsabile del supplemento culturale Il Sole-24
Ore-Domenica, dove si occupa di storia e filosofia della scienza, filosofia
morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica Filosofia minima. Armando Massarenti vive a Milano, dove
dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole 24 Ore. Scrive L'etica da
applicare. Redatta il Manifesto di bioetica laica, che ha suscitato un vasto
dibattito. È stato membro dell'Osservatorio di Bioetica della Fondazione
Einaudi di Roma e dal fa parte del Comitato
etico della Fondazione Veronesi, presieduto da Amato. Direttore della rivista
Etica ed economia (Nemetria). Cura e introduce diversi volumi di argomento
filosofico-scientifico, come “L'ingranaggio della libertà” (Liberi libri, Macerata),
la “Storia dell'astronomia” di Leopardi (Vita Felice, Milano), “Rifare la
filosofia di Dewey” (Donzelli, Roma).
Per Feltrinelli cura e introduce “Laicismo indiano” (Milano), una
raccolta di saggi di Sen.Cura il numero monografico della Rivista di Estetica
dedicato al dibattito su analitici e continentali e, con Possenti, “Nichilismo,
relativismo, verità. Un dibattito (Rubbettino, Mannelli). Cura la collana I
Grandi Filosofi (trenta volumi sui protagonisti della storia del pensiero, da
Socrate a Wittgenstein, per i quali anche scrive le prefazioni, confluite ne Il
filosofo tascabile. In corso di pubblicazione una serie analoga dedicata ai grandi
della scienza. Scrive “Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima”
per il quale gli sono stati conferiti il Premio Filosofico Castiglioncello e il premio di saggistica "Città delle
Rose. "Il lancio del nano” è anche oggetto di un esperimento didattico,
promosso dalla Società Filosofica Italiana attraverso il quale viene proposto
un metodo di motivare allo studio della filosofia e alla capacità di
argomentare in proprio. Dal saggio è stato tratto anche uno spettacolo
teatrale, per la regia di Longhi prodotto da Mimesis). Cura “Bi(bli)oetica.
Istruzioni per l'uso (Einaudi), un dizionario di bio-etica sui generis, dal
quale il regista L.Ronconi ha tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in
scena a Torino, per il progetto Domani delle Olimpiadi. Scrive Staminalia. le
cellule etiche e i nemici della ricerca, una ricostruzione del dibattito etico
e scientifico sulla ricerca sulle staminali. Scrive Il filosofo tascabile. Dai
presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in miniatura.
In contemporanea è uscito “Stramaledettamente logico. Esercizi filosofici su
pellicola (Laterza, Roma-Bari) una raccolta di saggi su cinema e filosofia (di
Roberto Casati, Achille Varzi) di cui ha scritto introduzione e saggio
conclusivo. Insegna a Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per Mondadori la
collana "Scienza e filosofia".
Fa parte delle giurie di due premi per la divulgazione scientifica: il
Premio Pace, promosso dalla SISSA di Trieste, il Premio letterario Galileo per
la divulgazione scientifica, legato al Campiello (Padova), e il premio Serono.
È stato anche nella giuria del Premio del Giovedì "Marisa Rusconi",
conferito ogni anno a Milano a un romanzo italiano opera prima. Ha vinto diversi premi: il Premio Dondi per la Storia della Scienza,
delle tecniche e dell'Industria (Padova); n il Premio Voltolino per la
divulgazione scientifica (Pisa); il Premio Mente e Cervello (Torino); il premio
Capri, il premio Argil e il premio Capalbio; il Premio Città di Como. Altri
saggi: “L'etica da applicare: una morale per prendere decisioni,” Milano, Il
Sole-24 Ore libri, “Il lancio del nano” -- e altri esercizi di “filosofia minima,”
Parma, Guanda); “Staminalia. “Le cellule” etiche e i nemici della ricerca,
Parma, Guanda, “Il filosofo tascabile” “dai
presocratici a Wittgenstein”“ritratti per una storia del pensiero in
miniatura,” Parma, Guanda, “Dizionario delle idee non comuni,”Parma, Guanda,.“Filosofia,
sapere di non sapere: le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del
pensiero” Firenze, Anna.“Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi
conviene” e altri saggi di etica politica, Parma, Guanda,.“Istruzioni per
rendersi felici.”“Come il pensiero antico salverà gli spiriti moderni, Milano,
Guanda,.“La buona logica.” Imparare a pensare, Milano, Cortina, “Metti l'amore
sopra ogni cosa: una filosofia per stare bene con gl’altri” Milano, Mondadori, Treccani
Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana su italia libri.net. tangenti
e moralità, su filosofia rai. Armando Massarenti. Massarenti. Keywords:
stramaledettamente logico, stramaledettamente implicaturale --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Massarenti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Massari:
l’implicatura conversazionale -- l’implicatura logistica di Petrarca e
Boccaccio – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Seminara). Filosofo
italiano. Bernardo Massari -- calabro -- Barlaam: -- Grice: “Should it be under
B – Barlam, under Seminara, like Occam?”
Barlaam Calabro – di Calabria – Scrive di aritmetica, musica e acustica.
E uno dei più convinti fautori della riunificazione fra le Chiese d'oriente e
occidente. È considerato insieme ai suoi due allievi Leonzio Pilato e Boccaccio
uno dei padri dell'Umanesimo. Studia in Galatro, Calabria. Pare che il suo
successo come filosofo (un suo trattato sull'etica degli stoici è preservato) e
ragione di gelosia da parte di N. Gregorio. Nell'ambito delle trattative per la
ri-unificazione tra le due Chiese di Oriente e di Occidente, a lui venne
affidata la difesa delle ragioni greche; in tale occasione sviluppa le sue
critiche verso l'esicasmo e a sottolineare la differenza di valore tra la
teologia scolastica e la contemplazione mistica. E protagonista di una violenta
polemica contro i metodi ascetici e mistici di alcuni monaci dell'Athos e del
loro sostenitore G. Palamas. Il dibattito divenne sempre più acceso fino a
culminare in un concilio generale alla fine del quale venne costretto a
sospendere ogni futuro attacco verso l'esicasmo. Epigrafe a Gerace, tutore di Petrarca
e Boccaccio, inviato dall'imperatore Andronico III Paleologo in missione
diplomatica a Napoli, Avignone e Parigi per sollecitare le corti europee ad una
crociata contro i turchi. In quell'occasione costrue delle relazioni e una rete
di amicizie su cui puo fare conto quando, in seguito alla decisione conciliare,
decise di aderire alla Chiesa d'Occidente. Ad Avignone conosce Petrarca, a cui
iniziò ad insegna il greco. Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi
di Gerace, così e nominato vescovo di Clemente. La bolla relativa alla sua
elezione al vescovato di Gerace riporta, Monachus monasteri Sancti Heliae de
Capasino Ordinis Sancti Basilii Militensis Diocesis, in sacerdotio constitutum.
Tutore di Petrarca e Boccaccio che da un importante contributo, attraverso la
riscoperta dei testi antichi, anche a tutto ciò che non molto tempo dopo
svilupa il movimento umanista. È proprio Manetti il primo a menzionarlo nella
sua biografia del Petrarca. Venne inviato in missione diplomatica da Clemente
in un rinnovato tentativo ecumenico. Data la grande influenza di Palamas il
tentativo, ancora una volta, si risolse in un insuccesso. Fa ritorno ad Avignone
dove muore. Saggi: Si occupa anche di matematica lasciandoci una “Logistica” in
cui spiega le regole di calcolo con interi, frazioni generiche e frazioni
sessagesimali. D. Mandaglio, Barlaam Calabro: una vocazione unionista. C. Nanni
Editore (Maggio). Salvatore Impellizzeri, Calabro, Dizionario Biografico degli
Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Mercati, Calabro,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ratisbona. Simone
Atomano. Barlaam Calabro di Seminara. BARLAAM Calabro. -
Nacque a Seminara (Reggio di Calabria) sul finire del sec. XIII, probabilmente
verso il 1290. Il nome Barlaam par che sia quello assunto in religione, ma non
è documentato che il nome di battesimo fosse Bernardo, come si ripete sulle
orme dell'Ughelli (Italia Sacra). Mancano notizie sulla sua formazione
spirituale e culturale e sulla sua attività in Italia fino al suo passaggio a
Bisanzio. La bolla di Clemente VI (Reg.Vat.), che lo elevò al seggio episcopale
di Gerace, ci informa soltanto che B. si preparò al monacato e al sacerdozio
nel monastero basiliano di Sant'Elia di Capasino (Gàlatro), nella diocesi di
Mileto. Certo è ormai, dopo gli studi recenti (Schirò, Jugie, Giannelli), che
B. nacque e fu educato nella fede dissidente della Chiesa di Costantinopoli,
cui molti continuavano ad aderire nell'Italia meridionale di quell'età,
nonostante l'unione alla Chiesa cattolica proclamata dal concilio di Bari del
1098. È B. stesso a dirlo in uno degli opuscoli contro la processione dello
Spirito Santo a Patre Filioque (punto fondamentale di dissenso tra le due
Chiese: gli ortodossi credono che lo Spirito Santo proceda e Patre solo):
"Tale è la mia fede e la mia religione riguardo alla Trinità, fede nella
quale io fui allevato fin dall'infanzia e nella quale sono vissuto sin
qui" -- cod. Parisinus graecus. Problematica è invece la ricostruzione
della sua formazione culturale. Appare infatti evidente che le conoscenze del
monaco calabrese, le quali non si limitano a filosofi greci, quali Platone e
Aristotele, ma si mostrano invece profonde anche riguardo al pensiero di
Tommaso d'Aquino e agli ultimi sviluppi nominalistici della Scolastica
occidentale, esorbitano dalla tradizione culturale dei monasteri italo-greci di
Calabria e presuppongono contatti più o meno prolungati di B. con scuole
filosofiche e teologiche dell'Italia meridionale e centrale. Quando il
potere imperiale passò da Andronico II ad Andronico III, troviamo B. a
Costantinopoli, dove egli era giunto dopo essersi trattenuto prima ad Arta, in
Etolia, e a Tessalonica. Nella capitale bizantina incontrò il favore della
corte: vi dominava allora Anna di Savoia, figlia di Amedeo V, sposata nel 1326
ad Andronico III, favorevole ai Latini e all'unione delle Chiese. Presto
ottenne larga fama di dotto e di filosofo e divenne abate (igumeno) di uno dei
più importanti conventi, quello di S. Salvatore. Si diffondevano a Bisanzio i
suoi scritti di logica e di astronomia e il gran domestico Cantacuzeno gli
affidava una cattedra nell'università della capitale. Ma la sua fama crescente
doveva presto urtarsi contro il tradizionale nazionalismo latinofobo dei
Bizantini. Il primo scontro avvenne col più cospicuo rappresentante
dell'umanesimo bizantino, Niceforo Gregoras, che teneva cattedra nel monastero
di Cora. In una sfida accademica, che dovette aver luogo verso il 1331, i due
dotti più in vista della capitale si trovarono di fronte a discuteresui campi
più vari dello scibile, astronomia, grammatica, retorica, poetica, fisica,
dialettica, logica. Di questa tenzone noi sappiamo soltanto attraverso un
libello del Gregoras 02,OpiVrLO9 ~ 7rEpì GOCPL'2q (Jahn, Archiv für Philologie
und Pddagogik, Supplementband). Il libello, una specie di dialogo mitico di
imitazione platonica, o meglio lucianea, naturalmente tendenzioso, asserisce
che l'agone si concluse con la completa sconfitta del dotto calabrese, che dimostrò
di avere soltanto qualche conoscenza di fisica e di dialettica aristotelica e
una certa superficiale infarinatura di logica. Ma nella persona di B., Niceforo
Gregoras vuol mettere in ridicolo tutta la scienza occidentale limitata a poche
nozioni aristoteliche e del tutto ignara di matematica, fisica e astronomia,
scienze in grande onore allora a Bisanzio. Secondo il Gregoras, inoltre, in
seguito a questa sconfitta, B. avrebbe abbandonato Costantinopoli per
rifugiarsi a Tessalonica. Par più probabile invece che egli facesse la spola
tra i due massimi centri culturali dell'impero. A Tessalonica comunque il suo
insegnamento continuava con successo e tra i suoi allievi si contavano
personalità di spicco come Acindino, Cavasila, e Cidone. Ma nemmeno
presso la corte e gli ambienti ecclesiastici della capitale il prestigio di B.
dovette subire un offuscamento, se proprio lui fu scelto dal patriarca Caleca,
come portavoce della Chiesa ortodossa, quando giunsero a Bisanzio i due
domenicani Francesco da Camerino, arcivescovo di Vosprum (Ker~-'), e Riccardo,
vescovo di Cherson, incaricati dal papa Giovanni XXII di rimuovere gli ostacoli
dottrinali che si frapponevano alla riconciliazione delle Chiese. La
discussione tra i prelati latini e il monaco calabrese si svolse ad un alto
livello teologico-filosofico. M. cercava di abbattere la barriera dogmatica
della processione dello Spirito Santo ricorrendo a un tipico argomento
nominalistico: egli si opponeva alla pretesa di poter conoscere Dio e di poter
dimostrare apoditticamente le cose divine. Ora, se Dio èinconoscibile, che
valore potevano avere discussioni sulla processione dello Spirito Santo basate
sui sillogismi apodittici? Sia i Latini, sia i Greci, quindi, in questioni di
questo genere non potevano rifarsi che ai Padri della Chiesa, la cui fonte di
scienza è la rivelazione e l'illuminazione divina. Ma poiché i Padri non sono
sufficientemente espliciti riguardo alla processione dello Spirito Santo, non
restava che assegnare alle divergenti dottrine un posto nelle opinioni
teologiche particolari, senza fame un ostacolo per l'unione. La posizione
di M. è in netto contrasto col realismo di s. Tommaso, assunto quale
atteggiamento ufficiale dalla teologia cattolica: essa si inserisce chiaramente
nel movimento volontaristico contemporaneo a B., che ebbe i suoi maggiori
rappresentanti in Duns Scoto e in Guglielmo d'Occam, teso a porre un netto
confine di separazione tra i campi della ragione e della fede. Non è un caso
che B. avesse consacrato il suo insegnamento universitario dalla cattedra di
Costantinopoli all'esegesi dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, il rappresentante
più coerente della dottrina "apofatica", della inconoscibilità, cioè,
del divino, la cui autorità era riconosciuta in Oriente e in Occidente.
Le trattative non approdarono a nulla: le tesi di B. difficilmente potevano
essere accettate dai legati latini, esponenti dell'ordine stesso cui
apparteneva anche AQUINO e inviati dal papa Giovanni XXII, che, elevando agli
onori dell'altare Tommaso, aveva fatto propria della Chiesa di Roma la sua
dottrina. Ma l'agnosticismo nominalistico di M. doveva anche urtare le
concezioni mistiche bizantine, rappresentate allora specialmente dal
monachesimo atonita. A campione di tale misticismo si ergeva Gregorio Palamas,
un monaco dell'Athos, che aveva già scritto due Discorsi apodittici contro la
processione dello Spirito Santo Filioque. Egli attaccava il metodo di
discussione tenuto dal calabrese dinanzi ai legati latini, dichiarando
perfettamente dimostrabile la posizione ortodossa in virtù della grazia
illuminante che al cristiano discende dall'incamazione, per cui la conoscenza
soprannaturale è eminentemente reale, più di qualunque conoscenza
filosofica. Intanto M. veniva a conoscenza delle pratiche mistiche dei
monaci atoniti, che si isolavano per abbandonarsi ad una quiete contemplativa
Tali pratiche consistevano nel ripetere indefinitamente la preghiera:
"Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!", trattenendo
il fiato, col mento appoggiato al petto e guardando l'ombelico, fino a
raggiungere la visione corporea della luce divina vista dagli Apostoli sul
Tabor, nel giorno della trasfigurazione. Questa concezione psico-fisica della
divinità e, soprattutto, il metodo di preghiera degli esicasti (così si chiamavano
i seguaci di tal metodo) provocarono gli attacchi ironici di M., che vedeva
nell'esicasmo una grossolana superstizione, i cui seguaci designò con lo
sprezzante appellativo di ??? (umbilicanimi). Ma la controversia ben presto si
allargò sul piano filosofico-teologico. M., coerentemente alla sua formazione
nominalistica, non poteva ammettere contaminazione tra il divino e l'umano, tra
l'etemo e il temporale. La luce del Tabor, per esser vista nell'ascesi,
dovrebbe essere etema e coincidere con la divinità stessa, che sola è eterna e
immutabile. Ma poiché la divinità è invisibile, invisibile è anche la luce
taborica. Palamas oppose una sottile dottrina emanazionistica di derivazione
neoplatonica, che distingueva una sostanza divina trascendente (oùaía) e delle
energie divine (gvp-'pyztcxt o Suváp.rLq), operazioni eterne di Dio, che per
esse agisce nel mondo degli uomini. E appunto la luce taborica visibile agli
asceti, come l'amore, la sapienza e la grazia di Dio, è una energia divina
operante come intermediaria tra Dio e gli uomini, un ponte tra l'etemo e il
transeunte. Tra le due opposte tesi non poteva essere accordo. La
controversia filosoficoteologica ebbe anche implicazioni politiche, come sempre
avveniva a Bisanzio. M. allora mosse accusa di eresia contro il Palamas dinanzi
al patriarca Giovanni Caleca, presentando il suo scritto Kwrà MoccrcrocXtocvCùv
(Contro i Massaliani) in cui la dottrina del Palamas veniva assimilata a
precedenti eresie. Il Palamas riuscì a ottenere una dichiarazione, favorevole
alla fede esicasta, sottoscritta dai monaci più importanti dell'Athos ('0
&ytopsvrtxòq -ró[Log), mentre il patriarcato e il governo imperiale, pur
non favorevoli al palamismo, preoccupati com'erano di mantenere la pace
religiosa tra i pericoli incombenti dall'estemo, desideravano evitare una
controversia dogmatica e cercavano di far giungere le due opposte parti a una
conciliazione. Si giunse così alla riunione di un concilio in Santa Sofia,
presieduto dall'imperatore Andronico III in persona. La sera dello stesso
giorno il concilio si chiudeva con un discorso dell'imperatore che celebrava la
riconciliazione generale. Ma in realtà fu il Palamas a trionfare: la dottrina
di B. venne formalmente condannata e il monaco calabrese dovette fare pubblica
ammenda agli esicasti e promettere di non dar loro più molestia. Il patriarca
pubblicava un'encicláca con cui condannava "ciò che il monaco M ha detto
contro i santi esicasti" e imponeva a tutti gli abitanti di Costantinopoli
e delle altre città di consegnare alle autorità gli scritti di M. perché
fossero pubblicamente distrutti. Questa scottante umiliazione e la morte di
Andronico III, avvenuta subito dopo indussero M. a lasciare Costantinopoli e a
ritornare in Occidente. A tal decisione forse non erano state estranee le
impressioni riportate nel viaggio in Occidente, fatto nel 1339, e le conoscenze
che aveva avuto occasione di fare (forse aveva conosciuto anche il Petrarca).
Nel vivo della lotta esicasta, M. era stato richiamato da Andronico III, da
Tessalonica, per un'importante missione diplomatica. Urgeva che l'Occidente
facesse una spedizione per allontanare da Costantinopoli l'avanzata dei Turchi
ottomani. Pare che allora B. avesse preparato un nuovo progetto di unione, che
aveva sottoposto al sinodo di Costantinopoli, in cui ribadiva le posizioni
teologiche che aveva sostenuto cinque anni prima, nelle discussioni coi legati
latini del papa. Il progetto non dovette soddisfare il sinodo e d'altra parte
un senso realistico della situazione politica doveva consigliare di evitare
lunghe quanto inutili dispute teologiche. B. accompagnato da un esperto
militare, il veneziano Stefano Dandolo, si era recato presso Roberto d'Angiò e
Filippo VI di Valois per chiedere aiuti militari dal Regno di Napoli e dalla
Francia, e infine presso la Curia di Avignone per ottenere il consenso papale
alla crociata. Al papa aveva presentato dei memoriali in cui, facendo presenti
i pericoli che sovrastavano alla cristianità tutta per l'incombenza della
minaccia turca, chiedeva che i Latini, mettendo da parte i tradizionali odi,
mandassero subito aiuti in Oriente per la guerra contro gli infedeli; dopo, ottenuta
la vittoria, si sarebbe riunito un concilio ecumenico che avrebbe trattato
dell'unione. La missione di B. era fallita sia perché il papa pretendeva la
realizzazione dell'unione prima di affrontare uno sforzo militare, sia perché
le condizioni politiche dell'Occidente (relazioni tese tra Filippo VI ed
Edoardo III d'Inghilterra) difficilmente avrebbero permesso l'organizzazione di
una crociata. M. torna in Calabria e prosegue il suo viaggio fino a
Napoli, dove aiutò, per la parte greca, l'umanista Paolo da Perugia nella
compilazione della sua opera sulla mitologia dei pagani (Collectiones) e
nell'ordinamento dei manoscritti greci della libreria angioina, che era in
rapida espansione. Poi, nell'agosto, passò alla Curia avignonese, dove a
Benedetto XII era successo Clemente VI. In questo periodo egli si legò di
amicizia col Petrarca, a cui insegnò i primi rudimenti di greco, da lui
acquistando familiarità con la lingua latina, nella quale, per la sua
educazione prevalentemente greca e per la lunga dimora in Oriente, provava
difficoltà ad esprimersi (Petrarca, Famil.). Allora passò anche alla fede
cattolica e fu utilizzato dalla Curia per un insegnamento di greco, fino a che,
pare per intercessione del Petrarca, non fu elevato al seggio episcopale di Gerace
e consacrato da Poggetto. Oscuri e duri furono gli anni dell'episcopato nella
piccola diocesi calabrese a causa di aspre dispute con la curia metropolitana
di Reggio. Ma nel 1346 gli veniva affidata la sua ultima missione
diplomatica, questa volta da parte di Clemente VI, per condurre trattative
unioniste con l'imperatrice Anna di Savoia, reggente l'impero di Bisanzio in
nome del figlio Giovanni V. La situazione a Bisanzio rendeva però ogni
trattativa impossibile. Un sinodo aveva deposto il patriarca Giovanni Caleca,
divenuto avversario dichiarato del movimento esicasta, in conseguenza
dell'evoluzione della situazione politica dopo la morte di Andronico III (veva
fatto arrestare il Palamas e l'anno successivo aveva fatto pronunciare contro
di lui la scomunica da un sinodo patriarcale), e aveva confermato la condanna
di M.. La stessa sera Cantacuzeno, favorevole agl’esicasti, entrava nella
capitale e costringeva Anna ad accoglierlo come coimperatore accanto al figlio.
A B., considerato eresiarca, non restava che la via del ritorno, per lasciare
ad altri la ripresa delle trattative. Rientra ad Avignone. Infatti la bolla di
nomina del suo successore, Simone Atumano, nella sede episcopale di Gerace è
del 23 giugno di quell'anno e afferma come recente la morte di Barlaam.
(Archivio segreto vaticano, Reg. Clem.). Scrive molto. Quantunque una
parte della sua opera sia andata perduta, tuttavia si conservano ancora di lui
un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi, ma densi di
pensiero. La maggior parte di essi sono ancora inediti. Un elenco coi titoli e
gli incipit si trova in Fabricius, Bibliotheca Graeca, Hamburgi 1808, pp.
462-470 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, coll. 1247-1256). I più
numerosi sono quelli di carattere teologico e riguardano l'attività unionista
del monaco calabrese: 3 contro la processione dello Spirito Santo Filioque, e
sul primato del papa. Tali opuscoli si trovano in un gran numero di
manoscritti. Ne contiene 20 (escluso uno sul primato del papa) il cod.
Parisinus 1278 del sec. XV (ff. 30 r-167 v). Di essi uno solo sul primato dei
papa, è stato pubblicato prima da Luyd, con traduzione latina, Oxford, e poi
dal Salmasius, in greco, Hannover 1608 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI,
Coll. 1255-1280). Due discorsi greci sull'unione delle Chiese sono stati
pubblicati e illustrati da Giannelli, Un progetto di Barlaam Calabro Per
l'unione delle chiese, in Miscellanea Giovanni Mercati, III, Città del Vaticano
1946, pp. 157-208. Il primo di essi contiene il progetto di unione elaborato da
B. prima della sua missione diplomatica ad Avignone e presentato al sinodo di
Costantinopoli; il secondo, pronunciato probabilmente dinanzi al sinodo stesso,
doveva illustrare il progetto contenuto nel primo. Di tenore diverso sono
tuttavia i due discorsi latini recitati, o piuttosto presentati in forma di
memoriali, in quell'occasione, al pontefice Benedetto XII. Essi furono editi
per la prima volta da L. Allacci, De Ecclesiae Occidentalis atque Orientalis
perpetua consensione...,Coloniae Agrippinae, donde furono riprodotti dal Migne,
Patr. Graeca, CLI, e poi dal Raynaldi, Annales Ecclesiastici. Alla sua attività
apologetica in favore della Chiesa cattolica svolta dopo la conversione si
riferiscono varie lettere ed opuscoli, di cui cinque, in latino, si trovano in
Migne, Patr.Graeca, C LI. Poco ci resta degli scritti contro gli esicasti, che
furono condannati alla distruzione, dopo il concilio, dalla enciclica del
patriarca Giovanni Caleta (Synodicae Constitutiones, XXII, in Migne,
Patr.Graeca,CLII, COI.). L'opera principale, più volte rimaneggiata, che
portava il titolo KotTà Mocaaa?,tocvi""v (Contro i Massaliani) da
un'antìca setta ereticale a cui B. polemicamente assimilava gli esicasti, ci è
nota soltanto attraverso le citazioni degli avversari. Di notevole importanza
sono quindi le otto lettere pubblicate con ampia introduzione da Schirò:
Barlaam Calabro, Epistole greche. I primordi episodici e dottrinari delle lotte
esicaste, Palermo, che rivelano i primi sviluppi della controversia. Ma
se più nota è l'attività teologica di B., di non minore importanza, anche se
finora meno studiata, è quella filosofica e scientifica. Nell'operetta latina
in due libri, Ethica secundum Stoicos ex pluribus voluminibus eorumdem
Stoicorum sub compendio composita,edita per la prima volta da Canisius,
Ingolstadt 1604, riprodotta in Migne, Patr. Graeca,CLI, coll., B. dà una chiara
esposizione della morale stoica e mostra ampia conoscenza di Platone. Inedita è
ancora un'altra opera di carattere fìlosofico, Le soluzioni dei dubbi proposti
da Giorgio Lapita (A~astq siq T&q è7rsvsy,0d'aocq ocù-ré,-,) &7rop(otq
7rocpì ro,3 ]Pe⟨,)pytou
roú Aa7r'tOou, contenuta in vari codici, di cui il più noto il Vatic. Graer. Di
matematica trattano l'Arithmetica demonstratio eorum quae in secundo libro
elementorum sunt in lineis et figuris planis demonstrata,corfimentario al
secondo libro di Euclide, edito nell'euclide di C. Dasypodius con traduzione
latina, Argentorati, e riprodotto, nel solo testo greco, nell'edizione di
Euclide curata dallo Heiberg, V, Lipsiae (Teubner); e la Aoytcr-rtx~ sive arithmeticae,
algebricae libri VI, edita per la prima volta,dallo stesso Dasypodius con
traduzione latina, Argentorati, e poi, con un commento, da Chamberus, Logistica
nunc primum latine reddita et scholiis illustrata, Parisiis 1600, trattato di
calcolo con frazioni ordinarie e sessagesimali con applicazioni
all'astronomia. Inedite sono due opere di astronomia: un commentario alla
teoria dell'ecclissi solare dell'ahnagesto tolemaico, contenuto in parecchi
manoscritti, in duplice redazione, e una regola per la datazione della
Pasqua. B. si occupò anche di acustica e di musica. Abbiamo di lui la
confutazione al rifacimento degli 'AptovLx& tolemaici di Gregoras,
pubblicata da Franz, De musicis graecis commentatio, Berlin. Difficile è
esprimere un giudizio preciso che illumini di piena luce la personalità di B.,
sia perché moltissimi dei suoi scritti sono ancora inediti, sia perché
l'attenzione degli studiosi si è concentrata particolarmente sulla sua attività
teologica e diplomatica, che fu occasionale, lasciando nell'ombra la sua opera
di filosofo, di scienziato e di umanista, che rispondeva alla sua vera
vocazione. Sufficientemente chiara è ormai la posizione del monaco
calabrese verso le due Chiese. E sincero credente nella fede ortodossa fino a
quando non passò al cattolicesimo, ad Avignone, in seguito alla condanna
espressa dal concilio. E fu sincero unionista, anche se le sue posizioni
teologico-filosofiche non dovevano contribuire alla chiarificazione dei
rapporti tra le due Chiese. A Bisanzio porta lo spirito nuovo delle più
avanzate speculazioni filosofiche dell'Occidente, che preludevano all'umanesimo
e alla Rinascita. Non facilmente valutabile è invece il peso che egli ebbe
nell'introduzione del greco nel mondo occidentale. Certo è che, oltre alle sue
lezioni avignonesi, iniziò alla cultura ellenica Paolo da Perugia e il
Petrarca. I suoi interessi per matematica, astronomia, fisica e musica,
oltre che per teologia e filosofia, gli assegnano un posto eminente nella
storia della cultura e lo fanno apparire uno degli spiriti più versatili della
sua età. Fonti e Bibl.: N. Gregoras, Byzantina Historia, a cura di
L. Schopen, I. XI, c. 10, in Corpus scriptorum historiae Byzantinae, Bormae,
Cantacuzeno, Historiartum libri, a cura di Schopen, AYLOQEVILZò1; Tó~10(; in
Migne, Patr. Graeca, Filoteo, Gregorii
Palamae encomium, CLI, Contra Gregoram, XII; i:uvobL>còg rópo; (Atti dei
concilio Bénolt XII, Lettres closes, patentes... se rapportant à la France, a
cura di G. Daumet, Paris; Taccone-Gallucci, Regesti dei romani pontefici per le
chiese della Calabria, Roma, Schaefer, Die Ausgaben der apostolischen Kammern
unter Benedikt XII, Klemens VI und Innocenz VI, Paderborn; Petrarca, Famil.,
I.XVIII, ep. 2, a cura di Rossi, Firenze, BOCCACCIO, Genealogia deorum gentilium,
a cura di Romano, Bari; Mandalari, Fra Barlaamo Calabrese, maestro di PETRARCA,
Roma; Gay, Le Pape Clément VI et les affaires d'Orient, Paris; Parco, Petrarca
e B., Reggio Calabria; Gl’ultimi oscuri anni di B. e la verità storica sullo
studio del greco di PETRARCA, Napoli, GENTILE, Le traduzioni medievali di
Platone e PETRARCA, in Studi sul Rinascimento, Firenze; Jugie, Barlaam de
Seminaria, in Dict.d'Hist. et de Géogr. Ecclés., Barlaam est-il né catholique?,
in Echos d'Orient; Schirò, Un documento inedito sulla fede di B. C., in
Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, Sarton, Introduction to the history of
science, III, Baltimorem Weiss, The Greek culture of South Italy in the later
MiddIe Ages, in Proceedings of the British Academy, Meyendorff, Les débuts de
la controverse hésychaste,in Byzantion, L'origine de la controverse palamite:
la première lettre de Palamas à Akindynos, in OEoloyca; Un mauvais théologien
de l'Unité: Barlaam le Calabrais, in L'Eglise et les Eglises. Etudes et travaux
offerts à Dom Lambert Beauduin, II, Chévetogne, Introduction à l'étude de
Palamas, Paris; St. Grégoire Palamas et la mystique ortodoxe, Paris; Giannelli,
Petrarca o un altro Francesco, e quale, il destinatario del "De Primatu
Papae" di Barlaam Calabro?, in Studi in onore di Funaioli, Roma, Setton,
The Byzantine background to the Italian Renaissance, in The Proceedings of the
American Philosophical Society, Loenertz, Note sur la correspondance de
Barlaam, évéque de Gerace, avec ses amis de Grèce, in Orientalia Christ. Periodica,
Beck, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, München, Schmitt,
Un pape réformateur... Bénoft XII, Quaracchi-Florence; Pertusi. La scoperta di
Euripide nel primo Umanesimo, in Italia Medievale e Umanistica. Bernardo Massari.
Massari. Keywords: implicatura, logistica, Petrarca, Boccaccio, Gentile – il
latino, il volgare – e il greco! Accademia, Platone, Rinascimento italiano,
Firenze.
Grice e Massimiano – il principe filosofo -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher
who encourages Giustiniano and Giuliano -- to pave the floor of Hagia Sophia
with silver. Massimiano.
Grice e Massimo: l’orto romano -- la costituzione di Roma
– Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. L’orto. A friend of PLINIO Minore. He is sent by Rome to refer and
reform the constitutions of six Greek cities, but he declines the idea. He knows
the theory of Epittetto, and a discussion between them is preserved in
Discourses III. 7. Massimo.
Grice e
Mastri: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Meldola).
Filosofo.– Grice: “One interesting fascinating bit about Mastri’s
‘Institutiones logicae’ is tha it starts with a little ABC!” Grice: “Mastri has
a chapter on fallacies, too, which is fascinating!” -- Grice: “I love Mastri –
of course at Oxford, if they do history of logic, they’ll focus on Occam – Axe
Kneale!” Grice: “But Mastri explored quite a bit the square of opposition, and
modal, too – what he says about nomen, verbum, propositio, copula, ‘regulae’
for reasoning, and so forth, is all relevant – especially seeing that his
“Institutiones logicae” is just one of his outputs: he made intensive commentaries
on Aristotle’s whole organon, and more importantly, also his metaphysics and
his theory of the soul – so Mastri certainly knows what he is talking about!”
-- Grice: “He was a logician, and so, according to the Bartlett, am I!”Saggi: “Disputationes
physicorum Aristotelis” (Grignano, Roma); “Disputationes in organum
Aristotelis” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in de coelo et metheoris”
(Ginamo, Venezia); “Disputationes in de generatione et corruptione” (Ginamo,
Venezia); “Disputationes in Aristotelis stagiritæ de anima” (Ginamo, Venezia); “Disputationes
in Aristotelis stagiritæ libros physicorum” (Ginamo, Venezia); “Institutiones
logicæ quas vulgo summulas vel logicam parvam, nuncupant” (Ginammo, Venezia); ““Disputationes
in Aristotelis stagiritæ meta-physicorum” (Ginammo, Venezia); ““Scotus et
scotistæ Bellutus et M. expurgati a probrosis querelis ferchianis” (Succius,
Ferrara); “Disputationes theologicæ in
Sententiarum” (Hertz, Storto, Valvasenso, Venezia); “Theologia moralis ad
mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata” (Herz, Venezia); “Theologia
moralis” (Milano, Mansutti), “Philosophiae ad mentem Scoti” (Pezzana, Venezia);
Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Forlivesi, Scotistarum princeps. Mastri
e il suo tempo, Centro Studi Antoniani, Padova,
M. Forlivesi, Mastri da Meldola, riformatore degl’imperfetti, Meldola, Forlivesi,
"Rem in seipsa cernere" (Poligrafo, Padova); T. Ossanna, M. conv. Teologo
dell'incarnazione, Miscellanea Francescana, Roma Mansutti, Quaderni di sicurtà.
Documenti di storia dell'assicurazione, Bonomelli, schede bibliografiche di C.
Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa, Hermann Busenbaum
Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Cum SIGNIFICARE derivatum est quo patet SIGNUM dicere
ordinem, et ad potentiam cognoscente in sed ad huc dubiuin est denominibus ipsis
substantivis solitarie cui re-præsentat, et AD REM SIGNIFICATAM, quam re-præsentat.
Divi sumptis. Et extra propositionem spoflintnedici termini, nam ditur porrò SIGNUM
inforinale, cutly currere subiecti, atque ita vt verba habere rationem termiplicabimus.
ni. Refp. “currere”, et “moveri” esse verba tantum grammaticaliter at apud logicum
æquiualent nominibus CURSUS et MOTUS, unde
apud. Dubium tamen est de adverbiis, coniunctionibus, signis quantitates – ut:
“omnis”, “aliquis”, etc. casibus obliquis
et similibus, an rationem terminis ubire possint etiam in secunda acceptione. Af
De Terminorum multiplicitate ratione SIGNIFICATIONIS, X varijs capitibus solenttermini
MULTIPLICARI et variæeo t rum divisiones atlignari, ex parteniiniru in SIGNIFICATIONIS,
actu fungatur munere subiecti et prædicati, fediufficit aptitudo, ut ad tale in
unus possit assumi, et non eam habeat repugnantiam quæ reperitur in aduerbiis,
conjunctionibus, et similibus men substantiuum extra propositionem dicetur terminus
non ineo. Qu oad alteram qux siti partem Terminus universi in sumptus dividitur
in in en talem, vocale in et scriptum vt notat Tatar. tract. 7. de suppositionibus
comm. Secundo sciendum, quæ divisiolumitur ex triplici propositio nuingenere. Hæc
eni in propo in alterius cognitionem venire, ut IMAGO respectu Cælaris, VESTIGIUM
rel pectu feræ transeuntis; quade causa Scotus 2. d. 3. quæst. 9. et quol. 14,
hoc secundu in SIGNUM appellat medium cognitum, qui a vc ducat in COGNITIONEM
SIGNATI, prius petitiplum cognosci, il propriem dicitur SIGNUM, et definitur ab
August. [AGOSTINO – Del maestro] citat, ea tamen definition etiam formali conveniet,
si prima pars deinatur, et dicatur SIGNUM efe, QUOD FACIT NOS IN ALTERIUS
COGNITIONEM VENIRE. Hæc tamen SIGNI descriptio, quam vis sit ab August.
[AGOSTINO], tra Pars Prima Inf fit.Tract. I1. Cap.1. elf obiectum ipsius formalis
propositionis mentatis, et intticuitur in Hasaute in termini propriem sumpti definitiones
itam explicat Tatar. Ese propositionis obiectiva peream, tanquam per forma mextrin
ut SENSUS sit terminum eleids in quod tanquam in EXTREMUM proposecam, itaque PROPOSITIO.
Mentalis in hoc sensu, nim irum ob fitio cathegorica elt in nediace resolubilis
MEDIANTE COPULA verbali, iectivem sum pradicitur habere terminos; et extrema, quia
in se et diciturim mediatem, ad remonendum litteras et syllabas, quia continent
subiectum et prædicatum constitutain esse talium per licet propositione solvatur
in litteras et syllabas, non tamen in propositionem formalem. Quarem cum intellectus
enunciate ebomo mediate, et id e om litteræ et syllabæ NON dicuntur “termini”,
el est s nimal interna et formalis propositio in se non continet sub tiam licet
propositio hypothetica resolvatur in terminus media iectum, neque prædicatum, nec
terminos, sed tantum propositio tem, non tamen immediatem. Sed resolvitur immediatem
in propositione objectiva. Yt etiam hic benen notavit Ovvied. Nomine autem ter sit
iones simplices, ex quibus componitur. Posset tamen ab sque mini mentalis duo possunt
intelligi, scilicet res quæ mente concipi scrupulo etiam propositio simplex appellari
terminus, quando tur, ac ipla cognitio, seu v talij loquuntur conceptus formalis,
in hypothetica tenet locum subiecti, ut notat Arriag. Nec obeit et obiectivus.
Et quidem siin primo lentu sumatur, scilicet, prom illam etiam constare terminis,
nain benem potest id, quod in se est re concepta, terminus mentalis am vocali
et scripto differre non quasi totum, esse pars respecta alterius totius, ut patet
in physicis videtur, eademen im prorsus est res, quæ in ente concipitur, vo de corpore
respect totius hominis, et in aliis multis, ut discur, cede proinitur, et calamo
exaratur; at IN SECUNDO SENSU, scilicet, renti constabit. Et iuxta hanc secundam
termini acceptionem coproipforei conceptu differtam vocali et scripto et dividisolet
in et subiecti et licet in propositione de secondo adiacente, quaquia cum sit ignarus
SIGNIFICATIONIS vocabulorum latinorum, concilis est ista: “Petrus currit.” -- lý
“currit” videatur fungi munere prædipit solum modo vocis tonum, non autem rem per
illam vocem SIGNIFICARI, re tamen vera non tantu in habet rationem prædicati, sed
etiam ficatam, scilicet hominem. Porrom licet logica proximem vertetur habet vim
COPULAE, cum faciat hunc sensu in: “Petrus
est currens.” -- yn circa terminus mentales; et vocales non nisi ratione mentalium
at delicet ut gerit vices prædicati, sit terminus, non tamen vegerit vitendat, quia
tamen termini vocales sunt clariores, et pereosinno ces copulæ. Et si dicas in hac
propositione “currere” est “moveri”, ly – motes cuntinentales, frequentius agit
logicus determinis vocalibus, at, veri, quod est verbum, habere tantum rationem
prædicati, fique id eonos et iainde inceps deistis agemus, ac eorum divisiones ex
sirmant aliqui, co quia in propositione possunt habere locum prae ex parte MODI
SIGNIFICANDI et ex parte REI SIGNIFICATAE. Ex primo dicati et subiecti, ut si dicatur
“Petrus” est aliquis, omnis est tercapite, quantu in ad præsens spectat, solet in
primis dividi vocalis minus syncathegorematicus, preter, ost adverbium, est coniun-terminus
in significativum, et non significativum. Ileeit, quiali quid tie et sic dealiis.
Immo suent. cit. hac ratione tenet etiam voces SIGNIFICAT, vc hæc vox “homo”, qui
naturam SIGNIFICANT humanam, ister non significativas e se terminos, nam
dicimus “bliteri” nihil SIGNIFICET, qui nihil SIGNIFICAT – vt “blittri”, “buf”,
et “baf.” Sed ut ita divisio lit cat. Quin etia in Arriaga ob id addit litteras
ipsas ese terminos, quanreemtem tradita intelligi deber determine in prima acceptione
assignar dosolz accipiuntur, nam dicimus A et t littera.Verum in probabi- tacap
præced. Nam in secunda acceptione omnes termini sunt signi lius alii negant, quia
adverbia, coniunctiones, et alia id genus nun- sicativi, cunies epoflint subiectum,
et prædicatum in propositio quam ratione sui et formaliter sumpta fungi possunt
munere subie- ne. Terminus igitur vocalis in tota sua latitudine sumptus dividitur
emti, et prædicati, unde in allatis propositionibus semper aliquod in significativum
et non significativum -- quæ divisio ut benem per substantivum intelligitur, in
cuius virtute fungunt urila oficio sub cipiatur, cum terminus vocalis constituatur
in ratione significan iecti et prædicati, ut in ila propositione “Petrus est aliquis”
am parte tis per significationem, videndyınett quid sit significare et quid sit
si nos venire in cognitionem alterius scili ta in oppositionem sequivelimus, tunc
cum Tatar, que in seq. Arriaga, cet naturæ humanæ, unde SIGNUM debet ese tale, ve
il coognit oper tract. 1. com. 3. Ad 1, dicendum est ad hoc, ut aliquid sit subiectum
SENSUS, mediante illo deinde veniamus in cognitionem rei, cuinqua in propositione
sufficere, ut sit vox significativa NATURALITER commu- lignum habet connexionem;
hinc significare nil aliud erit, quam niter, id est, ut possit re-præsentar ese
ipsam, quod elt significare aliquid aliud am se distinctum re-præsentare potentiæ
cognoscenti. Ex large et est illud, quod absque sui prævia ARISTOTELE Definition
allata videtur ilis competere solu in, quando sunt in cognition aliud nobis re-præsentat
et in eius cognitionem du propositione.Verum non ita rigorosem intelligenda est
illa definitio cit, quales sunt species IMPRESSA ET EXPRESSA respect proprii obie
nam ve aliqua dictio dicatur “terminus”, non eit semper necesse, quod eti, et in
instrumentale, quod PRAE-SUPPOSITA SUI cognition facit nos. No dita et obcanti doctoris
authoritatem ab omnibus pallim ro sitio “homo” est animalli siat mente, dicitur
mentalis, si voce, voce pta, non recipituram Poncio disput. log. quæit. i, eamqu
calis, li scripto, dicitur scripta. Terminus ergo dicitur mentalis impugnat quo
ad veramque partem; quo ad primam quidem cum ampula verbalis, seu verbum, ut verbum,
rationem termini nequit vleii natum, et non ultimatum. Ultimatus est conceptus,
seu cogai habere, tum quia copula non est extremum propositionis, sed ratio rei
significatæ per vocem aliquam, velim scripturam, ut cum audition coniungendi extremi.
Tumqui ain eam propositiore solui non ta voce “homo” illud percipimus ‘animal’
[ZOON], quod est ‘rationale’ [LOGIKON]. Non ylti potest, cum enim sit formalis
et EXPRESSA extremorum unio, matus est conceptus ipsius vocis, vel scripturæ significantis
non yl facta eorum dissolution manere non potest. Tumdemum, quia trase ex tendens
ad re in significatam et ideo dicitur non ultimatus. Ve SENSU, quod actu extra illam
exerceat officium termini, sed quia ludverom primum vocat præcisem rationem cognoscendi,
quatenus intra illam fungi potest hoc munere. Unde dicatur terminus non præcisem
eit quo aliud cognoscitur, et non quod cognoscitur. Si actu, sed potentia. Nec aliud
probant Complut. cit. oppositum signum autem instrumentale est, de quo agimus in
præsenti, et quod it in entes. Eum dimontesa SIGNA ni. vocalis, vel scriptus, pro
ut subiectum, vel prædicatum proposi SIGNUM esse id, quod præter sui cognitionem,
quam ingerit senpbutionis et mentale, vocale, vel scriptum. Solent extrema quoque
doc. red arguit, quia non complectitur omne SIGNUM, quia po propositionis mentalis
termini appellari, quod quidem de propolilent dari SIGNA spiritualia, qux
deducerent in cognitionem tione formali, quæ eit actus, et secunda operatio intellectus,
in aliarum rerum, nec possent percipia SENSIBUS materialibus telligendum non est,
nam propo.icio in hoc lenluettyna simplex Quo ad aliam verom partem, in qua ait;
quod SIGNUM facit venire op eiro in cognitionem alterius eam impugnat, tanquam
ab Arriag. 4 modificat, et facit tal iter Significare, idel treddit eius significatio.
raticam, quia obiectum facit nos in cognitionem suivenire et tanem, vel universalem,
vel particularem, vel affirmativam, vel metbon dicitur signum. Rursus Deus ipse facit nos venire in cogni- negativam:
et dicitur aliqua liter significare, non qui averem, et pro tionem multarum reruin
eas nobis revelando nec tamen abullo priem non significet, sed quia significatum
eius non re-præsentatur vocatur SIGNUM ilarum rerum. Præter eam cognitio est SIGNUM
ut res per se, sed ve modus rei, id est exercendo modificationem rei, quz cognoscitur
per ipsam, et tamen non facit nos in cognitio alterius rei, qua de causa negat Arriag.
sect. 4. e se perfectem terminum. Dem venire. Addit Tatar. terminum mixtum id est
partim cathegorematicum, par Sed nimisandacter inficiatur Poncius doctrinam D.
Augustini [AGOSTINO], tim s yn cathegorematicum, et est ile, qui impositus ett ad
signifi qaamomnes venerantur. Ut communis magistri, unde mirum essecandum aliquid,
seu aliqua et aliqualiter simul, ut hæc vox ni. non debet, quod sz pius hic auctor
minirmu ob ore suffuse dsoctri- hil, quæ imposita et ad significandam negationem
omni sentis nam Scoti przceptoris audeat impugnare. Oprima enim eit illa hæc enim
ipsa negatio est illud aliquid, quod significat, quatenus description quo ad omnes
partes, si benem intelligatur, naimnduzæ verom illam negationem significat universaliter
cuius cunqueentis, folenta signari conditiones alicuius, ut alterius rei SIGNUM
didicitur significare aliqualiter, fic eciam significar subiectum pro catur, una
est, quod nos ducat in illius rei cognitionem, al positionis indefinitæ, namin materia
necessaria æquivalet univer cara est, quod ducat in eius cognitionem, quatenus cognicas
lali – ut, “Homo est animal” æquivalet huic,
“OMNIS homo est animal”, et quarum conditionum utram queo primem exprimit
definition SIGNI in materia contingenti æquivalet particulari -- ut, “Homo currit.”
Augustino [AGOSTINO] tradita. Nam per primam partem definitionis secun- æquivalet
huic: “ALIQUIS homo currit.” Ad hoc tertium genus reducit dam exprimit conditionem.
Vulceni in rein, quæ in servirede- Tolet. lib. 1. cap. 12. Et Arriag. sect. 4.
Omnia adverbia v...som bet pro alterius SIGNO, prius noitris SENSIBUS cognitionem
sui inpienter, doctem, conc. Sed non placet, quia cum discrimeninter termi
gerere debere, pecificat autem SIGNUM efe debere SENSIBILE, quia nos cathegorematicum,
et syncathegorematicum sumatur præser. Ut notar Doctor 4. d.1. grætt. z. &
3. SIGNA SENSIBILIA sunt maximem timin ordine ad propositione in ipes pro sianu
isto excitare intellectum coniunctum am SENSUUM et per se potest esse subiectum,vel
prædicatum propofitionis, ille ministerio dependentem, ut in alterius rei cognitionem
veniat; verom, qui non potest esse subiectum, nec prædicatum, nisi cum ad per
alteram verò partem definitionis altera quoque conditio exdito, consequenter adverbia
omnia erunt termini syncategorеinati primirur, contraquam nilvrgent instantiæà
Poncio adducta ci, quiase solis, et sine addito non possint esse subiectum, vel
pre quia obiectum facit venire in cognitionem sui, non alterius, dicatu in propositionis,
et per se non significant aliquid, sed potius hoc facit venire in cognitionem sui,
quatenus cognitum, ut fa aliqualiter. It signum, sed quarenus cognoscibile. Nec
etiam Deus hocmo- Potiori ratione ad hoc tertium genus termini mixti nomina
adie do ad inftar SIGNI ducitnos in rerum cognitionem, quatenus eti vare duci possent,
quam visenim Hurtad. disp. l. sect. 10. mor cognias, fore as revelando, quod ad
huc facere possec, etiam dicusc ontendat esse terminus syncategoremnaticos, quia
non SIGNIS prius am nobis non cognosceretur. Cognition denique esse ficant per se,
sed CON-significant, v. g. “bonus”, non significat per se, bg num rei cognit xper
ipsam formale, vedicebamus, non et determinate aliquid, nisi ad datur alicui, v.
g. “Petrus [est] bonus”, Ta autem instrumentale, quod solum propriem dicitur SIGNUM
et men si nominum adiectivorum significatio benem confideretur, vide ab Aug. [AGOSTINO]
definicus, et ideo cognitio propriem loquendo non di bimus, quod liceti n determina
cem aliquomodo significent, ratione e in er facere nos venire in cognitionem
rei, quam re-præsentamen formæ significatæ se cum afferent aliquam determinationem,
quia non ducit nos in cognitionem illius rei, quatenus nam “doctus”, v. g. doctrinam
importat, quod non eucnit in SIGNIS quan cognica, lea ut medium cognitum, sed ut
ratio cognoscendi. So- citatis omnis, nullms, doc. quæ nulla in prorsus, rem determinatam
lum autem SIGNUM instrumentale est illud, quod hic definitur significant. Accedit,
quod nomina adiectiua possunt esesaltim præ Ethocignem instrumentale ad huc duplex
est, aliud naturale, dicatum in propofitione, v. g. “Petrus est doctus” -- quod
SIGNIS quantitate it, quod ex natura sua independenter ab hominum voluntate
tispror sus convenire non potest, ergo nomina adiectiva commodem aliquid re-praesentat,
ut sumu signem, et universaliter omnis es- ad hoc tertium genus termini possunt
revocari, quod etiam tenent sutus suam cusum, qui præsertim si sensibili serit,
dicetur tic Casil. cap. 3. et Arriag. cit. cum significant aliquid, et aliqualiter,
vn suncauz juxtam sensum definitionis allaræ. An verom it aèm contra de rem anet
sola nomina substantiva esse propriè terminus categore cala dicipole SIGNUM sui
effectus, negar Hurtad. disput. 1. fet. 4. maticos, quicquid hic dicat Ouuied. Quia
eicauíz cognition ducat in cognitionem effectus, tamen, 7.Rursus terminus categorematicus
subdividitur in simplicem boset ordinate ad illum re-præsentandum. Sed planènonmi-
seuin complexum, et compositum, seu complexum, quam diuisio mes ordinataet cognitio
causæ ad nos ducendum in cognitionem quidam sic explicant, quod complexus est ille,
qui constat ex benefectus a priori, quam cognitio effectus sic ordinate ad noti-
pluribus dictionibus – ut: “homo albus” in complexus, qui unica gau tiamanfz à posteriori,
quareratio Hurtad. Parum valet. Acinder dictione, ut “Homo et albus”, ita Roccuslib.
i. introd. cap. 8. quinzalij, quod licet icar esse habeat, solata men cognitio,
qux Blanc. libr. z. sect.2. At ve bene monet Tatar. tract. 1. coin. 4. hæc ex
perfectum habetur, dicitur haberi per SIGNUM, unde sola demonplicatio potius grammaticalis
est. Grammaticus enim voce millam Horacio, posteriori, quzelt per effectum, dicitur
a signo, et idiom appellat complexam, quæ constat ex pluribus vocibiis, et eamin
solum efectus dici potest SIGNUMcausæ, non è contra. Verun mne- complexam, quæ constat
una tantum, at non sic est apud logi que hoc viget, licet enim cognition habita
per effectum velutisen cum, qui non attendit unitatem, vel pluralitatem vocum,
i ed Ebuiorem causa, magis propriem dicaturam signo, niltam enim- conceptum in intellectu,
cuiiltæ subordinantur, unde etiam si sint pedit, quin et cognitio habit a per causam
po sic diciam signo ab- plures dictions inter se connexx, sit amen in in ente v
numtan solute loquendo. Poc est igitur etiam causa dici SIGNUM sui effectus,
tum generant conceptum, terin inum conitituunt in complexum &przsertim quando
sensibilis est, vnde a Theologis sacramenta
dive v. g. Marcus Tullius Cicero [CICERONE], et è contra fivnatantum sit dictio,
cantur SIGNA gratia, cuuus sunt causa, ita clarem colligitur ex Do- conceptum tamen
generet complexum, erit terminus complexus; vt Gore. d. 1. Juzit. 2.$. De secundo
principali, et sequitur Cafil. cit. et nemo, “Amo.” semper, quæ æquivalent his,
nullus homo; “Ego sum amans”, omni Atriaga difputat. 3. fect. 2. Aliud vero est
SIGNUM ARTIFICIALE, seu ad tempore. placitum, et et: quod ex hominum impositione aliud repræsen-
Alii proindefic explicant, quod terminus in complexus est ille, est, ficramiset
SIGNUM venditionis vini, sonus campangelt cuius partes ab in vicem separatæ nihil
significant, aut non lignih fgrum lectionis, et vox illius rei, adquam significandum
eitim- cant illud, quod in integra dictione significabant – ut, v. g. “dominus”
posita. Ubi tamen est advertendum etiam in vocibus ipsis non est terminus in complexus,
quia licet partes, in quas potest dividi aprum significationem AD PLACITUM reperiri
posse, sed etiam natu scilicet “do-“, et “-minus” sint significativæ, tamen in toto,
et integra salem, ve par et degemica in firmorum, et latratucanum. Et ideom
dictione hanc significationem non retinent: Complexus verom est il temiaus vocalis
significativs sub dividi solet in significativum nale, cuius partes eandem retinent
significationem, quam habebant licet, et AD PLACITUM, et hic ad Dialecticus mpectat
non qui- in toto complexeo, tiam ab in uice in separatæ – ut: “homo iultus”,
enlecundim tuam realem entitatem, ve vox est et fonus quidamn ita Amicus g. 2. Ruuiusq.
4. Complut. cap. 3. Sot. lib. 1. cap. 9. decaufaeus, Id secundum quod impofitus
est ad res ipsas signi- Ioan. De S. Thom. [AQUINO] lib. sum. cap. 4. & alii
passim. At hoc dupliciter ledias, et conceptus mentis exprimendos, in hoc enim lenluvo-
inteligi potest, velita, quod terminus in complexus sit ile, cuius se nere dicuntur
ad inftitutum Dialecticum, ut dicemus disp. Partes Separatæ non eandem habent significationem,
quam habe vocibus, vbictiam declarabimus, per quid constituatur ratio bant in integra
dictione etias migillatim sumptæ, in quo SENSU quod coria nificativus, et ideo per
se non significat aliquid, nec po- seca, acdere vpatett. Al Velscito amipnto enlluingtitiulrla,
nqoumodinpar, tevsetneortmaitn Fioin veelelubecom, et prædicatum in propositione,
sed cumalte- coinplexi separatæ non retinent eandem significationem, quamha
consortio aliquis inde de sumpdtiæctionis Respublica lus, vt notat Tatar. tract.
7. com .1.§.Tertio Sciendum , scio vera est, ut constat partibus illius fins, cuius
significationem modificet wessatenusa diuncur cathegorematico. Bartolomeo
Mastri. Mastri. Keywords: implicatura, Categories and De Interpretatione,
segno, segnare, segnans, segnato, notare, nota, notans, notatum, notatura,
segnatura, signifare conceptus animae, res significata, “Amo” aequivalet “Ego
sum amans” – Homo albus aequivalet “Omne homo est albus” – Homo currit
aequivalet Aliquis homo currit, signum artificiale, ad placitum, significare
naturaliter – baf, bif – definizione di signo, tratta d’Agostino. Aquino.
CICERONE. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Massolo: l’implicatura conversazionale nelle prime ricerche di Hegel – implicatura
idealista di Plathegel e Ariskant -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo italiano. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that
would be his ‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with
Strawson and Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme
on the topic!” Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio
Emanuele II, si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu
autore di alcuni volumi di poesia. In
seguito ad un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno,
insegna a Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito
filosofico del secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo,
Salvucci, Cazzaniga, Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con
numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo,
Fortini, Russo, Capitini, Weil) mostrano l’alta considerazione di cui M. godeva
all’interno del panorama culturale del secondo dopoguerra. Partecipa alla fondazione della rivista
Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel primo anno della
sua uscita, ospitò tre importanti saggi di M.: Esistenzialismo e borghesismo, La hegeliana dialettica della quantità, L’essere
e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana «Socrates» dell’editore
Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica” di Weil, Vita di Hegel
di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi studi su Hegel, inclini
a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione realistica del filosofo
tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo italiano (Croce e
Gentile) quanto quella di Volpe. Nell’ambito della sua riflessione Massolo ha
posto le basi teoriche per una nuova ed originale rilettura del rapporto
Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni interpreti l’avviatore
dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi teoretici si sono rivolti
principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha
studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici. In antitesi all’esegesi del neoidealismo
italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed
Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento
della sua filosofia, M. ha proceduto alla rilettura della genesi dell’idealismo
tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi kantiani in un
processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di Hegel. Nelle fasi più mature della sua riflessione
ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della coscienza
comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea della completa
politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo, Frammento etico-politico), ed il problema
della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della
coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero
e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,). Si dedica alla questione della dialettica
intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il
quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto
storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità. Tramite queste riflessioni, che lo hanno
condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, M. ha
contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha
concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e
comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato). Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo,
Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze,
Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni);
“Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia,
Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica
idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica”
e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, S. Landucci, Arturo Massolo,
"Belfagor, Remo Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi
in onore di Arturo Massolo, Livio Sichirollo, Urbino, Argalia, Nicola Badaloni,
Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico della filosofia
italiana", degli scritti di
Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi
Nicola De Domenico e Gianni Puglisi, Venezia, Marsilio. Arturo Massolo.
Massolo. Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile,
implicatura idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Massolo” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mastrofini: l’implicatura conversazionale -- l’implicatura verbale di Romolo –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte Compatri).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into what we may call new
Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a philosopher, he focused on the
philosophical terminology – it takes a PHILOSOPHER to translate a philosophical
text!” – Grice: “What I like about Mastrofini” is that he mostly kept with the
cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume “Le discussioni
sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il danaro e che né la
Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione ecclesiastica vietavano di
ottenere un giusto interesse per danaro dato a prestito. Questo diede luogo a
molte discussioni ma anche apprezzamenti lusinghieri da economisti dell'epoca e
dall'opinione pubblica. In precedenza aveva
scritto un'opera di economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa
relativa all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per
la riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio
Romano ove insegna. Insegna a Frascatii.
Nel pieno della crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne
nominato professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si
trasfere definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della
"Nuova Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis". Produce le traduzioni dei capolavori di Floro,
“Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli
imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e
prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente
degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo
allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella
revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di
misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e
filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in
corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e
i Cesarini. Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio
dove abita e muore, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una
lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- filosofo assai più
grande che celebrato fissa le incerte leggi dei verbi investiga felicemente con
l’uso della ragione i misteri della scienza divina S.P.Q.R.» “Dissertazione
filosofica” (Roma); “Piano per riparare la moneta erosa” (Roma); “Ritratti
poetici, storici, critici dei personaggi più famosi nell'antico e nuovo
Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio); “Sulle cose
memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso “Le
Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica
sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani",
Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle
cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul
calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma, “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e
prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli
Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma,
e dell'impero e ROMOLO, generato da MARTE, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza
confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il
fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non
potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una
lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, inboccò li sue
mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un
regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que'
giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata
Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo
da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni
cento due a!l'incircd. Ma forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento in
lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo zio
di Vesta Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può
sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore
fosse alquanto migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni
abitazione fosse capanna o no . av. Cr av. R. 26. na ENEA dopo finita la
guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie .
Ascanio , ossia Giulo, peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba
Lunga la quale tu capitale del regno per trecento anni Ani. dik .
3.av. Cr. essi viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui
figlia Romolo era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia
Imulio suo zio dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume
e de’monti, vicino a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt).
Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual
de’due le fondasse e vi dominasse . Per tanto REMO andossene al monte Aventino,
el altro al Palatino. Colui pel primo vide VI avoitoj: posteriormente videne
l'altro, ma XII: e vincitore negli augurji nal Area fin quì fatto un'ABOZZO di
citta, piuttosto che una città; mancandole gli abitanti. Ma siccome riina neale
vicino un bosco;eg! 2feceunasilo; edisubia tovisi adund moltitudine prodigiosa di
uomini, Latini, e Toscani pastori , eGo ancotras marini, sia de ' Frigj venuti
con ENEA, sia degl’Arcadi con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti, ne trasse
un corpo solo; ed e per lui creato IL POPOLO ROMANO. Vi quel popolo di uomini e
cosa di una sola generazione. Si chiesero dunque de’matrimoni da'confinanti; e
sccome non si otteneano, sono con la forza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi
equestri, le vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente ROMOLO inalza
Roma che diverrebbeca. C o . za una città pieno di speranza, che guerriera
diverrebbe; tanto ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e
prede. Sembra che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non che
deridendo Remo le angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, e
trucidato; è dubbio se per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima
delle vittime; e CONSACrA COL SANGUE SUO e fortificazioni della nuova città .
Av. Cr. R.2 so 52 7> ro dell'Italia e del mondo , PRIMO 13 (+)
Spoglie opine eran quelle che un comandante toglie all'imperadore o supremo
comandante nemico uccidendolo di sua mano. Queste sono così rare; che se ne contano
appena tre. Le prime le riporta Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio
Cosso contro di Tolunnio. E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi e
detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o
perchè ferisce col fulmine; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un
capitano ferisce l'altro con la spada. E questo un bel mantenere le promesse e intendere
di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano opprimendola .
Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia a quello usato dalla
fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o cone noi
abbiamo tradotto , senza malizia, perchè non chiedeva danaro , ma gli scudi o
li braccialetti. Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi addita,
secondo Valerio Massimo e figliuola di Spur.Tarpejo il quale a tempi di Romolo
presede alla fortezza: c coleiera uscita per prenderc acqua pe’santi
riti, tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentire
spinti e fugati: la città di Cenina fu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca
ne riporta con le sue mani a Giove Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le
nostre porte furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma
chiesto avendone la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle
sinistre, gli scudi forse o li braccialetti; coloro e per man tenere a leila
promessa e per vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra
le mura i nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia; tanto che ROMOLO
prega Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ha origine il
tempio , e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome
s'intrammisero ad essi che infierivano. Così fu la pace riordinata, e stabilita
l'alleanza con Fazio. Donde ne.diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen passarono
alla nuova città, consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni perdote.
Accresciute in poco tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma alla
Repubblica. E la gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè sorgesse
nelle subire guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori, i quali
si chiamano pari arringando dinanzi la città presso la palude della capra, e di
repente levato di vista. Alcuni pensano che i senatori lo trucidassero per la
ferocia dell'indole di lui. Dopo la morte di ROMOLO il trono resta privo di
sovrano per un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori di cinque in cinque
giorni. Quello spazio e chiamato interregno. Il magistrato a forma d'interregno
ha luogo ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli occupati in lontane
azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti a
depor. 14 LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che inemiciab
7.av. Cr. diR. 38. l'autorità, ma per la eta S.nuto. Ordinate in tal modo le cose,
egli SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del sole
presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale poco
appresso diè credito GIULIO Proculo coll'offermare; che ROMOLO si era a lui
dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva che
per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo.
Con tal mezo Roma conquisterebbe le genti. E' natura del Verbo di esprimere l'afermazione
e la negazione. E siccome Essere e non essere esprimono appunto per se stessi
l'affermazione e la negazione; ne seguita che il verbo Essere preso nudamente,
o preceduto dalla particella “non”, è verbo per natura e per eccellenza.
Comunemente la voce essere è nota col nome di verbo sostantivo, perchè esprime
l'esistere, o L’ESSERE di sostanza. Le qualità che si affermano o negano
possono aversi distinte o no, dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso
l'affermazione o negazione si addita col verbo essere, come si è detto. Ma nel
secondo caso risulta un nuovo ordine di verbi più composti; appunto per chè in
essi è riunita l'affermazione o negazione colle qualità che si affermano o
negano: tali sono amare, godere, odiare, piangere et cetera, che significano
essere nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere
di verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma
alla dolcezza dell’eloquenza, e della Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e
nega dise stesso, che si chi a ma persona prima, o di altri a cui parla, che si
chiama persona seconda, o di soggetto a cui non si parla, e si chiama persona
terza. Per altro queste persone possono essere una, o più, cioè possono riguardarsi
in singolare, duale, o plurale. E 'naturale che tanto nella nostra quanto nella
più parte delle lingue s'introducesse l'uso di finire il verbo diversamente
secondo la diversità delle persone,e del numero. E quindi abbiamo amo ami ama amiamo
amate amano. E potendo il discorso riguardare cose presenti, cose cominciate e non
finite, cose passate, più che passate, e future; fubene varia. Anzi siccome le
proprietà si affermano o negano assolutamente, o sotto certi rapporti e
condizioni. Cosi li verbi divennero parole terminate diversamente secondo la
persona, il numero, i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o
relative. S. 1. re il verbo secondo la persona, il numero, e i tempi. a
I 6. Questi modisono cinque: Indicativo, Imperativo, Ottativo,
Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo dimostra assolutamente che una cosa è,
fu, sara; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro ama amò
amerà. le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichiarano che Pietro amo, ama,
ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando, preghiera, avviso,
consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol
esprimere il comando, preghiera et cetera, e l'azion e che deve farsi. Tale
sarebbe ama tu, amerai til, ameremo noi et cetera. Per tanto si esprime
l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera et cetera;
laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio
di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora
desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi, io amerei, O avessi amato, lo
avreiamato et cetera. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si
vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le
particole sebbene, quantunque, conciossiacosache et cetera. Tále è quel di PETRARCA
Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel di BOCCACCIO. .6.7.n.2.
per l'amore di Dio, come chè il fatto sia et cetera. Tra i Greci l'Ottativo ha
le sue desinenze tutte diverse dal congiuntivo: ma nella lingua latina e nella
nostra L’OTTATIVO ADOPERA LE STESSE VOCI DEL CONGIUNTIVO, se ben si rifletta. Il
verbo si dice di modo finito o determinato finchè si concepisce indicativo, imperativo,
ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente qualche proprietà
senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, et cetera, ed allora
si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La varia
desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi si
chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o
diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E
siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e
l'infinito puo terminare in -are, in -ere -- lungo e breve --, ed in -ire; cosi
III sono le conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are
si dicono della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli
terminati in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve,
come temère,cadère, giacère, et cetera, e come credere, discendere, volgere, ecc..
I latini di queste due desinenze ne faceano II CONGIUGAZIONI diverse, come
docère e legere. Nè mancato è pur tra gl'Italiani chi abbia concepite diverse
le conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la
pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri di vari, parlando
regolarmente; e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non
la forma del verbo; così piùra gionevoli sono quelli che rinniscono in una
conjugazione gl'infiniti in -ere, lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i
verbi terminati in -ire, come sentire, uscire ecc. Chi si propone per
iscopo di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le
varie desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle
varie conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per
vedere però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta
l'ampiezza sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria
e di Prospetto generale; ed esporremo in essa come le conjugazioni latine sian si
trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia; la dipendenza comune de' nostri
verbi dall'infinito, e per ogni conjugazione il prospetto di qualche verbo che
serve di norma in tutti i simili e regolari -- come del verbo “amare” per la
prima, de'verbi “temere” e “credere” per la seconda, e de’ 'verbi “sentire” ed “aborrire”
per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come principio di
ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede, esprimendo la
sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E ciò tanto più
dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari”, non possono
formarsi le tre conjugazioni divisate degl’altri verbi. Dato cosi principio e
norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda parte ed
esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali
cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali
servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e
distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella
seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'IDIOTISMI
e gl’errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi
talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte
sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle
note. GLI ERRORI SON SEMPRE ERRORI. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel
parlare e nello scrivere familiare, non però nelle belle scritture, sebbene
talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon
per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per
compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il
gerundio. Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio
perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto
dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono “amante” ed
“amato”. Tra’Latini si aveano participii presenti, passati, e future: “amans”,
“amatus” “amatVRVS” (cf. IMPLICATVRVM). Presso
noi, non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”, “amato,” temente,
temuto. Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo, perituro ecc,
ma non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il participio passato e
descritto per lo più nella formazione de' tempi PIU CHE passati: laddove il
participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un tal participio può
essere messo informa di aggiunto e di attributo come se io dicessi: la virtù
possente, e la virtù a2 3 . Il participio si riguarda anzi come
adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee,
quando si risolva, significare come i participj latini: come se dicesi canto
possente a diletta re: schiere seguenti le altre ecc. E ciò rileva conoscere
perchè non di raro si anno gl’esempj anzi di adjettivi che di participi , e noi
pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni rispetto. Gerundio tra
noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual significa le affezioni
di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel che differisce dal
participio: come amando, credenádo, temendo, sentendo. Da'quali esempj risulta che
il Gerundio delle prime conjugazioni finisce in -ando e delle altre in -endo.
L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in luogo ancora de'participj
presenti. Ma veniamo all'argomento, Come le congiugazioni latine siansi
trasformate e si trasformina nelle conjugazioni presenti d'Italia. TUTTE LE
VOCALI LATINE, FINALI DI PAROLE INTERE, NE SEGUITE DA CONSONANTI, SI CONSERVANO.
Così, in AMO ed AMARE, si conserva l'O di amo, e l'E di amare. Tutte le consonanti
finali si tralasciano o mutano. Le consonanti sono M, S, T, NT, ST. Nel caso di
NT si cambia il T in O, e però non si lascia che il T amant amano, amarunt
amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO : amassent amassero: sebbe ne in
questo e simili casi può sempre rimanere la regola di mutare il solo T in o
dicendosi ancora “amassono”. Vedi il prospetto di amare.Tutti gli “U” finali
seguiti da M o da S si cambiano in 0: POSSVM > POSSO. amamus amiamo: ma se gli
U sono seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei passati, ma nei futuri
in AN. Così da legunt si trae leggono, e da amabunt ameranno. Tutti gli A
ovvero gli E precedenti immediatamente l'S finale SI MUTANO IN “I”: amas > ami;
times temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas tu legghi. Il che
basta a conservare la regola, ma ora si dice anche “tu tema”, e “tu legga”.
Tutti gli E, ogl'I precedent gli A, oppure gli O finali, si lasciano affatto. Timea
temo, timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta, 4 è possente: il fuoco
bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE. Non dee sperar di comprendere il trattato che
qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri ne differiscano la lettura.
sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si $. Tutti gl'I precedenti gli
S finali in singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis
leggi: a ma bisamerai, ed in plurale si mutano in E: legitis leggele. Tutti gl'I
seguiti dal solo T finale subiscono un cambiamento secondo i tempi. Ne'presenti
si cambiano in E, e ne’ futuri in A accentatolegiilegge, creditcrede: amabit ameră,
timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più innanzi. Tutti i B
avantil'afinalene gl'imperfettisi cambiano in “V” consonante, ed avanti l'O, l'I,o
l'U finale del futuro, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si
cambiano in R. Quindi si trae amerò da “amabo”, ma da belabo si forma belerò
senza mutarne il primo B; perchè questo è proprio del verbo, e non della
formazione del futuro. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis
est amamo reg. 3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera. Dalle regole
3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono. Ora dee
sapersi che appunto tra gl’antichi si trova non poche volte “so” per “sono” in
prima persona. B. Jacop. Poes. Spirit. Venez. 1617. lib. 4. cant. 28. stanz. 12. sei amamus es еè sumus somo
este credit & c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i.
Vedo reg.4. vedi reg. 4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg. Dicasi
altrettanto di Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3.
Applichiamo queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate reg. 5.
e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo siamo
sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho
peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes. A
pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda
persona es fu trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi
dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come
Petrarca, Boccacci, Albertano, ed altri: ALBERTAN. ediz. di Fir. cap.23. Selegaloa moglie? non domandare di
scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti. E più sotto: e sìselenulo
di tanto amarla moglie. PETRARC. canz. 26. v. 77. ediz. Comminiana Spirto
beato, quale 6 Se, quando altrui fai tale? e altrove più e più volte. Il Decamerone
secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne è pieno. Senza questa origine
che facono scerecheseper seconda persona è voce interae non accorciata, non
s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non l'apostrofassero. Tutta via per distinguerla
a prima vista da se pronome, e condizionale, convenne in qualche modo
contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e servendo questo a notare le
voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come scorciata, quando non era:
e perchè tutte le seconde persone singolari presenti dell'indicativo terminano
in I Reg. 4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel verbo sostantivo avrebbe
dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si
crede questa la voce intera di tal persona. E cid supposto quando si scrive se
per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno scorcio di Signor non è giovato
Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e altrove spessissimo. E GUIDO
Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so
avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj ancora nelle lettere di S. CATERINA,
in Fr. Gi.ROLAMO da Siena nel1. Tom. delle delizie degli eruditi Toscani, ed in
altri: vedi vocab. di S.CATER. alla voce essere: ma so trovasi parimente
persona del verbo sapere, nata da sapio > sapo > sao > so: ovvero da
scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbe la
seconda. Ma torniamo all'intento: siccomeso era voce ancora del verbo sapere, e
SICCOME IL SAPER VERO E DI TANTO POSTERIORE ALL’ESSERE. Così per togliere ogni
equivoco, si volle piuttosto ridurre il “so” del verbo essere in sono, che
lasciarlo indistinto col “so” del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo
verbo italiano “essere” ha la voce “sono” per esprimere la prima singolare e la
terza plurale, sappia che questo è stato UN MALE DI ORIGINE, voglio dire è
provenuto dalla FIGLIOLANZA della Italiana dalla lingua latina, in forza delle
leggi universali, che per tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare
l'una nell'altra . s e i : nè chi procede con tal veduta può
riprendersi: ma in origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe
dovuto accentarsi. sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap. 51. Dal savio uomo eeda
temere lo nimico. Or cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione
e, come pure dal pronome ei solito ad apostofrarsi, e dalla congiunzione e
seguita dall'articolo plurale ili quali due e iriunitisi rende anopere: ma col tempo,
la varietà dell'apostrofe e dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza
l’e del verbo dagli e di altro valore: vedi esseren.Trovasi ancora fra gl’antichi
este per è ma rarissime volte: vedi Gradidi S. GIROLAM. ediz. Fir.1729. in fine
alla voce este; finchè prevalsero le regole generali anzidette. Da “sumus”
uscirebbe sumo o somo, e non semo. Ma siccome tutte le prime persone plurali
dell'indicativo presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,”
come avemo, tememo, ecc.,così da “sumus” e tratto semo. Ovvero siccome tutte le
persone prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda
persona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta,
come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal
seconda singolare era se nel presente indicativo di essere, quindi ne uscisemo e
poisiamo. Chi conosce gl’antichi sa quanto è familiare l'uso di “semo”. Ne
allego un esempio dalla vita nuova di ALIGHIERI: Per chè semo noi venuti a
queste donne? E Fra Jacop. lib. 1. sat, 5. Uomo pensa di che semo. Di che
fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole
generali, la seconda plurale sarebbe “estes”. Ma trasponendo l'savanti l'E come
nel singolare per uniformità maggiore con “sono”, “sei”, “siamo”. Sen'ebbe
sele, e questa appunto è la voce degl’antichi: si consulti il verbo essere not.
5. FINALMENTE SI AGGGIUNSE UN “I” PER DOLCEZZA (“se” > “sei”) o per
distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe siete, che ora è la voce
più propria di questa persona. Apparisce dunque per quali gradi e per quali
mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del verbo essere, La terza
persona si esprime con la voce “e”, che appunto RISPONDE all’ “EST” latino, lasciatene
le consonanti SECONDO LA REGOLA 2. ma gl’antichi, prima che la lingua si
modellasse in tutto, non di raro dis 7 Preferiti Imperfetti Amabam amabas
amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7. amavireg.2.4.7. amava reg.2.7.
amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano reg.7. 2. Temeva
&c. legebam leggeva e e da sentiebam lasciatone l’I che è quel di sentio
reg. 4. si ha sen leva com e era nelle origini prime, nelle quali, tutto
risentiva di conjugazione seconda tra gl'italiani ne' verbi provenienti DALLA
QUARTA DE’LATINI. Non è raro che “senteva” si oda anche ora tra' CONTADINI PIU
CORROTI CHE SONO GLI ULTIMI A CORREGGERSI. E finalmente fu detto sentiya
sentivi & c.lasciando l'E per l'I. Per queste regole e questi progressi
apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva terminare in A amava
temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i gramatici si meravigliano,
per chè la prima e terza persona singolare combinino, e perchè la prima non
siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi che al cambiarsi
del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli antichi, nè si
aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per contornarli di
nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti levatane la
terminazione latina in M ; restavano amaba legeba ec; cosi mutato il “B” in “V”
non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto. Molto più che in
que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto come
siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai filosofi di emendarlo. Ttanto più che
non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'quali si compionoin o le
persone prime singolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni
riserbandone altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit. De Pontef. Ed Imperadori:
VITA DI CALIGOLA, lo PREGAVO ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure
leggiamo in Fr. Jacop. 1. 4.can. 38. La cagion del mal FUGGIVO. Cavalc. Epist. di
S. Girol. ad Eusloch. cap. 3. ediz. Rom.. E vedendomi io venir meno quasi ogni
rimedio ed esser privato di ogni ajuto, GITTAVOMI a' piedi di Cristo &c....
iratoame medesimo erigido, solomi mettevo per li diserti, e dove io trovavo più
oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più
aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci. Morg. c. 3. 62. lo mi posavo
in queste selve strane. Da Timebam così pure si ebbe C. XI. 83. Tal ch'io
pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio, cugin, ch'i'sognavo al presente,
Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E
però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter. San. CATER.
di Sien. ediz. di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego &
c. e pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità pag. 92. desideravo divedervi: anzi
tal voce desideravo si legge molte volte inquelle lettere. Vita B. COLOMBIN. ediz.
di Roma pag.9. lo gode voé voi non mi lascia testare, e pag. 96. ad irviilveroio
andavo a posarmi; pag.167. 0 figliuoli, e fratelli miei io non meritavo di es
ser padre di tanta buona gente; pag. 174. E questa la compagnia che io dal e speravo,
e pag. 299. Pensavo che quanto è maggiore la soggezione e l'unità ; tanto si
vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n. 6. avere. Eram
Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg. 7. 2. Imperocchè ben è
facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente
l'A finale, potevasi cambiare in V parimente anche l'altro B: anzi parea troppo
ragionevole, perchè non si notasse tanto di variodi usi in parole medesime, e si
familiari. E' poi noto, che tutto il verbo “avere” si scrivea ne’ principi, e
si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l’ “H”” precedente: ed ora
per un progresso, non saprei quanto considerato, si tralascia ancora nelle vo
ci, che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora come siansi
trasformati gl'imperfetti de'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono da tutto ciò
comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di habco: seguiamoli
via via, che'non sarà inutile la ricerca Lasciato l'E di habeo reg. 4, e le
altre consonanti, e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era reg. 2.
Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. le voci come si traevano dal latino in ottima
forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras Era reg. 2. in eravamo, ed
eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B cambiato in V, come dunque
di vainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca la origine, nè fu,
che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri verbi, che usciva ,
nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c. Il peggio no in
quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu che si anche alle voci
era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza erano & c. Non dimeno
l'uso, quel , più che le semplicie naturali vamoederavale essere, n. 6. Ma
diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la maniera fetto di
avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era eramo erate, quantun
dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo
habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2.
habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo
reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2. b abbemo
abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la perdita dell'E nell’
“habeo.” Sia comunque, abbosi legge ancora in ALIGHIER, Infer. 25. E quanto io
l'ABBO ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI degl’antichi certamente
abbo provato; e più sotto: ripenso la seraa quello che iolo di abbo detto.E
nelle Vite de’ SS.PP.e diz. Man.Fir, 1731., nella VITA DI GIOSAFATTE ediz. Rom.,
e nelle Noyelle antiche Fir, 1572 l'uso di “ABBO” è comune . Abbi è rimaso nel
Congiuntivo. E 'poi noto, che gl’antichi usavano la seconda singolare presente
dell'Indicativo ancora nel Congiuntivo, come resta tuttora in molti verbi, Così
ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e cosi temi
può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza nell'uso
comune abbiamo; e siccome gl’antichi finivano le voci per tali persone in eino,
cosi non vi è dubbio che ne'principj si dicesse “ABBEMO,” quantunque negli
scritti forse non si trovi, per la rapidità di altri cambiamenti succeduti.
Certamente l'uso di scambiare tutti i B nell'imperfetto di “HABERE,” di buon
pra scorse in alcune, o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo
habi ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra’ poeti, e fu non meno
della prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra
gli’antichi. Avete rimane per ogni scrittura. Le altre tre voci presto furono
cambiate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i
sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo, oppure avvo per abbo, fe
sentire nella pronunzia questo i quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE
lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'AJA; Franc. BARBERINI
edizion. Roman. pag.189. Non veggio ancor chi contento AJA il core. E Francesco
SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo, cioè per lohu. S'insinud tal cambiamento
nella seconda persona avi, é mutato l'V in I, se ne habet abbi 1 habemus
habe habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più
sotto: ajo portato in core & c , ed altrove più volte: anzi usa “AJA” per
abbia:lib.1.sat. 12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'AJA umilitate nel
core. ALIGHIERI, Parad,17. fece huii, e col tempo hai. E questa è
la causa, per la quale ora ci troviamo con “hai”, seconda persona del presente
dell'Indicativo, senza che volgarmente se ne intenda la origine. Può notarsi
però che in forza della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio
i; e quindi seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi “haj”: e ciò sa rebbe
stato opportunissimo pe' giorni nostri, ne'quali vuolsi lasciare anche l'h
precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che “aj” è del
verbo, senza pericolo alcuno che si confondesse con l'articolo plurale “ai.” La
mutazione del doppio B in V ed in I doppio o lungo, al meno quanto al suono,
porto l'altro cambiamento in aggio, aggi, aggiamo, aggia, aggiano: essendonoto
che l'J lungo si cambia spessissimo in tal modo:e questa è la causa parimente, per
cui si dice veg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime origini si disse
ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere.
Quindi 'Imperador Feder. Rim. ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo.
Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per “credo”,
quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant. Pucci nel suo
Centiloquio can. XI. terz. 27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano.
L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome in ALIGHIERI
Inf. 27.53. si trovasi e'per siede; parchiaro che ambedue de rivino da sejo.
Allego un esempio di “trajamo”: BOCCACCIO: g.8. n.5. lo voglio che noi gli TRAJAMO
quelle brache del tutto: da ciò ben apparisce la origine di traggiamo &c.
12. Ridotto havi ad hai; dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V
consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið comparendo, era facile di
lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr.
Jacop., in Guid. Giud., in ALBERTANO, Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac.
408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gl’antichi si
trova ancora crejo, chiejo, sejo, trajamo, donde sono creggio, chieggio, seggo,
lraggiamo &c,enon dalla mutazione del D in G come si tiene, forse meno propriamente
dai Grammatici. Cosi Fr. Jac. lib. 5. c.3.12. secondo che io crejo: e nelleno
te vi si legge: crejo,creggio,credo, e lib. 5. can.25. 12. II E vejo li
sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei
seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a
pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di
dugento b2 12 e generalmente negl’antichi. Cost Albertan. al càp.
12. L'avar7 sempre ha e le mani di stesepertorre. ..ivi l'avaronon haesicura
vita. I Grammatici han creduto che quell 'E sia stato sopraggiunto all'ha per
genio della lingua, che non amava finire le parole in accento. Ma questo sarebbevero,
quando la parola originale della terza persona fosseha, ciòche è falso; essendo
questa habet, habe, have. Hae dun que non èche have, toltone ”v per simiglianza
di quanto era accaduto in hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che
non di raro fra gl’antichi si legge dae, fae, slae per dà, fa, sta, come
leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono
aggiunti per la ragione medesima: ma egli è FALSO UGUALMENTE; perchè dai ruderi antichi della lingua può
concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire, faire, staire, come esiste
traire. Ora da quegl' infiniti daire & c. sorge naturalissimamente dae, fae,
stae, cometrae, che ancorc irimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima
Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioni italiane dall'infinito, n.2.E
quindi pure sono le voci dai, fai, stai, come trai, che altronde sono
inesplicabili. A dichiarare quanto dico sappiasi, che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st.
20.scrive A chi gli dice villania & c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4.
c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5. Ch'egli è il daenteeti il ricevitore:
e lib.7. c.9. II. Staendo in quest'altura dello mare: Vita S.Maria Mad. É
cosistaendola poverettasì per l'amore che gid ave v a con celto di Gesù Cristo,
si per la doglia ; cominciò a piangere. Parimente in Fr. Guitt. si legge più volte
faite alla pag. 36, e faie alla pag.54. E nel TESORETTO: ponelemente al beneche
faite per usaggio: e Franc. BARBERINO pag. 17. Faesselei di quel pregio degnare.
Nei GRADI di S. Girolamo alla voce Fa il e nell'indice si dichiara, chel’idi faiteè
un aggiunto,e non più:ma faie, faesse, e le voci slaca, daia &c. ne'verbi
simili palesano il contrario: e Traire si legge in Fr. Guit. lett.2. pag.9, ma
traers spiega ugualmente la origine di trae, come fae sorgerebbe ancora da
faere, del quale fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E
di dae, fae, stae NON SONO AGGIUNTI, come si pensa, MA SONO NATURALI; ed ora
non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti. Tornando alle voci hai ed
hae, siccome in queste era perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma
non riusci, di farlo pe rire nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di
udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo
trovasi scritto arò, arai, arei, aresti' &c.come vedremo. Non prevalendo
pero quel tentativo, siri serbarono le voci avemo, avete, e talvolta aviamo,
aviate, aggiamo, aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto;
presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho, hai, ha.
La terza plurale divenne harno; perchè dall’ “habent” sifece haveno, haeno,
hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano, fano & c. per danno e fanno,
voci similissime nella origine, com me è chiaro: vedi S. III. 12. 15. Ma
passiamo ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli
presenti d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi comuni ad ambe le lingue, ma
terminati secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. I Latini
sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI, o il Ve. Per avere
dai perfetti latini l’italiano corrispondente, silasciil VI, o Ve in tutte
lepersone per quanto si può senza contradire alle regole generali del s. I.
Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi il solo V, non potendosi togliere
l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singolare
risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si
accentava: ma ora se la voce finisce in A, si muta in O accentato. La prima
plurale sarebbe amamo come nel presente, e quin di I'M si è raddoppiato. Del
resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in
Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti, scritte
con un semplice M : come tememo per tememmo. Altrettanto si osserva in Fazzo
degli Uber ti, nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi Toscani,
nella Cronica del Pitti, ed in altr’antichi; indizio che per tali vie si
passava dal latino all'italiano in questo tempo. Anzi Celso CITTAD I ninelle sue
Origini della Toscana favella osserva al cap. 6. che i Sanesi in tali persone non
davano asentire che un M , quasi pronunziando facemo, dicemo &c, ed egli con
pari ortografia scrisse tali voci. Ma Girolamo Gigli nel suo Vocabolario di S.
Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol dire un secolo dopo il Cittadini)
quell'uso era perduto. Serbate dunque anche le regole generali del n. primo,
avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit) ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai
amasti amd amamo amammo amaste amarono. Dai Latini si disse ancora amávere:
toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare, e perché non si confondesse con
l'Infinito, si muto l'E i n o, e si ebbe amaro per altra terza persona plurale.
I Grammatici han ereduto che amaro sia precisamente una sincope di amarono,
toltone il no. Á me però sembra che amaro sia voce intera in sestessa, e
provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa è la ragione, per cui amaro
può troncarsi ancora, e dirsi amàr per amaro, laddove le troncature delle
troncature non sono consuete, almeno nella lingua, come ora si trova. 13
mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda come un incanto che le terze
plurali del Perfetto indicativo scorciate tre volte s e m 14 pre
significhino lo stesso con quadrupla desinenza: amarono, amaron, amaro, amàr. Ma
l'incanto, se ben si consideri, non è che un caro abbaglio di un animo, che al veder
primo si appaga, stanco delle molestie di riflettere. Imperocchè da amarono
sitragge amaron, e qui cesserebbe la troncatura: ma perchè levato anche l'N ci
troviamo da amaron in amaro, desinenza ancor buona; si è creduto, che tal bontà
risulti in forza di uno scorcio: laddove amaro già era legittima desinenza in
se stessa: e perchè tale, ammettevasi; non perchè nata da amaron, levatone l'N.
A parlar dunque propriamente si hanno due desinenze, amaro, ed amarono, ed ognuna
ammette uno scorcio, ama rono porgendo amaron, ed amaro la voce amar, col vago
incidente, che se da amaron si spicca l'N finale; ci troviamo alla desinenza seconda,
la quale è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in se stessa; di qui nasce
che gli scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il
DAVANZATI ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono
assai più rare, spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE
la desinenza in aro è quasi la comune, laddove l'altra in arono vi è scarsa, e
meno pregiata. Ma proseguiamo l'esame de perfetti: e prima nella terza conjugazione.
Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste udiro. proviene
udiro dall'audivere, come amaro dall'amavere. E'poi noto, che nelle origini
della lingua si disse in italiano anche “audire” finchè l' “au” si chiuse in “o”,
cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse “oro”, “tesoro” &c, e
se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui debuimus
debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste udisti audi(vi)t udi
audi(vi)mus udimm o audi(vi)stis. Riguardo alle seconde conjugazioni, avanti
l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante, quindi regolarmente parlando
tutto l'UI o l'UE si muta in E semplice, avvertendo, che l'1 finale nella prima
persona dee conservarsi secondo i canoni generali debuisti Dovei deve, audiro
devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere) debuit debuistis debuere
doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero, Siccomel'U fu cambiato in
E(dovei) gravato di accento, quindi nella terza persona non potea non dirsi se
non dovè seguendo le regole ge Udii udirono dovemmo nerali, o “dovèt”,
trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que. sto nacque che per
istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla voce Giudit
PETRARC. Trionf. fam . c. 2. v. 119. Non fia Guidit la vedovellaardita, si è fatto
Giuditta, e come da Josafat, DANTE Infer. 10.v. 8.Quando da Josafat qui
torneranno, si è prodotto Giosafalte comunemente. Fattosi dovei, dovė, o davèt,
fecesi quindi per coerenza doveltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero
doppia desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e
temettero. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te
& c, che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjugazioni; così
talvolta si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che
trovasi fuggi, fuggi & c; e nelle Vire de SS.PP. ediz. Man.tom.1.pag.20. fuggitte,e
nella pag.125 salitlepersa li: una nolle, essendo questi ito, alla casa di una
vergine Cristiana o per rubare, o per altromalfare, salitte con certi ingegni
il tetto della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le
desinenze in ilte come salitle & c. furono modellate affatto a norma delle
altre in elle, cioè di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom.
1. delle Vit.deSS.PP. se in alcuni esemplarisi legge fuggitte, in altri, sihafuggelte:
allapag. 101 ediz. citat. Vi è fuggetti per fuggii: nella 62, uscite per uscì,
nella 71 irrigi delle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Pucci
versificatore famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha
sentelle per senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre se ne
veggono in altre pagine ed opere. Simile terminazione non potevaaver luogo nella
prima conjugazione, perchè l'amavit, secondol'uso di cavarne il volgare, cessadove
è il secondo a, dicendosi amo ,e non cessanell'I con farsentire un amavit: il
che direttamente gli avrebbe causato la uniformità, che'mai non ottenne: ora la
desinenza in illi ed etti & c.è del tutto abolita per le terze
conjugazioni: rimane ancora la cadenza in etti e dette, &c. per le seconde
conjugazioni; ma forse, almeno in più verbi,è men cara che nelle origini della
lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. E
giacchè consideriamo il rapporto fra le desinenze delle terze persone de’ preteriti
dell'indicativo, piacemi dilatare ancor più la serie delle riflessioni, picciole
sì, ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente la lingua, e suoi
movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit, debuit, audivit si tragge amò, dove,
udi, abolendoin tutto, quel vit finale: ma questa è piuttostola regola, che ora
predo, mina. Del resto quando la lingua pendeva incerta sul fissare le sue
desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla cadenza del. la
prima conjugazione, e tal altra a quella della seconda. E certo quell'amavit
ebbe talorauna desinenza come amao: di che produco un esempio luminoso di FR. Jacop.
lib. 2.can. 2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo
dell'amore: E questa è la causa, per la quale ora diciamo “amarono”,
lassaro no, e non “amorono”, lassorono & c. vuol dire questa è la causa,
per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un o. Tutte le terze
plurali nascono nel preterito con aggiungere alla terza singolare un rono, o un
semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo sentirono,
temèrono, crederono, sparsero, videro & c. Pardunque la original terza
persona quella de'contadini “amà,” “lassà”, & c. e quindi sen ebbe amarono, lassarono,
e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti antichi: Così
nelle Vite de’ Pontefici di PETRARCA visileggeandorono,
seccorono, e simili ordinariamente. Venturi traduttore di Dionigi di
Alicarnasso è pie no di tali cadenze. Forse a dire amarono, lassarono &c.vi
contribui pur LA DOLCEZZA per non avere insieme tre o finali amorono, lasso
rono & c. Nel modo poi che il vit era supplito da un o nella prima conjugazione;
lo fi pure nelle seconde e nelle terze: e quindi sono le voci temeo, credeo, poteo,
aprio, finio, udio, e simili, tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste
desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in tutto: ma nelle altre
conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire
utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosce le primizie della lingua, meravigliasi
che imo di poteo, lemeo, udio &c. fossero comunissimi. I Grammatici dissero
che l'o finale SI AGGUNSE PER LICENZA POETICA. Ma cið non ispiega perchè voci
di questo conio abbiansi frequentissime ne'vecchi prosatori, come nelle Storie
dei Villani, nel Davanzati, ed in altri. Dir finalmente che l’o si accresceva
per non finire in accento, era un luogo comune, un parlar di abitudine, e nulla
più. Si doveva avvertire, che quest'ori ceveasi da tutte le conjugazioni nelle
terze persone singolari de'pre 16 Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ;
Che n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò
di tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato
possessore: Nel tom. 12 degli Scrittor. Ital. Del MURATORI trovasi inserita la Memoria
di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la coronazione del Petrarca: costui,
che lavidediperse, cosìscrive:Poi comparve lo Sena tore in mezzo a muti
(molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na corona di lauro,ese assettao
alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore & c. Si vede in questi
esempi, che si accento l a preceden te il vit,e questo vit fu supplito con un
o.Più volteho notato, che presso alcuni contadini appunto ne'dintorni di Roma
dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per amò, lasciò come ora è laregola: Tocca
al filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse non sono che per lo
scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto questo cie lo
da'nostri antenati. teriti , e la uniformità medesima avrebbe fatto
conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci
latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi
dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo, udio,e simili,promiscuamente in
ogni scrittura, senzascrupolodiriprensioni. E'poitantomanifestochequell'O non
si aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito
anche alle prime persone della terza conjugazione, leggen dovisi nel 3 lib.
cap. 15 udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin
qui detto che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile
allaprima:ma perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale
maniera terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la
terza singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie,
e similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa
delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyava dallevoci corrispondenti
latine, finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare
ogni somiglianza nell'italiano,с 17 Passato poi Suasina , io udio &
c. e cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si
legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidico chel'udio
direa uno molto savio uomo : e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io
uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto
moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion. pag. 100 quando
io udio le loro parole, non mido lea &c. Gli o dunque di udio ,finio ,
lemeo & c. in terza persona, non sono licenze di poeti,non aggiunteper
iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e risultati di una
lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe
si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe l'onor di tanta manna . Vit.
de S S . P P. inciampo e in una pietra,
e fece alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani
male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag. 47 udie
una voce che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho
pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito
in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora
ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci
è facile tro yare temè,ma non temee; se non forse per la rima.Cosl Dante dis
sePurg.3212 senza la vista al quanto essermife e permife,voce interain
sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare .
dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate
nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tutte le seconde
in sti, amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or
come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è
la origine vera degli O e degli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le
minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle
trascurare quellaparitàdicadenza, e le voci sichiuseroin 0, in E, inI,ac
centandole finalmente, sebbene quelle chiuse in O si trovino spesso tra gli
Antichi senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE ANTICHE.Ed
oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente, go diamo su la idea dolcissima di
una lingua perfezionata. Ma i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi
aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? E cid su le terze persone singolari
de'preteriti: ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle considerazioni del
quale siamo qui per venuti. Si noti che doverono e temerono ammettono le tre
solite scor ciature Lemeron, temero,temer,come amaron, amaro, amàr,perchè da
lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera temèro prodotta da ti muere,come
dovèro dadebuere: laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura
appena,potendosi faredovetter, ma non proceder più oltre; perchè le nuove
scorciature non ci fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se
stessa.Tanto è vero quelloche siadditonel 3. 17. E'certo che ne'perfetti delle
seconde conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto
che altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non
concerne mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e
plurale,mentre tutte le altre persone si trovan sempre comela regola
chiederebbe. Cosi nel preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale;
e le altrevocisono rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un
perfetto italiano regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente
osservata e confermata con esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il
prurito d'indovinare onde sia talearcano di lingua. A me ne sembra la origine
dall'avere le terze persone plurali una seconda desinenza derivatadal
latino,per esempio rupere ond'èruppero,enon daruperunton d'èrupperono, oromperonoBo'i
reg.2, chepursitro ya negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo.
Romperono ha l'ac cento,che riposa in su l’E: e quindila terza singolare non
può es. sereche rompe, e la prima rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi
perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella
vocale precedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima
singolare: e per ciddeemancarel'E diEInella desinenza, giacchèl'E diEIintutte
le conjugazioni seconde è gravato di accento; efinalmentedee cavar seneruppi, ruppe,ruppero.
Ma rompesti, rompeste,rompemmo non pos. 18 già 26. Ma diciamo
qualchecosa de'perfetti de'verbiausiliari.Nascono fuit fusti fosti C2
sono non avere l'accento sull'E in forza dellaformazione loro,essen do in esse
la E seguitata dalla doppia consonante S T , M M . Quindi non possono non esser
tali come romperono , quantunque poco o nulla usate, come avviene in molti se
provenissero da rompei, rompe, verbi irregolari. E per cið l'anomalia
de'preteriti non può concer nere se non la prima singolare , e le due terze
persone singolare e plurale de'perfetti. Questo discorso vale eziandio ne'verbi
ano mali di terza conjugazione ; dicendo dell'I quanto si è detto dell'E.
Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro, temero,&c. sono desinenze
piene in se stesse , e non sincopi di amarono merono & c. fuisti Fui da Fui
fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo
somiglia in tutto al preterito debui o timui della se conda conjugazione
latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in
Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò
non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione,
sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo è il preterito appunto del
verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del
preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio
degli UBERTI nelsuo Ditcam.1.4c.8 dissefoperfu. Per il diluvio chefositene
broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lo stile che aluifo possibile:e
Faz. Nel Ditlam. lib.3 cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12, scrivefoe
per fu:e Fra Jacop.1.2 can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque
una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi
debui,debuisti periva in. tuttele persone l'UI,eccetto l'Ifinalenellaprima
perfareil cambiamen toindicato. Infuisti, fuimus &c. sièritenuto l'U, edèperitol'I:edin
fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopienii
libri, perfue. Igrammaticihancreduto l'Edifue come una giunta per non terminare
quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI, supplita in questo luogo
per dare alla terza singolare del perfetto la desinenza in E,comune a tutte le
persone simili di altri verbi di questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte,
crede, ruppe & c. Tanto siam dunque lontani che l'e di fue siasi una
giunta, che anzi era lettera distinti va della persona, ed una conseguenza
dellamutazione, che aveasi a faredelUI in E, come più si poteva. E quando sparì
quell'E, sitol fue fu in accento la semplicefu:mą serealmente,non
si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto
da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono
comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono in uso, non ho
presente nemmeno un esempio; e solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge
avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità,
la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e le due terze
singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e
s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha . bero,con
lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed habi per
prima; e somigliando queste due voci ad altre dell'antico presente abbo, abb i &
c, non potè non cambiarsi l’A in E , condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe
ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come
da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem
brano differenti. E certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che
si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali erano a m a
yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse
io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che
tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15
Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in
Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum: cosìnel 4 Ac. comprehensum animo
habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare
da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè
giàsi usavadai Latinimedesimi. Abbiamopiù voltenotato,che 20 per la rima
scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine,
come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha
stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come
appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo
aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora
Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che
incominciano ad imparare il latino quel lo scordano, facilmente ,o che per
disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col
participiopassato latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle
originidella in rispetto della lingua latina nuo punto chi principia ad apprenderla
come ap , o chi per disuso l'ha quasi di menticata; così l'analogia
e la voglia di esprimersi inqualche modo gl'indusseade comporre,edireioavevaamato,io
avevaavuto. &c; lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli
U in 0 secondoleleggidelş ireg:2e3, dalle qualiappuntorisultaamalo ed ayuto con
i cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più
che perfetto latino è fu -eram , fu-eras,fu-erat&c:t alivocisonocompostedi
eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo
pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si
presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era
indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era
piuttosto di un tempo definito e certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce
status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi
definiti. Cic. Offic.37 status diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore.
Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era
stato,cioè in tempogiàfisso, giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo
fisso & c, egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta
o segno di cosa passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti
itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato
sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee
presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil
primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali
derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne
somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini
sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia
participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio
come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciò nacque, che
a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi
essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN. Giud.cap.44pag.100
ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. Amm AESTRAM
. degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore
s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E
se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ;
non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si
disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora
il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso
ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in
Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI, nelMorgante del Pulci, nell'ARIOSTO,
ed in altri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me
si è suto rivelato che tu & c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli
lavocestato, laquale nonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo,
esclusone ogni altro, 21 Ed eccone gli esempj. Fra JACOP. Poes,
Spirit. lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i
due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come
nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità
cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se n'ebbe averò, averai,
averà & c. in forza delle regole generali citate: mapresto
sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai 22 Sempre serai in
tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno
serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai
futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere
è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e
anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose
quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99 seranno queste le novelle che io porterò.
Chileg. gegli Antichi trova questeésimili vocinon infrequenti.Manifesta mente
dunque derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per
uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto eris,erit, giusta le
regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora
si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe
& c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo
E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore,
secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il
habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo
habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO
e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse
anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza
de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò, arò per
continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri
di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno
assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che
universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio per farò
come leggonel B.Jacop. lib.2c.15, elio faraggio questa convenenza: edice raggio
per dirò come lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però
crudele, villano, e nemico Sarabbo, amor,sempre ver te se vale &c. In
alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come
farajo, amerajo & c. A ben riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio, dicer-aggio,far-aggio
&c:vuoldire aggioa fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del
futuro:per chè colui,il quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia
fare: cioè dichiara l'azione sua come futura. E perché in luogo di aggio si
disse ancora ajo; quindi è che si hanno pur le cadenze amerajo ,
farajo&c.Ma siccome in progresso abbo, aggio, ajo degenerarono nelle più
semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda
ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha, enelpluraleaver emo, averele, lasciato
l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel
mezzo di tali composizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come
monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è
che poco a poco simise ancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si
averò, averà & c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del
futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà
& c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let
tereES,come insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi
aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B.
GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido,
arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai
non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si
hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel
Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via.
FraGuit. ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far
mi guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la
desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son.
ame 23 Ard sono ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete,
ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi lateoria dichiarata ancheagli
altriverbi, ed avremo amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno,
comesidisse originalmente: le Letteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son
piene di questa desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua, ne fa uso ben
grande nelle opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non
sapreiperqual vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè
prodotto amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente
di temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza
singolare del presente di avere era have, hae, ha. Spesso inluogodiadoperarehanelcomporre
ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer
-ae , far-hae,far-ae. Questadesinenzaè frequentissimain alcuniantichi
Scrittori. I nostri Grammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse
un aggiunta, per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma
essa non èchelaE dihave,hae; etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che
anzidicendosiora averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta
propriamente laE spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla
desinenzaameroe per amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola
italiana terminata in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno, danno,
fanno, stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze
plurali avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson
esseun composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto
perdere lo scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no, fanno &
c. foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente
de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno, fanno, slan no &c.intanto si scorciano
perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte
agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando
hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più
sottilmente questa materia, potrebbe trovare forse le tracce del futuro del presente
nel futuro del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c. ilve per
simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si
avrebbe ed accentandoli celaro 24 54. Riguardando a tal seconda spiegazione,i
nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero
quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne
sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro & c.
55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato, il timelo, il legito, el'auditode'Latini,altrononèche
l'amatu,temitu,leggi Amaro lu,odi lu degl'Italiani. Le altre voci
italiane sono pur le latine tra dotte:ma perchè questesono lestessedei
presenti,partedelcongiuntivo, eparte dell'indicativo,overo del futuro
dell'indicativo; cosìnon bi sogna se non investigare come que'tempi si diramino
dal latino,cioc chè si è fatto, e si farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad
esaminare il congiuntivo de'Latini,dal quale hanno origine tutte le voci del
nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus,
ametis l’E si volge in IA, perchè nel tradurle si
riguardanotalivocicomedipendenti dalla seconda singolare conlagiun t a d i a m
o o diate, ami - amo , ami -a l e . Del resto sebbene l ’ E finale avanti la S
dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet dovea secondo leregole
conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti abbastanza riconosciuti:
e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era questa
originale, perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in fine,
e resta tuttavia tra’ Poeti, spe cialmente per la rima: nondimeno si crede che
questa sia termina zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è
ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone
altri men proprj ,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare num.
14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se condo
le regole S. 1 , e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I
reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e
poi tema Tema Temiamo Temiate Creda d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami
L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate
Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami
Amiamo Amiate Amino. E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento
l'EdiHabeam & c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè
raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus,
sitis, sint, siccome il verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le
seconde conjugazioni anno il presente del congiuntivo terminato in A nel
singolare, almeno nella prima e terza persona; quindiè che si fece iosia, tusia,o
sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della
lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente
nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le
conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame
ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel
presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si
trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in terzapersona:
Lett.S. Cat.pag.31. Deh!nonsirendi più il cuor nostro ambiguo,cieco, e
negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali
abbiano,temano,leggano fu Abbia Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus
Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame
quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati.
Così AB. Isac. Collaz. cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap.
12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più
antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del
cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci
render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo
beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi,
enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare
Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio
l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle
origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la
lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali
pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci. Vediesserenot.17,
avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano
al congiuntivo come . tu amirono abbino , temino , leggh i n o & c ., che
poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le
cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe) quelcolpo
gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo
sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma
più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16 39. Quanto all'imperfetto amarem ,amares,amaret;
taciutene le consonanti finali risultava amare , voce non distinta
dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e siccome il
per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei, sentii, e da
questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi fu con
progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen dosiameresti, temeresti,
sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il quale in origine non
era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu, vederes-tu per amaresti,
vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di Penitenza pag.107. Avrestuoffeso
intaleolal cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per
distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben
precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4
cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha
vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel
Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a
dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare
diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive
amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui
per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le
regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M ,
facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come da amarespro viene ameresti; o
come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di
amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi
coll'inserirviun'I,sen'ebbe amerieno. Amerie, ovvero ameria, ecostamerienosonodunque
desi nenze originali:e questa è laragione, per cui ne' Prosatori antichi, come
ne'Poeti, si trova tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno:
la quale ora è mutata in iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria,
cemeria, che prevalse sopra di amerie, temerie E disse sare'io, ch'era
pursaggia, Che a cosi degno amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo
accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne nello, ipo d2 chissimo usate
fin da principio.I Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi,
ritengono tuttora, usandola amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I
Prosatori l'hanno quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena
ragione: giacchè si allontanarono davoci, le quali presentano laoriginelorodallalingualatina
che ne era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza il discorso. Inluogo di
ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono.
Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma
dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere, amar-ebbe, amar-ebbero,ovvero
amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi
tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la
desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune
terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi, temes
si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo.
E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sincopizzate del più ch perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO, tolto n
e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle
vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse Amassimo
Amaste Amasseno . del perfetto, che somigliano, come crebbe, increbbe, bebbe,
ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero, vocidel perfetto, convocidel
soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare.
Possono osservarsi al verbo amare , dove trattasi della desinenza in ia , ed
iano, altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi parla dee parlare
conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli
esempj Fra Guit. let.I pag.8 se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore.
PETRAR. son. 154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente
di “amasseno” si fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente. Si
noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non
più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è
voce plurale ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una
voce stessa esprimere tempi, emodi tanto differenti. Forse è natodaciòchetalvolta
s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio
cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che
MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama
(vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent
Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E
siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e
l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus. 8.24. : "Quel
partissi addita azione già fatta. 29 gua , spesso in tal tempo usa la
seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle
della guerra ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi,
e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che
voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un tale scriveresidirebbeartifiziosoonegli
gente?Glieru diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se
replichiamo nel singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale?
Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora
, sarebbe uno sgraziato, un imperito . Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi
venerandi per vecchiezza. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli
altri verbi.Così da timuissem è temessi, da legissem è leggessi, da audivissem
udissi, &c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al
solito il B in V , e ľ U I in É come in “timuissem” , timui ecc. e tutti
soggiacciono all'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua
pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem , e
così sentissi o sentisse di sensissem. Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro
discordano, ma PROVIENE DAL LATINO, che era un più che passato. Così le di lui
voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi
confusione:ma egliè male di origine, esivuol condonare:peress.SEGNERI
Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica
forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è
pur quello nelle Vit. De'SS.PP. tom.1pag.83.E allora conosceretechefuil meglio
per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir, quant'io potesse.
BARBER ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale
cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel
primo tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag. CL.sinotanoaltriesempj disi
mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai
coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti
negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta
presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram, fueram
ecc DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza
generalissima. Conjugare i verbi italiani non èchevariarediversamentel'in
finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto. Or
volendo conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni
infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi
tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta
subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj
presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”,
“credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in
ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereil par
ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare
il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to” ,senti-re,senti-lo.nelle
altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto.
2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE
dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone,
e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze persone, tolto ilRE, I'lsicambiainE
nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re
teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali il “-RE” dell'infinito si muta
in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo
Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no
Senti-mo 30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze
plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali, CASTIGLIONE nel
suo perfetto cortigiano usa commoveno, rivesteno, discerneno, occorreno,
cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime. Nell’archisihagiaceno,
soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le vocali precedenti il “-RE”
hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le prime persone amiamo, temiamo, crediamo,
sentiamo:enelleultimedue conjugazioni terminandosi le terze persone plurali in
ono , temono , cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi
Senti-re sente. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne’’ qualivi è la
doppia cadenzacome abborroeabborrisco (vediquestoverboinfine della prima parte
) sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo,
imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone,
prima, seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e
che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste
solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole
il “-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito
abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco ,
abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA
VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va
sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le
distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te
temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza
persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre
conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO 31 dono,sentono
&c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone, temo, temono,credo,credono,sento,sentono,laddove
essendole terze plurali un multiplo di terza e non di prima persona singolare, non
dove asiaggiungere il NO, segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come
dicesi ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi
ama -va t e m e -vi teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti
dell'Indicativo 2 ) personeplurali, RONO 3 crede-va credeva -m o abborr (isco
abborr(isc)i abborr(isc)e 5.ToltoilRe
dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda persona: per le
senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo amo teme crede
ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle seconde
conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE
dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze
singolari in T T E , e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi
Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale
dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6
sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste”
crede-rono senti-rono creder-o 33 ama-re tem e - re cred e -r e ama-sti
teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete
amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i
amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i
teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono
Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2)
delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo
A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel
prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a
m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi
serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME
– forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE.
sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste
sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti
che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali
sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi ,
le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la
formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i
sentire-sti sentire-bbe ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi
crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto
dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente
il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero
amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del
singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe
amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile
e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i
temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2
person . La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in
tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla
seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà
considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo
Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano
da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal
participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono
nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto.
Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari
dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde
in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le
seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime
plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè
semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo,
&c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è
doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde
plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s”
avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice
“-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle
terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli.
Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di
Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il
sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la
filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e
l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche
e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Masullo: l’implicatura conversazionale e la scissione
dell’inter-soggetivo – i lottatori della tribuna -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Avellino). Filosofo italiano. Insegna a Napoli. Ha
trascorso vari periodi di ricerca e di insegnamento in Germania. Direttore
del Dipartimento di Filosofia dell'Napoli. È stato socio dell'Accademia
Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e
dell'Accademia Pugliese delle Scienze. È stato insignito della medaglia
d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione. Candidato nelle liste del
Partito Comunista Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha
ricoperto la carica di Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i
primi anni della sua vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli
studi superiori frequentando il liceo classico Carducci. Fequenta il corso
di laurea in Filosofia a Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su
Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri
personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che
con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a M.. Studia
l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario
alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e
Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara.
Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare
l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico.
Attraverso il confronto con Carbonara, M. si addestra al
rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione originale.
Nella formazione e nella costruzione della prospettiva filosofica di Masullo si
combinano diverse componenti. Il neoidealismo, crociano e gentiliano, lo
sperimentalismo d’Aliotta, e, tra idealismo e materialismo, il materialismo
critico di Cleto Carbonara. M. però, mosso dalle proprie inquietudini e
dalle impressioni suscitate dai tragici eventi bellici, studia anche
l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno di comprendere l'uomo
concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad avvicinarsi alla
fenomenologia. Il soggiorno di studio a Friburgo gli consente di
approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker, il quale
aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf. anti-patico,
sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo e
fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro. Ciò
che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale
problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo
negativo, ciò che pensiero non è. Il pensiero Intuizione e discorso è un
testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia, M.
si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere sul
carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la
conoscenza. M. in Intuizione e discorso sostiene che i poli del fatto e
dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello spirito
sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro conduce ad
un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni dello
spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e corpo.
Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi, deve
riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli sono
irriducibili. M. approfondisce in Germania lo studio della fenomenologia,
ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli husserliani
capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del quale M. svilupperà
il concetto di "patico". M. stesso, tornato in Italia, traduce e
commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino ormai introvabile -- Logica,
psicologia, filosofia. Un'introduzione alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode
-- il cui contenuto in parte è poi confluito nel successivo truttura,
soggetto, prassi. M. considera Husserl un grande esploratore della
coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento filosofico alle scienze positive
indagando il modo in cui la coscienza costituisce il mondo che la scienza
prende ad oggetto delle proprie particolari ricerche. Masullo però, elaborando
gli stimoli dell'antropologia medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla
fenomenologia alla patosofia. Struttura, soggetto, prassi è il testo che
documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze
positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è
«intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero
le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente
e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia,
svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante. S. Non è
possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero
le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza
intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi
prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo,
esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come
esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può
essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze
positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono
misurarne i vissuti. Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura
alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e
significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza
i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In
particolare, seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la
quale il fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i
caratteri della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto,
autodeterminazione) è l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo
analizza le modalità di funzionamento. M., con i suoi studi sulla
«intersoggettività» e il «fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni
sull'intersoggettività. Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica
Editrice, La storia e la morte, Napoli,
Libreria Scientifica, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre,
Napoli, Libreria Scientifica; Il senso del fondamento, Napoli, Libreria Scientifica
Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida), analizza le
«operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in base alle
quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella originaria
struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la
comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per permettergli di istituirsi
ed operare, come ben spiega nell'importante saggio Il fondamento perduto, in
cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi capitoli di Il senso del
fondamento e raccoglie in modo compiuto
i risultati teoretici di due decenni di ricerche intorno al tema della
comunità-intersoggettività come fondamento. M. pubblica inoltre il testo
Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui riprende e aggiorna il
saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte, Husserl,
Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il capitolo finale, Il
sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una nuova fase del
pensiero di M., una fase in cui il tema dell'intersoggettività lascia il posto
alla esplorazione delle dimensioni del vissuto del soggetto, quindi lascia il
posto ai temi della paticità, del senso, del tempo. In effetti anche i
suoi corsi universitari di quegli anni rivelano questo momento di transizione. Si
dedicati al tema dell'inter-soggettività ma vengono trattati anche i temi
caratteristici della seconda stagione della sua riflessione. Tratta della
“difettività del soggetto”; nel corso invece si occupa di “comprensione del
tempo e interpretazione morale, definitivamente centrati su “i patemi della
ragione e l'inter-esse etico.” Nei studi
su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del senso,
Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,
Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza” (Genova, Melangolo). Sostiene che il
pensiero critico, nella sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la
trasformazione, il cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in
Aristotele e Zenone di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di
pensare la soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è
tempo, prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato,
fortemente centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di
sé. In questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le
modalità affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto
e diritto del senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e
Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non
riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». M. rivendica il
«diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile
diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della sua
prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia. Per
un'etica attiva della salvezza, nel quale M. illustra la sua concezione della
frammentazione della soggettività a partire da alcune considerazioni sui
concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue europee antiche e
moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale dell'esperienza
propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale ha un carattere
prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale dell'esperienza
meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il vissuto, il quale
ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una parte abbiamo il
giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il provare come
avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa. Ciò introduce a
un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra il
cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il
continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita.
Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento
di sé attraverso il cambiamento. L'uomo, a differenza degli altri
viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette
in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più
radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno
solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso»,
è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del
cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il
desiderio di permanenza. Parallelamente alla esplorazione della soggettività,
in Il tempo e la grazia M. segue gli sviluppi di un'emergente epistemologia
caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità del tempo fisico
così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante umanistico e quello
scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui etica non è più la
moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società con le sue
formulazioni sull'ordine del mondo. L'etica che M. vede in prospettiva
scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva il tempo, cioè
il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come «disgrazia»,
mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un essere, l'umano,
che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce intenzionalmente il
proprio futuro. Una volta riconosciuto il diritto del senso ad essere
inteso nella sua irriducibilità al cognitive; una volta esplorato il campo del
senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della
filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari
epistemologici, antropologici ed etici, M. in Paticità e indifferenza, si
chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della
filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a
fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere
nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico”
ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la “patosofia”». Da un
pensiero così articolato derivano alcune indicazioni e cautele
etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la
temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di
conoscenza come un qualsiasi ente. M. distingue la conoscenza dalla cura. Egli
inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui
quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece
costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del
sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che
li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda
alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece
guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori
da condividere. Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni
curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia
morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie
discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi,
personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni
e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e
la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione
umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità
e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista
de Il Mattino, Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli
ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un
saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare
il futuro di questa città malata. Trova questa figura in M., filosofo ma anche protagonista
della vita civile e politica della città con concrete iniziative quali, nel
2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del “Manifesto
per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante debolezze della
città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che danno speranza
nel futuro. M. pubblica La libertà e le occasioni, che sviluppa il tema
del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di
Napoli. L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta la
contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento dell'università
italiana. M., per i caratteri originali del proprio insegnamento, è considerato
dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli in quegli anni fu eletto
deputato come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, ed in
seguito come senatore, si occupò sempre
dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come parlamentare europeo lavorò
al fianco di Nilde Iotti nella Commissione legale. All'inizio degli anni
ottanta alcuni importanti provvedimenti modificano l'organizzazione didattica e
gestionale dell'università (vengono istituiti i dottorati di ricerca,
riordinate le scuole di specializzazione, creati i Dipartimenti). Terminato
l'impegno parlamentare Masullo dirige per due mandati il nuovo Dipartimento di
Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta. Anche attraverso questo
incarico egli incide sulle direzioni della ricerca filosofica a Napoli. M.
si mette di nuovo al servizio della politica
quando dopo la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli
anni novanta si verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A
livello locale egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise di Palazzo
Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli previsto
dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto, suggerendo
la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli. Forte della
popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS nelle elezioni
amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa esperienza della
"giunta del sindaco". A livello di politica nazionale M. è di
nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della Commissione
di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni settanta, della
Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in anni nei quali i
provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono numerosi e
importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo spessore del
Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono disegni di legge
relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione assistita. Saggi: “Intuizione
e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli, Scientifica); “La problematica
del infinito del continuo – l’infinitesmale – la categoria della quantita –
flat and variable,” – Grice: “Excellent philosophical problem.” Napoli, scientifica, “Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica
“La comunità come fondamento,” Grice:
“Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but
it takes a philosopher to understand that that is what stands behind
‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli,
scientifica, “Anti-metafisica del
fondamento” Napoli, Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del
soggetto e diritto del senso,” Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva
della salvezza,” Roma, Donzelli, “Meta-fisica:
storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all
‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the
‘physika’!” Roma, Donzelli, “La potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche,
“Gografia e storia dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr.
Grice: “The history of ‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,”
Genova, Melangolo, -- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential –
while you may have self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo”
G. Cantillo, Napoli, Scientifica, “Filosofia
morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only
possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word
formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the
lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P.
Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G.
Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli,
Guida, La libertà e le occasioni,
Milano, Jaca, I linguaggi della follia e
i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi,
Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La
grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più
grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Magazine dell'Università degli Studi
di Napoli l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo, la
scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal –
l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matassi: l’implicatura conversazionale e la filosofia della seduzione dei
giocatori di calcio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Benedetto del Tronto). Filosofo italiano.
Grice: “I like Matassi; but then I like football – I was the football team
captain at Corpus – and aesthesis, the seductor seduced – “la condizione
desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è stato Professore di Filosofia
morale, coordinatore scientifico della sezione Filosofia, Comunicazione, Storia
e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e
Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza era stato direttore del Dipartimento
di Filosofia. Si è occupato anche di Estetica musicale. È stato Presidente della Società Filosofica
Romana e ha fatto parte del comitato direttivo nazionale della Società
Filosofica Italiana. È stato nel
comitato d'onore della Fondazione Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica
di Rapallo, responsabile della sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro
della giunta del CAFIS dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del
Comitato scientifico della Fondazione Résonnance dell'Losanna. Ha diretto la collana Musica e Filosofia per
la Mimesis Edizioni di Milano e quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa
editrice Epos di Palermo. Ha tenuto un blog sul "Fatto quotidiano"
sui temi che legano la filosofia alle dimensioni del contemporaneo. Ha
collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata alla filosofia della musica, al
mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato direttore della collana Italiana
per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche membro del comitato
scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium philosophicum,
Paradigmi, Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi sartriani,
Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale, Phasis,
Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et Humanitas.
Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore
estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale
Ad Parnassum. Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la
presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia. Menzione speciale della giuria al premio di
saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la musica. È stato uno dei principali collezionisti al
mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e della liederistica
di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Si è occupato di filosofia
tedesca, in particolare di Hegel, delle scuole hegeliane, del criticismo
tedesco, del marxismo occidentale e della scuola di Francoforte. Un suo saggio è
stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di filosofia del diritto e
all'interpretazione fornitane da Gans. Si è occupato di Lukács, iutilizzando
per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij" si è poi occupato
di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e del dialogo
Alessio o dell'età dell'oro. Le sue ricerche
hanno riguardato la filosofia della musica moderna e contemporanea e in
particolare su quella di Bloch, di Benjamin e Adorno, fino ad elaborare un'originale
filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria
musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto
lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia
dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di
una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo
contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella
pratica. All'interno di tale prospettiva
svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli
ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger. Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane
di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli,
Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida);
“Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli,
Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica
(Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli,
Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La
condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo,
Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema”
(Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo..
In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c.
di M. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi
Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La
musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario
di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei
Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui
rapporti tra democrazia e capitalismo, Commento al concerto jazz di Donà, "Tutti
in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo.
Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini, Armando, Roma, RAI
Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus e Inter Il Fatto Quotidiano,
s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni
filosofiche», M. Latini, Doppia risonanza sul mondo (a
proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a
"Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an
Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their
coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf.
“La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del
calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Matera: l’implicatura conversazionale – i segni del zodiaco e la semiotica di
Peirce -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera).
Filosofo italiano. Grice: “Only in
Southern Italy is a philosopher also responsible for the astrological edification
of the city’s cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori di astrologia
occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e
successivamente a Napoli. Vive nel
periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo
IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo
zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore
universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti
astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri
potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a
Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello
e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia
di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama
la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il
Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti
ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto
presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due
volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto
studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a
raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni,
il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo
campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di
Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e
Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della
Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per
i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera Morelli, Storia di Matera, Montemurro,Volpe,
Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario corografico del Reame di Napoli,
ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri di Matera, sassiweb. ntonio Giampietro, Personaggi della storia
materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature, la collina
del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia, astronomia,
dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of astrology, Grice
on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical chart. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mathieu: l’implicatura conversazionale dell’uomo animale ermeneutico –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo italiano.
Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of
the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly
focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or
‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the
irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy
between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and
deontic systems --.” Dopo il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo,
filosofo rappresentante dello spiritualismo ced autore di importanti studi
su Kant (un filosofo che sarebbe stato
centrale nella vita intellettuale di Mathieu). Libero docente nella
filosofia, è stato professore incaricato, e Professore di filosofia teoretica a Trieste.
Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di
filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è
stato membro del Comitato del CNR; è
stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi).
È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei
Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan. Ha fondato
con Berlusconi, Colletti ed altri il
movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel
collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega
Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.
Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per
il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel
luglio (in connessione con la sua carica
di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare
l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa
riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus
Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che
aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha
offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca
filosofica: la filosofia della scienza; la storia della filosofia;
l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti
esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come
suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e
sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua
fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa
della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella
scienza e nella filosofia". Seguendo Bergson, ha valorizzato anche
altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla
cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la
realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla
scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo,
dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della
cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla
filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi.
Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di
Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di
un sistema all'interno del sistema stesso; M. ritiene che, almeno
analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione
di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo
formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non
emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni
fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è
consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica,
ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche
tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il
problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il
problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi
le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è
raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e
des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di
teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.”
La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una
problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera
d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini
possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere. Di estetica è "Goethe
e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di
questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua
profondità e capacità genealogica. Nei suoi volumi
sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la
musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che
non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la
musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e
il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia
netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che
potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di
opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che
mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo
valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica
serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria
di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i
rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un
articolo sul Corriere della Sera
rettifica sul Corriere della Sera
smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La
filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino);
“L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza”
(Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di Rilke, Olschki); “Dialettica
della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero,
Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in
Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio
sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri
swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone; Melchiorre, Gregoriana Libreria,
Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione, Spirali); “Nazionalismo”;
S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia dei sistemi e
origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani, Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La
fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere,
Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche
dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e
dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché
punire. Il collasso della giustizia penale, Liberi libri, Introduzione a
Leibniz, Laterza, In tre giorni, Mursia,;
La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano Ideazione, il fatto quotidiano. 3del
portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su
archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del
bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il
demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Maturi: l’ implicatura conversazionale -- l’io e l’altro – io e l’altro – i duellisti – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo. Grice: “There are two main things I love about
Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as an ‘Italian,’ or
worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a member of the
Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his typically Neapolitan-hegelian
school account of what he calls ‘autocoscienza recognoscitiva,’ which is
something I do take for granted in my conversational theory of
inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls the
passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of
pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each
‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the
‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’
makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label
the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul
progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising
that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente
prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale,
si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di
Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia
hegeliana destinata ad esercitare nel
suo pensiero un'influenza duratura.
Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per
uditore giudiziario. Ottenuta
l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la
libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò
all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea.
Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti
dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione
del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is
one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.”
Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.”
“L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For
Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of
my friends, J. F. Thomson, it is!” “Uno
sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept
is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ -- Grice: “My favourite is his description of
the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma
fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When
I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you
mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he
can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days
when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The
‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di
filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy).
Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would
say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or
when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary
principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The
conversationalist like me, I s’ppose.” “Una
relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is
a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico
degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia,
Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi,
Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia
hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed. Natan,. Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G.
Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Sebastiano Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino,
Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del
signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Maturi: l’implicatura conversazionale -- filosofia napoletana – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice:
“People sometimes asks me how my intentionalist approach can be applied to
history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s ‘Interpretazioni,’
thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice:: “Even in London,
the risorgimento had at least two interpretations! One in Woolwich, and another
one elsewhere! And there is possibly a gender distinction too with “Speranza,”
Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione
culturale a Napoli dove si laurea con SCHIPA, uno dei firmatari del manifesto
degli intellettuali antifascisti redatto da CROCE. Del suo maestro, per la
lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un commosso ricordo
ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in occasione della
morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con attenzione ed
interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce conseguendo una laurea
in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre. Impostato sulla lezione
crociana è il saggio “La crisi della storiografia politica italiana” a cui
seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e contemporanea, inserito
nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita intellettuale italiana.” Il
suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e le Due Sicilie pubblicato fu
giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo che lo recensì ne La Critica.
Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e contemporanea diretta da Volpe
e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto storico per l'età moderna e
contemporanea. Collaboratore dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse
numerose voci tra le quali quella dedicata al "Risorgimento" ispirata
alle sue idee liberali. A causa di questo episodio, nonostante il suo
disinteresse per la vita politica attiva, fu allontanato dall'Istituto storico
per l'età moderna e contemporanea. Nei suoi saggi di storia politica i
suoi punti di riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe.
Dapprima come incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne
le sue lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune
importanti voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale
fascista, il saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e
l'accurata biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della
storiografia tenuti a Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di
Storia del Risorgimento e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino
alla sua inaspettata scomparsa. Le sue lezioni di quest'ultimo periodo
furono raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata
di primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del
Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia
italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia
del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del
Risorgimento. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi.
Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Maurizi: l’implicatura conversazionale della vendetta di Bacco – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Maurizi; of course his
‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s rather
recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good, but he
is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in filosofia
della storia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e
ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima università discutendo una
tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è nato il volume La nostalgia
del totalmente non altro. Cusano e la genesi della modernità (Rubbettino). Dopo
un periodo di formazione in Germania attualmente svolge la sua attività di
ricerca presso l'Università degli Studi di Bergamo. Pubblica le sue ricerche su
alcune prestigiose riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il
Journal of Critical Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta, Lettera
Internazionale, e collaborando, inoltre, con i quotidiani Liberazione e
L'Osservatore Romano. Partecipa alla stesura del secondo volume di
L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico (Jaca) ed è il
traduttore e curatore dell'edizione italiana di Lukács, Coscienza di classe e
storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di Acampora, Fenomenologia della
Compassione, Sonda, Casale Monferrato,, e ha tradotto, con Dalmasso, Derrida, Teoria e prassi. Corso dell'École
Normale Supérieure Jaca, Milano,. Ha contribuito alla fondazione delle riviste
scientifiche "Liberazioni" e Animal Studies. Rivista italiana di
antispecismo. Pensiero Maurizi ha suddiviso i suoi interessi di ricerca
tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx, Adorno), la teoria critica
della società e le implicazioni politiche di una visione "sociale"
dell'antispecismo a partire da una rielaborazione del pensiero della scuola di
Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno, quanto quelle su Cusano si
incentrano sul tentativo di porre in evidenza il tema della storicità
dell'umano non in termini di un astratto e formale
"essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere
storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità
dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni
ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un relativismo
storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di Hegel portata
avanti da Adorno, infatti, M. sostiene la leggibilità e razionalità della
storia come segno del dominio, l'universale storico non come traccia di un
positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle vicende umane,
bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà, imprimendo ad
essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale che è
l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della filosofia di
Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una ridefinizione
dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la critica ai
meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non umano, e
più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia
antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed
in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da M. come un
antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di M.,
che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri teorici dei
diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini storico-sociali dello
specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista», secondo Maurizi, consiste
quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta di campo: sottolineare
come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile di ogni ipotesi di
trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi l'antispecismo è dunque
essenzialmente politico e non possiamo
affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la questione animale da una
prospettiva astrattamente morale. All'attività di filosofo, Maurizi ha così
affiancato quella di attivista per i diritti animali, intrecciando l'attività
speculativa con quella politica; risultato di questa attività è il libro Al di
là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, ). M. è
stato inoltre fondatore delle riviste di critica antispecista Liberazioni e
Animal Studies, della rivista online Asinus Novus che prende il nome dal suo
breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità (Ortica, ). Nel l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie
alcuni suoi scritti che rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero
sulla filosofia antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia
Veritas, ). Sulla scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato
sulla filosofia della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie
sull'antispecismo politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo
Guadagnucci Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre
di Mezzo, ), da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und
Tier in der Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e
altri autori della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del
non-identico,” Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della
modernità, Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la
libertà,” Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica,
“Cos'è l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra
psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’
– “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra
specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del
progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” -- la musica contemporanea da Schönberg ai
Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il
Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. su questi temi
per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo Intervista su questo tema a cura del
collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. La genesi dell'ideologia
specista in Liberazioni:/ M. Per una cultura antispecista in Asinus Novus:
rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.
com. Intervento M. per il primo convegno nazionale antispecista:
youtube.com/watch?v= JwZiW4ngrag
Intervista a M. e Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube
Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di
Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus. wordpress Intervista di F. Pullia sul
quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia
archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. M., Musica per il pensiero.
Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma. Antispecismo Diritti degli animali Scuola di
Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal
Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimal studies. wordpress.
Marco Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mazio: l’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Friend of GIULIO (si veda) Cesare and Cicerone. He writes on food and
trees and takes an interest in the philosophy of the Garden. Gaio Mazio.
Grice e
Mazzarella: l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “I love Mazzarella’s
‘necessary word’ – not precisely what I was thinking when philosophising about
conversation, but for Mazzarella, the conversational motivation is to HELP in
the most authentic fashion – Compared to his ‘parola necessaria,’ my principle
of conversational helpfulness, while based in part in the desideratum of
conversational benevolence, looks pretty lame!” -- Grice: “I like Mazzarella.
The fuss he makes in translating Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the
greatest living philosopher’ – he was living then –.” Grice: “Mazzarella, who
is relying on somebody else’s translation, is especially focused on Heidegger’s
Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’ Heidegger gets an abstract noun. But he also uses
the Germanic for ‘deed.’ Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ –
cognate itself with ‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from
‘factivity’ to ‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into
seeing how similar these two concepts are – if indeed two concepts they are,
seeing that they come from the same Roman root! But M. would know that – you
wouldn’t!” – Professore a Napoli, è tra i principali interpreti di Heidegger.
Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico. Dopo essersi laureato presso l'Università
degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di
ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In
seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila.
Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania
e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore
straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero
dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico
II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico
II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di
Lettere e Filosofia, di cui è Preside. Deputato del Parlamento italiano,
divenendo componente della VII Commissione Cultura della Camera. Opere In una delle sue opere principali,
Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga i processi
decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia della metafisica
occidentale, fino a formulare un'ipotesi "ecologica"(in senso
originario, come pensiero relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle
interpretazioni del "logos" eracliteo e della categoria aristotelica
della "physis" riscontrate nei saggi successivi alla cosiddetta
"svolta" del pensiero di Heidegger.
In Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico,
le aporie di una metafisica del fondamento sono affiancate alla dimensione
tecnica della contemporaneità, intesa storicisticamente come epoca del
compimento del nichilismo. Centrale diventa l'idea di un
"essere-alla-vita", categoria che richiama in modo lampante
l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le questioni
teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti un'ontologia
minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando il
posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento della
e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la cultura
come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima ancora che
storia”. Pensare e credere. Tre scritti
cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di M.; il rapporto tra
religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una prospettiva
storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla riflessione
Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea. Interessante è la
prospettiva di una religione come "integrazione" e apertura all'amore
fraterno, configurato nel concetto di "agape". I suoi scritti sono in ogni caso
contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero napoletana, sorta
sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa di temi propri dello
storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita). In un dialogo costante con i teologi più
liberali e moderni, quale ad es. Forte, M. si è occupato specificamente dei
temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della vita alla ripresa
del concetto di sacralità (Sacralità e vita).
In Opera media ha inoltre messo in luce un talento poetico non
indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica e diversi
riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato singoli
componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città di
Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al Premio
Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato. Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger
(Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli);
“Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano,
Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a
history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of
philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della
metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy,
and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” -- “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive
ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is
exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia
e teo-logia” -- di fronte a Cristo (Cronopio,
Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger
oggi, M., Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie
d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo,
Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia,
Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire
comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo
che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica,
in Amato, Catena, Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di M., Napoli,
Guida, Archivio degli articoli di
Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae,
pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di
Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a
Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” – Eugenio Mazzarella. Mazzarella.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mazzei: l’implicatura conversazionale
– filosofia toscana – filosofia fiorentina -- -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Poggio a Caiano).
Filosofo italiano. Grice: “Not every philosopher has a city,
‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a
philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there
is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas,
transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre,
he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone
e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente
risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio
energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei
diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e
movimentata, con alterne fortune economiche. Sebbene sia sconosciuto al
grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana
come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli
storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto
intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John
Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu
ispiratore, vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto
epistolare fino alla morte. Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore
privilegiato della rivoluzione francese. La sua figura storica è riemersa
alla fine Professoregrazie all'infittirsi degli studi accademici in occasione
del bicentenario della rivoluzione americana, fino ad essere onorato in
occasione del 250º anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione
filatelica congiunta speciale delle poste italiane e statunitensi. Dopo
gli studi compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il
fratello maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a
Pisa e poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo
solo due anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a
seguito di un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo
irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento
dell'italiano, riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il
commercio dei prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi
lentamente nei salotti dell'alta borghesia londinese. Una breve parentesi
italiana si concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di
una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri
proibiti”. L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il
Mazzei, ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù
nella realtà italiana. La Rivoluzione americana In questi circoli
londinesi Filippo M. conobbe Franklin e Adams, che da lì a pochi anni sarebbero
stati tra i protagonisti della rivoluzione americana. Le colonie
americane si autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite
assemblee di delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento
giuridico era ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli
anni era probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che
esistesse. Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità
dell'inedita forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e
quindi dalla prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni
mediterranee, Mazzei si trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di
agricoltori toscani. A lui si unirono anche una vedova Maria Martin, che egli
sposò, e l'amico Bellini che sarebbe divenuto il primo insegnante di italiano
in un'università americana, il College of William and Mary in Virginia.
Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di
Monticello per incontrare Jefferson, con il quale già intratteneva rapporti
epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a trattenersi in
loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in favore
dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome deriva da
Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la campagna
attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a Jefferson un
sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella colonia della
Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di una comune
visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per oltre 40
anni. Il livello delle frequentazioni americane trascinò velocemente
Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita politica della
ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli contro
l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed all'uguaglianza.
Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo stesso Jefferson, che
rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare successivamente alcune
frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti
d'America. Eletto speaker dell'assemblea parrocchiale dopo solo sei mesi
dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di esporre le sue idee sulla libertà
religiosa e politica a un vasto oratorio, composto anche di persone umili e
ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo scritto, Instructions of the
Freeholders of Albemarle County to their Delegates in Convention, redatto come
istruzioni per i delegati della contea di Albemarle alla convenzione
autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea della Virginia
imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come bozza per il
primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della
Virginia. La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci
economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati
particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva
distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta
fatica. Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime
ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e
Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere
informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione. In questo
periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti
commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu
ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia. Rientrato in Virginia,
con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di
amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò
per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari
con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in
particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a
Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del Colle, che Mazzei
aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al di lei marito, il
francese Plumard, Comte De Rieux. La Rivoluzione francese e le vicende
europee Targa a Pisa, sulla casa in cui morì/ A Parigi pubblicò una
voluminosa opera in quattro volumi Recherches historiques et politiques sur les
États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si trattava della prima storia della
rivoluzione americana pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa
fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana.
Il successo del libro e la notorietà delle sue idee, uniti alla costante
attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece
venire in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano
liberale, di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi.
Da questa posizione privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui
condannò la deriva giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si
trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla
stesura della costituzione. Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito
della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana,
stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia,
Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa e
poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi
intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve
occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno. Ultimi anni M. visse
quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e
limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani
liberali, di cui era ispiratore. In conseguenza del dissolvimento della Polonia
operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti
della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio. M. rimase sempre
nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che ne auspicavano il
ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare. Nonostante i
ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace di
affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla
caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel
1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa. Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma:
Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche
storiche sull’America” (Firenze, Ponte
alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del
commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie
Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le
istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor
Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante
la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione
Francese”“La vita avventurosa di M,” Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione
Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli
anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è
circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera
statunitense, adottata dal Congresso un
anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza
che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo
e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver
discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera
americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag. In suo ricordo è stato
istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per
celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti
d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la
frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Russo, Nasce a
Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze,
Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia. Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo,
Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante
italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi
Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della
mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano.
Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore,
giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele,
Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi
Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Marchione e Tortarolo, Poggio
a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio
Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano,
Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei
tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America.
Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba
bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano,
Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Giovanni,
Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Giancarlo,
Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana
Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del
cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo,
Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di M., Milano, Angeli, Łukaszewicz,
M., Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione
americana Rivoluzione francese Franklin Henry Jefferson Mason Monroe William
Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti d'America
Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Jefferson, e Vigo (video), su youtube. com.
Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su
circolo filippomazzei. net. M., chi era
costui?, su mltoscana. blogspot.com. Clan Libertario Toscano M., su mltoscana. blogspot.com.
Il circolo Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson M. I
processi contro ed i liberali pisani, su
idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org. famous americans. net. Another Site about
P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org. M., Thomas Jefferson e gli scultori carraresi
per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra su
farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle
peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more
Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic
prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am
leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice:
“As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” -- Filippo
Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione
del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Grice e
Mazzini: l’implicatura conversazionale – la giovine italia – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Grice:
“Of course it is difficult for an Italian philosopher to approach the
philosophy of Mazzini cooly; it would be like me approaching the philosophy of
Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il pensiero filosofico di Giuseppe
Mazzini’ quite helpful – the equivalent would be the pretentious sounding, “The
philosophical thought of Sir Winston Churchill,’ say!” -- Grice: “Luigi Speranza loves to cherish the
fact that an old street in Woolwich, of all places, is named after him, in a
way ‘Speranza,’ just because Garibaldi visited!” Grice: “Luigi Speranza also
cherishes the fact that Lady Wilde preferred ‘Speranza’ just to defend
Mazzini!” Esponente di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la
sua azione politica contribusceno in maniera decisiva alla nascita dello STATO
UNITARIO ITALIANO. Le condanne subite in diversi tribunali d'Italia lo
costringeno però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane sono di
grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per
l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello stato. Nacque
a Genova, allora capoluogo dell'omonimo dipartimento francese costituito da
parte del regime di Bonaparte. Il padre, Giacomo, e medico e docente
universitario d'anatomia originario di Chiavari, una cittadina del Tigullio all'epoca
capoluogo del dipartimento francese degli Appennini, successivamente parte
della provincia di Genova, figura politicamente attiva nella scena pubblica
locale, sia durante l'epoca della precedente repubblica ligure, sia, in tempi
successivi, dell'Impero napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente
giansenista originaria di Pegli, un comune autonomo, accorpato nel comune di
Genova, fu molto legato per tutta la vita. Affettuosamente chiamato
"Pippo" dalla famiglia, una volta terminati gli studi superiori
presso il cittadino Liceo classico Cristoforo Colombo, si iscrisse a Genova. Si
segnala per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponeno
di andare a messa e di confessarsi. E arrestato perché, proprio in chiesa, si
rifiuta di lasciare il posto a un generale austriaco. Lo appassiona la
letteratura: si innamorò delle letture di Goethe, Shakespeare e Foscolo (pur
senza condividerne la filosofia materialista), restando così colpito dalle
Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero, in segno di
lutto per la patria oppressa. La passione per la letteratura, insieme a
quella per la musica (e un abile suonatore di chitarra), la ha per tutta la vita: oltre agli autori citati,
lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti romantici come Byron, Shelley,
Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas padre e le sorelle
Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova dei federati
piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in lui il pensiero
che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria. Cominciò ad
esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo
impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale
inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La censura lascia fare per
un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il saggio, “Dell'amor patrio
d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”. Entra nella carboneria, della
quale divenne segretario in Valtellina. Ho a lottare con il più grande
dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e
papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro,
pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto
come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato,
il quale ha nome: Giuseppe M.. (Klemens von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per
la sua attività cospirativa e arrestato su ordine di Felice di Savoia e
detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar. Durante la detenzione idea e
formula il programma di un nuovo movimento politico chiamato “Giovine Italia” che,
dopo essere stato liberato per mancanza di prove, presenta e organizzò a
Marsiglia dove e costretto a rifugiarsi in esilio. I motti dell'associazione
erano Dio e popolo e unione, forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli
stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola
condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori
stranieri. Il progetto federalista infatti, poiché senza unità non c'è forza,
ha fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere
soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini. Il federalismo inoltre avrebbe
reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità
municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia
medioevale. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere
raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per
bande. Durante l'esilio in Francia, ha una relazione con la nobildonna repubblicana
Giuditta Bellerio Sidoli, vedova di Giovanni Sidoli, ricco patriota di
Montecchio Emilia. Giuditta aveva condiviso con il marito la fede politica che,
portandolo a cospirare contro la corte estense, aveva costretto la coppia a
esiliare in Svizzera. Colpito da una grave malattia polmonare, muore a
Montpellier. Poiché la vedova non aveva ricevuto alcuna condanna, ritorna
a Reggio Emilia presso la famiglia del marito con i suoi quattro figli: Maria,
Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento dei moti dove fuggire in Francia
dove conobbe Mazzini a cui si legò sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del
1831 di portare dalla parte liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la
celebre lettera firmata "un italiano", insieme a Berghini e Barberis,
M. fu condannato in contumacia a "morte ignominiosa" dal Consiglio
Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior generale Saluzzo Lamanta. La
condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo Alberto decise di concedere
un'amnistia generale. Rifugiatosi nella cittadina svizzera di Grenchen, nel
canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale
che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne
l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane
profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però
dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette
lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni
Ruffini. Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove M. raccolse attorno a
sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia,
dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani;
qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley
(vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron,
idolo di gioventù di M.), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas
Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la
sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini.
Nello stesso quartiere di M. visse anche Marx. Durante il soggiorno
londinese M. ebbe una lunga relazione di amicizia con la famiglia Craufurd,
documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a Londra ebbe rapporti
con la famiglia di Ashurst e con il genero di questi, il politico Stansfeld, la
cui consorte Caroline Ashurst Stansfeld e sostenitrice della società
"Society of the Friends of Italy". Per la causa dell'unificazione
italiana M. collaborò anche con il secolarista George Holyoake. Fondò poi
altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di vari stati
europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa.
Quest'ultima, fondata a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri,
aveva tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti
d'Europa. In questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del
popolo italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni
europee. L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico
l'agire dal basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e
democratici, realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e
rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa M. fonda anche l'Alleanza
Repubblicana Universale. Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un
forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di
numerose mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio
di Belgiojoso e Saffi, la moglie di Saffi, uno dei più stretti collaboratori di
M. e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico. M. continuò a
perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile
costanza, convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno
avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza,
l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica. Dopo il
fallimento dei moti del 1848, durante i quali M. era stato a capo della breve
Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti
italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo
Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di
riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla
riforma sociale e politica invocata da M.. Cavour fu abile nello stringere
un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono
alla nascita dello STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine
statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana. A Londra per reagire
alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa, M. fonda il Comitato Centrale Democratico Europeo
e il Comitato Nazionale Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le
cui cartelle portavano appunto lo stemma della Repubblica romana e
l'intitolazione del prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e
l'unità d'Italia». A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli
ex triumviri Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia
Montecchi. La diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata
conseguenza la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto
a Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al
nuovo parlamento di Firenze. M. era candidato, nel secondo collegio, ma non
poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due
condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti (in primo
grado e in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal
tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III.
Inaspettatamente, M. vinse con larga messe di voti (446). Dopo due giorni di
discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne
precedenti. Il letto di morte di M., distrutto dagli aerei degli
Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa. Maschera mortuaria di M., gesso,
Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di
Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo M. La Camera, dopo una nuova
discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. IM. viene rieletto una terza
volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia,
anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise di rifiutare la
carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la costituzione dei
monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a
lottare per gli ideali repubblicani. Lascia Londra e si stabilì in
Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte
inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in
Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti
popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì
in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in
arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di
Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe
in una carrozza Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo
incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo. Costretto di
nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio
Brown (forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da tempo,
visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli
Rosselli e zio della moglie di Nathan, fino al giorno della sua morte, avvenuta
quando la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente. Traversie della
salma M. morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si diffuse
rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato
Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Bertani:
Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla immensa
partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo,
accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al
Cimitero monumentale di Staglieno. Le esequie furono accompagnate dalla
musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo.
Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di M., onde
pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro
qualche anno dopo. Avvenne la ricognizione della mummia, che fu sistemata ed
esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana: da
allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo. Mausoleo Benché sia
incerta l'affiliazione di M. alla Massoneria fu l'associazione stessa a
commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano Grasso che lo realizzò in
stile neoclassico adornandolo con alcuni simboli massonici. Il sepolcro
reca all'esterno la scritta “M” e all'interno sono presenti numerose bandiere
tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da
personalità come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "M.. Un
Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e
l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze
di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso M., citati
nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente M.,
a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia
mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli
ideali mazziniani, simili ai suoi. La principale obbedienza italiana,
l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia,
afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe
influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita
dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società
segreta, la Giovine Italia. In effetti M. fu carbonaro, ma la Carboneria fu
presto distinta dalla massoneria. Montanelli afferma invece che probabilmente
Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della Campa, che in una
"Nota su Mazzini" fa riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del
grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille volti di massoni (Erasmo,
Roma), che a119 scrive a proposito di M.: «Iniziato a Genova, secondo G.
Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado
del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita
Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo ricevette
l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo
Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella
d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i
segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di M.
alla Massoneria.» M. stesso sembrerebbe però smentire la sua
partecipazione all'associazione in una lettera al massone Campanella, Sovrano
Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato
di Palermo, in cui, restituendogli le carte che questi gli aveva fatto
recapitare scriveva. La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza
dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni
scopo nazionale. Per farne qualche cosa bisognerebbe prima una misura
d'eliminazione ed una di revisione delle file, poi una formula nazionale o
politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda. La patria è la casa
dell'uomo, non dello schiavo – M. Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno
la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che
ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero
napoleonico. Nasce allora una nuova concezione della storia che smentiva quella
degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la
storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo
napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti
e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi
era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella
tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra
delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli
popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità. Secondo questa
visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che
agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica
di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di
conseguire con la loro meschina ragione. Da questa concezione romantica della
storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni
contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio
nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia
degli uomini. Napoleone I è stato, con le sue continue guerre,
l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e
falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato
per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà
dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a
Napoleone restaurando il passato. La concezione reazionaria contro cui M.
combatté strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel
pensiero di Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del
Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del
cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de
Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa) al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza
tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali
protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del
razionalismo. Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa
concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire
liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al
bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di
Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di
storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo
in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova
società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della
vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia
nell'opera letteraria di Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il
progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana. Concezione mazziniana
«Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana – M., Istruzione generale per gli affratellati nella
Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svg Mazzinianesimo. Dio e popolo
«Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso.
L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni
grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel
fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo
mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il
pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di
romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione ma che
era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che
proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i
cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con
l'età trascorsa. Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione
religiosa di M. all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista
(almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad
una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo
altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna
religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni
tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della
religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio
panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la
laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se,
come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la
sua concezione teologica da quella politica e l'assenza di intermediari tra Dio
e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana, define
il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso sulla sua
concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la religione
CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma, antica e
pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale, prepara il
campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico, che e
fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Ricci -- e dalla
massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo anche al culto
massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta non solo
l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con
altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo L'ateismo, il materialismo
non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del
Dovere per tutti...»), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli
crede nella reincarnazione, per poter migliorare di continuo il mondo e
migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o
dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali
Mazzini si era interessato. Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari delle
società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese
Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza
Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe
rinata, libera dalle dominazioni straniere, come la nazione che avrebbe
esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema
questo poi ripreso da Gioberti nel suo Primato morale e civile degli
Italiani. M. ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli
dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico
sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore per gli ideali
sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.
Religione civile La sua è stata anche definita una religione civile dove la
politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si incarna in modo
panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel
Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità è il
suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un Dio
solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro
mondo è raggio e l'Universo una incarnazione. Per lui non conta che la sua
intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che è
invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi non
dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come
negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica,
«l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei
suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella
storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità
nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo
significava per il M. collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed
accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo bisogna
«mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di premio,
senza calcoli di utilità. Quello di M. era un progetto politico, ma mosso da un
imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto
indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli
avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il
successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.». La storia
dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza
divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la meta predisposta da
Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della
Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per
«procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano». Ogni singolo
individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha
loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso,
reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria
e Umanità. Patria e umanità Targa in onore di M. sulla casa
londinese Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la
missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si
realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà
europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni
sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea
immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato
egemonico di Grande Nation. La futura unità europea non si realizzerà attraverso
una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli
per costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo M.,
doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità
oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi anche di
quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.
Iniziativa italiana In questo processo unitario europeo spetta all'Italia
un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al
processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà
improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace
metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana
che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna
egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per
una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione,
di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa
cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica
attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di
Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di
unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata
dall'associazione di liberi popoli. Funzione della politica Il
mausoleo di M. nel cimitero monumentale di Staglieno, realizzato
dall'architetto mazziniano Grasso. La politica è scontro tra libertà e
dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso:
si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; M. esorta
la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti
gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà
e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno. La logica della
politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze
reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria:
alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più
sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più
accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare
alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare. La
rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali
e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che
incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la
rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere
straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca
temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al
popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima
possibile. La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa
pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno
strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e
doveri, mentre la rivoluzione francese si è concentrata esclusivamente sui
diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad
una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il
bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Non crede
nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune
sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento
dell'egoismo individuale.Questione sociale M. affrontò la questione sociale
negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta il marxismo,
convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario
indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. M. fu
tra i primi a considerare la grave questione sociale presente che era
soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indica Pisacane, ma egli
pensava che questa dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il
raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo scontro delle classi,
ma con una loro collaborazione (interclassismo), da raggiungersi però
organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli operai, il soggetto più
debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava
l'autonomia culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto
medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i
consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei
propri diritti fra gli operai. M. criticò il marxismo e fu da Marx
biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti
profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del
popolo. Marx, risentito per gli attacchi di M. al comunismo, da lui definito
col termine inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in alcuni
articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e papa della chiesa democratica, dandogli
anche sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita.
Forte sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di M. (oltre che con
Garibaldi che ne prese le difese) alla Prima Internazionale. Critica i
socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di
anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli
interessi di una sola classe: il proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario
e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si
sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i
migliori. La critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie
socialiste estremistiche portassero a un totalitarismo: egli previde con
lungimiranza quello che avverrà con la Rivoluzione in Russia, cioè la
formazione di una nuova classe di padroni politici e lo schiacciamento
dell'individuo nella macchina industriale del socialismo reale. Da queste
critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò
alla Comune di Parigi. Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune
era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese
realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di
Stato-nazione romantico, invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della
nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia. Per salvaguardare
l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, M. punta su una forma
di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul
salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con elementi
di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa». M. punta sul
superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale
classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie
che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo
scrisse: «Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna
aprire la via perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al
principio che la renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla.
La sua influenza sulla prima fase del
movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in
particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al
pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello
capitalista e quello marxista. Cospirazioni e fallimento dei moti
mazziniani M. in una fotografia con autografo scattata da Domenico Lama I
moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica furono
considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie italiane
dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che
terroristi e come tali furono sempre condannati. «Trovai tutti persuasi
che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie
le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda» (Azeglio,
Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia
«Su queste classi così fortemente interessate al mantenimento
dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno
presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali l'esperienza non ha
ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola,
si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di
persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una
setta inasprita dalla sventura.» (Camillo Benso conte di Cavour). M. si
trova a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in
Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare
la sua colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il
confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio
e passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto
con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso
in Francia. Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei
ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette
carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro
programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era
riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per
le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di
Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli
lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e,
come nei moti dei francesi. Con la fondazione della Giovine Italia il
movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici:
indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare
poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di
pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni
concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi
degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere
dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione
e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più
possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a
difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda,
un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma
essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche
attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato del messaggio politico della
indipendenza, dell'unità e della repubblica. Durante il periodo dei
processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione
scomparve per quattro anni, ricomparendo solo in Inghilterra. Dieci anni dopo,
il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da M., che fondò al
suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al
programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria,
in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando
una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e
condanne a morte. Oganizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come
focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste
adesioni nell'ambiente militare. Prima ancora che l'insurrezione
iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in
Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti
poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva
fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli Ruffini,
amico personale di M. e capo della Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea
Vochieri e l'abate torinese Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale
militare, e dodici furono condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre
Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono
a salvarsi con la fuga. Tentativo d'invasione della Savoia e moto di
Genova. L'incontro di M. con Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il
fallimento del primo moto non fermò M., convinto che era il momento opportuno e
che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri
italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei
Savoia. A capo della rivolta aveva messo il generale Ramorino, che aveva già
preso parte ai moti, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il
Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza
rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a passare con
le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata da tempo,
disperse i volontari con molta facilità. Nello stesso tempo doveva
scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Garibaldi, che si era
arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria
tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare
l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire.
Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui,
salendo su una nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a
combattere per la libertà dei popoli. M., invece, poiché aveva
personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla
Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria
azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e
riviste, aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e
indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la
linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero
diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia
debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi
testimonianza della propria credenza.» (M., lettera di risposta ad Angelo
Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo,
nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e
l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che
egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in
gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da
cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri
ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra, dopo essere stato espulso dalla Svizzera,
riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il
saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli
Bandiera. Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli
dell'ammiraglio Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra
austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta,
l'Esperia e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud
Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da Corfù (dove
avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta
della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e
dal corso Pietro Boccheciampe. Era loro giunta infatti la notizia dello scoppio
di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di M.. In realtà
non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già
stata domata dall'esercito borbonico. Quando sbarcarono alla foce del
fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta era già stata repressa
nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re.
Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui
partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i
compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per
la Sila. Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle
guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i
mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno
il brigante Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla
cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni
vennero fucilati nel Vallone di Rovito. Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione
locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo
medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta
fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e
celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel
loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo
a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la
più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria
missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed
esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita
si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a
noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno
provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta
l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma
non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo
Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu
l'ultima rivolta a cui M. prese parte direttamente. Moto di Milano e sollevazione in Valtellina. Ispirato al
mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui tuttavia
M. non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in Valtellina
dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini, che di lì
a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a Napoleone III,
fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una strage di cittadini
innocenti. Spedizione di Sapri. Pisacane Il piano originale, secondo
il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di
rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borboni, e da
lì estenderla a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Successivamente invece si pensò
più opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare
alcuni prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione
e infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania e Basilicata, era
ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su
Napoli. Pisacane s'imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui
Nicotera e Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto
a Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a
liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto
delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il
Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio
borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli
quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci
dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo
sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza. Il 1º
luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai
contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegi
gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a
fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83;
Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati
all'ira popolare furono poi processati. Condan morte, furono graziati dal Re,
che tramuts la pena in ergastolo. Senso dell'impresa Pur essendo quella
di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di
premio», in effetti essa rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era
allontanato dalla dottrina del Maestro per accostarsi a un socialismo
libertario espresso dalla formula "Libertà e associazione".
Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una
soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane
pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e
nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella
della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in
appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la
propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee
nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché
sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero». Vicino
agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso
scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò
nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici...
che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una
gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire. La
spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione
pubblica italiana la questione napoletana, la liberazione cioè del Mezzogiorno
italiano dal malgoverno borbonico che Gladstone definiva negazione di Dio
eretta a sistema di governo.. Infine il tentativo di Pisacane sembrava
riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione
al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di
Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per
realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.
Appoggio a Garibaldi e ultimi tentativi M. appoggiò moralmente la spedizione
dei Mille di Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour.
Dopo l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia
sabauda e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.
Controversie Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a
Staglieno Conflitto con Cavour M., che dopo la sua attività cospirativa fu
esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della
guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli
rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra
voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la
propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria,
senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai
vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un
falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo
del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e
piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, deportati.
Quando Napoleone III scampò all'attentato teso da Orsini e Pieri, il governo di
Torino incolpò M. (Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di
fanatici assassini" oltreché "un nemico pericoloso quanto
l'Austria"), poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito
d'Azione. Secondo Denis Mack Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due
rivoluzionari a causa della loro rottura con M. e, dopo l'attentato a Napoleone
III e la conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una
pensione. Cavour al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura
per far giudicare e condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì
l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e
monopoli ai privati. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con
Cavour divenne, secondo Fiore, un fondamentale strumento governativo per il
controllo mediatico nel Regno di Sardegna. M., intanto, oltre ad aver
condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del
primo ministro, pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi avete
inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù,
sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena politica di
colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi
rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi
desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento
territoriale» (M.]) Timori di M. per la cessione della Sardegna
Estratto di articolo di giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo
la cessione della Savoia e di Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una
delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di altri supposti accordi segreti di
Cavour con la Francia, in cambio di una definitiva unificazione italiana,
accordi che preoccupavano anche l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso
Cavour per avere rassicurazioni sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro
territorio italiano alla Francia. Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire
al Conte di Cavour, che il Governo inglese, informato di un disegno per la
cessione della Sardegna alla Francia, protestava e chiedeva promessa formale di
non cedere territorio italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.»
(da Scritti editi e inediti di M., per cura della Commissione editrice degli
scritti di Giuseppe Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla
Francia, M. affermava anche. L’opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la
nostra, possono renderlo praticamente impossibile.» (da Scritti editi ed
inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti
di M., Roma) Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del
cattolicesimo federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e
amico di M., confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla
cessione della Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto
della penisola: «Vicino a M. ed a Cattaneo, ma con una propria originalità di
pensiero, il Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in
mancanza di meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica
quando circolò insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia,
intendesse cedere alla Francia anche la Sardegna» Anche il giornale
britannico "The Illustrated London News" citava l'inopportunità di cedere la Sardegna
alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella stampa francese e
fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente energie, affascinò
per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli anziani gli sfuggivano. Quasi
tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi
vi restarono. Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un
certo modo rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. M.
infatti non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e
imprigionare razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di
compromesso politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour. Il compito di
Mazzini fu invece quello di creare l’animus. Quando sembrava che il problema
italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana
sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece
risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea. La tragedia della Giovine
Italia «impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani:
che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in azione e quegli
stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo
riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto federalista e
acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee mazziniane di un
riordinamento unitario italiano. Le idee politiche di Mazzini furono alla base
della nascita del Partito Repubblicano Italiano. Tramite la Costituzione della
Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello per
molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base della
Costituzione Italiana. Inoltre ebbe una grande influenza anche fuori
dall'Italia: politici occidentali come Wilson (con i suoi Quattordici Punti) e
Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i quali Gandhi, Meir, David
Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano Mazzini il proprio maestro e il
testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la propria "Bibbia"
morale, etica e politica. Mazzini conteso tra fascismo e antifascismo M.
sul letto di morte L'eredità ideale e politica del pensiero di M. è stata a
lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in particolare durante
il Fascismo e la Resistenza. Già prima dell'avvento del FASCISMO, il
cinquantenario della sua morte e celebrato con una serie di francobolli. In
seguito, nel Ventennio fascista M. e oggetto di citazioni in libri, articoli,
discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore del regime
di MUSSOLINI. Secondo un appunto diaristico (intitolato "Ripresa
mazziniana") diBottai, però, l'utilizzo che ne fa MUSSOLINI e strumentale.
La popolarità di M. durante il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi
repubblicani che confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro
percorso di avvicinamento a MUSSOLINI durante la battaglia interventista,
soprattutto nelle aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e
nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si
guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo».
Particolare e il caso di Bologna, città in cui i repubblicani Nenni, e i
fratelli Bergamo presero parte attivamente alla fondazione del primo Fascio di
combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco dopo diventando avversari del
fascismo. Tra i più famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono
Balbo (che si era laureato con una tesi su "Il pensiero economico e
sociale di M. e del quale Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al
Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e
considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Malaparte e Ricci,
che nel FASCISMO vede la perfetta sintesi fra «la Monarchia d’ALIGHIERI e il
Concilio di M. L'intellettuale mazziniano. Cantimori, nella prima fase del suo
percorso politico che lo portò prima ad aderire al fascismo poi al comunismo,
considerava il fascismo «compimento della rivoluzione nazionale iniziatasi con
il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo risorgimentale e il
cinquantennio successivo avevano fallito: nell'inserimento e nell'integrazione
delle masse nello stato nazionale, nella creazione di una più vera democrazia,
ben diversa dal "parlamentarismo" e lontana
dall'"affarismo", dal "particolarismo", dall'"inerzia"
che avevano caratterizzato l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle
origini risorgimentali del fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti,
polemizzando con il movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio
critica il Risorgimento e indicò in M. un precursore del FASCISMO. La
tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso
sviluppata fino all'estremo. M., se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine
corporative, né ripudierebbe i discorsi di MUSSOLINI sulla funzione dell'Italia
nel mondo. La rivoluzione anti-fascista non potrà essere che una rivoluzione
"contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua
politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello
Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta
d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento
tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso,
dopo la svolta unitaria (che segnò l'inizio della politica del fronte popolare
con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i socialisti),
allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento operaio. I
fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano
anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della vita,
l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e una
dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni
scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della
morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali
manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il
fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno
forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo
come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la
situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale
italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del
giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata nel giorno della
proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che aveva avuto
alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in particolare
i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre
più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse che agiamo
nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la
lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di oggi. A seguito della
caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la lotta contro il nazi-fascismo
vide la partecipazione dei repubblicani (il cui partito era stato sciolto dal
Regime) anche attraverso la formazione di proprie unità partigiane denominate
Brigate M.. Anche un comandante partigiano, proposto per la medaglia d'oro al
valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia
mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di battaglia di
"Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota genovese. Altri
saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in Giuseppe Mazzini, Edizione
nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire
Editore Mursia Doveri dell'Uomo Editori Riuniti university press Roma Pensieri sulla democrazia in Europa, trad.
Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea Tugnoli, La pittura moderna in Italia,
Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento all'Europa Mursia Periodici diretti da M. L'apostolato popolare
Il nuovo conciliatore L'educatore Le Proscrit. Journal de la République
Universelle Il tribunoNote La Civiltà
cattolica, La Civiltà Cattolica, «La politica acquista pathos religioso,
e sempre più col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria
la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F.
Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e
avvenire, Paolo Rossi, Mursia, Milano; L'uomo nuovo in Montanelli, L'Italia
giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano, Schmid, Michael Rossington, The
Reception of Shelley in Europe Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti
di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli
Scritti di M., Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la citazione vedi
anche: Memoriale M.-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita
di M. su Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la
religione della libertà, edizioni Dedalo; Felis, Italia unità o disunità?
Interrogativi sul federalismo, Armando editore,, pag. 7. Comune di Savona Liguria magazine in. Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la
nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01 Patria, nazione e stato tra unità e
federalismo. M., Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche storiche, La
tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una
vita per un sogno, Guida, Il dubbio invece che si trattasse veramente di un
figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (M.: una vita per l'unità
d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata a
Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla
supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di
suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Mastellone, M. e la
"Giovine Italia", Domus
Mazziniana, («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a
Ollivier, che pubblichiamo, M., pur parlando di Giuditta come della propria
amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al bambino
come proprio figlio:...») Barberis, in Dizionario biografico degli italiani,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M. a Londra È l'autrice del
romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le
edizioni delle poesie del marito Shelley, poeta romantico e filosofo. Era
figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del
filosofo e politico William Godwin.
Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in
Europe Seymour, Mary Shelley, M., il
cospiratore senza segreti Lettere di
Mazzini ad Aurelio Saffi e alla famiglia Crauford Giuseppe Mazzatinti Soc. Alighieri Politica e storia Buonarroti e altri studidi
Pia Onnis Rosa Edizioni di storia e letteratura Roma M. «pavese» e l'Unità
d'Europa Quando M. scatenò il patatrac
sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a Giuseppe Mazzini, Grafiche Stella,
S. Pietro di Legnago (Verona) Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il superuomo.
Nietzsche: evoluzioni e involuzioni
Pensiero di M., brigantaggio: la Repubblica nasce nel nome di M., su
pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali
sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. Esule
antico, al ciel mite e severo Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu
solpensandoo ideal, sei vero». La stessa
semplice scritta volle Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla
propria tomba a Firenze Luigi Polo Friz,
La massoneria italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco
Angeli, Storia della Massoneria in Italia. L'influenza di M. nella Massoneria
Italiana in. La stanza di Montanelli L' unità d' Italia e
la Massoneria M. massone? A.Desideri, Storia e storiografia, IEd.
D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano
fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente
proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve
allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in
A. Desideri, Ibidem «S'identificò la
storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza
provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe
sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela
della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di
storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del
Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte
naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che
soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza
il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore,
conquistatore, perfezionante.» (cfr. Maistre, Il Papa, trad. di T. Casini,
Firenze) M., Fede e avvenire, M., Fede e
avvenire. Ha una visione utopica, romantica e anche sincretistica della
religione, che egli considerava come il contributo, in termini di princìpi
universali, delle varie confessioni e fedi alla storia collettiva.» SenatoDoveri
dell'uomo, M., Dei doveri dell'uomo
Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, M.
il patriota scomodo Reghini a metà
strada tra fascismo e massoneria «Noi
dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore
comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche
dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera questione di
parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano
ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai
inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava forse più
in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti all'ordinamento della
futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di
serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere
l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla
scelta dei rimedi» (M. su Pisacane)
Lettera a Forte Londra. Noi crediamo in una serie infinita di
reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle
quali rappresenta un miglioramento ulteriore…» (M., in Bratina). La vita
d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri
che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni
sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita
immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che
cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo). Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto
inaspettato di Mazzini Il Foscolo, che
scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un "libercolo"
attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi futuri, affermava che la
fama dell'abate era "santissima" tanto che Montaigne, desiderava di
poter vedere questa meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les
papes futurs, leurs noms et formes» G.
da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti
manoscritti di Mazzini, Impronta, Torino, Sarti, M. La politica come religione
civile, con postfazione di Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, A.Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti,
Mondadori, Milano, «L'Italia trionferà
quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C.
Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano; M.:
comunismo vuol dire dittatura Il
"Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3° M., Doveri dell'uomo, cap.XI (in Baravelli,
L'Italia liberale, ArchetipoLibri, A.
Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, POMBA, 1G. Mazzini,
Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e
inediti, II, Imola, M., op. cit. Nome
col quale i greci indicavano l'Italia antica
L. Stefanoni, G. M.: notizie storiche, Presso Barbini, Ricordi dei
fratelli Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza Documentati colla loro corrispondenza, Dai
torchi della Signora Lacombe, Pisacane. Volantino pubblicato su "Italia
del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di M.?, in la stampa. D. Smith, M.,
Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia dell'unità d'Italia: fatti e misfatti
del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore, Cappa, Cavour, Laterza, definizione di
Cavour riportata da The Morning Post. We have three Irelands, in Sardinia,
Genoa and Savoy La terza Irlanda, Gli
scritti sulla Sardegna di C. Cattaneo e M., Cattaneo, M., Francesco Cheratzu,
8pagg. M. La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The Illustrated
London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le citazioni
sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti, Mondatori, Milano,
(Fusaro); Benedetti “M. in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa';
Dal diario di Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione
nazionale di M. trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte pagine. O
meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne
tirava fuori brandelli di M. A quando a quando il brandello anti-francese,
anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc. etc. Brandelli, mai
tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia personalità; S. Luzzatto,
Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista della Società italiana per lo
studio della storia contemporanea (Roma: Viella); P. Benedetti "Mazzini
nell'ideologia del fascismo" G. Belardelli,
“Camerata M., presente!” Gentile, Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti
tentarono di arruolarlo, Corriere della Sera; “Manifesto realista” pubblicato
sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici Mazzinianesimo, fascismo, comunismo:
l'itinerario politico di D. Cantimori, R. Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo:
L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del
Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni. Togliatti, Sul movimento di
«Giustizia e Libertà», in Lo Stato operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti);
Fatica, Amendola, Giorgio, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mieli,
"L'Italia impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della
Sera, M. Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della
Sera in Arianna editrice Mario
Ragionieri Salò e l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art.
cit. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.
“Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla
famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La
democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi,
Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph
de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino,
POMBA); Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, Chabod, L'idea di
nazione, Bari, Laterza, Monsagrati (Milano, Adelphi); Batini, Album di Pisa,
Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano,
Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; Albertini, Il
Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, Smith (Milano, Rizzoli); S.
Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); Desideri,
Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come religione
civile (Roma, Laterza, Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia, Marsilio); Galletto,
Nella vita e nella storia” (Battagin); N.
Erba, Unità nazionale e Critica storica, Grasso , Padova. N. Erba, Il
Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava Appendice. Storia e
politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear Kate. Lettere
inedite di M. a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani a Londra, Rubbettino;
Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I sistemi e la
democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di M. scelta di pagine
dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo, repertorio dei
nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche e
incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo, G,M.-
L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella
rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R.
Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. M., sceneggiato RAI, regia
di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di Magni. M. è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M.
Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Garibaldi, miniserie di Rai 1 ;
interpretato da Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio, regia di Emanuela
Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana Doveri dell'uomo
Mazzinianesimo Monumento a M. (Firenze) Museo del Risorgimento e istituto
mazziniano Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento. su Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia. Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,. su sapere,
De Agostini. hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera,
Camera dei deputati. Istituto Mazziniano
a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia,
su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini.
Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della
Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su
domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni
e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti
editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica
Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la
giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia
fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana,
stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Mazzoni: l’implicatura conversazionale – la vita attiva dei romani – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Cesena). Filosofo italiano. Grice: “Mazzoni is important on various
fronts: he loves Dante, or Alighieri as Strawson calls him – his library in
organised alphabetically; the other front I forget!” Compì i suoi studi di
lettere a Bologna e quelli di filosofia a Padova. Membro dell'Accademia della
Crusca, fu tra i preferiti del papa Gregorio XIII che lo avrebbe voluto
prelato; Mazzoni preferì proseguire nella carriera universitaria. Dapprima fu
all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove ebbe la cattedra di filosofia. Nella
città della torre pendente, conobbe un giovane insegnante di matematica, Galilei,
con il quale instaurò ottimi rapporti. Invitato ad insegnare all'Università La
Sapienza di Roma. Benché avesse da poco preso questa cattedra, seguì il
cardinale Pietro Aldobrandini nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a
Venezia. Ammalatosi sulla strada del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si
spense. Opere: “Difesa della Commedia di ALIGHIERI Grazie alla sua preparazione
letteraria, giunse alla notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di
Dante, pubblicato a Bologna inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno
successivo sotto il suo vero nome, in cui criticò aspramente Leonardo Salviati.
Nel testo egli risponde ad alcune contestazioni fatte alle sue elucubrazioni
sul sommo poeta Dante Alighieri. Parimenti nel libro si occupa anche di
argomentazioni pertinenti alla filosofia ed alla poetica”; “In universam
Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia Interessato anche
all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che risulta il suo testo
più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis philosophiam
preludia. In questo saggio egli sostiene il sistema geocentrico aristotelico
contro la sempre più diffusa e apprezzata teoria copernicana eliocentrica.
Questo volume è divenuto molto noto poiché Galilei, dopo averlo letto, gli
inviò una lettera, nella quale difendeva Copernico e le sue teorie. Questa
missiva rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione alla teoria
eliocentrica di Galilei. M., Prefazione,
in Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del
divino poeta ALIGHIERI, S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio);
“Discorso in difesa della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena,
Raveri); “De triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa
methodi tres, quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem
distinctae in quibus omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum
in universo scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della
difesa della Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio),
“Intorno alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla
storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena,
Raverio); “Ragioni delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della
storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam
Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Toffanin, M. nciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M.,
su sapere, De Agostini. Davide Dalmas, M.
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M.,
su accademicidellacrusca Accademia della Crusca. Opere di M., su ope nMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di M., Benedetto, M. in Enciclopedia dantesca,
Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario Enciclopedico Brockhaus Efron, Маццони,
Джакомо. Ostracismum laudabit huius ce Reipub. formam ciae et A J de Repub.
ses, illud affequebantur, quod improbi meliores essent co- Achen. oss ditione, quàm
probi, quod quid ememanavit ex eo, quod REI PUBLICAE ROMANORVM FELICITAS cibiadis. VITAE
ACTIVAE. Ficienda erant, ad Confu pertinebat examinare diligenter, coaciones quoties
opus est et evocare, So Cspopulore ferre, quicquidque maior parsius filler exequio1
quin etiam in his quae ad belli apparatum et castrensem disciplinam pertinet, hi
summon i imperium habebant. Hiseniius erat sociis quic quid visunt eller
imperare, Trib. militum creare, de l e ett uniq. Habere, ad haec de his qui sub
corum imperio erantin castris arbitratu suo supplicium fumiere, his praeterea
licebat comitante quaestore, lacse dulo imperata faciente, publiciaeris, quantum
resipsa posset, Rei-pub. forniani Regiam esse.
Senatus autem primo quidem acrarii totius dominus erat atg; administrator:
nam et redditus omnes in eius erant potestate, et eiusdem arbitratu im pensae
fiebant, malefi ciaque et crimina PER ITALIAM commissa, de quibus iudicium
publicae fieri debebat, ut puta proditionis, coniurationis, beneficii, caedis,
at q ; insidiarum ad Senatum refeerebantur, eiuss; de his erat cognitio quod si
vlla APUD ITALOS controversia dirimenda, si publica, vel privatim qui spiam, vel
civitas ob iurganda, si cui auxilium, aut praesidium ferendum esset, de his
omnibus curam Senatus ad hib ebat. codemo popularis Rei-pub. fornia videtur. Consules enim ante quam ex urbe legions educerentur
quinimo et quaede Res Publica per populum transigenda. Et có. ,{{1 Pin !! porro
tulerit impendere quod fi quis ad hanc partem respexerit, probaliter dicere
videre licet tuni Regiam, optimorum, populiģ; gabernationem: quoties enim Consulum
imperiuint ueamur, Re gia, quoties verò Senatus authoritatem optimarum admianistratio,
quoties autem populi potestatem respicimus, banaruni omnium rerum ins, atq; imperi
una habebant: his et enim caeterionines magistratus praeter Tr.Ple.fa? bijci ebantur,
hi legationes in curiam traducebant, hic ea leriter quae errant decidenda ita tuebant,
negociaģ; magna ad Senatum: referebant, et penès ipsos vtquae patres de:
creuissent sedulo perficerentur cura omnis et administratio erat METHODVS. codemq;
modo fi extra ITALIANI ad aliquos legat somittenda esset, vel ad aliquid decidendum,
vel ad foedus faciendum, vel ad cohortandum, vel ad imperandum, aut poftre mo
ad resrepetendas, aut ad bellum in dicendum, haec in yrben venerint agendum, quid
eis respondendum in populo commune, ad eo ut quoties quis ad urbem consulibus ab
sentibus profectus esset, prorsusei Respublica optima tum confilioregi et
gubernari videretur, quod fanem multi graecorum et regum per sua sum habuerunt,
quod negocia, quae in urbe haberent ferem, omnia per Senatum tra is incos, qui maiores
magistratus gessissent, admittebatur solus autem capite damnandi potestatem habuit,
qua in re illuds anèapudeos commemoratione dignissinum fuit, quod eorum
instituto iis qui capitis damnati fuerant, ut on ex urbe palan egrederentur, permittebatur,
acfi Tribuum una ex his, quae iudicium exercebant reliqua fuerit, quae in non dum
suffragium tulerit, exiliun: reo sibi arbitratu suo deligendi facultas dabatur,
exulesautem Neapoli [NAPOLI], Praene siæe,Tybure, atg; in alia quauis foederatorum
urbe tuto elle deferebat, lege etiam comprobandi, ac sanciendi ius habebat et
quod caput eitis de pace de bello, defoedere, decom trouersiis decidendis, aur componendis
deliberavit, atque unum quod quem horum ratuni, aut irritum faciebat, quibus, ex
rebus probaliter pofleta liquis dicere, populuni si bi maxima min Res Publica partem
vindicasse, ac Rei publicae formam Senatus ipse curabat, et providebat. Praetere
a quid delegationibus ex terarum gentium, quae
ex populi administratione confatam fuisse. Quò igitur pacto Res Publicae,
in partes diftributa fueritiam sigerentur suae tianı populo, et eaquidem amplissima
pars reli&a est: poterant praeterea populus ipse magistratus dignissimis quibusque
Senatus voluntate, arý; arbitrio pofitumerat.
atq; horum quidem, quae superius dicta sunt nihil est cum folusenini in Republica
et poenae, et praemiis potestatem habebat, et plerunq; in aliis etiam qua estionibus
quoties gra priuior alicui maleficijmulata irrogannda esset et praesertim
ditum VITAE ACTIVAE rendas, ac perficiendas idoneus hauderat conttar enim
legionibus eorum aliquid missum, quae illis publice suppeditari solebant, namq;
fineS.C.neớ; frumentum , neq; vestimenta, nec obsonia legionibus administrari
poterant, ad eo ut eorum, qui exercitus duxissent expeditiones et consilia omnia,
quoties eis obstare, cum eila; maligne agere Senatus inanimum induxisset, irritaredde
rentur, et minimem ad exitum perducerentur: quin ut quae ili animo et
cogitatione complexi fuerant, ac sibi proposuerant perficere possent, ili Senatus
voluntate positum erat: nam is post quam niannuum tempus praeterierat, aut
successors mittendi, aut imperium prorogandi potestatem habuit, ac etiam penem se
undem fuit ducum res gestas et dignitatem velex tollere, atý; ornare, velele vare,
ac deprimere :nani triumphos, neộ; ut I decet apparere, neġ; ducere cuiquam
licebat, ni aliensus fusset S e longissime abfuiflet, populi certe aflen su opus
erat, quodq; est omnium ferem maximum , omnes imperio deposito, populo eorum
quae gesserint rationem reddere oportuit, qua propter Consulibus, caeteris; Imperatoribus
minime expediebat, Se. po. quem voluntatem erga se conteninere rursu siani Senatus
quam uistant umin Res Puplica potuerit po illius authoritatem approbasset
populus, praetereasi quisex Trib. pleb, intercesserit, nedum Sena erat 1 natus,
et ineius fumptum erogasser necessaria. Et siquis ex prouincia decedere voluisset,
quamuis domo pulum tamen intueri, ac illius rationem habere coactus fuit: in maximis
enim ,atg; atrocissimis quaestionibus eorum maleficiorum, quae contra Rempub.conmislaca-.
piteple&untur ,nihilSenatus ex equipotuiffet, nisi prius tus nihil eorum
quae decreuerat perficere: sed ne sedere quidem, automnino incuriamvenire poterat:
Trib.autí 11 di & um est: nunc autem quaratione potuerint partes illae
quoties voluerint, sibimutuo repugnare, fibiq; inuicem opitulari, dicendum eft:
enimuerò Consul poft quameani, quam superius dixi facultatem adeptus, copias
eduxerat, funini o quid e mille cum imperio videbatur esse: verum populi, ac Senatus
auxilio indigebat, ac sine his adresge 1 erat officium id femper exequi:
quod populo visunr fuerat ciasý voluntatem quani maximè respicere, his omnibus
cepissent, eos relevandi; siquae difficultas, aut publicuni seei sintortunium; quo
minus ellent foluendi obstitisser, loca . tionemg prorfusin ducendi, ius et
potestatem habuit. 7 eodenie modo Consul ut hac tionibusti midem, ac minime
libenter aduers ab an turtum populus, tum Senatus caniforis, militiaeque; universus
exercitus, et singuli, quia fub c o ad se inuice miuuandun, et impediendum
adomnes rerum 217;.occasiones; ex opinione Polybije aminterse aprem, conue Bodi
nichteré connexae; dispofitaeq; fuerunt,vt hac nullam e Izifior, praestantiorg Rei
pub formare periti potuerit.' name, cum habeant omnes Res pub. In orbe quandam
có 11.4, versionem et mutationem. Nullam ipse hac firmior emar Essen bitratus eft,
fiquidem poft uniuersalia dilaniaa missis, ac sublatis artibus et studiis,
aliquo post tenporis intervallo rursus humanum genus auctum et propagatum fuit,
quo tempore in homini bas naturale arbitrary debemus, quod etia in in ratione carentium
animalium generibus comtin gerevidenius, inquorum gregibus fortiffimus quisý; manifestò
principatum fibi vendicat: omnes enim fortissimum et potentissimum fectabantur,
aró; ita vnius dominiuni oliniigitur quisemel honore illo digni habiti sunt in regnis
consenescebant iusta studia fe& antes nullaq; propter eos invidia, fi qui
de m non magna in eis aut v i et tis, aut verò omnibus Senatus praeerat. idem
diem proferendi, fiquam publicani calaniitate mac rum imperio, ac potestate eflent.i
Haecporrò cum elfét vnius cuiusý partium vis et facultas METHODVS decáüllis multitudinem
Senatus metuebat, ad populique : voluntatem , studi uni et cogitations suas dirigebat.
At contra Senatu i populus ipse obnoxius, et subie&userat, eumque universim,
et singulatim colere, arg; obseruare sua per magni interesse putauit, cum enim effent
in ITALIAM ul bidid tave et igaliuni genera, quae Censores in fumptus appara
33°53.stusd; publicos locare solebant:in his omnibus conducen discurandis
populus implicitus esse confutu i c :his ve constitutum eft. 287 H Iitus
kitus gracatio cernebatur: verum funiperin emculisciuium wi t a n i lag
cotes, eaem qua populus victus ratione vte ban 7 sed post quàm horum filij cum
iam comparata haberent imperio, essent differre et ad haec licexe etiam spemine : prae metu contradicente: in concesus concubitus
appetore, ató;ita coorta eft ex RegnoTyrannis. Noći atg hoc manifestem liquet, ex
Cyri, Cam.bylif que imperio, fortissimis viris coniurationes, adinuante etiam
ducum En suorum consilia multitudine, atg; ilius imperii quodpe nesvnum erat
forma facile vedelereture ueniebat, atque indeiam optimatum principalu sortunt,
atque initium accepifient, educati abinitio in poteltate, ang honoribus
apparatus, alijsad vim mulieribus per Itapra, et raptus inferendam , alijdenių;
adaliaturpiale conuertebant, atậ; ita optimatum principatus ad paucorun dominationem
hinc illorum imperioper idem quod tyrannos oppresserat in fortunium finiş imponebatur,
ncq; praeterea Regen creare libuit sobiniuftitiac, qua superiores vsi fuerant metum,
neg; pluribus committere Rem publicam audebanttam re centi rei malae gestacniemoria
ad suanı igitur fidem publica recipiebant, atq, ita popularis fornia effe et aeft
horum postremo filii plus caeteris in Res Publica posse contendebant; atg; sinhanc
cupiditatem, maxime locupletiores incidents maximis pecuniae largitionibas plebem
cor runipebant VITAE ACTIVAE paternis, propter eaae quabilis, communisų
libertatis ru ;,-des& ignari, alijvinolentiam ;& luxuriofosconuiuionum
translatuseft. praesidia,& rebusadvi&um pertinentibus,magis quàm pro
neceffitate abundarent, ob nimiam bonorum copiam, atq; aff.uentiam cupiditatibus
obsequentės, arbitratifunt oportere principes, ornatus et epulisabijs, quifubeoruni
f :: quod& Herodotus affirmat contra huiusce modi principes fiebantàgen crofiffimis,&
1 1 tur . duxit . hiprinò administratione gaudentes commun ivtilitate del nihil
antiquius habuere, 31.disinijinsi. Sed emi a n i eorum liberi e andem å
patribus potestatem METHODUS I rumpebant, quae affirefacaaliena bonaconselle,
vitách; suae spem omnem in alienis fortunis ponere facileducem elaro animo, ace;
audacise et abatut,atý;tum Rei publicae for mailla, cuius conservatio in flavum
fiducia posita est, nascebatur, fiqui deintum plebs in vnum coactacaldem facere,
ciues eijcere, proscriptorum; agrosdiuiderein Scipiebat, donec facuum tuufus, &erforatum,
vniusiruperit *0 um reperiretur, qua propter his motus rationibus eamprae caeteris
lau Res publicae benainaliam bonam non mutetur quam bona innalam, siquidem ut Aristoteles
dicit in habentibus infi dese symbolum facilior eft tramlitus, an quia fimilitudo
ila, ali neracione. Quam qaog contrarieta temr equirit? quodquidéin Ele's atme
mentorum trasmutatione liquid paret: inhisverò
Reip. niutaionibus, quis fimilitudineni, & contrarietateinnes gabit) FACVLTAS
ROMANORVM . quo ad leges veròattinet, quibusviifunt ROMANI, occur
rimtnobismulca, quae vt figillatim esplicentur,rom ab otoexordientur; &
inprimisant equam ROMULUS [ROMOLO] leges 1.2. demai. vixit .pokea loges quasdam
ipse tulit, cum alijs sequentibus Ro. gibus, quas curiatas appellarunt, fequidem
conuacat oper triginta curias populo Imgalifý; curiis inseparatas epra constitutis
et sententiam rogatistege solim ferebankor,;? quae populi congregario comitia
curiata dicebantur, à cocundo; quòd populuscoiret,et viri timlogesterret, et
dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle: camépo pulo eaporekasrelictaest, vt
plebiscita, & leges comitijs. Dät Polybius, quaeonines Rerum pub. forniasin
seconti not atg congregat, ne quacar uim vlera quàm facis fit au & a 1ist.
& prouceta in sibi adherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret: fódvniuf
cuiufớiroboreac potential interfeinui liseem obnitentesulla ciuitatispars vfquam
declinaret, ne 1.Dvivein altum propenderer. ex supradi& isautem dubucabit
forfan aliquis,curfaciliusa Pomp.in suriaras ferret populus incerto iurs, incertis
que legibusparis. H 2 curiaris LECALI vinil 1.& ler VITAE ACTIVAE.
COROLLARIVM Augusto [OTTAVIANO] hinc et Suetonius ait Tiberium à [GIULIO CESARE] in foro legecu riaelle adeptatum,
hoc eft suffragiis populi percurias collectis. quidam retulerunt. pe: TAPE PTA
LEGALIA ! Ilarunt, ad haec verò addita su t plebiscita, Senatus consulta, practorumedicta,
et principum placita,exquibus EJSER Servorum verò (cuius origo deiu regentium fluxit)
iuxta curiatis ferrentur,iii IB":NOI 3quaedam .de iur. 8oz idem parierro relabitur
ybi putabat,cum quiinciuitate sua Facinus patrasset, si in alium lo cum peruenisse
t accusam o m . iud. ai tik di t e r e a sunt prudentum declarationes, quas
responsa appeluorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps Regibus lege Tribunicia Regum
leges antiquataesunt, poftquècaepit POPULUS ROMANUS incer tomagisiure&
consuetudine aliquavti; quamlegelata, done e decem viri leges à Graecis
petierunt, quas in tabu liseburneis praescriptas pro roftrisappo fuerunt,vt faci
lius percipipoffent, atý;cum animaduerfumeffet aliquid 1
primisistislegibusdeelle; aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,&
itaexaccidenti appellate esuntleges duodecim 14 'ride illo crimine non potuisse
exemplo Hermiodori. Qui demomn eius ROMANORUM coaluit. 804 quod quidem universum
refertur, vel ad personas,velad res, vel ad a & iones. Iureconsulti verba vnatantunt
fuit conditio, istig;domi defta.ho. nioalieno contra naturam subijciebantur.
:.ning Liberi in li. cum TABULARUM, quarum ferendarum authorem fuiffe X Cicerone
.I.v.in. viris Hermodorum quendá Ephesum exulantem in ITALIA Tus, argumentum ad
exules. net ibni I PERSONAE lib.3.f. dedos hominesautem autliberisunt,autferui.
fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuius
Hermodorinon rectè colligitBaldus
{,oz inillisautêquiafummaeratobscuritas desiderataeprop habent,quodlibet
faciendi legenon prohibitum , atý;isto rum , alij sunt liberti, alij libertini,
alij ingenui. Quià mortein vita millosre uocarunt, appellabantur. -horun, autem
alij ciueserant ROMANI, qui vindicta, censu,Vlp.cap.s. : aut testamento nullo
iure impediente n i anumis li sunt, alij instic. latiniIuniani,quiexlegelunia
interamicos manumisli funt, alijdeditiorum numero, qui propter noxam torti
nocételáinuenti sunt, deinde quoquomodo nianumisli. LIBERTINI. INGENVI. $ 11.
Ingenuorum veròalijluisunt iuris, alijverò alieno iuri fubie&i. et savie quialieno iuris ubie et isuntfilij familias
appellan-1.1.f.&his tur, qui inditione, et potestate patris sunt vel natura,
velquisútlui adop. natura sunt qui ex nuptiis
uxoris et maritioriuntur. NVPILAE. Nuptia cverò apud ROMANOS tribus per ficiebantur
modis Bəê in2: tiaeper coemptionem. Mulieres autem quae in manu per
coenuptionem conue nerant matres familias vocabantur, quaeveròvsu, velfar
reationeminime. caeterae aliaevxoresvsu erant. Anim aduertendum est autem
maximam fuisse differentia adoptione. Farreatione nempè, coemptione, &ylu, &
fanèfar reatio Top. Cicerone folis pontificibus conueniebat. coeniprioverò
cereis solemnitatibus per agebatur, fese.n. 1. 2. ff.de METHODVS Liberi sunt qui
nullius imperio subie &I facultatem liberā LIBERT1. Liberti funt quos domini
ex iustaserui. Il convito di Platone. Discorso de' Dittonghi di M.
all'Illustrissimo Signor il Signor Francesco Maria de Marchesi del Monte. In
Cesena Appresso Raverio. Questo Discorso sitrova altresì inserito nella celebre
Raccolta degli Autori del bel Parlare, impressa nella Basilicata. II.Discorso
di M. indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante. In Cesena per Bartolomeo
R a verii in4.Ladedicaè AlMoltoMag.mioSig. Osservandissimo il Sig. Tranquillo
Venturelli . Da Cesena. De’ motivi, che indussero l’autore a scrivere questo
dotto ed ingegnoso Discorso, se ne ragiona qui addietro a cart.19. e segg. III.
M. Oratio in funere. Guidiubaldi Fel trii de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri
apud Hierony mum Concordiam. in4. IV.M. Cæsenatis deTriplici HominumVita , Activa
nempe, Contemplativa , ei Religiosa Methodi tres, Qyestionibus quinque millibus
centum etnonaginta septem distincta. In quibus omnes Platonis et Aristotelis,
multæveroaliorum Græcorum, Arabuin, et LATINORUM in universo Scientiarum Orbe
discordiæ componuntur. Quaomnia publice disputanda Roma proposuitAnno salutis
Ad Philippum Boncompagnum S.R.E. Cardinalem amplissi mum. Cæsena Bartholomæus Raveriusexcudebat
in Questo volume contiene le celebri conclusioni
di quasitutte le scienze, che M. difese pubblicamente con meraviglia di
tutta S2 . 1 1 Ita 1T Della Difesa della Commedia di Dante
ec. Parte Pri ma, che contiene li primi tre libri, pubblicata a beneficio del mondo
letterato. Studioe Spesa di D. Mauro Verdoni, D. Domenico Buccioli Sacerdoti di
Cesena , e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante
Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referendario,
Abbreviatore de Curia , e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost.
CommissarioGenerale.In Cesena Per Verdoni. in e V. Della Difesa della Commedia
di Dante distinta in seta te libri; nella quale si risponde alle opposizioni
fatte al D i s corso di M. e sitratta pienamente dello arte Poetica , e di molt
altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle belle Lettere Parte prima ; che
contiene i primi tre libri.Con due Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe
verendissimo Sig.il Sig. D. Ferdinando de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In
Cesena Appresso Bartolomeo Raverii in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa
Disputa in Roma, com' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna
nelFebbrajo dell'anno seguente; on degliconvennemutare il frontispizio al suo libro,
e porvi: Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno Salutis Veggasi
qui addietro ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodi questo libro.Della
Difesa della Commedia di Dante distinta in sette libri, nella quale si risponde
alte opposizioni fatte al Disa corsodiM. M. esitratta pienamente dell' Arte
Poetica , e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle
lettere. che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora pubblicata
incuisitrova, cosìpergloriadel M., come per le insigni qualità del Prelato, che
vi si rilevano, cred o ben fatto di riportarla in questo luogo, e dèla seguente.
a beneficio del Mondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD.
Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata Ad Albizzidell'una e
dell'altra Segnatura Re ferendario , Giudice della Sacra Congregazione di
Propagan da, ePrelato domestico di N. S. Papa Innoc. XI. in Cese na per Severo
Verdoni in 4. Nell'occasione , che D. Mauro Verdoni , illustre letterato di
Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare questa seconda parte della Difesa di
Dante , vedendo che la prima era di già divenuta assai rara , si determinò d i
dover ristampare anche questa , siccome fece, dedicandola a Monsig. Sante P i
laseri Prelato Cesenate per dottrina e per esemplarità di costumi
riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal effetto al Verdoni ed ajuto e
favore . M a essendo Monsig. Pilastri passato a miglior vita in tempo che appena
n'eraterminata la stampa, convenne aglieditori procacciarsi un nuovo Mecenate ,
cui subito ritrova rono senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di
Monsig. Dandini Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è
avvenuto che quasi tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a
questo secondo , ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale
siconserva pres so dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig. Dandini. La dedica
a Monsig. Pilastri è in data, e quella a Mopsig. Dandino è de'17. dello
stessomese edanno. Epoichè questa prima dedica merita assolutamente d'essere
tratta dall'oblivio ne Illuge 'animo fatociperultimare que sta grande impresá
frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato convenientissimo debito
presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di dovuta restituzione ,
eriman dar (comesidice) questo FiumealsuoMare. Nepunto erriamo, sesottonone di Mare
ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i tesori delle
Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga che, se
sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita,
a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi
Avi, eregga agli Eroi del Paradiso gli Altari;sovvengaleCongregazioni del
Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità
dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami
delpiosuo Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla scena
del Mondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del
pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso
meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi
Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed
invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili doti, che
adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere, che sia
sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi parti il nostro
M.; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti, edalle prime
Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi iportenti di
questo grandeingegno. Ondenoiin considerazione delle grazie tan tevolte compartiteci,e
dell tria , ' Fondatore , non potiamo, nè dobbiamo concludere altro della
religiosa prodigalità della sua mano , se non quello, che della mano
dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1 Præceps illamanus
Auvios superaba tIberos, zioni,eprove dell'amore che V. S. Illustriss. le
porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati della sua pietà a
risplendere o ne' Tempii, o negli Altari, non le consacri tuttose stesso in
olocausto? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia , proseguiressimo a
mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la Patria, e noi tutti ;
giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori, eisovvegni conseguiti dalla
bontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens . A questo Mare adunque, la di
cui gentilissima aura hacci sovvenuto a condurre alporto un Opera contrastataci
da im. petuosi aquiloni di mille infortunj, abbiamo noi presentato nella tavola
de nostri voti questo eruditissimo libro, col solofinedi rimostrare
all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra Patria ha saputoprodurre i M.,
i > Chiaramonti, i Dandini, e gli Uberti, preseduti alle pri me Cattedre di Roma,
di Parigi, di Bologna, e di Pisa, ha ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimi Figli,
chegli hanno generosamente accolti, favoritiegraziati.
Egiacche questa Difesa per se stessa rende immune da qualsisia di fesa
l'Autore, che ha saputo mettersi in tal quadraturii coll' altissimo suo sapere
, che non paventa veruna offesa; resta perciò liberaa V.S. Illustrissima lasola
difesa epro tezione di noi, che abbiamo volentieri registratoin questo Libro
lossequiosissiino e riverentissimo tributo della nostra divozione al di leigran
Nome; che non potrà mai ricor darsi e da noi, e dalla Patria tutta senza
rassegnargliene con un eccessivo ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè
chi è , che nella Patria in vedere le affettuose dimostra f > mula di
quelGrande, neque negavit quidquam peten tibus; et ut quæ vellent, peterent,
ultrò adhortatus est. Cesena. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di M.
intorno alla Risposta ed alle opposizioni fatregli da Patricio , per est
. M a vaglia per tutti, e sia ne' fasti dell eternità a caratterid'oro
registrata la grande restituzione , che ha fat to alla Patria del suo
gloriosissimo, e primo seguace del Redentore, Martiree Pastore d'EvoraS. Mancio
ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata dalla dilei Pietà ravvivata ; le di cui
Sante Reliquie , fatte portare dalle ultime regioni del Tago , siccome hanno
impietositi gli Altari , così ancora hanno indotta tal venerazione del di
leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar ella corona più preziosa di
quella , che da' Romani donavasi a chi rendeva i suoi Cittadini a Roina; ovvero
che solamente lapietà di Monsig. Sante ha saputo accrescereifigliSanti
allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede ogni giorno più sta
bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena. Viva dunque il nome
di V. S. Illustriss., e fino che i nostri celebratissimi Rubicone e Savio
tributeranno i loro liquidi argenti all'Adriatico, resti impressa negl’animi di
tutti la memoria di si gran Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti moteo , a cui
non Atene, ma Cesena , che è pur l'Atene della Romagna, ergapertrofeouna corona
di cuori. Mentrenoi. restringendocia supplicarladigradire quest'attestato delno
stro umilissimo ossequio, riverentemente inchinati, la sup plichiamo anon
isdegnarsidi permetterci, che ci pubblichid mo per sempre Di V.S. Illustriss.e Reverendiss.
Vmiliss.e Reverentiss. Servi Obblig. D.Verdoni , e D. Buccioli > te
145 tenente alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa di Sositeo Foeta della Plejade.
InCesena appresso Bartolomeo Raverii .in4. VII. Ragioni delle cose dette ,
ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema
Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per Bartolomeo R a verii in4. Del merito diquesti dueOpuscoli, e della
cagione, che indusse l'autore a scriverli , si vegga acart.78.e
segg.,eacart.84. e85. Jacobi M. Cæsenatis , in almo Gymnasio Pisano Aristotelem
ordinarie, Platonem vero extraordinem profitentis, in universam Platonis et Aristotelis
Philosophiam Preludia, sive de comparatione. Platonis et Aristotelis. Liber
Primus. Ad Illustrissimumet Reverendissimum CarolumAn sonium Pureum
Archiepiscopum Pisanum .Venetiis Apud Joannem Guerilium in fol. Questo volume ,
che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo capo d'opera, si
vede al presente giacere quasi in una totale dimenticanza , colpa de' nuovi
sistemi di Filosofia , che di poi si sono introdotti . Ad ogni modo è opera
dottissima, e quanto mai si possa di -. re ingegnosa, e nel suo genere affatto
singolare; con tenendo quasituttiisistemi degli antichi Filosofi esa In
Exequiis Catherina Medices Francorum Regine. Florentia apud Philippum Jun
ctamin 4. L'Autore dedica questa sua Jacobi Mazonii Oratio habita Florentia
Idus Orazione al Duca di Bracciano per 1 ! i molti favori , che avea ricevuti
da questo m a gnanimo eliberalissimo Signore;dallacuigentilepro pensione verso
di sè dice, che sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose
molto maggiori .mi . T minati ed illustrati in una maniera
sorprendente. Lettere . Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini
si trova impressa a cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini
sopra il Discorso di esso M. in difesa della Commedia di Dante . In Siena
appresso Bonetti. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono a
carte e delle Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini
sopra la prima parte della Difesa di Dante di M.. In Siena appresso Luca
Bonetti. Ed una indiritta a Speron Speroni staa cart.355. del volume quinto di
tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia. Dialoghi in
difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi dialoghi fa menzione M,
medesimo alla pag. 20. delsuo Discorso de’ Dittonghi; e dice ch'era presto, a Dio
piacendo, periscamparli, il chepoinon fece, forse per essersi ricreduto sovra
tale materia; giacchè allora, che era molto gio Considerazioni sopra la Poetica
del Castelvetro. Que ste furono mandate dal Mazzoni al Barone Sfondrato, che ne
dà ilsuo giudizio inuna lettera scritta all'autore t r a quelle del Vannozzi.
vane XIII.Commentarj sopratutti I Dialoghi di Platone.P rea se M. a scrivere
questi Commentarj per soddisfazione di Francesco MariaII, della Rovere Duca
d'Urbino, ed egli medesimo ne fa menzione in una lettera scritta a Veterani
Ministro del Duca, come pu . re a reinaltraa Belisario Bulgarini,
cheleggesi acart.213. delle Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul
garini. M. medesimo poiacart. della DifesadiDante nomina isuoi Commentarj sopra
il Fedone, XIV . Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone. Compose
M. quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e. disse a Roberto Titi
che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante.
Veggasi quan toda mesenediceacart. 44.e98. delpresentevo lume. Censura del
primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Simon in una lettera
a Dandini, che si legge a cart. della sua Biblioteca Critica , afferma d'aver
inteso da questo Prelato , che M. avea scritto contro il primo tomo del Baronio
, tosto che questo uscì in luce , e che
il manoscritto di quest'opera sic onservava nella libreria delGran Duca. Discorso
d'una breve Navigazione, chesi puòfare da Portugallo nell'Etiopia, e nel Paese
del Prete Janni . A Buoncompagni General di S. Chiesa, e Marchese diVignola. Questo
si trova in una Miscellanea della Biblioteca Vaticana. Discorso sopra le Comete.
Anche questo Discorso, lodatissimo dalSig. Guidubaldo de' Marchesidel Monte
celebre Astronomo, dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici
Urbinati; ma per diligen zefattenon siè potuto rinvenire al num.513., allegato
dal Conte Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del
Zolfo, e dietro a lui da Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . Biblioteca
Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di quest'operetta si è da noi detto
alla pag. 101. La Fisica , e i Dieci Libri dell'Etica d'Aristotile. Tadini
scrive che il manoscritto originale di quest'opera , mancante però e imperfetto
, si conser vava alquanti anni sono presso ilSig. Gio: Antonio Al merici Nobile
Cesenate. Il medesimo si afferma da Ceccaroni in alcune memorie mano scritte,
comunicateci dal Ch.Sig. Arcidiacono Chia ramonti , dalle quali si apprende ,
che lo stesso Cecca roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica;
ma sento che questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi. In universam
Platonis Rempublicam Commentaria. Della Rupubblica di Platone da sé commentata
fa ri cordo M. medesimo nella lettera di ZQ / 148 ν gata al Sig. GiulioVeterani;
dicendo,che quantopri ma pensava di mandarla , o di recarla esso medesimo al
Sig.Duca d'Urbino. alle La X X . Orazioni . Di varie Orazioni dal nostro autore
composte in diverse occasioni , e non mai pubblicate, si è fatto memoria nel
decorso di quest'opera , prima viene accennata a cart.89. , detta in Pisa nell'
aprimento degli Studi in lode della Filosofia . La se conda scrittada lui eloquentissimamente
per movere il Pontefice Clemente VIII. a ribenedire il Re Arrigo IV. di Francia
a cart. 99. La terza detta ne' funerali del celebrePierAngelio da Bargaacart. 100.
El'ultima final mente recitata nell'Archiginnasio Romano , facendo una
comparazione tra l'antica Roma e la moderna ; . della quale sifavella
acart.112. Lezioni. Quattro Lezioni altre sì scrive M. sopra che mai non
videro la luce . Elle furono reci. tate in Firenze , due nell'Accademia
Fiorentina per ri schiaramento di due luoghi di Dante; e l'altre in quella
della Crusca sopra i Brindisi ,e le feste Vinali degli Anti chi.Veggasi a cart.77.94.95.e97.
Lettere. Di alquante lettere del M. si conservano gli originaliin Pesaro nella
libreria Giordani, delle quali lach.me.del dottissimo Sig. Annibale degli Abati
Olivieri si compiacque giàmandarmi copia; e sono tre scritte al Cardinale Giulio
della Rovere, una al Duca d'Urbino , due a Giulio Veterani, ed una a Piermatteo
Giordani. Altre parimente originali scrittea Belisario Bulgarini si trovano in
alcuni Codici esistenti nella Libreria dell'Università di Siena. Oltre
aquest'opere ilTadini afferma, essercime moria, che dal Mazzoni sieno state
scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum Paraphrasis. II. Numi smatum Græcorum
Interpretatio. In Lullum Commentaria.IV. Naturalis Philosophie Arcana.V.
Secretoperco noscere da'Bigari e Quadrigati , denari Romani, qual fazione
restasse vittoriosa ne' Giuochi Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o
Bianca. Tractatus de Somniis. L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che
fu venduto molti anni sono da certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo
Cesenate. Ma che avea incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si
essendo più trovato. Forse tutti questi mss. dovettero essere in quelle dieci
casse di libri di M., che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo
Mercuriali in Pisa, come il Dottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma
apparire da un pubblico Documento rogato. Per Per ultimo il
sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura, esservi anche al
presente chi sostiene doversi attribuire al M., così la Canzone composta in lode
del Torneamento fatto in Cesena nel Carnovale, la quale incomincia Mostra
l'alterafronte,come la difesa della medesima, che fu pubblicata sotto nome del
Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di Matteo Bidello
delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto sopra la Canzone Mostra
l'altera fronte. In Cesena conlicenza de Su periori Per Bartolomeo Raverii. in8.;
machenon avea avuto modo di verificare veruna di queste voci. lo per altro non
averei difficoltà di credere, che così la Canzone,come ladifesa potesser essere
fattura del nostro autore , essendo la Canzone assai bella ; e la difesa molto
dotta e giudiziosa , e degna assolutamente del nostro grande e celebratissimo M..
Mazzoni. Keywords: implicature, repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’,
I romani e la vita attiva. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Mecenate: l’implicatura
conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.
(Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio
Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere
d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da
stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a
Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare
con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di
Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro
Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con
poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e
trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli
deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori
filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del MECENATE
in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera
che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di
subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi
epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del
Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come down to us. Their
loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of
many ancient writers, they were written in a very artificial and affected
manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of
the ‘calamistros Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one entitled '
Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO,
'Carm.' ), and a symposium, in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The
few fragmente which remain of these works have been collected and published by
Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii Macenatia Vita et
Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a Symposium, with such
notables on the guest list as Horace, Virgil, and Messalla, and, if a fragment
from Plutarcocan be trusted, some pretty clever dinner conversation. Servius,
Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum: physici dicunt ex vino mobiliores
oculos fieri. Plautus faciles oculos habet, id est mobiles vino. Hoc etiam
Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius interfuerunt, cum ex persona
Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor ministrat faciles oculos,
pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag.
180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh
Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK
EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits,
d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO
KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn. For the possibility that this incident
may come from Maecenas' Symposium see Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt 1911,
92-93. Perhaps Maecenas's Symposium should be added to the list of possible
antecedents for Petronius' Cena. Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The
Swimming-Pool Library. Mecenate.
Grice e Medio: il portico romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Medio. Porch. A contemporary of Plotino. He wrote a number of essays.
Medio.
Grice e Megistia: la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico di Calcide. Grice: “Cicero argued that anything written in Greek is
not part of Roman philosophy; I guess he has a point. Whereas we do consider
things written in Latin by Englishmen PART of English philosophy, we do not
consider anything written by the Old Britons before the Anglo-Saxon Conquest to
be a part and parcel of Sorley, “History of English philosophy’!” -- Megistia.
Grice e
Meis: l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito
abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico).
Filosofo italiano. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di
un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a
Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue presso il Regio collegio di
Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e
RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti naturalisti, di cui
diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e
apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia naturale. E poi
rettore del Collegio di Napoli. Dopo la
promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne eletto deputato per
la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di Mancini contro la
repressione operata dalle truppe borboniche contro i manifestanti e l'accusa di
tradimento al re. E quindi costretto
all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercita
la professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani. Insegna
antropologia filosofica lall'università ed entra in contatto con il mondo filosofico
parigino, diventando assistente di
Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica.
Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra in Italia, prima a Torino e poi a Modena, dove insegna. Torna a Napoli e divenne assistente di
SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto membro
del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di M. al
Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo
tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il
suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della
natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega
di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al
positivismo. Venne citato, di passaggio,
nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il palazzo
della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M.. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,
Erasmo ed., Roma, M. su treccani. Il
protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in
treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della
sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da
"De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia
nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella
città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene
abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del
romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza
legato alla propria libertà. Tessitore, M.
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera,
Camera dei deputati. M. di Giacomo de
Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari.
L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione
di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si
precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo
abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual,
altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A
meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una
sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si
immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA
in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale
Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo
paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA
forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di
varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo
a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto
imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive
da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti.
Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto
Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo.
Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo
Cristianesimo Oggettivismo ideale
particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac.
Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale
universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla
oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa
Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla
soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto.
Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte
Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia
della medicina .Cosa è lo Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società
umana individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che
basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo Stato è il grande
organismo umano, l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso,
indipendente ed assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di funzioni.
Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve e si
nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione
riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa. Egli è
questo il sistema dei suoi bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1'
uomo elementare non è soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un
animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità
dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La
riproduzione è la corona della vita vegetale; la coscienza è la corona della
vita animale; e la coscienza assoluta è la corona e l’apice della
vita spirituale. Come spirito l'uomo è per prima cosa, e
per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma
più naturale dello spirito: essa è il patrimonio dell'individuo, e resta
confinato e chiuso in lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è
l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è
una estensione del suo corpo, e della sua anima; ampliazione della sua
natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica
spirituale. E a tutto questo sovrasta l’IO, la libera coscienza, che
è come il perno intorno a cui tutto gira: centro e circonferenza del
circolo umano. L'IO è la conoscenza di se. Nella pura coscienza
l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli aspira a
conoscere anco l’interno di se, la sua propria natura. E Si conosce
infatti: nell'arte, come bello, e per dir così semi-infinito: nella
religione, come infinito sensibile; nella scienza, come infinito di
pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema spirituale nell'
uomo piccolo, nell’individuo particolare. Nell’uomo grande, nell'
organismo politico-individuale che si chiama LO STATO, ci sono le stesse
funzioni. Ci è la funzione economica, agricola, industriale,
commerciale: produzione materiale, frumento o libro; trasformazione ed
assimilazione; circolazione e scambio; nutrizione e consumazione:
relazione sensibile fra tutti gl'individui dei quali il corpo sociale è
formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'individuo, ma estesa
alla società, manifestata come relazione attuale fra gì' individui umani. La
morale individua diventa dritto comune; materia della polizia, e del
dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e usar vie di fatto contro
un altro uomo, perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza morale
sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro tutti; e non è quindi uno o
pochi, sono tutti contro di lui: il sentimento della comune natura umana
reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il dritto di maltrattare un
bruto; perchè non è il bruto, è il sentimento della fondamentale unità
della natura umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti
gli uomini civili e sensibili. La morale individua è il rispetto della
natura; il dritto morale è l'azione conforme ai fini, ai principii, ai
sentimenti naturali. Egli è dunque una relazione psichica, spirituale,
poiché spirituale è il suo fine. Ci è la funzione giuridica, ed è la
relazione dell'individuo coi suoi annessi naturali agli altri individui
similmente costituiti di cui la società è formata. Quello che invade l’altrui
, non occupa solo una porzione di natura; egli occupa e viola l'anima di
un uomo, la quale è pur quella di tutti gli uomini, membri di uno stesso
corpo sociale; e perciò tutti si levano contro l'ingiusto invasore. Questo
tutti è la legge, che funziona e si esercita in forma di Tribunale.
La legge penale sta di rincontro alla barbarie, alla passione violenta ed
alla guerra privata; un tribunale criminale è in realtà una corte marziale. La
legge civile è il principio e la regola della pacifica decisione. Essa è
la libera ragione che si leva di mezzo agli opposti interessi; e il
contrasto troncato in germe, e definito in forma di piato, non solo non
giunge, ma neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra è
la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge, e perciò questa a
ragione è detta civile; e i suoi sono tutti giudici di pace. Ci è
finalmente l’IO comune, conoscenza e volere generale; ed è, come tale,
una funzione formale a cui servono di contenuto e di soggetto tutte le
funzioni speciali. Cosa è dunque lo Stato? Lo Stato è l’insieme
di tutte le funzioni materiali ed economiche, morali e giuridiche, in
quanto sono unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le
regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar movimento, e da
cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque l'IO, la coscienza sociale. Tale è la forma: il
contenuto è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la
pubblica economia. Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua
forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un
Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile.
Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso
di relazione umana in genere. Ed io allora la piglio in senso di relazione
cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe ed
astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la virtti;
dice Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed il suo fondamento, e il
vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate,
piene di confusione e di errori. La virtù, la morale, non è che un
elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò per se individuale; ma quando
esce dall'individuo, e promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore,
e per così dire individuale, essa allora di privata diventa pubblica, ed
appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera delle relazioni
individuali l'azione si leva alla sfera giuridica, o se anche penetra nella
sfera politica, allora essa perde man mano il suo carattere morale. Un delitto
politico è per poco un non-senso, quando non è che politico: e tale egli
è quando l'animo è puro. Omnia mwnda mundis: puro vuol dir
non-individuale, assoluto, generale. E allora non è a parlar di
delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed imprudenza,
serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo Stato ordina
i premi e le pene, e le proporziona alla loro natura morale, giuridica o
politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso: essa in
realtà non è che un semplice fatto di guerra, un puro atto di difesa. La
virtù, dirà il Montesquieu, io la piglio in senso di forza, di energia
politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica, elettrica,
nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e fondata sulla sobrietà
e sulla severa continenza, sulla parsimonia e la povertà del privato
cittadino. Roma cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà,
il lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,
rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete Napoleone III, e con
lui tutti, dal primo all'ultimo, i francesi. — francesi, questa che voi
fate non è la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata,
non è l'idea che la determina e la informa; è il fenomeno, non è il
pensiero della storia. E lo vedrete. Lo Stato è il ben essere, la
prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo
Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni maniera d'industria, e
favorisce il commercio con istituzioni, e leggi , e procedure speciali.
Ma la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato. La
ricchezza è la materia , lo Stato è il pensiero: 1' una è il corpo, l’altro
è l' anima. L' anima fa il corpo , ma non è corpo per questo; e
l'Economia politica non è la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO
DELLO STATO ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia degli Ebrei, dice Aquila
di Meaux, e per quel tempo non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che
si potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar
per le terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e
il puro e libero aere della ragione. E se Dupanloup pure insiste e perfidia,
allora io dico che il principio dello Stato è l'arte, è la Divina
Commedia e il Decamerone , il Barbiere di Siviglia e la Trasfigurazione.
Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò altrettanta
ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì, certamente;
ora finalmente ci siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte,
ma il Dio del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che costituisce
i Re, che direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le
autorità politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v'è che
il Dio della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed
è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità
che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e corpo, è
anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione; e la funzione dello
Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere essere
Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è appunto il vero Stato;
e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui questa
si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua funzione essenziale. La
coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta necessità prende una
esistenza naturale, e spontaneamente si crea il suo particolare organismo. Essa
è l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo che si crea
, e in cui si fa reale. È una creazione immediata e diretta, ovvero indiretta e
mediata, come quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è
la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i poteri e le
autorità dello Stato. Questa funzione creatrice è 1' elezione. Ma questo
corpo in cui l'anima generale si traduce e si concentra, in realtà non è che
una pura anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima
effettiva ed attuale creata dall'elezione, si crea a sua volta il suo
proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito amministrativo e l'
esercito militare ; e la finanza è il sangue di questo corpo
generale. L' esercito amministrativo serve per eseguire o render
possibili tutte le funzioni, che compongono la triplice natura dello
Stato: la funzione economica, la morale, e la giuridica. Un magistrato,
un impiegato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo onore è
d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima dello Stato. L'esercito
militare ha un ufficio anche pili essenziale. Esso serve allo Stato per essere,
per esistere; gli serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o interne,
che ne minacciano la vita economica, politica o morale. Il soldato è il
braccio della legge, e dello Stato; il suo ufficio è di respinger l'
assalto o l' insulto di un altro Stato , e di reprimere le passioni
colpevoli che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le istituzioni
del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto nel primo come nel
secondo caso. I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il
corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere legislativo è l'anima; ed è
perciò che non è pagato. Il Sovrano ha una lista civile perchè unisce in sé le
due nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legislativo e
l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello Stato : ed è perciò eh 9
egli è sacro. Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo; tutto
questo è forma di forma: la forma essenziale , il vero Stato , è l”IO assoluto
, la coscienza e la volontà generale. Ma non vi è la pura coscienza e
l'astratto volere, e non è possibile una funzione puramente
formale. Si è conscii di essere questo o quello , si vuole e si fa sempre
qualche cosa: e lo Stato conosce e fa da un lato, e dall'altro esegue, la
legge economica, la legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il
legislatore, l’impiegato, il soldato, tutti vogliono che lo Stato
sia; vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di tutte le
fotze morali, e che possa tutte liberamente spiegarle, ed esser felice. L'Io è
la forma; la forza economica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello
Stato. Ma la forma prevale, e domina il contenuto. La morale domina
l'economia: la produzione non è possibile, e il guadagno non è realizzabile
s'egli è immorale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica impone
alla virtù privata. L'Io, la pura funzione formale, domina e modifica tutte le
funzioni speciali che sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina
e modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé
assoluti, sono fra loro assolutamente RELATIVI (“il relativo hegeliano”).
Il volgo riguarda come piti eccellenti gli assoluti inferiori, perchè piti
naturali, e di più immediata e più sensibile idealità. Il più alto è per
lui l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine
giuridico; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il
più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè più generale, e più
assoluto e divino; e quando l'armonia fra i tre ordini e le tre funzioni si
rompe, è la funzione formale, la funzione assoluta dell'essere,
quella alla quale appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano.
Scoppia la RIVOLUZIONE dal basso o dall'alto: ribellione, COLPO DI STATO.
Slealtà, tradimento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza morale lo
riprova, la coscienza giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una
coscienza superiore che l'approva; e se non è la coscienza politica dei
contemporanei, sarà di certo la coscienza politica degli avvenire. La
storia approva IL COLPO DI STATO e LA
RIVOLUZIONE popolare, quando è vera funzion di essere: quando cioè l'
essere apparente dello Stato non corrisponde al suo VERO essere , a quello che
esso è nella coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia
che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d'
un cittadino è ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta
ingiustizia, ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza
il suo essere, il benessere della comunità, o dell’intiero corpo sociale.
La ragione e il titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il
lato esterno del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma
non la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si
vede il suo interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è
meraviglia. IL CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre
leggi fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne
riflettono le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un
violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1'uomo
non ha creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion
di essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è
la sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza
generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o
supera quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran
lunga il caso dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la
società vede nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di
sicurezza generale, abolirla è un errore: è una fallace utopia, una
velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità,
filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma certo debolezza
di mente, che ad altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così
grande, dello Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla
coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine , ed essere la fedele
espressione. Quando l'opinione sarà progredita; quando la coscienza dei
pochissimi si troverà in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora
lo Stato e forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed inumana
della morte si potrà, e si dovrà senza altro indugio, abolire; perchè
allora il PAESE, divenuto meno incolto e per dir così più spirituale ,
avrà cessato di riguardarla come un elemento di esistenza; e non sentirà
il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara e immane. Allora non
saranno soltanto pochi pubblicisti ignoranti e frivoli, ed alcuni
legislatori ridicoli, saranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si
parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori,
ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un
vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion
di essere, egli è in una sfera ideale e assoluta, superiore alla regione
della utilità e del senso. Ma questo sì vergognoso errore era la verità
del Risorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava, anzi l'accettava,
e ne andava giustameute superbo: il senso e l'utilità e tutta la sua
filosofìa, ed egli condanna allora la pena capitale come non utile. Venuto
più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento respinge l’utilità , e
condanna la pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la
necessità ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua
verità: egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne
vergognerà di certo quando di risorgimento sarà passato a secolo
decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso,
attentare all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle
sue istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più
ammazzare moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e
sia pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo
il cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta
farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la
violenza pubblica e la pubblica usurpazione non è giusta; è più e meglio di
questo, è politica; e si chiama guerra e conquista, e non più violenza ed
usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta legittima e
veramente politica, (e dico buona, legittima, giusta per convenzione, ed
in mancanza d'altre parole) quando in esse lo Stato opera in funzione di
essere: quando guerreggia e conquista per vivere per essere, o per
diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente essere. Vi sono
società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la passione, il caso in una
parola, divide in più corpi sociali , per cui DI UNO SI FORMANO PIU
STATI. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità politica, e della
loro natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente
separate, in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le passioni
umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità naturali, crea una
coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la comunità e la somiglianza
fondamentale dei DIALETTI ITALIANI (non
mai la loro identità, che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è
una finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e
l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova
coscienza. La comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di
popoli e di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e
vivente con una interna unità e un' anima generale. LA GEOGRAFIA è la
condizione esterna dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale
di questa formazione ideale. La comune coscienza che si è conservata dopo
lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza,
ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la
coscienza comune che si è sviluppata in un gruppo di Stati eterogenei non è
che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e
nell'altro questo sentimento è la nazionalità , la coscienza nazionale. E nell'
uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è
un' anima scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la coscienza
propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di NAZIONE. Esso è
dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l' altro
possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione. LA NAZIONE E LA
POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche quest'altra parte di sé
vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il suo essere, e
irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica effettiva, e
della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è
perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati connazionali. È
la buona guerra, e la legittima conquista; ma è ancora il processo
barbaro, violento, inconsapevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la
buona soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo è
tempo di coscienza e di ragione, e non ammette che la soluzione
consapevole, volontaria e razionale. Questo succede quando in tutti i
corpi sociali si sviluppa più o meno egualmente di sotto alla loro particolare
e diversa coscienza politica la comune coscienza nazionale. Tutti allora
aspirano, e tutti finiscono per fondersi in un solo corpo di nazione, in
una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleva e si
perde ben presto nella coscienza politica comune. Non è più. la soluzione
forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo
modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali,
prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu
felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste,
è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società affatto eterogenee,
fra cui non vi è stato che un principio di fusione. Si è formato senza dubbio
nella Boemia, nell’Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca. Ma la
vera coscienza politica è la coscienza boema, ungherese e slava; e ciò
perchè l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è una
possibilità naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la realtà
della coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo delle
nozze, delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno
inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica LINGUA COMUNE – FIGLIA
DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune coscienza, di politica
rimasta puramente nazionale, reminiscenza di una potente antica unità; IL
FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che ha finito per essere
adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito per
essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti
finirono per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però
le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l'intenzione di
seguitare in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro,
medieyale. Ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la
coscienza nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la
geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione.
La Francia è fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La
soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata
al secolo della ragione; ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO,
ed è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede. La greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato
per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone; lingua, storia,
coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune
alla Grecia; e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la
religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e r unità della Grecia,
tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo Stato Greco; ma l'
Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e
l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa
del Risorgimento , custodisce e protegge con una edi- ficante unanimità
il barbaro e immondo straniero, il musulmano oppressore. L'
Italia è stata piu fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue,
pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono straniero, rammenta
l'antica madre per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava
ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una nazione astratta, uno
Statò reale. ITALIANO, IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè
la Storia non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non
vi è che la morale e il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi,
tutti incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha
operato per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti
gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto, che
appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale
alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa è ancor
debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali
la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente
amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve n'è
qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA PIEMONTESE. Il
Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro. La coscienza nazionale, che
in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente trasformata.
Essa è rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente prodotto di sé
una coscienza politica italiana debole, parziale, incompleta, poco men
che astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa è incompleta e debole
di tutta la realtà e la forza che rimane alla VECCHIA E TENACE CO-SCIENZA
PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO (si veda) lo
ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui una
forte coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza
municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi trova un
chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono quanto si può
più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli
è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere, o quanto
altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e
generoso, illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale
fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli
altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal
forza d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara , czeca e jugoslava
ha potuto inserire una coscienza austriaca; se finalmente nella tedesca
Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese, ha potuto (incredibile a
dirsi, e mostruoso a pensare) destare una coscienza politica
francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana in quel Piemonte,
che pure è il primo fra tutti i paesi della moderna Italia: in quel
Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del Medio Evo ha
termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva e s'abbandona, e la
nazione intiera scende nella tomba della servitù straniera e papale, egli
solo non s' abbandona; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,
sorge a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e
creava la nuova storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia vive ancora.
E quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia
vi scende di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava
animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria:
onore a cui dalla provvidenza della storia era visibilmente riserbato. Ah
non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo saprà
identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande
storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile
provincia, è naturale sia permanente e resista alla grande coscienza politica
italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che
in tutta l'Italia non vi sarà che una sola coscienza politica, allora
non vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero e forte
Stato Italiano. L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e proprio
elemento dello Stato; ed è una funzione puramente formale che domina e modera e
modifica la funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato
toglie la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino; fa la
guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la
proprietà, la vita, l’essere indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che
l'uomo privato non può fare, e che gli sono permesse, doverose anche
talvolta y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima
e si confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e
reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è
lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e
l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili
completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello
Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si
separano, il tiranno è perduto: egli allora non è piu lo Stato, è un
altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si
solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un processo di
guarigione. Il morbo è la tirannia, l'anarchia: forme dello stesso
disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e
due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti,
ne tutti: l’arche è la ragione. Il principio dello Stato, la
sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale, non è l'
economico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come Stato egli è
l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti
gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui
finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita
umana, e non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il
dritto, la morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un
mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi
è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione.
Il mondo della verità è di sopra al mondo della natura e
dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e
la pili perfetta e più generale esistenza delle funzioni a lui inferiori. Lo
Stato non è che la base e la reale possibilità delle funzioni a lui
superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane affatto
individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una società artistica:
vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la parte dello Stato è di
render possibile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la
spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto sull'artista se non
quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed esce dalla sua natura. L'Arte
non è la morale o il dritto, e può essere immorale e ingiusta a sua
posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua
ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e fortificare i caratteri,
non mai ad avvilire e degradar l' animo umano. Ma dal momento che essa
esce dalle sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale ed
ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in nome della giustizia
offesa, e della morale violata; funzioni inferiori, che gli sono tutte e
due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte non è la
religione, e può a sua posta essere empia ed irreligiosa: ma la sua
irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di religione
vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie sue leggi, ed esce dalle
sue condizioni vitali, e non è più che semplice e sguaiata irreligione;
in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le funzioni che
sono al di sotto e dentro di lui, ma non amministra la verità religiosa
che gli è superiore. L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il
suo contrario: che s' ella esce dalla sua natura di senso ideale, e si
atteggia a ragione e a idea; tanto peggio per lei. La Religione è
una funzione dirò così spiritiforme: la sua natura è sensibilmente
spirituale, ed il suo carattere è di essere naturalmente universale. Egli
è perciò che mentre l'arte rimane nella sua inconsapevole particolarità,
la religione viene a coscienza, e si forma un Io sociale superiore all'Io
dello Stato: e di fuori e di sopra alla società politica si forma
una società religiosa. Il luogo di questa alta società non è la
terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo umile suolo, ma la sua
anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste; essa è riflessione e
adempimento del destino umano: contemplazione della infinita natura dell'uomo,
rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia; conseguimento
della infinita felicità mediante il possesso dell' infinito della
religione. La funzione religiosa dello Stato è di render possibile
la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della società
religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne morale.
Essa può dunque essere a sua posta inestetica e goffa, creare simboli
mostruosi e informi, miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR TUTTI GLI
ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto meglio per
lei; sarà più creduta, e più stimata e rispettala. Può la religione
professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può attribuire
a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le piu barbare, e pu
perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si rimprovera, e
maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà
per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore
religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito credere ed
insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei padri, come lo
insegna e lo crede Mosè, in un tempo ed in un paese in cui non v'E ANCORA
IL DIRITTO ROMANO , e il Codice Civile era di là da venire. Se questo vi
fosse stato , non sarebbe venuto in mente a Mosè una siffatta idea, e non
avrebbe insegnato un così sterminato errore. Quella era pertanto la verità
giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due gradi e due forme non
per anco distinte, confuse ancora in una verità sola. Oggi la distinzione
è avvenuta: la verità giuridica del Codice Mosaico, convinta e condannata di
falsità, è sostituita dalla verità giuridica del Codice Civile, nel modo
istesso che all'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sottentrata
l'astronomia di Copernico e di GALILEI. Ma come verità religiosa è rimasta in
piedi: crede il popolo ed il comune che l' innocente è colpito col reo
dalla vendetta divina. E si crede anche oggi come tre mila anni
sono il dogma che insegna che la colpa del primo uomo s' è naturalmente
trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in
grande del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e
quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più credibile al popolo ed al
comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere, il bisogno di
conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del
dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso morale; ma non è che una
offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non interviene per far
rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione
succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende possibile lo sviluppo
e libera la manifestazione, e la rispetta qualunque ella sia. Ma se l'
azione religiosa esce di questo campo, e deposto il proprio carattere,
si spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosamente immorale,
ingiusta ed impolitica, allora lo Stato interviene, e si fa rispettare.
Questo inevitabilmente succede alle religioni che di spirituali si fanno
temporali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non
dello Stato: e perciò tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello
Stato, e sì dell'Arte e della Religione , vi è la scienza , LA FILOSOFIA.
Ma qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto
universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non
vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della
filosofia, il mondo del pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non
interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee,
né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo
Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua,
senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo
Stato del decimonono secolo lascerà dunque insegnare chi vuole, e checché
vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo? Non già; non mai.
Insegnare non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero; è
invece agire, educare e preparare all'azione, ed appartiene quindi allo
Stato; e insegnare un principio repugnante e contraddittorio a quello
dello Stato, è uno scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il
suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di
lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di veleno; e i cattivi principii
sono velenosi allo Stato. Il principio politico dei Gesuiti è la
Religione, la loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette
capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il
principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione; è la coscienza
pubblica, la pubblica opinione; e quello a cui il cittadino ubbidisce, è
lui stesso: in ciò consiste la libertà civile. Il principio del
Demagogo è la libertà sensibile, e l’eguaglianza materiale. Il principio
dello Stato moderno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta,
ideale. Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà del
Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor dello Stato — né
elettore né eleggibile — e fuor della scuola — né maestro pubblico, né
insegnante privato. Il giornale è una scuola, e non può quindi
godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella sua
propria natura, e la libertà ha il suo limite nella natura dello Stalo.
Questa è la libertà vera e buona, perchè concreta: la libertà indefinita,
astratta, è la stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò
lungi da noi. La libertà non appartiene che alla libertà. Solo
quella stampa, queir insegnamento, e quella qua- lunque siasi attività
dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne
osserva e professa il principio generale, e vive dello stesso
elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza non sono
assolutamente libere che nel proprio elemento, e nella loro sfera speciale, e
qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede.
E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca a un insegnante né
demagogo né prete, ma liberale, perchè professa delle particolari idee
che in un certo mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed
accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa delle sue
facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre- passa la sfera dello
Stato : dico che agisce in nome di un principio particolare, religioso o
scientifico, io non lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha
come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi scusi, e
mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è adunque che la
possibilità effettiva e naturale della vita artistica, della società
religiosa, e della pura attività scientifica. La sua funzione con-
siste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istruzione e la Pubblica
Educazione ; ma non ha ufficio, e non può altrimenti intervenire
nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica
e la poetica mediante decreto: e così non può decretare la verità
religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione dello Stato:
cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent from the all
new AOL app for iOS Opere di M. Studi su M. - Opere ed articoli che a lui
accennano - Recensioni di suoi scritti »
La vita e la storia del pensiero di M. . La famiglia e i primi anni Nel
R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli
studi letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua
scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli
Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De
Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: SPAVENTA,
SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di
M. e la sua metempsicosi; M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a
Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La
morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero.
Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il Dopo
la laurea. La storia della filosofia esposta dal M.. L'antichità o il periodo
dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La
filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti
fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo
sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra
la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. .Il Dopo la laurea e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici,
Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la
fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio
sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per
rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni anatomiche
sul salasso locale Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale
delle scienze naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed
empirica; Del principio vitale; Idea della fisiologia greca; Le opere scientifico-filosofiche; Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del
secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.
Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione
delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li.
L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla
scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato
oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il
culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione
del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II
giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M. Contro l'abolizione della pena di morte Il
divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor-
porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del
culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione
pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di
ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l'
istituto tecnico inazione dei vasi
sanguigni. I mammiferi. Fisiologia. Prelezione
al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi.
Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere
scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La
medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La
patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La
creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo
trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario
nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La
libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due
discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La
coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla
terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle
lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda
religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica
del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il
suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di
esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo
M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o
cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo
latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il
romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di
tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme
del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e
misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la
sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco
voltata in italiano da M. , nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze
mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del
Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi
delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani -
convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta
dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof.
Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso
locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in
Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione,
Napoli, F. Vitale, [Dedicato a Luigi La
Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione
(v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la
precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali.
Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto
nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M.
deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso
inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio
Medico. Pronunziato e pubblicato dagli
alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di
insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De
Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli,
Vitale, Nuovi elementi di fisiologia
generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto].
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già
deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale,
Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui
assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria
dell'ascoltazione, To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro
Ramaglia]. Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei
muscoli intercostali, Napoli, Fisiologia
generale. Evoluzione logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca
per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici
lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione,
Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza
medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino,
Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De
Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo
Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di
Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione
dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino,
Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta
puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella
quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra
la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è
preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De
Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com-
porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il
terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a
ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di
circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova
enciclopedia popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici,
nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice,
Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal-
l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data
di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università
« e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra:
Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel-
l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la
« Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima
contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862].
Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della
medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura
medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze
mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna.
Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano,
nel giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica
inorganica. - l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle
pei tipi del Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna
Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti,
Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De
Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella
Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo
semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono
citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.” De Meis
deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi
VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla
contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica,
Prelezione al corso di storia della medicina per M., Bologna, Monti, Il sovrano, nella Rivista bolognese,
periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini, Fiorentino,
Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti
della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e Fiorentino, da CROCE,
nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia, [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu
pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata
dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|,
nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,
[È una lettera, con la data: Bologna. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte
prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state
pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo
pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La
natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore
Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese,
Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale,
Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella
Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della
utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla
Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr.
dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti,
Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali. I tipi animali, Lezioni, [parte prima],
Bologna, Monti, [La Prelezione era 3
stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel
Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e
V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni,
Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina,
Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna,
Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze
morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore
Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione
costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data:
Bologna, Il canonico di Campello e la
stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,
[Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella,
nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],
[Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti,
Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi
nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di
zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e
Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di
pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr.
De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta
dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e
Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e
francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona
Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof.
Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di
Bologna nell'anno scolastico, Bologna,
Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi,
Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp.
12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino
quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione
Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri [La pagina d'album e la polemica furono ripro-
dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia della
medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e
sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, . [Uscì pure
in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi]. Lettere di M.
a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze
Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state pubblicate in
Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con
pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria dei Tipi
vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le
auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la
gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI,
Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE
nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898;
e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica,
ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli,
Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del
carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte
lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente
pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione
cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor
barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il
soprannaturale non illude più. All'epica religiosa del medio evo,
ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del -- Questo
pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza esservi
enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate
dal GENTILE, La filosofia in Italia, Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale
nel principio, poi caricatura smaccata e cinica della religione, succede
la drammatica senza soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia;
in Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione
era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì
nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la
Francia, divenuta centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il
secolo XVIII è il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla
tragedia di Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione,
ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la
lirica moderna, che non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta
riflessione, e giunge all'ultimo limite della poesia. Anche in Germania,
in parte per riflessione spontanea e in parte per influenza del risorgimento
italiano divenuto sudeuropeo, si è iniziato il risorgimento, che DIFFERISCE
DAL LATINO in quanto non è la semplice rappresentazione del naturale, ma
la negazione del soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue
conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e il germanico,
che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in un solo
risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione,
divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-
guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e
religiose.] verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pensiero del
suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del cuore, il vangelo di
Giovanni quello della fantasia, il Discorso del metodo è il vangelo dello
spirito. Tu es Petrus. Il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera
Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo
ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un solo ovile
sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora,
viene Kant, il Socrate moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la
natura, e parla dello spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale
egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose
dello spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito,
questo divino, questo assoluto e universale non è che individuale.
Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi FICHTE — , che con
profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si
compenetrino in una sola unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene
Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con
rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà solo
diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo- tele, ma diciottomila, o
meglio finché duri questo attuale genere umano.Hegel, ponendosi nella
posizione di Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e
trova il processo della creazione. Questo grande movimento, che si
compie nel nord, si era iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda)
era stato versato invano ed VICO (si veda) non era stato compreso da nessuno, [Pel
giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, ; e cfr. Cfr.
qui addietro, V. Dopo la laurea,
Le idee estetiche e religiose.] un po' per colpa del papato e
molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono intuizioni isolate
del genio, più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e
necessario. La storia della filosofia moderna è una storia tutta
settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non
giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia.
Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede da BRUNO, non è
inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa
rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a Napoli si fosse
sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione di
BRUNO e di VICO: la quale, così guasta e superficiale come era diventata
nelle mani degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte;
ma crede che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero
germogliato in Germania. SPAVENTA si era molto preoccupato del problema
della filosofia nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo
Bertrando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia, e forse
di tutta l'Europa, la Germania inclusive Ora che la storia della filosofia moderna
sia concentrata tutta esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto
un posto al cogito cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso
Spaventa M., accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti
coloro che hanno fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore
rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni singolo filosofo è per
lui in ragione diretta della distanza che lo [SPAVENTA, La filosofia
italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, a cura di G.
GENTILE, Bari, Laterza, e Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel
secolo XVI, nel Monitore bibliografico di Daelli, Torino, V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e
religiose.] separa dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo
proposito i giudizi circa SERBATI e la evoluzione del pensiero
giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e poesia cedono in
Germania il posto alla teologia e all'estetica. Nel MONDO LATINO la
tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto padrone del campo il
risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un
Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cristiana,
si volge al passato, al medio evo sacerdotale e simbolico, e moltiplica gli
sforzi per creare una nuova religione. Sforzi vani, che la religione cristiana,
religione di Dio, del vero spirito, della sua trinità, della sua umanizzazione,
è l'ultima di tutte le religioni, e solo potrà trasformarsi e
purificarsi. Mentre questi vani sforzi si compiono nella Germania
volgare — non in quella pensante — , nel sud, dove un elemento pensante manca,
la parte più elevata, non però pensante e moderna, tardivamente inaugura il
secolo XIX: è un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato
che da un debole raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e
pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti
infelici della riflessione travestita da immaginazione. La riflessione, non
avendo piena coscienza di sé come nel mondo germanico, coesiste nel MONDO
LATINO a fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al
romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione, tra la
poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo, genere equivoco,
compare per la prima volta nel principio del secolo XIX dell' antichità,
ricompare nel nostro se- [Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la
laurea, Le idee estetiche e religiose.] e rinasce in Germania, col Goethe,
genio equivoco, tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette
tutto intero; si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e
germanico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso,
mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un
uomo, come Goethe a cui somiglia, equivoco: MANZONI. Si osservi che M.,
una volta stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono
equivoci tutti gl’individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo
fiorisce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella accezione di misto e
complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe
indifferentemente applicarsi. Dopo Scott e MANZONI, il romanzo perde
il carattere epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e
prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e Poe la prosa assorbe
ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico,
la lotta comincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la
riforma, uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il
deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo
assoluto, la pessima delle filosofie. E non è finita ancora la triplice
serie, osserva M., fedele sempre alle sue triadi. La Germania è per tre
quarti protestante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA
HA UNA VENTINA DI MILIONI D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti
sono in gran parte demagoghi. Il risorgimento produce quella
filosofia che è la bestia nera di M., la filosofia positiva. E la
filosofia che gli ha preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede
hegeliana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci- [Dopo la
laurea, Le idee estetiche e religiose.] liabile
opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e
amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che
accoglieva la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia
opposta alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo.
Mai M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla : trova che
la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la
filosofia nuova, la filosofia positiva o iperscettica, non ne fa neppur
materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una
filosofia antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può
trovare la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura
esterna, e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che
è la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente positiva è
di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e
non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che
nessuno ha mai pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa
come la vera. Il primo atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO
scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena
è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero
induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e la legge dei
fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti: la
classificazione e la filiazione dei fenomeni. La filosofia positiva
è una terza corrente, che si caccia fra la corrente poetica e la
filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim; cfr.
VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di
Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle
critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal
FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia;
l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone
sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la
filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e
pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non
avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la natura
divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente,
tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque
col mare della religione, della poesia e della filosofia. La terza
parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la
riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni
filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO;
il nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di
BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo
Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del
mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il
secondo atto della filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare
il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta
natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio,
consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo
la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di
Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e
metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua
esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere
in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr.
qui addietro, Le idee estetiche e
religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è
passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E uno
è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale il
principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col processo
evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato; quando la
filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo
processo di creazione, non ha più dove andare, a meno che non voglia
indietreggiare, come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo.
E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si
contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo Aristotele,
perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il perfezionamento
essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo,
di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di
riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia,
è sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana.
L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente,
ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero
filosofico, allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita.
Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per
l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per
secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fantasticare.
Quando la Germania crea il vero sistema del mondo, e recata la religione
cristiana nella forma di un cristianesimo assoluto, allora la vita si
congela nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma
presto si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione
hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento negativo-positivo.
Congiungendosi col primo, produce mostri filosofici ed aborti strani; col
secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e
religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania materialistica
e naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la pura riflessione,
così la pura contemplazione è la morte. La vita è pensiero apparente, è
unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa positiva,
di poesia e di filosofìa. La storia universale è una sequela di creazioni,
identiche fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e
perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma dello spazio,
e termina nella forma più pura del tempo. Ogni creazione ha come fine la
creazione successiva ; ciascuna vive di quella dalla quale nasce e serve
di alimento a quella a cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa
in se stessa, senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno
vegetale, da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e
particolare, e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno
umano inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-
siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano universale, ha
esso pure la sua storia, ed è una serie di sfere, che l'uria avviluppa
l'altra; prima l'arte, poi la religione, poi lo spirito, che universalizza la
natura, e dà valore assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta
qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto la natura. Come la
natura, così l'uomo, lo spirito umano, natura anch'esso, ha una legge
inflessibile e costante. « Sono due nature diverse, certo, e ciascuna ha
la sua legge partico- lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed
una sola legge naturale. Le forme e gli elementi naturali ed umani
sono del pari indistruttibili, e la legge comune della loro attività è
immutabile: nascere, crescere, decadere e perire è destino comune agl’uomini,
agl’animali, alle piante Dopo la laurea, I tipi animali, Le idee
estetiche e religiose. e ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della
natura sono l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non
si compenetrano. Quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente
unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla
proporzione. E il prodotto piglia forma e natura dall'elemento
preponderante e più attivo. La natura è come una scala a piuoli. Lo
spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta si raggruppa in se
stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono tutti in uno
stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo il genio,
l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra in attività il senso.
Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale, nella
forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fa pianta. Nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui
l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il
movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in
azione gl’altri elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta
in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la famiglia
umana, e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente
nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con questa
gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la
riflessione della riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale,
animale ed umano). Questo è lo stato naturale di cui parla Rousseau. Nel
secondo tempo l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze
fra gl’uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera
della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento
e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a questo processo di
divisione e di analisi, si compie nella storia un lavoro di unificazione
e di sintesi. La grande ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la
facoltà superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà
inferiore, da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda coscienza
non è un trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele parla di
due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ; e nel
secolo XVI qualcuno e arso vivo per aver parlato di quel secondo spirito.
La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di individui ad
un tempo ; e però la storia dello spirito si compone di una successione
di grandi unità. Il primo stato embrionale del genere umano è la natura (M.,
hegeliano e medico, prende spesso come termine di confronto l'organismo umano);
la vita fetale è il vegetabile e l'animale. Terza muda è quella dell'uomo
positivo, l'infante del genere umano. Egli con la sua piccola positiva
riflessione vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e
positivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza scopo in
se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa, ed è religioso.
Questa religione, questa fede, si trasforma a poco a poco in un ideale,
in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce una seconda coscienza, e
l'uomo intuitivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo e intellettuale. La
nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza finita e positiva,
imprime in tutte le diverse funzioni umane il suggello della sua infinita
unità, pur lasciandole nella loro distinzione naturale; e così permangono
l'agricoltore, l'avvocato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore
le due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono
assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta sviluppata la
coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo
positivo ovvero semi-uomo, così come non poteva deporre la coscienza
positiva e tornar ad essere [ Dopo la laurea, Del
Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in estetica; la
religione in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al
mondo, perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra e
trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una sola unità, « è
l'universo pervenuto a grado di spirito, che inconsciamente si trasforma
e si purifica nella conscia anima di un solo uomo, spettatore più che
autore della sua propria trasformazione ». È un fatto di
ragione che la vita umana comincia con l'assoluta barbarie, col puro
senso materiale e col semplice istinto naturale; e termina nella
riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta e definitiva
civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va dall'una
all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione. La religione
e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie civile ed un senso
spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e barbara, e perciò più
perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e civile, e perciò più
imperfetta; la drammatica è la forma intermedia. Essa è più riflessiva
dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è epico- religiosa
nell'antichità, raggiunge la perfezione nel risorgimento, e decade nel
secolo XIX, nel greco-romano come nel latino-germanico, per eccesso
di riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa un
elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà come lirismo
filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché duri il genere
umano. La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello
spi- rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua
ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter-
media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog- gettiva, è
sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile dello spirito umano. La
religione più barbara, più naturale, più oggettiva e più epica è la
religione indiana; la più civile, più umana, più soggettiva e più lirica
è la cristiana. Tra la religione epica orientale e la religione lirica
occidentale, la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia,
e vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella
religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i caratteri di un sistema
religioso completamente sviluppato; il politeismo greco è la prima caduta
della religione, la quale risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno,
ossia il medio evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono
quelli stessi del pensiero, nella vera forma religiosa; l'anti- chità
moderna, ossia il risorgimento, spezza questa forma; il secolo XIX, il
vero tempo moderno, li pone nella forma di pensiero : invece della
riflessione filosofica del medio evo è una filosofia religiosa. L'oriente
è essenzialmente epico; la Grecia è, nella sua stessa epopea,
principalmente dramma- tica; il tempo moderno è tutto umano e tutto
divino ed è tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno il medio
evo è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata dalla
grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il risorgimento è
irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel meraviglioso; poi il
meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il secolo XIX è di nuovo
religioso ed è tutto lirico: il principio è epico-lirico; poi viene la
drammatica, che comincia storica e finisce cittadinesca e domestica; e
all'ultimo viene una lirica tutta stravolta per voler essere
ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata l'immaginazione; il sentimento
e la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al
pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una poesia lirica,
drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto di tutte le facoltà riunite,
la filosofia vivente, poetica e religiosa, la filosofia dell'universo,
cioè dell'uomo. 11 secolo XIX, cominciato lirico-poetico, termina
lirico-prosaico- filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano.
La poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla
forma di immaginazione per entrare in quella di FILOSOFIA, e in quella vive ed
eternamente vivrà. La forma e l'elemento della poesia e della
religione è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il
risorgimento ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che
prima era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge
la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo
elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La musica è l'ultima
delle arti ; la poesia è la prima. Le arti plastiche usano una materia
più naturale, meno ideale, deb- bono sostenere con questa una lotta più
lunga, e giungono più tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la
pitiura. Certo la musica è nata, come tutto il resto, con
l'uomo; ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-
dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico è bensì
un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul- tura e alla pittura
; nel medio evo moderno la musica è epico- religiosa, e rimane
subordinata alla religione. Solo nel risor- gimento moderno la musica si
sviluppa, mentre le arti pla- stiche decadono: dapprima, nel risorgimento
drammatico, la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma
; acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-
rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e
quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto sentimento si traduce in un
vuoto suono, che diviene arte e poesia. La musica è dunque una lirica
vacua, è un'arte oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto
del risorgi- mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere,
poiché il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il
risor- gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è
il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel
punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da
capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa nuova creazione è il
tempo dell'essere, il secolo XIX, che ha per necessaria preparazione il
risorgimento progressiva- mente negativo e per divisa: negazione di
negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della
musica quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la
dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia
di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me- lodia e sempre più
all'armonia, e la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già
avvenuto in Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo
moderno; nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico,
e tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la
musica si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero
positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'immaginazione.
Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della morte, la
fede che spunta dalla negazione. Non il tempo moderno dell'antichità,
perchè sopravviene nell'anima ro- mana, mentre il dramma del risorgimento
si era combattuto nell'anima greca, ma il vero tempo moderno che è la
continuazione e l'adempimento del risor- gimento cristiano. In questo
secolo il sentimento dell'uma- nità, che è un aspetto del sentimento
della natura, prenderà la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale
la lirica, la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità
assoluta e definitiva. L'unificazione non è però avvenuta ancora nel
campo della poesia, né in quello della religione e della filosofia.
La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura, sussiste
presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medio- evale e quella del
risorgimento, immodernate e ormai vuote. Così è delle forme religiose.
Analogamente delle forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico
primitivo la filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia
medioevale, la scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte le sue
gradazioni progressivamente scet- tiche e negative e con tutte le sue
forme positive. Abbiamo oggi la massima complicazione di indirizzi e di
forme ; non è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche
in atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta
unità. A questa teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa e
da altri obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente a questa : Come
può lo spirito umano perdere due delle sue funzioni essenziali, l'arte e
la religione? M. risponde che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla
filosofia kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto
a fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al
concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e vita; ma ha
torto se crede che la intuizione da accompa- gnare all'ideale debba
essere sempre fantastica e falsa. Nel principio l'intuizione religiosa e
l'intuizione estetica è creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta
perchè non è la vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto
concetto; e di qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti
relati- vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè
l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con una
intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie di religioni
tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè l'ideale religioso è
infinito, e la fantasia non sa creare che delle immagini finite. Ma le
due serie hanno una legge, perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte,
Lettera di G. FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice
che M., togliendo all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa
all'abbaco e al pane ; egli non comprende che M. intende anzi di
innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee
estetiche e religiose. hanno un termine : e il loro termine non può essere che
la vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte ed
all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato una serie di
forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra, e sempre meno rispondenti
alle condizioni assolute dell'arte; e sono sempre meno naturali e
spontanee, meno epiche e fantastiche, sempre più spirituali, liriche,
filosofiche e reali; e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e
bella, e più trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una
serie regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario
ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan- tastica, più
razionale, più reale della precedente. Per cui l'ultima, la cristiana, è
assolutamente vera e perfetta; in essa al mondo della ragione corrisponde
un mondo fanta- stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il
cristianesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli- gione.
La religione cristiana si va sempre più perfezionando; e il suo
perfezionamento consiste nell'essere sempre più storia, più realtà, più
verità, e sempre meno religione. E così per contrarie vie, l'una
scendendo e l'altra montando, la religione e l'arte corrono al loro fine,
al vero. Il vero è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e
del- l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e
non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi- gliante al
concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso- luta e reale
intuizione. Allora la natura è concepita come un solo essere vivente,
indipendente, assoluto; e ciascuna sua parte è intuita come membro
dell'intero, ed assoluta essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno
una sola. La intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla
sua idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,
perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che di infinito
con infinito. Ma la intuizione religiosa si va sempre più allontanando
dalla forma naturale, e si fa sempre più veriforme fino a diventar vera ;
il che avviene quando l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo
concetto e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione
fi- nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e
trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo- rale, il
diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata, perchè partecipano
ancora della qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per
oggetto il vero; sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò
quando il pensiero ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e
rimangono unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la
reli- gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per
trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si
trasforma nella vera cognizione naturale ; la religione nella vera
cognizione spirituale. In questa trasformazione consiste la storia; il
suo compimento è il fine della civiltà ed il limite del progresso umano,
che è temporalmente indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è
provvisorio, e sparisce nell'idea. Così termina la parabola
religioso-poetica, della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente;
l'antichità pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che
discende è l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressi-
vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere, oggi, il
pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno cerca l'ideale e trova
l'idea, cerca il concetto dell'arte e trova il vero concetto, cerca il
divino fuori di se e trova in se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova
il naturale. Il nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo,
dal suo pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo è
un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il concetto fatto
conscio di se vince la forma, ed è bello e sublime ad un tempo. Questo
nuovo universo è un capolavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme,
intende il magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il
nume [ Le idee estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il
sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò ohe è in lui di non buono. E il
nuovo uomo continua questa creazione con azioni generose ed alti
pensieri. « Ed è così che egli è più che mai non sia stato religioso e
poeta, quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo
parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a traverso la
piccola riflessione e la grande immaginazione, giunge alla luminosa unità
della riflessione intellettiva, avvivata dalla fede religiosa e poetica, che
sole restano della religione e della poesia. Naturalmente gli
argomenti logici addotti dal M. a sostenere la sua tesi della « metempsicosi »
della religione e dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se
si ammette l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi-
nitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le reli- giose
possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola, se si accoglie
l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di storia del genere umano
tracciato per convalidare queste argomentazioni non raggiunge lo scopo,
perchè in esso non la storia conduce alla dimostrazione, ma la
dimostrazione, se pur non modifica la storia, certo la coglie nei
momenti e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E
le molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostra- zione
della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che egli ha avuta la
somma fortuna di trovare nella sua conce- zione dell hegelismo la sua
filosofia, la sua religione e la sua poesia. M. è certo che
le tre grandi correnti umane, — la contemplativa religioso-poetica che
nasce dalla natura e la riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente,
si suddivide in altre due : la filosofica positiva o filosofia della
sostanza e Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica,
negativo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — , dopo
aver proceduto isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte
correnti o scienze pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere.
L'unità dell'apparenza e del pensiero, con la precedenza di questo su
quella, è l'unità del pensiero. Per avere l'unità della natura non basta
che le due filosofie astratte si fondano in una sola filosofia con-
creta; bisogna che la corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con
la corrente unificata della filosofia. La cor- rente filosofica,
scaturita dalla religione e dalla poesia, tor- bida in principio, si
allarga, si purifica, diviene trasparente sino a perdere ogni potere
nutritivo; ma poi, a poco a poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la
natura, la religione e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E
allora la filosofia sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa
della natura : un pensiero pieno d'amore vivificherà una natura
piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e l'adorerà come natura
divina. Qui alcuno potrebbe chiedersi : in questa
identificazione della filosofia con la vita, non subirà la filosofia
stessa un assorbimento analogo a quello subito dall'arte e dalla reli-
gione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma M. non
distingue dalla vita quella sua filosofia del- l'avvenire. Egli afferma
che è difficile precisare come tale unificazione vitale si compia, e
perchè quest'opera è appena cominciata, e perchè avviene nella profondità
del pensiero, al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane
— dic'egli — e c'è di mezzo una tal nebbia di tempo avve- nire, che
è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi di averne un'idea
generale, a Ma —soggiunge — a questa generalità io ci credo, e giurerei,
tanto ne sono certo, che le cose passeranno così in generale ; e che
tutto anderà a terminare nella fusione di tutte le forze, di tutte le
cono- scenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana. La sua
filosofia sarebbe forse un atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un
sistema riproduttivo, un sistema animale e un sistema spirituale.
Ciascuno di questi quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come
natu- rale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura.
La natura della causa esterna che move è corrispondente e proporzionata
alla natura della sfera interna che è mossa; mentre è una stessa natura
che fa l'una per l'altra, ed è sempre la seconda che move se stessa con
la prima natura. Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la
irragione- vole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola
la ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità
della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la proporzione
con la interna sfera umana, questa si altera e si disordina. Il disordine
della sfera direttamente colpita si comunica alle altre, ed è una
successione e una complica- zione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi
sono che quattro morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi,
gli ani- mali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice
che di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo.
L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani del
Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non ammala che per
irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non è esposto che agli
accidenti meccanici, alle malattie trauma- tiche. Ma l'animale umano è, a
differenza degli altri, capace di colpa; egli trasgredisce il precetto e
oltrepassa la natura: felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla
oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua
libertà e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istintiva
ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volon- taria: e così
di colpevole ritorna innocente. Ma non è più la primitiva innocenza
dell'animale ignaro e meccanico; è l'innocenza dell'uomo che si vede nel
suo interno, e si sa libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera
la sua propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se
stesso, supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole,
e si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia
raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia
com- piuto il fato umano. Così l’uomo naturale diventa in principio
civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La civiltà ha certamente
i suoi morbi; e sopratutto nel momento del passaggio e della colpa il morbo si
impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa.
Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il
morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru- deli morbi. La
corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ; le voluttà naturali e
preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le cause psichiche non
moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche per proprio conto,
generano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche. D'altra
parte, nelle nature più elette, invece di una corruzione sensuale, nasce un
principio di fermentazione intellet- tuale, che dà origine alle malattie
dello spirito. Ma tutto questo avviene con una certa legge. Tre grandi
civiltà si succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza
divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par- ticolare
natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie e particolari
malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore e nella sua
perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e meccanici ;
ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche, e genera
morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno
origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi
nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il
paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione
porta seco le cause umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi
riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici.
La civiltà divina — la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza
morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la
gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale di
tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana
natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e
religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle
malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana
riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le
antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo
cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la oscillazione
normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo, stenico
ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della patologia.
La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del morbo, è
l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la categoria
secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ;
nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce
sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e
secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con
tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i
quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli :
apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non
esistono veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono
complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più
particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed
accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si
riempie e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da
M. è veramente originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-
lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie
forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della
natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria
darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.
L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo
limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa. Dalla
sua stessa concezione di [Delle prime linee della patologia
storica, Prelezione, Bologna, Monti. Della sua patologia storica l'A.
scrive (Delle prime linee della patologia storica): « ...Sarà vera o falsa,
buona o cattiva...; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa
bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola,
sarebbe capace di reclamare la priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non
tracciò che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi
l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle
stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia. Per gli argomenti
trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo
d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e
dall'influenza dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato,
egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una
filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è
pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non
ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le
fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti
fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua
filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato
con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono
a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda
conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali,
dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia,
chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia,
terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con
sistemi filosofici e con periodi storici. Sono analisi di animali e di
vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di
organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere
spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione
si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M.
afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si
ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria
creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma
poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un
nuovo corpo semplice, I tipi vegetali, Deus creavit, I tipi animali, Filosofia e non filosofia,
Darwin e la scienza moderna, ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella
Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad
ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè
il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque
fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un
momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e
senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né
possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi
di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,
individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo
fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee
naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della
natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del Vecchio-Veneziani
- Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ] forma
completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano eternamente
l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme dell'idea
naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così
l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre
forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e
finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo
ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create;
l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo
da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre
ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,
come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già
tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme
in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi
sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e
mezzo all'esistenza della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto
creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia
la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito
umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti interamente, cominciano
a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione
ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è produzione di
molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione,
e la successione effettiva e naturale presuppone la succes- sione logica,
ideale. La funzione è la vita, la forma è la natura, che precede il
contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia assorbire e soverchiare ; e
quando il contenuto spa- risce la forma rimane. Nei tipi superiori la
funzione assorbe e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è
mai completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si ristabilisce
non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa come il tempo; la
natura è più tenace. Altra è la successione di tempo, altra di idea. La
suc- cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a tipo ;
e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i tipi primari sono,
più o meno completamente, rappresentati. Ogni tipo incomincia col
riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi prende la sua forma propria, e
infine arieggia al tipo che gli deve succedere. Anche diverso è il modo
di accrescimento nella natura, nella vita e nello spirito. Essendo la
natura pura esteriorità, i corpi inorganici crescono per moltiplicazione
quantitativa esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune.
Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità diviene
interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto
di esteriorità e di interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere
organico si sviluppa per una moltiplicazione quantitativa ed esterna e
per una moltiplicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o
del- l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno pros-
sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia la sua
interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice che non abbia la
sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege- tale e nell'animale. Nel
vegetale la vita di ogni individuo elementare si unifica nella vita
comune dell'aggregato; nel- l'animale deve prevalere l'unità dello
spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e libero al di fuori, è
molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le forme superiori [sono la
chiave I tipi animali, , Bologna, Monti; Cfr. Lettere sulta patologia
storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori,
per se stesse oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta
spiegate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva
semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme fra le
quali corre una particolare e più diretta e più intima relazione tipica,
secondo il vero metodo evolutivo, in cui l'idea unisce le forme ed
organizza le serie, non col metodo empirico, capace solo di conclusioni
generali arbitrarie, arti- ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce
il preconcetto dar- winiano, di una inestricabile confusione.
Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il Newton, così M. lancia in quasi tutte le sue opere
strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese
è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso
in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera
serie animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre
nuove particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella
selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una
forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che
qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la modificazione dell'essere
vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si
compendia la scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi
uomini, il cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla
filosofia della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo,
non la sapeva altrimenti; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci
voleva poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi
animaci, pel giudizio di M. circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea,
Deus creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non
filosofia, Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da
agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che
tale modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra
poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di
Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di
ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene
espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la
meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e
quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate,
hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano
tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le
forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la
variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati
rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale
; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata,
perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo M. , è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe
nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la
scienza ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza
antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie
ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso
della prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente;
gli altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono
che la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo
spirito umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto
ottico ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere
diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli
elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si riassume tutta nella frase : una forma è simile ad
un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è
pel I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la
verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è
il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di
Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta
una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme
animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una
nell'altra; tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo,
interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale
originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale,
ossia accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le
condizioni esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva
e la larva nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di
forme l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi
uni- versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-
razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e generali,
quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura e pur non sono
naturali; le desta, le crea, le differenzia, le delimita; dei puri e
semplici momenti della legge formale fa delle forme vive, reali,
accidentali; muove la materia in- forme a creare il sistema solare e
l'uomo a traverso alla serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo
eterno, l'uomo intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è
la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par- ticolarità
esiste, ma nella forma di principio, di universa- lità, di necessità, ed
in questa contraddizione consiste la sua attività creatrice. Il pensiero
assoluto si trasferisce e si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa
a sua immagine, e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua
evoluzione attuale. La forma è un principio e una forza
indipendente dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne
deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-
verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale e
dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è quello
intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge, ogni sviluppo
essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. Al movimento
puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere
scientifiche e la filosofia della natura] movimento concreto della forma,
ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo,
teleomorfo. E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella
na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La
natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è tutta forma
senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della forma. La
vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima, fra
molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed
animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi
psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è teleomorfo.
Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo, poiché l'antitesi non è
più solo fra corpo ed anima, fra senso e sensibile, ma fra intelligenza e
intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle
idee e finisce per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si
riconosce nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle
cose e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale apparisce
al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa corporea, ma rimane
particolare; nell'uomo diviene assoluta, universale e puramente ideale, e
la opposizione è finalmente risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo
spirito umano hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico
essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è
per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al labirinto
delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i tipi più
eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico animale in via
di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol tracciare la storia
ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la
descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni
tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile
oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando
da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni. Invece i
sistematici ordinari, tutti intenti alla diagnosi delle forme, poco si
curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualitativi
specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli più materiali,
che non significano nulla appunto perchè non passano in altre forme. Tipo
è forma con significato. Questi sistematici hanno una logica
difettiva a forza di astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso
il quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica,
arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi,
isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le
transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove
manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che
pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la funzione ideale
che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la
selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo- [I tipi
animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge
che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo
che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei
sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo
(apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà
piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo.
Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per
uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che
quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime
copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della
natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una
funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale,
«principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non
hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione
dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede
crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno
inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-
sificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che
nel vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è
il centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi-
zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono
egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e
poi anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei
suoi elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce
vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è
il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma
riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo
tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nell'antizoo,
punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra
corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel
teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra
loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio;
l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il
verte- brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi
di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato
ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un
elemento secondario. Finché M. sta fedele al suo programma di
dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali [I
tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede,
egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli
esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della
filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni
alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno
di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece,
senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà,
la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-
loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus
creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di
dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi
affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui
l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza
di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con
lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi
la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da
lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per
indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.] vero
lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in
sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma
come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della
natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce-
dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un muro saldo,
incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è la materia.
Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia non ci può
essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà
italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella
Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo
semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere scientifiche
e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice tutti e due
dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma —
la materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo.
La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo : da forza
chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza fìsica a forza
meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia della forza
inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il tempo
materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la
materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia nel
suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non
pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui
tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di
sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa
della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità
e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un
imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo
sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la
trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in
un punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto
lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria
reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e
con esso cominciò la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato
il moto, la forza semplice, in forza chimica, così trasforma questa in
forza fìsica, e la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro
fondo fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si
trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera
materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] fisica,
è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si aggiunge alla
forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una
nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una
realità non sensi- bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà,
sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla
esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza è molto
pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal valore da fare di uno spazio-pensiero
uno spazio-natura; ma la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò
atta ad empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano
dietro a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie,
subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre
pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le dissemi-
nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio è pieno ed ha
compiuta realtà. Egli è estensione, è materia, ma non corpo, perchè non è
ancora sensibile. 11 primitivo pensiero umano ha dentro di sé un
limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del
senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero,
e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia
pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui stesso, ed è
ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi egli,
premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno spazio-estensione,
e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del
corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto
reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà tutta la
natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'animale ; e all'ultimo si
rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo limite
originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco un
senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi
distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della
natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso
identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano
originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria
identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale,
poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose
opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una
perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità
delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente
corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più
facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori,
la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la
scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è
quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo,
uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo
sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una
nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a
tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il
cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la
forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma
egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che
un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano,
che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi
nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di
natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è
l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto
individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come
allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è
preceduto da questa nota. Il presente dialogo è indipendente dai precedenti »,
- Sappiamo già che M. lavora spesso frammentariamente. Le
opere scientifiche e la filosofia della natura.] bensì successivamente. L'io è
un animale naturale, individuale; ma gli ii sono molti, e sono come molti
punti, molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio
intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana universale,
come quella dell'individuo umano, si sgomitola nel tempo e si srotola nello
spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia. E
perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è
una cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della
natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e
universale ; solamente non appare e non diventa reale che in certi punti
di tempo e di spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e
in certi ii. È facile scorgere che M. non è felice quando
vuole risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.
Invero non si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso
un limite interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la
natura, che invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero,
a furia di premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da
forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star
tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto.
Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed
identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che
non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità,
come la pre- sente egli stesso: e certo di quella verità da lui
pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una
pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE, LA
FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento
di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se
sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica
una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla
conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la
sostanza delle forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma
il controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed
intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità,
e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore ammette
l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo con le
idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro
movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la
rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo
termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte
in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva
non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un
controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la
laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere
l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui
M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come
quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona
come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro
essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che
il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un
limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista
ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della
forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La
sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere
oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né
dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è
difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe
alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,
vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare
una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una
soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva
come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del
pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli
cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-
teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si
ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o
riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit. Forza e
materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M.
M. non è d'accordo col Berkeley, che «
sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una costruzione
speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione
della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione
necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione
logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non
si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e
lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di
tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, « l'idea
di con- trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato
debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale
delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita
della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi
della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo
e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio
contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la
trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso
perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più
intima e razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto
si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della
necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza
afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della
creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è
razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve
rientrare nella costruzione speculativa come elemento interno, e non
esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è
la né col Fichte, nel cui sistema la natura c'è soltanto quanto basta per
far la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr.
Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia, Dopo la laurea, negazione della necessità
razionale e della deduzione a priori, ed in questo caso la dichiarazione
della sua indispen- sabilità costituisce il confessato fallimento della
costruzione speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza
sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella
avrebbe significato il riconoscimento della contraddittorietà della sua
impresa. Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire
nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli anelli di
saldatura tra i frammenti non altrimenti congiungibili. L'anello iniziale,
poich'egli dice che quando non c'era la natura e quindi l'accidente » era
impossibile al- l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve
prece- dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza
in- flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo e
dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della materia
semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda- tura, in quanto dice che
l'accidente, elemento costitutivo della natura, è necessariamente
compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo vivente è già
idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo
real- mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e
d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e lo sviluppo della
natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e
concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto è anche idea,
ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio e
la potenza della vita... è sempre unito a un qualche elemento materiale e
meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed
accidentale. Forza e materia, /
mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.
Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un tipo
ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme preesistano in
forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e spontaneo. Ma la
creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di
quegli schemi indeterminatissimi », sì anche nella loro delimitazione naturale,
o sia accidentale. E molte volte ripete che la natura è accidente e che
l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui appunto si potrebbe
obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto
del- l'accidente che M. afferma. Legato all'idea, intrin- seco alla
natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a determinare e spiegare
lo sviluppo non è, come l'accidente dei darwiniani, puramente estrinseco
e meccanico. Ha anzi esso medesimo una necessità interiore ; è il momento
della antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi
crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la forma, l'anima,
la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il
limite indifferente, l'assoluta particolarità esiste, ma nella forma di
principio, di universalità, di necessità : ed è in questa contraddizione che
consiste la sua attività creatric. Per questa via parrebbe risolversi la
difficoltà nella quale ci appare impigliato la filosofia di M.. Che se
anche altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi
sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico- nosciuta
sopra all'accidente; ma distinzione di due specie di accidenti o di
nature: l'interna e l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso
proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una natura esterna che
viene Deus creavit, (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente
esterno ed accidentale che non era compreso nel processo della
natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a
modificare, sia pur solo superficialmente e quantita- tivamente, le
forme, e favorire la trasformazione, e provocare la nuova interna
creazione e lo sviluppo di germi latenti, « può fare e fa certamente di
più, v'introduce qualche cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a
questo accidente, esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M.
— nella forma latente un principio di accidente. Essa è semplice ed una,
ma nella sua unità vi è un germe di differenza e di moltiplicità, vi è
l'attitudine e la disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un
accidente indeterminato e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è,
accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli
dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti
esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione.
L'accidente può render conto delle differenze secondarie, non giunge
ai veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia interna,
essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente:
uno necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo,
l'accidente necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa
ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni
realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli individui;
l'altro, l'accidente accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo
inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus
creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit,
Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle
quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione
delle varietà, delle specie, dei ge- neri, ma la sua azione non potrebbe
estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana,
una lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da
capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non
che arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che
abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti
al pensiero del M., è veramente risolutiva? Questo approfondimento del
concetto di accidente, questa distinzione delle due specie di esso,
interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera- mente la
contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della
natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione
e molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte
afferma che senza il concorso di esterno accidente la possibilità non
passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e
l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché
l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto
per l'esistenza degli individui, ma anche per la produzione reale dei tipi
nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è fatto
consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei processi
dal quale si fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a
loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della
natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una
dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste
a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler
dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non
saper negare che vi sia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi
scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana,
una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il
resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione
è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la
patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal M.
crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura
interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano
o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Ora si ricordi che per M. la malattia corrisponde al passaggio
dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una
forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma
superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.?
Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe
la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale
dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione
? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si
collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del
pensiero di M.. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo
idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente
e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia
con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta
si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è
il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre
il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea
e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il
fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non
può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita
non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà
il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure
derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno ai rapporti
fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione
della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi
con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,
perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima
che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il
dichiararla disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose
eccellenti, virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il
criterio della verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica,
nella cura delle ma- lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere
fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia
pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della
fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della
medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-
siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi
principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del- l'
accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario e
l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori e ciò che
è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed
egli non riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate
nel costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte
più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in
questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della
natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che
le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non
consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta,
razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una
soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla
dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già
scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s theory resembles my pirotological
progression, heavily! I like his generalisations. I wish we had at Oxford such
a freedom to generalise!” -- Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis.
Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo
dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora
si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
e Meis” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Melandri: l’implicatura conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia
nel convito di Platone – Reale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo italiano. Grice: “One of the ten items he lists in his ‘Contro lo
simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more
seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part of what I call
‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics, along with
ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition
of analogy, which he pairs with two other concepts: proportion, and symmetry –
re-interpreting mainly Aquino’s reading of the Aristotelian tradition in a semiotic
approach.” Grice: “Melandri also takes Kant seriously on this.” Grice: “If an
Italian philosopher wrote ‘contro la comunicazione,’ another wrote ‘contro il
simbolico’!” -- Grice: “He has studied
Buehler; I like that!” Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in Germania. Insegna
poi a Lecce, Trieste e Bologna. Parallelamente all'attività universitaria, collabora
con Mulino e alla rivista omonima, per le quali ha svolto attività di
consulenza, con traduzioni e curatele, pubblicando con essa alcuni dei suoi saggi.
I suoi saggi vertono sulla fenomenologia di Husserl, sul concetto di analogia e
sul principio di simmetria. Tra le sue curatele, anche presso altre case
editrici -- Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte alle Grazie, Giuffrè, Pitagora
ecc. -- ci sono studi che vanno dalla scienza politica di Ritter e di Habermas,
alla fenomenologia di Schütz, dalla
logica di Copilowski e dalla filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai
paradossi di Bolzano (e poi la storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia
scientifica di Pap, a quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels,
e dall'estetica di Trier alla metaforologia» di Blumenberg ecc. Ha istituito un gruppo di studi su Leibniz,
in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla
Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle
attività del Centro di studi per la filosofia mitteleuropea con sede a Trento;
partecipando alla realizzazione della
rivista Topoi. Da vita agl’Annali dell'Istituto di discipline filosofiche
dell'Bologna, poi trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline
filosofiche», ancora attiva e di cui è stato il direttore. Tra i suoi saggi,
spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito d’Agamben un
capolavoro della filosofia. Il filo
conduttore di tutta la riflessione di M. è il rapporto tra pensiero logico e
pensiero analogico. Mentre la logica tende a svilupparsi mediante un concetto
d'identità elementare, legato alla discontinuità del principio di non-contraddizione,
l’ANALOGIA si fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura
oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gl’opposti. Ora,
queste due forme di ragionamento non sono affatto inconciliabili, ma
complementari, in quanto fondate, non su una struttura assiomatica, ma su una
diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si
realizza, secondo M., nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a
evidenziare l'empirismo radicale connesso alle strutture
costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da
quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento
fenomenologico. In ultima istanza, congiungendo istanze aristoteliche e
husserliane, M. assume una concezione dell'essere fondamentalmente equivoca,
nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo stesso, come
principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre, M. espone
questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e d'insegnamento
del tutto particolare, che viene così descritto da Besoli, filosofo a Bologna. A
lezione, si può dire che M. non parlas, ma pensas ad alta voce dando
l'illusione, quanto mai benefica ed essenzialmente terapeutica, di pensare
insieme con lui. Si ha l'impressione di assistere, dunque, a un pensiero in
corso d'opera, e più propriamente ciò che accade e un'esperienza di pensiero
condivisa, giacché la condivisione e appunto la condizione stessa della buona
riuscita di tale esperienza Altri saggi:
“I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico,” -- introduzione a Bolzano,
“I paradossi dell'infinito”, Cappelli, Bologna; “Logica ed esperienza,” “La
scienza come criterio storio-grafico,” “Note in margine all'organon dei
peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica – co-predicabili
– negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come co-predicabili, la
disgiunzione ‘o’ come co-predicabili, l’implicazione ‘se’ come co-predicabile
-- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica” Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli,
Milano; “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia
e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in
«Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? Zoon Politikon.
Bolk e l'antropo-genesi, Che Fare, “La linea e il circol: studio
logico-filosofico sull'analogia, Bologna: Mulino rist. Macerata: Quodlibet, prefazione d’Agamben,
appendice di Besoli e Brigati, Limongi. Nota
in margine all'episteme di Foucault, Lingua e stile, La realtà e l'immagine, in
Barth, Verità e ideologia; Sulla crisi attuale della filosofia, Mulino, L'analogia, la proporzione, la simmetria,
Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, Lingua e stile, Quodlibet,
Macerata, L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, Freud: L'inconscio e
la dialettica, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali,
Bologna: Pitagora; L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet. Bühler. La crisi della psicologia come
introduzione a una nuova teoria linguistica, in Animo ed esattezza. Letteratura
e scienza, Marietti: Casale Monferrato, Variazioni in tema di psicologia e
scienze sociali, Pitagora, Bologna; Matematica e logica in psicologia: applicazione
propria determinante o im-propria analogico-riflettente, L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, Per una filologia del sublime, in "Studi
di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary
unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La
novità degl’ultimi tremila anni, Mulino", "Faenza" e Marisa
Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il
simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are
less important than the generic remarks he makes about the whole ten.” Grice:
“While in his study on ‘analogia, proporzione, simmetria,’ he is semiotic, in
this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet, Macerata, postfazione di Guidetti;
Sul concetto di descrizione nella psicologia fenomenologica, in "Intersezioni",
Su quel che è dato” (Grice: “A good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as
per sense-datum’! in "erri", Le ricerche logiche di Husserl:
introduzione e commento, Mulino, Bologna, Su quel che c'è, e quel che
immaginiamo che ci sia, o della principale equi-vocazione del termine
'rappresentazione')", in Discipline filosofiche, Il problema della
comunicazione, Paradigmi, Tempo e temporalità nell'orizzonte fenomenologico, Discipline
filosofiche, La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia
esistenziale, Questo nostro tempo -- studi e riflessioni sull'evolversi della
nostra epoca” (Bologna); Filosofia come critica della conoscenza e impegno
interdisciplinare, Tratti, Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi su M.,
Faenza, Agamben, Archeologia di un'archeologia, in M., La linea e il circolo.
Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet, Agamben, Al di là dei
generi letterari, in M., I generi letterari e la loro origine, Macerata:
Quodlibet, Ambrosetti, Sugli stoici,
Roma: Aracne; Ambrosetti, Una lettura di Epitteto", in
"dianoia", Besoli, "Il percorso fenomenologico", in La fenomenologia in Italia. Autori, scuole,
tradizioni, Roma: Inschibboleth; Besoli e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le
forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e
rivoluzione", in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet sinistra in rete.info cultura’ Lagna e
Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, Philosophy
Kitchen, Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti, Sugli stoici, Roma:
Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma trascendentale.
Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La ripetizione
creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini, "Lo
schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di M. edite da Quodlibet, edizione completa.
Discipline Filosofiche, rivista di filosofia. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo
‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice – analogia – problema della
comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical unification,
lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill, jevons, maxwell,
Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci,
marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice, analogicalunification,
owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Melanipide: la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano. The author of a number of tragedies. He appears to have
practised a relatively ascetic version of Pythagoreanism. Grice: “Cicerone
argues: Melanipide spoke Greek, not Latin; therefore, he is not an Italian. At
Oxford, we are a bit more inclusive: Gellner spoke French, he is a Jewish
philosopher who teaches at some London red-brick!” -- Melanipide
Grice e
Melchiorre: l’implicatura conversazionale – il corpo – la filosofia dell’amore
– amante ed amato – il convito di Turolla – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Chieti). Filosofo italiano.
Grice: “I like Melchiorre; while I
refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole
treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with
nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”.
Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian –
corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a
meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and
Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo
essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà
di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo inizia
la carriera accademica come assistente volontario di filosofia della storia,
per poi insegnare a Venezia. Richiamato
a Milano, ha ricoperto la cattedra di
Filosofia morale, per poi insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di
specializzazione in Comunicazioni sociali. Altri saggi: Arte ed esistenza,
Firenze’ Il metodo di Mounier, Milano; Il sapere storico, Brescia; La coscienza
utopica, Milano; L'immaginazione simbolica, Bologna, Meta-critica dell'eros, Milano,
Ideologia, utopia, religione, Milano, Essere e parola, Milano, Corpo e persona,
Genova, “Studi su Kierkegaard, Genova, Analogia e analisi trascendentale: linee
per una lettura di Kant, Milano, Figure del sapere, Milano, La via analogica, Milano,
Creazione, creatività, ermeneutica, Brescia, I segni della storia, Ghezzano Fontina,
Al di là dell'ultimo, Milano, Sulla speranza, Brescia, “Ethica,” Genova, Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, Essere persona,” Milano, Breviario di
metafisica, Brescia, Il nome indicibile, Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione di M., Convegno del Centro
Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra SERBATI. M., Rai
Educational Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice: “Melchiorre, while quoting the
necessary German sources for an Italian philosophers – Eros und Agape, tr. N.
Gay – he dwells on Enrico Turolla’s beloved (by every Italian schoolboy)
version of “Convito” – which Turolla published under the ostentatious title,
“Dialogo dell’amore” – Melchiorre typically finds some mistakes, since Turolla
was no philosopher – and no lover of Sophia, and no Sophos of love!” --
Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi,
meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il
riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e
l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Melesia: la diaspora di Crotone --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicerone
complained that Melesia spoke Greek, not Roman!” – Melesia.
Grice e Melisso: la scuola di Velia -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo
italiano. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical and change
is an illusion he attributed to the unreliability of the senses. Luigi
Speranza, “Grice e Melisso”, The Swimming-Pool Library. Melisso
Grice e Melli: l’implicatura conversazionale -- AVRELIO
– filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo di Pomponio –
pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma).
Filosofo. Grice: “I like Melli; you
see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli puts his soul in his
essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is rather neutral! For us at
Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as furrin; Locke ain’t!”.
Altri saggi: La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Tocco,
Firenze,Commemorazione di Villari, Firenze, La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici,
Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra i filosofi romani e i filosofi
greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in senato dei filosofi e dei
retori il senato consulto da incarico al pretore Marco POMPONIO (si veda) di
provvedere “uti Romae NE essent [FILOSOFI greci]”. Semi della filosofia greca sono
sparsi dagl’esuli ACHEI, tra i quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra
macedonica. Pochi anni dopo, ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche
questa volta vedemmo come CATONE (si veda) s’impensiera dell’efficacia rovinosa
che quell’abile parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade
ha un grande successo e l’infiltrazione delle idee filosofiche grechi e già
cominciata, specialmente dopo la conquista delle città della Magna Grecia come
Crotone – sede della scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di
Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia –
Girgenti, sede della scuola di Empedocle --, e Leontini, sede della scuola di
Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi romani senteno parlare di questo
‘amore di sapienza’, filosofia, e degl’amanti di sapienza, filosofi. Un motto
si trova in un frammento di ENNIO (si veda), nel Neottolemo. Philosophari mihi
necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam. Col progredire
della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir
i romani presso questi pedagogi schiavi ditti amanti di sapienza. Alcuni grandi
personaggi, come SCIPIONE Emiliano (si veda) e il suo amico LELIO (si veda) divieno
protettori dei questi pedagogi detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano
nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un'utile disciplina nella
dialettica, studiata nella lingua strainiera, non in romano. La riforme di
GRACCO (si veda) -- Gracchi -- e ispirata da idee di questi ‘amanti di
sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano a questo ‘amore di sapienza’
e 1'orientazione nelle questioni pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore,
al giureconsulto, agl’uomini di stato.
Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole o sette. Una delle prime ad
essere trattata in latino e la dottrina dell’Orto. Sono nominati un AMAFINO (si veda) e un RABIRIO (si veda) come
espositori delle idee, dell’Orto, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’
– sostenitore del piacere -- un certo CAZIO (si veda), “levis quidem, sed non
inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il
grande interprete dell'edonismo presso i Romani è LUCREZIO (si veda), che segue
Empedocle. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. BRUTO minore (si veda),
l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il dottissimo VARRONE
(si veda), che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in psicologia e in
teologia segue più il PORTICO che l'Accademia. Ma tutte queste sono semplici
notizie. Il gran nome che oscura, tutti gl’altri ed è per noi il vero
rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è CICERONE (si
veda). Giuseppe Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Melli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Memmio: l’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A bit of an enigmatic character. LUCREZIO dedicates his great Garden
poem to him. He acquires the ruins of the house in Athens where Epicuro starts
his Garden. Gaio Memmio.
Grice e Menecrate: la scuola di Velia --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia).
Filosofo italiano. A pupil of Senocrate. Menecrate
Grice e Menestore: la scuola di Sibari -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo
italiano. Pythagorean. Giamblico. Menestore.
Grice e Menone: l’implicatura
conversazionale – gl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorian and son-in-law of
Pythagoras, according to Giamblico di Calcide.
Grice e
Mercuriale: l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton,
cricket featured as my priority, -- philosophy came second!” Celebre per avere
per primo teorizzato l'uso della ginnastica nella filosofia. Suoi sono anche il
primo saggio sulle malattie cutanee e un'importante saggio, forse la prima mai
scritta, di pediatria. Ritratto raffigurato
in "De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la
laurea a Padova, dove ha modo di conoscere TRINCAVELLA, segue a Roma Farnese. A
causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso Pio
IV. Pare aver composto il suo celeberrimo saggio sulla ginnastica. E professore in entrambe le università dove studia.
A Padova, in particolare trascorse un periodo molto fecondo, in cui scrive saggi,
alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti durante le lezioni.
Si reca poi a Pisa, dove divenne tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere
di una certa fama. Cura anche altre importanti personalità del suo tempo, tra
cui Massimiliano II, che lo nomina cavaliere e conte palatino. Merita di essere
citato un famoso episodio che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri
filosofi illustri, consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva
la città. Escluse fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima
percentuale della popolazione si era ammalata e il contagio resta comunque
molto limitato. Dopo una settimana però la malattia ha un decorso
impressionante, colpendo un terzo della popolazione veneziana tra cui anche
alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente però tale evento non ha
gravi conseguenze sulla sua carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a
proposito della peste, continua a difendere la sua posizione riguardo allo
sfortunato caso veneziano. Fa restaurare una cappella dell'Abbazia di San
Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di famiglia, da allora nota
come cappella M, dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia
in eredità la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni
settimanali di filosofia. Ricevuti i saggi, i monaci, per custodirli e renderli
fruibili a tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo
di M., e murata nella cappella una lapide con le seguenti parole. Questo marmo
ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano
il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore
dell'opera ippocratica, “Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui
discusse in modo critico le opere del medico, “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri
scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un
testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento
scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di
tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcuni altri suoi saggi sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus, Venezia; De venenis et
morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum, Citato in Landi, Credere, dubitare,
conoscere. De M. vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum
in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della
Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum. “De arte gymnastica” Pediatria
Dermatologia, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed
‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Mercuriali.
Girolamo Mercuriale. Mercuriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the
demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
Mercuriale.
Grice e
Merker: l’implicatura conversazionale – il filo d’Arianna – Arianna abbandonata
a Nasso --– filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento).
Filosofo italiano. Grice: “My
favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The
fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei
costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has
philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was
born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il
filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of
context.’ --Si laurea a Messina. Trascorse un periodo di ricerche in Germania.
Allievo di VOLPE, insegna a Messina e Roma. Cura edizioni italiane di classici
dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e dell'idealismo, nonché di Marx,
Engels e del marxismo. Dopo essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla
Seconda guerra mondiale, si occupa dell'idea di nazione, dell'ideologia
colonialista e infine del fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di
divulgazione della storia della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta
voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti
sono su Heine, Mann, Zweig. Altri saggi: Le origini della logica, Milano,
Feltrinelli; L'illuminismo, (Bari, Laterza – la metafora della luce della
ragione ; Lessing e il suo tempo, Cremona,
Convegno; Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti, Storia della filosofia, La filosofia moderna.
Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e
utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti);
STORIA DELLA FILOSOFIA: L’ETA ANTICA -- Storia delle filosofie, Firenze, Giunti
Marzocco; Marx, Roma, Riuniti; Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le
interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi; La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti; Lessing, Roma, Laterza;
Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky ai marxisti” (Roma,
Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il
sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue
lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della
filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i
mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del
populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e
opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma,
Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma,
Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel,
Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My
favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con
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Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma,
Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il
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Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società
civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un
secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma,
Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
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materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?,
Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster,
Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza, Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli,
Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della
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La discreta classe delle idee. E’ Merker,
asul sito di Rifondazione Comunista Il
contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di Merker, S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo,
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riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra
storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su
uniurb. Merker. Keywords: storia della filosofia – l’eta antica --. il filo
d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata,
giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek
ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Messalla: l’orto romano – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Garden. Friend of Orazio. They study philosophy together. He opposea
GIULIO (si veda) Cesare but eventually makes his peace with Ottaviano. He writes
philosophical treatises. Allow me to address briefly the L’ORTO philosophy
within the context of the difficult tines covering the years which witness the
downfall of the republic and the birth of the principate. In 'L’ORTO in Revolt' (J.R.S.) Momigliano takes
as a starting point the conversion to L’ORTO of CASSIO who rapidly comes to the
conclusion that GIULIO Caesar has to be eliminated because of what appear to be
his tyrannical tendencies. The author emphasises that during this crucial
period the adherents of the L’ORTO philosophy did not maintain a passive
political aloofness. While some followers of L’ORTO actively support GIULIO in
a noderate way, a mumber oppose him, among whom are I. Manlio Torquato, Trebiano,
L. Papirio Paeto, M. Fadio Gallo, and, as the evidence suggests, L. Saufeio and
Statilio. Monigliano concludes with the statement that on the whole, the events
prove that Cassio is not an exceptional case among the contemporary L’ORTO. The
majority stand for the Republic against Caosarisa." Horace seens to have
felt an antipathy tovarda Mbullus and his patron M. which may be explained
to sone extent by political factors, in particular the strong republican
sympathies which the latter still professs under the principate. Of M.,
Monigliano notes that ORAZIO writes of him, 'quanquan Socraticis madet
sermonibus', a dubious expression, but the Ciris (whatever its date and author)
shows him well acquainted with the L’ORTO circle, and his leader is, as he proudly
proolaimed, Cassio (Tac.Ann.; Dio; Plut,Brut.). I suspect then that he is a
definite member of L’ORTO.
It is, then, I think possible that M.'s political persuasions are coloured by his philosophical
thinking and that his intellectual interest in L’ORTO is not nerely of an
ethical nature. Monigliano, arguing along the lines of Diels, maintains that in
a passage of his treatise on the gods FILODEMO of L’ORTO is expressing a
political viev: "the words reflect the indignation of a man who sees the
defenders of the Republic play into the hands of the tyrant. Similarly in his
treatise on death the same philosopher recoends that sen should be ready to
face death in the event of political persecution. Followers of L’ORTO are
capable of reacting decisively to political circumstances, this being a major
point advanced by Monigliano who maintains for instance that the sane Saufeio is
not outside politics absorbed in the 'interrundia' but that he mingles
philosophy and political action which probably acoount for his being exiled and
falliag riotin to the proscriptione, and that Cicerone’s friendship with a
number of L’ORTO is based on the faot that adherents of the philosophy
possessed political feelings with which he sympathised. Both democracy and the
non-tyrannical state find approval in the L’ORTO theory of the social contract,
though the adherent of the philosophy is generally advised to renain outside
politios. When ve consider M.’s resignation fron the office of 'praefectara
urbis' on the grounds that the pover with which he vas invested was
unconstitutional (incivilis; see Putnam, C.A.H) I suspect that republican
scruples combine with his adherence to a philosophical mode of thought which
preached political aloofness, affected hio decision. His is a detached
involvement" comments Putnam on M.'s republican sympathies and resignation
from office, and suggests political as vell as stylistic sympathy between M.
and Tibullus. The philosophical overtones in Mbullus' work in uy opinion
reflect this sympathy and remind us that both poet and patron have reservations
about contributing wholeheartedly to the advancement of the new regime and its
ideals. In the programme elegy it is a detachment from the sort of life which
would contribute to the welfare and strength of the state which the poet
manifests. Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo, si veda M. console. Console
della Repubblica romana Scultura che probabilmente ornava la parte superiore di
un piedistallo marmoreo contenente l'urna cineraria di M., rinvenuta nella
villa di quest'ultimo ed ora conservata nel Museo del Prado. Figli Marco
Valerio Messalla Messallino. Gens Valeria Padre Marco Valerio Messalla Corvino Consolato. Proconsolato in Gallia Comata. Militare e filosofo romano,
patrono della letteratura e delle arti. Membro dell'antica gens Valeria, di
ideali repubblicani, nella battaglia di Filippi combatté al fianco di Bruto e
Cassio. Passa poi dalla parte di Antonio ed infine entra nelle file di
Ottaviano. Trionfo di M. -- rappresentazione sul frontone del Palazzo
Krasiński a Varsavia, opera di Schlüter Si trovava nell'Illyricum a combattere
gl’Iapidi a fianco di Ottaviano come tribunus militum. Consul suffectus assieme
ad Ottaviano, e prese parte alla Battaglia di Azio a fianco di quest'ultimo. In
seguito ha il comando di una missione in Asia Minore. Combatté contro il popolo
alpino dei Salassi, come proconsole della Gallia, dove soppresse anche una
rivolta tra gl’Aquitani. Per queste imprese celebra un trionfo. Tacito
riferisce che e nominato praefectus urbi, ma M. rinuncia alla carica dopo pochi
giorni adducendo motivazioni legate alla sua incapacità di esercitare
l'incarico. In quanto princeps senatus, autorevole esponente dell'aristocrazia
romana, avanza la proposta dell'attribuzione a Ottaviano del titolo di pater
patriae. M., letterato Alla partecipazione alla vita pubblica, accompagna
l'interesse per la filosofia. Influenza considerabilmente la filosofia che
incoraggia sull'esempio di Mecenate. Il gruppo che lo circonda e noto come il circolo
di M.. Tra gli altri comprende Tibull e Ligdamo. Amico di ORAZIO (si veda) ed OVIDIO
(si veda). Elogiato da Tibullo per le sue vittorie in una elegia nel Corpus
Tibullianum e in un poemetto -- il Panegirico di M. Suoi omonimi sono il padre,
console, il figlio Valerio Messallino, e un discendente M., console come
collega dell'imperatore Nerone. Una sua parente, forse una sorella, sarebbe la
Valeria, sposa di Quinto Pedio, console insieme ad Augusto, che aveva proposto la lex
Pedia contro i Cesaricidi. Syme 1993, p. 301. Wilkes 1969, p. 47. ^
Velleio Patercolo, II, 71.1. ^ Tibullo, III, 106-117. ^ Tacito, Annales, VI,
11.3: quasi nescius exercendi. ^ Svetonio, Augustus, 58. Bibliografia Fonti
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(traduzione inglese Archiviato il 20 novembre 2015 in Internet Archive.). (GRC)
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latino e traduzione inglese qui e qui ). Fonti storiografiche moderne Eva
Cantarella, «Messalla, Ovidio e il circolo dei poeti», Corriere della Sera, 13
gennaio, 2013 (IT) Ronald Syme, L'aristocrazia augustea, Milano, BUR, 1993,
ISBN 9788817116077. (EN) J.J. Wilkes, Dalmatia, in History of the provinces of
the Roman Empire, Londra, Routledge & K. Paul, 1969, ISBN
978-0-7100-6285-7. Voci correlate Casal Rotondo Altri progetti Collabora a
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Corvino Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Marco
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esterni Messalla Corvino, Marco Valerio, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Alberto Olivetti e
Massimo Lenchantin De Gubernatis -, MESSALLA, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1934. Modifica su Wikidata Messalla
Corvino, Marco Valerio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
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(LA) Opere di Marco Valerio Messalla Corvino, su PHI Latin Texts, Packard
Humanities Institute. Modifica su Wikidata Opere di Marco Valerio Messalla
Corvino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata Predecessore
Consoli romaniSuccessore Gneo Domizio Enobarbo, Gaio Sosio31
a.C. con Gaio Giulio Cesare Ottaviano III Gaio Giulio Cesare Ottaviano IV, Marco Licinio Crasso.
Circolo di Messalla V · D · M Guerra civile romana (44-31 a.C.) V · D · M
Conquista romana dell'Illirico. Portale Antica Roma Portale
Biografie Portale Età augustea Categorie: Militari romaniScrittori
romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Romani Consoli
repubblicani romaniValeriiGovernatori romani della SiriaAuguriGovernatori
romani della GalliaMecenati romani[altre] Marco Valerio Messalla Corvino
(console 61 a.C.) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Marco Valerio Messalla
Corvino Console della Repubblica romana Nome originaleMarcus Valerius Messalla Corvinus
FigliMarco Valerio Messalla Corvino GensValeria Pretura63 a.C. Consolato61 a.C. Censura55 a.C. Marco Valerio Messalla Corvino [1] (in latino Marcus
Valerius Messalla Corvinus o anche Marcus Valerius Messalla Niger; ... – ...;
fl. I secolo a.C.) è stato un politico romano. Biografia Fu pretore nel
63 a.C., l'anno del consolato di Cicerone; fu poi console nel 61 a.C., l'anno
in cui Publio Clodio violò i misteri della Bona Dea. Nel 55 a.C. fu censore
assieme a Vatia Isaurico, e l'anno successivo, sempre in carica, tentarono di
regolare lo straripamento del Tevere. Non tennero il lustrum.[2] Note ^
William Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, 1,
Boston: Little, Brown and Company, Vol.1 pag.253 n.1 Archiviato il 20 ottobre
2013 in Internet Archive. ^ T. Robert S. Broughton, The magistrates of the
Roman Republic, II, New York, 1952, p. 215. Predecessore Console romanoSuccessore Decimo Giunio Silano e Lucio Licinio Murena(61 a.C.) con Marco Pupio Pisone Frugi CalpurnianoLucio Afranio e Quinto Cecilio Metello CelerePortaleAnticaRoma PortaleBiografieCategorie:Politiciromani Consolirepubblicani
romani Valerii[altre]Consul. Roman Senator who lived in the Roman Empire
in the 1st century. He might have been the brother of empress Messalina. A
member of the Republican gens Valeria. The namesake of the Senator and Augustan
literary patron. He may have been a son of the Senator and consul Marco Aurelio
Cotta Massimo Messalino, who was a son of M. or possibly the son of the consul
Marco Valerio Messalla Barbato, thus making him the brother of Valeria
Messalina, the third wife of the emperor Claudio. A member of the Arval
Brethren. Served as an ordinary consul with the emperor Nerone and then as a
suffect consul with Gaio Fonteo Agrippa. Starting with his consulship, he is
granted an annual half a million sesterces to maintain his senatorial
qualifications. Biographischer Index der Antike, Lucan, Civil War
Paterculus, The Roman History, Lucan, Civil War Shotter, Nero Der
Neue Pauly, Stuttgart, Tacitus, Annales, Tacitus, Annals of Imperial Rome D.
Shotter, Nero, Routledge, Lucan, Civil War, Penguin, Velleius Paterculus –
Translated with Introduction and Notes by Yardley & A.A. Barrett, The Roman
History, Hackett Publishing, Biographischer Index der Antike, Gruyter, Political
offices Preceded by Nero II, and Lucius Caesius Martialis as Suffect consulsConsul of the Roman Empire 58 with Nero III, followed by Gaius Fonteius
Agrippa. Succeeded by Aulus Petronius Lurco, and Aulus Paconius Sabinus as
Suffect consuls Categories: Valerii MessallaeAncient Roman
patricians1st-century Roman consuls1st-century clergy Marcus Valerius Messalla Corvinus Article Talk
Read Edit View history Tools From Wikipedia, the free encyclopedia Not to
be confused with Marcus Valerius Messalla Corvinus (consul 58). Marcus Valerius
Messalla Corvinus. A Roman general,
author, and patron of literature and art. Family The triumph of
Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw Print of the
Roman General, made by Hendrick Goltzius.[2] Corvinus was the son of a consul
in 61 BC, Marcus Valerius Messalla Niger,[3] and his wife, Palla. Some dispute
his parentage and claim another descendant of Marcus Valerius Corvus to be his
father. Valeria, one of his sisters, married Quintus Pedius,[4] a maternal
cousin to the Roman emperor Augustus. His great-grandnephew from this marriage
was the deaf painter Quintus Pedius. Another sister, also named Valeria married
Servius Sulpicius Rufus (a moneyer). Corvinus married twice. His first
wife was Calpurnia, possibly the daughter of the Roman politician Marcus
Calpurnius Bibulus. Corvinus had two children with Calpurnia: a daughter,
Valeria Messalina, who married the Roman senator Titus Statilius Taurus, consul
in AD 11; and a son called Marcus Valerius Messalla Messallinus, consul in 3
BC. His second son was Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus, consul in AD
20, who is believed to have been born to a second unknown wife on the basis of
the 22-year gap between the consulship of the elder son and the consulship of
the second son.[3] The writings of the poet Ovid (Ex Ponto XVI.1-52) reveal
that the second wife of Corvinus was a woman called Aurelia Cotta. Another fact
supporting the theory that Aurelia Cotta was the mother of Marcus Aurelius
Cotta Maximus Messalinus is that he was later adopted into the Aurelii
Cottae.[5] Life Corvinus was educated partly at Athens, together with
Horace and the younger Cicero. In early life he became attached to republican
principles, which he never abandoned, although in later life he avoided
offending Caesar Augustus by not mentioning them too openly. In 43 BC he
was proscribed, but managed to escape to the camp of Brutus and Cassius. After
the Battle of Philippi in 42 BC, he went over to Antony, but subsequently
transferred his support to Octavian. In 31 BC, Corvinus was appointed consul in
place of Antony and took part in the Battle of Actium. He subsequently held
commands in the East and suppressed the revolt in Gallia Aquitania; for this
latter feat he celebrated a triumph in 27 BC. Corvinus restored the road
between Tusculum and Alba, and many handsome buildings were due to his
initiative. He moved that the title of pater patriae should be bestowed upon
Augustus. Yet he also resigned from the post of Prefect of the city in 25 BC
after six days of holding this office because it conflicted with his ideas of
constitutionalism. It may have been on this occasion that he uttered the phrase
"I am ashamed of my power".[6] Patronage and writings His
influence on literature, which he encouraged after the manner of Gaius
Maecenas, was considerable, and the group of literary personalities whom he
gathered around him—including Tibullus, Lygdamus and the poet Sulpicia—has been
called "the Messalla circle". With Horace and Tibullus he was on
intimate terms, and Ovid expresses his gratitude to him as the first to notice
and encourage his work. The two panegyrics by unknown authors (one printed
among the poems of Tibullus as iv. 1; the other included in the Catalepton, the
collection of small poems attributed to Virgil) indicate the esteem in which he
was held.[7] Corvinus was himself the author of various works, all of
which are lost. They included memoirs of the civil wars after the death of
Caesar, used by Suetonius and Plutarch; bucolic poems in Greek; translations of
Greek speeches; occasional satirical and erotic verses; and essays on the
minutiae of grammar. As an orator, he followed Cicero instead of the Atticizing
school, but his style was affected and artificial. Later critics considered him
superior to Cicero, and Tiberius adopted him as a model. Late in life he wrote
a work on the great Roman families, wrongly identified with an extant poem De
progenie Augusti Caesaris which bears the name of Corvinus, but in fact is a
12th-century production. Places associated with Corvinus The
so-called Apotheosis of Claudius, the top part of an Augustan-era funerary
monument that may once have contained Corvinus' funerary urn. Found in a
country villa at Marino once owned by C. Valerius Paulinus, a descendant of
Corvinus, it is now in the Museo del Prado in Madrid.[8] Corvinus had a house
on the Palatine Hill in Rome that used to belong to Mark Antony before Augustus
presented it to Corvinus and Marcus Vipsanius Agrippa.[9] An inscription (CIL
6.29789 = ILS 5990) records Corvinus as the owner of the famed Gardens of
Lucullus (Horti Luculliani) located on the Pincian Hill where the Villa
Borghese gardens are today. The Casale Rotondo, a cylindrical tomb near
the sixth milestone on the Appian Way, is often identified as being the tomb of
Corvinus, but this is debatable.[10] Corvinus is also recorded in an
inscription as being one of the three friends of Gaius Cestius responsible for
erecting statues that once stood at the site of the famous Pyramid of Cestius
which is located close to the Porta San Paolo in Rome. In 2012, a
luxurious villa of Corvinus was found on the via dei Laghi near Ciampino. The
finds included seven colossal statues of Niobids that had toppled into the
piscina apparently due to an earthquake.[11][12][13] In 2014 another
luxurious villa of Corvinus on the island of Elba was identified as his.[14] It
was burnt down in the 1st c. AD. Since its original excavation in the 1960s it
was believed to belong to his family since he was a patron of Ovid who wrote of
his visit to Corvinus's son on Elba before his exile on the Black Sea. Recent
excavations below the collapsed building revealed five dolia for wine which
were stamped with the Latin inscription "Hermia Va(leri) (M)arci
s(ervus)fecit" (made by Hermias, slave of Marcus Valerius).
Legendary ancestor of Hungarian royalty The triumph of Marcus Valerius
Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw The
Wallachian-Hungarian family of Corvin, which came to prominence with Janos
Hunyadi and his son, Matthias Corvinus Hunyadi, King of Hungary and Bohemia,
claimed to be descended from Corvinus. This was based on the assertion that he
became a big landowner on the Pannonian-Dacian frontiers, the future Hungary
and part of Romania, that his descendants continued to live there for the
following 1400 years, and that the Hunyadis were his ultimate descendants – for
which there is scant if any historical evidence. The connection seems to have
been made by Matthias' biographer, the Italian Antonio Bonfini, who was
well-versed with the classical Latin authors. Bonfini also provided the
Hunyadis with the epithet Corvinus. This was supposedly due to a case in which
the tribune, Marcus Valerius Corvus in 349 BC, while on the battlefield,
accepted a challenge to single combat issued to the Romans by a barbarian
warrior of great size and strength. Suddenly, a raven flew from a trunk,
perched upon his helmet, and began to attack his foe's eyes with its beak so
fiercely that the barbarian was blinded and the Roman beat him easily. In
memory of this event, Valerius' agnomen Corvinus (from Corvus,
"Raven") was interpreted as derived from this event. The Hunyadis
called themselves "Corvinus" and had their coins minted displaying a
"raven with a ring". This was later taken up in the coat of arms of
Polish aristocratic families connected with the Hunyadis, and also led to
Marcus Valerius Messalla Corvinus' triumph over the Aquitanians (27 BC) being
commemorated in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw. See also
Korwin coat of arms Ślepowron coat of arms References Jeffreys, Roland
(1985). "The date of Messalla's death". The Classical Quarterly. 35:
148. doi:10.1017/S0009838800014634. S2CID 170083433. "Valerius
Corvinus". lib.ugent.be.Syme, R., Augustan Aristocracy, p. 230f.
Syme, R., Augustan Aristocracy, pp. 20, 206. Skidmore, Practical Ethics
for Roman Gentlemen: The Works of Valerius Maximus, p. 116 J.P. Sullivan
(ed), Apocolocyntosis (Penguin, 1986) note 44. ISBN 978-0-14-044489-6
Anonymous Panegyric of Messalla: English translation by J.P.Postgate.
Stephan F. Schröder, Katalog der antiken Skulpturen des Museo del Prado in
Madrid. Vol. 2: Idealplastik. Mainz: von Zabern, 2004, cat. 206 Cassius
Dio 53.27.5 The excavator, Luigi Canina, deduced from a small piece of
inscription with the name "Cotta" that the monument had been built by
Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus for his father, Marcus Valerius
Messalla Corvinus, but this inscription and other architectural fragments are
now assumed to have come from a smaller monument at the site, and they may have
nothing to do with Corvinus, cf. L. Grifi, "Sopra la iscrizione antica
dell auriga scirto", Diss. del. Acc. Rom., Rome 1855, p.491ff. [1]; M.
Marcelli, "IV MIGLIO, 14. Casal Rotondo", in: Susanna Le Pera
Buranelli & Rita Turchetti, edd., Sulla Via Appia da Roma a Brindisi: le
fotografie di Thomas Ashby: 1891–1925, Rome: L'Erma di Bretschneider, 2003,
p.77 Papers of the British School at Rome Vol. 81 (2013), p. 345
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October 2014. Retrieved 28 June 2023. Lorenzi, Rossella (13 February
2015). "Excavating an Ancient Villa: Photos". Seeker. Retrieved 28
June 2023. This article incorporates text from a publication now in the
public domain: Chisholm, Hugh, ed. (1911). "Messalla Corvinus, Marcus
Valerius". Encyclopædia Britannica. Vol. 18 (11th ed.). Cambridge
University Press. p. 189. Monographs by L. Wiese (Berlin, 1829), J. M. Valeton
(Groningen, 1874), L. Fontaine (Versailles, 1878); H. Schulz, De MV aetate
(1886); "Messalla in Aquitania" by J. P. Postgate in Classical
Review, March 1903; WY Sellar, Roman Poets of the Augustan Age. Horace and the
Elegiac Poets (Oxford, 1892), pp. 213 and 221 to 258; the spurious poem ed. by
R. Mecenatë (1820). External links Online extracts from Ronald Syme, The
Augustan Aristocracy, Clarendon Press OUP, 1986 Political offices Preceded by
Gnaeus Domitius Ahenobarbus Gaius Sosius Roman consul 31 BC with Octavian III Succeeded by Marcus Titius (suffect) Biographie Other IdRef Categories: 64 BC births1st-century deaths1st-century BC Roman
governors of Syria1st-century BC Roman augurs1st-century RomansAncient Roman
generalsPatrons of literatureAncient Roman patriciansUrban prefects of
RomeValerii MessallaePeople of the War of Actium. Luigi Speranza, “Grice
e Mesalla: L’Orto” – The Swimming-Pool Library. Marco Valerio Messalla Corvino.
Grice e Mesarco: l’implicatura
conversazionale del figlio di Pitagora –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. The son of Pythagoras. He leads the sect after
the death of Aristeo. Mesarco.
Grice e Mesibolo: la scuola di Reggio -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo.
Grice e
Messere: l’implicatura conversazionale –
l’implicatura di Sileno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre
Santa Susanna). Filosofo italiano. Ricevuti
i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro
Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare
il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere
la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per
lo studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un
maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della
filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche
alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu
messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per
sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi,
procuratosi alcuni libri, M. si applicò allo studio della lingua greca, per la
quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto
processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da qualsiasi
reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo,
dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che M. partì per
Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di
affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un personaggio di rilievo nel
mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande conoscenza della lingua
greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura Greca, che
mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università degli studi di Napoli.
Tale cattedra era stata nuovamente
istituita a spese di Giuseppe Valletta,
filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico di M.. Valletta aveva
una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo frequentatore della sua
casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti, ma anche perché
divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del tempo. Fra i suoi
molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe alcuni divenuti
celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina, Valletta, Capasso,
Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò
un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo Caraconasio.Il mondo
culturale napoletano fu caratterizzato da importanti innovazioni a livello
filosofico, scientifico, civile e politico. Tale fervore culturale aprì la
strada alla nascita di un numero notevole di accademie, che divennero luoghi di
discussione aperta e di diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A
Napoli le principali accademie del tempo furono soprattutto quella degli
Investiganti e quella di Medinaceli. Che sia stato memM. bro autorevole di
entrambe le accademie e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani
è testimoniato da non pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa
conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così
folto seguito di giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati
fanatici dell'erudizione i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia,
diffusero in Napoli addirittura la moda letteraria della macchietta dello
pseudogrecista, satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu
anche tra i primi membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina,
ove gli fu attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle
campagne dell'isola Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia
e anche qui il Messere e tra i primi iscritti.
L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al
M. non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma contribuì
alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero poetico e
filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla formazione
del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di Gregorio Messere
fu anche l'amicizia con Giuseppe Valletta, suo allievo. La conoscenza che M ha
della filosofia fu ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “Socrate”
e quando si riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri
tempi”. Non fu solo un insigne grecista,
ma anche un poeta. Compose infatti circa 60 componimenti, tra distici,
tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed epigrammi in italiano, utilizzando
talvolta uno stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di
carattere pastorale. Un suo epigramma è contenuto in una lettera che Canale
inviò al Magliabechi. Non mancò di scrivere componimenti di carattere burlesco
e giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza della satira e del dialetto alla
ricercatezza esasperata della poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto
nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con
la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano
importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti
nel volume scritto in occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare
sono anche gl’emblemata contenuti nel volume scritto per i funerali di D.
Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Vico in occasione dei funerali di due
uomini illustri Tra le tante
collaborazioni con letterati del suo tempo, degna di nota è quella che ha con VICO
per la pubblicazione di un volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre
sono i componimenti contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una
Miscellanea dal titolo Vari componimenti in lode dell'eccellentissimo Benavides
conte di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in
Miscellanee poetico-celebrative, di M. non esistono opere a stampa. E a ciò ne
dà spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche di cui si dispone sono
quelle che tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste
lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia,
dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia
stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla
vita di NERVA e una sulla vita di DECIO. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò
ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale
napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri
dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia
napoletana “Sebezia”. Storia della
litteratura italiana Biografia degli
uomini illustri del regno di Napoli Le
vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine
delle generale adunanza da Crescimbeni, pRoma,
(biografia scritta da Lombardo). Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in M.: un contributo alla storia del pensiero
meridionale, Morano, Napoli, Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa Susanna,
Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei
documenti, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli; Lomonaco, M., la poesia e l'impegno civile tra Gravina e VICO,
in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di
Medinaceli: Napoli, Rak, Napoli,
Istituto italiano per gli studi filosofici. (regio esim liepiera preso Niccola
Gjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filologo Filosofo Namquein Tore diliuramnemlá
iTera d Ohrante nel mio Mori in Nlapoli. Ebbe per convincenti indizj, co di
Gregorio la sospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di, laddove
impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio, stessolostndio
non conosceva neppur lo avanti , che inbreve con tanta sollecitudine però ,e sn
tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde
cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche
lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza, l'erudizione esi
renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla
alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli
seçe meritamente occupare. la catte be i
suoi natali in un mediocre luogo della Regione de' Salentini, oggi Terra
d'Otranto, detto la Torre di S. Susanna , discosta da Brindisi intorno a miglia
dodici.Suoi genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta
e civil condizione. M., comechè non proveduto nella sua primiera età di
sufficienti maestri, seppe col proprio suo ingegno , e colla sua mente ,
velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a
somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della
filosofia delle mattemati che in buona parte, della Teologia , della Storia
Ecclesiastica e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline
l'onesto diletto della poesia e della musica , e tanto in questa ando avanti ,
che giunse a cantar con lode la parte di basso. M., tutto che si fosse dedicato
al Sacerdozio , gl'intervenne una disgrazia , la quale fieramente l o
travaglio. S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e
nobilpersonag-: gio,enefudipariamorericambiato. Il padre di lei , avutone
sentore, lo fece assalir da due sgherri , I quali si accompagnavano con M., ilquale
go dea il favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase
trucidato I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo
Caraconessin ,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degl’Arcadi illustri
P. 1Scrive a richiesta degli amici sonetti, madrigali ed epigrammi nell'una e
nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude.
Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste
poesie furon da lui recitate nella dotta adunanza che CERDA, allora vice-rè di
Napoli, tenenel Regal Palazzo. E certamentefuscia gura , dra di greco
linguaggio nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù
correre a folla alle sue lezioni , e zione,che non solamente I giovanetti,ma
puranche crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di
letteraria coltura , a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della
greca sapienza congiungeva il Messere quello delle scienze più sublimi ; perciò
i più doiti scienziati che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava
egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano Lionardo di Capoa , Francesco
d'Andrea , Carlo Buragna e tanti altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il
quale par la di lui con somina laude nella sua opera Iter Ita licum ;e
moltissimi presso de'quali e il suo nome in somma estimazione. Il suo
verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare , e sempre ridondante di
greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in questo genere tranne
lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che avrebbe poluto egli dire
con ALIGHIERI: O voice avete gl’ntelletti sani. Il suo modo di comporre era
quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e varie poesie dettò in
istile boschereccio e pastorale. Molto però egli valse nel verseggiare giocoso
, ed in quella spezie di poesia, già inventata da Folengio, il quale si dice
Coccai, che volgarmente maccheronica vien chiamata . che dipartendosi
quell'erudito e generoso Si gnore , seco portate avesse , con le altre cose i c
o m ponimenti di quella dotta brigata, e che Gregorio non ne avesse gl’originali
serbati, e non ne rima nesser che pochi in mano di alcuno de'suoi amici, Ma
egli, intento qual novello Socrate ad istruire la gioventù e far rinascere fra
di noi lo studio e la scienza della greca favella, la quale è detto brac cio
destro della buona letteratura, poco cura le sue cose, e poco ambi di rendersi
per le stampe famoso. Dilettavasi egli infatti più della sostanza che dell و , e più d'istruire la gioventù S!11 renza
della dottrina erudizione. diosa , che di far pompa di lussureggiante арра Le
virtù cristiane e socievoli di M. pareg
giarono la sua erudizione e la sua dottrina. Era el FILOSOFO e religioso al
tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed affabile senza ombra di bassezza o di poca
digni tà,sprezzatore grandissimodellericchezze, tal che pel noto fallimento del
banco dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate
fatiche erasi acquistato , uimase in una fredda in differenza, motteggiando
giocosamente come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli
nella morte di tre nipoti per sorella Biagio, Giovan Batista e Capozzeli,
giovinetti di grandi speranze i due primi nella medicina,ed il terzo nella
legalfacoltà, da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle
lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto,
dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza,
talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine
dell'uomo, e narrasi , che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno
aperto , per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano,
ritrovan dosi ogli con un amico , lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti
discesovi, sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle
pareti , e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase
questo è il luogo che dee a me toccare? Somme lodi son queste certamente per M.,
il quale nato essendo nel mezzo della magna Grecia, nell'antica patria degl’Architi,
degl’Aristosseni,degl’Ennj, de'Pacuvj, e intendentissimo non meno della grea,
della latina e della Italiana poesia, che della più saggia FILOSOFIA, la quale
insegna non pur colle parole , ma col sobrio onorato Con grandissimocordoglio di
tutti gliamatori delle buone lettere, preso di ac cidente apopletico passò a
miglior vita ,e fu sepellito nella detta Cappella del Pontano , siccome in vita
avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedove Ο
Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI.
Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per
Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι il Socrate
de’suoi tempi, e datuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e
con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che mosse
invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na zionali,iquali,passando
per Napoli,vollero vederlo ed ascoliarlo. Siccome abbiamo accennato,aluisideve
in buona parte il risorgimento delle buore lettere della greca dottrina, per
tanti ragguar spezialmente che si formarono sotto la sua di. devolissimi
letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed
alla nostra riconoscenza. Nel no vero de’suoi discepoli furono i Biscardi,
Gennaro d'Andrea, i Calopresi, i Gravina, i Majelli, i Cirilli, i Capassi , gl’Egizi,
e tanti altri lumi della n o stra letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no
minare . tal ragione e di miserevoli bisognosi, a quali questo uomo
incomparabile in ogni maniera di virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo
della sua vita soperchia. va. Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri
della R. U. non che ragguarde volissimi personaggi. Uno di costoro già suo
scolaredi nobilissimo tegnaggio , insigne per lettere e per la scienza della
pittura e dell'architettura,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in
greco ed in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. SALENTINO IN GRAECA LINGVA AD
SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS SANFELICIVS
GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. Quantunque non abbiasi cosa
alcuna alle stam IV. sti. pe di M. Torre di S. Susanna, luogo della Terra
d'Otranto, tuttavia egli ha buon diritto che di lui si parli in GregorioMesso
nella ro edaltriGreci st'opera. La disgrazia avvenutagli que di dover soffri
re,sebbene innocente una lunga prigionia to di omicidio , lo determinò Greca, e
così felicemente venir riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di
Napoli , e il Mabillon nel suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio
. Occupò egli la Cattedra di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e
la insegnò con tanto grido , che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepoli non
poche persone per coltura e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da
lui istruiti si noverano Gennaro di Andrea , il Caloprese Capassi ed altri
molti.Benemerito , il Gravina , il perciò della Greca Letteratura congiunse na
del poetare, e conobbe le altre scienze con gran vantaggio attenzione
specialmente Religione all'epoca della sua morte accaduta ordine di persone il
compianse . ogni funerali i Professori ai suoi , ed , ed ebbe onorata s e per
sospet a studiare la lingua vi riuscì, che meritò di poi anche alla erudizione
lave dei giovani che con zelo ed istruiva ed educava alle lettere ed alla
insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le sue cristiane virtù , m a
specialmente una carità generosa giunsero a tale,che appellavasi novello S o .
Intervennero tutti della R. Università altri ragguardevoli poltura nella
cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo con iscrizione Greca e
Latina da un del suo composta (2). personaggi della Greca e r u (1) Fu egli
ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran conessio. Biografia
degli Uom. ill. del Regno di Napoli. Allorchè si aprì il concorso per la cattedra
di lingua greca. Grice: “When they called Messere ‘Socrate’ I hope they don’t
mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” – Gregorio Messere. Messere.
Keywords: implicature, Sileno, Socrates, SocrateSileno, Socrate, Silenus.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”.
Grice e
Messimeri: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Seminara). Filosofo italiano. Grice: “He was of a noble family – he was into
the free market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi
(Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano. Francesco
Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie
origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre,
il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre
criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto
estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi
giuridici, in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli.
Nella capitale napoletana M. fu raggiunto dal fratello minore Francescantonio,
fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, frequenta le lezioni
di economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove ottenne la riammissione nel
patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare
alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, M. ha modo di approfondire gli
aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio lo
spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si
interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per l'allevamento
dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che
premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro di cultura
fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi. Saggio di
economia campestre per la Calabria Ultra François Quesnay, maggior
rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio di
economia campestre per la Calabria Ultra, esposizione di un piano che, partendo
dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese, secondo la dottrina
fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la trasformare situazione economica
della Calabria. All'epoca il settore produttivo più importante era
l'agricoltura in quanto i posti nell'industria erano pochi, le alternative
limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al settore terziario; l'agricoltura
era tuttavia quasi esclusivamente di sussistenza, e lo scarso reddito
determinava un esodo massivo dalle campagne. Per Grimaldi l'ammodernamento
dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura e allevamento erano le
condizioni prime per avviare la produzione industriale e il commercio. il
successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere reinvestito
nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e olearia. La
presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in quanto avrebbe
potuto richiamare un afflusso di capitali per la ristrutturazione fondiaria e
l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole, con successiva formazione e
sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere, specialmente alimentari,
con impiego di mano d'opera locale. L'imprenditore Vecchio frantojo
ligure dismesso M. si impegna a tradurre in pratica questi progetti, con
l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione
degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara
nuovi frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i
risultati delle sue innovazioni con un'opera
edita con una dedica a Beccadelli, marchese della Sambuca. Si
dedicò più tardi alla produzione della seta. M., che inizialmente intendeva
assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese
conto che l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia
(in questo caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla
"piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della
seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla
seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei
controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle
manifatture e del commercio. Il politico Sir John Acton La
riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al dibattito
sul problema della libertà nel commercio internazionale, in particolare nel
commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza dopo la carestia.
Una delle proposte più importanti di M. fu la costituzione, nella Calabria
Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il miglioramento
della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario sostegno né nei
proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria
Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla
struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di visite
alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con proposte di
azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza, principalmente la
mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali
suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto. Filangieri Grazie alla
notorietà raggiunta con i suoi saggi M. fu nominato dal primo ministro Acton
assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a
Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e
lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della
Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano pubblico
che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della produzione
agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria di un
istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la seta
alla piemontese"; la scuola, diretta da M., ebbe un certo successo, ma
venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività riformatrice
di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla rivoluzione
francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del governo napoletano,
nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi venne rifiutata la
nomina, proposta dal Galanti, di presidente della costituenda Società
patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu addirittura arrestato, come
gran parte dei massoni reggini (una cinquantina circa) in seguito
all'assassinio del governatore di Reggio, Pinelli e trasferito nel carcere di
Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica Napoletana. Suo figlio
Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi: “Memoria ai gergofili
sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla” (Firenze); “Economia
campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura dell'olio nella
Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle sete del Regno di
Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche sopra il bando delle sete”
(Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle provincie del Regno delle Due
Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare utilmente i forzati, e col
loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e
nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria olearia, e
dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli”
(Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da olio
trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore
Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia”
(Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani, V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi,
Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo, Cosenza:
LPE, Istruzioni sulla nuova manifattura
dell'olio introdotta nel Regno di Napoli da M. patrizio genovese, socio
ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della
Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Orsini, a spese
di Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico
Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli:
Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune
osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli);
“Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli,
e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto da M., Napoli: Porcelli); Piano
per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed
accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del
Regno scritto da M., patrizio genovese”
(Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese
stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione di M., e
l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli”
(Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera apparve anonima ed è attribuita a M.
da Melzi, Note bibliografiche del fu Melzi, edite per cura di un bibliofilo
milanese con altre notizie, H-R, Milano:
Bernardoni) Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca
Addante, Soveria Mannelli: Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di M.
e Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno,
Facoltà di Magistero. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma:
Istituto dell'Enciclopedia, Basile, «Un illuminista calabrese: M. da Seminara,
in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Cingari, Giacobini e
Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Morisani,
Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,
Reggio Cal., Morello, Romeo,
Alcune precisazioni su M. un riformatore Calabrese, in "Historica",
Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico
Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Luciano, M. e la Calabria, Salerno, Carucci. M.
la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily
enough?” -- -- Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo
tra il XVI e il XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia
della città e Regno di Napoli, inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di
Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo
scritto l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di
Messina viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV
investì Carlo I d'Angiò del Regno di Napoli: «Papa Clemente IV, il quale
investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il
Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice,
Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo
eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si
servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo
successero che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono,
chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi,
ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo
padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di
Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due
Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire
all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re i quali furono
Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di
Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo
Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno sic avuto il dominio
d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e
Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, (come
s'è detto) i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si
chiamasse Sicilia.» La stessa tesi è sostenuta da Giannone nella sua
Istoria civile del Regno di Napoli, in cui si citano vari stralci della bolla
pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo d'Angiò
«pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad confiniam
Terrarum, excepta Civitate Beneventana». In un altro passo la bolla proclamava:
«Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum». Secondo
Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex utriusque Siciliae, che
tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali, preferendo gli
antichi titoli dei sovrani normanni e svevi[3]. Marchese Domenico Grimaldi.
Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature, economia olearia
antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Messimeri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Metello: l’implicatura
conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. A Roman general and politician. A pupil of Carneade.
Quinto Cecilio Metello Numidico. Metello.
Grice e Metopo: la diaspora di Crotone -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. Cited by Stobeo – He writes a treatise on virtue [VIRTUS, ANDREIA] which
survives. Giamblico lists him as a Pythagorean.
Grice e Metrodoro: gl’ottimati di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean and son of Epicharmo, cited by
Giamblico.
Grice e Metronace: l’implicatura
conversazionale nella scuola di Napoli – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Metronace. Porch.A popular teacher
of philosophy at Napoli, where Seneca attended some of his lectures.
Grice e
Micalori: l’implicatura conversazionale -- Ganimede e l’implicatura sferica di
Giove – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Grice: “I took my
ideas on longitude and latitude from Micalori” -- Grice: “By calling it
‘sfera,’ Micalori’s statement ENTAILS rather than implicates that the Romans
were wrong.” Professore a Urbino. Opere:
“Della sfera mondiale” In Urbino, Mazzantini, M., Antapocrisi, In Roma,
Francesco Roma Cavalli. Zeus features heavily in a lot of starlore,
and the Eagle constellation is no exception. The predominantly accepted
mythos for this constellation is the abduction of Ganymede. Zeus had
facilitated the kidnapping, fancying the beautiful mortal boy as his personal
cup-bearer. In the constellation, which is situated south of Cygnus on
the equator, making it visible from both the Northern and Southern hemispheres,
poor Ganymede can be seen hanging from the claws of the eagle as he is swiftly
taken to the heavens. The constellation appears alongside several other
bird constellations. The Eagle’s wings are spread, giving it the appearance of
gliding through the stars. As Hyginus states, the beak is separated from the
body by a milky circle. It was also said to set “at the rising of the Lion and
rises with Capricorn”. (Hyginus, Astronomy, 3.15) Greek astronomy
Humans have a natural urge to identify familiar things amongst the twinkling
stars of the mysterious abyss above us. These narratives came out of
astronomical observations and ancient time tracking. The study of the sky began
long before the earliest Greek sources that (sparsely) discuss them, Homer and
Hesiod. They likely developed during the transition from oral to written
transmission, but to what is extent is unknown. Even though the Greeks
were late to the constellation conversation, they received a lot of their
knowledge from their Eastern neighbors. The Greeks introduced the word
katasterismos, or catasterism, which refers to the process of being set in the
heavens. Constellations were used for navigation and an indication of seasonal
change; many extravagant mythic connections were added later. Today,
there are 88 constellations officially defined by the International
Astronomical Union, and many of them have been accepted since Ptolemy’s The
Almagest. Constellations created by the Mesopotamians between 1300-1000
BC originate in older lands, but the Greek astral mythos canon was solidified
by Eratosthenes, in a work now lost to us. Zeus and his trusted
companion The myth of Ganymede is very ancient lore, being told in the
tale of Troy by Homer (Illiad) – albeit with no mention of an eagle escort. In
the fifth Homeric Hymn to Apollo, Ganymede was said to be whisked off to
Olympus by a ‘heaven-sent whirlwind’. The eagle was not connected to this
tale until the 4th century BC. The constellation was accepted as an eagle prior
to this, so it is presumed that this addition was made to make the story fit
the stars, probably because Ganymede is said to feature in his own nearby
constellation, the water-pourer (Aquarius). Micalori. Keywords: implicatura
sferica, planifesferio, Casali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Micalori” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Miccoli: l’implicatura conversazionale d’ANTONINO -- homo loqvens – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Grice: “Miccoli is a great philosopher – and surgeon – My
favourites are his ‘Corpo dicibile,’ which trades on my idea of what it means
to ‘say’ something; and his ‘Homo loquens,’ a play on Aristotle’s ‘zoon
logikon,’ but which Aristotle would find otiose: man is the ‘vivente’ that
speaks, or the ‘animal’ that speaks. To say that it is the ‘homo’ that speaks
relies on Darwin’s classifications and phyla of homo sapiens sapiens and the
rest!” La divertente commedia umana Incipit Chi si accinge alla lettura dell'
Elogio della follia di Erasmo farebbe bene a non dimenticare taluni antecedenti
biografici dell'autore che spiegano meglio l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li
richiamiamo. Geertsz, latinizzato secondo il costume degli umanisti in
Desiderio Erasmo, nacque figlio di illegittimo coniugio. La famiglia paterna,
in auge nella borghesia di Gouda, come apprendiamo dallo stesso Erasmo, si
oppose alle nozze riparatrici del figlio, costringendolo, con inganno, a far
intraprendere la carriera ecclesiastica al malcapitato giovanotto. Citazioni Come umanista Erasmo si sente
apparentato alla società dalla duttile forza della parola che ne saggia
criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo, gioco allusivo,
bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo contenuto. Fin dalla
dedica dell'opuscolo a Moro si arguisce che l'autore non vuol propinare
sapientia austera e compassata, ma buon senso brioso che permei di sé la vita
quotidiana della gente, fosse anche d’ANTONINO che sul letto di morte, lui
filosofo, esclama, a un certo momento: «Sentenzio me cacavi! La sapienza dei dotti
è tanto altezzosa quanto sterile, diversamente dal buon senso che cambia in
meglio l'esistenza non sofisticata. (Sotto la penna dell'insigne umanista
olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e Stultitia: la prima, per
voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la seconda, in quanto
«forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente saggia alla resa
dei conti. L' Elogio della follia conserva un fascino di imperitura attualità.
Lo si desume dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Foucault evidenzia il
confine sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì
dalle invettive di Nietzsche contro lo smunto bibliotecario, lo stitico
correttore di bozze, il pallido burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno
«uomo alessandrino». (Explicit Erasmo conosce e cita perfino pagine della
Bibbia a riprova della bontà dei doni che Follia concede ai mortali. Un modo
questo, di prendere in giro anzitempo la presunzione dispotica delle società
economicistiche che intendono mantenere sotto loro tutela il cittadino
«minorenne» sempre bisognoso di dande e mordacchie. Gli autori classici sono,
tra l'altro, spiriti lungimiranti. A tali società alienanti di oggi e di domani
Blake, con spirito erasmiano, potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza. La
divertente commedia umana, introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della
Follia, TEN, Introduzione a "Vita di Gesù" Incipit Il contesto
storico culturale della Vita di Gesù La recente edizione storico-critica delle
Opere complete di Hegel consente di far chiarezza sulle discussioni e
congetture che hanno tenuto a lungo il campo nella letteratura hegeliana a proposito
dei cosiddetti Scritti teologici giovanili, la cui indole cronologica vengono
ora sancite su base filologica e critica più accorta. Più che ai titoli apposti
da Nohl ai vari frammenti e più che alle congetture sulla data probabile di
tali scritti, è più fruttuoso rifarsi agli anni di formazione filosofica e
teologica di Hegel nello Stift di Tubinga e reperire nel curriculum studiorum
le ascendenze prossime che hanno influenzato maggiormente l'autore in una
speculiare lettura dei quattro Evangelisti, da cui desume Das Leben Jesu. Citazioni
Gli interessi culturali di Hegel, negli anni tubinghesi, sono prevalentemente
filosofici, incentivati dalla lettura di Rousseau, Jacobi, Lessing, Kant,
Fichte su temi sociopolitici ed etico-religiosi. (Hegel, studioso di filosofia,
si sente chiamato a lumeggiare «spiritualmente» la situazione storica del suo
tempo e a porre le premesse di carattere razionale per l'avvento di un «ordine
uguale di tutti gli spiriti». Il lettore del Leben Jesu si accorge subito di
trovarsi di fronte a una forma di scrittura audace, che desacralizza e
sdivinizza la persona di Gesù, riducendolo a maestro di morale sublime. [Paolo Miccoli, introduzione a Hegel, Vita di
Gesù. TEN. “Filosofia della storia”, “Corpi dicibili”, “Homo louqens”. Paolo
Miccoli. Miccoli. Keywords: homo loquens, corpo dicibile, corpi dicibili. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Miccoli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Miccolis: l’implicatura conversazionale – BRVNO – filosofi italiani al rogo -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Corato). Filosofo italiano. Grice:
“Miccoli reminds me of G. Baker, who dedicated most of his life to Witters!
Miccolis to Labriola.” Considerato
uno dei massimi studiosi di Labriola. Si
trasferì a Perugia per gli studi universitari, laureandosi in filosofia a pieni
voti con una tesi dal titolo «Il pensiero politico crociano e la genesi del
liberalismo». Abilitatosi cum laude all'insegnamento di storia e filosofia,
professore in vari licei della provincia, occupò una cattedra stabile presso
l'Istituto tecnico per geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di
estetica all'Accademia di belle arti Vannucci. Divenne responsabile del settore
culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso dagli studî e
dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le vicende
politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione liberale:
considerava suoi padri spirituali Labriola, Croce, Gobetti. Dalla fine degli
anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo studio del filosofo cassinese Labriola,
da Miccolis ritenuto «un buon punto per capire la storia d'Italia». Nascerà
quindi il Carteggio labrioliano, in cinque volumi, presentato da Cesa all'Accademia
dei Lincei, edito per gli auspici e con il contributo dell'Istituto italiano
per gli studi storici e dell'Università degli Studi di Napoli
"L'Orientale" e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta
possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società
napoletana di storia patria. Su tale monumentale lavoro è stato scritto: «un
evento letterario, probabilmente l'acquisizione più importante tra le fonti
della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta
come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del
commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l'esperto più sicuro della
impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni
anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva della
spezzettata, dispersa e contorta
labrioliana, difficile da padroneggiare: si era anche impadronito, in
base a una sensibilità linguistica non comune, del "vocabolario"
dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o
di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe».
Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste (Rivista di storia
della filosofia, il Giornale critico della filosofia italiana, Belfagor,
Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono i suoi saggi e
notevoli gli ulteriori apporti documentari alla
labrioliana. Collabora intensamente con l'Istituto italiano per gli
studi storici e la Fondazione Biblioteca Croce: aveva il compito di revisionare
i carteggi crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi dell'Edizione
nazionale delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali animatori
dell'Edizione nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva contribuito
a definire il piano editoriale, i criteri metodologici, e il problema del
rapporto tra l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto della Società
napoletana di storia patria. Adnkronos,
Filosofi, E' morto M., massimo studioso di Labriola, Bari, SAVORELLI, Rivista
di storia della filosofia,, fasc. 2. Opere: “ Il carteggio di Antonio Labriola
conservato nel Fondo Dal Pane” «Archivio storico per le provincie napoletane», «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i
papiri greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con
Pistelli e Teresa Lodi, a c. di M. e Savorelli, in Gli archivi della memoria,
Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, (rist. in Gli archivi della memoria e
il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze, Biblioteca
Medicea Lauenziana, Polistampa, Labriola, La politica italiana Corrispondenze
alle « Basler Nachrichten », M., Napoli, Bibliopolis, Labriola, Carteggio, M.,
Napoli, Bibliopolis, M., Labriola, Dizionario biografico degli italiani, A.
Labriola, L'università e la libertà della scienza, M., Torino, Aragno, Labriola,
Bruno. Scritti editi ed inediti M. e Savorelli, Napoli, Bibliopolis, M.,
Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica, A. Savorelli e M., Milano,
UNICOPLI, M., Gli scritti politici di
Labriola editi da M., A. Savorelli e M., Napoli, Bibliopolis, G. Bucci, M., il ricordo a un anno dalla morte,
"Corato live", W. Gianinazzi, M. Prat, In memoriam "Mil neuf
cent", n° 28, 201. A. Savorelli, Stefano Miccolis, «Rivista di storia
della filosofia», fa A. Meschiari, Stefano Miccolis studioso di Antonio
Labriola, «Rivista di storia della filosofia». Stefano Miccolis. Miccolis. Keywords:
filosofi italiani al rogo. BRVNO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccolis” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Michelstädter: l’implicatura conversazionale
– il giovane divino -- l’implicatura persuasiva di Platone – filosofia giudea –
filosofia nel ventennio fascista – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Gorizia). Filosofo italiano. Grice: “It’s difficult
to grasp Michelsteadter’s implicature: his study on ‘persuasion’ is brilliant –
he was a close reader of Plato, and he uses figurative language, as ‘il giovane
divino.’ My favourite is his account of the persuasive rhetoric of Cicero.” Grice:
“Michelsteadter plays with the etymology of persuasion, which is cognate with
‘suave,’ as it should – sweet talk, we should say – which I could make into a
maxim which would not be strictly ‘conversational’ unless under the category of
modus – ‘be sweet’ –But the sweetness applies in general to my framework: the
emissor aims to be sweet if he is going to try to influence the other, and will
be influenced by a sweeter co-emissor.” essential
Italian philosopher. Ultimo di quattro figli, da un'agiata famiglia. Il padre,
Alberto, dirige l'ufficio goriziano delle Assicurazioni Generali ed è
presidente del Gabinetto di Lettura goriziano. È un uomo colto, autore di
scritti letterari e di conferenze, rispettoso delle usanze tradizionali ma solo
formalmente, per rispetto borghese -- è, anzi, un laico, un tipico
rappresentante della mentalità materialistica. Il semitismo non sembra quindi
incidere molto sulla sua formazione culturale, che scoprire solo più tardi e
con non poca meraviglia di avere un antenato cabalista. Iscritto al severo
Staatsgymnasium cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le
traduzioni dal greco e dal latino ha i primi approcci colla filosofia. A
iniziarlo sono Schubert-Soldern, solipsista gnoseologico, secondo il quale
tutto il sapere va ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Mreule che gli
fa conoscere Il mondo come volontà e rappresentazione, di cui resta traccia
soprattutto ne La Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Paternolli,
oltre a Schopenhauer, legge e discute, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i
presocratici, Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca, Leopardi,
Tolstoj, e l'amatissimo Ibsen. Conclusde gli studi ginnasiali e progetta
di iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si iscrive alla
facoltà di matematica a Vienna. Ma l'anima è giàper dirla con Leopardi nel
primo giovanil tumulto verso un altrove che non riesce a riconoscere nella
ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere dell'Istituto di Studi
Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi quattro anni e dove conoscerà,
fra gli altri, Chiavacci, futuro curatore delle sue Opere, ed Arangio-Ruiz,
noto filosofo. Continua a ritrarre, fra tratto espressionistico e schizzo
caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia nei mesi di studio che nei
periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive moltissimo, in modo quasi
ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare alla sorella Paula) alle
recensioni di drammi teatrali. Un evento luttuoso segna la sua vita: la morte,
per suicidio, del fratello Gino. Due anni prima si era suicidata anche una
donna da lui amata, Nadia Baraden. Mreule parte per l'Argentina. Questa
partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di passaggio del
testimone. Si fa consegnare da Rico la pistola che porta sempre con sé. Completati
gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea,
assegnatagli da Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in
Platone e Aristotele. La sua attività è febrile. Oltre alla Persuasione scrive
anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il
Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia
pochissimo e dorme per terra, come un asceta. Vede solo la sorella e il cugino
Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi non avrebbe fatto il professore, ma
che appena laureato sarebbe andato al mare, forse a Pirano o a Grado. Dopo
un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Mreule e si toglie
la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una fiorentina, una
lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi». Amici
raccolsero i suoi saggi, ora alla Biblioteca di Gorizia. Sepolto nel cimitero
ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a
poche centinaia di metri dal confine con l'Italia. La breve vita di
Michelstaedter scorrecome risulta dall'Epistolarioall'insegna di una volontà di
vivere continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove
metafisico che fa di lui un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e
di mezzi espressivi, capace di spaziare dalla pittura alla poesia passando per
le ripide vette della filosofia. Nell'apologo dell'aerostato incluso ne La
Persuasione e la Rettorica, l'essenza del pensiero occidentale, la rettorica,
viene fatta risalire da M. a un parricidio: quello di Aristotele nei confronti
di Platone. Questi, nella metafora costruita da M., escogita un mechánema, una
macchina volante per abbandonare il peso del mondo e giungere all'assoluto.
Maestro e discepoli riescono a librarsi negli alti spazi del cielo, ma restano
a metà strada, fra una mera contemplazione dell'essere e del tempo e la
nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla terra ci pensa
allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri, Aristotele, il
quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo così a tutti la
gioia d'aver la terra sicura sotto i piedi. Questa nostalgia del mondo
intelligibile platonico fa quindi di lui un discepolo di Schopenhauer, più che
di Nietzsche. La costituzione della metafisica è per lui una storia di
rettorici tradimenti, la vicenda di una verità dai grandi persuasi tanto
proclamata agli uomini quanto da questi disattesa e inascoltata. Quanto io dico
è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile che il mondo
abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle parole. Lo
dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li trattò da
naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su 4 sistemi... lo
disse Cristo, e ci fabbricarono su la Chiesa. La persuasione è la visione
propria di chi ha compreso la tragicità della finitezza e ad essa vuol tener
fermo, senza ricorrere a quegli «empiastri»i kallopísmata órphnes, gli
«ornamenti dell'oscurità»che possano lenire il dolore scatenato da tale
consapevolezza. L'essere è finitezza che si rivela solo nella dimensione
tragica di una presenza abbacinante, ma gli uomini rigettano questa tragica
consapevolezza ottundendosi, pascalianamente, nel divertissement. Persuaso è
chi ha la vita in sé, chi non la cerca alienandosi nelle cose o nei luoghi
comuni della società perdendo l'irrinunciabile hic et nunc del proprio esserci,
ma riesce «a consistere nell'ultimo presente», abbandonando quelle illusioni di
sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni
create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche,
sociali, religiose. È questa «la via preparata» dalla quale a tutti fa comodo
non discostarsi troppo; è questo restare perennemente attaccati alla vitala
philopsychìaa far sì che la "rettorica" trionfi sempre. La vita,
soffocata dalla ricerca dei piaceri, della potenza, finanche dalla presunzione
filosofica di possedere la via e quindi la vita stessa, non vive, perché in
ogni istante ciascuno rimane avvolto dalle cure per ciò che non è ancora o dal
rimpianto per ciò che non è più, mancando sempre l'attimo decisivo, quello che
i greci chiamavano kairós, il tempo propizio. Perciò nella vita facciamo
esperienza della morte, di quella «morte nella vita» cantataquasi una danse
macabrenel Canto delle crisalidi: «Noi col filo / col filo della vita / nostra
sorte / filammo a questa morte». Il pensiero di M. procede di
conseguenza, per liberare il potenziale di tragicità dell'esistenza, attraverso
violente contrapposizioni concettuali (persuasione-rettorica, vita-morte,
piacere-dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. M. respinge,
con un gesto iniziatico, l'idea di costruire una dottrina sistematica della
persuasione e della salute, in quanto «la via della persuasione non è corsa da
'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare, studiare,
ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio dolore
l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è solo e
non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che questa
indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato». La salvezza
individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile, irriducibile,
concentrata in sé. Il solipsismo di Michelstaedter è perciò radicale: non
ci sono vie, non ci sono cammini, c'è solo il viandante che nel deserto
dell'esistenza è «il primo e l'ultimo», crocefisso al legno della propria
sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo è
negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa negatività
rifiutando i dati dell'immanenza: «Solo quando non chiederai più la conoscenza
conoscerai, poiché il tuo chiedere ottenebra la tua vita». Si tratta di una
sentenza di sapore quasi buddistico: non a caso Mreule enfatizzerà la figura
dell'amico descrivendolo come «il Buddha dell'occidente». Produzione
artistica La produzione poetica e quella pittorica di M. possono essere
considerate un prolungamento e un completamento di questo sentimento tragico e
mistico. Come nel verso poetico egli tenta di esprimere l'inesprimibile, di
dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni codificato e perciò già da
sempre istituito retoricamente, così nel segno pittorico, nello schizzo rapido
e scherzoso come nel ritratto composto e meditato, traluce l'impossibilità di
giungere a quella che Parmenide chiamava la ben rotonda verità. Non siamo
giocati solo dalle parole, ma anche dalle immagini di una realtà fatta di colori
e di forme che ci sfuggono nella loro immediatezza e alterità, «come chi vuol
veder sul muro l'ombra del proprio profilo, in ciò appunto la distrugge». Anche
l'arte e la poesia, come la retorica filosofica, si rivelano infine per quello
che sono: fragili orpelli di cui si orna l'oscurità dell'essere e che ogni
linguaggio escogitato dall'uomo sarà sempre impotente a esprimere. Saggi:
“Saggi” (G. Chiavacci, Sansoni, Firenze); “Scritti scolastici, S. Campailla,
Gorizia, Opera grafica e pittorica, S. Campailla, Gorizia, Il dialogo della
salute e altri dialoghi, S. Campailla, Adelphi, Milano Poesie, S. Campailla,
Adelphi, Milano, La Persuasione e la Rettorica, Vladimiro Arangio-Ruiz,
Formiggini, Genova, edizione critica S. Campailla, Adelphi, Milano poi, con le
Appendici critiche, ivi,). Epistolario, S. Campailla, Adelphi, Milano nuova
edizione riveduta e ampliata, ivi,
Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano, L'anima ignuda nell'isola
dei beati. Scritti su Platone, D. Micheletti, Diabasis, Reggio Emilia, Dialogo della salute. E altri scritti sul
senso dell'esistenza, a cura e con un saggio introduttivo di G. Brianese,
Mimesis, Milano, La melodia del giovane divino, S. Campailla, Adelphi, Milano La persuasione e la rettorica, edizione critica,
A. Comincini, Joker. M.-Winteler, Appunti per una biografia di M.. M. si
riferisce, nell'Epistolario, al bonno Isacco Samuele Reggio, confondendolo con
il padre di questo, Abram Vita Reggio
S.Campailla, Il segreto di Nadia B., Marsilio,. Da articoli di cronaca
americani dell'epoca, si apprende che il suicidio avvenne con un colpo di
pistola alla tempia destra. La
persuasione e la rettorica35 La
persuasione e la rettorica Poesie La
persuasione e la rettorica Magris, Un altro mare Il dialogo della salute,
Biografie e studi critici Acciani Antonia, Il maestro del deserto. M.,
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L'arco e il destino. Interpretazione di M., Abano Terme (PD), Francisci); Camerino,
La persuasione e i simboli. M. e Slataper, Liguori, Napoli Sergio Campailla,
Pensiero e poesia di M., Patron, Bologna. Sergio Campailla, A ferri corti con la
vita, Comune di Gorizia Sergio Campailla, Controcodice, Edizioni Scientifiche
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«Il lettore di provincia», Pieri, "Modelli di cultura alle origini della
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rischio dell'autoinganno (Una errata attribuzione di incisione a M.)", in
«Metodi e ricerche» Piero Pieri,"La scienza del tragico. Saggio su M.",
Bologna, Cappelli, Pieri, "Nello sguardo della trascendenza. Intorno alla
figura dell'ermafrodita e del satiro nella Persuasione", in «Intersezioni»,
a. X, n. 1, P. Pieri, "Due diverse ma non opposte interpretazioni de «La
persuasione e la retorica» di M.", in Studi sulla modernità, F. Curi,
Bologna, Clueb, Pieri, "Per una dialettica storica del silenzio. La
“vergogna” del filosofo e l'autoinganno dello scrittore", in Eredità di M., Forum, Udine, Pieri, "La
differenza ebraica: grecità, tradizione e ripetizione in M. e altri ebrei della
modernità", nuova edizione, Pendragon, Bologna, Pieri, "M. nel '900.
Forme del tragico contemporaneo", Transeuropa, collana «Pronto
intervento», Massa,. Piromalli, M., La Nuova Italia, P. Pulcina, M.: estetica.
L'illusione della retorica, le ragioni del suicidio, Atheneum, Firenze); G.
Pulina, L'imperfetto pessimista. Lalli, Poggibonsi (Materiali di filosofia). G.
Pulina, "L'incompiuta imperfezione. Note sul pessimismo di M.", in
«Storia, antropologia e scienze del linguaggio», Università degli Studi di
Cassino, G. Pulina, "Capitini e M.: un dialogo sulla persuasione", «Satyāgraha»,
N Gabriella Putignano, L'esistenza al bivio. La persuasione e la rettorica di M.,
Stamen, Roma. M. Raschini, M., Marsilio, Venezia); M. Raschini, M.. La
disperata devozione, Cappelli, Bologna, Chiavacci, Il pensiero di M., articolo
sul «Giornale critico della filosofia italiana», Russo, Chiavacci interprete di
M., in M. un secolo dopo, Marsilio, Sanò,
Le ragioni del nulla. Il pensiero tragico nella filosofia italiana tra
Ottocento e Novecento, Città aperta, Troina, Laura Sanò, Leggere La persuasione
e la rettorica di M., Ibis, Como. Semeraro, Lo svuotamento del futuro. Note su
M., Milella, Lecce); G. Sessa, “Oltre la
persuasion, Settimo Sigillo, Roma Stella Vittori, M., FERV, Milano E.
Storace, L'Essere come Azione, E. Storace,
AlboVersorio, Milano. E. Storace, Thanatografie. Per un'estetica del morire in
Platone, Nietzsche, Heidegger, M. e Rilke, Mimesis, Milano. G. Taviani, M.,
Palumbo, Palermo (La scrittura e
l'interpretazione). Veneziani, M. e la metafisica della gioventù, AlboVersorio,
Milano. Verri, M. e il suo tempo, Longo Angelo, Ravenna (Il portico). Visone, L'incidenza di
Schopenhauer sul pensiero di M., Liguori, [Archivio di Storia della Cultura, Visone,
La via alla persuasione come deviazione dalla noluntas, in M.. L'Essere come
Azione, Storace, AlboVersorio Treccani Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Catalogo Vegetti della letteratura
fantastica, Fantascienza. Carlo Raimondo Michelstaedter. Carlo Michelstaedter.
Michelstaedter. Keywords: l’implicatura di Platone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Michelstaedter: retorica
e persuasione," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library,
Villa Grice, Liguria, Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Michelstaedter” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mieli: l’implicatura conversazionale dell’uccello del paradiso; ovvero, la
lingua perduta del desiderio – la Paradisaeidae di Swinton -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “Speranza has studied this; he
calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint endeavour with C. R.
Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di questo libro favorisca la
liberazione del desiderio gay presso coloro che lo reprimono e aiuti quegli
omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del sentimento di colpevolezza
indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi della falsa colpa»
(Elementi di critica omosessuale. M Attivista e scrittore italiano, teorico
degli studi di genere. È considerato uno dei fondatori del movimento
omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici del pensiero
nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo rivoluzionario, è noto
soprattutto come eponimo del Circolo di cultura omosessuale M. e per il suo
saggio Elementi di critica omosessuale pubblicato nella sua prima edizione da
Einaudi nel 1977. M. penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di
Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, vive a
Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di
filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella
lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.
Sposati, durante la seconda guerra mondiale i coniugi M. erano sfollati a Lora,
frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo forti legami
con Milano dove il padre continuava a lavorare e a risiedere. Il giovane
Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo lombardo quando si iscrisse al
liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due anni dopo dalla sorella minore
Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in questi anni diede
dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la propria omosessualità.
Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis, nfondò un circolo di
poesia che divenne anche un luogo di incontro per omosessuali. Fu pienamente
coinvolto nella contestazione ed evocò questo periodo nel suo romanzo
autobiografico Il risveglio dei faraoni. A causa della sua miopia fu
esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si trasferì a Londra per
perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi familiari. Qui
frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto con
l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di
Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci
fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del
movimento di liberazione omosessuale italiano. Convinto assertore di una
rivoluzione gay in chiave marxista, si allontanò dal Fuori! insieme a tutta la
cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito
Radicale. Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali
Milanesi e i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato giovanile di
Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura, Contronatura!.
Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con modifiche, da
Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un
fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero,
venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality
and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo
Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei
testi base dei collettivi autonomi gay. M. fu uno dei primi a contestare
apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti femminili.
Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella mentalità
dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo...
ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si presentava,
utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia dei
diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza, cercò di
superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più estreme,
inclusa la coprofagia. Durante un viaggio a Londra, Mieli, vicino già
all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; fu nuovamente
arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu fermato
nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un rapporto
sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione psichiatrica del
Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa
del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la condanna a pagare una
multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un mese. Una volta dimesso,
su consiglio del suo psicoanalista Zapparoli, i genitori gli diedero un
appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra
e si laurea con lode in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli
avevano trovato e interruppe la terapia psichiatrica. Al V congresso del
Fuori!, che sancì la sua rottura col movimento e con Pezzana, M. prese la
parola, si dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia
mentale («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in
ospedale, in manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo
periodo si dedicò alla stesura degli Elementi di critica omosessuale.
Negli ultimi anni di vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza
isolato dal resto del movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il
risveglio dei faraoni. Morì suicida infilando la testa nel forno della sua
abitazione di Milano dopo un lungo periodo di depressione. Tra i motivi del suo
gesto estremo fu l'ostruzionismo che il padre, influente industriale milanese,
aveva fatto per impedire la pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio
dei faraoni, ritenendolo troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare.
A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale M. sorto a Roma nello stesso
anno della morte. Il pensiero Il transessualismo universale Il pensiero
di M. consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se
non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di società che,
attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione", costringe a
considerare l'eterosessualità come normalità e tutto il resto come perversione.
Per transessualità, non intende quello che si intende oggi nella comune
accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e "perversa"
dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze dell'Eros e da
l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo. La liberazione
omosessuale in chiave marxista fu tra i primi studiosi ed attivisti del
Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a Castellano,Consoli,
Modugno e Pezzana. Tutti partivano dalla
certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla
consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla nascita dalla
cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba e
pervicacemente omofoba. Da queste basi partivano per abbattere la
discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi non si identificava nella
sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale. Abbracciò
immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta
di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista
intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi Negli Elementi di
critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della teoria
della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni Cinquanta e
Sessanta, ne aveva fatto Marcuse.
Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una dimensione aveva
voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud, infatti, a sostenere
che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi "direzione",
riconducendo eterosessualità e "omosessualità a semplici varianti della
sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l'altra, e anzi, in
potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, "polimorfi" o, più
semplicemente, bi-sessuali. In base a questa riflessione, riteneva che si
dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica
"eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il
principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva
unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica
della dimensione sessuale, M. ha preferito opporre un principio di eros libero,
molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la stragrande
maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o da
"donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra, tristemente
ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in
faccia». Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice
dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, afferma: «Nel
processo politico di ristrutturazione della società, M. non esita a includere
nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la
coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come
riscoperta dei corpi. In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali,
la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con
tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini e i nuovi arrivati di
ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose" annullando
"democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma
anche tra le specie». A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo
determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia
reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di «trasformare
troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale». Il tema della
pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato tutta la
breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Freud, M. affrontò a modo suo
anche il tema della sessualità infantile, per questo andando incontro a forti
critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano
"liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della
loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto
sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non
tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero.
Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente
rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia
aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro.
Per questo la pederastia è tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi
amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza,
educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società
repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il
periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una
«vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata
verso il feto» (Francesco Ascoli)» (Elementi di critica omosessuale).
Nella nota 88 si legge: «Per pederastia intendo il desiderio erotico
degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra
adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente
usati come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale). Il tema
dell'alterazione psichica, della follia Mieli faceva uso di sostanze
stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo stato di normalità in
cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che nevrosi, follia, paranoia,
delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari dell'omosessualità fossero
caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e, con riferimento a Jung,
che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di quella parte di noi che
Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In riferimento all'omosessualità,
considerava che potesse essere una porta verso il lato inesplorato della
personalità, in analogia con la follia: “La paura dell’omosessualità che distingue
l’homo normalis è anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del
proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte
verso una dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le
checche, non esagerano». Opere: “Comune futura,” “Elementi di critica
omosessuale, Einaudi, Torino, Elementi di critica omosessuale, Barilli e M.,
Feltrinelli, Milano, Elementi di critica
omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, “Il risveglio dei
faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri,
Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio Solidago, dR, Milano, “Oro, eros e armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani,
Edizioni Croce, Oro, eros e armonia, Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani,
Edizioni Croce, “E adesso,” S. Laude,
Clichy, Teatro La Traviata Norma.
Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico..
T. Giartosio, Perché non possiamo non
dirci: letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, Barilli, Il movimento gay in Italia,
Feltrinelli, L. Schettini, M. in Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ideologia. Progetto omosessuale
rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale, Dizionario Biografico degli
Italiani, in Treccani, Trascrizione del suo intervento in congresso nazionale
del “Fuori!”, in Fuori! rancobuffoni/ files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf M., artista contro la violenza, in La
Stampa, Elementi di critica omosessuale,
Einaudi, M. Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e
dimenticato. Storia di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile,
M., Mieli, Paola. e Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica omosessuale Il
risveglio dei Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR Edizioni, Silvestri,
L'ultimo M.: Oro Eros Armonia: contributi di Ivan Cattaneo e A. Veneziani, 2
ed. riveduta e corretta, Libreria Croce, De Laude, Silvia,, Mario Mieli: e
adesso, A. Pezzana. La politica del
corpo. Roma, Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale. Milano,
Kaos. S. Casi. L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di M. Rivista di
sessuologia (numero speciale L'omosessualità fra identità e desiderio,Francesco
Gnerre. L'eroe negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk:
la scena italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta
D'Angeli, Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo
di cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di liberazione
omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia Studi di
genere Teoria queer Transessualismo. Biografia, in italiano, su culturagay. Chi
era M. (articolo sul gay.tv), su gay.tv
Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su mariomieli.org. Mario
Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del
desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Miglio: l’implicatura
conversazionale -- implicatura ligure – la LIGVRIA e la PADANIA -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo italiano. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher, ended up lecturing
on the history of ideas, i..e. ideology – M. defines ideology so simply that
would put Berlin to shame: an ideology is what politicians propagate to reach
or buy consensus!” -- essential Italian
philosopher. Sostenitore della trasformazione dello Stato italiano in senso
federale o, addirittura, confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è
considerato l'ideologo della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu
anche senatore, prima di "rompere" con Umberto Bossi dando vita alla
breve stagione del Partito Federalista. Polo scolastico "M."
ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della
Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura. Ha insegnato presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà
di Scienze politiche. È stato allievo d’Entrèves e Pallieri, sotto la cui
docenza si è formato sui classici del pensiero giuridico e politologico.
Colpito da ictusnon si riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città
natale, Como, circa un anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di
Como, comune d'origine del padre e sede di una villa nella quale il professore
si rifugiava spesso; in seguito M. è stato tumulato nel locale cimitero, a
fianco dei membri della sua famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza
all'Università Cattolica con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle
dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell'età moderna”, evitò
l'arruolamento per la Seconda guerra mondiale a causa di un difetto uditivo
congenito, e poté divenire assistente volontario alla cattedra di Storia delle
dottrine politiche, che d'Entreves tenne sino alla fine degli anni quaranta
nella medesima università. Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta
allo studio delle opere di storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai
quattro volumi del Deutsche Genossenschaftsrecht di Gierke, ai saggi di storia
amministrativa di Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero
tradotti in italiano dal suo allievo e ferrato germanista Schiera (O. Hintze, Stato e società,
Zanichelli). Fu di quegli anni l'incontro di M. con l'immensa produzione
scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver studiato a
fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo tedesco che
era stata completamente trascurata in Italia. Sviluppo del lavoro
scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni cinquanta,
M. fonda con il giurista Benvenuti l'ISAP Milano (Istituto per la Scienza
dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico partecipato da Comune e Provincia
di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la carica di vicedirettore. In un
saggio memorabile intitolato Le origini della scienza dell'amministrazione, il
professore comasco descriveva con elegante chiarezza le radici storiche della
disciplina. L'interesse per il campo dell'amministrazione era dovuto in quegli
anni alle politiche pianificatrici che gli stati andavano conducendo per
l'incremento della crescita economica. La Fondazione italiana per la
storia amministrativa Ben presto M. sente tuttavia l'esigenza di studiare in
modo più sistematico la storia dei poteri pubblici europei e, negli anni
sessanta, costituì la Fondazione italiana per la storia amministrativa: un
istituto le cui ricerche vennero condotte con rigoroso metodo scientifico. A
tal proposito, il professore aveva appositamente preparato per i collaboratori
della fondazione uno schema di istruzioni divenuto famoso per chiarezza e
organicità. In realtà, fondando la F.I.S.A. M. si era posto l'ambizioso
obiettivo di scrivere una storia costituzionale che prendesse in esame le
amministrazioni pubbliche esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli
sarebbe riuscito a tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal
medioevo all'età contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i
tratti distintivi o, viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma
v'era un'altra ragione che aveva indotto M. a studiare i poteri pubblici in
un'ottica, come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di
un metodo scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà
del Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica
dello stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.
La fondazione pubblicava tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso
in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda
dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali.
Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il
volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla
territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi
poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni:
Rossetti, allieva dello storico Violante, vi diede alle stampe un approfondito
studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese dell'Alto
Medioevo; Petracchi pubblicò la prima parte di un'interessante ricerca sullo
sviluppo storico dell'istituto dell'intendente nella Francia dell'ancien
régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume di Pierangelo Schiera sul
cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori stati germanici. Su
tutt'altro piano si poneva invece la collezione della F.I.S.A. denominata Acta
italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i documenti relativi
all'amministrazione pubblica degli stati italiani preunitari: è probabile che
l'ispirazione per quest'ultima serie fosse venuta a M. dallo studio delle
opere di Hintze: verso la fine del XIX secolo, lo storico tedesco aveva infatti
scritto alcuni saggi sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta
borussica, un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato
degli Hohenzollern. L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i
volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della Commissione
Giulini curata da Raponi uno studio cui M. tenne molto e di cui si servì, molti
anni dopo, per la stesura del celebre saggio su “Vocazione e destino dei lombardi”
(in La Lombardia moderna, Electa,
ripubblicato in Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui
lavori avevano avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese
Cesare Giulini della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che
sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo
alla guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro,
voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte
di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle
due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte
delle istituzioni austriache esistenti. Il saggio Le contraddizioni dello
stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto
in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, M.
prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva
provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu
capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di
governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia.
Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di
estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un
gigante il vestito di un nano". Secondo M., i nostri "padri della
patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze
fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare
ottusamente gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza
degli italiani ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere
percepite come "straniere", si rivelarono palesemente
inefficienti. Nel saggio, M. ha però messo in luce un altro dato
fondamentale; il professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato
formalmente unito dalle norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso
ancora per molti anni: le leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla
Sicilia, venivano infatti interpretate in cento modi diversi nelle regioni
storiche in cui il Paese continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente
articolato. Era il federalismo che, negato alla radice dalla classe politica
liberal-nazionale in nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi
in forme evidenti di "criptofederalismo".[senza fonte] Sono inoltre
fondamentali, nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa tradurre
svariati saggi, “Per una nuova storia costituzionale e sociale” (Vita e
Pensiero), ma promosse anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und
Herrschaft: in questo lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in
esame la costituzione materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in
evidenza i numerosi elementi di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e
quella moderna, soprattutto nel modo di concepire il diritto. La
traduzione di Land und Herrschaft, affidata inizialmente alle cure di Emilio
Bussi, sarebbe dovuta comparire nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli
anni sessanta. Interrotto negli anni seguenti, il lavoro venne invece portato a
compimento solo nei primi anni ottanta dagli allievi Schiera e Nobili.
Pubblicato da Giuffré con il titolo di "Terra e potere", il capolavoro
di Brunner apparve negli Arcana imperii, la collana di scienza della politica
di cui M. era divenuto direttore nei primi anni Ottanta. Il professore comasco
si occupò inoltre dei contributi recati alla scienza dell'amministrazione da
parte di altri due storici e giuristi tedeschi: Lorenz Von Stein e Rudolf
Gneist. La chiusura della FISA Negli anni Settanta la F.I.S.A. dovette
chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il professor M., ricordando a
distanza di tempo la fine di quell'autorevole collana di storia delle
istituzioni, ne espose le ragioni con un breve commento: "Malgrado la sua
efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli enti che provvedevano al suo
finanziamento, non scorgendo l'utilità "politica" immediata della sua
attività, strinsero i cordoni della borsa". M. scienziato della
politica e costituzionalista Negli anni ottanta, il degenerarsi del clima
politico in Italia indusse il professor M. ad occuparsi di riforme
istituzionali; egli intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del
paese. Fu così che, raggruppando un gruppo di esperti di diritto costituzionale
e amministrativo stese un organico progetto di riforma limitato alla seconda
parte della costituzione. Ne uscirono due volumi che, pubblicati nella collana
Arcana imperii, vennero completamente trascurati dalla classe politica
democristiana e socialista. Tra le proposte più interessanti avanzate dal
"Gruppo di Milano"così venne definito il pool di professori
coordinati da M. v'era il rafforzamento del governo guidato da un primo
ministro dotato di maggiori poteri, la fine del bicameralismo perfetto con
l'istituzione di un senato delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco, ed
infine l'elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a
quella per la camera dei deputati. Secondo il gruppo di Milano, queste e
numerose altre riforme avrebbero garantito all'Italia una maggiore stabilità
politica, cancellando lo strapotere dei partiti e salvaguardando la separazione
dei poteri propria di uno stato di diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la
collana Arcana imperii era incentrata esclusivamente sullo studio scientifico
dei comportamenti politici. Il citato volume di Brunner costituì pertanto
un'eccezione perché, come si è avuto modo di accennare, esso doveva essere
pubblicato negli eleganti volumi della F.I.S.A. già negli anni sessanta.
All'interno della collana Arcana imperii vennero invece inseriti saggi e
contributi di psicologia politica, di etologia, di teoria politica, di
economia, di sociologia e di storia. Intende costituire un vero e proprio
laboratorio dove lo scienziato della politica, servendosi dei risultati portati
alla disciplina dalle diverse scienze sperimentali, e in grado di conseguire
una formazione che si ponesse all'avanguardia. Vi vennero pubblicati più di
trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il saggio di Ornaghi sulla dottrina
della corporazione nel ventennio fascista, l'edizione degli scritti schmittiani
su Hobbes, la pubblicazione interrotta
di alcune opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni
di nota anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non
poterono tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati
dalla F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche
in questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni. Alla
sua formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del
politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e
la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini
forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso
l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di
uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il
re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei
più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di
modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio,
una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse
difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di
Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano
dove “contro-bilanciare” quello della “società”, si ha in mente il riformismo
illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e
parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto,
dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel
parlamento. La omunità prospera solo quando “stato” e “società” sono in
equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due
realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo
e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire
ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e
solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui
saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta
al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi
razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per
oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il
nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di
Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura
assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con
il titolo “Le categorie del politico”. Nella prefazione, si sofferma sui
decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica.
L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che
destabilizza la sinistra italiana". È dall'incontro con la produzione di
Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte
importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto
tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica
porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più
emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma
antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico
(Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso
amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea
la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra
contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca
l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello
stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo:
la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali)
con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle
fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il
sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio
sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo regolato
dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una conseguenza del
primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema di diritto
pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante per i paesi
che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità (cioè
l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente limitato. La
guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da quel momento
in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi di un
conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria di una
delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento
dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e
accettato da tutti gli stati. La crisi dello ius publicum europaeum,
divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo
scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la
fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale
nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo
particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con
la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius
publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il
fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di
fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto. Prende atto
della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la
fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della
politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la
comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il
contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un
contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la
politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto,
sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza
-- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello
ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si
regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato
all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse
attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente
sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e
contratto/scambio si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al
capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello
di ricchezza cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni
successivi sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere
anche la costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel
garantire servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo
accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato,
sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della
burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di
vita. L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva
dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove
forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare
in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in
cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora
fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno
più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica del secolo XXI. Con
il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri
termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario
nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei
cittadini, legati alla logica di mercato. La fine degli stati moderni
porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non
più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del
contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i
nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di
potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di
cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo
sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali
e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non
diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i
sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico
medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar
modo, delle libere città germaniche. Il professore studiò a fondo gli
antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le
repubbliche urbane dell'Europa germanica tra il XII e il XIII secolo, gli
ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da
ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva
precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla
società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. M. si dedica allo
studio approfondito di questi temi, progettando di scrivere un volume
intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città. Il libro è rimasto
incompiuto per la morte del professore. L'impegno politico diretto e il federalism.
S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana, che lascia quando divenne preside
della Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano. M. rimase comunque legato
culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i
fondatori, a Como, del movimento federalista “Il Cisalpino”, con altri docenti
dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Carlo Cattaneo, il
programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su
base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi
macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”). Il suo nome e proposto per il
conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica
Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza,
che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla
Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste
della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo
lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica
forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul
ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni
o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea,
oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura
costituzionale prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai
governatori delle tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a
statuto speciale e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i
cittadini in due tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del
paese. I puntisalienti del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero
fatti propri dalla Lega Nord solo marginalmente: il segretario federale,
Umberto Bossi, preferì infatti seguire una politica di contrattazione con
lo stato centrale che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali.
Il dissenso di Miglio, iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo
le elezioni politiche, dove fu rieletto al Senato, quando il professore si
disse non d'accordo sia ad allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo
governo Berlusconi. Soprattutto M. non gradì che per il ruolo di ministro delle
Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto.
Bossi reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché
non è diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua
candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la
pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per
le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se Miglio vorrà lasciare la
strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla
Lega e che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un sacco di
consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, M. «pare che ponga solo un
problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione di poltrone».
In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di Bossi. Spero
proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato strumentale alla
conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è stato di essere
riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo nel giorno in
cui Bossi non sarà più segretario». Nonostante ciò, moltissimi militanti
e sostenitori leghisti continuarono a provare grande simpatia e ammirazione per
il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti della Lega tennero comunque
vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Pagliarini, Francesco Speroni e
il presidente della Libera compagnia padana Oneto, al quale il professore era
particolarmente legato. In particolare M. fu in stretti rapporti con l'ex
deputato leghista Negri, col quale fonda il Partito Federalista. Eletto ancora
una volta al Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà,
iscrivendosi al gruppo misto. Negli anni in cui la Lega si spostò su
posizioni indipendentiste, il professore si riavvicinò alla linea del partito, sostenendo
a più riprese la piena legittimità del diritto di secessione della Padania
dall'Italia come sottospecie del più antico diritto di resistenza
medievale. Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi
giuridici "freddi" e "caldi" M. sostenne la necessità di
sviluppare, all'interno delle diverse società e culture, ordini giuridici in
grado di rispondere alle specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli
giunse a dichiararsi favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta.
Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che
cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre
il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un
clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire
dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere
costituzionalizzate». La sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le
ragioni profonde alla base di mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che
genera il consenso attorno a queste organizzazioni criminali), perché solo
istituzioni che sono in sintonia con la comunitànel caso specifico, che non
dimentichino la centralità del rapporto personale piuttosto che impersonale
nella società meridionalepossono creare una vera alternativa al
presente. Altre saggi: “La controversia sui limiti del commercio neutrale:
ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo nella scienza del diritto delle
genti,” Milano, Ispi, “La crisi dell'universalismo politico medioevale e la
formazione ideologica del particolarismo statuale moderno,” in: "Pubbl.
Fac. giurispr. Univ. Padova", “La struttura ideologica della monarchia
greca arcaica ed il concetto "patrimoniale" dello Stato nell'eta
antica, in: "Jus. Rivista di scienze giuridiche", “Le origini della
scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,
“L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica
occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I
cattolici di fronte all'unità d'Italia, in: "Vita e pensiero",
“L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza
dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Il
Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista
di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del
tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della
politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i
suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e
l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e
proposte, promosso dal Rotary Club di Milano-Centro Una Costituzione in
"corto circuito", in: "Prospettive nel mondo", Ricominciare
dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta
industriale, Milano, Giuffrè, La
Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio,
Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in
"Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e
innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in
Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como,
Como, Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso
dello Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale
dell'Università cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace,
diritto. Una ipotesi generale sulle regolarità del ciclo politico, in: Umberto
Curi, Della guerra, Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli
italiani. Verso una nuova costituzione, Milano, Giuffrè, Le contraddizioni interne del sistema
parlamentare-integrale, in: "Rivista italiana di Scienza Politica",
Considerazioni sulle responsabilità, in: "Synesis, periodico
dell'Associazione italiana centri culturali", Le regolarità della
politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, Milano, Giuffrè, Il nerbo e le briglie del potere. Scritti
brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24 ore, Una Costituzione
per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica, Roma-Bari,
Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore, Come cambiare. Le mie
riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a finire, con "Il Gruppo
del lunedì", Collezione Frecce, Milano, Mondadori, ed. Oscar Saggi,
Disobbedienza civile, Milano, A.
Mondadori, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei IV anni sul Carroccio,
Milano, A. Mondadori, Come cambiare. Le mie riforme per la nuova Italia,
Milano, Mondadori, Modello di Costituzione Federale per gli italiani, Milano,
Fondazione per un'Italia Federale, Federalismi falsi e degenerati, Milano,
Sperling & Kupfer, Federalismo e secessione. Un dialogo, con Barbera,
Milano, Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non
è mai esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del
Lario. Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto, con Gozzi e Zanoletti,
Milano, Leonardo arte, L'Asino di
Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro
destino, Vicenza, Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con
l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione, pref. di
Roberto Formigoni, postf. di Sergio Romano, Varese, Lativa, M.: un uomo libero,
coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Un Miglio alla
libertà, audiolibro, coll. Laissez Parler, Treviglio, La Libera Compagnia
PadanaLeonardo Facco Editore); li articoli, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia
Padana, Novara, Gianfranco le interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera
Compagnia Padana, Novara, L'Asino di
Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro
destino, pref. di Roberto Formigoni, coll. I libri di Libero M., Firenze,
Editoriale Libero); “Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o
non è mai esistito?” (Firenze, Libero); “Federalismo e secessione. Un dialogo,
con Augusto Antonio Barbera, coll. I libri di LiberoMiglio n. 4, Firenze,
Editoriale Libero, Disobbedienza civile, coll. I libri di Libero; Firenze,
Editoriale Libero, La controversia sui limiti del commercio neutrale fra
Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando Galiani, pref. di Lorenzo Ornaghi, Torino,
Aragno, Gianfranco Miglio: scritti
brevi, interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,
Lezioni di politica. Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica”
(Bologna, Il Mulino); D. Bianchi e A. Vitale, Bologna, Il Mulino,Discorsi
parlamentari, con un saggio di Bonvecchio, Senato della Repubblica, Archivio
storico, Bologna, Mulino, L'Asino di
Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino
-- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni retrospettive e altri
scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e Associati, Lo scienziato della politica, coll. Opere
scelte di M., a cura di Galli, Milano, Guerini,.Guerra, pace, diritto, La Nuova
Guerra, [S.l.Milano], La Scuola, 1 Scritti politici, Bassani, coll. I libri del
Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione Federale per gli italiani” (Torino,
G. Giappichelli); “La Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale
della Padania” (Fano, Associazione Oneto); “Il Cerchio,.C. Schmitt. Saggi, Palano,
Brescia, Scholé Morcelliana); “Le
origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche”
(Torino, Aragno); “Vocazione e destino dei Lombardi” (S.l.Milano); “Regione
Lombardia, Prefazioni Oneto, Bandiere di libertà: Simboli e vessilli dei Popoli
dell'Italia settentrionale. In appendice le bandiere dei popoli europei in
lotta per l'autonomia, Effedieffe, Milano, Gianfranco Morra, Breve storia del
pensiero federalista” (Milano, Mondadori); “Governo della Padania, Manuale di
resistenza fiscale” (Gallarate, Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e
bandiere dei popoli padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera
Compagnia Padana, Collegno); Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio
con Bozzi e M., Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Ornaghi e Vitale,
Multiformità e unità della politica. Atti del Convegno tenuto in occasione del compleanno,
Milano, Giuffrè, Ferrari, “Storia di un giacobino nordista” (Milano, Liber
internazionale); Bevilacqua, “Insidia mito e follia nel razzismo”; "Il
rinnovamento", Campi, “Figure e temi del realismo politico europeo,
Firenze, Akropolis/La Roccia di Erec, G. Capua, Scienziato impolitico” (Soveria
Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, Vitale, La costituzione e il cambiamento
internazionale. Il mito della costituente, l'obsolescenza della costituzione e
la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca Romano, Il pensiero federalista una
lezione da ricordare. Atti del Convegno di studi, Venezia, Sala del Piovego di
Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio regionale del Veneto-Caselle di
Sommacampagna, Cierre, Lanchester, M. costituzionalista, Rivista di politica:
trimestrale di studi, analisi e commenti, Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino. Damiano
Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie del potere.
Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano, Vita e
Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di M. M. Verde, su miglio verde. eu.
Bossi a sorpresa al convegno su M. a Domaso:"Un grande"Ciao Como, su
Ciao Como, la Repubblica/politica: È morto su repubblica. Ticino COMO: Lunedì a
Domaso i funerali. Riletture. Arianna. il ricordo. Terre di Lombardia, su terredilombardia.
Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di otto illustri
testimoni, Paoline, Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna, 8 agosto
5. Il silenzio di M. fa paura alla
Lega Bossi: Pensa solo alla poltrona.
"Con Bossi è un amore finito"
Miglio torna nell'arena: è l'occasione buona Gianfranco Miglio, Una repubblica
mediterranea?, in Un'altra Repubblica? Perché,
come, quando, Laterza, Roma-Bari, U. Rosso, M. l'antropologo. 'Diverso l'uomo
del Sud', in la Repubblica, «Non mi
fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica» Treccani Istituto
dell'Enciclopedia. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su senato,
Senato della Repubblica. Associazione Openpolis. Istituto per la scienza dell'amministrazione
pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della
Padania, su prov-varese. Lega nord. Commemorazione di M. nell’anniversario
della scomparsa di Alessandro Campi, su giovanipadani.lega nord). «Non mi
fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica», Il Giornale, su
newrassegna.camera. Interviste a M. sui "Quaderni della Libera Compagnia
Padana" su la libera compagnia. Documenti politici Sezione di
approfondimento sul pensiero di Gianfranco Miglio, dal sito ufficiale della
Lega Nord. Gianfranco Miglio. Miglio. Keywords: implicatura ligure. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Miglio," per
il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Speranza “Saturdays and Mondays” – The Swimming-Pool Library.
Grice
e Millia: la setta dell’ottimati a Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico. He is said to have been one of a
group of Pythagoreans who were ambushed but found their escape route blocked by
a field of beans. Being prohibited by Pythagoreans precepts from even touching
beans, he preferred death to betraying his principles. Millia.
Grice e
Millul: l’implicatura conversazionale nella selezione sessuale di Nerone, il
musicista – filosofia triestina – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste).
FIlosofo italiano. Grice: “I have been called a Darwinist, which offended de
Lalla!” -- Figlio unico di Achille de Lalla
e Anna Millul. Il padre, nato a
Napoli da famiglia originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare,
giungendo a ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e
congedandosi con il grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima
guerra mondiale nonché alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla
spalla destra in Russia. Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la
Ricostruzione Industrial. Achille de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria
Buonomo, figlia a sua volta di Alfonso Buonomo, compositore e musicista
napoletano di fama. La madre Anna Millul
era nata a Roma in una famiglia ebrea originaria di Livorno. Si laurea, allievo
di Kalinowski di cui traduce in italiano il saggio "Interpretazione
giuridica e logica delle proposizioni normative". Scappa a Parigi, prendendo parte al Maggio.
Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il Partito Comunista francese non aveva
alcuna seria intenzione politica di sostenere la Contestazione e, in anticipo
sul fallimento dell'iniziativa giovanile, lascia la Francia rientrando in
Italia deluso. Studioso di Evoluzionismo e Politologia, e è proprio sulle sue
teorie sull'Evoluzione umana e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera “La
selezione sessuale”. Insegna a Siena e Napoli. A testimonianza del grande
successo che riscuotevano i suoi corsi universitari, rimane la petizione
indetta dagli studenti affinché il Senato Accademico li prorogasse per un
biennio. Gl’ultimi anni Ritiratosi a
vita privata, muore a Napoli nella tarda serata del 25 settembre d'infarto mentre attende alla redazione della
sua ultima opera. Est Deus in nobis Contributo alla Nuova Evangelizzazione e,
nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire il completamento della
trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La Comunità
Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico rispetto
a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative statuali. Convinto assertore dei rischi della dilagante
esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico negli ultimi anni
di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di edificazione di un
nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe assunto il nome di
PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I. Saggi: “Il concetto legislativo di azione
penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene, Napoli); “Logica
della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare” (Jovene, Napoli); “Topografia
politica della repubblica” (Scientifiche, Napoli); “Il completamento
istruttorio del giudice nelle indagini preliminari in "Riv. it. dir. e
proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la selezione sessuale” (Salerno,
Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli); “La comunità democratica:
idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) – concetto di KRATOS --“Comunitarismo”
(Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella antica Roma” (Guida, Napoli); “Composizioni musicali Per
pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2 Sonata n.° 3
"napoletana" Musica da camera Sonata per violino e violoncello Sonata
per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e violoncello Note de Lalla F., Una famiglia borghese, Ed.
Ibiskos de Lalla F., in "Il foro penale"
ilcambiamento,// ilcambiamento/ articoli/ evoluzione_2_ darwin_de_ lalla_millul.
ateneapoli,// ateneapoli/news/ archivio-storico/ reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio-
di-facolta--si-esprime- negativamente.
petizioni.com/ petizione _pro_prof_paolo de_lalla. Grice: “When I hear
that a philosopher has written yet another trattarello on the filosofia della
musica, I always thought not of Orpheus and his lute, but of NERO and his
lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary,
sexual selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Lalla” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Milone:
la setta d’ottimati di Crotone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to
Giamblico, a Pythagorean. He studied with Pythagoras himself. He died when an
anti-Pythagorean mob burnt his house down when he was inside it.
Grice e Minicio:
l’implicatura conversazionale d’Adriano nel diritto romano e Plinio minore-- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Rescritto di Adriano a Gaio Minucio
Fundano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. L'imperatore Adriano, autore
del rescritto a Gaio Minucio Fundano. Il rescritto di Adriano a Gaio Minucio
Fundano è un rescritto imperiale inviato dall'imperatore romano Adriano a Gaio
Minucio Fundano, proconsole d'Asia dal 122 al 123.[1] Il documento
giuridico, scritto originariamente in latino, fu tradotto e tràdito in greco
ellenistico da Eusebio di Cesarea[2] che si rifaceva a Giustino[3]. Il testo
è noto agli storici e agli studiosi di Storia del Cristianesimo per essere uno
dei più antichi scritti pagani sul cristianesimo. Indice 1Contenuto e valore del documento 1.1Politica di Adriano verso il Cristianesimo 2Interpretazione del rescritto 2.1Dubbi esegetici 2.1.1Tesi di Marta Sordi 3Note 4 Bibliografia 5 Voci correlate Contenuto e valore del documento Il documento
di Adriano, pur indirizzato a Minucio Fundano, rispondeva in realtà a
un'istanza sollecitata da Quinto Licinio Silvano Graniano, predecessore del
destinatario: Graniano aveva chiesto lumi sul comportamento da tenere nei
confronti dei cristiani e delle accuse che venivano loro rivolte. Adriano
rispose al proconsole di procedere nei loro confronti solo in presenza di
eventi circostanziati, emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla
base di accuse generiche, petizioni o calunnie: veniva stabilito così il
principio dell'onere della prova a carico dei promotori delle accuse. Eventuali
azioni promosse a scopo di calunnia dovevano, al contrario, essere duramente
perseguite e punite, affinché non fosse permesso ai calunniatori di procurare
del male.[4] Politica di Adriano verso il Cristianesimo Il rescritto, che
è una delle prime fonti pagane sul cristianesimo, è anche di somma importanza
per la comprensione della politica tenuta da Adriano e dal suo predecessore
Traiano nei confronti dei cristiani: Adriano, infatti, si mosse su un piano
analogo, e anche più garantista, rispetto a quello del suo predecessore che si
era espresso sull'argomento in un precedente rescritto[5] sollecitato da una
specifica richiesta di Plinio il Giovane[6] che era a quel tempo legatus
Augusti pro praetore in Bitinia e Ponto[7]. Interpretazione del
rescritto Giustino sostenne l'interpretazione più favorevole del
rescritto, accettata da una parte della storiografia moderna. Dubbi esegetici
Il significato esatto del rescritto adrianeo, pur confrontato con quello di
Traiano, rimane per alcuni studiosi controverso. Se è assodata, infatti,
l'affermazione del principio dell'onere della prova da cui, in definitiva, far
dipendere la perseguibilità dei cristiani che avessero agito «contro la legge»,
non è per tutti chiaro, invece, fino a qual punto dovesse spingersi
l'assolvimento di quell'onere, se fosse cioè sufficiente provare la sola
fattispecie della professione di fede (quello che Plinio, nella sua epistola a
Traiano, chiama il nomen ipsum) o si rendesse invece necessario circostanziare
anche la contemporanea presenza di reati ascrivibili all'essere cristiani
(flagitia cohaerentia nomini), la distinta fattispecie che Plinio già
individuava e intendeva suggerire all'imperatore nell'indirizzargli la sua
richiesta. Tesi di Marta Sordi Marta Sordi, storica dell'antichità
greco-romana e del cristianesimo delle origini, propendeva per
l'interpretazione più favorevole ai cristiani, una posizione esegetica a cui
peraltro già aderiva l'apologetica cristiana, da Giustino in poi. Secondo la
Sordi, Adriano, in linea con la politica del suo predecessore Traiano, avrebbe
non solo confermato il divieto di perseguibilità d'ufficio[8] ma vi avrebbe
anche aggiunto, di suo, due nuovi elementi: Il primo di essi la Sordi lo
individua in quel passo in cui Adriano afferma la necessità di dover giudicare
«secondo la gravità della colpa» (sempre nel caso - beninteso - di una denuncia
sorretta da prove). Il riferimento a una graduabilità della colpa escluderebbe,
secondo Marta Sordi, che quest'ultima potesse ridursi al solo 'essere
cristiani', una fattispecie che poteva rivelarsi vera o falsa, ma che non
poteva ammettere graduazioni: seguendo questa interpretazione, bisogna quindi
ritenere necessaria l'associazione a un diverso reato, ascrivibile allo status
religioso ma non coincidente semplicemente con questo[8]. Questa
interpretazione, inoltre, sempre secondo la studiosa, sarebbe in sintonia con il
tono generale della prosa dell'imperatore, da cui trapela, infine, persino
insofferenza nei confronti di possibili derive intolleranti[8]. L'espressione
di questa insofferenza, sottolineata anche da un'interiezione, è contenuta
nella frase «ma, per Ercole, se qualcuno accampa pretesti per calunniare, tu,
stabilitane la gravità, devi senza indugio punirlo». E proprio in questa frase
si rinviene, secondo la Sordi, il secondo elemento di novità rispetto
all'atteggiamento del predecessore: la necessità che le conseguenze di
azioni prive di prova, e pertanto temerarie e calunniose, dovessero ritorcersi
contro gli stessi proponenti.[8] Note ^ Gianluigi Bastia, Lettera di Adriano,
29 dicembre 2006. ^ Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, IV, 9, 1-3. ^
Giustino Martire, Apologia LXVIII, 3-5. Il testo greco, in Giustino, è
riportato in calce al paragrafo LXVIII (v. Apologia I Archiviato il 26 novembre
2012 in Internet Archive.). ^ Rescritto di Adriano a Caio Minucio Fundano,
proconsole d'Asia Archiviato il 6 ottobre 2014 in Internet Archive., pp. 18-19
(o su Giustino, Apologia I Archiviato il 26 novembre 2012 in Internet
Archive.). ^ Plinio il Giovane, Epistulae, X.97. ^ Plinio il Giovane,
Epistulae, X.96 e X.97. ^ CIL V, 5262 Marta Sordi, I Cristiani e l'impero
romano, Jaca Book, Milano, 2004, ISBN 9788816406711 pp. 73 e segg. Bibliografia
Marta Sordi, I Cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano, 2004, ISBN
9788816406711 pp. 73 e segg. Gianluigi Bastia, Lettera di Adriano, accesso 29
dicembre 2006. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, IV, 9, 1-3. Giustino
Martire, Apologia LXVIII, 3-5. Plinio il Giovane, Epistulae, X.96 e X.97. CIL
V, 5262. Minìcio Fundano, Gaio, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Voci correlate Rescritto di Traiano a
Plinio il Giovane Fonti storiche non cristiane sul cristianesimo Gesù storico
Storiografia su Gesù Ricerca del Gesù storico Storicità di Gesù Onere della
prova Ius puniendi Portale Antica Roma Portale Cristianesimo
Portale Diritto Portale Gesù Categorie: Fonti del diritto
romanoStoria antica del cristianesimoAdriano[altre]Military diploma (CIL)
attesting his consulship suffect consul. In office Nationality: Roman; Occupation:
politician. A Roman senator who holds several offices in the Emperor's service,
and is an acquaintance of PLINIO MINORE. He is suffect consul with Tito
Vettenio Severo as his colleague. He is best known as being the recipient of an
edict from ADRIANO (si veda) about conducting trials of Christians in his
province. This is known from an inscription recovered at Baloie in Bosnia. The
first office listed is military tribune with Legio XII Fulminata. Next is
quaestor, and, upon completion of this traditional Republican magistracy, he
would be enrolled in the Senate. Two more of the traditional Republican
magistracies follow: plebeian tribune and praetor. The last appointment, before
the inscription breaks off, is his commission as legatus legionis or commander
of Legio XV Apollinaris. Other sources attest that he was governor of Achaea. The
terminus post quem his governorship is when Gaio Caristanio Giuliano is known
to have governed. The terminus ante quem he leaves his post is the year of his
consulate, although the letters he receives from PLINIO MINORE (si veda) indicate
he is no longer in Achaea. The inscription from Baloie mentions he has been
admitted to the Septem-viri epulonum, one of the four most prestigious ancient
Roman priesthoods. Because this inscription does not mention his consulate, it
can be assumed his entrance precedes that office. Most, if not all, of the letters PLINIO
MINORE (si veda) writes to M. fall before is suffect consul. In the first
letter of his collection, PLINIO declares that living on his rural estate is
preferable to living in Rome, where he is subject to constant pleas for
assistance. The second letter petitions him to appoint the son of Plinio’s
friend ASINIO RUFO as M’s quaestor for M.’s upcoming consulate; The last letter
is another petition to M., canvassing him on behalf of GIULIO NASONE, who is
running for an unnamed office. While all of these letters demonstrate M. And
PLINIO MINORE are acquainted, they fail to show the warmth of a
friendship. Following his consulate,
during the reign of TRAIANO, M. is governor of Dalmatia. It is through a rescript the historian EUSEBIO
preserves at length in his Ecclesiae Historia that we know M. is proconsul of
Asia. M.' predecessor, QUINTO LICINIO SILAVNO GRANIANO, asks ADRIANO how to
handle legal cases where some inhabitants are accusing their neighbours of not
following the Roman cult through informers or mere clamour. ADRIANO’s reply is to
state that any such accusations had to be through a law court, where the matter
may be properly investigated, and if they are guilty of any illegality, thou M.,
must pronounce sentence according to the seriousness of the offence. This
rescript is important as an independent witness to the existence of one or more
non-Roman sects in this part of Anatolia. The only other contemporaneous
evidence we have for these communities is the list of the VII churches of Asia
in the book of Revelation. M.’s wife is
the daughter of a MARCO STATORIO. We know her name from a funerary inscription,
which suggests that she died before M.’s consulship. The name of their
daughter, Minicia Marcella, comes from two independent sources. Minicia dies young.
Her funerary vase has been identified, which states her age at death as XII
years, XI months, and VII days. PLINIO MINORE also attests to her existence,
revealing information about the girl that shows that he and M. are better
friends than the surviving letters he writes to M. suggest. In the letter,
addressed to one EFULANO MARCELLINO, Pliny notes that, although she was not yet
XIV years old, she was betrothed. Pliny describes the preparations for her
wedding, with which M. was busy; and he asks Marcellinus to send M. a letter
consoling him for his loss. It is not known if M. has any other children. Smallwood, Principates of Nerva, Trajan and
Hadrian, Cambridge, CIL, ILJug., Talbert, The Senate of Imperial Rome, Princeton;
Wheeler, "Legio XV Apollinaris: From Carnuntum to Satala—and beyond",
in Bohec and Wolff, eds. Les Légions de Rome sous le Haut-Empire, Paris; Eck,
"Jahres- und Provinzialfasten der senatorischen Statthalter”, Chiron; Pliny,
Epistulae, I.9 Syme, Tacitus, Clarendon;
Eusebius, Ecclesiae Historia; Williamson, Eusebius: The History of the Church, Harmondsworth:
Penguin; Political offices Preceded by Acilius Rufus, and Quintus Sosius
Senecio II Consul of the Roman Empire 107 with Titus Vettennius
SeverusSucceeded by Gaius Julius Longinus, and Gaius Valerius Paullinus
Categories: Roman governors of AchaiaSuffect consuls of Imperial RomeRoman
governors of DalmatiaRoman governors of AsiaEpulones of the Roman Empire Minicii.
Keywords: Roman law, Adriano a Minicio -- Gaio Minicio Fundano. Minicio.
Grice e Minnomaco:
la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean
according to Giamblico. Grice: “Cicerone argues: Minnomaco speaks Greek;
therefore he is no Roman!” Minnomaco.
Grice e Minucio:
l’implicatura conversazionale dell’eulogio ad Ottavio da Frontone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. He writes “Ottavio” – draws on a speech by Frontone.
La gente: Minucia Marco Minucio Felice Da Wikipedia, l'enciclopedia
libera. Marco Minucio Felice (in latino; Marcus Minucius Felix; Cirta, II
secolo ca. – III secolo ca.) è stato uno scrittore e avvocato romano.
Indice 1Biografia 2Octavius 3Note 4 Bibliografia 5 Altri progetti 6 Collegamenti esterni Biografia Non è noto con certezza quando
visse: la sua vita è variamente collocata tra il 160 e il 300. Il suo
Octavius è simile all'Apologeticum di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano, e
la datazione della vita di Felice dipende dal rapporto tra la sua opera e
quella dello scrittore africano morto nel 230. Nelle citazioni degli autori
antichi (Seneca, Varrone, Cicerone) è considerato più preciso di Tertulliano e
questo concorderebbe col suo essere anteriore ad esso, come afferma anche
Lattanzio;[1] Girolamo lo vuole, invece, posteriore a Tertulliano,[2] sebbene
si contraddica dicendolo posteriore a Tascio Cecilio Cipriano in una lettera e
anteriore in un'opera.[2] Per quanto riguarda gli estremi della sua esistenza,
Felice menziona Marco Cornelio Frontone, morto nel 170; il trattato Quod idola
dii non sint è basato sull'Octavius; dunque se quello è di Cipriano (morto nel
258), Minucio Felice non fu attivo oltre il 260, altrimenti il termine ante
quem è Lattanzio, attorno al 300. Anche la zona d'origine di Minucio è
sconosciuta. Lo si ritiene talvolta di origine africana, sia per la sua
dipendenza da Tertulliano, sia per i riferimenti alla realtà africana: la prima
ragione, però, non è indicativa, in quanto dovuta al fatto che all'epoca i
principali autori di lingua latina erano africani, e dunque il loro era lo
stile cui ispirarsi; la seconda, inoltre, potrebbe dipendere esclusivamente dal
fatto che il personaggio pagano dell'Octavius, Cecilio Natale, era africano,
come attestato da alcune iscrizioni. Cionondimeno, è significativo che entrambi
i personaggi dell'Octavius abbiano nomi citati in iscrizioni africane,[3] e che
lo stesso valga per il nome Minucio Felice.[4] Octavius Lo stesso
argomento in dettaglio: Octavius. L'Octavius è un dialogo che ha per
protagonisti lo stesso scrittore, Cecilio e Ottavio e che si svolge sulla
spiaggia di Ostia. L'opera si è conservata per errore dopo i sette libri
dell'Adversus nationes di Arnobio come (liber) octavus[5]. Mentre i tre
passeggiano sul litorale, Cecilio, di origine pagana, compie un atto di omaggio
nei confronti della statua di Serapide. Da ciò nasce una discussione in cui
Cecilio attacca la religione cristiana ed esalta la funzione civile della
religione tradizionale, mentre Ottavio, cristiano, attacca i culti idolatrici
pagani ed esalta la tendenza dei cristiani alla carità e all'amore per il
prossimo. Alla fine del dialogo Cecilio si dichiara vinto e si converte
al Cristianesimo, mentre Minucio, che funge da arbitro, assegna ovviamente la
vittoria ad Ottavio. Il Cristianesimo di Minucio è lo stesso dei ceti
dirigenti[6], che non vogliono che il cambiamento di religione sia accompagnato
da sommovimenti sociali e sono convinti che debbano, comunque, sopravvivere la
finezza e l'equilibrio costruiti da secoli di civiltà greco-latina. Del resto,
di questo ceto sono i personaggi dell'Octavius, tutti e tre avvocatiː il
pagano, Cecilio Natale, era nativo di Cirta (dove l'omonimo registrato dalle
iscrizioni aveva ricoperto cariche sacerdotali) e viveva a Roma, come Minucio,
di cui seguiva l'attività forense; Ottavio, invece, è appena arrivato nella
capitale all'epoca in cui è ambientata l'opera, e ha lasciato la propria
famiglia nella provincia d'origine. Girolamo[7] gli attribuisce una seconda
opera, De fato, di cui però non vi sono tracce. Note ^ Divinae
Institutiones, V 1. De viris illustribus, LVIII. ^ Ottavio Ianuario a
Saldae (CIL VIII, 8962) e Cecilio a Cirta (CIL VIII, 7097, CIL VIII, 7098, CIL
VIII, 6996). ^ A Tébessa (CIL VIII, 1964) e Cartagine (CIL VIII, 12499). ^ F.
Bracci, Il linguaggio di Minucio Felice. Fra dialogo filosofico e disputa
religiosa, in Controversie: dispute letterarie, storiche, religiose
dall'Antichità al Rinascimento, a cura di G. Larini, Padova, Libreriauniversitaria.it,
2004, p. 148. ^ I. Vecchiotti, La filosofia politica di Minucio Felice. Un
altro colpo di sonda nella storia del cristianesimo primitivo, Urbino,
Università degli Studi, 1973, passim. ^ De viris illustribus, 58.BibliografiaL'Ottaviodi
Marco Minucio Felice in italiano: play.google.com/books/reader?id=xj GOJAAAAEAJ&pg=GBS.PA0
Paul Lejay, «Minucius Felix», in Catholic Encyclopedia (1913). F. Bracci, Il
linguaggio di Minucio Felice. Fra dialogo filosofico e disputa religiosa, in
Controversie: dispute letterarie, storiche, religiose dall'Antichità al Rinascimento,
a cura di G. Larini, Padova, Libreriauniversitaria.it, 2004 Altri progetti
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dedicata a Marco Minucio Felice Collegamenti esterni (EN) Marcus Minucius
Felix, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su
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Theological, and Ecclesiastical Literature, Harper. Modifica su Wikidata Opere
di Marco Minucio Felice, su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN)
Audiolibri di Marco Minucio Felice / Marco Minucio Felice (altra versione), su
LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Marco Minucio Felice, in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata C. Francis Higgins,
«Felix, Minucius», in Internet Encyclopedia of Philosophy. Opera Omnia dal
Migne, Patrologia Latina, con indici analitici, su documentacatholicaomnia.eu..
V · D · M Padri e dottori della Chiesa cattolica Controllo di autoritàVIAF (EN) 61540251 · ISNI (EN) 0000 0001 1904 8969 · SBN BVEV009508 · BAV
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XX875858 (data) · BNF (FR) cb118869964 (data) J9U (EN, HE) 987007265588705171 ·
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del II secolo a.C.Scrittori del III secolo a.C.Romani del II secolo a.C.Romani
del III secolo a.C.Nati a CirtaApologetiPadri della ChiesaScrittori africani di
lingua latinaScrittori cristiani antichi[altre] Minucio – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Marco Minucio
Felice – He wrote “Ottavio” – draws on a speech by Frontone. – cf. Marco
Minucio Felice.
Grice e
Miraglia: l’implicatura conversazionale di CICERONE -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Grice:
“Miraglia is the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then
he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s
nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself,
compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si
laurea a Napoli, dopodiché insegna filosofia del diritto nella stessa
università, ed economia politica alla scuola superiore di agricoltura di
Portici. Segue una corrente di pensiero
eclettica, ad esso contemporanea, che mira all'integrazione di pratiche
giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Sindaco di Napoli. Tra le più famose si
ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda (Napoli); “Un
sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto” (Napoli). Nella sua
biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia, mentre nella
sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a Reggio di
Calabria. Giuseppe Erminio. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, (latinista) Sindaci di Napoli Senatori della
legislatura del Regno d'Italia Luigi
Miraglia, su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su open MLOL, Horizons Unlimited
srl. su Senatori d'Italia, Senato della
Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del diritto. La speculazione greca
e LA DOTTRINA ROMANA. Fichte. Spedalierie Romagnosi. Gli scrittori della
reazione. La scuola storica e la scuola filosofica. Schelling e Scleiermacher. Hegel
Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie fasi della filosofia di
Schelling. Sthal e Schopenhauer Il materialismo, il positivismo ed il
criticismo. L'idea della filosofia del diritto. La Filosofia e le scienze. Il carattere
della Filosofia mo. L'idea del Diritto
ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione, l'osservazione e
l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono civile di AMARI
ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo secon do VICO
Amari , Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della lingua e lo
sviluppo del Diritto. L'induzione statistica. Il compito della deduzione.
L'universale astratto e l'universale concreto come principi. Moderna divinato
da VICO. La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del
Diritto se condo la dottrina di VICO, e le definizioni di Kant, di Hegel, di Trendelenburg,
di ROMAGNOSI e di SERBATI. La teoria sociale e la teoria giuridica. Il Diritto
e la Filosofia positiva. L'idea induttiva del Diritto. Lo studio della
coscienza etico-giuridica dei vari popoli. Il contributo della razza ariana e
della razza semi tica nella storia della civiltà. L'idea del diritto come
misura in LA RAZZA ARIANA. La misura riposta nel l'ordine fisico, nella legge
positiva e nella ragione. Il principio della personalità. Gl’elementi organici
e spi rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del
materialismo. La teorica dell'evoluzione. La critica dell'evoluzionismo meccanico
La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento fondamentale e le
sensazioni. La coscienza e la sua origine. Le rappresentazioni sensibili e le
rappresentazioni coscienti. Il pensare e
le categorie. La cognizione secondo l'empirismo oggettivo. La critica di questa
teoria. I presupposti pratici dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e
partizione. L'istinto, il desiderio e la volontà. L'arbitrio e la libertà
morale. La costanza degl’atti umani rivelata dalla Statistica. Il fine
dell'uomo ed il bene. Il bene umano ed il Diritto. La forma imperativa,
proibi. I presupposti teoretici dell'idea deduttiva del Diritto. Seguito
dei presupposti teoretici. tiva e permissiva del Diritto. Il Diritto come
principio di co-azione , di coesistenza e di armonia. La tri-partizione
razionale del Diritto. La divisione di Gaio. Analisi critica delle principali
definizioni del Diritto. Le dottrine che riguardano a preferenza il contenuto sensibile
del diritto: Hobbes, Spinoza, Roussean, Mill e Spencer. Le dottrine che
considerano il diritto come astratta forma razionale: Kant, Fichte ed Herbart.
Le definizioni di Krause e di Trendelenburg. Ciò che vi è di vero nelle
dottrine esaminate. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il Diritto come
disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia. Critica della
confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento comune e la
differenza reale. L'Etica e la vita sociale.VICO, Süssmilch ed i fisiocrati
precursori della Scienza sociale. La Sociologia di Comte ed i vari indirizzi. La
Sociologia di Spencer. La Sociologia come Filosofia delle scienze sociali. Le
analogie tra la società e l'organismo. Le relazioni fra il Diritto e la Scienza
sociale. Il Diritto, l'Economia sociale e la Politica. L'ordinamento
sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni. L'Etica, la
Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come presupposti
dell'Economia. Il carattere del fatto economico. I rapporti tra il Diritto e
l'Economia. Il concetto della Politica. La Politica , la Scienza sociale,
l'Etica ed il Diritto. L'idea compiuta dello Stato. Il Diritto razionale ed il
Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. La distinzione del Diritto razionale
dal Diritto positivo in sé e nella storia. La consuetudine ed il costume
primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La legislazione ed i codici. L'efficacia
della legge nello spazio.L'efficacia della legge nel tempo. Esame delle diverse
teorie sulla retroattività . Diritto Privato. La persona. I diritti essenziali
o innati ed i diritti accidentali o acquisiti. Il principio dei diritti. Il
diritto alla vita fisica e morale. Il diritto alla libertà. I diritti all'eguaglianza,
alla sociabilità ed all'assistenza. Il diritto di lavoro . Il concetto storico
dei diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di natura.Lo stato di na.
tura dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto. La persona ed i suoi
diritti. Le persone incorporali. Lo scopo delle persone incorporali. La teoria
della fin. La proprietà e i modi di acquisto. La proprietà e dil suo fondamento
razionale. Dottrine in torno a questo fondamento. Le limitazioni ed i
temperamenti della proprietà. I modi originari e deri vativi di acquisto La
storia della proprietà e dei modi di acquisto. L'attività procacciatrice
dell'animale e dell'uomo. La storia della proprietà e la storia della persona.
La proprietà collettiva. La comunità di famiglia. Il Cristianesimo ed il valore
della persona individua. Il feudo. La riforma ed il diritto naturale.La com
piuta individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata. I modi di
acquisto primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità e la
procedura civile.. ! all'ordine di natura dei giureconsulti romani e dei
filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo di concepire i diritti
essenziali della persona. I diritti innati e la Filosofia moderna. Il regime
dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione. La teoria che
riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del patrimonio sui
juris. Le idee dei pubblicisti tedeschi.Il soggetto reale nella corporazione e
nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus confirmandi
dello Stato. La teoria di Giorgi. La proprietá prediale. Il collettivismo
territoriale. La teoria di Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di
Spencer sulla proprietà del suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita.
Le dottrine di George e di Loria sul la terra La proprietà forestale e
mineraria. Le funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue
ragioni. La proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli
argomenti in favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attribuisce la
miniera allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro
prietà. La coalizione e lo sciopero. La giuria industriale.La proprietà del
capitale ed il profitto. Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx.
La critica del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni
degl'intraprenditori. La proprietà commerciale, il diritto di autore e di
scopritore. Il concetto della proprietà commerciale. La libertà dello scambio.
La concorrenza. La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima
e dopo l'in La propriatà industriale. La classificazione dei diritti
sulla cosa altrui. Le servitù gimento dell'istituto nelle legislazioni.
Esposizione critica delle varie dottrine assolute e relative. Il fon damento
razionale. La critica della teoria di Ihering sulla volontà di possedere. Le
obbligazioni. zioni. Le loro varie specie e modalità. I differenti modi di
estinzione . Il contratto e le sue forme. L'indole del possesso. La sua
origine storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine. Le fonti delle obbliga
La nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti
essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei
contratti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg. venzione
della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere. La garentia del diritto
dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro specie. In quali modi
le servitù nascono, si esercitano e si estinguono. L'enfiteusi. La superficie.
Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di ritenzione Il possesso. La
libertà di contrarre ed il contratto di lavoro. La libertà di contrarre, i suoi
limiti e la sua guarentigia.. L'interesse e la sua limitazione. La libertà
dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma
dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usura come delitto. Critica
della teoria di Stein. La figura specialedeldelittodiusura.La leggeela vita. La
società, la cambiale, il trasporto e alcuni contratti aleatori. Il contratto di
società e le sue forme. La società e la. Il prestito usurario. persona
incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza. La cambiale
antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto. L'assicurazione e le
nuove teorie. Il giuoco. La missione sociale del diritto privato. L'eguaglianza
delle parti nella locazione di opera. I sistemi che regolano la responsabilità
dell'intraprenditore negli infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L
accoppiamento e l'istinto di riproduzione fra gli animali. Le teoriedi LUCREZIO
e di VICO. Le unioni pri mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto.
Gl'inizi e lo sviluppo della famiglia patriar . matrimonio. Le sue
condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I
rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di Bebel e le idee
di Spencer. I sistemi con cui si regolano i beni nel matrimonio.
L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità.
Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai
diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il divorzio e la
Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele. La tendenza a rivivere in altri. Il
fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le sue specie e la cura. L'adozione.
I figli nati fuori del matrimonio. La ricerca della paternità. La
legittimazione . Idea, storia e fondamento della successione. Il concetto
dell'eredità. La successione legittima e la te. stamentaria nella storia. La
successione ed il culto degli antenati. Le dottrine intorno al fondamento
cale. La progressiva individuazione della parentela. Il processo di
specificazione e la fine della famiglia. L'amore come fondamento del
matrimonio. L'idea del La societá coniugale.. La società parentale. della
successione. Il condominio domestico ed il diritto di proprietà come basi della
successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità della
parentela e del grado. La capacità
di succedere. Le classi degli eredi. La rappresentazione. La capacità di
testare e di ricevere per testamento. Le specie di testamenti, La legittima. Il
diritto di rappresentazione e la successione testamentaria. L'errore nella
causa finale ed impulsiva, e le condizioni.Il diritto di accrescere. La
sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di
successione. Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del diritto e
della politica. Il volere in siffatto mondo da un lato continua a mostrarsi
negli ordini superiori ed inflessibili dello stato, e dall'altro comincia a
svolgersi in forma di diritto individuale. Con il principio del volere, di sua
natura soggettivo, il diritto privato non può non sorgere, e lo stato non può
più per lunghissimo tempo conservare le rozze sembianze d'una organica
oggettività naturale. In Roma, il diritto privato ė nei suoi primi momenti
stretto, ferreo ed arcano. Poi è ampliato, oltre al divenire palese, giovato,
supplito e corretto dall'equità, ch'è lo stesso diritto in opposizione ad una
legge, la quale non ha saputo attuarlo. Alla fine è diritto umano, e per
conseguenza proclama il principio, che la schiavitù, istituto delle genti e contronatura,
non riguarda l'anima, echegliuomi ni innanzi al diritto naturale sono liberi ed
eguali. CICERONE, il filosofo più alto del mondo romano, non avendo
coscienza scientifica della manifestazione del diritto soggettivo, come atto
dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa realtà romana. CICERONE
non è autore di una filosofia propria, e segue d’ecclettico gli scrittori greci.
CICERONE professa il dubbio, non crede che la mente possa Il vuoto
soggetto, rappresentato dall’accademici come oggetto, riceve ora tutta la sua
concretezza, ed è in seno del Cristianesimo determinato quale Verbo o mente
assoluta. La filosofia quinci innanzi s'informa al principio soggettivo.
L'uomo, immagine di Dio ed in carnazione del verbo, si riabilita; e lo stato
antico, perdendo il suo alto significato, è costretto a rimpiccolirsi. La parte
più intima dell'individuo non è più sottoposta alla potestà politica , sibbene
alle nuove credenze, che in origine si mantengono in quell'ambiente ce leste in
cui sono nate, e si oppongono al mondo ancora pagano. L'Apostolo scorge una
contraddizione tra gli stimoli della carne e gl’impulsi dello spirito. LATTANZIO
crede che la vera giustizia sia nel culto di un divino unico, ignoto ai
gentili. AGOSTINO parla di una città celeste, sede di verità e di giustizia, in
antitesi alla città terre stre, fondazione di fratricidi e prodotto del peccato
pri 6 essere assolutamente certa, é pago della semplice verosimiglianza. Nell'etica
elimina il dubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza
immediata, in cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere
umano, per definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di
esso. Preferisce il principio etico del PORTICO, che tempera da uomo pratico. Trae
il diritto non dalle leggi di le XII tavole o dall'editto, ma dalla natura
umana. Riproduce la teoria aristotelica del lo stato, e si attiene alla forma
mista, propria degl’ordinamenti politici di Roma. Luigi Miraglia. Miraglia.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Misefari: l’implicatura conversazionale -- implicatura anarchica – filosofia calabrese – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo italiano.
‘Io non sono italiano; io sono calabrese!” Fratello di Enzo (politico calabrese
del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più
conosciuti nei primi anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di
Florindo (biologo, attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo
"Bruno Filippi"). Dopo aver frequentato la scuola elementare
del piccolo paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si
trasferì con lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato
dalle frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò
attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista
(intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a collaborare
al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio Calabria,
firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello stesso
periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a Messina; e con
Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Binazzi. A causa della sua
attività anti-militarista esercitata all'interno del Circolo contro la Guerra
italo-turca, fu arrestato e condannato a due mesi e mezzo di carcere per
«istigazione alla pubblica disobbedienza». Fu nei due anni successivi che
M. si convertì dal socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la
frequentazione da parte di Berti, suo
professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico Raffaele
Piria". Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo
avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non dispiacere
al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il fatto che in
quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio Calabria a causa
del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori certezze era
proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a
lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad
allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a
Napoli contava allora di un centinaio di aderenti. Si rifiuta di
partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro
mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta, trovando rifugio nella
campagna del beneventano in casa di un contadino. Tornato a Reggio Calabria,
interruppe una manifestazione interventista nella centrale Piazza Garibaldi,
salendo sul palco e pronunciando un discorso antimilitarista. Venne per questo
motivo arrestato e condotto presso il carcere militare di Acireale; sette mesi
dopo venne trasferito presso quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere
grazie alla complicità di un amico secondino. Fu tuttavia intercettato alla
frontiera del confine svizzero; ancora incarcerato, riuscì nuovamente nella
fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i gendarmi lo condussero al carcere di
Lugano. Giunte dalla Calabria le informazioni su di lui, essendo un uomo
politico, dopo quindici giorni fu lasciato libero con la facoltà di scegliere
il luogo di residenza. Indicò subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare
Misiano, suo caro amico e noto esponente politico socialista, anche lui
accusato di diserzione. A Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli,
dove si innamorò della giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita.
Durante il periodo di esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica
tenendo i contatti con Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici,
collaborando anche al giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una
serie di conferenze in varie città della Svizzera. M. si autoannunciava con un
suo pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa
socialista di Militaerstrasse 36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse
gestita dai disertori Monnanni, Ghezzi e Arrigoni; in questi ambienti conosce
anche Angelica Balabanoff. Venne arrestato per un complotto inventato
dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa di avere fomentato una
rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo rivoluzionario». Con
lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i quali lo stesso
Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e non anarchico).
Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla Svizzera. Grazie ad
un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per ragioni di studio, si recò
a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Zetkin (che gli rilascia una lunga
intervista sul movimento rivoluzionario in Germania) e Vincenzo Ferrer. Poté
rientrare in patria, in seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è
a Napoli e poi a Reggio Calabria. E un periodo intenso per la sua vita
militante di M. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si
prodigò a favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le
provocazioni della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista
anarchico Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In
autunno fu chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista
presso la locale Camera del Lavoro Sindacale. Ha stretti contatti con
Malatesta, Berneri, Binazzi, Borghi, Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo
e del sovversivismo italiano. Si impegnò su più fronti per la campagna a favore
degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente di:
Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Malatesta e collaborò al
periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli
con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna Zanolli, che sposò. Si laureò a Napoli.
Successivamente si iscrisse anche alla facoltà di filosofia. Nonostante
l'avvento del fascismo, fondò un giornale libertario, “L'Amico del popolo,” che
però dopo il quarto numero fu soppresso dalle autorità. Nel primo numero del
giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi sono e cosa vogliono gli
anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo pensiero libertario:
«L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle
organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel movimento
progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.» Da esperto
di geologia, progettò per primo in Calabria l'industria del vetro e fondò a
Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria (Società Vetraria Calabrese).
In quegli stessi anni subì però persecuzioni continue da parte del regime. E cancellato
dall'Albo di categoria e non poté più firmare progetti. Gli venne mossa
l'accusa di avere «attentato ai poteri dello Stato, per il proposito di
uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto dopo venticinque giorni di carcere.
La polizia ravvisò in un discorso di commemorazione durante il funerale di un
amico (tra l'altro un industriale fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica
e pertanto lo propose per l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere
si sposa con Pia Zanolli, fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza.
Tuttavia sembra che tale provvedimento fosse stato determinato da altri motivi.
M., che era ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello
sfruttamento su larga scala di giacimenti di quarzo, materia prima per
l'industria vetraria, che fino a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai
silicati stranieri. Assunto come direttore tecnico della Società Vetraria
Calabrese (di cui era stato finanziatore e Presidente il succitato Zagarella)
egli si era dovuto ben presto scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del
consiglio di amministrazione che si schierò contro di lui con l'intenzione di
eliminarlo in qualsiasi modo, ricorrendo anche ad espedienti politici.
Giustizia e Libertà, in un articolo anonimo ddal titolo «Politica e affarismo.
Il caso di un ingegnere libertario», attribuisce la causa del confino alle
manovre dei suoi ex soci. Durante il confino stringe amicizia con Torrigiani,
Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, il quale lo affilia alla
Massoneria. L'amnistia del decennale del fascismo lo liberò dal confino
dopo due anni. Ma tornato in Calabria vide il vuoto intorno a sé; scrive
infatti a sua moglie: "Amnistiato sì, però a quale prezzo: la salute
sconquassata, senza un soldo, senza prospettive per l'avvenire". Gli viene
diagnosticata l'esistenza di un tumore alla testa. Va e viene con la moglie da
Zurigo a Reggio Calabria. Riesce a trovare il capitale necessario per
l'impianto di uno stabilimento per lo sfruttamento della silice a Davoli (in
provincia di Catanzaro). Le sue condizioni di salute peggiorano a causa
del tumore. Perde conoscenza, viene ricoverato in stato gravissimo nella
clinica romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì si spense la sera
stessa. Ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi contro
l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese tra i
monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove si
ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a quel
mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso nella
memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E ancora
ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse sovvertita
prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo marxistico o
al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi dell'antagonismo tra
le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti dalla diagnosi
marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita dell'avversario di
classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario. «Nel comunismo
libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono oggi un amante
del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità umana. esso
dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o collettivo, oggi come
domani. M., Taccuino personale. La scelta della diserzione fu coerente con il
suo obiettivo di combattere non la guerra degli stati, ma a fianco degli
oppressi di tutto il mondo contro il loro nemico, tenendo alta la bandiera
dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza tregua alla persecuzione della
polizia e all'inquisizione della magistratura, fu sempre al suo posto accanto a
coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni rivoluzionario sincero e
coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede in un ideale. Chi
sono gli anarchici. Secondo M., essere anarchici voleva dire per prima cosa
proclamare, contro ogni violenza, l'inviolabilità della vita umana. Inoltre
significava lottare per l'abolizione della proprietà privata e a favore della
socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Proprio per questo gli
anarchici sono, di fondo, dei socialisti. A questo esperimento di vita sociale andava
affiancata la lotta contro lo Stato, che ne impediva la realizzazione. E la
lotta contro lo Stato non poteva essere vittoriosa se non con la rivoluzione.
Dunque gli anarchici sono socialisti, antistatali e rivoluzionari. Elemento
fondamentale della lotta, secondo Misefari, era l'allargamento di essa alla
sfera internazionale. È comunque una lotta che non si fa violenta. M. è
fortemente pacifista, contrario all'uso della forza e della violenza armata.
L'anarchico è inoltre antireligioso: la religione infatti è considerata
"fattore di abbrutimento per l'umanità". Antimilitarismo Per M.
la guerra è pura barbarie, speculazione capitalistica consumata in nome dello
Stato. «L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado
di ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è
arrivata la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del
militarismo e della guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa,
si può affermare con certezza assoluta che la società è sull'orlo della
decadenza e perciò sulla soglia della barbarie, o è una accolita di belve in
veste umana.» Religione La religione è considerata come un anestetico
delle facoltà critiche della mente umana. Sarebbe proprio la religione a
imprigionare le energie morali dell'uomo, a inebetire lo spirito critico e di
riflessione. Perciò i popoli più religiosi sarebbero i meno progrediti e i più
afflitti dalla tirannia, mentre, laddove la religione sparisce, lì è florida la
libertà e il benessere. «È il più solido puntello del capitalismo e dello
Stato, i due tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell'ignoranza
e del male.» È forte nel pensiero di M. la volontà di sottolineare
l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In anni difficili e lontani dalle
battaglie del femminismo di metà Novecento, egli afferma che la donna nobilita
e abbellisce la condizione di vita umana. È dovere della donna lottare per
risollevarsi da una condizione di inferiorità, che è tale in virtù di un
"delitto sociale" e non dovuta a leggi di natura. «Donne, in
voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo uguali!» M. vive di
sogni, di ideali. Nella sua concezione non esiste un artista, che sia poeta,
filosofo, persino scienziato, che si sia mai messo al servizio della menzogna.
Se tutti potevano essere vili, un artista non poteva. «Un poeta o uno
scrittore, che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per conservare lo
status quo della società, non è un artista: è un morto che parla in poesia o in
prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve essere
eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da M.: FALCO RIBELLE. Un
giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i fulgori di soli
immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi spinge ne' campi
ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e di gloria. Mi
splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core la voce
sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho giovini
l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio la
sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè Vita
multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal fango
mirate del falco il libero volo.» Frammenti «Prima di pensare di
rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi stessi»
«Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve da fanciullo.
Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non li
riguardanoseguono invece le leggi della natura» «Prima l'educazione del
cuore, poi l'educazione della mente» «Socialismo vuol dire uguaglianza,
vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà; come la
libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono
due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori della
redenzione proletaria.» «Quando la giustizia non sarà la durda infame
delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge
e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola nobiltà il
lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà benedetto.»
«M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e
pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben coi morti! (epitaffio) Opere complete M., Schiaffi e
carezze, Roma, Morara, M., Diario di un disertore, La Nuova Italia, Entrambi i
testi sono stati pubblicati postumi sotto lo pseudonimo Furio Sbarnemi.
Le schede biografiche di alcuni esponenti anarchici calabresi, A/Rivista
Anarchica, Antonioli, Antonioli, E. Misefari. Antonioli, Pia Zanolli era nata a Belluno. Dopo il
matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei sovversivi pericolosi,
venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista Anarchica) Chi sono e cosa vogliono gli anarchici, ed.
settembre. Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di Calabria, Roma, La
Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro Stampa, E. Misefari,
biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M. Antonioli, Gianpietro
Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici
italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno Misefari, Schiaffi,
Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello, Ogginoi, Furio Sbarnemi,
Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons Unlimited srl. Bruno
Misefari presso l'International Institute of Social History di Amsterdam, su
iisg.amsterdam, Fondo M. presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su
fondazione basso. Gli anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio
Sacchetti. Bruno Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Misefari” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moderato: da Crotone a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Scuole Pitagoriche.
Attivo in epoca neroniana. Scrisse Lezioni pitagoriche, un'opera
articolata in dieci libri, in cui l'autore, rappresentante di quella scuola di
pensiero che assommava nel sincretismo ellenistico temi platonici, pitagorici,
greci e orientali, pone in antitesi la «Triade» spirituale, rappresentata
dall'Uno, l'Intelletto, l'Anima, alla «Diade» rappresentata dalla materia. Di
tale opera ci restano solo alcuni frammenti tramandatici da Stobeo. Sembra che
le sue Lezioni ebbero una certa influenza sul Neoplatonismo. Calle, Un pitágorico
en Gades (Philostr., VA). Uso, abuso y comentario de una tradición, Gallaecia. Collegamenti
esterni Moderato di Gades, su Treccani.it – Enciclopedie Istituto
dell'Enciclopedia Calogero, M, Enciclopedia; M. Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia M., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Categorie: Filosofi romani Persone legate a Cadice Neopitagorici.
Moderato.
Grice e
Modio: l’implicatura conversazionale del disonore sessuale -- la filosofia del
Tevere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Santa
Severina). Filosofo italiano. Grice: “Only in Italy a philosopher writes a
treatise on a river – although the Isis would not be out of place for some
Magdalenite!” – Grice: “His convito is a jewel!” – Seguace di Neri. Originario
di Santa Severina, borgo collinare della Calabria Ulteriore, fu avviato agli
studi di filosofia presso l'Archiginnasio di Napoli; in seguito passò a Roma,
dove si avviò agli studi in medicina divenendo allievo di Fusconi. Modio frequenta gli ambienti accademici, dove
entrò in contatto con alcuni dei maggiori esponenti di spicco di quell'epoca
come Molza e Tolomei. Pubblica la sua
prima opera letteraria più famosa dal titolo I”l convito; overo, del peso della
moglie: un dialogo diegetico” (Roma, Bressani) -- ambientato a Roma durante il
carnevale della città capitolina, in cui viene trattato il tema delle corna
durante un convivio presieduto dall'allora vescovo di Piacenza Trivulzio e a
cui parteciparono anche Gambara, Marmitta, Benci, Selvago, Raineri e Cesario. E
altresì grande estimatore degli saggi di Piccolomini. Durante la stesura in lingua volgare di un
Operetta de’ Sogni, si ammala di febbre altissima. Si spense dopo qualche
giorno a Roma, nella tenuta di palazzo Ricci in via Giulia. Altri saggi: “Il Tevere, dove si ragiona in
generale della natura di tutte le acque, et in particolare di quella del fiume
di Roma” (Roma, Luchini) “Origine del proverbio che si suol dire "anzi
corna che croci" (Roma, A. degli Antonii,” Jacopone da Todi, I Cantici del
beato Iacopone da Todi, con diligenza ristampati, con la gionta di alcuni
discorsi sopra di essi e con la vita sua nuovamente posta in luce” (Roma,
Salviano). Prospetto autore, su edit16.iccu.. Modio, Il Tevere, cit., c.
45r Anno di pubblicazione della medesima
opera. G. Cassiani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being taken in the
study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights the impact
that recent scholarship has had in revealing innovative ways of approaching
this subject.In this interdisciplinary volume, twelve scholars of history,
literature, art history, and philosophy use a variety of both textual and
visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics, sexual
transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
influence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from politics
and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder deals with
issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part II: Sense
and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the senses and
emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image investigates
gender, sexuality, and erotica in art and literature.Bringing to life this
increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and Sexuality in
Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and early modern
gender and sexuality. SEX, GENDER AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Sex,
Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being
taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights
the impact that recent scholarship has had in revealing innovative ways of
approaching this subject. In this interdisciplinary volume, twelve scholars of
history, literature, art history, and philosophy use a variety of both textual
and visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics,
sexual transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is
divided into three sections, which work together to provide an overview of the
inf luence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from
politics and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder
deals with issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part
II: Sense and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the
senses and emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image
investigates gender, sexuality, and erotica in art and literature. Bringing to
life this increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and
Sexuality in Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and
early modern gender and sexuality. Dedication This collection is dedicated to
Konrad Eisenbichler, a true Renaissance man who produces bold and prodigious
scholarship in multiple research areas with grace, ease, and erudition. For
Konrad, sociability is correlated with scholarship. He has spent his career
creating communities and networks of scholars around the world. These networks
have been brought together through his tireless work for learned societies,
publication series, and journals. Konrad not only produces scholarship but is
also heavily invested in disseminating the scholarship of others. Scholarly
interests often have unusual and serendipitous origins. In a certain sense,
this collection began with a codpiece. Konrad’s first scholarly contribution to
the field of sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy developed out of a
casual conversation with a colleague who provided enthusiastic encouragement.
What resulted was a presentation playfully entitled “The Dynastic Codpiece” to
the Canadian Society for Renaissance Studies in 1987. He revised and published
it as “Agnolo Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere” (Renaissance
and Reformation, 1988), an article still cited thirty years later. In this
truly groundbreaking interdisciplinary piece, Konrad examined the overly large
codpieces worn by Renaissance men for the social and familial messages they
conveyed, showing how the messages passed between the generations in competing
dynastic portraits. The article established Konrad as a new and powerful voice
in the study of sex, gender, and sexuality in the Italian Renaissance. It also
illustrated beautifully how his scholarship is inherently interdisciplinary,
bridging and incorporating history and literature with artistic
representations. Konrad greets friends, colleagues, and students with warmth,
good humor, and generosity. A significant manifestation of his academic
hospitality is revealed in the multitude of conferences he has organized: forty
between 1983 and 2018. These are special events, international in nature, and
ref lecting the hostorganizer’s generosity. They are venues conducive to the
exchange of ideas and the formation of friendships. It is most appropriate that
the most recent of these focused on “Early Modern Cultures of Hospitality.” The
themes generally ref lect Konrad’s sense of the discipline and where it is
going; these conferences most often culminate in a significant collection of
essays, including Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern
West (1996; co-edited with Jacqueline Murray) which helped to promote the study
of sex, gender, and sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Konrad has
made myriad contributions to individuals and institutions. His contributions to
Renaissance scholarship span social history, women’s history, religious
history, and literature. He publishes equally in Italian and English,moving
easily between scholarly cultures. A scholar with a global reach, he interacts
with colleagues spread across North America, to Italy and Europe more broadly,
as well as Australia and South Africa. The heart of his many contributions to
the study of Italian Renaissance society lies in his research on sex, gender,
and sexuality. In recognition of that, some of his friends and colleagues
joined to celebrate Konrad’s creativity, scholarship, and friendship with
essays that demonstrate the creative developments in the field since that
fateful codpiece three decades ago. We are honored to dedicate this volume to
Konrad Eisenbichler in recognition of his extraordinary contribution to
Renaissance society and culture. Sex, gender, and sexuality in Renaissance
Italy: themes and approaches in recent scholarship Jacqueline Murray and
Nicholas Terpstraix xi xii1PART ISex, order, and disorder192 The lord who
rejected love, or the Griselda story (X, 10) reconsidered yet again Guido
Ruggiero213 Sexual violence in the Sienese state before and after the fall of
the republic Elena Brizio354 In the neighborhood: residence, community, and the
sex trade in early modern Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra535
Though popes said don’t, some people did: adulteresses in Catholic Reformation
Rome Elizabeth S. Cohen Sense and sensuality in sex and gender 6 “Bodily
things” and brides of Christ: the case of the early seventeenth-century
“lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia Simons 7 In bed with Ludovico Santa
Croce Thomas V. Cohen 8 Aesthetics, dress, and militant masculinity in
Castiglione’s Courtier Gerry Milligan9 The sausage wars: or how the sausage and
carne battled for gastronomic and social prestige in Renaissance literature and
culture Laura Giannetti Visualizing sexuality in word and image18110
Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”: homosexuality in art, life, and history
James M. Saslow18311 Vagina dialogues: Piccolomini’s Raffaella and Aretino’s
Ragionamenti Ian Frederick Moulton21112 Giovan Battista della Porta’s
erotomanic art of recollection Sergius Kodera22713 “O mie arti fallaci”:
Tasso’s saintly women in the Liberata and Conquistata Jane Tylus247Bibliography
of Konrad Eisenbichler’s publications on sex and gender The editors would like to thank Vanessa
McCarthy who donned two hats for this project, that of an author and that of
editorial associate. Her scholarly knowledge and administrative expertise
contributed significantly to the preparation of this volume, and we’re grateful
for her dedication and expertise. We would like to thank the editorial team at
Routledge for their support and guidance over the course of this project. Laura
Pilsworth guided it through its inception and commissioning, while Lydia de
Cruz shepherded it through the final stages of preparation and production,
assisted by Morwenna Scott. The University of Guelph and the University of
Toronto provide generous support for the research activities of Jacqueline
Murray and Nicholas Terpstra respectively. Thanks as well to the congenial group
of scholars whose work is collected here. While editing collections is
sometimes likened to herding cats, these colleagues were responsive, generous,
and patient. Above all, they were enthusiastic about the opportunity to
contribute to a collection which could serve as a gift to a friend and
colleague, Konrad Eisenbichler, who has himself been the soul of generosity. We
are honored to have worked with you all. Themes and approaches in recent
scholarship. From the mid-nineteenth through the mid-twentieth centuries, the
Italian Renaissance was approached almost exclusively as a period of learning,
elegance, and manners as ref lected by the arts and letters of the time. In The
Book of the Courtier Castiglione’s perfect courtier embodied virtù and
sprezzatura, the two qualities that epitomized Renaissance masculinity. Elite
men were celebrated for their bravado, skill, and insouciant nonchalance,
whether these were exercised on the fields of battle, the production of art or
poetry, or the seduction of women. Castiglione also details the qualities of
the ideal court lady, a woman valued for her beauty and affability along with
her manners, intellect, and ability to please men. These qualities were
appreciated equally in another group of notable women, the courtesans whose
beauty and literary accomplishments were acclaimed by poets and artists alike.
Thanks in part to the enduring inf luence of Jackob Burckhardt’s Civilisation
of the Renaissance in Italy (1860; English translation 1878), this idealized
portrayal of sixteenth-century Italian men and women dominated
twentieth-century historiography and shaped how a number of generations
understood sex, gender, and sexuality in the Renaissance. The idealized
creations of Castiglione and Burckhardt, their princes and poets, court ladies
and courtesans, appeared as the bright stars in the Renaissance firmament, and
contributed to the lure of the field. Yet all along they were chimeras,
stereotypes created by Renaissance elites and perpetuated by modern scholars of
Renaissance culture. Even when individuals appeared to embody these ideal
qualities, they were the exceptions, standing apart from thousands of their
contemporaries, urban and rural, rich and poor, educated and illiterate,
respectable and disreputable. The idealized courtier, court lady, and courtesan
obscure everyday life in Renaissance Italy. In the 1970s, scholars began to ask
new questions that ultimately led to a recalibration of research on the history
of sex, gender, and sexuality in the2Jacqueline Murray and Nicholas
TerpstraRenaissance. One of the earliest collections was Human Sexuality in the
Middle Ages and Renaissance (edited by Douglas Radcliff-Umstead, 1978), which
includes topics that are wide ranging and represent a variety of disciplinary
perspectives. They include sexuality within marriage, sexual sins and
eroticism, celibacy, hermaphrodites, homosexuality, and how the human body was
understood. These essays from the 1970s foreground important questions about
sex, gender, and sexuality in the past. Yet their scope and insights are
constrained. Most essays are based on close, summative readings of literary
texts from Dante and Chaucer to Shakespeare and other imaginative authors, but
these close readings of texts lack the contextualization or critical
perspective to enhance their insights. While the occasional essay engages with
multiple sources and genres, the absence of critical theoretical and
interdisciplinary analysis inhibits the development of a more comprehensive
picture of how issues of human sexuality were actually addressed at this time.
Significantly, however, the authors did identify emerging themes that would
become central to the study of sex, gender, and sexuality. This collection
opened the way to the study of topics such as the nature of the sexed human
body, the complexities of celibacy as a sexuality, and the f luidity of
sexualities and genders. While prescient in research subjects, the authors did
not employ the theoretical and methodological tools that developed soon after
publication, tools that were necessary for deeper and more complex analyses of
sex, gender, and sexuality. These tools were being forged with the new theories
and methodologies of the 1970s that were opening new research subjects and that
led to innovations and new definitions of the individual and the self. A series
of studies in that decade revolutionized scholarship and have continued to have
a transformative inf luence on the understanding of the history of sex, gender,
and sexuality into the twenty-first century. The most inf luential authors
behind this work perceived the Renaissance to be more complex both in the
quotidian aspects of daily life and also in extraordinary behaviors. In 1978,
the first volume of Michel Foucault’s The History of Sexuality occasioned both
excitement and consternation among historians of sex. Foucault, a philosopher
and leading post-structuralist scholar, wrote extensively on social
construction and social control in European society, including studies of
prisons, madness, and surveillance. These perspectives informed his ref
lections about the construction and control of sexuality in the European past.
Indeed, Foucault’s intervention challenged scholars to reexamine their
approaches to sex and sexuality. Another major contribution to the
recalibrating of historical studies of sex, gender, and sexuality was John
Boswell’s Christianity, Social Tolerance, and Homosexuality (1980). Boswell
demonstrated that in the premodern world there were men who engaged in
homosocial and/or homosexual relationships, although traditional history had
obscured them behind the ecclesiastical rhetoric of homophobia. Boswell argued
that there were gay men throughout premodern Europe but his methodology and
conclusions were criticized as essentialist and lacking the appropriate
consideration of context and cultural inf luences such as Foucault had urged.
Nevertheless, despite criticismsSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
3about essentialism, Boswell did uncover homosexual (sodomitical) and homoaffective
men across society, integrated into both clerical and secular societies. In
this way, Boswell forged a path for scholars to search for and analyze multiple
sexualities that had been overlooked by traditional history or were obscured by
the absence of explicit evidence. One of the most telling criticisms levelled
at both Foucault and Boswell was their neglect of gender as a category of
historical analysis. Arguably, men and women experience the world differently
according to how society evaluates and constructs women. This applies equally
in the realm of sex and sexuality, which is neither natural nor essential.
Foucault paid scarce attention to women’s alternative experience of social
construction and surveillance of sex and sexuality. Similarly, while lauded for
opening the past for research on homosexuality, Boswell was criticized for
eliding lesbians and other non-normative women under the category “gay,” thus
perpetuating their invisibility. A more refined and incisive analytical
framework emerged out of these debates. What began as women’s history in the
1970s, with the goal of recuperating women in the past, transformed into the
critical lens of feminist studies, which analyzed the institutions and
structures that restricted or shaped their lives, or contributed to their
invisibility in historical scholarship. The other significant theoretical
contribution to the new study of sex, gender, and sexuality falls under the
rubric of cultural studies. This is a multifaceted approach emerging from literary
studies, postmodernism, discourse analysis, and other theoretical perspectives
that provided scholars with new linguistic and analytical tools. This versatile
and complex perspective also encouraged explicitly interdisciplinary research
which suits the intricate nature of sex, gender, and sexuality. As a result,
there is a richer sense of the possibilities that were available for the lived
reality of sex, gender, and sexuality and an expanded ability to study and
evaluate the values, beliefs, and experiences of people in the past. These
innovations emerged at a time when the traditional Burckhardtian narratives
were being widely criticized by political, social, and intellectual historians,
and by the mid-1980s new scholarship was appearing that brought new insights to
sex and gender in the Italian Renaissance. They applied methodologies that
bridged differences in social and economic status, sex, sexuality, and gender,
geography, and religion. While the traditional sources of high culture—art and
literature in particular—continued to provide a valuable foundation for
understanding the rich cultural life and artefacts of the Renaissance, new
analytical approaches yielded new insights. Diverse sources of evidence—court
records, letters, chronicles, and Inquisitorial documents, among
others—provided access to new populations including servants and prostitutes
and the inhabitants of the streets and taverns of myriad Italian towns and
cities. These new critical studies were a prelude to the research that would appear
in the next two decades. Guido Ruggiero’s The Boundaries of Eros: Sex Crime and
Sexuality in Renaissance Venice (1985) early on demonstrated how new
methodologies and new sources were able to reveal hitherto unexplored worlds of
Renaissance sex, gender, and4Jacqueline Murray and Nicholas Terpstrasexuality.
Ruggiero examines the wide variety of sex crimes that were committed in Venice
and he analyzes the various courts and disciplinary councils which enforced the
laws, including those pertaining to sexual transgressions. The records reveal
an intricate and contradictory approach to regulating sexuality that extended
from conventional acts such as adultery and fornication to more egregious
behaviors including rape and sodomy. Ruggiero’s essays meet the challenges and
opportunities posed by Foucault and Boswell, by feminist history and gender
studies. His interdisciplinary reading of the evidence, ranging from the many
cases discussed by the criminal courts, along with careful analysis of
individual testimony, widened the scope of enquiry. Ruggiero’s discussion
reveals the rich detail about individuals, as they negotiated the social norms
of sexuality and gender. He brings readers to an understanding of the social
context and how individuals were integrated into their local communities and
that of wider Venetian society. The movement towards more sophisticated,
nuanced, and focused considerations is also ref lected in Forbidden
Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence (1996) by
Michael Rocke. In many ways, Rocke took on the challenge presented by John
Boswell to identify men who had sex with men in their social contexts. Rather
than othering them or pulling these men out of their community, Rocke engages
with homosexuality as an integral part of Florentine society and culture. He
examines seventy years of documentation from the “Office of the Night,” which
was established to oversee denunciations of homosexual (sodomitical) activity.
This allowed Rocke to trace the nature of relationships between men, how they
were treated by society, how and why they were denounced to the court, and the
penalties levied. His scholarship reveals that, despite the harsh evaluation of
sodomy in ecclesiastical law and in various secular jurisdictions, Florence
displayed remarkable tolerance. Where Boswell’s research had scanned 1000 years
of European history, seeking to identify men who were possibly homosexual,
Rocke analyzes deep and focused sources to identify a specific group of men,
applying sophisticated theoretical and methodological tools to reveal new
understandings of non-normative sexuality in the Italian Renaissance. Judith
Brown’s Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (1986)
similarly contributed to the new approaches to sexuality and identity. She
focused on non-normative sexuality, although in a unique context. Here the
background is not the streets, homes, and markets of the large, cosmopolitan
cities of Renaissance Italy. Rather, Brown’s subjects lived within the walls of
a convent, separated from the worldly temptations of secular life. Yet, even in
a community of women vowed to chastity, Brown finds convoluted self-identities
and a sexual relationship between two women that was transgressive and
multivalent. The case of the “lesbian nun” Benedetta Carlini was instantly
controversial. Could two nuns possibly have a conscious lesbian sexual
identity, given the social norms and religious context in which they lived?
This is the same criticism that greeted John Boswell’s assertions about “gay”
men in premodern Europe.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 5There
was widespread agreement that categories such as gay or lesbian were products
of late twentieth-century Western society and to impose them back in time was
anachronistic and misleading. Moreover, in this case, the individuals evoked
far more questions than those of sexual identity or sexual activity, with a
relationship complicated by angelic possession and mystical visions. The debate
surrounding Carlini’s activities and identities continues, as Patricia Simon’s
essay in this collection demonstrates. Yet one of the most enduring
contributions of Brown’s study, for the history of sexuality and gender, is her
ability to cross 600 years and engage intimately with individuals of the past.
This is a history of two nuns, in an out-of-the-way convent, who experienced
rich and problematic inner lives, beyond what might be expected. Whether the
women can be categorized as “lesbians” does not dispel the impact of recuperating
lost women and a lost past, the meaning and implications of which continue to
attract scholarly analysis. The profound transformation that occurred between
1978 and 1996 in the study of sex, gender, and sexuality in premodern Europe
began with the recognition of new topics and moved to a more rigorous
application of the intervening theoretical and methodological insights of
Foucault and Boswell, of feminism and cultural studies. If the former approach
is exemplified by essays collected in Human Sexuality in the Middle Ages and
Renaissance (1978), the latter is evident in the essays in Desire and
Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (edited by Jacqueline
Murray and Konrad Eisenbichler, 1996). This volume stresses that human behavior
manifests both continuities and transitions that can be independently evaluated
and separated from arbitrary and obsolete periodization. Many essays integrate
traditional periods moving seamlessly into a premodern world. Some essays rely
on traditional Renaissance evidence but deploy law, art, and literature to
examine new research questions. Rona Goffen examines Titian’s frescoes to
explore misogyny. Other authors address innovative, even bold or cheeky themes.
Feminism and critical theory are deployed throughout the collection. The
usefulness of interdisciplinarity to reveal new aspects of society and cultural
experience is equally evident. Dyan Elliott’s reexamination of the reciprocity
of the conjugal debt, the notion that a husband and wife have equal call on
their spouse for sexual access jostles the foundations of premodern marriage.
Rather than accepting the idea that a married couple’s sex life was balanced
and equitable, Elliott concludes that wives were subordinate even in bed and
had no right to refuse sexual intercourse. Ivana Elbl examines the doubly
transgressive sexual liaisons among Portuguese sailors to Africa. Sailors, who
were often already married with families in Europe, frequently formed enduring
relationships with African “wives,” transgressing both Christian monogamy and
establishing irregular relationships with non-Christian women. Significantly,
in Africa these unions were ignored or tolerated by Portuguese leaders,
ecclesiastical as much as secular. More theoretically adventuresome is Nancy
Partner’s exploration of the psychological dimensions of sexuality. She applies
contemporary psychological theory, in particular Freud, to assess the sexual
dimensions6Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraof mystics and their ecstatic
visions. Even the realm of masturbatory pornography is probed through Andrew
Taylor’s critical reading of marginalia and other physical marks and stains on
manuscript pages which could ref lect the sexual responses of readers to the
texts. The essays in Desire and Discipline reveal the richness, diversity, and
intellectually invigorating research that in just two decades had made the new
field of sex, gender, and sexuality one of the most exciting areas in
Renaissance studies. While ref lecting new research areas, the roots of which
can be found in the theoretical and methodological innovations in the late
twentieth century, the essays in Desire and Discipline build upon traditional
topics and themes and frequently employ conventional Renaissance sources, to
stimulate a metamorphosis of old research perspectives into new and innovative
ones. Thus, the ideal courtier has become a man subject to gender-based
analysis while the lens of feminist analysis reveals the court lady to be not
so much an equal but rather a pale, subordinate shadow to the courtier.
Similarly, freed from her artificial manners and learning, the courtesan is
revealed as a masculine fiction sanitized from the precarious and harsh life of
Renaissance prostitutes. The last quarter of the twentieth century, then, was a
watershed for the historiography of sex, gender, and sexuality. Pioneering
scholarship foreshadowed issues that would preoccupy later scholars and set the
trajectory for subsequent research. This scaffolding of new research questions,
theories, and methodologies has resulted in creative approaches that are
rapidly transforming the field. While monographs have been, and continue to be,
written about sex, gender, and sexuality in the Renaissance, it seems that
these topics, at this point in the evolution of scholarship, lend themselves
more readily to the genres of essays or journal articles. The essay form allows
scholars to analyze focused bodies of evidence and arrive at conclusions that
are precise and demonstrable. Presumably, at some point these focused studies
will coalesce into broader discussions leading to more generalized conclusions.
For the moment, however, the essay collection remains the most significant
means for the dissemination of research. Two essay collections in particular
demonstrate the very promising new approaches to research into sex, gender, and
sexuality in the twenty-first century. In A Cultural History of the Human Body
in the Renaissance (2010), Katherine Crawford provides a chapter that offers
redirection from the perspectives of Foucault. She points back to the important
role of classical literature, mediated by Christian values, in the formation of
beliefs about sexuality and marriage, and classical medical literature which
defined the sexed body. In A Cultural History of Sexuality edited by Bette
Talvacchia (2011), nine essays address a wide variety of questions about
Renaissance sexuality as they emerge from diverse sources. Essays focus on the
troubled categories of heterosexuality and homosexuality, and sex with respect
to religion, medicine, popular beliefs, prostitution, and erotica.
Collectively, this collection opens wide the possibilities in the study of sex,
gender, and sexuality.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 7In order
best to demonstrate how recent work has reshaped and advanced the field of sex,
gender, and sexuality in Renaissance Italy, we have organized the essays of
this collection into three sections. The first, “Sex, Order, and Disorder,”
deals primarily with issues relating to legal and political themes, and
particularly with efforts by authorities both political and ecclesiastical to
channel or control sexuality. The second section, “Sense and Sensuality in Sex
and Gender,” highlights recent work that has taken some of the turns that are
rewriting historical narratives generally, above all histories of the senses,
of the emotions, and of food. The third section, “Visualizing Sexuality in Word
and Image,” considers how we work with early modern f luidity around identities
and boundaries, and whether we might now be more restrictive than they were in
categories that we bring to our analysis.Sex, Order, and Disorder One of the
most obvious sites of sex and disorder in Renaissance Italy surely lies with
the buying and selling of women’s bodies. Burckhardt’s perspective that
courtesans were elegant, intellectual companions, surviving more on sexual
titillation than selling their bodies, has endured, despite the inf luence of
feminist research. In particular, Veronica Franco was seen as an elegant,
ideal, and appropriate companion for Renaissance princes.1 Much research on
courtesans has focused on Franco and her courtesan sisters. It highlights the
courtesan’s learning, ability to write poetry and sing pleasing songs, and,
most importantly, to entertain men while avoiding becoming common sexual
property and losing their allure and their living. Tessa Storey adheres to the
older view, assessing the social status of courtesans, suggesting that they
were linked to “elite manhood and male honor,” idealizing the relationships
between clients and courtesans who were certain that proximity to powerful men
would protect them.2 However, the other side of courtesan life was a precarious
one of dependence and fear of falling into common prostitution. Social and
criminal vulnerability highlights the lives of all prostitutes, include high
status courtesans. Even Franco was called before the courts to account for her
behavior. More vulnerable courtesans and prostitutes lived precariously, prey
to men of all sorts, accosted in the streets, and struggling to support
themselves and maintain their dignity. The records of their appearances before
the courts reveals they often managed without protectors or financial security.
3 Early on Elizabeth Cohen examined the rough and ready life of prostitutes on
the streets of Rome, revealing a form of sociability and social integration.4
Diane Yvonne Ghirardo brings an innovative approach to the role and experience
of urban prostitutes. She examines urban planning in Ferrara, revealing the
city’s ongoing attempts over decades to maintain prostitutes in the same
locales.5 Focusing on the economics of prostitution in Venice, Paula Clarke
finds that regulation of prostitution became less rigorous over time, with
women experiencing more freedom and the concomitant growth of the sex
trade.68Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraGuido Ruggiero opens the section
“Sex, Order, and Disorder” in this collection with a broader approach to order
and disorder in sexuality. He offers a rereading of Boccaccio’s often-studied
story from the Decameron of Griselda, a woman who patiently endures the series
of humiliations that her husband Gualtieri devises in order to test her
faithfulness. The critics and creative artists who have puzzled over the tale
and its meaning for centuries have focused mainly on Griselda and on issues of
class and gender. Ruggiero moves a step further to ask how those who heard it
in the fourteenth century might have received it as a political message.
Gualtieri is not only a cruel husband. His willingness to be cruel and unjust
to his spouse Griselda highlights the dangers that all may encounter when
societies fall under the control of rulers who are narcissistic, vain, and
insecure. Florentines could look around to other cities where lords treated
citizens as Gualtieri treated Griselda; sexual and political violence were
interchangeable and marriages were contracted for money rather than love. There
was no reason to suppose that Florence would be exempted from that kind of
cruelty and exploitation. The Griselda story offered the lessons of a Mirror
for Princes, but it was also a Mirror for Merchants, warning them of what would
happen when love did not animate their closest personal relationships. What
Boccaccio warned the Florentines about in the fourteenth century was precisely
what the Sienese were experiencing in the sixteenth. Elena Brizio observes that
sexual violence remained common across Italy. Men used it as a tool to control
girls, boys, married women, and widows. In the context of the wars of the
1550s, when Florence annexed Siena, its political “use” expanded greatly.
Sexual violence was a means of imposing or confirming power over subordinates,
and men across the political, ecclesiastical, mercantile, and professional
spheres considered sexual violence a legitimate mode of operating in their
social sphere, and so exercised it freely. In contrast to what Boccaccio
described, the absolute ruler who came to dominate mid-sixteenth-century Siena
positioned himself on the opposite side of the dynamic. Duke Cosimo I de’
Medici proclaimed strict punishments for sexual violence against both men and
women in a law of 1558, threatening either death or galley servitude for those
convicted. Brizio describes this setting and moves from metaphor to practice as
she reviews archival sources, judicial records, and public reports to see how
sexual violence was perceived before and after the law issued in 1558. Duke
Cosimo I was dealing with more than just a different political milieu, and
Brizio also explores whether the changes in the normative codes brought about
by the Council of Trent had an impact on social attitudes to sexual violence in
Siena and its locale. Normative codes were becoming more explicit and
restrictive across Italy in the sixteenth century, but did they have much
actual effect? Like Cohen, Ghirardo, and Clarke, Vanessa McCarthy and Nicholas
Terpstra document and analyze the sex trade in a particular city. Their focus
is on working-poor prostitutes’ residential patterns in early modern Bologna,
and they find that on the whole these women were integrated into, rather than
pushed to the margins of, their local neighborhoods and the wider city.
Bologna’s activist and ambitiousSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy
9archbishop Gabriele Paleotti was rebuffed when he attempted to impose
Tridentine norms for public sexuality. The Bolognese instead approached
regulation as a matter of market rather than morals, allowing those prostitutes
registered with a civic magistracy to practice prostitution almost anywhere
within the city walls. While about half of the 300–400 women registered
clustered in specific, unofficial red-light neighborhoods, the other half lived
on streets with only one or two other registered prostitutes, where their
neighbors were more often workingpoor men and women. In spite of the strict
normative codes that continued to be preached and publicly posted by
ecclesiastical authorities, prostitutes were seldom actually shunned or
marginalized because of their sex work. They were more often incorporated into
the working-poor neighborhoods and the larger social fabric of early modern
Bologna. These tensions between norms and practice certainly intensified as
Tridentine rules became more specific, and as ecclesiastical and public regimes
worked to determine whether and how to implement them. In Rome, these
authorities came together in particularly complicated ways. Elizabeth Cohen
explores how they attempted to address and adjudicate the various forms of sexual
impropriety that their normative codes were describing in ever more precise
detail. Sexual misconduct came under the jurisdiction of ecclesiastical courts,
but the records of these courts do not survive in Rome. Criminal court records
do survive, however, and since these took charge of some sex offenses we can
see how people responded to the new rules. Cohen looks in particular at cases
of adultery, which was often defined by the married status of the woman and
which, like sodomy, could actually cover a broader range of actions than might
be grouped today under the term. Reviewing some trials of real or imagined
adulterous relationships, Cohen finds that it is impossible to determine how
effective the “reforms” actually were. There was simply more driving these
relationships forward than any narrow definition allows: romance, exploitation,
assault, and sheer comedy all shape the court testimonies, and show that the
parties in many so-called adulterous relationships were thinking less often of
sex—or the pope—than authorities thought.Sense and Sensuality in Sex and Gender
The possibilities for research on sense and sensuality in the Italian
Renaissance are myriad. The richness and abundance of voices, producing or
employing sensual outcomes, and the voices of desire and of sex and of pleasure
combine into a garden of delights. Here again, recent essay collections prove
particularly valuable for the variety of forms, voices, and experiences that
they are able to convey. In The Erotic Cultures of Renaissance Italy (2010)
Sara Matthews-Grieco gathers eight essays that ref lect upon the various ways
in which visions of sensuality could circulate, including on painted furniture,
decorated bedroom ceilings, or musical instruments, erotic language, or
pornographic engravings. So, too, cultural practices are explored such as
sensuality within marriage, music in domesticcontexts, and sexual innuendos in
writing or in doodles in a book. This collection, then, reveals how creative
Renaissance people could be in demonstrating desire and articulating their
sensual pleasures. Sexual orientation and sexual desire have also come under
scrutiny. A significant collection of essays edited by Melanie L. Marshall,
Linda L. Carroll, and Katherine A. McIver, Sexualities, Textualities, Art and
Music in Early Modern Italy, brings together nine essays that explore sexual
desire and sexual orientation through multilayered and intersecting
interpretations of art, music, and texts. The result is an intriguing
collection of scholarship that maximizes opportunities for interdisciplinary,
collaborative research across the disciplines, as an outgrowth of work on
critical theory and intertextuality. In a more literary context, marriage
orations have revealed some writers not only praised marriage in conventional
terms for political ends, social expediency, and the delights of family.
Alongside extolling the pleasures of the marriage bed for a husband, some
extend that vision of sensuality and sexual pleasure to the wife as well,
challenging conventional notions that only prostitutes took pleasure in sex,
and not respectable matrons.7 The sensual possibilities of homosexual
activities, especially related to male prostitution, were part of Michael
Rocke’s study Forbidden Friendships. He argues that male prostitution was
harshly condemned, especially anal penetration, as something no adult man
should permit. Nevertheless, an examination of some contemporary writers
reveals an appreciation of homosexual sensuality along with defenses of sodomy
and male prostitution which harkened back to the superior evaluation of
homosexuality in classical literature.8 The role of pedagogical pederasty and
its celebration within Renaissance mentoring systems has equally been explored
in literary sources by Ian Moulton who demonstrates the currency of such
studies to both a popular and educated audience.9 These studies show that while
male sexuality has been visualized, both in the Renaissance, and by scholars of
the Renaissance, as virile and active, it was also vulnerable and contingent.
For example, castration was always a possibility in war, for medical reasons,
as a consequence of vendetta, or for social or aesthetic reasons.10 Impotence
also was part of male sexuality, with extensive social, economic, and political
ramifications. Some of these issues are explored in Sara F. Matthews-Grieco’s
edited volume Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe (15th–17th century)
Impotence could be implicated in social unrest among urban dwellers or occasion
political turmoil among the elites. It could be physiological, subject to
medical intervention, or magical leading towards the Inquisition and the
Renaissance’s fear of witchcraft. Six essays focus on various aspects of the
social, cultural, political, medicinal, and literary discussions of impotence
in Italian courts and cities, together providing an integrated and provocative
view of male sexuality and sensuality. The essays in this collection’s second
section, “Sense and Sensuality in Sex and Gender,” traverse back and forth
between literature and the lives of men and women. Our literary accounts span
what was formerly cast as the division ofhigh and low, including both
Castiglione’s serious prescriptions on when a sleeve is more than just a
sleeve, and also some more comic accounts by lesser-known poets of when a
sausage is more than a sausage. We pair these with two microhistorical accounts
of sexual pairings, one grown notorious in recent decades by the controversies
that erupted when it was first published, and the other more obscurely
quotidian. We aim in bringing them together to revisit what scholars may bring
to such accounts, and how that shapes our readings in ways we may want now to
rethink. In the first of these microhistorical studies, Patricia Simons
re-examines the case of Benedetta Carlini, the early seventeenth-century nun
and abbess described above and made famous in Judith Brown’s Immodest Acts
(1986). When Brown identified Carlini as a lesbian, on the basis of documents
that showed her as having regular orgasmic sex with a younger nun under her
supervision, her work stirred controversy. Historians like Rudolph Bell firmly
rejected the description of Carlini as “lesbian” on the basis that sexual
activities did not imply sexual identities. Simons takes the discussion a step
further, arguing that the question of identity is less important now than one
related to sense and emotion. Did they—and should we—see their sex as mainly
physical? Or were there registers of erotic mysticism that would have led both
Benedetta and Mea to frame their contact together as expressions of a spiritual
relationship? While some of their contemporaries, like some of ours, may see
their religious language as pretext, what happens when we take it seriously and
take them sincerely? As the example of their congregation’s patron saint St.
Catherine of Siena showed, medieval mysticism provided enough of a language and
model for the erotic potential of religious imagery. Thomas V. Cohen then
explores another example of when we need to ask whether a transgression is
always a transgression, by looking at the case of Ludovico Santa Croce, and the
gang he gathered around him to prowl the streets of Rome. The life lived well
needed witnesses for validation, and Ludovico’s ego amplified his other drives
as he led a group of young conversi to visit the statuesque courtesan Betta la
Magra. They shared food, drink, and more, and Ludovico’s boundary crossing
brought him to court. But what were his transgressions? Was it just proper and
improper sexual practices, was it individual intimacy moving to group sex, was
it about commoners and nobles, or about Christians and those who, despite
having been “made Christian” were still considered in some way ebrei ? If
transgression lies in in the eyes or voices of the witness, we have here a
complicated intersection of identities and codes, values and practices. The
questions here, as in Benedetta Carlini’s convent, lie with what those in the
bed and those around it thought about norms and deviances. Gerry Milligan brings
us to what many consider the uber code of the early modern male, Baldassare
Castiglione’s Book of the Courtier, the canonical text that we noted at the
beginning of this essay. Milligan looks in particular at the relation
Castiglione draws between clothing and masculinity. Clothing was fundamental to
Renaissance discourses of gender and sexuality. While it wascommon to read that
what men wore was critical to discussions of violence, military preparedness,
and virtue, it’s not at all clear just how clothing was supposed to do what it
did. Was it cause or effect, or sign and symbol of masculinity or effeminacy?
Castiglione saw clothing choice as potentially one of life or death, and that
not just for reputation alone. As Italy suffered through the invasions of
French, Spanish, and Germans, it was common, albeit perhaps too easy, to
correlate a soldier’s effectiveness to what he had worn. As Milligan asks,
might a focus on clothing show us how aesthetics and militarism functioned in
Renaissance projects of social control? Laura Giannetti then takes us from dead
seriousness to dietary satire with approaches to a question that Freud might
well have faced: is it ever the case that a sausage is just a sausage? Italians
valued word play as much as sexual play, and found the convergence of the two
absolutely compelling. Carne was meat, f lesh, and inevitably the male organ,
and while mendicant preachers may have condemned all of them together, most
Italians appreciated them individually for each of their meanings. Religious
authorities never managed to expand the imaginative forms of their dismay at
the gluttony and carnality that sausages represented; the most they could do
was draw on Galen’s counsel of moderation to reinforce their message of
self-denial. Yet Gianetti shows that authors and artists who were more
aesthetically than ascetically driven began to explore the imaginative
potential of sausages as symbols of vitality, fertility, and prowess. Their
poems and stories disseminated messages of a humble meat that grew into a
powerful cultural symbol.Visualizing sexuality in word and image As early as
1978, Thomas G. Benedek’s article “Beliefs about Human Sexual Function”
examined ideas about the sexed body, noting in particular the persistence of
the one-sex theory that women and men had parallel sex organs, with the male
organs externalized and female organs internalized. Moreover, the balance of
the humors—hot, cold, moist, dry—also impacted the nature of any individual’s
sexual makeup. Thomas Laqueur, like previous scholars, based much of his
argument on medical texts. It was not only the words, but also the images that
seemed to portray inverted genitals. Laqueur’s analysis went further, however,
to the conclusion that the one-sex body and the humors meant that both women
and men needed to ejaculate semen for conception to occur.11 Laqueur’s
suggestion that Renaissance doctors and others believed in the two-seed theory
was controversial and stimulated a great deal of scholarship on both science
and medicine and gender and the body. Interest in the sexed body and the
physicality of sex and sexuality has continued to expand, embedding medical
perspectives of the sexed body into a cultural context. In her study The Sex of
Men (2011), Patricia Simons extended the critical study of men’s history to
focus on the physiological construction of men. Her analysis is based upon
exhaustive, interdisciplinary research includingtheoretical, textual, and
visual evidence. Simons re-focuses attention on the centrality of semen to
masculinity and fertility, thus rebalancing the dominant phallocentric
evaluation of premodern gender. Sexual acts and sexual pleasure have embraced
topics and methodologies that would have been unthinkable by earlier scholars.
The collection Sex Acts in Early Modern Italy (2010), edited by Allison Levy,
includes an amazing array of topics that illuminate sexual activities in new
detail. Renaissance images and objects portray an imaginative array of sexual
positions in sources, both textual and physical, ranging from Aretino’s writing
on sexual positions to their portrayal on medicinal drug jars. Patricia Simons
pushes the cultural history of sex and sexuality further in her essay about the
dildo. An analysis of the physical objects is set against descriptions of their
imagined use. Renaissance books were sufficiently explicit, however, that the
need for visualization was unnecessary. In Machiavelli in Love (2007), Guido
Ruggiero challenges some of the fundamental ideas about the history of sex and
sexuality proposed by Foucault and which have subsequently dominated research.
Rejecting Foucault’s assertion that sex and sexual identity were modern
inventions, Ruggiero demonstrates that in fact there was Renaissance sex and
Renaissance sexual identity, dismissing earlier theoretical obstructions. Using
a combination of court documents and imaginative literature, he highlights the
complexities of mind, body, and desire, and the formation of masculine
identity. In many ways, this book moves the historical study of premodern
sexuality onto a new and more sophisticated plane, one that reveals individuals
in their uniqueness. In The Manly Masquerade (2003), Valeria Finucci presented
one of the earliest analyses of Renaissance men as an inf lected category
deploying not only feminist theory but also psychoanalytic theory to understand
the constructions of masculinity from both a psychological and cultural
perspective. One of the most violent and sexually problematic figures of
Renaissance Italy was the brilliant goldsmith/artist Benvenuto Cellini.
Margaret Gallucci presents a new twist to traditional biography by integrating
a multidisciplinary analysis of Cellini, his artistic brilliance, his penchant
for violence and disorderliness, and his transgressive homosexuality that was
sufficiently public to result in criminal proceedings and house arrest.
Following new literary criticism and sexuality and gender studies, Gallucci
tries to move beyond simplistic evaluations of homosexuality and misogyny to
make sense of Cellini’s complex artistic life and disorderly behaviors.12 The
third section of this collection, “Visualizing Sexuality in Word and Image,”
takes up these questions of sex acts, the body, and identity by focusing on
four cases of creative artists who employ sexuality and gender in ways that
challenge social norms and expectations, and that raise questions both then and
now about identity and voice. James M. Saslow returns to the questions around
sexual acts and sexual identities that emerged in disputes around the “lesbian”
nun Benedetta Carlini, and to which Castiglione’s sartorial strictures allude.
He argues that the case of Italian painter Bazzi contributes to the larger
ongoing controversy in queer studies over whether we can locate an embryonic
homosexual self-consciousness in Renaissance culture. Bazzi’s fondness for
young men gave him the nickname “Il Sodoma” and he never shied away from making
this a central part of a very public persona. We have little documentary
evidence for his private feelings, yet his art embodied and transmitted
homosexual desires, and it is clear from the series of commissions that he
attracted an audience which read and sympathized with those clues. Saslow
reviews Sodoma’s artworks, patrons, and reputation over a few centuries and ref
lects on what the larger stakes are both methodologically and ideologically as
we weigh whether these do indeed provide sufficient evidence for a homosexual
self-consciousness. Sexual agency and identity are complex enough when we are
aiming to interpret what an individual says in a court room or inquisitorial
investigation, or conveys in a painting or poem. What do we do when men pretend
to adopt the voice of women and project desire, intent, and agency? Ian
Frederick Moulton compares two such works, Pietro Aretino’s Ragionamenti and
Alessandro Piccolomini’s La Raffaella, both of them written in the 1530s, and
both featuring an experienced woman mentoring a younger woman on the finer
points of sex and sexuality. In both, the older woman assures her younger
companion that her desires are legitimate and should be acted on to the
fullest, even when transgressive. In both these desires are essentially
projections of male fantasies. Moulton explores what we learn from male
projections of female speech, identity, agency, and particularly how male
visualization and ventriloquizing exposes larger issues around the place of
women and the articulation of sex and gender in early modern society. While we
often emphasize the transformative effects of printing, early modern culture
continued to value the oral and visual, and it brought these together in the
art of memory. Sergius Kodera reaches back to classical texts that recommended
erotic images as particularly memorable, and to the early modern author Giovan
Battista della Porta’s L’arte del ricordare (1566) which specifically advised
stories of sex between humans and animals as aides memoires. Myths of Leda,
Europe, Ganymede, and others were all drawn into this work, though more overtly
in the vernacular than the Latin version. Kodera follows this visualization of
intercourse between humans and animals beyond the arts of memory and on to
texts on cross-breeding and to the paintings of Raphael, Michelangelo, and
Titian, seeing all of these as examples of a distinctively early modern embrace
of variety, engagement, and hybridity in sexuality. In the final essay, Jane
Tylus traces how Torquato Tasso depicted women in both the Gerusalemme liberata
(1581) and the Gerusalemme conquistata (1593). While he felt that his powers as
an epic poet were expanding, the later work reduces the role and influence of
female characters. The shift underscores how the Liberata was more radical in
its conception and execution. As he aimed to style himself more
self-consciously as an epic poet in the classical tradition, Tasso moved from
Virgil to Homer as his model, a move at once stylistic and also insome sense
moralistic – he saw this as an answer to criticism of his language and of what
he called the “fallacious artistries” that had marked the earlier poem. Gender
become critical to his conception of what is true in art, though with
ambivalent results – the woman who intervened with power was superseded by the
woman who intervened with tears. These essays explore themes that were only emerging
two decades ago. Their authors’ commitment to taking both an interdisciplinary
and intersectional approach allows re-evaluation of interpretations which were
in danger of becoming too rigid and which may have imposed too much on what the
voices in stories, trials, letters, and images were aiming to express.
Contradiction, ambivalence, and ambiguity abound. Recent work in all three
areas that we have singled out has explored just how widely the gaps between
prescription and reality yawn in the period, in part because of ambivalence on
the part of those promoting normative regimes. Yet gaps more often emerged
because these regimes aimed too far beyond what people expected and were
willing to live with in their neighborhoods, their relationships, and expectations.
As we move forward undoubtedly there will be new insights gleaned about the
lives and loves of Renaissance people. The intellectual and evidential
foundation outlined here in letters, court records, poems, pamphlets, and
artworks will continue to support a rich and diverse research culture. And
there are new questions on the horizon. The literary, philosophical, artistic,
and existential implications of transgender are only in a nascent stage of
investigation, despite the initial and hesitant foray made in Human Sexuality.
Some topics and themes will percolate until new sources and new perspectives
allow new insights and conclusions. As the study of sex, gender, and sexuality
moves forward, the dialogue between past and present will continue, animated by
sharp disagreements, punctuated by moments of clarity, and moving steadily
towards a deeper understanding of lives lived in a period of creative foment.
The voices gathered here, and the creative exchange they offer, advance that
discourse on the lives of those who made the Renaissance a fascinating period
of critical change.Rosenthal, The Honest Courtesan. Storey, “Courtesan
Culture.” Cohen and Cohen, Words and Deeds in Renaissance Rome. Cohen, “Seen
and Known.” Ghirardo, “The Topography of Prostitution in Renaissance Ferrara.”
Clarke, “The Business of Prostitution in Early Renaissance Venice.” D’Elia,
“Marriage, Sexual Pleasure, and Learned Brides in the Wedding Orations of
Fifteenth-Century Italy.” Rocke, “‘Whoorish boyes.’” Moulton, “Homoeroticism in
La cazzaria (1525).” See Finucci, The Manly Masquerade. Laqueur, Making Sex.
Gallucci, Benvenuto Cellini.Bibliography Benedek, Thomas G. “Beliefs about
Human Sexual Function in the Middle Ages and Renaissance.” In Human Sexuality
in the Middle Ages and Renaissance. Edited by Douglas Radcliff-Umstead, 97–119.
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Christianity, Social Tolerance, and Homosexuality: Gay People in Western Europe
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University of Chicago Press, 1980. Brown, Judith C. Immodest Acts: The Life of
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Burckhardt, Jackob. The Civilisation of the Renaissance in Italy. Translated by
S.G.C. Middlemore. Old Saybrook, CT: Konecky & Konecky, 2003. Castiglione,
Baldassarre. The Book of the Courtier. Translated by Charles S. Singleton.
Garden City, NY: Anchor Books, 1959. Clarke, Paula. “The Business of
Prostitution in Early Renaissance Venice.” Renaissance Quarterly 68, no. 2
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Papal Magistrates. Toronto: University of Toronto Press, 1993. D’Elia, Anthony
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Middle Ages and Renaissance. Center for Medieval and Renaissance Studies.
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Italy and the Spurious ‘second part’ of Antonio Vignali’s La cazzaria.” In
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Richard C. Trexler. Edited by Peter Arnade and Michael Rocke, 113–33. Toronto:
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Simons, Patricia. The Sex of Men in Premodern Europe: A Cultural History.
Cambridge: Cambridge University Press, 2011. Storey, Tessa. “Courtesan Culture:
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Edited by Sara F. Matthews Grieco, 247–73. Farnham: Ashgate, 2010. Talvacchia,
Bette, ed. A Cultural History of Sexuality in the Renaissance. Oxford: Berg,
2011.PART ISex, Order, and Disorder. One of the last works that Francesco
Petrarch wrote was a short story in Latin which he claimed to have translated
from the Italian of the final tale of Boccaccio’s Decameron —the novella of the
patient Griselda, who accepted every cruel test her husband, Gualtieri, tried
her with to assure her worthiness as a wife. In Petrarch’s version Griselda was
a humble peasant and Gualtieri the esteemed Marquis of Saluzzo, a prince loved
by all for his wise rule. Tellingly, he claimed that he was translating the
tale because it was so very useful as a lesson on how to treat a wife that it
needed to be in Latin to gain the wider circulation that the universal language
of learned men merited. And, in fact, Boccaccio’s original version has been
long read in that light, almost as if Petrarch’s Latin retelling determined its
meaning for future generations. Recently, moreover, with more sophisticated
discussions of gender, his perspective has garnered even greater purchase, with
Boccaccio’s tale being criticized for its misogynistic vision of matrimony and
support for a husband’s absolute power over a wife. In turn, this perspective
has even colored the way some read the Decameron itself, discovering behind its
laughing stories and powerful, clever women a conservative defense of
traditional patriarchy. But in this essay, I want to suggest with a historian’s
eye that the story of Griselda’s ideal wifely qualities and her husband’s
wisdom is in reality not there in the Decameron (X, 10). For while that tale
has been often read as an account of Griselda, and her virtually biblical
acceptance of her husband’s will, it may well have read at the time as a story
much more about the many negative qualities of Gualtieri.1 For he is presented
throughout as a dangerous tyrant moved by a misguided sense of honor and a
rejection of the emotion of love, which meant that he was incapable of being
either a good husband or a good ruler from the perspective of
fourteenth-century Florentine readers. Thus, this tale is not just concerned
with love and marriage, but also crucially with rule and the rule of princes,
in this casenegatively portrayed as tyrants. In a way, then, I want to argue
that it is Boccaccio’s “The Prince” a century and a half before Machiavelli.
Even the language of the day nicely sets up this theme: for the term signore
(lord) had multiple meanings that could span the gamut of power relationships
from the everyday husband as signore/lord over his wife and household, to the
local signore/lord/noble with power over those below him, on to the
signore/lord/ ruler (either a prince or a tyrant depending on one’s
perspective), and, of course, finally on to the ultimate signore, the
Signore/God. As we shall see, all these meanings are at play in Boccaccio’s
version of this tale. The teller of this story of multiple signori, the irrepressible
Dioneo, suggests its negative tone right from the start, immediately warning
that he finds Gualtieri’s behavior in general and towards his wife “beastly.”2
He states f latly, “I want to speak about a Marquis, not all that magnificent,
but actually an idiotic beast. . . . In fact, I would not suggest
that anyone follow his example. . . .”3 This, obviously, is hardly
the wise prince Petrarch created in his supposed translation of the tale.
Dioneo then more subtly attacks him as a ruler (signore), remarking that he was
a young man who spent all his time “in hawking and hunting and in nothing
else.”4 Here we have echoes of an earlier tale in the Decameron, the third tale
of day two, about spendthrift Florentine youths who threw away the riches left
them by their aristocratic father by living the thoughtless life of young
nobles hunting, hawking, and living like signori.5 Significantly, those
Florentine youths, after they lost their inherited fortune, regained it by
going to England and loaning money at interest to the apparently even more
foolish signori there, the English nobility, like many Florentine bankers.6 Yet
quickly they squandered their riches again, because, as the story stresses,
they returned to living like signori, eschewing the virtù that made their
Florentine merchant/banker contemporaries so successful. What, one might well
ask, was this virtù that had allowed them to remake their fortune and that
repeatedly brings success to the denizens of Boccaccio’s tales? At one level
the answer is simple. For Boccaccio’s contemporaries virtù was a term that
identified the range of behaviors that allowed one to succeed and made one
person superior to another. Simply put, it marked out the best. But the
simplicity of that definition quickly dissolves before the fact that largely
because it was such a telling term its meaning was highly contested and f luid,
in fact changing considerably over time, place, and across social divides.
Speaking very broadly, in an earlier warrior society many saw virtù in
aggression, direct action, often violent; and in physical strength, blood line,
and blood itself, even as at the same time moralists and philosophers often saw
it in more Christian behavior that rejected violence and aggression. In the
cities of northern Italy in the fourteenth century this traditional vision of
virtù was first expanded, then increasingly overshadowed by a vision more
suited to the urban life of the day and newer merchant/banker elites. For many
at the time, virtù required the control of passions—in contrast to an earlier
vision that privileged their moredirect expression—and included a strong lean
towards peaceful, mannered conduct that required reasonable, calculating (at
times sliding into cunning) behavior that controlled the present and
significantly the future as well.7 In sum, virtù, even as it was contested and
changed over time, was a word of power that helped to define an urban male
citizen and a truly good man. In the end, however, these youths were saved from
their un-virtù -ous behavior by a virtù -ous nephew, Alessandro, who first
re-established their fortunes via once again astute money-lending, and then
with his virtù won a bride who turned out to be the daughter of the king of
England, effectively overcoming all their foolish misdeeds. From this
perspective, it is clear that the signore Gualtieri, much like Alessandro’s
uncles, was not a virtù -ous or good prince, ruling as he should. Rather, by
not attending to anything but his own youthful pleasures, he was acting in a
way that Florentines would have easily associated with their fears about
contemporary signori/tyrants; for such rulers were seen by them as ruling all
too often merely to serve their own whims and selfish pleasures at the expense
of their subjects. And, in fact, proudly republican Florence had recently in
1342 experienced a brush with a signore/tyrant of its own, Walter of Brienne.
He had been appointed to a one-year term as ruler of the city in the hope that
he would be able to overcome an economic crisis caused by the failure of the
major banking houses of the city. But, as was often the case, he quickly
attempted to take power permanently as a signore and was just as quickly thrown
out after only ten months of unpopular rule. Almost immediately afterwards, a
popular government returned to power, and it remained wary of signori of any
type.8 Significantly, however, most Anglophone critics have failed to note that
the Italian for Walter is Gualtieri and thus that Florence had thrown out a
tyrannical Gualtieri of their own just a decade before Boccaccio completed the
Decameron. Tellingly the negative behaviors often associated with contemporary
tyrants are immediately linked to the tale’s Gualtieri and his marriage by
Dioneo, who notes that not only did he not pay attention to anything else but
his own selfish pleasures, he “had no interest in either taking a wife or
having children. . . .”9 This, then, had created problems with his
subjects. As they, like all good subjects, wanted him to take on the responsibilities
of a mature male and ruler by marrying; for marriage was seen at the time as
perhaps the most important sign of reaching full maturity and taking on the
sober responsibilities of an adult male.10 Moreover, with marriage, a prince
began to produce the heirs that would secure an ordered passage of power at his
death, something that for his subjects was crucial. With Gualtieri’s rejection
of this, in essence Dioneo had presented his readers with a questionable
signore/lord/ruler who refused to give up his youthful and irresponsible ways
to rule as an adult prince with virtù.11 In the end, then, although he
reluctantly gave in to his subjects’ demands, he decided to do so by taking a
bride without consulting with anyone. And once again this would have troubled contemporaries.
Arranged marriages were the norm in fourteenth-century Florence and more
widely and crucially theywere negotiated by parents or relatives to secure
broader family goals or, in the case of rulers, meaningful alliances. The
immature Gualtieri instead took his marriage personally in hand to secure his
selfish desires with no concern for his family, his subjects, or even love.
Moreover, his lack of love in selecting his bride also evoked the negative
presentation in Decameron stories of many unhappy marriages where the lack of
love had led to bad matches, especially for women. Repeatedly the tales
advocated avoiding this ill-fated situation by marrying for true love, exactly
what Gualtieri rejected. From his perspective marrying for love and loving his
wife would have endangered his un-virtù -ous life, focused on his own personal
pleasures. And at the same time, it would have also signaled the end of his
freedom from his responsibilities as a ruler and declare that he had acquiesced
in becoming the signore/prince that his subjects desired and that Petrarch had
rewritten him as being in his misleading supposed Latin translation of the
tale.12 Making his disgruntlement clear, Gualtieri finally did knuckle under to
his subjects’ demands, but warned them that whoever he might chose, they must
honor her as their lady or feel his anger.13 The reality behind that warning
was soon dramatically revealed.14 For Gualtieri had for some time been
observing a pretty, well-mannered peasant girl who lived nearby. Yet crucially
what made her most attractive to Gualtieri was the fact that as a humble
peasant he was confident that he could dominate her so that she did not
interfere with his youthful lordly pleasures, the selfish key to his marital
strategy again.15 Following Gualtieri’s misplaced desires, we are drawn ever
deeper into the dark morass of unhappy marriages in the Decameron. Having
selected his bride without disclosing her identity to anyone and without her
even being aware of it, he insisted that his subjects come with him to
celebrate the matrimony. And so it was that one day they followed him to an
unlikely nearby village where the peasant girl, Griselda, lived in poverty with
her father. The scene is nicely set by the narrator of the tale Dioneo, as he
describes how the richly attired relatives of Gualtieri and his most important
subjects arrived on horseback before Griselda’s humble hut. When she, dressed
in rags, rushed onto the scene, anxious to see who their lord’s new bride would
be, to everyone’s surprise Gualtieri called down to her by name to ask to speak
with her father. She replied modestly that he was inside and accompanied him in
to the peasant hut to talk with her father, Giannucole.16 Even her father’s
name reeked of Griselda’s humble status, for Giannucole is the diminutive for
Giovanni. Using the diminutive for an adult male, and a pater familias at that,
essentially denied him any status or honor. Gualtieri underlined the point when
he did not waste any time with niceties on a person who, given that lack of
status, did not warrant them from his perspective. Thus, he did not ask
Griselda’s father for her hand as simple politeness required; rather he
announced that he had come to marry her. Then, continuing in his high-handed
ways, he turned to her and demanded that if he took her for his wife, “will you
always be committed to pleasing me and never do or say anything that would
upset me.”17 Once again the absenceof love in Gualtieri’s approach to his
future bride is stunning, especially for the tales of the Decameron; and
moreover, his lack of regard for her father, and for her is deeply troubling.
Turning to Florentine history and traditions once more it seemed almost as if
his way of treating Griselda and her father echoed what the citizens of
Florence most disliked in the high-handed ways of local nobles/lords that they
had rejected in the 1290s when they passed their revered Ordinances of Justice.
These laws were ostensibly designed to punish local nobles and their ilk
(labeled magnates) for just such high-handed behavior and mistreatment of
common folk. And these Ordinances had become a symbolic keystone of Florentine
republican government and its civic vision and would remain so across the
Rinascimento. In fact, one of the few times that the Ordinances were questioned
was when they were cancelled almost immediately after Walter of Brienne, the
other Gualtieri and would-be Signore of Florence, was driven out. After he was
expelled in 1343, the Ordinances were momentarily cancelled by a short lived
aristocratic government and then almost immediately reinstated by the popular
government that replaced both Gualtieri and that unpopular aristocratic moment,
as a strong reminder that the city would not allow signori of any type to
mistreat Florentines. And although Gualtieri did not himself revoke the
Ordinances, the black legends that grew up around his rule often made him
responsible for their momentary elimination and an attack on popular republic
government.18 All that this implies is underlined by the famous marriage scene
that follows, for Gualtieri, with his demands met, takes Griselda by the hand
and leads her from her home. There in front of the whole group of his elegantly
dressed subjects to their surprise and dismay he ordered her stripped naked.19
He then had her re-dressed with the aristocratic clothing and the rich
accoutrements that made up a noble’s wardrobe and only then consented to marry
her. As often noted, this dramatic scene in its undressing and re-dressing of
his bride essentially symbolized and perhaps contributed to the rebirth that
Gualtieri believed he was engineering, transforming Griselda from a humble
peasant to a noble wife, using clothing as both a symbol and a tool. And
indeed, the tale goes on to point out how quickly and successfully she
impressed the gathering, appearing to take up easily the manner and bearing of
a princess in her new noble clothing. That impression was confirmed in the days
following, when, as Gualtieri’s wife, she displayed to all impressive manners
and wifely virtues. In sum, once redressed she was capable of being transformed
from a humble peasant to a noble princess—the very stuff of fairy tales and
popular fantasy. But it is also the very stuff of Florentine beliefs at the
time—the elite of the city had shifted from old noble families to a newer
merchant/banker group who dominated Florence both economically and socially.
Thus, a humble peasant who gained the opportunity and the dress to move at the
highest social levels was an attractive conceit, demonstrating that anyone with
virtù could behave as well as the old nobility. From that perspective Griselda
had that delicious quality of fulfilling contemporary fantasies, even if many
rich Florentines would havebeen comforted perhaps by the fact that such a leap
for someone of her status was highly unlikely. Yet there is a way in which the
dramatic stripping of Griselda—a theme that would have great popularity in the
future in literature and art—has masked a deeper honor dynamic involved in this
troubling marriage. In fact, the tale’s Florentine audience would have been
aware from the first that marriages were virtually always moments when issues
of honor were central. That was why fathers usually played such a significant
role in such affairs: they had, in theory at least, the mature judgment to
evaluate the complex calculus of family honor involved in a marriage alliance
between two families without letting youthful emotions interfere.
Unfortunately, from this perspective the young, selfish, self-centered
Gualtieri fell far short of this ideal, as the tale made abundantly clear.
Nonetheless, Gualtieri was aware of the honor dimensions of his marriage and
was anxious to resolve them in his own high-handed way. Anticipating the
resistance of his subjects to his marriage of a peasant and its implications
for the honor of all involved—a marriage that he saw as serving his interests
and not theirs—from the first he insisted that they accept his choice and
“honor” it and him as their ruler. And, of course, as long as his misguided
honor was a driving force replacing love in his approach to marrying Griselda,
it crippled the relationship and his ability to be a good husband and suggested
a similar situation vis-à-vis his subjects as a ruler where love for his
subjects was also lacking. Crucially in this way of seeing things, his behavior
evoked strong echoes of other husbands and princes in the tales of the
Decameron whose lives were destroyed by their misguided sense of honor. In
turn, such behavior echoed Florentine fears about the dangers of a
central/northern Italian world where it appeared—in many ways correctly—that
the days of republics like theirs were a thing of the past. They were being
rapidly replaced by the one-man rule of signori who claimed to be princes, but
more often than not seemed to Florentines to be self-serving tyrants like
Gualtieri, more concerned with their misguided honor and selfish pleasures than
just rule. Yet in the short term things seemed to be looking up for Gualtieri’s
honor and his marriage. Not only did Griselda win over his subjects, she soon
became pregnant and produced a daughter. But not long after the happy birth,
the f laws in his personality and his treatment of his wife began to reveal a
deeper, darker truth. Almost as if he feared to succumb to the success of his
marriage, he decided to test his wife to assure himself that she was ready to
honor all his lordly wishes, no matter how cruel and tyrannical they might be.
Significantly, however, he defended these tests to Griselda as a concern for
his honor, complaining that his subjects were murmuring about her lowly peasant
origins and the similar baseness of her daughter. In fact, his claim was
presented as false by Dioneo. Gualtieri’s honor was never questioned by his subjects
in this context; actually, they are portrayed as quite happy with his bride,
even as they were surprised by her success as a lady. Griselda, however,
accepted his false claims, and, as a result, unhappily understood the worries
about his honor thatwere supposedly tormenting Gualtieri. Thus, she replied
obediently as a subject to such a lord must: “My lord (Signor mio), do with me
what you will as whatever is best for your honor or contentment I will accept
. . .”20 (1239). Once again one wonders how this would have played
for Florentine republican readers, who saw in such one-man rule and unjust
claims of honor the essence of tyranny—the greatest danger to their own
republican values and way of life. And in the context of an unloving, unhappy
marriage, we are faced with a man and a relationship definitely gone wrong and
a poor wife whose suffering Florentines could feel.21 Things quickly go from
bad to worse. Evermore the tyrant, Gualtieri deceitfully uses his honor to
excuse his most outrageous demands on his wife/subject. First, he has a servant
take her daughter away. And making it clear that he is acting on the lord’s
orders, the servant implies that he has been instructed to kill the child. With
great sadness Griselda hands over her baby. Although Gualtieri is impressed by
her obedience and strength in the face of his horrible demand, nonetheless he
allows her and his subjects to believe that the child has been killed, while he
secretly sends it off to relatives in Bologna to be raised. Continuing his
testing of her, when she gives birth to a male child and heir, he once more
claims the child’s life, using again the excuse of fearing for his honor and
his rule. Woman, because you have made this male child, I cannot find any peace
with my subjects as they complain insistently that a grandson of Giannucole
will after me become their Signore, so I have decided that if I do not want to
be overthrown, I must do with him what I did to the other [child]. Moreover,
given all this [I must sooner or later] leave you and take another wife.22
Dioneo, however, makes it clear to his listeners that once again this claim is
false, noting that Gualtieri’s subjects were not complaining about the boy’s
humble background or the loss of honor it implied. In fact, he points out that
in the face of the apparent murder of both children, his subjects “strongly
damned him and held him to be a cruel man, while having great compassion for
Griselda.”23 Hardly the response of those anxious to see an unsuitable heir or
wife eliminated or those enthusiastic about their exemplary prince, as Petrarch
misleadingly portrayed him. Still, as her lord and their tyrant, both she and
they had no option but to bow down before his cruel will, yet another lesson
about the dangerous honor of lords and their potential for heavy-handed tyranny
that would not have been lost on republican Florence. So, the second child
joined the first in apparent death—while Griselda lived on sadly under the
shadow of her husband’s warning that eventually he would end the whole problem
of her humble birth besmirching his honor and threatening his rule by putting
her aside to take an honorable bride.
And finally, after twelve years Gualtieri decided that his daughter had grown
old enough to pass as his new bride; and it was time for the last tests of his
wife. Thus, he acted onhis earlier promise, informing her that he was ready to
dissolve their marriage in order to take a more suitable wife. Claiming that he
had secured a dispensation from the pope to put her aside, he gathered his
subjects together to make the announcement that he was sending her back to her
father and her humble life as a peasant. Evidently, he was not content to
continue his cruel testing of his wife in private; rather his cruel deeds had
to be displayed before his subjects. The power to rule and the honor it
required were at play and perhaps also a desire to warn his subjects that he
was their signore as well and capable of similar deeds to defend his honor and
assert his control over them. But considering what fourteenth-century
Florentines would have made of this new outrage is again suggestive; for almost
certainly they would have seen in this a cruel lord acting as a tyrant,
mistreating his most loyal subject in a way that no right-thinking republican
Florentine would ever accept—in sum Gualtieri was the model anti-prince.
Gualtieri announced, then, before his troubled subjects and the abject
Griselda, that he was renouncing her as his wife because in the past my
ancestors were great nobles and lords of these lands, where your ancestors were
always laborers (lavoratori ), I wish that you will no longer be my wife, but
rather that you return to the house of Giannucole . . . and I will
take another wife that I have found that pleases me and is befitting [to my
status].24 In sum, his ancestors were nobles and rulers and Griselda’s were
humble laborers; therefore, their marriage was unsuitable and he was literally
suffering the dishonor of being a lord badly married. The term “lavoratori ”
used to describe her ancestors, while it could be used as a synonym for a
peasant, may well have suggested something more troubling yet. The more normal
terminology for Griselda’s ancestors would have been contadini or villani,25
but by contrasting his nobility with her status as descended from lavoratori,
Gualtieri once again was asserting status claims that would have ruff led
Florentine feathers. For the people of Florence, who had fought so hard across
the thirteenth century to drive out high-handed nobles like Gualtieri, had done
so in the name of protecting the laborers of the city from just such
high-handed behavior. In fact, the Ordinances of Justice labeled such behavior
as typical of the nobility. And the Ordinances were celebrated as wise
legislation designed to discipline and punish the nobility and protect
lavoratori from their high-handed ways. Once again, the recent attempt to
eliminate the Ordinances in 1342 and the threat that posed to the laborers of
the city would have added weight to the negative valence of Gualtieri’s
speech.26 All this cruel testing of Griselda calls up echoes of another person
often associated with her and this tale, who had also suffered greatly under
his lord, the biblical Job. In fact, commentators have often pointed to the
parallels betweenGriselda’s patient suffering at the hands of her
signore/lord/husband and Job’s suffering at the hands of his Signore/Lord/God
as a reason for seeing her as an exemplary wife and loyal subject accepting her
husband’s rightful dominance, just as Petrarch later recreated her.27 There is
an immediate problem with this parallel, however, for Job’s Lord did not
actually deal out the setbacks that deeply wounded him. He merely withdrew his
protection and left the door open for Satan to attempt to destroy Job’s faith,
ultimately without success. From that perspective Gualtieri seems more to
parallel Satan than God. Despite that often-overlooked theological nicety,
however, the God (Signore) of the Old Testament who allowed the testing of Job
might seem to vaguely parallel at a higher level her lord (signore),
Gualtieri’s, testing of Griselda. But tellingly in the Trinitarian view of time
being preached aggressively in Florence when the Decameron was being written
and as war loomed with the papacy, that Old Testament God and His troubling
relationship with humanity following the original sin of Adam and Eve—often
portrayed as dishonoring that Signore —was seen by many as no longer the order
of the day. Christ’s love and his sacrificing of his honor to die as a common
criminal to save humanity was seen as inaugurating a new order and
dispensation, a view especially stressed by a powerful group of local preachers
at the time. And the Godliness of that new age, Boccaccio’s present, was
totally alien to Gualtieri and totally alien to his relationship with his wife
and his subjects—for crucially, he explicitly rejected love in favor of
jealously protecting his honor, much like the vengeful Lord of the Old
Testament and nothing like the God of Love of the New. In a work that over and
over again stresses the importance of love, love in marriage and in the best
relationships between men and women, Gualtieri becomes the cruel husband, the
anti-prince, the tyrant par excellence, and a ref lection of a relationship with
the wrathful God of the Old Testament that no longer obtained. And, of course,
this last tale of the Decameron is told by Dioneo—literally “Dio Neo,” the “new
god” of love—who makes it clear that he finds Gualtieri unsuitable as a
husband, ruler, and most certainly as any kind of a lover. But this was merely
the prelude to his last cruel testing of poor Griselda. For Gualtieri then
demanded that she return to prepare and oversee his wedding to his new bride.
Once again Griselda accepted this command. But significantly Dioneo insists on
making a critical clarification: Griselda accepted his cruel command not as a
patient ex-wife or as a loyal subject, but out of love for Gualtieri. He
explains that she accepted only because “she had not been able to put aside the
love she felt for him.”28 Thus she returned to the palace as a servant, to
prepare the new wedding for her beloved. Dioneo relates a number of humiliating
moments in the preparations and underlines once again their injustice by noting
the deeply troubled reactions of Gualtieri’s subjects to her abuse and their
repeated calls for a more just treatment of her. The humiliation comes to a
head when Gualtieri has his new bride brought to his palace for the wedding.
Presenting her to Griselda, he cruellytwists the knife of her humiliation in
public again, asking her opinion of his new lady. She answered, My lord
. . . she seems to me very good and if she is as intelligent as she
is beautiful, as I believe, I am certain that you ought to live with her as the
most content signore in the world. But still I would pray that those wounds
that you gave before to the earlier one [wife], you spare this one; because I
doubt that she could resist them, for she has been raised with great
gentleness, whereas the other was used to hardships from her childhood.29 Yes,
Griselda has suffered and finally even she has complained. Subtly, and without
ever referring to herself by name, she has pointed out finally the unjust
nature of his rule over her and by implication over his subjects. It would be
satisfying to claim that Griselda’s final faint demonstration of defiance
caused Gualtieri to change his ways, but Dioneo has already informed us that
Gualtieri was ready to act even before she spoke. Thus ignoring her comments,
he declares: Griselda it is time that you finally hear the fruit of your long
patience and that those who have held me to be cruel and unjust and bestial
learn that it was all according to plan, wishing to teach you how to be a wife
and teach others how to pick and keep a wife and [finally] to guarantee my
peace as long as we would live together.30 In the end, then, even Gualtieri
admits that his lordly ways have been cruel, unjust, and bestial, but he
justifies them by claiming that he has taught Griselda how to be a good wife.
And many commentators, following Petrarch, have taken this claim at face value,
arguing that Gualtieri is the demanding but just hero of the tale and Griselda
the ideal wife fashioned by his treatment of her. Yet, in fact, as the story makes
clear over and over again, his cruelty did not teach her anything. She came to
him, as she has just pointed out, already accustomed to suffering and accepting
the hardships that life brought her as a peasant. She was born into hardship
and suffering and she adapted quickly to her lord and his mistreatment because
of her own inherent peasant ability to suffer and lack of a sense of honor.
Indeed, one would be hard put to find a place where the tale or Dioneo suggest
that she learned anything from Gualtieri. And while the fourteenth-century
Florentine readers of this tale were more usually urban dwellers than peasants
and thus theoretically not as inured to hardship and suffering, they were
proudly not nobles either, and it is hard to imagine them accepting from local
nobles the treatment that Gualtieri dished out. Moreover, it is hard to imagine
that they would have felt sympathy for Gualtieri’s defense of his cruel ways,
as they too would have been unlikely to feel any need for such lessons from
nobles or signori to learn the patience necessary to survive as subjects (as
they had recently demonstrated throwing out their own Gualtieri) or for that
matter even to survive as wives.Actually, it might seem strange that finally
after retaking Griselda as his wife and explaining his whole plan to his
subjects and her, the couple are portrayed by Dioneo as living happily ever
after. But providing an explanation for that improbable happy ending is a
startling and significant admission by Gualtieri: for, as unlikely as it might
seem, all his cruel tests have led him finally to a crucial transformation— the
decisive often overlooked climax of the tale. He has finally discovered the
emotion of love and has fallen in love with his victim, Griselda. He confesses
at the last: “I am your husband who loves you more than anything and believe me
when I say that there is no man more content than I in his wife.”31 Crucially
with that admission, and Griselda’s ongoing love that survived his every
cruelty, no longer is their marriage simply an unhappy mismatch with a wife
subject to her lord/husband defending his misguided honor and selfish noble
pleasures. Rather, now it is exactly the kind of marriage that the Decameron
advocates over and over again. With love as its emotional base, the happy
ending that the story, and the Decameron itself, requires is possible and
Gualtieri, his wife, and perhaps even his subjects can live happily ever
after—not a divine comedy perhaps but a human one.32 For in the end Griselda
survived a cruel lord, and with her willingness to suffer and peasant patience,
she, not he, for a moment at least became the true teacher, teaching a tyrant
who rejected love to love and to become a true prince—in this she was perhaps
more Christ-like than Job-like. Let me suggest that by contemporary Florentine
standards or those of the imagined and real women listeners of Dioneo’s tale,
Gualtieri’s mistreatment of his wife was anything but a model of an ideal
marriage until everything changed with love at its conclusion, despite
Petrarch’s claim to the contrary. In the end, then, she was a victim, but in
ways that many critics have had trouble seeing. First, of course, at the hands
of her cruel lord/husband. But also at the hands of the would-be aristocrat and
anti-republican Petrarch. For despite his claims about what he saw as an ideal
of marriage, he also retold her tale in Latin to celebrate the honor of the
often cruel signori—tyrants and lords—that he cultivated for patronage and
support far from the republican Florence that claimed him at times with
difficulty as an honored son. Still, in the end she and love won out, a fitting
conclusion to the new god of love, Dioneo, and his tale, as well as to
Boccaccio’s Decameron.Notes 1 I have used for this tale and all citations from
the Decameron the classic edition edited by Vittorio Branca: Boccaccio,
Decameron. In this reading that looks more closely at the Marquis of Saluzzo, I
am following the path breaking lead of Barolini in her article “The Marquis of
Saluzzo.” But I emphasize more a Florentine perspective on the tale than
Barolini and am less inclined to follow her strategy of using game theory to
explain what she labels as the Marquis’ beffa. I discovered after I wrote an
early draft of this essay Barsella’s excellent article “Tyranny and Obedience.”
My account stresses more the marital as well as the political side of the tale
and looks more closely at the Florentine political and social world of the day,
while she offers a more complete analysis of the ancient and medieval
theoretical literature on tyranny; but we both agree that the tale is more
about Gualtieri as a tyrant than about Griselda as a model wife.2 Decameron,
1233. “Beastly” often seems to serve as code word or signal that the male so
labelled has sexual appetites that are “unnatural” by Boccaccio’s standards and
hence like those of a beast. If beastly is being used in that sense here, it
would add another dimension to the Marquis’ rejection of marriage and the love
of women, one that Boccaccio regularly paints in a negative light. Barolini
provides an interesting discussion of the term drawing similar conclusions but
emphasizes its echoes of Dante’s usage of the term, along with its classical
and Aristotelian dimension—a perspective that would undoubtedly have had its
weight for learned readers and listeners, but perhaps less for a broader
audience at the time. Barolini, “Marquis of Saluzzo,” 25–26. 3 Ibid., 1233;
italics mine. 4 Ibid., 1234. 5 The three are described as the young sons of a
noble knight named Tebaldo from either the Lamberti or the Agolanti
families—both Ghibelline families exiled from Florence in the late Middle Ages
and thus suspect already in fourteenth-century Florence with its strong Guelf
tradition. 6 Although it should be noted that the prospects of profits from
loaning money to the English had become less appetizing after the recent
failure of Florentine banks in 1342, in part caused by the King of England’s
reneging on his debts to them. Actually, recent scholarship has argued that local
bad loans in Tuscany and debts built up in the ongoing wars in the region were
more responsible for the bank failures, but contemporary accounts tended to
place a heavy emphasis on the King of England’s actions—perhaps as a way to
divert attention from the more local issues involved. Barsella notes also this
connection in “Tyranny and Obedience,” 74–75. 7 Ruggiero, Machiavelli, 163–211.
This vision of virtù and its development across the Rinascimento in Italy is
one of the central themes of my effort to reinterpret the period in my book The
Renaissance in Italy. From this perspective, Boccaccio’s Decameron with its
stress on virtù is a work that fits more in the world of fourteenth-century
Italy than as a work of medieval literature as it is often characterized. Of
course, many of his tales have medieval sources and echoes, but significantly
they are rewritten with a very different set of values more characteristic of
fourteenth-century Florence and the city-states of central and northern Italy.
8 Walter (Gualtieri) of Brienne actually makes an appearance in the Decameron
in his own right as one of the nine “lovers” of the Sultan of Babylon’s
daughter, and a quite bloody “lover” at that (II, 7). Boccaccio also wrote a
quite uncomplimentary account of his life in his De Casibus Virorum Illustrium,
Lib. IX, cap. 24. 9 Decameron, 1234. Dioneo, however, does follow this comment
with what appears to be a compliment for this lack of desire to marry, “for
which he was to be seen as very wise” (1234). Yet what follows undercuts the
force of this apparently very traditional negative vision of marriage. And
throughout the Decameron Boccaccio seems to provide an unusual number of tales
that see well-matched marriages as positive and at least potentially happy. 10
For this see the discussion in Ruggiero, Machiavelli, 24–6, 172–73 and
Giannetti, Lelia’s Kiss, 18, 131–34. 11 While the character Gualtieri had the
same name as the recent Florentine would-be tyrant, this is not to argue that
he was the only tyrant being referred to in the tale. In actuality Florence was
surrounded by dangerous and aggressive tyrants who were capable of instilling
fear in the city even if they were not named Gualtieri. As often noted, the
fourteenth century, following in the footsteps of the thirteenth, was a period
where republics were losing out to tyrants everywhere and Florence found
themselves surrounded by aggressive signori on virtually all sides. 12 This
lack of love also played a significant role in his lack of a positive
relationship with his subjects, once again the micro-level of life, in this
case marriage, reflecting the macro-level of life, in this case Gualtieri’s
rule. Both lacked love and that stood literally at the heart of his negative
consensus reality for his subjects and for the Florentine readers of his tale.
13 Clearly with the repetition of “insisting” and Gualtieri’s will, the tale is
playing on will as a dangerous source of sin when misplaced as it is in this
case. Of course, will from a1415 16 17 181920 2133theological perspective is
the basis of all sin, which in the end is merely willing to turn away from the
good and ultimately God. In this case Gualtieri might be seen as willfully
turning away from love, the good and God much like Satan turned away from love,
the good and God in the greatest rejection of all. At this moment in the tale
with his willing misdeed, it might be argued Gualtieri confirms his fallen
state. Barolini suggests that in these demands Gualtieri, unhappy with his
subjects’ calls for his marriage, is setting up a beffa at their expense—a very
typical form of Florentine joke that in this case punishes them for forcing him
to marry against his will—and the key to the beffa is forcing them in turn to
accept the peasant wife that he will pick unbeknownst to them. Although there
is a logic to this perspective, it seems more likely that contemporaries would
have assumed the driving force in his decision to take a peasant as a wife was
his belief that she would have to be totally subservient to him, something that
Barolini stresses as well. Decameron, 1235. Although the text is clear that
Gualtieri entered the house alone, the discussion between Gualtieri, the
father, and Griselda requires that she had entered as well. Perhaps it is
significant that she is so humble that her entering the house with Gualtieri
does not require mention. Ibid., 1237. The Ordinances of Justice were first
passed in Florence on January 18, 1293 and while their meaning at the time has
been much debated, they became with time a kind of civic monument to the ideal
of Florence as a republic ruled by the popolo without the interference of the
traditional Tuscan rural nobility, labeled magnates, who had once dominated the
city. For the debate and the more complex reality of the Ordinances and the
magnates themselves see my Renaissance, 77–82 and 94–97 and the overview of
Najemy in A History of Florence, 81–89, 92–95, 135–38, and for a more detailed
study see Lansing, The Florentine Magnates. Suggestively, Petrarch in his
rather different retelling of the tale, softens this act of prepotency and male
power that once again here strongly underlines Gualtieri’s cruelty and lack of
required manners. He adds the telling detail that Gualtieri had Griselda
surrounded by women of honor before she was stripped. Here we see how the tale
could be changed to make it a hymn to a wise and careful husband anxious to
arrange the right kind of marriage that would assure a matrimony that
functioned as it should with the husband in command and the woman subservient and
obedient. But Dioneo’s careful scripting of Gualtieri’s boorish and
self-centered behavior in line with his high-handed ways that evoke the
psychological violence of the old nobility, strongly suggest a very different
vision of Gualtieri and his marriage—a negative vision in line with many of the
tales about the injustices of arranged marriages in the Decameron. Decameron,
1239. One might note here that although Griselda is clearly a victim, she is
hardly a heroine as often claimed by critics. There are in fact any number of
actual female heroines in the Decameron whose tales were constructed to show
their virtù and ability to control their own lives and virtually always their
goal of winning a meaningful love in life and often in marriage. Perhaps the
best example of this, and a virtual anti-Griselda tale, that gives the lie to
Petrarch’s and later critics’ vision of Griselda as a model wife is the tale of
Gilette of Narbonne (III, 9), who empowered by love cures the king of France
and overcoming a series of seemingly impossible trials (typical of medieval
lover’s tales and more normally male knights) in the end thanks to her virtù
wins the love of the man she loves, her husband, Bertrand of Roussillon. In
this tale he is also portrayed as a cruel lord, but Gilette is anything but
passive and takes her life in her own hands to win out in the end—a model of
what a woman can accomplish with real virtù in the name of love. It is
suggestive also that Gilette is an upper-class non-noble from an urban setting
not unlike the Florentine readers of the Decameron and much more easily
accepted as active and aggressive than the humble peasant Griselda. Similar
virtù overcoming a husband both cruel and foolish is presented also in tale
(II, 9) where a Genoese woman, who takes the name Sigurano da Finale, passes as
a male and flourishes in a series of adventures thanks to her virtù and in the
end recovers the love of the husband she loves despite his murderous
misdeeds.Guido RuggieroDecameron,In fact, this is the only use of the term in
the tale, usually she and her father are referred to as poor and it is noted
that he is a swineherd not a laborer. The title of the tale refers to her as
“una figliuola d’un villano” and later when referring to her unexpected virtù,
her dress and by inference her status is referred to as “villesco”: “l’alta
vertù di costei nascosa sotto i poveri panni e sotto l’abito villesco.” For
this see Brucker, Florentine Politics, 114; Najemy, Florence, 135–37. On the
Ordinances see note 18 above. Branca actually points out the textual parallels
noting that in the story of Job I:20 he states “Nudus egressus sum
. . . nudus revertar” in reference to Griselda’s “ignuda m’aveste
. . . Io me n’andrò ignuda . . .” In the New Oxford
Annotated Bible, the famous lament of Job is rendered “Naked I came from my
mother’s womb, and naked I shall return; the Lord gave, and the Lord has taken
away; blessed be the name of the Lord” (Job I:20 [614]). Decameron, Critics
have from time to time referred to the Decameron as “The Human Comedy” playing
on an apparent contrast with Dante’s Divine Comedy, but I would suggest that
Boccaccio’s comedy was more divine than it might at first seem and Dante’s more
human.Bibliography Barolini, Teodolinda. “The Marquis of Saluzzo, or the
Griselda Story Before It Was Hijacked: Calculating Matrimonial Odds in the
Decameron 10:10.” Mediaevalia Barsella, Susanna. “Tyranny and Obedience: A
Political Reading of the Tale of Gualtieri (Dec., X, 10).” Italianistica
Boccaccio, Giovanni. Decameron. Edited by Vittorio Branca. Turin: Einaudi,
1992. Brucker, Gene. Florentine Politics and Society 1343–1378. Princeton, NJ:
Princeton University Press, 1962. Giannetti, Laura. Lelia’s Kiss: Imagining
Gender, Sex, and Marriage in Italian Renaissance Comedy. Toronto: University of
Toronto Press, 2009. Lansing, Carol. The Florentine Magnates: Lineage and
Faction in a Medieval Commune. Princeton, NJ: Princeton University Press, 1991.
Najemy, John. A History of Florence,Oxford: Blackwell, 2006. Ruggiero, Guido. Machiavelli
in Love: Sex, Self, and Society in the Italian Renaissance. Baltimore, MD:
Johns Hopkins The Renaissance in Italy: A Social and Cultural History of the
Rinascimento. New York: Cambridg. Sexual violence in Renaissance and early
modern Siena was widespread, barely manageable, and apparently accepted, though
not always legitimized, especially when it applied to particular social
classes. Both the nobility and the clergy considered it their “right” to engage
in behavior that underscored their social superiority.1 This included not only
the use of weapons, but also brawls, thievery, private vendettas, and sexual
violence. Such behavior did not, however, pertain only to them: commoners also
forcefully imposed their brutality, sexuality, and violence on less powerful
victims who happened to be in the wrong place at the wrong time, or whose only
fault was their vulnerability. But not all victims, whether male or female,
endured violence passively. For everyone whose voice was not heard, there were
many others who, in spite of their age or sex, protested the violence they had
endured and described it in detail. Unlike other Italian cities, medieval Siena
did not have a single government office charged with the social control of the
population and the suppression of behavior deemed to be unacceptable.2 This
changed in 1460 when the government established the office of the Otto di
custodia (Eight in charge of Protection) to oversee behavior and public
health.3 After several changes to its name and tasks, the office was abolished
in 1541 by the Spanish protectorate, and then reestablished in 1554 as the
Ufficiali sopra la pace (Officers in charge of the Peace) in order to settle
citizen disputes and prosecute both blasphemy and violence. Yet this
incarnation was also short-lived, and the office was abolished at the fall of
the Republic in 1555.4 The administration of justice was entrusted first to the
Captain of the People (Capitano del popolo), and then to the Captain of Justice
(Capitano di giustizia), before being abolished in 1481. Some of its tasks were
entrusted to the Rota court in 1503, but in the event the 1481 suppression was
not definitive, and the Captain of Justice seems to have recovered some
functions in the first half ofthe sixteenth century. The office of the Captain
of Justice was formally revived when Duke Cosimo I de’ Medici issued an edict
on the “Reformation of the Government of the City and State of Siena.” in 1561,
and it acquired criminal jurisdiction over the city and the podesterie (the administrative
structures into which the countryside was organized).5 The Captain of Justice
also gained those tasks previously entrusted to the Criminal Judge (Giudice dei
malefizi ),6 and functioned under the supervision of the Governor
(Governatore).7 The Governor was now the top official in the new
administration. He enjoyed “broad political and administrative functions,
supervised the public order, issued regulatory actions and had the control of
all sentences of tribunals.”8 All other magistrates lost their jurisdiction
over criminal lawsuits.9 These frequent changes to judicial offices in Siena
help us understand why documentation on crime is scattered throughout many
different archival collections and series. It is also incomplete, because much
material has been lost. As a result, it is not possible to analyze the Sienese
records in as thorough a social or statistical way as it has been done for
Florence.10 The preliminary analysis presented in this essay—which uses Sienese
documents for the years just before and after the fall of the Republic
(1555)—will serve to illustrate at least some cases of violence at a time in
Sienese history that, from the perspective of the history of crime, still
awaits detailed analysis. A preliminary analysis reveals just the tip of the
iceberg. One of the questions that arises from a first glance at the
documentation is why so much of the surviving documentation refers to violence
in the countryside and not in the city. Perhaps extra-judicial agreements
between the parties, reached in order to avoid denunciation, were more common
or widespread in the city. Or, perhaps, much of the documentation for urban
violence has not survived to the present day. In Siena, and especially in the
Sienese countryside already devastated by war, famine, and other problems,
Medicean legislation over criminal activities took a long time to be applied
and become the norm. One of the reasons for this was that the countryside
suffered from a very slow reconstruction process. It took not only time, but a
lot of effort, to erode and limit local authorities and personal powers that,
for decades after the fall of the republic, continued to impose a social code
that penalized those on the lower levels of the social scale.What the law said
The rubric on sexual violence in the last republican Sienese statute (1545)
followed medieval precedent and listed only adultery, rape, and abduction, in
that order, as crimes of violence.11 Sexual intercourse with a married woman of
whatever social rank or with an unmarried virgin was punishable by the
imposition of a financial penalty; abduction for the purpose of sexual
violence, on the other hand, was punishable by death. The definition of sexual
violence required that the abductor (raptor) marry the victim, if the father or
the senior male members of her family deemed it appropriate, or alternatively
that he provide her withSexual violence in the Sienese state 37a dowry. If
sexual violence was perpetrated against someone’s wife or daughter, it damaged
the honor of the husband and the family, so the culprit had to, somehow,
adequately restore that damaged honor.12 Sexual violence by men on men,
described in the statute as “a dreadful kind of violence that is used against
nature on men,” demanded that the rapist be jailed and pay a fine, but if the
rapist was over forty years old, he was to be burned at the stake.13 The
regulation in the Duchy of Florence was similar: in 1542 Duke Cosimo I revised
the law against “the nefarious, detestable, and abominable vice of sodomy” and
not only increased the fines but also imposed physical punishments and even the
death penalty on repeat offenders.14 Once Siena had been ceded by King Philip
II of Spain to the Medici in 1557 and incorporated into the duchy of Tuscany,
the 1558 revision of the Florentine law on sexual violence also applied to the
city. This revised law removed the fines and imposed only physical punishments
for “those who will use force and violence to women and men to satisfy their
sexual desire.”15 If the violence did not lead to an effusion of blood, the
culprit was to be sent to the galleys for a certain number of years to serve as
a chained rower; if, on the other hand, there had been an effusion of blood the
culprit was to be executed. The only exception allowed, and this only for
Florentine and Sienese citizens, was commuting the sentence to the galleys into
a jail term, but this only at the discretion of Duke Cosimo I. Such discretion
generally depended on the social rank, personal reputation, and family honor of
the culprit.The rape of women and young girls The new law was tested almost
immediately. “Since this case was of such manifest enormity, and the first
since the publication of Your Excellency’s last pronouncement against violence
on men and women”:16 so begins a letter by Orazio Camaiani (or Camaini),17 a
diligent official and Captain of Justice in the “New State” (Stato Nuovo) of
Siena, to Duke Cosimo I de’ Medici in the winter of 1559. Camaiani went on to
relate a case of attempted sexual violence against “a poor widow of Belforte”
who, on resisting her attacker, was hit by him so hard that she bled.18
Camaiani’s information came not from first-hand observation, but from letters
he had received from the vicar of Belforte (fol. 13r), a small mountain-top hamlet
about 45 km west of Siena. It included all the necessary negative
requirements—night, loneliness, violence. The “poor widow,” who is never named
in the letter,19 had been assaulted during the night in her own home by two men
who entered on purpose in order to rape her; she resisted the attack, screamed
loudly, and was wounded in the head and face. Her attackers ran away without
succeeding in their intent. The widow did, however, recognize one of her
attackers, “a certain Terenzio Usinini, Sienese” (fol. 13r) and reported him.
The Captain of Justice thus knew for whom to look. The information was sent to
Duke Cosimo I, but what has survived is scattered and incomplete. It does,
however, point to the many cases of violence in a territory that was still sufferingfrom
the aftermath of the raids and devastations brought about by the recent
Florentine conquest of Siena (1552–59) and the republic’s difficult process of
submission to its new Florentine lord. We know very little about Terenzio
Usinini. There is no record of his having been baptized in Siena,20 so we can
assume that he was born and baptized in the countryside. He also does not
appear among the very few Usinini who held secondary appointments in Sienese
offices.21 His family pedigree or that fact that the family belonged to one of
the major political groups in Siena, the Monte of the Riformatori, were of no
help to him—in referring to Terenzio, the Captain of Justice noted that “a
worst name against a person cannot be heard in the entire town.”22 In fact,
Terenzio did not have a good reputation—after hearing that he had been accused
of attempted rape, other women in town went to the Captain of Justice to report
that he had raped them, too, or had attempted to do so. Terenzio managed to
escape arrest on this occasion, but his accomplice, a priest, was not as
fortunate—he was captured thanks to a peasant who tricked him with the help of
a woman who was priest’s former lover. The incomplete records do not tell us
what happened to either Terenzio or the priest. We can, however, determine that
Terenzio seems to have been a violent highborn individual who behaved as if he
were above the law and thought he could force his sexual desires upon
subordinate women. This may, in fact, be to a certain extent true because
Terenzio seems to have managed somehow to escape justice. While highborn locals
might have been able to get away with sexual violence and escape justice, the
sexual misbehavior of state officials, who were to uphold the legal system, was
more problematic, especially when such officials used their power to abuse
women and girls. Already in 1378, Pietro Averani from Asti, a district judge
was dismissed because he had used the power of his office (sub pretextu offitii
) to rape a young virgin girl living in Siena.23 In a case from 1554, a
community in the countryside asked the government in Siena to “immediately”
send another commissioner to replace the current one whose violence against
some local women was such that it was about to cause serious disorders. One
“young, respectable, and good” local woman even went to Siena herself and, in
tears, described to the magistrates how the said commissioner had come into her
house at night on the excuse of seeing how the soldiers had been billeted and
had started to lay his hands on her, at which point she had begun to scream and
he stopped.24 Though problematic, the sexual misbehavior of this representative
of the legal system seems to have elicited little more than a request for
removal from the post or relocation, and no actual physical punishment meted
out on the guilty party. We do not know whether this was the limit of what
plaintiffs could expect. In a different case, blasphemy was added to the charge
of attempted violence. This rendered the accusation much more dangerous because
blasphemy was considered an “open crime,” that is, clear and public. Angela
reported that Bastiano, the servant of the Bargello (that is, of the chief of
police), “on many occasions requested her honor from her.”25 After beating her
several times because sherefused, he entered her house while her husband was
away and tried to rape her, at which point she started screaming. After
threatening her, “he pointed the dagger at her throat saying ‘whore of God, if
you scream I will slaughter you,’” but she continued to scream and so he left.
The examples given so far point to a somewhat spontaneous, even impulsive
attempt on the part of the men to engage in sex with an unwilling woman. There
are also cases of carefully planned attempts. Agnoletto the Corsican, for
example, not knowing how other to seduce a young woman, did so by impersonating
a priest; “because he did not know how else to rape a young girl, he took the clothes
the archpriest wore during Lent and, dressed like him, started confessing her
in church.” This particular record continues by pointing out that Agnoletto
“raped many women and did other impudent things.”26 We have further examples of
premeditated rape. A notary reports that Pompeo di Giovanni from Monticello, a
45-year-old man, married and with two daughters, had engaged in “robberies,
rapes and, in general, all other sorts of abuses done and committed” including
“raping, together with other men, Iacoma the daughter of Filippo, his
relative,” and of “having prided himself for having entered through the roof
into Antonia di Censio’s house only to have sex with her and perhaps he did so,
and because there was no point in screaming she, for the sake of her honor,
kept quiet about it.” The notary continues his report with the comment that he
“will remain silent on what Pompeo did to certain poor young women who were
walking by” and then concludes by recording that Pompeo was eventually found
guilty of a long list of robberies and sentenced to the gallows.27 After the
Council of Trent (1545–63), a new detail enters into notarial descriptions of
sexual violence: some defendants now tried to justify themselves by explaining
that they had been tempted by the devil. In 1571, Sandro was accused of raping
five-year-old Santina in a wheat field and causing her to bleed from her
vagina.28 In his defense, Sandro told the Captain of Justice that when he went
in the field to “shout at some children doing some damage,” Santina and
Elisabetta came by. Sandro was then tempted by the devil to sit down and grab
the said Santina and put her on his lap, and having pulled out his tail [i.e.
penis] through the opening of his trousers, he inserted the second finger of
his right hand into Santina’s nature [i.e., vagina] and, having seen that it
could enter easily, took out his finger and started pointing his tail towards
her nature and, in so doing, he could have hurt her and she shouted one or two
times. Hearing the little girl scream, her uncle Domenico rushed to help her
and found her crying and “totally wrecked and bloody.” He hit Sandro with a bow
he had in his hands and moved him away from the girl. Sandro later confessed
that since he could not put his member inside Santina’s nature, he was about to
finish [i.e. ejaculate] between her thighs or in some other way as best hecould
because the devil grabbed him by the hair and he [Sandro] could not stop
himself, but the said Domenico stopped him. Sandro’s deposition claims that
when he was raping the girl he was not his own self, but was under the control
of the devil to the point that he was not physically able to do otherwise until
an external force, Domenico, interrupted him and stopped the devil’s control.
Referring directly to the 1558 law mentioned above, the Captain of Justice
pointed out that, in cases of violence with effusion of blood, the accused must
incur the death penalty. Perhaps to elicit a more merciful sentence, the
Captain of Justice described Sandro as “a young man between 25 and 30 years
old, a bachelor, and more a fool than a scoundrel.” The plea was
successful—Sandro was spared his life and received the lighter sentence of “two
or three years in the galleys.”A matter of honor, but whose honor? In a letter
of March 1524 to the government in Siena, Bartolomeo di Camillo, at that time
podestà (chief magistrate) of Sarteano, reported a disturbing case of rape: A
certain local man, Agnolo di Ipolito, entered into the house of a certain
Giovanni Baptista Tucci, a citizen of Siena, and found a daughter whose name is
Iuditta, who is around fourteen-years-old and not yet married, and violently
took her and because she did not consent, he started hitting her and eventually
he raped her by force so that he broke her nature. 29 Podestà Petrucci then
went on to say that: It seemed to me that, since I am in this town, for the
honor of your Excellencies first and for my own honor secondly, I had to bring
this shameful case to your attention so that it will not go unpunished.
Petrucci explained how he sent soldiers to Agnolo’s house to arrest him, but the
accused was defended by one of his brothers and other relatives, as well as by
the town’s priors. Because the victim’s father, Giovanni Baptista Tucci, was a
Sienese citizen, Sienese statutes applied and overrode Sarteano’s local customs
and statute (capitoli ). Petrucci thus assumed that he had the authority, as
podestà of Sarteano, to deal with the case, so “In a friendly way, I let the
Priori know that I did not want to bypass their local customs, but I wanted [to
uphold] my honor.” The situation quickly deteriorated and one of Agnolo’s
relatives fired “two rif le shots together with offensive words” against the
podestà. Another relative, Petrucci reports, “told me, answering back, that if
I would have gone to his house, he would have punched not only me, but Christ
himself.”Two days later, Petrucci reported that news of the rape had reached
one of the subordinate judges in his podestarial team, and that this judge,
together with some soldiers, went once again at Agnolo’s house to arrest him.
Agnolo’s uncle, Ser Giovanni di Gabriello, threatened them, saying that if the
judge tried to get in, he would throw bricks or stones at him. In his report to
Siena, Petrucci underlines the fact that “Your Excellencies know that these
actions are done against you, that in this place I am your delegate, and that
in order to preserve your honor I am ready to give my life.” Two days after
this, Cardinal Giovanni Piccolomini, archbishop of Siena, wrote from Rome to
the Sienese Concistoro (the lords and main officers) in support of Ser
Giovanni; perhaps as a way to show that Ser Giovanni enjoyed important
connections and patronage, or perhaps as an attempt to limit more severe
outcomes. “Because they had some other enmities [in town]” cardinal Piccolomini
informed the Concistoro, Ser Giovanni di Gabriello and his relatives did not
recognize, in the darkness of the night, the podestà ’s soldiers and so they
defended themselves. He added that Ser Giovanni “in a good-natured and simple
way used some inappropriate words” without realizing that he was speaking to
the podestà and his soldiers. Cardinal Piccolomini continued that he was
certain that the lords of Siena would recognize “the good faith of this country
town and in particular of the family and household of said Ser Giovanni who
have always been good servants of our city” and suggested that the lords “might
show all possible leniency.” A month later, podestà Petrucci happily wrote:
Magnificent, excellent and powerful lords [. . .] in order to carry
out what your Excellencies have ordered [. . .] I sent for Giovan
Baptista Tucci, his wife, and his daughter on the matter of what Agnolo di
Ipolito had done, and about the marriage that has to be contracted between
them.30 Clearly, the legal solution reached in this case of rape was for the
rapist to marry his victim. The records do not indicate what Iuditta, the
victim, might have thought of such a solution, or even what she felt about the
entire case. There is no trace of her in the reports or the letters. What is ever-present,
instead, is the matter of honor—the honor of Siena, of its magistrates, and
their delegate, of the town of Sarteano and its priors and local statutes; of
Agnolo’s family; of Tucci’s family; and of Iuditta’s own self, which would now
be restored through marriage with her assailant. In all of this, the discourse
is male while the female voice of Iuditta is completely absent.The rape of
young boys Rocco from Campiglia confessed under torture that, while he was at
home eating, a certain Curtio, a little boy around eight years old, entered his
house and asked him for something to eat; the said Rocco grabbed him and laid
him over a table and, having lifted his clothes, put his tail [penis] between
the boy’s butt cheeks with the intention of knowing him carnally.The boy’s
screams stopped Rocco from proceeding any further in the attempted rape. Under
questioning, Rocco admitted that “he did put [his penis] between the boy’s
thighs but then finished the job with his hands.”31 In light of the accusation
and confession, the Captain of Justice in 1571 asked not only that the usual
fine for such sodomitical activities to be levied on Rocco, but also that he be
given jail time on account of “the young age of the boy.” The request for jail
time may point to the Captain of Justice’s understanding of the aggravating
factor in the case (the boy’s tender age) and, perhaps, to his personal
feelings about it, but the bureaucratic language of the report does not allow
us to delve further into the case nor to understand more fully how Rocco
himself might have justified his aggression of Curtio. It does, however, point
to the risks and dangers that came with child poverty (Curtio entered the house
to ask for food) and the opportunistic behavior of men in the grip of sexual
impulses. The charges levelled a few years earlier in 1567 against Giovanni, a
25-yearold man from Sinalunga, “strong and well-shaped,” were many and
varied.32 The records tell that that he was “in jail, indicted for having
carnally known a she-ass and also for having used the nefarious sin [sic] vice
of sodomy.” He was also accused of having sodomized Salvatore, a boy of “around
four or five years of age and of having broken his ass [sic] sex.” Salvatore
was not the only boy Giovanni had attempted to sodomize; he had done the same
to “another little boy [also named Giovanni] of the same age [as Salvatore] or
a little more”, but this boy managed to run away crying. Under “rather rigorous
torture,” Giovanni explained that he had found a she-ass along the way, moved
her off the public road and into a scrub where, he felt the need to mount her
and so, approaching her from the back, he put his member into her nature, but
because she did not stop moving and grazing, after having kept it there for a
little while, he pulled it out and climaxed as he did so. Giovanni also
confessed to having taken little Salvatore to a vineyard where, having lifted
his clothes, he directed his natural member into the boy’s ass [sic] sex, but
because the boy was small he could not insert it more than two fingers, and
because this was hurting the little boy, the boy started to struggle and scream
so Giovanni let him go and climaxed outside, and he did not notice that he had
broken the boy’s sex or caused an effusion of blood. An aunt of the little boy
declared, instead, that when little Salvatore came home “the blood was running
down his thighs and his ass [sic] sex was chapped.” Giovanni justified himself
saying that when they were in a barn he told the child “if you come here, I
will fuck you” and then added that “it is not true that he wanted to sodomize
him.” The records conclude that “in line with the statutesof this city, it does
not look as if Giovanni is subject to capital punishment,” even though blood
had been spilled, “but we could condemn him to the galleys, with the approval”
of the Governor. Aside from the various crimes listed in this deposition
(bestiality, sodomy, child abuse, physical violence causing bleeding), there is
an interesting idiosyncrasy in the records. The notary seems to have had second
thoughts about some of the words he was using and seems to have felt compelled
to attenuate the language; he did so by striking out some words and
substituting them with more neutral, though still very precise, terms. As a
result, “ass” became “sex” and “sin” became “vice.” While the first correction
suggests an attempt to use terminology that is less vulgar or vernacular in
favor of a more technical term, the second suggests the presence of a moral
consideration whereby the Christian concept of “sin” is replaced by the more
secular concept of “vice.” All the previous cases deal with sexual violence in
the countryside or smaller towns in the region. The only case of sexual
violence I have found in the city of Siena itself involved a young apprentice
working in a slaughterhouse in the district of Fontebranda.33 Ascanio accused
the butcher Lando, an associate of his employer Orlando, of having sodomized
him in the slaughterhouse and having beaten him for resisting. Ascanio
explained that it happened “in the workshop when we were going to stretch the
tallow in the workshop dais” (fol. 169v). When Ascanio turned down Lando’s
sexual request, Lando “took me by the arms, tore the lace off my leggings and
lowered them. Then he lowered my head, came into me from behind, and did his
wicked things [ poltronerie] to me, and once he had done them, he punched me
twice in the back.” Ascanio told the court that he informed his employer
Orlando, who in turn informed the shop boys working with Lando as well as other
people. Ascanio’s accusation was, however, undermined by his own admission that
he had already, on several occasions, been the passive partner in same-sex
intercourse with soldiers in Montalcino and with a soldier in Siena in the
service of Cornelio Bentivoglio (fol. 170v). In other words, Ascanio had
previously been sexually active with other men. Perhaps for this reason Lando
did not suspect at first that he had been arrested for having sodomized
Ascanio, but thought, instead, that he had been arrested for having beaten him
(fol. 171r). Questioned on the details of what happened in the slaughterhouse,
Lando reported that perhaps Ascanio had misinterpreted his joking words “what
do you think, come here I want to fuck you.” This led the judge to interrogate
Ascanio once again, this time with his hands tied. The youth once again
declared that “Lando started beating me and wanted to force me and he bent me
over and sodomized me” (fol. 172r), but this time Ascanio added that he did not
resent his having been beaten. Ascanio was then questioned a third time, this
time in front of Lando, who maintained his defensive line saying: “I told him
jokingly ‘come here, I want to fuck you’ because he did not want to come.”
Interrogated again, Lando confirmed “I ordered him to bring the tallow and to
stretch it up, but I did not do anything with him nor with anyone else” (fol.
172v). Ascanio, too, continued to affirm his own version of events pointingout
that this happened not only at Lando’s slaughterhouse, but once also at
Fontebranda (where Ascanio refused to go along with the attempted sodomy). When
Lando kept saying that the accusation was levelled at him because of the
beating he had given Ascanio, the latter asked the judge call other witnesses
saying, “let the shop boys come here and they will tell you what I told you”
(fol. 173r). In the end, Ascanio’s situation became quite complicated as he
paradoxically changed from being the accuser to being the accused. He was
jailed (allegedly on charges of sodomy), but on 25 December, in celebration of
the Nativity, he was pardoned and released “by decree of the lords” (fol.
173r).34 Several factors worked against Ascanio. His position as an apprentice
was perhaps too weak to sustain the charges he levelled against a master butcher
such as Lando, or to raise doubts about the truth of Lando’s deposition. In a
situation such as this, the court seems to have given credence to the more
senior and more socially respectable individual. Similarly, the fact that
Ascanio’s employer failed to support him in his case must have raised
suspicions. Lastly, Ascanio’s admission of having previously engaged in
same-sex intercourse with soldiers both in Siena and in Montalcino worked
against him. Although Ascanio had the courage to denounce a superior for a
sexual crime that was not uncommon, his social status and his previous sexual
encounters with men not only placed his testimony in doubt, but actually served
to find him guilty and put him in jail.The clergy and violence After Siena fell
to Florentine forces in 1555 the Sienese government and part of the Sienese
population moved to Montalcino, a small town about 40 km due south of Siena, in
a last attempt to resist the conquest and preserve the centuriesold republic.
Among the volumes of deliberations that have survived from the “Republic of
Siena retired in Montalcino” (Repubblica di Siena ritirata in Montalcino) there
is the denunciation deposited by Mona Antilia di Andrea, a woman living in
Castelnuovo dell’Abate, in which she asks for justice for her eight-yearold son
who, she reports, has been “damaged” ( guasto) by the French friar Carlo who
worked at the ospedale (hospital or hospice) attached to the Olivetan abbey of
Sant’Antimo, in the plains just below Castelnuovo.35 The Sienese authorities
summoned the friar to appear in court within three days to defend himself
against the accusation that “he had had sodomitical intercourse with the said
young boy and had broken his ass” (“di havere fatto culifragio”). Because the
friar was French, the court decided to inform the French Marshal Blaise de
Lasseran-Massencome, seigneur de Monluc, who had commanded the French troops
during the defense of Siena and had then moved to Montalcino with the Sienese
government and exiles. A week later, Monluc was informed that the friar had
been arrested in Piancastagnaio where the podestà was told to keep the
Frenchman in jail and under close surveillance until further notice. About a
month later, the friar was transferred to the Franciscan convent in Montalcinowhere
the friars were advised of his alleged crime, told to guard him well, and await
further orders. At this point, the documents fall silent and we do not know
what further ensued with Friar Carlo. We are thus left with no information on
what he might have said in his defense, what further evidence the mother and
the boy might have brought into consideration against him, or what
the final verdict might have been. What we do have, however, is the record
of a mother asking for justice against a foreign clergyman who was the subject
of, and possibly defended by, a powerful foreign military figure in the region,
this during a difficult moment in a war that had devastated the countryside and
brought about the near-total collapse of the government and the republic. Civic
and moral regulations were still in effect, but the silence of the incomplete
records and the transfer of the accused friar to another convent, rather than
to a city jail, seem to imply that such regulations had not been strictly
applied and that the friar probably escaped justice. The Sienese government,
whether in exile or not, was not the only jurisdiction to deal with sexual
violence by the clergy. Ecclesiastical courts also dealt with sexual crimes, as
we can see from the records in the fonds of Cause criminali housed at the
Archiepiscopal Archive in Siena.36 The collection includes the precepts, that
is the summons to appear in court, and some of the trial records, but once
again many of the files are incomplete. In fact, in the majority of documents
and final sentences issued by the archbishop’s vicar are missing, so this case
can only be known in its general outlines.Menica and the priest Ser Mauro Criti
One case for which we do have a complete set of documents deals with the
charges levelled against the priest Ser Mauro Criti, rector of Campriano di
Murlo, a hamlet 17 km south of Siena.37 According to the charges brought forth
by the victim’s father, the priest used an excuse to enter the accuser’s house
and, finding the man’s twelve- or thirteen-year-old daughter Menica alone at
home, tried to sweet-talk her by asking her if she wanted him to buy her a pair
of shoes. Aware of the priest’s intentions, Menica responded with “I want God
to give you a misfortune.” Ser Mauro “then reached out for her neck and kissed
her and tried to do something else, but she yelled.” Menica’s shouts were heard
by Laura Pasquinetti, a nine-year-old girl who arrived just in time to see the
priest leave. He pretended to throw some snow against the window, and said to Menica:
“Be quiet, you little beast, I’ll buy you a pair of shoes.” Menica’s father
asked that the priest be justly punished, having damaged both his and his
daughter’s honor, even though he had to admit that “he could not prove the
fact, except as he had told it, because when it happened there was no one else
at home.” Although the evidence came from two under-age girls, Menica and
Laura, the court was nonetheless obliged to pursue the case. A note signed by
FilippoAndreoli, secretary of the Governor of Siena, Federico Barbolano di
Montauto, laid out the guidelines the vicar was to follow: The very reverend
vicar of the most reverend lord archbishop of Siena will make sure that in the
states of His Highness [Duke Cosimo I de’ Medici] crimes committed by priests
will not go unpunished and he will not fail to ensure that both public honesty
and private interest are upheld. With this note, Andreoli was referring to the
1558 Florentine law on sexual violence and Cosimo’s determination that it be
applied evenly and universally. The trial, which lasted almost a year, gathered
testimonies not only from the two girls who had been ocular witnesses, but also
from many other people, and brought to light the fact that the priest was no
saint. At first, the interrogation of Ser Mauro revolved around what he did
that day. His responses claimed that his conduct had not been socially
improper—he said that when he called at the house and realized that no adult
was present he simply went away (fol. 4v). He stubbornly denied having thrown
snow at the window, but admitted to having thrown snow elsewhere that day, as
confirmed by other witnesses. Brought in for questioning once again, this time
with Menica in the room, Ser Mauro reacted with surprise and fear at seeing the
girl (fol. 13r), who accused him without fear (fol. 13v). From the examination
of other witnesses, the vicar learned that Ser Mauro had also been physically
and sexually violent with Caterina, a young girl about fourteen years old,
unmarried, who had been brought up by a certain Bernardino. According to
testimony, Ser Mauro had “misled and kidnaped Caterina [. . .]
brought her to his house, where he kept her for several weeks, raping her and
using her contrary to the law [contra forma iuris]” (fol. 23v). He also sought
to take advantage of Hieronima, the servant of a priest who had previously been
stationed in Campriano. Ser Mauro asked her to wash his clothes in exchange for
his giving lessons to one of her sons and then added that he would “give her more
affection than the other priest”, and this contrary to the law [contra forma
iuris] (fol. 23v). Other witnesses reported that the priest was a confirmed
card player and always had with him a deck of cards “that he says is a present
from a beautiful girl” (fol. 30v). Ser Mauro denied everything, even under
torture, but was found guilty nonetheless and fined 100 lire, removed from his
church in Campriano, and confined in Siena for two years.Filippo and the
presbyter Ser Cristofano Another case heard by the bishop’s court in Grosseto
deals with a mother who brought charges against a priest who had raped her son.
Monna Caterina, a thirty-year-old widow living in Campagnatico, in the
outskirts of Grosseto, reported that the presbyter Ser Cristofano “has raped my
little son Filippo.”38 The narrative she provides illustrates a mother’s care
and a young victim’s shame. “For the past year I have sent my Filippo to his
[Ser Cristofano’s] school andone evening when he came back one I noticed he was
unhappy and very sad.” Caterina asked what was going on, but Filippo refused to
answer. Later that evening, when she was “undressing him to put him in bed, I
saw his shirt very bloody and I asked him what blood was this.” Filippo
confessed that on that day, the priest had called him in his bedroom and had
given him a book and he had approached him and while he pretended to teach him,
he did that horrible thing on the back, and because the little boy yelled, he
hit him few times. Ser Cristofano threatened the boy not to reveal anything to
me nor to someone else and so, “looking carefully at the boy, I saw that he had
hurt him and had broken his ass and so I decided he would not attend school
anymore.” In her testimony, Caterina also reported that she heard that Ser
Cristofano had raped “Monna Lena, a widow at that time” and that rumor went
around the entire countryside that “he torn her behind.” But what troubled
Caterina more was that she and Ser Cristofano were cousins39 —presumably, she
did not understand the reason behind his “bad behavior” against his
twelve-year-old nephew Filippo. When the bishop’s vicar interrogated young
Filippo, the story matched closely with what his mother had reported. Both
accounts pointed to a familiar closeness and confidence that the presbyter had
showered on Filippo in order to sodomize him. Filippo recounted: I know Ser
Cristofano of Ventura, the priest in Campagnatico and my kin, and I attended
his school for a year or perhaps more and one evening, after the other pupils
had left, I remained there to serve him at dinner and after he had dined he
stood up and he went to sit on a chair in his bedroom and he called me. After I
made the bed, we went back and he sat again on the same chair. Then he gave me
an illustrated book and he put me between his legs: he untied my pants and
lifted up my shirt and put his thing into my ass and caused me pain. I started
to scream and asked him to let me go, but he was holding me and he was
thrashing and kept telling me “be quiet, be quiet” and he closed my mouth so I
could not scream and he put his thing into my ass and then he let me go. I went
home and, along the way, I could not walk because he hurt me in the ass and I
was bleeding and I went to bed and my mother saw my shirt and I think she
believed it was scabies because at that time I had it, and then I told her: and
she did not want me to go to school again and I did not go anymore. In response
to a direct question, Filippo answered, “I never saw nor do I know whether Ser
Cristofano did something like this to any other student.”40 Family relation was
the justification Ser Cristofano used to keep Filippo back, have him serve
dinner, and make the bed. Once there, he used the “illustrated book” to entice
the boy enough to sodomize him, counting on the fact that Caterina, as a widow,
did not have a husband to defend the family or take action against the
presbyter, whose social and cultural position in town served, in part, to
protect him.Reading the document with modern eyes, we note Caterina’s maternal
sensitivity: she immediately realized that Filippo was unhappy and hiding
something. Her understanding of her son and her emotional connection with him
were strong and deep. She also had aspirations for her son, enough to send him
to be educated by a learned relative who might open doors in life for the boy.
In spite of this, Caterina was not about to accept her cousin’s violence
against her son and reacted quickly and with determination: “I did not want him
to go to his school anymore” she told the vicar’s notary, and then, perhaps to
temper her rage, added “I consider him [Ser Cristofano] wicked man [tristo]41 because he raped my
little boy Filippo.” Although Filippo was about twelve years old at the time,
Caterina referred to him as a citto (little boy), using a typically vague term
for a child that could be adapted to the legal necessities of the moment—in her
eyes, Filippo was an innocent child and not a possibly compliant youth. In
fact, the records do point to Filippo’s physical weakness and to his inability
to deal forcefully enough with the situation to avoid the rape—caught by
surprise, he reacted strongly and screamed, but to no avail because the
priest’s adult strength, his shutting Filippo’s mouth to prevent the boy from
screaming, and his repeated command to the boy to “be quiet” while he raped him
all contributed to overpower and subdue Filippo. The consequences of the
priest’s violence were not only physical—lacerations, bleeding, pain—but also
psychological—the boy’s depression and silence on his return home. While in
cases of anal rape in Venice, the authorities, already in the fifteenth
century, sought the help of surgeons and barbers to examine and report on the
lesions and physical damage done to the victim’s body,42 this was not the case
in Siena. There is no trace of such provisions in the surviving statutes of the
Sienese barber surgeons’ guild.43 The only reference I have found to an
obligation to report on wounded persons is a decree of February 1556 (reissued
in 1563) signed Governor Ferdinando Barbolani di Montauto, which refers to
wounds in a general way, and not to wounds specifically caused by sexual
violence or sodomy.44 In a case of some years later, a certain Arcangelo
charged the chaplain Ser Andrea with having sodomized his eight-year-old son
Sabbatino, who had been a boarding student in the chaplain’s school, and with
having threatened him (Arcangelo) with a weapon.45 Arcangelo reported that “one
night, while sleeping in bed with Sabbatino, Ser Andrea sodomized him forcibly
and against Sabbatino’s will, so that he broke his ass and then abandoned him.”
As he was being raped, the young boy screamed and was heard by a neighbor. The
physical damage done to Sabbatino was such that he could not walk. Archangelo
heard of this from a local miller who presumably heard the news through the
small talk of the neighbors, and went to the chaplain’s house to get his son
and take him home. A few days later, Arcangelo went to pick Sabbatino’s things,
but the chaplain refused to return them. In front of other people, the chaplain
threatened Arcangelo with a hatchet while “another man who is in his house took
an harquebus.” Ser Andrea’s violent behavior was not limited to
Sabbatino:Arcangelo reported that “he has sodomized four more little boys,”
among them two of the miller’s sons.Conclusion The case studies presented in
this essay point to a much larger corpus of documents dealing with legal cases
against perpetrators of crimes of sexual violence. A first observation we might
draw from the evidence presented is that, ten years after the publication and
implementation of the 1558 Florentine law against sexual violence, cases were
still being handled with leniency towards the accused—at least in Sienese
territory. In spite of mounting evidence that included precise and detailed
information from the victims, supporting evidence from eye-witnesses and other
people, and in spite of the use of torture (in a few cases) to extract further
information or confirm previously given information, alleged culprits seem
generally to have received lenient sentences that spared their life. What is
also striking is that all defendants denied the allegations raised against
them, even under torture. In their defense, the accused used standard diversion
tactics in order to have the case dismissed or the penalty reduced. This
included suggesting that the children’s allegations were reliable because of
their young age, or the fact that the children may have been prompted by others
to say things that were not true, or that they had been instructed on what to
say in order to build a case against the accused. Was this sexual violence
against minors “normal” at the time? To modern eyes, the cases and evidence
presented here may seem extreme and even unbelievable, and some contemporaries
probably felt the same way. Yet, as Ottavia Niccoli reminds us, we must not
imagine a constant in “human nature” that might allow us to apply our criteria,
our sensibility, our perceptions to people who lived five or six hundred years
ago, except in very general terms. The mental frame of our ancestors was, in
fact, and at least under some aspects, very different from ours.46 We can
observe that those mothers, fathers, and relatives who sought justice for their
victimized children did so without fear of the court, or public opinion, or the
bureaucratic lengths of time the process would entail. We can also note how
local communities were not sympathetic towards people in positions of authority
who behaved in improper ways towards the young people they were supposed to educate,
defend, and protect. The Sienese evidence suggest that these cases, unlike
those in Florence or Venice, were not about voluntary choices.47 These were not
cases of same-sex consensual sodomy or prostitution for profit. These were
violent acts perpetrated by men in power over young people who could not defend
themselves. As Patricia Labalme aptly said, “although there is herein much to
pity and much toprotest, this is a story without a moral.”48 The evidence from
the Sienese records points to the same conclusion.Notes 1 Di Simplicio, “La
criminalità.” For the later period, Di Simplicio, Peccato penitenza perdono. 2
For the case of violent behavior in Bologna see Niccoli, Il seme della
violenza. 3 Archivio di Stato di Siena (hereafter ASSi), Guida Inventario, 105,
119–23. 4 Ibid., 105. 5 Cantini, Legislazione Toscana, vol. IV, 120. 6 ASSi,
Guida Inventario, 121. 7 Cantini, Legislazione Toscana, vol. IV, 120. 8 ASSi,
Guida Inventario, 123. 9 Cantini, Legislazione Toscana, vol. IV, 117. 10 For
social aspects, see Rocke, Forbidden Friendships. For statistical aspects, see
Zorzi, “The Judicial System.” 11 Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 76 “De
poena adulterii, stupri et raptus,” 315. 12 Brackett, Criminal Justice, 111. 13
Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 79 “De poena sogdomitarum,” 316. 14
Cantini, Legislazione Toscana, Archivio di Stato di Firenze (hereafter ASFi),
Mediceo del Principato (hereafter MdP) 1869, fol. 13r (February 16, 1559). 17
Giansante, “Camaiani Onofrio.” 18 ASFi, MdP 1869, fol. 27r. 19 It may be
possible that she is “domina Francisca relicta quondam Michelagnoli Iacobi de
Belforte” with whom Terenzio had disagreements for some quantities of wheat,
ASSi, Curia del Placito 750, not foliated (November 4, 1555). 20 He does not
appear in ASSi, Ms A 33, fol. 305r (battezzati), a compilation of baptismal
records from church registers in the Baptistery and civic records in the office
of the Biccherna. 21 ASSi, Ms A 39, fol. 203r (riseduti). 22 ASFi, MdP 1869,
fol. 21bisr. 23 ASSi, Notarile ante cosimiano 99, not foliated. Pietro was also
legum doctor. 24 ASSi, Concistoro 2453 ad datam (April 18, 1554). 25 ASSi,
Capitano di giustizia 645, fols. 17r–19r (August 1570). 26 ASSi, Repubblica di
Siena ritirata in Montalcino 63, passim (1557). 27 ASSi, Biccherna 1127, fol.
24v (1544); ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 94r–v (July 1571). 28 ASSi,
Governatore 436, fol. 86r–v (June 28, 1571). 29 ASSi, Concistoro 2081, not
foliated (March 20–24 1524). 30 ASSi, Concistoro 2080, not foliated (April 26,
1524). 31 ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 78r–v (May 29, 1571). 32 ASSi,
Capitano di giustizia 611, fols. 138v–139r (April 8, 1567). 33 ASSi, Capitano
di giustizia 150, fols. 169v–173r (November 2, 1555). 34 It was common custom
to free some prisoners during the most important religious celebrations. 35
ASSi, Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5, not numbered Archivio
Arcivescovile di Siena (hereafter AASi), L’Archivio Arcivescovile di Siena, ed.
G. Catoni and S. Fineschi (Rome: 1970). 37 AASi, Cause criminali 5509, insert 3
(January 23–December 6, 1569). 38 AASi, Cause criminali 5502, insert 4 (May
5–September 1, 1552). 39 “To me he is a cousin brother” (“a me è fratello
consobrino”), that is, a cousin born to a sister of Caterina’s mother.40 “For a
similar case, see Marcello, “Società maschile e sodomia.” 41 The Treccani
Italian vocabulary defines as tristo a person who has a bad attitude. 42 In
1467 the Council of Ten issued a law that obliged doctors to report “anyone
treated for damages resulting from anal intercourse”; see Ruggiero, The
Boundaries of Eros, 117. 43 ASSi, Arti 37 (1593–1776). 44 ASSi, Statuti di
Siena 64, fol. 72r. 45 AASi, Cause criminali 5504, insert 4 (February 19–March
5, 1559). 46 “Non dobbiamo immaginare una costanza della ‘natura umana’ che ci
consenta di applicare i nostri criteri, la nostra sensibilità, la nostra
attitudine percettiva a chi è vissuto cinque o seicento annifa, se non in
termini generalissimi. L’attrezzatura mentale di quei nostri antenati era
infatti, almeno sotto alcuni aspetti, molto differente dalla nostra.” Niccoli,
Vedere, vii. 47 For Florence, see Rocke, “Il fanciullo” and Rocke, Forbidden
Friendships. For Venice and the Veneto see Ruggiero, The Boundaries of Eros. 48
Labalme, “Sodomy,” 217.Bibliography Archival sources Archivio Arcivescovile di
Siena (AASi) Cause criminali 5502 and 5509 L’Archivio Arcivescovile di Siena.
Edited by G. Catoni and S. Fineschi. Rome: 1970. Archivio di Stato di Firenze
(ASFi) Mediceo del Principato (MdP) 1869 Archivio di Stato di Siena (ASSi) Arti
37 Biccherna 1127 Capitano di giustizia 150, 611, and 645 Cause criminali 5504
Concistoro 2080, 2081, and 2453 Curia del Placito 750 Governatore 436 Guida
Inventario. Rome: 1994. Manuscript A 33 and 39 Notarile ante cosimiano 99
Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5 and 63 Statuti di Siena
64Published sources Ascheri, Mario, ed. L’ultimo statuto della Repubblica di
Siena (1545). Siena: Accademia senese degli Intronati, 1993. Brackett, John K.
Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence, 1537–1609. Cambridge:
Cambridge University Press, 1992. Cantini, Lorenzo. Legislazione Toscana.
Volume 1, 3, and 4. Florence: nella stamperia Albizziniana, 1800. Di Simplicio,
Oscar. “La criminalità a Siena (1561–1808): Problemi di ricerca.” Quaderni
Storici Peccato penitenza perdono, Siena 1575–1800: La formazione della
coscienza nell’Italia moderna. Milan: Franco Angeli, 1994.Giansante, Mirella.
“Camaiani Onofrio.” In Dizionario Biografico degli Italiani 17, 1974. Labalme,
Patricia. “Sodomy and Venetian Justice in the Renaissance.” Tijdschrift voor
Rechtsgeschiedenis Marcello, Luciano.
“Società maschile e sodomia: Dal declino della ‘polis’ al Principato.” Archivio
Storico Italiano 150 (1992), 115–38. Niccoli, Ottavia. Il seme della violenza:
Putti, fanciulli e mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento. Rome-Bari:
Laterza, 1995. ———. Vedere con gli occhi del cuore: Alle origini del potere
delle immagini. Rome-Bari: Laterza, 2011. Rocke, Michael. Forbidden
Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence. New York:
Oxford University Press, 1996. ———. “Il fanciullo e il sodomita: pederastia,
cultura maschile e vita civile nella Firenze del Quattrocento.” In Infanzie:
Funzioni di un gruppo liminale dal mondo classico all’Età moderna. Edited by
Ottavia Niccoli, 210–30. Florence: Ponte alle Grazie, 1993. Ruggiero, Guido.
The Boundaries of Eros: Sex Crimes and Sexuality in Renaissance Venice. Oxford:
Oxford University Press, 1985. Zorzi, Andrea. “The Judicial System in Florence
in the Fourteenth and Fifteenth Centuries.” In Crime, Society and the Law in
Renaissance Italy. Edited by Trevor Dean and K.J.P. Lowe, 40–58. Cambridge:
Cambridge University Press. Residence, community, and the sex trade in early
modern Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas TerpstraEarly seventeenth-century
Bologna was unique for its relatively tolerant legislation on female
prostitution. Rome, Florence, and Venice required meretrici (prostitutes) and
donne inhoneste (dishonest women) to inhabit designated areas and streets.
Romans settled on the large area of Campo Marzio for their residence, Venetians
ordered women to reside in the old medieval civic brothel known as the
Castelletto near the city’s commercial center, the Rialto, and Florentines designated
a few streets located in the poorest areas of each city quarter.1 Segregation
was motivated by concerns about morality as well as the more pragmatic issues
of civic disorder, noise, an policing.
Containment protected sacred spaces and pious inhabitants from the immorality
and disruption of prostitutes and their clients and made it easier for
authorities to locate and arrest violators, thereby increasing order as well as
the fees and fines collected.2 By contrast, Bologna permitted registered prostitutes
to live across the city, and the records of its prostitution magistracy
demonstrates that they did. The extant annual registers from 1583 to 1630
provide a rare opportunity to map where hundreds of registered prostitutes
lived in the city, and to trace individual women’s movements. Only about half
lived on streets with ten or more prostitutes, and very few dwelt on streets
with twenty or more. Consequently, most Bolognese could count prostitutes and
dishonest women as near neighbors, and for many laboring-poor, prostitution and
prostitutes per se were not a serious problem.3 Regulation and enforcement in
Bologna show that secular and religious civic authorities and the general
populace approached prostitution primarily as an issue of economics and public
order, and only secondarily as an issue of morality and public decorum. Due to
the city’s economic reliance on university students, civic authorities had long
regulated prostitution as a commercial issue and prostitutes as fee- and
fine-paying workers governed by a civic magistracy known as the Ufficio delle
Bollette (Office of Receipts). Established in 1376, theBollette registered
“Foreigners, Jews, and Whores” (Forestiere, Hebrei, et Meretrici ). After
having tried civic brothels and sumptuary regulations in the fourteenth and
fifteenth centuries, and residential zones in 1514 and 1525, Bolognese civic
authorities of the later sixteenth century bucked prevailing trends with
comparatively relaxed legislation that underscored the connections between prostitutes,
Jews, and foreigners as coherent communities living and working in the local
body social while remaining legally outside the body politic.4 The Bollette’s
officials and functionaries negotiated between legislation, their own
interests, and the needs of individual prostitutes when enforcing regulation.
The hundreds of women who registered annually as prostitutes were integrated
into local communities through residence and through familial, work, and
affective relationships, and had greater opportunities for agency than broader
cultural, religious, and social ideals would lead us to expect. There were
bumps on the road to this more relaxed regime. In the late 1560s, the
Tridentine reforming Bishop Gabriele Paleotti attempted to separate prostitutes
and other dishonest women from most of Bolognese society through residential
confinement. Citing the desire “to restrain their wickedness and uncontrolled
freedoms of life” and to stop them from polluting others with their “filth,”
Paleotti and the papal legate published three decrees that ordered all
prostitutes, courtesans, and female procurers to live in a handful of specific
city streets. Yet Paleotti was overstepping his jurisdiction. His ambitious
reforms failed within eighteen months, and by 1571 the civic government had
regained exclusive control over regulation.5 It returned to the more tolerant
strategy employed before the bishop’s intervention: all prostitutes and
dishonest women were required to register and purchase moderately priced
licenses from the Bollette, but they were neither required to wear
distinguishing signs nor to live in assigned streets or areas. They were free
to live throughout the city. Scholars of Roman, Venetian, Milanese, and
Florentine prostitution have tracked the contrasts between strict legislation
and lax prosecution. Prostitutes regularly lived outside of designated streets
and areas, sometimes thanks to exemptions sold by the magistrates.6 Yet these
cities kept their stricter legal regimes on the books. What was distinct about
a city that largely abandoned that regime? This essay examines the residential
and social integration of prostitutes in Bologna’s neighborhoods. It first maps
their distribution across the city in order to examine how far residential
“freedom” extended in practice. While about half of registered prostitutes
clustered on sixteen specific streets, the other half lived on eighty-five
other streets with ten or fewer other prostitutes. It then reviews registrants’
sometimes complex and contested relationships with family, clients, lovers,
friends, and neighbors using evidence recorded in the annual registers and
testimonies given to the Bollette’s officials. Most were integrated into local
networks through the familial, affective, and working relationships they had
with other local men and women, and they gave and received support and
companionship. Finally, it examines late sixteenth- and early
seventeenth-century proclamations forbidding prostitutes from residing in
specific city streets. Thesedecrees ref lect the civic government’s pragmatism:
they were issued in response to the specific complaints of powerful convents,
churches, and schools located in areas with large prostitute populations. Trial
records, cultural sources, and recent scholarship on gossip and visibility
shows that most neighbors were aware of what these women did and that they were
not troubled by it. What they did find troubling were the displays of wealth by
individual women, the noise and disorder that some brought to their neighborhoods,
and instances where neighbors lost control over their communities. The Bollette
provided a vehicle for handling these complaints without criminalizing the
prostitutes. Taken together, the residential and legal evidence demonstrates
that prostitutes lived in most workingpoor neighborhoods of early modern
Bologna and that they were largely tolerated as a fact of life.The geography of
early modern Bolognese prostitution The majority of registered prostitutes
lived in the area between the second and third sets of city walls (see Figure
4.1), the “inner suburbs” where the urban poor typically clustered in Italian
cities.7 Only a handful of prostitutes lived near the city center, usually on
short alleys hidden behind larger publicFIGURE 4.1Agostino Carracci, Bononia
docet mater studiorum, 1581.56buildings that had been licensed for prostitution
in earlier centuries.8 The civic brothel noted in the 1462 Bollette regulations
had been immediately south-west of the Piazza Maggiore and civic basilica of
San Petronio, and some prostitutes worked by particular gates and markets, but
from the sixteenth century Bolognese meretrici moved to houses across the
low-rent inner suburbs.9 Table 4.1 charts the number and percentage of
registrants who lived in each quarter in 1584, 1604, and 1624. The quarters
differed in size and population as Figure 4.1 shows, and the larger quarters of
Porta Procola and Porta Piera housed more prostitutes. Few lived by the
north-western city wall in Porta Stiera, which appear on Agostino Carracci’s
1581 map (reproduced here) as dominated by fields.10 The sharp rise and fall in
the number of women registering demonstrate the inconsistencies of early modern
bureaucracy, with total numbers increasing by 327 from 1584 and 1604 (from 284
to 611) and then plummeting by 466 between 1604 and 1624 (from 611 to 165).
Lucia Ferrante has argued that in 1604 the Bollette was operating with unusual
efficiency, and perhaps even over-zealously.11 The f luctuations tell us more
about where the Bollette concentrated its work than about where all the
prostitutes and dishonest women actually lived. Charting residence by quarter
demonstrates that prostitutes spread themselves fairly evenly throughout the
outskirts of the city, and across each quarter. In 1604, registrants lived on
at least 102 streets, yet only eight streets had twenty or more women, and only
eight were home to ten to nineteen women (see Table 4.2). A few streets
housed larger numbers, like Borgo Nuovo di San Felice, in the western quarter
of Stiera by the city wall, and Campo di Bovi, located by the eastern city wall
in the quarter of Porta Piera.12 Women also clustered in the ghetto after the
Jews were expelled from the Papal States for a final time in 1592.TABLE 4.1
Residence of registered prostitutes in Bologna’s quarters1584Porta Piera Porta
Procola Porta Ravennate Porta Stiera Total16041624Number of resident
prostitutesPercent of total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of
total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of total registrants. This
table includes only those women with identifiable addresses. In 1584, this was
88% of all registrants (250 of 284 total registrants), in 1604 it was 91.8%
(561 of 611), and in 1624 it was 92.7% (153 of 165). Sources: Campione delle
Meretrici 1584, 1604, 1624.The sex trade in early modern Bologna 57 TABLE 4.2
Streets with ten or more resident prostitutes in 1604, by quarterQuarter of
Porta PieraQuarter of Porta ProcolaQuarter of Porta StieraCampo di Bovi:
36Senzanome: 36Jewish Ghetto: 21Frassinago: 21Borgo Nuovo di Fondazza: 29 San
Felice: 47 San Felice by the Broccaindosso: 10 gate: 13 Avesella: 10Borgo di S.
Giacomo: 20 Borgo di Santa Caterina di Saragozza: 21 Torleone: 18 Borgo degli
Arienti: 14 Borgo di San Marino: 17 Bràina di stra San Donato: 13 Gattamarza:
13Quarter of Porta RavennateSource: Campione delle Meretrici 1604.This was an
ironic reversal of the situation in Florence, where the ghetto was deliberately
located within the old brothel precinct in 1571.13 In 1604, twentyone women
lived in this area. Most streets in Bologna’s inner suburbs numbered only a few
prostitutes. In 1604, 84 percent (86 of 102) of the streets on which they
registered housed nine or fewer prostitutes, and these women accounted for
almost half of all registrants that year (44 percent). Further, 66 percent (68
of the 102 streets) housed five or fewer. Consequently, many of these women
lived on streets that were not dominated by prostitutes. A typical example of
this is the south-western corner of the city (see Figure 4.2). In 1604, three
of the area’s streets were heavily populated by prostitutes: Senzanome housed
36, Frassinago housed 21, and Borgo di Santa Caterina di Saragozza housed
twenty-one. However, the majority of the neighborhood’s streets had five or
fewer resident prostitutes and dishonest women: five women lived on Altaseda,
four on Nosadella, and three on Capramozza. The surrounding streets of Bocca di
lupo, Belvedere di Saragozza, Borgo Riccio, and Malpertuso had two or fewer. On
these streets prostitutes mixed with day-laborers, artisans, and merchants.
They rented rooms from pork butchers and shoemakers, lived in inns, and resided
next to potters.14 These were their immediate neighbors, separated only by the
porous boundaries of walls, stairways, doorways, and windows where they had
frequent day-to-day interactions.15 Like other working-poor women, they were
not confined to the streets that they lived on, but could and did move through
the surrounding area buying food, engaging in chores, finding work, visiting
friends, and going to the Bollette to buy their licenses.16 As Elizabeth S.
Cohen writes, prostitutes were both “seen and known” in their
neighborhoods.FIGURE 4.2Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum,
1581.Networks, neighborhoods, and communities The Bollette’s records reveal
prostitutes’ affective social and familial circles. Some women were registered
as living in their mother’s, sister’s, and (more rarely) cousin’s homes, while
other women’s female kin, housemates, lovers, and servants bought their
licenses. Notaries did not consistently record such details, making
quantitative analysis difficult.17 While men regularly appear in the registers
paying for licenses, the specifics of their relationships with the women were
almost never recorded. The Bollette’s records, particularly testimonies in
cases of debt against clients and long-term partners, provide rich information
aboutThe sex trade in early modern Bologna 59women’s familial, social, and work
relationships. However, the tribunal devoted more effort to investigating
unregistered women suspected of prostitution, than to the hundreds of women who
had bought licenses. The Bolognese evidence can be placed in the context of
evidence from other northern Italian cities demonstrating how prostitutes were
surrounded by family, housemates, and allies. In early seventeenth century
Venice, three-quarters of 213 prostitutes noted in a census lived with other
people. Most headed their own households, but some were boarders or lived with
their mothers. The majority of those who headed households sheltered dependent
female kin, children, and a variety of unmarried women, including servants and
other prostitutes. A few heads of households (6 percent) lived with men, who
were either their intimates or boarders.18 Roman parish censuses from 1600 to
1621 show similar cohabitation patterns: 47 percent of prostitutes lived with
at least one family member, mostly children but also siblings, nieces and
nephews, and widowed mothers.19 Everyone within the household economy
benefitted from the income and goods earned by these women. Bologna’s registers
give examples of sisters as registered prostitutes, like Dorotea di Savi,
called “Saltamingroppa” (literally “Jump on my behind”) and her sister Benedetta,
who lived together with their servant Gentile on Broccaindosso.20 Similarly,
Margareta and Francesca Trevisana, both nicknamed “La Solfanella” (“The
Matchstick”), lived together on Borgo di Santa Caterina di Saragozza for eight
years. While Francesca registered annually from 1598 to 1605, Margareta did so
only in 1602, 1604, and 1605.21 Before registering, Margareta likely enjoyed
the income that her sister earned through prostitution and may have assisted in
preparing for and entertaining clients. The Bollette suspected that she had,
and so launched an investigation against her when she became pregnant in
1601.22 Mothers and daughters also lived and worked together, like Lucia di
Spoloni and her daughter Francesca, who lived on San Mamolo by the old civic
brothel area, and Anna Spisana and her mother Lucia, who lived together on
Borgo degli Arienti.23 In 1604, Domenica di Loli bought licenses for her
daughters Francesca and Margareta, and all three lived just south of the church
and monastery of San Domenico on Borgo degli Arienti. Francesca had lived on
the street since at least 1600, and while she was no longer registering in
1609, her sister still was. Margareta continued to live on Borgo degli Arienti
until 1614, perhaps with her mother and sister.24 Prostitutes often lived
together in rented rooms, small apartments, and inns. Residential clustering
was not uncommon for unmarried women, who shared the costs of running a
household through lace making, street-peddling, prostitution, and laundering.25
The largest could count as brothels, though there were relatively few of them.
In 1583, twenty-one dishonest women lived in the house of Gradello on Bologna’s
heavily populated Borgo Nuovo di San Felice, by the eastern wall. Yet while
registrations climbed in the 1580s, the group at Gradello’s shrank to fourteen
women in 1584, and eleven in 1588.26 Moreover no other large houses appeared
through this period. In 1604, the street with mostregistrations was Borgo Nuovo
di San Felice, with forty-seven women, and the largest single group was
thirteen who gathered in the house of Lucrezia Basilia, while the rest had five
or fewer.27 On the second and third most populated streets, Campo di Bovi and
Senzanome, no house had more than six registered prostitutes living in it.28
These larger clusters were often inns, where prostitutes benefitted from the
presence of other women and the protection of innkeepers. Inns popular with
prostitutes included those of Matteo the innkeeper (“osto”) on Frassinago and
of Angelo Senso on Pratello. Seven registered women lived at Matteo’s inn in
1589, and ten lived in Angelo’s inn in 1597.29 Few women stayed at inns for
more than a year and most registered without surnames, but instead with
reference to a town, city, or region, like Flaminia from Ancona (“Anconitana”),
Francesca from Fano (“da Fano”), and Ludovica from Modena (“Modenesa”) who
lived at Matteo’s place in 1598. These could have been recent migrants or women
identifying by parents’ origins or using pseudonyms. The inns and brothels
helped them build social networks as they secured places of their own. Yet, it
was more common for women to live with one or two other prostitutes in rented
rooms and small apartments. In 1597, Lucia Colieva lived with Elisabetta di
Negri on Borgo di San Martino, and the following year she joined another
registered prostitute, Vittoria Fiorentina, on Senzanome.30 Similarly, in 1601
Isabella Rosetti, Giulia Bignardina, and Cassandra di Campi all lived together
in Isabella’s home on Frassinago. A year later Giulia had died and Cassandra
was no longer registered.31 For just under ten years, Madonna Ginevra Caretta,
who was unregistered, managed a small apartment where six to eight registered
prostitutes lived.32 Unlike Bologna’s inns and taverns, Ginevra’s household was
mobile, moving across town and back again over the years it operated. In 1588
it was located on Saragozza, in the south-western corner of the city, and the
next year it moved to San Colombano in the northwest quarter of Stiera. At
least one woman, Lena Fiorentina, followed Ginevra to the new street, where she
remained for almost a decade before moving to Paglia.33 A few of the
prostitutes lived with Ginevra for years, like Pelegrina di Tarozzi, who stayed
for four years, and Chiara Mantuana, for three.34 Domenica Cavedagna,
registered for thirteen years (1597–1609), ran a house on Centotrecento and
then on Bràina di stra San Donato.35 Seven other prostitutes lived with her in
1604, and a year later three had left but six new women had moved in. A few
stayed with her for four or five years.36 The Bollette’s registers explain why
some of the women moved out of the homes run by women like Ginevra Caretta and
Domenica Cavedagna. Some entered service (either domestic, sexual, or both)
while others moved to different streets or left Bologna entirely to try their
luck elsewhere.37 While living with other prostitutes could bring economic,
professional, and even personal security, it could also bring personal rifts or
increased attention from the police (sbirri ), who saw these homes as easy
targets for making arrests. Men interacted with registered prostitutes as
occasional clients, long-term amici, absentee husbands, jealous lovers, and as
acquaintances, if not friends.Single women, whether unmarried or widowed, were
financially and socially vulnerable, subject to sexual slander, to charges of
magic and sorcery, and to general suspicion by neighbors and authorities
alike.38 Relationships with men afforded them a degree of protection from the
financial and social marginalization they experienced because of their gender,
economic status, and work, and so women turned to them not just for income and
companionship but also for a measure of protection. The civic government had
always prohibited married women from prostituting themselves, since by doing so
they committed adultery. The 1462 statutes ordered whipping and expulsion for
the women, and fines of 100 lire for officials who looked the other way.39
Women living with husbands could not register with the Bollette, though
abandoned wives sometimes could. Francesca di Galianti claimed in 1604 that her
husband Bartolomeo di Grandi went to war three or four years previously,
leaving her with a three-year-old daughter to feed. She had since given birth
to a daughter with a cloth worker Giovanni, with whom she had been living for
about a year “to make the expenses.”40 For the Bollette, the question of
whether abandoned women like Francesca could and should register was a
practical one since women who registered were women who paid fees. These women
appealed to the sympathy of Bollette officials by claiming that they were
married but had not seen their husbands in many years, leaving unanswered the
question of whether their husbands were alive or dead. This ambiguity about the
ultimate fate of their husbands would have freed them from charges of adultery
at the archbishop’s tribunal (if the husband was alive) while at the same time
freeing them from registration with the Bollette (if he were dead). Francesca
did not state whether she thought her husband was dead or alive, and ultimately
a kinsmen Vincenzo Dainesi swore that he would ensure she left her “wicked
life” (“mala vita”) and take her into his home to live with him and his wife.41
The officials were satisfied with this, and so Francesca remained unfined and
unregistered. In 1586, Vice Legate Domenico Toschi authorized police to seize
“all married women who do not live with their husbands” caught at night in bed
with their lovers (amatiis).42 Archbishop Gabriele Paleotti believed such women
were clearly committing adultery, and Pope Sixtus V’s bull Ad compascendum
(1586) ordered that any married person whose spouse was alive and had sex with
another person—even if they had a separation from an ecclesiastical court —should
be sentenced to death.43 Toschi’s decree was reconfirmed ten years later by the
new vice legate, Annibale Rucellai, and a third time in 1614.44 If a woman
returned to her husband, she was to be immediately deregistered and could not
be allowed to practice prostitution. If she continued, she was no longer under
the Bollette’s jurisdiction, but rather that of the archbishop. Stable
relationships with men, referred to in Bologna as amici, “lovers,” or as amici
fermi, “firm friends,” offered a measure of economic security for prostitutes
by providing money, clothing, and food in varying amounts depending on the
men’s own status.45 When Arsilia Zanetti sued Andrea di Pasulini, notary of
thearchbishop’s tribunal, for compensation for their three-year sexual relationship
(“amicitia carnale”), she noted he had given her three pairs of shoes, a pair
of low-heeled dress slippers, and a few coins (a ducatone, half a scudo, and a
piastra, a Spanish coin).46 Buying the woman’s licenses could also be part of
the arrangement, as Pasulini had also done for Arsilia.47 Even though Bologna’s
monthly rate of five soldi, and annual rate of three lire, was extraordinarily
low—only onefifth of what Florentine prostitutes paid—this was another expense
that women did not have to worry about and suggested commitment on the part of
the men.48 Lovers and friends helped women in their interactions with the law.
The cavalier Aloisio di Rossi had a three-year sexual relationship with
Pantaselia Donina, alias di Salani, and when her landlord complained to the
Bollette that she had not paid the rent, di Rossi acted as her procurator and
ultimately paid the landlord.49 Other prostitutes maintained relationships with
local, low-level arresting officers (sbirri); Elizabeth S. Cohen has uncovered
many relationships between prostitutes and such men, noting that “the two
disparaged professions often struck up alliances in which the women traded sex,
companionship, and information for protection and money.”50 Such partnerships
were not unusual in Bologna. In May 1583, the sbirro Pompilio registered
Francesca Fiorentina as his “woman” (“femina”) and got her a six-month license
for free.51 In 1624 three women registered as living in the “casa” of the
Bollette’s esecutore, Pietro Benazzi, on Borgo di San Martino.52 Pietro
registered Caterina Furlana on January 11, 1624 and paid for her one-month
license. She was subsequently de-registered because “she went to stay in order
to serve Pietro Benazzi.” When Caterina di Rossi moved out of her place on Borgo
degli Arienti and into Pietro’s house, she paid for one month and never
again.53 Though these Bollette functionaries could not keep these women’s names
out of the registers, they could keep them from paying for licenses, even when
they were most likely still living by prostitution, and may have protected them
from harassment by other court officials. Male friends could also be rallied
for support, particularly by women who had lived in one street or area for a
substantial period of time, building reputations and financial and social ties
with their neighbors. When Margareta Trevisana “The Matchstick” (Solfanella)
was investigated by the Bollette in 1601, she had been living on Borgo di Santa
Caterina di Strada Maggiore with her sister for at least eight years. She
confessed that three years earlier she had given birth to the child of Messer
Antonio Simio, a married man.54 The Bollette had investigated her then,
allowing her to remain unregistered on the promise that she would reform her
life and go to live with an honorable woman. In 1601 she was pregnant with the
child of another man and was living with her sister Francesca, a registered
prostitute.55 Margareta produced statements signed by two male neighbors who
described her as a good woman (“donna de bene”) the whole time they had known
her, while her parish curate confirmed that she had confessed and taken
communion the previous Easter.56 On further questioning by the Bollette, the
priest claimed that he had known Margareta for about ten or twelve years,
having first met herwhen he lived in the same house as she and her sister. He
claimed not to know what kind of life Margareta led, but admitted that she
appeared pregnant, and was, as far as he knew, not married. The priest’s
testimony cleared her of charges of adultery, but could not save her from
registration, a three-lire fine, and probation.57 In May 1602, Margareta
produced statements about her “honest life and reputation” provided by two
different neighbors and another curate at Santa Caterina di Saragozza, and her
name was removed from the register.58 Margareta lived on the same street for
ten or twelve years, had relationships with neighbors and housemates, had a
sister with whom she lived, and was able to rally four male neighbors and two
parish priests to support her. She and others moved amongst family, friends,
long-term lovers, and occasional clients, building relationships on reciprocal,
if uneven, bonds of financial, emotional, and legal support and protection.
They were not just physically a part of Bologna’s working-poor neighborhoods,
but also socially and affectively integrated into their communities.Bad
neighbors While Bolognese civic law tolerated prostitution and permitted
prostitutes to reside throughout the city, public disorder was always a
concern. Decrees published by the Bolognese legate, at the request of convents,
churches, confraternities, and schools, frequently lamented the dishonest words
and daily and nightly reveling by prostitutes and other disreputable people.59
Men socialized in prostitutes’ homes, eating, making music, and talking.60
While some parties remained relatively quiet, others filled the neighborhood
with winefueled singing, laughing, and the sounds of dancing and of fights over
games of chance. The noise was intrusive, disruptive, and alarming: blasphemous
words, violent acts, and sexual slander carried through windows, over walls,
and into streets, squares, and other residences. Broadsheets illustrating
prostitutes’ lifecycles usually included knife fights by men who discovered
that “their” woman had another lover.61 Barking dogs, brawling men, and
screaming women heard through f limsy walls and open windows added to the noise
of crowded squares, laneways, and streets.62 Men also fought in doorways and on
streets in full sight and hearing of neighbors. To reduce these disturbances,
Papal Legate Bendedetto Giustiniani forbade prostitutes from throwing parties (
festini ) or “making merry” (trebbi ) in the homes of honest people, or even
from eating or drinking in taverns and inns. Other decrees forbade games of
chance and betting, like dice and cards.63 Lawmakers recognized that it was
less the prostitutes than the men with them who were the problem. In 1602
prostitutes were forbidden from travelling through the city at night with more
than three men, under fine of 100 scudi for the men and whipping for the
women.64 Eight years later, Legate Giustiniani forbade prostitutes from going
through the city at night with any men, under penalty of whipping for both the
men and the prostitutes.65Enclosed communities of male and female religious
frequently complained about the noise of prostitution. Bolognese authorities
attempted general exclusionary zones around convents in the 1560s without
success and so moved to proclamations expelling prostitutes and other
disreputable people from specific streets; this was similar to Florence, where
the streets designated for prostitution were de facto exclusionary zones around
most convents.66 Between 1571 and 1630, at least fifty proclamations cleared
twenty-five distinct streets in Bologna, about one-quarter of all the streets
inhabited by prostitutes in 1604. Most proclamations concerned eight specific
convents on the city’s outskirts, though a few male enclosures were also
protected.67 All either had elite connections or were newly built, and most
were near streets heavily populated by prostitutes. In 1603 Vice Legate
Marsilio Landriani forbade all prostitutes, procurers, and other dishonest
women from living on a cluster of streets bordering the Poor Clares’ house of
Corpus Domini, established in 1456 by S. Caterina de’ Vigri, and the Dominican
convent of Sant’Agnese (est. 1223), one of the city’s richest and most
prestigious convents with over 100 nuns.68 Landriani’s proclamation stated that
the nuns were greatly disturbed and scandalized by the daily and nightly
reveling of prostitutes, procurers, and other disreputable people, the
“dishonest” words that they spoke, and the wicked examples they posed.69
Prostitutes had just over a month to move out, and those found there after the
deadline would be publicly whipped, while their landlords would be fined fifty
gold scudi and lose their outstanding rents.70 Yet few prostitutes were
actually registered on these streets.71 While registrations generally dropped
dramatically in the 1610s and 1620s, these streets declined the most, with only
two prostitutes remaining by 1614.72 In 1622, the expulsion was repeated almost
verbatim with the addition of two neighboring streets that housed a handful of
prostitutes; none remained by 1624.73 Concerns about pollution continued,
particularly around shrines. The confraternal shrine of the Madonna della Neve
was built in 1479 to shelter a miraculous image of the Virgin on the street
Senzanome at the south-western corner of the city.74 Senzanome had twenty-three
registered prostitutes in 1594, thirty-six in 1604, and thirty-five in 1609.
Yelling, singing, mocking, and jesting disturbed the peace, interrupted the
Mass and other divine offices, and forced young, unmarried girls and
respectable residents to hide in their houses. Confraternal brothers repeatedly
complained to the legate about the noise of Senzanome’s prostitutes and other
“people who have little fear of God and his most holy mother.” 75 Between 1587
and 1621 four proclamations expelled dishonest people and prostitutes from
Senzanome and around Santa Maria della Neve.76 One of 1608 threatened women
caught residing or lingering in the street with a fine of ten scudi the first
time, and expulsion the second time.77 Men could be fined ten scudi the first
time, and another ten scudi and three lashes the second time. This proclamation
even named three specific women, Giulia da Gesso, Doralice Moroni, and Ludovica
Giudi, “as well as every other meretrice.” 78 A year later all three of these
women were still living on Senzanome, with Doralice Moroni registeredin the
house of the priest Campanino and Giulia da Gesso in the house of a priest of
San Niccolo.79 Moreover, they shared the street with thirty-five other
registered prostitutes. Yet the prostitutes gradually did move away, and in
1614 and 1624, only two women registered on Senzanome.80 The Legate’s 1621
decree ordered dishonorable people living on Senzanome to move to Frassinago,
to Borgo Novo, or to “another street appointed to similar people” where there
were no convents, churches, or oratories.81 Neighbors had direct, day-to-day
contact with prostitutes and knew details about their lives. Gossip—the sharing
of local and extra local information— typified neighborhoods and formed the
basis of community self-regulation.82 People constantly watched and listened to
their neighbors from the streets, in doorways, through windows, on balconies,
and through f limsy walls.83 Early modern prostitution was public and visible.
Michel de Montaigne remarked that prostitutes sat at their widows and leaned
out of them, while others observed that the women promenaded proudly through
the streets.84 In his Piazza universale di tutte le professioni del mondo
(1616), Tommaso Garzoni described how prostitutes worked to catch men’s eyes
while sitting at their widows, gesturing and bantering with them.85 Some called
attention to themselves by wearing brightly colored gowns with ostentatious
decorations and jewels on their fingers and at their necks.86 Contemporary
Italian broadsheets depict women sitting at their widows and in their doorways
while older women act as go-betweens.87 Bollette testimonies show that
Bolognese knew a great deal about the prostitutes who were their neighbors.
Witnesses often claimed that they had seen women going through the streets or
into buildings and apartments with men. In 1601, Caterina Marema told that when
she lived in the same casa as Lucrezia Buonacasa, she frequently saw the tailor
Gian Domenico Sesto come to stay and sleep with her.88 Others saw more intimate
behavior, like Bartolomea, daughter of Antonio di Miani, who claimed that she
knew her neighbors Margareta and Cornelia were “meretrici” because she saw them
laughing, dancing, embracing, and kissing men. She also heard that they went to
register with the Bollette.89 Still others testified more simply that “everyone
in the neighborhood considers her to be a whore,” or, “everyone says that she
is his whore.” Finally, some men talked with each other about their sexual
relationships with women. Silvio, son of Rodrigo di Manedini, claimed that over
the previous three years his friend Tarquino, a sbirro, told him repeatedly
that he was “screwing” (chiavava) Lucrezia Buonacasa.90 In this case, Silvio
claimed also to have first-hand knowledge of their relationship: he said that
he had seen the two in bed together at Lucrezia’s house on via Paradiso and at
the watch house of the sbirri. In a close knit, intensely local world like
this, prostitutes and dishonest women would have been hard-pressed to keep
their relationships and work a secret. In pragmatic terms, some women may not
have wanted to keep their work a secret: gossip and visibility acted as
advertisement and could attract better clients. Local knowledge of women’s
attachments to men might also earn them a measure of respect, even if only
while the relationship continued, especially ifthe man was honored locally
because of his wealth or status. These relationships could bring a sort of social
protection. Whether or not women or their clients and lovers made spectacles of
themselves, prostitution was both seen and known. Most working-poor people were
not overly scandalized by the fact that their neighbors lived by prostitution,
or perhaps they had resigned themselves to living amongst them. No evidence has
come to light that working-poor women and men made a concerted effort to drive
prostitutes and dishonest women as a group out of their neighborhoods. Most
streets on which registered prostitutes lived housed ten or fewer such women,
and prostitutes may have been quieter and less given to overt public display,
since they did not have to compete with each other for the attention of the men
and youths who came in search of their services. With fewer women there was
less of the serenading, violence, and harassment by rowdy students and drunken
men that offended neighbors, and less attention from patrolling officers
looking to fill their purses with rewards for arrests.91 Tessa Storey has argued
that as long as Roman prostitutes maintained local order and the appearance of
respectability, neighbors did not see them as an exceptional problem. A few
written complaints requesting the eviction of specific prostitutes from their
streets identified only the most scandalous and the loudest, on grounds that
they posed bad examples by “touching men’s shameful parts and doing other
extremely dishonest acts” in the streets.92 Those who were well behaved—and
these were actually listed by name—were welcome to stay provided that they
continued to behave. Working-poor neighbors who found the women’s work immoral
or offensive or their noise and disorder overwhelming could move to one of the
100 or so other city streets that were not heavily populated by prostitutes.
Even in 1604, the year when the highest number of prostitutes and dishonest
women registered with the Bollette, only sixteen streets had ten or more
registrants living on them, and only eight had more than twenty. At least half
of all Bolognese prostitutes were more widely dispersed through the city, and
this may explain why we see no concerted efforts to dispel them as a group.
Beyond this, it became increasingly difficult to successfully prosecute
violations like adultery or the lack of license. A 1586 order from the vice
legate to the Bollette’s officials suggested that small-scale rivalries were
behind too many frivolous denunciations. Henceforth, unless a woman was found
in flagrante with a man, the testimonies of two neighbors of good repute and the
local parish priest would be required in order to find her guilty.93Conclusion
For many working-poor Bolognese men and women, living amongst prostitutes was a
fact of life. Whether they respected these neighbors or not, they learned to
live with them. Prostitutes and dishonest women had their places in the local
kinship, social, and economic networks of their neighborhoodsand the larger
city. This is not to say that they were not mocked, or that those who treated
them with courtesy fully respected them. Yet while some prostitutes annoyed,
overwhelmed, and frightened some neighbors with their noise, scandal, and
violence, they were also the sisters, mothers, lovers, and friends of many
others. Elizabeth S. Cohen has argued that “[prostitute’s] presence corresponded
to an intricate engagement in the social networks of daily life. In practice,
if not in theory, the prostitutes occupied an ambiguous centrality.”94 Tessa
Storey suggests that restrictive legislation, especially residential
confinement, elicited sympathy from Romans, who were not overly concerned about
the immorality of prostitution.95 This was also true in Bologna, where
prostitutes were far more widely distributed across the entire city. Religious
authorities like Gabriele Paleotti found them immoral and disruptive, posing
bad examples and needing to be separated and marginalized. Yet civic
authorities and most lay people appear to have held more nuanced attitudes,
engaging prostitutes in the body social and using bureaucratic registration to
mediate their place in the body politic. The sources generated by the Ufficio
delle Bollette in the later sixteenth and early seventeenth centuries reveal
these women operating within networks of sociability, work, and family. They
demonstrate women who fit within their communities, more uneasily at sometimes
than others, and who both gave and received the resources of support,
companionship, and security that characterized the community-centered world of
early modern Italy.Notes 1 Cohen, “Seen and Known,” 402. Hacke, Women, Sex, and
Marriage, 179. Brackett, “The Florentine Onestà,” 291–92 and 296. Terpstra,
“Locating the Sex Trade,” 108–24. 2 Brackett, “The Florentine Onestà,” 290–91
and 295; Cohen, “Seen and Known,” 404– 05; Storey, Carnal Commerce, 70–94;
Ruggiero, Binding Passions, 48–49. 3 For expanded analysis and archival
documentation, see: McCarthy, “Prostitution.” 4 Biblioteca Universitaria
Bologna (hereafter BUB), ms. 373, n. 3C, 151v–152v. Terpstra, Cultures of
Charity, 205–06, 329. McCarthy, “Prostitution, Community, and Civic
Regulation,” 40, 54–61. 5 Archivio di Stato di Bologna (hereafter ASB), Boschi,
b. 541, fol. 170v, “Bando sopra le meretrici et riforma de gli altri bandi
sopra a cio fatti” (January 31 and February 1, 1568). For more on this episode
and the gendered politics of social welfare reform in sixteenthcentury Bologna:
Terpstra, Cultures of Charity, 19–54, 206–07. For the comparatively loose
regime in the Convertite: Monson, Habitual Offenders. 6 Cohen, “Seen and
Known,” 403 and 405–08; Ruggiero, Binding Passions, 49; Brackett, “The
Florentine Onestà,” 292. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 116-21. 7 Miller,
Renaissance Bologna, 16–17. Terpstra, “Sex and the Sacred.” 8 For example,
Isotta Boninsegna and Giovanna di Martini. In 1604 Polonia, daughter or widow
of Domenico Galina of Modena lived on Simia, while in 1614 Maria Roversi did,
and in 1630 Domenica Borgonzona lived there. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–
1796, Campione delle Meretrici (hereafter C de M) 1584, [np] “I” and “G” sections;
1604, [np] “P” section; 1614, 190; 1630, [np] “D” section. 9 This street was
called variously the “via stufa della Scimmia,” the “postribolo,” or “lupanare
Nuovo,” as well as the Corte dei Bulgari. Fanti, Le vie, vol. 2, 516–17.
McCarthy, “Prostitution,” 20–67.10 Biblioteca Comunale di Bologna (hereafter
BCB), Gabinetto disegni e stampe, “Raccolta piante e vedute della città di
Bologna,” port. 1, n. 14. mappe/14/library.html 11 Ferrante, “‘Pro
mercede carnale,’” 48. 12 Borgo Nuovo di San Felice was one of the streets that
Bishop Gabriele Paleotti had ordered prostitutes to live in. ASB, Boschi, b.
541, fols. 170r–171v, “Bando sopra le meretrici” (January 31 and February 1,
1568). Zanti, Nomi, 16. 13 Muzzarelli, “Ebrei a Bologna,” 862–70. 14 Francesca Ballerina
rented from Giacomo the pork butcher (lardarolo) on Frassinago. Giacoma di
Ferrari da Reggio, Ursina de Bertini, and Lucrezia di Grandi all lived in the
house of Giovanni Pietro the shoemaker (calzolario) on Senzanome. Lucia
Tagliarini lived on Frassinago in the inn of Zanino. Giovanna Querzola, alias
Stuarola, lived on Nosadella between the potter (pignataro) and the shoemaker
(calzolaro). C de M 1604, [np] “F”, “I”, “V”, “L”, “T”, and “G” sections,
respectively. 15 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” especially 64 and 68–69. 16
Chojnacka, Working Women; Cohen, “To Pray.” 17 For instance, in 1604, 611 women
registered and only eleven mothers and four sisters were recorded as purchasing
licenses for their kin. McCarthy, “Prostitution,” 220–21. 18 Of the 213
prostitutes who appeared in the censuses, one-third had children. Chojnacka,
Working Women, 22–24. 19 Storey, Carnal Commerce, 128–29. On widowed mothers,
114. 20 Benedetta was listed as “sorella di Saltamingroppa.” C de M 1604, [np]
“B” and “D” sections. 21 C de M 1605, 175. For Francesca, see C de M 1598, 56;
1599, 49; 1600, 68; 1601, 60; 1602, 72; 1603, 72; 1604, [np] “F” section; 1605,
86. For Margareta, see C de M 1602, 201; 1604, [np] “F” section; 1605, 175. In
1605, Margareta was deregistered when she began working as a wet nurse for the
Ercolani, a senatorial family. As the register reads: “Sta per balia del 40
Hercolani.” 22 C de M 1601, 140. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Inventionum 1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601). 23 C de M 1584, [np] “L”
section. Both were registered under Lucia’s name. C de M 1624, [np] “A” and “L”
sections. 24 C de M 1600, 73; 1604, [np] “F” and “M” sections; 1609, 171; 1614,
172. Domenica was not registered. 25 Hufton, “Women without Men.” Chojnacka,
Working Women, 18–19. Cohen, “Seen and Known,” 406. 26 C de M 1584 and 1588. 27
Of those who registered, almost all gave their street and residence (44 of 47).
For names of co-habitants: McCarthy, “Prostitution, Community, and Civic
Regulation,” 224–25. 28 A total of twenty-seven (75 percent) of the thirty-six
women who lived on Campo di Bovi identified their homes: five lived in the
“casa” of Messer Filippo Scranaro, and the rest lived with two or fewer other
prostitutes. A total of thirty (87 percent) of the thirtyfive women who
registered on Senzanome identified their homes: six lived in the “casa” of
Giulia di Sarti, called l’Orba (the Blind), who was not registered, and four
lived in the “casa” of Giovanni Pietro the shoemaker. Otherwise, all the rest
lived with two or fewer other prostitutes. C de M 1604. 29 C de M 1589 and
1597. 30 C de M 1597, 61 and 86 respectively; C de M 1598, 95 and 142
respectively. 31 C de M 1601, 99, 78, and 176 respectively. 32 This was between
1588 and 1597. Ginevra registered once, in January 1588, when she paid for a
one-month license. C de M 1588, [np] “G” section. In 1588, six registered
prostitutes lived with her, in 1589 seven did, and in 1594 and 1597 eight did.
C de M 1588; 1589; 1594; 1597. 33 C d M 1589, [np] “L” section; 1594, [np] “L”
section. C de M 1599, 28. Ginevra was still there in 1601, when Margareta
Tinarolla lived in her home. See C de M 1601, 130.34 C de M 1594, [np] “P”
section; 1597, [np] “P” section. C de M 1597, [np] “C” section; C de M 1599,
28. 35 For her first registration, see C de M 1597, [np] “D” section. 36 Eg.,
Gentile di Sarti, C de M 1601, 79; 1605, 100, and Domenica Fioresa, C de M
1604, [np] “E” section; 1609, 66–67. 37 Lucia Fiorentina left Ginevra’s to
serve in the house of a local scholar (“Signor Dottore”). C de M 1589, [np] “L”
section. Diana di Sacchi Romana lived in Ginevra’s casa in January 1594, but
moved twice more that year, to Borgo Polese and then to Altaseda. C de M 1594,
[np] “D” section. C de M 1594, [np] “L” section, Lucia Fiorentina. It is
unclear but possible that this was the same Lucia who entered service in 1589.
38 Chojnacka, “Early Modern Venice,” especially 217 and 225. McCarthy,
“Prostitution,” 253–314. 39 See ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei
Forestieri, Scritture Diverse, busta 1, “Statuti,” [np] fol. 8r. 40 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549-1796, Filza 1604, [np] “Die 21 May 1604,” fol. 1r.
41 Vincenzo is described as Francesca’s “cognatus.” Ibid., fol. 1r–v. 42 This
permission was copied into the 1586 register and the 1462 illuminated statutes:
C de M 1586, [np] “Z” section (28 June 1586); ASB, Ufficio delle Bollette e
Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64, 28. 43
For Paleotti’s reaction, see BUB, ms. 89, fasc. 2, Constitutiones conclilii
provincialis Bonon. 1586, fol. 95v, cited in Ferrante, “La sessualità,” 993. 44
ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Decreto d[e]lle
bolette” (November 20, 1596); Filza 1614, [np] “Dalla letura delli statuti si
cava che le Donne di vita inhonesta si possono descrivere nel campione in 4
modi” (undated). 45 John Florio defines “amico” as “a friend, also a lover.”
Florio, Queen Anna’s, 24. See also Cohen, “Camilla la Magra.” 46 The suit was
brought to the Bollette. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601,
[np] “Arsilia Zanetti” (November 12, 1601). For a detailed study of Bolognese
registered prostitutes who took clients to the Bollette’s tribunal for debt,
see Ferrante, “‘Pro mercede carnale.’” 47 Pasulini bought her two six-month
licenses in July 1598 and January 1601. Arsilia’s son, Giovanni Battista, paid
for the other months. C de M 1598, 48; 1599, 3; 1600, 4; 1601, 4. 48 Archivio
di Stato di Firenze (hereafter ASF), Onestà, ms 1, ff. 27r–31v. Terpstra, “Sex
and the Sacred,” 77. 49 Ludovico Pizzoli, the Bollette’s esecutore, claimed
that for three years Rossi had purchased her licenses because he was having a
continuous sexual relationship with her even while she was having sex with
other men: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1606, “Cont[ra]
Pantaselia Donina[m] al[ia]s de Salanis” (August 19, 1605), fol. 1r. John
Florio defines “amicítia” as “amity, freindship [sic], good will.” Florio,
Queen Anna’s¸ 24. The Bollette’s 1602 register confirms that Rossi paid for her
licenses in person as well as giving money to Pizzoli to pay on his behalf. C
de M 1601, 160; 1602, 154; 1603, 170. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Filza 1601, “Molto Ill[ust]re et Ecc[ellen]te Sig[no] re” (May 14, 1601). 50
Cohen, “Balk Talk,” 101. 51 The record in the register does not say why it was
given for free, only that Pomilio “solvet nihil.” C de M 1583, [np] “F”
section. 52 These were Angelica Bellini, Caterina Furlana, and Caterina di
Rossi. C de M, 1624, [np] “A” and “C” sections. 53 Both in Ibid., [np] “C”
section. 54 This was according to the curate of her parish church. ASB, Ufficio
delle Bollette 1549– 1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (June 20, 1601;
July 2, 1601). For her sister Francesca’s registrations: C de M 1598, 56; 1599,
49; 1600, 68; 1601, 60. 55 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum
1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601) and fol. 20r–v (June 30, 1601).56 ASB,
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Malg[are]ta Sulfanela”
(June 27, 1601). 57 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601,
[np] fols. 20v–21v (July 2, 1601). 58 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796,
Filza 1603, [np] (26 June 1602). C de M 1602, 21. The Convertite confirmed this
removal: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] untitled
(October 12, 1602). 59 See, for instance, BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r,
untitled, begins “Non essendo conveniente che presso li Monasteri j di Monache”
(March 24, 1603). McCarthy, “Prostitution,” 131–97 60 Cohen, “‘Courtesans,’”
202. 61 “Vita et fine miserabile delle meretrici” (“Life and Miserable End of
Prostitutes”), ca. 1600, in Kunzle, History of the Comic Strip, 275. Giuseppe
Maria Mitelli, “La vita infelice della meretrice compartita ne dodeci mesi
dell’anno lunario che non falla dato in luce da Veridico astrologo” (1692),
Museo della Città di Bologna, 2470 (re 1/425). 62 Cohen, “Honor and Gender,”
especially 600–01. Terpstra, “Sex and the Sacred,” 71, 79–80. 63 ASB,
Assunteria di Sanità, Bandi (XVI–1792), Bandi Bolognesi sopra la peste, 45,
“Bandi Generali del Ill[ustrissimo] et Reverendiss[i]mo Monsignor Fabio Mirto
Arcivescovo di Nazarette Governatore di Bologna,” (February 17, 18, and 19,
1575), fol. 2v; BCB, Bandi Merlani, V, fol. 64r, “Bando Sopr’al gioco, &
Biscazze, alli balli nell’Hosterie, & che le Donne meretrici non vadano
vestite da huomo” (December 9, 1602). 64 Ibid. 65 Thomas Fisher Rare Book
Library (hereafter Fisher), B-11 04425, “Bando generale dell’Illustrissimo,
& Reverendissimo Sig. Benedetto Card. Giustiniano Legato di Bologna” (June
23 and 24, 1610), “Delle Meretrici. Ca XXVIII,” 60–61. 66 In 1565, Governor
Francesco de’Grassi set the exclusionary zone at 30 pertiche (approximately 114
meters), while in 1566 Francesco Bossi extended the zone to 50 pertiche (190
meters). See Martini, Manuale di metrologia, 92. ASB, Legato, Bandi speciali,
vol. 3, fol. 16r (February 1, 1565); ASB, Boschi, b. 541 (February 1 and
8, 1566), fol. 115r. Florence reduced its exclusionary zone from 175 to 60 meters
in this time (i.e., from 300 braccia to 100): ASF, Acquisti e Doni 291, “Onestà
e Meretrici” (May 6, 1561). Terpstra, “Sex and the Sacred,” 78–79. 67 These
convents were San Bernardino, Santa Caterina in Strada Maggiore, San Guglielmo,
San Leonardo, San Ludovico, Santa Cristina, San Bernardo, Corpus Domini, and
Sant’Agnese. Proclamations also protected the new monastery of San Giorgio, the
Benedictine monastery of San Procolo, the college of the Hungarians, the
Jesuits and their school, the new church of Santa Maria Mascarella, and the
shrine of the Madonna della Neve. McCarthy, “Prostitution,” 131–97. 68 Zarri,
“I monasteri femminili,” 166, 177. Johnson, Monastic Women, 235–37. Fini,
Bologna sacra, 14. 69 BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non
essendo conveniente che presso li Monasterij di Monache” (March 24, 1603). 70
One-third of each fine was to go to the accuser, one-third to the city
treasury, and onethird to the esecutore. 71 In 1601, one woman registered on
Bocca di lupo, two on Capramozza, and four on Belvedere di Saragozza. In 1604,
one registered on Bocca di lupo, three on Capramozza, and one on Belvedere di
Saragozza. C de M 1601 and 1604. One of the women who lived on Belvedere in
1601 continued to do so in 1604, while another had moved three blocks west to
Senzanome, and a third had moved across town to Campo di Bovi by the
north-eastern wall. These were Vittoria Pellizani, Gentile di Parigi, and
Angela Amadesi, called “La Zoppina.” For Vittoria: C de M 1601, 204 and 1604,
[np] “V” section. For Gentile: C de M 1601, 74 and 1604, [np] “G” section. For
Angela: C de M 1601, 136 and 1604, [np] “A” section. 72 These were Camilla di
Fiorentini, who lived in the house of Caterina the widow, and Cecilia Baliera.
C de M 1614, 288 and 39 respectively.73 See BCB, Bandi Merlani, XI, fol. 28r,
untitled, begins “Non essendo conveniente, che appresso li Monasterij di
Monache” (January 18, 1622). In 1624, four women lived on Altaseta and none on
Mussolina. 74 Guidicini, Cose notabili, vol. III, 179–80 and volume III,
346–50. 75 The proclamation clearly states that the order was made at the
insistence of the “Huomini della Madonna dalla Neve, Confraternità di essa, e
persone honeste di detta strada.” BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r (August 20, 1621).
76 These were published in 1587, 1602, 1608, and 1621. BCB, Bandi Merlani, I,
fol. 449r, untitled, begins “Devieto di affitare a persone disoneste nella
contrada di S. Maria della Neve” (April 26, 1587); ASB, Legato, Bandi speciali,
vol. 15, fol. 198r, untitled, begins “Essendo la Contrada di Santa Maria dalla
Neve sempre stata Contrada quieta” (January 31, 1602); ASB, Legato, Bandi
speciali, vol. 17, fol. 225r, untitled, begins “Havendo l’Illustriss[im]e
Reverendiss[ime] Sig[nor] Car[dinal] di Bologna pien notitia” (June 6, 1608);
BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le Meretrici, & Persone
inhoneste” (August 20, 1621). 77 “non possa, ne possano, ne debbano sotto qual
si vogli pretesto, a quesito colore fermarsi, o star ferme per detta strada,
sotto il portico, suso il lor’uscio, o d’altri, o suso l’uscio dell’ Hostarie.”
ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6, 1608). 78 “comanda
espressamente all GIULIA da Gesso, all DORALICE Moroni, alla LUDOVICA Guidi,
& ad ogn’altra MERETRICE [sic].” ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol.
225r (June 6, 1608). 79 C de M 1609, 73, 121, and 151, respectively. 80 These
were Agata Martelli, alias Bagni, from Castel San Pietro and Lena di Stefani
who lived in the casa of Messer Domenico Bonhuomo. C de M 1614, 19 and 1624,
[np] “L” section. 81 BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le
Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). Though Savelli did not
specify which “Borgo Nuovo” they should move to, in all likelihood he meant
Borgo Nuovo di stra Maggiore, which had no convents or churches on it. 82 Cohen
and Cohen, “Open and Shut,” 67–68. 83 Cowan, “Gossip,” 314–16; Cohen and Cohen,
“Open and Shut,” 68–69. 84 Cohen, “‘Courtesans,’” 204–05; Cohen, “Seen and
Known,” 396–97. In a later article Cohen argues that “[t]hough typically
noisier and more abrasive than feminine ideals would dictate, much of
prostitutes’ street behavior was not radically distinct; rather it fell toward
one end on a spectrum of working class practices.” Cohen, “To Pray,” 310. 85
Tommaso Garzoni, Piazza universale di tutte le professioni del mondo,
nuovamente ristampata & posta in luce, da Thomaso Garzoni da Bagnacavallo
(Venice: Appresso l’Herede di Gio. Battista Somasco, 1593), 598. Available
online from the Università degli Studi di Torino OPAL Libri Antichi internet
archive GIII446MiscellaneaOpal, cited in
Cohen, “Seen and Known,” 397, n. 18. 86 Ibid., especially 396–97 and 399;
Storey, Carnal Commerce, 172–75. 87 “Mirror of the Harlot’s Fate,” ca. 1657,
reproduced on 278–79 in Kunzle, History of the Comic Strip: Volume 1 and Storey
Carnal Commerce, 37. Vita del lascivo (“The Life of the Rake”), ca. 1660s,
Venice, reproduced on 39–44 of Storey, Carnal Commerce. 88 ASB, Ufficio delle
Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] January 22, 1601. 89 Ibid., [np]
July 23, 1601. 90 Ibid., [np] January 22, 1601. John Florio defines “chiavare”
as “to locke with a key. Also to transome, but now a daies abusively used for
Fottere.” He defines “fottere” as “to jape, to flucke, to sard, to swive,” and
“fottente” as “fucking, swiving, sarding.” Florio, Queen Anna’s, 97 and 194,
respectively. 91 On the attraction of lawmen to streets known for prostitution,
gambling, and drinking: Cohen, “To Pray,” 303; Storey, Carnal Commerce, 99–100.
92 The complainants referred to themselves as honorati and gentilhuomini,
curiali principali, and artegiani buoni e da bene. Storey, Carnal Commerce, 91,
n. 103. She dates the two letters from 1601 and 1624.93 For the vice legate’s
order, as transcribed into the 1586 register: C de M 1586, [np], untitled,
begins “Ill[ustrissim]us et R[everendissi]mus D[ominus] Bononorum Vicelegatus
in eius Camera” (June 28, 1586). 94 Cohen, “Seen and Known,” 409. 95 Storey,
Carnal Commerce, 1–2.Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Bologna
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Meretrici 1600, 1601, 1602, 1603, 1604, 1605, 1609, 1614, 1624, and 1630
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filze 1601, 1603, 1604, 1606, and 1614
Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601 Ufficio delle Bollette e
Presentazioni dei Forestieri, Scritture Diverse, busta 1 Ufficio delle Bollette
e Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64
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patria per le province di Romagna. Adulteresses in Catholic Reformation Rome
Elizabeth S. CohenAdultery was no simple sexual lapse. Intricately bound to the
fundamental institution of marriage, it threatened honor, family, and
livelihood. Traditionally, this grave offense merited harsh punishments like
stoning, although by the sixteenth century these had much softened. A sin, a
crime, and a breach of contract, in early modern Italy it could be prosecuted
under several kinds of law. Beyond canon law’s jeopardy for both spouses, under
Roman law enshrining patria potestas, adultery was overwhelmingly a wife’s
transgression, to which, furthermore, she was presumed to have consented.1 So,
a vengefully passionate husband or kinsmen who killed a wife found f lagrantly
abed with a lover could claim immunity from prosecution for murder.2 The
adulteress herself figured ambiguously as a theme in Italian paintings, prints,
and stories. Nevertheless, neither law nor broader cultural norms ref lected
adultery’s complexities as social experience on the ground. To juxtapose
prescriptive and lived understandings and to test the crime’s notoriety, we
turn to judicial records. For contrast with our culturally framed expectations
and to glimpse the everyday worlds of most early modern people, this essay
reconstructs four stories from adultery prosecutions in the Roman Governor’s
court circa 1600. The particular crimes of these non-elite women and men
involved companionship and sex, but little else was directly at stake. My
accounts seek to represent both social dynamics and a vernacular culture of
sexuality accessible alike to the educated and the illiterate. I highlight a
cluster of adulteresses who cultivated not primarily instrumental, but rather
personal, alliances outside marriage. The lovers’ choices transgressed and had
consequences both at home and in the public courts. Nevertheless, their
misconduct was not radically out of step with an everyday culture of sexuality
that endured even in Catholic Reformation Rome. Adultery had a lengthy history
as a cultural, legal, and behavioral problem. From the twelfth century, an
ambivalent medieval literature on humanlove—from Andreas Cappelanus to
Gottfried von Strassburg—suggested that passion and marriage did not mix.
Despite the Renaissance emergence of more positive takes on sex, the notion
persisted that intense eroticism was seldom the business of husbands and
wives.3 The church still taught that marriage was the only licit setting for
sex, while discouraging the pursuit of pleasure for its own sake. The
iconography of love on domestic objects linked to betrothals and weddings
promoted family policy as much as private spousal gratification.4 Although
married people may not have behaved as they were told, they have left few words
about sex. If conjugal relations did often tend to routine, adultery could be
easily imagined by contemporaries, and by scholars since, as an agreeable
alternative. Popular histories have repeatedly featured swaggering Renaissance
noblemen, including prelates, who dallied sensuously with mistresses and
fathered bastards. Their female partners, who ranged from servants to
gentlewomen, were often married, and so adulteresses.5 A wife’s adultery posed
problems for both her spousal household and her natal family, but sometimes
brought them benefits as well. Under ancient Roman law still frequently cited
in the Renaissance, uncertainty about paternity and corruption of the lineage
was one major cost.6 Adultery also rattled the public honor of a patriarchal
family that could not control its assets, including the chastity and fertility
of its women. These concerns appear as conventional rhetoric, but it is far
from clear how much they actually drove Renaissance husbands’ retribution.
Certainly, charges of adultery were invoked to instigate violence against an
inconvenient kinswoman and to cover other, less high-minded goals. On the other
hand, where doctrines of sexual exclusivity could bend in practice,
adulteresses might reap rewards rather than punishments for their liaisons, especially
with powerful men. For example, Giulia Farnese, wife of the Roman baron Orsino
Orsini and the mistress of Pope Alexander VI in the 1490s, arranged a
cardinal’s hat for her brother, Alessandro, the future Pope Paul III.7 Even
bastards could be absorbed and their mothers supported. In the 1460s Lucrezia
Landriani, married conveniently to a Milanese courtier, bore four illegitimate
children to the young Galeazzo Maria Sforza before he became Duke of Milan and
took a bride. Bearing their father’s name and raised in his court, Lucrezia’s
brood included Caterina Sforza, the future indomitable Countess of Forlí.8 The
husbands of these high-f lying adulteresses managed their role, its perks and
its costs, more and less deftly. In Florence, the husband of Bianca Cappello,
the mistress and later wife of Grand Duke Francesco I, retaliated by
intemperate womanizing of his own, and died at the hands of his paramour’s
kinsmen.9 Husbands did not take adultery lightly, but there might be multiple
stakes and more than just one bloody end. The dark emotions of
adultery—jealousy and anger—struck men and women alike. Legends of aristocratic
adulteresses killed in flagrante delictu by vengeful husbands arouse pity,
horror, and titillation in later readers. Although the threat and the rhetoric
surely circulated, documented historical examples are few.10 More modest women,
too, had reason to fear even unmerited spousal violence.For example, in a
miracle attested in 1522, the Madonna della Quercia of Viterbo saved a woman mortally
assaulted by a suspicious husband, egged on by his mother.11 More peaceably, a
Quattrocento necromantic recipe promised that to make a wife “persevere in
honest alliance with her husband.”12 Moreover, although adulterers were rarely
prosecuted, women deeply resented their husbands’ philandering. In the 1550s a
pious Bolognese gentlewoman, Ginevra Gozzadini, asked her spiritual director if
she owed the marital debt to her errant husband. Though reluctant to release
his disciple from godly duties, Don Leone Bartolini allowed her to decline if
her husband refused to forgo his “public adultery and also grazing on his wife
like a pig and not a Christian.”13 Renaissance Italian visual and literary
culture depicted four roles in adultery’s drama: the wife; the husband or
cuckold; the lover; and the chorus of the public. Though shadowed by misogyny,
views of women were mixed. Ancient and medieval texts widely posited female
propensities to falling in love and to undisciplined and mercenary carnality.
Beauty, coupled with fickle mind, made women at once temptresses and easy prey
to seducers. These risky frailties in turn justified tightly constraining
rules. In parallel, novelle, poetry, madrigals, and commedia dell’arte evoked
both woe and delight with representations of love and romantic adventure.
Magic, too, offered women and men ways to attract and bind a lover.14
Mainstream cultural norms often lumped non-conforming women together as sexual
transgressors. Yet prestige and class, singled out some for celebration. Thus,
as whores, prostitutes stood for the obverse of female virtue, but courtesans,
especially those dubbed counterintuitively “honest,” earned renown among elite
men for their manners and cultural finesse. Even Saint Mary Magdalene appeared
in paintings as the brightly dressed, or undressed, playgirl who was the foil
to her model penitent. The adulteress partook of this generic bad girl, at once
attractive and corrupt, but her jeopardy under law invited ambivalence. For
example, many early modern artists represented the Gospel story of the woman
“taken in adultery.”15 Sixteenth-century Italian paintings usually depicted a
beautiful, young woman, thrust by the Pharisees’ heavy legal hand to stand
alone before a crowd to be judged. Although conventional language suggested
that she was in some sense caught or trapped, she was still deemed to have
consented to dire offense. Viewers would hear Jesus first chide her
persecutors, “Let he who is without sin cast the first stone,” and then tell
her to go and sin no more. All were sinners, not least the adulteress, but law
must not trump Christian mercy. Among the men’s roles, not the male adulterer
nor the wife’s lover, but rather the husbandly cuckold claimed a share of
cultural preoccupation. The aristocratic choice between familial vengeance or
instrumental accommodation often came down on the latter side. Instead of
destroying the adulteress, the cuckold had his reasons for complacency. In
visual imagery, art historians have shown betrayed husbands responding as much
with dismayed forbearance as with hot ire. Comparing paintings of Joseph, the
helpmate of the Virgin Mary, and Vulcan, the spouse of Venus, Francesca Alberti
explained how the aging husbands ofexceptional wives, though vulnerable to
mockery by artists and viewers, served divine ends.16 Louise Rice tracked
Italian depictions of the cuckold from a nasty late fifteenth-century
allegorical engraving through sixteenth-century literary parodies from Aretino
and Modio, and finally to Baccio del Bianco’s drawings. These last offered
whimsically ironic scenes that normalized both the cuckold and the
adulteress.17 Ambivalently allotting pleasure and agency to women and
complicating the revenge narrative, novelle offered socially more varied
cultural constructions of adultery. In the Decameron, Boccaccio exploited these
possibilities in more than twenty-five stories featuring adultery that
fancifully permuted its spousal roles.18 The married women of the novelle,
again almost always beautiful, pursued love and reaped their adulterous
pleasures with ambiguous culpability. At the expense of dull or aging husbands,
some wives schemed cleverly both to achieve their desires and to elude
discovery and punishment.19 Others, honest, virtuous, and alluring, had to be
tricked by would-be lovers into learning that sex outside marriage was more
fun.20 Lucrezia in Machiavelli’s Mandragola found similar fortune. Although
female delight was only a means to an end in the Decameron’s elegantly ironic
lessons, a more literal reading of the stories at least gave a space to imagine
wives’ extra-domestic enjoyment. Boccaccio’s cuckolded husbands reacted
variously to adultery’s challenges to honor and to its remedies in law. In Day
4, Story 9, a gentlewoman let herself fall to her death after her vindictive
husband fed her the heart of her paramour. Explained the woman, since she had
given her love freely, she was the guilty one and not the lover. In a lighter
vein, Day 3, Story 2 parodied the narratives of murder in f lagrante and, less directly,
of Christ forgiving the adulteress. A king, discovering his wife and a groom
asleep together, cut the man’s hair to mark his guilt. When the lover woke, he
scotched his jeopardy by similarly tonsuring other servants. In the end, the
king, rejecting a petty vendetta that would broadcast his dishonor, announced
cryptically to his assembled entourage: “He that did it, do it no more, and may
you all go with God.”21 In Day 6, Story 7, a hapless husband, fearing penalty
if he killed his adulterous wife himself, hauled her before the public court,
where, by statute, she faced a sentence of death by fire. Unlike the Gospel’s
submissive adulteress, the respected Madonna Filippa staunchly defended herself
with two claims. First, as in the tragedy of Day 4, she did it for her “deep
and perfect” love for Lazzarino. Secondly, having gotten her husband to agree
that she had always satisfied his every bodily wish, she asked: “what am I to
do with the surplus? Throw it to the dogs? Is it not far better that I should
present it a gentleman who loves me more dearly than himself, rather than allow
it to turn bad or go to waste?” The gathered populace of Prato greeted this
charming riposte with approving laughter and, at the judge’s suggestion,
altered the harsh statute to punish only adulteresses who did it for money.22
Christian rules as implemented through ecclesiastical courts also ref lected
more everyday cultural norms. Although by medieval canon law both spouses owed
the marital debt, in customary practice expectations differed for husbandand
wife. As historian Cecilia Cristellon shows, the church courts of preTridentine
Venice aimed less to police sex than to stabilize marriages and to minimize
scandal.23 Many proceedings, often brought by women, sought to formalize
separations or annulments of couples who had long since parted company.
Adultery by wife or husband was a charge to blacken character but was seldom
advanced as the source of a broken marriage.24 In fact, among the lower orders,
adultery was a common product of widespread, informal serial monogamy. Finding
themselves for various reasons without present spouses, people readily took up
new heterosexual partnerships. Although adulterous, such concubinage, sometimes
with a formal blessing that made it bigamy, was often marriage-like and, in the
absence of contrary evidence, usually accepted by the lay community. In the
face of these popular habits, fifteenth-century church courts worked to sharpen
the boundaries of marriage, and the Council of Trent’s legislation assimilated
concubinage more and more to prostitution.25 Even so, ecclesiastical judges
continued less to punish adulterous sex by itself than to seek better moral and
spiritual discipline around marriage as a whole. Let us turn now to Rome at the
end of the sixteenth century to gauge the moral climate and social textures in
which our everyday adulteries took place. For some decades Catholic reformers
had worked to burnish Rome’s reputation as a fitting capital for a resurgent
church. Issuing repeated regulations (bandi ) to suppress blasphemy and vice,
local authorities particularly targeted gambling and adultery.26 Yet these
official pronouncements better registered moralistic concern than they
energized a thorough cleansing of the civic body. Parallel rules sought to
constrain the practice of prostitution, although that trade and fornication by
the unmarried were transgressive but not criminal. The magistrates’ concerns
turned mostly on guarding sacred sites from taint and restraining violence and
disorder by prostitutes’ clients. Yet enforcement of decrees around illicit sex
remained sporadic. Pius V’s ghetto for prostitutes of the late 1560s at the
Ortaccio did not last long as either structure or policy. That moment was the
reformists’ exception rather than the trend. The early sixteenth-century
celebrity of Rome’s honest courtesans had certainly waned, but in 1580 the
gentleman traveler Montaigne was still keen to admire and visit their kind.27
More generally, the historian of crime Peter Blastenbrei concluded that, for
two decades immediately post-Trent, Rome was de facto quite accommodating of
heterosexual irregularities and sometimes attracted couples seeking to escape
sharper discipline elsewhere.28 All told, by 1600, reform in the papal city had
subdued the Renaissance culture of f leshly pleasures, but effective
suppression of non-marital sex was scarcely true on the ground. The labyrinth
of Rome’s institutions and, especially, the mobile demography of its residents
consistently subverted the religious and moral aspirations of its leadership.29
The city’s population swelled, from 35,000 in 1527, after the catastrophic Sack
by Hapsburg imperial troops, to around 100,000 in 1600.30 Few people were
native Romans. Visitors and migrants f lowed in—men and women, of all social
ranks from ambassadors and nobildonne to pilgrims, cattledrivers,and servants.
Many also left town. In a f luid residential geography, most people rented
their accommodations and often moved house. Although many households had a nuclear
core or its remnants, complete families were fewer than in many cities.31
Lodgers and informal clusters of housemates were common. People also changed
jobs frequently, and some worked in one part of the city but, regularly or
occasionally, ate and slept elsewhere. As a result, ordinary Romans had
repeatedly to renegotiate the personnel and terms of daily life. Furthermore,
Rome’s sharply skewed sex ratio yielded distinctive economic and marital
dynamics. The urban population counted, roughly, only 70 women for every 100
men. Celibate clerics were not the primary culprits. Many of the surplus men
came to the city to provide for the needs and comforts of a courtly society, by
serving in great households of prelates or secular lords or by supplying goods.32
With males doing much of the domestic work and without a major textile
industry, the market for female labor in turn was weak. Of the many men, some
married in Rome to help establish themselves, but others had wives elsewhere,
or were young and not ready to settle down.33 Although some, nubile, women
found husbands readily, many others were left to improvise when fathers died or
spouses left town for shorter or longer absences. Typically, they struggled to
live piecemeal from laundry, spinning, and sewing. As in Venice, concubinage
was common. Prostitution, too, though never as rampant as some hysterical
reformers claimed, was another, potentally better paid recourse. Often
informally and intermittently, younger, more presentable or gregarious women offered
mixes of sexual, social, and domestic services to a shifting contingent of
unpartnered men, and to some husbands as well. As a concubine or prostitute, a
married woman faced legal jeopardy for adultery. When a husband did not, as
obligated, support his wife, she had to find alternatives. Sometimes, he had
wasted the dowry. Often, he had been long away, having intentionally or not
abandoned his wife. A woman, in turn, unknowing if her spouse had died, often
proceeded as if he had and set up new partnerships. In the absence of contrary
information, neighbors tended to presume legitimacy for couples who lived
appropriately, including taking the sacraments at church. Nevertheless, married
women living as prostitutes, concubines, or even bigamist wives were liable, if
denounced, to prosecution. The discipline and prosecution of adultery in early
modern Rome has left only erratic traces. No trial records survive from the
tribunal of the Vicario, who bore many of the city’s episcopal functions for
the pope. 34 As an offense of “mixti fori,” however, adultery sometimes came
before the criminal courts.35 Killing women for honor was rare, especially in
the city, and the ferocity of the ancient law had attenuated. Going to law,
though risking unwelcome publicity, became more common, even for noblemen.36 In
the 1580 edition of Rome’s Statuta, carnal and associated crimes occupied a
brief three pages and mostly specified due punishments.37 In practice, these
penalties were often negotiated down, so the statutory guidelines are
interesting mostly as a ref lection of judicial thinking and broader cultural
values. This section began with sodomy and a tersepronouncement of death by
burning. Next, a longer paragraph, De Adulterio e incestu, spoke first of
“adultery with incest,” before turning to “simple adultery.” For this last,
punishments were calibrated to the woman’s honesty and the man’s social rank.
For sex with an “honest” wife, a plebian man faced a hefty fine of 200 scudi
and three years of exile. A gentleman owed double the fine and the exile, and a
baron triple. Notably, this scale of penalties targeted the common circumstance
of high-status men making alliances with women of lower rank. On the other
hand, the chance that even a middling family would successfully haul a nobleman
into court was slim. Continuing, the statute declared that if the wife was poor
and “inhonesta, but not a public prostitute,” the penalties were halved.38
Reputation ( fama) in the neighborhood legally determined a woman’s
“honesty.”39 At the same time, where early modern criminal law recognized that
virgins might resist forcible def loration (stupro), wives were still held
complicit in adultery.40 Thus, every proven adulteress was, in principle, to be
sequestered for correction in a casa pia for errant wives (malmaritate), where
her husband or family paid her expenses. From the later sixteenth century,
adultery came before the Governor’s court by two routes. By legal tradition,
reiterated in the Statuta, sexual crimes involving respectable women received
public intervention only when brought by a kinsman with honor at stake.
Institutional justice, seeking to promote itself and to tame the violence of
self-help vendetta, encouraged this recourse with some success. Thus, husbands
initiated many of the Governor’s adultery trials, although typically with a
keen eye to retaining spousal property.41 On occasion, angry women prosecuted
their husbands for adultery.42 To note, the Governor’s criminal court in
general took seriously women’s complaints, even without male backing. Their
testimony as accused or witness, usually recorded under the same intimidating
circumstances as men’s, bore analogous weight. Especially for offenders from
the lower social ranks, adultery also came to the court’s attention by an
investigation ex offitio, on the state’s initiative. Usually, a secret report
by a mercenary spy or grouchy neighbor launched the case, followed by a police
raid.43 Such arrests were often handled by summary justice that imposed a fine
and issued an injunction against further misconduct.44 A few cases led to full
trials, and my stories here of “simple adultery” are among them.45 Although
these examples were not formally typical, they involved ordinary people getting
into relatively routine kinds of trouble. Bodies and honor were at stake, but
neither money nor property were central for either husbands or wives. All the
women had engaged actually or potentially in sex with men of their own choosing
outside the bonds of marriage. From the tales of these willing adulteresses who
ended up in court, we can learn about a range of possibilities for extramarital
adventures and about the narratives and discourses that explained them and
hoped to extenuate culpability. These women, though several years married, were
often young. In other Governor’s court trials around f lawed marriages the
wives typically complained of mistreatment to justify their straying. In none
of these four stories, however, did that rhetoric appear. The husbands, when
theysuspected or learned what was afoot, were angry, but the trials were not
about ending a marriage. The lovers, themselves unmarried, were among the many
unattached men in Rome, and met the adulteresses through family and local
connections. Also telling are the ways that neighbors and colleagues took part,
both in the trysts and in their discovery and discipline. In my first two
adultery stories, unhappy husbands tried, more and less cannily, to corral
their wandering wives. For both, events transpired close to home. In the first
case, the spouses spoke of Tridentine teachings to repair a troubled marriage.
The pastoral discipline had failed to work, however, and the next time the
irate husband resorted to self-help, seriously beating his incorrigible wife.
The domestic violence brought the problem to public notice. In the second
story, the husband confronted his wife with her misconduct reported by
neighbors. When she faced down his efforts at proper spousal correction and
still continued to roam, the husband turned for help to the ecclesiastical and
public authorities. They, in time, intervened, but notably declined to rush
into a private matter without good cause. The first tale provocatively mixed
elements of Boccaccio with Catholic reform teaching to the laity. A very short trial
from May 1593 recounted adultery trouble that exploded within the cramped
premises of a fruit and vegetable seller in central Rome.46 After the
beleaguered husband, Hieronimo, had resorted to self-help, the resulting
domestic violence led an unnamed informant to alert the police. In this
instance, probably because the wife, Caterina, lay injured, instead of
collecting testimony at the prison, the notary first hurried to the respectable
shopkeeper’s premises to interview both spouses. Husband and wife testified
immediately in the heat of events and again, later, in jail. The would-be
lover, the shop assistant Leonardo, nimbly decamped before the law arrived. As
was common for many city dwellers, Hieronimo Ursini from Milan kept shop on the
street f loor and lived upstairs with his wife, Caterina, but evidently had no
children. Two garzoni (shop assistants) slept in an adjacent room. The
fruitseller had good reason to suspect his young wife. By his account,
Caterina, whom he spied often f lirting in the window “with this one and that
one,” had repeatedly tried his patience. Worse, he once had caught her at her
mother’s house, “almost in the act” of having sex with a tavern keeper.
Nevertheless, Hieronimo averred piously, “I forgave her, and she promised to do
no more wrong, and we confessed together to the parish priest and took
communion, and I took her back and led her home, pardoning everything and
keeping her always as well as possible” (ff. 1125r–v). Portraying himself as a
pious and forgiving husband, Hieronimo sought to meliorate the court’s view of
his later, less irenic, behavior. The testimony, which likely was approximately
true, shows us a man of modest status deftly invoking good Catholic teaching.
Caterina in turn confessed, “Truly, I did wrong (torto) to do what I did to my
husband, because I once fell into error (errore) at my mother’s house, where I
had sex with Giovanni Angelo the tavern keeper, and even so, my husband forgave
me and took meback into the house” (ff. 1128r–v). Here she acknowledged not
only Hieronimo’s forbearance, but also her own inclinations to illicit
pleasure. Hieronimo’s jealousy thus primed, on a May morning he climbed early
out of the bed that he shared with his f lirtatious wife. According to his
testimony, he intended to go to a garden on the edge of the city to cut
artichokes for the shop. He tried to rouse his two garzoni who were sleeping in
another room. One got up, but Leonardo, also from Milan, claimed to be sick and
would not rise. Suspecting the lay-a-bed of setting a “trap,” Hieronimo sent
the other assistant out to collect the produce, but he himself slipped into the
shop and hid behind a barrel. After a while, Leonardo entered the shop,
“sighing,” according to the hidden Hieronimo, “an amorous sigh.” A few minutes
later, Caterina appeared, asking where her husband was. “Gone to cut
artichokes,” replied Leonardo. Immediately, said Hieronimo, Caterina began to
adjust the garzone’s ruff ( fare le lattughe), and quickly the two became
playful and kissed each other. The husband, seeing that “Leonardo wanted to
lift her skirts and do his thing ( fare il fatto suo),” burst out of hiding
shouting, “Oh traitor, oh traitor, you do this to me!” Seeing his master thus
enraged, Leonardo, expediently, slipped out the shop door and disappeared from
the story. Caterina retreated hastily up the stairs, and Hieronimo surged
after, beating her with a broomhandle, a domestic weapon of choice for women as
well as men, with his fists, and with his belt. So incensed was he that he pinned
her down with his knees on her belly and then on her shoulders, while hauling
on her braids, so that he left her “as if dead,” swollen, bloody, and with
bruises “blacker that your Lordship’s hat”. Hieronimo volunteered all these
details, and one suspects that he may have shocked even himself with his
ferocity. Caterina’s tale of the putative adultery and its sorry aftermath
provides another perspective. Not surprisingly, she presented herself as
aggrieved and “mistreated.” Nevertheless, she reported a similar account
leading to the f lirtatious exchange with Leonardo. Her husband, having left
early without a word, she rose two hours later. Going into the next room,
Caterina rousted Leonardo to get up and open the shop, while she swept. When
she went down for a basket to hold the sweepings, she found Leonardo, wrestling
with a pair of sleeves. He asked for help in attaching them, and the two began
laughing as they struggled with the laces. Just then, Hieronimo sprang out and
began to assault his wife. Confirming Hieronimo’s confessed details and adding
blows with the head of a hatchet, Caterina claimed that he wanted to kill her.
But, “please God,” he had not (f. 1125v). Later, pressured by the court at a
second interrogation, the wife admitted to some greater provocation of her
husband. In this version, as she came into the shop, Leonardo asked that she
help lace his sleeves and moaned about not feeling well. She joked that he was
not going to die, and they began to play so that, as in Hieronimo’s account,
the garzone had kissed her “lustfully (lusuriosamente)” on the cheek and she
responded in kind (f. 1128r–v). Though more theatrical than some tales, this
domestic drama had several points in common with other neighborhood adulteries.
First, illicit relationssprouted very close to home. These were the
settings—through work and domestic propinquity—in which wives were likely to
meet other men. Perhaps surprisingly to us, these were also the spaces in which
adultery—its initiations and often its consummations—took place. People
understood the risks and costs of getting caught; at the same time, privacy,
such as we imagine it, was simply not a reality for most people. While married,
Caterina had practiced serious f lirtations first in her mother’s house and then
in her husband’s, with one of their live-in employees. Even if no real sex had
transpired with Leonardo, Caterina saw the wrongful pattern of her conduct. She
evidently enjoyed the play and appreciation of her guilty encounters, but she
gave little sign of personal feelings for her lovers. In contrast, there does
seem to have been some commitment, however f lawed on both sides, between the
spouses. While we may doubt that Caterina changed her ways, she did express a
sense of responsibility and a belief that she should make peace with her
husband. The brevity of the trial suggests that the magistrate was content to
dispatch the matter quietly. Both spouses had to answer for their
transgressions— Caterina’s sexual misconduct and Hieronimo’s excessive correction.47
The second story of adultery is the only one of the four where the husband
himself brought his private troubles to the authorities.48 For more than six
months, Bartolomeo from Genoa, alerted by friends, investigated suspicions and
then sought to correct his errant wife, Isabetta from Rome. He had tried
several times in previous months to enlist the help of the Vicario’s
ecclesiastical tribunal, but in vain. Recently, however, he had procured a
warrant, probably from the Governor’s court (ff. 832r–v, 834r). So, a police
patrol met Bartolomeo outside the building where the lovers had been seen and
at his direction made arrests that led to the trial.49 Events took place in a
shared neighborhood and within a community of workers, several of whom testified.
In this slightly larger, but still face-to-face social terrain, friends and
neighbors, notably men this time, had a crucial role in managing their
comrade’s disarray. On Saturday, October 22, 1604, right after the arrests,
Bartolomeo, coachman to a Monsignor Dandini, complained formally against his
wife and Francesco Cappelli from Florence (ff. 831r–v). Bartolomeo had married
Isabetta six years earlier; although native Roman women were few, they often
married men from outside who sought to establish themselves in the capital. It
was a second marriage for Isabetta, who had a grown stepson and a son who lived
together in another neighborhood (f. 840v). Bartolomeo lived with Isabetta and
their young son near San Pantaleone in the city center. The accused lover, a
twelve-year resident of Rome who served as coachman to another churchman, the
Archbishop of Monreale, worked from a stable nearby. Bartolomeo’s complaint
charged Isabetta with spending “unusually much ( piu dell’ordinario)” time with
Francesco. According to reports from several men, including a third coachman,
while Bartolomeo lay on his sick bed, Isabetta came and went late in the
evening from the stables where Francesco worked. Once healthy again, Bartolomeo
berated his wife for her visits and threatened her with arrest and public
whipping (f. 831r). She, however, denied all charges and challenged her husband
to do his worst(f. 831v). Nevertheless, Bartolomeo asked his friends to
spy on her movements (ff. 833v–834r). One morning Bartolomeo’s nephew brought
word that Isabetta had been spotted a few streets away going with Francesco
into the Palazzo de Picchi. Bartolomeo sent a messenger to alert the city
police. When they arrived, Bartolomeo told them to arrest Francesco, then
descending the stairs. The husband entered the building, collected Isabetta,
and sent her, too, off to jail (f. 831v). Note that the Governor’s police were
willing to act, but left it to the respectable husband to hand over his wife.
After the arrests, neighbors and colleagues testified to having seen Francesco
and Isabetta often together over many months and hearing talk in the piazza of
their being lovers. One man observed her three or four times in the last month
taking advantage of walking her son to school to stop to talk with Francesco in
the courtyard of the Massimi family palace (f. 837v). Another neighbor,
Alfonso, intervened directly. Because, he said, Isabetta was his commare, his
spiritual kinswoman, he had invited her a month earlier to his house. There,
with his own wife present, Alfonso told the wayward Isabetta of the rumors that
she was in love (inamorata) with Francesco and having sex with him. Alfonso
urged to her to smarten up (stesse in cervello) and amend her ways, because her
husband knew and had a warrant to send her to jail, and because it dishonored
Alfonso himself, who had helped marry her so respectably (ff. 834r–v). In their
early testimonies, the lovers took different tacks. The unattached Francesco
downplayed the whole business. He acknowledged, as did Isabetta, that they had
known each other in the neighborhood for three or four years. Yet Francesco
dismissed her presence in his room or any adulterous reasons for it, “I cannot
know the heart of that woman or why she came up” (f. 835v). Isabetta, pressed hard
through several interrogations, tried ineffectually to parry the court’s
questions. She garbed herself conventionally as a dutiful housewife who minded
her own business and seldom went out: “I have to keep working if I want to
live” (f. 841r). Accordingly, she implausibly denied knowing local geography;
then, insisting that she had never set foot in the stables, she fudged the
meanings of being “inside” a place (f. 839r). She invoked her own good name,
though in an elaborately conditional mode: “What do you imagine, your Lordship,
if I had gone out while my husband was sick, that would have been a fine honor
from me” (f. 839v). Blaming her neighbors for their spiteful testimony, she
invoked the chronic enmities of local life: “what fine witnesses are these?
this is how they repay the courtesies and good will that I have used with them”
(f. 843r). Later, however, she backtracked on some of these claims with a
pathetic tale of going out at night to fetch some greens to feed the ailing
Bartolomeo. Passing by the stable’s open door, she said, Francesco had called
out to her, “‘how is your husband?’ I, in tears, answered that the doctor
offered little hope, and then Francesco responded, ‘look, if you need anything,
be it money or anything else, just ask’” (ff. 843r–v). Spun this way, the
errant wife’s visit to the stable got folded into a stirring picture of her
desperate efforts to help her husband and of the fellow coachman’s sympathetic
offer of aid.Near the end of the trial, the accused lovers, confronted with
repeated testimony to their private meetings at the stable and in the palazzo,
were pushed to address the presumption that they met for sex. As a judge said
in another trial, “solus con sola, one does not presume they are saying the
paternoster.”50 When pressed, Francesco exclaimed, “Your Lordship, I will take
100,000 oaths that I had no carnal doings with Isabetta!” He continued, “I can
show your Lordship that only with great difficulty can I go with women, and
when I do, it is rarely and to my great injury (danno), because four ribs got
cut by a Turkish scimitar when I served as a soldier on the galleys of the
Grand Duke” of Tuscany (f. 849v). Here we have detail so baroque that we may
have to believe it. Francesco aimed to suggest, with timeless logic, that his
encounters with Isabetta were not, actually, sex. Whatever it was, however, he
feared culpability and had tried, with various moves, to def lect it.
Interestingly, Isabetta’s final remarks also denied a sexual relationship by
alluding to Francesco’s behavior. In her words, “if he were as proper (netto)
with other women as he is with me, he would never have had sex with any woman.”
Then, reaffirming her veracity, she concluded with a shift to a rhetoric of
intention and sin, “If I had done wrong (errore) and if Francesco had sex with
me, I would say so freely and ask for forgiveness, but because I did not do it,
I cannot say I did” (ff. 850v–851r). Much more was at stake for Isabetta than
for her lover. Knowing well that, in sneaking around while her husband was ill,
she had erred in the eyes of her peers, she did not counter Bartolomeo’s
charges with complaints of mistreatment. Yet she stood on her word that she
could not confess a lie. There the trial record ended with the usual legal
instruction that both accused parties be released into the jail’s public rooms
(ad largam) with three days to prepare a defense. Accumulated circumstantial
evidence, rather than catching lovers in the sexual act, was sufficient for
neighbors and, in turn, their publica vox et fama attesting to the offense had
weight in court. Nevertheless, perhaps fearing retaliation, people appear not
to have turned each other in too quickly. Once an adulterous coupling became
common, local knowledge, a friend or associate might assay an informal warning
to wife, husband, or lover. Consensus likely deemed these matters family
business, better handled privately and with minimal scandal. In this case,
Bernardino not only chose official help, but had to persist to get it. In two
other stories private adultery and its public prosecution unfolded in different
circumstances. Here the adulteresses took advantage of wider urban terrains
when pursuing their romantic yearnings. The husbands, although present in the
city, were not principal players in bringing the cases to court. Neighbors, on
the other hand, took active part, facilitating the alliances or tolerating them
for some time, until a moment arrived when someone alerted the authorities.
These times, when the police raided an illicit rendezvous, they acted ex
offitio, on the newer legal premise that the court could intervene directly,
without a kinsman’s request, to ensure order among the city’s lower-status
residents. In a third episode of simple adultery, prosecuted in January 1605,
the husband, Giovanni Domenico, was in fact the last to know. The short trial
consists of apolice report and testimonies from several neighborhood
witnesses.51 Neither wife nor lover spoke on record, but procedural annotations
at the document’s end register their choice not to challenge any of the
witnesses. Most likely, the adulterers accepted a summary decision that ordered
them to pay fines and agree formally not to consort any more. Giovanni Domenico
di Mattei from Lombardy and his wife, Madalena, lived on the Tiber Island with
their two young children and an orphan boy whom they kept “for the love of God”
(f. 145v). Husband and wife shared a business selling doughnuts from their home
(f. 143r). Giovanni Domenico also commuted daily across the city to Piazza Capranica
to work as an assistant to a doughnut-maker (ciambellaro) (f. 145r). The job
required his being away overnight, but every morning he returned to his family
quarters, evidently bringing pastries to sell. One Wednesday morning, Giovanni
Domenico came home to find that Madalena had been arrested, along with Pietro
Gallo from Parma, a twenty-five-year-old barber’s garzone who lived two doors
down the street (ff. 144r, 145v). According to the official report, a
neighbor’s denunciation had informed the authorities that “every night after
four hours (10 p.m.) Pietro habitually goes to sleep with Madalena” (f. 143r).
Receiving word again last night that the barber was there, the police raided
the house late on a chilly January evening. With professional savvy, the
lieutenant posted men to watch the exits before knocking on Madalena’s door,
which she opened after a few minutes’ delay. While a search inside found no
man, a loud noise overhead alerted the police to visit the roof, but in vain.
They did soon discover the barber in his nightshirt in his own bed, where he
protested that he had been checking the premises above on behalf of his absent
landlord. Unconvinced, the police led the two lovers off to jail (ff.
143v–145r). When Giovanni Domenico came home to the unpleasant surprise of his
wife’s arrest, he learned that Pietro the barber, carrying a sword (a further
offense), had been in the house at night with Madalena. The cuckolded husband
went immediately to make a formal complaint and to demand, according to the
protocol, the severest punishments for Pietro, Madalena, and anyone with a part
in “leading him to her” (ff. 145r–v). The young orphan, Giovanni Santi,
nicknamed Scimiotto (Little Monkey), also testified then under his master’s
auspices. The boy explained that, during the four months that he had lived in
the household, Madalena had many times sent him to invite the barber to eat,
and that, when Giovanni Domenico was away, Pietro stayed to sleep. He shared
the bed with Madalena and the two children, while the young witness slept on
the f loor in the same room. The lover usually entered through the door, but
sometimes through a window belonging to a laundress (ff. 146r–v). During her
husband’s nightly absences and in plain view of the neighbors, Madalena had
carried on adulterously with, like the other women, a young, unmarried man who
lived nearby. The affair (amicizia) had been going on for as much as two years,
according to gossip in the local wineshop (f. 148v). A hatmaker who lived in
the house between the two lovers had for six months heardlocal “murmuring” that
Pietro was having sex (negotiava) with Madalena. In passing back and forth, the
neighbor had many times seen the barber in her house, their “talking and
laughing together publicly . . . sometimes in the morning,
sometimes after eating, sometimes toward evening” (f. 147r). Often, said the
hatmaker, other men also hung out convivially at the shop, eating doughnuts,
or, in season, roasted chestnuts (f. 148v). Giovanni Domenico must have been around
sometimes when such sociability, presumably good for business, took place. Yet,
about a month before the arrests, the hatmaker saw fit one day in his shop to
warn the young barber: “the people of Trastevere say you’re having sex with the
doughnut-maker’s wife; if you don’t straighten up, you’ll go to jail.” When
Pietro denied it, the hatmaker replied that it was not his business, but that
the barber had better mind his (f. 147r). Cesare the tavern keeper had also
challenged Pietro. Several weeks ago, Cesare had gone to Madalena’s to borrow
matches and found her eating with the barber and another man. Seeing the tavern
keeper, Pietro had slipped away to hide. Later that day, Madalena’s small son
came to Cesare’s house to get a light. Jokingly, he asked the boy: “who was
sleeping with your mother last night?” (f. 148r). Later still, Pietro stormed
into the tavern and began to threaten the host, saying that he should take care
of his own house and not speak of others, or that he would get his head stove in.
Cesare, figuring out how his words had passed from the child to his mother and
to Pietro, protested that he had only spoken in jest (f. 148r). Although
propinquity and opportunity during Giovanni Domenico’s regular absences clearly
favored the liaison, we must guess at what drew these two lovers together. The
unmarried barber could readily have found sex and even a quasi-domestic
companionship elsewhere among the city’s prostitutes. The illicit pair seemed
to enjoy each other’s company, alone together and also in groups. In Rome where
many men were on their own, taking meals in others’ houses, sometimes in return
for a contribution in food or money, was not unusual. Pietro’s sleeping over,
especially when he lived so close by, was less acceptable. Interestingly,
though, no one called Madalena a whore or said that she was in it for money.
This suggests that there was something companionable about the connection, and
that may have colored local reactions, at least initially. Some shift of
neighborhood opinion in recent weeks, however, had led the hatmaker to confront
Pietro and the tavern keeper to make his tactless joke to Madalena’s son. How,
then, did the cuckolded husband not suspect? Seemingly, none of the neighbors
said anything to him. At least, when he came home to discover the arrests, he
hastily adopted a posture of righteous ignorance and mustered shreds of
domestic mastery by adding his complaint to the magistrate’s file.
Nevertheless, given local practices, the marriage probably muddled on. The fourth
case shows a different pattern of adulterous assignation.52 The lovers had been
acquainted through family connections for several years. The older married
woman, infatuated with a younger man, a cloth dealer, organized their sexual
trysts. Completely absent from the trial, the cuckolded husband figured only as
an angry specter in his wife’s mind. Here again, a neighbor’s
denunciationlaunched the official investigation. Testimonies from the two
lovers and from several women neighbors arrested with them confirmed and
extended the police report. On Saturday, March 23, 1602, in mid-afternoon, a
police patrol raided a modest upstairs room in the Vicolo Lancelotti near the
Tiber river. According to their lieutenant, an unnamed local informant reported
that a married woman had been meeting a lover there on Saturdays for some
months (ff. 1219r–v). The lodging belonged to Filippa from Romagna, a weaver
and the wife of Hieronimo Morini, though evidently alone in Rome (f. 1220r).
Two other women on their own, including Filippa’s commare Marcella, also shared
the staircase. On Saturday, hearing men barge into the building, the weaver was
able to warn the lovers, so that the police arrived to find the pair, both
fully clothed, the man sitting on the bed and the woman standing beside him.
But when the man rose, lifting his cloak from the bed, the lieutenant spotted a
“shape” ( forma) betraying the couple’s activity (f. 1219r). The woman, Livia,
was known to all present as the wife of Pietropaolo Panicarolo, a carpenter from
Milan (f. 1224v). Confronted by the police, she threw herself tearfully on her
knees and begged not to be taken to prison, because “this is the time” that her
husband would kill her. The man, Marino Marcutio from Gubbio, took an officer
aside, saying “I am a merchant” and offering money or whatever he wanted in
order to let them go, the woman in particular (ff. 1219r–v). But the righteous
policeman refused the bribe, bound the pair, and sent them to jail. The
adultery’s backstory emerged from the interrogations. Livia testified that she
had been married for twenty-six years, although she likely included a brief
first marriage contracted when she was very young (ff. 1225r–v). That husband
had died before she was old enough to go live with him, and probably she had
been wed soon again to Pietropaolo. In any case, in 1602 Livia must have been
at least thirty-five and maybe older. She lived with her husband, but, like
Caterina and Hieronimo in the first story, they had no children. Besides
Livia’s fear of Pietropaolo’s violence should he discover the adultery, we know
nothing of their relationship. As in the third case, the geography in this one
spread out across the center of the city. Livia lived currently not far from
the Trevi Fountain and was accustomed to moving good distances around the city
on her own (f. 1221v). Marino, a younger man, kept shop across town on a corner
where the street of the Chiavari met the Piazza Giudea (f. 1220v). Livia had
come to know Marino eight years before in her own home, where she nursed his
seriously ill cousin, who later died (ff. 1227r, 1229r). Marino had also shared
recreation and games with her husband, Pietropaolo, and the merchant’s parents
had more recently lodged in the carpenter’s quarters during the Holy Year of
1600 (f. 1229r). Through these domestic encounters, Livia had fallen in love
with Marino and had long strategized to meet him discreetly for sex. Livia had
known Filippa for two years, during which time the weaver, who worked on a loom
in her room, had made three cloths for the more aff luent carpenter’s wife (f.
1221r). Filippa had visitedLivia’s house to collect yarn for the loom and to
deliver finished cloth, and Livia had called in the Vicolo Lancelotti, although
it was a good way from her home. So, bumping into Filippa at various spots
around town, Livia importuned her repeatedly for the use of her room to meet
Marino (f. 1221v). Though reluctant, Filippa eventually gave in to the woman
who gave her work. At risk of being charged as a go-between, the weaver said
she had refused any compensation, but Livia said that she had given Filippa
five giulii for the two recent assignations (f. 1227v). In Livia’s own
words, she had loved and been in love (inamorata) with Marino for years, and
her infatuation had propelled her to arrange a series of private encounters
“not having opportunity to enjoy him ( goderlo) in my house out of respect for
my husband” (f. 1225r). Livia and Marino both acknowledged having met privately
a number of times at Filippa’s room, and twice in the last week that was the
focus of the investigation. On the Monday before the arrests, the pair had had
a rendezvous at Filippa’s house. Duly chaperoned by a nephew, who left
immediately, Livia arrived first after the midday meal and joined the weaver in
her room. Marino appeared about a half hour later, bringing some collars for
starching as a standard cover story for his presence. After chatting brief ly,
Filippa withdrew and left the pair alone. Sometimes, the door was open during
the couple’s visits, but on this, as on another, occasion they had been locked
inside for about an hour (f. 1221r). When later the policeman asked Filippa
what the couple had been doing, she replied, “you know very well that when a
man and a woman are together, it is not licit to see what they are doing” (f.
1219v). Although all the women witnesses echoed the sentiment that Livia was in
love, it was not clear whether, when the couple next met on Saturday, they had
sex. Livia was angry with Marino, because she thought that he was chasing
another woman, and they had had words. She also insisted with dubious piety,
“on Saturday I don’t commit sin, not even with my husband (il sabbato non fo il
peccato, ne anco con mio marito)” (ff.1221r, 1225r). Although during the
arrests Marino had tried to protect Livia, under interrogation his story aimed
first to exonerate himself. He acknowledged that he had met Livia once before
Christmas, twice before Carnival, and another two times during Lent, but, he
insisted, only to talk. Making the implausible claim that he only sought the
carpenter’s wife’s help in order to secure a “simple benefice” for his brother
who was a student, he denied sex altogether (f. 1229v). Describing their
emotional bond, he notably cast the feelings in terms of Livia’s warmth toward
him, “she is a friend to me and loving because she has helped me (mi e amica et
amorevole perche mi ha fatto de servitii ),” referring to her nursing his
mother and cousin (ff. 1231v–1232r).53 To dislodge the lovers’ conf licting
testimony and to convict Marino, the court proceeded to torture the adulteress
in front of the merchant (f. 1234r–v). Using the lighter instruments of the
sibille that compressed the hands, this formal act of judicial stagecraft
intended, as in Artemisia Gentileschi’s case, to authorize the claims of the
sexually compromised woman.54 The tactic failed, nonetheless, to elicit a
change in Marino’s testimony that denied any sex, or touch, or kisses,or even
hearing that Livia was in love with him (f. 1236v). The judge probably did not
believe Marino, but legally his respectability and his adamancy held good
weight. Livia’s unknown fate, on the other hand, would have lain in part with
her invisible husband. If less dramatic than high culture’s renderings of
adultery, adorned by the heft of law, familiar biblical tropes, and colorful
narrative in paint and words, these everyday stories of wives seeking illicit
moments of love and fun have their own art and pathos. For example, there is
the coachman Francesco’s alleged sexual impairment due to a Turkish scimitar
injury. Or the hardworking doughnut guy cuckolded by the young barber. Or
Filippa the poor weaver, who got into trouble because her friend and employer
Livia wore down her resistance to playing hostess to a sexual rendezvous.
Paradoxically perhaps, the criminal court’s address to transgression here tells
us more about what really happened, and what happened to most people some of
the time than the great dramas of high art. Despite reformers’ efforts to
discipline marriage and sex, a customary culture that tolerated various forms
of heterosexual error persisted in Rome long after Trent. In these four cases,
only one husband sought the court’s help. In the others, neighborhood
informants alerted the authorities to a public disorder, but only after an
adulterous liaison had been known in their midst for some time. While the
Governor’s court prosecuted lovers as well as errant wives, the women usually
had more to lose, but also perhaps to gain. Even if unwise, some married women
broke the rules and went looking for love. What they found was usually close to
home so that their adventures took place under the eyes of a local community.
These neighbors knew often well before the law got involved and responded in
diverse ways. Adultery posed a social problem that demanded a solution, sooner
or later. Although the law had its own ambitions, in these sorts of everyday
misdeeds justice did not intervene with a devastating external discipline.Notes
1 Cristellon, “Public Display,” 182–85, summarizes Italian legal and customary
views of adultery. 2 Clarus, Opera omnia, 51b. 3 Besides essays in
Matthews-Grieco, ed., Erotic Cultures, see Bayer, ed., Art and Love, including
essays by Musacchio (29–41) and Grantham Turner (178–84). 4 Ajmer-Wollheim,
“‘The Spirit is Ready’” 5 McClure, Parlour Games, 36–38. 6 Esposito, “Donna e
fama,” 97–98, states this standard view. 7 Cussen, “Matters of Honour,” 61–67.
8 Lev, The Tigress of Forlì, 3–20. 9 Musacchio, “Adultery, Cuckoldry,” 11–34;
on Piero’s death 17–18. 10 On wife-killing by nobleman Carlo Gesualdo in
Naples, 1590, see Ober, “Murders, Madrigals”; on Vittoria Savelli in the Roman
hinterland, 1563, see Cohen, Love and Death, 15–42. Killings of noble wives not
caught in flagrante delictu often had motives linked to claims on property or
power rather jealous rage. 11 Esposito, “Donne e fama,” 47 48 49Elizabeth S. CohenGal, Boudet, and
Moulinier-Brogi, eds., Vedrai mirabilia, 241. Kaborycha, ed., A Corresponding
Renaissance, 172 + n. 19. Gal, Boudet, and Moulinier-Brogi, Vedrai mirabilia,
251. Examples include: Titian (1510); Rocco Marconi (1525); Palma il Vecchio
(1525–28); Lorenzo Lotto (1528); Tintoretto (1545–48); Alessandro Allori
(1577). Alberti, “‘Divine Cuckolds.’” Rice, “The Cuckoldries.” Boccaccio,
Decameron. For example, Day 3, Story 3; Day 7, Story 2. For example, Day 3,
Story 2; Day 4, Story 2. Ibid., 241–46. My translation of the quote. Ibid.,
500–01. Cristellon, Marriage, the Church, 14–19, 159–90. For French parallels,
see Mazo Karras, Unmarriages, 165–208. Ferraro, Marriage Wars also includes
cases in secular courts, where issues of property, often pursued by husbands,
have greater visibility; yet women brought many more suits than men, 29–30. In
the complaints, adultery was generally subordinate to other concerns, 71.
Cristellon, “Public Display,” 175–76, 180–85, Scaduto, ed. Registi dei bandi,
vol. 1 (anni 1234–1605), passim. Storey, Carnal Commerce, 108-14, 242–43.
Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 274–75. Cohen and Cohen, “Justice and Crime.”
Sonnino, “Population,” 50–70. Da Molin, Famiglia, 93–95. Sonnino, “Population,”
62–64. See also, Nussdorfer, “Masculine Hierarchies.” Da Molin, Famiglia, 243.
The unexplained disappearance of Vicariato tribunal records precludes Roman
comparisons with Venice. Marchisello, “‘Alieni,’” 133–83. See also in the same
volume, Esposito, “Adulterio.” Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 273, n. 160.
Statuta almae urbis Romae, 108–09, for what follows. Forcibly abducting
prostitutes was a crime. Ibid., 109. Esposito, “Donna e fama,” 89–90.
Marchisello, “Alieni,” 137, 166–68; Esposito, “Adulterio,” 26–27.
Alternatively, the legal narrative for the charge of sviamento, leading astray,
shifted more blame onto the lover. For example, Archivio di Stato di Roma, Governatore,
Tribunale criminale (hereafter ASR GTC), Processi, xvi secolo, busta 256
(1592), ff. 540r–62; see also, Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 272, 275. For
example, ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 25, ff. 17r–26v; (1603); busta
91, ff. 1153r–1159r (1610). In parallel, the Statuta almae urbis Romae, 110,
declared that men keeping concubines were liable for fines of 50 scudi. Counts
based on small numbers of surviving records do not reflect behaviour or even
patterns of prosecution. Nevertheless, it may be useful to note that this type
of “simple adulteries” represent about a quarter of the adultery prosecutions
between 1590 and 1610. ASR GTC, Processi, xvi secolo, busta 270, ff.
1124r–1128v. References to specific folios appear in parentheses in text. The
trial record ended with the usual note that those charged had three days to
prepare their formal defense. I have found no record of a judgment, but it is
likely that the couple were fined. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 37,
ff. 830r–851r. The charge preteso adulterio (appearance of adultery) carried a
lesser burden of proof.Adulteresses in Catholic Reformation Rome50 51 52 53ASR
GTC, Processi, xvii secolo, busta 36, f. 63v. ASR GTC, Processi, xvii secolo,
busta 44, ff. 142r–149r. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 17, ff.
1218r–1238r. The range of colloquial meanings for “amica” and “amorevole” was
broad. Here Marino used these words to indicate friendship and affiliation,
rather than romantic or sexual alliance. 54 Cohen, “Trials of Artemisia
Gentileschi,” Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore,
Tribunale Criminale Processi, xvi secolo, busta 256 (1592) Processi, xvi
secolo, busta 270 (1593) Processi, xvii secolo, busta 17 (1602) Processi, xvii
secolo, busta 25 (1603) Processi, xvii secolo, busta 36 (1604) Processi, xvii
secolo, busta 37 (1604) Processi, xvii secolo, busta 44 (1605) Processi, xvii
secolo, busta 91 (1610)Published sources Ajmer-Wollheim, Marta. “‘The Spirit is
Ready, But the Flesh is Tired’: Erotic Objects and Marriage in Early Modern
Italy.” In Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara
Matthews-Grieco, 145–51. Farnham: Ashgate, 2010. Alberti, Francesca “‘Divine
Cuckolds’: Joseph and Vulcan in Renaissance Art and Literature.” In Cuckoldry,
Impotence and Adultery. Edited by Sara Matthews-Grieco, 149–82. Farnham:
Ashgate, 2014. Bayer, Andrea, ed. Art and Love in Renaissance Italy. New Haven,
CT: Yale University Press, 2008. Blastenbrei, Peter. Kriminalität im Rom,
1560–1585. Tübingen: Max Niemeyer Verlag, 1995. Boccaccio, Giovanni. Decameron.
Translated by G.H. McWilliam. Harmondsworth: Penguin, 1972. Clarus, Julius.
Opera omnia sive pratica civilis atque criminalis. Vol. 5. Venice: 1614. Cohen,
Elizabeth S. “Trials of Artemisia Gentileschi: A Rape as History.” Sixteenth
Century Journal and Thomas V. Cohen. “Justice and Crime.” In Companion to Early
Modern Rome. Edited by Pamela Jones, Simon Ditchfield, and Barbara Wisch.
Leiden: Brill, 2018 Cohen, Thomas V. Love and Death in Renaissance Italy. Chicago:
University of Chicago Press, 2004. Cristellon, Cecilia. Marriage, the Church,
and Its Judges in Renaissance Venice, 1420–1545. Cham: Palgrave Macmillan,
2017. Originally published as La carità e l’eros. Bologna: Il Mulino, Public
Display of Affection: The Making of Marriage in the Venetian Courts before the
Council of Trent” In Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara
Matthews-Grieco, 173–97. Farnham: Ashgate, 2010. Cussen, Bryan. “Matters of
Honour: Pope Paul III and Church Reform (1534–49).” Ph.D. diss., Monash
University, 2017.Da Molin, Giovanna. Famiglia e matrimonio nell’Italia del
Seicento. Bari: Cacucci Editore, 2000. Esposito, Anna. “Adulterio, concubinato,
bigamia: testimonianze dalla normativa statutaria dello Stato ponteficio (secoli
XIII–XVI).” In Trasgressioni: seduzione, concubinato, adulterio, bigamia, Edited
by Silvana Seidel Menchi and Diego Quaglioni, 21–42. Bologna: Il Mulino, “Donna
e fama tra normativa statuaria e realtà sociale.” In Fama e Publica Vox nel
Medioevo. Edited by Isa Lori Sanfilippo and Antonio Rigon. Rome: Istituto
storico italiano per il Medio Evo, 2011. Ferraro, Joanne M. Marriage Wars in
Late Renaissance Venice. New York: Oxford University Press, 2001. Gal,
Florence, Jean-Patrice Boudet, and Laurence Moulinier-Brogi, eds. Vedrai
mirabilia: Un libro di magia del Quattrocento. Rome: Viella, 2017. Grantham
Turner, James. “Profane Love: The Challenge of Sexuality.” In Art and Love in
Renaissance Italy. Edited by Andrea Bayer, 178–84. New Haven, CT: Yale University
Press, 2008. Kaborycha, Lisa, ed. A Corresponding Renaissance: Letters Written
by Italian Women, 1375– 1650. New York: Oxford University Press, 2016. Lev,
Elizabeth. The Tigress of Forlì: Renaissance Italy’s Most Courageous and
Notorious Countess, Caterina Riario Sforza de’ Medici. Boston: Houghton Miff
lin, 2011. Marchisello, Andrea. “‘Alieni thori violatio’: L’Adulterio come
delitto carnale in Prospero Farinacci.” In Trasgressioni: seduzione,
concubinato, adulterio, bigamia (XIV-XVIII). Edited by Silvana Seidel Menchi
and Diego Quaglioni, 133–83. Bologna: Il Mulino, 2004. Matthews-Grieco, Sara,
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Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2012. McClure, George. Parlour
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Toronto Press, 2013. Musacchio, Jacqueline Marie. “Adultery, Cuckoldry, and
House-Scorning in Florence: The Case of Bianca Cappello.” In Cuckoldry,
Impotence and Adultery in Europe (15th– 17th Century). Edited by Sara
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“Wives, Lovers, and Art in Italian Renaissance Courts.” In Art and Love
in Renaissance Italy. Edited by Andrea Bayer, 29-41. New Haven, CT: Yale
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Ecclesiastical Households.” European Review of History 22, no. 4 (2015):
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e provvedimenti diversi relativo alla città di Roma ed allo Stato Pontificio,
vol. 1 (anni 1234–1605). Rome: 1920. Sonnino, Eugenio. “The Population in
Baroque Rome.” In Rome/Amsterdam: Two Growing Cities in Seventeenth-Century
Europe. Edited by Peter van Kessel and Elisja Schulte, 50–70. Amsterdam:
Amsterdam University Press, 1997. Statuta almae urbis Romae. Rome: 1580.
Storey, Tessa. Carnal Commerce in Counter-Reformation Rome. Cambridge: Cambridge
University Press, 2008.PART IISense and sensuality in sex and gender. The case
of the early seventeenth-century “lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia
SimonsOn November 5, 1623, two Capuchin friars sent by a papal nuncio finished
their investigation regarding whether abbess Benedetta Carlini was a valid
mystic. An earlier, local study drawn up for Pescia’s provost in 1619 had been
amenable to her claims. In July 1620, she became the first abbess of the newly
enclosed convent, a prestigious appointment that suggests belief in her story.
Yet Benedetta’s authority within the nunnery was not universally accepted and
she lost the support of the civic establishment, leading to the new
investigation by more distanced authorities. They decided that she had been deceived
by the devil because, according to evidence from disaffected nuns, signs such
as her stigmata were faked. New evidence also included the testimony of the
abbess’ assistant, Bartolomea Crivelli (often called Mea), who unexpectedly
told the men, in explicit detail, about sexual relations between the two women.
Most scholars were similarly surprised when Judith Brown published the
supposedly “unique” case in 1986, in Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun.1
Responses were varied, the lengthiest being Rudolph Bell’s evaluation in 1987,
which argued that the nuncio was already determined to silence Benedetta and
that her subsequent lengthy imprisonment in the convent was imposed by the nuns
rather than external authorities, a claim refuted by Brown.2 The details of the
internal, civic, and ecclesiastical power plays cannot be definitively known,
but the sexual dynamics are clear. Over thirty years later, it is time to
reconsider this case, neither adhering to a modernist notion of strict sexual
identity nor relegating Benedetta and Mea to the margins. In keeping with
Konrad Eisenbichler’s ability to draw out erotic implications from literary and
archival evidence, this essay respects the reality of the women’s intimacy and
examines textual and visual materials in order to situate them in their
spiritual and sensual context. This case offers specific details and
terminology for what might be called corporeal spirituality, the unequivocal
coexistence of amorous language, sexual deeds, pious rhetoric, and religious
faith.3Since Benedetta’s visions entailed visitations from Christ, whom she
married in a public ceremony, and messages from angels such as Splenditello, in
whose voice she often spoke, Brown claimed the two nuns were engaged in a
heterosexualized affair: The only sexual relations she seemed to recognize were
those between men and women. Her male identity consequently allowed her to have
sexual and emotional relations that she could not conceive between
women. . . . In this double role of male and of angel, Benedetta
absolved herself from sin and accepted her society’s sexual definitions of
gender.4 Brown’s judgment associates male sex with masculine gender, and in
turn a presumed dichotomy between the two women is seamlessly laminated onto
their sex acts. However, this does not accord with either the women’s physical
actions, or with possibilities engendered by the sensual spirituality of
premodern Catholicism. The souls and f lesh of nuns were not as neatly divided
as a later, secular view imagines. Despite the Foucauldian point that
discourses of repression can generate the very thing they seek to silence, the
presumption of religious “purity” and feminized innocence has hardly
disappeared. Benedetta’s case remains nearly ignored in studies of European
religion or is cited brief ly with no new interpretation.5 It is seen as an
aberration on two counts: she was a nun with a sex life—considered an
oxymoron—and her sexual activity was with another woman—thought to be
impossible in her time and setting. Documented cases of nuns having sex with
clergy or secular men, as well as anti-clerical, fictional stories about such
conjunctions, are taken as ordinary, natural, feminine acts by women who were
supposedly frustrated in an entirely earthly way.6 But Benedetta, it seems,
must be a “unique” case, even “bizarre,” who assumed a male guise and cannot be
assimilated into religious history.7 My point here is to remove her from the
interdependent frameworks of deviance and heterosexuality, and to reintegrate
her into a religious context. Benedetta literally acted out what was usually a
world of visual and imaginary culture. Here I try to reconstruct a premodern
nun’s agency and the imagination of religious women, who were not necessarily
repressed victims with no recoverable history of any import. Nunneries were
loci of social and economic power, particular inhabitants inf luenced secular
women and male authority figures ranging from fathers to confessors, and some
women like Benedetta negotiated rich emotive lives for themselves. We tend to
think of nuns as women restricted by institutional confines and discourses that
denied them their bodies, but Benedetta’s story urges us to examine the
materiality of passion, of art, and of past lives. Only the report of the Capuchins
told of Benedetta’s sexual transgressions— f lirting with two male priests as
well as “immodest acts” with a woman—and only at the end of its account.8 The
inquiry concluded that her visions andecstasies were “demonic illusions.”9
Along with her disturbingly erotic behavior, the inquirers were concerned by
their discovery that apparent signs of her special favor, the stigmata, nuptial
ring, and a bleeding crucifix, were all forged. The friars integrated Carlini’s
sexual behavior with her spiritual behavior—all were sinful and diabolically
inspired. In an important sense, we need to take this contemporary
contextualization seriously, understanding that Benedetta’s visions were not
utterly divided from her corporeal acts. The aspiring mystic, then in her early
thirties, had been having regular sex with Mea for at least two years. Neither
investigation was sparked byrumors of sexual sin, nor is it clear how central
that particular misconduct was to her lifelong imprisonment within the
convent.10 Benedetta’s story most resembles cases of what Anne Jacobson Schutte
has called “failed saints,” or what Inquisitors termed “pretended holiness”
(affetata santità).11 Sixteenth- and seventeenth-century penance for a nun’s
sexual sin ranged from expulsion or permanent incarceration in the convent to
just two years of penance there.12 No witnesses or other evidence confirmed
Mea’s testimony and if she had not made a voluntary confession, no one could
have uncovered the information. The demoted abbess Carlini herself renounced
her past and never acknowledged Mea’s claims. The unusually visible sexual
aspects may not be unique. Recalling her secular life of the 1670s, and her
enjoyment of men courting her, St. Veronica Giuliani later emphatically
interrupted one of her autobiographies. A sentence written in capital letters
alluded to imprecise errors, implicitly sexual: “I bore great tribulation for
the sins I committed with those spinsters and I did not know how to confess
them.”13 Cloistered women may have enjoyed undocumented but thoroughly physical
relationships in secluded spaces. From at least the twelfth to the seventeenth
century, incidents of same-sex eroticism within female convents are recorded.
Around 1660, nuns at Auxonne accused their mother superior of bewitching them,
of wearing a dildo, of kissing, and penetrating them with fingers.14 Sixteenth-
and seventeenth-century women in Italian religious refuges for convertite
(ex-prostitutes) and malmaritate (abused wives) became friends and in some
cases nearly half the inhabitants formed couples sharing rooms, where
“officials discovered women who were sexually involved with other women.”15
Close living and supportive conditions also obtained in non- or semi-cloistered
communities of pious laywomen. Bell’s critique of Brown usefully corrected
various errors, while nevertheless making new mistakes. His chief point was
that the male investigators “had no lack of imagination or conceptual framework
for describing love between two women” and that it was the nuns rather than the
Church officials who condemned Benedetta to life-long imprisonment.16
Certainly, she seems to have been a demanding, imperious abbess who could not
cope with the dissension her rule engendered, perhaps in part due to newly
instigated clausura. Brown’s label of “lesbian,” despite her careful
acknowledgment that it was anachronistic, provoked much criticism. One reviewer
of the book, using yet more historically inappropriate terms, insisted that
“Carlini is heterosexual or, more properly,bisexual in both her inclinations
and conduct.”17 Disagreements over labels and details should not distract from
the fundamental fact that physical, sexual contact took place between two nuns.
Too often, a series of dichotomies misinform discussions of sexual practices. A
binary between the mind and the body, the soul and its vessel, is often mapped
onto other seemingly concomitant divides, not only between masculine and
feminine but also the celestial and the mundane. The presumption is that
religious ideologies constantly repress bodily desires and only secular,
putatively modern, frameworks are capable of acknowledging material passion. In
a similar vein, a contrast is regularly drawn between “real sex” (whatever that
is) and “Romantic Friendships” amongst women. Both the abbess’s visions and her
sexual deeds were informed by conventions shaping the lives of all nuns as
brides of Christ at a time when dualism was not naturalized. Discussing the
exegetical tradition regarding the biblical Song of Songs as an allegory about
the soul’s union with the divine, E. Ann Matter noted that the text was “the
epithalamium of a spiritual union which ultimately takes place between God and
the resurrected Christian—both body and soul.”18 Benedetta’s mysticism links
her to a tradition of female spirituality “that made the body itself a vehicle
of transcendence. . . . Corporeal images were the stuff with which
nuns described their experiences.”19 Heterosexualization of the story is too
simplistic, too ignorant of complex issues related to gender dynamics as well
as intersex and transgender bodies. What Brown calls Benedetta’s “double role
of male and of angel” and “her male identity” was not a consistent performance
of masculinity. Speaking on occasion as an angel named Splenditello or as
Christ, the nun was a medium for the divine rather than for her “self ” in a
modern sense of individual identity, and none of her contemporaries, including
Mea, considered her male. During sex, neither seventeenth-century woman
believed the other was transformed into a man, and their sex did not
necessitate resort to “instruments” or dildos, devices that so obsessed
confessors. For two or more years, “at least three times a week,” when the
women shared a cell as mistress and servant, they had sex, in the day as well
as at night or in the early morning.20 Although Mea sought to protect herself
by claiming she was always forced, and a degree of intimidation or overbearing
insistence may well have been involved, she implicitly admitted pleasure.
“Embracing her,” the abbess “would put her under herself and kissing her as if
she were a man, she would speak words of love to her. And she would stir on top
of her so much that both of them corrupted themselves.” The women did much more
than engage in what Brown and Bell describe, using the dismissive misnomer, as
“mutual masturbation.”21 They touched each other until orgasm, in vigorous and
multiple ways, including actions that were not possible for a single person,
and had no need of a phallus. Rubbing or “stirring” their genitals together to
the point of “corruption,” they also manually penetrated each other and
actively used their mouths. Presenting herself as more passive, Mea recounted
how even during the day the abbess grabbed her handand putting it under herself,
she would have her put her finger into her genitals, and holding it there she
stirred herself so much that she corrupted herself. And she would kiss her and
also by force would put her own hand under her companion and her finger into
her genitals and corrupted her.22 A slightly later expansion of the account
accentuated Benedetta’s inventive pursuit of pleasure, saying that “to feel
greater sensuality [she] stripped naked as a newborn babe,” and “as many as
twenty times by force she had wanted to kiss [Mea’s] genitals.”23 The document,
although stressing the younger woman’s reluctance, also showed a comprehension
of how satisfying the actions could be: “Benedetta, in order to have greater
pleasure, put her face between the other’s breasts and kissed them, and wanted
always to be thus on her.” During the day in her study, while teaching her
companion to read and write, the abbess again enjoyed sensual contact, having
Mea “sit down in front of her” or “be near her on her knees . . .
kissing her and putting her hands on her breasts.” Despite the reticence Mea
tried to convey in her statement, it was clear her lover sought mutual delight.
When manually arousing Mea, Benedetta “wanted her companion to do the same to
her, and while she was doing this she would kiss her.” The older woman was
presented as active and insistent. If Mea tried to refuse, the abbess went to
the cot “and, climbing on top, sinned with her by force,” or she would arouse
herself (“with her own hands she would corrupt herself ”). Hence, in a phrase
recorded only a few times in Mea’s testimony, the younger woman conceptualized
her vigorous, forceful lover in standard terms, saying “she would force her
into the bed and kissing her as if she were a man she would stir on top of
her.” Mea probably had no sexual experience with men, so her comparison was not
based on a Freudian model of the phallus or anatomical knowledge of a penis,
but on a sense of gendered roles whereby the man took a physically dominant
position. Benedetta and Mea enacted substantive, varied sex, in a range of
modes, positions, times, and locations. Benedetta’s case spurs us to ask
questions about the management of nunneries. How did seemingly “innocent” and
“repressed” women learn about sexual details and inventively contravene
prohibitions? A stock opposition between knowledgeable yet repressive male
authorities, and ignorant nuns without any agency, cannot satisfactorily apply.
Some inhabitants of nunneries shared a degree of sexual experience and innuendo
with their companions. Dedicated to God after her mother survived difficult
labor in 1590, Benedetta was a nine-year-old villager when she entered the
religious life.24 Most other entrants (and boarders) were similarly
prepubescent or in their early teens, but some were older, sexually experienced
women, such as widows or former prostitutes. Heterogeneity was increased by the
presence of converse, servants and lay sisters who entered at slightly older
ages, did not profess, and sometimes frequented the outside world, although the
growth of post-Tridentine enclosure made this less likely from the late
sixteenth century onward. The popular and much reprinted Colloquies (1529) by
Augustinian friar Erasmus suggested that nunneries were filled with “morewho
copy Sappho’s behavior (mores) than share her talent,” and that “All the veiled
aren’t virgins, believe me.”25 Through whatever means, cloistered women could
have clear ideas about how to attain sexual pleasure. An anonymous nun,
literate in Latin, wrote a love poem to another religious woman in the twelfth
century, noting that “when I recall how you caressed / So joyously, my little
breast / I want to die.”26 Confessors and canonists educated women in their
obsessive sense of sexual sin. Due to the urging of questioners, or to a sense
of guilt that welcomed the relief of voluntary confession, Venetian Inquisitors
heard in the 1660s about how the “failed saint” Antonia Pesenti fought in the
nighttime against diabolic temptations to masturbate.27 St. Catherine of Siena
(1347–80) was tormented by sexual visions.28 Such a woman, who strenuously
resisted association with secular men outside her family ever since she was a
girl and refused to place herself on the marriage market, nevertheless had some
comprehension of the conventions of sexual sin. Secular inspirations included
farmyard sights, carnival songs, and oral jokes. Sermons, or the queries of a
confessor, further embedded a degree of simple knowledge, horrifying yet
fascinating. Nuns were governed by regulations suspicious of erotic activity in
all-female environments, such as the provision since the early thirteenth
century of night-lights to deter illicit entries into cells, regular checks on
sleeping arrangements, supervision of female as well as male visitors, and
careful control of the grille and other points of contact with the wider world.
Yet those very rules made everyone aware of the possibility of contravention.
Many penitentials and texts of canon law voiced a concern about nuns erotically
touching or using “instruments” with each other, possibilities paradoxically
furthered through inquiries in the confessional.29 Visual culture, including
widely circulated prints and paintings of the damned, was another means whereby
nuns were incorporated into a communal imagination regarding both sin and
sensual piety. Explicit condemnations of same-sex activities led occasionally
to illustrations in religious texts or on the walls of convents.30 Sensitive
contact was also represented. Mutual tenderness and awe between the embracing
Mary and Elizabeth at the Visitation, liturgically celebrated in the musical
crescendo of the Magnificat (Luke 1:46–55) sung every day at Vespers, was
powerfully pictured by artists such as Domenico Ghirlandaio, Jacopo Pontormo,
and Parmigianino ( Figure 6.1).31 Saints’ lives contained legends like
Catherine of Siena suckling at Mary’s breast or St. Catherine of Genoa tenderly
kissing a dying woman on the mouth.32 A woman’s understanding of sex and
sensuality might have been based more on discursive than experiential
practices, but it could seem all the more real in its visionary presence. The
chief focus of my study is legitimized, mystical eroticism in convents, leading
to Benedetta’s mistaken, kinetic literalization of spiritual metaphors. Her
pious and sexual performances intertwined on at least three levels of efficacy.
Instrumentally, her access to the divine persuaded the younger, initially
illiterate Mea to be a witness to the visionary experiences and to become a sex
partner.Parmigianino, Visitation, pen and wash. Galleria Nazionale, Palazzo
della Pilotta, Parma.FIGURE 6.1De Agostini Picture Library/A.
DeGregorio/Bridgeman Images.Whether the ambitious nun was a self-aware
manipulator throughout, or convinced by her own delusions, is neither knowable
nor particularly pertinent. For some time Mea and the other nuns, the
confessor, local officials, and the townspeople were all caught up in a
visionary scenario they wanted to believe. At Benedetta’s funeral in 1661, the
populace had to be kept away from a body they stillthought capable of
miracles.33 The investigators eventually judged Benedetta a “poor creature”
deceived by the devil, and she agreed that everything was “done without her
consent or her will.”34 That defense of unconscious possession was already
evident during the days of her acceptance by the community, but it shifted from
being divine favor and spiritual rapture to becoming demonic deception. On the
psychological level, the two women were provided with an effective way to cope
with guilt. Until Mea “confessed with very great shame” about their sex, the
angel Splenditello convinced her the women were not sinning. 35 Initially
hesitating, in the presence of a host of saints led by Catherine of Siena, to
obey Christ’s command to disrobe so he could place a new heart in her body,
Benedetta was reassured by Jesus, who said “where I am, there is no shame.”36
The Capuchin investigators thought her putative ecstasy “partook more of the
lascivious than of the divine” but the earlier inquiry, and the convent’s
inhabitants like Mea, had not taken it amiss. After all, Saints Catherine of
Siena, Catherine de’ Ricci (1522–90), and Maria Maddalena de’ Pazzi (1566–1607)
received hearts from Christ, and numerous images in printed or painted form
continued to disseminate this aspect of female sanctity’s typology.37 Secular
poetry and pictures also represented the gifting of manly hearts as a token of
a courtly love that metaphorically elevated carnal desire into an idealized
realm, without losing sight of erotic thrill.38 Nuns were increasingly devoted
to Christ’s wounded heart, and imagined their own hearts as inner loci to be
entered by their heavenly groom. The crucial difference was that Benedetta’s
imagination was so inventive, and her belief system so literal, that
representation of her participation in this mystic ritual included
physical—“lascivious”—details. Thirdly, on the affective level, Benedetta’s
mysticism heightened her sense of desire, not only for union with the divine,
but for sex aided by angels. Equally, it could be said that her yearnings
exacerbated her mysticism. Recourse to mystical fantasy endowed her passion
with a structure and rhetoric. Rather than sublimation through piety,
Benedetta’s case history indicates an intensifying of acts spiritual and
sexual. Much of her complex psyche is summed up by the striking act of
benediction she performed after sex: as Splenditello, “he made the sign of the
cross all over his companion’s body after having committed many immodest acts
with her.”39 Priest, angel, nun, lover, guilty and grateful, powerful and
placatory, Benedetta moved her hand over a body she rendered simultaneously
sacral and sensual. Alongside a renewed disciplinary zeal regulating cloistered
life, CounterReformation culture witnessed a heightening of the emotive
register of piety. In doing so, the Catholic Church accentuated a venerable,
central heritage that used human bodies to imagine spiritual passions. So, in
the Mystic Nativity of 1500–01 (National Gallery, London), Botticelli’s angels
reenact the ritual of the kiss of peace, a regular liturgical moment, but
potential eroticization is indicated by its conjunction with a nuptial kiss and
by the exclusion of sinners from the ritual.40 Primarily same-sex pairs kiss
and embrace in Giovanni di Paolo’s midfifteenth-century panels representing
eternal paradise ( Figure 6.2).41 Angels andFIGURE 6.2 Giovanni di Paolo,
Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood, 44.5 × 38.4
cm. New York, Metropolitan Museum of Art. Open access.souls of the blessed
greet each other, and the blissful unions are all manifested as moments of
physical intimacy. Men in religious costume embrace, two secular women tenderly
touch, near them two Dominican nuns entwine in one unit, and angels enfold men
into the sweet realm of grace. Some female mystics were blessed with a miracle
of lactation.42 Catherine of Siena’s experiences especially inf luenced
Benedetta because her mother was devoted to Catherine and the convent was under
her aegis as its patron saint.43 That role model’s mouth drained pus from a
woman’s breast and the abnegation was rewarded by what her confessor termed an
“indescribable and unfathomableliquid” f lowing from Christ’s side.44 Both
scenes featured in one of the prints comprising a well-disseminated series
illustrating Catherine’s life, designed by Francesco Vanni and first issued in
1597, then reissued in 1608 ( Figure 6.3).45 Her confessor Raymond of Capua
presented Christ as Catherine’s sensual lover: “putting His right hand on her
virginal neck and drawing her towards the wound in His own side, He whispered
to her, ‘Drink, daughter, the liquid from my side, and it will fill your soul
with such sweetness that its wonderful effects will be felt even by the body.’”
Raymond brief ly noted that an earlier confessor had written about how “the
glorious Mother of God herself fills her [i.e. Catherine] with ineffable
sweetness with milk from her most holy breast.”46 Nurtured at the breasts of
Christ and Mary, and moaning that “I want the Body of Our Lord Jesus Christ” in
church before his body f luid miraculously satisfied her so that “she thought
she must die of love,” Catherine’s inf luential model of sanctity encouraged
women such as her follower Benedetta Carlini to believe in sensate relief of
their spiritual desires.47FIGURE 6.3 Francesco Vanni, St. Catherine of Siena
orally draining pus from an ill woman and being rewarded with liquid from
Christ’s wound, 1597, engraving, 25.7 × 28.9 cm. Amsterdam, Rijksmuseum. Open
access.Benedetta’s maleness supposedly derived from her role-playing as Jesus
or an angel, yet neither Christ nor angels were unequivocally male. In a
fundamental sense, of course, Christ was masculine, the son of God endowed with
visible, male genitals to prove the infant’s assumption of Incarnational
humanity.48 His adult manifestation was also primarily masculine and
patriarchal. Imitative adoration of their heavenly spouse could lead to
mortification and even stigmatization, but nuns were not masculinized through
such actions and they did not automatically become lovers of men. Stigmatized
like Christ or speaking at times as though Christ was delivering a
message,Benedetta was not Jesus, but his bride and servant. Cloistered women
were privileged followers of Mary’s role as sponsa, the heavenly bride
reenacting the Song of Songs and enjoying sensual relations with an adult,
loving Christ. But when a German cleric regretfully noted that “it properly is
the prerogative of his [i.e. Christ’s] brides” alone to enjoy sensual union
with a celestial bridegroom, he nevertheless vicariously enjoyed a homoerotic
fantasy by instructing nuns to kiss Christ “for my sake.”49 As scholars have
shown, in many ways the metaphorical body of Christ was “feminine” or
homoerotic or, rather, polymorphous in its sensual charge.50 Nuns imagined
themselves as suckled infants, nurtured adults, mothers, spouses, female
friends, all sharing an affinity as “sisters and daughters in Jesus Christ,” as
Catherine de’ Ricci addressed a group of nuns in October 1571 after the death
of “your dearest mother,” their abbess.51 While Christ was their child and
groom, and Mary their exemplar, nuns were also enfolded in a female genealogy
of succession and a feminine household of multiple sisters, daughters and mothers.
Fellow nuns tenderly support Catherine of Siena when she is so affected as to
faint after receiving the stigmata, painted by Sodoma in the mid-1520s for the
Sienese chapel dedicated to her within the Dominican headquarters of her cult
(Figure 6.4).52 Catherine is shown with exemplary female acolytes whose
intimate, gentle regard for her swooning body suggests a bodily care and
unselfconsciousness that requires no masculine intervention. Nuns took on more
than one persona in this labile community of affection. After Benedetta married
Christ in a special ceremony on May 26, 1619, a brief investigation did not
distrust her mysticism, and on July 28, 1620 her religious sisters elected her
abbess, head of the new Congregation of the Mother of God.53 As such, “mother”
abbess Benedetta embraced her “daughter” and fellow “sister” Mea. Brown conf
lates being male with taking on an angelic guise, but Benedetta took on no such
“double role of male and of angel.” When using the voice of an angel, she was
not adapting a role assigned to unambiguously male figures. Since theologians
such as Aquinas believed angels might assume f lesh but had no natural bodies
or functions, the ethereal creatures were officially asexual. Names, pronouns,
and visual representations implied a degree of masculinity about God’s
messengers, but often of a childlike or pubescent and androgynous kind. At the
very moment when Gabriel carried the message transmitting the Logos into the
body of the Virgin Mary, that archangel was often depicted as especially
androgynous. It was probably to a frescoed Gabriel that the orphan,Sodoma,
Giovanni Antonio Bazzi, Scenes from the Life of Saint Catherine of Siena: The
swooning of the saint, 1526, fresco. Siena, S. Domenico. Scala/Art Resource,
NY.FIGURE 6.4The “lesbian nun” Benedetta Carlinilater Beata, Vanna of Orvieto
pointed on a church wall when she said “this angel is my mother.”54
Splenditello and Benedetta’s other angels empowered rather than masculinized
her. Splenditello and company were celestial, barely gendered embodiments of
winged eros or desire, rather than of a particular lover. Mea’s account moved
directly from details of their sex to the statement that the mystic “always
appeared to be in a trance (ecstasi ) . . . Her angel, Splenditello,
did these things, appearing as a beautiful youth (bellisimo giovane) of fifteen
years.”55 The attractive adolescent was endowed with the kind of homoerotic
potential celebrated in contemporary paintings such as Caravaggio’s The
Stigmatization of St. Francis produced in the first decade of the seventeenth
century (Figure 6.5).56 Like the contemporaneous Splenditello, the seraphic
spirit of celestial love who gently supports Francis is a creature ostensibly
male but fundamentally symbolic of an eroticism which does not insist on
singular identifications of gender or sex. The saint swoons in the arms of a
lover whose pictorial form embodies the ineffable and polymorphous. Francis’s
pious identification with the supreme exemplar Christ is physically and metaphorically
consummated as he receives the stigmata in a mystical experience necessarily
represented in erotic terms. A little more than twenty years after Mea’s
confession, Gianlorenzo Bernini began work on a three-dimensional figuration of
The Ecstasy of St. Teresa (Figure 6.6). With caressing gaze, divine light, a
conventional arrow of Love, andFIGURE 6.5 Caravaggio, Saint Francis receiving
the stigmata, ca. 1595–96, oil on canvas, 94 × 130 cm. Wadsworth Atheneum
Museum of Art.Photo credit: Nimatallah/Art Resource, NY.FIGURE 6.6Bernini, The
Ecstasy of St. Teresa, marble, 1645–52. Rome, S. Maria dellaVittoria. Photo
credit: Alinari/Art Resource, NY.delicate gestures, Bernini’s embodiment of
celestial spirit visits upon Teresa an experience of divine transport. A
childlike member of the ranks of the cherubim gently strips Teresa of her
worldly garments, lifting the robe so that blissful fire will sear her soul
with what she called “a point of fire. This he plunged into my heart several
times so that it penetrated to my entrails.”57 As Teresa described her rapture
in the early 1560s, “this is not a physical, but a spiritual pain, though the
body has some share in it—even a considerable share.” Corporeal sensation was
certainly perceived by an anonymous critic who, around 1670, accused Bernini of
having “dragged that most pure Virgin not only into the Third Heaven, but into
the dirt, to make a Venus not only prostrate but prostituted.”58
Contemporaries, in other words, were quite aware of the fine line between sensuality
and spirituality, a boundary crossed not only by Benedetta but by the renowned
artist Bernini. Benedetta’s staging of such favors as her stigmatization and
her nuptials with Christ were eroticized events akin to those depicted by
artists. She involved an entire community of nuns and a local populace in
earthly manifestations of the divine, just as Caravaggio did in oil paint,
Bernini in marble, or preachers with words. Miracles were understood to be
physically manifest, and visions subtly brought the divine into the corporeal
realm. The late thirteenth-century mystic Gertrude of Helfta wondered why God
“had instructed her with so corporeal a vision.” Her question was rhetorical,
as any acceptable mystic knew: spiritual and invisible things can only be explained
to the human intellect by means of similitudes of things perceived by the mind.
And that is why no one ought to despise what is revealed by means of bodily
things, but ought to study anything that would make the mind worthy of tasting
the sweetness of spiritual delights by means of the likeness of bodily things
(corporalium rerum).59 As the seamstress and “failed saint” Angela Mellini knew
about her visions in the 1690s, “one never sees things with the eyes of the
body, but everything is seen intellectually.”60 On the other hand, this
reassuring statement was delivered to an Inquisitor, whereas a note written by
her halting hand understood that emotional passion had very real effects.
Thinking of such things as the pains she suffered in her heart, in imitation of
Christ’s passion, she observed that “love makes me experience the truth of
sufferings through the senses, now it beats, now it purges, now it hurts and
now all sorts of torments are felt.” In order to truly convey the exactitude
and reality of her sensate love, in September 1697 she sketched a diagram of
her wounded heart, complete with lance, nails, hammer, cross, and crown of
thorns. That drawing was produced for her confessor, a man she desired so much
that she felt “great heat in all the parts of my body and particularly of
movements in my genitals.”61 Like a courtier offering a heart to the beloved,
and like the related love-imagery for the soul’s yearning after the divine,
Angela availed herself of religious rhetoric and resorted to physical signs
when lovingChrist and wooing her priest. Similarly, on Caravaggio’s canvas and
in Bernini’s chapel, light is divine and natural, the ecstasy spiritual and
embodied. So, too, Benedetta’s sensate and emotive life was a continuous blend
of illusion and reality, spirit, and similitude. Echoing her model, Catherine
of Siena, Benedetta experienced visions, stigmatization, the exchange of
hearts, and a marriage with Christ. Catherine’s reception into heaven after her
death, disseminated in Francesco Vanni’s engravings and various paintings,
entailed a tender, intercessory greeting by Mary.62 Catherine’s charitable
nursing brought her mouth into contact with one dying woman’s breast (Figure
6.3), and on another occasion she transformed an ill woman into her spouse.63
“Full of burning charity,” Catherine rushed to the hospital to tend a bereft
woman, “embraced her, and offered to help her and look after her for as long as
she liked.” She motivated herself by “looking upon this leper woman, in fact,
as her Heavenly Bridegroom.” Benedetta took the actions of her exemplar
further, embracing another woman in a relationship where each was a spouse,
each a bride. At some level, she perhaps believed the words God spoke to
Catherine, that “In my eyes there is neither male nor female.”64 To have an
impact, mysticism had to present a degree of spectacle, and thus cross into the
physical realm. The special favors bestowed on some mystics were invisible, but
then other signs had to appear, especially as the Church grew more cautious
about legitimizing local cults, feminine excesses, fakery, and piety which
might turn out to be diabolical in origin. Lucia Broccadelli’s stigmata arrived
during Lent in 1496 but only becoming visible at Easter, after Catherine of
Siena’s supplication in heaven persuaded Christ “that the stigmata should be
visible and palpable in me.”65 For several years, the Dominican visionary was
highly favored by the lord of Ferrara, Ercole d’Este, and officials, including
the Pope’s physician, examined her wounds to their satisfaction. But the
fortunes of this “living saint” suffered a reversal when her ducal patron died
in 1505. The sisters, chafing under her strict rule, were able to mount a
counter-offensive because the stigmata had disappeared. Lucia was imprisoned
for fraud within the convent for nearly forty years, until she died in 1544. A
potential mystic impressing only a relatively small town and without a powerful
supporter, Carlini also encountered a backlash from her fellow religious and
was investigated in an even more stringent climate. Once the
Counter-Reformation took hold, especially after the Council of Trent (1545–63),
there was an increase in cases of women ultimately judged “failed saints” or
diabolically possessed. Concomitantly, the number of female canonizations
decreased, with a suspicion of women deemed credulous and excessive further
abetted by Urban VIII’s more strict procedures for canonization.66 Two hundred
years earlier, Catherine of Siena’s confessor, Raymond of Capua, later Master
General of the Dominican Order, was persuaded of the veracity of her mystical
experiences, despite the invisibility of her marriage ring and stigmata, by
“watching the movements of her body when she was in ecstasy.”67 Maria Maddalena
de’ Pazzi begged Christ that her mystical ring andThe “lesbian nun” Benedetta
Carlini113stigmata be invisible, but the impulse for humility was neatly
balanced by kinetic and audible theatre similar to Catherine’s. Her very wish
not to be singled out became itself part of the record collected by her
community. In May 1619, Benedetta staged an elaborate wedding witnessed by the
secular elite of Pescia. The first inquiry into her holiness began the very
next day. But her renewal of the ring (with saffron) and stigmata (with a large
pin) only emerged in the course of the later investigation.68 Judged fraudulent
by Bell, Benedetta may nevertheless have been acting in good faith, marking her
body artificially only when doubts grew, trying to persuade the sceptics by
secondary, external signs that she truly believed were there on her soul.69
When a Capuchin nun, the blessed Maria Maddalena Martinengo (1687–1737),
piously took a needle to her own body, it was not counted diabolical. She
embroidered the instruments of the Passion “with the needle threaded with silk
. . . into her own f lesh, nice and big, as chalice-covers are
embroidered, nor without bleeding.” 70 To retain her status and stem the tide
of opposition in an increasingly fractious convent, Benedetta may have
inscribed her body without thinking that the act was forgery. Self-mutilation
recurs in the lives of mystics, including Angela of Foligno’s searing of her
genitals, Margaret of Cortona’s desire to cut her face, and Maria Maddalena de’
Pazzi’s gouging of her f lesh.71 Benedetta’s piercing, documented by a hostile
witness who came forth only after the convent turned against their imperious
abbess, may have been motivated in part by a genuine element of imitatio
Christi. Rather than judge her by later standards of verisimilitude and
honesty, it would be more appropriate to understand her actions, and subsequent
downfall, as a naïve, over-literal, and undisguised performance of spiritual
conventions that found no meaningful political support amongst higher
authorities or in a discordant convent. Like other aspirants to mysticism,
Benedetta displayed her celestial vision through mime, “motioning with her
hands as if she were taking” souls out of purgatory, for instance, but her
choreography went so far as to publicly process in a prearranged mystic
marriage, and to act out her erotic drive with Mea.72 Maria Maddalena de’ Pazzi
also kinetically staged her exceptionality. She mimed her wedding with Christ,
or in pantomime indicated to the novices under her care that she was being
stigmatized. Her charges reported that “she held her hands open, staring at a
figure of Jesus that she had on top of her bedstead; she looked like St.
Catherine of Siena. So, we thought that at that point Jesus gave her his holy
stigmata.” 73 Eroticizing a dormitory, looking at one image and mimicking
another, Maria Maddalena involved her young female audience in a highly visual
fantasy that drew on widely familiar iconography of female mysticism. Those
visualizations were further instilled through skills of internalized sight.
Trained, like all Catholics, in contemplative techniques merging the inner and
outer eye, Maria Maddalena and her faithful novices witnessed the material
reality of a vision. Meditative practices imagined narratives set in contemporary
settings, with familiar faces, placing a premium on immediacy and recognition
that was also highly valued in visual culture. Visions were regularly made
tangible,when nuns cared for and dressed dolls of the Christ Child, acted out
the stigmatization, wrote and performed religious plays, or, in Catherine of
Bologna’s case, painted and drew images inspired by her raptures.74 To make
fantasy real, to don the mantle of holy figures, was orthodox rather than
perverse. Benedetta’s concrete sexualization of her religious scenario was not
unique. In the early sixteenth century, a Spanish canon lawyer had justified
his inordinate lust for some nuns in Rome by arguing that since, as a cleric
“he was the bridegroom of the Church and the nuns were brides of the Church,”
they could have “carnal relations without sin.” 75 Imprisoned until he
renounced these beliefs, the educated man had muddled certain doctrines, but
his conf lation of spiritual allegory and physical desire was present in the
writings of many a mystic and it was visualized in numerous visions or works of
art. By making her desires earthly as well as divine, Benedetta misunderstood
conventions, but she did not invent outside a context. While she cannot be
posited as a mainstream example of premodern religiosity, there was a logic to
Benedetta’s actions that does not rely on a reading of her as a skeptical,
manipulative fraud. Angelic disguise transformed the mystic aspirant Benedetta
into a forceful seductress, whose tenderness and ecstatic passion was not
rigidly fixed along differently sexed lines. Mea reported: This Splenditello
called her his beloved; . . . [and said] I assure you that there is
no sin in it; and while we did these things he said many times: give yourself
to me with all your heart and soul and then let me do as I wish.76 Like the
facilitating angel in the mystic encounters represented by Caravaggio and
Bernini, Benedetta’s guardian angel was imagined as a beautiful, curlyhaired
youth dressed in gold and white.77 The young angel was an instrument of
persuasion, the abbess a figure of command and intimidation. Splenditello’s
power derived from a patriarchal hierarchy in heaven, but he sounded like a
youth rather than a god. His counterpart in Caravaggio’s painting does not
heterosexualize that encounter; and in Bernini’s ensemble the young angel
eroticizes a spiritual ecstasy that cannot be crudely reduced to phallic
penetration by an adult man. Nor does Splenditello’s presence amidst the
couplings of Benedetta and Mea reduce them to a differently sexed twosome.
There was a third, disembodied protagonist in each of these raptures. The
divine was elemental light in Caravaggio’s painting and Bernini’s sculpture. In
Benedetta’s visions, as in her sex with Mea, the divine was literally articulated,
through voice. Christ or Splenditello was a pivot in a triangulation of desire
in which one of the results was frequent, very real sex between two women.78
The interpretation of Benedetta’s acts within the framework of a
heterosexualized bride of Christ points to the need to reconsider in quite what
ways Jesus was a spouse. Three kinds of marital imagery informed the regulation
of female religious: liturgical, allegorical, and mystical. While all nuns were
incorporated liturgically and could picture their souls as allegorical spouses
of the heavenlybridegroom, only mystics experienced additional nuptials. In
1619, Benedetta’s mystic marriage was an overt, preplanned, public festival, as
was her first marriage to Christ in 1599 at the age of nine, taking the veil,
ring, and crown at a ceremony celebrated by a bishop, though occasionally the
celebrant was an abbess.79 In a drawing by an anonymous German nun around 1500,
enthroned Virgin Mary/Ecclesia replaces the priest (Figure 6.7).80 Strikingly,
the figure of Christ, particularly as an adult, is absent from many such
images. When he does appear, as in an illuminated manuscript of the rule of St.
Benedict produced for Venetian nuns, he can bestow the nuptial crown on two
Brides at once.81 Describing the ritual as one involving “the giving of a woman
to a man” and using the term “heavenly husband” mistakenly suggests a scenario
akin to a modern, secular, nuclear family.82 Analogy should not be confused
with actuality. The acculturation entailed complex, multiple interchanges,
evident in the drawing (Figure 6.7). Its scroll carries the inscription “Take
this boy and take care of [i.e. suckle] me (nutri michi). I will give you your
reward.”83 Like a priest offering the veil, ring, and crown, and then the eucharist,
the Virgin begins to speak, licensing the earthly virgin to embrace the baby.
But the infant takes over, urging the young nun to suckle him and promising her
eternal reward. Her spouse is an infant, not a dominant patriarch, nor an
earthly “husband.” Christ was a communal groom, and a commonly nurtured babe.
He was more visible, and more often adult, in images of the allegorical and
mystical levels of marriage.84 Mystic marriages of saints show the adult, or
often infant, Christ as the pivotal locus of mediation, yet the rhetoric and
ritual of marriage also visually and symbolically bonds two or more female
characters Anonymous German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500.Photo
credit: Jeffrey Hamburger. Used with permissionwho are devoted to God’s son.
Catherine of Siena imitated St. Catherine of Alexandria’s mystic marriage with
Christ, and thereafter the subject of union became popular.85 Female saints,
especially the earlier Catherine, are usually depicted in the act of espousal
to an infant Christ offered by his mother Mary, just as the German nun
remembered (Figure 6.7). Thereby, two holy women engineer a mystical union over
the body of a small child. To say that Christ becomes “the object of exalted
maternal instincts rather than sublimated sexual desire,” however, is to assume
that a nurturing woman’s affection has no component of passion, and that all
female desire must be focused on a male object.86 The child-groom can be shown
as a young, unknowing instrument guided by his mother, as in a painting by
Correggio, where the interplay of hands is particularly sensitive.87 Courtly
decorum amongst adults becomes in Correggio’s visualization an intimate, gentle
affair in which the child is too young to grant seigneurial permission. Held
close so that his body is subsumed in his mother’s, at other times he is a
virtual extension of her body, helping to connect through compositional line
and symbolic gesture a succession of two or more female figures. His small arms
and shoulder stand in for Mary’s left arm in a later painting by Ludovico
Carracci, so that his torso becomes especially symbolic of a presence that
almost need not be there.88 Guercino’s painting of 1620 depicts a gentle touch
between the two women, and tender glances link the three characters, but Christ
is relegated to the opposite side.89 Visual management of nuns’ fantasies could
imagine them in very physical, explicit actions. A cycle on the Song of Songs
painted in the mid-fourteenth century on the walls of a nun’s gallery at
Chelmno in eastern Prussia imagined Sponsa eagerly pulling her spouse into her
bedchamber.90 It literalizes the Canticle: “I will seize you and lead you /
into the house of my mother” (8:2). Such pictures made manifest an emotive
intensity that the all-female audience knew they were meant to share with other
women.91 In Northern Europe, the instructional habit of elaborating the amorous
interchange between Christ and the soul produced a sequential narrative version
illustrated in comic-strip fashion, Christus und die minnende Seele (Christ and
the loving soul), written in German in the late fourteenth century, later
disseminated in printed sheets and books.92 The divine lover embraced the soul,
wooed her with music, and crowned her in a ritual reminiscent of a wedding ceremony.
She obeyed Christ’s command to divest herself of worldly garments when he said
“If you wish to serve me, you must be stripped bare.” It is unlikely that
Italian nuns like Benedetta knew this particular text or its imagery, but the
practice of encouraging a religious woman’s fantasy through narrative, whether
in sermons, sung words, wall paintings, prints, books, or paintings, fostered a
widespread, eroticized imagination. The soul’s rapturous reach toward its
divine lover from a supine position on a bed, as represented in the Rothschild
Canticles, was echoed in Bernini’s marble display of Ludovica Albertoni arching
up from a bed where the disarranged sheets are even more telling a sign of the
soul’s ecstasy.93 Within this ideological structure, BenedettaCarlini could
imagine herself as a privileged soul experiencing ecstatic union with the
actual body of Mea. On one of the three occasions when she addressed Mea in
Christ’s voice, “he said he wanted her to be his bride, and he was content that
she give him her hand; and she did this thinking it was Jesus.”94 Even if the
abbess was a manipulative faker, as a crude and cynical reading might have it,
Mea believed the illusion, according to her self-protective testimony. If
neither woman was skeptical at the time of the conversation, then the words and
gesture performed a tangible, if unconventional, enactment of bridal mysticism.
Christ was manifest in a human—and female—body rather than only present to the
mind’s eye, yet the two believers went on with the corporeal pantomime. If one
or both of the earthly players did think that Christ was not speaking, then at
least one of them heard a marriage proposal being offered by one woman to
another yet did not rebuff or denounce it at the time. Benedetta utilized the
traditional metaphors and scenarios of erotic mysticism, but at certain moments
she took the logic beyond doctrinal limits. She only assumed Jesus’ voice
during three conversations with Mea.95 Twice she spoke “before doing these
dishonest things,” first when Jesus took Mea’s hand and suggested marriage. The
second time was in the choir, “holding [Mea’s] hands together and telling her
that he forgave her all her sins.” “The third time it was after [Mea] was
disturbed by these goings on,” and was reassured that there was no sinfulness,
and that Benedetta “while doing these things had no awareness of them.” All
three occasions offered comfort and framed sex, occurring either before or
after their “immodest acts,” but Benedetta did not present herself as a
sexually active Christ. However much bridal mysticism structured Benedetta’s
actions, she never took on the persona of Christ during sex with Mea, instead
acting through an angel when she used any guise at all. Perhaps she is best
described as a mystic playwright, someone who wrote scripts during visionary or
ecstatic experiences but who acted out rather than wrote down the dramas, for
an audience that included not only Mea but also on occasion the other nuns and
the local populace. Plays by nuns were performed by inmates who cross-dressed
for the male roles.96 In 1553 Caterina de’ Ricci played the part of
twelve-year-old Jesus speaking, with “signs of particular love,” lines from the
Song of Songs to a fellow nun who was acting as St. Agnese.97 Taking multiple
roles, such as Christ or angels with a variety of dialects and ages, as well as
sponsa and anima, Benedetta was a consummate performer whose voice and
appearance fitted the occasion.98 The mutual gestures of Benedetta and Mea
literally followed the Song of Songs: “My beloved put forth his hand through
the hole / and my belly trembled at his touch / I rose to open to my beloved /
my hands dripped myrrh / . . . / I opened the bolt of the door to my
love” (5:4–6). Mea’s account of how Benedetta “put her face between the other’s
breasts and kissed them, and wanted always to be thus on her” recalls the
Canticle’s enjoyment too. In the adaptation of the biblical Song in the
Rothschild manuscript compiled for a nun, Sponsus delightsin breasts: “between
my breasts he will abide . . . Behold my beloved speaketh to me: How
beautiful are thy breasts, thy breasts are more beautiful than wine.”99 The
phrase “sister my bride (soror mea sponsa)” was particularly apt. It occurs
four times in the Song (4:9, 10, 12; 5:1), along with “open to me, my sister my
friend” (sor mea amica mea) (5:2). Imitating the soul’s statement in Christus
und die minnende Seele that “I must go completely naked,” Benedetta “stripped
naked as a newborn babe.” Each recalled the Song’s bride: “I have taken off my
garment” (5:3). The sequential narrative of the romance between Christ and the
soul also had the womanly soul say “I cannot read a book unless you are my
master” and “I will tell no-one, love, what I have heard from you,” each lines
Mea could have uttered to her abbess.100 Benedetta spoke another line, taking
on the voice of Christ to offer the symbolic emblem of mystical marriage:
“Since you delight me, love, I set a crown upon you.” She lay on top of Mea,
“kissing her as if she were a man [and] she would stir on top of her so much
that both of them corrupted themselves,” an arrangement, and finale, which
bears comparison with the miraculous levitation experienced by the Capuchin nun
Maria Domitilla in Pavia at the very same time, 1622. She recorded that Christ
united his most blessed head to my unworthy one, his most holy face to mine,
his most holy breast (petto) to mine, his most holy hands to mine, and his most
holy feet to mine, and thus all united to me so very tightly, he took me with
him onto the cross . . . I felt myself totally af lame with the most
sweet love of this most sweet Lord.101 Benedetta’s models, such as the sponsa,
the anima, and Catherine of Siena, were feminine, metaphorical, or legendary,
and her mistake in dogma was to take the symbolic literally. Benedetta acted as
though the material was the spiritual: stripping for Christ or Mea like an
obedient and pleasured soul in the Northern sequential romance; kissing a woman
or suckling at a breast as did certain female mystics or saints; engaging in
mutual, manual penetration of an orifice in line with the Song of Songs;
proposing and performing marriage as though she could take both roles in a
mystical drama. Her sex partner, Mea, was always a female figure, assigned a feminine
part. Benedetta enjoyed repeated sex with a woman, not because that was the
only body available to her, but because their religious beliefs were not
predicated upon some exclusionary, modern notion of heterosexual identity.
Through the vicissitudes of confession and documentary survival, we happen to
know that in the early 1620s two under-educated women in a provincial Tuscan
convent took religiously legitimized and visualized passion to a literal level.
Brides of Christ, nurtured on the notion that their cells were bedchambers for
nuptial union with a shared, metaphorical spouse, became in those very spaces
lovers on an earthly plane. In seventeenth-century Pescia a patriarchal logic
led to an alternative rite of passion. This does not mean that the women’s
sexual arousal was incidentalor insignificant, but that their sensual and
spiritual inspirations were neither entirely insincere nor irreligious.
Benedetta Carlini was a nun, abbess, articulate angel, feminized soul, female
mystic, and woman’s lover.Notes 1 Brown, Immodest Acts, 4; Bell, “Renaissance
Sexuality,” with “virtually unique” on 487, Brown’s response, 503–09, and
Bell’s reply, 510–11. I am grateful to Professor Bell for sharing his
microfilms of the documents. The Italian of two missing frames, his figs. 1 and
2, was partly published in the Italian edition of Brown’s book, Atti impuri,
esp. 184– 86. I will endeavor to place digital copies of the documents in the
Deep Blue repository of the University of Michigan. Ideas here were first explored
in a talk at the University of Michigan (January 2000). I am grateful for
everyone’s attention in numerous audiences since then, but for conversations I
especially thank Louise Marshall and Vanessa Lyon. 2 Bell, “Renaissance
Sexuality,” 501–2, Brown’s response, Immodest Acts, 507. 3 Partner, “Did
Mystics Have Sex?” 296–311; Salih, “When is a Bosom,” 14–32. 4 Brown, Immodest
Acts, 127. 5 An exception is Matter, “Discourses of Desire,” 119–31. 6
Documented cases include Brucker, ed., The Society of Renaissance Florence,
206–12; Chambers and Pullan, with Fletcher, eds., Venice. A Documentary
History, 204–05, 208. 7 Matter, “Discourses of Desire”, 122–23: “the nature of
Benedetta Carlini’s sexual encounters with her sister nun is so bizarre as to
defy our modern categories of ‘sexual identity.’” 8 Brown, Immodest Acts,
161–64. 9 Ibid., 110–14, 160–64; Bell, “Renaissance Sexuality,” 491. 10
Carlini’s imprisonment “in penitence” ended when she died in August 1661:
ibid., 132. Upon Mea’s death in September 1660, the recorder referred to
Benedetta’s fraud rather than sexual deeds: when Benedetta “was engaged in
those deceits” Mea “was her companion and was always with her.” But Mea was not
imprisoned: ibid., 135. 11 Jacobson Schutte, “Per Speculum in Enigmate, 187, 195
n. 11. For another case see Ciammitti, “One Saint Less.” 12 Brown, Immodest
Acts, 7–8, 136; Rosa, “The Nun,” 221; Velasco, Lesbians in Early Modern Spain,
92. 13 Bell, Holy Anorexia, 70. 14 Barstow, Witchcraze, 72, and further cases,
139–41. Others include Velasco, Lesbians in Early Modern Spain, 113–24. 15
Cohen, The Evolution of Women’s Asylums, 92–93, 208–09 n. 65. 16 Bell,
“Renaissance Sexuality,” 498. 17 Cervigni, “Immodest Acts,” 286. 18 Matter, The
Voice of My Beloved, 142. 19 Hamburger, The Rothschild Canticles, 4. 20 Unless
otherwise indicated, quotations are from Brown, Immodest Acts, 117–18, 120– 22,
162–64 passim (with emphases added). 21 Brown, Immodest Acts, 120; Bell,
“Renaissance Sexuality,” 486, 495, 497, 499. 22 Ibid. 23 Ibid., 498 (“le ha
voluto baciare le parti pudente”); Brown, Immodest Acts, 120. 24 Ibid., 21–22,
27–28. 25 Collected Works of Erasmus, vol. 39: Colloquies, 290. 26 Coote, ed.,
The Penguin Book of Homosexual Verse, 118–21 for this and another example. 27
Schutte, “Per Speculum in Enigmate,” 192. 28 Raymond of Capua, Life of St
Catherine of Siena, 91–93. 29 Payer, Sex and the Penitentials, 43, 61, 99, 102,
138–39, 149–50, 172 n. 136.30 For a female couple sinning sexually in a Bible
Moralisée of c. 1220, see Camille, The Medieval Art of Love, 138–39, fig. 125.
For the 1468 fresco of the Inferno situated in an upper room of the convent
founded by St. Francesca Romana, with a couple of indeterminate sex, but
probably male, lying side by side on the lowest (and most easily seen)
register, see Bartolomei Romagnoli, Santa Francesca Romana, Pl. 27. 31
Ghirlandaio’s panel is in the Louvre, Pontormo’s remains in Carmignano. 32 See
n. 43 below; Jorgensen, “‘Love Conquers All,’” 102–03. 33 Brown, Immodest Acts Bell,
“Renaissance Sexuality,” 502. 34 Brown, Immodest Acts, 108, 129, 130. 35 Ibid.,
163–64. 36 Ibid., 63, 158, with subsequent quotations from 107, 117, 164. 37
Raymond of Capua, Life of St Catherine, 165–67; Kaftal, St Catherine in Tuscan
Painting, 72–77; Bianchi and Giunta, Iconografia di Santa Caterina da Siena,
112–14 and passim; Maggi, Uttering the Word, 176 n. 15; Vandenbroeck, et al.,
Le Jardin clos de l’ame, nos. 147, 169; Brown, Immodest Acts, 63–64. 38
Camille, Medieval Art of Love, 111–19, and passim, including figs. 19, 55, 80.
39 Brown, Immodest Acts, 163. 40 Payer, Sex and the Penitentials, 105; McNeill
and Gamer, eds., Medieval Handbooks of Penance, 81, 152. When Ercole d’Este
married Renée of France in Paris in June 1528, at the Pax they kissed each
other: Gardner, The King of Court Poets, 194. 41 The quotation is from Rosa,
“Nun,” 222. A detail of embracing Dominican women from the panel in Siena’s
Pinacoteca appears on the cover of Brown’s book. 42 Walker Bynum, Holy Feast
and Holy Fast, 101, 126, 131–32, 157, 165–80, 270–73, and passim. 43 Brown,
Immodest Acts, 26, 41. 44 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 141, 147–48
(hereafter quoted from 148). 45 Marciari and Boorsch, Francesco Vanni, 118–27.
46 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 179. 47 Ibid., 170–71. 48 Steinberg,
The Sexuality of Christ. 49 Hamburger, The Visual and the Visionary, 390. 50
Walker Bynum, Jesus as Mother; Rambuss, Closet Devotions. 51 St. Catherine de’
Ricci, Selected Letters, 39 (no. 47). Subsequent quotations come from Letters
19, 46. 52 For the frescoes by Sodoma and an earlier one by Andrea Vanni in the
same church see Riedl and Seidel, Die Kirchen von Siena, II, pt. 2, pls. VII,
596, 627–28 (and pl. 276 for Rutilio Manetti’s canvas of 1630). 53 Brown,
Immodest Acts, 41. 54 Frugoni, “Female Mystics, Visions, and Iconography,” 139.
55 Brown, Immodest Acts, 163, a translation here adjusted according to the
cropped photograph of the passage in Bell, “Renaissance Sexuality,” 501 (fig.
2), because Brown conflates the information on Splenditello and on another
angel Radicello (a fanciullo) aged eight or nine. The common misperception is
thus that Splenditello was a boy. 56 Gregori, “Caravaggio Today,” no. 68. 57
Teresa of Ávila, The Life of Saint Teresa of Ávila, 210 (ch. 29). 58 Bauer, ed.,
Bernini in Perspective, 53. 59 Hamburger, Rothschild Canticles, 165–66;
Hamburger, Visual and the Visionary, 147. 60 Ciammitti, “One Saint Less,” 149.
61 Ibid., 150–52, fig. 3. 62 Bianchi and Giunta, Iconografia, nos. 43, 438, p.
126. 63 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 131, 133. 64 Ibid., 108–09.
During her visionary union with God, the medieval mystic Hadewijch noted that
God “lost that manly beauty” so that he dissolved and “then it was to me as if
we were one without difference”: Bynum, Holy Feast, 156. 65 Gardner, Dukes and
Poets in Ferrara, 366–81, 401–05, 431-32, 464–67, 562.The “lesbian nun”
Benedetta Carlini66 Weinstein and Bell, Saints and Society, 141–42, 220–38;
Bell, Holy Anorexia, 151, 170–71. Raymond of Capua, Life of St Catherine, 100,
175–6. Brown, Immodest Acts, 160. Bell, “Renaissance Sexuality,” 493. Rosa,
“Nun,” 201–02. Bell, Holy Anorexia, with other cases passim; Tibbetts
Schulenburg, “The Heroics of Virginity,” 29–72. Brown, Immodest Acts, 159.
Maggi, Uttering the Word, 34 (my emphasis). On Catherine of Bologna see Wood,
Women, Art and Spirituality. Weyer, De praestiis daemonum, 184–85. Brown,
Immodest Acts, 163; Bell, “Renaissance Sexuality,” fig. 2. Brown, Immodest
Acts, 64–65, 122. On erotic triangulation, see the classic study Kosofsky
Sedgwick, Between Men, esp. Ch. 1. Hamburger, Nuns as Artists, 56–61, 240 nn.
125–26; Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” esp. 43; Vandenbroeck, et
al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 168, 172. Hamburger, Nuns as Artists, Pl. 7.
Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” fig. 3. The phrases are in ibid.,
which often uses “heavenly husband” and has the other phrase on 44. But at 56ff
she points out how often Christ is absent from images, although the essay’s
point is to suggest parallels between the secular and religious ceremonies.
Hamburger, Nuns as Artists, 56–58. Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de
l’ame, nos. 148, 178 and fig. 106a; Hamburger, Rothschild Canticles, 113–15.
Raymond of Capua, Life of St Catherine, 99–101, explicitly noting the
antecedent with “another Catherine, a martyr and queen.” Hamburger, Nuns as
Artists, 57, 239 n. 118. Ekserdjian, Correggio, 137–38. Emiliani and
Feigenbaum, Ludovico Carracci, no. 1. In Parmigianino’s red chalk drawing of
the subject for an altarpiece, c. 1523–24, the Child does not appear at all:
Franklin, The Art of Parmigianino, 104–06. Stone, Guercino, 84 n. 62.
Hamburger, Rothschild Canticles, 85–87, fig. 156 (and see fig. 159); Hamburger,
Visual and the Visionary, 409–10, fig. 8.5. Wood, Women, Art and Spirituality,
128ff, 252 n. 31, 253 n. 37. Gebauer, “Christus und Die Minnende Seele. Both
nuns and secular women were readers. Hamburger, Rothschild Canticles, 106–10,
155–62, f. 66r (Pl. 7); Perlove, Bernini and the Idealization. Bernini’s motives
included wanting to atone for his brother Luigi sodomizing a boy in St. Peter’s
(13–14). Brown, Immodest Acts, Weaver, “Spiritual Fun,” 177, 181–83. Trexler,
Public Life in Renaissance Florence, 194–96. Splenditello spoke in three
dialects: Brown, Immodest Acts, 160. Hamburger, Rothschild Canticles, 82, 179,
cf. Song of Songs Kunzle, History of the Comic Strip, vol. 1, 23. Brown,
Immodest Acts, 162; Matter, “Interior Maps,” 64–65.Bibliography Barstow, Anne.
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Early Modern Italy. New York: Cambridge University Press, Thomas V. CohenLet us
take two tawdry events, male affronts to women, with social history’s eye to
assets, both cultural and material, and to the subtle exchanges that bound men
to men, women to women, and one gender to the other. This is social history in
nearly-literary mode, keen to read texts closely. We have text of two
kinds—first the words on paper provided by a small tangle of criminal trials.
If not the actual words spoken before and by the court or in the streets,
taverns, and brothels, still these records do come close. The conventions and
imperatives of the court itself, and the imperfect scribal hand have, as
always, refracted actual speech, but the Roman-legal habits of verbatim
transcription still offer material for close, thoughtful reading. Second comes
the fabric of the city itself, for our scoundrel and his allies prowled and
enjoyed their small corner of Rome, with its streets, squares, and assorted
monuments, an urban backdrop and firm anchorage for memories. The urbanscape,
so prominent both in what happened and in the telling, in itself invites a
reading no less close than the one we accord words on paper. So, before turning
to the deeds, note the spaces where they took place. We are in Rome’s Rione
Regola, or Arenula, a zone sometimes little changed from the 1550s and 1560s of
our stories. Nevertheless, the urbanism of first united Italy and then the Duce
made drastic alterations. In the later 1880s, the wide Via Arenula ripped
inwards from the Tiber, obliterating a web of streets and squares, and
demolishing the church and convent of Santa Anna, right under the grand 1890
apartment where I once lived and wrote. The church survives only in the names
of Via Santa Anna, and of a pleasant trattoria whose menu depicts my own abode.
A second nineteenth-century destruction obliterated the ghetto, replacing it
with a grand synagogue and some lumpish buildings. And then, under Mussolini,
nostalgia for the Caesars erased the medieval fabric around the fish market at
Pescheria, reducing tight neighborhoods to sterile archeology.So, to trace our
scoundrel and his entourage, we must fall back on the old maps, especially the
splendidly accurate Nolli Plan of 1747, and read street plans, the surviving
urban fabric, and words in court, together. The Nolli plan shows how, from
1555, once the ghetto gates went up, a street our witnesses call the strada
dritta became crucial for mobility, especially at night. It is hard today to
recapture that very ancient urban street, today the Via del Portico d’Ottavia.
Down by the old ghetto, it is now so wide that restaurants sprawl into it to
hawk carciofi alla giudia, and, on their Sabbath, Rome’s Jews gather after
services for a great chiacchiera —communal conversation. Further north, Via
Arenula and the unkempt park in Piazza Cairoli, and a vague piazza before the
baroque facade of San Carlo, have all smudged the profile of this street,
which, in the sixteenth century, was no less tight than straight. Moreover, it
was handy, skirting the ghetto to link the fishmongers’ square at Pescheria to
Piazza Giudia. It then passed the palace of the Santa Croce, Renaissance in
spirit but, like Palazzo Venezia, still half-medieval in shape, with an
ornamental square tower today lopped short. The Santa Croce, banished by Sixtus
IV, had lost their houses; readmitted, they threw up this palace, with its
elegant diamond-studding on the wall. As the Nolli map shows, heading
northwest, the street, at a bivio (a fork), slotted into Via Giubbonari, a
curving passage today still narrow. Joseph Connors, in his “Baroque Urbanism,”
discusses the extremely ancient streets of this part of Rome, pointing out how
they wander eastwards from the bridge from Hadrian’s Tomb, now Castel
Sant’Angelo, forking as they go.1 The Renaissance papacy used these roads
often, as a way to San Giovanni in Laterano and across Rome, and palaces of the
early Renaissance clustered along them. For our nocturnal misdeeds, the wide
network mattered little, but the local Strada Dritta bore much social traffic.
Our louche central character straddled lines—moral, social, sexual, and
religious. A liminal man, he was and is hard to place, and his actions,
crossing boundaries ethical and social, remind us not to put Rome and Romans
into boxes. His name reveals his hybrid nature—Ludovico Santa Croce. At first
glance, nothing strange there, but, as genealogies show, the civic noble Santa
Croce, descending, they believe, from Publius Valerius Publicola, anti-Tarquin
and one of Rome’s first consuls, in the sixteenth century named their children
almost exclusively from Livy, Sallust, and Tacitus: not a Ludovico in sight.
Moreover, law courts called him “the son of the late Giovanni Antonio de
Franchi” so, if he was a Santa Croce, the noble house somehow adopted him.2 A
friend, aware of this f limsy identity, says of him, “The said Messer Ludovico
si fa romano de casa de Santa Croce et per romano il tengo.”3 Close reading:
the friend does not call him a Santa Croce: just “si fa”—“he claims to be”; the
friend readily affirms his Roman identity but, as to family, balks. But
Ludovico, clearly, grew up some at the family’s palace. A friend recalls: “I have
known him for more than twelve years in Rome and I knew him when he was a lad [
putto] here at the Santa Croce [qui alli Santa Croce].”4 Magrino, the witness,
a very recent Jewish convert (Feast of the Annunciation, 1556), testifies not
at the prison as is usual, but at home, asIn bed with Ludovico Santa Croce
127he is sick, and with his “here at the Santa Croce” shows how, now fatto
christiano, he has moved a mere block or so beyond the ghetto gate at Piazza
Giudia to lodgings near the Santa Croce palace. Ludovico is sufficiently Santa
Croce that, back in Carnevale of 1557, a noble Santa Croce helped bail him out
of prison.5 But he is no signore; his cronies call him messer instead. This
title f lags both his status and its ambiguity. In 1557, at his first trial
here, Santa Croce is “about twenty-six, as he asserts.”6 If so, then either his
friend Magrino knew him longer than twelve years or, back then, age fourteen,
he had become a fairly lanky putto. He was born in 1531 or so. By 1565, at the
second trial, he would be thirty-four. No sign of a marriage. His loves, we
will see, were all casual, among the whores. No sign, either, of a craft,
trade, or civic office. He probably still lived at the palace as, for sex, he
took his hireling women to the bathhouse (stufa) or bunked down with them at
friends’ and seldom, if ever, took them home. So how did he pass the days? He
hung out at the Pescheria, the fish market at one end of the Strada Dritta. And
the company he kept: fishmongers, Jews, and recent converts. Plus prostitutes.
He ate, drank, caroused, and got into abundant trouble. In 1565 the court asks
for his criminal record: I have been in prison three or four times, here in Tor
di Nona and in Corte Savelli. I don’t remember why. And his lordship asked him
that he at least tell for what crimes and excesses he was investigated and
tried. He answered: I cannot remember things that are fifteen or sixteen years
old, but I know well that I have not been under investigation either for
homicides or for ugly things [cose brutte]. It is true that I remember that I
was in jail in Corte Savelli for having had a brawl with another gentilhomo,
and for it I paid ten scudi to Messer Pietro Bello.7 Here, Ludovico is as
evasive as his memory is fuzzy; cose brutte indeed came up in court. The court
asks after a jailbreak.8 The fight was probably in Carnevale, 1557, when Pietro
Bello was a judge on staff.9 In June, 1563, Ludovico was wounded in a brawl
where he, a reluctant fighter, stabbed a spice-trader in the chest.10 In a
trial of another unruly gentleman, the court asks the suspect’s serving woman
if her master ever wanted to kill our Ludovico. “I don’t know,” she says, “but
know that the said Ludovico was wounded once and that [my master] Pietro de
Fabii rejoiced.”11 So Ludovico is a man on many margins. A self-proclaimed
gentilhomo, he haunts the edge of his foster-family, in a neighborhood strung
between Jews and Christians, and his socializing crosses boundaries of station,
ethnicity, family, community, and moral action. So let’s join him for the
evening. We begin not along the Strada Dritta, but atop Piazza Navona, by Torre
Sanguigna and the Pace church, with two Christians, doublet-makers both. It was
before Christmas, 1556.12 Antonio Scapuccio and Mario di Simone came offwork at
the Ave Maria sunset bell. Mario, aged twenty, lived across town, by Santissimi
Apostoli. With Antonio he went back three years, from their work.13 As for
Ludovico, Antonio had known him since childhood: “at the time I and he were
lads, we had a close friendship.”14 Antonio, via Ludovico, knew that Fabritio,
another convert, kept a house where friends gathered. “Antonio brought me to
the house of Fabritio, Jew-made-Christian, who sells ironware.”15 When the
doublet-makers arrived, Ludovico was there, with Magrino, and one Giulio
Matuccio, and the host, Fabritio.16 So began their evening. “We all decided, in
agreement, to go find a Signora called Vienna Venetiana, friend of the
aforesaid Giulio Matuccio.”17 Mario adds: And when we were at Vienna’s
house—she lived at Torre Sanguigna— Antonio Scapuccio knocked on the door, and
the mother, if I remember, said that she had hurt her arm and could not keep us
company, and that we should let her off.18 Torre Sanguigna was far from
Ludovico’s haunts. “We left and went to a pie-shop, also near Torre Sanguigna,
and got ourselves a pasticcio. And I don’t remember which of us paid for it.”19
Magrino, a convert, adds that the pie contained a shoulder of pork.20 Ludovico
stepped in, announcing as they walked: let’s fetch my whore!21 So entered
Betta, a cortigiana grande, says Mario, meaning not a top-rank prostitute, but,
as Magrino says disparagingly, a big tall woman—“una donna grande longaccia.”22
Betta lived near the stufa of Felice, near the Cavaglieri family palace, two
blocks north of the strada dritta.23 As the five trailed after him, Ludovico
vaunted his sex with her: And Ludovico said it again, while he was going with
us for that woman, and he was heading to knock on her door . . . that
last night he had slept with this woman, and he said that she had a fine ass
and that it gripped firmly.24 At Betta’s lodgings, the men remained outside.
Ludovico called or knocked and the prostitute came down, and, oddly, if she
really had slept with him the night before, in error she embraced the wrong
man, as if Ludovico, though a gentilhuomo, was hard to tell from the company he
kept.25 “And we asked her if she wanted to come to dinner with us, showing her
the pasticcio, and she said yes, and came away. And going down the street
Messer Ludovico and she went arm in arm.”26 The passage illustrates handsomely
some workings of Roman prostitution. Note how complex were the exchanges
between these women and their customers. Roman prostitution was seldom simple
sex for plain cash. Like many transactions in the economia barocca, it had wide
bandwidth and complex linkages forward, backward, and across society.27 Betta
here accepted a promise of food and entertainment, and furnished public
gestures of affection, a gift to Ludovico, who could f launt her to posse and
to street.In bed with Ludovico Santa Croce 129The party, with Betta making
seven, retired to Ludovico’s hang-out, the inn at Pescheria, called after its
owner Domenidio.28 It was some hour after nightfall.29 “All of us, in company,
went to dinner at the aforesaid inn, and we brought with us a pasticcio, and we
ate.”30 To this osteria, patrons readily brought food. After dinner, the whole
group went to spend the night at Fabritio’s dwelling, near Ludovico’s own
house, where Ludovico, other times that winter, sometimes brought women: “in
the time that he was made Christian . . . he lent me the room.”31 On
the way, the men say, Ludovico again boasted of anal sex with Betta.32 The room
had but a single bed; Fabritio, leaving the bed to his gentleman guest,
hospitably withdrew to a little attic, a solarello —“no great thing”—and
slept.33 Magrino “gave the command to fetch from home a mattress, which we
threw on the f loor.”34 Ludovico and Betta undressed at once and slipped under
the covers.35 There was a bed curtain. It would have had many colors, and it
was mine [Magrino’s]. And to a question he answered: It was not spread around
the bed but gathered to one side.36 Ludovico, in his account, avers that the
curtain was draped around the bed. 37 While Magrino settled somehow on a chair,
clothed, to spend the night, the two doublet-makers and Giulio huddled on the
mattress. Ludovico, meanwhile, lay snugly in one convert’s bed and another
convert’s hangings, in a convert’s house. “Before the light was put out we were
all joking and chatting, and Messer Ludovico told us please to put out the
light.”38 And then, as men settled for the night, Ludovico thrust his arm out
from the covers, making a letter “O” with his index and middle finger.39 Lest
he shame Betta he said nothing, Antonio avers, but Mario claims he boasted
loudly.40 Mirth erupted. Everybody laughed at that and said to one another, “He
has fucked her in the ass. Fire! Fire!”41 The stake, of course. And slim regard
for Betta! What is going on here? The social psychology of this scene is
tangled. We have three Christian artisans, two ex-Jews on the f luid boundary
of the ghetto, and one semi-gentleman half outside his noble family, a troop
cemented, perhaps, by Ludovico’s leadership, occasional largess, and arrant
breach of sexual and moral rules. All six men share in Betta’s humiliation.
Ludovico parades his transgression and the risks he runs and, laughing, the
cronies applaud and, vicariously, thrill to his vulnerability. Collusion
cements this solidarity. Ludovico and Betta were the first to fall asleep.42
Much later, say the others, invited by Ludovico to join them in the bed,
Magrino left the chair, climbing in still clothed, and fell asleep.43And then
awoke, jostled by the bounce of sex. I could feel it when he was screwing her,
and she had her bottom towards Ludovico and she was turned with her face toward
me. And it was one time that I felt it, and I did not see him stick it in
because it was no affair of mine. I know well that he was screwing her, and he
was shoving her towards me, so that it made me wake up.44 Magrino is
remembering events before Christmas, almost nine months earlier. The trial took
place in August, 1557, first at the Inquisition, at the Ripetta. Halfway
through, interrogations moved to the prisons of the Governor of Rome. That is
why this record survives. Precisely two years later, when Paul IV died, Rome’s
most tumultuous Vacant See broke out. Mobs attacked the Inquisition’s Ripetta
offices, burning the papers, and ransacked the house of the tribunal’s
notary.45 Later, Napoleon’s supporters would destroy the Inquisition’s later
trials, so a transcript such as this is rare indeed. Both at Ripetta and later,
this trial has a Holy Office feel; the magistrates treated the courtroom as a
confessional, sparing neither shame nor feelings with their swift, intrusive
questions. Why did the matter slip to the criminal court? The crime in
question, though moral and involving converts, revealed no taint of heresy. Prostitution
in mixed company was no crime and the court was after anal intercourse. He was
asked if on that night he the witness heard the said Betta moaning and crying
out, because the said Messer Ludovico was having intercourse and fucking her [
futuebat] from the back. He answered: “I could hear it when she was screwed the
first time by Messer Ludovico. She was crying out [si lamentava]. But one can
cry out for several things.” And to a question of me the notary he said: “She
can cry out the way women do.” And I the notary asked, “And how do women do?”
He said, “They can cry out because it pleases them and they can cry out because
it hurts them too. But, one time, as I said, I felt it when he screwed her.”46
When the Inquisition hauled her in, Betta did her all to prove it wasn’t so.
Her testimony about what went on in bed surely did her little good, as, on
point after point, she lied elsewhere about her history with Ludovico, shown as
far skimpier than others alleged. Her testimony, earthy and vehement, catches
well a prostitute’s voice in court. He never did it to me in that place. It is
true that Messer Ludovico told me to turn around, that he wanted to do it
cunt-backwards [a potta retro], and I told him, “You want to trick me. You want
to stick it in contrary-wise.” And he said no, that he wanted to do it
cunt-backwards, and so I turned around and he did it to me cunt-backwards. I
know where he went in, and if he was fooled, I was not fooled.47In bed with
Ludovico Santa Croce 131Betta appears twice in the record. The first time, to
cover for the weakness of her case, she regales the judge with promises to live
in virtue. If I had consented to the other way, it would seem to me that God
would not keep me on earth. And if I have done wrong in one way, I don’t want
to do wrong in the other. And if I get out of this I want to go to Santa Maria
di Loreto, and then to my home to do good works, and I want to go this
September. And if he wants to say that he did it to me from behind against
Nature, he is lying through his throat, and he is tricked, and, me, I am not
tricked, because I protect myself from this the way I do from fire.48 The next
morning, Betta, Ludovico, and most of the posse stayed. (Mario, sleeping
clothed, had slipped off early to his shop.)49 At breakfast, the boasts went
on: She never heard a word when Messer Ludovico told us that he had twice
screwed Betta in the ass, but he said it at length to us. He was asked if the
said Betta was at the table eating with them, how could Ludovico have said those
words, since they could be heard by Betta. He answered: I will tell you. We
were kidding Ludovico . . . and when he said it at the table she had
not yet sat down.50 As current events show sadly, Renaissance Italy was hardly
the only place where, for some admirers, the swaggering abuse of women gives
callous men allure. Jump eight years ahead. It was 1565, not 1557, and Ludovico
was now some thirty-four years old. Still unmarried, still at loose ends, he
haunted the same tight quarter, up to little good. He had a new entourage; none
of the same men turn up. At the center, as ever, sat that osteria of Domenidio,
in Pesheria. His cronies were, this time, two or three fishmongers and one
Cesare Vallati, son of the civic noble family that owned a palace on the
square, facing its ghetto gate. The Vallati house still stands, pared back to
its medieval core, which now bears sad plaques about Roman Jewish deaths at
Nazi hands. Cesare was gentleman enough to hold, they said, a civic office.51
On Friday, November 23, the friends stirred up dinner at the inn. Meo,
fishmonger, says: Ludovico Santa Croce came to me, as I was in Pescheria. It
may have been a half-hour after dark, and he asked me if we wanted to go to
dinner together at the osteria of Domenidio. I said yes and so I picked up some
fish, and along with Grillo and Ludovico we went to the osteria of Domenidio,
and while we were setting up to eat Cesare arrived and said, “I want to eat
with you,” and so he too sat at the table and we were four in all.52Meo reports
that, when he left his fish-bench, he brought sardines, while Grillo fetched
clams.53 In the midst of dinner, “a Jew”—nobody names him, ever— joined the
group; no sign he ate with them.54 After dinner, except Grillo, all left
together. “Let’s go to the house of my whore,” said Ludovico. “We said, ‘let’s
go!’ and Cesare said, ‘I want to join you.’”55 The court asks later, did Cesare
and Ludovico go with sword in hand?56 Probably. The men took the strada dritta,
the ghetto to their left, the Santa Croce tower to the right, over to Il
Crocefisso, behind or under where the big church of San Carlo later stood.57
Ludovico’s woman of the month was Olimpia, who, it turned out, was off with an
amico, a regular of hers, who, she says, felt ill, so she headed homeward with
a Lorenzo stufarolo in tow.58 But when Ludovico and his cronies arrived, only
the house’s mistress, Lucretia, was yet home. Olimpia calls Lucretia the house
padrona; in court, Ludovico will call her a whore, whom he has known for years,
presumably hooking up with tenant after tenant.59 At Olimpia’s front door, the
four men, masking voices and pretending to speak Spanish, shouted, “Open up the
door!” Lucretia: “They banged six or seven times, for I was not of a mind to
open, ever.”60 At last I went to the window and told them that I did not want
to open for them under any circumstances, and told them to change their talk
because no way could I not recognize them. I knew them just fine, but, with my
tenant not home, and because, I knew, they wanted nothing of me, I had no
intention of opening for them. Instead, I said, I would throw water on their
heads if they did not get away from the door.61 The four men loped east to Via
dei Chiavari, still in Lucretia’s sight.62 There they encountered a second Lucretia.
Wife of wealthy Cyntho Perusco, and mother of two children, she was returning
with a servant—but with no light, lest she be seen and recognized—from a call
on her procurator.63 Two men armed with swords and daggers, with their swords
under their arms and the daggers in hand unsheathed, came at us and at once
they stopped me and one of them put his hand to my neck, feeling my neck,
thinking that perhaps I had some chain necklace or string of gems.64 And I said
to them, “I am a poor woman. What do you want of me?” And I was screaming,
“Thieves thieves!” When they heard that, they let go of me.65 Giovanni Maria,
the servant, thought he recognized one of the four assailants: “Ah Meo, why are
you doing this to us?”66 Meo at once hid his face behind his cape.67 Giovanni
Maria’s assailants, Meo and the Jew, grabbed him. “They were holding on to me
and they told me to keep silent, and they held the naked daggers to my neck.”68
The assailants released their quarry, only brief ly. Lucretia will tell the
Governor: “When we had walked three or four paces, the same men,In bed with
Ludovico Santa Croce 133with some others, made a circle around me and some of
them grabbed me from one side and some from the other, putting their daggers to
my throat.”69 Giovanni Maria tells the Governor: “they began punch me and shove
me and they threw me to the ground.” 70 Adds Lucretia: And they took from him a
pouch. In it were ten giulios, between testoni coins and giulio coins, and a
gold ring that was mine, with a Jesus on the top, and on the bottom, there is a
“claw of the great beast” [a fabled stone with curative powers], which was also
in that pouch, and they took from it also the belt and a handkerchief. The ring
contains 18 giulii of gold.71 Giovanni Maria adds that the pouch had been tied
to his waist and that Lucretia had removed her ring to wash her hands.72 One of
the band of four, almost certainly Cesare Vallati, as Ludovico was by now no
youngster, may have had second thoughts: When this [theft] was done one of
those youngsters took me by the hand and told me, “Come here. I promise you as
a gentleman that I will not hurt you.” And he asked me, who was that woman. And
I told him that she was not for them, and that they should let her go, and that
she was the wife of Messer Cynthio Perusco.73 Ludovico had other ideas. One of
the two underlings, probably not the Jew but Meo, asked him “Messer, what are
we to do?” “Carry her off, carry her off!” 74 And they tried with all their
might to lead me to a house, for they took me by force and they dragged me
. . . But I cried out, “Thieves! Thieves! Is this how you assassinate
people in the street!” And I told them that I had nothing on me and that they
should come to my house, that was near there.75 The assailants hauled Lucretia
into an alley.76 Lucretia was convinced that they wanted to drag her to a
stufa, a bath house of the sort Ludovico haunted. As they pulled her, Lucretia
fell in the mud, losing her pianelle, her clogs. “She told them that her clogs
had fallen off, and they told her to keep walking, and they were making her
walk up that alley, leading her, as there were three or four around her.” 77
And then, providentially, down the alley came two men, in front a servant with
a torch, and, behind him, his master, Agostino Palloni, a man of substance
whose house stood close to the Santa Croce palace.78 And when the light
arrived, I recognized the gentleman, and I begged him for the love of God to
help me. And while I was saying those words, one of those young men, who had
dragged me, as he thought that the light was not coming from that side and that
he would not be seen—Messer Agostino recognized one of those young men, who is
called Cesare Romano.And at that Messer Agostino said, “Ah Cesare, what are you
doing [che fai]. What is this! Do you see that you [tu] are doing wrong?79
Turning towards Agostino, says Giovanni Maria, Lucretia tripped on an iron
grate and once more fell and then, as supplicant, grasped his cape: “Ah, Messer
Agostino, don’t abandon me . . .!”80 Agostino, Lucretia, and Cesare
then stood together, a threesome. First off, Cesare, to catch his social
balance, tried to place Lucretia as a Roman matron. Then Agostino did the same.
Giovanni Maria tells the Governor: The man whom Agostino had called Cesare
asked Madonna Lucretia if she knew Cyntho Perusco. She said, “Yes, I know him,
and I have two children with him, and he is my husband.” And Messer Agostino
asked Madonna Lucretia if she knew Messer Francesco Calvi, and she said yes,
and if he came to her house with her she would show him her daughter.81
Gentleman to gentleman! Cesare Vallati, in night’s shadow, had strayed well
outside his class’s code of conduct, and Agostino’s torch jolted him back from
the abyss. He switched codes as nimbly as he could. Then Messer Agostino turned
to Cesare and told him, “Cesare, son, you have done wrong.” And then Cesare
told Messer Agostino to leave, and said that he would have Madonna Lucretia
escorted by a servant of his.82 No such thing happened, of course. After
questions to Lucretia about how she came to be out after dark, Agostino, with
his torch and serving man, conveyed them both back home.83 At her window, the
other Lucretia, the madam, had seen and heard the fracas. Outraged, woman to
woman, she strove to allay the trouble. I heard a woman who was starting to
scream, and when I looked toward where I heard that cry, I looked and saw a
woman with a man, and she was screaming, “What do you want with me, brothers,
pull the door rope for me, pull the door rope for me!” and when I heard those
words, I feared it might be some neighbor, and I knocked on the window of Diana
and told her, “Listen to your sister who is screaming,” and she answered, “My
sister is here at home.”84 While Cesare and Agostino parleyed, the other three
miscreants probably crept away, and soon, all four were back at Olimpia’s door.
This time they had luck, as Olimpia turned up, with Lorenzo her bathhouse
worker, and his lute. “I came back home and I found Ludovico Santa Croce there
at my door, along with Meo the fishmonger and with two others whom I did not
know, but there was aIn bed with Ludovico Santa Croce 135Jew.”85 Lucretia
opened for Olimpia and, willy-nilly, in came all the others, with Ludovico, as
usual, in the lead.86 Note Lucretia’s version: At that moment, my tenant called
Olimpia arrived, along with an amico called Lorenzo the bathhouse worker, who
played the lute, and I had to pull the rope, and then there came in, along with
my tenant, Ludovico Santa Croce, Meo, Cesare Vallati, and a Jew.87 We learn
from Olimpia several things. For one, the Jew was a stranger, known only,
presumably, by his obligatory Jew’s cap. For another, Cesare Vallati had
rejoined the crew. And, for a third, while she knew Meo, Vallati, a stranger to
her if not to the madam, was less central to Ludovico’s habitual posse. Neither
he nor the Jew had been part of the dinner’s start; though locals, they were
hangers-on. When the men entered, Lucretia, the madam, upbraided them. “And
when they were up the stairs, I said to them, ‘Oh this is a fine state of
affairs! Poor women cannot go in the street.’ And they told me that they
weren’t the ones who did it.”88 Lorenzo, with the lute, would prove Ludovico’s
undoing. The men all stayed a while in Olimpia’s room, listening to him play.
And then Ludovico led Olimpia off to the Santa Anna stufa to spend the night.
The other three escorted him down the block, then went their separate ways.89
We catch a bit of the denouement via Barbara, Meo’s ex-puttana, who, she tells
the court, had after three years broken with him because he owed her big money
on borrowed goods. Barbara had moved to Monte Savelli, just a block down-river
from Pescheria.90 I went to bed without dinner because I felt ill, and while I
was in bed with Annibale the fish-monger I heard passing in the street Cesare
Vallati with other people whom I did not see, and he said, “Your faithful
servant, Signora Barbara, my heart!” I made no answer.91 Annibale and Barbara
went back, she says, three years; she swam as easily among the fishmongers as a
mackerel in the sea. But Cesare Vallati, clearly, slipped through these same
waters; in the intimate spaces of the city, these men and women moved up and
down class lines. Annibale, when asked, would tell Madonna Lucretia what he
knew about the crime. Small world!92 The very next day, Madonna Lucretia sent
her servant to scout the local bathhouses. Lorenzo, the fellow with the lute, a
paesano, led Giovanni Maria to Ludovico and Meo, who would be arrested on
Monday, together.93 At Olimpia’s, the four men, said Lorenzo, had been “in a
terrible mood and all of them distressed.”94 Agostino Palloni, meanwhile,
refused to help Lucretia—“he sent word to me through Cynthio that it wasn’t a
gentleman’s role to accuse anybody, and that was it was enough that I had
suffered no harm.”95 Citing class solidarityhe covered for Cesare Vallati, who
either f led or ducked prosecution. The Jew, luckily nameless, got away. We
have neither a sentence nor knowledge what our four villains did with the rest
of their lives. Our story of status slippage and hasty re-calibration, coarse
male solidarity, callous abuse of women, and female resilience models a careful
reading of words, places, and actions, with an eye to the density of webs and
the fine-grained texture of lives in time and space, to lay out the ref lexes
with which Romans navigated their city. Ludovico, uneasily perched on several
margins, could build coalitions, trading his noble connections, hospitality,
slovenly rapaciousness, and access to paid female sex and company for male
support and applause. To Cesare he offered a pathway down, to the others
perhaps a step upwards. These male solidarities in a moral grey zone show the
porosity of Rome’s social boundaries and its alliances’ often easy give.Notes 1
Connors, “Alliance and Enmity,” 208–09. 2 Archivio di Stato di Roma,
Governatore, Tribunale Criminale, Processi (16o secolo), busta 38, case 23,
folio 568r: “Ludovicus de S. Cruce filius q. Io. Ant. d. Franchis.” Henceforth,
I give busta and folio only. 3 38.23, 559v: Antonio Scapuccio, August 15, 1557,
to a notary at the Holy Office. 4 38.23, 573r, Magrino, August 26, 1557, at
home sick, to a notary. 5 38.23, 579v: Ludovico cites Valerio Santa Croce and
noble Mario Mellino. For Magrino’s conversion at the Annunciation in 1555:
38.23, 573r, Magrino. 6 38.23, 568r. 7 Busta 103, 909r: Ludovico Santa Croce:
“. . . costione con un altro gentil’homo . . .” 8 103,
909v: “fregit carceres et unde exivit.” 9 38.23, 572v: “questo carnevale [1557]
. . . messer Ludovico uscii di pregione in Corte Savella.” 10
Investigazioni 80, 181v–183v, for 23–24, from June, 1563. 11 38.19, 461v:
“. . . se ne reallegrava.” 12 38.23, 577v: Betta: “. . .
avanti natale.” 13 38.23, 562v-563r: for age and employment; for the friendship
and the workplace: 38.23, 562v–563r. 14 38.23, 559v: “eravamo regazi havevamo
amicitia intrinseca insieme.” 15 38.23, 562v: Mario: “Fabritio giudio fatto
Cristiano che venne li ferri.” 16 We know little about Giulio, never
interrogated. Ludovico seems to place him among the converts: 38.23, 570r–v:
“Vi pratica in questa casa Julio Mattuzzo, Fabritio doi o tre altri giudei
facti christiani . . . de continuo li se ce vengono giudei et d’ogni
sorte de generatione.” But no other witness calls Giulio a convert. 17 38.23,
563r–v: Mario. 18 38.23, 563v: Mario: “. . . lei o la madre
. . . disse che era ferita in uno braccio et che non posseva abadarci
et che lavessemo per scusata.” 19 Ibid.: Mario: “. . . a un
pasticciero pur presso Torre Sanguigna et pigliassemo un pasticcio
. . .” 20 38.23, 574r: “comprassemo una spalla de porco.” 21 38.23,
564r: Mario: “. . . disse per la strada che voleva pigliar detta
cortigiana.” 22 38.23, 573v. 23 38.23, 563v: Mario: “apresso la stufa de Felice
presso li Cavalieri.” 24 28.23, 561r: Antonio Scapuccio: “. . . ando
con noi per dicta donna et voleva bussare la porta . . . che haveva
bravo culo et teneva bene.”In bed with Ludovico Santa Croce 13725 38.23, 574:
Magrino, for Ludovico’s call: “Messer Ludovico chiamandola . . .”;
38.23, 564r: Mario: “credendosi di abracciar messer Ludovico abraccio un altro
in loco suo in cambio.” 26 38.23, 564r: Mario: “Mostrandoli il pasticcio et per
la strada messer Ludovico et liei andavano abracciati insieme.” 27 Ago, Economia
barocca. 28 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “l’ostaria de Domenidio in
Piscaria.” 38.23, 574r: for the name’s origin. 29 38.23, 564r: Mario, for the
time. 30 38.23, 560r: Antonio di Scapuccio: “tutti de compagnia . . .
portassimo . . . un pasticcio . . .” 31 38.23, 568v:
Ludovico Santa Croce: “. . . Fabritio giudio facto christiano apresso
. . . [a] casa mia nel tempo che e facto christiano et lui me
impresto la stantia”; 38. 560r: Antonio Scapuccio: “presso la casa de Santa Croce.”
32 28.23, 561r: Antonio Scapuccio for the boast: “et di poi che andassemo a
magnar a l’ostaria . . .” 33 38.23, 574v: Magrino: “un solaretto di
sopra quale era poca de cosa”; 38.23, 572r: Fabritio: “dormivo io sopra una
solarello.” 34 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “. . . un matarazo quale
lo buttassemo in terra.” 35 38.23, 574v: Magrino: “. . . spogliati si
misero sotto li panni.” 36 38.23, 574v–575r: Magrino: “un paviglione che saria
de piu colori quale era il mio . . . radunato da una banda.” 37
38.23, 569r. Ludovico claims to have closed the curtain: “mettevo il paviglione
atorno.” 38 38.23, 564v: Mario: “et avanti che la lume fosse svitata stavamo a
burlare et ciancinare . . . che di gratia volessemo svitar la
lume.” 39 38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “. . . facendo un zeno con
il deto grosso et con il deto indice facendo uno O designando che lui haveva
chiavato nel culo dicta donna”; 38.23, 564v: Mario: “Dicendo forte con noi
altri Nel proprio facendo con il detto grosso et con il indice il tondo.” 40
38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “lui non diceva chiaramente per rispecto de
dicta donna che non volea svergognarla”; Loudly: Mario: “Dicendo forte.” 41
Ibid.: Antonio Scapuccio: “. . . la chiavata in culo foco foco.” 42
38.23, 574v: Magrino: “forno primi messer Ludovico et la donna.” 43 38.23, 574r:
Magrino, for sleeping clothed: “et io ancora dormi . . . vestito”;
for much later: 38.23, 560r: Scapuccio: “Giovanni Maria . . . dipoi a
un gran pezo . . . se ando a corigare nel medemmo lecto.” 44 38.23,
575r: Magrino: “io ho inteso quando lui la chiavava et lei teneva le natiche
verso Ludovico et lei voltata con il viso verso di me et io una volta il sentia
et io non lho visto metter dentro perche io non ce ho tenuto le mane. So bene
che la chiavava et lui sbatteva detta [no noun] verso di me che mi fe svigliato.”
45 Hunt, The Vacant See, 183–84. 46 38.23, 575v: notary and Magrino:
“. . . langere et lamentare eo quia . . . ipsam retro
negotiabat et futuebat. Respondit io sentivo che le quando fu chiava[ta] la
prima volta da messer Ludovico si lamentava. Ma si posseva lamentare de piu
cose . . . Si posseva lamentare come fanno le
donne . . . Se posono lamentare che li sappia bono et si posono
lamentare che se li faccia male ancora. Ma io una volta come o detto o sentito
che l’habia chiavata.” 47 38.23, 577v: Betta, August 23, 1557: “lui mai ha fato
in tal loco e e ben vero che messer Ludovico mi disse che mi voltassi che me lo
voleva far a potta retro et io li disse tu me voi gabare tu me voi mettere al
contrario et lui disse de no che il voleva fare a potta retro et cossi io mi
voltai et mi fece a potta retro. Io so dove intro. Si lui se e gabbato non me
sonno gabbata io.” 48 38.25, 567r: Betta, August 21, 1557: “. . . mi
parrebbe che dio non mi tenesse sopra la terra et se ho fatto male per una via,
non voglio far male per laltra, et si io ne esco voglio andare a Santa Maria de
Loreto et poi a casa mia a far bene . . . et se si gabba lui non mi
gabbo io, perche me ne guardaro come dal fuoco.”49 38.23, 565r: Mario. 50
38.23, 576r–v: “Lei non intese mai parole . . . Noi davamo la baia
a Ludovico . . . quando lui il diceva a tavola lei non se ce era
messa ancora.” 51 103, 911r: Ludovico: “me pare che sia cancelliero de
conservatori.” 52 103, 906v: Meo: “. . . voleamo andare a cena
al’hostaria de domenedio insieme . . . et cosi righai certo piscio et
. . . andammo alhosteria . . . et mentre voleamo cenare
arrivo li Cesare . . . lui se messe a tavola et cenammo tutti quatro
insieme.” 53 103, 907r: Meo: “portai certe sarde . . . et Grillo
porto certe telline.” 54 103, 907v: Meo: “un’hebreo . . . venne
. . . mentre che magnammo.” 55 103, 907r–v: Meo: “voliamo andar a casa
della mia puttana et noi dicemmo andamo et Cesare ancora disse io ve voglio
fare compagnia.” 56 103, 911v. 57 The present Via del Monte della Farina was
then Via del Crocefisso, named for church, San Biagio del Crocefisso (or del
Annulo), demolished circa 1617 to expand San Carlo: Lombardi, Roma, 222; Delli,
Le Strade, 339; Gnoli, Topografia, 91; Adinolfi, Roma, 171. Olimpia probably
lived towards San Biagio. 58 103, 913r: Olimpia: “da uno amico mio quella sera
. . . tornai a casa et trovai Ludovico Santa Croce li alla mia
porta”; 913v for the name Lorenzo. 59 103, 918r: Ludovico: “sono parecchi
anni.” 60 103, 917r: Lucretia the madam: “parlando spagnolo et contrafacendo il
parlare loro solito . . . apri qua la sporta che batterno sette o
otto volte ch’io non li volsi mai aprire.” 61 Ibid.: “. . . non li
volevo aprire . . . dovessero mutare parlare perche non potessi di
non cognoscerli, . . . ma per non ci esser’ la mia pigionante in casa
et sapendo che non voleano niente da me io non li volsi aprire anzi
. . . haverci buttato del acqua in testa se non si fussero levati
dalla porta.” 62 Ibid.: “correre verso li Chiavari.” 63 103, 889r: Lucretia the
wife: “retornandome . . . senza lume et con una cannuccia in mano per
non esser vista ne conosciuta.” One Cynthio Perusco lodged by the Minerva:
Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 29, 15. One puzzle:
on October 7, 1567, a Cinzio Perusci by San Marcello, not the Minerva, buried a
wife named not Lucretia but Ortensia. de Dominicis, Notizie biografiche, 275;
And, at court, (103, 899r) Lucretia appears as “Lucretia q. Petri”—no father’s
family name, no husband’s name. Is Lucretia a femina, a semi-wife? 64 Ibid.,
r–v: Lucretia: “Doi armati . . . me si ferno incontro et subbito me
fermorno et un di loro me misse la mano al collo tastandomi il collo pensando
forsi ch’io havessi qualche collana o vezza.” 65 Ibid., v: “. . . io
son poveretta che volete da me strillando ai ladri ai ladri . . . me
lasciorno”; the servant confirms this and notes that other men were also
holding Lucretia: 103, 902r. 66 103, 902r: 25: “. . . perche questo a
noi.” 67 Ibid.: “se misse la cappa inanti il viso et pero non posso saper’ ne
poddi veder’ se l’era quel Meo.” 68 Ibid.: “. . . pugnali nudi
presso alla gola.” Why daggers? The gentlemen, with their swords, held
Lucretia. 69 Ibid.: Lucretia: “. . . un cerchio intorno et chi mi
pigliava da un canto et chi dal altro mettendomi li pugnali alla gola.”
Giovanni Maria: Ibid., 902r: “ci fermamo per paura.” 70 Ibid.: Giovanni Maria:
“. . . dar de i pugni et d’urtoni et mi buttorno in terra.” 71 103,
900r: Lucretia: “. . . con un yesu di sopra et di sotto c’e l’ongia
della gran bestia . . . ancho la cintura et un fazzoletto: che
l’anello ci e 18 giulii d’oro.” This “yesu” may have been a monogram. Giovanni
Maria confirms almost all these goods. 72 103, 902r–v: Giovanni Maria: “una
scarsella che io portava cinta. . . . a tenere lavandosi la mano
. . . messo in la scarsella.” 73 103, 902v: Lucretia:
“. . . vi prometto da gentilhuomo de non ti far dispiacer
. . . che non era per loro . . . che era moglie di Messer
Cynthio Perusco.” Cesare had yet to hurt the servant.In bed with Ludovico Santa
Croce 13974 Ibid,: Giovanni Maria: “messer che volemo fare . . .
menavola via menavola via.” See also Lucretia: 103, 899v: “menala su menala su
strascinala.” Why do we say Meo and not the Jew? Note Meo’s ongoing
relationship with Ludovico, their habit of joint action, plus that prompt
“Messer.” 75 103, 899v: Lucretia: “. . . con molta instanza di
menarmi in una casa che . . . per forza . . . me
strascinavano . . . a i ladri a i ladri a questo modo si assassina
alla strada, . . . che venessero in casa mia . . .” Why
this invitation? Probably demonstrate her station, not to proffer loot. 76 103,
199v: Lucretia: “per andare al arco delli catinari.” The present Via dei
Falegnami then was Via dei Catinari: Gnoli, Toponomia, 69. This Arco was demolished
for San Carlo ai Catinari: Gnoli, Toponomia, 11. 77 103, 903r: Giovanni Maria:
“. . . gl’era cascate le pianella . . . diceano che
caminasse . . . la faceano camminar . . . tre o quattro
attorno.” See also Lucretia: 103, 899v: “cascai in terra in un fangho et
lasciai li pianelle.” 78 For Agostino Pallone’s house, see Cohen and Cohen,
Words and Deeds, 136. For the two men: 103, 903r: Giovanni Maria: “arrivò quel
che portava la torcia accesa et . . . mr Agostino Palone
. . . per il medesimo vicolo.” In 1577, Agostino would be buried in
Santa Maria in Publicolis, the Santa Croce family church: de Dominicis, Notizie
biografiche, 267. 79 103, 899v–900r: Lucretia: “. . . cognobbi detto
messer . . . per l’amor de dio che me aiutasse . . .
pensandosi che il lume non venesse da quella banda et de non esser visto detto
mr Augistino cognobbe . . . Cesari romano, al quale disse Mr.
Augustino ah Cesari che fai, che cosa e questa[!] . . .” 80 103,
903r: Giovannia Maria: “casco con una gamba in una ferrata et . . .
se attacò alla cappa di Messer Augistino . . . Mr Augustino di
grazia. non me abbandonate per l’amor de Dio.” 81 103, 903r–v: Giovanni Maria:
“. . . se conosceva Cyntho Perusco, et lei disse si che lo cognosce
et ho doi figli con lui et e mio marito et . . . se la conosceva
messer Francesco Calvi et lei disse de si . . . se li andava in casa
con lei che li mostraria la figlia.” 82 103, 903v: Giovanni Maria:
“. . . Cesari figlio tu hai fatto male . . . che andasse
via che farria accompagnare Madonna Lucretia da un suo servitore.” 83 Ibid.;
Lucretia: “m’accompagno con la torcia.” 84 103, 917r–v: Lucretia the madam:
“. . . guardai et viddi una donna con un’homo che cridava: che diceva
che volete da me fratelli che volete da me fratelli et diceva tiratimi la corda
tiratimi la corda . . . dubitando io che non fusse qualche vicina, io
bussai alla fenestra della Diana . . . senti quella tua sorella che
crida . . .” “Tiratimi la corda” here refers to Lucretia’s door-rope:
“open up for me!” with a dative. 85 103, 913r: Olimpia: “. . . trovai
Ludovico Santa Croce li alla mia porta assieme con Meo pescivendolo et con doi
altri . . . ci era un’hebreo.” 86 Ibid.: Olimpia: “. . .
Ludovico fu il primo”; 103, 918: Ludovico Santa Croce: “il primo io d’intrare
in casa.” 87 103, 917r: Lucretia the madam: “. . . Olimpia insieme
con un’ suo amico che si chiama Lorenzo stufarolo, quale sonava di liuto. Et me
bisogno tirar’ la corda et alhora intro . . . Ludovico Santa [Croce]
Meo Cesar Vallati et un hebreo.” 88 103, 917v: Lucretia the madam:
“. . . o bella cosa, le povere donne non ponno andare per la strada
et loro dissero che non erano stato.” 89 103, 913v: Olimpia, “Meo et l’altri ci
accompagnorno sino alla stufa et poi se ne andorno con dio”; 914v: Meo:
“insieme alla stufa et poi io me ne tornai a casa mia e Cesare e l’hebreo
andorno a fare i fatti suoi.” 90 103, 922r: Barbara claims Meo has been her
amico for three years; 103, 904r: Barbara: “e un mese ch’io l’ho lassato perche
non mi piace piu l’amicitia sua et perche ha dieci scudi delli mei in mano.”
Monte Savelli is today’s Teatro di Marcello, now stripped bare by archeology.
91 103, 922r: Barbara: “me ne andai a letto senza cena perche io me sentivo
male et mentre ch’io stavo a letto con Annibale pescivendolo sentei passare per
la strada Cesare 92 93 94 95Vallata con altre genti . . . et disse
servitor’ Signora Barbera cor mio ch’io non li resposi altrimente” 103, 914r:
Giovanni Maria: “madonna Lucretia domando a . . . pescivendolo
predetto per che causa fussi preso questo messer Ludovico et . . .
rispose che fu preso perche haveva preso una donna nella strada.” 103, 905v:
Meo, on Tuesday: “io fui preso hiermatina in Ponte ch’io non so perche causa
assieme con Messer Ludovico Santa Croce.” 103, 901r: Lucretia the wife: “et che
stavano molto di mala voglia et tutti afflitti.” 103, 900v: Lucretia: “lui mi
mando a dir per il detto Cynthio che non era offitio da gentilhomo di accusar
nesuno e che mi bastava che io non havessi ricevuto mal nesuno.”Bibliography
Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale
Processi (16° secolo), busta 38, case 19 Processi (16° secolo), busta 38, case
23 Processi (16° secolo), busta 38, case 25 Processi (16° secolo), busta
103Publisd sources Adinolfi, Pasquale. Roma nell’età di mezzo, rione Campo
Marzo, rione S. Eustachio. Florence: Le Lettere – LICOSA, 1983. Ago, Renata.
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Hunt, John M. The Vacant See in Early Modern Rome: A Social History of the
Papal Interregnum. Leiden: Brill, In two unrelated sixteenth-century texts, a
Renaissance prince was described as vulnerable to assassination because of a f
lawed fashion judgment. In his Historia patria (published 1503), the courtier
Bernardino Corio recounted that just before Galeazzo Sforza left his castle on
December 26, 1476, he put on and then took off his corazina because he felt
that the chest armor made him look “too fat.”1 The lack of armored protection
was crucial as Galeazzo was famously stabbed to death during mass later that
day. In his analysis of the event, Timothy McCall provocatively suggests that
Galeazzo’s fatally bad judgment was determined by fashion; Galeazzo, according
to McCall, was inf luenced by the growing pressure to conform to cultural
expectations of a slim masculine figure.2 Sixty years later, a Florentine
prince was murdered by stabbing, and similar to the description of Galeazzo Sforza,
a chronicler of the episode points to clothing’s role in the affair. Benedetto
Varchi’s Storia fiorentina (incomplete at his death in 1565) recounts that just
before Duke Alessandro de’ Medici left his bedchamber on the night of his
murder in 1537, he contemplated whether he should wear his gloves “da guerra”
(for war) or his perfumed gloves “da fare all’amore” (for making love).3
According to the story, Alessandro chose the love-gloves as they better matched
his sablelined cape and were suited to his planned sexual escapade. He
apparently chose unwisely. Elizabeth Currie argues that Varchi added this
presumably invented anecdote about gloves in order to communicate—through
sartorial metaphors—the gap between Duke Alessandro’s expected dutiful behavior
and his actual irresponsible conduct.4 To Currie’s analysis, I add that the
glove anecdote also participates in what had become a literary pattern of
associating men’s clothing with physical weakness. If, in the first episode,
the author indicates how a soft doublet made Galeazzo defenseless to the knife
blade, in the second, the writer implies that the outcome of Alessandro’s
evening might have been different had the princechosen his gloves “da guerra.”
The two historiographical accounts of Galeazzo’s and Alessandro’s murders
underscore not only the high stakes of men’s clothing choices but the
relationship between literary representations of dress and elements of
masculinity. Varchi, like so many writers of the fifteenth and sixteenth
century, chose to articulate men’s dress as integral components in
representations of violence, war preparedness, moral virtue, and sexuality.
Clothing was thus fundamental to Renaissance discourses of masculinity. While
masculine subjectivity as performed through dress has been the focus of several
excellent studies by fashion and art historians, what has gone somewhat
unexplored is how clothing functioned in such discourses of masculinity.5 Was,
for example, clothing presented as a symptom of men’s loss of masculine virtue
or did writers claim that clothing had a more active role in the imperilment of
men? Did so-called effeminate clothing cause men to weaken, or was it merely a
byproduct of a so-called anima effeminato? This essay will address these
questions by looking at the interconnection of male dress, effeminacy, and
militarism in Baldassare Castiglione’s Libro del cortegiano (Book of the
Courtier). I have chosen to concentrate on Castiglione’s Courtier because of
its prominent place in the history of dress and fashion as well as its role in
the history of masculinity.6 The Courtier presents male dress as a high-stakes
enterprise; a misstep in clothing not only had grave consequences for a man’s
reputation, it was also a question of life or death. Like the gloves of Alessandro
de’ Medici and the cuirass of Galeazzo Sforza, a man’s clothing choice could
lead to glory or personal injury, and it could also result in (at least in
Castiglione’s assessment) large-scale military defeat.Arms in the Courtier Very
early in the book, Ludovico da Canossa declares arms to be the primary
profession of the courtier [1.17].7 Yet, the privileged status of arms is not a
settled question, and it is destabilized during a debate of arms vs. letters.8
The debate is framed by the same Ludovico, who asserts that the French only
respect arms and abhor letters. Ludovico extols the value of letters by
describing several successful military generals who trotted off to battle with
copies of the Iliad or other literature at their side. His examples of
successful and literary generals are offered as proof that the French were
erroneous in their belief that literature damaged a man’s ability to fight: “Ma
questo dire a voi è superf luo, ché ben so io che tutti conoscete quanto
s’ingannano i Francesi pensando che le lettre nuocciano all’arme” (1.43, p. 92)
(But there is no need to tell you this, for I am sure you all know how mistaken
the French are in thinking that letters are detrimental to arms) (1.43, p.
51).9 Ludovico’s accusation of the misguided French could as well have been
leveled against Italian contemporaries of Castiglione, since none other than
Niccolò Machiavelli himself was proclaiming that letters were injurious to arms
in both his Art of War as well as his Florentine Histories.10Contrary to the
view of the French (and Machiavelli), Ludovico proposes that letters are
beneficial to arms; letters bring glory, and glory inspires courage in warfare:
“Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimulo è la
gloria. . . . E che la vera gloria sia quella che si commenda al
sacro tesauro delle lettre” (1.43, p.92) (The true stimulus to great and daring
deeds in war is glory. . . . And it is true glory that is entrusted
to the sacred treasury of letters) (1.43, p. 51).11 When Ludovico notes that
literature, like the Iliad, could have a positive effect on soldiers, he shifts
the debate that began with the hierarchy of arms and letters to the correlative
and causative relationship between arms and letters.12 For Ludovico, arms and
letters are “concatenate” (conjoined) (1.46). Ludovico’s assessment of the
positive effects of letters on arms is troubled by the fact that France, at
least since 1494, had proven itself to be militarily superior to Italy. He
hedges his argument in a prebuttal, acknowledging that others might cite recent
French military success as evidence against his claim: “Non vorrei già che
qualche avversario mi adducesse gli effetti contrari per rifiutar la mia
opinione, allegandomi gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco
valor nell’arme” (1.43, p. 93) (I should not want some objector to cite me
instances to the contrary in order to refute my opinion, alleging that for all
their knowledge of letters the Italians have shown little worth in arms) (1.43,
p. 51). To this objection, Ludovico states that the defeat of literate Italians
by illiterate French is the fault of only a few men: “la colpa d’alcuni pochi
aver dato, oltre al grave danno, perpetuo biasimo a tutti gli altri” (1.43, p.
93) (the fault of a few men has brought not only serious harm but eternal blame
upon all the rest) (1.43, p. 52). The debate of arms and letters in the
Courtier raises two key points for my analysis on dress and militarism. The
first is that there is an anxiety among the speakers that the actions of a “few
men” can bring shame on all men.13 The book’s project of social control depends
in great part on this anxiety. Indeed, the belief that massive military defeat
was caused by a few deviant men gives urgency to the entire masculine normativizing
process (i.e., the ideal courtier). The second point, related to the first, is
that men’s ability to win wars could be affected (positively or negatively) by
what are presumably unrelated aspects of a courtier’s masculine identity.
Throughout the Courtier, not only letters but music, dance, and of course dress
are all placed in a context of their relationship to warfare.14 When, for
example, one speaker condemns music as effeminate, another will anxiously argue
that music stirs soldiers to combat, and thus it is rightfully masculine
(I.47). The book delineates the court and the battlefield as discrete yet
interrelated spaces. The courtier-soldier is expected to shuttle between the
two while performing hegemonic masculinity in both.15 The challenge is that
certain practices of masculinity were viewed as causing a negative effect in
one or the other space. The battlefield, in particular, is shown as vulnerable
to the presence of courtly practices. Analogously, the court’s refined spaces
were shown as incompatible with certain military behaviors.16 Nonetheless, the
court often measured itself against a functionality in war (e.g., music was
useful in war) just as men in court adopted martial aesthetics (e.g., court
dress was an adaptation of the military tunic).17 There thus arises a tension
within the Courtier between the masculinity of courtly practices and the
masculinity of warfare, and this tension is routinely expressed as a fear that
practices at court are deleterious to combat. The speakers never clearly
articulate how dress, letters, and music might endanger war tactics and
strategies, but they do repeatedly imply that refined behavior threatens
masculinity. The reader is then left to leap the epistemological gap that
assumes such a claim to be true. The cumulative effect of this rhetorical
technique is that a fear of effeminacy underlies the entire project to produce
an ideal courtier, and this fear is often articulated in terms of dress and
aesthetics.18Aesthetics and masculinity before Castiglione The association of
men’s dress and aesthetics with effeminacy has a literary tradition that
stretches at least back to Classical antiquity. Craig Williams’ groundbreaking
text, Roman Homosexuality, provides scores of ancient examples of writers reproaching
men’s aesthetics. In Roman texts, clothing, perfumes, and grooming habits were
frequent subjects of scorn. According to Williams, men’s aesthetics were
invoked as part of accusations of effeminacy in what was consistently a
reproach of men’s loss of dominion and self-mastery.19 More recently, Kelly
Olson’s Masculinity and Dress in Roman Antiquity has provided a systematic look
at dress in ancient Rome, and she usefully pinpoints specific elements of
dress, perfumes, and grooming to show how the Roman man “walked a fine line”
between expected grooming and dressing practice and what was considered
effeminate.20 As we move into the Middle Ages and Renaissance, writers adopted
these Classical condemnations of men’s dress and added their own brand of Christian
morality. Renaissance legal codes and prescriptive literature justified the
regulation of male dress under the auspices of protecting state expenditures,
preventing deviant sexuality, or ensuring the salvation of the soul.21 For
example, Francesco Pontano (f l. 1424–41), a professor in republican Siena,
attacked male hair styling, cosmetics, and ornate garments as a civic and
Christian moral problem.22 In his treatise Dello integro e perfetto stato delle
donzelle (On the whole and perfect state of girls), a work written primarily
about women’s vanities, the author states that “vain and superf luous ornament”
should be disdained by all males “who want to be called real men.”23 Certain
men, he states, do not care if they are esteemed as masculine, and thus they
spend extraordinary amounts of time on hair and skin care.24 He complains that
men multiply the effect of their grooming habits by fussing over dress as well:
“Ma i maschi moltiplicano questo errore or co’ lisciamenti or con continui
increspamenti di falde, e arrondolamenti de’ cappucci a diadema, e infiniti
altri loro frenetichi e babionerie” (But men multiply this error, sometimes
using cosmetics and at other times with their continual ruff ling of crinoline
and swirls of hoods in the shape of a tiara, as well as their infinite other
frenzies and buffooneries) (Pontano 22). For Pontano, so-called luxurious dress
muddied the gender binary as well as presented a peril to Christian morality
since, as he states, vanities and ornament debased men, who were “made to be
equal to the angels” to a status “below pigs.”25 Dress imperiled the body and
the very soul of men. Effeminate dress, he states, showed disrespect for God.
The crowd of ornate men “non crede che Dio sia, e che non sia alcuno altro
iudice che quegli del podestà ovver del capitano” (does not believe that God
exists, and that there is no other judge than the podestà or commander)
(Pontano 22). Pontano made so-called effeminate dress a moral and theological
issue. Similarly, other writers of the fourteenth and fifteenth centuries
voiced concern about the morality of dress with respect to sexuality and class
status. The chronicler Giovanni Villani (c. 1280–1348) worried that men’s
fashion could create dangerous alliances with foreign powers and blur class
differences, and San Bernardino da Siena (1380–1444) complained that young
men’s short tunics and tight hose were too erotic.26 Ironically, those same
tight hose were reevaluated in the sixteenth century as evidentiary proof that
the male youths of the past were uncorrupted.27 There has as yet been no
systematic study of the condemnations of men’s dress in early modern Italy, but
such a study would aid our understanding of possible thematic shifts. Not only
did the targets of these condemnations vary (e.g., short tunics, tight
hosiery), so too did the rhetoric used to vilify certain dress undergo changes.
There seems to be one significant moment in the history of dress and
masculinity at the beginning of the sixteenth century, when condemnations of
so-called effeminate male dress shifted from threats of Christian imperilment
to failed militancy.28 The anxiety over dress and militarism had real-world
implications such as the standardized military uniform, just as it may have
also inspired some unexpected rhetoric, such as the praise of an unkempt
look.29 Most importantly, it made the abstract notions of dependency and
autonomy visible; men’s clothing carried the meanings of military victory or
loss. Castiglione’s Courtier has a distinct place within the normativization
process of the militaristic masculine body as it is an early—possibly the
earliest— example of sixteenth-century rhetoric of effeminacy, dress, and
military defeat. Castiglione began writing his text during the chaotic years
between the invasion of France in 1494 and the Sack of Rome in 1527. In this
period of instability, he chose to point to certain courtly behaviors,
including dress, in relation to the military losses that were still potentially
viewed as reversible. The Courtier blames the subjugation of the Italian people
on certain refined masculine behaviors that were otherwise unrelated to
militarism, but so, too, it suggests that the salvation of Italy lay in the
hands of this same class of men, men who often marked their class by the very
dress that undermined their masculinity. There are two moments in which
Castiglione suggests that men’s clothing played a role in military loss. I will
analyze these passages along with other textual examples of men’s aesthetics
and dress to demonstrate that Castiglione is in effect not only making
pronouncements about dress but, more importantly, is establishing a practice
whereby men can redeem their masculinity through speaking about the
effeminizing power of aesthetics. The spoken condemnation of courtly dress
purportedly critiques gender and class structures, but like the dress itself,
this very speech is what marks the speaker as belonging to the properly
masculine elite.30Male aesthetics and dress in the Courtier Book One:
sprezzatura and gender nonconformity In Book One, the primary speaker, Count
Ludovico da Canossa, says that the ideal courtier should have a manly yet
graceful face. What is to be avoided, he exclaims with disgust, are certain
male grooming habits: [your face] has something manly about it, and yet is full
of grace. . . . I would have our Courtier’s face be such, not so soft
and feminine as many attempt to have who not only curl their hair and pluck
their eyebrows, but preen themselves in all those ways that the most wanton and
dissolute women in the world adopt; and in walking, in posture, and in every
act, appear so tender and languid that their limbs seems to be on the verge of
falling apart; and utter their words so limply that it seems they are about to
expire on the spot; and the more they find themselves in the company of men of
rank, the more they make a show of such manners. These, since nature did not
make them women as they clearly wish to appear and be, should be treated not as
good women, but as public harlots, and driven not only from the courts of great
lords but from the society of all noble men. (1.19, p. 27) Certo quella grazia
del volto, senza mentire, dir si po esser in voi . . . tien del
virile, e pur è grazioso . . . . di tal sorte voglio io che sia lo
aspetto del nostro cortegiano, non così molle e femminile come si sforzano
d’aver molti, che non solamente si crepano i capegli e spelano le ciglia, ma si
strisciano con tutti que’ modi che si facciano le più lascive e disoneste
femine del mondo; e pare che nello andare, nello stare ed in ogni altro lor
atto siano tanto teneri e languidi, che le membra siano per staccarsi loro
l’uno dall’altro; e pronunziano quelle parole così aff litte, che in quel punto
par che lo spirito loro finisca; e quanto più si trovano con omini di grado,
tanto più usano tai termini. Questi, poiché la natura, come essi mostrano
desiderare di parere ed essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come
bone femine esser estimati, ma, come publiche meretrici, non solamente delle
corti de’ gran signori, ma del consorzio degli omini nobili esser cacciati.
(1.19, pp. 49–50) For Ludovico, the so-called effeminate courtiers are not by
nature “molle” (soft) or “ femminile” (feminine), but they work very hard (si
sforzano) to make themselvesappear to be so. Moreover, he links aesthetics to
acts of despised behavior, particularly obsequious dependency. This condemned
behavior occurs when, as Ludovico explains, men affect their appearance and
speech around other men of rank. We can situate these despised men within the
context of Ludovico’s own theory of sprezzatura. Coining a new term, Ludovico
describes sprezzatura as the art of “ciò che si fa e dice venir fatto senza
fatica e quasi senza pensarvi” (1.26, p. 60) (making whatever is done or said appear
to be without effort and almost without any thought about it) (1.26, p. 32).31
In the case of the men who plucked their eyebrows, curled their hair, and
augmented certain behaviors around men of rank, they have failed at this art.
Rather than concealing a performance, as sprezzatura demands, these men drew
attention to the act of ingratiating themselves to men of authority. Their
failed performance of sprezzatura thus resulted in the loss of reputation and
power, a point also made by Ludovico in his definition of the new term:
Accordingly, we may affirm that to be true art which does not appear to be art;
nor to anything must we give greater care than to conceal art, for if it is
discovered, it quite destroys our credit and brings us into small esteem.
(I.26, p. 32) Però si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né
più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta,
leva in tutto il credito e fa l’omo poco estimato. (1.26, p. 60) Successful
sprezzatura, on the other hand, offered the courtier an ability to perform a
“compelling” version of himself that masked a very different, perhaps less
putatively masculine identity.32 This “manly masquerade,” however, risked
pointing to both a fantastic masculine ideal as well as to the absence of that
ideal.33 Dress and aesthetics, or more precisely, the discussions of dress and
aesthetics in the Courtier, form a paradox in the logic of sprezzatura. When
the speakers complain of the “effeminate” dress or grooming habits of men, they
imply that some idealized masculine version of these men existed before the
offending grooming or dressing occurred.34 However, this anchoring of
essentialist manhood is dismissed in the Courtier. Instead, the speakers
reaffirm that since very few men are born with the qualities of the ideal
courtier, the ideal (read masculine) courtier manipulates his body, behaviors,
and dress. If the ideal courtier is therefore a man who must alter his person
in order to be masculine, then the ideal masculine pre-altered courtier—much
like the idealized Urbino court itself—is a pastoral fantasy.35 The men who
alter their hair and posture when among men of rank, in effect, draw attention
to this absence of essential masculinity in all but the rarest courtiers. These
men fail at a sprezzatura of masculinity not because they ornament themselves,
but because they have exposed the necessity of ornamenting themselves. It is so
great an infraction that Ludovico angrily condemns these men to be punished not
as women but as “public harlots.” Of course, the reference to prostitution is
significant for it foreshadows an episode (discussed below) in Book Four where
Ottaviano explains that all courtiers must use their bodies, speech, and
behavior to gain princely favors. The irony is that the principal difference
between the despicable groomed courtier with plucked eyebrows and the masculine
courtier with less apparently plucked eyebrows is solely aesthetic; both sell
themselves for favors. The offending behavior of the groomed courtier is
therefore that he has failed to conceal this economy.Book Two: foreign dress
and foreign occupation Given the gravity of the punishment that Ludovico doles
out to certain courtiers, it is apparent that a mistake in styling and grooming
could pose a serious threat to masculinity. Thus, choosing proper male dress
also caused anxiety for the upwardly mobile courtier. In Book Two, Giuliano de’
Medici expresses his personal difficulty regarding the variety of dress
available to men, and he asks for assistance “to know how to choose the best
out of this confusion” (2.26). Federico Fregoso responds to this question by
stating that men should dress according to the “custom of the majority.”
Fregoso then states that the majority of Italians wore the styles of various
foreign cultures and that these foreign fashions signaled which cultures would
dominate Italian men.36 But I do not know by what fate it happens that Italy
does not have, as she used to have, a manner of dress recognized to be Italian:
for, although the introduction of these new fashions makes the former ones seem
very crude, still the older ones were perhaps a sign of freedom, even as the
new ones have proved to be augury of servitude . . . Just so our
having changed our Italian dress for that of foreigners strikes me as meaning
that all those for whose dress we have exchanged our own are going to conquer
us: which has proved to be all too true, for by now there is no nation that has
not made us its prey. (2.26, pp. 88–89) Ma io non so per qual fato intervenga
che la Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per
italiano; che, benché lo aver posto in usanza questi novi faccia parer quelli
primi goffissimi, pur quelli forse erano segno di libertà, come questi son
stati augurio di servitù . . . cosí l’aver noi mutato gli abiti
italiani nei stranieri parmi che significasse, tutti quelli, negli abiti de’
quali i nostri erano trasformati, dever venire a subiugarci; il che è stato
troppo più che vero, ché ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto
preda. (2.26, p. 158)Fregoso’s fashion advice poses a host of problems
regarding identity and autonomy. By suggesting that men “follow the majority,”
he undermines agency, sovereignty, and control, themes often repeated as central
to masculinity by fifteenth- and sixteenth-century authors. Manliness is the
ability to look like others, to disappear in the crowd; but it is also
ironically defined as following the crowd’s errors. For, as Fregoso states, the
majority of Italians have made a grave error and adopted foreign dress, which
leads to invasion and occupation.37 If fitting in is a masculine virtue, it
could even mean implicating oneself in Italy’s political and military losses.
Fregoso’s concern about foreign dress is a Classical trope that has
considerable fortune in the Renaissance, where French and later Imperial
invasions were not infrequently associated with foreign fashions. 38 The
epistemological link of fashion and invasion was so imbedded in the culture
that even one hundred years after Castiglione wrote his Courtier, the Spanish
priest Basilio Ponce de Leon suggested that God castigated Italy with invasion
in 1494 precisely because Italian men wore French fashions.39 Within the
Courtier itself, foreign fashion does not incur God’s wrath, but rather, it
beckons other nations to “venire a subiugarci” (come and subjugate us). Such a
logic—where large scores of men were responsible for invasion because of their
fashion choice—stands in contrast to Ludovico’s claim in Book One when he
claimed that the collapse of Italy was caused by a “few men.” Book Two thus
broadens the guilty parties of Italy’s subjugation from a “few men” to a
“majority” of (upper class) men, who, like Castiglione himself, were bedecked
in the latest Spanish and French trends.Books One and Two: fashion theory and
agency The first two books are differentiated also by the way they discuss
men’s aesthetics. In Book One, for example, there is no association between
aesthetics and military loss. Ludovico did not state that plucked eyebrows and
curled hair brought about military defeat. Rather, his complaint was limited to
gender nonconformity. On the other hand, Book Two draws a direct line between
aesthetics (foreign dress) and military failure. This shift from Book One to
Book Two might be explained by the general ideological difference that
distinguishes the two books. Virginia Cox has convincingly argued that Book One
proclaims that a courtier’s virtue ensures him success, while in the more
cynical Book Two, success at court is depicted as at the whim of the prince.40
In particular, military bravery is praised only when it can be observed by
others, particularly by the prince. To risk one’s life when no one is watching
would be a waste of one’s personal resources. Virtue, therefore, is whatever
the courtier makes seen in the eyes of others. In the context of Book Two,
where the courtiers participate in an economy that trades in appearance of
virtue rather than intrinsic virtue, clothing takes a central role in masculine
identity construction. It thus follows that Fregoso attempts to draw a direct
relationship between appearance and essence. He statesthat one must be
attentive to what type of man he wishes to be taken for, and then act and dress
accordingly, “aggiungendovi ancor che debba fra se stesso deliberar ciò che vol
parere e de quella sorte che desidera esser estimato, della medesima vestirsi”
(2.27, p. 160) (I would only add further that he ought to consider what
appearance he wishes to have and what manner of man he wishes to be taken for,
and dress accordingly) (2.27, p. 90). Such action is necessitated by the belief
that external appearance (including mannerisms) communicates a person’s
identity: “tutto questo di fuori dà notizia spesso di quel dentro” (2.28, p.
161) (all these outward things often make manifest what is within) (1.28, p.
90). The body makes legible the soul, and this externalization of virtue and
morality is problematized by the fact that the courtier is taught to manipulate
the body according to his fashion. One speaker, Gasparo Pallavicino, pushes
back on the theory that dress determines personal character. He states that one
should not “judge the character of men by their dress rather than by their
words or deeds” (2.28, p. 90). To Gasparo’s comment, Fregoso responds that
although deeds and words are more important than dress, dress is “no small
index” (non è piccolo argomento) (2.28) of the man. Fregoso’s insistence that
dress is ref lective of the essence of man is, however, hard to reconcile with
the fact that one’s projected image, as Fregoso himself states, can be false:
“avvenga che talor possa esser falso” (2.28) (although it can sometimes be
false) (2.28, p. 90 translation altered to ref lect original). Despite
Fregoso’s suggestions otherwise, behavior, dress, and bodily adornment do not
convey an unproblematic version of the self. In the elegant fishbowl of the
court, courtiers manipulate dress with the hopes that others might be duped
into believing that it represents an intrinsic identity. Fregoso’s fashion
theory, though not cohesive, does communicate to other men that a fashion faux
pas imperils the courtier’s masculinity in two ways: it points to a perceived
essential effeminacy, or it demonstrates an inability to mask this effeminacy.Book
Four: Ottaviano’s paradox The last mention of dress in the Courtier is in Book
Four, and it famously gives elegance of dress a virtuous purpose. In Book Four,
Federico Fregoso’s brother, Ottaviano, declares that dress, manners, and
pleasantries permit the courtier access to the prince so that he can provide
the ruler with wise counsel. According to Ottaviano, the courtier must fashion
himself with this mask of the “perfect courtier” so that he can lead the prince
away from the ills of vice through deception, “ingannandolo con inganno
salutifero” (beguiling him with salutary deception) (4.10, p. 213). Ottaviano’s
interjection has received much scholarly attention in part because it exposes
the fashioning of the perfect courtier as a performance of deceit.41 Berger, in
particular, has noted how this deceit can have an effect on the integrity of
the courtier: The byproduct of the courtier’s performance is that the
achievement of sprezzatura may require him to deny or disparage his nature. In
order tointernalize the model and enhance himself by art, he may have to
evacuate – repress or disown – whatever he finds within himself that doesn’t
fit the model. (20) If sprezzatura requires the courtier to deny or disparage
his own nature, then there is an implicit notion that the courtier also risks
destabilizing his identity, including his masculine identity.42 This is no more
apparent than when we consider how a courtier’s agency is compromised by the
act of sprezzatura, an act of self-fashioning that is dependent on the will of
others. Ottaviano addresses this very process head on. He states that elegance
of dress, along with singing, dancing, and general enjoyment, change a man and
make him effeminate. Relevant here, this effeminacy has consequences not only
on a courtier’s identity but also on state security: I should say that many of
those accomplishments that have been attributed to our Courtier (such as
dancing, merrymaking, singing, and playing) were frivolities and vanities and,
in a man of any rank, deserving of blame rather than of praise; these elegances
of dress, devices, mottoes, and other such things as pertain to women and love
(although many will think the contrary), often serve to merely make spirits
effeminate, to corrupt youth, and to lead to a dissolute life; whence it comes
about that the Italian name is reduced to opprobrium, and there are but few who
dare, I will not say to die, but even to risk any danger. (4.4, p. 210) anzi
direi che molte di quelle condicioni che se gli sono attribuite, come il
danzar, festeggiar, cantar e giocare, fossero leggerezze e vanità, ed in un omo
di grado più tosto degne di biasimo che di laude; perché queste attillature,
imprese, motti ed altre tai cose che appartengono ad intertenimenti di donne e
d’amori, ancora che forse a molti altri paia il contrario, spesso non fanno
altro che effeminar gli animi, corrumper la gioventù e ridurla a vita
lascivissima; onde nascono poi questi effetti che ’l nome italiano è ridutto in
obbrobrio, né si ritrovano se non pochi che osino non dirò morire, ma pur
entrare in uno pericolo. (4.4, pp. 367–68) Ottaviano’s claim marks a critical
shift from the other cited passages. It is the only time in the Courtier where
clothing (along with other courtly behaviors) is described as rendering men
effeminate. In Book One, distasteful grooming habits are practiced by those men
who “wish” that they were women, and in Book Two, foreign dress beckons
military defeat. In Book Four, clothing causes effeminacy, and the effeminized
man loses wars. The passage is not only a significant moment in the Courtier,
it is an important moment in the history ofeffeminacy. To my knowledge, it is
one of the earliest Renaissance texts that figures clothing and other behaviors
as the agents that cause effeminacy leading eventually to military defeat.43
Ottaviano’s brief interjection on clothing would have provided the attentive
listener with (again) some troubling fashion advice. The passage forms what I
call Ottaviano’s paradox: on the one hand, Ottaviano affirms that elegant dress
may be necessary to ingratiate the prince and engender virtue, while on the
other, he warns that dress has deleterious effects, effeminizing the courtier’s
soul and bringing shame to him and Italy. If the courtier performs his requisite
duties (which include ingratiating the prince with dress, dancing, music,
etc.), he cannot escape losing his own masculinity. It is unclear how the
reader is to navigate this paradox. Castiglione may have been genuinely
concerned with the possible effeminizing effects of dress, or there may have
been some irony in placing these words in the mouth of Ottaviano.44 Ottaviano
had, in fact, been derided for his unusual dress in the earlier version of the
book known as the seconda redazione (written 1520–21).45 Moreover, Castiglione
was himself quite the fashionista. His letters tell us that he was deeply
concerned with his own dress, both at court and during military operations.
Many of his letters to his mother refer to his need for appropriate clothing,
and on some occasions, he refers to this clothing as necessary for exercises
carried out in a context of war.46 The fact that Castiglione has left us
extensive writing on dress from the period raises hermeneutical questions about
Ottaviano’s statement that courtly dress and activities “make spirits
effeminate and corrupt youth” and eventually lead to the shame of Italy. Surely
the author was not suggesting that winning wars merely a matter of changing
clothing. I propose that Castiglione was less interested in changing the
garments and grooming habits of Italians than he was in investigating how the
rhetoric about aesthetics functioned in defining identity and motivating social
groups. His book explores how courtly practices, including dress, determined
the boundaries of an elite ruling class, but so too does it explain how the
language used to discuss these practices could shift the values added to such
practices. Thus, Ottaviano’s paradox—where the courtier is virtuous if he
ingratiates the prince but loses his virtue of masculinity by doing so—is in
effect a masterful demonstration of sprezzatura. When Ottaviano utters his
words, he not only explains how courtliness denigrates a man for a virtuous
cause, he also reveals how a courtier can assume an intentional and masculine
participation in this virtuous cause. He derides the very courtly practices
that he himself performs and then engenders them with virtue.47 By showing that
a courtier sacrifices his masculinity on the altar of state security, Ottaviano
offers a reclamation of masculinity for any courtier. The trick is, however,
that the courtier must be willing to decry the very practices that make him a
courtier in order to claim this masculinity. Ottaviano states, in effect, “I
criticize the grooming of men as effeminizing, but I will also perform these
acts for the larger good of pleasing the prince.”By way of a conclusion, we
will turn to this same moment in the second manuscript edition, or seconda
redazione.48 Here Ottaviano’s passage appears in Book Three (the final book of
the manuscript). It is spoken by Gasparo and, most importantly, the condemned
effeminate activities are not routine courtly behavior, but belong to young
courtiers in love: Do you not believe that the young would be doing a much more
praiseworthy thing if they were to concentrate on arms to defend the patria,
their own honor, and the dignity of Italy, rather than to go around with their
hair all coiffed, perfumed, and strolling through the neighborhoods with their
eyes glued to the windows above without considering anything in the world
except their own priorities? And what purpose do these devices and mottoes and
elegances of dress serve other than vanity and frivolity? And what is the point
of dancing at balls and masquerades as well as games and music (and other such
things that you praise so much)? What do these things offer other than to give
birth to the effeminizing of men’s spirits as well as corrupting and reducing
youth to a delicious and lascivious life? Whence, as Signor Ottaviano so well
says, it comes about that the effect of all this is that the Italian name is
reduced to opprobrium, and one cannot find a man who dares, I will not say die,
but even to risk any danger. And all of this is the cause of women.
(Translation mine) Non credete voi che li giovani facessero opera più
laudevole, se attendessero all’arme per difender le patrie e l’onor loro e la
dignità de Italia, che andar con le zazare ben pettinate, profumati,
passeggiando tutto dì per le contrade, con gli occhi alle finestre senza
pensare cosa alcuna di quelle che più gl’importano? e queste imprese e motti et
attillature insomma a che servano altro che a vanità e leggiereze? e danzare e
ballare e mascare e giuochi e musiche e tai cose, fatte con tanta diligenzia e
che voi tanto laudate, infine che partoriscono altro che effeminare gli animi,
corrompere la gioventù e ridurla a vita deliziosa e lascivissma? Onde, come ben
talor dice el signor Ottaviano, ne nascono poi questi effetti che il nome
italiano è ridutto in obrobrio, né si truova uomo che osi non dirò morire, ma
purentrare in un pericolo. E di tutto questo sono causa le donne. The
manuscript passage, like that of the final 1528 version of the Courtier quoted
earlier, tells us that men’s dancing, games, music, and elegance of dress are
dangerous to Italian sovereignty. However, there are important differences
between these two textual examples. In the seconda redazione, dressing and
music, etc. are presented as the vices specific to young lovers. This
characterization of lovers fits clearly within Gasparo’s stated distaste for
any action that involves the courtship of women. Additionally, Gasparo explains
the relationship between warfare andeffeminate behaviors in simple terms of
time allocation; men should choose to spend time fighting to “defend their
homelands,” but instead they focus on love. Thus, when he states that dancing,
masquerades, and games effeminize men’s spirits, it follows that this causal
effect is at least in part due to the fact that men are busied with these
activities and not fighting. When the author adapted the passage for the final
version, he changed not the effeminizing practices but the cast of the shameful
men, and he removed the phrase that explains that these practices simply took
up too much of the courtiers’ time. In Courtier Book Four, the list of mottoes,
devices, dancing, and dress are not described as what courtiers do to woo
women, but rather, they are general courtly practices. Indeed, Ottaviano
mentions the previous evenings’ discussions and takes aims at these activities
and practices that are described by Ludovico and Fregoso in Books One and
Two.49 These courtly practices were not performed to attract only the attention
of women, but also (and primarily) of men; in particular, these practices
attracted the attention of other courtiers and, most importantly, the prince.
What Ottaviano offers his peers is the chance to reclaim a masculinity of
purpose, even while operating in a gender paradox where dress and acts
necessarily effeminized the men who pursued this purpose. Ottaviano reclaimed
courtly masculinity by denigrating the necessary courtly practices and dress
that enabled the courtier to pursue virtue. His accusatory rhetoric allows the
disempowered male to assert masculinity even in the performance of dependency.
Castiglione’s book enacted the same performance as Ottaviano’s utterance; the
book as a whole takes aim at dress as effeminizing while explaining that such
dress typified the ideal, masculine, and virtuous courtier. These accusations
of the practices of men also served the larger function of the Courtier’s
normativizing project, where the “few men” who were responsible for the shame
of Italy might be refashioned into warrior heroes. The nagging question is just
how aesthetics figured into this degradation of Italy. It is doubtful that
Castiglione (or any other Renaissance writer) would suggest that changing one’s
ruff les and sleeves would be the key to defeating the French or the Habsburg
empire, but why, then, we should ask, did writers frame military defeat in
terms of silks and ruff les? It would seem that we still have much to learn
about how aesthetics and militarism functioned in the Renaissance projects of
social control.Notes 1 Corio, Storia di Milano, 2: 1398–99: “il duca se misse
una corazina, quale cavò dicendo parebbe troppo grosso, puoi se vestì una veste
di raso cremesino fodrata di sibelline e cinto con uno cordono di seta morella
la biretta.” 2 McCall, “Brilliant Bodies,” 472. 3 Varchi, Storia Fiorentina,
Vol. 3, Book 15, 186. 4 Currie, Fashion, Introduction. 5 See, for example,
Simons, “Homosociality and Erotics,” Currie, Fashion, Biow, On the Importance,
and Eisenbichler, “Bronzino’s Portrait.” 6 Paulicelli, Writing Fashion, 3. On
masculinity and dress in the Courtier see Quondam, Tutti i colori and Currie,
Fashion.7 All Italian quotes of the Cortegiano are from the Garzanti edition.
All English quotes are from the Javitch edition (2002) of the Singleton
translation. 8 Najemy, “Arms and Letters.” The hierarchy of arms is challenged
by Ludovico himself, who states that letters are the “true and principal”
adornment of the courtier. Moreover, Bembo argues that arms are actually the
adornment of letters; see ibid., 211. 9 Castiglione’s references to France change
from manuscript to print edition. In one of the earliest manuscript editions of
the book, he calls those who do not appreciate letters, barbari. Pugliese, “The
French Factor.” 10 For a discussion of Machiavelli’s position on arms and
letters see Najemy, “Arms and Letters,” 207–08. For a later discussion on the
danger of letters to arms see Stefano Guazzo’s “Del paragone dell’arme et delle
lettere” in which an interlocutor suggests that some people fear that letters
“si snervassero gli huomini Martiali,” Stefano Guazzo, Dialoghi piacevoli
(Piacenza: Pietro Tini, 1587), 167. 11 See Albury, Castiglione’s Allegory, 65.
12 Ludovico is here discussing the influence of literature on war rather than
the study of combat manuals. On Urbino’s master at arms, Piero Monte, who
published the “first significant combat manual ever to be printed,” see Anglo,
The Martial Arts, 133. 13 My reading on this passage differs from Najemy’s,
which argues that Ottaviano, in Book Four, implicates the courtiers as the few
bad men, responsible for Italy’s decline. 14 In Book One, Gasparo states that
music and other “vanities” “effeminar gli animi” of men. Quondam’s published
edition of Manuscript (L) Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnhamiano 409
shows that Castiglione originally phrased his concerns differently, without
using the word “effeminize”: “e cosi fatte illecebre enervare gli animi.”
Quondam, Il libro del Cortegiano. 15 On hegemonic masculinity, see Connell,
Masculinities, 77. 16 Although warfare is typically shown to be endangered by
courtly behaviors, there are some moments in which the court is shown to be
negatively affected by the presence of warriors; see Book I.17. 17 Newton,
Fashion, 1–5; Blanc, “From Battlefield to Court.” 18 On effeminacy in the
Courtier see Milligan, “The Politics of Effeminacy.” On effeminacy in the study
of pre-modern texts, see Halperin, “How to Do.” 19 Williams, Roman
Homosexuality, 125–58. 20 Olson, Masculinity and Dress; see chapter four in
particular. 21 See Blanc, “From Battlefield to Court” for a discussion about
several fourteenth-century chronicles that blame a sudden change in dress for
battles and plague. See also Muzzarelli, Breve storia; Mosher Stuard, Gilding
the Market; Sebregondi, “Clothes and Teenagers”; Muzzarelli, Guardaroba
Medievale. 22 Francesco Pontano, along with his brother Ludovico Pontano, was a
professor at the university of Siena. On Francesco Pontano see Marletta,
“L’umanista Francesco Pontano.” 23 “Il quale tanto più è vituperoso in loro in
quanto debbono in tutto essere rimoti da ogni vano e superfluo ornamento,
s’eglino debbono e vogliono esser detti veri maschi.” Pontano, “Dello integro e
perfetto stato,” 22. All translations are mine unless otherwise noted. 24 “Li
quali non minor tempo e industria mettono raschiamenti di coteche e
scialbamenti di gote e di collo e de’ vari pelatogi e scorticatogi, e di bionde
e d’acque sublimate e stillate, che si facciano le femine.” Ibid. 25 “Talché
oggidì l’uomo che fu fatto presso che pari agli angeli ’e di sotto a’ porci e a
qualunque altro sporco e vile animale.” Ibid. On dress and gender confusion in
early modern England see the essays by Epstein and Straub, Body Guards. 26 See
Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” which shows how preachers such as San
Bernardino da Siena complained about the erotic elements of tight hose and
short doublets. Ibid., 31 cites Sermon 37 of Prediche di San Bernardino vol. 3.
27 Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” 36. 28 Not all writers condemned male
dress. Leonardo Fiorivanti states that the only way to make this “miserable
world” better is to dress well and eat well, and that young men dress
extravagantly and then change their dress when they reach the age to marry and have
children. Fiorivanti, Dello specchio, Book I, chapter 9, 27. On the other hand,
Anton Francesco Doni (1513–74) and Scipione Ammirato (1531–1601) both criticize
military failings while discussing men’s dress and aesthetics. In language that
is contrary to modern notions of military discipline, writers such as Pio De
Rossi (1581–1667) suggested that the most courageous warriors were slovenly,
dirty, and untidy. De Rossi, Convito morale, 42. On Rossi see Biondi, “Il
Convito.” This mechanism functions similarly to the “hypocritical rhetoric of
self-censorship” identified by Carla Freccero in that an utterance pretends to
do one thing while performing a different function. Freccero, “Politics and
Aesthetics,” 271. On scholarly interpretations of sprezzatura see Javitch;
Rebhorn, Courtly Performances; and Berger Jr., The Absence of Grace. On the
“more compelling figure” see Rebhorn, Courtly Performances, 38; on the virility
of sprezzatura see Berger, Absence of Grace, 11. I borrow the term “manly
masquerade” from Finucci, The Manly Masquerade. How Renaissance writers
characterized the pre-dressed (naked) man as masculine or effeminate is
discussed by Paulicelli, Writing Fashion, ch. 3. According to Berger,
Castiglione casts an idyllic, unreal version of Urbino. Berger describes how
Castiglione discloses to the reader his process of casting Urbino as unreal in
a “metapastoral” gesture Berger, Absence of Grace, 119–78. On this passage see
Quondam, Questo povero cortegiano and Milligan, “The Politics of Effeminacy.”
See Currie, Fashion; Paulicelli, Writing Fashion. On Classical examples see
Williams, Roman Homosexuality. Castiglione himself cites an ancient anecdote of
Darius III, King of Persia (336–330 b.c.), told by Q. Curtius Rufus,
Historiorum Alexandri Magni III, 6. For Renaissance examples see Lando, Brieve
essortatione, which states that the Syrians have dominated the Italians through
their perfumes, and Lampugagni claims that Italians follow French fashions like
monkeys, Della carrozza da nolo. Lampugnani also complains of women who seek to
“dis-Italianize” themselves by adopting foreign fashions. De Leon, Discorsi
novi, published in Spanish in 1605. “E, quando in Italia cominciarono a
vestirsi all’usanza di Francia, molti ciò mirando con prudenza temerono, che i
Francesi havessero a mal trattargli; e non s’ingannò l’anima loro, come fra
pochi giorni mostrò il successo. Di modo che la natione, che lascia la sua
foggia di vestito antica, e naturale per imitare quella de’ Regni stranieri,
ben può temere, che Dio non la castighi con guerre, persecutione, rubamenti, e
mali trattamenti che le faranno fatti da coloro, i cui habiti ella va
imitando,” 628. Cox, The Renaissance Dialogue, 54. On Ottaviano’s interjection
see Rebhorn, Courtly Performances, Albury, Castiglione’s Allegory, and Quondam,
Questo povero cortegiano. Berger does not characterize courtliness as weak or
effeminizing; he instead states that the successful performance of sprezzatura
demonstrates a certain virile mastery. Berger, Absence of Grace, 1–12. In his
“Education of Boys” Aeneas Silvio Piccolomini suggests that clothing can make
boys soft and effeminate. He particularly warns against feathers and silk.
Piccolomini, “The Education of Boys,” 71. Basilio Ponce de Leon, Discorsi
(Italian Translation 1614) suggests that clothing makes spirits effeminate and
soft “Legislatori antichi giudicarono così (e la isperienza lo insegna) che non
tanta delicatezza di vestiti si assottigliano gli animi, e di virile, e forti
divengono bassi effeminate e molli,” 626. Some assert that Ottaviano’s response
might be due to his “republican” leanings. This seems to be overstated given
that Ottaviano was the nephew of Guidobaldo de Montefeltro, spent much of his
childhood at the Urbino court, and was himself a prince of Sant’Agata Feltria.
In response to how a courtier should dress, Federico responds “Voi lasciate una
sorte de abiti che se usa, e pur non si contengano tra alcuni di questi che voi
avete ricordati, e sono quegli del signor Ottaviano.” Castiglione, Seconda
redazione, II.26, 110.46 See, for example, letters 29 and 30. Castiglione, Le
lettere, Ottaviano’s censoring of courtly dress follows Carla Freccero’s
analysis of “’hypocritical’ rhetoric of self-censorship,” in that it is as much
about establishing identity groups as it is about a sincere rebuke of argument.
Freccero, “Politics and Aesthetics,” 271. 48 For a useful review of the
manuscript revisions to the text, see Pugliese, Castiglione’s “The Book of the
Courtier”, 15–24. 49 “Estimo io adunque che ’l cortegiano perfetto di quel modo
che descritto l’hanno il conte Ludovico e messer Federico, possa esser
veramente bona cosa e degna di laude; non però simplicemente né per sé, ma per
rispetto del fine al quale po essere indirizzato” (4.4) Castiglione, Il libro
del Cortegiano, ed. Nicola Longo, 367.Bibliography Albury, W.R. Castiglione’s
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Press, How the sausage and carne battled for gastronomic and social prestige in
Renaissance literature and culture Laura GiannettiIn Girolamo Parabosco’s
comedy La fantesca (published in 1556) the sexual activities of a maid, the
young cross-dressed Pandolfo who impregnated his young lover Giacinta, were
humorously referred to with a culinary metaphor, that of inserting meat in the
oven: People, the female servant has become a male in two houses at once as you
have seen. And she has shown that she is a better cook than a housekeeper,
because she knew better how to put the meat (carne) in the oven than make beds
or sweep the house. (V, c. 94)1 The Italian word carne with its multiple
meanings of meat, f lesh, and the masculine sexual organ commonly served as a
tool for clever word play in Italian literature from the Decameron to the Canti
carnascialeschi and enjoyed a renaissance of its own in sixteenth-century comic
prose, poetry, letters, and everyday language.2 The early modern dietary corpus
reinforced the religious association between eating meat, gluttony, and lust.
All nutritious food, in particular meat, created more blood than needed by the
body; therefore the surplus translated into an extra production of sperm, which
in turn fueled the sex drive.3 A traditional view of the link between gluttony
and lust holds that biblical accounts of the Fall considered gluttony the
opening door to lust, although the Garden of Eden’s transgression consisted in
eating the forbidden fruit, a fig or an apple according to different versions,
and not eating immoderately. Many medieval theologians and then Pope Gregory
the Great, a medieval doctor of the Church, defined gluttony mainly as a desire
to stimulate the palate with delicacies, while also exceeding what was
considered necessary for basic nourishment and health.4 But then he drew a more
precise connection between the two sins and differentorgans of the body: “when
the first (stomach) fills up excessively, inevitably, the other are also
excited to sin.”5 Gluttony excites the senses and therefore can carry the
sinner to sins of the f lesh. In Dante’s Inferno, and following Aristotle’s
Nicomachean Ethics, incontinence (of desire) was the link between gluttony and
lust. Paolo and Francesca in Canto V are among the “peccator carnali, / che la
ragion sommettono al talento” [Inf. 5.38–39]). Although for Dante gluttony was
a sin worse than lust, the common vision at his time was that eating
immoderately and lusting were both sins of carne, the f lesh.6 If early theologians’
readings discussed gluttony without referring to a particular food, it was meat
that later became the preferred target of moralists and came to be associated
with ideas of lasciviousness and lust. Traditionally, animals such as the boar,
pig, wolf, and/or ape in late medieval and early Renaissance visual and
prescriptive sources represented luxuria7 and gluttony, as inextricably and
negatively bonded together.8 Sixteenth-century prints, paintings, broadsheets,
and emblem books kept those associations alive in society and culture even as
the associations between those animals and gluttony or voracity often surpassed
their association with luxuria.9 Sins of the f lesh were often symbolized as
sins of carne in the sense of meat.10 But before delving into the imaginative
perceptions and symbolism attributed to meat-eating it is advisable to recall
brief ly what the lived practice and experience of consuming meat in medieval
and Renaissance Italy involved. Symbol of power and violence, masculinity and
aggressive sexuality, luxury and abundance, meat was often associated with the
aristocracy and its lifestyle.11 As Massimo Montanari and Alberto Capatti have
shown, in the Middle Ages the noble table first saw a triumph of big game
gained through hunting but later the preference was directed more toward
smaller game such as pheasants, quails, and/or farmed animals, like geese and
capons. The new court nobility of the twelfth century no longer identified with
the warriors’ taste for big, bloody game.12 Gross and nutritious meat was now
left to peasants, usually in the form of pork. City dwellers also enjoyed the
meat of the pig in the form of sausages but strove to differentiate themselves
from the rural inhabitants by buying and eating veal, beef, and small birds.
Although Fernand Braudel famously called “carnivore” the period in Europe
between 1350 and 1550,13 Italians of the period had other food resources and
could not, and often did not care to eat meat every day. Nonetheless, eating
meat, and especially good meat, remained an indicator of social elevation and
offered the promise of good health. The preference of the new court nobility
for small birds and farmed animals received the approval of contemporary
doctors, who exalted birds as a source of exceptional nutritional value, with
the caveat that it was best suited to an aristocratic diet.14 It was not just
the symbolic and nutritional value that was considered important; in dietetic
tracts partridges and quails excelled also for their delicate taste and their
lightness. But not all agreed. Vatican librarian and gastronome Platina
(1421–81) was more open to the pleasures of eating a much wider range of meats,
demonstrating more catholic tastes. His De Honesta Voluptate et
Valetudine(first Italian edition 1487) is full of numerous recipes that
included poultry, organ meats, fowl, pork, and sausages. Still much like many
doctors, cooks, and courts stewards, he agreed that meat in general was a food
healthier than others and had an elevated nutritional value.15 The reputation
of meat as a primary source of nourishment and good health continued in the
sixteenth century, and was particularly strong among surgeons, medical
practitioners, and professors of “secrets.” A Spanish “surgeon and empirical
doctor”16 who lived in Rome, Giovan Battista Zapata (ca. 1520–86), claimed that
all meat products sustained good health, as long as they were roasted with a
rosemary oil and a mixture of other herbs and spices, and were accompanied by
good wine.17 Zefiriele Tommaso Bovio (1521–1609)—a Veronese nobleman and lawyer
who later became a medical practitioner—wrote a treatise at the end of the
sixteenth century against the “medici rationali ” who wanted to impose a strict
meatless diet on sick people. He claimed that doctors knew that eating good
meat and drinking wine had the power to restore health but kept the secret to
themselves for fear of losing fees from patients who recovered from illness and
stayed healthy eating meat.18 The nutritional value of meat was thought to rest
on the idea that meat could transform into the substance, the very carne, of
the human body. The steward Domenico Romoli affirmed in his cooking manual that
those who invented the eating of meat did it both for taste but especially for
health reasons: they knew that “more than any other food, it is meat (carne)
that makes f lesh (carne).”19 In his view eating meat meant literally giving
nutriment to human f lesh.20 Renouncing meat, however, was a crucial
requirement for early Christian hermits and monks. It represented unequivocally
the mortification of the f lesh and contempt for the body, although numerous
sources show that meat-eating in many monasteries was fairly normal. In
general, the suspicion of meat running through Christian texts in the period appeared
to be based on an association of the eating of meat with fears of the f lesh
and sexual incontinence. San Bernardino’s preaching in the fifteenth century
aggressively linked meat consumption with unruly sexuality and was particularly
severe on policing widows and youths’ eating practices. He represented the
extreme side of a widespread religious censure of culinary pleasures and the
sense of taste, emphasizing the presumed dangers of uniting desire for meat and
unruly sexuality.21 Outside of the monastic world, religious proscriptions on
food dictated that for periods of fasting, such as Lent, abstinence from animal
f lesh, meat, poultry, and eggs, was mandatory to mortify the body and its
appetites. And Lent was not just the forty days that followed Carnival; every
Friday and many vigils during the year were Lenten days when meat was
proscribed as well.22 How much weight did this religious censure or the
ideology of the ascetic abstention from eating meat actually have? Apparently
not much in everyday life or culture. The desire for meat, originally condemned
as gluttony and a carnal practice that took one away from the life of the
spirit, was often identified in theliterary imagination with positive
expressions of sexual desire. The longstanding Christian prohibition against
eating meat associated gluttony and illicit sexuality, and the Galenic dietary
theory reinforced this, claiming that the body of the meat eater would have a
surplus of blood and thus an increased sex drive. Literary sources valorized the
gastronomic desirability and sexual powers promised by eating meat. Slowly but
surely the sexual/alimentary play on carne as food and f lesh, positively
portrayed in imaginative literature and culture of the sixteenth century,
battled successfully against earlier moralistic discourses insisting on
restraint of the body and its instincts.23 The emerging cultural war of the
period opposed a disciplining view of the body and posited the increasing
importance of pleasure and taste in both life and literature, with the
enjoyment of meat, carne and f lesh, at their very center.Appetite for meat in
literature Returning to the courtly taste for birds in the Renaissance, the
link between eating birds and the lustful consequences that followed was
visible in literary texts, fresco cycles, and dietary discourses, albeit with
different meanings. While Dantesque Inferno punishment scenes in late medieval
Italian dietary treatises and church fresco cycles dwelt on the negative
consequences of eating birds or eating too much meat, literary texts presented
a competing discourse. Giovanni Boccaccio’s Decameron, novelle collections such
as those by Niccolò Sacchetti (ca. 1332–1400), Giovanni Sercambi (1348–1424),
Anton Francesco Grazzini (1503– 84), and Niccolò Bandello (1485–1561), and many
satirical and licentious poems, all exploited the phallic meat metaphor to
elicit laughter as well as sexually allusive word-play.24 Boccaccio made clear
in his Conclusione to the Decameron that the obscene language he had used came
from everyday usage and included words from the culinary world: It is not more
shameful that I have written words that men and women spell out continuously
such as hole, peg, mortar, pestle, sausage, and mortadello. Dico che più non si
dee a me esser disdetto d’averle scritte che generalmente si disdica agli
uomini e alle donne di dir tutto dì foro e caviglia e mortaio e pestello e
salsiccia e mortadello. Many contemporary tales depict adulterous lovers or
lovers-to-be enjoying meals with game, fowl, and poultry in preparation for the
carnal pleasures to come. The “carne” metaphor to designate the male member had
a notable literary tradition. Giovanni Sercambi’s Novelliere (written ca.
1390–1402) presents many instances of the metaphorical/sexual use of the word
carne, in some cases distinguishing between “raw” and “cooked” meat to indicate
the male sexual organ and actual meat.25 In the novella “Frate Puccio e Madonna
Alisandra,” Pseudo-Sermini26 plays on the double meanings of food and sex and
the pleasureof tasting the meat and its f lavor.27 The metaphor of “fresh meat”
to indicate the male sexual organ continued unabated in the sixteenth century
as seen in a laughing novella by the Sienese Pietro Fortini (ca. 1500–ca. 1562)
where a lusty friar offers a pound of “carne fresca” for free to a young woman
with the excuse that religion does not let him enjoy meat that day. The novella
naturally ends with the friar being beaten by the woman’s husband and with the
laughter of the brigata listening to the story.28 The offer of an attractive
bird for a meal often opened the way to a carnal relationship. In one
sixteenth-century novella by Grazzini, the priest Agostino, enamored of his
parishioner Bartolomea, decided to entice her with the offer of a large and
plump duck. Bartolomea, who was a woman of “easy taste” (buona cucina), let him
inside her house and made love to him with the hope of gaining the duck. But
the early return of her husband allowed the priest to escape with his duck,
leaving her literally empty handed. Agostino bragged cleverly that she would
never find another duck, or another member, so large and plump. But, as often
happens in Italian novelle, women were cleverer than their lovers. Bartolomea
was no exception; when Agostino came back with a duck and two capons to make
peace and love again, she got her revenge. With the help of her husband she
beat him and sent him away barely able to walk, keeping the birds to enjoy with
her husband.29 In this novella, birds carried out their multiple roles: they
were an enticing and valued meat, able to stimulate the senses at many levels
but also able to transform gluttony and lust into laughter and pleasure. In
sixteenth-century comedies, birds such as partridges and pheasants could serve
as domestic aphrodisiacs, for both old men and young. In Donato Giannotti’s
comedy Il vecchio amoroso (written ca. 1533–36), old Teodoro, in love with the
young female slave his son has brought home from Sicily, organizes a banquet
where the food includes delicacies like fat capons, birds (starne), and
pigeons, served with wine and sweets, in order to prepare him for the rigors of
lovemaking.30 The meat of birds was believed to arouse lust because it was seen
as hot and moist; for this reason Messer Nicomaco, in the comedy Clizia, plans
to eat a half bloody pigeon before his night of love with the young Clizia.
Perhaps because of this popular belief, or perhaps because it was the most
prized and elegant type of meat, Pietro Aretino, in one of his letters from
Venice in 1547, invites the painter Titian to a dinner at his house with a
famous courtesan, Angela Zaffetta, promising that the main dish to be served
would be roasted pheasants.31 Adulterous lovers with their lascivious dinners
were the protagonists of a great number of plays and novella. Some specific
language used in sixteenthcentury poetry, dialogues, and comedies also
suggested that the desire for meat was closely connected to the practice of
sodomy.32 A type of meat that was used euphemistically to signify sodomy, either
with men or women, was the young male goat or “capretto.” Pietro Aretino in his
Ragionamento (1534) used the masculine gender and the diminutive form of
“capretto” to indicate the act of sodomy with a nun, in obvious contrast with
the word “capra,” the adult goat used to refer to vaginal sex. In describing a
moment at an orgy in a convent, Aretino exploited the culinary metaphor of meat
to its fullest: Tired, at the first morsel of the goat he asked for the young
goat . . . I tell [you] that as soon as he got it, he stuck inside
the meat knife and madly enjoyed seeing it in and out . . . stucco al
primo boccone della capra, dimandò il capretto [. . .] dico che
ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne, godea
come un pazzo del vederlo entrare e uscire. (Emphasis mine) 33 Matteo Bandello
similarly narrates a tale about Niccolò Porcellio, humanist, poet, and
historian at the court of Francesco Sforza in Milan, and well known for his
notorious passion for young boys. Bandello expresses Porcellio’s desire with
the culinary euphemism: he loved “la carne del capretto molto più che altro
cibo” (he always preferred the meat of the young male goat much more than any
other food). In his final confession, he justified his vice as the most natural
thing in the world because it corresponded to his natural taste, and it was a
“buon boccone”: Oh, oh, Reverend Father, you did not know how to interrogate
me. Playing with young boys is for me more natural than eating or drinking to a
man . . . go away as you do not know what a good morsel is
. . . oh, oh padre reverend, voi non mi sapeste interrogare. Il
trastullarmi con i fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar a il ber
a l’uomo . . . andate andate che voi non sapete che cosa sia un buon
boccone.34 Porcellio insisted that his sexual behavior—the preference for young
male goat meat—was as natural as it was natural to eat and drink for humans.
His narrator Bandello explained first that Porcellio was forced to marry by the
Duke in order to soften the opinion people had of him as someone who always
preferred “the meat of young goat.”35 The food metaphor, so widely employed in
the novella, was indeed perfect to address his sexual desire as a manifestation
of taste, which can vary according to different people. Contemporary literature
of the Land of Cockaigne included fantastic maps of Cuccagna [Cockaigne in
Italy] where meat, in all of its incarnations, for rich and for poor, was
center stage, while the theatrical Battaglia fra Quaresima e Carnevale
regularly ended with the victory of Carnival and meat eating.36 The carne of
the lascivious goat and luxurious hot birds were generally enjoyed by the rich.
Yet it was the meat of the more humble pig, in the form of sausages that became
dominant in sixteenth-century literature as a food easily conducive to sexual
play, gastronomical delights, and a festive world.The triumph of the sausage
The Allegory of Autumn by Niccolò Frangipane, a follower of Titian, is a
remarkable painting displaying a lascivious satyr who sticks one finger into a
split melon and with his other hand grabs a sausage on top of a table full of
other autumn produce. In the cultural imaginary and in the common understanding
of the period, that sausage in hand proclaimed with a perverse smile that it
was known as a type of meat that promised and was well suited for indulgence,
alimentary and sexual.37 The metaphorical use of the term “salsiccia” was not
new. Many tales in Sercambi’s Novelliere, fifteenth-century carnival songs, and
humorous and popular print allegories of Carnival used the same metaphor
associating the consumption of meat/sausages with the pleasures of the senses,
especially sexual pleasures. In one novella by Sercambi, a libidinous widow
living with her brother, who had not arranged for her to marry again, realizes
that there is a similarity between the sausages her brother brought home and
the instrument with which her dead husband had made her happy. She decides to
satisfy “the need she had of a man” using those sausages as an instrument of
pleasure and consumes them little by little until discovered by her brother. 38
A popular sixteenth-century print studied by Sara Matthews-Grieco shows an old
lower-class woman selling a sausage during Carnival, just before the time of
Lent, when both meat and sexual intercourse will have to be forgotten. While
Sercambi’s humorous novella does not attack the widow, who is described as
young and naturally deprived of sexual pleasure, the prints and grotesque
portraits studied by Matthews-Grieco, more often cruelly satirize old
lower-class women desirous of sausages. 39 Pork occupied a particular cultural
space in the realm of meat of the time. Far from high-class birds, or
middle-class poultry and veal, the pork sausage was the food of the poor, the
peasant, or at best, the uneducated.40 Sausages, particularly pork sausages,
were a food appealing to taste but otherwise problematic as gross, humid, full
of fat, and unsuited to a delicate stomach—or so claimed several early modern
doctors and apothecaries. Humoral physiology dictated that the f lesh of a hot
and humid animal would be beneficial only to a person with a cold temperament
who needed to adjust his/her complexion: people with predominantly moist/hot
humors should therefore avoid pork.41 Practice was, however, more complex. Some
doctors associated with the Galenic revival of the fifteenth and sixteenth
centuries promoted the meat of pig as nutritious and easy to digest, although
more suited to physical workers. In fact, for all the undesirable
characteristics noted, the idea that pork was nourishing and healthful enjoyed
wide circulation in dietaries and medical treatises. From there, it was added
as a significant qualifier to the traditionally unfavorable descriptions of
pigs, and ultimately found its way into comic and burlesque literature, where
it merged with the well-established carnivalesque passion for fat meat and
gastronomical excess. The Galenic revival maintained descriptionsof pork as
gross and humid, but gave more positive press by affirming that it was a
nutritious meat. Indeed, despite these warring visions, the sausage and pork
continued to win their battles in both literature and life.42 Even with their
negative medical and social reputation, sausages had had their partisans in the
gastronomical world for at least two centuries. Platina provided a general and
expected warning against the meat of pork at the beginning of Book VI (“you
will find pork not healthful whatever way you cook it”) but then offered three
recipes for sausages, all derived from maestro Martino: pork liver sausages,
blood sausages, and the range of sausages known as the Lucanica.43 Platina was
more interested in showing how to cook and smoke the meat of pork than in
talking about social suitability. He included an elaborate recipe for roast
piglet stuffed with a mixture of herbs, garlic, cheese, and ground pepper,
beaten eggs, slowly cooked over a grill. At the end of this tempting recipe, he
added the usual medical advice: “The roast piglet is of poor and little
nourishment, digests slowly, and harms the stomach, head, eyes, and liver.”44
While the roast piglet was ostensibly not a fare suitable for higher classes,
Platina’s detailed recipe and the ingredients used meant that the medical
proscriptions against pork were losing ground to the culinary practices of
courts and an emerging gastronomical culture. In a similar way, Marsilio
Ficino, who considered pork a meat more suitable to laborers who already had
pig-like physical features, admitted that dressing pork with expensive and
luxurious spices could transform it into a valuable food.45 Significantly, in
this vein, a testimony by Cristofaro da Messisbugo (late
fifteenth-century–1548), steward at the court of the Este in Ferrara, showed
how dressing up pork and sausages elevated such meat above its common status as
a food prescribed for rustic people. Messisbugo’s cookbook, Banchetti,
composizioni di vivande et apparecchio generale (published in 1549), exalted
the famous “salama da sugo,” still today a renowned Ferrarese specialty. In his
recipe he explained how the less noble parts of pork were mixed together with
expensive spices such as cloves, nutmeg, and cinnamon to create a dish that the
Este family appreciated. Apparently, the salama was served especially at
wedding banquets because of the reputed aphrodisiacal quality of its spicy
sauce.46 Sex, pleasure, and taste were clearly winning battles for the
once-humble sausage. The salsiccia, fresh or cured, also took center stage
among a group of bawdy poems on fruit, vegetables, and other humble foods,
authored by three of the most representative poets writing in the bernesque
style, Anton Francesco Grazzini, Agnolo Firenzuola (1493–1543), and Mattio
Franzesi (ca. 1500–ca. 1555). Firenzuola composed a canzone, and Grazzini and
Franzesi capitoli, praising pork sausage for its alimentary and sexual
properties, and demonstrating its social primacy over “superior” foods such as
pheasants and capons. And, as if in a philosophical debate, these poems regularly
elicited long, scholarly, and often obscene prose comments. The erotic
allusions of their verses were clearly associated with the consumption of meat
during Carnival, suggesting both the literal consumption of carne as meat and
of carne as f lesh of a more sexual variety.47 As we have alreadyseen, pig meat
had a mixed reputation because it was considered dangerous on one hand and
nutritious on the other. Imaginative literature built upon medical and
gastronomical culture to produce a more complex vision that allowed
considerable room for ambiguity and ambivalence. Pork never entirely lost its
reputation for promoting debased gluttony and pig-like manners, but it also
gained a more positive reputation as a pleasurable food suitable for both
peasants and upper classes to enjoy, as these poems demonstrate.48 The “Canzone
del Firenzuola in lode della salsiccia,” written between 1534 and 1538 by the
Florentine poet and dramatist,49 boasts of the primacy of his writing on the
sausage and plays on the double erotic sense: “Since no fanciful poet / has
dared yet / to fill his gorge with the sausage” (“poi ch’alcun capriccioso /
anchor non è stato oso / de la salsiccia empirsi mai la gola”).50 He concludes
with an invocation to the canzone itself to go and tell the poets’ friends in
Florence the secrets of this most perfect food.51 Probably written in Rome
while he was a member of the academy known as the Virtuosi52 and followed by an
ironic prose commentary signed by a mysterious Grappa,53 the poem recognizes
its affiliation with the bernesque poets. Yet it humorously affirms that they
deserved an herb crown on their head because they lauded the oven, figs, and
“boiled chestnuts” but not the sausage, “the most perfect food.”54 Firenzuola
presented the pork sausage produced in Bologna as a food worthy of poets but
good also for rich priests and lords, learned men, and beautiful women. He
argued that it had a better reputation than the highest priced meat of the
time, veal. The poem blended sexual innuendos and gastronomical discussion in
its overtly simple description of how to make the sausage. And following the
bernesque tradition, it mocked doctors’ recommendations about when to eat
certain foods and reassured readers that the sausage “is good roasted and
boiled, for lunch or for dinner, before or after the meal”; all these
prepositions suggested different parts of the body and different types of
sexual intercourse.55 Firenzuola then adds what he labels a “beautiful secret”:
never use the sausage during the hot months of summer but wait until August has
passed. According to Aristotelian physiology, men who are already by nature hot
and dry are less potent in the summer when the excessive heat of the season
takes away their sexual force.56 Nonetheless, he argues that even old men who
have lost their heat can be young again thanks to the mighty sausage.57
Finally, and appropriately, for his reportedly polymorphous tastes, Firenzuola
concluded that one could make sausages with “every type of meat,” referring to
all possible sexual practices.58 The sausage’s morphology, then, links it to
the male member and to its features that could be seen both as gastronomic and
sexual: Sausages were ordered from above / to amuse those who were born into
the world / with that grease that often drips from them; and when they are
cooked and swelled / you can serve them in the round dish, although a few today
want them with the split bread. Fur le salsiccia ab aeterno ordinate / per
trastullar chi ne veniva al mondo / con quell’unto che cola da lor spesso; et
quando elle son cotte e rigonfiate, le si mettono in tavola nel tondo. / Altri
son, che le vogliono nel pan fesso, / ma rari il fanno adesso; / che il tondo
inver riesce più pulito, / né come il pan, succia l’untume tutto.59 When a
sausage is cooked and ready to serve, Firenzuola advised, it would be best to
display it on the table “nel tondo” (the round dish and, metaphorically, the
bottom) although others preferred it served with the “pan fesso” (split bread
or, metaphorically again, a woman’s genitals). But there are few who prefer the
latter today, Firenzuola added. As a Florentine, he prefers the domestic
Florentine sausage, large and firm, red and natural, and encased in clean skin.
The metaphors roasted or boiled and the adjectives “tondo” and “ fesso” (round
and split/foolish), refer to sodomitical and heterosexual encounters, while
also alluding to different gastronomical appetites. The poem concludes in an
ecumenical and procreative tone, affirming that the creation of sausages was intended
to give pleasure and utility to everyone, but in the end the good sausages
would always be the reason why men and women were born into this world.60
Firenzuola’s poem affirms that while the sausage is for everybody and every
taste, gustatory and sexual, when served “after” and roasted it is good only
for upper classes. Like other bernesque poets, he seems eager to assign a
higher social status to this “popular” (and economic) food. In fact, usually it
was roasted fowl and roasted meat that was theoretically reserved for upper
classes. Since he is suggesting sodomy with the reference to roasted meat, that
sexual practice is seen as the nobler activity, although forbidden. Elevating a
lower-class food to a higher status was the perfect metaphor for speaking in
favor of sodomy and introducing social values along with the sexual. What
function did this type of poetic imagery serve in a period when sodomy was a
crime and even the depiction of non-sodomitical sexual acts in an artistic work
such as I Modi proved to be so controversial? It seems likely that images had
more power to move viewers than writings, but in an era of printing
reproduction, cheap copies of poetry, like the one produced in the Vignaiuoli
and Virtuosi circle, could circulate outside an intended audience of
intellectuals and fellow poets. It is therefore difficult to assess the impact
of these texts, but the humor and the metaphorical language dedicated to meat,
vegetables, and fruits may have helped allay the anxiety among authorities, both
religious and civic, about the diffusion and circulation of writings exalting
sodomy.61 The long Capitolo in lode della salsiccia by Anton Francesco
Grazzini, which is followed by an erudite and playful prose commentary by the
same author, extolled the sausage mainly from a gastronomical point of view,
humorously contrasting its attractions with moralizing medical lore, and
interweaving it once again with sexual innuendos.62 Presenting himself as a
knowledgeable gastronome, Grazzini also praised the primacy of the Florentine
sausage, superior to capons, partridges, and all the meat of birds, as well as
to highly prized fish such as lampreys and eels.63 After defining it as a meal
worthy of poets and emperors, and begging Greece and Rome to recognize the
superiority of the sausage made in Florence, Grazzini once again lauded its
colors and its appearance. In addition, much like the cookbooks of his day, he
listed its ingredients: well-ground lean meat and fat from the pig, salt and
pepper, cloves, cinnamon, oranges, and fennel, all stuffed in a case of animal
intestines.64 However, he clarified that his intent was not to explain how to
make it but to laud the sausage’s beauty, taste, and goodness. And citing the
process of stuffing, “imbudellar la carne,” Grazzini took the opportunity to
shift the poem from the culinary to the sexual. He saluted women who always
wanted to have their body full of sausages because they are good and
healthy—another battle won in the same sausage wars.65 The prose Comento sopra
il Capitolo della salsiccia di maestro Niccodemo dalla Pietra al Migliaio, also
authored by Grazzini, makes clear that although women love the sausage, the
double sense is again a reference to sodomy. The “buona carne,” well done, well
cut, and making a good show when displayed in the round dish, once again is a
pretext to laud the male bottom. Furthermore, the view of the tagliere wins
over all the other poetic images (including those taken from fragments of
Petrarch’s poems) such as eyes, hair, breasts, or feet of Beatrice and Laura.66
A long section of the Comento on the gastronomical virtues of pork begins with
a verse from a sonnet by Petrarch dedicated to the name of Laura: “O d’ogni
riverentia et d’honor degna.” In this line he humorously shifts abruptly from
Petrarch’s words honoring his beloved Laura to the more mundane culinary and
sexual wonders of pork, the only meal worthy of poets and emperors.67 Even
Petrarch’s untouchable Laura takes her blows in the sausage wars. Throughout
the long prose comment on his own poem on the pork sausage, Grazzini attacked
Petrarchan poetry and current medical lore regarding sausages and pork’s meat.
The playful observations on the ability of the sausage to heal every
illness—while maintaining a sexual overtone—reads like a learned medical
prescription listing several herbs and substances used by apothecaries to
prepare their confetti, pills, and tonic drinks.68 Yet Grazzini also made the
straightforward culinary point that Florentine pork and lard, key ingredients in
their sausages, were exceptionally good for roasting and frying as well as the
essential ingredient for making the popular bread with lard called pan unto.
The attraction to lard, the white fat of pork, was echoed in a poem by the
author and translator Lodovico Dolce (1508–68), “Salva la verità, fra i
decinove,”69 dedicated to a gift of wild boar he had received from a friend.
This wild pork is defined as “a magnificent and regal gift” whose rich fatty f
lavor “will make Abstinence die of gluttony and Carnival lick his fingers.” 70
His enthusiasm for lard in the poem leads to a dream where Dolce witnessed
himself, in an Ovidian fashion, metamorphosed into a succulent sausage, rich
with fat dripping from the extremities of his body.71 Dolce gave the transference
theory of Renaissance doctors a positive spin, since eating pork actually
transformed him if not into the animal itself, into its gastronomical essence
and pleasure. Accordingly, his poem exploited the common ideaof closeness and
fratellanza between pigs and humans in an iconic and paradoxical way that
privileged the sausage.72 The third poem on sausages was written by Mattio
Franzesi who dedicated it to a certain “Caino spenditore,” a friend presumably
in charge of food provisioning in Florence.73 Franzesi employs the language of
gastronomy in an amusing pairing with quotidian language referring to sodomy.
The sausage is called “buon boccon” (excellent morsel) and “boccon sì ghiotto
and divino” when it is paired again with the beloved specialty panunto,
declared superior to two famous upper-class foods, the impepato and marzipan.74
Franzesi, like Dolce, describes the panunto or slices of bread with sausage
inside as a divine and gluttonous morsel, definitely superior to luxury foods
like the beccafico, a fat and fresh songbird.75 Moreover, the salsiccia does
not cost much and can be used in many different ways to sustain a meal: it can
substitute for a salad (i.e., a woman)76 and priests in particular use it often
because they do not need to cook it but can just warm it up between their
hands. All the affirmations in Franzesi’s poem can be read in a double sense,
as gastronomical discussion or as a metaphorical way of talking about the
phallussausage and its pleasures. He refers with technical precision to the
gastronomical side of sausages, even when metaphorically discussing sexual
acts.77 The sausage is better than prosciutto (both come from pork), when
boiled (used with women), and is a good meal for sauces and “guazzetti ”
(sauces). Moreover, all the birds in the world would be like truff les without
pepper and confetti without sugar, if not accompanied by sausages. A meal with
sausages is a meal for taste and pleasure, not a meal for nourishment. Franzesi
then describes its shape, and how to make a good-tasting, good-smelling
sausage, using spices, herbs, and the unique ingredient for Florentine
sausages, fennel. The poem ends with a list comparing the sausage in the
panunto as equal to Florentine gastronomical specialties, such as the
ravigiuolo cheese with grape, cheese with pears, old wine with stale bread, and
others. Exalting a humble subject fitted well with the agenda of the bernesque
poetry that lauded simple foodstuffs and everyday objects. But privileging
sausages over songbirds was clearly not just a rhetorical ploy because it
implied a comparison between a food for rustic people and a luxury food.
Franzesi, like Grazzini before him, contributed in his poem to elevating the
social status of the pork sausage. It was not simply a food “da tinello,” for
poor courtiers used to eating the leftovers of their lord, but a meal worthy of
rich people and important prelates.78 In sum, poets, novellieri, and dramatists
from the fourteenth to the sixteenth centuries took full advantage of the
possibilities offered by the different meaning inherent in the word carne. It
allowed them to discuss virility, sexual potency, masculinity, and sodomy under
the guise of the gastronomical discourse. The sausage poems fit well with the
constant preoccupation and advice of medical and dietary literature of the time
on how to ensure sexual potency. The novelle discussed sexuality between men
and women, endorsing a decisively masculine and traditional view that depicted
women as lusty and desirous of raw carne,which is able to heal every illness
and satisfy every need. The poems on sausages confirm this hierarchical vision
of sexuality dominated by the mighty phallus. Yet they also endorse a concept
of diverse gastronomical taste, lesso and arrosto, nel tondo or nel fesso, to
offer a variety of views of sexuality that responded to every gusto. These
poems on sausages were written in the cultural circle of the Vignaiuoli and
Virtuosi academies, well known in the period for their substantial corpus of
poetry dedicated to the comparison of fruit and vegetables to sexual organs and
sexual acts. The not-so-covert sexual sense of most of those poems exalted
sodomy, in their praise of peaches or carrots, or sexuality with women in poems
on salads and figs. Poems on the mighty sausage covered all the bases of
sexuality, although with a preference, often openly stated, for male–male
sexuality. Intriguingly, the poetic and linguistic play on carne in the form of
sausage allowed lengthy descriptions of an Italian and Florentine gastronomic
specialty of the time, totally ignoring the negative vision of pigs as
gluttonous, dirty animals presented by dietary literature. Since gluttony was
the quintessential behavior represented by pigs, what better way to reclaim
pork in the sausage wars than to use it to symbolize gastronomical richness and
sexual variety? If sins of the f lesh were often symbolized as sins of carne in
medieval times, now in a perfect reversal the pleasures of the f lesh were
symbolized by the pleasures of eating meat in all of its variety, thanks in
part to these sausage wars. Thus, while a moral and disciplinary vision tried
to control the discourse on food and eating in medical and dietetic treatises
of the sixteenth century, a counter-argument advanced playfully in literature
and bernesque poetry presented carne as a metaphor for the pleasures of the
senses.79 The conceptual pairing of gluttony and lust in medieval tradition
began to lose ground to a much more complex world of food, taste, and pleasure,
and the no longer quite so humble sausage led the way.Notes I would like to
thank Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra for inviting me to contribute to
this volume in honor of Konrad Eisenbichler, a friend and scholar who always
supported my work and my career. The research and writing of this essay took
place when I was a fellow at the Institute for Historical Studies at the
University of Texas, Austin, in 2016–17. Some of the topics of this essay were
discussed at events at the University of Toronto in 2015 and University of
Melbourne in 2012. Belated thanks to Konrad Eisenbichler and Catherine Kovesi.
This essay is part of my forthcoming book Food Culture and the Literary
Imagination in Renaissance Italy. 1 Girolamo Parabosco, La fantesca, quoted in
Giannetti, Lelia’s Kiss, 143. 2 The popularity and frequency of the word carne
to indicate the male sexual organ was matched in Renaissance literature and
culture by the use of bird terminology to indicate the virile member as well
as, less frequently, the female organ and sexual intercourse. Allen Grieco has
recently catalogued and analyzed the numerous references to birds in imagery
and literary sources and has studied birds and fowl as food to understand the
connection between eating birds and fowl, and sexuality. He has uncovered the
widely shared humoral perception of birds as a “hot” food which tended to
over-stimulateThe sausage wars the senses. In this way he was able to give a
deeper explanation of the theological link between gluttony and lust typical of
the period, pointing out the reason why, in common perception, the consumption
of luxurious and heating food, especially birds, stimulated the sexual
function. According to the taxonomy of the Great Chain of Being, birds belonged
to air and they were hot and humid: when eaten they would transfer their
properties to the body and stimulate carnal appetite. See Grieco, “From
Roosters to Cocks.” Albala, Eating Right, 144–47. Quellier, Gola, 15–16. Cited
in Grieco, “From Roosters to Cocks,” 123. Much later, gluttony was defined as
the consumption of luxury foods, particularly birds. On Dante’s
conceptualization of sins see Barolini, Dante, chapter 4. The Latin word
“luxuria” meant extravagant/excessive desire (for power, food, sex, money,
etc.) and in the Italian form “lussuria” became the word for lust in medieval
Italy. In Inferno “lussuriosi” sinners are those who had excessive love of
others, thus diminishing their love for God. Gluttony is a sin of incontinence
like lust. In medieval bestiary and other iconographic sources especially north
of the Alps gluttony is often represented as a fat man holding a piece of meat
and a glass in his hands and riding a swine or a wolf. Quellier, Gola, 15–23.
For medieval bestiaries see chapter one in Cohen, Animals. In Italy church frescoes
represented gluttons in Hell suffering the tantalic punishment. At the end of
the sixteenth century, in the first edition of Cesare Ripa Iconologia (without
images) Gluttony (Gola) is described as “donna a sedere sopra un porco perché i
porchi sono golosi . . .” and Gourmandize (Crapula) is identified
with a “donna brutta grassa . . .” Iconologia, 111 and 54. This
helps to explain, for instance, why the famed preacher San Bernardino da Siena
in his Lenten sermons in fifteenth-century Florence condemned the desire of
Florentine young men for capons and partridges, claiming they opened the doors
to a life of sensual foods and sensual pleasure. In particular, he linked
gluttony to lust and sodomy. Bernardino da Siena, Le prediche volgari, ed. Ciro
Cannarozzi (Pistoia: Tip. A. Pacinotti, 1934), II: 45–46, quoted in Vitullo,
“Taste and Temptation,” 106. Montanari, “Peasants,” 179. Montanari and Capatti,
La cucina italiana, 76–77. Pheasants and partridges represented the ideal
components of a refined and tasty banquet, possible only for people with means.
Braudel, Capitalism, 129. “Danno ottimo nutrimento, risvegliano l’appetito,
massime a’ convalescenti e sono cordiali. Nuocono a gli infermi, e massime à
quei che hanno la febre e fanno venir tisichi i villani.” Residing on a high
position on the Great Chain of Being, they represented powerful people and,
accordingly, were sternly cautioned against for rustic people, to whom,
according to Pisanelli, they could be dangerous. Pisanelli, “De beccafichi,
Cap. xxvi” in Trattato de’ cibi, 33. Similarly, pheasants and partridges are
responsible for provoking asthma in rustic people (Cap. xxvii and xxix). In his
work, Bartolommeo Sacchi, known as Platina, paid much attention to the
idealistic principle of moderation derived from the Greek and Roman world,
along with his interest in the revival of Epicureanism. Platina, On Right
Pleasure. Eamon, Science, 163. Giovan Battista Zapata, Li maravigliosi secreti
di medecina, et chirurgia, nuovamente ritrovati per guarire ogni sorta
d’infirmità, raccolti dalla prattica dell’eccellente medico e chirurgico Giovan
Battista Zapata da Gioseppe Scientia chirurgico suo discepolo (Venice: Pietro
Deuchino, 1586; 1st ed. Rome, 1577), 37–41, quoted in Scully, “Unholy Feast,”
85. Eamon, Science, 188. Bovio, Flagello. He gives the example of a doctor
whose wife was sick and how he cured her with a diet of French soup, capon, and
wine but could not apply the same treatment to his other patients in fear of
losing business; see 45–46. “più facilmente di carne si faccia carne che di
qualunque altra sorte di cibo.” Romoli, La singolare dottrina; “Delle carni in
generale,” 205r. Domenico Romoli (n.d.) previously Laura Giannettiworked as a
cook with the name of Panunto (oiled bread) and then became steward for Pope
Julius III. For poor people and peasants in particular, pork continued to be
the meat of choice; and although it had a negative reputation, in the case of
people occupied in heavy physical work, pork was reputed nourishing and
healthful. Florentine communal statutes of 1322 prohibited innkeepers from
serving up culinary delights because they could attract men and boys and incite
them to commit the unspeakable sin of sodomy. Rocke, Forbidden Friendships,
159. During Cosimo the Elder’s regime Florentine Archbishop St. Antonino—in his
confessor’s manual—warned against sloth, excess food, and drink as causes of
sodomy. Toscan, Le Carnaval, vol. I: 190. See Giannetti Ruggiero, “The
Forbidden Fruit,” especially pages 31–33. Later in the seventeenth and
eighteenth centuries the Church allowed consumption of eggs, butter, and cheese
during famines and epidemics. See Gentilcore, Food and Health. One of the most
important representatives of this tendency was the Venetian noble Alvise
Cornaro who wrote the extremely successful Trattato della vita sobria in 1558.
In general, moralists’ writers of the later Middle Ages and early Renaissance
continued to advise against eating food that would produce excessive heating of
the body. The dietetic literature, particularly the influential earlier author
Michele Savonarola and the later Baldassar Pisanelli, supported the restriction
of birds and fowl to particular categories of people held to be more capable of
controlling the passions they induced, such as the powerful and rich or those
needier of stimulation such as the sick and the ailing. Grieco, “From Roosters
to Cocks,” 115. See novella “De Novo Ludo” (Sercambi, Novelliere) available
online at www.classicitaliani. it/sercambi_novelle_08.htm where Ancroia enjoys
her time with the priest: “la donna, come vide Tomeo fuora uscito, preso un
fiasco del buon vino, una tovagliuola, alquanti pani e della carne cotta per
Tomeo, et al prete Frastaglia se n’andò e con lui si diè tutto il giorno
piacere, pascendosi di carne cruda e carne cotta per II bocche . . .”
Apostolo Zeno in the eighteenth century attributed the author name Gentile
Sermini to the two anonymous caudexes containing the novelle. Monica Marchi in
her critical edition of the novelle prefers to use Pseudo-Sermini instead of
the conventional name Gentile Sermini. See Marchi, “Introduzione,” in
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, 10–22. The novelle were written in the first
half of the fifteenth century. “[ . . . ] non altramente fece la
valente madonna Alisandra che, agustandole molto la carne e ‘l savore, per
quello dilettevole giardino, preso insieme d’acordo giornata . . .”
Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, xi, 270. Fortini, Le giornate, I, xvi,
296–300. Grazzini (Il Lasca), Le Cene, I: vi, 80–94. Giannotti “Il vecchio
amoroso,” II: i, 40–41. On remedies for impotence, and early modern drama, see
Giannetti, “The Satyr.” “A Tiziano,” in Aretino, Lettere, 67–68. This section
is partially based on Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” 31–52. See
“Ragionamento Antonia e Nanna,” in Aretino, Sei giornate, 38. “The Roman
Porcellio Enjoys the Trick Played on the Friar in Confession,” in Bandello,
Novelle, vi: 125. See the discussion of the tale in Giannetti, Lelia’s Kiss,
181–82. Ibid., 181. On the battles between Quaresima and Carnival see
Ciappelli, Carnevale. Albala, Eating Right, 168 and 181. The painting is now in
the Museo Civico of Udine. Sercambi, “De vidua libidinosa” in “Appendice,”
Novelle inedite, 417–18. Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Several novelle,
from Boccaccio to Sacchetti, related the closeness in everyday life of pigs and
humans in rural and urban areas and the importance of pork for sustenance, but
also the negative perception of pigs and filthy and gross animals. For
instance, see Sacchetti LXX, CII, CXLVI, CCXIV. For Boccaccio see “Calandrino e
il porco.” Already in the Middle Ages, from the perspective of the Great Chain
of Being, pork and the quadrupeds occupied a questionable position—they were
not part of Air like birdsThe sausage wars nor of the Earth but somewhere in
between; and pig in particular occupied one of the lowest position among all
quadrupeds. Grieco, “Alimentazione e classi sociali,” 378–79. Pigs were
voracious animals and, according to the Galenic doctor, eating their fattening
meat would transform a person in a pig, as a later image of Gola as a woman
sitting on a pork would make really explicit. For instance, in the second half
of the sixteenth century, Baldassar Pisanelli advised eating sausages and
salami in moderation, but recognized in them some positive characteristics such
as reawakening of appetite and helping to make drinking more pleasurable.
Pisanelli, Trattato de’ cibi, c. 13. Platina, On Right Pleasure, Book VI, 281.
Ibid., 277. Ficino, Three Books on Life, Book 2, 181. See the section
“Sausages and Salami” in Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Pietro Aretino
in his comedy Il Filosofo summarizes well this new ambivalence about pork when
he had one of his characters resolutely affirm: “refined sugary confections
(the biancomangiari) and quails do not stimulate taste as do steaks and
sausages.” Pietro Aretino, Il Filosofo, III, 15. See the text in Romai,
Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 313–15. Firenzuola is also
author of the famous dialogue On the Beauty of Women. vv. 12–14. “Canzon, vanne
in Fiorenza a quei poeti,” v. 76 The Virtuosi academy was the continuation of
the Vignaiuoli academy, one of the first “academies” of sixteenth-century
Italy, an informal gathering of intellectuals that met for dinner, witty
conversations, music, and poetry in the early 1530s. Around 1535 or slightly
later, the Vignaiuoli renamed themselves Academia della Virtù and/or Reame
della Virtù and continued their activities until ca. 1540. Meetings, often held
at Carnival time, featured improvised speeches and the recitation of poems,
frequently accompanied by music. The Vignaiuoli was one of the first academies
in Italy to privilege the usage of vernacular and became most famous for the
poetic production of so-called “learned erotica,” as well as for their
anti-Petrarchan and anti-classicist poetic stance. Grappa, now identified with
Francesco Beccuti, comments on Firenzuola’s poem. See Grappa, Il Comento. On
Beccuti see Fiorini Galassi “Cicalamenti.” The allusion here is to the poem
Sopra il forno by Giovanni della Casa, De’ Fichi by Francesco Maria Molza, and
In lode delle castagne by Andrea Lori. All three are poems dedicated to the
female genitals. “Mangiasi la salsiccia innanzi et drieto / a pranso, a cena, o
vuo’ a lesso o vuo’ arrosto / arrosto et dietro è più da grandi assai; /
innanzi et lessa, a dirti un bel segreto / non l’usar mai fin che non passa
Agosto.” vv. 30–35. “Perchè in estate gli uomini sono meno capaci di fare
l’amore, le donne invece lo sono di più [. . .]? Perché gli uomini
sono più inclini a fare l’amore d’inverno, le donne in estate? Forse perché gli
uomini sono di natura più caldi e secchi [. . .]?” Aristotele,
Problemi, ed. Maria Fernanda Ferrini (Milan: Bompiani, 2000), IV, 25–28, quoted
in Pignatti, ed., Ludi Esegetici II, 200. “O vecchi benedetti! / questo è quel
cibo che vi fa tornare giovani e lieti, et spesso ancho al zinnare” vv. 58–60.
“Fassi buona salsiccia d’ogni carne: /dicon l’istorie che d’un bel
torello/dedalo salsicciaio già fece farla /e a mona Pasife diè a mangiarne?
Molti oggidí la fan con l’asinello . . .” vv. 46–50. vv. 61–65.
“Basta che i salsiccioli/cotti nei bigonciuoli, / donne, dove voi fate i
sanguinacci, / son cagion che degli uomini si facci.” vv. 72–75. On the
cultural function of humor see Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages,” 37.62 For
the text of the canzone, see Grazzini, “In lode della salsiccia,” in Romei,
Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 227–30. For Grazzini “Comento di
maestro Nicchodemo dalla Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia
del Lasca,” see ibid., 231–309. There is no secure date regarding the writing
of the Comento but it should have been written around 1539–40. See Franco
Pignatti, “Introduzione,” in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi
esegetici, 163. 63 Ibid., vv. 22–33. 64 Ibid., vv. 76–81. 65 Ibid., vv. 94–111.
66 “La bellezza del tagliere non è come forse molti credono, e non consiste in
l’esser bianco, non di buon legno, non tondo, non ben fatto, ma si bene nell’essere
pieno di buona carne ben cotta e ben trinciata; . . . tolghinsi pur
costoro i capelli di fin oro, la fronte più del ciel serena, le stellanti
ciglia . . . come dire le Laure, le Beatrici, le Cintie e le Flore!”
Grazzini, Comento di Maestro, 240–41. 67 Sonetto n. 5 of Canzoniere on the name
of Laura: “Quando io movo i sospiri a chiamar voi” 68 “Perciò che quei
traditori de’ medici la prima cosa levono il porco e non vogliono a patto
nessuno che n’habbia l’ammalato per mantenergli bene il male addosso, sendo il
porco e maggiormente la salsiccia, habile e possente a guarir d’ogni malattia e
più sana che la sena, più necessaria che la cassia, più cordiale che il
zucchero rosato, più ristorativa che il manicristo, et insomma ha più virtù che
la bettonica.” Grazzini, Comento di Maestro, 280–81. The terzina commented is
103–05: “Io crederria d’ogni gran mal guarire/ quando haver ne potessi un
rocchio intero,/ancor ch’io fussi bello e per morire.” 69 In Dolce, Capitoli.
70 “dono invero magnifico e reale,/da far morir di gola l’astinenza/e leccarsi
le dita a Carnevale.” Ibid., vv. 10–12. 71 “E chi m’avesse allora allora
punto/aria veduto uscir liquor divino/del corpo, ch’era pien di grasso e
d’unto.” Ibid., vv. 43–45. 72 Some authors trying to dignify pork, recycled
Galen’s idea expressed in De alimentorum facultatibus where he argued
troublingly that pork was pleasurable because it was similar to human’s flesh.
For instance “Le carni del Porco fra tutte le altre carni dei quadrupedi han
vittorie in nutrire e dar più forza ai corpi perché cosi nel gusto come nello
odore par che habbiano una peculiar unione e fratellanza col corpo umano si
come da alcuni si è inteso che per non sapere hanno gustato la carne
dell’huomo” [For taste as well as for odor, it seems that the meat of pork has
a peculiar unity and likeness with the human body, as some reported, who tasted
human flesh while not knowing it] in Un breve e notabile trattato del
reggimento della sanità, ridotto dalla sostanza della medicina di Roberto
Groppetio 362–63 v. The little volume is attached to La singular dottrina. It
is not clear whether it was written by Panunto himself or not. For a similar
affirmation see also: Della natura et virtù de’ cibi, 68v. Not all agreed with
this troubling similarity but it was quite a common affirmation in many medical
treatises and in some literary works of the time. 73 In Romei, Plaisance, and
Pignatti, eds., Ludi esegetici, 316–18. 74 “Qui non è osso da buttare al cane,
/ e’l suo santo panunto è altra cosa/che lo impepato overo il mrzapane,” vv.
25–27. 75 “Dicon che la midolla del panunto,/incartocciata come un cialdoncino,
/ tal che di sopra e di sotto appaia l’unto, / è un boccon sì ghiotto e sì
divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e grassellino,”
vv. 38–42. It should be noted that even the luxury food, the beccafico, had
strong sexual overtones. 76 The cultural discourses that surrounded salad in
early modern Italy and Europe were complex and rich, ranging from sexuality and
manners, to taste, gastronomy, and class identity. See Giannetti, “Renaissance
Food-Fashioning.” org/uc/item/1n97s00d.
77 “è un boccon sì ghiotto e sì divino, / che se lo provi ti parrà
migliore/ch’un beccafico fresco e grassellino,” vv. 40–43. Franzesi, “Capitolo
sopra la salsiccia,” 316–18.78 “Questo non è già pasto da tinello/ma da ricchi
signori e gran prelati / che volentieri si pascon del budello.” Ibid., vv.
79–81. 79 On the disciplining vision of the sixteenth century and a
counter-discourse in dramatic literature see Giannetti, “Of Eels and
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image10Homosexuality in art, life, and history James M. SaslowFrom his
mid-thirties, the Lombard-Sienese painter Gianantonio Bazzi (1477– 1549) was
publicly known as “Il Sodoma.” This epithet translates as “Sodom,” the biblical
city eponymous with sexual transgressions that were then both a sin and a
crime. Sodomy bracketed multiple acts, but most commonly referred to love
between men; so, his nickname might be freely rendered as “Mr. Sodomite.” Our
principal biographical source is Giorgio Vasari, whose Vita of Bazzi (1568)
recounts several revealing or scandalous episodes. A few are exaggerated or
false, skewed by Vasari’s disdain for both homosexuality and Siena. However,
his plausible explanation of how the artist earned his sobriquet is not refuted
by other evidence. Vasari describes him as a gay and licentious man, keeping
others entertained and amused with his manner of living, which was far from
creditable. . . . [S]ince he always had about him boys and beardless
youths, whom he loved more than was decent, he acquired the by-name of Sodoma.1
While sources for private feelings are scanty and often problematic for this
period, and Sodoma left little first-person testimony, this and other records
suggest a prima facie case for the artist’s erotic interest in other males. He
is unique in Renaissance Italy as the only artist whose homosexuality was
frankly avowed and widely known. His character and sexual interests offer a
provocative case study of the intersections between eros and creativity, and
how that sensibility was manifested in his imagery. His experiences further
suggest that there were overlapping audiences eager to receive and respond to
that sensibility. Sodoma exhibited other character traits also considered
eccentric or insolent, and was fond of capricious pranks; the monks at
Monteoliveto Maggiore, his first large commission, referred to him as “Il
Mattaccio,” the “crazy fool.”2 Hewas an impudent mocker of moral decorum:
Vasari reports indignantly about the nickname Sodoma that “in this name, far
from taking umbrage or offence, he used to glory, writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute with no little facility.” He
was also infamous for his f lamboyant clothing and for keeping an entire menagerie
in his home, including pet birds, monkeys, squirrels, and race horses; Vasari
called the house “Noah’s Ark.”3 He entered his horses in public contests, and
we can date his sobriquet back to a series of races in Florence from 1513 to
1515. When his steed won, the heralds asked what owner’s name to announce;
Bazzi replied, “Sodoma, Sodoma,” indicating that he was already known by that
name and willing to be associated with it. The incident also reveals the
precarious social landscape that known or suspected sodomites had to negotiate.
Thumbing his nose at a mocking public backfired: a group of outraged elders
incited a mob attack, during which he narrowly escaped being stoned to death.4
Anecdotes and documents notwithstanding, historians have long tried, for widely
differing reasons, to chip away at the foundations of a historiographical
tradition dating back to Vasari himself. For it was Vasari, unwittingly
anticipating modern queer scholarship, who first understood Sodoma as having
homosexual desires and assumed some connection between his sexuality and his
work.5 To the prudish chronicler, that connection was negative: Vasari blamed
Sodoma’s failure to achieve greatness on his excesses of character, from
laziness to carnality, scolding that if he had worked harder, “he would not
have been reduced to madness and miserable want in old age at the end of his
life, which was always eccentric and beastly.”6 Value judgment aside, the
assumption that artists’ personalities and passions are intimately imbricated with
their work runs throughout Vasari’s biographies. Modern generations, beginning
with the homophile Victorian critic-historians John Addington Symonds and
Walter Pater, acknowledged the same connection with a positive valence, reading
Sodoma’s androgynous figures and distinctive iconography as revealing glimpses
into the sensibilities of a man aware of both his own desires and the gap
separating that passion from social norms. The path they laid down guided
post-Stonewall gay studies through the early 1980s.7 More recently, postmodern
theoreticians, stressing the ever-shifting social constructions of sexuality
and identity, have countered such attempts to posit any individual sexual
identity or group homosexual consciousness, however embryonic and sporadic, in
that era. Their methodology, inspired by scholars from Michel Foucault to Eve
Sedgwick and David Halperin, dismisses such formulations as anachronistic
over-reading.8 The generational shift in goals and methods, from “gay and
lesbian studies” to “queer studies,” instigated an ongoing debate. These
theoretical polarities have implications for the present study, which aims to
excavate the embodied passions and creative process of an individual who felt
homosexual desire, and to reconstruct, to whatever extent possible, an early
moment in the gradual, fitful emergence of self-aware homosexual sensibilities
and self-expression.Although I defer consideration of this theoretical
controversy until the essay’s end, my working hypothesis parallels the nuanced
historiography of Christopher Reed, who reminds us that, although readings of
Renaissance homosexuality as similar to modern conceptions were convincingly
challenged by Foucault’s insistence that [the modern] sexual typology was not
invented until the nineteenth century, [nevertheless] no idea is without roots,
and subsequent scholarship provided evidence that convinced even Foucault to
recognize stages in the eighteenth, the seventeenth, and even the sixteenth
century leading to the invention of homosexuality as a personality type.9 As a
personality, Sodoma was among the few early modern artists who visualized
homoerotic desire. This essay investigates that process along three intertwined
axes: life, work, and historiography. His biography provides a unique
microhistory of an early avowed homosexual and his culture’s understanding of
that inclination. His works gave visual expression to his erotic sensibility,
and contemporary patrons and spectators, from pederastic monks to libertine
aristocrats, were ready to receive it sympathetically. Finally, I conclude with
a more personal historiographical meditation on the controversy over whether
embryonic homosexual consciousness can be located in early modern culture.Early
religious works Arriving in Siena as a young man, Sodoma established relations
with the Chigi family and the Benedictine order, who commissioned numerous
works, mainly on sacred themes.10 Officially, since Christianity condemned all
non-procreative sex, theological narratives offered next to no scope for
“homo-representation”; but his religious pictures nonetheless provide material
for queer readings. If a subject contained any potential for imagining or
accentuating a homoerotic subtext, Sodoma exploited it more than any artist of
his time except Michelangelo (also a lover of men), seldom missing an
opportunity to foreground male beauty or intimacy in nude or suggestively clad
bodies. Many images celebrate the boyish, androgynous type that was the most
common object of adult male desire at the time, while a few idealize the more
heroic male adult body; he often derived both figure types from classical
sculptures with a homoerotic pedigree. And many members of the audience for his
imagery, both clerical and lay, were likely to appreciate this eroticized
beauty. The first example of the interlinked sensibilities of artist and
spectators is his fresco cycle for the abbey at Monteoliveto Maggiore, outside
Siena (1505–08), depicting the life of the order’s founder, St. Benedict.11
Payment records confirm several Vasarian details about the artist, from his
early nickname, Mattaccio, to his use of apprentices ( garzoni ) and his
fondness for extravagant finery. Although the austere life of the founder of
monasticism was unpromising terrain,Sodoma found novel pretexts for inserting
numerous visual features—often rare or unique inventions—that would appeal to
the homosexual or bisexual gaze. Most striking in its novel and ironic
departure from the subject’s nominal moral is the illustration of Benedict
seeking relief from a female devil’s sexual temptation by stripping off his
clothes and f linging himself into spiny briar bushes12 (Figure 10.1). Unlike
the few earlier representations of this scene, Sodoma renders the vegetation
soft and unthreatening: rather than conveying mortification of the f lesh, he
presents in full frontal view a nude of heroic proportions, reclining
comfortably in a pose modeled on classical prototypes. The all’antica beauty of
the body displaces attention from the saint’s physical self-abnegation onto his
potential to arouse erotic desire—precisely what Benedict is trying to
suppress.13 The most personally revealing of the frescoes is the Miracle of the
Colander (Figure 10.2), in which the saint and his homespun miracle (repairing
a household sieve) are shunted to the left, leaving the central focus on the
figure of Sodoma himself, showing off his legendary wardrobe. His self-portrait
corroborates Vasari’s disdainful take on him as a fop, “caring for nothing so
earnestly as for dressing in pompous fashion, wearing doublets of brocade,
cloaks all adorned Sodoma, Abbey of Monteoliveto Maggiore, Saint Benedict Is
Tempted by a Female Devil, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i
Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Gianantonio Bazzi, called “Il
Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the Colander, fresco, 1505–8.Photo
credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource,
NY.with cloth of gold, the richest caps, necklaces, and other suchlike
fripperies only fit for clowns and charlatans.” Here, as elsewhere, Vasari
seems well informed about specific details of Sodoma’s life and work: his
comment is supported by the abbey account books, which describe a garment much
like the one Sodoma wears here, an embroidered gold cape listed among elaborate
items of apparel as a form of payment from the monks, who had received it from
a wealthy nobleman.14 The artist also surrounds himself with exotic animals,
just as Vasari noted he liked to do: birds and two pet badgers. Sodoma’s
sartorial tendencies and other biographical details connect him to a
contemporaneous homosexual demimonde in ways that Vasari himself was perhaps
unaware of, but which is well attested in social history of the period. His
clothing, fondness for androgynous youths, and writing of satirical poetry are
all behaviors then associated with sodomites as an identifiable group with its
own recognizable customs. Research by Michael Rocke, Guido Ruggiero, and others
into the prevalence of sodomy and the emergence of urban homosexual networks in
early modern Italy has revealed that they were so widespread they can scarcely
be called a “subculture.” As Rocke puts it, Bazzi’s brand of sexuality became
“an increasingly common feature of the public scene and the collective
mentality.”15 In Florence, a special sodomy court heard hundreds of
casesannually until 1502; a substantial percentage of males passed through at
some time in their lives.16 Hence “sodomy was . . . a common part of
male experience that had widespread social ramifications.” Rocke notes that
“this sexual practice was probably familiar at all levels of the social
hierarchy” and among a wide range of professions.17 Among those occupations are
the “beardless boys” whom Vasari blames for the artist’s nickname, probably his
apprentices and workshop assistants. Artists’ studios being all-male, “the
potential for homoerotic relations in such an environment was high,”18 and
intimate, sometimes sexual relations between assistants or models and their
masters are suggested by documents on artists from Donatello to Leonardo da
Vinci and Botticelli. Closer to Sodoma’s time, the bisexual sculptor Benvenuto
Cellini was taken to court by the mother of one apprentice for coercing him
sexually.19 This common social pattern gives Sodoma’s behavior wider
implications, since his actions were shared with countless other men. His
wardrobe is the clearest exemplar of those erotic implications. Helmut Puff has
documented the role of material culture in formulating and enacting sexual
subcultures, and how extravagant clothing was a marker of effeminacy and sexual
deviance. Exchange of rare and costly textiles or clothing could betoken
homosexual relationships, either as gifts for love or payment for services.20
By the mid-fifteenth century, San Bernardino da Siena’s sermons thundered
against boys’ receiving clothing and money for sex.21 Within the field of
costume studies, which asserts “the centrality of clothes as the material
establishers of identity itself,” clothing is understood as a set of
materialized symbols with social functions and meanings. As Jones and
Stallybrass have explored, clothes can either embody and reinforce submission
to normative social roles (uniforms) or, when deployed in violation of
sumptuary standards, mark the wearer as consciously rejecting those norms—as
Sodoma did by appropriating the dress of an aristocrat.22 Thus, portraying
himself in extravagant, coded finery was a subversive act of
self-identification with a marginalized minority: in Andrew Ladis’s phrase, “a
pose of arrant foppishness, as if the painter personified the very diabolical
temptations of the f lesh that he painted and lived, not excluding what was
commonly known as ‘the monastic vice’”23 —a revealing euphemism for sodomy. The
artist gives freest play to erotic signifiers in the scene of St. Benedict
welcoming two disciples, Saints Maurus and Placidus, amid the wealthy youths’
retinue and onlookers24 (Figure 10.3). While the disciples are modestly clothed
and posed, both the epicene youth on the center axis and the African groom at
right are shown da tergo, Italian for a rear view that spotlights the buttocks.
The central youth and his mirror image at far left are boyish androgynes,
embodying the predominant pattern of pederasty, in which mature men sought
stillfeminine adolescents for anal intercourse. Thus, some viewers, at least,
would have appreciated the erotic implications of the motif.25Gianantonio
Bazzi, called “Il Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts.
Maurus and Placidus, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e
le Attività Culturali/Art Resource, NY.Reinforcing this erotic interpretation,
the two youthful onlookers at center and left also sport versions of Sodoma’s
own elaborate clothing, as does the groom to the right of center. They f launt
the styles associated with homosexual seduction: tight multicolored stockings,
long hair, and extravagant fringes, hats, and colors.26 Such clothing had long
been associated with sodomites; Alainof Lille’s De planctu naturae (ca. 1160)
lamented that these men “over-feminise themselves with womanish adornments.”27
San Bernardino da Siena inveighed against parents who let their sons wear short
doublets and “stockings with a little piece in front and one in back, so that
they show a lot of f lesh for the sodomites,” resulting in such an appealing
adolescent always “having the sodomite on his tail.”28 These suggestive details
may have been projections of Sodoma’s erotic mindset, but it is highly likely
that they resonated with some of the monks who were his primary audience.
Shifting our focus from the artist, we should also examine the mental world of
his viewers. Reception theory or spectator theory asks not what did the artist
put into the work, but, rather, what did the audience take out of it? What
interests, beliefs, or habits of seeing did his audience have, and how did that
subject-position influence their reading of his messages? As Adrian Randolph
observed regarding the reception of Donatello’s homoerotic bronze David, an
artwork can function as “a receptacle for the beholder’s imaginative concerns.”
His and other studies have explored how reception of religious art was
determined by the viewers’ gender, particularly in convents, where nuns often
specified subjects relevant to their experience; these insights can be extended
to male religious and to sexuality as well as gender.29 Sodoma’s audience here
was exclusively male clergy, proverbially stereotyped as sodomitical.30
Temptations were exacerbated by the enforced closeness of clerical living
arrangements: several scenes depicting Benedict and his monks highlight their
day-to-day intimacies both emotional and physical.31 To head off such dangers,
the rules of the order specified that no brother is permitted to enter the cell
of another without permission of the abbot or a prior; if this is permitted,
they may not remain together in the cell with the door closed. And no monk may
touch another in any way . . . A light was to burn all night in the dormitory
area and latrine, presumably to prevent secret trysts under cover of
darkness.32 Such precautions were not entirely effective, as a few visual
examples attest. A near-contemporary satirical painted plate depicts a monk
pointing to a youth’s bare bottom; the caption explains, “I am a monk, I act
like a rabbit” (Figure 10.4)—then, as now, a symbol of tireless sexuality,
particularly homosexuality.33 A Flemish print depicts a 1559 event in Bruges in
which three monks were burned at the stake for “sodomitical godlessness.”34
These starkly contrasting examples dramatize the contradictory culture within
the religious world: male–male sex was acknowledged, though officially taboo
and sometimes severely punished, yet often tolerated and even laughed about.
Outside monastery walls, free from Church proscriptions, Sodoma found more
overt opportunities to celebrate such love. Majolica plate, attributed to
Master C.I., ca. 1510–20. Musée national de la Renaissance, Écouen,
France.Photo credit: ©RMN-Grand Palais/Art Resource, NY.Secular subjects Sodoma
illustrated secular subjects for private patrons and domestic settings. His
most career-boosting painting depicted the Roman heroine Lucretia, whose
suicide to preserve family honor after she was raped symbolized the ideal of married
women’s honorable chastity; gifted to Pope Leo X, it earned the artist a papal
knighthood.35 When the opportunity arose, however, as with sacred images,
hepaid unusual attention to the homoerotic elements of myth and history, which
offered explicit exemplars of male devotion and passion. And the audience for
his best-known classical project, a fresco cycle for the papal banker Agostino
Chigi, was the sophisticated, libertine Roman society who were as likely to
share his sexual interests and habits of spectatorship as were the monks at
Monteoliveto.36 In 1516–17, Chigi commissioned Sodoma to decorate the bedroom
of his villa, now called the Farnesina. The wealthy financier’s love nest,
shared with his mistress Francesca Ordeaschi, offers a revealing microcosm of
the hedonistic, tolerant atmosphere of High Renaissance Rome, where even popes
had mistresses and bastards, and humanist classical culture provided
justification for libertine bisexuality all’antica.37 Numerous rooms were
painted with erotic myths both heterosexual and homosexual.38 Given Chigi’s
personality and interests, Sodoma was a sympathetic addition to his creative
team. Although Sodoma married in 1510, his nickname was public knowledge by
1513, when he registered as “Sodoma” in a list of racehorse owners, and two
years later had the heralds call that name. After describing our artist’s
clothes, manners, and mocking spirit, including the racing incident, Vasari
reports that “in [these] things Agostino, who liked the man’s humour, found the
greatest amusement in the world.” The appreciative patron requested episodes
from the life of Alexander the Great, historically implied as bisexual.39 The
principal scene recreates a lost Greek painting of Alexander’s marriage to
Roxana, known through an ancient ekphrasis—a classicizing tribute to Chigi and
his beloved40 (Figure 10.5). The emperor proffers a marriage crown to the
princess, while putti cavort in playful eroticism. To the right stand two
idealized men: nude Hymen, god of marriage, and torch-bearing Hephaestion,
Alexander’s intimate companion and, in some accounts, lover. Both figures are
based on a well-known Greek statue, the Apollo Belvedere, depicting the most
vigorously bisexual of the gods.41 While principally a heterosexual scene, then,
the picture’s sub-theme is nude male beauty and the passion Hephaestion
represents. Sodoma’s audience was predisposed to appreciate this story’s erotic
duality. Many patrons and viewers had bisexual or homosexual desires; an
anecdote in Castiglione’s Book of the Courtier (ca. 1514) reports that “Rome
has as many sodomites as the meadows have lambs.” The erotic tone among these
clerics, aristocrats, artists, and writers was light-hearted; while sodomy was
outlawed, enforcement was spotty and penalties light.42 Eyewitness testimony
for “queer visuality” at the Farnesina comes from raunchy bisexual author
Pietro Aretino, who spent time there while Sodoma was painting. Aretino
recorded an ancient statue of a satyr chasing a boy, an explicit complement to
the loftier male love in Sodoma’s fresco. He wrote to Sodoma twenty-five years
later, expressing nostalgia for their shared youth, and wishing that “we were
embracing each other now with that warm feeling of love with which we used to
embrace when we were enjoying Agostino Chigi’s home so much.”43 One glimpses
the atmosphere of an affectionately demonstrative, pansexual pleasure-palace.
Like the life it looked out upon, Sodoma’s picture is a mélange of sexualities,
with intimacy between men given “equal time.”FIGURE 10.5 Sodoma, The Marriage
of Alexander and Roxana, Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19.Photo credit:
Scala/Art Resource, NY.Further evidence for the casual attitude toward
homosexuality—Sodoma’s in particular—is a set of epigrammatic couplets published
in 1517 by Eurialo d’Ascoli, a poet in the circles around Chigi, Aretino, and
Leo X, bluntly informing his readers that “Sodoma is a pederast.” The poem
celebrates Sodoma’s painting of Lucretia, which earned his knighthood; only the
final verses turn comic. Having praised the artist for verisimilitude that
brings Lucretia back from the dead, Eurialo imagines her interpreting this
miracle as an opportunity to convert the artist sexually. The narrator then
asks her his own facetious question, implying that as a sodomite the artist
would not normally be inspired by female subjects: Now beautiful Venus grants
me the nourishment of light breezes [i.e., earthly life], So that I can reclaim
you, Sodoma, from tender youths. Sodoma is a pederast; why then, Lucretia, did
he make you So lifelike? He has our buttocks instead of Ganymede. Nunc mihi
pulchra Venus tenui dat vescier aura, Ut revocem a teneris, Sodoma, te pueris.
Sodoma paedico est; cur te Lucretia vivam Fecit? Habet nostras pro Ganimede
nates.44Sodoma’s knighthood was cited by whitewashing early scholars as proof
that the artist could not have been homosexual, since such sins would have
disqualified him from religious honors.45 But here we see again how casually
this milieu treated sexual transgressions. The fabulously wealthy Chigi married
Ordeaschi in 1519, and Leo X—himself a reputed sodomite who, Vasari records,
“took pleasure in eccentric and light-hearted figures of fun such as [Sodoma]
was”— legitimized their four children.46 Worldly success was hardly evidence
against impropriety. Eurialo’s couplets recall Vasari’s statement about
Sodoma’s nickname that “he used to glory [in it], writing about it songs and
verses in terza rima, and singing them to the lute.” As with clothing, Sodoma
was participating in another cultural tradition that linked artists, writers,
and readers of non-normative sexuality in a web of self-expression. Bawdy
burlesque poetry treated all sexuality with lighthearted comedy; Sodoma’s texts
have not survived, but we can garner some sense of their contents and tone from
verses by contemporaries. What Deborah Parker labels “a poetry of
transgression,” full of sexual innuendo and whimsical exaggeration, circulated
in manuscript, public readings, and print.47 The father of burlesque poetry,
Francesco Berni, was banished from Rome in 1523 for too openly mourning a young
male lover.48 The genre became popular among visual artists eager to establish
their intellectual credentials through writing, including such homosexuals or
bisexuals as Michelangelo, Bronzino, and Cellini.49 Sodoma’s personality chimed
perfectly with the genre’s subversive insolence. Bronzino’s capitolo “In Praise
of the Galleys,” for example, unashamedly eroticizes the all-male world of
oarsmen on ships, muscular and sweaty males confined in close quarters where
sex among themselves was the only outlet: here “boiled and roasted meats are
hardly ever mixed,” a common metaphor for vaginal (wet) versus anal (dry) sex.
Berni, expanding on the trope that priests are sodomites, declares that their
example is infecting monks, using a fruity symbol for boys’ buttocks: Peaches
were for a long time food for prelates, But since everyone likes a good meal,
Even friars, who fast and pray, Crave for peaches today. Le pesche eran già cibo
da prelati, Ma, perché ad ognun piace i buon bocconi, Voglion oggi le pesche
insin ai frati, Che fanno l’astinenzie e l’orazioni.50 The sardonic, guilt-free
humor of such texts suggests, as Domenico Zanrè describes, “a marginal
undercurrent operating within an official cultural environment,” and
demonstrates that “certain individuals were able to produce alternative
literary responses within a dominant . . . milieu that attempted to
contain and, insome cases, exclude them.”51 An incident around 1530
corroborates Sodoma’s own refusal to accept derogatory comments from authority:
when a Spanish soldier insulted him, the artist got revenge by drawing his
portrait and identifying him to his superiors.52 San Bernardino was furious
precisely because so many sodomites seemed unrepentant and unafraid of divine
judgment. What enraged him and Vasari was not these men’s behavior alone, but
the quality Italians call faccia tosta—“cheek” or “a big mouth”—refusal to give
even lip service to official mores.53 The burlesque mode evinces the first buds
of an oppositional response to social disapproval: a selfaware articulation of
outsider status, and an emerging rebellion against social convention that
opened a space, however narrow, for asserting alternative consciousness and
self-affirming values.54 Greco-Roman texts and images served Sodoma, like other
homosexual artists and patrons from Michelangelo to Caravaggio, as validation
for their all’antica desires and pretexts for visualizing male beauty and
eros.55 Within educated elites, a tolerant, classically inspired hedonism held
its own against legal and clerical taboos until late in Sodoma’s lifetime, when
the Council of Trent began its anticlassical reform (1545). In this libertine
culture, an artist widely known for sexual nonconformity was able to smilingly
adopt a derogatory nickname as a public identity and even f launt his sexual
interests in word and image, with little harm to his string of major
commissions and honors.Later religious works Sodoma’s late commissions were
predominantly religious. As at Monteoliveto, these images emphasize the erotic
appeal of figures who are nominally not sexual: saints, angels, and soldiers.
Whereas at the monastery it was possible to analyze the reactions of a specific
clerical audience, commissions for more public locations could be viewed by the
whole cross-section of society, some proportion of which, as outlined earlier,
would have understood and welcomed homoerotic allusion. As Patricia Simons has
explained, “Renaissance imagery might appear to condemn non-normative sex
. . ., but it was possible for viewers to take works in other,
imaginative directions.”56 Sodoma’s best-known work, depicting Saint Sebastian
(1525), epitomizes his typical traits: androgynous classicizing male beauty,
emotional pathos and sensuous chiaroscuro (Figure 10.6).57 Iconographically, it
offers a prime example of his sensitive antennae for elements of religious
narrative with specialized appeal. Sebastian was a Roman soldier who refused to
renounce Christianity, for which Emperor Diocletian, despite their intimate
personal relationship, ordered him shot by archers. Saint Ambrose’s hagiography
establishes their strong emotional bond, open to erotic interpretation: he
notes that Sebastian was “greatly loved” by Diocletian and his co-emperor
Maximian (intantum carus erat Imperitoribus).58 Sodoma paints a virtually nude,
Apollo-like Sebastian with blood trickling from several wounds. He looks
longingly at the angel bringing a martyr’s crown—his reward for loving
sacrifice to God—with an expression that could Sodoma, Saint Sebastian,
processional banner, Pitti Palace, Florence,1525. Photo credit: Scala/Ministero
per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.equally connote divine or
earthly ecstasy. While his bond with the emperor offered a secular hint at
Sebastian’s sexual inclinations, the implied passion between Sebastian and the
godhead is a more important, and universal, emotional dynamic, with a profound
yet ambivalent homoerotic subtext. For all Christians, intense, loving union
with Christ was the ultimate spiritual goal; for men, however, exhortation to
the symbolically feminine ideal of passive, ecstatic submission to another male
raised the specter of sodomy. The phallic arrows piercing Sebastian evoke
sexual penetration, a symbol of the saint’s necessary, but problematic,
feminization;59 they also recall Cupid’s love-inducing shafts, multiplying the
signals for an erotic response. Cinquecento image-makers were expected to
encourage such a passionate response because, as Simons observes in relation to
Christ, for Sebastian too “the visualization of supreme beauty was necessary in
order to induce reverence.”60 Theoretically, religious images could function on
these two levels simultaneously, without contradiction: the lure of physical
beauty would hopefully lead the viewer to a higher spiritual adoration. In
practice, however, it was difficult to police the borders between earthly and
heavenly passion. We know that Sebastian’s beauty was experienced as
problematically titillating by at least one sex: the Florentine artist-monk Fra
Bartolommeo painted a nude image of the saint so appealing that female
parishioners admitted in confession that it stimulated carnal thoughts, after
which it was taken down.61 It was just such temptations that the Council of
Trent acknowledged when it set out to purge church imagery of eroticism. So, it
is not difficult to imagine that men, as well as women, were attracted to
Sodoma’s provocative Sebastian in the physical sense.62 The “seeming
contradictions of deliberately evoking erotic desire in religious painting”
have been parsed by Jill Burke, who sees in this practice “a deep and knowing
ambivalence toward sexuality” that signals “a huge variance between official
rhetoric and widely accepted practice.”63 By including formal and iconographic
cues to a homoerotic response, Sodoma could appeal to men who, like himself,
experienced love and desire in male terms. Like extravagant dress and burlesque
poetry, pictorial ambiguity opened another narrow cultural space for expressing
alternative sexuality.Historiography: a modest proposal This essay has aimed to
demonstrate three propositions: that Sodoma was known for, and acknowledged,
desire for men; that his work evinces a distinctive mode of seeing and
representing that expresses that erotic inclination; and that contemporaneous
audiences would have appreciated that sensibility. As Ruggiero asserts, It is
no longer possible to ignore the general shared culture of the erotic and its
omnipresence in daily exchange, nor is it possible to overlook the particular
subcultures that coexisted at the time and that were such a central part of
daily life.64Without claiming anachronistically that this evidence establishes
anything so coherent and exclusive as a modern “gay identity,” I submit that
these emerging networks and customs, alongside visual and literary production
on homosexual themes, constitute early shoots of an alternative sexual
consciousness that would reach critical mass only during the Enlightenment. I
accept the historiographic formulation of the Renaissance as “early modern,”
which stresses continuities from that culture into the modern era, presupposing
a model of cultural change that is gradual and evolutionary rather than abrupt
and discontinuous. To quote Reed again, “If modern ideas of sexual identity and
artistic self-expression cannot be simply mapped onto the Renaissance
. . . it is nevertheless true that these notions have Renaissance
roots.”65 However, to seek the “roots” of anything “modern” in anything “past”
has become problematic since the advent of postmodern theory. There are now, as
Reed observes, “wildly varying interpretations of Renaissance art’s
relationship to homosexuality”66 —more broadly, of relationships among desire,
behavior, identity, and self-expression. To social constructionists, the search
for glimmers of an alternative, proto-modern awareness in Sodoma’s ambiente is
misguided. There can be no transhistorical connections between sexual actors in
different periods, because sexual identity is not innate or fixed; rather, it
is created through social discourses that define and control sexuality, an
unstable product of external forces acting on the passive individual. There
were no homosexual persons, only homosexual acts. Puff ’s formulation: “Sodomy
was not thought of as a lifelong orientation, let alone a social identity,” is
echoed by Reed’s: “[S]exual behavior in Renaissance Italy was not seen as a
basis for individual identity.”67 This school coined the term “essentialist” to
disparage earlier researchers who, from Symonds to John Boswell, saw sufficient
commonality with those in earlier times who desired other men to justify
searching the Middle Ages and Renaissance for branches of a sexual family tree
dating back before 1867 (when “homosexual” was coined). Without accepting all
the methodological baggage identified with an often over-simplified
“essentialism,” one can still maintain that someone calling himself “Mr.
Sodomite” seems a prime excavation site for evidence of such genealogical
links, since his name rendered his erotic proclivity a “lifelong social
identity.” Like a genetic mutation that may crop up in random individuals, and
only gradually spread across a species’ gene pool, Sodoma constituted an
irruption of anomalous possibilities that, while not yet fully articulated,
began to diffuse new forms of sexual identity and self-expression that
increased over the next several centuries. These methodological disagreements
center on two questions: one external and sociological, the cultural
categorization of homosexual behavior; the other internal and psychological,
the conscious experience of individuals who desired other men and their degree
of agency within a hostile official discourse. There was clearly a dominant
conceptual structure of canon and civil law that confined homosexuality to
taboo acts that might potentially tempt anyone, within whichour modern notion
of inherent sexual “orientations” was not officially recognized. Just as clearly,
however, no culture is monolithic, and a complex of alternatives operated
alongside these formal structures. As we have seen, the elements of this
quasi-underworld were in place by the sixteenth century: meeting places,
distinctive behaviors, and cultural expressions.68 As Ruggiero has outlined,
such “illicit worlds had their own coherent discourse,”69 which viewed
male–male sexuality as an amusing peccadillo; suggested that some individuals
were drawn to it by distinctive character traits; and expressed awareness of
(and resistance to) the gap between official values and their own experience.
The solution to this impasse lies in moving beyond an “either–or” cultural
analysis to a “both–and” approach. Instead of setting arbitrarily precise
boundaries to ever-shifting conceptions of sexuality, it would more accurately
ref lect Sodoma’s transitional environment to acknowledge the temporal
overlapping of contrasting systems of thought and behavior, and to explore the
realities of those who negotiated the dialectic between them. Two tendencies in
current scholarship, however, militate against such open-ended rapprochement.
The first is reluctance to accept evidence for alternative sexual
consciousness; the second is ascribing to cultural discourses an unrealistic
power over against embodied experience. What follows is part summary, part
personal statement: a roadmap out of an increasingly pointless stalemate, and a
brief for greater attention to the lived experience of men-who-had-sex-with-men
and its genealogical links to later generations. Two principal examples of the
discord over what “counts” as evidence of sexual desire and identity are the
tendency to downplay or deny evidence for Sodoma’s sexuality, and the disregard
of alternative language imputing distinct personality to sodomites. First, the
present examination of how Sodoma expressed his homoerotic desires depends on
establishing that his nickname was in fact a marker of his sexuality, which
raises the question: how reliable is Vasari? Unfortunately, as Paul Barolsky
notes, “How we read Vasari depends on our sensibility and taste. We all ride
our own hobbyhorses.” 70 Since the Victorians, homophobic scholars have
attempted to discredit Vasari and defend a respected Old Master against any
implication of immorality in “his evil-sounding sobriquet.” 71 Efforts to give
it a non-sexual meaning are highly speculative: Enzo Carli supposes the
nickname was simply Bazzi’s own little joke, “with which . . .
he loved to glorify himself facetiously,” but it strains credibility that a
heterosexual man would consider a false claim of deviancy “glorifying.” 72 When
such dismissals are echoed by queer-studies scholars, the hobby-horse is
epistemological caution rather than morality, but the effect is the same: to
erase facets of queer history that conf lict with a higher belief—that
homosexuality did not (yet) exist.73 We do have to read Vasari cautiously:
despite the author’s claims, Sodoma’s wife never left him, nor did he die
poor.74 Because few details in Vasari’s psychological profile are confirmed by
other sources, postmodern skepticism insists that any statement not
independently documented is probably false. But Vasariis generally most
informed about artists close to his own time, many of his artistic facts are
documentable, and details in the Vite of Sodoma and Beccafumi indicate that he
visited Siena, saw artworks, and interviewed informed sources. Moreover, his
characterization of Sodoma as capricious, insolent, and sodomitical is
corroborated by three period sources: Eurialo d’Ascoli’s couplets, Paolo
Giovio’s life of Raphael (“a perverse and unstable mind bordering on madness”),
and Armenini’s account of Sodoma’s revenge for an insult.75 Thus, this essay
has followed a less restrictive approach, accepting any statement that is not
contradicted by external sources as possible and perhaps likely. All historical
reconstructions involve judgments of probabilities; giving one’s sources “the
benefit of the doubt” can make up for any loss of positivistic certainty with
gains in breadth, depth, and detail. Secondly, there is linguistic evidence
that particular psychological traits were becoming attached to habitual
sodomites; but this suggestive vocabulary is often brushed aside to “save the
phenomenon” of an episteme of acts, not personalities. I agree with Simons that
“both categorical approaches are problematic.” A more subtle, inclusive view is
adumbrated by Robert Mills, who demonstrates that the juridical focus on
potentially universal acts was in tension with moral, Church perspectives which
also sought to make an identity of the sodomite . . . by
characterizing sodomy as a more enduring kind of practice, a vice for which one
had a particular disposition, tendency or taste. . . . [S]uch perspectives
developed unevenly, over long periods of time, [but there are] signs that some
medieval thinkers . . . wished to pin the sin down to particular
bodies and selves.76 Examples of how “Sodoma” might thus denote an individual
with an inborn sexual preference include one of Matteo Bandello’s humorous
tales (novelle), ca. 1540, in which the dying Porcellio, pressed by his
confessor to admit that he performed acts “against nature,” claims to
misunderstand the question because, he says, “to divert myself with boys is more
natural to me than eating and drinking.” 77 Similarly, Giordano Bruno’s Spaccio
della bestia triunfante (1584) praises Socrates for resisting “la sua natural
inclinatione al sporco amor di gargioni” (his natural inclination toward the
filthy love of boys).78 Dall’Orto has surveyed numerous Renaissance Italian
terms for those who commit homosexual acts, notably inclinazione, which implies
“leaning” in a particular direction.79 Similar spadework for the French cognate
inclination has been performed by Domna Stanton, while numerous other French
and English tropes, such as “masculine love,” have been catalogued by Joseph
Cady.80 Language was clearly emerging at this point articulating distinctive
traits among those drawn to sodomy: not yet an “identity” in the modern sense,
but a critical shift toward notions of internal difference. If postmodernism
underplays evidence of sexual self-awareness, it conversely overestimates the
power of discourse, unduly minimizing individual agencyand the imperatives of
the embodied self. The ability of collective discourse to enforce social norms
is never absolute. It engages in perpetual dialectic with the potentially
anarchic desires of society’s diverse individual members, a situation in which
“lived eroticism did not always conform to the rules of social hierarchy,”81
from Romeo and Juliet to Sodoma and his apprentices. This ineluctable tension
arises because discourse is inculcated into the mind, whereas sexual desire is
grounded in parts of the biological organism less susceptible to rational
suasion. Embodied experience is transhistorical: lust, like hunger, pre-exists
cultural conditioning, and “the recalcitrant realities of human conduct”82 are
insistent enough when unsatisfied to overcome any social convention. This essay
has marshalled evidence that Sodoma, and his contemporaries with similar
inclinations, felt a dissonance between their desires and the dictates of
society, and they possessed sufficient agency to imagine alternative
values—what Walter Pater viewed as a signal Renaissance development, a “liberty
of the heart” that enabled nonconformists to move “beyond the prescribed limits
of that system.”83 Individual bodies are not mere passive receptacles for an
overpowering discourse “poured into” them, but are capable of awareness of that
effort at marginalization, and of active resistance. The ultimate question
lying behind such methodological differences is: why do we do queer history?
Here again, divergent answers ride different hobbyhorses: postmodernists focus
on epistemology, while those open to historical continuity are more interested
in phenomenology. The former philosophize, “How and what can we know about
Renaissance sexuality?” answering that we can comprehend little about a
shifting discourse in which “sexuality” did not exist; the latter
psychoanalyze, “How did it feel for sexual outsiders to negotiate this social
regime?,” and seek clues in intimations of difference in life, language, and
art. While the former stress chronological discontinuity, the latter seek a “usable
past,” a narrative that produces affinities and resonances across time. The
latter project is inherently political: as George Chauncey characterizes
emerging queer studies in the late nineteenth century, claiming certain
historical figures was important to gay men not only because it validated their
own homosexuality, but because it linked them to others. . . . This
was a central purpose of the project of gay historical reclamation.
. . . By constructing historical traditions of their own, gay men defined
themselves as a distinct community.84 Put another way, this school, and this
essay, seek to recover evidence of homosexual desire and expression—however
fragmentary, ambiguous, and carefully historicized—to counter centuries of
suppression, and it seems ironic when social constructionism abets the same
historical erasure. A final image, recently attributed to Sodoma, provides an
enigmatic but tantalizing coda to this discussion85 (Figure 10.7). His hair
garlanded with leaves, beard and brows untamed, “Allegorical Man” leers like a
satyr while his rightJames M. SaslowFIGURE 10.7Sodoma (attributed), Allegorical
Man, ca. 1547–8, oil, Accademia Carrara,Bergamo. Photo credit: Scala/Ministero
per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.hand makes the contemptuous
gesture of “the fig,” an insult that, since Martial’s Epigrams (2:28), can
imply that the receiver is a sodomite. The picture’s precise iconography
remains unexplored; Radini Tedeschi suggests the gesture alludes to Sodoma’s
nickname, and the picture may thus be a final self-portrait, literally or
symbolically. If so, it contrasts poignantly with the artist’s first
self-portraitforty years earlier ( Figure 10.2). Once young and beardless, his
foppishness a silent assertion of nonconformity, he has aged to a still
elaborately costumed but more overtly defiant graybeard, telling the world in
gesture what his burlesque poems expressed in words: I am what I am, I’ve
survived your derision, and I still don’t care what you think. Admittedly, this
interpretation remains speculative, but it would effectively bookend the
scenario of Sodoma’s life and work presented here. Our ability to entertain
such a hypothesis depends, however, on more than attribution and iconography.
The potential to recover the self-expression of creative Renaissance sodomites
also requires a polyvalent openness to a range of both personal and cultural
evidence and interpretive methods. Hearteningly, many seminal postmodern
theorists are more accepting of multiplicity than their acolytes. Foucault
praised Boswell’s conception of “gay,” while Carla Freccero deploys Foucault’s
own theoretics against his discontinuity between early modern and modern
sexuality. She approvingly cites David Halperin’s suggestion that we supplement
rigidly compartmentalized ideas of identity with concepts of “partial identity,
emerging identity, transient identity, semi-identity . . .,” the
better to “indicate the multiplicity of possible historical connections between
sex and identity.”86 Murray reassures us that “the alternative to intellectual
conformity is not a lack of coherence but rather a series of interwoven,
complementary . . . approaches.”87 Perhaps the most balanced and
inspiring methodological f lag has been raised by Valerie Traub, who recalls
that, while seeking traces of early modern same-sex eros, she assumed “neither
that we will find in the past a mirror image of ourselves nor that the past is
so utterly alien that we will find nothing usable in its fragmentary traces.”88
I have sought in Sodoma not a mirror-image, but a family resemblance. He is
“usable” as our ancestor: someone with whom we share an identifiable lineage of
desire and self-expression, in whose uniquely chronicled creative life we can
recapture the origins of an increasingly prominent familial trait.Notes1 2 3 4
5This essay grew from a paper delivered at a 2007 conference at University of
Toronto organized by Konrad Eisenbichler. Thanks to Patricia Simons for her
constructive suggestions. Vasari, Le vite, 6: 380; Vasari, Lives, 7: 246.
Vasari repeats these accusations in his Vita of Domenico Beccafumi, ed.
Milanesi, 5: 634–35. Vasari, Le vite, 6: 382; Vasari, Lives, 7: 247. Vasari, Le
vite, 6: 381; Vasari, Lives, 7: 246. Vasari, Le vite, 6: 389–90; Vasari, Lives,
7: 251, records the old men’s protest; for documents for the 1513 and 1515
races, see 6: 389 n. 3, 390 n. 1; Bartalini and Zombardo, Giovanni Antonio
Bazzi, 44–45, nos. 15–19. A note on terminology: I use “homosexual” throughout
in the narrow descriptive sense, to refer to sexual desire or behavior between
persons of the same sex. Although modern audiences read “homosexual” with
broader connotations of psychology and identity, here it is only shorthand for
“male–male sex.” In modern typology, Sodoma would be considered bisexual, since
he was also married and a father.6 Vasari, Le vite, 6: 379; Vasari, Lives, 7:
245. The artist did not die destitute or insane: see below, n. 74. 7 Fisher, “A
Hundred Years,” 13–39, outlines the activist project of research into Renaissance
homosexuality since the nineteenth century. 8 For an overview of this position,
see Grantham Turner, “Introduction,” 8, n. 3. 9 Reed, Art and Homosexuality,
54–55. 10 Bartalini, “Sodoma.” 11 The standard English monograph remains Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi; for Monteoliveto see 93, cat. no. 4. See further on the
abbey Radini Tedeschi, Sodoma, 138–47; Batistini, Il Sodoma; documents in
Bartalini and Zombardo, Fonti, 15–31, no. 7. 12 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi,
93, no. 4.8; Batistini, Il Sodoma, no. 8. The incident is recorded by Gregory
the Great, Life of St. Benedict, chap. 2. 13 Only a few illustrations of this
subject are known: both a fresco by Spinello Aretino (San Miniato, Florence)
ca. 1387 and a panel by Ambrogio di Stefano Bergognone, ca. 1490, show a pale,
unidealized body among prominent briars. A sexual reading of the series is
supported by Kiely, Blessed and Beautiful, chap. 7, “Sodoma’s St. Benedict: Out
in the Cloister.” 14 Vasari, Le vite, 6: 383; Vasari, Lives, 7: 248, for the
quote and cloak. The gift, along with other payments of fabrics and clothing,
is transcribed by Bartalini and Zombardo, Fonti, 18–19, 266. See also Radini
Tedeschi, Sodoma, 78–80. 15 Rocke, “The Ambivalence,” 57. 16 Rocke, Forbidden
Friendships, 3–6; his book provides extensive data and analysis of
fifteenth-century Florence. On sodomy elsewhere, see Ruggiero, The Boundaries
of Eros; Crompton, Homosexuality and Civilization, chap. 9; Mormando, The
Preacher’s Demons. For a Europe-wide perspective, see Crompton, Homosexuality
and Civilization, chaps. 10–12; Puff, “Early Modern Europe,” 79–102. 17 Rocke,
Forbidden Friendships, 112, 134. 18 Simons, “The Sex of Artists,” 81. 19 Rocke,
Forbidden Friendships, 163; Crompton, Homosexuality and Civilization, 262–69.
20 Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 251–72. 21 Bernardino da Siena, Le prediche
volgari, ed. Pietro Bargellini (Milan: Rizzoli, 1936), 796–97, 898, cited and
discussed in Dall’Orto, “La fenice,” 5, and n. 27 and n. 28. See also Rocke,
“Sodomites.” 22 Jones and Stallybrass, Renaissance Clothing, 2–7. 23 Ladis,
Victims, 109. 24 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 94, no. 12. 25 On anal sex as
social practice and artistic motif, see Saslow, Ganymede, chaps. 2–3; Rubin,
“‘Che è di questo culazzino!’”; Grantham Turner, Eros Visible, 274–99. Sodoma’s
Deposition, ca. 1510, similarly spotlights the rear view of a soldier: Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 117, no. 7. Other artists emphasized rear views, often
motivated by the formalintellectual challenge of the paragone: Summers, “‘Figure
come fratelli.’” When we have evidence of an artist’s sexual proclivities, as
with Sodoma, it is reasonable to explore whether he imbued the motif with
personal erotic interest; lacking such evidence, however, we cannot know which
other artists might have done the same. Regardless of artistic intent, similar
stimuli would invite similar audience responses. 26 Similar figures appear in
scenes no. 1, 30, and 36 as catalogued by Batistini (Hayum, Giovanni Antonio
Bazzi, 93–4, nos. 1, 20, 26). 27 Alain of Lille, The Plaint of Nature, trans.
James Sheridan (Toronto: Pontifical Institute, 1980), 187, cited in Puff, “The
Sodomite’s Clothes,” 260. 28 Bernardino, as quoted by Rocke, “Sodomites,” 12,
15; cited in Simons, The Sex of Men, 99. 29 Randolph, Engaging Symbols, 151,
chap. 4. For nuns, see Hayum, “A Renaissance Audience”; for both sexes, Hiller,
Gendered Perceptions. 30 On the prevalence of clerical sodomy see Boswell,
Christianity, Social Tolerance; Mills, Seeing Sodomy, chap. 4; Rocke, Forbidden
Friendships, 136–37. See also Parker, Bronzino, 37: “burlesque poets tended to
present clerics as sodomites.”31 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 93–94, nos.
4.13, 4.14, 4.21; Batistini, Il Sodoma, nos. 13, 14, 31 (illns. 59, 60, 68). 32
The regulations are in the monastery’s fourteenth- and fifteenth-century
chronicle: Regardez le rocher, 182–83, 418–19 (my translation). 33 Illustrated
and discussed in Saslow, Pictures and Passions, 103–04. 34 Frans Hogenberg,
Execution for Sodomitical Godlessness in Bruges, 1578; illustrated in Crompton,
Homosexuality and Civilization, 327. 35 Vasari, Le vite, 6: 387; Vasari, Lives,
7: 250. 36 On the city’s licentious paganism, see Bartalini, Le occasioni,
39–86. 37 Rowland, "Render unto Caesar.” 38 Other homoerotic images are in
the Sala di Psiche, where Ganymede appears twice, and one spandrel depicts
Jupiter kissing Cupid; Saslow, Ganymede in the Renaissance, 135–40; Turner,
Eros Visible, 109–33. 39 Vasari, Le vite, 6: 384–88; Vasari, Lives, 7: 248–50.
Alexander and Hephaestion’s love is alluded to by Aelian, Various History, 12:
7, and other ancient authors. 40 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 164–77, no. 20;
Bartalini, Le occasioni, 78–81; Radini Tedeschi, Sodoma, 193–94, no. 56. 41 On
Sodoma’s use of classical sources and gender ambiguity see Smith, “Queer
Fragments.” 42 Baldassare Castiglione, The Book of the Courtier, book 2, chap.
61. On the sexual tone in Rome, see Crompton, Homosexuality and Civilization,
269–90; Talvacchia, Taking Positions. Leo X’s Rome also associated sartorial
effeminacy with homosexuality: pasquinades mocked Cardinal Ercole Rangone and
sodomite friends for “going around disguised as nymphs”: Burke, “Sex and
Spirituality,” 491. 43 Aretino, Lettere sull’arte, vol. 1, no. 68 (1537), vol.
2, no. 244 (1545); Aretino, The Letters, 123–25, no. 58. Other sources record a
sculpted Antinous, Hadrian’s lover: Bartalini, Le occasioni, 73–75. 44
d’Ascoli, Epigrammatum, 11v–12r; Bartalini and Zombardo, Fonti, 64–67, no. 29;
Radini Tedeschi, Sodoma, 71–72. 45 Ibid., 23. 46 Vasari, Le vite, 6: 386–88;
Vasari, Lives, 7: 250. On Leo’s sodomitical reputation see Giovio’s biography,
in Le vite di dicenove, 141v–142v. 47 Parker, Bronzino, chap. 1; Parker,
“Towards;” Rocke, Forbidden Friendships, 3–5; Tonozzi, “Queering Francesco”;
Zanrè, Cultural Non-conformity, chap. 3. 48 Tonozzi, “Queering Francesco,”
589–91. 49 On these artist-authors see Parker, Bronzino; The Poetry of
Michelangelo; Gallucci, Benvenuto Cellini. 50 Fisher, “Peaches and Figs,”
158–59. 51 Zanrè, Cultural Non-conformity, 1-2. 52 Armenini, De’ veri precetti,
42–43; Vasari, Le vite, 6: 393; Bartalini, Le occasioni, 17. 53 Dall’Orto, “La
fenice di Sodoma,” 71-72, quoting Bernardino, in Le prediche volgari, ed. C.
Cannarozzi (Pistoia: Pacinotti, 1934), 277. A document dated 1531, purportedly
Sodoma’s tax declaration, is even more insolent, signed with a sexual
vulgarity; Bartalini and Zombardo, Fonti, 131–33, 281–92. While now considered
a seventeenth-century forgery, it demonstrates that a “legend” about Sodoma’s sexual
brazenness persisted after his death. 54 See Milner, “Introduction.” 55 Sodoma
depicted anther homoerotic myth distinctively: his Fall of Phaeton is almost
unique in including Phaeton’s cousin Cycnus, with whom literary sources imply a
loving relationship (Hayum, 135, no. 12). Suggestively, the only other artist
to include Cycnus was Michelangelo. 56 Simons, “European Art,” 135. 57 Vasari,
Le vite, 6: 390; Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 191, no. 24; Radini Tedeschi,
Sodoma, Acta sanctorum, 2: 629, 20 Januarii; Jacopo da Voragine’s
thirteenth-century Golden Legend repeats this phrase (s.v. “St. Sebastian”).59
On arrow symbolism, including homoerotic potential, see Cox-Rearick, “A ‘Saint
Sebastian,’” 160–61. 60 Simons, “Homosociality,” 38. 61 Vasari, Vita of Fra
Bartolommeo. For additional complaints about sexualized Sebastians, see Bohde,
“Ein Heiliger,” 86, n. 18. 62 Sodoma’s later depictions of Sebastian evoke the
same erotic subtext. In his Madonna and Child with Saints, ca. 1541–44 (Hayum,
Giovanni Antonio Bazzi, 257, no. 43), Sebastian stares at Jesus, who toys with
the saint’s arrow—a phallic detail seen in no other image. Similarly unique is
Sodoma’s Resurrection, 1535 (Hayum, 235, no. 33) in depicting the angels as
nude putti. 63 Burke, “Sex and Spirituality,” 488–92. 64 Ruggiero,
“Introduction,” 2. 65 Reed, Art and Homosexuality, 43. 66 Ibid., 47. 67 Ibid.,
43; Puff, “Early Modern Europe,” 84–85. 68 On this alternative culture in
various cities see Puff, “Early Modern Europe,” 87; Ruggiero, “Marriage,”
23–26; Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 61–64, 79. 69 Ruggiero, “Marriage,
Love,” 11. 70 Paul Barolsky, “Vasari’s Literary Artifice,” 121. 71 Cust,
Giovanni Antonio Bazzi, 10. 72 Carli, Il Sodoma, 9–12; Carli, “Bazzi.” 73 See,
e.g., Patricia Simons, “Sodoma, Il,” 286. 74 Vasari, Le vite, 6: 379, 398,
citing contradicting documents, 399 n. 1. 75 On Eurialo see above, n. 44;
Armenini, n. 52. On Giovio’s biographies see n. 46; for his comment on Sodoma
(“praepostero instabilique iudicio usque ad insaniae affectationem”) see
Bartalini and Zambrano, Fonti, 83–86, no. 35. 76 Simons, “Homosociality and
Erotics,” 48, n. 4; Mills, “Acts, Orientations,” 205. 77 Bandello, Tutte le
opera, ed. Flora, 1: 95, novella 6; Bandello, Tutte le opera, trans. Payne, 1:
94–8. 78 Bruno and Campanella, Opere, 321. 79 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,”
74–76; Dall’Orto, “‘Socratic Love,’” esp. 34–35, 46–50. 80 Stanton, “The
Threat.” See further Stanton, ed., Discourses of Sexuality; the historiographic
overview by Smith, “Premodern Sexualities”; Cady, “The ‘Masculine Love.’” 81
Puff, “Early Modern Europe,” 87. 82 Brundage, “Playing,” 23. 83 Pater, The
Renaissance, 3–6, 18–19; Fisher, “A Hundred Years,” 19–23. 84 Chauncey, Gay New
York, 285–86. 85 Radini Tedeschi, Sodoma, 257, no. 118. 86 O’Higgins, “Sexual
Choice,” 10; Halperin is quoted and discussed in Freccero, Queer, 48. 87
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1539, Alessandro Piccolomini, a thirty-one-year-old Sienese nobleman living in
Padua, published a short dialogue: La Raffaella, ovvero Dialogo della bella
creanza delle donne [Raffaella, or a Dialogue on women’s good manners].1
Piccolomini’s dialogue, in which an older woman encourages a younger one to
commit adultery, owes much to the example of Pietro Aretino’s scandalous
Ragionamenti (1534, 1536),2 in which an experienced courtesan teaches her
daughter how to become a prostitute. While the filial relationship between La
Raffaella and the Ragionamenti has long been noted, the cultural and
ideological significance of this relationship remains largely unexamined. Both
texts imagine private female conversations: what do women talk about when no
men can hear? The answer in both cases is men. Men and sex. (What else would
men think that women talk about?) Both texts are male fantasies of female
pedagogy and sexual knowledge, in which male authors adopt a voice of
experienced femininity to articulate imagined feminine perspectives on sex,
gender relations, and gender identity. In the Ragionamenti, the women’s conversations
are scandalous, but also, at times, radical and transgressive, questioning
fundamental norms of gendered behavior and exploring the role of power in
gender relations.3 Despite Aretino’s ambivalent misogyny, the Ragionamenti
imagine possibilities of female agency and power. Piccolomini’s Raffaella, on
the other hand, merely encourages women to subvert one form of male authority
in order to submit to another; it imagines freeing wives from their husbands
the better to subordinate them to their male lovers. Piccolomini playfully
suggests that this shift is doing women a favor because it acknowledges their
need for sexual pleasure.4 His text takes the subversive energy of the
Ragionamenti and turns it into a safe, sly joke. Women, it turns out, do not want
autonomy: they want to submit to younger, sexier men. In La Raffaella, female
agency is not a threat to male dominance—it simply rewards ardent male lovers
over dreary husbands.The conversations of Aretino’s Ragionamenti take place
over six days. An experienced courtesan named Nanna is discussing with a
younger prostitute named Antonia what way of life would be best for her
teenaged daughter Pippa—should she grow up to be a nun, a wife, or a whore?
Nanna spends the first three days of the dialogue recounting her own
experiences in each of these roles; at the end of the third day she
and Antonia decide that Pippa should be a prostitute. They reason that while
nuns break their vows and wives are unfaithful to their husbands, prostitutes
(for all their faults) are not hypocritical—they are simply doing the necessary
work they are paid to do.5 This ends the first volume. In the sequel, having
decided Pippa’s future, Nanna and Antonia teach her the things she will need to
know. On the fourth day, they instruct her how to be a successful courtesan; on
the fifth, they discuss men’s cruelty to women; and on the sixth they listen
while a midwife teaches a wetnurse how to make a living procuring women for sex
with men. In all the discussions about prostitution, Nanna’s instruction
focuses not on how to satisfy men but on how to manipulate them. The condition
of a prostitute is inherently hazardous, and Nanna and Antonia teach Pippa how
to survive and thrive in a world of gender warfare, where men are always
seeking to exploit women, sexually, physically, socially, and financially.
Throughout the Ragionamenti the text takes an ambivalent attitude to its
speakers. On the one hand, Nanna and Antonia are monstrous women who embody a
wide range of misogynist stereotypes. They are deceitful, amoral, gluttonous,
greedy, garrulous, and fickle. On the other hand, they are cunning tricksters,
who use their superior intellect to dupe those who try to exploit and
manipulate them. Nanna is at once a shocking figure of feminine excess and an
insightful satirist who bears more than a passing resemblance to Aretino’s own
persona as an epicurean scourge of powerful hypocrites.6 The Ragionamenti
contain shockingly explicit descriptions of a wide range of sexual activity,
but almost all of these are in the early chapters of the text, in which nuns
betray their vows in endless orgies and wives betray their elderly husbands to
find satisfying sex elsewhere.7 The chapters on prostitution focus not on
sexual pleasure or technique, but rather on how best to earn money and swindle
clients. Aretino’s whores are not particularly interested in sexual
pleasure—they want money, power, and status instead. And the best way to attain
all three is by selling the promise of sexual availability while deferring
sexual activity for as long as possible; the ideal relationship is one where a
man is paying large amounts of money without ever actually managing to have
sexual relations with the woman he is buying. As Nanna puts it, “lust is the
least of all the desires [whores] have, because they are constantly thinking of
ways and means to cut out men’s hearts and feelings.” (“La lussuria è la minor
voglia che elle abbino, perché le son sempre in quel pensiero di far trarre
altrui il core e la corata.”)8 Through a series of cunning tricks, deals, and
lies, Nanna ends up living in luxury in a fashionable house protected by gangs
of armed men whom she employs to remove unwanted suitors.9 She survives and
thrives by manipulating male desire and profiting from male gullibility.Nanna’s
worldly success is, of course, a fantasy that bears little relation to the
actual living and working conditions of most early modern prostitutes,10 but
the Ragionamenti admit this as well. Nanna knows she is not normative, and that
her position remains precarious: “I must confess that for one Nanna who knows
how to have her land bathed by the fructifying sun, there are thousands of
whores who end their days in the poorhouse.” (“Ti confesso che, per una Nanna
che si sappia porre dei campi al sole, ce ne sono mille che si muoiono nello
spedale.”)11 On the sixth day, the Midwife agrees: “A whore’s life is
comparable to a game of chance: for each person who benefits by it, there are a
thousand who draw blanks.” (“E so che il puttanare non è traffico da ognuno; e
percìo il viver suo è come un giuoco de la ventura, che per una che ne venga
benefiziata, ce ne son mille de le bianche.”)12 Consequently, Nanna makes sure
to spend a lot of time warning her daughter Pippa about the many ways that men
can harm the women in their power. In contrast to Aretino’s earthy dialogue of
whores, Piccolomini’s La Raffaella consists of an imagined discussion between
two upper-class women: Raffaella, an elderly, impoverished, but well-born
woman, and Margarita, a newly married wealthy young noblewoman. The tone of
conversation in La Raffaella is certainly more polite and decorous than Nanna
and Antonia’s profane and bawdy language in the Ragionamenti.13 Raffaella, a
friend of Margarita’s late mother, presents herself as a pious widow, eager to
help Margarita adjust to the challenges of being an adult woman and the
mistress of a household. Throughout her talk of pass-times, cosmetics,
deportment, and fashion, Raffaella advises Margarita to take full advantage of
youthful pleasures; if a woman does not enjoy herself while she is young and
beautiful, she is sure to become bitter in her old age: As for God, as I said
earlier, it would be better, if it were possible, to never take any pleasure in
the world, and to always fast and keep strict discipline. But, to escape even
greater scandal, we must consent to the small errors that come with taking some
pleasures in youth, which can be taken away later with holy
water. . . . And moreover, in all this I’m telling you, presuppose
that this little necessary sin will bring you much honor in the world, and that
these pleasures that must be taken can be managed with such dexterity and
intelligence that they will bring no shame from anyone. Quanto a Dio, già t’ho
detto che sarebbe meglio, se si potesse fare, il non darsi mai un piacere al
mondo, anzi starsi sempre in digiuni e disciplina. Ma, per fuggir maggior
scandalo, bisogna consentir a questo poco di errore che è di pigliarsi qualche
piacere in gioventù, che se ne va poi con l’acqua benedetta. . . .
E però in tutto quello che io ti ragionerò presupponendo questo poco di
peccato, per esser necessario, procurerò quanto piú sia possibile l’onore del
mondo, e che quei piaceri che si hanno da pigliarsi sieno presi con tal destrezza
e con tal ingegno, ch non si rimanga vituperato appresso de le
genti.14Margarita’s husband is constantly away on business; she is bored and
feels neglected. By the end of the dialogue, Raffaella has convinced Margarita
to embark on an adulterous affair with a young man named messer Aspasio (who
bears more than a passing resemblance to Piccolomini himself ).15 It becomes
abundantly clear to the reader that convincing Margarita to sleep with messer
Aspasio has been Raffaella’s goal all along. As the dialogue ends, Margarita
looks forward eagerly to her planned affair, completely unaware of how she has
been manipulated by the older woman. She exults, Having learned today through
your words that a young woman needs, to avoid greater errors, to pour out her
spirit in her youth, and having heard certainly from you the good words of
messer Aspasio and the love he bears me, I am resolved to give all of myself to
him for the rest of my life. And thus having pledged eternal fidelity to messer
Aspasio—whom she has barely met—Margarita goes on to offer the impoverished
Raffaella bread, cheese, and ham as a reward for her kindness.16 Given its
subject matter, it is not surprising that some readers interpreted La Raffaella
as an attack on women’s moral character: older women are presented as corrupt
and amoral; younger women as hedonistic and naive. Women of all ages, it seems,
are concerned primarily with deceiving men to obtain sexual pleasure. Beyond
its general cynicism regarding female virtue, La Raffaella also gives precise and
effective direction on ways to deceive one’s husband and to discreetly carry on
long-term affairs. Raffaella warns Margarita against writing love
letters—especially if her lover is married.17 She recommends that her lover be
unmarried, if possible (messer Aspasio is a bachelor!).18 Raffaella tells
Margarita she will need a trusted servant to communicate with her lover, and
that she should choose that person with great care.19 She recommends a rope
ladder for giving a lover access to private rooms without anyone in the
household knowing.20 Raffaella encourages Margarita to take full advantage of
the pleasures that wealth and leisure can bring, but she insists that all these
pleasures are worthless without the final consummation of adulterous sex:
What’s love worth without its end? It’s like an egg without salt, and worse.
Holidays, dinners, banquets, masques, plays, gatherings at villas and a
thousand other similar pleasures are icy and cold without love. And with love
they are so pleasurable and so sweet that I don’t believe that one could ever
grow old among them. In every person love inspires courtesy, nobility, elegance
in dress, eloquence in speech, graceful gestures, and every other good thing.
Without love, they are little esteemed, like lost and empty things. E amore poi
che val, senza il suo fine? Quel ch’è l’uovo senza’l sale, e peggio. Le feste,
i conviti, i banchetti, le mascere, le comedie, i ritruovi di villae mille
altri cosí fatti solazzi senz’amore son freddi e ghiacci; e con esso son di
tanta consolazione e cosí fatta dolcezza, ch’io non credo che fra loro si
potesse invecchiar mai. Amor riforisce in altrui la cortesia, la gentilezza, il
garbo di vestire, la eloquenza del parlare, i movimenti agraziati e ogni altra
bella parte; e senza esso son poco apprezzate, quasi come cose perdute e
vane.21 The “end” of love, which in Neoplatonic treatises was seen as a
beatific transcendence of earthly desires, is here clearly redefined simply as
sex.22 As a result of passages like this, La Raffaella was attacked both as an
insult to women and as an instruction manual for adultery.23 That the text was
explicitly dedicated by Piccolomini to “the women who will read it” (“A quelle
donne che leggeranno”) only made matters worse.24 Piccolomini was destined from
youth for an ecclesiastical career,25 and at the time he wrote La Raffaella he
was starting to make a name for himself in Italian intellectual circles.26 He
had published La Raffaella under his academic pseudonym, Stordito Intronato,
but this did little to conceal his identity. Responding to criticism of the
dialogue, Piccolomini disavowed La Raffaella almost immediately, writing in
1540 that the text was a “joke,” written only for his own amusement.27 Clearly,
he felt that La Raffaella’s scandalous reputation was not suitable for his
public image and future aspirations. Unlike Aretino, who published the
Ragionamenti in two installments, Piccolomini not only never published a sequel
to La Raffaella, he never wrote anything like it again.28 In his retractions, Piccolomini
insisted that he had meant no insult to women in La Raffaella, and compared his
work to the licentious novelle in Boccaccio’s Decameron, intended to give “a
certain pleasure to the mind, that cannot always be serious and grave” (“per
dare un certo solazzo a la mente, che sempre severa e grave non può già
stare”).29 Although Piccolomini consistently downplayed the dialogue’s
significance, La Raffaella remained in print and remained popular. There were
nine Italian editions in the sixteenth century, as well as three separate
translations into French.30 Indeed, La Raffaella is the most frequently
republished of all Piccolomini’s texts, and one of the few still in print in
the twenty-first century.31 Though criticized for its licentiousness, generically
La Raffaella was in the mainstream of the literature of its time. Neoplatonic
dialogues dealing with love and sexuality were a staple of Italian literary and
academic culture, from Bembo’s Asolani (1505) and Judah Abrabanel’s Dialogi
d’amore, to Sperone Speroni’s Dialogo d’amore, and Tullia d’Aragona’s Dialogo
. . . della infinità d’amore (1547). Along with books on love, books
on the status of women and on feminine deportment were also produced in great
numbers in Italy in the midsixteenth century. Advocating adultery may have been
scandalous, but men telling women how to behave was commonplace. Besides
internationally inf luential texts such as Juan-Luis Vives’ De institutione
feminae christianae (1523)32 and Baldassare Castiglione’s Cortegiano (1528),33
there were dozens of lesser known or more specialized books, such as Giovanni
Trissino’s epistle on appropriate conduct forwidows (1524),34 and Galeazzo
Flavio Capella’s treatise on the excellence and dignity of women (1526).35 The
vast majority of these texts were written by men, and many were prescriptive
works that attempted to define appropriate female conduct.36 Of 125 works
listed by Marie-Françoise Piéjus dealing with the status of women published in
Italy between 1471 and 1560, only two were authored by women: Tullia
d’Aragona’s 1547 Dialogo . . . della infinità d’amore and Laura
Terracina’s 1550 Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso.37 Given
Piccolomini’s deep engagement with academic and literary culture, it is not surprising
that La Raffaella draws on a wide range of contemporary texts. The character of
Raffaella herself has a strong resemblance to the central figure of the
procuress from Fernando de Rojas’ La Celestina,38 and passages in Piccolomini’s
dialogue closely echo debates over proper feminine dress in Castiglione’s
Cortegiano.39 But arguably the most important model for La Raffaella remains
Aretino’s Ragionamenti.40 To begin with, there are precise textual echoes: La
Raffaella’s discussion of cosmetics closely follows passages from Aretino’s
work,41 as does Raffaella’s reference to the illicit sexual activities of
nuns.42 Even Raffaella’s notion, quoted above, that youthful sins can be
removed with holy water, recalls a speech by Antonia about the relative
insignificance of the sins committed by whores.43 Beyond her similarity to the
title character of La Celestina, Piccolomini’s Raffaella also recalls the
Midwife from the sixth book of the Ragionamenti. Certainly, the Midwife’s
following account of her own techniques are a good description of Raffaella,
who comes across as a pious churchgoer, says she loves Margarita like a
daughter, and has endless advice on fashions and hairstyles: It was always my
habit to sniff through twenty-five churches every morning, robbing here a
tatter of the Gospel, there a scrap of orate fratres, here a droplet of santus
santus, at another spot a teeny bit of non sum dignus, and over there a nibble
of erat verbum, watching all the while this man and that girl, that man and
this other woman. . . . A bawd’s work is thrilling, for by making
herself everyone’s friend and companion, stepchild and godmother, she sticks
her nose in every hole. All the new styles of dress in Mantua, Ferrara, and
Milan follow the model set by the bawd; and she invents all the different ways
of arranging hair used in the world. In spite of nature she remedies every
fault of breath, teeth, lashes, tits, hands, faces, inside and out, fore and
aft. Io che ho sempre avuto in costume di fiutar venticinque chiese per mattina,
rubando qui un brindello di vangelo, ivi uno schiantolo di orate fratres, là un
giocciolo di santus santus, in quel luogo un pochetto di non sum dignus, e
altrove un bocconicino di erat verbum, e squadrando sempre questo e quella, e
quello e questa. . . . Bella industria è quella d’una ruffiana che,
col farsi ognun compare e comare, ognun figilozzo e santolo, si ficca per ogni
buco. Tutte le forge nuove di Mantova, di Ferrara, e di Milano pigliano la
sceda da la ruffiana: ella trova tutte l’usanze de le acconciaturedei capi del
mondo; ella, al dispetto de la natura, menda ogni difetto e di fiati e di denti
e di ciglia e di pocce e di mani e di facce e di fuora e di drento e di drieto
e dinanzi.44 In his Novelle (1554), Matteo Bandello mistakenly attributed La Raffaella
to Aretino, in part because of its resemblance to the Ragionamenti.45 Clearly,
the similarity of the two texts was apparent to contemporary readers. Socially
and intellectually, Piccolomini and Aretino were on friendly terms in the years
immediately following La Raffaella’s publication. Piccolomini wrote to Aretino
in December 1540, publicly praising his satirical attacks on the abuses of the
powerful.46 And in 1541, two years after La Raffaella appeared in print,
Piccolomini invited Aretino to join the newly founded Accademia degli
Infiammati in Padua. As Marie-Françoise Piéjus has suggested, both the
Ragionamenti and La Raffaella function as parodies of the ubiquitous conduct
books addressed to women in the mid-sixteenth century. The Ragionamenti and La
Raffaella are “provocative text[s], animated by an ironic cynicism that,
parod[ies] point by point the lessons habitually taught to women.” By focusing
on women’s sexual lives, both Aretino and Piccolomini “attest to the divorce
between openly affirmed principles and the daily conduct of [their]
contemporaries.”47 What makes these texts parodic is their sexual subject
matter; they both, in differing ways, affirm women’s fundamental sexuality and
attest to the central role of sexual desire in women’s lives. This is precisely
the aspect of femininity that most of the conduct books are trying most
urgently to restrain, repress, and police. The vast majority of
sixteenthcentury conduct books written for women are designed to make women
into good wives: chaste, silent, and obedient—pleasing to their husbands and
compliant to the wishes of their male relatives.48 It is telling that these two
parodic texts are both written in the voice of women. Rather than having a male
author lay down the law for women (like Vives does), or imagining a
conversation where women listen silently as men debate (as in Castiglione),
both the Ragionamenti and La Raffaella imagine female conversations with no men
present. In Ventriloquized Voices, her study of early modern male authors’
adoption of female voices, Elizabeth Harvey has argued that “in male
appropriations of feminine voices we can see what is most desired and most
feared about women.”49 If Harvey is right, what Aretino and Piccolomini most
desired and feared about women was their sexuality—and the ways their sexuality
creates possibilities for female agency. In both the Ragionamenti and La Raffaella,
an older woman instructs a younger one on issues of gender and sexuality—and on
ways to trick men to get what they want. In both cases, the absence of male
auditors creates the illusion that the reader is privy to the secret truth of
feminine speech. It is significant that both Aretino and Piccolomini imagine
that the main topic that women discuss in private is their sexual relations
with men. While the conversation in both the Ragionamenti and La Raffaella is
wide-ranging, both dialogues arguably fail the Bechdel test—an assessment that
asks whether or not a work of fiction has twonamed female characters who talk
to each other about something other than their relationships to men.50 In both
works, the women are constantly concerned about their interactions with men and
how their actions are perceived by men. The very categories of female life as
set forth in the Ragionamenti—nuns, wives, and whores—are defined by the ways
in which women’s sexual relations with men (or their lack) are structured and
determined. In their desire to hear the truth of female sexuality, both the
Ragionamenti and La Raffaella metaphorically echo a tradition of masculine
fantasy in which female genitalia are compelled to speak. In the
thirteenth-century French fabliau Du Chevalier qui fist les cons parler [The
Knight Who Made Cunts Speak], a poor, wandering knight who treats some bathing
fairies with courtesy and discretion is rewarded with the magical power to make
vaginas talk.51 He uses this power to discover the truth in situations where
people are lying to him: when he encounters a miserly priest riding on a mare,
he makes the mare’s vagina tell him how much money the priest is hiding. When a
countess sends her maid to seduce the knight, he makes the maid’s vagina reveal
the plot. Eventually, he makes even the countess testify against herself by
compelling her nether regions to speak.52 The vagina, it seems, always tells
the truth. This provocative trope reappears most famously in Denis Diderot’s
1748 libertine novel Les Bijoux indiscrets [The Indiscreet Jewels], in which a
sultan has a magic ring that makes vaginas tell all. While there is no evidence
that either Aretino or Piccolomini were aware of such tales of talking vaginas,
the gender dynamics of their texts are remarkably similar. The trope of a man
magically forcing a vagina to speak is culturally resonant on a number of
levels. On the most basic level, these stories are fantasies of masculine
power: the masterful male commands the female body to do his bidding and reveal
its knowledge. There is comedy, of course, in the blurring of function between
vagina and mouth—the earthy lower body inevitably tells a tale that refutes the
refined upper body. It is important to note that what the vagina says does not
merely contradict what the mouth says; it unerringly reveals the hidden truth
of the situation. Just as the Ragionamenti and La Raffaella ironically imagine
the sexual desires hidden behind a public façade of decorous femininity, in
these stories, the mouth tells lies, but the vagina tells the truth of the
body; it cannot lie. Indeed, in all these texts, the vagina is the truth, the
essence, the thing itself. The truth of woman is her sex. The same assumption
underlies Eve Ensler’s popular 1996 feminist play The Vagina Monologues, an
episodic work in which women of various ages and backgrounds recount their
sexual experiences, some positive, others negative. While the play was
acclaimed for giving voice to women’s sexuality, it was also criticized for
reducing women to their genitalia: as feminist scholars and activists Susan E.
Bell and Susan M. Reverby wrote, “The Vagina Monologues re-inscribes women’s
politics in our bodies, indeed in our vaginas alone.”53 But of course, in
Ensler’s work, the author who wrote the lines and the actors who perform them
are all women. The voices we hear are the women’s voices—not men’s imagination
of what a woman’s voice might sound like if there was no man there to hearand
record it. In Aretino and Piccolomini’s vagina dialogues, it is always only men
talking—even if the characters are female. Piccolomini’s ventriloquized fantasy
of female speech in La Raffaella is all the more remarkable given that the
Academy of the Intronati,54 the organization under whose auspices he published
the dialogue, was more arguably more open to women than any other
sixteenth-century Italian academy. The Accademia degli Intronati [the Academy
of the Stunned] was founded in 1525 by a group of six Sienese young men. The
avowed object of the group was “to promote poetry and eloquence in the Tuscan,
Latin and Greek languages” and their motto was: Orare, Studere, Gaudere,
Neminem laedere, Neminem credere, De mundo non curare [Pray, Study, Rejoice,
Harm no one, Believe no one, Have no care for the world].55 Membership in the
Intronati was restricted to men, but as Alexandra Coller has argued, “women
were awarded much more than a merely ornamental presence within the context of
the academy [of the Intronati], whether as sources of inspiration,
correspondents in educationally-oriented literary exchanges, or as discussants
in female-centered dialogues.”56 Sometime around 1536, not long before he wrote
La Raffaella, Piccolomini himself wrote a brief Orazione in lode delle donne
[Oration in Praise of Women]. He delivered the oration to the Intronati in
person on his return to Siena from Padua in 1542 and it was published three
years later.57 Utterly rejecting La Raffaella’s notion that love must be
sexually consummated to have any real value, Piccolomini’s oration draws
heavily on the Neoplatonic idealization of love articulated in Pietro Bembo’s
Asolani, and in Bembo’s concluding speech in the Fourth Book of Castiglione’s
Cortegiano. In this discourse, love is primarily a spiritual discipline that
paradoxically leads to a transcendence of physical desire. Women’s beauty is an
earthly echo of divine Beauty, and Beauty can be used by the lover to reach a
higher plane of spiritual awareness.58 Women are thus to be served, adored, and
obeyed, in the way that a Courtier should serve, adore, and obey his Prince.59
Many texts written by members of the Intronati were dedicated to female
patrons, including a translation of six books of Virgil’s Aeneid and
Piccolomini’s own 1540 translation of Xenophon’s Oeconomicus, a classic
treatise on household management.60 A text from the later sixteenth century,
Girolamo Bargagli’s 1575 Dialogo de’ giuochi [Dialogue on Games], describes the
activities of the Intronati in the 1530s, and attests to the support of the
Academy by “many beautiful and noble ladies” (“Molte belle e rare
gentildonne”).61 Some scholars have suggested that women may have even
participated in meetings of the Academy, a rare occurrence in sixteenth-century
Italian intellectual culture.62 An unpublished dialogue by Marcantonio
Piccolomini, a kinsman of Alessandro and a founding member of the Intronati,
imagines a scholarly dialogue between three Sienese gentlewomen on whether God
created women by chance or by design.63 At the outset, however, not all the
Intronati were so welcoming to women— at least if Antonio Vignali’s Cazzaria
(1525) is any indication. Vignali’s dialogue, in many ways a defense of sexual
relations between men, is a fiercely and crudelymisogynist text, a product of
an exclusively male environment that denigrates women at every turn.64 The
Cazzaria was a scandalous text. It was initially circulated in manuscript among
the Academy’s members and was probably printed without its author’s consent.
Although it was not publicly acknowledged or defended by the Intronati at any
point, it was nonetheless written by one of the Academy’s founding members and
was one of the most prominent products of the Academy’s early years.65
Piccolomini was surely familiar with the text— indeed, his kinsman Marcantonio
Piccolomini (Sodo Intronato) appears as one of La Cazzaria’s main characters.66
However eccentric and outrageous it may be, La Cazzaria is arguably an accurate
ref lection of the attitudes towards women of at least some of the Intronati’s
founding members. If the Intronati’s respectful and inclusive attitude towards
women represented in Bargagli’s Dialogo de’ giuochi is to be believed, things
must have changed a lot by the late 1530s. But it is quite possible that the
Intronati’s relatively positive public attitude towards women masked more
negative private views. Perhaps Alessandro Piccolomini’s ironic attitude
towards women in La Raffaella is a product of this conf lict. As we have seen,
the Ragionamenti ’s attitude towards its female speakers is always ambivalent.
But La Raffaella’s presentation of its speakers is much more straightforward.
Raffaella is a manipulative woman who is working throughout with a very
specific goal in mind—to convince Margarita to have an adulterous affair with
messer Aspasio. Margarita is simply a dupe. Whatever Piccolomini’s praise of
women, whatever support the Intronati gave and received from Sienese
noblewomen, La Raffaella ironically suggests that women are fundamentally
submissive to male desire. Raffaella’s considerable ingenuity is entirely
subordinate to the schemes of messer Aspasio. She has no other function than to
help him obtain his desires, and she is in many ways an abject character,
forced to make her living by tricking young women into having sex with
manipulative men. Piccolomini’s idealistic role as defender of women in his
Orazione and elsewhere has an ironic echo in the dedicatory epistle to female
readers that prefaces La Raffaella. Here Piccolomini insists that he has always
been a staunch defender of women against their detractors. He claims that La
Raffaella clearly shows “the appropriate life and manners appropriate for a
young, noble, beautiful woman,” and holds up the character of Raffaella as
proof that women are capable of “great concepts and profound statements and
good judgment.”67 He decries the double standard that sees extra-marital
affairs as “honorable and great” for men, and “utterly shameful for women.” He
admits that if a woman were to be so foolish as to conduct an affair in a way
that would arouse suspicion, that would be “a great error,” but he trusts that
his female readers “will be full of so much prudence, and temperance that [they]
will know how to maintain and enjoy [their] lovers” for years and years. “There
is nothing more pleasing nor more worthy of a gentlewoman than this.”68 In the
epistle, Piccolomini is doubling down on the joke that underlies La Raffaella
as a whole: what women want most of all is satisfying sex with anattractive and
f lattering young man. Anyone who helps them attain this goal becomes their
greatest champion.As we have seen, Aretino’s Ragionamenti argue at length that
at least some women prefer money, status, and power to sexual pleasure. But
this is largely because the whores of the Ragionamenti are not comfortable,
upper-class women like those in La Raffaella. Aretino’s whores want power, but
his nuns and wives, whose material well-being is secured either by the Church
or by their husbands, want sex. In the more elevated world of La Raffaella, the
wealthy and well-born Margarita lives in luxury; all that is missing from her
pleasurable life is a satisfying sexual partner. The condition of Nanna, Pippa,
Antonia—and indeed of Raffaella, Piccolomini’s impoverished elderly bawd—is
much more precarious. The single-minded pursuit of sexual pleasure, it seems,
is a privilege of the upper classes, of those women who are not compelled to
participate directly in a capitalist market for goods and services in which
their sexuality is primarily a commodity used to raise capital. Aretino’s
attitude to women is often disdainful and dismissive; Piccolomini almost always
f latters his female readers. And yet, it is the Ragionamenti that imagine
autonomous women who manage to hold their own in conf lict with men, whereas La
Raffaella presents women who are entirely dominated by men in one way or
another. The Ragionamenti fantasize about the ways in which women trick men; La
Raffaella fantasizes about the ways women can be tricked. Aretino’s Nanna
provides a powerful contrast to Piccolomini’s fantasy of feminine submission.
In Book 2 of the Ragionamenti, when Nanna recounts her experiences as a wife,
she does exactly what Raffaella urges Margarita to do— she takes young lovers
who can satisfy her sexually in ways her impotent husband cannot. But the key
difference is that Nanna makes that choice for herself—she is not tricked into
it by a male suitor who is using a female confidant to manipulate her. Even
before becoming a prostitute, Nanna is always looking out for herself. She
tricks her lovers in the same way she tricks her husband. She plays to win and
is never duped. And unlike Margarita, who promises to devote herself exclusively
to messer Aspasio, Nanna’s adultery is utterly promiscuous: Once I had seen and
understood the lives of wives, in order to keep my end up, I began to satisfy
all my passing whims and desires, doing it with all sorts, from potters to
great lords, with especial favor extended to the religious orders—friars,
monks, and priests. Io, veduto e inteso la vita delle maritate, per non essere
da meno di loro, mi diedi a cavare ogni vogliuzza, e volsi provare fino ai
facchini e fino ai signori, la frataria, le pretaria, e la monicaria sopra
tutto.69 Eventually she ends up stabbing her husband to death when he assaults
her after catching her having sex with a beggar.70 It is hard to imagine
Piccolomini’s wellbred Margarita acting in a similar manner should her husband
ever catch her with messer Aspasio. Piccolomini’s Raffaella fits into larger
trends in the ways in which Aretino’s Ragionamenti were read and assimilated
into mainstream early modern culture.Broadly speaking, texts that were inspired
or inf luenced by the Ragionamenti adapted Aretino’s text in ways that made it
less subversive and conformed better to traditional ideas of early modern
gender relations. Later editions, translations, and adaptations of the
Ragionamenti focused on Book 3 of the first day, on the life of whores, and
presented the text to readers simply as a catalogue of female deceit and
monstrosity in which the satirical and subversive elements of Nanna’s character
were downplayed in order to make her a purely negative figure.71 In a similarly
reductive move, La Raffaella takes the notion that women will attempt to
deceive men, and limits it to the particular case of aristocratic wives
deceiving their husbands—a model which fits well into traditional discourses of
courtly love that go back to the twelfth century.72 Women are represented as
fundamentally passionate creatures that desire physical pleasures above all
else, and these are found more naturally with young men in adulterous
relationships than with respectable, mature, and neglectful husbands.
Margarita’s husband spends too much time on “business” and not enough with his
wife, and the well-bred and discreet messer Aspasio is the natural solution to
Margarita’s problems. Raffaella the bawd is not disrupting traditional
aristocratic patterns of behavior, she is facilitating them. As long as the
affair remains discreet, everyone will benefit and no one will care.
(Machiavelli makes much the same point in his play Mandragola, but in that case
the satiric irony is obvious.) In La Raffaella the extent to which Piccolomini
supports Raffaella’s argument is not clear. As we have seen, he explicitly
endorses her point of view in his dedicatory epistle to his female readers. But
the degree of irony in the epistle is an open question. It is enough that
Piccolomini had deniability when he needed it—La Raffaella, as he later
claimed, was obviously a youthful joke. Later commentators agreed that the
dialogue, though seemingly immoral, was actually a witty jeu d’esprit. The
nineteenth-century scholar and editor Giuseppe Zonta called La Raffaella a
“jewel of the Renaissance, the most beautiful ‘scene’ that the sixteenth
century has left us, in which didactic intent develops deliciously out of a
comic drama” (“gioiello della Rinascita, la più bella “scena” che il
Cinquecento ci abbia lasciato, dove l’intento didattico deliziosamente si
svolge di su una comica trama”).73 Many things have been said about Aretino’s
Ragionamenti, but no one ever claimed that they were a beautiful jewel.Notes 1
On sixteenth-century editions of La Raffaella, see Zonta, ed., Trattati
d’amore, 379–82; Cerreta, Alessandro Piccolomini, 175–77. There are no known
surviving copies of the 1539 edition. Zonta believes the first edition may have
been published in 1540. 2 Aretino, Ragionamento della Nanna; and Dialogo di M.
Pietro Aretino. 3 Moulton, Before Pornography, 132–36. 4 See the dedicatory
epistle to “quelle donne che leggeranno,” Piccolomini, La Raffaella, 31. Unless
otherwise indicated, all references to La Raffaella are to this edition. 5 On
prostitution as a form of labor and commerce in the Ragionamenti see Moulton,
“Whores as Shopkeepers,” 71–86.6 Moulton, Before Pornography, 132–36. On
Aretino’s public image, see Waddington, Aretino’s Satyr. 7 Moulton, Before
Pornography, 130–31. 8 Aretino, Sei giornate, 132–33. English translation:
Aretino, Aretino’s Dialogues, 116. All English quotations from the Ragionamenti
are from this edition. 9 Aretino, Sei giornate, 115–16; Aretino’s Dialogues,
102–03. 10 See Larivaille, La Vie quotidienne, esp. chapter 6 on the economic
and personal exploitation of whores and chapter 7 on syphilis. On hierarchies
of prostitution, see Ruggiero, Binding Passions, 35–37. 11 Aretino, Sei
giornate; Aretino’s Dialogues, 135–36. 12 Aretino, Sei giornate, 283–84;
Aretino’s Dialogues, 310. 13 Baldi, Tradizione, 106–07. 14 Piccolomini, La
Raffaella, 41. All translations from La Raffaella are my own. 15 Piéjus, “Venus
Bifrons,” 121. 16 Piccolomini, La Raffaella, 119. 17 Ibid., 101–02. 18 Ibid.,
94. 19 Ibid., 112. 20 Ibid., 113. 21 Ibid., 110. 22 Ibid., 135 n. 120. 23
Piéjus, “Venus Bifrons,” 82–83. 24 Piccolomini, La Raffaella, 27. 25 Piéjus,
“Venus Bifrons,” 86. 26 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 10–48. 27 “Molte cose
che per scherzo scrisse già in un Dialogo de la Bella Creanza de le Donne,
fatto di me più per un certo sollazzo, che per altra più grave cagione.”
Dedicatory epistle to Piccolomini, De la Institutione. See Piccolomini, La
Raffaella, 7. 28 He did publish two comedies: L’Amor costante (1540) and L’Alessandro
(1545). See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 177–78, 187–88. 29 Piccolomini, De
la Institutione (f. 231r-v). See Piccolomini, La Raffaella, 8. 30 Piéjus,
“Venus Bifrons,” 81, 161. 31 See the 1960 bibliography of Piccolomini’s
published works in Cerreta, Alessandro Piccolomini, 173–96. 32 An Italian
translation of Vives’ De institutione feminae christianae was published in
Venice in 1546 under the title De l’institutione de la femina. A second edition
appeared in 1561. Vives’ treatise was also the model for Ludovico Dolce’s Della
Institutione delle donne (Venice: Giolito, 1545). Further editions of Dolce’s
text were published in 1553, 1559, and 1560. 33 Burke, The Fortunes of the
Courtier. 34 Trissino, Epistola. 35 Capella, Galeazzo Flavio Capella Milanese.
36 Kelso, Doctrine for the Lady. 37 See the chronological bibliography of 125
works on women published in Italy between 1471 and 1560, Piéjus, “Venus
Bifrons,” 156–65. Women did address the issue in unpublished texts, such as the
collected letters of Laura Cereta (ca. 1488). See Cereta, Collected Letters.
Published texts by women were more common is the later years of the sixteenth
century. For an overview of “protofeminist” writing in early modern Italy see
Campbell and Stampino, eds. In Dialogue, 1–13. 38 Baldi, Tradizione, 99–102.
Piccolomini, La Raffaella, 11–15. 39 Piéjus, “Venus Bifrons,” 108. On the
larger influence of the Cortegiano on La Raffaella, see Baldi, Tradizione,
86–90. 40 Piccolomini, La Raffaella, 9. Baldi, Tradizione, 100–07. 41 Piéjus,
“Venus Bifrons,” 106, 118, 126. 42 Piccolomini, La Raffaella, 43.43 Aretino,
Sei giornate, 139; Aretino’s Dialogues, 158. 44 Aretino, Sei giornate, 285,
291; Aretino’s Dialogues, 312, 318. 45 Bandello, Novelle, 1.34. Included in a
list of licentious books, along with the poems of Petrarch, Boccaccio’s
Decameron, and Ariosto’s Orlando Furioso. See Piéjus, “Venus Bifrons,” 83. 46
Cerreta, Alessandro Piccolomini, 43–44. Piccolomini and Aretino corresponded in
1540– 41. Five letters from Piccolomini to Aretino are included in Marcolini,
ed., Lettere scritte. See also Cerreta, Alessandro Piccolomini, 253–54. 47 “De
là naît, comme dans les Ragionamenti, un texte provocateur, animé pare une
ironie cynique qui, parodiant point par point les leçons habituellement données
aux femmes, renverse la finalité d’une conduite désormais subordonnée à la
recherche du plaisir”; “Piccolomini constate, comme l’Arétin, un divorce entre
les principes ouvertement affirmés et la conduite quotidienne de ses
contemporains.” Piéjus, “Venus Bifrons,” 147–48. My translation. 48 Kelso,
Doctrine, 78–135. 49 Harvey, Ventriloquized Voices, 32. 50 The Bechdel–Wallace
test was first outlined in 1985 in Allison Bechdel’s comic strip Dykes to Watch
Out For. See Alison Bechdel, “The Rule,” in Dykes to Watch Out For (Ithaca, NY:
Firebrand Books, 1986), 22. Bechdel attributes the idea to her friend Liz
Wallace, and says the ultimate source is a passage in Virginia Woolf ’s A Room
of One’s Own. See also Selisker, “The Bechdel Test.” 51 Rossia and Straub,
eds., Fabliaux Érotiques, 199–239. 52 In order to silence her vagina, the
Countess stuffs it with cotton, but the Knight is able to make her anus speak
as well, and all is revealed. 53 Bell and Reverby, “Vaginal Politics,” 435. 54
On the Intronati, see Constantini, L’Accademia. 55 Maylender, Storie delle
accademie d’Italia, vol. 3, 354–58. 56 Coller, “The Sienese Accademia,” 223.
See also Piéjus, “Venus Bifrons,” 86-103. 57 Coller, “The Sienese Accademia,”
224. A second edition of the Orazione appeared in 1549. See Cerreta, Alessandro
Piccolomini, 189. 58 Moulton, Love in Print, 48–53. 59 Piéjus, ‘L’Orazione,
547. Coller, “The Sienese Accademia,” 225. 60 Piccolomini translated one of the
six books of the Aeneid. For these and other examples, see Piéjus, “Venus
Bifrons,” 91–96. 61 Bargagli, Dialogo de’ giuochi, 22. Piéjus, “Venus Bifrons,”
89. 62 Ibid. She cites Elena De’ Vecchi, Alessandro Piccolomini, in Bulletino
Senese di Storia Patria (1934), 426. 63 Piéjus, “Venus Bifrons,” 93–96. The
untitled dialogue is roughly contemporaneous with La Raffaella. 64 Vignali, La
Cazzaria, 40–41. 65 Ibid., 21–26. 66 As well as appearing in La Cazzaria and
being the author of the aforementioned scholarly dialogue between three women,
Marcantonio Piccolomini (1504–79) also appears as the primary speaker of
Bargagli’s Dialogo de’ giuochi. 67 Piccolomini, La Raffaella, 29. 68 “Io vi
confesso bene, poiché gli uomini fuori di ogni ragione tirannicamente hanno
ordinato leggi, volendo che una medesima cosa a le donne sia vituperosissima e
a loro sia onore e grandezza, poich’egli è cosí, vi confesso e dico che quando
una donna pensasse di guidare un amore con poco saviezza, in maniera che
n’avesse da nascere un minimo sospettuzzo, farebbe grandissimo errore, e io piú
che altri ne l’animo mio la biasmarei: perché io conosco benissimo che a le
donne importa il tutto questa cosa. Ma se, da l’altro canto, donne mie, voi
sarete piene di tanta prudenza e accortezza e temperanza, che voi sappiate
mantenervi e godervi l’amante vostro, elletto che ve l’avete, fin che durano
gli anni vostri cosí nascostamente, che né l’aria, né il ne possa suspicar mai,
in questo caso dico e vi giuro che non potete far cosa di maggior contento e
piú degna di una gentildonna che questa.” Ibid., 30–31.69 Aretino, Sei
giornate, 89; Aretino’s Dialogues, 102. 70 Aretino, Sei giornate, 90; Aretino’s
Dialogues, 103. 71 Such texts include Colloquio de las Damas (Seville, 1548);
Le Miroir des Courtisans (Lyon, 1580); Pornodidascalus seu Colloquium Muliebre
(Frankfurt, 1623); and The Crafty Whore (London, 1648). See Moulton, “Crafty
Whores,” and Moulton, Before Pornography, 152–57. 72 On Courtly Love as a
cultural phenomenon, see Newman, ed., The Meaning of Courtly Love. On the
cultural origins of courtly love, see Boase, The Origin and Meaning. 73 Zonta,
ed. Trattati d’amore, 377.Bibliography Abrabanel, Judah (Leone Ebreo). Dialoghi
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Dialogues. Translated by Raymond Rosenthal. New York: Marsilio, 1994. ———.
Dialogo di M. Pietro Aretino, nel quale la Nanna il primo giorno insegna a la
Pippa sua figliola a esser puttana, nel secondo gli contai i tradimenti che
fanno gli huomini a le meschine che gli credano, nel terzo et ultimo la Nanna
et la Pippa sedendo nel orto ascoltano la comare et la balia che ragionano de
la ruffiania. Turin?: 1536. ———. Ragionamento della Nanna e della Antonia,
fatto in Roma sotto una ficaia, composto del divino Aretino per suo capricio a
correttione de i tre stati delle donne. Paris?: 1534. ———. Sei giornate. Edited
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brief thirty-two-page treatise on the art of memory1 appeared in print in
Naples in 1566. There was another edition in 1583; in 1602 Della Porta
published a revised Latin version of the text under the title Ars reminscendi.2
Despite the fact that The Art of Remembering did not see nearly as many press
runs as Della Porta’s more famous works on natural magic and physiognomy, and
despite (or because of?) its brevity, his art of memory was frequently utilized
by seventeenth-century preachers.3 Given its author’s dubious reputation with
Catholic orthodoxy—and his constant difficulties with the Inquisition—this
popularity might seem quite amazing.4 In both a series of articles and a book
chapter, Lina Bolzoni has discussed The Art of Remembering; my contribution
here seeks to elaborate on Bolzoni’s work by examining the function of a
peculiar sequence of images appearing in Della Porta’s text—images that inf
luence the entire structure and character of The Art of Remembering. Della
Porta recommends the use of explicit sexual fantasies as the most powerful
images for organizing the process of recollection. The use of erotic images was
not uncommon in the medieval and early modern tradition of the art of memory.
Yet in Della Porta’s text, images depicting sex between human beings and animals
are amazingly prominent (and especially in the two Italian versions of the Arte
del ricordare than in the later Latin Ars reminiscendi ). Here I will argue
that Della Porta’s use of pornographic and even, in the modern sense of the
word, sodomitic imagery is not merely a consequence of the more innovative
aspects of his instructions for developing the capacities of memory. Rather,
these images resonate in other of Della Porta’s numerous and highly inf
luential texts—namely, his texts for the theater, on human physiognomy, natural
magic, cross-breeding, and marvels (meraviglia) in general. Such pornographic
images thus refer to the core topics of his most important texts—and,
accordingly, to his general endeavors as an early modern magus.5The art of memory
Basically, the art of memory consists of imagining a spatial structure—for
instance, a house with different rooms (loci )—and then furnishing these spaces
with objects and persons (imagines).6 The next step is to walk through the
rooms of this imagined building and to assign to each one item one wishes to
recall, in the precise order of movement through the architectonic structure.
Originally developed in classical antiquity for public orators, this method
allows a speaker to recall the general content and order of a speech, but the
“art of memory” was also used to recollect specific sequences of words. In this
“art,” it is crucial to visualize and memorize a mental structure, with its
loci and imagines, in the greatest possible detail. To facilitate this
formidable task, the masters of the art of memory frequently recommended that
the images have a strong emotional nature (imagines agentes). Conspicuously,
manuals for the art therefore often recommend erotically charged images as
imagines agentes.7 Remembrance thus becomes dependent on—and simultaneously
synonymous with—exercising vivid (and, as we shall see, predominantly male)
sexual fantasies. The imaginary loci populated by a sequence of well-ordered
and striking images tend to acquire a life of their own. As Bolzoni writes: “it
is easy to imagine how centuries of experience in memory techniques have given
scholars some idea of the complex nature of mental images and their capacity to
inhabit their creators, to come alive and escape their control.”8 And yet the
affective movement of the soul, produced by recalling a set of emotionally
charged images, clashes with the imperative of order that is the other vital
aspect of the art of memory.9 Thus—in contrast to modern literary authors who
acknowledge and actively employ this same phenomenon in developing their
texts—the masters of memory were faced with the arduous task of restraining the
life of their own figments.10Della Porta’s mnemotechniques Della Porta’s
approach to the topic is characterized by a methodical pluralism that is
typical for the art of memory. Along with the basic principles outlined above,
he presents different ways of organizing memory.11 For example, he recommends
memorizing a group of ten to twenty women whom one has loved to organize a
system of pleasant and striking mnemonic images. He contends that when
employing the phantasmata of women one has made love to or one has desired, one
can succeed in remembering not only one word, but an entire verse or even
several verses.12 Della Porta also states one particular system as his most
innovative and preferred innovative contribution to the art. For setting up the
loci, he recommends memorizing little neutral cubicles eight palms long, each
populated with different impressive personae: here, the sexually attractive
women one has made love to or has been in love with are placed alongside
cubicles occupied by friends, jesters, noblemen, and matrons.13 Della Porta
accordingly recommends the use not only of men and women personal acquaintances,
but also of charactertypes—especially from comedy—that during the sixteenth
century were populating contemporary stage plays. In this respect, The Art of
Remembering follows a widespread tradition in sixteenth-century treatises, as
seen for example in Lodovoco Dolce’s contemporaneous Dialogo del modo di
accrescere e conservare la memoria (1562).14 Another important precept in
Porta’s Art of Remembering is that the sequence of personae must vary; for
example, he suggests “a woman, a boy, a girl, a relative, an elderly man.”15 It
is crucial to note that this succession of personae is as fixed as the
structure of the cubicles where they are placed—which they “inhabit,” as it
were. This implies that the personae become part of the spatial setting, of the
architecture of the memory palace, the locus.16 These loci/personae determine
the temporal sequence in which the imagines appear, and in turn the content to
be memorized in the correct sequence (this content I will term the memorandum).
In contrast to the fixed personae, Della Porta defines the images as “animated
pictures” which we construct or spin out ( fingere/recamare) using the faculty
of fantasy to represent things and words.17 The images are mobile and variable:
they constitute what the personae in their fixed sequence do. And these
activities must be extraordinary in every respect; clothed in lavish and
shining robes, the personae’s movements should resemble larger-than-life
actors, presenting the mind with a “painting that is new, strange, marvelous,
unusual, pleasant, varied, and horrific (spaventevole).”18 Moreover, an image
should also be composed of a variable set of living and dead objects, which,
like stage props, are added to the persona—for instance, a cornucopia or a
swan. Della Porta recommends the use of relatively few loci/personae,
condensing the sequence of memoranda to a maximum of ten images agentes, as
comic and tragic playwrights would.19 One cannot help speculating that Della
Porta discloses here a vital aspect of his writing techniques as a prolific and
inf luential author of comedies.20 He obviously followed the advice of his
predecessors, shaping his personae in ways reminiscent of the exceedingly
grotesque personae in his mannerist comedies.21 The most salient feature of
these plays is that they use a limited set of characters whose social roles and
statues are fixed in a set of stock scenes.22 The practicability of this system
is obvious, because there is no need to memorize hundreds of loci and imagines.
Yet there is one obvious difficulty. This artificial memory is rather limited,
because it will only allow the practitioner to memorize one story (or a
sequence of ten words).Della Porta’s ars oblivionis This limitation is, of
course, a general difficulty for the art. From the time of its invention, the
ars memoria has entailed an ars oblivions, an art of forgetting, that in turn
allows for the memory to be organized anew. This is a difficult task, because
laboriously constructed chains of association between personae, imagines, and
memoranda must now be erased.23 Della Porta says that if we wish to remember a
new story or a new set of words, we can assign the same set of personae, in the
same sequence, the task of forging a new sequence of images.To this aim, we
must imagine the fixed sequence of personae in their cubicles, with these
“usual suspects” stripped naked or merely covered in white sheets, all in
identical upright posture, leaning with their shoulders against the walls of
their cells.24 In Della Porta’s system, the sequence of personae set in neutral
cubicles is a permanent pattern. He compares the personae to the lines on a
specially varnished sheet for musical compositions; it is inscribed with
permanent lines, but what is written onto them can be washed off. Thus, just as
the musical notes (or signs) are impermanent and can be reinscribed onto that
sheet in a new order, creating a new melody, so the old imagines agentes may be
erased, with the personae free to assume the pose of new imagines agentes.25 It
is not only the architectonic structure that functions as locus; the personae
(who are usually classified as “images”) become an aspect or a part of
“place.”26 The personae assume the paradoxical role of living statues—and this
oxymoron aptly circumscribes the self-contradictory function of the memory
images: in order to impersonate new imagines agentes, they should be plasmatic,
but at the same time their bodies must remain precisely fixed in dress,
comportment, gesture, and the corresponding affects communicated by these visual
traits. However, Della Porta prescribes that even when the personae are
imagined naked, leaning against the wall—in order to prepare them for a new
role in another story—they should not be the neutral recipients of images.
Rather, they must be imagined in a highly individualized form. And their
actions are not arbitrary: Della Porta prescribes constructing these stock
characters of the imagination in the most fitting way with respect to “age,
facial traits, occupation, and comportment (mores).”27 The personae’s actions
are predetermined by their sex, social status, and concomitant habits.
Moreover, these actions of the personae—who become the permanent abodes of the
variable imagines—have to be related to the content of the word or the story to
be remembered. Della Porta’s technique of character development was an
important and original modification of the traditional system of loci and
imagines.28 In this way, the formal structure of the memory is brought into a
strong— and reciprocal—relationship with the content that is to be memorized.
In a key example, Della Porta writes that the entire story of Andromeda can be
remembered by the image of a naked, shivering, and wailing woman chained to a
rock.29 The setup of highly individualized loci/personae is vital for the
intricate task of memorizing a sequence of individual images. Since more than
one image is required, the spatial arrangement of the personae/imagines becomes
very important. The Latin version of The Art of Remembering supplies the
following example: if the word to be remembered is avis (bird) and the cubicle
is inhabited by the persona of a boy, then he should be Ganymede; if it is
“cook” then he cooks the bird;30 if the word is taurus (bull) and a robust boy
inhabits the cubicle, then we should imagine Hercules wrestling with
Achelous;31 if we wish to remember horn (cornus) and a virgin inhabits the
cubicle, we visualize her covered in f lowers and fruits, like a Naiad with a
cornucopia in hand.32The Italian Arte del ricordare gives different examples.33
If we suppose the word “bird” to be the memorandum for a prostitute
(meretrice), Della Porta suggests constructing an image of Leda during sexual
intercourse with Jupiter in the guise of a swan.34 This direction is confirmed
in many other examples: for instance, under the memorandum “bull” in the
locus/persona of a virgin, we might imagine the rape of Europa.35 If the
memorandum “bull” embodies the locus/persona of a meretrice (prostitute), then
we should forge an image of Pasiphaë having sexual intercourse with the bull.36
There is no doubt that the imagery of the vernacular Arte del ricordare is more
graphic, more sexually explicit, and less polished than the later Latin
version. Yet all the versions recommend sexually explicit, or at least erotically
charged, imagines agentes. Another striking feature of Della Porta’s examples
is that all memoranda— the “bulls,” “horns”— are words with sexual
connotations. Of course, uccello “bird” in Italian denotes the penis; thus, the
sexual connotation is as present in the memorandum as in the image. 37 This
intimate thematic connection highlights the rule that imago and memorandum must
be as closely related as possible. These examples reveal that Della Porta
wishes his readers to entwine their individual memories of (present or former)
personal acquaintances with the stories of classical mythology to construct
imagines agentes; like interlacing arches, they support the architecture of the
memory palace. It seems that the thematic link between imago agens and memorandum
is rather uncommon in the art of memory. Usually the imagines agentes are used
as placeholders for any content; for example, one could use the imagines
agentes of naked women to remember any sort of text, not only erotic topics.
Della Porta’s thematic over-determination would seem to imply that his true
interest lay in the actual topics to which the imagines agentes and their
corresponding memoranda refer; namely, a discourse concerning the human body,
the porous boundaries between human beings and animals. Inherent in these tales
of sex with animals is the generation of monstrous—marvelous—offspring.Panoptic
visions and living statues From a Foucaultian perspective, Della Porta’s vision
of the defenseless personae in their mental prison cells has a panoptic
character (though the term here is used, of course, anachronistically). Whereas
gazing at naked or sparsely dressed human bodies, even in the imagination, can
be considered a form of symbolic violence, it is a technique of visualization
in which the different qualities of men and women of various ages, sexes, and
professions become—quite brutally— reduced to their physical features, because
they are bereft of their clothing and the social insignia, which denote,
circumscribe, and protect their social status and their moral integrity. This
practice of examining the physical features of naked men and women is echoed in
the art of physiognomy of which Della Porta considered himself a master. In
fact, in his lavishly illustrated works on the topic we find many depictions of
the naked bodies of men and women, with textssupplying the reader with the
character traits (mores) ascribed to various medical complexions; that is, the
constituent factors of human bodies and their affinities within the animal
world.38 Measuring and classifying naked human bodies according to their
occupational and concomitant social status was a widespread artistic practice
during the fifteenth and sixteenth centuries following the techniques for
painters described in Leon Battista Alberti’s De pictura (On Painting, 1435).
Della Porta very closely echoes and even plagiarizes Alberti, adapting
Alberti’s instructions for painters into his art of memory. In order to create
images that appear lifelike and therefore suited for communicating human
emotions, Alberti recommends that painters first draw human figures naked and
only subsequently dress them (“ma come a vestrie l’uomo prima si disegna nudo
poi il circondiamo i panni”). 39 In this context, the parallels between
Alberti’s and Della Porta’s ideas are obvious. In order to create emotionally
charged imagines agentes they must be as lifelike as possible, which
means—especially in the case of erotic imagines—that we undress the personae.
Yet, whereas Alberti had pointed to the appropriate decorum of his images,
Della Porta opts for larger-than-life-personae—for grotesque and exaggerated
representations.40 Another point of reference between the De pictura and The
Art of Remembering is that Alberti links his measurements of human bodies to the
proportions of buildings. In Alberti’s context, an implied relation of
architecture and body clearly results from the process of constructing
representations of irregular, organic forms in central perspective. The
architectural space must be circumscribed before inserting the non-geometrical
figures which are to “inhabit” that space. The parallel to Della Porta’s The
Art of Remembering is striking, since for him as well the personae are an
integral part of the loci they inhabit. Paradoxically, Della Porta’s personae
can be considered moving statues. On the one hand, they must be imbued with as
much life as possible; on the other hand, they must freeze in one position,
like a tableau vivant. But the idea that moving statues are sexually arousing
is much older than Della Porta; Andromeda (one of the key examples in Della
Porta’s The Art of Remembering) is described by Ovid as sexually arousing to
Perseus, her liberator, because her naked body resembles a marble sculpture.
“When Perseus saw [Andromeda], her arms chained to the hard rock, he would have
taken her for a marble statue (“marmoreum esset opus”), had not the light
breeze stirred her hair, and warm tears streamed from her eyes. Without
realizing it, he fell in love (“trahit inscius ignes”).”41 When viewed from the
perspective of contemporary theater, Ovid’s erotic statue of Andromeda brings
to mind the “living statue” of Hermione in Shakespeare’s Winter’s Tale (V, 3)
or Othello’s description of Desdemona’s body as “whiter skin . . .
than snow” and as “smooth monumental alabaster” (Othello V, 2, 4–5). On
Shakespeare’s stage, this transformational power from living being to statue
(and back again, in the mode of comedy) is associated with male violence
against women caused by jealousy. Such marble statues may also play an
important role in imaginings of pregnant women. In a more general context,
tales of walking statues are associated with magical arts, as demonstrated in
Apuleius’Metamorphoses, a work closely associated with magic. Lucius, the
protagonist of this second-century Roman novel, describes his arrival in
Corinth, the capital of Greek witchcraft: There was nothing I looked at in the
city that didn’t believe to be other than it was: I imagined that everything
everywhere had been changed by some infernal spell into a different shape – I
thought that the very stones I stumbled against must be petrified human beings,
. . . and I thought the fountains were liquefied human bodies. I
expected statues and pictures to start walking, walls to speak, oxen and other
cattle to utter prophecies, . . .42 A magician’s power thus is
akin to what a master of memory does: turning one thing into another. This
topic is intimately linked to Della Porta’s other interests in the arts of
cross-breeding, of physiognomy, and of natural magic. Yet the relationship
between Della Porta’s imagines agentes and contemporary painting becomes even
more striking upon a closer examination of the individual imagines agentes ref
lected in contemporary media.Ovid’s Metamorphoses as represented by Titian’s
paintings Virtually all the examples in Della Porta’s The Art of Remembering
refer to the thicket of myths recorded in Ovid’s Metamorphoses. This is no
wonder; as the most inf luential “pagan” text of the Middle Ages and beyond,
the Metamorphoses43 constitute a substantial encyclopedia of the
transformations of the bodies of gods and human beings—transformations caused
mostly by violent sexual acts of transgression on the part of gods, heroes, or
powerful men upon their helpless victims. Ovid’s text is thus a rich source for
the primary task of Della Porta’s art of memory: not only to associate but to
exchange one image for another. Moreover, Andromeda, Leda, Ganymede, Io, and
Actaeon, to mention but a few of the imagines mentioned in the Ars
reminiscendi, were highly popular subjects for contemporary artistic
representation. It is thus no wonder that Della Porta explicitly refers to the
paintings of Michelangelo, Rafael, and Titian in his writings.44 In the mode of
synecdoche, these imagines agentes serve as abbreviations for entire stories
that are reduced to one single imago agens, just as Della Porta had postulated
in the case of Andromeda. Accordingly, Titian’s most famous works supply the
reader with instructive illustrations for Della Porta’s The Art of Remembering.
His key example, Andromeda (in Perseus and Andromeda 1554–56), is represented
by Titian with a body as white as a marble statue, chained to her rock, with a
vivid facial expression, her arms depicted in an unusual, expressive pattern of
movement. The same applies to Europa (in Rape of Europa 1559–65), with the
major difference that she is not shown in an upright position like Andromeda,
but instead reclining against the back of the bull/Zeus; both female figures
are naked, their sexual organs barely covered by a piece of white transparent
garment. In all likelihood, this is whatDella Porta imagined as the lenzuola
with which the bodies of his personae should be covered in their ground
positions. Of course, Titian created many striking erotic female figures. One
thinks of his many Venuses, but also his renderings of a seductive St. Mary
Magdalen (1530–35) or St. Margaret (ca. 1565), paintings also remarkable for
the impressive movements of their subjects’ arms as well as gesture, (lack of )
apparel, and extravagant demeanor. The myth of Actaeon is the subject of two of
Titian’s most impressive paintings: the Death of Actaeon (1559) and The Fate of
Actaeon (1559–75). In the latter painting, the hunter’s head is already
transformed into the form of a horned stag. With the exception of Leda and the
Swan (by Michelangelo), nearly all the mythological subjects mentioned in Della
Porta’s treatise are represented in Titian’s most famous works. We thus do not
lack examples of contemporary paintings illustrating the imagines agentes in
Della Porta’s The Art of Remembering. Yet there is one notable exception: the
story of Pasiphaë (on whom see below). Like the imagines agentes in The Art of
Remembering, Titian’s figures seem to be frozen in their movements, despite
their vividness. An entire story is reduced to one spectacular moment—a
snapshot (to use an anachronistic term). This reduction is not merely a
convenient tool for remembering a myth in a wink of time. It also constitutes
an intervention eclipsing all other aspects of the story that are not
represented in the one imago agens. Titian’s paintings, like Della Porta’s
imagines, are evocations of a story in the mode of synecdoche. Alive and dead
at the same time, they are fetishistic representations catering to a male gaze,
for a specific set of sexual fantasies. Moreover, the fragmentation implicit in
this process also allows for a reduction of different myths to a limited set of
structural elements or topics which all point to one and the same topic. This
is exactly what Della Porta does in the examples given in The Art of
Remembering; he evokes one and the same topic (for instance, a bull) in various
loci/personae and the concomitant imagines agentes they enact. Moreover, all
the different topics he uses as examples for memoranda (bull, horn, bird) may
be subsumed under one single general topic: sex between human beings and
animals.Pasiphaë As I shall argue in what follows, the myth of Pasiphaë
fulfills a paradigmatic function for Della Porta’s memory technique, since it
corresponds so precisely with his preferred focus in natural magic, the mating
of different species and the creation of marvelous monsters. The myth is well
known. Pasiphaë falls in love with a bull, has intercourse with the animal, and
conceives the Minotaur. The sexual act leading to this monstrous birth is made
possible through the cunning intercession of Daedalus. This archetypal male
master-engineer from classical antiquity constructs a cow-shaped wooden frame
in which Pasiphaë could hide while being penetrated by the bull.45 The
remarkably imaginative and colorful myth of Pasiphaë thus conjoins illicit sex,
the art of the engineer, and the tale of a monstrous offspring.Pasiphaë is a
woman in love with an animal. She has sexual intercourse with a real bull, with
her desire thus inclined toward the animal world. Ergo, she impersonates a
highly negative image of women in the patriarchal societies through which the
myth has travelled. This gender bias is highlighted when we compare Pasiphaë to
the rape of Europa.46 Both Pasiphaë and Europa are situated in a liminal
territory of intersection between the animal, human, and divine— between
bodies, souls, and noumenal entities. Indeed, Europa is an inversion of
Pasiphaë’s story. Zeus here figures as a male lover and a god disguised as a
bull who has sexual intercourse with the maid Europa. Her fate is oriented
towards the stars. To have sex with a god in animal guise is a ticket to
immortality. To have sex as a woman with a real animal leads to ostracism and
to the birth of monsters. Thus, it is no wonder that there are copious
visualizations in fine art of the myth of Europa, but virtually none of
Pasiphaë. From the perspective of the art of memory, we may say that Pasiphae and
Europa, as imagines agentes, are inversions of each other. The mode of
synecdoche, whereby an imago agens embodies the stories of Europa and Pasiphaë,
invites a synoptic perspective on both myths, connecting as intersecting arches
in the image of a woman having sex with a bull. But this contradicts the
specific image of Pasiphaë observed in the myth, where the woman engaged in
sexual intercourse with the animal was a (real) bull covering a (dummy) cow.
Pasiphaë in fact disguises herself in what one could call a statue of a
cow-like imago in the art of memory, thus transforming the dummy cow into a
caricature of a “living statue.”47 Yet this image, on face value, shows an act
that can be observed frequently. The myth’s image of a cow and a bull mating
(again, on face value) cannot qualify as an imago agens, nor is it clear why it
should be used in Della Porta’s The Art of Remembering in the locus of the
meretrice. This does not mean the wooden cow is irrelevant to the phantasmatic
transactions that characterize the basic method of the art of memory, namely to
exchange one image for another. For the myth of Pasiphaë points in an oblique
way to Daedalus’s sublime craftsmanship, his ability to fabricate a wooden
image which deceives a bull. Despite the fact that Pasiphaë is a witch (Circe’s
sister), she seemingly has not been able to concoct a magical love potion that
would sexually attract the bull. In order to fulfill her desire, she needs the
help of a male master engineer. In Greek philosophical terminology, this
ability to produce potentially eternally lasting objects (like tables) is
called “poetic.” Daedalus is thus pursuing an activity that he shares with the
poets. Indeed Daedalus’ prop is a powerfully poetic cow, and the image he
created has the power to evoke a series of (brutally violent) images which are
not the image: they are quite literally “in” the image. The dummy cow (with its
dark inside where the male imagination can pursue its most graphic phantasies
of penetration) is a model for the associative processes at work in the art of
memory—but it is in itself not an imago agens. In marked contrast to Ovid’s
version of the story, where Pasiphaë is disguised in a dummy cow, Della Porta
apparently wishes his readersto create an imago agens in which a prostitute has
sexual intercourse with a bull without recourse to Deadalus’ prop. Pasiphaë’s
myth points to the idea that the birth of monsters, in this case the Minotaur,
requires the intervention of a male mastermind, who not only helps to beget the
deviant creature, but also provides the means to contain the dangers arising
from it, for it is Daedalus who constructs the famous maze in which Pasiphaë’s
child is imprisoned.48 This image of Deadalus as creator and container of
monsters or marvels epitomizes the role Della Porta wished to assign to himself
as a cunning magus.49 Here, at the crossroads between mechanical device and intervention
into the organic body, Della Porta’s particular form of late Renaissance
natural magic, physiognomy, and the theater unfolds. Actually, the imago agens
of a woman having sex with a bull has an interesting relationship to Della
Porta’s Magia naturalis. Here we learn of Della Porta’s keen interest in
practices of cross-breeding between human beings and animals. To bolster his
claims, he cites the usual suspects for such stories: Pliny, Herodotus, Strabo
and their tales of women who were raped by billy goats, producing monstrous
offspring.50 This leads him to believe that “some of the Indians have usual
company with bruit beasts; and that which is so generated, is half a beast, and
half a man” (Magick 2, 12, 43). Della Porta also contends that it would be
possible for a man to inseminate a fowl under the right astrological
constellation and the right medical complexion.51 In order to create a
human/animal monster, Della Porta does not resort to the kind of contraption
Deadalus constructed for Pasiphaë, but relies instead on his expertise in
measuring, not the proportions of the head as did Alberti, but rather the
lengths and depths of male and female sexual organs, the course of the stars,
and the assessment of the medical complexions inscribed in the physical traits
of human beings and celestial bodies alike. These parameters—basically a
doctrine of signatures—are also the most decisive indicators in Della Porta’s
texts on physiognomonics, where he postulates the close resemblance of human
beings to certain animals, with attendant implications for the human
character.52Apuleius’ Metamorphoses This impression is confirmed by looking at
another imago agens where a woman has sex with an animal. In both the Italian
and Latin versions of The Art of Remembering, Della Porta claims that we
remember the woman having intercourse with the ass from Apuleius’ Metamorphoses
better than we do the heroism of a Muzius Scevola.53 Apuleius’ Metamorphoses,
the second-century novel better known as The Golden Ass, is an interesting
source for The Art of Remembering, because Apuleius describes the sexual act
between an ass (not a bull) and a woman in great detail.54 Lucius, the
protagonist of The Golden Ass, is a young man obsessed by witchcraft who is
transformed into an ass after he applied the magical unguent concocted by
Pamphile, a powerful Thessalian witch. In the shape of an ass—although never
losing consciousness that he is a man—Lucius livesDella Porta’s erotomanic art
of recollectionthrough a veritable odyssey during which he is beaten and
mistreated. When one of his many keepers discovers that this ass is
particularly clever, he makes Lucius the object of special exhibitions and a
rich woman falls in love with the ass and hires it. In contrast to Pasiphaë,
this woman has sex with the animal without any recourse to a prop. Both Lucius
and the woman seem to enjoy the act, in spite of his asinine and—hence
proverbially large—sexual organ. This changes as soon as Lucius has to perform
the act again, this time as a cruel public entertainment in an amphitheater,
where a female convict, before being devoured by wild beasts, is sentenced to
have intercourse with the ass. Lucius deeply resents this act and manages to
escape.55 It is interesting to note that Apuleius explicitly links his
salacious story of the wealthy woman who has sex with the ass to the myth
Pasiphaë, given he calls the woman asinaria Pasiphaë (an ass-like Pasiphaë).56
The story is thus marked as a parody of the myth of Pasiphaë in the form of a
blunt satire on late Roman mores. Upon closer scrutiny, this story of the
noblewoman and the ass is—again structured by a set of inversions, an oblique
evocation of the myths of the rape of Europa as well as of Pasiphaë. In
Apuleius it is a man, Lucius, who has been turned into the shape of an
ass—neither a god ( Jupiter) who willfully changes his shape into a bull (as in
the Europa myth), nor a witch (Pasiphae) who desires a real bull and who needs
the help of a male engineer to fulfill her desire. Instead, Lucius is a man who
has been changed into an animal, not by a Pasiphaë (who was incapable of doing
that job for herself ) but by another relative or follower of Circe—Pamphile.
The sexualized content with a specific violence towards female bodies is deeply
inscribed into the story of Apuleius and, consequently, in the imago agens
prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering, which again condenses the
stories of Pasiphaë (the prostitute has sex with a bull) and the story of the
sodomite noblewoman in Apuleius, as well as including the plan to showcase the
act with female convict. The extremity of this imago agens is enhanced by the
fact that such acts of bestiality were a capital crime in Della Porta’s time,
primarily because they were believed to engender monstrous offspring, to
humanize the animal world, and simultaneously to animalize the human
perpetrators.57Io: more cows Another myth Della Porta mentions in his The Art
of Remembering —this time, as an imago agens for remembering the word
“horns”—is the story of Io.58 Her story is most pertinent because it concerns a
beautiful Naiad who is raped by Jupiter and subsequently transformed into what
Ovid describes as an extremely beautiful cow. In this shape, Jupiter wishes to
protect the girl he has violated from the wrath of his ever-jealous wife.
Unexpectedly, however, Juno likes the animal and receives it as Jupiter’s gift.
Suspecting some ruse from her husband, she proceeds to have the animal
protected by Argos, the moment in the story Della Porta employs as imago agens.
According to Ovid, Io did not lose consciousness of herreal identity but,
rather, terrified by her transformation, she seeks the company of her (human)
family. Io’s father suspects that the tame, suspiciously human cow is his
daughter. He exclaims in desperation that he had been “preparing and arranging
a marriage (thalamos taedasque praeparam I, v 558), hoping for a son-in-law
. . . now you must have a bull from the herd for husband, and your
children will be cattle (de grege nunc tibi vir, nunc de grege natus habendus.
v.660).” Eventually, Juno discovers Io’s true identity, her wrath subsides, and
Io is fully restored to her former human shape. Similar to Apuleius’ story of
Lucius in his Metamorphoses, Ovid describes Io’s transformations from human
being into cow and back again in great detail.59 Io’s story is constructed as a
set of inversions of the story of Europa. Jupiter approaches Io in the form of
a human being (not as a handsome bull) and he transforms not his own body but
that of the maid into the shape of a beautiful cow, a body in which the
sexually abused girl is deeply unhappy. However, the affinities between Lucius
and Io are even more striking; their stories appear as mirrored inversions
along the gender divide. Both their bodies are transformed into the shapes of
animals (a cow viz. an ass), both are beautiful and attractive in that guise (
Juno unexpectedly takes a liking to the cow, the noblewoman has sex with
Lucius), neither of them lose consciousness of their human nature and suffer in
their shape as animals (but Io seeks the company of her father, whereas Lucius
wants his girlfriend back), both are subsequently transformed into human shape
again, and both were originally transformed in order to escape imminent
persecution. (Io is turned into a cow by Jupiter in order to protect her from
Juno’s wrath, Lucius is mistakenly transformed into an ass in order to escape
from the law.) The specific aspect making the stories of Europa, Io, Pasiphaë,
and Lucius so significant for Della Porta’s The Art of Remembering is the
constant interplay of various but related inversions of plots. Indeed, this
method is intrinsic to the modes of transformation prescribed by this
particular art.60 Interchangeability arises from the set of oblique
inter-textual references and inversions of plots, as amalgamated in a given
imago agens.61 In the mode of synecdoche, an imago agens is designed to
represent an entire story in one image. This is a constitutive strategy of
Della Porta’s mnemotechnique, which aims at the thematic interconnecting of
persona/locus, imago agens, and memorandum. For example, a prostitute Della
Porta has slept with (persona/locus) in turn embodies Leda having sex with
Jupiter (imago agens) in order to remember the word bird (memorandum). Della
Porta’s personal (phallic) imagination thus becomes entwined with classical
myth. Within the positional logic of loci/personae in Della Porta’s The Art of
Remembering, therefore, Leda, Io, Europa, Pasiphaë, the Roman noblewoman, and
the female convict all become different imagines agentes into which one and the
same memorandum may be inscribed. Thus, the porous boundaries between human
beings and animals integral to Della Porta’s imagines agentes not only indicate
his personal taste for a bizarre and grotesque imaginary and his studiesin
physiognomy; they embody the basic principles of the Renaissance natural magic
tradition of which Della Porta was a late (yet inf luential) exponent. It
allows for a “syn-opsis,” a viewing together of very different stories that
bolsters one of the foundational tenets of Renaissance natural magic: the
universal drive for wholeness permeating the entire enlivened and sexualized
cosmos, where the male and female aspects strive to unite. By dint of his
profound knowledge of the occult sympathies and antipathies between things, the
natural magus has the power to tap and organize these cosmic erotic forces so
that he may produce his marvels.62 Within this Renaissance tradition, the human
imagination has not only a specific capacity of the soul for evoking and then
transforming images that originate from sensory perception. The human
imagination also had the power to shape the body it inhabited, as well as other
bodies.The formative power of maternal longings Renaissance natural magic
coopted an ancient belief in order to exemplify the extraordinary formative
powers of the human imagination. If a woman was exposed to a strong sensation
or harbored an intense longing during intercourse or pregnancy, this state was
thought to inf luence the formation of the embryo in her womb. Renaissance magi
thus believed that the image of its mother’s obsession was impressed on the
fetus and the future child would physically resemble the entity she had longed
for during intercourse. Della Porta makes direct reference to such ideas and
related practices. Initially, it appears that he is simply repeating the highly
popular theories on maternal longings encountered in authors as diverse as
Ficino and Castiglione.63 In the circular reasoning characteristic of natural
magic, this set of beliefs about the imagination also opened implications for
purposefully shaping future children, by positively conditioning the
imagination of the mother. A frequently repeated segreto for creating beautiful
children recommends exposing women during intercourse and pregnancy to
paintings or sculptures of beautiful children, inf luencing the future child’s
shape via beautiful imaginamenta.64 Della Porta refers directly to this
bedchamber practice: place in the bed-chambers of great men, the images of
Cupid, Adonis, and Ganymedes; or else [. . .] set them there in
carved and graven works in some solid matter, [. . .] whereby it may
come to passe, that whensoever their wives lie with them, still they may think
upon those pictures, and have their imagination strongly and earnestly bent
thereupon: and not only while they are in the act, but after they have
conceived and quickened also: so shall the child when it is born, imitate and
expresse in the same form which his mother conceived in her mind, when she
conceived him, and bare in her mind, which she bare him in her wombe.65 It is
fascinating that Della Porta’s two discourses on memory and on what one could
call family planning are also interconnected through his choice of
visualexamples, of imagines agentes. As in The Art of Remembering, we again
encounter the images of Adonis and Ganymede and of Cupid. Significantly, in
contrast to Della Porta’s The Art of Remembering, where predominately female
personae cater to male sexual fantasies, all of the images that Magia naturalis
prescribes for pregnant women are of beautiful boys. Della Porta’s ideas on the
power of maternal longings entail a creative female capacity to produce such
images in the shape of children; her imagination is engaged with the future. A
master of the art of memory, on the other hand, is engaged in recollecting the
past. Hence, the process in the pregnant woman’s imagination constitutes an
inversion of the process prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering:
the woman’s imagination allows a marble statue to come alive, whereas the
(male) master of the art of memory seeks to freeze the image of a living person
(preferably a sexualized woman) into an imago agens—that is, he turns the
figment to stone, symbolically killing the persona just when it appears to be
most alive. This excursion into beliefs about the effects of maternal longings
allows us to re-contextualize the mental process structuring Della Porta’s The
Art of Remembering. The imagination is a faculty of the human soul capable of
producing loci and imagines agentes, to be frozen into statues, into tableaux
vivants. The story of the maternal longings confirms Della Porta’s creed that
the human imagination can also materialize its products; in both cases, the
image may be unfrozen and directed back to its starting position to assume a
new pose. The master of Della Porta’s art of memory thus arrogates for himself
a phantasmatic power over life and death, inherently a much greater power that
the pro-creative capacity he has ascribed to women. The asymmetric gender bias
that emerges in this account is instructive. As in the story of Daedalus and
Pasiphaë, the art of memory also refers to the preeminent ability of the male
magus to create monsters through artificial cross-breeding, whereas the
imagination of a pregnant woman requires male protection and guidance to its
power to shape future children.Conclusion The evidence for my claim that
Porta’s choice of memory images in his The Art of Remembering is not arbitrary,
but instead it is closely related to the overreaching project he pursued as
author of texts on (and a practitioner of ) natural magic, physiognomy, and the
theater. A set of classical myths—Andromeda, Europa, Io, Pasiphaë, and
Aktaion—handed down by Ovid, parodied by Apuleius, and painted by Titian, was
put to a specific use in Della Porta’s The Art of Remembering. In the mode of
synecdoche, he instructs the reader on how to reduce an entire story to a
single imago agens (for instance, the image of naked Andromeda chained to her
rock). The imago agens thus functions as a synopsis of the entire myth. This
oscillation between the modes of synopsis and of synecdoche—entailing a
constant process of re-focalization—in effect constitutes the basic cognitive
operation in Della Porta’s The Art of Remembering. Since it reduces a whole
welter of ancientmyths to one common narrative, the mode of synecdoche
facilitates the perception of thematic or structural affinities between
different myths. Accordingly, a series of imagines agentes referring to very
heterogeneous stories allows a leveling in our perception of these different narratives
and their content. The mode of synecdoche is conducive to focalization on a
single topic via myriad topical affinities (which become highlighted in the
mode of synopsis). In Della Porta’s mnemotechnique, this re-focalization of a
series of stories may transpire not only through a heightening affinity, but
also in the mode of inversion (for instance, in the myths of Europa and
Pasiphaë). In The Art of Remembering, this results in the reduction of the
stories of Io, Pasiphaë, and Europa (as well as Apuleius’ asinaria Pasiphaë )
to the topic of women having sex with animals and generating monstrous
offspring (bulls, cows, asses). This topical affinity is also pertinent to the
relationship between of sexualized imagines agentes and memoranda (bulls, horns,
birds). The imagines agentes operate within the imagination of the master of
the art of memory. This particular mental faculty not only receives such
images; it also has the capacity to transform them into new images—images which
in turn have the power for transforming the human body. Not only does Della
Porta’s laboratory of monstrous hybridization constitute a hotbed for the
literary imaginary, but the literary image also models the reader’s
imagination, and once the imagination is infected by an image, these images may
acquire a life of their own. This reasoning has its ultimate proof in the
belief that a pregnant woman’s fantasies inf luence the form of the future
child. At the thematic intersections of literature, visual art,
physiognomonics, natural magic, the core topic—sex with animals and the
generation of monstrous offspring—becomes embedded (in the literal sense of the
word) with personal erotic experiences. The women who have intercourse with
animals are impersonated by the women with whom Della Porta has had—or wished
to have—intercourse. As mnemonic personae/loci and hence as slaves of his
erotic fantasy, they are forced to embody any role assigned to them by their
master. Della Porta is thus obliquely portraying himself in the process of recollecting
his own memories—living statues of women who have sex with animals who may be
seen as surrogates for him. In a series of constant mise en abimes mirroring a
phallic erotic imagination, Della Porta points his readers (and himself )
towards the center of a truly mannerist Minotaur’s abode.Notes I wish to thank
Marlen Bidwell-Steiner for many invaluable discussions and comments. 1 On the
art of memory, see Yates, The Art of Memory; Bolzoni, The Gallery of Memory;
Carruthers, The Book of Memory. 2 The Latin Ars reminiscendi was published
1602. L’arte del ricordare was purported to be the Italian translation by a
Dorandino Falcone da Gioia, but this was in all probability a pseudonym for the
author himself. Both texts are edited in Della Porta, Ars Reminiscendi: L’arte
di ricordare. For the first English translation of the Italian version and a
well-informed introduction to the text in English, see Della Porta, The Art of
Remembering/L’arte del ricordare. On the differences between the Italian and
the Latin versions, see in that edition Baum, “Writing Classical Authority”;
also Bolzoni, “Retorica, teatro, iconologia, 340, with footnote 5; Maggi,
“Introduction,” in Della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare,
29–30; Balbiani on the fortuna of Della Porta’s Magia naturalis in La Magia
naturalis. Bolzoni, The Gallery of Memory, 175. Valente, “Della Porta e
l’inquisizione.” On which see Kodera “Giambattista della Porta,” in Stanford
Encyclopedia of Philosophy. For a succinct and highly influential discussion of
the medieval technique of the art, see Rhetorica ad Herennium, ed. and trans.
Nüsslein, 164–80 (bk III, §§ 28–40, XVI–XXIV); Yates, The Art of Memory,
63–113. On the medieval use of memory images, Carruthers, The Book of Memory,
59, writes: “Most importantly, it is ‘affective’ in nature, that is, it is
sensorily derived and emotionally charged.” See also ibid., 109, 134, and 137.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 130–31. Della Porta, Ars Reminiscendi, 75. See
for instance Dolce, Dialogo del modo, 26–32. As Bolzoni, The Gallery of Memory,
p. 137 (with footnote 12) has pointed out, it is interesting to note that the
Ars reminscendi explicitly warns against the use of medicines or drugs for
enhancing the capacitances of memory, whereas in Della Porta had presented such
recipes in his Magia naturalis. Della Porta, Ars Reminiscendi, 68. On the
notion of phantasmata in Della Porta, see Kodera, “Giovan Battista della
Porta’s Imagination.” Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. See Dolce, Dialogo del
modo, 92 and the attendant notes directing the reader to medieval sources of
this method. Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. Dolce, Dialogo del modo, 33–34,
for example, does not try to assimilate the personae to the loci, but instead
distinguishes between them. Della Porta, Ars Reminiscendi, 17. It is
interesting to note that Della Porta does not seem to be picky about
terminology, as for him very different notions—similitudo, idea, forma,
simulacrum are synonyms with imago. Ibid., 79. Galileo loved exactly such character
traits in Ariosto’s heroes; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 211. Della
Porta, Ars Reminiscendi, 17–18. Bolzoni, The Gallery of Memory, 167 has pointed
to the fact that Della Porta is here quoting almost verbatim from Leon Battista
Alberti’s, De pictura, 2. 40, arguing that “the theatrical tradition becomes a
point of reference to the painter who has to paint an istoria.” For a
discussion of the number of loci from a different contemporary perspective see
Dolce, Dialogo del modo, 39–43 with many references to earlier sources.
Bolzoni, The Gallery of Memory, 162–63; Dolce, Dialogo del modo, 145, footnote
345 with much scholarly literature on the connections between the art of memory
and theater. Kodera, “Bestiality and Gluttony.” Clubb, “Theatregrams,” has
called these variable parts theatergrams. One possibility is to generate a
locus which is then invariably used, because it is recharged with new imagines
that have the capacity to store a new set of memoranda. Yet if this process of
re-inscription of the extant structure proves impossible, one must destroy the
entire setup. In order to do this, many masters of memory suggested methods
that were outright iconoclastic; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 142–44.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 18. Ibid. Carruthers, The Book of Memory, 131 on
the pictorial turn of medieval art of memory. Della Porta, Ars Reminiscendi,
76. Ibid. Ibid., 17–18.30 This otherwise puzzling imago seems to be a remnant
from a manuscript version of the Arte del ricordare, which refers as examples
for imagines agentes to one of Boccaccio’s Novellae, on Chichibio, of the
Decameron VI, 4 (Della Porta, Ars Reminiscendi, 77); in that version Della
Porta also mentions two more highly salacious stories from the Decameron (III,
10 and VIII, 7); see Della Porta, Ars Reminiscendi, 79 and 95; see also Baum,
“Writing Classical Authority,” 159. 31 The hero Hercules and the river god
Achelous were fighting over Deianeira, the daughter of Dionysius. During the
battle between the two rivals, the bull-headed river god turned first into a
snake and then into a bull, whose right horn is broken by Hercules; according
to one version, Hercules took that horn down to Tartarus where it was filled by
the Hesperides with golden fruit and is now called Bona Dea (cornucopia).
Graves, The Greek Myths, 553–54; Ovid, Metamorphoses, bk. IX, vv. 1–92. Observe
that the cornucopia appears in the next imago agens. 32 Della Porta, Ars
Reminiscendi, 18. 33 This increasing prurience is a general tendency in Della
Porta’s works and is probably due to the increasingly intolerant intellectual
climate characterizing the last decades of the sixteenth century; on this see
Kodera, “Bestiality and Gluttony,” 86–87 with references. 34 Della Porta, Ars
Reminiscendi, 77. 35 Della Porta here had openly referred to the myth, whereas
in the Ars reminiscendi he only alluded to it—namely, by describing the
iconography of one of Titian’s most famous paintings (the persona of a virgin
sitting and playing on a bull and holding a crown over the animal’s head). 36
In the Latin version the prostitute was substituted with the lover of one’s
wife. In the Latin version, ibid., 22, Leda is completely omitted. 37 The word
ucello (bird) denotes penis, with birds commonly looming large in all kinds of erotic
metaphors; on the semantics of ucellare (the word denoting prostitution,
ridicule, and penis) see Alberti, “Giove ucellato,” 59–64; for similar contexts
in Della Porta’s theater, see Kodera, “Humans as Animals,” 108–09. 38 Compare
Schiesari, Beasts and Beauties, 61–64 for perceptive remarks on the gender bias
of Della Porta’s Physiognomy. 39 Alberti, Della pittura, 122–24 (bk 2, §36) For
a discussion of the relevant passages, see for instance Heffernan, Cultivating
Picturacy, 71–73. 40 Bolzoni, The Gallery of Memory, 167. 41 Ovid,
Metamorphoses IV, vv 671–675; 112. 42 Apuleius, Metamorphoses: The Golden Ass,
Book ii, § 1, 22. 43 See Innes, “Introduction,” 19–24. 44 So does Dolce,
Dialogo del modo, 146-47, mentioning Titian’s Europa and Akataion. 45 Ovid, Ars
amatoria libri tres, 26–28, bk. I, v. 289–326, Ovid., Metamorphoses, bk. VIII,
v. 134–36; Graves, The Greek Myths, 293–94. 46 On Europa, see ibid., 194–97. 47
A caricature of the animation of statues by Egyptian magi, as described by
Hermes in the Corpus Hermeticum, an account which it is well known, and haunted
many renaissance minds; for a commented edition, Copenhaver, Hermetica. 48 A
labyrinth, i.e., an architectural structure designed expressly to get lost in,
as opposed to orderly architectural structures—and also the inversion of the
clearly represented structure of loci in the art of memory. 49 See Kodera,
Disreputable Bodies, 275–93 and Della Porta, De i miracoli, 23–25, bk I, ch. 9.
50 Della Porta, Natural magick, 43, bk 2, ch. 12. 51 Kodera, “Humans as
Animals,” 109–15; Della Porta, Magia naturalis libri XX, 76, bk II, ch. 12.
This passage is an elaboration of Aristotle on crossbreeding, from De
generatione animalium 4.3, 769b. In this case Della Porta’s credulity is
greater than that of many of his educated contemporaries, who were usually more
skeptical about the possibility of producing offspring through sex between
humans and animals. For a very interesting24452 53 54 55 56 57 58 59 60 61 6263
64 65Sergius Koderacontemporary discussion of the topic, which clearly
accentuates the ways in which Della Porta is bending his evidence, see Varchi,
“Della generazione dei Mostri,” 99–106. On this see MacDonald, “Humanistic
Self-Representation,” Kodera, Disreputable Bodies, and Schiesari, Beasts and Beauties.
Della Porta, Ars Reminiscendi, 78–79. Cf. Apuleius, Metamorphoses lib. X, §§
19–22. For a succinct introduction to that text, and relevant secondary
literature, see Kenney in Apuleius, Metamorphoses, ix–xli. Ibid., 84–186;
190–94, bk 10, § 19–23; § 29–35. Apuleius, Metamorphoseon, bk. 10, § 19, l. 3.
See Liliequist, “Peasants against Nature,” 408. On the increasing belief in the
real existence of such hybrid animals in the later Middle Ages, see Salisbury,
The Beast Within, 139 and 147. Ovid, Metamorphoses, bk I, vv. 588–662 and
724–45, Graves, The Greek Myths, 190–92. Just see the example of the
re-transformation: Ovid, Metamorphoses, bk I, vv 737–46, trans. Mary M. Innes,
48. For Lucius’ transformations into an ass and back again, see Apuleius,
Metamorphoses, 52, bk 3, § 25 and ibid., 202–03, bk 11, § 13–14. In that vein
of thought, many more things could be said also on the story of Hercules and
the bull-headed river god Achelous (on whom, see above, endnote 31). The Arte
del ricordare mentions not only association from the same (dal simile, Della
Porta, Ars Reminiscendi, 80 and 81) but also aggiungere, mancare, trasportare,
mutare, partire (ibid., 85) and trasponimento dal contrario (ibid., 95).
Kodera, “Giambattista della Porta,” 8–9 for a short introduction to the idea
that all things in the universal hierarchy of being are moved by the
(irrational) forces of attraction and repulsion they feel for one another.
Porta provides an impressive description of the macrocosmic animal, the male
and female aspects of which mingle in a harmonious and well-coordinated way;
cf. Della Porta, Magia naturalis, bk. 1, ch. 9. Della Porta, Natural magick,
51: “Many children have hare-lips; and all because their mothers being with
child, did look upon a hare.” For an earlier source see Ficino, De amore, 252.
For an introduction to the history of these seemingly widespread practices and
the related artwork during the Renaissance, see Jacqueline Musacchio, The Art
and Ritual of Childbirth, 128–39. Della Porta, Natural magick, 53.Bibliography
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London: Penguin, 1969.13 “O MIE ARTI FALLACI” Tasso’s saintly women in the
Liberata and Conquistata Jane TylusThe second half of Torquato Tasso’s
tormented life was taken up by his epic poem Gerusalemme liberata and the
painstaking revisions he made to it following its unauthorized publication in
1581. Posterity has canonized the 1581 poem rather than its more sprawling
successor, Gerusalemme conquistata, which Tasso proudly dedicated to Pope
Clement VIII’s nephew when he published it in 1593. Posterity notwithstanding,
Tasso claimed that his “poema riformato” was far superior to the earlier work
largely because of “the much more certain knowledge I now have of myself as
well as of my writings” (“la certa cognizione ch’io ho di me stesso e de le mie
cose”).1 One result of this new certainty seems to have been if not the
eradication of the Liberata’s female characters, at least the curtailing of
their inf luence.2 The enchantress Armida virtually disappears after Canto 13,
lamenting her failures to keep the Christian army’s strongest knight with her
forever, and no longer converting to Christianity as in the surprising end of
the Liberata. The princess of Antioch, Erminia, is denied her remarkable role
in the Liberata as the discoverer and healer of the Christian knight Tancredi’s
wounded body and the revealer of a secret plot against his captain, Goffredo.
Two extraordinary Christian women are completely excised from the Conquistata:
Gildippe, who dies fighting by her husband’s side in the Liberata’s twentieth
canto, and Sofronia, who offered her life to save the Christian refugee
community in a captive Jerusalem, and who, in turn, is saved by the Muslims’
most celebrated woman warrior, Clorinda. Only Clorinda’s tale is relatively
untouched—with the exception of her rescue of Sofronia. Both the Liberata and
the Conquistata tell of her strident independence and her baptism into her
mother’s Christian faith as she lies dying by the hand of Tancredi, who has
killed what he loved. This essay will not so much catalogue the Conquistata’s
many revisions as attempt to gauge the changing role of the female body in
Tasso’s epic practiceTylusand its relationship to Tasso’s growing ambivalence
about the status of the “arti fallaci” in his poetry—a phrase, as we will see,
that is uttered by the much altered character of Erminia toward the end of the
Conquistata. And even if Clorinda and Armida continue to stand out in their
memorable particularity in the Conquistata, they are joined by a new host of
women who exist largely to create a “dynamic that is reassuringly familial,” as
Claudio Gigante has observed, and who no longer possess the self-conscious
artfulness that characterized female characters in the Liberata.3 The contrast
allows us to see how potentially radical the Tasso of the Liberata was and at
the same time how his transformations of women in the Conquistata are tied to
his reconceptualization of himself as an epic poet.4 I will elaborate some of
these arguments by turning to developments that led to the Conquistata,
necessarily addressing selective incidents within both poems in order to depict
the nature of Tasso’s poetic transformation. One episode in particular offers
itself up for special consideration. It concerns a female figure in the
Liberata who has not attracted much attention, and who, as mentioned above, is
nowhere to be found in the revised poem: Sofronia.5 Willing to die in exchange
for the salvation of her fellow Christians, she is rescued and subsequently
exiled from Jerusalem. The contrast between this stirring episode in the
Liberata and its muted aftermath in the Conquistata could not be greater, as
the following pages will show. At the same time, they attest to what might be
called Tasso’s desire for the organicity of his revised epic, a poem in which
individual characters would be immune from the criticism launched against
Sofronia herself. For according to the Gerusalemme’s first readers, the episode
that centered on her in Canto 2 was “poco connesso” to the Liberata as a
whole.6 This lack of continuity, in turn, has a stylistic echo in the infamous
critique of Tasso’s language as “parlar disgiunto” or disjointed speech—a
disjointedness even Tasso acknowledged when he claimed to have learned it from
Virgil, admitting that it can tempt one to swerve dangerously from the “truth”
in its pursuit of fallacious artistries.7 The path toward wholeness in the
Conquistata thus marks a turn away from Virgil and toward the more narratively
f luid Homer, as readers of Tasso (and Tasso himself ) have readily
ascertained.8 But this path also goes through the body of the female,
inscripted into the Conquistata as bearer of a new epic model of integration
and personal loss. It is a body that the chastened Tasso, in his final critical
writings on his poetic output, may also have recognized as his own. * ** In the early
1680s, the prolific Luca Giordano executed a series of paintings for a Genovese
palazzo recently acquired by the nobleman Eugenio Durazzo. Among the works
Giordano designed for the entryway into a palace that was on the “must-see”
list of every foreign visitor to Genova, were portraits of the death of Seneca
and the Greek hero Perseus. But his paintings also featured a large canvas
depicting an event from the Liberata’s story of Sofronia, the brave young woman
who volunteers to die for her fellow Christians and who, along with the man who
loves her, is saved by Clorinda. Moved by the taciturn stance of thefemale victim
before her, Clorinda asks Aladino, Jerusalem’s king, to free the two Christians
in exchange for her promise that she will perform great deeds in Jerusalem’s
defense, and Giordano chooses to display this moment in his work9 (Figure
13.1).10 At the same time, Clorinda’s back is turned, so that the real savior
of the two Christians bound at the stake seems to be a painting of Mary which
angels are holding aloft—suggesting that Giordano’s work may also be about the
salvific powers of art. Mariella Utili has written of Giordano’s intent to
throw into relief the religious aspect of the story: “the exaltation of
Christianity, which had been the basis for the immediate success of Tasso’s
poem and which many other artists before Giordano had noted as well.”11 Yet with
respect to the episode of Sofronia and her would-be lover Olindo, who begs to
die with her, such a remark might seem ironic. For this story provoked almost
more than anything else in the epic the concerns of the poem’s Inquisitorial
readers, and in turn Tasso’s worries aboutFIGURE 13.1Luca Giordano, “Olindo e
Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).Photo credit: Zeri Photo
Archive, Bologna, inv. 110885.the extent to which its inclusion would threaten
the Liberata’s publication. So much so, that in a telling letter written on
April 3, 1576 to his friend and literary confidant Scipione Gonzaga he writes,
“Io ho giá condennato con irrevocabil sentenza alla morte l’episodio di
Sofronia” (“I’ve already condemned the episode of Sofronia to death, and my decree
is absolute”).12 Having barely escaped death at the hands of Jerusalem’s king,
Sofronia was condemned anew by Tasso. The reasons for this condemnation are
several, even as the episode contains within itself a germ of the process that
will define Tasso’s method in the Conquistata. One reason certainly has to do
with the painting which Giordano has f loating in the sky—a touch unaccounted
for in the Liberata itself, but prepared for by the odd narrative Tasso weaves
in the opening of Canto 2. For the catalyst that set off a tyrant’s rage,
leading him to sentence Jerusalem’s Christians to death, is indeed a work of
art: an image of Mary taken from the Christians’ church by the magician and
former Christian Ismeno, who is convinced of its supernatural abilities to
protect the walls of the city against the Crusaders. He places Mary’s picture
in a mosque so as to provide “fatal custodia a queste porte.”13 For reasons on
which Tasso coyly refuses to pronounce—(“O fu di man fedele opra furtiva, / o
pur il Ciel qui sua potenza adopra, / che di Colei ch’è sua regina e diva /
sdegna che loco vil l’imagin copra: / ch’incerta fama è ancor se ciò ascriva /
ad arte umana od a mirabil opra”; “It was either the work of a stealthy hand,
or heaven interposed its potent will, disdaining that the image of its queen be
smuggled somewhere so contemptible” [2: 9]14)—the immagine mysteriously
disappears from the mosque into which Ismeno has smuggled it. Certain that the
Christians have contrived to steal it back, Aladino plots for them universal
slaughter, until the beautiful Sofronia steps forward to take the blame so that
her people will not die, a confession the narrator describes as a “magnanima
menzogna,” a magnanimous lie. In a letter, however, written soon after he released
the poem to an official reading, Tasso seems fearful that the stolen immagine
has invoked the ire not of Aladino but of Silvio Antoniano, the Roman
Inquisitor and official in charge of granting the right of nihil obstat for
books published in Rome. Writing to Luca Scalabrino on a later occasion, he
continued to insist on excising the “episodio di Sofronia”: “perch’io non
vorrei dar occasione a i frati con quella imagine, o con alcune altre cosette
che sono in quell’episodio, di proibire il libro” (“I don’t want to give the
friars a chance to condemn the book because of that image, or because of any
other little things found in the episode”).15 Much of interest has been written
of the status of images in the aftermath of Trent, some of it in regard to the
poem’s second canto. As Naomi Yavneh has pointed out, Trent was preoccupied
with limiting the role that excessive popular devotion played in religious
life, and its stance on images was no exception: it perforce needed to clarify
the extent to which “immagini” were only the simulacri for the things to which
they pointed. As such, the importance of an object in referencing beyond
itself—its deictic function—was accentuated by the orthodox proclamations from
the 1570s and 1580s. One typical characterization of the post-Tridentine image,
although from the Seicento, is offered by the JesuitGiovanni Domenico
Ottonelli. He suggests that in gazing at a painting, “which represents
something other than the thing which it resembles, and from which it takes its
name” (“che rappresenta un’altra cosa, di cui tiene la simiglianza, e prende il
nome”), one must recognize that “while the image renders visible what is
invisible, the image is only worthy of honor by virtue of resemblance, not
substance.”16 Moreover, as Yavneh goes on to point out, in the episode from
Tasso’s Liberata, the transformation of the painting of Mary into a thing of
“substance”— i.e., it alone can save Jerusalem from harm—is initiated by the
renegade Christian, Ismeno, unable to leave his former religion completely
behind him (“Questi or Macone adora, e fu cristiano, / ma i primi riti anco
lasciar non pote; / anzi, in uso empio e profano / confonde le due leggi a se’
mal note”; “He adores Mohammed, as once he adored Christ, but cannot now
abandon the first way, so often to profane and evil use confounds the two
religions out of ignorance” [2: 2]). It is Ismeno who recommends that Aladino
place “questa effigie lor” of Mary, “diva e madre” or goddess and mother of the
Christian’s god (2: 5) into the mosque because of its talismanic status—an
idolatrous reading in which the Christians, who leave their offerings before
the “simulacro” do not, apparently, concur.17 One can only speculate as to what
about the “immagine” in Canto 2 might have angered Tasso’s inquisitorial
reader; the letter from Antoniano detailing his objections to the Liberata does
not survive. But it is striking that another vergine, Sofronia, proclaims for
herself the protective status Ismeno gave to the immagine of Maria. Her
sacrifice thus effects a substitution originally engineered by the apostate.
She too adopts the language of female uniqueness when boldly stating to the
king Aladino her “crime”: “sol di me stessa, sol consigliera, sol essecutrice”
(“I was the only one [who knew of it], one counselor, one executor alone”; 2:
23). When Olindo challenges Sofronia’s magnanimous lie, arguing that a mere
woman would be unable to carry out the theft, she insists again on her
autonomy: “Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede / di bastar solo, e
compagnia non chiede” (“I too have a heart, confident it can die but once. It
does not ask for company”; 2: 30). But Tasso links her in other ways to the
Madonna that Ismeno made into a singularly potent object. As commentators have
noticed, Tasso compares her to the stolen image when her veil and mantle are
roughly taken from her when she is led to the stake.18 Just as Mary’s image,
“enveloped in a slender shroud” (“in un velo avolto”; 2: 5) was seized
(“rapito”) by Ismeno, so are Sofronia’s veil and mantle seized from her
(“rapit[i] a lei [Sofronia] il velo e ’l casto manto”; 2: 26). And an allusion
to Mary’s face (“il volto di lei”) returns with “smarrisce il bel volto in un
colore / che non è pallidezza, ma candore” (“the lovely rose of [Sofronia’s] face
is lost in white which is not pallor, but a glowing light”; 2: 26). And yet the
resonances between Sofronia and an inimitable female figure do not end here.
Giampiero Giampieri has noted that the white coloring of Sofronia at the stake
is echoed eleven cantos later when Clorinda, the third vergine of the canto,
dies at Tancredi’s hands. This pale demeanor at death’s arrival in turn has its
haunting origins in the phrase accompanying the suicides of Virgil’smost
prominent female character, Dido, and the historical figure on whom she is
partially modelled, Cleopatra. These intertextual allusions thus trace an
unsettling historical trajectory, insofar as far from being “vergini,” unlike
their Tassian counterparts, both women are known for their sensuality and, in
Dido’s case, unrequited passion. At the same time, Clorinda, like Sofronia,
occupies the role enjoyed by Dido and Cleopatra before romantic liaisons led
them astray. They are all the singular, female supports of their people. When
Islam’s powerful woman warrior enters Jerusalem in Canto 2, Clorinda is defined
as the self-sufficient savior of a people that Sofronia and—according to
Ismeno—the immagine of Mary have been before her. In greeting Clorinda, Aladino
bestows on her the signal distinction of the warrior who alone can protect the
city (“non, s’essercito grande unito insieme / fosse in mio scampo, avrei più
certa speme”: “though a whole host should come to rescue me, I would not hope
with greater certainty”; 2: 47). Not only does he concede to her his scepter
(“lo scettro”) but he adds, “legge sia quel che comandi” (“let the law be what
you command”; 2: 48), an honor that prompts Clorinda to ask for her reward in
advance: the release of the two Christians.19 Even as Clorinda will exact
bloody penalties on the Christians who attack the city to which she pledges her
protection, this fantasy of female potency that begins in Canto 2 will be
eclipsed outside Jerusalem’s walls when Clorinda is killed by Tancredi:
Meanwhile they whispered of the bitter chance behind the city wall confusedly
till finally they learned the truth. At once through the whole town the bad
news made its way mingled with cries and womanly laments, as desperate as if
the enemy had taken the town in battle and f lew to raze houses and temples and
set the ruins ablaze. Confusamente si bisbiglia intanto del caso reo ne la
rinchiusa terra. Poi s’accerta e divulga, e in ogni canto de la città smarrita
il romor erra misto di gridi e di femineo pianto; non altramente che se presa
in guerra tutta ruini, e ’l foco e i nemici empi volino per le case e per li
tèmpi. (12: 100) The defeat of a city in wartime evoked in this moving simile
is the fate that Ismeno believes Jerusalem will avoid if Mary’s image is placed
in the mosque; that Sofronia believes her people will avoid if she dies at the
stake; and thatAladino believes his kingdom will avoid if Clorinda agrees to
defend his city. And the moment, of course, looks backward again to Virgil, and
to the demise of another city, Carthage, upon the death of another singular
woman. “The palace rings with lamentations, with sobbing and women’s shrieks,
and heaven echoes with loud wails—even as though all Carthage or ancient Tyre
were falling before the inrushing foe, and fierce f lames were rolling on over
the roofs of men, over the roofs of gods” (IV: 667–71).20 The “città smarrita,”
the urbs in ruin: in both Aeneid 4 and the Liberata, the figurative collapse of
the city, portrayed in a simile that reveals the grim devastations of war, is
tied to the death of a woman characterized as savior. And in both cases, the
two cities of these respective poems will be invaded by the enemy—one during
the Punic Wars that are only predicted in the Aeneid, the other in Canto 20 of
the Liberata. At the same time, the simile of Canto 12 following Clorinda’s
death can be said to silence the diabolical suggestion that women’s bodies
might be sufficient protection for Jerusalem’s community; or in rhetorical
terms, that the female body stands in an analogical relationship to the city
and can procure its health. Sofronia’s self less action in Canto 2 procures
temporary salvation for the Christians. But genuine salvation arrives only
eighteen cantos later, when Goffredo’s troops invade Jerusalem and secure it
for its “rightful” owners. In the meantime, Sofronia, like the Madonna’s image,
has been withdrawn forever from the poem. Following her rescue by Clorinda, she
does not refuse Olindo her hand in marriage, and with him and others “di forte
corpo e di feroce ingegno” (whose bodies are robust and spirits bold; 2: 55)
she is banished, so fearful is Aladino of having so much virtue nearby (“tanta
virtù congiunta . . . vicina”; 2: 54). Some of the banished wandered
aimlessly (“Molti n’andaro errando”; 2: 55) while others traveled to Emmaus
where Goffredo’s troops are gathered. Of Sofronia and Olindo, however, no more
is heard. All Tasso divulges of their fate is that they both went into exile
beyond the bounds of Palestine (2: 54). Such a finale to Sofronia’s sacrificial
offering ensures—intentionally, it would seem— that the episode is indeed “poco
connesso” to the rest of the poem. Inserted into the beginning of the Liberata,
the story of Sofronia operates as a virtually self-contained unit, ending with
its main protagonist banished from Jerusalem. That the episode can be said to
trace Tasso’s ambivalences regarding “tanta virtù congiunta” in not one, but
three, female characters, is suggested by both Sofronia’s and the immagine’s
summary dispatch from the poem—as though to insist on the heretical nature of
Ismeno’s view of the painting, and the women’s views of themselves, as
sufficient to protect a city.21 But there may be another link between the
exiled women and the immagine. The latter is both more and less than an icon:
it is a work of art, in ways which the woman themselves may replicate. Much of
the threat represented by Sofronia has to do with her inscrutability, which
mirrors the unknowability of the immagine’s fate and of the painting itself.
Moved by generosity and “fortezza,” Sofronia exits alone among the people (“tra
’l vulgo”) after Aladino orders the Christians’ houses burned. But as she
journeys publicly to meet the king, Tassointroduces some seemingly gratuitous
phrases: she neither “covers up her beauty, nor displays it,” and “Non sai ben
dir s’adorna o se negletta, / se caso od arte il bel volto compose” (“If chance
or art has touched her lovely face, if she neglects or adorns herself, who
knows”; 2: 18). Similarly, she is described in relationship to the young Olindo,
who has loved her desperately from afar, as either “o lo sprezza, o no ‘l vede,
o non s’avede” (“she scorns him, or does not see him, or takes no note”; 2:
16), and of her considerable beauty, she “non cura, / o tanto sol quant’onesta’
se ’n fregi” (“cares not for it, or only as much as required by honor’s sake”;
2: 14). Even as Tasso depicts her as a “virgin of sublime and noble thoughts”
(“vergine d’alti pensieri e regi”), he wastes no time in adding that she is
also “d’alta beltà” (2: 14), suggesting that we do not know whether Sofronia is
aware of her beauty’s effect on her admirers. In short, she is the product of
an artfulness that at once belies her sincerity and renders her inaccessibility
to public scrutiny even more pronounced. Indeed, Sofronia is impugned
throughout Canto 2 in various ways that can only force the reader to suspect if
not her motive—which emerges following her struggle to balance masculine
virility or “fortezza” and female modesty (“vergogna”)22—then at least her
self-presentation in a public space. And because she is a woman, “amore”
emerges as the vehicle through which her integrity can be compromised. Or as
Tasso says in introducing Olindo and in returning to the language used only
several stanzas before of the chaste image of Mary and its supposed ability to
provide “fatal custodia” to the gates of Jerusalem: “tu [amor] per mille
custodie entro a i più casti/ verginei alberghi il guardo altrui portasti”
(“although a thousand sentinels are placed, you [Love] lead men’s glances into
the most chaste of dwellings”; 2: 15). The uncertain status of Sofronia’s
agency and her inability to control the reception of her offer are highlighted
again after the king, furious over her assertions that she was right to steal
the image, orders her to be burned: “e ’ndarno Amor contr’a lo sdegno crudo /
di sua vaga bellezza a lei fa scudo” (“too slight a shield is womanly grace for
Love to f ling against the crude resentment of the king”; 2: 25): as though
she—or Love working through her—might cunningly be able to soften the tyrant in
his resolve. The manner in which Sofronia is tied to the stake—her veil and
“casto manto” stripped violently from her and used to tie “le molli braccia”
(2: 26)—and the ensuing appearance of Olindo beside her, “tergo al tergo,”
heighten the barely suffused sensuality of the preceding stanzas in which
Sofronia’s ambiguously constructed femininity has been a muted but persistent
theme. “O caso od arte.” This is the phrase that threatens to turn Sofronia
into the seductress Armida, who appears two cantos later at the threshold of
the Christians’ camp to lure the Crusaders away from war. Sofronia is no
Armida. Yet in depicting Sofronia’s inner conf lict between “fortezza” and
“vergogna,” while refusing to declare the extent of Sofronia’s artful
self-consciousness, Tasso highlights the problems that emerge when a woman
thrusts herself into the public gaze.23 The questioning presence of male
spectators, a group into which Tasso inserts the (male) reader by way of the
narrator’s interventions, ultimately pointsto the inability of Sofronia—and by
extension, of the immagine of Mary and of Clorinda, who has already unknowingly
inspired the passion of the Christian knight Tancredi—to control the effects of
her self-presentation. Like the Didos and Cleopatras before her, she is unable
to escape from the controlling system of gender that makes her into the object
gazed upon and fantasized about as though she were a work of art. At the same
time, what prevents Sofronia from becoming a martyr and hence giving her life
for her people is another woman, Clorinda: who at first appears to the populous
as a male warrior (“Ecco un guerriero [ché tal parea]”) but who is betrayed as
a woman by her insignia, the tiger. When Clorinda enters into the crowded
piazza where the two Christians are tied to the stake, she notes Olindo weeping
“as a man weighed down with sorrow, not pain” (“in guisa d’uom cui preme /
pietà, non doglia)” while Sofronia is silent, “con gli occhi al ciel si fisa /
ch’anzi ‘l morir par di qua giù divisa” (“her eyes so fixed on heaven that she
seems to be leaving this world before she dies”; 2: 42). Clordina’s response to
this sight—a Clorinda raised in the woods and led to disdain female pastimes
such as sewing and embroidery—is extraordinary: “Clorinda intenerissi, e si
condoles / d’ambeduo loro e lagrimonne alquanto” (“Clorinda’s heart grew tender
at this sight; she grieved with them, and tears welled up in her eyes”; 2: 43).
Such tenderness leads her to ask for the two Christians as a gift in advance of
her promised salvation of the city: a salvation, as we will soon know, she can
never achieve. Her pity for a woman like herself—at once self-contained and yet
vulnerable to others’ fantasies about her sexuality—breaks through the
religious and ethnic differences on which the Liberata as a whole depends, and
arguably questions for Muslims and Christians alike the very premise of the
war. Clorinda will be revealed later in the poem as the daughter of a Christian
mother, and in retrospect one might see her recognition of herself in Sofronia
as a premonition of her true identity. Yet, at this early point in the poem,
her alignment of herself with Sofronia, along with Tasso’s allusions to
Virgil’s fateful women, creates a potentially scandalous community of women
whose unpredictable and often unreadable actions threaten to undo the
transcendental militarism on which the poem is based. The crisis of the
immagine, in Ismeno’s feverish recasting of its significance, is like that of
the women who are endlessly substituted for it: complete within itself, it has
no deictic function, failing to refer beyond itself to heavenly powers.
Sofronia, too, points only to herself (“Sol essecutrice”), a presumed
self-sufficiency that Tasso’s narrator translates into inaccessibility. It
creates for Sofronia the same unknowable status of the stolen painting, and an
unknowability Clorinda can only admire, and in which she similarly partakes.
Tasso’s simile of the city that dissolves into f lames upon Clorinda’s death
ten cantos later is thus ultimately a failed simile. That he will go on to
banish all of his Christian women from the end of the Liberata suggests both
his attempt to contain the threat represented by the female figures of Canto 2
and his inability to integrate Christian and Muslim women alike into the
culminating events of the poem. Clorinda and Gildippe are dead, Erminia is in
an “albergo” somewherewithin the city, Armida utters words of conversion but
only on Jerusalem’s outskirts, and Sofronia has disappeared forever. To be
sure, on the one hand, Tasso’s poem generally refuses to allow any character to
stand in for the whole and thus represent the city, earthly or celestial, by
him or herself, as the belated “Allegoria del Poema” attests and as numerous
episodes involving Rinaldo and Goffredo suggest.24 In an early letter, Tasso
protests the custom of romance that allows single characters to decide the fate
of entire empires: “non ricevo affatto nel mio poema quell’eccesso di bravura
che ricevono i romanzi; cioè, che alcuno sia tanto superiore a tutti gli altri,
che possa sostenere solo un campo” (“In my poem, I don’t allow that excess of
bravura that the romance welcomes, in which one figure emerges as greater than
all the others, capable of defending the battlefield all by himself ”).25 To
this extent, transforming the painting of Mary or the body of Clorinda into
singularly protective forces copies the excess of romanzi which Tasso claims to
avoid. Only the uniting of Goffredo’s “compagni erranti” or wandering
companions under “i santi segni” can win for the Christians their city (1:1).
The liberation of Jerusalem is the work not of women, but of men; and not of a
single man, but many. On the other hand, unlike Goffredo or Rinaldo, these
“virtuous” women do indeed disappear from the poem, suffering the fate of the
“poco connesso” and summarily excluded from the larger body into which Tasso
incorporates his men in the “Allegoria.”26 Yet is such exclusion ultimately a
penalty? While at work on the Liberata, Tasso was penning his brief pastoral
play, the Aminta, where he experiments with the inaccessibility of a vergine in
the figure of Silvia, whose own near-violation while tied to a tree is
reminiscent, even in its phrasing, of Sofronia’s violent torture. The
Liberata’s “Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito, / stringon le molli
braccia aspre ritorte” (“they tear away her veil and her modest cloak, bind
hard her tender hands behind the back”; 2.26) echoes Silvia’s victimization at
the Satyr’s hands.27 But the exposure of Silvia’s and Sofronia’s bodies is in
turn contrasted with the degree to which they refuse to be contaminated by the
violence that surrounds them even as they are vulnerable to varying
interpretations of their sincerity. The fact that following their rescues
neither female character is seen again suggests an additional layer of
inscrutability, as though Tasso chose to protect the privacy of his vergini
from those who would compromise their virtue.28 Perhaps only in a world where epic
values— the seizing of Jerusalem from the renegade Ismeno and the infidel
Turks—are unequivocally positive can Sofronia’s premature departure be
construed as a loss, rather than a gain. The phrase used with respect to the
mosque from which Mary’s image is taken—“a vile place heaven holds in
disdain”—might stand in for the contaminated city as a whole that Sofronia
inhabits with other embattled Christians. Tasso’s own narrative gesture with
regard to all women of “fortezza,” Clorinda included, saves them from the
bitter militarism that informs the second half of his poem, preserving for them
a space offstage—or above it. But Tasso continued to ponder the ideal
relationship of the female body to his epic project, one which would rely on
integration rather than separation. Such integration demanded a very different
kind of poem from the Liberata, whoseMuslim male warriors, if not its women,
are diabolical figures from whom the city must be wrested. The Conquistata has
typically been glossed as a work that celebrates the Counter-Reformation Church
in all its militancy. But attentiveness to the new women of the revised poem,
beginning with a lamenting Mary who has stepped out of the painting to become a
character, may suggest otherwise.29 * ** Death appears
in the Conquistata’s opening stanza, where the triumphant prolepsis of
“compagni erranti” joining together under “santi segni” no longer exists, and
where the explicit allusions to the failures of hell, Asia, and Africa to
defeat the Crusaders is replaced by a description of how Goffredo’s military
feats “di morti ingombrò le valli e ’l piano, / e correr fece il mar di sangue
misto” (“filled the plains and valleys with the dead, and made the sea run red
with blood”). With death, there is mourning—and a world, as Tasso will call it
late in the poem, of “femineo pianto” female lament (23:117). And the first
evidence of female mourning that we see in Tasso’s “poema riformato” is that of
the Virgin Mary, who makes a surprising cameo appearance at precisely the moment
occupied in the Liberata by the episode with Sofronia. Threatened, as before,
by the impending arrival of Crusaders, Aladino decides that the Christian
community within the walls poses a danger, and in his rage swears to put them
all to death. A stolen painting no longer exists to provoke his anger, but
almost immediately the subject of that painting appears, as Tasso’s narrator
redirects our gaze from the cowering Christian citizens of Jerusalem to heaven,
in two entirely new stanzas: Holy Compassion, you did not keep your thoughts
hidden to yourself, as you gazed down from the celestial and sacred realm onto
the site where the King had lain buried, and at his faithful f lock. Thus:
“Lord,” you cried, “help, help—for now I alone am not sufficient to save their
lives.” Upon seeing those moist eyes—the eyes that had wept for her Son who
died on the cross—the Father said, “now let me turn my attention to their fear”
. . . and the savage man [Aladino] tempers his insane rage. Non fu ’l
pensier, santa Pietate, occulto a te ne la celeste e sacra reggia, donde
guardavi il luogo in cui sepulto il Re si giacque, e la fedel sua greggia.
Pero’: – Signor, gridasti, aita, aita, ch’io non basto a salvarli omai la vita.
Vedendo il Padre rugiadosi gli occhi di lei che pianse in croce estinto il
Figlio, – Vo’ – disse – ch’al Timor la cura or tocchi – . . . . [e]
Tempra dunque il crudel la rabbia insana. (2: 11–13) 30Thanks to this heavenly
intervention that happens in the blink of an eye (“ad un girar di ciglio”),
Aladino will “temper his rage” by burning the fields where the Crusaders might
have found food and by exiling, rather than killing, the faithful—excepting “le
vergini”—from Jerusalem, who depart in tears (“gemendo in lagrimosi lutti”; 2:
53). But their laments will not endure for long. When they come upon the
Crusaders in their camp, they offer their services to Goffredo and participate,
presumably, in the final attack on their former city in the closing cantos of
the new poem. As in Canto 2 of the Liberata, we have a threatened community,
and once again Mary figures in its protection. But for those familiar with the
Liberata, this episode in the Conquistata’s second canto represents a loss
rather than a gain, albeit a puzzling loss. Having omitted the episode of Sofronia
that apparently, he, and many of his first readers, found so troubling, Tasso
leaves us with the mere shadow of the women who once occupied the status,
rightly or wrongly, of Jerusalem’s saviors: a mourning mother. When Mary calls
upon God to temper Aladino’s wrath, she is gazing at a tomb: “il luogo in cui
sepulto/ il Re si giacque.” Jerusalem is a place of death, both past and
imminent, and Mary is not celebrating her son’s resurrection, but weeping for
his demise on the cross. Her grief is rehearsed again in the following canto in
stanzas also new to the Conquistata, where it will be shared by other
mothers—many of them Muslim. On tapestries which Goffredo shows the two
ambassadors who have arrived from the enemy’s forces—one of them, Argante, “intrepid
warrior” (“intrepido guerriero”; 2: 91)—is the thunderous defeat of Antioch,
which the Christians have just taken. Tasso lingers not over the victorious
assault on the city but on the artist’s attentiveness to women’s loss as they
watch their sons die below them: talented artist, you made the faces of their
mothers’ pallid and pale, for life no longer was welcome to them. From above
each one gazed at her dead child, who lay on the earth by enemies oppressed,
his head affixed to the enemy lance; and tears bathed their dry cheeks. And so
he created great variety among these images of grief . . . con viso
vi [il maestro accorto] feo pallido e smorto le madri, a cui la vita allor
dispiacque. D’alto mirò ciascuna il figlio or morto che tra nemici oppresso in
terra giacque, e’l capo affisso a la nemica lancia; e di pianto rigò l’arida
guancia. E variò le imagini dolente . . . (3: 48–9) The resulting
“istoria” tells of a “Città presa, notturno orror, tumulto, / ruine, incendi e
peste”, to which the artist adds “Fuga, terror, lutto, e mal fido scampo
/ . . . . e correr feo di sangue il campo” (“A city seized,
nocturnal horrors, tumult, ruin, firesand plague . . . flight,
terror, grief, and luckless escape, and he made the field run with blood”; 50).
Argante, the Christians’ enemy, is gazing on these images, and one could argue
that his perspective inf lects the presentation of the tapestries, much as
Aeneas’s grief in Book 1 colors his reception of the carvings in Carthage that
detail the fall of Troy. Yet, elsewhere in the descriptions, we hear of the
“pious Goffredo,” the “good Beomondo,” the “great Riccardo.” Moreover, the
direct apostrophes to the Christian reader (“Italici e Germani uscir diresti
. . .” [2: 17]) suggest that it is Tasso’s narrator—and Tasso
himself—who lingers over the mournful details. In fact, the singular
concentration on the Conquistata’s women as vehicles of lament suggests that
Tasso is far from making their response to loss yet another diabolically tinged
inspiration. Riccardo, formerly the warrior Rinaldo, now also has a mother, who
like Thetis, emerges from sea-depths to comfort her son when his friend Rupert
dies. The prayers of Riccardo in turn are carried by heaven to a female figure
who with tearful face (“con lagrimoso volto” 21: 74) asks God, as did Mary much
earlier, to bring aid by turning “your pitying face to my warrior” (“al mio
guerrier pietoso ’l ciglio”; 72). But as the scenes of the tapestry suggest,
women’s presence as mourners is most visible in the sections devoted to Argante,
scourge of the Christians, and in the Conquistata clearly meant to be a double
for Hector from Homer’s Iliad. To strengthen this parallel with the Homeric
poem, Tasso had to give Argante a wife to protest his going out into battle as
Andromache did with Hector, and a mother—and a Helen—who will mourn him when he
dies.31 In the Liberata, this “intrepido guerriero” was killed by Tancredi
after a bloody duel outside Jerusalem’s walls. The wandering Erminia, in love
with Tancredi, literally stumbles over the bodies when she is escorting the spy
Vafrino back to the Christians’ camp, and restores Tancredi to health with
pious prayers and herbal medicines. Argante is summarily ignored by the pair
until Tancredi insists that they carry his bloody corpse with them to
Jerusalem: “non si frodi / o de la sepoltura o de le lodi” (do not deprive him
of burial or of praise; 19: 116). But we hear no eulogies, nor do we witness
Argante’s burial, and he is as arguably isolated in death as in life. The
Argante of the Conquistata receives a very different fate after he dies at
Tancredi’s hands. His body is given to the women of Jerusalem, who eulogize him
at the close of Canto 23 as husband, father, and son, as well as fierce
protector of his city. This last role is given explicitly to him by Erminia,
rechristened Nicea in the Conquistata, who laments her inabilities to save him
in the plaintive cry “O arti mie fallaci, o falsa spene! / A cui piú l’erbe
omai raccoglio e porto / da l’ime valli e da l’inculte arene? / Non ti spero
veder mai piú resorto, / per mia pietosa cura” (“O my fallacious arts, o my
false hope! What use now the herbs that I gather and carry from the dark
valleys and the hidden sands? I no longer hope to see you risen, saved by my
compassionate healing”; 23:126). The woman who in the Liberata had collected
medicinal herbs for her beloved Tancredi, and who is addressed by him as
“medica mia pietosa” after she saves him from death, here reproaches herself
for having failed to rescue Tancredi’s enemy Argante. Ifshe saved Tancredi and
Goffredo—and the Christian cause—in the Liberata, here she can confess only her
failed arts, and in the context of prophetically imagining a future of grief
and destruction in the wake of Argante’s death: “Sola io non sono al mio dolor;
ma sola / veggio, dopo la prima, altre ruine, / altri incendi, altre morti: e
grave e stanca, / quest’alma al nuovo duol languisce e manca” (“I’m not alone
in my grief, but I alone can see after this first destruction, more ruin, more
fiery blazes, more deaths; and tired and heavy, this soul will languish and
expire, sickened by new sorrows”; 127).32 These three weeping women—mother,
wife, and friend whose arts cannot save a dead man—integrate Argante not only
into the life of the city and the family, but into the future, as the women who
survive him imagine their fates as vividly as the female survivors of Hector in
the Iliad imagine theirs. Or as Argante’s wife, Lugeria, laments, “Ne la tenera
etate è il figlio ancora, / che generammo al lagrimoso duolo, / tu ed io
infelici . . . / non vedrá gli anni in cui virtù s’onora, / Né la
fama tua” (“Our son whom you and I—unhappy— conceived only for tearful sorrow
is still in his tender years . . . he will see the years in which
virtue is bestowed on him, nor will he know your fame” (23:119). For herself,
she can envision only “foreign shores” (“lidi estrani”) and service in the
entourage of some proud, Christian lord. The lines closely follow those of
Andromache in the Iliad, much as the lament of Argante’s mother (“Difendesti la
patria, e palme e fregi / n’avesti, or n’hai trafitto il viso e ’l petto”; “You
defended our country, and had honors and laurels; now your face and breast are
pierced [by a lance]”) repeats that of Hecuba in Iliad 24. Thus just as in the
Iliad, as Sheila Murnaghan has written, female lament has the function of tying
the hero back into his community, while making it clear that the hero’s kleos
or fame is achieved at women’s expense.33 Such a constitution of a larger, more
sorrowful, poem can be allied in turn with Tasso’s new relationship to epic.
Even for a poet as relentlessly psychoanalyzed as Tasso, the creation in the
Conquistata of the familial contexts that Tasso may have longed for after the
death of his mother, never knew, may come as a surprise.34 Tasso’s redefinition
of the epic poet in his unfinished Giudizio del poema riformato, the last of
his critical works, may instead have been in response to those readers of the
pirated Liberata who complained about the inauthenticity of some of the
characters’ emotions that drove the poem. In particular, he argues forcefully
in the Giudizio for the new sentiment he seeks to generate throughout the
Conquistata: pity, or “la commiserazione e de la purgazione de gli affetti”
(“commiseration and purgation of its effects”; 165). With respect to Argante,
whom he explicitly declares to have now fashioned as “most similar to Hector”
(“similissimo ad Ettore”), he comments, where Argante earlier was not wretched,
now he’s completely so, because he’s been changed from a foreign and mercenary
soldier into the son of a king and a Christian queen, and has become the
natural prince of the city: defending his father, loving his wife, and constant
in his defense and in hisfaith; and so that pity that is denied him by
[Christian] law can be granted out of natural and human sentiment. dove la
persona d’Argante prima [nella Liberata] non era miserabile, ora è divenuta
miserabilissima, perché di soldato straniero e mercenario è divenuto figliuolo
di re e di regina cristiana e principe natural di quella città, difensor del
padre, amator de la moglie e costante ne la difesa e ne la fede; e però quella
pietà che si niega a la legge si può concedere a la natura ed a l’umanità.
(164) Arguing against the likes of Dion Crisostomos who complained about the
scenes of mourning in Homer (“Defunctum vero memoria honorate non lachrymis”
[“the memory of the dead are not honored by tears”]), Tasso strives for a
poetics “that is more humane and more appropriate to civil life” (“piú umana e
piú accommodata a la vita civile”), resisting not only Dion but Plato and the
Pythagoreans as “too rigid and severe” (“troppo rigida e severa”). Taking sides
with that “most excellent Aristotle,” Tasso argues for a poetry that will
motivate the sentiment of compassion “even for the enemy” (“ancora da’ nemici”;
178), and hence for the creation of a human community in which one takes stock
not so much of differing religious beliefs, but of the parallels that make all
humankind members of a single family. Thus, for example, the king Solimano is
to be considered not as the emperor of the Turks, but as a valorous prince and
father of a valorous and compassionate son. . . . If they were
deprived of the theological virtues, they did not lack natural virtue, nor
those bred by custom. non come imperator de’ Turchi, ma come principe valoroso
e padre di valoroso e di pietoso figliuolo . . . quantunque fosser
privi de le virtú teologiche, non erano senza le virtú naturali e quelle di costume.
(177) As a result, as Alain Goddard has observed, Solimano and Argante both now
fail to embody “a code of values opposed to that of strict Catholic orthodoxy”
(“un code de valeurs opposé à celui de la stricte orthodoxie catholique”)35 —a
failure that unleashes “a tide of ambivalence” despite the ideological claims
made throughout for Catholicism’s supremacy. And the figures who help to
generate such ambivalence and, in particular, compassion for those with
“natural virtues” are largely Tasso’s women, as the Conquistata shapes not only
a new definition of masculinity but a new role for its women.36 Tasso’s early
readers may have challenged the authenticity of Armida’s conversion, the
“saintliness” of Sofronia, the status of the missing “immagine,” and the
rationale for Erminia’s midnight foray into the Christian camp, and her
supposed self lessness when ministering to a wounded Tancredi.37 The
Conquistata seems dedicated rather to making female behavior transparent and
unquestionably sincere, a sincerity that Erminia/Nicea’s rebuke of her
“artifallaci” confirms. The ubiquitous female mourner, for whom Mary is
paradigmatic, embodies the essence of non -theatricality, conveying a spiritual
intensity which Tasso himself longed to experience as clear from his late
canzone to the Virgin, “Stava appresso la Croce,” in which he asks Mary to
become the guarantor of his own prayerful sincerity: “Fa ch’io del tuo dolor /
senta nel cor la forza” (“Grant that I may sense in my own heart the power of
your grief ”), and later in the poem, “Fa ch’l duol sia verace / e ’l mio
pianto sia vero” (“Enable my grief to be authentic, my lament sincere”).38
If—with the exception of Clorinda—there was no place for this expression of
commiseration in the Liberata, fixated as it was on the triumphant attaining of
the city, the Conquistata ensures with its weeping mothers and, on occasion,
fathers and friends, that we see Jerusalem’s conquest as mixed a blessing as
was the defeat of Troy. If the body recognized in the Liberata’s “Allegoria” is
an exclusively militaristic one, the corpus of the Conquistata is familial, in
which men are humanized, perhaps feminized, through their claims to having
mothers, wives, or children. In the meantime, Erminia’s pious arts of healing,
Sofronia’s daring sacrifice, and the immagine itself—aspects of feminine
“artistry” not easily assimilable to this model—are gone. * ** One final
glance at Luca Giordano’s painting may help to clarify the trajectory I have
attempted to chart throughout this essay. The interesting detail of Mary’s
image, lifted high above the scene of impending death, can be said to resolve
for Genova’s Counter-Reformation audience the identity of the “thief ” which
Tasso had left in abeyance. Clearly the “mano” that perpetrated the theft was
that of the queen of Heaven herself, who forcibly intervenes when her image is
placed in a mosque, and who exhibits her power by rescuing not only her
“immagine” but the brave Sofronia. Giordano restores Mary’s protective
immagine, letting us “see” it for the first time as he rescues Mary herself
from oblivion in a work that makes the exaltation of Christianity derive from
her comforting presence. To this extent, the painting confirms the overtly
Catholic structure on which the Conquistata insisted. But it does so by countering
the very notion, emphasized by Mary herself in the Conquistata’s new second
canto, that she is “not enough now to save their lives” (“io non basto a
salvarli omai la vita”). Perhaps the key word in the passage is “omai”: now, as
opposed to some earlier time when Mary presumably was sufficient. Reading
backward from Mary’s phrase in Canto 2 of the Conquistata, one emerges with a
nostalgic vision of female sanctity which the Liberata never intended to
confirm; but a vision which for Tasso may have resided in a not-so-distant past
before Trent, found in a work such as the Divina commedia, in which the Virgin
has power to do more than weep. Her compassion can be said to have generated an
entire poem, and it is thanks to her example that Beatrice is able to say to
Virgil in Inferno 2, “amor mi mosse” (“love moved me and made me speak”).
Giordano’s late seventeenthcentury painting willfully misreads the Liberata, as
it envisions a world in which Mary can glowingly transmit her power to the two
central women of Canto 2in the form of light radiating from her painting. The
work of art thus comes to possess a divine, unambiguously protective status
such as a renegade Christian, the wizard Ismeno, would confer on it—even if
Tasso himself would not. 39 This was a world that never did exist in the
Liberata. But that may finally be beside the point. Yet as Tasso tried to
create a poem “senza arti fallacy,” newly directed toward the compassionate
involvement of all its personaggi, Muslims and Christians alike, in the family
of the “vita civile,” Mary and the women like her enable a different kind of
salvation, albeit of a less dramatic kind. If threats of “parlar disgiunto” and
episodic discontinuity hang over the Liberata; if the three women of Canto 2
both embodied and actualized these threats, once we arrive at the inclusive
poem that is the Conquistata, the lonely isolation of heroic difference is no
longer a danger. And as a result, there are no more female heroes.40Notes 1
Tasso, Lettere, ed. Guasti, 5: 72; the letter is from July 1591, when he had
almost completed the Conquistata. 2 For a summary of how female characters
change in the Conquistata, see Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’”
236–38. Also of interest is Picco, “Or s’indora ed or verdeggia.” 3 See
Gigante’s introduction to Tasso’s Giudicio sovra la Gerusalemme riformata,
xlviii, as well as his discussion of the Giudicio and Conquistata in Tasso,
chapter 13. 4 That the female figures of the Liberata are intriguing mirrors
for Tasso himself is not a new argument; particularly in the wake of a feminist
criticism that has focused on Armida and Clorinda. In some cases, such as
Stephens’ article on Erminia (“Trickster, Textor, Architect, Thief ” or
Miguel’s “Tasso’s Erminia,” 62–75, a female character’s narrative and artistic
capabilities are put forth as convincing evidence for self-portraits of the
author/artist. 5 For two recent studies devoted to the episode of Sofronia,
Giamperi, Il battesimo di Clorinda and Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 270–94;
also see the few pages dedicated to Sofronia in Hampton’s Writing from History,
116–18. 6 Some early readers of the Liberata considered the episode “poco
connesso e troppo presto,” a point with which Tasso concurred; e.g., the letter
to Scipione Gonzaga from April 3, 1576; Lettere di Torquato Tasso, vol. I,
letter #61; 153. Molinari’s edition of the Lettere poetiche of Tasso contains
this letter with ample critical text; 374. The debate over the episode went on
for a period of many months in 1575 and 1576; see the excellent account of
Güntert, L’epos dell’ideologia regnante, 81–85. 7 The syntactic “difetto” or
defect that Tasso claims he learned from reading too much Virgil is that of
“parlar disgiunto”: “cioè, quello che si lega più tosto per l’unione e dependenza
de’ sensi, che per copula o altra congiunzione di parole . . . pur ha
molte volte sembianza di virtù, ed è talora virtù apportatrice di grandezza: ma
l’errore consiste ne la frequenza. Questo difetto ho io appreso de la continua
lezion di Virgilio . . .” (Lettere, vol. I, 115). Fortini calls
attention to the symptomatic crisis of “parlar disgiunto” in relationship to
Canto 2 in Dialoghi col Tasso, 81, describing it as “la frattura degli elementi
del discorso per ottenere maggior rilievo, maggiore drammatizzazione e
magnificenza.” 8 Tasso’s references to Homer in his Giudicio are extensive, as
are his spirited defenses of Homer against those who would call him a liar; he
often invokes Aristotle’s praise of the poet. 9 On Tasso’s impact on and interest
in the visual arts more generally, see Waterhouse, “Tasso and the Visual Arts,”
146–61 and, more recently, Unglaub’s Poussin and the Poetics of Painting and
Traherne’s “Pictorial Space and Sacred Time,” 5–25.Jane Tylus10 The image is
item 176 in the catalogue Luca Giordano, ed. Ferrari and Scavizzi. 11 See
Utili’s entry on Giordano’s Olindo e Sofronia in Torquato Tasso, 313. 12 From
the letter to Scipione Gonzaga of April 3, 1576; in Lettere di Torquato Tasso,
153; Lettere poetiche, 374. This came less than a month after Tasso had
informed Luca Scalabrino on March 12, that he was going to add “eight or ten
stanzas” to the end of the Sofronia episode, in the hope of making it seem
“more connected” (“che ‘l farà parer più connesso”); ibid., 339. 13 I use the edition
of Fredi Chiappelli; II: 6. 14 Translations of the Liberata are from Jerusalem
Delivered, trans. Esolen; occasionally modified. 15 Lettere, I, 164; also in
Letter poetiche, 406; italics mine. 16 Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 272–73.
17 Giampieri, Il battesimo di Clorinda, 27, has noted in the “casto simulacro”
of Mary a parallel with the famous Palladium of Troy: Mary’s image takes the
place of the Palladium, and this substitution is extended further when Sofronia
herself “porta quella salvezza che tutti si aspettavano dall’efige della
Madonna” once the Madonna is gone. 18 See Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 150,
as well as Warner, The Augustinian Epic, 86. 19 This line is echoed by Armida
eighteen cantos later, when she proclaims herself Rinaldo’s “ancilla,” and
observes that his word is her law: “e le fia legge il cenno” (20: 136).
Intentionally or not, the line brings us full circle to the missing image of
Mary, but reducing the supposed potency of that image and the women who mirror
it to a gesture of submission to a “conquering” Gabriel. 20 Virgil, Eclogues,
Georgiecs, Aeneid I–VI, 441. 21 The Judith echoes are relevant as well, on
which see Refini, “Giuditta, Armida e il velo,” esp. 87–88. But unlike Judith,
who dominates the second half of the apocryphal book of Judith, Sofronia and
Clorinda disappear long before the ending. 22 “A lei, che generosa è quanto
onesta, / viene in pensier come salvar costoro. / Move fortezza il gran
pensier, l’arresta / poi la vergogna e ‘l verginal decoro; / vince fortezza,
anzi s’accorda e face / sé vergognosa e la vergogna audace” (2: 17). 23 Eugenio
Donadoni remarked on Tasso’s “incapacità di ritrarre una santa,” and while he
doesn’t elaborate, he clearly has in mind the puzzling presentation of Sofronia
herself. Torquato Tasso, 324. 24 As Lawrence F. Rhu nicely puts it, the
“Allegoria,” first composed in 1576, probably functioned “as a guarantor of
acceptable intentions in the face of potential censorship . . .
rather than as a sure guide in the right direction for a comprehensive
interpretation of his poem”; The Genesis of Tasso’s Narrative Theory, 56. At
the same time, with regard to the conflict between the “one and the many,” the
poem, with its announced attention to bring together Goffredo and his “compagni
erranti,”and the Allegoria, focused on demonstrating how the bodies of the
(male) warriors are eventually incorporated within the body of the army,
seemingly speak with a single voice. 25 Lettere, vol. 1, 84. Interestingly,
Tasso will exempt Rinaldo from this rule. 26 On the possibility that Tasso
resists making his female warriors stronger than the men, see Günsberg, The
Epic Rhetoric of Tasso, 128: “female valour is described essentially in terms
of negative comparatives. This culminates in male supremacy over a femininity
that is already fragmented, and in an act characterized by sexual
overtones”—such as the deaths of Clorinda and Gildippe. 27 See Act III, scene
1, from Aminta, and Tirsi’s description of the Satiro’s would-be rape of
Silvia: She is tied with her own hair, to a tree, while “‘l suo bel cinto, /
che del sen virginal fu pria custode, / di quello stupro era ministro, ed ambe
/ le mani al duro tronco le sstringea; / e la pianta medesma avea prestati /
legami contra lei . . .”; lines 1237–42; from Opere di Torquato
Tasso, Volume 5: Aminta e rime scelte. 28 For a more sustained reading of the
Aminta and Tasso’s protectiveness of his two main characters, see my chapter in
Writing and Vulnerability, 82–95. 29 In truth, a more nuanced criticism of the
Conquistata has emerged in recent years, including that of Goddard and of
Residori, L’idea del poema, as well as in the recent article of Brazeau, “Who
Wants to Live Forever?” Yet critics have been overly hasty to dismiss the30 31
323334 35 3637 38 39 40265later poem as the project of Tasso’s new
Counter-Reformation orthodoxy. This may be the case, but surely only in part;
as the Giudicio and contemporary letters attest, Tasso was involved in a
continuing dialogue with ancient authors, and the Conquistata attests to his
desire to write a poem that creates more of a balance between opposing forces.
Gerusalemme conquistata, II: 11–12. Luigi Bonfigli’s edition, which comprises
part of his five-volume Opere di Torquato Tasso, regrettably has no notes;
there is still no fully annotated modern version of the poem. Shortly after
Argante’s death a trio of female mourners lament his loss in a passage taken
directly from Iliad 24; the fact that they appear in the Conquistata’s
twenty-third canto makes the connection structural as well as thematic. See
Stephens, “Trickster, Textor, Architect, Thief,” on Erminia, in which he talks
about Erminia’s imitation of Helen; while he finds in the Conquistata allusions
to Helen’s weaving (Canto 3), he does not consider the Homeric echoes in Canto
23. Also see my “Imagining Narrative in Tasso.” Murnaghan, “The Poetics of Loss
in Greek Epic,” 217: “As she gives voice to her role as the bearer of Hector’s
kleos, Andromache’s words fill in what Hector’s gloss over . . . [she]
insists that the creation of kleos begins with grief for the hero’s friends and
enemies alike. . . . Before it can be converted into pleasant,
care-dispelling song, a hero’s achievement is measured in the suffering that it
causes, in the grief that it inspires.” Ferguson’s Trials of Desire and
Enterline, The Tears of Narcissus explore psychoanalytic material. Goddard, “Du
‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’” 240n. I want here to make note of Konrad
Eisenbichler’s suggestive work with respect to new versions of masculinity
articulated in early modern Europe, and especially to his generous support of
the volume that Gerry Milligan and I edited for his series at the University of
Toronto, The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and Spain (Toronto:
Centre for Renaissance and Reformation Studies, 2010). The letters that take up
these various episodes, surely to be read in the larger context of Tasso’s
oeuvre, include a majority of the letters in Molinari’s Lettere poetiche, which
date from March 1575 through July 1576. Opere di Torquato Tasso, vol. V, 583.
See Traherne, “Pictorial Space and Sacred Time,” for a bracing discussion as to
why Tasso refused to indulge in any ekphrasis of sacred images in his work—as
in his late poem, Lagrime. In the Conquistata, Tasso adds eight stanzas (15:
41–8) representing a prophetic dream regarding Clorinda’s future baptism as a
Christian—a future less certain in the Liberata, when a number of verbs suggest
the possibility of an only apparent conversion (“pare,” “sembra,” etc.).Bibliography
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Press, 2005. Waterhouse, E.K. “Tasso and the Visual Arts.” Italian Studies 3,
nos. 3–4 (1947–48): 146–61. Yavneh, Naomi. “Dal rogo alle nozze : Tasso’s
Sofronia as Martyr Manqué.” In Renaissance Transactions: Ariosto and Tasso.
Edited by Valeria Finucci, 270–94. Durham, NC: Duke University Press, L’opera
poetica di Virginia Martini Salvi (Siena, c. 1510 – Roma, post 1571). Siena:
Accademia degli Intronati di Siena, 2012. The Sword and the Pen: Women,
Politics, and Poetry in Sixteenth-Century Siena. Notre Dame, IN: University of
Notre Dame Press, 2012.Books Translations Cecchi, Giovan Maria. The Horned Owl
( L’Assiuolo). Translated with an introduction and notes by Konrad
Eisenbichler. Waterloo: Wilfrid Laurier University Press, 1981. 2nd ed. revised
edition published in Renaissance Comedy: The Italian Masters. Volume 2. Edited
with introduction by Donald Beecher, 221–88. Toronto: University of Toronto
Press, 2009. Firenzuola, Agnolo. On the Beauty of Women. Translated with
introduction and notes by Konrad Eisenbichler and Jacqueline Murray. Philadelphia:
University of Pennsylvania Press, 1992. Savonarola, Girolamo. A Guide to
Righteous Living and Other Works. Translated and introduced byKonrad
Eisenbichler. Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies,
2003.Books Conference proceedings and essay collections Love and Death in the
Renaissance. Edited by K.R. Bartlett, Konrad Eisenbichler, and Janice Liedl.
Ottawa: Dovehouse, 1991.Konrad Eisenbichler Bibliography 269Desire and
Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West. Edited by Jacqueline
Murray and Konrad Eisenbichler. Toronto: University of Toronto Press, 1996. The
Premodern Teenager: Youth in Society, 1150–1650. Edited by Konrad Eisenbichler.
Toronto: Centre for Reformation and Renaissance Studies, 2002. The Cultural
World of Eleonora di Toledo, Duchess of Florence and Siena. Edited and with an
introduction by Konrad Eisenbichler. Aldershot: Ashgate, 2004.Articles and
essays “The Religious Poetry of Michelangelo: The Mystical Sublimation.”
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Reprinted in Michelangelo: Selected Scholarship in English. Edited by William
E. Wallace. Volume 5, 123–36. New York: Garland, 1995. “Agnolo Bronzino’s
Portrait of Guidobaldo II della Rovere.” Renaissance and Reformation/ Renaissance
et Réforme 24, no. 1 (1988): 21–33. “Political Posturing in Some ‘Triumphs of
Love’ in Quattrocento Florence.” In Petrarch’s ‘Triumphs’: Allegory and
Spectacle. Edited by Konrad Eisenbichler and A.A. Iannucci, 369–81. Ottawa:
Dovehouse Editions, 1990. “La carne e lo spirito: L’amore proibito di
Michelangelo.” In Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia (Università di
Siena), Volume 11, 359–70. Firenze: Leo S. Olschki, 1990. Published
contemporaneously in Antioco malato: Forbidden Loves from Antiquity to Rossini,
359–70. Firenze: Olschki, 1990. “Il trattato di Girolamo Savonarola sulla vita
viduale.” In Studi savonaroliani: Verso il V centenario. Edited by Gian Carlo
Garfagnini, 267–72. Firenze: Edizioni del Galluzzo, 1996. “Prima opera a stampa
di Savonarola: I consigli per le vedove.” Città di vita 53, vol. 2–3 (1998):
161–68. Published contemporaneously in Savonarola rivisitato (1498–1998).
Edited by M.G. Rosito, 65–72. Firenze: Edizioni Città di Vita, 1998. “Laudomia
Forteguerri Loves Margaret of Austria.” In Same-Sex Love and Desire Among Women
in the Middle Ages. Edited by Francesca Canadé Sautman and Pamela Sheingorn,
277–304. New York: Palgrave, 2001. “Savonarola e il problema delle vedove nel
suo contesto sociale.” In Una città e il suo profeta: Firenze di fronte al
Savonarola. Edited by Gian Carlo Garfagnini, 263–71. Firenze: SISMEL, 2001.
“Poetesse senesi a metà Cinquecento: tra politica e passione.” Studi
rinascimentali: Rivista internazionale di letteratura italiana 1 (2003):
95–102. Published contemporaneously in Rinascimento e Rinascimenti: Storia,
lingua, cultura e periodizzazioni, 95–102. Salerno: Università di Salerno,
2004. “Un chant à l’honneur de la France: Women’s Voices at the End of the
Republic of Siena.” Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme 27, vol.
2 (2003): 87–99. “At Marriage End: Girolamo Savonarola and the Question of
Widows in Late FifteenthCentury Florence.” In The Medieval Marriage Scene:
Prudence, Passion, Policy. Edited by Sherry Roush and Cristelle Baskins, 23–35.
Tempe, AZ: Arizona Center for Medieval and Renaissance Studies, 2005.
“Codpiece” and “One-sex theory.” In the Encyclopedia of Sex and Gender. Edited
by Fedwa Malti-Douglas, Jamsheed Choksy, Judith Roof, and Francesca Sautman, 1:
308 and 3: 1087. Detroit: Thomson/Gale, 2007. “Adolescents” and “Laudomia
Forteguerri.” In The Greenwood Encyclopedia of Love, Courtship, and Sexuality
through History. Volume 3: The Early Modern Period, 1400–1600.Konrad
Eisenbichler BibliographyEdited by Victoria L. Mondelli and Cherrie A.
Gottsleben, 6–8 and 94–95. New York: Greenwood Press, 2007. “Erotic Elements in
the Religious Plays of Renaissance Florence.” In Worth and Repute in Late
Medieval and Early Modern Europe: Essays in Honour of Barbara Todd. Edited by
Kim Kippen and Lori Woods, 431–48. Toronto: Centre for Reformation and
Renaissance Studies, 2010. “La Tombaide del 1540 e le donne senesi.” In
Alessandro Piccolomini (Sienne 1508–1579). À la croisée des genres et des
savoirs. Actes du Colloque International (Paris 23–25 septembre 2010). Réunis
et présentés par Marie-Françoise Piéjus, Michel Plaisance, Matteo Residori,
101–11. Paris: Université de la Sorbonne Nouvelle-Paris III, 2012. “Fils de la
louve: Blaise de Monluc et les femmes de Sienne.” Renaissance and Reformation/
Renaissance et Réforme 37, vol. 2 (Spring 2014): 5–18. “Sex and Marriage in
Machiavelli’s Mandragola: A Close(t) Reading.” Renaissance and
Reformation/Renaissance et Réforme -- abandoned women Abrabanel, Judah
Accademia degli Infiammati Accademia degli Intronati Actaeon Ad compascendum
(papal bull) adultery: as crime of violence cultural narrative in fiction legal
definitions of; locations of
prosecutions for and prostitution Aeneid aesthetics: and masculinity and
military prowess and social control agency: of courtiers female Agnoletto the
Corsican Agnolo di Ipolito Alain of Lille Alberti Alberti Albertoni Alessandro
de’ Medici Alexander the Great Alexander VI Altaseda Amadesi, Angela Aminta
(Tasso) anal penetration see also sodomy Andreoli, Andreoli androgyny Andromeda Angela of Foligno angels,
Carlini invoking animals, sex with Antoniano Apuleius Arenula Aretino and Il
Sodoma and Piccolomini Ragionamenti aristocratic behaviour Aristotle Armida
“arti fallaci” autonomy Averani badgers Baliera Ballerina Bandello Bandello
Bargagli Barolsky bastards beastliness Bechdel Test beffa Belforte Bell Bellini
Belvedere di Saragozza Bembo Benazzi Benedek Benedict Benedictine order
Bernardino bernesque poetry Berni Bernini bestiality see animals, sex with
Betta la Magra Bianco bigamy Bignardina birds: eating symbolising the penis
bisexuality blasphemy Blastenbrei Bocca di lupo Boccaccio Bollette see Ufficio
delle Bollette Bologna: Borgo degli Arienti Borgo di San Martino Borgo di Santa
Caterina di Saragozza Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore Borgo Nuovo di
San Felice Borgo Riccio Broccaindosso
men’s relationships with prostitutes in regulation of prostitutes in residencies of prostitutes in sausages of
Bolzoni The Book of the Courtier (Castiglione) arms and letters in dress and
aesthetics in homosexuality in on women’s behaviour Bossi Boswell Botticelli Bovio
Bràina Braudel Brizio Bronzino brothels see also prostitution Brown Bruno Buonacasa
Burckhardt burlesque literature Cady Camaiani Campi Campo di Bovi canon law
Canossa Capatti Capella Cappelli Cappello Capramozza Captain of Justice (Siena)
Caravaggio Caretta Carli Carlini: becoming abbess entry into religious life
imprisonment of investigation into marriage to Christ modern controversy over, sexual
contact with Mea spirituality of carne, multiple meanings of Carnevale
(neighbourhood) Carnival Carracci Carracci Castiglione castration Catherine de’
Ricci, Saint Catherine of Alexandria, Saint Catherine of Bologna, Saint
Catherine of Genoa, Saint Catherine of
Siena, Saint Cavedagna, Domenica Cazzaria (Vignali) Cellini Chauncey Chigi
family Christ: Carlini speaking as Carlini’s visitations from forgiving the
adulteress gender of loving union with Christianity: and eating meat and
masculinity and sexuality Circe Clarke Clement VIII Cleopatra clergy: sexual
violence by and sodomy Clorinda baptism of body of death of and Sofronia clothing: foreign and
masculinity and military defeat and sexual deviance Cockaigne, Land of Cohen Colieva
Colle Colloquies (Erasmus) “compagni erranti” concubines conjugal debt Connors Conquistata see
Gerusalemme conquistata convents: power of
prostitution and sexuality within Corio Cornaro Correggio cose brutte Cosimo cosmetics Council
of Trent and adultery 7and failed saints and images nunneries after and
sodomy Counter-Reformation court ladies
courtesans: in fiction idealized depiction of in Rome courtiers: ideal
sacrificing masculinity Crawford Criminal Judge (Siena) Cristellon Crivelli cross-breeding
cuckoldry Currie Cycnus Daedalus Dante d’Aragona d’Ascoli de Bertini de
Montaigne Decameron: adultery in Branca’s edition of culinary language in and
Dante and della Porta female heroines in Griselda and Gualtieri in and La
Raffaella Walter of Brienne in deceit, courtiers and de’Grassi della Porta Art
of Memory and myth and natural magic and nudity and Titian d’Este the Devil,
and sexual violence di Loli family of prostitutes Dido dildos discourse, and
social norms Dolce Domenidio, inn of Domitilla Donatello (Donato) Donina dress
see clothing Durazzo, ecclesiastical courts effeminacy: in clothing and military defeat Eisenbichler Elbl, Ivana
Elliott, Dyan embodied experience England, debts to Florence Ensler epistemological
caution Erminia/Nicea erotic forces,
cosmic erotica, learned essentialism Europa Fabritio faccia tosta fallacious
artistries Farnese the Farnesina female bodies see also genitals, female
Ferrante Ferrara Ferrari Ficino Finucci Fiorentina, Francesca Fiorentina Fiorentina
Fiorentina Fiorentini Firenzuola Florence: annexation of Siena bank failures in
conquest of Siena ghetto homosexuality in laws on sexual violence nobility and
tyranny in prostitution in sausages of
forgetting, art of fortezza Fortini Foucault Fra Bartolommeo France: in Book of
the Courtier humiliation of Italy
Francesco I Franchi Francis Franco Frangipane Franzesi Frassinago Freccero Fregoso
Fregoso Furlana Gabriel Galen Galianti Gallucci, Margaret gambling Ganymede
Garzoni gender: and art Foucault and Boswell on gender bias gender
nonconformity genitals: of animals female male mediaeval theories about
Gentileschi, Artemisia Gertrude of Helfta Gerusalemme conquistata (Tasso)
female characters in as orthodox and
Sophronia episode Gerusalemme liberata (Tasso) female characters in Sofronia
episode in Gesso Ghirardo Giampieri Giannetti Giannotti Gigante Gildippe
Giordano Giovanni Giudi Giustiniani gluttony Goddard Goffen Gonzaga gossip
Gozzadini Grandi Grazzini Gregory the Great Grosseto group sex Hadewijch Halperin, David 1Harvey, Elizabeth hearts,
gifting of Hercules Homer homoeroticism: between nuns in master-apprentice
relationship in religious imagery in in Renaissance Italian art in Sodoma’s
secular work homosexuality: among clergy clothing denoting in early modern
Italy Il Sodoma and in Renaissance scholarship Saslow’s use of term 203n5; see
also lesbians; sodomy honour: and adultery in Decameron male and sexual violence honour killings Il Sodoma (Gianantonio Bazzi) “Allegorical
Man” biography of early religious works historiography of later religious works
of painting of Catherine of Siena secular art of Iliad images: holy sexual
imagination, phallic imagines agentes imitatio Christi immagine see images,
holy impotence incest, laws on incontinence of desire inns, and prostitution
Inquisition instruments see dildos interdisciplinarity intersectionality
inversions Italian Renaissance: idealised image of scholarship on sex and
gender in Jews: and prostitutes in Rome Kodera La Raffaella (Piccolomini) and Aretino’s
Ragionamenti depiction of women textual sources Labalme labyrinth lactation,
miracle of Landriani Marsilio lavoratori Leda and the swan lenzuola Leo X Leonardo
da Vinci lesbians, use of term for
Renaissance women levitation Liberata see Gerusalemme liberata loci, in art of
memory Lorenzo the bathhouse worker love: in La Raffaella masculine Neoplatonic
discourse of Lucanica sausages Lucretia, wife of Cynthio Perusco Lucretia
(Roman heroine) Lucretia the madam Lugeria lust luxuria Machiavelli magic:
charges of and love natural Magrino male dress see also clothing, and
masculinity male solidarity malmaritate Malpertuso manly masquerade Mantuana, Chiara Marcutio,
Marino Marema, Caterina Margaret of Cortona Maria Maddalena de’ Pazzi, Saint
marital debt see conjugal debt marriage: arranged mystical and passion married
women, sexual laws about Martelli Martinengo, Maria Maddalena marvels Mary
Magdalene Mary mother of Christ: and Catherine of Siena in Gerusalemme
conquistata images of as mourner and mystical marriage Visitation of
masculinity: arms and letters in as conformity and courtiers’ self-presentation
Renaissance masturbation maternal longings Mattei Matthews-Grieco Matuccio Mauro
McCall McCarthy Mea see Crivelli, Bartolomea meat: eating and sexuality see
also carne; sausages memory, art of Messisbugo Michelangelo militarism Mills,
Robert Minotaur misogyny mixti fori
monogamy, serial monstrous offspring
Montalcino Montanari, Massimo Montauto, Federico Barbolani di Monte of
the Riformatori Monteoliveto Maggiore
Moroni, Doralice Moulton, Ian Frederick
Murnaghan, Sheila Muslim women mysticism: erotic physical signs of myths, classical naked
bodies: physiognomy of in Titian Negri Neoplatonism Niccoli Nolli Plan
normative codes Nosadella novelle nunneries see convents nuns: as brides of
Christ in fiction lust of clergy for and prostitutes sexual activities of
Office of the Night Olimpia Ordeaschi Ordinances of Justice Orsini Otto di
custodia Ottonelli Ovidio Paleotti Pallavicino Palloni, Agostino Panicarolo,
Pietropaolo panopticon Paolo Parabosco Parigi Parker parlar disgiunto parodies parties, prostitutes throwing
Partner Pasiphaë Pasulini Pater patria potestas Paul III Paul IV pederasty
pedagogical Pellizani personae, in art of memory Perusco Pesenti Petrarca version
of Griselda story Phaeton phallus, sexuality centred around the see also
genitals, male Philip II of Spain 3physiognomy Piazza Navona Piccolomini Oration
in Praise of Women see also La Raffaella Piccolomini Piéjus Pietro piety,
emotive register of pity Pius V Pizzoli Platina (Bartolommeo Sacchi)“poco
conesso” poetry, and homosexuality Ponce Pontano Poor Clares Porcellio pork:
poetic praise of social attitudes to pork sausage Porta Porta Procola Porta Stiera 56–7 postmodernism power, in
gender relations printing, transformative effects of procuresses prostitution:
behaviour associated with and courtesans and courtiers in della Porta evidence
of ex-prostitutes in fiction and Ludovico Santa Croce male men’s interaction
with female residential patterns in Bologna social and familial circles of Puff
queer studies queer visuality Querzola, Giovanna Randolph, Adrian rape see
sexual violence Raphael (Raffaello Sanzio da Urbino) Raymond of Capua reception
theory Reed re-focalization Renaissance Italy see Italian Renaissance
Renaissance scholarship, sexuality and gender in Renaissance sex Rice the Ripetta Rocke Rojas Roman
antiquity, effeminacy in Roman law romance Romantic Friendships Rome: adultery
trials in early modern street plan prostitution in regulation of illicit sex in
Renaissance demography of sexual bohemianism in Romoli Rosetti Rossi Rossi Ruggiero
Sacchetti Sacchi Romana Sack of Rome saints, failed same-sex eroticism see
homoeroticism San Colombano Santa Caterina di Saragozza Santa Croce Santa Croce
family Sarteano sausages Savi sbirri Scapuccio Schutte Sebastian Sedgwick self-expression
self-fashioning self-harm semen
sensuality: in Renaissance Italy and spirituality women known for Senzanome
Sercambi sex crimes sex ratio, in Rome sexual fantasies sexual identity sexual
innuendos sexual non-conformity sexual positions sexual violence: against women
and young girls against young boys in
art in classical myth by clergy laws on in Renaissance Italy sexuality: female
Foucault on male (see also phallus); and meat eating Neoplatonic discourse on
newer approaches to in poetry see also homosexuality Sforza, Caterina Sforza,
Galeazzo Shakespeare, William shrines, prostitution around sibille Siena:
administration of justice in Il Sodoma in sexual violence in Vasari on Simio Simon
Simone Simons sin, sexual single women, vulnerability of Sixtus V slander,
sexual social constructionism social control Socrates sodomy: defences of in
early modern Italy and meat preachers against regulating Roman laws on Sienese
laws against see also anal penetration; homosexuality; Il Sodoma Sofronia:
episode of Giordano’s paintings of inscrutability of Song of Songs Speroni Sperone
spirituality, sensual imagery Spisana Splenditello Spoloni sponsa spousal
violence, and adultery sprezzatura Stanton statues, living Statuta Stefani Stiera
stigmata Storey, Tessa strada dritta stufa subcultures Symonds synecdoche
synopsis Tagliarini Tarozzi Tasso “Allegoria del Poema” and female bodies
Giudizio del poema riformato and Sofronia episode Gerusalemme conquistata; Gerusalemme liberata
Taylor Tedeschi Teresa Terracina Tiziano Torre Sanguigna torture Toschi transgender
Traub, Valerie Trevisana, Margareta and Francesca Tridentine rules see Council
of Trent Tuscany, duchy of Tylus Ufficiali sopra la pace Ufficio delle Bollette
Urban VIII Ursini Usinini, Terenzio Utili, Mariella The Vagina Monologues 218
vaginas see genitals, female Vallati Vanna of Orvieto Vanni, Francesco Varchi, Benedetto Vasari,
Giorgio Venetiana, Vienna Venice: prostitution in sex crimes in Veronica
Giuliani, Saint Via del Portico d’Ottavia
Via Santa Anna Vicario
Vignaiuoli Villani, Giovanni Virgil
Virgil virtù: in Boccaccio in Tasso
Virtuosi visions, religious
visual culture Vives, Juan-Luis Walter of Brienne whores see prostitution witchcraft 1 see also
magic women: abuse of depictions in Renaissance culture honest and dishonest (see also prostitution); in the Intronati men
writing about men writing for 2in myth
published and unpublished texts by see also female bodies women’s
history word play Yavneh Zanetti Zanrè Zapata Zonta. Giovanni Battista Modio.
Modio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Modio” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e
Moiso: ROMOLO, o dell’implicatura conversazionale della filosofia della
mitologia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino).
Filosofo italiano. Grice: “I like
Moiso; I would think my two favourite of his treatises is one on the ‘filosofia
della mitologia’ (think Beowulf!) --; the other is a consideration on Goethe on
‘nature and her forms’ – having built my career on the natural/non-natural distinction,
it cannot but fascinate me!” Esperto
di storia della filosofia e della scienza di fama internazionale, ha insegnato
nelle Torino, Macerata e Milano. Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia
post-kantiana, con particolare attenzione al pensiero di Salomon Maimon,
l'idealismo tedesco, con ricerche su Kant, Fichte, Schelling e Hegel, Goethe e
l'età goethiana, Achim von Arnim, il concetto di esperienza ed esperimento nel
Romanticismo, la filosofia di Nietzsche nel suo rapporto con le scienze, il pensiero
di Mach. È stato membro della Schelling Kommission per l'edizione critica di Schelling.
Ha partecipato alla Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche di Rai
Educational con due interventi sulla La filosofia della natura tedesca e sulla "Scienza
specialistica e visione della natura nell’età goethiana". Presso l'Udine è
stato istituito il Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Morfologia. Fondamentali
per la ricerca filosofica e le oltre 100 pagine dedicate a “Pre-formazione ed epigenesis”,
in “Il vivente -- aspetti filosofici, biologici e medici,” – Grice:
“Interesting idea, ‘il vivente’ – we don’t have that thing in English, ‘a loose
liver’ --. Verra, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Caratteristica
degli suoi studi è la connessione tra ricerca storico-filosofica e impianto
teoretico, fatto particolarmente evidente in suo saggio su Schelling. “La
filosofia di Maimon” (Milano, Mursia); “Natura e cultura” (Milano, Mursia); “Vita,
natura libertà” (Milano, Mursia); “Pre-formazione ed epigenesi nell'età
goethiana, in “II problema del vivente” Aspetti filosofici, biologici e medici,
Verra, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana); Nietzsche e le scienze” (Milano, Martino)--
Grice: cf. ‘gaia scienza’ – “Tra arte e scienza” (Milano, Marino);“La natura e
le sue forme,” C. Diekamp (Milano,
Mimesis); “La filosofia della mitologia,” M. Alfonso (Milano, Mimesis); “Il
nulla e l'assoluto” "Annuario Filosofico", “Teleo-logia dopo Kant” in:
Giudizio e interpretazione in Kant. Convegno sulla Critica del Giudizio
(Macerata, Genova, Idee in Schelling, in IDEA Colloquio, Roma, Fattori e Bianchi (Olschki,
Firenze); Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà
umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper e O.
Höffe (Milano, Guerini); Le Ricerche:
una svolta in Schelling?, in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza
della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi (Milano, Guerini); “Dio
come persona,” in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della
libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario Pieper e
Höffe (Milano, Guerini); “I paradossi dell'infinito, in: "Romanticismo e
modernità", Torino, La scoperta dell’osso inter-mascellare e la questione
del tipo osteologico, in Giorello, Grieco, Goethe scienziato” (Torino, Einaudi);
“Schelling: il romano antico nella filosofia dell'arte, in "Rivista di
estetica", Torino, pensatore e narratore dell'Europa, Milano, Gargnano del
Garda, Milano: Cisalpino (Acme/Quaderni); E ho visto le idee addirittura con gl’occhi,
in: Goethe: la natura e le sue forme, atti del Convegno Arte, scienza e natura
in Goethe; Torino (Milano, Mimesis); C. Diekamp,
Experientia/experimentum nel Romanticismo, in Veneziani, Experientia” (Firenze:
Olschki); “L'albero della malattia -- motivi della medicina in età romantica,
in Atti della sofferenza. Atti del seminario di studi. Udine,. Casale e
Garelli, Itinerari, La percezione del
fenomeno originario e la sua descrizione, in: Arte, scienza e natura in Goethe.
Torino, R. Pettoello, In memoriam, "Acme", Alfonso, Matteo, In guisa
di introduzione. La filosofia della luce di Fichte, in "Rivista di storia
della filosofia,” Ivaldo, La fichtiana dottrina della scienza, In memoria
di M.. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", Ziche, "Un terzo più alto, la loro
sintesi comune". Teorie della mediazione, In memoria di Moiso. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", S. Poggi,
Dopo Schelling, dopo Goethe. lettore di Mach, La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", F. Vercellone, Da Goethe a Nietzsche. Tra
morfologia ed ermeneutica, in In memoria di M.. La filosofia della natura, in
"Annuario Filosofico", Giordanetti, Interprete di Kant", in
Rivista di storia della filosofia, Frigo, Natura della forma e storicità della
sua comprensione, testimonianze di colleghi e allievi, Torino, La responsabilità dell'uomo per la natura nel
pensiero degli scienziati romantici in Testimonianze (Torino, Trauben); F.
Cuniberto, Corpo e mistero, in Testimonianze (Torino, Trauben, M. Alfonso, I
corsi: una lezione di ricerca, in Testimonianze (Torino, Trauben); Giordanetti,
Il kantismo di Nietzsche, Testimonianze” (Torino, Trauben); L. Guzzardi, Tra
filosofia della natura e morfologia dei saperi: un ruolo per l'enciclopedismo,
in Testimonianze” (Torino, Trauben); Viganò, Morfologia e filosofia: la filosofia
della natura come "tropica" del reale, in Testimonianze (Torino,
Trauben); Potestio, Lo Schelling di Heidegger (Torino, Trauben); Mainardi, L'estetica pittorica di Friedrich, Testimonianze,
Torino, Trauben, Cazzaniga, La filosofia
dell'evoluzione, testimonianze Torino, Trauben, La natura osservata e compresa:
saggi in memoria, Viganò, Milano, Guerini,
Moro, In ricordo , in "Rivista di Storia della
Filosofia", antzen, In memoriam: In
ricordo, Università degli Studi di Milano, Sala Crociera Alta, La rivoluzione di Lavoisier, in Enciclopedia delle
Scienze, Goethe e la natura, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Goethe
poeta e scienziato, in Enciclopedia delle Scienze La ri-culturalizzazione della
scienza, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Scheda biografica su Mimesis.
Grice: “Plato is clear about this: other than predicated of ‘shape’ (forma),
‘beautiful’ has no SENSE! Moiso learned that from Gothe –problem with Goethe is
that he was interested in the German mandibule!” Grice: “Pliny understood this
best: it’s one boring thing to see Apollo Belvedere, larger than life. The good
thing is to see or experience a ‘symtagm’, such as ‘I lottatori’ della Tribuna
– a statuary group of two males – one may say there is ONE form in the
Lottatori – Goethe would say that each body is a form – and so there are two
forms. -- Francesco Moiso. Moiso. Keywords:
la morfologia e la fisiologia del vivente --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moiso” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mondin: l’implicatura conversazionale dell ritorno dell’angelo – la semantica
filosofica – semantica pel sistema G – interpretazione e validità -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Monte di Malo). Filosofo
italiano. Grice:“Trust an Aquino to
provide a systematic philosophy! Mind, I’ve been called a systematic
philosopher, too!” Grice: “At
Oxford, we are very familiar with angels – but only Mondin takes angeologia
seriously! Trust an Italian! Ponte Sant’Angelo comes to mind!” Dottore di Filosofia e Religione a
Harvard. È stato decano della Facoltà di Filosofia presso la Pontificia
Università Urbaniana di Roma. Mondin membro della Congregazione dei
Missionari Saveriani. Nei suoi studi, le principali figure di riferimento sono
state AQUINO e Tillich, da cui ha tratto l'ideale di un accordo e di un mutuo sostegno
tra filosofia e teologia. “Etica, Etica e politica, Filosofia,
Antropologia filosofica, Manuale di filosofia sistematica, La Metafisica di
Aquino e i suoi interpreti,” “Storia dell'antropologia filosofica” Antropologia
filosofica e filosofia della cultura e dell'educazione; “Epistemologia e
cosmologia; “Logica, semantica e gnoseologia; Ontologia e metafisica Storia
della metafisica, Storia della metafisica, Storia della metafisica,
“Ermeneutica, metafisica, analogia in Aquino; Storia della filosofia medievale
Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale Il sistema filosofico
di Aquino Corso di storia della filosofia, L'uomo: chi è? Introduzione alla
filosofia. Problemi, sistemi, filosofi La filosofia dell'essere di Aquino
Teologia, Piccolo trattato di mariologia “Il ritorno degl’angeli” -- trattato
di angelologia, Roma, Pro Sanctitate. Ospitato su archive.is. Dizionario
storico e teologico delle missioni Dizionario enciclopedico del pensiero di AQUINO, Essere cristiani oggi. Guida al cristianesimo
Il problema di Dio. Filosofia della religione e teologia filosofica La
cristologia di Aquino. Origine, dottrine principali, attualità Storia della
teologia Storia della teologia Storia della teologia Storia della teologia, Gli
abitanti del cielo Gesù Cristo salvatore dell'uomo La chiesa sacramento d'amore
La trinità mistero d'amore Dizionario dei teologi Introduzione alla teologia
Dio: chi è? Elementi di teologia filosofica Scienze umane e teologia Cultura,
marxismo e cristianesimo I teologi della liberazione, “Il problema del
linguaggio teologico dalle origini ad oggi” Filosofia e cristianesimo I teologi
della speranza I grandi teologi Professore
I grandi teologi Professore I
teologi della morte di Dio Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e
morale. Software Filosofia della cultura e dei valori Le realtà ultime e la
speranza cristiana Religione Nuovo dizionario enciclopedico dei papi. Storia e
insegnamenti Commento al Corpus Paulinum (expositio et lectura super epistolas
Pauli apostoli) La chiesa primizia del regno. Trattato di ecclesiologia Mito e
religioni. Introduzione alla mitologia religiosa e alle nuove religioni L'uomo
secondo il disegno di Dio. Trattato di antropologia teologica Preesistenza,
sopravvivenza, reincarnazione Teologie della prassi L'eresia del nostro secolo
Società Storia dell'antropologia filosofica Antropologia filosofica. L'uomo: un
progetto impossibile? Philosophical anthropology Una nuova cultura per una
nuova società. In ricordo di M.. Un
tomista ed "oltre" del XX secolo: M. di PMontini, Congresso tomista
internazionale, Roma, nel sito "E-
Aquinas" Studium thomisticum. Grice: “M. attempts a systematic semantics.
Rather he has a section on ‘semantics’ --. The expressions have to be used
carefully. System itself, should be used alla Gentzen, or as Myro does with
System G in my gratitude. A semantics for System G should include an
interpretation and provisions for validity and truth!” – Grice: “Most likely,
as most Italian philosophers who haven’t read me do – he uses ‘system’ and
‘semantic’ in a rather pompouns way!” -- Battista Mondin. Keywords. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Mondin” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mondolfo – la filosofia
romana – antica filosofia italica -- la filosofia italiana – Luigi Speranza (Senigallia). Filosofo italiano. Grice:
“Mondolfo is one of the few who have focused on ‘gli eleati’ as involving a
locus – pretty much as I do when I talk of Oxonian dialectic.” Grice:
“Mondolfo’s study of the politics of Risorgimento is good; especially since
every Englishman seemed to endorse it!” -- essential Italian philosopher. Like
Grice, Mondolfo believed seriously in the longitudinal unity of philosophy and
made original research on the historiography of philosophy, especially during
the Eleatic, Agrigento, and later Roman periods. Figlio
di Vito Mondolfo e Gismonda Padovani, una famiglia benestante di commercianti.
Aderisce alle idee marxiste e socialiste. Studia a Firenze. Si laurea con
F. Tocco, discutendo una tesi su Condillac dal titolo: "Contributo alla
storia della teoria dell'associazione", un saggio da cui saranno poi
tratti alcuni dei suoi primi saggi di storia della filosofia. Frequenta un
gruppo socialista. Insegna a Potenza, Ferrara, Mantova, Padova, Torino, e Bologna.
Consigliere comunale nelle file del Partito Socialista. Collabora con la
rivista "Critica Sociale" fino a quando viene soppressa dal regime
fascista. Compone "Saggi per la storia della morale utilitaria"
di Hobbes ed Helvetius”; "Tra il diritto di natura e il comunismo", "Rousseau
nella formazione della coscienza moderna", "Il materialismo storico
in F. Engels" (Formiggimi, La Nuova Italia) "Sulle orme di Marx".
E tra i firmatari del manifesto degli
intellettuali anti-fascisti, redatto da Benedetto Croce. Si dedica alla
filosofia italica antica. Ciò nonostante, pur in questo periodo, grazie alla
politica di Gentile che volle coinvolgere filosofi di diverso orientamento
nell'impresa, collabora con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Compone la
voce Socialismo. In seguito alle leggi razziali fasciste che vietavano agli
ebrei di ricoprire cariche pubbliche, Mondolfo scrisse il proprio curriculum di
benemerenze e vi inserì lo stesso Gentile come testimone il quale ha a propormi
per il Premio Reale di filosofia presso i lincei". Gentile autorizza
Mondolfo a citarlo tra i testimoni e tenta inutilmente di farlo ri-entrare tra
gli esclusi dalle leggi razziali. Costretto a lasciare l'Italia Gentile scrive
ad Alberini e lo aiuta a trovare lavoro in Argentina. Il suo archivio personale
è depositato in parte a Firenze presso la Fondazione di Studi Storici Filippo
Turati ed in parte presso Milano. Altre saggi: Sulle orme di Marx,” –
Grice: “Whitehead used to say that metaphysics has been but footnotes to Plato;
and Strawson used to say that to rob peter to pay paul you must show first that
pragmatics is but footnotes to Grice!” --
Grice: “But of course a footnote is not a footprint – only similar!” –
Grice: “While ‘footprint’ involves Roman pressum, ‘orma’ obviates that!”
-- Cappelli); “L'infinito nel pensiero
dei greci, Felice Le Monnier, La Nuova Italia); “Problemi e metodi di ricerca
nella storia della filosofia” (Zanichelli, La Nuova Italia, Firenze, Milano,
Bompiani, “Gli albori della filosofia in Grecia,” «La Nuova Italia», Editrice
Petite Plaisance, Pistoia,. La comprensione del soggetto umano nella cultura
antica, La Nuova Italia (Milano, Bompiani ). Alle origini della filosofia della
cultura, Il Mulino, “Il pensiero politico nel Risorgimento italiano,” Nuova
accademia, Cesare Beccaria, Nuova Accademia Editrice,. “Moralisti greci: la
coscienza morale da Omero a Epicuro,” Ricciardi, “Da Ardigò a Gramsci,” Nuova
Accademia, “Il concetto dell'uomo in Marx,” Città di Senigallia, “Momenti del
pensiero greco e cristiano,” Morano, “Umanismo di Marx. Studi filosofici, Einaudi,
“Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica, Lacaita, Polis, lavoro
e tecnica, Feltrinelli, Educazione e socialismo, Lacaita, “Gli eleati,”
Bompiani,. Note Vedi Paolo Favilli, Dizionario Biografico degli Italiani,
riferimenti in. Fu una delle prime donne
italiane a conseguire la laurea (cfr. Le donne nell'Firenze). Sposò civilmente
a Firenze in Palazzo Vecchio Cesare Battisti. La sorella di Ernesta, Irene,
sposerà Giovanni Battista Trener, per anni collaboratore di Cesare. Amedeo Benedetti, L'Enciclopedia Italiana
Treccani e la sua biblioteca, "Biblioteche Oggi", Milano, Enciclopedia
Treccani, vedi alla voce futuro di Cesare Medail, Corriere della Sera, Archivio
storico. «SOCIALISMO» la voce nella
Enciclopedia Italiana, Volume XXXI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Paolo
Simoncelli41. Paolo Simoncelli42.
Paolo Simoncelli43. Vedi Fabio Frosini, Il contributo italiano
alla storia del PensieroFilosofia, riferimenti in. Archivio, Inventari Stefano Vitali e Piero
Giordanetti. Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per
i beni archivistici. Archivio Rodolfo
Mondolfo. Inventari, Stefano Vitali e Piero Giordanetti, Roma, Ministero per i
beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici, Paolo
Simoncelli "Non credo neanch'io alla razza" Gentile e i colleghi
ebrei, Le Lettere, Firenze, L. Vernetti,
R. Mondolfo e la filosofia della prassi, Morano, E. Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel
pensiero socialista, Tamari); A. Santucci, Pensiero antico e pensiero moderno
in Mondolfo, Cappelli, Bologna); Bobbio, Umanesimo di Rodolfo Mondolfo, in
Maestri e compagni, Passigli Editore, Firenze 1984. M. Pasquini, Del Vecchio,
il kantismo giuridico e la sua incidenza nell'elaborazione di Rodolfo Mondolfo
(Alfagrafica, Città di Castello); C. Calabrò, Il socialismo mite: tra marxismo
e democrazia, Polistampa, Firenze); E. Amalfitano, Dalla parte dell'essere
umano. Il socialismo di Rodolfo Mondolfo, L'asino d'oro, Roma.
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su siusa.archivi.beniculturali,
Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
Opere Fabio Frosini, MONDOLFO, Rodolfo, in Il contributo italiano alla storia
del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Vita opere e
pensiero Diego Fusaro, sito "filosofico.net". Fondo Rodolfo Mondolfo
Università degli Studi di Milano. Biblioteca di Filosofia. Fondo Rodolfo
Mondolfo Fondazione di Studi Storici Filippo Turati. Italiani emigrati in Argentina – Antica
filosofia italica. La filosofia italica sin dai tempi antichi era cosi deita, e
quel che più monta, dai Greci stessi, e l'autorità non sospetta di un Platone e
di un Aristotele, che non la chiamarono con altro nome, ci sembra dar peso alle
ragioni di quanti la vogliono originaria, contro l'opposta opinione di chi tra
noi la dice portata dalle colonie greche. Comunque sia, certo è che in questa
seconda supposizione, l'Italia non perde tutto il suomerito, perchè la scienza
quisorse più splendida mercè il concorso del genio e il sussidio delle
tradizioni italiane. Le scuole di cui essa può menar vanto sono due, la di
Crotone/Ponto/Taranto e la dei velini. La setta di Crotone e fondata da
Pitagora, di cui si tiene incerta così l'origine come iltempo della nascita;
l'origine, perchè è dubbio s'ei nascesse à Samo della Ionia od a Samo della
Magna Grecia; il tempo, perchè chi lo vuol nato nell'anno 584 av. C.,chi nel
608,e chi ancor prima, ai tempi di Numa, il quale, come ciè noto, mori nel 672,
dopo quarantatrè anni di regno. Tra i filosofi che vi appartennero, chiamati
ancor essi pitagorici, con un ARCHITA di TARANTO (il più celebre di tutti), che
capitana più volte gl’eserciti, e non fu mai sconfitto, si ricordano un FILOLAO,
probabilmente di Crotone, un TIMEO di LOCRI, ed un OCELLO di LUCANIA. Taciamo i
minori o dimen nota dottrina, come LISIDE, CLINIA, EURITE, ZELEUCO, e CARONDA
-- i quali due ullimi, legislatori entrambi, di Locri l'uno, l'altro di CATANIA,
insigni rese l'efficacia che, per loro opera specialmente, ha allora la
filosofia negl’ordini civili, quando, mutata la forma, i governi regi si
convertirono in popolari. La setta di CROTONE ha vita dal bisogno di una
scienza, che, professata da uomini austeri e ornati di grandi virtû, e con
giunta all'operosità civile -- in ciò la consorteria pitagorica, chè tale fu
veramente, distinguesi dalle indiane -- serve di criterio per una riforma
riconosciuta necessaria in mezzo al guasto ognor crescente della religione, dei
costumi e della libertà; lo che ci spiega le persecuzioni a cui andò soggetto.
Scuola pitagorica. -Nuovo affatto è nella scienza il metodo recatovi dai CROTONESI.
Questo metodo -- e lo stesso dicasi del linguaggio -- è il matematico; il quale consiste
nell'applicare le idee di quantità alla natura interna ed esterna, ed al
principio sommo della medesima; metodo che, tutto essendo nel mondo capace di
numero e di misura, non sarebbe forse tanto strano quanto a prima vista appare,
se non fosse che i Crotonesi all'esperienza, che la verità ci rivela
nell'ordine dei contingenti, il più delle volte preferirono il ragionamento a
priori, error palese a chi consideri che dal concetto, per esempio, di circolo,
di triangolo, di pentagono, non si può argomentare che questi tipi si
effettuino in natura, e chi lo fa si espone al pericolo manifesto di costruire
da sè un mondo fantastico, un mondo che non esiste fuori della sua mente. Ma i crotonesi
sono educati allo studio delle matematiche; perciò non è meraviglia cheil
metodo di queste scienze trasportassero nelle regioni della filosofia. Il gran
problema metafisico dei CROTONESI riducesi adunque al seguente: trovare la legge
mentale della quantità effettuate nella realtà, e con queste salire alla prima
cagione. Ed ecco perchè tutto è numero nel loro sistema. I principi delle cose
sono i numeri. Un numero, una unità parziale è ogni cosa. Un numero, una unità
generale il loro complesso, cio è l'universo o mondo, il quale comprendendo in
sè tutti i numeri od unità parziali, à in sè la pienezza d'ogni grado di
entità, epperciò è decade; e la prima cagione, il principio di tutti iprincipi
delle cose, la causa che ad ogni altra causa antecede, è numero essa pure, ma
il numero per antonomasia, e quindi può chiamarsi l'unità, la diade, la triade,
il quadernario (o solido), il settenario e la decade. Ma lasciamo da banda
questo gergo simbolico, e vediamo che di sostanziale si peschi in fondo alla
dottrina dei Crotonesi, e come s'abbia a intendere la sua formula. Ogni cosa è
un numero. Che cosa è il numero per eccellenza, la Monade somma, infinita, il divino
dei Crotonesi? E che sarà l'essere individuo? Che cosa il mondo od universo? Il
divino èl'ente che in sè contiene la propria essenza e quella di tutti gl’esseri,
epperò tutti i contrari, cioè le cose più opposte e disparate (inito ed
infinito, dispari e pari, uno e più, positivo e negativo, quiete e moto, luce e
tenebre, bene e male, ecc.), ed inoltre la moltiplicità loro insieme concilia,
risultandone una suprema unità, un'armonia universale. Il divino, insomma, è
l'unità suprema di tutti icontrari. Le cose particolari, gl’esseri derivati da lei
sono immagini sue, epperò consteranno anch'esse di elementi contrari, a unità
ed armonia ridotti; dunque ogni essere è un numero ed armonia parziale. Poni
assieme tutti questi numeri, tutti gl’esseri finiti, e in modo che i contrary non
cozzino, ma formino un solo numero , una sola unità vastissima, immagine
essa pure della monade divina. Tale il mondo od universo dei crotonesi, il
quale e l'assieme dei contrari, non già nell'unità somma inesistenti, ma in
atto e dal divino ridotti ad armonia. Ora, in qual modo la generalità dei
contrari, cioè la decade, il mondo in esi steva nell'unità per eccellenza, nel
divino? Qui crotenesi tacciono, di modo che nulla di positivo e certo può
rilevarsi dalla loro dottrina. Bensi e'ci apprendono come l'universo o mondo si
venisse formando per ispirazione od aspirazione.La monade universale e suprema,
contenente in sè le unità particolari, da principio e una, continua, indivisa,
ma non indivisibile, e da ogni parte circondata da un vuoto immenso; il quale, aspirato
da essa,come l'aria entra nei polmoni, si introduce fra i contrari,ossia fra le
monadi particolari, e cosi separandoli, individuolli, e produsse la grande
moltiplicità delle cose mondiali. La formolaesprimentel'armoniauniversale
(tuttoènumero) per la scuola pitagorica può dirsi il principio di tutta la filo
sofia, dappoichè essa l'applicò in tutti tre gl’ordini --metafisico, logico e
morale. Che cosa è l'anima umana , la quale, dice Filolao, giace nel corpo come
in un sepolcro? Risponde il crotonesi: un numero, un'armonia, insieme
conciliando essa due contrari, cioè i sensi e la ragione, che sono ilnegativo
ed il positivo, l'irragionevole ed il ragionevole. E la verità, la co gnizione
che cosa è mai ? Un numero, un'armonia, come fuor dell'armonia è l'errore,
essendo che per l'acquisto della medesima cooperano gli stessi contrari,
quantunque la ragione si spinga più oltre dei sensi, i quali non escono dalla
sfera dei contingenti o fenomeni. E che sarà, infine, la virtù? Un numero,
un'armonia, che risulia anch'essa dall'accordo dell'irragionevole col
ragionevole, essendo la virtù riposta nella soggezione dei sensi all'impero
della ragione, toltalaquale, all'armonia sotten traladisarmonia, alla virtû il vizio.
Vadasè che la virtù ci rimena alla monade suprema, all'ordine od armonia
universale, che d'ogni essere è principio e fine. Critica. Bene esaminando la
dottrina dei crotonesi, si scuopre nella medesima un error capitale, che à per
sorgente l'abuso del metodo trascendentale, come quello che li condusse a
trasportare nell'ordine delle realtà le astrazioni della matematica, e a
concepir il divino quasi unità generica o numero per eccellenza, che è come
dire quale un'essenza in cui si contengono e si immedesimano le cose tutte quante.
Nè a salvarli dal panteismo implicito bastano le alte verità frammischiatevi, eladichia Senofane,
schernitore dei politeisti, i qualiammettono più dei, e degli antropomorfisti,
che li fingono a loro immagine e somiglianza, insegna che il divino è
potentissimo, uno ed eterno; potentissimo, perchè egli è l'ente (entità, forza,
energia e potenza per la scuola italica sono termini sinonimi). Uno, perchè,
tra più dèi uguali, nessuno è potentissimo per l'uguaglianza, e se inferiori,
nessuno è potentissimo per inforiorità; eterno, perchè l'ente non può non
essere, e il non ente non può divenire. Si fosse egli qui arrestato! ma fra gli
altributi divini ne annovera un quinto, dal quale poi con falsa logica deduce
una (1) Colonia ionica di Elea. (2) Velia ha un'altra scuola, fondatavi da
Leucippo e Democrito, i quali spiegavano la formazione del mondo con ammettere
nel vacuo immenso una infinità di atomi eterni, il cui fortuito accozzamento
avrebbe dato origine a tutte cose (atomismo). Questa scuola,chiamata fisica,non
siconfonda coll'eleaticasemplicemente detta, e denominata anche metafisica per
distinzione. Uno razione di Filolao, Dio essere imperatore e duce sommo,
ed eterno, potentissimo, supremo e diverso dalle altre cose; per chè d'uopo è
che accetti le conseguenze chi non rinunzia al l'erroneità dei principi. E
l’erroneità del principio pitagorico sta appunto nel far di Dio un tutto, un
numero che comprende in sè ogni altro numero. « Il sentimento religioso e
morale, scri ve il dottissimo Bertini (Idea d'una filosofia della vita) induce
va i Pitagorici a collocare Dio molto al dissopra del mondo;ma il fato della logica
li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza, e ricacciavali nel
panteismo ». La scuola eleatica ebbe tal nome da quello della città dove sorse,
poco dopo la di Crotone, per opera di Senofane, che, nato a Colofone della
Ionia tardi migra di là per l'invasione della patria,e venuto nella Magna
Grecia, prenfr stanza in Velia, e vi morì nella grave età di oltre a cent'an
ni.- SenofaneebbediscepoloParmenide,eParmenideZenone, buon patriota, che,
condannato a morte da un tiranno, corag giosamente sostenne ilsupplizio.Questi
due,d'Elea entrambi, con Melisso di Samo, il quale capitano gl’Italioti contro
Pericle, continuarono la dottrina del primo, e vi dettero forma più rigorosa,
se non incremento. D'altri nomi più famosi non la menzione la storia della
filosofia eleatica. Una dottrina si ripugnante al senso comune non poteva
menarsi per buona; perciò si levarono a impugnarla e combat terla gli
empiristi, o fautori del metodo a posteriori, sostenendo contro gli Eleati
el'esistenza reale di sostanze finite, e la loro contingenza e varietà, e la mutabilità
loro, attestata dall'evidenza dei fatti. Zenone, quel valente Zenone che
Aristotele riconobbe quale inventore della dialettica -- scienza ed arte di
ragionare e disputare -- come lo fu senza dubbio tra gli Occidentali, a sua
volta non lascia senza difesa la filosofia della sua scuola e del suo maestro, anzi
incalzò gliavversari con molta lena e con buona copia d'argomenti diretti a
dimostrare, per una parte la fallacia dei sensi e l'autonomia della ragione,
per l'altra, e con sofismi ad homincm , che l'empirismo, ilquale all'autorità
della ragione oppone quella dei sensi, contiene in sè contraddizioni ben più
gravi di quelle che si dicevano implicite nella metafisica eleatica. Ed allora,
se la memoria non ci falla, sorse la prima delle po lemiche che, per la loro
importanza, ànno meritato una pagina nella storia della scienza. ~ Famoso
argomento di Zenone deyto l'Achille. strana conseguenza: l'ente è tutto
od intiero, epperò nulla a lui può aggiugnersi; donde segue che nulla può
incominciare ad essere.Qui l'error di illazione, il sofisma del conseguente è
manifesto; quanto viene all'esistenza è forse un che d'aggiunto
all'infinitudine divina? D'altronde, se nulla può nascere o di venire, che
pensare degli esseri contingenti e mutabili, cosi detti perchè nei vari momenti
del tempo sono e non sono, e mutano continuamente ? Senofane se la spicciò
nettamente con negare a dirittura l'esistenza delle sostanze finite, e
sentenziò: « Tali cose non ànno altra vita fuorchè l'apparenza, ed appartengono
all'opinione. O che! sarà dunque menzognera sempre la voce dei sensi ? E ci
ingannerà di continuo l'intimo sentimento ? Che si, rispondono in coro gli
Eleati , quanto ci rilevano i sensi altro non è che illusione; e la ragione è
il mezzo unico per giungere al vero; e il vero è che tutto è uno, e l'uno è
tuito. Critica. Ma l’arte dei Zenoni, che con sofismi strani pro pugnano la
falsità del vero, e quel che è più, l'incertezza del l'evidente, e, prova non
dubbia di grande acume, perfin riesco no a dimostrare, contro la possibilità
del moto, che nella più rapida sua corsa il più celere cavallo non raggiungerà
mai una tartaruga,quantochè tardissima, la quale anche di poco la pre ceda
("), tutta l'arte dialettica, ripeto, non sarà mai da tanto che possa
collocare sopra una base solida isistemi della scuola Filosofia
presso i Greci antichi. Principio, mezzo e fine; infanzia,virilità e
decrepitezza, o decadimento, ecco i tre stadi o periodi, le tre età dell'antica
fi losofia greca. Tra il principio e la fine corrono ben sette secoli,
all'incirca; ma noi li percorreremo in minor tempo, se non ci manchi lena. da
l'alete a Socrate. La prima età della filosofia greca antica incomincia con
Talete, e termina al comparire della filosofia socratica. Talete, già è delio,
nacque 600 anni av. C. e Socrate nel 170 ; qui dunque abbiamo press'a poco un
periodo di centotrenť anni, durante i quali sorsero due scuole, la ionica e la
sofistica; le quali, aggiunte alla pitagorica ed all'eleatica, ci dànno in com
plesso l'antica filosofia designata col nome di italo-greca. Scuola ionica.
Fondata in Mileto della Ionia, sua patria, da Talete,primo tra i filosofi greci
conosciuti, ma forse non tale veramente, que sta scuola è, come vedremo, la men
filosofica di tutte le pre cedenti. Nè la ragione è difficile a comprendersi da
chi sappia che la scienza ebbe allor contrari i voluttuosi costumi e la ser
vitù di quelle cit tà, soggette ai Lidi ed ai Persiani, e che , a
giudicarnedalsilenzioe dai pochi cenni della storia, coloroi quali la
professavano erano ben lontani dalle virtù che adorna vano i pitagorici; virtù
che col venir meno a poco a poco, pois cleatica; e sono tre: l'idealismo
logico, perchè si nega l'au torità dei sensi, per riconoscere soltanto quella
della ragione; l'idealismo metafisico, perchè si esclude la materialità,
ilmolte plice ed ogni mutamento; e, conseguenza di ciò, ilpanteismo, che
ammette la sola esistenza dell'ente immutabile ed eterno, e cosi rimuove ogni
concetto di creazione. Il primo nacque colla scuola pitagorica,mada Senofane fu
recatoasistema ;ilsecon do venne accolto dagli Eleati per evitare le
contraddizioni della medesima, che nell'uno identificava le cose più opposte;
il terzo sidirebbe comune alle due scuole,se non fosse che nell'eleatica si
lasciò da banda la parte corporea e mutabile, e così si riusci a un panteismo
parziale, al panteismo idealistico. Grice: You have to love Mondolfo. As a Jew
he was into Sartre’s existentialism, and the rest of it – when Gentile
inhibited Jews from teaching Italians, M. had to stream his energy into the
study of ‘antica filosofia italica’! for our glory!” -- o ABBAHU di
Cesarea (Rabbi) Abraham (= educazione, in Filone) Achei Acheronte Acherusia,
vedi Acheronte Achille Adamo Adamson Ade AEZIO Africa, africani Afrodite
Agamennone ACATARCO AGATONE Agostino agostiniana corrente filosofia Aiace
Albertelli ALCEO Alcibiade ALCMEONE ALESSANDRINA FILOSOFIA ALESSANDRINI
MATEMATICI Alessandro, vedi Paride. ALESSANDRO Afrodisia Alessandro
Magno ALESSIDE Alfieri Altamura 447. Ambrogio Amerio Amicizia Amleto
Amore ANACARSI di Scizia ANACREONTE Ananke ANASSACORA DISCEPOLI di -
ANASSIMANDRO ANASSIMENE Anfione 671. Anima universale Anselmo ANTICHI
POETI E SAGGI 237, ANTICHITÀ CLASSICA, antica scienza, cultura, antico spirito,
pen-siero, etc. ANTICO TESTAMENTO ANTIFANE ANTIFONTE Antigone ANTIcoNo di
Caristo ANTISTENE Apatia stoica Apocalissi di Pietro Apollo Apollo Lairberos
(santuario di) Aquitania ARCAICo pensiero ARCESILAO ARCHELAO ARCHILOCO
ARCHIMEDE ARCHITA Ardizzoni AREIOs DIDYMOS Areopago Aridea, vedi
Thespesio. ARISTARCO ARISTIPPO ARISTOCLE ARISTOFANE ARISTOSSENO ARISTOTELE
Armstrong Arnauld Arnim ARTE Artemide ASCLEPIo
(commentatore di Aristotele) Asclepio (dio) Asia minore Asiatico principio
AssIoco Atarassia epicurea Atargatis
(dea) Ate Atena Atene, ateniesi ATENIONE di Atene ATOMISMO, ATOMISTI Atreo
Atride Augusto Aulide Aymard Baccanti Вассо Bacone Bacone Baeumker Bailey Baius
Barbari del nord Barth BASILICA PITACORICA della Porta Maggiore a Roma
Battaglia F. Bauch B. Beare Becker 0.
Behaviourismo Bello Bene Bergk Berkeley BIANTE BIBLICA tradizione Bignone Bill
A. Billeter Binder Blanchet Blankert Blondel Boas Lovejoy Boemia Bolland
Bossuet Bovis Bréhier Breier F. 241. Brochard Brune Buccellato Buonaiuti
Burnet Bywater CARNEADE CARONDA 250, 692. Carteron H. 480.
Cartesio, cartesiano Cassandra 420. Cataudella Q. 640, 653,
654. Cattolicesimo 424. Cattolici filosofi, storici
30. Cefalo 448, CELSO 38. CENSORINO 676. Centimani 406.
Ceramone 612. Cerbero 108, 417. Cesarea 515. Charisio Charu
446. Cherecrate 485. CHEREMONE 637. Cherniss H. 72, 126, 128,
133, 135, 137, 163, 251, 269, 274,
Chimera 129. Chronos 91. Ciaceri E. 641. Cibele
83. CICERONE, ciceroniano 47, 66, 93, 100, 102, 144, 146, Ciclopi
670. Caino 457. Cairo 414. Calcidio 153, 154, 199,
200. Callahan J. F. 94. CALLICLE CALLIPPO Calogero G. 33, 34, 35,
123, 121, 126, 128, 167, 198, 258. Calvino 423, 424, 425, 426,
431. Cameron A. Campanella T. 387, 640, 666, Campidoglio 717.
Canosa 447. Cantarella R. 406. Carcopino J. 452. Carlini A.
Cilento V. 382. Cilonidi 436. CINICI 205, 207, 209, 311, 416, 483,
589, 593, 614, 625, 634, 641, 690, 722, CIRENAICI Classicista concezione
ix, 10, CLASSICO spirito, mondo, CA cultura ix, x, 15, 462, 463,
Claudio 452. CLEANTE 101, CLEIDEMO 234. CLEMENTE alessandrino 42,
87, 94, 127, Clitennestra Clodd E. 47. Cohn CoLòTE di Lampsaco
275. Colchide 717. Combarieu COMMEDIA DI MEZZO 518.
COMMENTATORI DI ARISTOTELE 363, 378. Comparetti D. 443. Comte
A. 579. Condillac E. B. de CoNoNE di Samo 608. Contese
86. Croiset M. 413. Croce B. 4. Cusano N. 203. Cypselo
(arca di) Dahlmann J. H. 660, 661. Daimon 172, 182, 490, 492, 499.
Dal Pra M. DAMONE Danaidi 108, 418, 447. Dante 451. Dardania,
Dardano 676. Daremberg Ch. e Saglio E. Dario 418. Dedalo 656, 671,
692. Controriforma 424. Copernico N. 684. Coribanti 83.
Corinto, corinzi 588, Conford F. M. 240. CORPUs HIPPOCRATICUM 648,
656- 658. COSMOLOGHI (primi) 01. Couissin P. 204, Cousin V.
579. Covotti A. 128, 136. CRATETE 483. CRATILO Credaro L.
146, 313, Creso 414. Creta 443. Crimine oggettivo CRISIPPO
Cristianesimo, cristiano spirito, pensiero, cristiana era, na, filosofia,
etc. Cristo 20, 32, 395. CRITIA Criticismo kantiano Critone 486.
Ctesibio 700. Delatte DELFICA religione, DELFICO «ePto, le a 170,
469, 478, 55%. Delfi 96, 446. Del Grande Del Re R. 554.
Delvaille J. 580, 581. Demetra 646, 654. DEMETRIo cinico 535.
DEMETRIO LACONE DEMOCRITO DEMOCRITEA tradizione 453;
DEMOCRITEO-ARISTOTELICA stinzione 737. di- Demoni del
cristianesimo 401. DEMOSTENE 152, 430, 446, 448. Deonna W., vedi De
Ridder A. Derenne E. 100. De Ridder A. e Deonna W. 446.
Derketo 454. De Ruggiero G. 33, 34, 35, 582, Descartes, vedi
Destino 491, 503. De Strycker E. 480. Deucalione 669,
676, 678. Dewey J. 112, 113, 114, 142. Dialettica moderna 34.
Diano C. 102, 103, 107. DICEARCO 675, 684, 688, 691, 694. Diderot
D. 263, 338. Diela Diels H. e Kranz W. 137, Diès A. 357, 480.
Dieterich A. 443, 447, 448. Dike 407, 408. Diller H. 276,
277. Dimenticanza Dio natura 31; persona 31. DIODORO CRONO
501, 504. DIODORO SICULO 660, 661, DIOGENE di Enoanda 205, 283, 316, 317,
688, 691, 697, 698, 701, 703. DIOGENE DIOCENE LAERZIO Dione 314. DIONE
CRISOSTOMO 483, 691. DIONISIACO culto, spirito 13, 83. Dioniso 411,
441, 448, 654. Discordia 67, 86, 235. Discorsi menzogneri 86.
Aiacol Royor 176, 257. Divinazione 85. Doering A. 136.
Dornseiff Fr. 593. Dostoiewski F. 431, 461. DRACONE 430.
Ducati P. 446. Dümmler _F. 158, 297, 655, 691. Dupréel E. 133, 135,
162, EBRAICO-CRISTIANE eredenze, reli- gione, tradizione 422, 441, 585,
586. EBRAISMo, ebrei 27, 59, 515, 586; EBRAICA religione 223;
EBRAICHE suggestioni ed ispirazioni 155; EBRAICE elementi 515.
Ecabe 87, 88, 417. Ecate 83, 448, 451. EcATEo d'Abdera 648, 660,
661, 706. EcATEo di Mileto 48. Eden 436, 586. Edipo
410, 420, 432. Efesto 650, 654, 668. EcESIA di Cirene 11.
Egisto 81, 82, 85, 405, 420. Egitto 593, 604, 623, 669, 681. Egizi
186; EGIZIANO tradizionalismo 672. ELEATI, ELEATISMO, scuola,
dottrina, 125, 128, 132, 133, 134, 136, 138, 139, 142, 145, 148,
149, 169, Elena 87, 400, 404, 417. Elettra 88, 429. Eleusi
728. Eleutherna 444. ELLENICO genio, spirito, pensie-
ro, etc. 446; ELLENISMO 38, 59; ELLENISTICA eredità 37.
ELLENISTICA ROMANA filosofia 29. ELVIDIO PRISCO 549. EMPEDOCLE,
EMPIRISTICHE correnti 231. Empusa 451. Endimione 621. Enea
449, 456. ENESIDEMO 277, 317, 319, 320, 329. Enoanda 698.
Enoch (= pentimento, in Filo- ne) 515, 521. Enos (=
speranza, in Filone) 521. Enriques F. e Mazziotti M. 648. E3,
524, 532, 600, 602, 610470, EPICARMICO principio 169. EPICUREI,
EPICUREISMO EPICURO Epidamno 588, 606. Epifanio 93, 285, 053.
EPIMENIDE 436, 671. Epimeteo 650. EPITTETO 501, 524, 525, 528,
548- 550, 552, 560. Er armeno (mito di) Era 87. Eracle
ERACLIDE PONTICO ERACLITO FRACLITEA dottrina 297; esigenza 221; —
proposizione 240; ERACLITISMO 302. BRASISTRATO 625.
BRATOSTENE 317, 608. Brinni ERMIPPO ERMOTIMO 709. Ernout A.
103. Erodico di Selimbria 615. ERODOTO 152, 251, 402, 414, 593,
604, 634. ERoFILo di Calcedone 625. Eros Esaminatore interno
(elenchos) 519. ESCHILO ESCHINE 301, 302. Esculapio 102,
105. ESICHIO 414. EsIoDo ESIODEO principio 169. Espero
498. Età post-omerica 591. Eteocle 415, 420, 427, 447. ETICA
ANTICA, CLASSICA cristiana e moderna 497, 572, 573; — GRECA 69, 397; →,
morale moderna 391, 392, 393; - STOICA 397, 520. Etiopi 80,
233. Ettore 81, 400, 404. Eucken EUDEMO 502, 593. EuDosso
608, 677, 683, 684. Eumenidi 429. Eumeo 406. Euromo di
Polignoto 187. EURIPIDE Euristeo 315. Eusebio Eva 436.
Evangeli 393, 401, evangelico messaggio Fabre P. 539. Falaride,
toro di, 206. Farrington B. Fatica 86. Fato 81, 401, Fedra
FERECRATE 634, 641, 646. Festa Festugiere Feuerbach L. 68, 88, 89.
Fichte J. G. 51, 723. Ficino M. 28, 221, 666. Fidia 624, 656.
Fiere 448. FILEMONE 602, 636. FILISCO 602. Fränkel H. 128,
317, 444. Frazer Friedländer P. 298. Frigia Frinide 683.
Furie 88, 108, 448, 449. GALENO 275, 281, Galileo Callavotti C. 64,
65. Gallia 717, 725. Ganter 201. Gassendi Gea 639.
Geffcken Geiger GELLIO AULO 636. Gelosia degli dei 414. Genius
malignus di Cartesio 314. Gentile GEREMIA 515. Germani Сет FILODEMO
FILOLAO 136, 137. FILONE FILONIANO testo Filoponia FILOSOFIA
NATURALISTICA (ionica) FILOSOFIA OCCETTIVISTICA 43. FILOSOFIA
PRESOCRATICA 63. FILOSSENO 700. FILOSTRATO 168, 169. FISICI
ANTICHI 124. Fitzralph R. 314. Flegias 455. Flint R. 580,
581. FoCILIDE 615. Fougères Frank Gerusalemme 393. GesÚ
figlio di Sirach 606. GIAMBLICO Giansenio C. 61, 423, 424, 425.
Gige, anello di, 90, 91, 96, 97, 407, 414, 472, 496. Gigon 0. 126,
260, 479. Gileon É. 29, 30. GIMNOSOFISTI indiani 317. GIoBBE
535, 536. Giovanni di Rodington 314. GIOVANNI FILOPONO 142, 273,
288, 675, 676, 680, 684, 689, 701, 735, 739. Giove 344,
714. GIOVENALE 715. GIUDAISMO, giudaica chiesa, etc. 27,
395. Giuliano imperatore 109. Giuliano di Eclano (pelagiano)
442. Giussani C. 694. Glaser K. 163. Glauco di Chio
594. Glotz G. 404, 409, 588, 589, 606, 607, 624. GNoMIcI poeti
76; CNOMICA saggezza 332. GNOSEOLOGIA ANTICA X; GRECA
118; medievale 60; NEOPLATONICA 230. Goedeckemeyer A. 312. Gomar
F. 424, 425, 426. Gomperz H. 167, 168, 240. Gomperz
Goodenough E. R. 516. GORCIA Gorgoni 448. Gottschalk 424.
Grande Anno 679. GRECA morale 12. GRECA tragedia, vedi
TRAGEDIA. GRECI, greco pensiero, popolo, spirito, etc.; greca anima,
arte, cultura, filosofia, etc. Grecia Greene Grilli Grousset R. 38,
59. Guthrie W. K. C. 444, 445. Guyau J. M. 580, 694, 698,
700. Halbfass W. 241. Harnack A. 27. Hegel G. 3, 410, 17-21,
22, Heidel W. A. Heinemann F. 691. Heinze R. 201, 449. Henz G.
673. Herbertz R. 128. Herder J. G. 579. Hermann G. 639,
644. Hermes 81, 89, 217, 248, 650, 697. Hildebrand G. H. 581, 629,
652, Himeros 86. Hirzel R. 313, 708. Hobbes Th. 60. Hoffmann
E. 128. Howald E. 413. Hume D. 303, 316. Hus J. 424,
425. Huyghens Ch. 280. Hybris 403, Ida 676. Idealismo
assoluto 28, 29, 32, 33; cristiano
32; GRECO 32; postkantiano 32. Idealisti
Idra 448. IEROCLE 376. Ifigenia 433. Ilio 676.
ILLUMINISMO, ILLUMINISTI, etc. Musionismo 163. Indiani 42.
Inferi (Enfers) 448. Inganno 86. Inge W. R. 570, 571. Innocenzo
III 708. Intelletto 226, 227. Invidia degli dei 436. lo 427,
428. Ionia, ionico mondo, ionica civil- ta, etc. JONICA poesia 48,
49, 63; IONICI poeti 49, 67.IONICI (Glosofi) IONICA filosofia 63,
198; - scienza 677. Ipermestra 427. IPPIA (sofista) IP POCRATE, IPPOCRATICI, ippocrati- ci
scritti, trattati, Ippolito 649. Ippolito 433, 434. Iris 681.
Isaac (= natura, in Filone) 521. Isaac (Abn Jacob Jsaac?) 121.
ISAIA 155, 520. Isdoso scolastico 154. Isis 460; isiaco
culto 459. ISOcRATE, pseudo, 276, 453, 487, 518. Issione
447. Jaeger Jago 411. Jacob (= ascetismo e perfezione, in Filone)
521. Janet P. 579. Jardé A. 603. Jehova 436, 586. Jeat
K, 5, 448, 49, 50, Kaibel G. 150, 469, 641. Kant I. 28, 33, 127, 346,
392, 477, 498. Kêr, Kêres 447. Kern O. 441, 443, 632.
Kierkegaard S. 394, 541. Kirk G. S. 301. Kitto H. D. F. 413.
Kleingünther A. 94, 654. Klimke 30. Kock Th. 454, 523, 566.
Kranz W. 413, 414; v. Diels H. Krokiewicz A. 101. Kronos 667.
Laas E. 241. Laberthonnière L. 27, 30-32, 33, Labriola A.
600. Lachesi 490, 492. Lachete 636. Laconia 603. Laio
413, 420. Lamennais F. 424. Lamenti 86. Laminette auree 443,
444, 445. Lana I. 139, 158, 161, 162, 250, 253, 641, 642,
643, 648, 661, 695, 700, 701. Langerbeck H. 242, 246, 254,
267, 284, 298. Latini 569. Lattanzio 529. . Latzarus B.
449, 450, 566, 568. Laurent F. 579. Lavagnini B. 414. Leibniz
G. 60, 121. Leonardo da Vinci 595, 599. Leone Ebreo 28.
Leonte di Salamina 549. Leonzio 102. Leroux P. 579. Lesky A.
413. LeuCIPPO 13, 13 139, 268, 281, 648, 649, 696. Levi
Levi Lévy-Bruhl L. 84. Licurgo 692. Lidia, Lidi 455, 604.
Liénard E. 463. — IONICO-EOLICA 66. LISIA 152, 408, 448.
Locke J. 139. Lodge R. C. 673. LOGICA ANTICA 34. Logos
divino 517, 519. Loisy A. 30, 33. Losacco M. 441, 582. Lotte
86. Lovejoy A. 0. e Boas G. 635. LUCIANO Lucido 424. Lucifero
498. Lucilio 726. LUCREZIO Lugdunum (Lione) 725. Luria S.
257, 655. Lusitania 717. Lutero Maddalena A. 413, 418, 427.
Magalhães Vilhena Y. de 169, 177, 479, 481, 605, 671, 673. Magia
163-164. Maieutica 41. Maier H. 90. Malcovati E. 634, 635.
Mancini G. 215, 218, 223, 374, 379, 381. Manetti G. 640, 713.
MANICHEISMO 554. Marbach G. O. 3. Marchesi C 533, 534, 544,
546, Marchesini G. 92. MARCO AURELIO Mario Vittorino 374.
Marouzeau J. 260. Marsia 171, 671. Martin J. 457.
Martinazzoli Marx K. 671, 721. MASSIMO TIRIO 691. Mazziotti M.,
vedi Enriques F. Meautis G. 413, 447. MEDICI 48, 63; —
EMPIRICI O METODICI 310; - IPPOCRATICI 298, 622, 634, 647;
mediche scuole 598. Medievale gnoseologia, scienza, filosofia, teologia —
coscienza 401. Medio Evo MECARICA teoria 501; MECARICI 504.
Meineke MELIsso di Samo 129. MENANDRO 454, 455, 523, 566, 602,
636. Menelao 422, 452, 470. Menzel A. MENONE 125,276, 179,
188. Mercier D. 117. Messaggio evangelico, ellenizza- zione
del, 27. METRODoRo di Chio 140, 285. Milesi 73. Mill J.
306. Milton J. 586. Minucio MISTICA, MISTICA soggettività,
MI-CORRENTI, CRECO 44, 45, 48, 63, 76, 529; - (medievale) 27.
MITOLOGIA ANTROPOMORFICA 43; - CRECA, mitologiche rappresentazioni 43,
44, 79, 80; — OMERICO-ESIODEA 232. Mitre 102.
Modernismo 30, 32. Moderni, moderno spirito, pen- cultura,
hlosofia, sia, etc. Ix, 388,
Moeller 491. Moira 408.
Momigliano Arn. 569. Mondo classico 463; — cristiano 463;
greco precristiano 444; — ionico arcaico 65; - orientale, greco,
romano, germanico M. A. M. vedi Zel-Monoteismo cristiano e greco
MORALISTI GRECI 392. Morrison J. S. 661. MOSCHIONE 636, 641, 645,
700. Mose 211, 586. Mullach G. A. 482. Murray G. 413.
MUSoNIo RUFo 548, 625, 626. Nardi B. 192, 193, 314, 332, 354, 374,
375, 401, 582. Natorp P. 297. NATURALISMO PRESOCRATICO, NATURALISTI
PRESOCRATICI Nauck Nausicaa 432. Neikos 86. Nekyia omerica 447,
448. Nenci G. 153. NEOACCADEMICI 312, 313, 314. Neohegeliani
17, 21, 22, 61, 394, NEOPITAGORICI 443, 458. NEOPLATONICI,
NEOPLATONISMO, NEOPLATONICA teoria, etc. Nestle Nestore 168. Newmann J.
H. 30, 31, 33. Nicia di Atene 447. Nietzsche F. W. 38, 43, 44,
61, 393, 394. Noè (- giustizia, in Filone) 521. Norden
NUMENIO 176. Nuovo Testamento 32. Occhio di Zeus 407. Occhio
vendicatore degli dei 91, 406, 473. Oceanidi 418.
OCCETTIVISMO ANTICO 26, 59. Olimpica religione 13. Olimpo, olimpici
dei 86. Olimpo Olivieri A. 150, 443, 508. OMERO
OMERICHE concezioni 440. Ontologica prova 142; ontologico argomento
143. ORACOLO DELFICO, lemma dell', vedi DELFico precetto.
Oratorio 27. ORAZIO 580, 706, 715. Oreste Orfeo 671. ORFICI,
ORFICO misticismo, reli- gione, etc oRFISMO Oriente, orientali 19,
42, 604. Origene 424. Otium Otto F. W. 13. OVIDIO 443,
Pacioli L. 598. PAGANESIMO, PAGANI FILOSOFI, etc. 30, 539, 541,
568. Palamede 639, 645, 671. Pan 83, 419. PANEZIO Paolo (S.)
27, 30, 38, 401, 462, Paratore Parche 86, 490.Paride 87, 400, 404,
419. PARMENIDE DISCEPOLI di — 129, 131; parmenideo ente 123; —
mondo 47; parmenidea 865x 266, 269, 323. Pascal B. 27, 424,
579. Pascal C. 446. Pasquali Patristica 27, 30, 463;
patristica eredità Pearson A C. 690, 691. Peipers D.
298. Pelagio, pelagianismo 423, 442. Pelasgo 418. Pelope
420. Penía 188. Pericle PERIPATETICI, PERIPATETICA teo-ria, etc.
215, 534, 688. Пері téXvNS Perrotta Perse 592. Persiani 414, 418,
604. Pesce D. 499, 501, 548, 549, 550. Petelia 444. Petersen
E. 413. Petrarca F. 27. Pettazzoni R. 454, 455, 456, 458,
Philippson R. 101, 105, 144, 511, 661. Piat Cl. 192. Pico
della Mirandola G. 28, 640, 709. Pieper 1F. 578, 606,
621. Pilade 429. PINDARO 52, 65, 69, 173, 444, 489, Piriflegetonte
451. PIRRONE 310, 312, 316, PITAGORA PITAGORICI, PITACORISMO, etc.
Pittura greca 446; etrusca 446. PLATONE PLATONICO mito 57;
PLATONISMO 694. PLAUTO 446. Pleiadi 666. PLINIO 447, 707,
712. PLOTINO 110, 127, 157, 214-230, 363, 367, 374,
377, 378-388, 569-573, 734. PLUTARCO POETI COMICI 602, 665; TEOCONICI
70; TRAGICI Pohlenz PoLIBIO Policleto 596, 622, 624. POLICRATE
605. Polignoto di Taso 96, 446, 447. Polinice 420, 432, 447.
POLITEISMO GRECO 95. PoLo 496, 596, 622. Poppe W. 691.
PORFIRIO 374, 454, 566. Puech A. 30. Póros 188. Porzig W.
413. Posidone PoSIDONIO 449, 526, 548, 594, 596, 691,
POSTARISTOTELICA epoca, filoso- fia, etc., POSTARISTOTELICI
FILO-SOFI 22, 471, 483, 503, 504, Praechter K., vedi Ueberweg F.
Pragmatismo, pragmatisti 113, 155, 245. Predestinaziani
424. Positivismo, positivisti 29, 578. PRESOCRATICI FILOSOFI,
NATURALI-STI, etc., PRESOCRATICA filosofia Priamo 400. PRIMI
FILOSOFI 124. Primitivi popoli 84. PROCLO PRODICO Prometeo
PROTAGORA PROTACORIS NO 3035, 671, 700; PROTAGORISMO Protestanti,
protestantesimo 61, 423, 424, 425, 586; protestante
storiografia 27. Provvidenza 504. PSICOLOGIA « behaviourista», del
comportamento 70, 323; — platonica 357. Radamanto 456.
Radermacher L. 640. RAFFINATI del Teeteto 201, 297. 310, 338, 340,
342, 343. Ragione divina 151. Regenbogen 0. 276, 277. Regnum
hominis 26. Reinach S. 449. Reinhardt K. 123, 126, 127, 413,
648, 660, 691. Reminiscenza platonica 181, 182, 184, 189,
190, 194, 219. Rey A. 138, 598. Rinascimento rinascimentale
distinzione 139; - rivoluzione 61; rinascimentali
666; celebrazioni — innovatori 294; - scrittori 713.
Ritter H. 3. Rivelazione 461. Rivaud A. 298, 443, 635. Robin
Rohde E. 13, 76, 443, 446, 448. Roma 443, 444, 445, 706, 707, 725.
Romanticismo 45. Rosmini A. 27. Ross D. 342, 359. Rossi Rosei
P. 169, 541. Rostagni A. 63, 162, 257, 143, 458, 534.
Rousseau J.-J. 634. Rudberg G. 691. Ruvo 447. Saffo 64.
Saglio E., vedi Daremberg Ch. Saitta SALLUSTIO SALOMONE 155. Satana
401. Saturnia età 707, 713, 714, 715. Saturno 713, 714.
SCETTICI, SCETTICISMO 22, 41, 146- 148, 214, 242, 257, 263,
310-331, 332, 505, 506, 552; SCETTICA critica 136. Schaerer
R. 491, 568. Schiller J. 158. Schleiermacher F. 297, 298.
Schmid W. 92, 641, 648. Schuhl Sciacca M. F. 16. Scilla 129.
Seiti 604. Scolastica, etc. 24, 27, 28, 30, 62, 118, 335,
Scrittura, Scritture (Sacre) 515, Segni indicativi, teoria dei, Segni
memorativi, utilizzazione dei, 323. SENECA 144, SENOFANE SENOFONTE
Senso comune aristotelico 357. Senso interiore agostiniano 357.
Serse 418. Sertillanges A.-D. 117. SESTIO, SESTIL,
scuola dei, 513, 519, 525, 560. EMPIRICO Sette savi 76, 677.
Shakespeare W. 11, 411. Shorey P. 480. Sibari 250. Sibilla
713. SIMONIDE di Ceo 52. SIMPLICIO 140, 380, 381. SINESIO
64. Siri Sisifo 108, 413, 447, 448. Snell B. 413. SOCRATE
SOCRATICA esigenza 195; esperienza
56; predica 57. SOCRATICI, SOCRATISMO Sofferenze 86. SOFISTI,
SOFISTICA SOFOCLE Sofronisco 478. Soggettivismo cristiano-moder- no
59. Sogni 86. Solari G. 414. Soliman 121. SOLONE Sorley
W. R. 59. Sparta Spencer H. 61. Spengel L. 193, 355, 502.
Spengler 0. 61. SPEUSIPPO 631. Spinoza B. 60. Spirito
classico antico ix; — cristiano moderno ix, x, 10; greco
classico 10. Spiritualisti cristiani, spiritualismo cristiano Stefanini
L.. 480. TEOCONIE, TEOGONICI POETI 67, 70, 79, 86. Teologi di
Oxford 314. Teone 315. Stein L. 201. Stenzel Stige
450. STILPONE 56. SToBEo 376, 600, 601, 625, 639, STOICI,
STOICISMO, etc. Sroic, HOMAN Storicismo, storicistica concezione 29.
Stragi 86. STRATONE di Lampsaco 625. Strycker E. de 480.
TALETE 594, 688. Tannery P. 136. Tantalo 108, 420, 447, 418.
Tarozzi G. 16. Tartaro 108, 522; tartareo abisso 450.451.
Tatto interno 377. Taylor A. E. 478. Tebe Teeteto Teggart F. F.
581, 629. Temesa 447. TEMISTIO Tempo 636, 638, 645. Tenebre
108. TEODETTE 413, 601. Teodoreto 156, 288. Teodoro di Beza
TEOFRASTO TEOGNIDE 408. TERENZIO 532. Тевео Thamus 186, 644,
652. Thaumante 681. Theiler W. 643. Thespesio Theuth 180,
64*, 652. Thurii 250, 443, 445. Tieste 413, 420. Tifeo
406. Tifone 554. Tilgher TIMEO 173. TIMONE 311. TIMOTEO
683, 700. Tindaro 446. Tiresia 93. Tiro 608. TISIA
165. Titani, Titano 406, 418, 441. Tizio 108, 448. Tommaso
(S.) 60, 117. Tomismo, etc. 27, 29, 117, 423. Traci 80, 233,
604.- TRADIZIONE DEMOCRITEO-EPICUREA 572. Traducianismo 424.
TRAGEDIA. GRECA 400, 409, 410, 413, 414, 425, TRAGICI POETI TRASIMACO 161,
168. Traversari 101, 102. Treves P. 432. Trieber 257.
Troia, troiani Tuchulca TUCIDIDE Türk Tylor Tzetzes Uccisioni Ueberweg Ulisse
4Uno Untersteiner Usener Uxkull Vaihinger Weil Wendland Wilamowitz Windelband
Wundt Wycliffe algimigli Vangelo Vangelo Vaso arcaico di Palermo Vespasiano
Vico Vidari Vlastos Walzer Wehrli Zafiropulo
ZALEUCO ZARATHUSTRA ZENONE ZENONE Zeller. L'eredità in T. Tasso, in
«Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale», Torino, Memoria
e associazione nella scuola cartesiana (Cartesio, Malebranche, Spinoza), con
appendice per la storia dell'inconscio, M. Ricci, Firenze. Per
le relazioni fra genialità e degenerazione: Guerrazzi, in «Archivio di
psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale», Torino, Spazio e tempo
nella psicologia di Condillac, in «Rivista filosofica», Pavia, Scienza
e opinioni di B. Varisco, in «Scienza sociale», Palermo, Uno psicologo
associazionista: E. B. de Condillac, R. Sandron, Palermo. In esso viene
riportato anche lo scritto sullo spazio e il tempo in Condillac
precedentemente citato Il concetto di bene e la psicologia dei sentimenti in
Hobbes, in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, L'educazione
secondo il Romagnosi, in «Rivista filosofica», Pavia, Ora anche in Tra teoria
sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza
moderna. Scritti 1903-1931, a cura di R. Medici, CLUEB, Bologna Ancora a
proposito di refezione scolastica: il pensiero di Romagnosi, in «Critica
Sociale», Milano, Saggi per la storia morale utilitaria: I - La morale di T. Hobbes,
Drucker, Padova. 1904 11. Saggi per la storia morale utilitaria: II - Le
teorie morali e politiche di C. A. Helvétius, Drucker, Padova. 12.
La politica degli insegnanti, in «Critica Sociale», Milano, XIV, n. 24,
16 dicembre, pp. 371-373. 1905 Il
dubbio metodico e la storia della filosofia, Prolusione a un corso di storia
della filosofia nell'Università di Padova, con appendice storico-critica,
Drucker, Padova. Per una filosofia naturale, in «Rivista di filosofia e scienze
affini», Bologna, Recensione a G. Marchesini, La funzione dell'anima, Laterza,
Bari 1905, in «Critica Sociale», Milano, XV, n. 8, aprile, p. 128. L'insegnamento
liceale della filosofia. Considerazioni pratiche, in «Rivista di filosofia e
scienze affini», Bologna, II, fasc. 7, n. 1-3, luglio-settembre, pp. 442-448. L'insegnamento
della filosofia nei licei e la riforma della scuola media al congresso di
Milano, in «Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, VII, n. 4-6,
ottobre-dicembre, pp. 754-763. Per la
riforma della scuola media: la scuola unica, in «Critica Sociale», Milano, XV,
n. 21, novembre, pp. 326-330. Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma Gentile), a cura di T.
Pironi, Laicata, Manduria 2005, pp. 59-70. Ancora
per la riforma della scuola media: polemica fra colleghi, in «Critica Sociale»,
Milano, XV, n. 22, 16 novembre-1 dicembre, pp. 342-345. 1906 20. Di
alcuni problemi della pedagogia contemporanea, in «Rivista di filosofia e
scienze affini», Bologna, Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
71-121. 21. Dalla dichiarazione dei diritti al Manifesto dei comunisti,
in «Critica Sociale», Milano, Con alcune variazioni è stato inserito da
Mondolfo anche nella raccolta Tra il diritto di natura e il comunismo: studi di
storia = •archive.org INTERNET ARCHIVE e
filosofia, parte I, Tip. degli operai, Mantova 1909, pp. 5-41. Ora anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti Intorno al convegno filosofico di Milano, in
«Rivista di filosofia e scienze affini», Bologna, fasc. 8, ottobre-dicembre,
pp. 728. 1907 Politica
scolastica: per la riforma della scuola media, in «Critica sociale», Milano,
XVII, n. 4, 16 febbraio, pp. 53-55. Questioni
varie: il problema della laicità nella scuola media, in «Rivista di filosofia e
scienze affini», Bologna, IX, n. 3-4, marzo-aprile, pp. 279- 282. Ristampato
anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi
del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp. 137-141. 25. Ancora Mazzini e
il socialismo, in «La fiaccola», Senigallia, anno II, n. 9 e 11,
marzo. Altre obiezioni alle idee di Salvemini sugli esami, in «Nuovi
doveri», Palermo, n. 6-7, 30 giugno-15 luglio, pp. 108-109. Il
contratto sociale e la tendenza comunista in J. J. Rousseau, in «Rivista di
filosofia e scienze affini», Bologna, IX, ottobre-dicembre, Presente anche in
Tra il diritto di natura e il comunismo: studi di storia e filosofia, parte II,
Tip. degli operai, Mantova 1909. 1908 Il
pensiero di Roberto Ardigo, Tip. G. Mondovì, Mantova. La
dottrina della proprietà del Montesquieu, in «Rivista filosofica», Pavia, Il,
fasc. 46, gennaio-febbraio, pp. 129-135. Pubblicato anche in Tra il diritto di
natura e il comunismo: studi di storia e filosofia, parte II, cit. 30. La
filosofia della proprietà alla Costituente e alla Legislativa nella rivoluzione
francese, in «Rivista di filosofia e di scienze affini», Bologna, Pubblicato
anche in Tra 761 of 824 [3 il diritto di natura e il
comunismo: studi di storia e filosofia, parte II, cit. Sulla
laicità della scuola, in «Critica sociale», Milano, XVII, n. 5, 1 marzo, pp.
69-70. Anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica
(dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), Religione, fanciulli, educazione,
in «Nuovi doveri», Palermo, II, n. 29-30, 30 giugno-15 luglio, pp. 186-187.
Ristampato in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli
inizi del '900 alla Riforma Gentile), La fine del marxismo?, in «Critica
sociale», Milano, XVIII, n. 20, 16 ottobre, pp. 311-312. Pubblicato anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, a cura di N. Bobbio, Einaudi,
Torino Roberto Ardigò nelle scuole di Mantova. Notizie e documenti, Tip.
Operai, Mantova. Studi sui tipi
rappresentativi. Ricerche sull'importanza dei movimenti dell'immaginazione,
nelle funzioni del linguaggio, nelle pseudoalluci-nazioni e nella
localizzazione delle immagini, in «Rivista di filosofia», Roma, I, 2,
marzo-aprile, pp. 38-92. Tra il
diritto di natura e il comunismo: studi di storia e filosofia, parte I, Tip.
Operai, Mantova. La filosofia di Feuerbach e le critiche del Marx, in «La Cultura
filosofica», Firenze, III, marzo-giugno, pp. 134-170, 207-25. Accolto in Sulle
orme di Marx. Studi di marxismo e di socialismo a partire dalla prima edizione
(Cappelli, Bologna 1919, pp. 64-114) con il titolo Feuerbach e Marx. È stato
poi successivamente integrato di due capitoli, precisamente il sesto e il
settimo, nella terza edizione (Cappelli, Bologna Ora anche disponibile, sempre
con il titolo Feuerbach e Marx, in Umanismo di Marx. Studi filosofici La
filosofia della storia di Ferdinando Lassalle (Per nozze Mondolfo-Sacerdote),
Pirola, Milano. Poi nelle prime due edizioni de Sulle orme di Marx: Cappelli,
Bologna 1919, pp. 129-163; Cappelli, Bologna Recensione a G. Vidari,
L'individualismo nelle dottrine morali del secolo XIX, in «Cultura Filosofica»,
La riforma della scuola media: fra la Commissione Reale e il
congresso della federazione, in «Critica sociale», Milano, XX, n. 1, 1 gennaio,
pp. Politica scolastica: il dovere presente della federazione degli
insegnanti, in «Critica sociale», Milano, XX, n. 6-7, 16 marzo-1 aprile, pp.
89-90. 1911 La vitalità della filosofia nella caducità dei sistemi, Prolusione
all'Università di Torino (tenuta il 1° dicembre 1910), in «La Cultura
filosofica», Firenze, V, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-31. Rovistando
in soffitta, in «Critica sociale», Milano, Pubblicato anche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 79-85. Fra
l'ideale e l'azione: per l'unità di teoria e praxis, in «Critica sociale»,
Milano, XXI, n. 16, 16 agosto, pp. 247-248. Disponibile anche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 86-90. La
filosofia di Giordano Bruno e l'interpretazione di Felice Tocco, in «La Cultura
filosofica», Firenze, V, n. 5-6, aprile, pp. 450-482. Pubblicato poi a sé: La
filosofia di Giordano Bruno e l'interpretazione di Felice Tocco, Tip. Collini e
Cencetti, Firenze 1912. 1912 45. Sul concetto di plus-valore, in «Critica
sociale», Milano, XXII, n. 4, 16 febbraio, pp. 59-63. L'articolo è in parte
tratto e riassunto dal cap. XIII (La pretesa antieticità del materialismo
storico - il sopravalore e il passaggio dalla necessità alla libertà) de Il
materialismo storico in Federico Engels, Formiggini, Genova 1912. Nell'edizione
del 1973 (La Nuova Italia) è compreso tra p. 351 a p. 386. Il
concetto di necessità nel materialismo storico, in «Rivista di filosofia», IV,
fasc. 1, pp. 55-74. È un articolo tratto dal cap. X (II fatalismo
materialistico o dialettico e il concetto di necessità storica) de Il
materialismo storico in Federico Engels. Nell'edizione del 1973 (La Nuova
Italia, Firenze) corrisponde alle pp. 209-36, 246-47. Pubblicato anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 96-114. Il
materialismo storico in Federico Engels, Formiggini, Genova. I
ginnasi magistrali, in «Unità», Firenze, Partiti politici e generi letterali,
in «Unità», Firenze, I, n. 18, 13 aprile, pp. 71-72. Intorno
alla filosofia di Marx, in «Critica sociale», Milano, Presente anche in
Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 91-95. La
crisi magistrale, in «Unità», Firenze, I, n. 21, 4 maggio, p. 84. La
preparazione dei maestri elementari, in «Unità», Firenze, I, n. 23, 18 maggio,
p. 91. Intorno alla morale sessuale, in «Critica sociale», Milano, Ancora
la morale sessuale, in «Critica sociale», Milano, Rousseau nella formazione
della coscienza moderna, in «Rivista pedagogica», Roma-Milano-Napoli, VI, vol.
1, fasc. 3, dicembre, pp. 433-478. Saggio che Mondolfo ripropone nel volume Per
il centenario di G. G. Rousseau (Formiggini, Genova 1913) e poi con alcune
modifiche nell'Introduzione alle opere di Rousseau (Discorsi e il Contratto
sociale, a cura di R. Mondolfo, Cappelli, Bologna 1924). Nuovamente
ripubblicato nel volume Rousseau e la coscienza moderna (La Nuova Italia, Firenze
1954), di cui si ha una precedente edizione in lingua spagnola (Rousseau y la
consciencia moderna, Imán, Buenos Aires 1944). Ora disponibile anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti Socialismo e filosofia: I. La crisi e la
necessità di un orientamento filosofico; II. Materialismo, realismo storico e
lotta di classe; III. La necessità della filosofia della praxis, in «Unità»,
Firenze, Ristampato nelle prime due edizioni di Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna Nella terza edizione in due volumi (Cappelli, Bologna 19233) fu
pubblicato privato della prima parte (La crisi e la necessità di un
orientamento filosofico) e con qualche aggiunta. Anche in La cultura italiana del
'900 attraverso le riviste, vol. V, a cura di F. Golzio e A. Guerra, Einaudi,
Torino 1962, pp. 238-247. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici
Personalità e responsabilità nella democrazia, in «La Cultura filosofica»,
Firenze, VII, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 19-36. Per
l'amore della moralità e per la moralità dell'amore, in «Critica sociale»,
Milano, XXIII, n. 4, 16 febbraio, pp. 54-58. La
preparazione degli insegnanti, in «Unità», Firenze, La
crisi della scuola media e il compito delle Università, in «Nuova Antologia»,
Roma, Ripubblicato da Mon-dolfo, con alcune modifiche, in Libertà della scuola,
esame di stato e problemi di scuola e di cultura, Cappelli, Bologna 1922, pp.
113-144. Discutendo di materialismo storico, in «Rivista di filosofia
neoscolastica», Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, fasc. 5, pp. 313
ss. 62. Zur soziologie der Geschlechtsmoral, in «Archiv für
Sozialwis-senschaft und Sozialpolitik», Tübingen, J.C.B. Mohr, vol. 36, pp.
920 SS. Per la biografia di Giordano
Bruno, in «Rivista d'Italia», Roma, XVI, 2, ottobre, pp. 542-545. Appunti
di Storia della filosofia La filosofia di Giordano Bruno, R. Università di
Torino, Facoltà di Lettere e filosofia, Torino.1914 Francesco
Acri e il suo pensiero, Discorso tenuto nella R. Università di Bologna,
Zanichelli, Bologna. Il pluralismo
nell'etica, in «Rivista d'Italia», Roma, n. 2, febbraio, pp. 162-187. Francesco
Acri, in «Rivista pedagogica», Roma-Milano-Napoli, VII, vol. I, giugno, pp.
523-528. 1915 La
filosofia in Belgio, «Rivista di filosofia», Genova, VII, n. 1, gennaio-marzo,
pp. 25-46. La crisi del socialismo e l'ora presente, in «Unità», Firenze, IV,
n. 8, febbraio, p. 632. Ristampato anche in La cultura italiana del '900
attraverso le riviste, vol. V, a cura di F. Golzio e A. Guerra, Einaudi, Torino
1962, pp. 455-458. Revolutionärer Geist und
historischer Sinn, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der
Arbeiterbewegung», her-ausgegeben von Prof. Carl Grünberg Hischfeld Verlag,
Leipzig. Successivamente in italiano: Spirito rivoluzionario e senso storico,
in «Nuova Rivista Storica» (1917), Roma, I, fasc. 3, pp. 504-17.
1916 71. Le matérialisme historique chez F. Engels, Trad. de l'Italien
par S. Jankelevitch, Giard et Brière, Paris. 72. Chiarimenti sulla
dialettica engelsiana, in «Rivista di filosofia», Genova, VIII,
novembre-dicembre, fasc. V, pp. 701-715. Ripubblicato nelle prime due edizioni
di Sulle orme di Marx con il titolo La dialettica di Engeis (Cappelli, Bologna Cappelli,
Bologna 19203, pp. 153-166). Poi in appendice alle edizioni del 1952 e
1973 de Il materialismo storico in Federico Engels. Ristampato anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti Spirito rivoluzionario e senso storico, in «Nuova
rivista storica», Roma, I, fasc. 3, pp. 504-17. Titolo originale:
Revolutionärer Geist und historischer Sinn, in «Archiv für die Geschichte des
Sozialismus und der Arbeiterbewegung» (1915), herausgegeben von Prof. Carl
Grünberg, Hischfeld Verlag, Leipzig. Nella versione italiana è apparso anche
nella prima edizione di Sulle orme di Marx (Cappelli, Bologna 1919, pp. 50-63)
e nelle successive. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici Dai
sogni d'egemonia alla rinuncia della libertà. Discorso letto per la solenne
inaugurazione degli studi nell'Università di Bologna il 5 novembre 1917,
Zanichelli, Bologna. Confluito con una nota introduttiva e con il titolo La
teoria della egemonia tedesca in Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L.
Bassi, Cappelli, Bologna 1958, pp. 108-142. Ristampato anche in Rodolfo
Mondolfo e la guerra delle idee. Scritti a cura di G. Ferrandi, Museo storico
del Trentino e Società aperta di Trento, Trento 1998, pp. 55-77. 1918 Imperialismo
e libertà, in «Unità», VII, 1, p. 4. Il
primo assertore della missione germanica: Herder, in «Rivista delle nazioni
latine», III, vol.1, n. 3, pp. 155-168. Ristampato in Rodolfo Mondolfo e la
guerra delle idee - Scritti (1917-1919), cit., pp. 95-106 Tra
il primato d'un popolo e la missione universale delle nazioni, in «Nuova
rivista storica», Milano, vol. II, fasc. V-VI, settembre-dicembre, pp. 582-94.
Pubblicato anche in Rodolfo Mondolfo e la guerra delle idee - Scritti Leninismo
e marxismo, in «Critica sociale», Milano,Poi in Sulle orme di Marx, a partire
dalla seconda edizione (Cappelli, Bologna 19203, pp. 29-37). Ristampato nella
raccolta di saggi Studi sulla rivoluzione russa, a cura del Centro Studi di
Critica Sociale, Morano, Napoli 1968, pp. 21-32. Presenteanche in Umanismo di
Marx. Studi filosofici Leninismo e socialismo, in «Critica sociale», Milano,
XXIX, n. 7,8, 9, aprile-maggio, pp. 76-78, pp. 87-88, pp. 104-106. Confluito
poi nella seconda e nella terza edizione di Sulle orme di Marx, Ristampato
anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 32-55. Il
socialismo e il momento storico presente, in «Energie Nove», Torino, Poi
inserito nelle prime due edizioni di Sulle orme di Marx: Cappelli, Bologna
1919, pp. 1-13; Cappelli, Bologna 1920, pp. 1-15. Nella terza edizione con un
cambiamento di titolo (Il socialismo dopo la guerra): Cappelli, Bologna
Recentemente anche in M. e la guerra delle idee - Scritti (1917-1919),
cit., pp. 123-134. 81. L'insegnamento di Marx, in «Critica sociale»,
Milano, Saggio apparso anche come Prefazione alla prima edizione di Sulle orme
di Marx. Studi di marxismo e di socialismo, Cappelli, Bologna 1919, pp.
I-VIII. Sulle orme di Marx. Studi di marxismo e di socialismo, Cappelli, Bologna.
Per una coscienza realistica della storia e della rivoluzione
sociale, in «Critica sociale», Milano, XXIX, n. 24, 16-31 dicembre, pp.
338-343. Ristampato nella seconda edizione di Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna 19203, pp. 89-99 e nella 3ª edizione, I volume a pp. 71-81 con il
titolo Visioni realistiche e utopie rivoluzionarie. Presente anche in Umanismo
di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 158-168. 1920 Problemi
concreti: la scuola: I. L'azione «pro schola» e la difesa della coscienza
laica, in «Critica sociale», Milano, XXX, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 23-26. Campane
d'allarme, in «Il Progresso», Bologna, 17 gennaio, p. 3. Problemi
concreti: II. Il proletariato e la scuola media. La difesa dellafunzione
sociale della finalità educativa della scuola di Stato, in «Critica sociale»,
Milano, XXX, n. 2, 15 marzo, pp. 72-76. Più recentemente in Educazione e
socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma
Gentile), cit., pp. 175-188. Problemi
concreti: III. Linee di un programma d'azione scolastica: a) Premesse generali;
b) il concetto di servizio pubblico e la scuola, in «Critica sociale», Milano,
XXX, n. 7, 1-15 aprile, pp. 108-110. Problemi
concreti: c) L'amministrazione della scuola, in «Critica sociale», Milano, XXX,
n. 8, 16-30 aprile, pp. 125-126. Problemi
concreti: d) La partecipazione del proletariato alla cultura, in «Critica
sociale», Milano, Riportato anche in Libertà della scuola, esame di stato e
problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 99-106. Gli
adulatori del proletariato, in «Cultura popolare», Milano,n. 8, agosto, pp.
375-378. Anche in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 107-112. Intorno
al progetto Rignano, in «Critica sociale», Milano, Recensione a E. di Carlo,
Ferdinando Lassalle, in «Critica sociale», Milano, Ardigò, in «Critica
sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30 settembre, pp. 285-288. Recensione
a G. Bevilaqua, C'è uno spettro in Italia, Modernissima, Milano 1920, in
«Critica sociale», Milano, XXX, n. 18, 16-30 settembre, p. 288. Roberto
Ardigò, in «Il Tempo», 16 settembre. Socialismo
e lezioni della realtà, intervista con Rodolfo Mondolfo, in «Il piccolo della
sera», Trieste, 24 settembre. Il
marxismo e la crisi europea, in «Scientia», XIV, n. 6, 28, dicembre, pp.
457-466. Il problema sociale contemporaneo, relazione al IV congresso
italianodi filosofia, in «Rivista di filosofia», Bologna, vol. XII, n. 4,
ottobre-dicembre, pp. 303-324. Confluito poi in Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna Parte di questo articolo apparve con il titolo Le condizioni della
rivoluzione, in «Critica sociale», Milano, Anche in Umanismo di Marx.
Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 186-203. 99. Le condizioni della
rivoluzione, in «Critica sociale», XXX, n. 24, 16- 31 dicembre, pp.
374-376. Sulle orme di Marx, 2ª edizione accresciuta di nuovi saggi,
Cappelli, Bologna. La rivoluzione e il
blocco, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 11 dicembre, p. 1. Per
la realtà del socialismo, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 16 dicembre, p. 1.
1921 103. Le condizioni della rivoluzione, in «La Giustizia», Reggio
Emilia, 1 gennaio, p.1. Martoff
contro Zinovieff e l'antitesi fra socialismo e bolscevismo, in «Critica
sociale», Milano, XXXI, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 21-23. Poi in Sulle orme di
Marx, Cappelli, Bologna 19233, pp. 134-140. Ristampato anche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 55-63. Introduzione
a F. Turati, Le vie maestre del socialismo, Cappelli, Bologna. Forza
e violenza nella storia, Introduzione a S. Panunzio, Diritto, forza e violenza.
Lineamenti di una teoria della violenza, n. III della «Biblioteca di Studi
sociali diretta da R. Mondolfo», Cappelli, Bologna. Pubblicata con l'aggiunta
di alcune note in Sulle orme di Marx, II vol., Cappelli, Bologna 19233, pp.
57-69. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 204-215. 1 corsi di esercitazione nelle Università, in «Educazione
nazionale», Roma, n. 1, 1-15 gennaio, p. 11 funzione sociale della finalità
educativa della scuola di Stato, in «Critica sociale», Milano, Più recentemente
in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi
del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp. 175-188. Problemi
concreti: III. Linee di un programma d'azione scolastica: a) Premesse generali;
b) il concetto di servizio pubblico e la scuola, in «Critica sociale», Milano, Problemi
concreti: c) L'amministrazione della scuola, in «Critica sociale», Milano, XXX,
n. 8, 16-30 aprile, pp. 125-126. Problemi
concreti: d) La partecipazione del proletariato alla cultura, in «Critica
sociale», Milano, Riportato anche in Libertà della scuola, esame di stato e
problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 99-106. Gli
adulatori del proletariato, in «Cultura popolare», Milano,n. 8, agosto, pp.
375-378. Anche in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 107-112. Intorno
al progetto Rignano, in «Critica sociale», Milano, Recensione
a E. di Carlo, Ferdinando Lassalle, in «Critica sociale», Milano, Ardigò, in
«Critica sociale», Milano, Recensione a G. Bevilaqua, C'è uno spettro in
Italia, Modernissima, Milano 1920, in «Critica sociale», Milano,Ardigò, in «Il
Tempo», 16 settembre. Socialismo e lezioni
della realtà, intervista con Rodolfo Mondolfo, in «Il piccolo della sera»,
Trieste, 24 settembre. Il marxismo e la crisi
europea, in «Scientia», XIV, n. 6, 28, dicembre, pp. 457-466. Il
problema sociale contemporaneo, relazione al IV congresso italiano= • archive.
di filosofia, in «Rivista di filosofia», Bologna, vol. XII, n. 4,
ottobre-dicembre, pp. 303-324. Confluito poi in Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna Parte di questo articolo apparve con il titolo Le condizioni della
rivoluzione, in «Critica sociale», Milano, XXX n. 24, 16-31 dicembre
1920, pp. 374-376. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici Le
condizioni della rivoluzione, in «Critica sociale», XXX, n. 24, 16- 31
dicembre, pp. 374-376. Sulle
orme di Marx, 2ª edizione accresciuta di nuovi saggi, Cappelli, Bologna. La
rivoluzione e il blocco, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 11 dicembre, p. 1. Per
la realtà del socialismo, in «La Giustizia», Reggio Emilia, Le condizioni della
rivoluzione, in «La Giustizia», Reggio Emilia, 1 gennaio, p.1. Martoff
contro Zinovieff e l'antitesi fra socialismo e bolscevismo, in «Critica
sociale», Milano, XXXI, n. 2, 16-31 gennaio, pp. 21-23. Poi in Sulle orme di
Marx, Cappelli, Bologna 19233, pp. 134-140. Ristampato anche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 55-63. Introduzione
a F. Turati, Le vie maestre del socialismo, Cappelli, Bologna. Forza
e violenza nella storia, Introduzione a S. Panunzio, Diritto, forza e violenza.
Lineamenti di una teoria della violenza, n. III della «Biblioteca di Studi
sociali diretta da R. Mondolfo», Cappelli, Bologna. Pubblicata con l'aggiunta
di alcune note in Sulle orme di Marx, II vol., Cappelli, Bologna 19233, pp.
57-69. Presente anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 204-215. 1 corsi di esercitazione nelle Università, in «Educazione
nazionale», Roma, n. 1, 1-15 gennaio, p. 11.108. Il proletariato e la scuola,
in «La squilla», anno XXI, n. 8, 21-22 gennaio. Recentemente anche in
Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900
alla Riforma Gentile), cit., pp. 189- 192. La
scuola e i partiti, in «Il Progresso», Bologna, marzo. I
discorsi di F. Turati ai Congressi Socialisti, in «Critica sociale»,
Milano, Il saggio corrisponde ad alcuni
paragrafi tratti dalla prefazione di R. Mondolfo a F. Turati, Le vie maestre
del socialismo, Cappelli, Bologna 1921. Collaborazione
e lotta di classe, in «Critica sociale», Milano, XXXI, n. 18, 16-31 settembre,
pp. 276-278. Con alcune modifiche inserito anche Sulle orme di Marx, Cappelli,
Bologna Per la comprensione storica del fascismo, in «Critica sociale»,
Milano, Il saggio corrisponde ad alcuni paragrafi (in particolare il IV e parte
del V) dell' introduzione alla raccolta Il fascismo e i partiti politici
italiani, I volume, Cappelli, Bologna 1924. Significato
e insegnamento della rivoluzione russa, in «Critica sociale», Milano, La
contraddizione iniziale; II. La conquista compiuta; La nuova contraddizione
risultante e la progressiva consapevolezza del problema. Ristampati con alcune
modifiche e aggiunte in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 67 ss.
Estratto poi in edizione Benporad, Firenze 1922. 1922 114. Significato e
insegnamento della rivoluzione russa, in «Critica sociale», Milano, La
rivincita della realtà; V. L'inevitabile soluzione: dal libero commercio al
capitalismo; VI. La lotta e l'immediato rapporto delle forze; n. 2, 16-31
gennaio, pp. 26-29: VII. L'anello e la catena; VIII. Le nuove condizioni
del proletariato e la sua scissione in gruppi concorrenti; I nuovi problemi del
Governo: la rivalutazione della moneta; Gli insegnamenti: a) non il
dissolvimento ma lo sviluppo è condizionato dalla rivoluzione; b) on ne détruit
que ce qu'on substitue; n. 4, 16-28 febbraio, 61-63: c) Le condizioni di un
regime socialista: produzione e distribuzione; d) I limiti dell'azione
politica: forza ed economia. Ristampato con alcune modifiche in Studi sulla
rivoluzione russa, cit., pp. 126 ss. e pp. 212 ss. 115. La libertà della
scuola, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 6, 16-31 marzo, pp.
90-95. Riportato in Libertà della scuola, esame di stato e problemi di scuola e
di cultura, cit., pp. 9-23. Recentemente in Educazione e socialismo. Scritti
sulla riforma scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile),
cit., pp. 193-208. Scuola
e Stato. Lettera a Luigi Miranda, in «Il Tempo», Roma, 20 aprile. Libertà della
scuola, esame di stato e problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 30-32. La
libertà e la scuola, in «Il Tempo», Roma, 16 giugno, p. 3. L'esame
di Stato, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 12 e 13, 16-31 giugno e 1-15
luglio, pp. 189-192 e pp. 197-202. Riportato anche in Libertà della scuola,
esame di stato e problemi di scuola e di cultura, cit., pp. 35-43. La
formazione storica delle arti e dello spirito umano in Vitruvio, in «L'Arduo»,
Bologna, II, n. 3, giugno, pp. 153-159. Presente anche in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 117-123. Sempre
nuove opposizioni al progetto su l'esame di Stato, in «L'istru-zione media»,
Perugia-Bologna-Firenze, n. 18, 15-25 luglio, pp. 1-2. Lettera
a Piero Gobetti, in «La Rivoluzione liberale», Torino, a. 1, n. 22, 16 luglio,
p. 81-82. Ricostruire, in «La Giustizia», 24-25 luglio. Per
la comprensione storica del fascismo, introduzione alla raccolta Il fascismo e
i partiti politici italiani, I volume, Cappelli, Bologna. Per
la difesa della libertà, in «Critica sociale», Milano, XXXII, n. 15, 1-15
agosto, pp. 229-231. 125. Il problema della cultura popolare, in «Critica
sociale», Milano, XXXII, n. 18, 16-30 settembre, pp. 286-288.
772pp. Il comunismo è la negazione del marxismo, in «La Giustizia»,
Milano, 1 ottobre. Libertà della scuola,
esame di Stato e problemi di scuola e di cultura, Cappelli, Bologna. 1923
Prefazione a S. Diambrini Palazzi, Il pensiero filosofico di
Antonio Labriola, Zanichelli, Bologna. Educazione
e rinnovamento sociale in Mazzini e in Marx, in «Rivista di filosofia», XIV, n.
1, gennaio-marzo, pp.7-15. Con alcune modifiche anche in Sulle orme di Marx,
Cappelli, Bologna 19233, pp. 142-149. Ora anche in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 125-133. Mazzini
e Marx, in «Critica sociale», Milano, Poi confluito in Sulle orme di Marx,
Cappelli, Bologna, 19233, pp. 73-104. Il
monito delle tradizioni del Risorgimento nazionale, in «Istruzione media», n.
5, 25 febbraio, p. 1. Ripubblicato successivamente con il titolo Scuola, patria
e libertà, in «La Giustizia», quotidiano del Partito Socialista Unitario,
Milano, n. 52, 2 marzo 1923, p. 2. Più recentemente anche in Educazione e
socialismo. Scritti sulla riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma
Gentile), cit., pp, 227-231. Scuola,
patria e libertà, in «La Giustizia», quotidiano del Partito Socialista
Unitario, Milano, n. 52, 2 marzo, p. 2. Il
materialismo storico: conferenza all'Università Proletaria di Milano, in
«L'Avanti!», Milano, 13 marzo. Volontà
e necessità nella storia, scambio di lettere tra E. C. Longobardi e R.
Mondolfo, in «L'Avanti!», 25 e 30 marzo. 135. Il materialismo storico, in
«La Rivoluzione liberale», Torino, II, п. 8, 3 aprile, p. 33-34.
Ristampato con l'aggiunta di una nota (datata 1958) in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 217-227. Mentre
la riforma si compie, in «L'istruzione media», n. 9, 5 aprile, p. 1. I
punti oscuri, in «L'istruzione media», n. 15, 25 maggio-5 giugno, p. 1. La
riforma della scuola, in «Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 11, 1-15 giugno,
pp. 168-170. Ora anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla riforma
scolastica (dagli inizi del '900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
233-241. Il problema sociale in Mazzini e Marx, in «Critica sociale»,
Milano, Con alcune modifiche confluito in Sulle orme di Marx, Cappelli, Bologna
19233, pp. 123-137. Scuola e libertà (Note
polemiche), in «Critica sociale», Milano,196. Risposta
all'inchiesta tra scrittori italiani: Dove va il mondo?, Libreria politica
moderna, Roma. Aspetti della crisi contemporanea, in «Studi politici», anno 1, n.
9-10, settembre-ottobre, pp. 221-224. 143. La riforma universitaria, in
«Critica sociale», Milano, XXXIII, n. 20, 16-31 ottobre, pp.
318-321. Libertà e funzione sociale della scuola nella riforma Gentile, in
«Cultura popolare», n. 10-11, ottobre-novembre, rispettivamente a pp. 470-483 e
pp. 519-535. Recentemente anche in Educazione e socialismo. Scritti sulla
riforma scolastica (dagli inizi del 900 alla Riforma Gentile), cit., pp.
243-283. Si chiedono dati statistici, in «L'istruzione media», n. 26, 5
novembre, p. 1. L'esperimento russo, in «La Rivoluzione liberale», Torino, II, п.
36, 20 novembre, p. 146. Verso
la scuola confessionale?, in «L'istruzione media», n. 28, 25 novembre, p. 1. Si
chiedono dati statistici, in «L'istruzione media», n. 26, 5 novembre, p. 1. La
lotta di classe in Russia, in «La Rivoluzione liberale», Torino, II, n. 37, 27
novembre, p. 150. 150. Le attività del bilancio, in «Critica sociale»,
Milano, XXXIII, n. 21, novembre, pp. 328-330. Anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 328-330. Contadini
e proletariato nella Rivoluzione russa, in «Nuova rivista storica», Milano,
VII, fasc. VI, novembre-dicembre, pp. 541-566. Sulle
orme di Marx, 3ª edizione in due volumi, Cappelli, Bologna: vol. 1 Studi sui
tempi nostri, vol. Il Lineamenti di teoria e di storia critica del marxismo. La
filosofia e l'insegnamento di Francesco Acri (commemorazione nel decennale
della sua morte), in «Rivista di filosofia», XVI, n. 4, dicembre, pp. 289-319. Significato
e insegnamenti della rivoluzione russa, con prefazione di C. Treves, Bemporad,
Firenze. 1924 Contributo
a un chiarimento di idee, in «Critica sociale», Milano, XXXIV, n. 1, gennaio,
pp. 14-16. Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966,
cit., pp. 235-241. Il rispetto dei diritti
acquisiti e l'interesse della nazione, in «L'istruzione media», n. 3, 21-31
gennaio, p. 1. Marxismo e revisionismo, in «Libertà», quindicinale della gioventù
socialista, Milano, n. 4, 18 febbraio. La
filosofia politica in Italia nel sec. XIX, in Raccolta sulla Storia d'Italia
nel secolo XIX, a cura dell'Istituto superiore di perfezionamento pergli studi
politico sociali e commerciali in Brescia, Litotipo editrice, Padova, pp. 82
ss. Dal naturalismo di Feuerbach allo storicismo di Marx, in «Rivista
di psicologia», Bologna, XX, n. 1, gennaio-marzo, pp. 36-42. Si tratta di un
breve estratto da Feurbach e Marx pubblicato in versione ampliata nella 3ª
edizione (vol. II) di Sulle orme di Marx. Si trova anche in Tra teoria sociale
e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti Ricordando Antonio Labriola, in «Critica sociale», Milano, XXXIV,
n. 4, febbraio, pp. 61-63. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici
1908-1966, cit., pp. 242-246. L'esame
di Stato professionale, in «L'istruzione media», n. 7, 1-10 marzo,p. 1. J.
J. Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, Cappelli,
Bologna. L'idealismo di Jaurés e la funzione storica delle ideologie, in
«Cri-tica sociale», Milano, Ristampato in Tra teoria sociale e filosofia
politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti
1903-1931, cit., pp. 143-147. Dopo il
primo esperimento, in «Istruzione media», n. 25 e n. 26, 1-20 e 21-30
settembre, rispettivamente a p. 1 e p. 2. Le
cose più grandi di lui (i programmi degli esami di Stato), in «Istruzione
media», n. 28, 29 e 30, 20 e 30 ottobre e 10 novembre, rispettivamente a p. 1,
pp. 1-2, p. 1. Necrologio di Felice Momigliano, in «Rivista di filosofia»,
Torino, XV, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 86-87. Prefazione
a F. Dal Monte, Filosofia e mistica in Bonaventura da Bagnorea, Libreria di
scienze e lettere, Roma. 1925 168. Sintomi premonitori in Russia. Nuove
forze politiche in vista, in«Critica sociale», Milano, XXXV, n. 2, 16-31
gennaio, pp. 22-25. Anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp.
235-245. 169. Opere scelte di Cesare Beccaria, con introduzione e note a
cura di R. Mondolfo, Cappelli, Bologna. 170. La questione
istituzionale, in «La Rivoluzione liberale», Torino, IV, n. 3, 18
gennaio, p. 9. 171. Francesco Fiorentino, in «Nuova rivista storica»,
Milano, Confluito poi in R. Mondolfo, Da Ardigò a Gramsci, Nuova Accademia,
Milano 1962, pp. 45-97. Discussioni
marxiste, in «La Rivoluzione Liberale», Torino, IV, n. 13, 29 marzo, p. 53.
Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908- 1966, cit., pp. 248-253. Intorno
ai nuovi concorsi, in «L'Istruzione media», n. 9, 31 marzo, p. 1. I
punti del problema: per definire la discussione marxista, in «La Rivoluzione
Liberale», Torino, IV, n. 17, 26 aprile, p. 69-70. Ristampato in Umanismo di
Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 254-259. Liberalismo
della vecchia destra, in «Critica sociale», Milano, L'opera di Ferdinande
Lassalle, in «Critica sociale», Milano, Il problema delle classi medie, in
«Critica Sociale», Milano, Uscito anche come opuscolo con un preambolo di
Filippo Turati nell'edizione La Giustizia, Milano 1925. Il
pensiero di Engels e la prassi storica della classe lavoratrice, in «Critica
sociale», Milano, XXXV, n. 14, 16-31 luglio, pp. 162-163. Proletariato
e ceti intellettuali, in «La Giustizia», 15 luglio, p. 3. Beccaria
e Kant, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Di-ritto», Genova, anno V,
fasc. IV, ottobre-dicembre, pp. 617-619. Ristampato in Tra teoria sociale e
filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna.
Scritti 1903-1931, cit., pp. 149-151. La
negazione della realtà dello spazio in Zenone di Elea, in «Rendiconti
dell'Istituto Marchigiano di scienze, lettere ed arti», I, pp. 41-49. Poi in
Problemi del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 146-155. Per
la serietà dell'esame di Stato, in «Istruzione Media», Parma, n. 22, 22 agosto,
p. 1 Critiche esagerate?, in «L'istruzione media», Parma, n. 25, 10
ottobre, p. 1. Veritas filia temporis in Aristotele, in Scritti filosofici per le
onoranze nazionali di Bernardino Varisco, Vallecchi, Firenze, pp. 235-253.
Presente anche in Momenti del pensiero greco, Morano, Napoli 1964, pp.
1-20. 185. Das Problem der Mittelklassen in seiner Bedeutung für
den Sozialismus in Italien, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus
und der Arbeiterbewegung», herausgegeben von Carl Grünberg, XII, p. 1
ss. 186. Beccaria filosofo, in «Rivista di filosofia», Torino, XVI, n. 1,
dicembre, pp. 1-11 ss. Tratto dall' introduzione a Opere scelte di Cesare
Beccaria, Cappelli, Bologna 1925. 1926 187. Risposta a un'inchiesta
sull'idealismo, in «Il Baretti», Torino, a. 3., n. 1, gennaio, p.
72. Un cervello maschile, un cuore materno. In memoria di Anna
Kuliscioff, in «Critica Sociale», Milano, XXXVI, n. 1-2, 1-31 gennaio, p. 20. Moto
e vuoto, in «Il Baretti», Torino, a. 3, n. 2, febbraio, p. 76. Il
problema etico e culturale del socialismo nei rapporti col movimento
socialista, in «Critica sociale», XXXVI, n. 3, 1-15 febbraio, pp. 36-38. Materialismo,
idealismo, realismo critico-pratico, in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 4, 17
aprile, p. 3. Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966,
cit., pp. 261-265. Per la revisione del
bilancio idealistico, in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 21, 21 agosto, p. 3.
Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit., pp. 266-273.
Primum intelligere..., in «Il Quarto Stato», Milano, I, n. 29, 23
ottobre, p. 1-2. Anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, cit.,
pp. 274-276. Dall'esperienza agricola russa al problema contadino occidentale,
in «Critica sociale», Milano, XXXVI, n. 18-19, 16 settembre-31 ottobre pP.
280-287. Ristampato anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit., pp. 247-271. Diderot,
D'Alambert e il Trattato delle sensazioni, in «L'idealismo realistico», Roma.
1927 Condillac contro Condillac. Critica della prima parte del Trattato
delle sensazioni, in «Rivista di Psicologia», n. 1. Sulla
nozione di progresso, sintesi di una comunicazione al Congresso della Società
per il progresso delle Scienza (sezione scienze filosofiche), in Atti del
Congresso di Bologna. Il trattato delle
sensazioni di Condillac, con introduzione su L'Opera di Condillac, Cappelli,
Bologna. Spinoza e la nozione del progresso umano, in «Rivista di
filosofia», XVIII, n. 3, luglio-settembre, pp. 262-266. Anche in Tra teoria
sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolo interprete della coscienza
moderna. Scritti La polemica di Zenone d'Elea contro il movimento, parte I, in
«Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino, Confluito poi con
alcune aggiunte in R. Mondolfo, Problemi del pensiero antico, Der
Faschismus in Italien (sotto lo pseudonimo di «Rerum italicarum scriptor»), in
Internationaler Faschismus, herausgegeben von C. Landauer und H. Honegger,
Karlsruhe. La polemica di Zenone d'Elea contro il movimento, parte II, in
«Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino, a. VI, n. 56, pp.
78-107. Confluito poi con alcune aggiunte in R. Mondolfo, Problemi del pensiero
antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 89-145. Fichte,
in «Dizionario di scienze pedagogiche», vol. I, Vallardi, Milano, Confluito poi
nella raccolta Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L. Bassi, Cappelli,
Bologna Il realismo di Roberto Ardigò, in «Rivista di filosofia», XIX, n.
2, aprile-giugno, pp. 198-210. Anche in Tra teoria sociale e filosofia
politica. Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti Nel
primo centenario di Roberto Ardigò, in «Rivista internazionale di filosofia del
diritto», Roma, VIII, fasc. III, maggio giugno, pp. 380-387. 1929 Romagnosi,
in «Dizionario di scienze pedagogiche», vol. II, Vallardi, Milano, Il pensiero
antico. Storia della filosofia greco-romana, esposta con tesi scelti dalle
fonti, Società Editrice Dante Alighieri, Roma-Genova-Milano-Napoli. Sintesi
storica del pensiero antico, Società Editrice Dante Alighieri, Roma-Genova. Rassegne
di storia della filosofia: I. Filosofia del Rinascimento, in «Rivista di
filosofia», XX, Torino, n. 2, aprile-giugno, pp. 159-170. L'antinomia
fondamentale nella visione della vita e della storia di F. Nietzsche, in
«L'idealismo realistico», VI, fasc. 2, pp. 13-18. 211. Die Anfänge der Arbeiterbewegung
in Italien bis 1872 und der Konflikt zwischen Mazzini und Bakunin, in
«Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung»,
herausgegeben von Prof. Carl Grünberg, Hischfeld Verlag, XIV, heft 3,
Leipzig, pp. 339- 365. 212. Il superamento dell'utilitarismo e la
coscienza morale nella dottrina epicurea, in «Rendiconto delle sessioni della
R. Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna», vol. 3, Azzoguidi,
Bologna. Confluito poi in Problemi del pensiero antico, c Responsabilità
e sanzione nel più antico pensiero greco, in «Civiltà moderna», Firenze, II, n.
1, 15 febbraio, pp. 1-16. Poi confluito in Problemi del pensiero greco,
cit., pp. 3-20. 214. Razionalità e irrazionalità della Storia: per una
visione realistica del problema del progresso, in «Nuova Rivista Storica»,
Milano, XVI, fasc. 1-II, gennaio-aprile, pp. 1 ss. Collaborazione
alla «Encyclopedia of the Social Sciences» della Columbia University di New
York; voci: T. Campanella, A. Costa. I
primordi del movimento operaio in Italia avanti il 1872 e il conflitto tra
Mazzini e Bakunin, in «Nuova Rivista Storica», anno XIV, fasc. IV-V,
luglio-ottobre, pp. 394-412. Trad. it.: Die Anfänge der Arbeiterbewegung in
Italien bis 1872 un Konflikt zwischen Mazzini und Bakunin (cfr. n. 211).
Riproposto poi da Mondolfo in una rivista argentina nel 1955 (cfr. n. 410).
Nella versione italiana, anche in Tra teoria sociale e filosofia politica.
Rodolfo Mondolfo interprete della coscienza moderna. Scritti Collaborazione
alla «Enciclopedia Italiana» (Istituto Treccani); voce: Giordano Bruno, vita ed
opere, religione e filosofia, dio e l'universo: il monismo, l'etica, vol. VII,
pp. 980-984. Nella sua versione rielaborata Mondolfo ripropone questo articolo
in Figure e idee del Rinascimento, trad. di L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze
1963, pp. 35-111. Recensione a G. Tarozzi, L'esistenza e l'anima, in «Nuova Rivista
Storica», XIV, ottobre. 219. Collaborazione alla «Enciclopedia Italiana»
(Istituto Treccani); voci: Comunismo (esposizione critica della dottrina e
della storia), vol. IX, pp. 29-34; Filone di Alessandria, vol. XV, p. 352; C.
A. Helvétius, vol. XVIII, pp. 450-451. 1931 Collaborazione
alla «Encyclopedia of the social Sciences» della Columbia University di New
York; voci: Epicure and epicureanism, Giuseppe Ferrari, Gaetano Filangeri,
Pasquale Galluppi, Melchiorre Gioia, Gian Vincenzo Gravina, Theodor Karl Grün,
Peter Alexeyevitch, Antonio Labriola. Collaborazione
a «Pedagogia» (Enciclopedia delle Enciclopedie, Formiggini, Roma); voci:
Didattica della filosofia, pp. 305-312; Libertà e Laicità della scuola, pp.
820-835. Entrambi riportati in Educazione e cultura come problemi sociali,
Cappelli, Bologna 1957, pp. 149-161 e pp. 123-147. Comunicazione
al Congresso della Società Italiana per il progresso delle scienze su Criteri
di studio del problema riguardante le origini della filosofia greca. Germi
in Bruno, Bacone e Spinoza del concetto marxistico della storia, in «Civiltà
moderna», Firenze, anno III, n. 5, 15 ottobre, pp. 921-933. Scritto pubblicato
anche in Germania nel 1932 (cfr. n. 228) e, successivamente, nel 1936 sulla
rivista argentina «Dialéctica» (cfr. n. 277). Recentemente anche in Tra
teoria sociale e filosofia politica. Rodolfo Mondolfo interprete della
coscienza moderna. Scritti 1903-1931, cit., pp. 193-203. Un
educatore scomparso: Giovanni Marchesini, in «La Cultura popolare», XXI, 12,
pp. 467-473. Rapporti tra la speculazione religiosa e la filosofia nella Grecia
antica, I, in «La Nuova Italia», Firenze, II, dicembre, pp. 463-468. Intorno
al contenuto dell'antica teogonia orfica, in «Rivista di Filologia e
d'istruzione classica», a. IX, n. 59, dicembre, pp. 433-461.1932 Rapporti
tra la speculazione religiosa e la filosofia della Grecia antica, II, in «La
Nuova Italia», Firenze, III, gennaio, pp. 11-18. Il
concetto della «umwälzende Praxis» e i suoi germi in Bruno e Spinoza, in
«Grünbergs Fetschrift», C. L. Hirschfeld, Leipzig, pp. 365-376. I
Discorsi e il Contratto sociale di J. J. Rousseau, trad. con introduzione e
commento, 2ª edizione, Cappelli, Bologna. Collaborazione
alla «Enciclopedia Italiana» (Istituto Treccani); voci: Antonio Labriola, vol.
XX, pp. 334-335; Internazionale e Internazionalismo, vol. XIX, pp. 394-396. Il
Giansenismo in Italia di A. C. Jemolo, in «Rivista di Filosofia», Torino. Discutendo
il problema dei caratteri differenziali tra filosofia antica e moderna, in
«Rivista di filosofia», Milano, XXII, n. 3, luglio-settembre, PP. 189-209.
Articolo contenente il paragrafo finale della Nota sul genio ellenico, inserita
nell'edizione italiana di E. Zeller-R.Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo
sviluppo storico, Parte I: I Presocratici; vol. 1: Origini, caratteri e periodi
della filosofia greca, La Nuova Italia, Firenze 1932. Nell'edizione del
1951 si trova alle pp. 344-355. 233. Arte e religione in Grecia secondo
gli schemi del neoumanesimo, in «Civiltà moderna», Firenze, IV, n. 2, giugno,
pp. 186-209. Tratto da R. Mondolfo, Nota sul genio ellenico in E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, cit.
Nell'edizione del 1951 si trova a pp. 336 ss. 234. Nota sulla divisione
in periodi della filosofia greca, in «Archivio di storia della filosofia», a.
I, fasc. 2, aprile-giugno, pp. 156-170. Anche in E. Zeller-R. Mondolfo, La
filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 presocratici, vol. I:
Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, La Nuova Italia, Firenze
1951, pp. 375-384. Poi anche in Id., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: I presocratici, vol. II: lonici e Pitagorici, La Nuova
Italia, Firene 1938, pp. 27-89. 235. Collaborazione a
«Encyclopedia of the Social Sciences» della Columbia University di New York;
voci: Lucretius, Karl Geory Winkelblech (Karl Marlo). E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca,
traduzione e aggiornamenti, La Nuova Italia, Firenze. Studi
sopra l'infinito nel pensiero dei Greci, in «Memoria della R. Accademia delle
Scienze dell'Istituto di Bologna, classe di scienze morali», serie 3, tomo 6,
Gamberini e Parmeggiani, Bologna 1931- 1932. Pubblicato anche
nell'edizione Azzoguidi, Bologna 1932. 1933 Eternità
e infinità del tempo in Aristotele, in «Giornale Critico della Filosofia
Italiana», Firenze, XIV, pp. 30-43. Il
contributo di Zenone d'Elea alla scoperta dell'infinitesimale, in «Archivio di
storia della filosofia», IX, gennaio. La
preparazione dei greci alla comprensione dell'infinito, in «Civiltà moderna»,
Firenze, V, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-14. La
concezione dell'Empireo in Platone, in «La Nuova Italia», Firenze, marzo.
242. Il passaggio dal teleologismo al determinismo nella dottrina peripatetica
dell'eternità del mondo, in «Rivista di filosofia», Milano, XXIV, n. 2, aprile-giugno,
pp. 97-109. Articolo tratto da un capitolo della I edizione de L'infinito nel
pensiero dei Greci, Le Monnier, Firenze 1934. Nell'edizione ampliata del
1956 corrisponde a pp. 141-159. L'infinità
divina nelle teogonie greche presocratiche, in «Studi e materiali di storia
delle religioni», Roma, vol. IX, pp. 72 ss. Tratto da L'infinito nel pensiero
dei greci, Le Monnier, Firenze 1934, pp. 271-294. L'infinità
della potenza divina in Aristotele (Dal concetto negativo al concetto positivo
dell'infinito), in «Ricerche religiose», Roma, IX, luglio, Pp. 305-311. Tratto
da L'infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier, Firenze 1934. L'infinità
dell'essere in Melisso di Samo (contributi a un processo di riabilitazione), in
«Sophia», Padova, 1, aprile-giugno, pp. 159 ss. L'infinità
divina da Filone ai neoplatonici e ai suoi precedenti, in «Atene e Roma»,
Firenze, Le Monnier, anno I, serie III, n. 3, luglio-settembre, pp. 192-200.
Articolo rielaborato tratto L'Infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier,
Firenze, 1934. L'infinità del numero dai Pitagorici a Platone e ad Archimede, in
«Archivio di filosofia», Roma, fasc. 2, aprile-giugno, pp. 68-79. «Prassi
che rovescia» o «Prassi che si rovescia»?, in «Rivista internazionale di
filosofia del diritto», Roma, XIII, fasc. VI, pp. 743 ss. Scritto che viene
successivamente inserito da Mondolfo in Il materialismo storico in Federico
Engels (1952). Nella successiva riedizione del 1973 si trova alle pp. 401-403. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana»; voce: Materialismo storico, vol. XXII, pp.
563-564; Il contratto di lavoro nella voce Il lavoro, in XX, pp. 663-665. Collaborazione
alla «Encyclopedia of the Social Sciences» della Columbia University di New
York; voce: Paolo Paruta. Lezioni
di storia della filosofia svolte dal chiar. prof. Rodolfo Mondolfo durante
l'Anno accademico 1933-34, a cura di S. Bortolotti e E. Wittig Universita di
Bologna, Facoltà di Lettere e filosofia, Bologna. 1934 La
genesi storica della filosofia presocratica, in «La Nuova Italia», Firenze, 20
marzo, pp. 82-94. Prefazione al libro di G. Fontanesi, Il problema filosofico
dell'amore nell'opera di Leone ebreo, Libreria Emiliana, Venezia, pp. I-XIII. Problema
umano e problema cosmico nella formazione della filosofia greca, Memoria
presentata all'Accademia delle Scienze di Bologna nella sessione del 17 marzo,
Azzoguidi, Bologna, pp. 1-32. Anche in Problemi del pensiero antico, cit., pp.
23-85. 785 255. Note sull'eleatismo: a proposito degli Studi
sull'eleatismo di G. Calogero, in «Rivista di filologia e d'istruzione
classica», Torino, a. XII, n. 62, giugno, pp. 209-228. Poi in Problemi
del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935, pp. 156-185. 256. I
problemi dell'infinità numerica e dell'infinitesimo in Aristotele, in
«Rivista di filosofia», Milano, XXV, n. 3, luglio-settembre, pp. 210-
219. Tratto da L'infinito nel pensiero dei greci, Le Monnier, Firenze
1934. Caratteri e sviluppi della filosofia presocratica, in «Sophia»,
Roma, luglio-settembre, pp. 274-288. La
giustizia cosmica secondo Anassimandro ed Eraclito, in «Civiltà moderna»,
Firenze, vol. VI, n. 5-6, settembre-dicembre, pp. 409-424. L'infinito
nel pensiero dei Greci, Le Monnier, nella Collezione di «Studi filosofici»
diretta da G. Gentile, Firenze. Recensioni
in «Pan»: A. Rosemberg Storia del bolscevismo da Marx ai giorni nostri,
Sansoni, Firenze, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto»; N.
Festa, I frammenti degli stoici antichi, vol. I, Laterza, Bari 1932; G. Della
Valle, Tito Lucrezio Caro e l'epicureismo campano, Accademia Pontaniana, Napoli
1933; Id., Dove nacque T. Lucrezio Caro?, Stab. industrie editoriali
meridionali, Napoli 1933, in «Sophia»; G. Pasquali, Pagine stravaganti di un
filologo, Carabba, Lanciano 1933; Conte di Gobineau, Il rinascimento, trad. di
F. Gentile Tarozzi, Cappelli, Bologna 1933, in «Civiltà moderna»; G. Mayer,
Friederich Engels: Eine Biographie, M. Nijhoff, Haag 1934; Marx-Engels,
Historische, Kritische, Gesamtausgabe Werke Schriften, Briefe, Berlin, in
«Rivista di filosofia»; C. Ottaviano, Joachimi abbatis liber contra
Lombardorum, Reale Accademia d'Italia, Roma 1934. 261. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana»; voce: Movimento Operaio, vol. XXV, pp.
402-405. 1935 262. Francesco Fiorentino e il positivismo, in AA.VV,
Onoranze a F. Fiorentino nel cinquantenario della sua morte, Morano,
Napoli, pp. 81- 97. 263. Infinità dell'istante e infinità
soggettiva nel pensiero degli antichi, in «Giornale critico della filosofia
italiana», Firenze, 16, pp. 205- 234. Successivamente in Problemi del
pensiero antico, cit., pp. 207- 250. Inserito poi nella V parte de
L'infinito nel pensiero dell'antichità classica, cit. 264. La
genesi e i problemi della cosmogonia di Talete, in «Rivista di filologia e
d'istruzione classica», Torino, XIII, n. 63, giugno, pp. 145- 167.
265. Physis e theion: intorno al carattere e al concetto centrale della
filosofia presocratica, in «Atene e Roma», Firenze, Le Monnier, serie III, a.
III, n. 2, aprile-giugno, pp. 81-100. Il
principio universale di Anassimandro, in «Civiltà moderna», Firenze,
luglio-agosto, pp. 344-354. Questioni
di storia della scienza greca, in «Rivista di filosofia», Torino, XXVI, n. 23,
luglio-settembre, p. 246-257. L'infinito
e le antinomie logiche nel pensiero greco, relazione al «Congresso della
Società italiana per il progresso delle scienze», tenutosi a Palermo il 12-18
ottobre, Società italiana per il progresso delle scienze, Roma. Confluito poi
in R. Mondolfo, I problemi del pensiero antico, Zanichelli, cit., pp. 251-265. Collaborazione
alla «Enciclopedia italiana dell'Istituto Treccani»; voci: Sindacalismo,vol.
XXXI, pp. 830-832; Socialismo, vol. XXXI, PP. 990-997; Scienza (classificazione
delle scienze e storia della scienza), vol. XXXI, pp. 156-157. Problemi
del pensiero antico, Zanichelli, Bologna 1935. Lezioni
di storia della filosofia, a cura di E. Zambrini, Università di Bologna,
Facoltà di lettere e filosofia, Bologna. Lezioni
di filosofia moderna: Benedetto Spinoza, tenute dal Chiar.mo Prof Rodolfo
Mondolfo nell'anno 1935-1936, a cura di G. C. Cavalli, GUF G. Venezian,
Bologna. 1936 Gli
albori della filosofia in Grecia, in «La Nuova Italia», Firenze, gennaio. Feuerbach
y Marx. La dialéctica y el concepto de la historia, trad. di M. P. Alberti,
Claridad, Buenos Aires. Su una
presunta affermazione antica della sfericità terrestre e degli antipodi, in
«Archeion», vol. XVIII, n. 1, gennaio-marzo, pp. 7-17. Anaximenea,
in «Rivista di Filologia e d'istruzione classica», Torino, XIV, n. 64, marzo,
pp. 15-26. Gérmenes en Bruno, Bacon y Espinoza de la concepción marxista de
la historia, in «Dialéctica», Buenos Aires, abril. Per
Diogene d'Apollonia, in «Rivista di filosofia», Torino, XXVII, 3,
luglio-settembre, pp. 189-197. Gli
atomisti antichi, in «Il Lavoro», 21 settembre, p. 3. Formes
et tendences actuelles du mouvement philosophique en Italie (in collaborazione
con il Prof. Limentani della R. Università di Firenze), in «Revue de Synthèse»,
XII, n. 2, octobre, Paris, pp. 141- L'utopia
di Platone, in «Il Lavoro», 17 novembre, p.3. Aristotele
ed Epicuro, in «La Nuova Italia», Firenze, dicembre, pp. 273-279. 1937 Echi
del centenario di Romagnosi, in «Il Lavoro», 22 gennaio, p. 3 La
vitalità di Aristotele, in «Il Lavoro». La
filosofia antica in terra d'Africa e le tendenze del soggettivismo. Estratto da
Atti della XXV Riunione della SIPS a Tripoli, Raduno coloniale della scienza
italiana, 1-7 novembre 1936. Relazione Congresso della Società per il
progresso delle scienze (Tripoli). Problemi
della cosmologia di Anassimandro, in «Logos», Napoli, XX, fasc. I,
gennaio-marzo, pp. 14-30. Da una Nota sulla cosmologia e la metafisica di
Anassimandro introdotta come aggiornamento nel Il vol. dell'edizione italiana
de E.Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte
I: I Presocratici, Il vol.: lonici e Pitagorici, La Nuova Italia, Firenze,
1938, pp. 190 ss. Ancora sull'infinito e gli antichi, in «Sophia», V, 1-2, gennaio-
giugno, pp. 146-152. La prima affermazione
della sfericità della terra. Nota dell'accademico effettivo prof Rodolfo
Mondolfo, comunicata il 12 dicembre, in «Rendiconti delle sessioni della R.
Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di scienze morali»,
serie IV, 1, Bologna, Tip. Azzoguidi, p. 18. Trad. it con l'aggiunta di una
postilla in Momenti del pensiero greco e cristiano, cit., pp. 101-117. Collaborazione
all'«Enciclopedia italiana Treccani»; voci: Unità, Universo (nella storia della
filosofia), vol. XXXIV, pp. 714 e 744. Per
l'interpretazione di F. Fiorentino, in «Archivio di storia della filosofia
italiana», I, VI, 1, p. 32. Sui
frammenti di Filolao (contributo a una revisione del processo di falsità), in
«Rivista di Filologia e d'istruzione classica», XV, n. 65, p. 225-245. Platone
e la storia del pitagorismo, in «Atene e Roma», Firenze, Le Monnier, serie III,
a. V, n. 4. ottobre-dicemre, pp. 235-251. Tratto da una Nota sulle fonti della
nostra conoscenza e ricostruzione storica del Pitagorismo, in E. Zeller-R.
Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, pp. 313 ss. Forme
e tendenze attuali del movimento filosofico in Italia, (in collaborazione con
il Prof. Limentani della R. Università di Firenze), in «Logos», Napoli, XX, pp.
189-215.1938 L'origine dell'ideale filosofico della vita. Comunicazione del
socio Rodolfo Mondolfo, presentata nella seduta del 26 maggio 1938, in
«Rendiconti delle sessioni della R. Academia delle scienze dell'Istituto di
Bologna. Classe di scienze morali», serie V, I, Azzoguidi, Bologna, pp.
121-144. E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: 1 Presocratici, vol. Il: lonici e Pitagorici, La Nuova
Italia, Firenze. Intorno ad Epicarmo, in «Civiltà moderna», Firenze, I, X, n. 2-3,
marzo-giugno, pp. 133-143. L'unità
del pitagorismo, in «La Nuova Italia», Firenze, giugno. 1940 Origen
y sentido del concepto de cultura humanista, para la inauguración de cursos del
Istituto de Humanidades de la Universidad Nacional de Córdoba, El Sol, La
Plata, pp. 21-36. Historia y filosofia, in «Sustancia», Tucumán, a. I, n. 4, marzo,
pp. 530-545. Trad. it. in Alle origini della filosofia della cultura, trad. di
L. Bassi, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 164-187. 300. El
materialismo histórico en Federico Engels, version castellana de A.
Mantica, Libreria y Editorial Ciencia, Rosario, vol. di pp. 362. 301. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di R. Mondolfo e E. Garin,
Sansoni, Firenze, pp. XXXIII-104. La traduzione e le note di Rodolfo
Mondolfo vennero pubblicate anonime in questa prima edizione, mentre
ricompaiono nelle ristampe successive al 1946. 302. R. Descartes,
Principi di filosofia, a cura di R. Mondolfo e E. Garin, Sansoni, Firenze, pp.
XXXIII-82. La traduzione e le note di Rodolfo Mondolfo vengono pubblicate
anonime in questa prima edizione, mentre ricompaiono nelle ristampe successive
al 1946. 1941 Sócrates,
edición de la Universidad Nacional de Córdoba, Córdoba. Anche in Moralistas
griegos. La conciencia moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos Aires 1941. Sugestiones
de la técnica en las concepciones de los naturalistas presocráticos, in
«Archeion» de la Universidad Nacional del Litoral, XXIII, n. 1, julio, pp.
36-52. Trad. it di L. Bassi: Suggestioni della tecnica nelle concezioni dei
naturalisti presocratici, in Alle origini della filosofia della cultura,
introduzione di R. Treves, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 87-106. 305.
Moralistas griegos. La conciencia moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos
Aires. Trad. it. accresciuta a cura di V. E. Alfieri, Moralisti greci. La
coscienza morale da Omero a Epicuro, Ricciardi, Napoli-Milano 1960.
306. Espíritu revolucionario y conciencia histórica, in «Revista Mexicana de Sociología»,
Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 3, n. 4, 1 dicembre, pp.
71-86. 1942 El pensamiento antiguo,
historia de la filosofia greco-romana, 2 vol., Losanda, Buenos Aires. El
problema del conocimiento desde los presocráticos hasta Aristóteles,
Publicaciónes del Instituto de Humanidades de la Universidad Nacional de
Córdoba, n. 19, Córdoba. La
teoría del sentido interior en San Agustín y sus antecedentes griegos, in
«Insula», Buenos Aires. Trad. it. in Momenti del pensiero greco e cristiano, cit.,
pp. 59-84. Espíritu revolucionario y conciencia histórica, in «Revista
mexicana de Sociología» e nel «Boletín del Instituto de Sociología de Bueons
Aires», pp. 43-55. La antinomia del
espíritu innovador, in «Sustancia», n. 9, Tucumán, pp. 12- La
filosofia política de Italia en el siglo XIX, Imán, Buenos Aires. En
los orígenes de la filosofía de la cultura, Imán, Buenos Aires. En
el centenario de Galileo, in «Sur», Buenos Aires, 2, 97-99, octubre-diciempre,
pp. 86 e pp. 90. 1943 La
crítica escéptica de la causalidad, in El problema de la causalidad,
Publicaciones del Instituto de Humanidades de Córdoba. El
genio helénico y los caracteres de sus creaciones espirituales, Cuadernos de la
Facultad de Filosofía y Letras de Tucumán, Tucumán. Roberto
Ardigó y el positivismo italiano, in «Sustancia», Tucumán, n. 13. Naturaléza
y cultura en la formación de la filosofía griega, Publicaciones del Instituto
de Humanidades, n. 25, Córdoba. Rousseau
y la consciencia moderna, Imán, Buenos Aires. Campanella
y Descartes, in «Estudios de Filosofía», Universidad Nacional de Córdoba. La
filosofía de la historia de Fernando Lassalle, in «Revista mexicana de
Sociología», Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 5, n. 3, pp.
343-381. Traducción de Carmelo di Bruno del original italiano. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, 2ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. 1944 323. El pensamiento de Galileo y
sus relaciones con la filosofía y la ciencia antiguas, Publicaciones del
Instituto de Humanidades, n. 33, Córdoba. 30. La
filosofía de Giordano Bruno, trad. Ricardo Resta, in «Minerva», Buenos Aires,
a. 1, vol. 1, mayo-junio. La
ética antigua y la noción de conciencia morale, Imprenta de la Universidad
Nacional de Córdoba, Publicaciónes del Instituto de Humanidades, n. 41,
Córdoba, pp. 31. Misión de la cultura humanista, in «Papales», Buenos Aires. Determinismo
contra volontarismo en la filosofia de Nietzsche, in «Minerva», Buenos Aires,
II, n. 4. Anche Ensayos críticos sobre filósofos alemanes, Imán, Buenos Aires
1946, pp. 143-165. Trad. it. Determinismo contro volontarismo nella filosofia
di F. Nietzsche, in Filosofi tedeschi: saggi critici, trad. di L. Bassi,
Cappelli, Bologna 1958, pp. 145-164. La
politica y la utopía de Campanella. La Ciudad del Sol, in «Revista mexicana de
Sociología», Universidad Nacional Autónoma de México, vol. 6, n. 2, Mayo -
Augosto, pp. 213-223. Origen del ideal
filosófico de la vida, in «Revista de estudios clásicos de la Universidad de
Cuyo», Mendoza, n. 1, p. 47-78. Inserito successivamente in R. Mondolfo, En los
orígenes de la filosofía del la cultura, Libreria Hachette, Buenos Aires 19603,
pp. 281 ss. 1945 La trascendencia extratemporal
divina y la infinitud temporal en el período religioso de la filosofía griega,
in «Philosophia», Mendoza, Universidad de Cuyo, II, n. 2-3, pp. 7-12. Eternidad
e infinitud del tiempo en Aristóteles, Publicaciones del Instituto de Filosofía
y Humanidades, n. 44. Pubblicato nella «Revista de la Universidad Nacional de
Córdoba», año 32, n. 2. El infinito y las
antinomias lógicas de la filosofia antigua, «Publicaciones del Instituto de
Humanidades», n. 45, Córdoba. El
primer fragmento de Heráclito: texto, traduccion y comentario, in «Revista de
la Universidad de Buenos Aires», tomo V, a. III, n. 3-4, julio-diciembre, pp.
43-50. El pensamento antiguo, 2ª edición revis., Losanda, Buenos Aires. Sobre
la pena de muerte (Kant contra Beccaria), in «Bebel», Santiago del Chile, n.
27, pp. 97 ss. 1946 Bibliografia
de G. Bruno, in «Philosophia», Mendoza, Univer- sidad de Cuyo, 3, pp. 39-55. La
infinitud del espiritu en la filosofia antigua, Universidad Nacional de
Córdoba, Publicaciones del Instituto de Filosofía y Humanidades, Córdoba, n.
49, pp. 955-976. Qué es el materialismo histórico, in «Babel», Santiago del Chile,
n. 31, pp. 36 ss. 339. Prólogo a W. A. Heidel, La edad heroica de la
ciencia, Espasa Calpe, Buenos Aires. Cesar
Beccaria y su obra, Depalma, Buenos Aires, pp. 117. Trad. it con ampliamenti ed
aggiunte: Cesare Beccaria, La Nuova Accademia, Milano 1960. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, Sansoni,
Firenze, 2ª edizione. R. Descartes, Principi
di filosofia, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, Sansoni, Firenze, 2ª edizione. Il
problema del male in Agostino e nell'agostinismo, conferenza tenuta nell'aula
magna dell'Università di Montevideo il 31 agosto. Confluita in Momenti del
pensiero greco e cristiano, cit., pp. 85-97. 1947 344. Ensayos
críticos sobre filósofos alemanes, Imán, Buenos Aires. Trad. it a cura di L.
Bassi, Filosofi tedeschi: saggi critici, Cappelli, Bologna 1958. La
idea de progreso humano en G. Bruno, in «Babel», Santiago del Chile, n. 39, pp.
97 ss. Tres filósofos de Rinascimiento: Bruno, Galileo, Campanella,
Losanda, Buenos Aires. Poi rifuso in Figuras e ideas de la Filosofía del
Rinacimento, Losada, Buenos Aires 1955. San
Augustín y el problema del mal en el neoplatonismo cristiano, in «Revista de la
Facultad de Humanidades y Ciencias de Montevideo», n. 1, pp. 127-135.
1948 348. Interpretaciones de Heráclito en el último medio siglo, prólogo
a O. Spengler, Heráclito, Espasa-Calpe, Buenos Aires. Interpretaciones
italianas del materialismo histórico, in «Cultura italiana», Buenos Aires.
Trad. it: Il materialismo storico nelle interpre-tazioni italiane, in «Critica
sociale», Milano, XL, n. 3, pp. 54-58. Voluntarismo
y pedagogia de la acción en Mazzini y en Marx, in «Babel», Santiago del Chile,
n. 44, pp. 72 ss. La idea de cultura en el Rinacimiento italiano, in «Jornadas de
centro de cultura italiana», Tucumán, Universidad Nacional, 1, n. 1, pp. 1-20.
Poi in Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze, Die Klassische
Philosophie in Latein-Amerika, in «Universitas», Stuttgart. Problemas
y métodos de la investigación en historia de la filosofia, Cuadernos de
Instituto de Universidad Nacional de Tucumán, Tucumán. Sulle
orme di Marx, 4ª edizione, Cappelli, Bologna. Le
sujet humain dans la philosophie antique, in AA. VV., Proceedingof the Tenth
International Congress of Philosophy, North-Holland Publishing Co., Amsterdam
1949, pp. 1065-8. Voluntad y conocimiento
en Heráclito, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán, Spinoza y la noción
de progreso humano, in «Bebel», Santiago de Chile, n. 52, pp. 227 ss. R.
Descartes, Discorso sul metodo, a cura di E. Garin e R. Mondolfo, 3ª edizione,
Sansoni, Firenze. R. Descartes, Principi di filosofia, a cura di E. Garin e R.
Mondolfo, 3ª edizione, Sansoni, Firenze. El
hombre como sujeto espiritual en la filosofía antigua, in Actas de primer
Congreso Nacional de Filosofía, tomo III, Mendoza, Universidad Nacional de
Cuyo. 1950 361. L'utopia di Campanella, in «Studi in onore di Gino
Luzzatto», Giuffrè, Milano. J. J.
Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, 3ª edizione,
Cappelli, Bologna. Il pensiero antico.
Storia della filosofía greco-romana, esposta con testi scelti dalle fonti, 2ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. Il
metodo di Galileo e la teoria della conoscenza, in «Rivista di filo-sofia»,
Torino, XLI, fasc. 4, ottobre-dicembre, pp. 375-389. Publicato
contemporaneamente in lingua spagnola (cfr. n. 366). Confluito poi in R.
Mondolfo, Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963, pp.
291-313. Ensayos sobre el Renacimiento italiano, Universidad Nacional de
Tucumán, Instituto de filosofía, Tucumán. El
método de Galileo y la teoría del conocimiento, in Actas de la Academia de
Ciencias Culturales y Artes de la Universidad Nacional de Tucumán, Tucumán, 1,
pp. 9-27. Trabajo manual y trabajo intelectual desde la antigüedad hasta el
Renacimiento, in «Revista de historia de las ideas de la Universidad Nacional
de Tucumán», Tucumán, n. 1, pp. 5-25. Lavoro
manuale e lavoro intellettuale dall'antichità al Rinascimento, in «Critica
sociale», Milano, Ristampato in Alle origini della filosofia della cultura, a
cura di R. Treves, Il Mulino, Bologna 1956, pp. 125-149. Successivamente anche
in Polis, lavoro e tecnica, introduzione e cura di M. V. Ferriolo, Feltrinelli,
Milano 1982, pp. 51-71. 369. La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico, Parte I: I presocratici, vol. Il: Ionici e Pitagorici, 2ª edizione, La
Nuova Italia, Firenze. 1951 370. Lo humano y lo subjetivo en el
pensamiento antiguo, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán, Sobre una interpretación reciente de
Anaxagoras y los eleatas, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán,
Preparación profesional e investigación científica, in La universidad del siglo
XX, Universidad Nacional de San Marcos, Lima, pp. 333- 342. Trad. it. in
Educazione e cultura come problemi sociali, cit., pp. 46- 58. La
reminiscencia platónica y la actividad del espíritu, in «Actas del Congreso de
filosofía en Lima» y «Revista de la Universidad Nacional de S. Agustín de
Arequipa». Reseñas en «Notas y estudios de filosofía», sobre: M. Dal Pra, La
storiografia filosófica antica; C. Moeller, Sagesse grecque etparadoxe
chrétien; A. Nogueira, Universo, 1951-52. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I
Presocratici, vol. I: Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, 3ª
edizione, La Nuova Italia, Firenze. 797 1952 376. El pensamiento
antiguo. Tomo I: Desde los orígines hasta Platón. Tomo II: Desde Aristóteles
hasta neoplatónicos, 3ª edizione, Losanda, 2 tomos, Buenos Aires. 377. El
infinito en el pensamiento de la antigüedad clásica, trad. de F. Gonzáles
Ríos, Ediciones Imán, Buenos Aires.
La filosofía como problematicidad y el historicismo, in «Philosophia»,
Universidad Nacional De Cuyo, Mendoza, Trad. it: La filosofia come
problematicità e lo storicismo, in «Il Dialogo», II, n. 5, ottobre, pp.
43-64. Il materialismo storico in F. Engels, 2ª edizione italiana, La
Nuova Italia, Firenze. Leonardo teórico del
arte y de la ciencia, in «Sur», Buenos Aires, Eduard Zeller y la historia de la
filosofía, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán, 5, n. 12,
octubre-diciembre, pp. 369-381. Intorno
alla gnoseologia di Democrito, «Rivista critica di storia della filosofia»,
Milano, a. VII, fasc. 1, gennaio-febbraio, pp. 1-18. Articolo presente con
alcune modifiche anche in un capitolo di La comprensione del soggetto umano
nell'antichità classica, trad. di L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze 1958, pp.
267-297. 383. Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia,
La Nuova Italia, Firenze. 1953 I
cirenaici e i raffinati del Teeteto platonico, «Rivista di filosofia», Torino,
XLIV, n. 2, aprile, pp. 127-135. Tratto da La comprensione del soggetto umano nell'età
classica, cit., pp. 297-310. Il
valore del lavoro nel riconoscimento di Senofonte, Platone ed Aristotele, in
«Critica sociale», Milano, Trabajo y conocimiento según Aristóteles, in «Imago
mundi», Buenos Aires, 1, n. 1, pp. 14-22. L'unité
du sujet dans la gnoséologie d'Aristóte, in «Revue philosophique», Paris, 78,
luglio settembre, pp. 359-378. Platón
y el concepto unitario de cultura humana, in «Humanitas», Universidad Nacional
de Tucumán, a. 1, n. 1, pp. 15-24; nella versione italiana: Platone e il
concetto unitario di cultura umana, in Scritti di sociologia e politica in
onore di Luigi Sturzo, II, Zanichelli, Bologna, pp. 569-580. Dos
textos de Platón sobre Heráclito, in «Notas y estudios de filosofía», Tucumán,
4, pp. 233-244. Leonardo teorico dell'arte e della scienza, in «II Ponte»,
Firenze, IX, fasc. 8, pp. 1221-1238. Campanella
y su utopía, prólogo a T. Campanella, La Ciudad del Sol, Losada, Buenos Aires. Breve
historia del pensamiento antiguo, Losada, Buenos Aires, 1953-54. La
valoración del trabajo en la Grecia antigua hasta Sócrates, in «Revista de
economía», Córdoba, IV, n. 9, tomo 3, enero-junio, pp. 5-20. 1954
394. The greek attitude to manual labour, in «Past & Present»,
London, n. 6, november, pp. 1-5. Rousseau
e la coscienza moderna, La Nuova Italia, Firenze. Trad. it. di Rousseau y la
consciencia moderna, Imán, Buenos Aires 1944. Cultura
e libertà nel pensiero di Croce, in «Critica sociale», Milano, XLVI, n. 5, 5
marzo, pp. 77-80. Riportato in R. Mondolfo, Educazione e cultura come problemi
sociali, cit., pp. 91-104. Titolo originale Cultura y libertad en el
pensamiento de B. Croce, in AA.VV, Homenaje a Benedetto Croce en el primer
aniversario de su fallecimiento, de la Facultad de Filosofía y Letras de Buenos
Aires, 1956, pp. 202-212. Seneca
e l'infinità del progresso spirituale, in «Critica sociale», Milano, aprile. La
divisione del lavoro e il compito sociale dell'educazione, in «Critica
sociale», Milano, XLVI, n. 11, 5 giugno, pp. 172-173. Riportato anche in R.
Mondolfo, Educazione e cultura come problemi sociali, cit., pp. 35-43. Séneca
y la infinitud del progreso espiritual, in «La Torre», de la Universidad de
Puerto Rico, n. 5, pp. 63-74. Il
problema di Cratilo e l'interpretazione ai Eraclito, in «Rivista critica di
storia della filosofía», Milano, IX, n. 3, pp. 221-231. La
conciencia moral en Sócrates, Platón y Aristóteles, in «Humanidades», de la
Universidad Nacional de La Plata, n. 34, Seccíon Filosofía, pp. 7-29.
402. Figuras e ideas de la filosofía del Renacimiento, Losada, Buenos
Aires. Trad. it. a cura di L. Bassi: Figure e idee della filosofia del
Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963. 403. El problema de Cratilo
y la interpretación de Heráclito, in «Anales de Filología Clásica», Buenos
Aires, Universidad de Buenos Aires, VI, pp. 157-174. 1955 J.
J. Rousseau, Discorsi e Contratto sociale, a cura di R. Mondolfo, 4ª edizione,
Cappelli, Bologna. Educazione e democrazia
nel pensiero socialista, in «Critica sociale», Milano, XLVII, n. 3, 5 febbraio,
pp. 41-45. Historia de la filosofía e historia de la cultura, in «Imago
mundi», Buenos Aires, marzo. Trad it. Storia della filosofia e storia della
cultura, in Educazione cultura come problemi sociali, cit., 163-176. Intorno
a Gramsci e alla filosofia della prassi, in «Critica sociale», Milano, XLVII,
n. 6, 20 marzo, pp. 93-94; n. 7, 5 aprile, pp. 105- 108; n. 8, 20 aprile, pp.
123-127. Pubblicato anche in un opuscolo nell'edizione di «Critica sociale»,
Milano 1955, con prefazione di E. Bassi. Successivamente compreso nel
volume Da Ardigò a Gramsci, Nuova Academia, Milano 1962, pp. 139-190.
Ristampato anche in Umanismo di Marx. Studi filosofici Antologia di Aristotele,
La Nuova Italia, Firenze. La
comprensión del sujeto humano en la cultura antigua, Imán, Buenos Aires. Trad.
it. a cura di L. Bassi, La comprensione del soggetto umano nell'antichità
classica, La Nuova Italia, Firenze 1958. Giuseppe
Mazzini y los orígenes del movimiento obrero en Italia hasta 1872. El conflicto
entre Mazzini y Bakunin, in «Cuadernos de la cultura de Italia», Buenos Aires,
Sócrates, Colección filósofos y sistemas, Losange, Buenos Aires. Edizione
ampliata de Sócrates, edición de la Universidad Nacional de Córdoba, Cordoba
1941. Trad. it. in I moralisti greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro,
Ricciardi, Milano-Napoli 1960, pp. 65-136. Lavoro
e conoscenza nelle concezioni dell'antichità classica, «Sag-giatore», Torino.
Poi in Educazione e cultura come problemi sociali, Successivamente anche in
Polis, lavoro e tecnica, a cura di M. V. Ferriolo, cit., pp. 72-91. Espíritu
revolucionario y conciencia histórica, Ediciones Populares Argentinas, Buenos
Aires. Evolución del socialismo, Ediciones Populares Argentinas, Buenos
Aires. Historia de la Universidad de Bologna, in «La Torre», Puerto Rico,
Universidad de Puerto Rico, 3, 12, ottobre-dicembre, pp. 45 ss. Trad. it.
Storia dell' università di Bologna, in «La vita italiana», nel volume Estudios
italianos en la Argentina, publicado dal Centro di studi italiani, Buenos Aires
Cultura y libertad en el pensamiento de B. Croce, in AA.VV, Homenaje a
Benedetto Croce en el primer aniversario de su fallecimiento, de la Facultad de
Filosofía y Letras de Buenos Aires. Trabajo
y conocimiento en las concepciones de la antigüedad clásica, in «Cuadernos
Americanos», México, Universidad Nacional Autónoma de México, Titolo originale:
Lavoro e conoscenza nelle concezioni dell'antichità classica, in «Saggiatore»
Torino. Storia dell'università di Bologna, in «La vita italiana», nel
volume Estudios italianos en la Argentina, publicado dal Centro di studi
italiani, Buenos Aires 1956. Anche in Educazione e cultura come problemi
sociali, L'infinito nel pensiero dell'antichità classica, La Nuova Italia,
Firenze. El genio helénico: formación y caracteres, Editorial Columba,
Buenos Aires. La ciencia de la lógica de Hegel, trad. de Augusta y Rodolfo
Mondolfo, prólogo de R. Mondolfo, 2 tomos, Hachette, Buenos Aires. La
división del trabajo y la tarea de la educación, en «Estudios sociológicos» (IV
congreso de sociologia), México, y en «La Nación», Buenos Aires, abril. El
materialismo histórico en Engels y otros ensayos, nueva traduccion de la 2ª
edicion italiana con agregados, Editorial Raigal, Buenos Aires. Alle
origini della filosofia della cultura, trad. it di L. Bassi e con introduzione
di R. Treves, I Mulino, Bologna. Bolscevismo
e dittatura (la conseguenza del sistema), in «Critica sociale», Milano, XLVIII,
n. 19, 5 ottobre, pp. 305-309. Anche in Studi sulla rivoluzione russa, cit.,
L'esigenza del nesso fra storia della filosofia e storia della cultura, in AA.
VV., Verità e storia: un dibattito sul metodo della storia della filosofia,
Società filosofica romana, Arethusa, Asti, pp. 131-144. Aristotele.
Antologia, 1ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze.1957 La
coscienza morale e la legge interiore in Plutarco, in «Filosofia», Torino, Sul
concetto di lavoro, in «Il comune», Senigallia, febbraio. Successivamente in S.
Anselmi, Incontro con Rodolfo Mondolfo. In appendice: R. Mondolfo, Il concetto
di lavoro, Libr. editrice Sapere, Senigallia 1961. La
filosofia della Critica sociale, in Esperienze e studi socialisti: in onore di
U. G. Mondolfo, La Nuova Italia, Firenze, pArte, religión y filosofía de los
Griegos, Columba, Buenos Aires. La
deuda de Aristóteles con Platón, in «La Nación», Buenos Aires, 10 de febrero.
Acerca de la primera traducción directa de la Ciencia de la lógica
de Hegel, in «La Prensa», Buenos Aires, 13 de enero. La
filosofía como problemática y su continuidad histórica, in «Revista de
filosofía de la Universidad de Costa Rica», San José de Costa Rica, Prólogo
a A. Nogueira, Ideas vivas e ideas muertas, Colecão Rex, Río de Janeiro. Problemas
de cultura y educación, Hachette, Buenos Aires. Trad. it Educazione e cultura
come problemi sociali, Cappelli, Bologna 1957: Prólogo
a Lamanna, Historia de la Filosofía, I: El pensamento antiguo, trad. de
Caletti, Hachette, Buenos Aires. Educazione
e cultura come problemi sociali, Cappelli, Bologna. Edizione spagnola:
Problemas de cultura y education, Hachette, Buenos Aires. La historia de
la filosofía y la historia integral, in «Revista de la Universidad de Buenos
Aires», Buenos Aires, Note intorno alla storia della filosofía, in «Rivista
critica di storia della filosofia», Milano,
L'influenza storica e la perennità di Socrate, in «Il Dialogo»,
Bologna, Evidence of Plato and Aristotele relating to the ekpyrosis in
Heraclitus, trad. D. J. Allan, in «Phronesis», Intorno
al problema storico di Hilferding, in «Critica sociale», Milano, Ristampato in
R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici, Filosofi tedeschi: saggi
critici, trad. di L. Bassi, Cappelli, Bologna. 445. Il pensiero stoico ed
epicureo. Antologia di testi, a cura di R. Mondolfo e D. Pesce, La Nuova
Italia, Firenze. 446. Determinismo contro volontarismo in Nietzsche, in
«Il Dialogo», Bologna, nTitolo originale: Determinismo contra volontarismo en
la filosofia de Nietzsche, in «Minerva», Buenos Aires. Nella sua traduzione
italiana il saggio si trova anche in Id. Filosofi tedeschi: saggi critici,
trad. di L. Bassi, Cappelli, Bologna Prospettive filosofiche: la filosofia come
problematicità e lo storicismo, con bibliografia degli scritti di R. Mondolfo,
in «Il Dialogo», Bologna, Titolo originale: La filosofía como problematicidad y
el historicismo, in «Philosophia», Universidad Nacional De Cuyo, Mendoza,
Rispetto all'originale spagnolo del 1949, Mondolfo inserisce una breve postilla
di aggiornamento. La comprensione del soggetto umano nell'antichità classica, trad.
it. L. Bassi, La Nuova Italia, Firenze. Titolo originale: La comprensión del
sujeto humano en la cultura antigua, Imán Buenos Aires Prefazione a L. Conti,
L' assistenza e la previdenza sociale. Storia e problemi, Feltrinelli,
Milano. 450. Aristotele. Antologia, 2ª ristampa, La Nuova Italia,
Firenze. 1959 Eraclito
e Anassimandro, La Nuova Italia, Firenze. Eraclito
e Anassimandro (Dalle note di aggiornamento Zeller-Mondolfo, vol. III: Capitoli
su Eraclito), in «Filosofia», Torino, I
frammenti del fiume e il flusso universale in Eraclito, in «Rivista critica di
storia della filosofía», Milano, a. XV, fasc. 1, gennaio-marzo, pp. 3-13.
Titolo originale: El flujo universal de Heráclito y el símbolo del río, in
«Cultura Universitaria» Anche in E. Zeller e R. Mondolfo, La filosofia dei
Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 Presocratici, vol. IV: Eraclito, La
Nuova Italia, Firenze, Il pensiero politico del Risorgimento italiano, La Nuova
Accademia, Milano. Titolo originale: La filosofia política de Italia en el
siglo XIX, Imán, Buenos Aires. Rispetto all'edizione castigliana quella
italiana presenta aggiornamenti e arricchimenti. El
pensamiento antiguo. Historia de la filosofia greco-romana, vol. I-IL, 4ª
edición, Losada, Buenos Aires. Sócrates,
Editorial Universitaria, Buenos Aires. El sol
y las Erinias, según Heráclito, in «Universidad», Universidad Nacional del
Litoral, Santa Fe, La idea de una misión
del filósofo, en el pasado y en nuestros días, in «La Nación», Buenos Aires,
octubre. El flujo universal de Heráclito y el símbolo del río, in «Cultura
Universitaria», Caracas, Direccion de Cultura. Departamento de Publicaciones,
Nota sobre los Antecedentes en la historia de la filosofía, in «Philosophia»,
Mendoza, Universidad Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y Letras,
Instituto de Filosofía, La conflagración universal en Heráclito, in
«Philosophia», Mendoza, Revista del Instituto de Filosofía, Universidad
Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y Letras, Los
seminarios de investigación filosofíca, in «Revista de Educación», La Plata, La
missione della filosofia nell'epoca attuale, in «Critica sociale», Milano,
Anche in AA. VV., Prospettive storiche e problemi attuali dell'educazione.
Studi in onore di Ernesto Codignola, La Nuova Italia, Firenze Guía
bibliográfica de la filosofía antigua, Losada, Buenos Aires. Cesare
Beccaria, La Nuova Academia, Milano. Edizione italiana, con complementi ed
aggiunte de Cesare Beccaria, Editorial Depalma, Buenos Aires 1946. Moralisti
greci. La coscienza morale da Omero a Epicuro, trad. a cura di V. E. Alfieri,
Ricciardi, Napoli-Milano. Titolo originale: Moralistas griegos. La conciencia
moral de Homero a Epicuro, Imán, Buenos Aires 1941. Rispetto all'originale
edizione spagnola, quella italiana si presenta accresciuta. O
genio helénico, en V. de Magalhães Vilhena, Panorama do pensamiento filosófico,
Cosmos, Lisboa. En los orígenes de la filosofía de la cultura, 2ª edición
ampliada, Hachette, Buenos Aires. La
Universidad latino-americana como creadora de cultura, Cultura universitaria de
Caracas 1960; Universidad de la República, Montevideo; Universidades (Unión de
Universidades de América latina), Buenos Aires, IMarx y marxismo, Estudios
histórico-críticos, Trad. esp. parciale de M. H. Alberti, Fondo de cultura
económica, México-Buenos Aires. Socrates, 3ª edición, Eudeba, Buenos
Aires 471. Bibliografía heraclitea, in «Anales de filología clásica»,
Buenos Aires, VII, fasc. II, pp. 5-28. Il
pensiero stoico ed epicureo. Antologia di testi, introduzione critica e
commento a cura di D. Pesce, 2ª ristampa, La Nuova Italia, Firenze. Presentazione
a AA.VV, Senigallia, a cura di S. Anselmi, Libreria Editrice Sapere,
Senigallia. Socialismo e cristianesimo, in «Critica sociale», Milano, El
genio helénico y Arte, religión y filosofía de los griegos, Editorial Columba, Buenos Aires. Notas
heraclíteas. La identidad de los caminos opuestos (B 59 y B 60), in
«Philosophia», Mendoza, Universidad Nacional de Cuyo, Facultad de Filosofía y
Letras, Instituto de Filosofía, Heráclito y Parménides, in «Cuadernos
filosóficos», Universidad Nacional del Litoral, Rosario, De las notas de
actualización de Zeller-Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo
storico. Problemas y métodos de la investigación en la historia de la
filosofia, 2ª edición ampliada, Edit. Universitaria, Buenos Aires. Il
pensiero neoplatonico. Antologia di testi, scelta, traduzione e note
introduttive di R. Mondolfo, introduzione critica e commento di D. Pesce, La
Nuova Italia, Firenze. Il
pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana esposta con testi scelti
dalle fonti, 3ª edizione aggiornata, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, I Parte: 1
Presocratici, vol. IV: Eraclito, La Nuova Italia, Firenze. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte III:
La filosofia post-aristotelica, vol. VI: Giamblico e la Scuola di Atene, trad.
di E. Pocar, a cura di G. Martano, La Nuova Italia, Firenze. Nel
centenario di Filippo Turati, in «Quaderni italiani dell'Istituto italiano di
cultura», Buenos Aires. Arte, religion y
filosofia de los Griegos, Columba, Buenos Aires. Veritas
filia temporis en Aristóteles, in «Revista de la Universidad Nacional de
Córdoba», Personalità e responsabilità nella democrazia, I parte, in «Critica
sociale», Milano, Il movimento operaio fino al 1860, in «Critica sociale», Milano,
S. Anselmi, Incontro con Rodolfo Mondolfo. In appendice: M., Sul concetto di
lavoro, Libreria editrice Sapere, Senigallia. 1962 Personalità
e responsabilità nella democrazia, Il parte, in «Critica Sociale», Milano, Il
concetto dell'uomo in Marx, in «Il dialogo», Bologna, V, n. 20, pp. 1-47 e a
cura del Comune di Senigallia. Si tratta di una conferenza tenuta
all'Università di Montevideo per i corsi del Consejo Interuniversitario
Regional di Argentina, Cile e Uruguay, nel febbraio del 1962. Successivamente
pubblicata in spagnolo (trad. a cura di O. Caletti) nel testo Humanismo de
Marx, Fundo de la cultura económica, México Ora in Umanismo di Marx. Studi
filosofici 1908-1966, cit., pp. 324-345. Personalidad
y responsabilidad en la democracia, in «Buenos Aires. Revista de Humanidades»,
Buenos Aires, La conciencia moral de Homero a Demócrito y Epicuro,
Eudeba, Buenos Aires.493. Materialismo histórico. Bolschevismo y
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opere complete di Antonio Labriola, in «Critica sociale», Milano, in numero di
ripubblicazione dell Tesi di Critica Sociale, Rousseau y la conciencia moderna,
Eudeba, Buenos Aires. Homenaje a R. Mondolfo,
Universidad Nacional de Córdoba. Da
Ardigò a Gramsci, La Nuova Accademia, Milano. Testimonianze
su Eraclito anteriori a Platone, in «Rivista critica di Storia della
filosofia», Milano, Fratelli Bocca editori, n. 16, pp. 399- 424. Poi in
Eraclito, Testimonianze e imitazioni, a cura di R. Mondolfo e L. Tarán, La
Nuova Italia, Firenze 1972, pp. XLI-LXXXIV. Breve
historia del pensamiento antiguo, Losanda, Buenos Aires. Siete
opiniones sobra la significación del humanismo en el mundo contemporáneo, in
«Revista de la Universidad de Buenos Aires», Buenos Aires. 1963 Un
precorrimento di Vico in Filone alessandrino, in AA. VV., Miscel-lanea di studi
alessandrini in onore di A. Rostagni, Bottega d'Erasmo, Torino, Successivamente
in R. Mondolfo, Momenti del pensiero greco e cristiano, Morano, Napoli Morale e
libertà in Labriola, recensione a Dal Pane, Ricerche sul problema della libertà
e altri scritti di filosofia e pedagogia (1870-1883), in «Critica sociale»,
Milano, L'uomo greco secondo Pohlenz, in «Il Ponte», Firenze, La Nuova
Italia, Poi in Momenti del pensiero greco e cristiano, Morano, Napoli, Fromm y
la interpretación de Marx, in «La Nación», Buenos Aires, julio. La
Universidad y sus antecedentes, in «La Gaceta», del Fondo de Cultura Económica,
Mexíco. Personalidad y responsabilidad en la democrazia, Buenos Aires. Sócrates,
Mestre Jou, São Paulo. Sócrates, 4ª edición,
Eudeba, Buenos Aires. En torno a la
contemporaneidad de la historia, in «La Torre», Puerto Rico, Universidad de
Puerto Rico, Trad. it. Intorno alla contemporaneità della storia, in «Critica
sociale», Milano, La obra de Condillac, prólogo a Condillac, Tratado de las
sensaciones, Eudeba, Buenos Aires. Problemas
y métodos de la investigación en la historia de la filosofía, Eudeba, Buenos
Aires. Fromm e il concetto dell'uomo in Marx, in «Critica sociale», Anche
in R. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici, Figure e idee della
filosofia del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze. Trad. it. Figuras e ideas
de la filosofía del Rinacimento, Losanda, Buenos Aires. La
fondazione del materialismo storico (A proposito di recenti studi), in «Il
Dialogo», Bologna, Ristampato in Umanismo di Marx. Studi filosofici, Nuovi
studi su Feuerbach e Marx, a cura di M. e A. Testa, in «Il Dialogo», Bologna,
Marxismo e libertà, in «Il Ponte», Firenze, Anche in Umanismo di Marx. Studi
filosofici, Le antinomie di Gramsci, in «Critica sociale»,Decartes, Discorso
sul metodo, a cura di R. Mondolfo ed E. Garin, Sansoni,
Firenze. Galileo e la scienza, in
«Critica sociale», Milano, Ripubblicazione del saggio (cap II: Il pensiero di
Galileo e i suoi rapporti con l'antichità e con il Rinascimento) apparso nella
raccolta Figure e idee del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze In memoria di
Gino Luzzatto, in «Critica sociale», Galileo
y el método experimental, in «La Nación», junio. Momenti
del pensiero greco e cristiano, Il Morano, Napoli. A
quarant'anni della prima edizione de «La Rivoluzione Liberale», Rodolfo
Mondolfo a Piero Gobetti, Centro Studi Piero Gobetti, Quaderno Torino. El
humanismo de Marx, trad de O. Galetti, Fondo de la Cultura Económica,
México-Buenos Aires. Origen y desarrollo
histórico de la universidad, in «Revista de la Universidad de Córdoba»,
Córdoba. O pensamento antiguo, 2 tomos, Maestre You, São Paulo. Momentos
de pensamiento griego y cristiano, versión castellana de O. Caletti, Paidós,
Buenos Aires. 528. Materialismo histórico como humanismo realista, in «La
Gaceta», del Fondo de la Cultura Económica, México, septiembre. Si tratta di
una conferenza tenuta all'Università di Montevideo per i corsi del Consejo
Interuniversitario Regional di Argentina, Cile e Uruguay, nel febbraio del
1962. Pubblicata anche nel testo Humanismo de Marx, Fundo de la cultura
económica, México. La versione italiana (I materialismo storico come umanismo
realistico) si trova in «Il Dialogo», Bologna,
e in M., Umanismo di Marx. Studi filosofici, Discussioni su un testo di
Parmenide (Die Fragm. d. Vorsokr. -- Rivista critica di storia della
filosofia», Milano, Sul valore storico delle testimonianze di Platone, in
«Filosofia», XV, ottobre, pp. 583-601. Anche in Eraclito, Testimonianze e
imitazioni, a cura di M. e L. Tarán, La Nuova Italia, Firenze, Platón y la
interpretación de Jenófanes, in «Revista de la Universidad Nacional de
Cordoba». La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I
presocratici, vol. Il: Ionici e Pitagorici, La Nuova Italia, Firenze. K.
Marx, Crítica de la filosofia del derecho de Hegel, trad. del alemán, con notas
aclaratorias de R. Mondolfo, Ed. Nuevas, Buenos Aires. 1965 534. La lotta
di classe secondo Juan B. Justo, in «Critica sociale», Milano, Riproduzione
dell'Introduzione a AA. VV., Bilancio del marxismo, Cappelli, Bologna 1965; e
con il titolo Conclusioni sul marxismo, in «П Dialogo», Tecnica e scienza
nel pensiero antico, in «Athenaeum», Pavia, El pensamento antiguo, trad. del
italiano por S. A. Tri, tomo I-II, 5ª edición, Losada, Buenos Aires. Introduzione
a AA. VV., Bilancio del marxismo, Cappelli, Bologna. 1966 539. Le
testimonianze di Aristotele su Eraclito, in «Filosofia», Torino, Anche in
Heraclitus, Testimonianze e imitazioni, cura di R. Mondolfo e L. Tarán,
La Nuova Italia, Firenze, Aristotele. Antologia, 4ª edizione, La Nuova Italia,
Firenze. Verum ipsum factum desde la antigüedad hasta Galileo y Vico, in
«La Torre», Puerto Rico. Verum
ipsum factum dall'antichità a Galileo e Vico, in «Il Ponte», Firenze, La prima
inchiesta sul fascismo, in «Critica sociale», Milano, Il
centenario di Filippo Turati e introduzione e parti di F. Turati, Le vie
maestre del socialsimo, Morano, Napoli. Universidad:
pasado y presente, Eudeba, Buenos Aires. Sócrates,
5ª edición, Eudeba. Heráclito, textos y
problemas de su interpretacion, prologo de R. Frondizi, trad. de O. Caletti,
Siglo XXI, México, Madrid, Buenos Aires. 548. In memoria di Cesare
Battisti, in «Critica sociale», Milano, La lucha de clases según ]. B. Justo,
in Concepto humanista de la historia, Libera, Buenos Aires. Chiarimenti
sulla filosofia della prassi, in «Critica sociale», Anche in R. Mondolfo,
Umanismo di Marx. Studi filosofici, Prefazione e saggi: Per la comprensione
storica del fascismo e il fascismo in Italia in AA. VV., Il fascismo e i
partiti politici italiani. Testimonianze, a cura di R. De Felice,
Cappelli, Bologna. 552. Cesare Battisti socialista, in «Critica sociale»,
Milano, Zeller-M., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte II:
Da Socrate ad Aristotele, Aristotele e i Peripatetici più antichi, trad. di C.
Cesa, a cura di A. Plebe, La Nuova Italia, Firenze. La testimonianza di
Platone su Eraclito, in «De homine», Roma, Anche in Eraclito, Testimonianze e
imitazioni, a cura di R. Mondolfo e L. Tarán, La Nuova Italia, Firenze Zeller-M.,
La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1 Presocratici, vol.
Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, testo della 5ª edizione
tedesca con nuovi aggiornamenti, La Nuova Italia, Firenze. Zeller-M.,
La filosofia dei Greci, Parte I: 1 Presocratici, vol. III: Eleati, a cura di G.
Reale, La Nuova Italia, Firenze. Il
pensiero antico. Storia della filosofia greco-romana: esposta con testi scelti
dalle fonti, La Nuova Italia, Firenze. Estudios
sobre Marx (histórico-críticos), Mestre You, São Paulo. La
questione delle ideologie, in «Critica sociale», Milano, Problemas de cultura e
de educaçao, trad. de Maillet, Mestre You, São Paulo. Rousseau
y la conciencia moderna, Eudeba, Buenos Aires. Capitalismo
di stato sovietico, in «Critica sociale», Milano. Figuras
y idéias de filosofía da Renascença, Mestre You, São Paulo. L'infinito
nel pensiero dell'antichità classica, La Nuova Italia, Firenze. La
comprensione del soggetto umano nell'antichità classica, 8ª edizione, La Nuova
Italia, Firenze. Il pensiero neoplatonico. Antologia di testi, introduzione critica
e commento di Domenico Pesce, La Nuova Italia, Firenze. Aristotele.
Antologia, La Nuova Italia, Firenze. Alessandro Levi socialista, in «Critica
sociale», Milano, Espiritu revolucionario y conciencia histórica, Escuela, Buenos
Aires. Historia de ideas, Escuela, Buenos Aires. Studi
sulla rivoluzione russa, a cura del Centro Studi di Critica sociale, Morano,
Napoli. Umanismo di Marx. Studi filosofici, a cura diBobbio, Einaudi,
Torino. Bolchevismo y capitalismo de Estado. (Estudios sobre la revolucion
rusa), Trad. E. Rondanina, Libera, Buenos Aires. O
infinito no pensamento da antigüidade clássica, trad. L. Darós, 1ª ed. em
português, Mestre Jou, São Paulo. Figuras
e ideas de la filosofia del Renacimiento, 2ª edición, Losanda, Buenos
Aires. Il pensiero storico ed epicureo, La Nuova Italia, Firenze. La
conciencia moral de Homero a Demócrito y Epicuro, 2ª edición, Euseba, Buenos
Aires. O homem na cultura antiga, trad. de L. A. Caruso, Mestre Jou, São
Paulo. Sulle orme di Marx, 5ª edizione, Cappelli, Bologna. La
ciencia de la lógica de Hegel, trad. de Augusta y RodolfoMondolfo, prólogo de M.
Solar-Hachette, Buenos Aires. E.
Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: 1
Presocratici, vol. IV: Eraclito, La Nuova Italia, Firenze. E.
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Girgenti, Bompiani, Milano 2011. L'attrattiva della bellezza poetica, con
cui Lucrezio adorna la sua esposizione della teoria del progresso nella
filosofia dell’orto intensifica il potere suggestivo di questa sulla mente dei filosofi
romani. Cooperano, a Roma verso la visione ottimistica del progresso, altri
influssi, come quelli del lizio e del portico che si riconosceno nella
celebrazione da Cicerone del divino potere creatore dell'intelligenza
dell’uomo. L'influsso democriteo si ripercuoteva in Diodoro Siculo attraverso
Ecateo di Abdera. Quello dell’Orto agiva non solo sul grande poema di Lucrezio,
ma anche (attraverso questo) sulla filosofia di Virgilio, Orazio, e
Vitruvio. Certo, a Roma ci si mostrano due orientamenti opposti. Quello
ottimistico, assertore ed esaltatore del potere creatore dello spirito umano e
del progresso. Quello pessimistico, ispirato all'idea di una inferiorità
naturale dell'uomo rispetto agl’animali, ovvero di una sua caduta dalla
perfezione e felicità primordiali della mistica età saturnia alle miserie, alle
fatiche e ai conflitti dell'epoca storica. Queste voci tetre risuonano in Ovidio
e Plinio, come già anteriormente in quella di Sallustio (Catilina).
Ovidio, in Metamorph.-, influsso di Cicerone (De natura deorum), esalta la
nascita dell'uomo (« natus est homo »), come dell'animale piú savio e di
maggior capacità mentale tra tutti, dominatore della natura, di figura simile a
quella degli dèi, l'unico che per la sua posizione eretta possa contemplare il Cielo.
Ma Ovidio limita l'epoca beata dell’uomo all'età d’oro, quando non ancora
l'uomo aveva scoperto i metalli, né inventato la navigazione, né le armi, né le
fortificazioni, e neppure l'aratro e iutte le altre creazioni tecniche che sono
per Ovidio fonti di pene e di danni per il loro inventore. La creatività della
mente dell’uomo ha cosí un riconoscimento in Ovidio, ma come causa lamentevole
d'infelicità. “Contra te sollers, hominum natura, fuisti, et nimium damnis
ingeniosa tais Amores). D'altra parte Plinio (Natur.
hist.) vuole umiliare l'orgoglio di coloro che - come Cicerone in De natura
deorum, — affermano che il mondo fu creato *per* l'uomo; e li richiama alla
considerazione di tutti gli elementi d'inferiorità che ha l'uomo rispetto agli
altr’animali, e dei motivi della sua infelicità: un'anticipazione del
pessimismo del “De miseria hominis.” Ma
nell'atteggiamento di Ovidio il riconoscimento (fatto a denti stretti) del
potere creatore dell'intelligenza dell’uomo, rivela la forza con cui,
nonostante ogni pessimismo, tale idea s'imponeva allo spirito dell'epoca. Aiutata
certo nella sua diffusione dalla condizione storica, cioè dall'espansione
trionfale del potere di Roma. Ma
ispirata nella sua affermazione da suggestioni teoriche derivanti da filosofi.
Dall’orto attraverso l'affascinante esposizione poetica di Lucrezio, e da Cicerone.
Influenze combinate si devono riconoscere appunto in Cicerone, nella sua
celebrazione dell'eccellenza dell'uomo, del potere creatore dello spirito
umano, del lavoro, dell'industria e della co-operazione tra gl’uomini, come
fonti delle grandi conquiste della civiltà, che troviamo in “De natura deorum”,
“De finibus bonorum et malorum”, “De legibus”, e “De officiis”. L'uomo, dice
Cicerone in “De legibus,” questo animale previdente, sagace, molteplice, acuto,
dotato di memoria, pieno di ragione e di prudenza, ha da dio la sua natura
privilegiata, anzi partecipa con la sua ra- lavor dichiarate alle he
Coceo in “De officis”, L, s, dove ri corda che Panezio ha sviluppato
molto ampiamente e con numerosi esempi ciò che i capitoli 3-5 sintetizzano,
specialmente intorno alla co-operazione tra gli uomini, indispensabile per la
creazione di tante arti -- “senza le
quali la vita non meriterebbe d'esser vissuta” . . Modernamente l'influenza di
Panezio è sione di richiamare l'attenzione nel saggio L'infinito nel pen
siero dell'antichità classica, Firenze, La Nuova Italia] gione alla natura e
alla comunità divine 7. Seminato sulla terra, ha ricevuto il dono divino
dell'anima e la capacità della virtú, che è la natura perfezionata in se
stessa ed elevata al suo grado sommo (“in se perfecta et ad summum
perducta natura”); e, mediante l'imitazione della natura maestra, la ragione
umana, usando la sua capacità industriosa (“sollerter”), è pervenuta
all'invenzione di un numero infinito di arti (“artes innumerabiles
repertae sunt”). La natura diede all'uomo — mediante i sensi messaggeri,
la rapidità della mente e la luce dell'intelligenza -- i fondamenti della
scienza (“quasi fundamenta quaedam scientiae”), di modo che, per se stessa, la
natura umana sempre piú progredisce ed avanza (“ipsam per se natu-ram longius
progredi”) e, da sé, senza aver bisogno di maestri (“etiam nullo docente”),
arriva a consolidare e a perfezionare la ragione, partendo dalle cose le cui
specie ha conosciuto per mezzo della intelligenza primordiale ed iniziale (“ex
prima et inchoata intelligentia”) 3. In tal modo — ripete Cicerone alla
fine dell'Hortensius (come riferisce Agostino, De trinit.), con Aristotele,
Protrept. fr. c Walzer (61 Rose), l'intelligenza è forza visiva e sforzo attivo
della mente (“mentis aciem”), animata dal desiderio attivo dell'investigazione
(“ratione et investigandi cupiditate”). E come la sua attività è rivolta
ugualmente e congiuntamente [Eredità di ARISTOTELE, Protreptico, fr. c
Walzer = 61 Rose (che Anoke qul Cierone a apia al concet aristotelice
dele potenza che per se stessa tende all'atto. La potenza fondamentale
dell'intelligenza (“inchoatae intelligentiae”) considerata qui, è tanto teorica
(argumentamur, etc.) quanto pratica (conficimus), e non è privilegio di pochi
eletti, ma possesso di tutti (“communis omnium”). E Cicerone aggiunge (cap. 11)
ciò che già diceva Sofocle nel coro dell'Antigone e tornerà a dire nel
rinascimento Pico nel suo “De hominis dignitate”, cioè che l'uomo ha nella sua
natura la doppia possibilità, d'elevarsi verso la sommità del bene o di
sprofondare negli abissi del male alla conquista della scienza e alla creazione
delle arti, cosí — ripete Cicerone, “De finibus”, con lo stesso Protreptico di
Aristotele - si deve riconoscere che l'uomo è nato per una doppia finalità,
mentre ogni animale è nato per un unico compito: il cavallo per la corsa, il bue
per arare, il cane per cercare, ma l'uomo, come un dio mortale, per due
attività creatrici, intendere ed operare (“ut ad cursum equum, ad arandum
bovem, ad investigandum canem, sic hominem ad duas res, ut ait Aristoteles, ad
intelligendum et agendum esse natum, quasi mortalem deum”). Queste idee
hanno piú ampio sviluppo in “De natura deorum”, dove la superiorità dell'uomo
sugli animali è affermata da Cicerone, seguendo le orme di Panezio, negli
aspetti seguenti. La costituzione del suo corpo, la cui posizione eretta gli
permette la contemplazione del cielo e gli dà la possibilità di conoscere il
corso degli astri, di determinare le divisioni del tempo, di prevedere i
fenomeni astronomici per tutto l'avvenire (“in omne posterum tempus”) e di
trarre dall'ordine di essi la nozione della divinità legislatrice e
governatrice del mondo. I sensi che alla percezione associano i giudizi di
distinzione e di valutazione delle impressioni, e si fanno pertanto ispiratori
della creazione di arti rivolte a cogliere e ad usare le sensazioni (“ad quos
sensus ca-piendos et perfruendos, plures etiam quam vellem artes repertae sunt”);
l'intelligenza che comprende, definisce, connette le cose e crea
una scienza di tale potere ed eccellenza, che neppure in dio c'è qualcosa di
superiore (“qua ne in deo quidem est res ulla prestantior” § 59). E per questa
via l'uomo crea anche le arti, le une per le necessità della vita, le altre per
il diletto (secondo la distinzione tradizionale di Democrito e Aristotele); e a
questi risultati coopera anche il linguaggio che, come mezzo di comunicare le
conoscenze e di influire sul sentimento e la volontà altrui, e il vincolo
sociale che trasse l'umanità fuori della vita ferina primordiale (“haec nos
iuris, legum, urbium societate devinxit: haec a vita immani et fera
segregavit”). Ma nella creazione delle arti Cicerone torna a far notare,
con Anassagora, l'opera della mano, la cui conformazione e agilità permettono
all'uomo di operare tanto nelle arti di diletto (pittura, scultura, musica), quanto
in quelle di necessità (agricoltura, edilizia, tessitura, cucitura, confezione
di strumenti di metallo, etc.). «Per cui si comprende che noi abbiamo
conseguito tutto ciò che concerne le cose scoperte dallo spirito e percepite
dai sensi, mediante l'applicazione delle mani degli operai, per poter essere
protetti, vestiti e salvi, e avere città, difese, domicilii, templi ». Possiamo
prendere l'ali-mento e conservarlo; allevare e utilizzare animali per il
trasporto e per l'agricoltura; estrarre i metalli nascosti dalle profondità
della terra e forgiarli in strumenti e decorazioni; tagliare alberi per
riscaldamento, cottura di alimenti, edificazione di case, costruzione di navi,
che a noi — unici al mondo — permettono di dominare la forza del mare e dei venti.
In conclusione, l'uomo si converte in inventore delle arti e in dominatore
della natura, cioè in creatore di una nuova realtà, quella del mondo della
cultura. «Noi usufriamo dei campi, noi dei monti; nostri sono i fiumi,
nostri i laghi; noi seghiamo le messi, noi tagliamo gli alberi; noi, mediante
l'immissione di acque, diamo fecondità alle terre; noi chiudiamo i fiumi tra
dighe, li inalveiamo, li deviamo; insomma cerchiamo di creare con le nostre
mani una specie d'altra natura nella natura delle cose ». Non seguiremo
Cicerone nella sua dimostrazione successiva della tesi che il mondo fu creato
al servizio dell'uomo, che è la tesi contro cui polemizza Plinio, ma che non
interessa il nostro tema. Ciò che ci importa è la celebrazione menzionata del
potere creatore dell'umanità, che si può considerare un eloquente commento
esplicativo della citazione che il “De finibus” trae dal Protreptico
aristotelico, la quale dichiara che l'uomo è nato per la doppia attività,
conoscitiva e creativa, come un dio mortale. L'uomo contemplato qui da Cicerone
è appunto quello che crea il mondo della cultura e lo sovrappone al mondo della
natura; e Cicerone offre una formula efficace per esprimere tale creazione: «
nostris denique manibus in rerum natura quasi alteram naturam efficere
conamur». Formula che, insieme alla ricordata definizione (“dio mortale”)
tratta da Aristotele, ispira le 'linee memorabili dello Spaccio della bestia
trionfante di Bruno, che sintetizzano il contenuto essenziale della
dimostrazione ciceroniana: « gli dèi avevano donato a l'uomo l'intelletto e le
mani, e l'avevano fatto simile a loro, donandogli facultà sopra gli altri
animali; la qual consiste non solo poter operar, secondo la natura ed
ordinario, ma, ed oltre, fuor le leggi di quella; acciò, formando o possendo
formar altre nature, altri corsi, altri ordini con l'ingegno.... venesse a
serbarsi Dio de la terra » (Gentile, Dialoghi morali, Bari, Laterza).
Anche quello che segue nella pagina bruniana, sulle necessità che acuiscono gli
ingegni e fanno inventare le arti — di modo che « sempre piú e piú....
allontanandosi dall'esser bestiale, piú altamente s'approssi-mano a l'esser
divino › — poteva ispirarsi alle frasi di Cicerone relative all'uomo che « se
segregavit a vita immani et fera »; frasi che, tuttavia, esprimevano un
concetto comune ad altri filosofi antichi, da Democrito a Lucrezio, i
quali insieme a Cicerone influiscono sulle celebrazioni della dignità dell'uomo
e della creatività dello spirito, rinnovate dagli scrittori rinascimentali, da
Manetti a Bruno e Campanella ?. Ma in un particolare caratteristico il
luogo citato dello Spaccio bruniano poté ispirarsi alla I Georgica di Virgilio,
vale a dire nel considerare la mitica età dell'oro come epoca di pigrizia e di
stupidità umane, e nel celebrare invece la dura necessità come causa del
risveglio dell'intelligenza e della creazione delle arti. « Ne l'età de l'oro,”
dice Bruno, “per l'Ocio gl’uomini non eran piú virtuosi, che sin al
presente cultadi, risorte le necessitadi, sono acuiti gl'ingegni,
inventate le industrie, scoperte le arti; e sempre di giorno in giorno, per
mezzo de l'egestade, dalla profundità de l'intelletto umano si eccitano nove e
maravigliose invenzioni. Onde, sempre piú e piú per le sollecite ed urgenti occupazioni
allontanandosi da l'esser bestiale, piú altamente 'approssimano a l'esser
divino » Senza dubbio il mito dell'età aurea o saturnia, pertamente svalutato
qui da Bruno, e motivo di sogni nostalgici per i filosofi dell'epoca d’Ottaviano,
quando Ovidio lo evoca in Metamorph., collegandolo con l'altro mito esiodeo
delle cinque età della degradazione umana, e lo stesso Virgilio torna a sognare
un ritorno del regno di Saturno (« redeunt Saturnia regna ») nella profezia
della Sibilla nell'Egloga IV. Tuttavia questi miti si trovavano già in
Esiodo in conflitto con la celebrazione del lavoro condizionante la dignità
della vita, oltre che ogni acquisizione di beni. 3 Cfr. anche Gentile,
«Il concetto dell'uomo nel rinascimento › ne Il pensiero del rinascimento,
Firenze. E il problema torna a porsi per Virgilio, che lo risolve nella I
Georgica in un modo che precorre Bruno. L’abbondanza e la facilità di vita
della mitica età saturnia significano ozio e letargo mentale; e Giove, che nel
detronizzare Saturno introduce le difficoltà, l'indigenza e la necessità del
lavoro, da agli uomini per questa via il dono inestimabile dell'attività
dell'intelligenza, creatrice delle arti e trionfatrice di tutte le avversità
per mezzo del lavoro. «Giove, il padre (pater ipse), volle che non fosse
facile la via della coltivazione, e dapprima fa lavorare i campi per mezzo
dell'arte, e acuí per mezzo delle preoccupazioni gli spiriti dei mortali, e non
permite che il suo regno s'intorpidisse in un pesante letargo », come accadeva
prima del suo governo, quando nessuno lavora la terra, e questa concede tutto
senz'esser sollecitata dal lavoro umano. Giove cancella totalmente le facilità
e comodità, « affinché la necessità suscitasse le diverse arti, a poco a poco,
mediante la meditazione ». Cosí nasce l'agricoltura. Si scopre il modo di
accendere il fuoco con la pietra focaia. Si incanalano i fiumi. Si inventa la
navigazione, e il navigante impara a conoscere e nominare le stelle. Si
inventano gl’artifici della caccia e della pesca. Si forgia il ferro e se ne
fanno strumenti come l'ascia e la sega. «Allora vennero le varie arti;
trionfano di tutte le difficoltà il lavoro instancabile e l'indigenza che
assilla [gli uomini] nell'asperità delle condizioni di esistenza »: Tum
variae venere artes; labor omnia vicit improbus, et duris urguens in rebus
egestas. In tal modo, per Virgilio, la necessità e il lavoro, che Ovidio
lamenta come una maledizione per la vita umana, sono una vera benedizione,
perché risvegliano l'intelligenza e l'attività creatrice dell'uomo, e stimolano
quella meravigliosa creazione delle arti e della cultura, i cui momenti e
aspetti Virgilio sintetizza ispirandosi alla ricostruzione storica tracciata
nel V libro di Lucrezio. Certo, Virgilio s'allontana da Lucrezio nell'accettare
il mito dell'età saturnia, pur valutandolo negativamente rispetto a ciò che è
piú essenziale e nobile nell'umanità, vale a dire, l'intelligenza e la
creatività dello spirito. Ma un'eco piú fedele della concezione lucreziana
sulla condizione primordiale dell'umanità risuona in Orazio (“Satyr.”) con la
descrizione dei primi uomini che, come gl’altri animali, formano un gregge muto
e turpe (mutum et turpe pecus), lottano tra loro con unghie e pugni, poi con
bastoni e piú tardi con altre armi per soddisfare i primordiali bisogni di cibo
e di riparo, finché non creano il linguaggio, desistendo dalle guerre,
edificando città e creando leggi che impediscano i delitti. In una generazione
successiva Giovenale (“Satyr.”, VI e XIII) ripresenta una descrizione analoga
dello stato bestiale dell'umanità primitiva, satirizzando l'idea dell'età
saturnia: anch'egli, probabilmente, influenzato da Lucrezio e dalla concezione
epicurea della storia dell'umanità. Tuttavia, l'eco piú importante,
teoricamente, di tale concezione ci si presenta nell'età d'Ottaviano (come oggi
si torna a riconoscere da parte della critica storica) con Vitruvio, il quale
sembra raccogliere dagli ambienti colti della sua epoca o compiere lui stesso
una fusione delle idee esposte da Lucrezio con altre di varia provenienza,
relative al progresso umano, derivanti da Cicerone, al cui insieme aggiunge
l'intuizione dell'importanza che hanno per il progresso due fattori,
apparentemente contrari, ma connessi da lui in una dipendenza mutua, che sono
la divisione del lavoro e l'unità organica della cultura umana. Vitruvio
mette in rilievo, nella sua concezione del progresso storico dell'umanità e
della creazione della cultura, una molteplicità di fattori cooperanti: la
durezza primordiale della vita; le esperienze fortuite che suggeriscono qualche
mezzo per mitigare tale durezza; le capacità e potenze congenite negli uomini,
che sono stimolate al loro esercizio dai due fattori suddetti, e sono avviate
cosí ad uno sviluppo progressivo e alla produzione di risultati crescenti; la
ripercussione che hanno i fattori citati sulla formazione di raggruppamenti
umani permanenti, a partire da quelli temporanei primordiali, e sulla creazione
del linguaggio; l'effetto prodotto da tali innovazioni, che non solo permettono
l'assommarsi delle capacità individuali, ma provocano il loro acerescimento
progressivo, dovuto sia al mutuo aiuto e all'esperienza dei vantaggi della
cooperazione, sia allo stimolo reciproco derivante dall'attrito degli ingegni;
il sussidio poderoso, che dà a tale processo l'uso di due strumenti
meravigliosi, che sono il linguaggio, generato dalla convivenza sociale, e il
possesso della mano, organo naturale incomparabile per afferrare ed elaborare
le cose, la cui efficacia, già intuita da Anassagora, ha di nuovo posta in
rilievo Cicerone; e infine l'imitazione e trasformazione della natura
effettuate dalle arti, dove il conoscere è un fare e l'esperienza è un
esperimento. Questo fare e sperimentare воло геві possibili
precisamente dal possesso e dall'uso delle mani, che rendono capace
l'uomo di tentare i piú vari modi di combinazione ed elaborazione dei mezzi
naturali, di modo che, a partire da principi minimi, le arti si elevano nel
loro sviluppo verso risultati sempre maggiori e progressivi affinamenti delle
loro capacità creative. Tutti questi elementi sono messi in rilievo da
Vitruvio nel cap. I del libro II del De Architectura: Sulla vita degli uomini
primitivi e sugl’inizi e incrementi della civiltà e dell'architettura.” La
prima esperienza che, secondo Vitruvio, ha una funzione decisiva per togliere
gli uomini dalla vita ferina primordiale e generare la convivenza sociale
permanente, fu quella dell'incendio di selve prodotto da qualche tempesta.
L'impressione di terrore iniziale è seguita dalla curiosità, per la quale gli
uomini, dopo esser fuggiti, tornano ad avvicinarsi e, sentendo il calore del
fuoco, intuiscono la sua utilità per la vita. Attratti dallo spettacolo, gl’uomini
si riuniscono, concepiscono la possibilità di continuare ad alimentare il fuoco.
E cosí iniziano la loro convivenza ed una comunicazione mutua delle loro
impressioni mediante voci, che a poco a poco, con il tempo, si convertono in
linguaggio. La posizione eretta e il possesso delle mani, che permettono il
maneggio di qualunque oggetto, portano gl’uomini alla prima creazione di ripari
e di tetti, mediante escavazione di tane o costruzioni di rami e fango che
imitano quelle dei nidi di rondini. Lucrezio e Cicerone insieme
suggerivano a Vitruvio questa concezione delle fasi e dei fattori del processo.
Vitruvio aggiunge l'idea di un'analogia generale di questo sviluppo storico
presso i diversi popoli, allegando i documenti offerti da resti di costruzioni
primitive che si trovavano in paesi civili come sul Campidoglio di Roma, e
dalle edificazioni che continuavano a farsi in paesi barbari (Gallia,
Aquitania, Colchide, Frigia, etc.). Queste osservazioni comparate, che
presentano il passato dei popoli civili come analogo al presente dei barbari,
potevano suggerire l'idea di un futuro progresso dei barbari verso uno sviluppo
analogo al presente dei popoli civili, tanto piúin quanto Vitruvio rileva
l'impulso che danno al progresso le relazioni mutue nell'interno d'ogni
popolo. L'osservazione reciproca (egli nota) desta non solo la capacità
d'imitazione, ma anche l'emulazione, per cui si perfezionano con il tempo i
prodotti e si affinano la stessa intelligenza e la facoltà di giudizio dei
produttori. Allora con l'osservazione delle costruzioni altrui e l'aggiunta
di novità per mezzo delle riflessioni proprie, di giorno in giorno andavano
migliorando il tipo delle costruzioni. Ed essendo gli uomini capaci
d'imitazione e d'istruzione, nel celebrare giornalmente le loro invenzioni, si
mostravano tra di loro i risultati delle loro costruzioni; e in tal modo,
nell'esercitare i loro ingegni in competizioni, di giorno in giorno si facevano
di giudizio piú raffinato ». Quest'ultima frase, “in dies melioribus
iudiciis efficiebantur,” anticipa l'idea di Bruno, che gli uomini acquistano
progressivamente giudizio « piú maturo »; il che si determina, secondo Bruno
per tre fattori: l'accumulazione delle osservazioni, l'attività riflessiva e
inventiva del pensiero, e la varietà delle cose osservate. Ma Vitruvio aggiunge
un altro fattore piú importante: l'esercizio attivo del potere dell'ingegno,
stimolato dalla emulazione (exercentes ingenia certationibus). In ciò Vitruvio
raccoglie la suggestione di Aristotele relativa all'affinamento progressivo del
giudizio per via del suo esercizio costante. Ma in Aristotele tale esercizio
nasce dall'insoddisfazione e dalla critica delle idee altrui. In Vitruvio dallo
sforzo d'emulazione. In entrambi, tuttavia, il processo si realizza tanto nello
spirito individuale quanto in quello collettivo; e Vitruvio riconosce cosí la
formazione storica dello spirito dell'umanità, considerando il vincolo e l'azione
reciproca tra il perfezionamento dei prodotti dell'arte e lo sviluppo dello
spirito produttore.Vitruvio esprime cosí u concetto tipicamente storicistico,
nel riconoscere che lo spirito umano è in sé e per sé storia e sviluppo;
concetto considerato abitualmente « tutto proprio dell'età moderna», come lo
define Gentile (Il pensiero del rinascimento, cit.), nel trovarlo espresso da
Bruno. Vitruvio riconosce e spiega tale carattere storico dello spirito in
rapporto con la storia dell'architettura, che nel suo sforzo di perfezionamento
progressivo, per rispondere sempre piú alle esigenze umane, si fa, secondo lui,
generatrice di altre arti e discipline, per via dell'esercizio continuo cui
obbliga la mente, che in tal modo si potenzia e sviluppa in se stessa nuove
capacità, madri di arti e scienze nuove. « Come, dunque, con l'attività
costante (quotidie faciendo) avevano [gli uomini] rese piú esperte ed abili le
loro mani per ogni costruzione (tritiores manus ad aedificandum perfecissent),
e mediante l'esercizio instancabile dei loro ingegni (solertia ingenia
exercendo) erano giunti con l'uso incessante alla creazione delle arti, allora
l'attività industriosa aggiunta da essi ai loro spiriti (industria in animis
eorum adiecta) fece sí che quelli che erano piú ben disposti e diligenti
(studiosiores) si convertissero in artefici professionali (fabros se esse
profiterentur) ». Nasce in questo modo, dal progresso delle capacità
intellettuali e pratiche, la divisione del lavoro; ma nasce e si mantiene
legata all'unità organica della cultura, affermata già, con notevole vigore, da
Vitruvio nel I cap. del libro I. Dove si fa notare per l'architettura il vincolo
reciproco dell'attività pratica (fabrica) e di quella teorica (ratiocinatio),
che non permette di raggiungere la perfezione dell'arte né al puro homo faber
né al puro homo sapiens, ma solo a chi riunisce in sé entrambe le condizioni; e
aggiunge Vitruvio che l'architetto ha bisogno di conoscenze di letteratura,
disegno, geometria, storia, filosofia, musica, medicina, diritto,
astronomia, cioè di possedere una cultura organica: « tutte le discipline hanno
tra loro un vincolo ed una comunicazione mutua.... e la [cosí detta] disciplina
enciclica come un corpo unico è costituita di tali membri ».
Certamente, come tecnico e teorico dell'architettura, convinto e preoccupato
dell'importanza preminente della sua arte, Vitruvio nel I cap. del libro II, che
stiamo analizzando, sembra che spieghi l'unità e connessione reciproche di
tutte le arti e discipline come dovute ad un germinare di tutte dalla radice
comune dell'archi-tettura, che per le sue esigenze ed i suoi sviluppi
genererebbe le altre arti e scienze, e ne determinerebbe i progressi. « Dalla
costruzione degli edifici progredendo gradualmente verso le altre arti e
scienze (e fabrica-tione aedificiorum gradatim progressi ad ceteras artes et
disciplinas) e utilizzando le armi del pensiero e la riflessione deliberativa',
con cui la natura rafforzò le loro menti (cum natura cogitationibus et
consiliis arma-visset mentes), essi trassero l'umanità dalla vita ferina e
selvaggia a quella civile (e fera agrestique vita ad mansuetam perduxerunt
humanitatem) ». Allora si genera negli uomini la capacità di prepararsi
nel loro spirito, e di guardar lontano per mezzo dei pensieri piú grandi, che
nascono dalla varietà delle arti (tum autem instruentes animo se et
prospicientes maioribus cogitationibus ex varietate artium natis); il che
Vitruvio applica, indubbiamente, ai progressi del-l'architettura, ma è un
concetto che s'estende da sé ad ogni sviluppo culturale. « Poi con le
osservazioni degli 1 Se leggessimo, con qualche edizione, conciliis
anziché con siliis, dovremmo pensare che Vitruvio rilevasse qui non già
l'importanza della riflessione deliberativa (consilia), bensi quella della
convivenza e della cooperazione sociale (concilia). Ma queste ul-
time sono per Vitruvio creazione umana e non dono della natura.
studi portarono [le loro opere] dai giudizi errati ed incerti alle ragioni
certe delle simmetrie. Quindi mediante le loro cure alimentarono e adornarono
di piaceri l'eleganza della vita, accresciuta dalle arti (trac- tando
nutriverunt et auctam per artes ornaverunt vo- luptatibus elegantiam
vitae) ». Si presenta pertanto, nella concezione di Vitruvio, tutto un
processo storico nel quale l'uomo, spinto dai bisogni, guidato dalle
esperienze, rafforzato dall'eserci-zio, sviluppa e traduce progressivamente in
atto le sue potenze naturali, creando le arti e le scienze; ma in questo
processo i prodotti reagiscono sul produttore; l'esercizio intensifica i poteri
dello spirito e genera nuove capacità; i risultati realizzati si convertono in
mezzi e impulsi per creazioni ulteriori; e in questo modo l'umanità progredisce
e si sviluppa, creando il mondo della cultura e creando nello stesso tempo
spiritualmente se stessa per mezzo del suo lavoro, come causa ed effetto
insieme dei suoi progressi. La concezione della creatività dello spirito
appare, dunque, raggiunta in pieno da Vitruvio. Lo scambio d'azione che
Vitruvio vedeva effettuarel tra lo spirito produttore e i suoi prodotti nella
creazione e nello sviluppo progressivo delle arti e delle scienze, significava
per se stesso un processo storico di autocreazione e d'autosviluppo incessanti
dello stesso spirito umano, che logicamente doveva presentarglisi come un
processo infinito. Ma Vitruvio non segnalò, e forse non intuí neppure questa
conseguenza della sua conce- ' (Appare in questa visione un barlume del
processo chiamato da Marx il processo della umwälzende Praxis, cioè
dell'attività dell'uomo che si rovescia su se stessa e sull'uomo,
trasformandolo nel trasformare se stessa. zione, cosí come non
l'aveva espressa né vista Aristotele, benché riconoscesse che il potere
intellettuale dell'uomo va aumentando sempre, quantitativamente e
qualitativa- mente, con l'esercizio attivo delle sue capacità di indagine
e di riflessione critiche. La prima affermazione esplicita dell'infinità
del progresso spirituale umano ci appare nell'antichità classica con Seneca,
che tuttavia era stato precorso parzialmente da Filone ebreo, come diremo. Ma
mentre nella concezione di Vitruvio l'infinità potenziale del progresso è in
rapporto con il processo di creazione e sviluppo delle arti, a cui egli
collegava la scoperta delle scienze, Seneca invece nella polemica contro
Posidonio ripudia l'unità e identità tra l'homo faber e l'homo sapiens, che
quello aveva affermato (cfr. Epist.). Contro la celebrazione del
progresso tecnico, inserito da Posidonio nello sviluppo stesso della saggezza,
Seneca nella sua polemica sembrava ripudiare la creazione umana delle arti,
accusandola di complicare e render difficile la vita, e sembrava ritornare, con
l'evocazione di Diogene, all'ideale cinico-stoico della semplicità primordiale
della vita conforme alla natura, che facilmente soddisfa le sue esigenze
minime. «Non fu tanto nemica la natura, da concedere la facilità della
vita agli altri animali e volere che solo l'uomo non potesse vivere senza tante
arti.... Siamo noi che ci rendemmo tutto difficile per la nostra tendenza a
stancarci (fastidio) delle cose facili.... Tutte queste arti, per le quali la
città si eccita e rumoreggia, lavorano per il corpo, a cui prima si imponeva
ogni [sa-crificio] come ad uno schiavo, mentre ora gli si prepara ogni
[godimento] come ad un padrone » (epist. cit.). Tuttavia questa posizione
polemica non rappresenta integralmente l'orientamento spirituale di Seneca.
Seneca è ben lungi dall'identificare la saggezza — nel cui culto
vede l'unica attività che possa render degna la vita umana - con la supposta
felicità primordiale dello stato di natura. « Per quanto egregia e priva di
inganni fosse la vita di quelli (primitivi), essi non furono savi.... non
avevano ingegni perfezionati (consum-mata).... La natura non dà la virtú, e il
diventar buono è un'arte.... Quelli erano innocenti per ignoranza; ma c'è una
gran differenza tra il non volere e il non saper peccare (multum interest utrum
peccare aliquis no-lit an nesciat). Mancava loro la giustizia, mancava loro la
prudenza, la temperanza, la fortezza. La loro vita incolta aveva qualcosa di
simile a tutte queste virtú; ma la virtú non è conseguita se non da uno spirito
edu-cato, istruito e portato mediante l'esercizio assiduo fino al vertice.
Certo nasciamo per questo, ma senza que-sto; e anche negli uomini migliori,
prima che posseggano l'educazione, esiste la materia della virtú, ma non la
virtú stessa » (ibid.). In tal modo, la virtú torna a presentarsi
connessa alla cultura in questa stessa Epistola 90, dove la critica a Posidonio
sembrava portare ad una rivendicazione della natura primordiale, simile a
quella dei cinici. La virtú, dunque, per Seneca non è un'ingenuità ignorante,
ma deve avere chiara coscienza del male e del vizio per trionfare di essi.
Seneca fa in certo senso presentire il concetto che ispira in tempi moderni la
filosofia della storia di Fichte (Caratteri fondamentali dell'epoca con-
temporanea), secondo cui l'umanità, dopo di essere uscita dalla sua primitiva
rettitudine incosciente, abbisogna della piú profonda coscienza ed esperienza
del peccato, per elevarsi alla sua cosciente redenzione. Con la
rivalutazione della cultura come condizione e fondamento dell'etica e della
filosofia, tornano ad essere pertanto rivalutate da parte di Seneca anche le
arti, ed è riaffermato il concetto del Protreptico aristotelico,
della doppia e indivisibile funzione che incombe al- Q l'uomo, cioè
quella di esercitare tanto l'attività intellettuale quanto quella pratica.
Aristotele aveva affermato, secondo la testimonianza di Cicerone (De finibus),
che l'uomo nacque per due cose: intendere e operare («ad duas res, ad
intelligendum et agendum esse natum »); e Seneca (De otio) ripete che la natura
volle che facessimo le due cose: operare e coltivare la contemplazione. «
Natura autem utrumque fa-cere me voluit, et agere et contemplationi vacare ».
Anzi, aggiunge che egli le fa entrambe, perché sono insepa-rabili, giacché
neppure la contemplazione può esistere senza azione: « utrumque facio; quoniam
ne contem-platio quidem sine actione est »'. Nessuna virtus è un bene reale,
finché non passa all'azione (“in otium sine actu proiecta”). «Chi potrebbe
negare che essa deve comprovare nelle opere i suoi progressi, e non limitarsi a
pensare ciò che si deve fare, bensí esercitare anche le sue mani e portare a
realtà le sue meditazioni? » (* sed etiam aliquando manum exercere, et ea quae
meditata sunt ad verum perducere? »). Questa rivalutazione dell'attività
pratica, a causa del legame che l'attività teorica ha con essa, doveva portar
seco anche un apprezzamento delle creazioni delle arti, che per questa via
tornano ad inserirsi nel processo creativo della cultura, dove si afferma il
potere e il valore dello spirito umano. Una celebrazione caratte ristica di
questa creatività dello spirito, applicata alle opere della civiltà e delle
arti, merita di esser segna- É evidente la derivazione da Seneca del noto
luogo dello Spaccio bruniano (ed. Gentile): « e per questo ha determinato
la providenza, che vegna occupato ne l'azione per le mani, e contemplazione per
l'intelletto; de maniera che non con-temple senza azione, e non opre senza
contemplazione. Ne l'età dunque de l'oro per l'Ocio gli uomini non erano piú
virtuosi, che sin al presente le bestie son virtuose ». lata
nell'Epistola, relativa all'incendio che in una sola notte aveva distrutto la
città di Lione (Lugdunum), che era per la sua bellezza la gloria della Gallia.
Seneca si rende conto che le opere dei mortali sono. condannate a perire e che
noi viviamo tra cose caduche: « omnia mortalium opera mortalitate damnata sunt.
Inter peritura vivimus». Ma questo carattere mortale delle opere è superato
dall'imperitura energia creatrice del-l'umanità, che ricostruisce sempre ciò
che è caduto e lo ricostruisce piú bello e perfetto, di modo che le distruzioni
si convertono in fattore di progresso. « Multa cecide-runt ut altius surgerent
et in maius ». Come Roma sempre risorse piú bella e potente dalle ceneri degli
incendi subiti, cosí anche a Lione tutti competeranno per ricostruirla in forma
piú grande e piú solida di quella per-duta: « ut maiora certioraque quam
amisere restituant. Ciò che caratterizza l'uomo, dunque, consiste per Seneca
nell'esigenza e nello sforzo costanti di superamento; per il loro mezzo lo
spirito immortale dell'umanità si sovrappone al carattere mortale delle sue
creazioni. Sono mortali - sembra dire Seneca — le creazioni partico-lari; ma è
immortale la creazione progressiva della cul-tura, per essere immortale e
inesauribile lo spirito creatore. In questo sforzo interminabile
di superamento, le attività pratiche delle arti e della tecnica in generale si
unificano, per Seneca, con le attività teoriche della scienza e della
filosofia. Possiamo dire che Seneca precorre Lessing nel considerare che questo
sforzo spirituale costituisce il valore della vita, che pertanto si afferma
solo in quanto l'uomo amplia progressivamente il suo orizzonte e le sue
aspirazioni. Se mai l'umanità potesse giungere ad un possesso pieno della
scienza, e non avesse piú davanti a sé un cammino ulteriore da percorrere e
difficoltà nuove da superare, non avrebbero piúsignificato la vita e il mondo
in cui si sviluppa l'attività umana. È lo sforzo ciò che costituisce il valore
della vita; la sua persistenza inestinguibile e il suo rinnovamento incessante
presuppongono l'impossibilità perenne di raggiungere il fine ultimo; ma questa
condizione non significa per l'uomo una maledizione o condanna ad una tensione
vana che non può mai essere soddisfatta, bensí alimenta e mantiene il valore
della vita come milizia ' ed aspirazione dignificatrice, che sono nello stesso
tempo perfezionamento spirituale progressivo. Quest'idea, dell'infinità
dello sforzo e del progresso umano, derivante dall'impossibilità di conseguire
il fine supremo, era stata intuita ed espressa parzialmente, prima di Seneca,
da Filone ebreo. La posizione degl’uomini in qualsivoglia delle loro attività,
dice Filone, sta sempre nel mezzo tra l'inizio e la fine: « Noi siamo
trattenuti nell'intervallo tra la fine e l'inizio nell'impa-rare,
nell'insegnare, nel lavorare la terra, nell'operare in ciascuna delle altre
cose » (Quis rerum divin. heres sit); ma questa inferiorità che caratterizza la
nostra imperfezione costante in confronto alla perfezione assoluta di Dio, non
significa ristagno e immobilità spi-rituali, bensí movimento e progresso
incessanti: « A misura che uno avanza nelle scienze e si pone stabilmente sul
loro terreno, si fa tanto piú incapace di raggiungere i loro limiti.... La
scienza per i piú capaci è una sorgente sempre in movimento, che produce sempre
nuovo afflusso di idee» (De plantat. Noë). In tal modo per Filone ogni
approfondimento della nostra conoscenza è nello stesso tempo un
approfondi- [Cfr. Epist.: Atqui vivere, Lucili, militare est. Itaque qui
iactantur et per operosa atque ardua sursum ac deorsum eunt, et expeditiones
periculosissimas obeunt, fortes viri sunt, primo- resque castrorum;
isti, quos putida quies, aliis laborantibus, mol- liter habet,
turturillae sunt, tuti contumeliae causa ». mento della coscienza
della nostra ignoranza: dalla conoscenza acquisita spuntano sempre problemi
nuovi; ma dai problemi nasce il movimento progressivo dell'intel-ligenza, in un
processo che non finisce mai a causa dell'impossibilità di raggiungere, con il
pensiero, il termine ultimo. Questo, per Filone, si raggiunge certo nel
rapimento dell'estasi, che è estinzione di ogni movimento attivo della mente;
ma fuori della soluzione mistica, c'è solo un processo infinito, conseguenza
dell'infinita di- stanza, che ci divide dall'irraggiungibile oggetto
supremo. Vero è che di questi pensieri di Filone non ebbe alcuna notizia
Seneca, il quale giunse per una via parzialmente analoga all'idea dell'infinito
progresso conoscitivo, cou- siderandolo determinato dall'infinita
distanza, che ci separa sempre dal fine supremo delle nostre aspirazioni e dai
nostri sforzi. Ci sono delle realtà — osserva Seneca in Natur. quaest., a
proposito dell'igno-ranza del suo tempo riguardo alle orbite e alle. leggi di
movimenti delle comete: - che non
possono essere colte dai nostri occhi, o perché permangono in luoghi sottratti
alla nostra vista, o perché la loro sottigliezza è irraggiungibile per la nostra
acutezza visiva, o forse anche perché non abbiamo la capacità di percepirle,
nonostante che riempiano i nostri occhi. Tutte queste realtà sono accessibili
unicamente allo spirito (animo) e debbono essere contemplate con il pensiero
(cogitatione). Ma lo stesso pensiero che ci porta fino all'idea dell'esistenza
di Dio, che creò tutto l'universo intorno a sé e lo governa, ed è la parte
mag- derlo nella giore e migliore della sua opera, non arriva a
comprenderlo nella sua essenza. « Non possiamo sapere che cos'è ciò, senza di
cui nulla esiste, e ci stupiamo per non conoscer bene certi piccoli fuochi (le
comete), mentre ci resta celata la parte maggiore dell'universo, dio. Quid sit
hoc, sine quo nihil est, scire non possumus, et miramur si quos
igniculos parum novimus, cum maxima pars mundi, deus, lateat »). Ma da
questa situazione nasce in noi uno stimolo all'indagine, che si intensifica con
l'esperienza dei pro-gressi già realizzati. Ci sono conoscenze che abbiamo
acquisito di recente, altre in gran numero che ancora non abbiamo raggiunto; ma
- aggiunge Seneca - verrà un tempo in cui queste cose, che ora permangono
occulte, le porterà alla luce un giorno futuro ed una indagine assidua di piú
lunga durata.... Verrà un tempo in cui i nostri posteri resteranno stupiti che
noi igno-rassimo cose che per essi saranno tanto evidenti. Multa venientis aevi
populus ignota nobis sciet; multa saeculis tune futuris cum memoria nostri
exoleverit reservantur. Pusilla res mundus est, nisi in illo quod quaerat omnis
mundus habeat. Questa inesauribilità dell'indagine e delle scoperte supera con
la sua infinità la gradualità progressiva. ma limitata, del processo delle
iniziazioni ai misteri, a cui Seneca la paragona. Certo che, come ad Eleusi non
si mostrano tutte le cose sacre al novizio, riservandosi le piú importanti per
gli iniziati, cosí si può dire che la natura non concede in una sola volta ed a
chiunque tutti i suoi sacri segreti, e anche quando ci crediamo iniziati, siamo
ancora nel vestibolo del tempio e gli arcani rimangono chiusi nel sacrario
interno. Ma nelle cerimonie mistiche gli iniziati pervengono, alla fine, a
veder tutto; e nella scienza, invece, il processo di sco-perta non finisce mai.
Dei suoi segreti, alcuni potrà sco-prirli la nostra età, altri le età
successive (« aliud haec aetas, aliud quae post nos subibit aspiciet »); ma
ri-marrà sempre campo per le investigazioni di « tutto il mondo ». E anche
nell'ipotesi che gli uomini si dedi-chino completamente all'indagine e alla
comunicazione reciproca delle conoscenze acquisite, Seneca dice che a
mala pena (vix) si giungerebbe a quel fondo dove è collocata la verità che ora
cerchiamo alla superficie e con leggerezza (ibid., cap. 32); e l'esplorazione
di questo fondo, secondo le dichiarazioni precedenti, esigerebbe sempre uno
sforzo investigativo infinito. La sospensione dello sforzo e del lavoro,
dunque, non solo ritarda o impedisce del tutto le grandi conquiste ulteriori («
tarde magna proveniunt, utique si labor ces-sat »: cap. 31), e impedisce che si
trovi alcunché di ciò che gli antichi indagarono in modo insufficiente, ma fa
perdere anche le stesse scoperte già realizzate (« adeo nihil invenitur ex his
quae parum investigata antiqui reliquerunt, ut multa quae inventa erant
obliterentur »: cap. 32). Donde la necessità e l'obbligo morale, per
cia-scuno, di mantenere attivo lo sforzo incessante e di cooperare attivamente
alla grande opera di conquista collettiva dell'umanità. Coloro che rimangono
soddisfatti delle acquisizioni già realizzate dagli antecessori, non si rendono
conto dell'immenso cammino da percorrere, che si estende davanti a noi. «Non si
troverebbe mai nulla, se restassimo contenti con ciò che è già stato trovato.
Inoltre, chi si limita a seguire un altro, non trova nulla per conto suo, anzi,
non cerca neppure.... Ma coloro che hanno promosso queste investigazioni
sono per noi guide, non padroni. [Il cammino del]la verità è aperto a tutti,
non è ancora occupato, anzi gran parte di esso resta ancora da percorrere agli
uomini del futuro › (Epist.). Confidiamo pertanto e molto nel giudizio dei
grandi uomini, ma rivendichiamo anche l'uso del giudizio nostro. Forse neppur
essi ci han lasciato scoperte effettuate, ma indagini da compiere » (* Num illi
quoque non inventa, sed quaerenda nobis reliquerunt »: Epist.).
«Non mi sembra che i predecessori si siano impadroniti con la forza
(praeripuisse) di ciò che si poteva dire, ma che ce lo abbiano
solamente mostrato (ape-ruisse). Se non che c'è molta differenza tra
l'avvicinarsi ad una materia esaurita (consumptam) e ad una solamente preparata
(subactam): questa va crescendo giorno per giorno, e le invenzioni effettuate
non sono ostacoli per chi realizzerà invenzioni ulteriori (« crescit in dies,
et inventuris inventa non obstant »: Epist.). Anzi, chi ha qualcosa da
insegnare agli altri, deve spargerlo come semente feconda (« seminis modo
spargenda sunt»), la quale, per quanto piccola, cadendo in terreno adatto
sviluppa le sue forze, e dalla sua piccolezza originaria, crescendo fino alle
sue dimensioni massime, si diffonde (« ex eo minimo in maximos auctus
diffunditur»). Gli insegnamenti son come le sementi: ancorché siano limitati
(angusta), possono sviluppare una grande efficacia, purché una mente idonea li
accolga e li raduni in se stessa; e a sua volta questa mente ne genererà molti
altri e ren- derà piú di quello che ricevette » (Epist. 38).
Naturalmente questo processo storico di accrescimento progressivo della
cultura, nella successione delle generazioni e delle comunicazioni da maestri a
disce-poli, esige l'attività vivente degli spiriti ricettori. Quindici secoli
piú tardi G. Bruno dirà che se « di questi alcuni, che son stati appresso, non
siino però stati piú accorti, che quei che furon prima.... questo accade per
ciò che quelli non vissero.... gli anni altrui, e, quel che è peggio, vissero
morti quelli e questi negli anni pro-prii » (Cena delle Ceneri, ed.
Gentile). Una esigenza analoga aveva affermato Seneca nella Epist.
84, dichiarando che gli insegnamenti devono, come alimenti digeriti,
trasformarsi in forze e sangue di chi li assimila (« in vires et sanguinem
transeunt»). Le conoscenze ingerite non debbon lasciarsi tali e quali sono
(integra), affinché non restino come cose estranee (alie-na): dobbiamo
digerirle (concoquamus), affinché sianonutrimento dell'ingegno e non peso della
memoria. I discepoli o le generazioni successive devono assomigliare ai loro
maestri e padri come figli viventi e attivi, non come immagini morte: « imago
res mortua est »; e nella trasmissione della cultura, invece, occorrono spiriti
viventi che (come dirà Bruno) vivano attivamente gli anni dei predecessori e
non vivano morti gli anni propri, bensí progrediscano sempre piú. Si deve
imprimere la forma della propria personalità a tutti gli elementi di cultura che
si raccolgono, affinché confluiscano in una unità (in unitatem illa competant)
come le voci di un coro. « Tale voglio che sia il nostro spirito, che abbia in
se stesso molte arti, molti precetti, gli esempi di molte generazioni, ma
facendoli confluire tutti in una unità», vivente e attiva (« ut multae in illo
artes, multa praecepta sint, multarum aetatum exempla, sed in unum
conspirata). L'Epistola 84 integra pertanto l'affermazione del-l'Epistola
80, che lo spirito (animus) non è come il corpo, che abbisogna dall'esterno di
molto alimento, di molta bevanda, di molto olio e di lunghe cure; lo spirito
invece (continua l'Epistola 80) cresce da se stesso, si alimenta e si esercita
da sé, ed abbisogna solo della volontà per il suo perfezionamento. L'Epistola 84,
dunque, riconosce che anche lo spirito abbisogna del suo alimento, che consiste
nella cultura che riceve dalle generazioni precedenti e dall'ambiente sociale
in cui si sviluppa, e che anch'esso deve, non meno del corpo, assimilare il suo
alimento e trasformarlo in proprio sangue e forza attivi. Certamente egli
deve avere in sé l'energia della volontà richiesta dall'Epistola 80: ossia
deve, secondo il paragone dell'Epistola 39, essere come una fiamma che
s'innalza in linea retta e che non può essere inclinata e oppressa, né tanto
meno aver tregua: cosí lo spirito è in movimento ed è mobile e
attivo tanto piú quanto piú è energico. Ma questa energia, questa attività,
questo movimento spirituali non si esercitano nel vuoto, bensí nel
mondo della cultura, che è creazione dello spirito; nel qual mondo si forma
cosí la tradizione vivente e attiva, che è conservazione e accrescimento
in-cessanti. Seneca ha visto che questo doppio aspetto della tradizione
implica un doppio atteggiamento spirituale: di dipendenza e d'indipendenza
rispetto al passato. I diritti del passato devono essere riconosciuti, ma come
condizione e mezzo di salvare e assicurare i diritti dell'avve-nire, che sono
diritti di un progresso infinito. Venero pertanto — dice l'Epistola 64 - le
invenzioni della sapienza e i loro inventori; bisogna avvicinarsi ad essi come
ad una eredità collettiva. A nostro beneficio sono state effettuate queste
acquisizioni e questi lavori. Ma comportiamoci come buoni padri di famiglia;
rendiamo piú ampia l'eredità ricevuta, cosi che questa passi da noi alla
posterità fatta maggiore. Molto lavoro resta ancora da compiere, e molto ne
resterà poi; né a nessuno, anche se nasca dopo migliaia di secoli, sarà
preclusa l'occasione di aggiungere ancora qualcosa di piú ». Anche nell'ipotesi
assurda, che gli antichi avessero inventato tutto, resterebbero sempre nuove
l'utilizzazione, la scienza e la disposizione delle invenzioni altrui. Ma siamo
ben lungi dalla possibilità di ammettere l'ipotesi citata. Quelli che esistettero
prima di noi « multum ege- runt, sed non peregerunt ». Certamente
dobbiamo ammirarli e onorarli come dei, e professare verso « i precettori del
genere umano, da cui ci vennero i principi di un bene tanto grande, la stessa
venerazione che dobbiamo ai nostri maestri personali ». Tuttavia l'onore
migliore, anzi l'unico onore degno ed efficace che i discepoli possano rendere
ai mae- stri e i figli ai padri, consiste, secondo le affermazioni
esplicite di Seneca già citate, nel far viva e operante la loro eredità, nel
proseguire le vie che essi ci aprirono, cioè nel compiere per ciò che possiamo
il progresso della cultura, la cui infinità esige sempre l'attività creatrice
di ogni generazione nel trascorrere infinito del tempo. In questo senso
devono intendersi le affermazioni della Epistola 102, relative allo spirito: «
Lo spirito umano è una realtà grande e generosa, che non tollera gli si pongano
mai limiti che non gli siano comuni anche con Dio»; cioè afferma la sua
esigenza di infinità e vuole tradurla in atto nel doppio aspetto spaziale e
temporale. Lo spirito pertanto non accetta che gli si attribuisca una patria
umile e limitata, come sarebbe la città natale di ciascuno, e reclama come
propria patria tutto l'universo; e «non permette che gli si assegni un'epoca
limitata: tutti gli anni sono miei (dice); nessun tempo è inaccessibile al
pensiero ». Ma questa doppia esigenza di infinità - che significa coscienza di
un potere infinito, e che, quanto al tempo, si estende ugualmente verso il
passato e verso il futuro — vale, secondo il pensiero espresso di Seneca, tanto
per la contemplazione quanto per l'azione creativa. La contemplazione si
realizza per mezzo dell'investigazione e (come vedemmo) piccola cosa sarebbe il mondo se in esso non
avesse sempre tutto il mondo qualcosa da investigare (Nat. quaest.); ma d'altra parte (come
vedemmo) neppur la contemplazione può darsi senza azione: ne con-
templatio quidem sine actione est › (De otio). Talché lo spirito deve
effettuarle entrambe ad un tempo, nella loro mutua correlazione, e considerare
l'infinita estensione dell'universo in tutte le sue dimensioni, e del tempo
nella sua doppia direzione di passato e futuro, non solo come oggetto di
contemplazione conoscitiva, ma anche come campo d'azione creativa. Per questa
via, nellaconcezione delineata da Seneca, lo spirito riconosce ве stesso
nell'infinita creazione della cultura, opera del suo infinito passato e compito
del suo infinito avvenire 1. m). In tal modo, nell'affermare
esplicitamente e mettere in evidenza sotto vari aspetti l'infinità del processo
storico di creazione della cultura e d'accrescimento dello spirito umano,
Seneca portava la teoria del progresso al suo piú alto grado di compimento
nell'antichità. Dopo di lui, nonostante l'attivismo della gnoseologia e della
pedagogia di Plutarco e di Plotino, il predominio crescente dell'orientamento
mistico nella filosofia non favorí certo nuovi sviluppi della teoria del
progresso; la cui tradizione, tuttavia, lungi dal perdersi, appare conservata —
come abbiamo visto a proposito di Aristotele anche
in scrittori tardi come Asclepio e Giovanni
1 Meritano di essere ricordate alcune altre dichiarazioni signi- Epansa
(Sice rel Eple 65) Eaar dee appreanere ne che a riferisce alle cose
divine e alle umane, alle passate e alle future, alle caduche e alle eterne, al
tempo, etc.»; e qui Seneca cita esempi delle « innumerabiles questiones» che si
pongono per la conoscenza di ogni sfera e di ogni aspetto della realtà
universale. Ma il De otio, mostra che all'infinito numero dei problemi
corrisponde l'infinita curiosità (curiosum ingenium) dell'uo- mo: il
desiderio di conoscere lo sconosciuto (cupiditas ignota no-scendi) ci spinge ai
viaggi ed alla navigazione, alle investigazioni naturali ed agli scavi, alle
ricerche storiche relative all'umanità ad che poe eseri al dd a del come
o aire dacueione dei probiem pelaurs ar ateria dd ale epifio)
relativi alla materia ed allo spirito, etc. Nello stesso capitolo del “De
otio” aggiunge (come abbiamo già ricordato) che la contemplazione non può mai
essere senza azione, e che le cose meditate esigono la loro realizzazione
mediante l'esercizio della mano; di modo che il processo infinito di creazione
della cultura è inteso nell'unità di teoria e pratica. Filopono; e la loro
fonte al riguardo, Aristotele, ci attesta che tale teoria si è trasmessa senza
soluzione di continuità. Ma Plutarco ci fa udire l'eco tanto di idee
provenienti da Archita e Democrito, intorno alla funzione che spetta alla
necessità nel processo storico delle creazioni umane, quanto dell'ordine
cronologico in cui Democrito e Aristotele distribuivano la creazione
progressiva delle arti di necessità, di quelle di abbellimento e delle scienze.
E nello stesso II secolo cui appartiene Aristocle, un documento caratteristico
ci dimostra la diffusione raggiunta dall'idea del progresso umano nella
coscienza pubblica dell'epoca; documento che consiste nell'utilizzazione che fa
Luciano (“Erotes”) di questa idea con fini satirici. L'apologia paradossale
dell'amore per gli efebi, che Luciano fonda sul principio che, essendo
creazione piú recente dell'amore per le donne, deve costituire un progresso
rispetto a questo, poteva avere significato come satira solo in un clima
spirituale dove l'idea del progresso figlio del tempo fosse divenuto generale e
dominante. Nella sua esposizione di questa teoria, Luciano dipende
specialmente dalla tradizione democriteo-epicurea, ma con infiltrazioni della
tradizione platonico-ari-stotelica relativa al rinnovamento ciclico successivo
alle catastrofi, e con derivazioni anche da altre fonti. Da Democrito ad
Epicuro deriva la descrizione della vita ferina primordiale: « i primi uomini
nati dovevano cercare un rimedio per la fame d'ogni giorno, e per il fatto che
erano preda della indigenza presente e che la pe- o chi il ato
nuria non permetteva loro alcuna scelta del migliore, dovevano mangiare le erbe
che trovavano, e le radici tenere che dissotterravano, e soprattutto le ghiande
delle querce. Mentre la loro vita permaneva cosí incolta e non
concedeva loro ancora la comodità per esperimenti giornalieri al fine di
trovare il meglio, essi dovevano accontentarsi di quelle stesse cose
necessarie, poiché il tempo, incalzandoli, non permetteva loro l'invenzione di
un buon regime». Anche per ciò che concerne la necessità di difese, gli uomini
subito, all'inizio della vita, avendo bisogno di coprirsi, 'avvolgevano nelle
pelli delle fiere scorticate ed escogitavano come rifugio contro il freddo le
grotte delle montagne o le cavità disseccate di radici o alberi antichi».
piú che democritea, poiché è scomparsa in essa, come pia wete
Questa descrizione è evidente eredità epicurea ancor tra gli epicurei, la
distinzione introdotta da Democrito tra i momenti successivi della prima fase
di vita del- l'umanità. Manca inoltre in Luciano ogni allusione
all'introduzione della convivenza sociale e del linguaggio e alla scoperta del
fuoco, già considerati dall'epicurei-smo; ma la suggestione epicurea si
riconosce nella spiegazione che dà tanto dell'uscita dallo stato primordiale
mediante l'agricoltura, quanto delle invenzioni della tessitura e dell'edilizia
per via di un'imitazione dei ripari naturali (pelli e caverne) usati
primordialmente. La capacità di un'imitazione dei processi naturali, che
ripro-ducendoli li modifica e li adatta alle proprie esigenze e finalità, era
già per gli epicurei un carattere che differenziava l'uomo dagli altri animali,
incapaci di uscire dalla loro condizione naturale originaria. Tuttavia sembra che
in Luciano si perda la comprensione della funzione attribuita dagli epicurei
alla necessità come forza stimolante dell'intelligenza umana; Luciano la
considera piuttosto un ostacolo alla ricerca del meglio. Solamente (dice) «
dopo che le necessità urgenti ebbero fine, le intelligenze (zoyouo) delle
generazioni successive, liberate dalla necessità, trovarono l'occasione
d'inventarequalche miglioramento, e di lí a poco a poco s'accreb-bero al tempo
stesso le scienze. E questo ci è possibile congetturarlo dalla considerazione
delle arti piú perfezionate ». Può esservi in queste linee un'eco (certo
confusa) della distinzione democriteo-aristotelica dei tre momenti successivi
di creazione progressiva: delle arti di neces-sità, di quelle d'ornamento e
delle scienze disinteressate; certo Luciano -- utilizzando l'esempio dell'arte
tessile, preso dagli epicurei, e quello dell'architettura, derivante forse da
Vitruvio - insiste specialmente sul carattere graduale e quasi insensibile dei
progressi, dicendo che «le arti presero per maestro il tempo » e progredirono «
segretamente». E questa idea di un processo graduale sembra associarsi a quella
di un rinnovamento ciclico, cioè alla teoria platonico-aristotelica della
rinascita progressiva della cultura dopo le catastrofi distruttrici -
idea rievocata nel II secolo da Aristocle - poiché Luciano scrive che «
ciascuna di queste arti e scienze, che giaceva muta e coperta in molto oblio,
come da un lungo tramonto a poco a poco si levò nella sua luce raggiante ». Questa
confluenza di elementi di derivazione tanto diversa è un indice interessante
della conservazione di differenti rappresentazioni del progresso nell'epoca di
Luciano, che le mescola senza preoccuparsi molto dei loro eventuali contrasti.
E cosí, nonostante la sua apparente accettazione della teoria ciclica
platonico-aristote-lica, Luciano delinea un processo di sviluppo della
cul-tura, che per se stesso gli si presenta infinito, cosí come era apparso a
Seneca. « Poiché ciascuno che faceva qualche scoperta la trasmetteva alla
posterità; e quindi la successione di quelli che ricevevano l'eredità, facendo
aggiunte a ciò che avevano appreso, continuò a riempire le lacune esistenti ».
E cosí ‹ le scienze varie... mediante sforzi (uoris) si preparano
per arrivare (EUENOV 7ÇELV) alla loro chiara manifestazione, spinte dal
tempo infinito (úò To aiovos), che non lascia niente senza indagare. Ma ciò che
agisce attivamente sugli uomini attraverso il corso del tempo è (per
dichiarazione esplicita di Lu-ciano) « l'intelligenza (ppóvnois), che si
accompagna alla scienza e trae dal frequente sperimentare la possibilità di
scegliere l'ottimo ». Pertanto « dobbiamo considerare necessario lo studio
dell'antico, ma onorare come migliore ciò che la vita seppe trovare poi, dopo
aver raggiunto la possibilità di dedicarsi alla riflessione razionale
(поугомоїс) ». Torna cosí in Luciano il concetto della tradizione
vivente, che non è conservazione cristallizzata, bensí creazione progressiva
continua realizzata dalla vita; torna l'idea dell'infinità di questo processo,
che si estende dal passato e dal presente verso l'avvenire. Riassumendo,
possiamo dire che per tutti gli assertori antichi dell'idea del progresso umano
la natura offra il punto di partenza allo sviluppo dell'attività creatrice
dell'intelligenza dell'uomo; quindi le conquiste compiute da ogni generazione
offrono alle successive i mezzi e gli stimoli per nuovi incessanti esperimenti
e nuove acqui-sizioni; e in tal modo la creazione della cultura progredisce
insieme con l'intelligenza creatrice. L'antichità dichiara con Cicerone ciò che
tornerà a dichiarare il rinascimento con Bruno; cioè che l'umanità è
caratterizzata dal suo sforzo incessante di creare, mediante l'opera della sua
intelligenza e delle sue mani, un'altra natura, altri corsi e altri ordini al
di sopra di quelli che le furono dati naturalmente; e per questa creatività del
suo spirito l'uomo merita d'esser considerato «come un dio mortale» o «
dio della terra. Dai presocratici e dai poeti tragici fino a Seneca innegabilmente
l'idea della creatività dello spirito si afferma e si sviluppa nell'antichità,
e si ripercuote poi sugli ultimi secoli della cultura classica, da Luciano ed
Aristocle ad Asclepio e Giovanni Filopono. Per negare agl’antichi il
raggiungimento di tale intuizione, occorre chiudere gli occhi alla realtà
storica e cancellare l'ampia documentazione che conferma la sua esistenza. Rodolfo
Mondolfo. Mondolfo. Keywords: antica filosofia italica. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Mondolfo, e la filosofia greco-romana,"
per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria,
Italia. Mondolfo
Grice e Monferrato: l’implicatura
conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale
Monferrato). Filosofo italiano. Autore di opere di teologia e scienza e legato
pontificio. Entra nell'ordine francescano nella provincia genovese. Docente
presso lo studio francescano di Assisi. Compone il saggio. “Quaestio de
velocitate motus alterationis” (Venezia). In esso presenta un'analisi grafica
del movimento dei corpi uniformemente accelerati. La sua attività di
insegnamento in fisica matematica influenza gli studiosi che operarono a Padova
e Galilei che ri-propose idee simili. ‘Giovanni da Casale’, Treccani. Filosofia
Filosofo del XIV secoloTeologi italiani Casale Monferrato Storia della scienza.
Grice: “Casali dicusses the velocity of motion of alternation. He wisely
remarks that if one takes the example of the quality of hotness, onemay
conceive of a UNI-FORM hotness throughout – ‘just as a rectangular
parallelolgram is formed between two equidistant lines, such that any part you
wish is equally wide with another. ‘Let there be throughout a UNIFORMLY DIFFORM
hotness, such that it is a triangle!” -- Giovanni da Casale Monferrato. Monferrato.
Keywords: corpi inanimati, corpi animati, inerzia, un corpo animato non e un
missile guidato – Grice. La liberta dei corpi animati, uniform, uniformly
difform, difformly difform. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Monferrato” – The
Swimming-Pool Library.
Grice
e Monimo: all’isola -- l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A former
slave. Wrote two books. Monimo.
Grice e
Montanari – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. Massino Montanari.
Grice e Montani: l’implicatura conversazionale e il
debito del segno – implicatura riflessiva -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Teramo). Flosofo italiano. Allievo di GARRONI
(si veda), è Professore di Estetica alla Sapienza Roma, è stato Directeur
d'Études Associé presso all'EHESS di Parigi e ha insegnato Estetica al Centro
sperimentale di cinematografia di Roma. La sua ricerca si concentra oggi
principalmente sui temi di filosofia della tecnica. Allievo di Emilio
Garroni, per M. l'estetica non va considerata come filosofia dell'arte, ma come
una teoria della sensibilità umana, che ha la peculiarità di essere aperta agli
stimoli del mondo esterno. La riflessione di M. si snoda in diversi passaggi e
attraverso il confronto con alcuni dei protagonisti della filosofia, della
linguistica, della semiotica e della teoria del cinema del Novecento, avendo
sempre come punto di riferimento la filosofia critica di Kant. Pensiero
Ermeneutica e filosofia critica. Pubblica Il debito del linguaggio, in cui,
partendo dal confronto con le teorie strutturaliste, in particolare quelle di
Jakobson e Mukarovsky, mostra come la questione del significato del testo
poetico non possa essere risolta mediante l'individuazione del codice
linguistico o semiotico di riferimento, ma rimandi ad una condizione estetica
della significazione. Questo tema viene ulteriormente approfondito in Estetica
ed ermeneutica. Prendendo le mosse dalla filosofia critica kantiana, propone di
ripensare la verità nel senso heideggeriano dell’ “a-letheia”, del
“dis-velamento” dell'essere come una situazione ermeneutica strettamente
legata all'effettiva esperienza del soggetto, seguendo la rilettura della
filosofia di Heidegger proposta da Gadamer.La formazione e il pensiero di M.
sono stati segnati dal suo interesse per il cinema e in particolare per Vertov
e Ėjzenštejn. Di entrambi ha curato l'edizione
degli scritti. Nel testo “L'immaginazione narrative” (Guerini)
coniuga l'interesse per il cinema con quello più strettamente filosofico per il
tema dell'immaginazione. Propone di considerare l'immaginazione nei termini in
cui, in Tempo e racconto, Ricœur parla della narrazione, ovvero come di un
processo di “rifigurazione” dell'esperienza del tempo da parte dell'uomo. Per
Ricoeur la narrazione ha il potere di far fare al lettore esperienza di un
tempo propriamente umano. Montani fa propria la tesi di Ricoeur, applicandola
però, all'ambito della narrazione cinematografica. M. ritiene che il territorio
dell'immaginazione in cui lavora il cinema sia quello dell'intreccio tra
finzione e testimonianza, tra la costruzione dell'intreccio narrativo e la
documentazione del reale. La trasformazione dell'esperienza del tempo avviene,
così, ad un livello più profondo e creativo. Tecnica ed estetica Con
Bioestetica si inaugura la fase più recente del pensiero di M., dedicata
all'approfondimento del rapporto tra tecnica e estetica. Attraverso il
paradigma della bioestetica M. propone di leggere i fenomeni di biopotere che
caratterizzano l'epoca contemporanea a partire dalla loro natura innanzitutto
tecnica ed estetica, cioè a partire dal fatto che la sensibilità dell'essere
umano viene sempre più orientata ed organizzata tecnicamente. Il biopotere
consiste proprio nella capacità di canalizzare la sensibilità umana. In
L'immaginazione intermediale Montani prende in analisi i modi in cui il cinema
risponde alle forme di anestetizzazione. Prendendo le mosse dalla
spettacolarizzazione della politica emersa in seguito all'attentato delle Torri
Gemelle, Montani introduce il concetto di "autenticazione
dell'immagine", che non consiste nell'accertamento del referente fattuale
dell'immagine (il vero, il reale) ma nella rigenerazione di un orizzonte di
senso condiviso, la capacità di riferimento dell'esperienza e del linguaggio,
in un'epoca caratterizzata da crescenti fenomeni di “indifferenza referenziale”
La riflessione sul rapporto tra estetica e tecnica continua in “Tecnologie
della sensibilità”, in cui viene teorizzata l'esistenza di una terza funzione
dell'immaginazione: accanto a quella produttiva e riproduttiva vi è una
funzione inter-attiva. L'immaginazione inter-attiva diventa il paradigma
attraverso cui leggere l'epoca contemporanea, attraversata profondamente da
fenomeni dell'inter-attività digitale e dalla proliferazione di ambienti
virtuali. Saggi: “Il debito del linguaggio: l'auto-riflessività nel discorso,”
– Grice: “There is the ‘debito’ and there is the ‘credito’ or ‘price’ of
semiosis, too!” -- Marsilio, Venezia; -- Grice: “Actually, Montani uses ‘aesthetic
self-reflection,’ using ‘aesthetic’ etymologically, as per what he calls
‘ermeneutica sensibile’ -- Fuori campo:
studi sul cinema e l'estetica, Quattroventi, Urbino; Estetica ed ermeneutica:
senso, contingenza, verità, Laterza, Roma);
L'immaginazione narrativa: il racconto del cinema oltre i confini dello
spazio letterario, Guerini, Milano); Arte e verità dall'antichità alla
filosofia contemporanea: un'introduzione all'estetica, Laterza, Roma); L'estetica
contemporanea: il destino delle arti nella tarda modernià, Carocci, Roma; Lo stato dell'arte:
l'esperienza estetica; Carboni e M., Laterza, Roma); Bioestetica: senso comune,
tecnica e arte” (Carocci, Roma; L'immaginazione intermediale: perlustrare, ri-figurare,
testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma); Tecnologie della sensibilità.
Estetica e immaginazione interattiva, Cortina, Milano. M., Il senso, Rai
Scuola, su raiscuola.rai. I percorsi
dell'immaginazione. Studi in onore di M., Pellegrini, Censi, Cine-occhi e
cine-pugni: due modi di intendere il cinema, su Nazione Indiana, L'immaginazione estatica. Estetica, tecnica e
biopolitica, su giornaledifilosofia.net. 2 lAlessandra Campo, Biopolitica come
an-estetizzazione. Il significato estetico della biopolitica, su
sintesidialettica. Montani, L'immaginazione intermediale, Laterza, , M., L'immaginazione
intermediale, Laterza, Anna Li Vigni, Gli occhiali per immaginare, Il Sole 24
Ore. La vita immersa nell’estetica del virtuale, su ilmanifesto. Pietro
Montani. Montani. Keywords: il debito del segno, Narciso e la reflexione. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Montani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Montinari: l’implicatura conversazionale del sovrumano
– torna a Surriento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Grice: “If I were asked
to identify the main difference between the Italian philosopher and the Oxonian
philosopher is that the Italian philosopher takes Nietzsche seriously! But then
he lived at Torino!” «Nelle istituzioni
esistenti, sostenute da immani forze di produzione e di distruzione, viene
assimilata e mercificata ogni e qualsiasi protesta, persino quella dei Lumpen,
ogni tentativo di lasciare la «nave dei folli». Se il metodo di Nietzsche può
ancora aiutarci, allora l'unica forza che ci è rimasta è quella della cultura,
della ragione.» Considerato uno dei massimi editori e interpreti di
Nietzsche. Ha definitivamente dimostrato che Nietzsche non ha mai scritto
un'opera dal titolo “La volontà di Potenza” e che le cinque diverse
compilazioni che la sorella del filosofo e altri editori dilettanti hanno
pubblicato sotto questo titolo sono testi del tutto inaffidabili per
comprendere il pensiero di Nietzsche. Si era formato alla Scuola Normale
Superiore di Pisa e all'Pisa, presso la quale si laureò con una tesi, “I
movimenti ereticali a Lucca.” Caduto il fascismo, divenne un attivista del
Partito comunista, presso il quale si occupava della traduzione di scritti dal
tedesco. Mentre visitava la Germani a Est per motivi di ricerca, fu testimone
della rivolta. Successivamente, in seguito alla repressione della Rivoluzione
ungherese del 1956, si allontanò dall'ortodossia marxista e dalla carriera nel
partito. Mantenne tuttavia la sua iscrizione al PCI, e rimase fedele agli
ideali del socialismo. Collabora con le Edizioni Rinascita, e per un anno fu
direttore dell'omonima libreria in Roma. Dopo averne rivisto la raccolta
di opere e manoscritti in Weimar, Colli e M. decisero di iniziarne una nuova
edizione critica. Essa divenne lo standard per gli studiosi, e fu pubblicata in
da Adelphi. Per questo lavoro fu preziosa la sia abilità nel decifrare la
scrittura a mano (praticamente incomprensibile) di Nietzsche, fino a quel
momento trascritta solo da "Gast“ (Köselitz). Fonda la rivista
Nietzsche-di cui fu coeditore. Attraverso le sue traduzioni ed i suoi commenti
di Nietzsche, diede un contributo fondamentale alla ricerca storica e
filosofica, inserendo Nietzsche nel contesto del proprio tempo. Saggi: “Che
cosa ha detto Nietzsche” Roma, Ubaldini,
ripubblicato come “Che cosa ha detto
Nietzsche,” [Grice: “I convinced Montinari that ‘veramente’ is a trouser word
and should be avoided!” -- Campioni, Milano, Adelphi. Su Nietzsche, Roma,
Riuniti, Teoria della Natura, Torino,
Boringhieri, Milano, SE, F Nietzsche,
Lettere a Rohde, Torino, Boringhieri, Nietzsche, Opere, (Milano, Adelphi, Nietzsche, Il caso Wagner: Crepuscolo degli idoli;
L'anticristo; Scelta di frammenti, S. Giametta, Ferruccio Masini, Giorgio
Colli, Milano, Mondadori Editore, Ecce homo; Ditirambi di Dioniso; Nietzsche
contra Wagner; Poesie e scelta di frammenti postumi, Milano, A. Mondadori,
Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Milano, Adelphi, Epistolario di
Nietzsche, Pampaloni Fama, Milano, Adelphi,
Nietzsche, Scritti, Milano, Adelphi, Schopenhauer, La vista e i colori
Carteggio con Goethe,Abscondita, Nota
introduttiva a Genealogia della morale, Nietzsche e Van Gogh, due cardini del
pensiero occidentale moderno di Bettozzi
(Liberal democaratici), su liberal democratici.. «Tant qu'il ne fut pas possible aux
chercheurs les plus sérieux d'accéder à l'ensemble des manuscrits de Nietzsche,
on savait seulement de façon vague que La Volonté de puissance n'existait pas
comme telle (...) Nous souhaitons que le jour nouveau, apporté par les inédits,
soit celui du retour à Nietzsche.» (Deleuze)
Aveva infatti ottenuto una borsa di studio della Scuola Normale
Superiore a Francoforte sul Meno.
Rinascita Che era stato il suo maestro. Giuliano Campioni, Dizionario
Biografico degli Italiani stituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Giuliano
Campioni, Giuliano Campioni, Lanata, Esercizi di memoria, Bari, Levante,
(notizie su M. M. nell'articolo su Colli anche a proposito dell'Enciclopedia di
autori classici, Boringhieri, progettata e diretta da Colli e a cui M. M.collaborò).
Paolo D’Iorio, L'arte di leggere Nietzsche, Firenze, Ponte alle grazie,Giuliano
Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell'edizione critica
Colli-Montinari. Con lettere e testi inediti, Pisa, M.: l'arte di leggere
Nietzsche Paolo D'Iorio, Pubblicato da Ponte alle grazie, Studi germanici — Di
Istituto italiano di studi germanici — Pubblicato da Edizioni dell'Ateneo,
Originale disponibile presso la l'Università della Virginia — "M.,
Nietzsche", di Tuca Giuliano Campioni, Da Lucca a Weimar: M. e Nietzsche
in Nietzsche. Edizioni e interpretazioni,
Fornari, ETS, Pisa, Die "ideelle Bibliothek Nietzsches". Von
Charles Andler M. Pensiero di Schopenhauer Roscani Torino#Filosofi Giuliano
Campioni, M., in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Opere di M.,
Centro interdipartimentale di studi Colli-M. su Nietzsche e la Cultura Europea
— Pisa, Lecce, Padova e Firenze (Centronietzsche.net), su centronietzsche.net.
Grice: “Montinari is right that ‘la volonta di potenza’ ‘n’existe pas’ –
vacuous name. Torna a Surriento. Mazzino Montinari. Montinari. Refs. Luigi
Speranza, “Grice e Montinari: l’implicatura di Nietzsche” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Monte: l’implicatura
conversazionale – la prospettiva e la filosofia della percezione -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo italiano. Grice: “I like to illustrate a ‘scientific revolution’ with Del
Monte’s refutation on the equilibrium controversy, since it involves a lot of
analyticity that only a philosopher can digest!” -- essential Italian
philosopher. Il marchese Guidubaldo Bourbon Del Monte (Pesaro), filosoMecanicorum
liber, Suo padre, Ranieri, originario da un famiglia benestante di Urbino,
discendente dalla schiatta dei Bourbon del Monte Santa Maria, fu notato per il
suo ruolo bellico e fu autore di due libri sull'architettura militare. Il duca
di Urbino, Guidobaldo II della Rovere, gli attribuì, per meriti, il titolo di
Marchese del Monte, dunque la famiglia divenne nobile solo un generazione prima
di Guidobaldo. Alla morte del padre, ottenne il titolo di Marchese. Studia
matematica a Padova. Mentre era lì, strinse una grande amicizia con Tasso. Combatté
nel conflitto in Ungheria, tra l'impero degli Asburgo e l'Impero Ottomano. Al
termine della guerra, torna nella sua tenuta a Mombaroccio, vicino Urbino, dove
passava i giorni studiando matematica, meccanica, astronomia e ottica. Studia
matematica con l'aiuto di Commandino. Divenne amico di Baldi, che fu anch'esso
studente di Commandino. Ispettore delle fortificazioni del Granducato di
Toscana, pur continuando a risiedere nel Ducato di Urbino. In quegli anni, corrisponde con numerosi
matematici inclusio Contarini, Barozzi e
Galilei e con alcuni di loro si dice
abbia avuto anche relazioni più che professionali. L'invenzione per la costruzione di poligoni
regolari e per dividere in un numero determinato di segmento qualsiasi linea fu
incorporata come caratteristica del compasso geometrico e militare di Galileo.
Proprio fu fondamentale nell'aiutare Galilei nella sua carriera, che e un promessa
ma disoccupato. Raccomanda il toscano al suo fratello Cardinale, che a sua
volta parla con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la
sua protezione, Galileo ha una cattedra di matematica all'Pisa. Guidobaldo
divenne un amico fidato di Galileo e lo aiutò nuovamente quando dovette
necessariamente fare domanda per poter insegnare matematica all'Padova, a causa
dell'odio e della macchinazione di Giovanni de' Medici, un figlio di Cosimo de'
Medici, contro Galileo. Nonostante la loro amicizia, M. fu un critico di alcune
teorie di GALILEI, come quella relativa alla legge dell'isocronismo delle oscillazioni.
Compone un importante saggio sulla prospettiva, “Perspectivae Libri VI”, pubblicato
a Pesaro che ha ampia diffusione. E sicuramente, anche secondo il parere di
Galileo, uno dei massimi studiosi di meccanica e matematica. “Mechanicorum
liber”. Pisauri. Saggi: “Mechanicorum” (Pisauri, Girolamo Concordia – Venezia,
Deuchino -- Mecanicorum); “Plani-sphaeriorum universalium theorica” (Pisauri,
Girolamo Concordia); “De ecclesiastici calendarii restitutione" (Pisauri,
Girolamo Concordia); “La prospettiva” (Pisauri, Girolamo Concordia -- Roma); “Problematum
astronomicorum” Venezia, Giunta); De cochlea,” Venezia, Deuchino); “Le mechaniche nelle quali si contiene la
dottrina di tutti gl’istrumenti principali da mover pesi grandissimi con
picciola forza” (Venezia, Franceschi);
“Lettere” (Venezia); “La teoria sui planisferi universali” (Firenze). Galileo
(che nel frattempo era stato molto probabilmente anche suo ospite) puo occupare
la cattedra di Padova, grazie anche all’intervento delduca., che nell’ambiente
veneto poteva contare, oltre che sull’amicizia di un Contarini e di un Pinelli,
sull’autorità e l’influenza di M., generale delle fanterie della
Repubblica": Fondazione cardinal Francesco maria delmonte -- guidobaldo-del-monte.
A. Giostra, La stella o cometa nelle lettere a Giordani, Giornale di
Astronomia. Galilei. Guidobaldo II della Rovere Mombaroccio, Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There possibly is no
equivalent to perspective for the other senses. Prospettiva, as the Italians
call it. They are obsessed with it. Consider the human body. Consider Apollo
del Belvedere – it is not just a body perceiving another body, there is a
perspectival side to it!” Giambattista del Monte. Guido Ubaldo de’ marchesi Del
Monte; Guidobaldo Del Monte. Monte. Keywords: implicature, perspective in
statuary. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Monte," per Il Club
Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Moramarco: l’implicatura conversazionale
della tradizione massonica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio nell’Emilia). Filosofo italiano. Grice: “Unlike Moramarco, what most
people know about massoneria is via “Il flauto magico”!” Grice: “Moramarco
analyses massoneria aa a philosophical cult, talking about ‘brotherly link’
‘vincolo fraterno’ – he has unearthed a few fascinating details about
massoneria in Italy. Esponente della Massoneria te assertore di una sintesi
religiosa tra Mazdeismo e Cristianesimo. Discende da un'antica famiglia di
Altamura, di ascendenze latino-germaniche, cresciuta e ramificatasi durante il
dominio dei Farnese. Studioso di Massoneria, ha scritto la Nuova Enciclopedia
Massonica in tre volumi, importante testo di ricerca massonologica. Un suo
precedente volume, La Massoneria ieri e oggi fu tra i primi, sull'argomento,
pubblicati in Russia dopo il crollo del regime sovietico, che aveva proscritto
le Logge. Iniziato nel Grande Oriente d'Italia, divenne Maestro
Venerabile della Loggia Intelletto e Amore, ricevette la decorazione all'Ordine
di Bruno, conferita a quanti si distinguono nello studio e nella diffusione
degli ideali massonici. Coordinatore scientifico del Convegno
Internazionale anni di Massoneria in Italia, al quale parteciparono studiosi
quali Paolo Ungari, Alessandro Bausani, Mola, Basso, Roversi Monaco, Ricca. Il
convegno fiorentino costituì la prima risposta pubblica, da parte della
Comunione massonica di Palazzo Giustiniani, alle degenerazioni della P2.
Nello stesso anno, in qualità di Garante d'Amicizia tra il Grande Oriente
d'Italia e la Grand Lodge of South Africa, richiese, d'accordo con il Gran
Maestro Armando Corona, che tutte le Logge sudafricane, peraltro già avviate in
tale direzione (quando un gruppo di
Liberi Muratori della Massoneria Prince Hall era stato ammesso nella Loggia
"De Goede Hoop" di Cape Town), abrogassero l'apartheid, scelta che
esse fecero, qualificandosi tra le prime associazioni bianche a superare la
segregazione razziale. Uscì dal Grande Oriente d'Italia, rigettandone il
laicismo, per ravvivare i nuclei massonici di impronta cristiana e
spiritualista, che assunsero la denominazione Real Ordine degli Antichi Liberi
e Accettati Muratori. Su tale concezione della Massoneria ha scritto La via
massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide e cristiano (), un
testo dal quale emerge, fra l'altro, l'importanza della devozione alla Vergine
Maria, come madre del Cristo ed espressione umana della divina Sophia, nella
genesi della spiritualità massonica. Ha ricostruito le vicende della Gran
Loggia d'Italia, l'altra associazione maggioritaria di Liberi Muratori in
Italia, nel volume Piazza del Gesù. Documenti rari e inediti della tradizione
massonica italiana, contribuendo in seguito alla realizzazione di programmi
tematici per varie emittenti televisive, tra le quali Rossija 24, Reteconomy e
È TV Rete7. Ha conseguito il 33º grado del Rito scozzese antico ed
accettato e il VII del Rito filosofico italiano, che nel secondo decennio del
Novecento vide tra le sue fila i neopitagorici Arturo Reghini e Amedeo Rocco
Armentano. Fonda in Italia l'Antico Rito Noachita su patente ricevuta
presso il British Museum dall'ex Maestro Venerabile della Loggia
"Heliopolis" di Londra. Ha realizzato una colonna sonora per i
rituali massonici, dal titolo Masonic Ritual Rhapsody. presso la Loggia
"Gottfried Keller" di Zurigo, è stato ricevuto come membro
nell'Independent Order of Odd Fellows. Già attivo con Joseph L.
Gentili, editore del newsletter Brooklyn
Universalist Christian, in un progetto di restaurazione della Chiesa Universalista
d'America, contro la deriva liberal di quel movimento, ha ricevuto il navjote
zoroastriano. Nel volume Il Mazdeismo Universale propone una visione eclettica
di tale religione, collegando ad essa elementi del misticismo ebraico, del
dualismo platonico e cristiano, del buddhismo Mahāyāna, e riconoscendo in Gesù
il saoshyant (divino soccorritore, messia) profetizzato dall'antica religione
iranica, in una prospettiva teologica di tipo mazdeo-cristiano, intorno alla
quale si è formata una Fraternità Mazdea Cristiana. Si è avvicinato alle
correnti latitudinaria e mistica dell'Anglicanesimo e al percorso religioso di
Loyson, confluendo in una comunità religiosa di orientamento eclettico, ove ha
potuto conservare la doppia appartenenza, cristiana e zoroastriana. Entro tale
gruppo, che nel gennaio ha assunto la
denominazione Reformed Cloister of the Holy SpiritUnione Riformata
Universalista, è un oblato di San Pellegrino delle Alpi, secondo la Regola che,
ispirandosi alle tradizioni fiorite intorno alla vita di quell'eremita del
Cristianesimo celtico, contempla almeno un atto quotidiano "di giustizia,
o di soccorso fraterno" anche nei riguardi di animali e piante.
Laureatosi cum laude in Filosofia presso l'Bologna,, con una tesi sul pensatore
indiano Sri Aurobindo (relatore il noto indologo e sanscritista Giorgio Renato
Franci), nella seconda metà degli anni Ottanta si è formato in Training
autogeno e Psicoterapia con la procedura immaginativa sotto la guida di Luigi
Peresson. Ha trattato dei nessi tra Zoroastrismo e Cristianesimo nei
libri La celeste dottrina noachita (e I Magi eterni, di fenomenologia del sacro
ne L'ultima tappa di Henry Corbin e di tanatologia in Psicologia del morire. Ha
scritto sulle esperienze di autogestione dei lavoratori nel mondo e sui
rapporti tra socialismo e religione per Azione nonviolenta, la rivista fondata
da Aldo Capitini. Con il saggio Per una rifondazione del Socialismo partecipò
al simposio "Marxismo e nonviolenza" (Firenze) nel quale
intervennero, tra gli altri, Bobbio e Garaudy. -- è un sostenitore della lingua
ausiliaria internazionale Esperanto. Ha aderito al gruppo esperantista
bolognese "Achille Tellini". In ambito narrativo, ha scritto
Diario californiano e Torbida dea. Si è occupato di storia dello spettacolo,
scrivendo I mitici Gufi, sul celebre quartetto di cabaret degli anni sessanta,
e partecipando all'allestimento del programma Gufologia per Rai Sat; con l'ex
"Gufo" Roberto Brivio ha collaborato sia nella riproposta del
repertorio del gruppo in teatri e circoli culturali, sia nella realizzazione di
un laboratorio teatrale e musicale che vide attivamente coinvolti numerosi
alunni portatori di disabilità, presso l'Istituto medio superiore in cui
insegnò psicologia. Ha inciso quattro CD, Allucinazioni amorose (meno
due), Gesbitando, Come al crepuscolo l'acacia e Existenz, che contengono sue
canzoni e brevi suites strumentali, ricevendo il plauso, tra gli altri, di
critici come Maurizio Becker, Mario Bonanno (Musica & Parole) e Salvatore
Esposito (Blogfoolk), di autori come Bruno Lauzi, Ernesto Bassignano, Giorgio
Conte e dei jazzisti Giulio Stracciati e Shinobu Ito. Nel dicembre è stato chiamato da Luisa Melis, figlia e
continuatrice dell'opera di Ennio Melis, il patron della RCA Italiana, a far
parte della giuria del Premio De André. Saggi:
“La Massoneria” (Vecchi, Milano), “La Massoneria: cronaca, realtà, idee (Vecchi,
Milano), “Per una rifondazione del socialismo, in: Marxismo e non-violenza
(Lanterna, Genova) – PARTITO SOCIALISTA ITALIANO --; “La Libera Muratoria”
(Sugar, Milano); “La Massoneria. Il vincolo fraterno che gioca con la storia” (Giunti,
Firenze) Diario (Bastogi, Foggia) Grande Dizionario Enciclopedico POMBA
(Torino); Antroposofia, Besant, Cagliostro, Radiestesia, ecc.). L'ultima tappa
di Henry Corbin, in Contributi alla storia dell'Orientalismo, Franci (Clueb,
Bologna) “La Massoneria in Italia” (Bastogi, Foggia) Enciclopedia Massonica
(Ce.S.A.S., Reggio E.; Bastogi, Foggia); Psicologia del morire, in I nuovi ultimi (Francisci, Abano Terme)
Piazza del Gesù. “Documenti rari e inediti della tradizione massonica italiana”
(Ce.SA.S. Reggio Emllia); Sette Lodi Massoniche alla Beata Vergine Maria (Real
Ordine A.L.A.M., Reggio Emilia) La celeste dottrina noachita (Ce.S.A.S, Reggio
E.) I mitici Gufi (Edishow, Reggio Emilia); “Torbida dea. Psicostoria d'amore,
fantomi & zelosia (Bastogi, Foggia); Il Mazdeismo Universale. Una chiave
esoterica alla dottrina di Zarathushtra (Bastogi, Foggia ) I Magi eterni. Tra
Zarathushtra e Gesù (Om, Bologna ) La via massonica. Dal manoscritto Graham al
risveglio noachide (Om, Bologna ) Massoneria. Simboli, cultura, storia
(consulenza scientifica di M.M.) (Atlanti del Mistero/Giunti-Vecchi, Firenze )
Introduzione alla Libera Muratoria (Settenario, Bologna ) Musica Allucinazioni
amorose (meno due) (Bastogi Music
Italia) (Bastogi Music Italia) Gesbitando, (Bastogi Music Italia ) Come al
crepuscolo l'acacia (Heristal
Entertainment, Roma ) Existenz ((Heristal Entertainment, Roma ). Note Aplogruppo Mola, Un valido impulso per una Massoneria
"à parts entières", in 250 anni di Massoneria in Italia, F. Ferrari,
La Massoneria verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco) v.
) Una breve rassegna di testi
fondamentali sulla Massoneria si trova sul sito del Cesnur diretto da Massimo
Introvigne. Vedi anche le recensioni di E. Albertoni ne Il Sole 24 Ore, inserto
domenicale, e di G. Caprile ne La Civiltà Cattolica, Il volume fu pubblicato
nell’anno della dissoluzione dell'URSS, dalla casa editrice Progress, V.
Brunelli, Massoneria: è finito con la condanna della P2 il tempo delle logge e
dei "fratelli" coperti, in Corriere della sera, Il Corriere della
Sera dedicò un lungo articolo allo "scisma" (v. ). Del Real Ordine
A.L.A.M. si è occupato anche il centro di ricerca Cesnur, diretto dal noto
storico e sociologo delle religioni Massimo Introvigne,
v.//cesnur.org/religioni_italia/a/ appendice_02.htm. Il termine Real non aveva
alcun riferimento alla storia italiana, ma si richiamava alla leggenda,
contenuta negli Antichi doveri, secondo cui l'Ordine Massonico ricevé le sue
proto-costituzioni dal re Atelstano d'Inghilterra (Æðelstan); recentemente il
Real Ordine ha assunto la denominazione di Unione Cristiana dei Liberi
Muratori Rito filosofico italiano Antico Rito Noachita Masonic Ritual Rhapsody, Bastogi Music
Italia, youtube.com/watch?v=rSs0 4kpA36U. A questa esperienza è collegata la
sua iscrizione alla SIAE come autore musicale
Del percorso che lo ha condotto verso la visione di Zoroastro
(Zarathushtra) si è occupata la rivista parsi di Bombay, Parsiana, così come il
quotidiano torinese La Stampa v. mazdeanchristian.wordpress.com/ latitudinarismo, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, v.
riformati universalisti.wordpress // In questa comunità si ritrovano, su vari
temi, idee tratte dal Manicheismo, dall'Arianesimo, dal Quaccherismo,
dall'Unitarianismo, dal Giurisdavidismo e dall'universalismo hindu-cristiano
del movimento Navavidhan fondato da Keshab Chandra Sen. Frequenti e
significativi sono altresì i riferimenti al pensiero di aint-Martin e alla
"religione aperta"o della "compresenza dei morti e dei
viventi"elaborata da Capitini, Stracciati
Ito E. Albertoni, Tante fedi, nessun
dogma (recensione della Nuova Enciclopedia Massonica, Il Sole 24 Ore,I, inserto
culturale domenicale) M. Chierici, Nasce la Lega dei Venerabili (Corriere della
Sera) S. Esposito, Dalle radici del Mazdeismo all'Alleanza Mazdea
CristianaIntervista con M. (in Secreta Magazine S. Esposito, Gesbitando:
intervista con M. (Blogfoolk) F. Ferrari, La Massoneria verso il futuro (una
conversazione con M.) (Bastogi, Foggi8) S. Semeraro, Tra la via Emilia e l'Est.
Così parlò Zoroastro (La Stampa, Torino) S. Sari, Unico e plurimo al contempo,
Dio secondo gli Zoroastriani [intervista a M.M.](Libero) G. Giovacchini,
Cultura e spiritualità della Massoneria italiana [prefazione di M.] (Tiphereth,
Acireale-Roma ) Zoroastrismo
Universalismo Massoneria Rosacroce michelemoramarco. blog del Real Ordine A.L.A.M., su
realordine.wordpress.com. Pagina sul sito di Heristal Entertainment, su
heristal.eu. blog degli anglicani latitudinari, su
riformatiepiscopali.wordpress.com. Grice: “The Romans are obsessed with what
Moramarco calls ‘paganesimo romano’ – the word ‘pagano’ only makes sense in
opposition to Christ. It would be very inappropriate of the greatest Italian
philosopher ever, Antonino, to consider his self pagan!” -- Michele Moramarco.
Moramarco. Keywords: la tradizione massonica italiana. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moramarco” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moravia: l’implicature conversazionali dei ragazzi
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Grice: “I like Moravia: he has philosophised on what makes us
‘human,’ (“il pungolo dell’umano”) – his analysis of ‘il ragazzo selvaggio’ is
sublime – and he has played with ‘reason,’ hidden and strutturata – and the
universi di senso with which I cannot but agree! – provided we don’t multiply
them ad infinitum!” -- Grice: “I like
Moravia’s idea of ‘la ragione nascosta’ – you have indeed to seek and thou
shalt find!” -- “Il Nietzsche che prediligo è il Nietzsche terreno, umano,
presente nel tempo. È il Nietzsche intrepido esploratore del sottosuolo
dell'uomo e dei disagi della civiltà. È il Nietzsche che fertilmente e
sofferentemente (non narcisisticamente) vive e pensa il nichilismo: ma per
andare oltre il nichilismo. È soprattutto il Nietzsche cheneo-illuminista forse
malgrado luivuole conoscere, capire, dare un (nuovo) senso alle cose.”
Professore a Firenze. Allievo diGarin,
si è formato in ambiente fiorentino conseguendovi la laurea in filosofia nel
1962 con tesi su Gian Domenico Romagnosi. Professore incaricato, è poi
diventato ordinario di Storia della Filosofia all'Firenze. Nel corso della sua carriera, si è
interessato particolarmente dell'illuminismo francese e del pensiero del
Novecento, della storia e dell'epistemologia delle scienze umane, con
particolare attenzione all'antropologia, la filosofia della mente e
l'esistenzialismo. I suoi studi e le sue ricerche hanno aperto nuove
prospettive interdisciplinari fra pensiero filosofico e scienze umane. Attualmente, le sue attenzioni sono rivolte
verso l'opera e il pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche del quale pubblica
già una celebre antologia dal titolo La distruzione delle certezze e, nel 1985,
una raccolta di saggi intitolata Itinerario nietzscheano. Proprio un nuovo modo
di avvicinarsi e concepire il pensiero del filosofo tedesco lo hanno reso uno
dei suoi interpreti più originali e più discussi. Grazie ai suoi studi e contributi filosofici,
è stato visiting professor presso l'Università della California a Berkeley,
l'Università del Connecticut a Storrs e il Center for the Humanities della
Wesleyan University. Conferenziere
presso altre sedi universitarie americane (fra le quali, Harvard, UCLA, Boston)
ed europee (Francia, Belgio, Germania), è cofondatore della “Società italiana
degli studi sul XVIII secolo”, nonché membro del Comitato direttivo delle
Riviste filosofiche “Iride” e “Paradigmi”. Collabora ai giornali Corriere della
Sera, Quotidiano nazionale, La Repubblica. Saggi: “Il tramonto dell'Illuminismo
-- filosofia e politica” (Laterza, Roma); “La ragione nascosta” (Sansoni,
Firenze); La scienza dell'uomo” (Laterza, Roma); “L’antropologia strutturale” (Sansoni,
Firenze); “Esistenziale” (Laterza, Roma); “La teoria critica della società” (Sansoni,
Firenze); “Gl’idéologues -- scienza e filosofia” (Nuova Italia, Firenze); “La
distruzione delle certezze” (Nuova Italia, Firenze); “Linguaggio, scuola e
società not ‘storia’! -- Guaraldi, Firenze); “Filosofia e scienze umane
nell'età dei Lumi” (Sansoni, Firenze); “Pensiero e civiltà” (Monnier, Firenze);
“Il ragazzo selvaggio dell'Aveyron.” Pedagogia e psichiatria nei testi di
Itard, Pinel e dell'anonimo della "Décade" (Laterza, Roma); “Itinerario
nietzscheano, Guida, Napoli); Educazione e pensiero, Monnier, Firenze,
Filosofia: storia e testi, Monnier, Firenze, “L'enigma dell’animo” Laterza,
Roma); Compendio di filosofia, Monnier,
Firenze, L'enigma dell'esistenza -- soggetto, morale, passioni nell'età del
disincanto, Feltrinelli, Milano, L'esistenza ferita -- modi d'essere,
sofferenze, terapie dell'uomo nell'inquietudine del mondo, Feltrinelli, Milano,
Filosofia dialettico-negativa e teoria critica della società, Mimesis, Milano;
“Ragione strutturale e universi di senso” (Lettere, Firenze); “La Massoneria.
La storia, gli uomini, le idee, Mondadori, Milano); “Firenze e l’Umanesimo.
Arte, cultura, comunicazione” (Lettere, Firenze); Lo strutturalismo, Lettere,
Firenze); “Filosofia e psicoanalisi (POMBA, Torino); “L'universo del corpo,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma,
“Animo e realtà psichica” (Borla, Roma, "L'esistenza e il
male", in: "Mysterium iniquitatis",
Gregoriana, Padova, Linterpretazione personologico-esistenziale
dell'uomo", in: La questione del
soggetto tra filosofia e scienze umane, Monnier, Firenze) – PERSONOLOGIA –
PIROTOLOGIA – Grice, persona -- Lettura Magistrale" al Convegno Dalla
riabilitazione psicosociale alla promozione della salute(Montecatini),
"S.I.R.F. News", "Mente, soggetto, esperienza nel mondo",
in La filosofia italiana in discussione -- La filosofia italiana in
discussione, Società Filosofica Italiana, Firenze), Bruno Mondadori, Milano,
"Crisi della cultura e relazioni generazionali nel mondo
contemporaneo", in Giovani e adulti: prove di ascolto, Sansepolcro (AR),
"La filosofia degli idéologues. Scienza dell'uomo e riflessione epistemological,
Letteratura italiana tra illuminismo e romanticismo, Convegno, Italianistica,
Padova, "Libertà, finitudine,
impegno -- genesi e significato della responsabilità nel mondo", in: V.
Malagola Giustizia e responsabilità (Convegno, Firenze), Giuffré Milano, "Dal soggetto persona alla relazione
interpersonale", Maieutica, De-mitizzazione e de- valorizzazione. La crisi
della 'forma famiglia' nella società", in: Interazioni, "Illuminismo
e modernità", Hiram, "Prove d'ascolto. Crisi della cultura e
relazioni generazionali nel mondo contemporaneo", Studi sulla formazione, "La
guerra giusta", Hiram, "La
filosofia, la conoscenza dell'umano, il dialogo col pensiero religioso",
Hiram, "Esistenza e felicità", Hiram, "L'Occidente e la pace.
Luci e ombre all'alba del terzo millennio", Hiram,"La filosofia e il
suo 'altro'. La riflessione metafilosofica di Adorno in 'Dialettica
negativa'", Iride, "L'uomo:
una storia infinita", in: Per una
scienza dell'umano, Arezzo,
"L’'interpretazione personologico-esistenziale dell'uomo" –
PERSONALOGIA – Grice, PERSONA. in: L. Neuro-fisiologia e teorie della mente,
Vita & Pensiero, Milano, "La scoperta dell'inconscio, l'ambiguità del
freudismo e il lavoro della psicoanalisi sull'animale, Convegno "Meta-psicologia”,
Napoli, La Biblioteca, Bari, "Un mondo negato. L'assolutizzazione del
corpo nella psico-umanologia contemporanea", UMANOLOGIA – ibrido -- Hermeneutica,
Corpo e persona, "Complessità, pluralità, confini", in: Dal
coordinatore al coordinamento,Coordinatori pedagogici in Emilia-Romagna,
Assessorato Servizi Sociali, Bologna, Bruno Maiorca, Filosofi italiani
contemporanei. Parlano i protagonisti, Bari, Dedalo, su sapere, De Agostini. Gran Loggia del GOI
dal titolo "Tu sei mio fratello" Registrazione video della Lectio Magistralis
"Al di qua del bene e del male Nietzsche esploratore dell'umano"
Modena e Reggio Emilia Tavola rotonda del GOI "Pedagogia delle libertà Libertà
civili" Convegno del GOI "La scienza non sia ostacolata
dall'ideologia, dalla politica e dalla religione" tavola rotonda della
Comunità Oasi "Significato e funzione della pena, della punizione e della
penitenza nella promozione umana e sociale" "Catturati dall'effimero?"
all'interno del Convegno Giovanile alla Cittadella di Assisi" dsu
arcoiris. Moravia. Keywords: ragazzi, personologia. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Moravia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mordacci: l’implicatura convresazionale e la
norma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “I like Mordacci – in a way, like I did with J. L. Mackie,
Mordacci opposes both ‘assolutismo’ and ‘relativismo’ – and tries to
‘construct’ an ‘inter-personal’ reason out of a full-fledged personal reason.
Whereas it would seem that we enjoin the principle of conversational
helpfulness out of altruism, there is this balance between conversational
self-love and conversational other-love; and we only ‘respect’ the other that
respects us as ‘pesonal;’ against Apel, the logic of the inter-personal
reduces, in a complex way, to the logic of the personal; without it, we would
be annihilating the autonomy of the will.” Grice: “I like Mordacci’s emphasis
on reason for normativity – interpersonal reason, as he calls it!” È preside
della Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele dove è
Professore di Filosofia Morale. È Direttore del Centro Internazionale di
Ricerca per la Cultura e la Politica Europea. Laurea in filosofia presso
l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottorato in bioetica presso
l'Università degli Studi di Genova. Ha svolto attività di ricerca e
insegnamento presso la Scuola di Medicina e Scienze Umane dell'Istituto
Scientifico Ospedale San Raffaele. Insegnato presso l'Università Vita-Salute
San Raffaele, prima presso la Facoltà di Psicologia e dal 2002 presso la
Facoltà di Filosofia che ha contribuito a fondare insieme con Cacciari, Edoardo
Boncinelli, Michele Di Francesco, Andrea Moro. Ha contribuito a progetti di
ricerca ed è stato membro del Consiglio d'Europa per l'insegnamento della
bioetica. Dal è preside della Facoltà di
Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, essendo stato rieletto nel
giugno per il secondo mandato.
Membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le
Scienze per la Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal al è
stato membro del Comitato Scientifico per EXPO
come delegato del Rettore dell'Università Vita-Salute San Raffele.
Dal è membro della Commissione per
l'Etica della Ricerca e la Bioetica del consiglio nazionale delle ricerche e
del consiglio direttiva della Società Italiana di Filosofia Morale. Si è
dedicato in particolar modo dei temi: "Etica e ragioni morali",
"Etica pubblica e rispetto", "Neuroetica". Attraverso
l'indagine delle "ragioni morali" e dell'"identità
personale" e ispirandosi alla filosofia kantiana, propone una forma di
"personalismo critico" in base alla quale il fondamento
dell'esperienza morale viene individuato nella ricerca, che ognuno compie,
delle "buone ragioni" che danno forma alla propria individualità
personale attraverso l'agire. Riconoscere ogni persona come autrice della
propria identità fonda un'etica del rispetto delle persone in quanto a ogni
individuo viene riconosciuto il diritto e il dovere di esprimere le proprie
abilità e costruire la propria personalità. Si è inoltre occupato di
bioetica essendo anche stato coordinatore del progetto Bioetica della genetica:
questioni morali e giuridiche negli impieghi clinici, biomedici e sociali della
genetica umana del Miur (FIRB, Tra i suoi interessi più recenti, la disciplina
della Film and Philosophy: la riflessione su come i film possono fare filosofia
e se possono argomentare vere e proprie tesi filosofiche. In questo contesto ha
dato vita al Laboratorio di Filosofia e Cinema presso la Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, conduce il sabato pomeriggio la
rubrica "Al cinema col Filosofo" su TgCom24 (stagioni - e -) e la
rubrica "Imparare ad amare i film" all'interno di Cinematografo
Estate () su Rai 1. Riviste È membro del comitato scientifico
dell'Annuario di Etica (ed. Vita e Pensiero), dell'Annuario di Filosofia (ed.
Mimesis) e della rivista online Etica & Politica. Dalla sua
fondazione è membro del Comitato Scientifico della rivista scientifica a cura
del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi. Attività teatrale
Romeo e Giulietta: nascita e tragedia dell'io moderno, Eloisa e Abelardo:
passione e negazione, Occidente, o identità fragile: Auster e le Follie di
Brooklyn, analisi filosofiche con letture sceniche, ciclo "Aperitivi con
Sophia", Teatro Franco Parenti,La violenza e l'ingiustiziaGorgia, ciclo
"Filosofi a teatro" M., Teatro Franco Parenti, L'individuo, la
libertà e il perdono. Hegel legge Dostoevskij, lettura scenica di M. e Sorel,
ciclo l'Intelligenza e la Fantasia, Teatro Strehler,L'isola della verità.
Divagazioni fotografiche e filosofiche, lettura scenica di M., Traini e
Stepparava, Cluster Isole, Mare e Cibo, Padiglione P03-Expo Milano (Rho-Fiera), Kant e il mare, lettura scenica
di Roberto Mordacci e Francesca Ria, agosto
Saggi:“Bio-etica della sperimentazione,” Angeli, Milano; “Salute e bio-etica,”
Einaudi, Milano); “Una introduzione alle teorie morali,” Feltrinelli,
Milano, La vita etica e le buone
ragioni, Mondadori, Milano, “Ragioni personali, ragione inter-personali: Saggio
sulla normatività morale,” Carocci, Milano, Elogio dell'Immoralista, Mondadori,
Milano; Rispetto, Cortina, Milano. Bioetica, Mondadori, Milano. L'etica è per
le persone, San Paolo, Cinisello Balsamo. Al cinema con il filosofo. Imparare
ad amare i film, Mondadori, Milano. La condizione neomoderna, Einaudi, Torino,.
Ritorno a utopia, Laterza, Bari,. Note
Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Governo/bioetica, su
governo.M., su Le Università per Expo,Commissione per l’Etica della Ricerca e
la Bioetica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, su cnr. Organi della società | SIFM, su sifm.
Intervista a L'accento di Socrate, su laccentodi socrate. Rai 1, Cinematografo estate, su rai.tv. Scienza e etica: in uscita la nuova rivista
della Fondazione Veronesi, su Fondazione Umberto Veronesi. Chi siamo
su scienceandethics. fondazioneveronesi. Feeding the Mind: Expo-Bicocca
Conversation Hour, su unimib. Lettura scenica de "I Sensi del Mare",
su//elbareport. 1 Pearson Imparare sempre su pearson. 1º agosto. Bioetica Mordacci Robertoe Book Mondadori
BrunoSai cos'è?FilosofiaePubIBS, su ibs. L'etica è per le personeEdizioni San
Paolo, su edizionisanpaolo. Riflessioni
sul senso della vita intervista di Ivo Nardi, sito "Riflessioni",
settembre. Ci vuole più rispetto intervista a Roberto Mordacci, Famiglia
Cristiana. Ma l'etica non è un'intrusa, intervista a Roberto Mordacci,
Avvenire, Ora smettiamola di parlare inglese, intervista a Roberto Mordacci, Il
Giornale. Mordacci. Keywords: la norma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Mordacci” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Morelli – l’implicatura conversazionale e la
filosofia del digiuno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: ‘I once told
Austin, I don’t give a hoot what the dictionary says;’ ‘And that’s where you
make your big mistake,’ his crass response was!” -- Grice: “I once told
Ackrill, ‘should there be a manual of philosophy, must we follow it?’ He
replied, “One thing is to know the manual, another is to know how to abide by
it!” Si laurea a Pavia e l'anno dopo assolve all'obbligo di leva a
Trieste dove presta attenzione alle problematiche relazionali dei militari
nello svolgimento delle proprie mansioni; si è poi specializzato in Psichiatria
presso l'Università degli Studi di Milano. Direttore dell'Istituto Riza, gruppo
di ricerca che pubblica la rivista Riza Psicosomatica ed altre pubblicazioni
specializzate, con lo scopo di "studiare l'uomo come espressione della
simultaneità psicofisica riconducendo a questa concezione l'interpretazione
della malattia, della sua diagnosi e della sua cura". Inoltre è direttore
delle riviste Dimagrire e Salute Naturale. Dall'attività dell'Istituto
Riza è sorta anche la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad indirizzo
psicosomatico, riconosciuta ufficialmente dal Ministero dell'università e della
ricerca scientifica e tecnologica. Vicepresidente della Società Italiana di
Medicina Psicosomatica. Partecipa a numerose trasmissioni televisive sia per la
RAI sia per Mediaset (Maurizio Costanzo Show, Tutte le mattine, Matrix, ecc.) e
per la radio. Nelle sue opere ci sono molti riferimenti alle dottrine
orientali. Saggi: “Verso la concezione di un sé psico-somatico. Il corpo è come
un grande sogno della mente (Milano, UNICOPLI, Milano, Cortina); La dimensione
respiratoria. Studio psico-somatico del respiro, inspiro, expiro – spiro -- Milano, Masson Italia, Dove va la medicina
psico-somatica (Milano, Riza); Il sacro.
Antropoanalisi, psico-somatica, comunicazione, Milano, Riza-Endas, Convegno
internazionale Mente-corpo: il momento unificante. Milano, Atti, Milano,
UNICOPLI, Riza, I sogni dell'infinito, Milano, Riza, Autostima. Le regole
pratiche, Milano, a cura dell'Istituto Riza di medicina psicosomatica, Il
talento. Come scoprire e realizzare la tua vera natura, Milano, Riza, Ansia,
Milano, Riza, Insonnia, Milano, Riza, Cefalea, (Milano, Riza); Lo psichiatra e
l'alchimista. Romanzo, Milano, Riza, Le nuove vie dell'autostima. Se piaci a te
stesso ogni miracolo è possibile, Milano, Riza, Conosci davvero tuo figlio?
Sconosciuto in casa. Dal delitto di Novi Ligure al disagio di una generazione,
Milano, Riza, Come essere felici, Milano, Mondadori, Cosa dire e non dire nella
coppia, Milano, Mondadori, Come mantenere il cervello giovane, Milano, Mondadori,
Come affrontare lo stress, Milano, Mondadori, Come amare ed essere amati
(Milano, Mondadori); Come dimagrire senza soffrire (Milano, Mondadori); Come
risvegliare l'eros, Milano, A. Mondadori, Come star bene al lavoro, Milano,
Mondadori, Come essere single e felici, Milano, A. Mondadori, Cosa dire o non dire ai nostri figli, Milano,
A. Mondadori, La rinascita interiore, Milano, Riza, Volersi bene. Tutto ciò che
conta è già dentro di noi (Milano, Riza); L'amore giusto. C'è una persona che
aspetta solo te, Milano, Riza, Vincere i disagi. Puoi farcela da solo perché li
hai creati tu, Milano, Riza); Felici sul lavoro. Come ritrovare il benessere in
ufficio, Milano, Riza, I figli felici. Aiutiamoli a diventare se stessi,
Milano, Riza, La gioia di vivere. Scorre spontaneamente dentro di noi, Milano,
Riza, Essere se stessi. L'unica via per incontrare il benessere, Milano, Riza,
Accendi la passione. È la scintilla che risveglia l'energia vitale, Milano,
Riza, Alle radici della felicità. Editoriali dpubblicati su Riza psicosomatica,
rivista mensile delle Edizioni Riza, Milano, Riza, Ciascuno è perfetto. L'arte
di star bene con se stessi, Milano, Mondadori, Il segreto di vivere. Aforismi,
Milano, Riza, Realizzare se stessi, Milano, Riza, Vincere la solitudine,
Milano, Riza, Dimagrire senza fatica, Milano, Riza, Amare senza soffrire,
Milano, Riza, Guarire con la psiche, Milano, Riza, Superare il tradimento,
Milano, Riza, Dizionario della felicità, 6 voll, Milano, Riza, Non siamo nati
per soffrire, Milano, Mondadori,L'autostima. Le cinque regole. Vivere la vita.
Adesso, Milano, Riza, Conoscersi. L'arte di valorizzare se stessi. Via le
zavorre dalla mente, Milano, Riza, I
figli difficili sono i figli migliori, Milano, Riza, Il matrimonio è in
crisi... che fortuna!, Milano, Riza, Autostima, I consigli di M. per un anno di
felicità, Milano, Riza, Le parole che curano, Milano, Riza, Perché le donne non
ne possono più... degli uomini, Milano, Riza, Le piccole cose che cambiano la
vita, Milano, Mondadori, Come trovare l'armonia in se stessi, Milano,
Mondadori, Ama e non pensare, Milano,
Mondadori, Curare il panico. Gli attacchi vengono per farci esprimere le parti
migliori di noi stessi, con Vittorio Caprioglio, Milano, Riza, Non dipende da
te. Affidati alla vita così realizzi i tuoi desideri, Milano, Mondadori,
L'alchimia. L'arte di trasformare se stessi (Milano, Riza); Il sesso è amore.
Vivere l'eros senza sensi di colpa, Milano, Mondadori, Puoi fidarti di te,
Milano, Mondadori, La felicità è dentro di te, Milano, Mondadori, L'unica cosa
che conta (Milano, Mondadori); La felicità è qui. Domande e risposte sulla
vita, l'amore, l'eternità, con Luciano Falsiroli, Milano, Mondadori, Guarire
senza medicine. La vera cura è dentro di te (Milano, Mondadori); Lezioni di
autostima. Come imparare a stare beni con se stessi e con gli altri (Milano,
Mondadori); Il segreto dell'amore felice, Milano, Mondadori, La saggezza
dell'anima. Quello che ci rende unici (Milano, Mondadori); Pensa magro. Le 6
mosse psicologiche per dimagrire senza dieta (Milano, Mondadori); Vincere il
panico. Le parole per capirlo, i consigli per affrontarlo, cosa fare per guarirlo
(Milano, Mondadori) Nessuna ferita è per sempre. Come superare i dolori del
passato (Milano, Mondadori); Solo la mente può bruciare i grassi. Come attivare
l'energia dimagrante che è dentro di noi (Milano, Mondadori); Breve corso di
felicità. Le antiregole che ti danno la gioia di vivere (Milano, Mondadori); La
vera cura sei tu (Milano, Mondadori); Il meglio deve ancora arrivare. Come
attivare l'energia che ringiovanisce (Milano, Mondadori); Il potere curativo
del digiuno. La pratica che rigenera corpo e mente (Milano, Mondadori). Segui
il tuo destino. Come riconoscere se sei sulla strada giusta (Milano,
Mondadori); Il manuale della felicità. Le dieci regole pratiche che ti
miglioreranno la vita (Milano, Mondadori); Pronto soccorso per le emozioni. Le
parole da dirsi nei momenti difficili (Milano, Mondadori). Movie. Grice:
“Should there be a ‘dizionario della felicita,’ I would perhaps follow Austin’s
advice and go through it!” –. Raffaele Morelli. Morelli. Keywords: la
dimensione respiratoria, inspirare, respirare, spirare, spirito, il corpo
animato spira – il corpo spira – corpo spirante, corpo animato --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Morelli” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Moretti – l’implicatura conversazionale e la
segnatura romantica – i romantici di roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Moretti – he uses a
good metaphor, ‘the wounded poet,’ unless we mean Owen, but he was more than
wounded, even if that implicature is cancellable --.” Grice: “I like Moretti
also because he wrote on ‘ermeneutica sensibile,’ which is exactly what I do.”
Grice: “I like Moretti also because he uses ‘segnatura’ etymologically, when he
writes of the ‘la segnatura romantica’ – talk of tokens!” Nasce nel borghese
quartiere Trieste, primo di due fratelli. Ottiene il diploma di maturità
classica presso il Liceo Giulio Cesare. Successivamente consegue una prima
laurea in Giurisprudenza, con una tesi in filosofia del diritto, e, nel una
seconda in filosofia, con una tesi in filosofia morale, entrambe presso l'Roma
La Sapienza. È poi borsista presso l'Friburgo in Brisgovia, dove imposta un
progetto di ricerca che, partendo dall'interpretazione di Heidegger, mira ad
un'analisi critica delle categorie filosofico-estetiche del “romantico” in
Germania, con particolare attenzione alle opere di autori del romanticismo di
Heidelberg, quali Creuzer, Görres, i Fratelli Grimm e Bachofen, che
contribuisce a tradurre e a far conoscere in Italia. Al suo rientro insegna
dapprima materie letterarie nelle scuole medie e, in seguito, filosofia presso
la Scuola germanica di Roma. La sua
ricerca si amplia poi al pensiero estetico di Novalis, di cui cura la prima
edizione completa in lingua italiana della Opera filosofica; durante questo
periodo consegue il dottorato di ricerca in Estetica presso l'Bologna. Vince la
cattedra di professore associato di Estetica all'Bari; Professore a Napoli
L’Orientale. Redattore di Itinerari e
Studi Filosofici, collabora con varie altre riviste filosofiche (Agalma,
Rivista di Estetica, Studi di Estetica, aut aut, Nuovi Argomenti, Filosofia e
Società, Filosofia Oggi, Estetica) e ha spesso partecipato a trasmissioni RAI
su temi filosofici e a numerosi convegni. Saggi: ”Il romantico: poesia, mito, storia, arte
e natura” (Itinerari, Lanciano); -- roma – romantico -- “Anima e immagine: sul
poetico” (Aesthetica, Palermo); “Nichilismo e romanticismo -- estetica e
filosofia della storia” (Cadmo, Roma); La segnatura romantica (Roma, Hestia); “Interpretazione
del romanticismo” (Ianua, Roma); “Estetica: analogia e principio poetico nella
profezia romantica” -- Rosenberg & Sellier, Torino); “La segnatura
romantica -- filosofia e sentimento” (Hestia, Cernusco L.); “Il genio” (Mulino,
Bologna); “Il poeta ferito.” Hölderlin, Heidegger e la storia dell'essere” (Mandragora,
Imola); “Anima e immagine.” Studi su Klages,
Mimesis, Milano, Heidelberg romantica. Romanticismo e nichilismo” Guida, Napoli,
Introduzione all'estetica del Romanticismo, Nuova Cultura, Roma, Il genio, Morcelliana, Brescia. Per immagini.
Esercizi di ermeneutica sensibile” (Moretti & Vitali, Bergamo); Heidelberg
romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Morcelliana, Brescia,
Novalis. Pensiero, poesia, romanzo Morcelliana, Brescia, Romano Guardini,
Hölderlin, Morcelliana, Brescia. Novalis, Scritti filosofici, Morcelliana,
Brescia. J. J. Bachofen, Il matriarcato (Marinotti, Milano); Novalis, Opera
filosofica, I, Einaudi, Torino, Un video
con una trasmissione RAI. Un video con un intervento di Moretti. Giampiero
Moretti. Moretti. Keywords: roma, romanzo, romanzare, romanzato – non vero.
Romanticismo filosofico, I filosofi romantici italiani Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moretti: il
romanticismo romano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e
Mori: l’implicatura conversazionale e la coerenza dell’intransigenza – la
ripproduzione sessuata fra i antici romani – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Cremona). Filosofo
italiano. Grice: “I like Mori; he
wrote a treatise on Stephen, better known as Virginia Woolf’s father; which
reminded me of Bergmann who once called me an English futilitarian!” --
Professore a Torino e presidente della Consulta di Bioetica Onlus,
un'associazione di volontariato culturale per la promozione della bioetica
laica. L’etica e la bioetica con le varie problematiche connesse sono le
tematiche al centro dei suoi interessi filosofici e teorici. Mori ha studiato all’Università degli Studi
di Milano, dove ha conseguito la laurea (con Bonomi e Pizzi) e il dottorato
sotto Scarpelli e Jori. Insegnato ad Alessandria e Pisa, prima di essere
chiamato a Torino. Studia i temi della meta-etica e della logica dell’etica con
le problematiche della teoria etica. Tra i primi a occuparsi di bioetica, nella
quale ha dato contributi in tutti i principali settori, con particolare
attenzione all’aborto e alla fecondazione assistita. Sollecitato dai casi Welby
e Englaro ha dato contributi anche sul fine-vita a difesa dell’autonomia
individuale. Per primo teorizza la contrapposizione paradigmatica tra bioetica
laica e bioetica cattolica, derivante dal fatto che quest’ultima propone
un’etica della sacralità della vita caratterizzata da divieti assoluti, mentre
l’altra avanza un’etica della qualità della vita senza assoluti e soli divieti
prima facie. Presta grande attenzione al problema della liberazione animale.
Fonda Bioetica. Rivista interdisciplinare (Ananke Lab, Torino). Membro di
numerosi comitati, tra cui il comitato scientifico di Notizie di Politeia, di
Iride del Journal of Medicine and Philosophy e altre. Saggi: “Manuale di
bioetica: verso una civiltà bio-medica secolarizzata” (Lettere, Firenze); “Introduzione
alla bioetica. temi per capire e discutere” (Piazza, Torino); Il caso Eluana
Englaro. La “Porta Pia” del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente
giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna, Aborto e morale. Per
capire un nuovo diritto” (Einaudi, Torino); “La fecondazione artificiale. Una
forma di riproduzione umana” (Laterza, Roma-Bari); “La fecondazione
artificiale: questioni morali nell'esperienza giuridica Giuffrè, Milano); “Utilitarismo
e morale razionale. Per una teoria etica obiettivista, Giuffrè, Milano, La
legge sulla procreazione medicalmente assistita. Paradigmi a confronto, Net,
Milano, Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto, Le
Lettere, Firenze, La fecondazione assistita dopo 10 anni di legge 40. Meglio
ricominciare da capo!, Ananke editore, Torino, Questa è la scienza, bellezze!
La fecondazione assistita come novo modo di costruire le famiglie, Ananke Lab,
Torino. Mori. Keywords: la coerenza dell’intransigenza.
Grice e Moriggi: la stretta di mano – Ercole e
Cerbero – le tre implicature conversazionali -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice: “I like it when Moriggi does
substantial metaphysics; he has edited a collection on ‘why is there something
rather than nothing?” – hardly rhetoric – and the subtitle is fascinating: the
vacuum, the zero, and nothingness! All in Italian, to offend Heidegger!”
Specializza in teoria e modelli della razionalità, fondamenti della probabilità
e di pragmatism. Insegna a Brescia, Parma, Milano e presso la European School
of Molecular Medicine è conosciuto al grande pubblico attraverso la
trasmissione TV E se domani di Rai 3 e per alcuni interventi ad altre
trasmissioni. Saggi: “Le tre bocche di Cerbero” (Bompiani. Perché esiste
qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero, con P.Giaretta e G.Federspil
(Itaca) Perché la tecnologia ci rende umani (Sironi) Connessi. Beati quelli che sapranno
pensare con le macchine (San Paolo) School Rocks! La scuola spacca, con A.
Incorvaia (San Paolo, ), con prefazione rap di Frankie Hi-nrg. Stefano Moriggi.
Moriggi. Keywords: le tre bocche di Cerbero. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Moriggi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Mosca: l’implicatura conversazionale – filosofia
siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “When Austin was
defending the ‘man in the street,’ he was thinking Mosca!” -- Grice: “I like
Mosca; he speaks of elites – Gellner speaks of elites, too!” -- Grice: “Do
Italians consider Mosca a philosopher?” – Saggi: “Sulla teorica dei governi e sul
governo parlamentare, Appunti sulla
libertà di stampa, Questioni costituzionali, Le Costituzioni moderne; Elementi
di scienza politica, Che cosa è la mafia, Appunti di diritto Costituzionale,
Italia, Stato liberale e stato sindacale, Il problema sindacale, Saggi di storia delle dottrine politiche,
Crisi e rimedi del regime parlamentare, Storia delle dottrine politiche,
Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Ciò che la storia
potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano), Il tramonto dello
Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania) Scritti sui sindacati (a cura
di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma) Discorsi parlamentari (con un saggio di
Panebianco, Bologna. Appunti di diritto costituzionale dall’Enciclopedia
Giuridica Italiana. Milano. La genesi
delle cottituzion imoderne. Cenni storici sulla scienza del diritto costituzionale.
Definizione dello stato e della sovranità. Condizioni sociali che prepararono
il regime rappresentativo. Dottrine politiche che integrano l'azione
del dizioni sociali. La costituzione inglese e sua importanza con
dello di tutte le costituzioni moderne. Origini. Ordinamenti politici ed
amministrativi dell'Inghilterra. La prima rivoluzione inglese. La restaura:
Vhabecis corpus. La seconda rivoluzione inglese. Il seconc
dei diritti e Patto di stabilimento. Lo svolgimento della costituzione
inglese nel decimottavo. Lo statuto
albertino. Caratteri delle prime costituzioni moderne. più dirette dello statuto
albertino. Il re. Sue prerogative e norme della succezione monarchica. Il
gabinetto, i ministri ed il presidente del consiglio. La responsabilità penale
dei ministry. La formazione delle due Camere. Varii sistemi di suffragio.
La legge elettorale politica. Prerogative
e funzioni dell» due Camere. Dell’ordine giudiziario. Dei diritti individuali. Dei
rapporti fra la chiesa e lo stato. Lo studio del diritto pubblico in genere e
del diritto costituzionale in ispecie richiede anzitutto la
definizione esatta di certi concetti che, per quanto non nuovi, non hanno
acquistato ancora un significato preciso e determinato e nello stesso tempo
accolto da tutti. Il concetto di Stato, che è il più fondamentale di
tutti, venne ad esempio elaborato fin dalla classica antichità e corrisponde a
ciò che i greci chiamavano “polis” ed i romani “respublica”. Eppure anche
oggi si disputa sulla origine e la natura dello stato. Fra tutte le
definizioni dello stato la migliore mi sembra quella che lo fa consistere
nella organizzazione politica e giuridica di un popolo entro un
determinato territorio, ma anche essa ha bisogno di spiegazioni e
commenti. Quando si dice infatti organizzazione politica di un
popolo, s' intende quella di tutti gli elementi che dirigono politicamente
un popolo ossia esercitano funzioni statuali. Nello stato moderno perciò
vanno compresi non solo tutti i pubblici funzionari, tenendo conto pure
di quelli fra costoro che non sono pubblici impiegati, ma anche i membri
del parlamento ed i consiglieri provinciali e comunali; e perfino gl’elettori
politici e comunali, quando sono convocati nei comizi, esercitano
funzioni statuali e perciò fanno parte dello stato. Ma per quanto in una
organizzazione statuale democratica lo stato comprende, almeno
giuridicamente dappoiché in fatto le cose vanno diversamente, la parte maggiore
della società, pure questa non si confonde mai intieramente collo stato. Perchè
anche nei paesi dove vige il suffragio universale vi sono molti individui che
pur fanno parte del sociale consorzio, come le donne, i minorenni e
coloro che per condanne sono esclusi dal suffragio, i quali in nessun caso
partecipano alle funzioni politiche o statuali. Ma se lo stato non è la
società, esso essendo costituito dal complesso di tutti gl’elementi
che partecipano alla direzione politica di questa non è certo al di
fuori della società. Il cervello non è tutto il corpo umano, ma ne fa
parte e senza di esso il corpo umano non può vivere. Bisogna però
notare che la vita del corpo sociale ha delle analogie non delle
identità con quelle dell'individuo umano. Infatti in questo ogni singola
cellula è fissata nell'organo di cui fa parte, mentre negl’organismi sociali
più perfezionati, nei quali le funzioni statuali sono suddivise in vari organi
le cui attribuzioni sono giuridicamente limitate, vediamo spesso che il
medesimo individuo fa parte dello stato nell'esercizio della sua pubblica
funzione e é sem-plice membro della società al di fuori della sua
funzione e di fronte a tutti gli altri organi dello stato. Ciò accade
tanto al semplice elettore che al magistrato ed allo stesso membro del parlamento,
se non vogliamo tener conto per i due ultimi delle poche speciali prerogative
che mirano a salvaguardarne l'indipendenza nell'esercizio delle loro
funzioni. Molti filosofi considerano intanto lo stato e la società
come due enti che per necessità vivono in continuo antagonismo, per
alcuni anzi lo stato è il perpetuo nemico della società. Dopo quanto si
è scritto risulta evidente che il loro concetto è per lo meno
inesatto e sopratutto è difettoso perchè contribuisce piuttosto a confondere
che a chiarire le idee che si possono avere sull'argomento. Nondimeno
esso non è del tutto falso e può essere anzi riguardato come una
interpretazione sbagliata di una condizione di cose in tutto od in parte
verace. È indiscutibile infatti che in una società vi possono essere
elementi dirigenti che dalla costituzione in vigore sono tenuti lontani
dalla organizzazione statuale. Ed allora naturalmente vi è una lotta
fra questi elementi e quelli già accolti entro lo stato che può assumere
la parvenza di una lotta fra stato e società. E può anche accadere che i
progressi del senso morale e giuridico di una società
abbiano oltrepassato quel livello che si era aggiunto nel momento
della formazione del suo organismo politico. Sicché questo, rimasto arretrato,
permette ai rappresentanti dello stato un'azione che
riesce vessatoria ed arbitraria per gli altri membri
della società. Ma in sostanza i periodi di antagonismo acuto
fra gl’elementi statuali e quelli extra-statuali di una società possono
essere considerati come eccezionali e sogliono ordinariamente precedere le
grandi rivoluzioni. Tutto quanto si è detto spiega perchè lo stato sia
l'organizzazione politica di un popolo. Se si tiene poi presente che, in
tutti i paesi che hanno raggiunto un certo grado di civiltà, le condizioni
in base alle quali si arriva all'esercizio delle funzioni statuali ed i
limiti di queste funzioni sono determinati dalla LEGGE si vede facilmente
come questa organizzazione sia non solo politica ma anche giuridica;
perchè essa crea fra i diversi organi dello stato e fra coloro che
esercitano le funzioni statuali ed i semplici cittadini una serie di
rapporti giuridici. Questi rapporti nascono in base ad una facoltà
che lo stato esclusivamente possiede: la sovranità. La sovranità consiste nel
potere di conchiudere convenzioni e trattati con un’ altro stato e di
creare il diritto e farlo eseguire in tutto il territorio sottoposto allo
stato. I filosofi, educati quasi esclusivamente alle concezioni del
diritto privato, si sono spesso trovati in qualche imbarazzo riguardo a
questo attributo della sovranità. Essi stentano a spiegaisi come e perchè
l'ente che ha facoltà di fare la legge, di modificarla e disfarla e *sottoposto*
alla legge. Per darsi ragione di questo fatto i filosofi hanno ricorso a
tante ipotesi, fra le quali la più divulgata è quella che lo stato a
sorto in base ad una convenzione, ad un “contratto”, ad un atto
giuridico tacito od espresso, ma ad ogni modo consentito da coloro che
fanno parte del consorzio sociale sul quale esso esercita la sua
sovranità. Prendendo a base il concetto che già si è adottato sullo stato
e dei suoi rapporti con la società non riesce difficile di risolvere
la difficoltà accennata. Già fin dal tempo dei filosofi e giureconsulti
romani si distinsero nello stato due personalità -- una di diritto PRIVATO, per
la quale esso potea contrarre obbligazioni come ogni altra persona
giuridica -- ed un'altra di diritto PUBBLICO che gli confere l'esercizio
dei poteri sovrani. L'esercizio di questi poteri produce la conseguenza che
lo Stato impone a tutti i cittadini degli obblighi, come ad esempio quello
dell'imposta e del servizio militare, senza offrire in cambio
alcun corrispettivo diretto. Senonchè è da osservare che nelle forme
di stato più perfezionato e sopratutto nello stato rappresentativo
moderno, quando si tratta d'imporre questi obblighi e di esercitare in genere
la funzione sovrana per eccellenza, che è quella di fare le leggi,
è necessario il consenso del capo dello stato e di tutte quelle forze
politiche che son rappresentate nei due rami del parlamento. Nel
momento nel quale, collettivamente e nelle forme volute, gl’elementi ai
quali è affidato il POTERE LEGISLATIVO esercitano questa funzione, essi
sono sovrani, cioè, SUPERIORI alla legge perchè la fanno e la
disfanno, in tutti gli altri momenti ed individualmente sono soggetti alla
sovranità, cioè all'impero della legge. A guardarci bene nello stato
moderno ciò non rappresenta una vera anomalia, perchè anche nell'esercizio
delle altre funzioni statuali gl’elementi che le disimpegnano agiscono,
sia individualmente che collegialmente, in nome dello stato e lo
rappresentano nei limiti delle loro attribuzioni. Mentre sono completamente
soggetti alla sovranità dello stato in qualunque *altra* manifestazione
della loro attività personale. Tanto i membri del POETER GIUDIZIARIO che
gl’agenti del POTERE ESECUTIVO si trovano infatti nelle condizioni
accennate, colla differenza però che, quando esorbitano dalla
loro funzione ed anche nell'esercizio della loro funzione, è sempre
possibile di esercitare sopra di essi un controllo che riesce malagevole,
se non impossibile, di fronte al potere legislativo. Gaetano Mosca. Mosca.
Keywords: implicatura, mafia. Stato liberale, stato sindacale, regime
parlamentare, partito e sindacato. Refs.:
H. P. Grice: “Mosca’s liberalism;” Luigi
Speranza, "Grice e Mosca," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.
Grice e
Motta: l’implicatura conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vercelli).
Filosofo italiano. Grice: “If Mill’s
claim to fame is to some his examination of Mill, Motta’s claim to fame is his
examination of Rosmini!” -- Il conte Emiliano Avogadro della Motta. Nacque dal
conte Ignazio della Motta e da Ifigenia Avogadro di Casanova, entrambi
appartenenti a nobili famiglie di vassalli e visconti, i cui antenati risalgono
a poco oltre il mille. Tra gli Avogadro vi fu anche Amedeo, inventore della
legge sui fluidi. Frequenta con profitto gli studi e si laureò in utroque iure,
ma proseguì lo studio in diverse aree della teologia e della filosofia, trasformando
le dimore familiari in piccole accademie dove giuristi, filosofi, studiosi di
diritto canonico e vescovi si riunivano, per discutere vari argomenti ed
approfondire la filosofia moderna e i diversi aspetti del nascente socialismo.
Ricevette l'incarico, che già fu del padre, di riformatore degli studi del
Vercellese e in un'epoca in cui si guardava ancora con diffidenza
all'istruzione delle classi popolari, egli visitava ciclicamente le scuole
d'ogni ordine, scegliendone accuratamente gli insegnanti, convinto che
l'istruzione e l'educazione fossero un diritto di tutti e dovessero procedere
simultaneamente. Assunse la carica di Consigliere di Formigliana e
continuò a dedicarsi allo sviluppo culturale della natia Vercelli, ove fondò la
Società di Storia Patria, per incrementare gli studi sul glorioso passato della
città. Divenne membro del Consiglio Generale del Debito Pubblico e più tardi
sindaco di Collobiano e “Consigliere di Sua Maestà per il pubblico
insegnamento” La sua notorietà varcò i confini del Piemonte, allorché ricevette
l'eccezionale invito di partecipazione alla fase preparatoria della definizione
del dogma dell'Immacolata e le sue riflessioni ebbero un seguito fra alcuni
importanti gesuiti, come il direttore de La Civiltà Cattolica, che fece dono a Pio
IX del Saggio intorno al socialismo. Azeglio, richiamandosi a M., espresse la
propria preferenza per una condanna esplicita di tali errori, da includere
nella bolla di definizione del dogma, ma l'autore sollecitò apertamente la
distinzione di due argomenti (definizione del dogma e condanna degli errori)
dalla portata tanto diversa e lo stesso Pio IX incaricò la Commissione, che
aveva già lavorato sulla definizione del dogma, di esaminare gli errori moderni
e di preparare il materiale necessario per la bolla e chiese al cardinale
Fornari di invitare formalmente alcuni laici a collaborare. Avogadro fu l'unico
laico italiano ad essere interpellato e inviò a Roma una risposta singolare e
ricca di argomentazioni. Ben presto la Commissione incaricata abbandonò la
trattazione univoca dei due argomenti e la solenne definizione su Maria sarà
fatta da Pio IX, mentre l'esame degli errori si trascinerà per altri dieci
anni, mentre prevaleva in ambito ecclesiastico l'idea di una severa
condanna. Attività parlamentare Diventò membro attivo nella vita
politica, quale deputato eletto nel collegio di Avigliana e operò nelle file
dello stesso schieramento politico della Destra. La proposta avanzata in
Parlamento di ridurre il numero delle feste, indusse Avogadro a scrivere un
apposito opuscolo, per difendere la dignità dell'uomo che, in quanto
essere intelligente e creativo, «senza tempo libero non vive da uomo, e mal lo
conoscono gli economisti che altro non sanno procacciargli se non “lavoro e
pane”». In Parlamento prendeva spesso la parola contro il progetto di legge che
prevedeva l'obbligo del servizio militare e criticò la cessione di Nizza e
Savoia alla Francia, smascherando le reali intenzioni che sull'Italia nutriva
l'ambiguo Napoleone III. Riceve la decorazione della Croce di Ufficiale
dei Santi Maurizio e Lazzaro e continuò a scrivere, oltre a collaborare con
l'Armonia, l'Unità cattolica, l'Apologista, il Conservatore, rivista
quest'ultima stampata a Bologna e di cui è ritenuto uno dei fondatori e
collaboratori. Muore in Torino”, come annotano diversi giornali e riviste, non
ultima La Civiltà Cattolica, che gli dedicò un sentito necrologio. Saggi:
“Saggio intorno al Socialismo e alle dottrine e tendenze socialistiche” (Torino,
Zecchi); -- partito socialista italiano
-- “Sul valore scientifico e sulle pratiche conseguenze del sistema filosofico
di Serbati (Napoli, Societa Editrice Fr. Giannini); “Teorica dell'istituzione
del matrimonio e della guerra moltiforme cui soggiace, M. già Riformatore delle
R. Scuole provinciali degli Stati Sardi, a spese della Societa Editrice
Speirani e Tortone, Teorica dell'istituzione del matrimonio Parte II che tratta
della guerra moltiforme cui soggiace, per M., già deputato al Parlamento
Subalpino, Torino, Speirani e Teorica dell'istituzione del matrimonio e della
guerra a cui soggiace, -- che tratta delle difese e dei rimedi, con una
Appendice intorno alla ricerca del principio teorico morale generatore degli
uffizi e dei doveri coniugali,” Torino, Speirani e Tortone, M. deputato al
Parlamento Nazionale, Torino, Tipografia Speirani e Tortone, “Teorica
dell'istituzione del matrimonio e della guerra a cui soggiace, Parte Documenti
per M. già deputato al parlamento nazionale (Torino, Speirani); “Gesù Cristo
nel secolo XIX, Studi religiosi e sociali, Modena, Tipografia dell'Immacolata
Concezione, “La filosofia di Serbati” (Napoli,
Giannini); “La festa di S. Michele e il mese di ottobre agli angeli santi,
Torino, Marietti, Il mese di novembre dedicato a suffragio dei morti, Torino,
Marietti); “Le colonne di S. Chiesa. Omaggi a S. Giovanni Battista e ai Santi
Apostoli nel mese di giugno e novena per la festa dei Santi Principi Pietro e
Paolo, Torino, Marietti); “Il mese di dicembre in adorazione al Verbo Incarnato
Gesu nascente e ad onore di Maria Madre SS.ma, Torino, Marietti); “Opuscoli di
carattere storico-giuridico; Rivista retrospettiva di un fatto seguito in
Vercelli con osservazioni al diritto legale di libera censura, Vercelli, De
Gaudenzi, Delle feste sacre e loro variazioni nel Regno sub-alpino, Torino,
Marietti); “Quistioni di diritto intorno alle istituzioni religiose e alle loro
persone e proprietà, in occasione della Proposta di Legge fatta al Parlamento
torinese per la soppressione di alcune corporazioni, Torino, Marietti, Cenni
sulla Congregazione degl’oblati dei SS. Eusebio e Carlo eretta nella Basilica
di S. Andrea in Vercelli e sulla proposta sua soppressione. Per un elettore
Vercellese, Torino, Marietti); “Parole di conciliazione sulla questione della
circolare di S. E. Arcivescovo di Torino); “Del diritto di petizione e delle
petizioni pel ritorno di S. E. l'Arcivescovo di Torino); “Lo statuto condanna
la Legge Siccardi, Torino, Fontana, Erroneità e pericoli di alcune teorie ed ipotesi
invocate a sostegno della proposta di Legge di soppressione di vari
stabilimenti religiosi” (Torino, Speirani e Tortone); “Alcuni schiarimenti
intorno alla natura della Proprietà Ecclesiastica allo stato di povertà
religiosa, ed alle quistioni relative ai diritti e ai mezzi temporali di
sussistenza della Chiesa. Con una Appendice intorno alla legalità nell'esecuzione
della legge sulle Corporazioni religiose” (Torino, Speirani); “Considerazioni
sugli affari dell'Italia e del Papa” (Torino, Speirani); “Una quistione
preliminare al Parlamento Torinese” (Torino, Speirani); “Il progetto di
revisione del Codice Civile Albertino e il matrimonio civile in Italia, Torino,
Speirani); La Rivoluzione e il Ministero Torinese in faccia al Papa ed
all'Episcopato Italiano. Riflessioni retrospettive e prospettive” (Torino,
Speirani); L'Armonia, Civiltà Cattolica, Rivista retrospettiva sopra la
discussione delle leggi Siccardi, Unità Cattolica, Angelo Ballestreri,
segretario della Famiglia, presso l'Archivio Storico di Torino. Enciclopedia
storico-nobiliare italiana, promossa e diretta dal marchese Vittorio Spreti, Milano,
Avogadro di Vigliano F., Pagine di storia Vercellese e Biellese, in Antologia,
M. Cassetti, Vercelli, Avogadro di Vigliano F., Antiche vicende di alcuni feudi
Biellesi degl’Avogadro di San Giorgio Monferrato (e poi Conti di Collobiano e
di Motta Alciata), dalla Illustrazione biellese, XIX, Biella, Corboli G., Per
le nozze del Conte Federico Sclopis di Salerano e della Contessa Isabella Avogadro,
Cremona, Feraboli, De Gregory G., Historia della Vercellese letteratura ed
arti, parte IV, Torino, Di Crollallanza G. B., Dizionario storico-blasonico
delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, I, Sala Bolognese, Dionisotti C., Notizie
biografiche dei vercellesi illustri, Biella, Amos, Manno A., Il patriziato
Subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche
desunte da documenti, I, Firenze, I vescovi di Italia. Il Piemonte, Savio F.,
Torino, Bocca, Bonvegna G., Filosofia sociale e critica dello Stato moderno nel
pensiero di un legittimista italiano: Emiliano Avogadro della Motta in Annali
Italiani. Rivista di studi storici, Bonvegna G., Il rapporto tra fede e ragione
in Avogadro della Motta, in Sensus Communis,
Valentino V., Un difensore rigoroso dei diritti della Chiesa e del Papa,
in Divinitas, rivista di ricerca e di critica teologica, Volumi e tesi
sull'autore Bonvegna, M. Il pensiero filosofico-politico e la critica al
socialismo, Tesi, Filosofia. Università Cattolica, Milano, De Gaudenzi L.,
Ultima parola su di una pretesa ritrattazione di M., Mortara, Cortellezzi,
De Gaudenzi L., Un'asserzione di Paoli D.I.D.C. tolta ad esame, Mortara,
Cortellezzi, De Gaudenzi, Istruzione del
vescovo di Vigevano al Ven.do Suo Clero sul Matrimonio, Vigevano, Spargella,
Manacorda G., Storiografia e socialismo, Padova, Martire G., II, Roma, Omodeo,
L'opera politica di Cavour, Firenze, Pirri, Carteggi delL. Taparelli
d'Azeglio, XIV di Biblioteca di Storia
Italiana Recente, Torino, La scienza e la fede,
XXIV, Napoli Spadolini, L'opposizione cattolica da porta Pia, Firenze, Storia
del Parlamento Italiano, N. Rodolico, Palermo
Traniello F., Cattolicesimo conciliarista. Religione e cultura nella tradizione
Rosminiana Lombardo-Piemontese, Milano, Valentino, Il matrimonio e la vita
coniugale, Facoltà dell'Italia Centrale, Valentino, Un'introduzione alla vita e
alle opere, Vercelli, Saviolo, Valentino V., Un laico tra i teologi, Vercelli,
Valentino, Il pensiero di Gioberti, Genova, Verucci, Dizionario Biografico
Italiano, Istituto dell'Enciclopedia, Roma. Guido Verucci, Emiliano Avogadro
della Motta, in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Opere di Emiliano Avogadro della Motta, Emiliano Della Motta
(Avogadro), su storia.camera, Camera dei deputati. DEL SOCIALISMO IN GENERALE. Origini
del socialismo nel razionalismo protestantico. Le prime eresie tentarono
soffocare la fede e la Chiesa; le seconde, viziar l'una, e sostituirsiall'altra.
Lutero e Calvinodistrussero il principio della fede, dell’amorale, dellasocietà.
Idolli germani cercarono rimedio nella scienza e nell'ecclettismo; la loro
filosofia, il loro diritto pubblico.Il protestantismo in Francia fa più audace e
ribelle.Combatiuto come selta religiosa produsse i liberi pensatori, che, a
titolo di scuola, ne dilatarono il razionalismo empio. Previsioni di Bossuet. Il
genio di Voltairee de'suoi discepoli fu essenzialmente anti-cristiano,
Paradossi del Gioberti. La guerra del filosofismo dcontro la fede e la scienza e
più radicale di quella del protestantesimo. Suo spirito non di separatismo ,ma
dicosmopolismo. Da secoli la preponderanza nell'ordine delle idee e devoluta in
Europa alla Germania e alla Francia, colà bisogna cercare le fonti dell'errar.
Diverso carattere delle due nazioni. Nel razionalismo dell'una, nell'incredulità
dell'altra, stette deposto il primo articolo della carta socialistica. Non più
autorild Progressi del razionalismo e dell'incredulità nell'idealismo. Kant, il
suo antidommatismo; I suoi seguaci. Non vollero dirsi atei, loro panteismo
spurio peggiore dell'ateismo. Non vollero comparir scettici ne materialisti, ma
sovvertirono la scienza e la morale con l'i dealismo apriori. Hegel, el'idealismo
trascendentale e pratico. I teologi protestanti lo seguirono. Il
protestantesimo avea sfigurato fin da principio l'idea di un “Cristo”; a cosa
la ridusse Strauss. Apparente regresso in Francia dal materialismo e dalle
teorie rivoluzionarie. Principio di tolleranza mal applicato in tutte le
ristorazioni; indi l'indifferenti. Prefazione Saggio. L'incredulismo e il
filosofismo francese e nell'indifferentismo. I tedeschi pensatori seguirono
l'esempio, non la frivolezza dei volteriani. Smo religio sue políticone
gli ordini pubblici, l'eclettismo nella scienza. Gl’eclettici vollero mitigare l'idealismo
germanico; vollero parer rispettosi al cristianesimo, ma lo condannarono come
decrepito. La loro religione filosofica. Non ebbero pensatori. Lamennais, e i
razionalisti cattolici. L'idealismo o l'indifferentismo sono morbi quasi
insanabili. Questi compongono il secondo articolo del simbolo socialistico: la
fede all'Idea propria. Ne sorge l'amore all'indeterminato futuro, l'odio a ciò cheesiste.
Giudizio di Staudenmayer. L'uomo nello stato suo presente non comporta nè
dommatismo assoluto, nè razionalismo assoluto. La natura e il cristianesimo lo educano
colla sede e colla ragione, somministrandogli un'ontologia reale e certa Alcune
riflessioni sulle cose anzi esposte. Il protestantismo, il filosofismo francese,
e il tedesco, sono professioni d'ignoranza. Pongono fuori delle condizioni di
possibilità la religione e la scienza, e abbattono la ragione individuale con
un'assurda emancipazione. Tolgono lo scopo della ricerca della verità. La fede
per contro è scienza iniziale, anche negl’ordini naturali promettitrice. Gli
spiriti penetranti previdero da gran tempo il socialismo moderno; i più furi
bondi ne proclamarono e praticarono le massime. La religione e la società reale
erano già condannate in teoria dall'Idea dei sofisti, cui non possono
corrispondere in fatto. La Chiesa ne è la salute, perchè pre dica la verità positiva,
e muta le ipotesi de'sofisti. Questi falsificarono anche I principii positivi,
che vollero conservare per ricostrurre la società; tolsero la possibilità
dell'amore; sfigurarono le idee di libertà, di eguaglianza, di fratellanza, che
portate all'assoluto si escludono mutuamente. Il socialisino vuole ricostituire
con queste l'uman genere. Gli uomini di distruzione, e quelli dell'utopia, sorti
a slagellare l'umanità colle sperienze d'applicazione e tresta di d'esistenza delle
sette. Siappoggianoa un fiero dommatismo. Non inventano dottrine, ma scelgonoe volgarizzano
le più acconce ai loro fini. Sono la gerarchia, il sacerdozio, l'esercito della
filosofia anticristiana e antisociale, che senza di quelle non sarebbe
largamente perniciosa. Ora non sono più mere associazioni, ma trasformandosi
divennero società e governi sotterranei. Una buona storia delle sette sarebbe
un gran beneficio; come vorrebbe essere fatta. La miglior difesa contro di quelle
è farle conoscere. I sommi Pontefici lo vennero facendo, furono mal secondati. Le
sette massoniche. Veisaupte l'illuminismo. Le sette moderne teoriche ed
esecutive. La Giovine Europa e Mazzini. Loro tre mezzi d'influenza, le loro arti,
le loro forze. Non aspirano che alla propria supremazia e tirannia solto nome
di repubblica sociale. Gioberti le descrisse con somma perizia mutando
l'applicazione. Avvenire delle sette. Non sono esse sole il socialismo, ma ne sono
la virtù plastica e direttrice. Carattere e spirito del socialismo. È l'
eterodossia. Essa porta all'apice, all'universalità, a l l'atto, le empietà ed aberrazioni
de'secoli precedenti. Le sue idee sono Le sette secrete demagogiche. Esse
aggiunsero alle teorie un organismo artilizioso ed attivo. Tre aspetti, però terrene
e ristrette. È un cattolicismo umanoe diabolico, che vuol essere più universale
di quello di Cristo. Il suo Messianismo. Le sue stolte promesse e stolte accuse
contro la società. Professa odio a Dio e a Cristo, odio all'uomo, odio alla
giustizia. Sovverte il naturale eil supernaturale. L'idea socialistica non è intiera
nella mente diverün10 mo, il solo spirito del male ne può abbracciare e volere il
tutto. Nelle menti umane prende diversi gradi e forme. Coldomma dell'idea il socialismo
raccoglie a sè tutti gli spiriti erranti e passionati; disordina i difensori della
verità; esi infiltra nelle menti. Potenza seduttrice del l'Idea e delle Idee. Semisocialismo.
Unità di pensiero, di scopo, di forze morali e materiali nel socialismo, collimanti
contro il cristianesimo. Fa predetto dai santi Apostoli. Lamorte confuta il domma
e le speranze del socialismo, erende calamito se le sue promesse. Il comunismo.
È doppio; altro filosofico e in apparenza economico, altro apertamente Jadro e sensuale.
Il solo principio della comunanza non valea fondare veruna società che basti a
sè stessa. Esseni; comunanze monastiche; sistemi utopistici. Socialismo e
comunismo sono due estremi della stessa idea.La Francia è travagliata di preferenza
dal secondo, la Germania dal primo, il perchè. Il principio Cristiano non può ameno
di somministrare la soluzione di tutti i loro problemi sociali.Sentenza di
Jouffroy DEGLI SCOMPARTIMENTI PRECIPUI DEL SOCIALISMO . Delle scuole e dei sistemi
sociali più insigni, e in particalare dicoli. Hegel le aprì un orizzonte vasto
e pratico colla sua teoria sulla storia, e colle sue viste sul mondo germanico.
Con queste infiamm di pietistic protestanti e i politici ambiziosi, specialmentein
Prussia.Trovo eco fra novatorianche cattolici e israeliti. Le sette demagogiche
germaniche s'impadronirono dell'idea hegeliana di nazionalità, ostile alla
religione e alla civiltà romana. I sofisti la parodiarono altrove, adadulare le
proprie nazioni CATO II. Sansimonismo, umanitarismo. Il misticismo di Sansimone
s'indirizza alle passioni sensuali nobilitando le, alle ambizioni ultra-democratiche
esaltando le capacità individuali. I suoi discepoli l'organizzarono amodo di
religione panteistica umanitaria. Molti eclettici dell'università francese ne
adottarono I principii ideali, compiendo con questi la metafisica hegeliana. Leroux
e l'umanitarismo universale; gli umanitarii ricusano le idee di patria e di nazionalità.
Il principio saņsimoniano penetra largamente in Francia,e per ogni dove; esso
improntò al socialismo l'aria di religione lasciva e cosmopolitica.
L'emancipazione della carne e conseguenza logica del l'emancipazione del pensiero
dell'hegelianesimo e neo-egelianesimo. Owen e Fourrier vestirono l'idea
socialistica e comunistica di sistemi ri . Del svoialismo anarchico e
trascendentalmente empio . Prudhon, discepolo intelligente e sfacciato dei socialisti
tedeschi, sveld le vere esigenze del socialismo. Professa esplicitamente l'odio
a Dio, l'abolizione di ogni diritto, l'anarchia; cosa intenda con tal parola. Flagella
i socialisti e comunisti, ma è peggiore di loro. Le sue idee fanno impressione,
perchè sono l'espressione la più semplice della idea d'indipendenza assoluta. Lecoutrier,
la sua cosmosofia materialistica, prosessa il culto di sè stesso. Condanna la
filosofia e la civilizzazione. Il materialismo e l'anarchia spaventano in
Francia; ostinazione di certi razionalisti, che non dimenonon ne vogliono vedere
il rimedio additato già da Napoleone. Del socialismo operativo o militante, e
di quello latente. Il socialismo pensante sta nelle scuole panteistiche
incredule, l'operativo nelle sette e fazioni rivoluzionarie. I suoi fasti
recenti. Lo scopo principale è distrurre il caltolicismo. Perciò cerca di
rivoluzionare moral mente e materialmentela Chiesa. Adocchia l'Italia che ne tiene
il centro. Mazzini, la sua filosofia panteistica, le sue idee di nazionalità e
di primato italico parodia del primato germanico di Hegel. Sue contraddizioni.
È lo strumento del socialismo universale, che non vuol altro in Italia che non
più Papi. Per progredire il socialismo vesti in Italia tutte le forme e le ipocrisie.
Cerca di alluarvi il comunismo politico. Il socialismo latente. L'Inghilterra
ne possiede grandi elementi. Cenni sull'utopia del Moro.La Russia. Nissuna
rivoluzione eguaglia quella voluta dal socialismo. Che cosa è una rivoluzione.
Diverse specie di rivoluzioni parziali, che ora lutte s'informano
dellospiritodelsocialismo.Sono ingiuste,ruinose,infrenabili nei confini voluti
dai moderati, dai dottrinarii, dai liberali. Cos'è la riforma vera.Coloro non
sono riformatori,ma rivoluzionarji. Possono chiamarsi semisocialisti; lo sono
altri in religione, allri in filosofia, altri in politica. Fanno penetrare a tratti
a tratti l'idea, ed eseguiscono per parti l'opera socialistica. Sono
incoerenti. Giudizi di Joutfroye di Prudhon sui rivoluzionari al minuto.
Giudizi di Quinet sui cattolici democratici predicatori d'indipendenza. Non
sorge dai loro sistemi la vera democrazia, ma l'anarchia prudoniana in tutte le
relazioni degl’individui, e delle società fra loro. L'indipendenza assoluta non
esiste al mondo. Epilogo. Giudizio di Sterne sul principio rivoluzionario
socialistico, eminentemente anticristiano. Il termine della rivoluzione
sociale. La rivoluzione universale sociale non si compirà mai appieno. La
rivoluzione religiosa, come è promossa dal socialismo,è nata a far luogo addi
questa; e del semi-socialismo. Della rivoluzione universale e sociale; scompartimenti
precipui Del panslavismo demagogico, e del ruteno. Un detto napoleonico inverosimile,
o malinteso. Il panslavismo. È doppio. L'Idea russa; la suavivacità per forze
morali e materiali. Le sue arti. È ostile all'idea Latina e cattolica. È
religiosa e politica, panslavi sticae panscismatica. L'Italia ne èminacciata doppiamente.
Calamità europea, che si è la dissoluzione dellaGermania nell'anarchia religiosa
e politica. L'idea russa, ora antirazionalistica e antidemagogica, può col
tempo mutare processo ed allearsi religiosamente al protestantesimo, politicamentealla
demagogia europea. La Chiesa non teme, ma aspeita negli ultimi tempi un grande
assalto dai popoli di quelle regioni, e dalla apostasia dei propria figli. Quel
panslavismo sembra destinato a chiudere l'era del socialismo nostrale. laci, esuberanti,
indefinite. La verità e l'autorità hanno l'adesione della maggioranza, ma sono malconosciute.
Il clerocattolico fa quella vagliatura per ufficio, ma fra popoli colti la scienza
e la dimostrazione è necessaria. Parte dei laici. La filosofia dee essere
ricondotta al suo stato normale, da cui si di parti negando o trascurando l’ontologia
cristiana e la scienza della socieià universale degli spiriti. In Italia
bisogna far conoscere le produzioni della scienza straniera, dei paesi cioè in
cui la controversiaè vivace. Bisogna svelare il fondo dei sistemi socialistici;
formolare con precision i problemi; porre in lume i principii assoluti; questi non
impediscono le temperazioni pratiche. Si fa alcontrario. Esempio nella
quistione capitalissima delle relazioni fra chiesa e Stato. Questa in assoluto non
è quistione di libertà, ma di autorità. Il principio di libertà non basta a
spiegare l'ordine morale.Teorie di Rosmini nel suo saggio Della Costituzione.
Il problema religioso vi è mal formolato. Il progetto di costituzione
rosminiana non guarentirebbe alla chiesa nemmeno libertà; include
l'indifferentismo politico; toglie all'ordine civile la base morale. Necessità
della professione religiosa dello stato. Il problema politico intorno al
diritto e alla giustizia sociale vi è del pari inesattamente formolato. Nel
criticare le costituzioni galliche Rosmini non netacci ai vizii principali. Quale
sia laquistione politica odierna; come sia formolata dai socialisti, come da
Lainennais. Le emende proposte dal Rosmini alle costituzioni da lui criticate
sono vane, o insufficienti a farargine al socialismo e comunismo.È inutile
adulare e contrastare a metà le idee di moda, se non si risolve il tema del
socialismo. Esso nega Dio e le due leggi provvidenziali per cui l'uo mo è
governato dall'uomo, e il diritto sulle cose materiali è diviso fra gl’uomini. I
dottrinarii italiani e francesi si contentano di massime generiche, di idee
dimezzate, scoza analisi e applicazione. Gli americo una nuova foggia di demonolatria;
la rivoluziones cientificaproducela perdita dell'unità di senso morale; la
civile,un'anarchia,e tirannia in curabile. La rivoluzione universale,se potesse
compiersi,distrurrebbe inultimol'umangenere.Come ilsocialismo l'odii dio dio satanico.
Il suo termine logico sarebbe la distruzione dell'ordine di natura e di so
prannatura. Il mondo non saràmai tutto socialista come fu tutto pagano, perchè la
chiesa ha delle promesse infallibili; ma le nazioni civili non ne hanno, e camminano
indolenti verso grandi ruine. Un altro socialism che si dispone a trasformare il
mondo europeo. Timori, speranze, rimedii contro l'invasione delle dottrine
socialistiche. Vuolsi una buona vagliatura delle idee, dei desiderii, delle
speranze fal mani italiani, e gl’anglomani francesi, non conoscono i tipi
stranieri che vogliono imitare. I cattolici idealisti e razionalisti non
comprendono che guastano e snaturano il cristianesimo colle misture
eterodosse,a vece di farne l'apologia. Quali sieno dunque le tre vagliature,or
peces sarie, delle dottrine e delle voglie del secolo. Ancora alcune
osservazioni sul modo di trattare ora le controversie. Partito violento. La rivoluzione
materiale è sopita, ma l'ideale si dilala. L'Italia odierna, e la Germania di tresecoli
fa. Dollinger. È quindiur gente il bisogno di grandi manisestazioni della verità,
per mezzo della fede e dellaragione. I governi, ora materialmente forti, sono
moralmente deboli; l'epoca presente di razionalismo e di opinioni indeterminate
piega alt ermine. Il socialismo vuol dommi e fatti, vuolsi contrap porgli la
scienza della fede cristiana, continuando il lavoro dei più grandi genii del
cristianesimo. Che cosa è una filosofia cristiana. La polemica dee essere
trattata con franchezza; tenendo conto di tutti i principii veri e di tutti i
fatti; distinguendo le ricerche di ciò che è giu sto, ediciò che è prudente. Non
dee contentarsidi debellare gl’errori singoli, ma metter in luce la storia fillosofica,
e il sistema universale dell'eterodossia .Ilpanteismo è lasostanza
dell'eterodossia moderna. Considerazioni sul panteismo, suls uo lungo regno, sulle
sue fasi.Non sarà l'ultimo errore.Voto umile e riservato per un oracolo della
Santa Sede, e una condanna dottrinale e solenne del socialismo e comunismo.
Motivi. Insufficienze e pericoli delle discussioni scientifiche. Il socialismo,
come sistema compiuto, ha del nuovo; spesso sembra sfuggire agli anatemi degli
errori antichi che rinnova. Fra icattolici stessi sinceri visono dubbiezze e
illusioni. La gloria del nome di Cristo è avvilita. L'idea di Cristo, e quindi quella
della Chiesa, sono meno mate in molte menti.Quella èl'antidoto a tuttol'errare moderno
.Lapedagogia pende ad insinuare ilnaturalism o e ilsensualismo. La Santa Sede spesso
unì alle decisioni, e condanne dommatiche contro gli errori, le lezioni
razionali a illustrar lementi dei fedeli. Esempi. Così bramerebbesi ora, perchè
da molti il socialismo e comunismo non sono conosciuti quali sono. Condannati, rimarrebbero
nolati d'infamia agli occhi del mondo cristiano, e resi moralmente impotenti. È
quel tutto un arcano di sata nasso, alla sola Santa Sede apparterrà svelarlo e
conquiderlo; a lei però sola il giudicare della opportunità dei mezzi. Intanto,
colle armi già pronte della fede e dellascienza, vuolsi da ognuno colle sue forze
combattere la rivoluzione ideale. Teologia e filosofia, rivelazione e ragione,
vogliono andar congiunte, distinte, ma non parallele. Un passo del Mancini. Due
filosofismi, due rivoluzioni, che neminaccia no una più terribile. Presunzione dei
moderni; giudizi dei posteri. Tutti i partiti scontenti del presentemirano all'avvenire;
I più sci occhi sono gli aspettanti e ineuirali. Il principio cristiano è
incarnato nella Chiesa, essa non fa quistioni di clericocrazia, quando parla
alle genti con autorità. L'Italia e isuoiri formatori sispecchino nella Germania
di tre secoli fa. La Chie sa benefica e invitta in tutti i secoli. I fedeli
hanno da incoraggirsi; fra l'idea socialistica e la cristiana sanno quale abbia
la verità,e quale ot Alcuni documenti intorno alle scriesegrere demagogiche. Emiliano
Avogadro, conte Della Motta. Il conte Emiliano Avogadro. Emiliano Avogadro
Collobiano e Della Motta. Il Conte Emiliano Avogadro della Motta. Conte
Emiliino Avogadro della Motta. Avogadro di Vigliano, Motta. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Motta” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Motterlini: l’implicatura
conversazionale e la critica della ragione economica – il principio d’economia
dello sforzo razionale – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Grice:
“I like Motterlini – he has written, echoing Kant, a critique of economic
reason, which Stalnaker should read before saying I’m Kantian rather than Futilitarian!” Specializzato in filosofia della scienza,
economia comportamentale e neuro-economia, e noto per i suoi saggi in ambito
psico-economico su processi decisionali, emozioni e razionalità umana e per le
sue ricerche in ambito epistemologico sulla razionalità della scienza e il metodo
scientifico. Insegna a Milanodove. Consigliere per le Scienze Sociali e
Comportamentali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si laurea a
Milano, dove porta a termine il proprio dottorato in filosofia della scienza. Ricercatore
di economia politica e professore associato di filosofia della scienza presso
l'Trento; Visiting Associate Professor al Department of Social and Decision
Sciences della Carnegie Mellon di Pittsburgh, Visiting Research Scholar al
Department of Psychology della UCLA. Professore di filosofia della scienza
presso l'Università Vita-Salute San Raffaele. Tra gli altri incarichi è
collaboratore de Il Corriere Economia, Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore,
per cui ha curato per anni il blog Controvento. È stato consulente scientifico
di Milan Lab, A.C. Milan, fondatore e direttore di Anima FinLab, di Anima Sgr,
centro di ricerca di finanza comportamentale e Scientific advisor di
MarketPsychData, Ls Angeles. È direttore del CRESA (Centro di ricerca in
epistemologia sperimentale e applicata), da lui fondato a Milano presso la
facoltà di filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele. I progetti di
ricerca del centro si concentrano su vari aspetti della cognizione umana, dal
linguaggio al rapporto tra mente e cervello, dall'economia comportamentale alle
neuroscienze cognitive della decisione, con particolare attenzione all'indagine
sperimentale multidisciplinare e alle sue ricadute pratiche e applicative (per
esempio nell'ambito del policy making e dell'evidence-based policy). A
inizio, ha avviato il progetto di finanza comportamentale per Schroder Italia,
dal quale è nato Investimente, un test psicofinanziario al servizio di
risparmiatori, promotori finanziari e private banker, per raccogliere e quindi
analizzare i dati riguardanti le decisioni di investimento e i bias cognitivi
nell'ambito della gestione del risparmio. Attualmente è direttore
dell'E.ON Customer Behavior Lab e Chief Behavior Officer di E.ON Italia; stesso
incarico che ricopre per il Gruppo Ospedaliero San Donato. Analizza la proposta
falsificazionista, rivelando le difficoltà in cui si imbatte il progetto de-marcazionista
e anti-induttivista. Affrontano quindi il modo in cui si ha preteso superare
alcune di queste difficoltà, e insieme raccogliere la sfida di Duhem circa il
carattere olistico del controllo empirico, tenendo conto delle immagini che il
filosofo ha della sua stessa pratica e riferendosi a particolari casi storici
come termine di confronto. Sull'orlo della scienza e in edizione ampliata. Nel
suo “Filosofia e storia” avanza una interpretazione del progetto razionalista come
il prodotto di una peculiare combinazione delle idee di Platone e Hegel. Ciò è
motivo della straordinaria fecondità di Platone, ma anche di una inesauribile
tensione al suo interno. Una tensione che viene illustrata affrontando la relazione
tra filosofia e storia della filosofia (unita longitudinale) in riferimento
alla questione della valutazione di una data metodologia in base alle
'ricostruzioni razionali' o construzioni logica a cui essa conduce. Nell'idea
che la metodologia filosofica va confrontate con la storia della filosofia è
contenuto il germe di una logica della scoperta in cui i canoni non siano
fissati una volta per sempre, ma mutano nel tempo, anche se con ritmi non
necessariamente uguali a quelli delle teorie filosofiche. Si focalizza su
questioni di metodologia dell'economia da una prospettiva interdisciplinare che
combina riflessione epistemologica, scienza cognitiva, ed economia sperimentale
con aspetti più tecnici di teoria della scelta e della decisione individuale in
condizioni d'incertezza. Le ricerche di questo periodo analizzano criticamente
lo status delle assunzioni della teoria della scelta razionale, valutando
l'impatto delle violazioni comportamentali sistematiche alle restrizioni
assiomatiche imposte dai modelli normativi di razionalità. Avanzano quindi
ragioni epistemologiche per la composizione della frattura economia e
psicologia cognitiva in ambito della teoria della decisione; e suggeriscono di
guardare ai recenti risultati dell'economia cognitiva in prospettiva di una
nuova sintesi 'quasi-razionale' in cui i modelli neoclassici, integrati da
teorie psicologiche che tengano conto dei limiti cognitivi dei soggetti
decisionali, rafforzano le previsioni del comportamento economico degli esseri
umani. Neuroeconomia e evidence-based policy Le sue ricerche indagano le
basi neurobiologiche della razionalità umana attraverso lo studio dei correlati
neurali dei processi decisionali in contesti economico-finanziari, con
particolare attenzione al ruolo svolto dalle emozioni, dal rimpianto, e
dall'apprendimento sociale. Parallelamente progetta ed esperimenta i modi
in cui i risultati dell'economia comportamentale e della
neuroeconomia possono informare politiche pubbliche più efficaci e basate
sull'evidenza. Queste ricerche sono oggetto dei corsi di Filosofia della
scienza e di Economia cognitiva e neuroeconomia che insegna all'università San
Raffaele, e hanno altresì trovato diffusione attraverso numerosi articoli
divulgativi e due libri, Economia emotiva e Trappole mentali. Il suo ultimo
libro è Psicoeconomia di Charlie Brown. Strategia per una società più felice. Saggi:
“Sull'orlo della scienza,” – Grice: “Must say that ‘orlo’ is a genial word,
wish Popper knew it!” –Lakatos, Feyerabend: Pro e contro il metodo, Cortina,
Milano. Popper, Saggiatore-Flammarion,
Milano, Lakatos. Scienza, matematica e storia, Saggiatore, Milano, Decisioni
mediche. Un approccio cognitive,
Cortina, Milano. Critica della ragione economica. Tre saggi: McFadden,
Kahneman, Smith, Saggiatore, Milano, Economia cognitiva & sperimentale,
Bocconi Editore, Milano La dimensione cognitiva dell'errore in medicina,
Fondazione Smith Kline, Angeli, Milano
Economia emotiva (Emotional Economics), Rizzoli, Milano Trappole mentali,
Rizzoli, Milano Mente, Mercati, Decisioni. Introduzione all'economia cognitiva
e sperimentale, Egea, Milano Psico-economia
di Charlie Brown. Strategia per una società più felice, Rizzoli, Milano Alcuni
articoli scientifici, Lakatos between the Hegelian devil and the Popperian blue
sea. In Kampis, G., Kvasz, L., Stoeltzner, M. Considerazioni epistemologiche e
mitologiche sulla relazione tra psicologia ed economia, Sistemi intelligenti,
Il Mulino, Metodo e standard di valutazione in economia. Dall'apriorismo a
Friedman, Studi Economici, Milano. A fMRI Study, PlosONE', Vai in laboratorio e
capirai il mercato (con Francesco Guala) Prefazione a Vernon Smith, La
razionalità in economia. Tra teoria e analisi sperimentale, IBL, Milano.. Neuro-economia
e Teoria del prospetto, voci Enciclopedia dell'economia Garzanti, Milano. Investimente.
Test dell'investitore consapevole
Recensione di Hacking sulla The London Review of Books IlSole24Ore 22.5.//ilsole24ore. com/art/cultura/-05-18/motterlini-spinta-riforme--shtml?uuid=ADAaR2J
A Sito su matteo motterlini. CRESA, su cresa. I am strongly inclined to assent to a
principle which might be called a Principle of Economy of Rational Effort. Such
a principle would state that where there is a ratiocinative procedure for
arriving rationally at certain outcomes, a procedure which, because it is
ratiocinative, will involve an expenditure of time and energy, then if there is
a nonratiocinative, and so more economical procedure which is likely, for the
most part, to reach the same outcomes as the ratiocinative procedure, then
provided the stakes are not too high it will be rational to employ the cheaper
though somewhat less reliable non-ratiocinative procedure as a substitute for
ratiocination. I think this principle would meet with Genitorial approval, in
which case the Genitor would install it for use should opportunity arise. On
the assumption that it is cha~acteristic of reason to operate on pre-rational
states which reason confirms, revises, or even (sometimes) eradicates, such
opportunities will arise, provided the rational creatures can, as we can, be
trained to modify the relevant pre-rational states or their exercise, so that
without actual ratiocination the creatures 84 Paul Grice can
be more or less reliably led by those pre-rational states to the thoughts or
actions which reason would endorse were it invoked; with the result that the
creatures can do, for the most part, what reason requires without, in the
particular case, the voice of reason being heard. Motterlini. Keywords:
critica della ragione economica, principle of economy of rational effort, twice
in Grice – in Reply, etc. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Motterlini” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e
Musatti: l’implicatura conversazionale dell’erote collettivo – filosofia
fascista – filosofia del ventennio – Gruppo universario fascista – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Dolo). Filosofo italiano. Grice: “Musatti reminds me of Malcolm,
“Tonight I had a dream,”” – Grice: “Musatti has explored the implicatures of
‘who’s afraid of the big bad wolf?’, which comes strictly from Grimm – this is
a rhetorical question – and Grimm is implicating that nobody should!” --
Ccesare luigi eugenio musatti. Tra i primi che posero le basi della
psicoanalisi, in Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella
Villa Musatti a del nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la
villeggiatura. Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista
amico di G. Matteotti, e della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né
battezzato -- durante le persecuzioni razziali si procura un falso certificato
di battesimo dalla parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma -- e non
professa mai alcun credo religioso. Frequenta il liceo Foscarini di
Venezia, poi si iscrive dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il
corso di Ingegneria, e immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia,
dove si laurea in filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso
di Matematica della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di
Padova, ma non sostenne esame alcuno. A diciannove anni fu chiamato a Roma
per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a Torino, e mandato
al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a
Padova per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia Sperimentale c'era
Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama a insegnare a Padova
dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo divenne assistente
volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi si uccise con il
cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare, lasciando tutto nelle
mani di M. e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi
divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale
però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana
in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni
da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della
Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta M. rivelò che Benussi s'era suicidato, non
era morto a causa di un malore. Musatti divenne direttore del Laboratorio
di Psicologia dell'Padova. Porta in Italia la Psicologia della Forma con
importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in Italia la
psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di
psicoanalisi. Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi,
introdotta in Italia da Benussi, approdò alla psicoanalisi, sulla quale tenne
il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso a Padova. Divenne
allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della
psicoanalisi. Nell'Italia le teorie di Freud non erano state accolte bene né
dalle Università, né dalla Chiesa cattolica, a causa dell'ideologia culturale
gentiliana assunta dal fascismo. La Società psicoanalitica italiana venne
limitata anche dalle leggi razziali fasciste che colpirono i membri ebrei della
società. Benché non fosse ebreo (poiché figlio di madre cattolica), e
allontanato dall'insegnamento a Urbino e declassato ad insegnante di liceo. Nominato
professore di Filosofia al Liceo Parini di Milano. Si ritrova con L. Basso, Ferrazzutto e altri vecchi socialisti
con l'intento di creare un partito erede del Partito Socialista Italiano; ebbe
l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare
rapporti col Partito Comunista clandestino. Musatti lavorò anche durante la
guerra. Nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo dall'avvocato
Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin, che lo aiutò a trasferirsi a
Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno fondò un centro
di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore della Scuola
Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici specializzati.
Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul fronte
francese. Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima cattedra
di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà di Lettere
e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più florido
della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni. M. fu
il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del dopoguerra.
A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato da Einaudi.
Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del Centro
Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro
Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato
curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa
Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia La località a lui
dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di
Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due
volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche
consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la
pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti
civili. M. era ateo, come ebbe a dichiarare in più occasioni, l'ultima
delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di Sanremo. Muore nella
sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo una cerimonia laica
di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua salma e cremata a Lambrate. Le sue ceneri sono
tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di Brinzio, località
in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il suo archivio è
conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia Italiana
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il comune di Dolo ha
ribattezzato la sua località natale Casello 12 località M. e gli ha intitolato
il locale istituto professionale. Musatti e il suicidio di Benussi Anche
dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla mai
volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di
Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista M. confessa di sognare a volte che
in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo
interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute
tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di
confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia.
«Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio
subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il
commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore,
ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario,
perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono
prescritti!”». ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio M., medico pediatra,
uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome del bonno
materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica); ‘Eugenio’
e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti; cfr. Musatti
IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome allude alla
fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno, presidente della
Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per raggiungere più
agevolmente Venezia. Musatti IX-XIII. Archivio dell'Università degli Studi di
Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di Lettere e filosofia, Padova,
Carriere scolastiche della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali,
Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo,
redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni, Reatto, Schwartz, M. Sforza, Stufflesser,
Milano Per una storia del Centro
Milanese di Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di
Psicoanalisi Cesare Musatti, Milano Freud,
Opere (Torino, Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per M., la
Repubblica, è consultabile sul
dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia
italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio
Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni
di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze, Mia sorella gemella
la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, M. voce
dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il contributo italiano
alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco, Città di
Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di psicologia,
“Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e movimento” (Ferrari,
Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Gl’elementi
della psicologia della forma, Gruppo Universitario Fascista, Padova, Trattato
di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io individuale e Super io
collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni dell'esperienza e fondazione della
psicologia” (Universitaria, Firenze, Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e
incursioni nel mondo delle immagini (Boringhieri, Torino); Svevo e la
psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti personali Freud-Jung attraverso il
carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione accademica, Olschki, Firenze Nino
Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori Milano A
ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze); Hanno cancellato Livorno (Olschki,
Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi (Riuniti, Roma). Una famiglia
diversa ed un analista di campagna, Olschki, Firenze, Questa notte ho fatto un sogno, Riuniti, Roma,
Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e pazienti a
teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati Boringhieri,
Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori, Milano:
Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro, prefazione
di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare
Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Cesare
L. Musatti. Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario
fascista, il collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Musatti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Musonio: l’implicatura
conversazionale del Musonio di Gentile -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. (Bolsena) Esercita un forte
influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre dell’etrusca Volsini
(Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia di Nerone. Segue
Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a togliersi la vita quando
Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme
con Cornuto in occasione della congiura di Pisone e
confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la sua rinomanza attira
uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma da GALBA, negli
ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del Senato presso Antonio
Primo per perorare la causa della pace fra i suoi soldati, ma senza
successo.Quando Vespasiano assunse il potere, M. accusa davanti al Senato P.
Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel processo di Borea Sorano.
Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei filosofi da Roma (71), ma poi
lo esiliò per la seconda volta ; però Tito, che già lo aveva conosciuto,
lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In seguito mancano notizie su di
lui, ma da una lettera di Plinio il Giovane sembra che non fosse più in vita.
Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti, anzi sembra che si sia
servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale, però, rimangono frammenti
abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi apoftegmi conservati da
Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri apoftegmi e trattazioni
filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto nel suo insegnamento-È e
trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; esposizioni o lezioni
che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte più estesa dei frammenti.
È verosimile che provengano da uno scritto di quel Lucio che si è già ricordato
e che si deve ritenere la fonte più importante dello Stobeo. Un’altra è
Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione
da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone Memorabili di Musonio, ma non ne
restano tracce. È giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide.
Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di M, e il Pedagogo di
Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da uno
scritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte più antica. Della
forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari,
tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio
il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo
scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Plauto, Sorano e Minicio
Fundano. M. si avvicina ai cinici nell’assegnare alla filosofia finalità
radicalmente etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo dei crotonesi. Ma
nel complesso dipende dal Portico con influssi posidoniani. Nel sno
insegnamento non trascura le esercitazioni logiche e i frammenti toccano
argomenti di fisica, ma ciò che vi è detto degli dei, designati con le
denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero
comune e non ha carattere filosofico determinato. Invece riporta al Portico
l'affermazione della necessità universale, che equivale alla teoria del fato.
Però l'interesse di M. si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che
è assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai filosofi
dai Cinargo) gli uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale
dev'essere prestata dalla filosofia, che perciò è necessaria a tutti, alle
donne non meno che agli uomini. La filosofia però è identificata alla ricerca e
alla realizzazione della virtù, per conseguire la quale non vi è necessità di
molti discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore
importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni
uomo i germi della virtù, se il discepolo non è stato corrotto, una breve
dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i principi etici
giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e discepolo uniformino
la loro condotta ai propri principi. Si comprende che M. si interessasse in
primo luogo della formazione etica degli scolari. Nell’insieme, la morale
di M. si conforma alle dottrine tradizionali del Portico. Occorre distinguere
ciò che è e ciò che non è in nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso
delle rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male,
dalle quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi
l'intenzione quale atteggiamento interiore della volontà. In la volonta, se è
retta, consiste la libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende
da noi e perciò rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci
all’ordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca.
Soltanto la virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è
indifferente. Però, per rafforzare la volontà, M. ritene necessario, oltre
l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè,
essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare
ambedue. In generale raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita
semplice e conforme alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei
cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico,
esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la
limitazione delle nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti
di Musonio rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata
dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il
valore scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto
mediocri e privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole
l’espressione di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a
quella di Seneca. Gaio Musonio Rufo. M. (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr.Col.), con parte di una
diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in
Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso
Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia
(presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato
da Roma in via precauzionale da Nerone, M. lo segue in Asia. Due anni dopo giunge
l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma,
in concomitanza della congiura di Pisone,
e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros,
inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua integrità morale
e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati
da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dall’esilio, forse grazie a
GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra
civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo
episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in
pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era
teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si
impegna a svolgere un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli
ambasciatori M., di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti
dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati
con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò
fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava
chi l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più
equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna
esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo
impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era
stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e
a Trasea. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo
stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente
stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad
intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso
non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria
dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo
attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Sorano con una falsa
testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle
delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano
e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con
tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire
il processo tra M. e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di
Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità dei
magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era,
infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»
Più tardi M. riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la cacciata
dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto
da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli
altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano, che fa uccidere
Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si
apprende che egli non era più in vita. Si proclama suo discendente il
poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario,
sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non
lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si
ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di
cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono
intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema” “Su chi
nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero
studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei
figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la
filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe
deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà
qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati
per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del
matrimonio” “Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni
bambino che nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri
genitori in tutte le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?”
“Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo
stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale,
poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo
figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il
medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica
si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto
rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre, frammenti
minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in
numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che
potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di
Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da
rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio
Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione).
Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. M.
rappresenta, con Epitteto, Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più
significativi del portico romano del principato. Egli, se per certi versi
corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo
tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero
radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene e
onestamente, cioè mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti.
Il ruolo della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più
utile, in quanto ci persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere
sono un bene, e che né la morte, né la povertà, né il dolore sono un male; quindi
questi ultimi non sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da sola ci
impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il
filosofo si occupi di studio della virtù. La persona che afferma di studiare
filosofia deve praticarla più diligentemente di chi studia medicina o qualche
altra attività, perché la filosofia è più importante e più difficile da
comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di
altre abilità, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro
anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che
impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come
conoscenza teorica. Piuttosto, M. insiste sul fatto che la pratica è più
importante della teoria, poiché la pratica ci porta all’azione in modo più
efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a
vivere senza errori e abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può
aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilità di
vivere virtuosamente viva senza errori più di qualcuno che non è un medico
esperto, un musicista , studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che
praticassero quelle abilità senza errori. In una delle sue diatribe, si
racconta il consiglio che offrì a un re in visita, dicendogli che deve
proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo,
utile o dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose è
proprio il compito del filosofo. Poiché un re deve anche sapere cos'è la
giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per
possedere autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio, saggezza, magnanimità,
capacità di prevalere nel parlare sugli altri, capacità di sopportare il dolore
e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva M., è l'unica disciplina
che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli
offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re
aderisse ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che, poiché l'essere
umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima
richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al
freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro,
all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo
rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito.
Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio
attraverso la sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata
astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà,
le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare
tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato
come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno
per tali atti, secondo M.. L'opposizione di M. alla vita lussuosa si estendeva
alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso
desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che
illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. M. condanna tutti questi atti
sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati
alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio
come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro
natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso è vile
nella sua mancanza di autocontrollo. M. difende l'agricoltura come
un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o
all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio
sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha
sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative. Crede che
padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la base
dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è nutrire e
rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo
non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo
supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la digestione che nutre
il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo
scopo quando lo digeriamo, non quando lo gustiamo. M. sostenne la sua
convinzione che le donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica
degli uomini con i seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle
donne lo stesso potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione
è buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli
stessi sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i
sessi condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe.
Quarto, le donne hanno un uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità
con essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle
azioni nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse M., è
altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino
come vivere onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305:
«Figlio di Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e
stoico, vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti
altri. Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui
ad Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo
eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che
portano il suo nome e anche le lettere. Epistole. Di origine etrusca: cfr.
Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua
etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14.
Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, Girolamo, Chronicon, a. 2095:Titus
Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi, XIII, 173c),
inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e M.. Cameron, Avienus or Avienius?, in
"Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense:
sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento
in cui M. parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecia al bando del suo maestro. Nella diatriba Lucio
riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi,
che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. -- nell'edizione
Hence. Una delle due è una lunga lettera scritta da M. a Pancratide sul tema
dell'educazione dei suoi figli. Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re
dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La
maestà è caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudeltà di
quello che ispira paura» (in Stobeo, IV 7, 16). A differenza del suo allievo
Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, M. sottolinea l'interdipendenza
tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico,
non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The
Incomplete Feminism of M., Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason.
Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J.
Sihvola, Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia,
Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon, M. and Education in the Good Life: A Model of
Teaching and Living Virtue. University Press of America. Laurenti, Musonio,
maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Berlino, de
Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Edited by William B.
Irvine. Create Space. DOTTARELLI, M. l'etrusco. La filosofia come scienza di
vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio,
in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M., su
Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su Open Library,
Archive. VDM Stoicismo. Portale Antica Roma Portale Biografie
Categorie: Filosofi romani Filosofi del II secoloRomani del II
secoloStoici[altre] Grice e Tito – La clemenza di Tito – “Titus M. Rufum
philosophy revocat. Amico di Musonio. Grice e Galba. Grice e Nerone – Grice e
Vespasiano. Gaio M. Rufo, figlio di Capitone e degli stoici di maggior grido in
quell'età, e uno di quelli che si guadagnarono un maggior numero di seguaci per
l'efficacia del loro insegnamento. Plinio Secondo infatti, lodando le virtú
singolari del suo amico Artemidoro, assicura che per esse ei merito che a C. M.
ex omnibus omnium ordinum adsectatoribus gener adsumeretur. E di Volsinio, in
Etruria. Ma non si può dire se fosse nato sotto Claudio o sotto Caligola. Benché
sia più probabile la seconda supposizione. Appartenne all'ordine equestre. L'incontriamo
la prima volta in Roma, quando ne è mandato in esilio da Nerone in quella serie
di condanne che segui alla sventata congiura di Pisone. A lui, come a Verginio
Flavo, celebre maestro di retorica, nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam
Verginius studia iuvenum eloquentia,
Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore
presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si
trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma
se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar
Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se,
adunque, il nostro M. poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del quale
vedremo con che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci dice che
egli dove esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni avute con
Rubellio, che al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due anni
consecutivi d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo
nominis che fu madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura
pisoniana trova tra i congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a
quanto pare, e Lucano. Ed era naturale che anche M., l'antico maestro ed amico
del suo odiato Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno a sé e
trasfondeva in tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne dicono
Tacito e Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone sospetti e
timori e fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone relegato
nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino alla morte
di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché
Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola
accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo
si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella
specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero
tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista
dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato
afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi
rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda
un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che M. e già a
Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla
morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui
da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba all'impero. A Roma, M. si
trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api
basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria
è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una
delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di
far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori
della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori.
Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo
sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli
pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è
uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora
pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli
anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito
invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E
quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette
essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri
legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo
cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e
di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a
confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del
più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che M. parla
a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera di
Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che
Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina
disserens, armatos monere. Id plerisque ludibrio, pluribus taedio: nec deerant
qui propellerent propulsarent-que, ni admonitu modestissimi cuiusque et aliis
minitantibus omisisset intempestivam sapientiam. Ci si sente Tacito ammiratore
del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni che l'aveva sentito più
volte a fare circa il suo amore per la filosofia - ultra quam con-cessum Romano
ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto ex sapientia modum: e pare
che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e pietoso della fatuità d'un
filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito si scorge chiaramente
un quadro, che è eloquente testimonianza dell'atteggiamento morale e sociale di
questo stoi-cismo: nei seguaci del quale vedi l'anima piena di fede, ardente
degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo speculativo inesperto della vita, ma
un'anima infiammata da profonde idealità, non comprese dai molti. Un'anima
compagna a quella dei martiri coetanei della religione novella. Sotto la
pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco, dopo il trionfo di
Vespasiano, M. si riaffaccia nella storia di Roma. E questa volta con un atto,
che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del tempo, come sotto
l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore, cosi sotto
l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano
spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che occupa
gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro tutti
i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale Trasea
Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che nel suo
proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle speranze
sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato anche la
giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore filiale,
s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre (delitto anche
questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e propositi ribelli di
novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza della sua Servilia: e
accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori frappostisi glielo
impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a deporre contro il
padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta per il responso
desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di Publio Egnazio
Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum
mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P.
Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe
il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po'
ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus involutos
aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et amicitiae
fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto diventar
tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli Egnazii per
fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto, ri-staurato
con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a vendicare la
morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre che nella
misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli facesse
da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio
Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si
apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota
Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii
delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a
salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo: quippe Sorani sancta memoria; Celer professus
sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se
magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili
che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi
Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche
il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un
giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu
condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice
Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di
un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa
della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa
condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che
un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite
di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo imperatore
per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione di M.,
risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva, secondo Temistio, a
Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei filosofi a cui Muciano,
secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur tanto favori la cultura)
sitofino alla morte, che non si può dire quando sia avvenuta. Ma pare che fosse
morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive al padre raccomandandogli
l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e ricorda l'affetto misto di
ammirazione che egli quantum licitum est per actatem, aveva portato al filosofo
etrusco. PLINIO, Epist. Lo ZELLER dice soltanto verosimile che il Gaio M. di q.
1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della lettera a me non pare che
lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci generis”; Ab excessu;
e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll. Ma SuIDA precisa anche la città, confermata
da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno discendente di Musonio e
anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI, 587. Cfr, anche Epigramm.
Anth. lat. (Burm.). Infatti la frase di PLiNIo, Epist. et M., socerum eius (sc.
Artemidori), quantum licitum est per aetatem, cum admiratione di-lexi deve far
pensare che Musonio fosse innanzi negl’anni quando Plinio era ancora giovane;
che perciò intorno all'80 avesse una cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di
nascita di lui tra il 20 e il 80 d. C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV,
71. Cfr. DIoNE-SIFILINO, LXII, 27. SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar
(cioè è ucciso: ma questo è certo un errore). Da un frammento d'una lettera di
GIULIANO l'Apostata, riferito da Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi
Musonio, questi occupa una pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator
erat; ed. Bernardy). Ma non è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca
al nostro Musonio, o al Musonio vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce
l'art. seguente di Suida. Тас., Аб ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa
persona con lo scrittore di questo nome ricordato da PliNio tra le fonti della
Nat. Hist. A torto l'HALM (nell'Index historicus, s. v. Coeranus nella sua
ediz. di Tacito) sospetta che sia da sostituire Cornutus nel detto luogo Ab
exc.; perchè la lezione è sicura; e d'altra parte Cornuto in quel tempo era in
Roma. Su Cornuto, maestro di Persio e Lucano, v. per ora MARTINI, De L. Ann.
Cornuto, Lugd., Bat.;ZELLER; TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch.; e
PAULY-WIssOwA, Real-Encyclopidie s. v. Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta
che il Coeranus dovesse con lieve mutazione di lezione identificarsi con quel
Claranus, condiscepolo di Seneca, di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero
la probabile data di questa lettera (Hu-GENFELD)
e il dirsi in essa che Seneca aveva riveduto cotesto Clarano post multos annos
combinano con l'anno 63, nel quale ei si sarebbe trovato con Rubellio in Asia.
Ma nè anche di Clarano s'avrebbe altra notizia. Ab exc. A questo tempo si può
riferire la notizia di EPITETo (Diss.) di un rimprovero dato a Trasea Peto, che
avrebbe detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli sarebbe
toccato di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr ¿xTErA,
TIS i Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6 pelerãy
apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta incertezza ci
sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo, comunemente
attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos) avrebbe scritto
appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains au Epaxévos pE
X.T.?, STon.Cir. WENDLAND, JULIANI epist. in Rhein. Mus., XIII, 24, Froste.,
Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato in cui si nomina un
Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia, cinico
EPITETO (Diss.) dice:
POÚpO TIS ElEYE, l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia; "O 8à, Mi
yap dyú ool tot', egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б хосноє діохвіто. Il
concetto di Calba accennato in questo passo M. non avrebbe potuto averlo se non
a Roma, dopo essere steto da lui richiamato ed averne sperimentato il governo
assai mite inconfronto del precedente. ZELLER cita anche (come il MoNasEN, Ind.
plin.) Tac., Hist. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore quello
di Girolamo, all'anno M. philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata
Musonio fu eccettuato, e rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST,
Gesch. d. griech. Litter., Nördlingen, dice che Musonio torna in Roma sotto Trajano!
-Molto probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV, Hist., III, 80,Tac.,
Hist. Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunque propriamente un
legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava
sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva
forse alla famiglia Servilia (Ephem. Epigr.). Sua figlia infatti si chiamava
Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae provinciaead
spes novas. Tac. O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE
EraßEpostquam pecunia reclusa sunt. di Tac.. Barea Sorano dovette volgersi allo
stoicismo dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab exc.) autore di
quel senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., e SvEr., Claud.) in cui si decretavano le
insegne pretorie e 150 milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo
onde Plinio parla di quel S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto;
mentre poi TAcITo, Ab excessu, dice che Cicerone volle distruggere la virtù
stessa, virtutem ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4).
Tum invectus est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo Baream Soranum falso
testimonio circumventum arguebat. Tac., Hist. Il nome d'Egnazio, come s'è visto
più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e traditore
vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale. Justum officium
[Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la condanna
della spia cfr. DIONE-SirIL., e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I, 33. -
TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de Demetrio
Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum honestius
defendisset Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il Demetrio cinico,
onorato da tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.), col Demetrio
causidico, delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE di Giovenale, ad Sat.,
Tac., 1. c. DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5) Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp. ingenia et
artes vel maxime fovit ..Epist., III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio
devono essere state scritte tra il 101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch.
d. junger. Plinius, nell' Her. mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con
aggiunte nella Biblioth, de l'école des hautes étude, trad. par Morel, Paris,
Franck, Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R. di NIEUWLAND,
ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et apophthegmata, cum ann. ed. F.
VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, e uno scritterello del REINACH, Sur un témoignage
de Suidas relatif à Mus. R., in Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et
belles lettres. Rufo (si veda). Tito Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo. Keywords:
Etruria. Luigi Speranza, “Grice e Musonio”, The Swimming-Pool Library. Musonio.
Grice
e Mussolini – la storia della filosofia di Lamanna – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. . In his history of philosophy for ‘i licei classici’, he rewrote
his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history goes smoothly up to
Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He is the only philosopher he cares
to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO, which is odd seeing
that his main source is Mussolini’s own entry for ‘fascismo’ in the Treccani
which does not give it such a status. The third volume is ITALO-CENTRIC, from
VICO onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to end with MUSSOLINI. The idea
is presented by L. as a ‘riconstruzione dello stato’ – we are talking of the
‘stato moderno’ – il stato liberale borghese is in ruins – and although he
plays with the ‘socialist state’ he does not consider it within the realm of
the proper history of philosophy when he talks of French illuminism. So his
concern is wht the idea of the state in the liberal party – the philosophy of
the laissez-faire. It provides NEGATIVE freedom. Freedom from the other. And
there is competition. Also, as he notes, liberalism lies in that the
‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every member of society, so that
liberalism only pays lip service to ‘liberale’. With the socialist state, the
problem is the opposite: the state becomes a gestore – and there is this idea
of an endless dialectic among the classes. So how does Mussolini reconstruct
all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had L. continued from Kant to Fichte
and Hegel, the student would be more prepared! Mussolini’s idea of the state is
Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks of the ‘individui’ of
this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.). SO this NAZIONE
however, is MORE than the sum of its individui. Individui come and go – but the
state remains. The state becomes governo. Mussolini’s prose is machist and
homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing is said
about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel idea of
the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian approach. Since L. has
only read Kant seriously, he applies Kantian categories here: Mussolini’s
fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a slave to the
CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE to the effect
that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is constantly on
the azione or prassi, which is understandable since the pupils are supposed to
learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is candid about
this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It was the
ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the ventennio, this action,
which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE NATION, becomes legalistic,
a party is formed, and indeed a government (polizia, politeia) established. But
Mussolini accepts castes in society. Even the religion, a civil religion, is
subdued and one can very well be allowed to worthip the God of the Heroes. It
is an ‘etica guerriera’ and it targets the male – virtu, andreia. Being
commanded by one know knows is a privilege. Ths is interesting because this is
conceived after the temporary successes in Africa – Mussolini romano e africano
– and before the problems of the second world war. For the first time, Italians
FEEL they are part of a NATION. The seeds are in the Risorgimento, but this got
stuck with a liberal kind of state, which only provides negative freedom,
anyway, and where the initial conditions are
unequal. Lo stato fascista does not play with parlamentarism, so
Congress is closed, and the only party is the national party. Jews are excluded
from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici for fascism, like
Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel. If Hegel
concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with himself.
GENTILE did not really help, although he was the official voice of fascist
philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of history
(philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the final
stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is no
idea of dissent. L. however emphasises that the stato fascista still recognizes
the indidivuality and the personality of each member – as the stato comunista
or socialista would not!”
Grice e Mustè: l’implicatura conversazionale nella
filosofia dell’idealismo italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di
Gentile -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Flosofo italiano.
Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista dell'Istituto italiano per
gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività didattica e di ricerca,
collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova serie” della “Rivista trimestrale”.
Consegue il titolo di dottore di ricerca alla Sapienza. Lavora alla
"Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici"
dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore
dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di
Storia della filosofia. Insegna a Roma. È membro del Consiglio
scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con
l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana
e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista
"Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra
cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della
Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse
riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale
critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi
storici", "Filosofia italiana". Nel è stato nominato dal Ministero dei beni
culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della
nascita di Bertrando Spaventa". Dal
al ha insegnato Ermeneutica
filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università
Antonianum. Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della
filosofia italiana, con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per
quanto riguarda l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure
fondamentali (sino al profilo complessivo) e le premesse nella filosofia
dell'Ottocento, specie in relazione al pensiero di Vincenzo Gioberti
(soprattutto con il libro su La scienza ideale). Di particolare interesse gli
studi su Bertrando Spaventa e le monografie su Omodeo e Croce. Ha dedicato
saggi e ricerche al pensiero di Antonio Gramsci e ad altri momenti del pensiero
marxista italiano: del è la monografia
su Marxismo e filosofia della praxis, che ricostruisce la storia del marxismo
italiano da Labriola a Gramsci. Sono noti i suoi studi sul pensiero politico
nell'Italia contemporanea, con particolare riguardo alle figure di Rodano,
Balbo, Noce. Ha approfondito lo studio dell'opera di Marx e in generale
la storia della filosofia tedesca tra Hegel e Nietzsche. Particolare
attenzione ha poi rivolto (con il libro
su La storia e con altri scritti, tra cui quelli sull'evento e sulla
teoria delle fonti) alle questioni specifiche della teoria della
storiografia. Metodi Conduce l’indagine teoretica in stretta relazione
con gli studi di storia della filosofia e di storia della storiografia, in
generale nell’ambito della storia delle idee, adottando un metodo
storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti archivistiche e di
documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare l'analisi strutturale
delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle fonti e sulla
tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di lungo periodo
della filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia”
(Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli
Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino,
Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch,
Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria
Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium,
Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the
Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black
out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato
federale – federazione, governo federativo -- Rodano, Cristianesimo e società opulenta,
Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le
interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia
dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that
idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma
Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La
prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della
praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in
«Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein,
in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione
francese in «Annali dell'Istituto
Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in
«Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in
Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del
diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia
crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto:
per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra
tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile
democratica, in «Novecento», Sul
giudizio politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di
Noce, in «Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e
democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma);
Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e
storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L.
Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia”
francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche
di Croce, «La Cultura», Liberalismo
etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not
multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste
is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” Reale, LUISS
University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale critico
della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in «Quaderni
della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti storiche, in
«La Cultura», La storia: teoria e
metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in
Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età
contemporanea, Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e principio del
dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio dialogo – il noi --
Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo, M.P.
Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous nella filosofia di
Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico, in Il Novecento di
Garin. Atti del Convegno di studi, Vacca e Ricci, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del pensiero.
Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Lo
storicismo italiano nel secondo dopoguerra, in Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di Scaravelli, in «La
Cultura», La libertà del volere nella filosofia di Croce, in Filosofia e
politica. Cesarale, M., Petrucciani, Mimesis, Milano, Il senso della dialettica
nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia italiana", apr. Storia, metodo, verità, in «La Cultura»,,
Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia italiana», Togliatti e Luca,
«Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf. caricature of Gentile as
Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera di Socrate. Momenti di
storiografia filosofica italiana nel Novecento, Spinelli e F. Trabattoni,
Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e
il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico della filosofia
italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza di Gramsci nella
storiografia filosofica e nella storia della cultura, «Filosofia italiana»,
Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali
di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico
della filosofia italiana», La “via alla
storia” di Ginzburg, in Streghe, sciamani, visionari. In margine a “Storia
notturna” di Ginzburg, Presezzi, Viella, Roma, Filosofia e storia della
filosofia nella riflessione di Sasso, «Filosofia italiana», Opere Sapienza
Roma. Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, su lettere uniroma1.
Intervista sulla storia della "Rivista trimestrale" Intervista di M.
su Croce del //diacritica/ letture-critiche/lo-
storicismo-di-croce-e-la-morte-della- metafisica-intervista-a- M. Socrate e
Gentile. Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca personale di Gentile,
troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di autori italiani, con
alcuni dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Ferrai
(Padova), vi figurano le edizioni dell’Apologia curate da Acri (riproposta da
Guzzo) e da Manara Valgimigli (Bari); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra
cui l’edizione di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di
Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo,
erano apparsi in Italia: quelli di Giuseppe Zuccante, che Felice Tocco aveva
presentato nel 1909 alla Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Covotti,
Mignosi, Labriola, Banfi, Levi,
Brocchieri. Ma a proposito di Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo-
menti della storiografia filosofica italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad
alcuni testi dello storico del cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del
romanista Pascal. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, i
riferimenti principali rimangono quelli di Zeller (a cui si era prevalente- mente
richiamato Spaventa), ma anche di Gomperz e di Tannery. Di Zeller, Gentile
possede i primi due volumi dell’edizione Mi piace ricordare che la
ricerca su libri, opuscoli e periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere
svolta online sul sito della Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma, grazie
al lavoro di digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione del
dott. Gaetano Colli: cfr. Colli. Anche il catalogo dei corrispondenti
dell’archivio di Gentile (custodito presso la “Fondazione Giovanni Gentile per
gli Studi Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile nel progetto “Archivi
on-line” del Senato della Repubblica. italiana della Filosofia dei Greci
curata da Mondolfo; e di Tannery conservava la seconda edizione, di Pour l’histoire
de la science hellène, che la moglie Erminia aveva donato, con dedica, al
figlio Giovannino. A Zeller, come si sa, dedicò un ampio necrologio nel quale
elogiò la sua opera di storico criticandone tuttavia i princìpi neokantiani2; e
avvicinandovi, ap- punto, i nomi di Tannery e quello, «così geniale», di
Gomperz. Pro- prio a Gomperz, d’altra parte, aveva fatto un più che positivo
riferi- mento nella prolusione palermitana su Il concetto della storia della
filosofia, dove parlò di un «concetto equivalente al mio, che nella storia
della filosofia si riassuma tutta la storia dell’umanità»4; e, nella lunga
recensione che nel 1909 dedicò al Socrate di Zuccante, ne parlò come di «uomo
di gusto», sia pure privo del «bernoccolo del filosofo», assumendone soprattutto
la critica della testimonianza di Senofonte. Gentile si trovò di fronte, fin
dalla giovinezza, due modelli inter- pretativi, tra loro, per altro, connessi.
In primo luogo le pagine che Ber- trando Spaventa aveva dedicate a Socrate,
dapprima discu- tendo sulla “Rivista contemporanea” la memoria torinese di
Giovanni Maria Bertini Considerazioni sulla dottrina di Socrate6, poi nel
grande corso sulla filosofia italiana, dove aveva aggiunto, come appendice, lo
Schizzo di una storia della logica, nel quale riprendeva il tema socratico7. Il
secondo riferimento è Labriola, la cui memoria su La dottrina di Socrate era
stata ripubblicata da Benedetto Croce per l’editore Laterza. Per quanto, in
maniera caratteristica, nel discorso preliminare del all’edizione degli Scritti
filosofici di Spaventa, si limitò a un breve cenno alla discussione con
Bertini8, e anche nella Prefazione al Gentile. Bertini. Ma la memoria, a cui
Spaventa si riferisce, era stata presentata in una seduta. Poi in Bertini. Da
una lettera a Spaventa, si apprende che l’articolo di Bertrando era solo il
primo di una serie di scritti socratici, che poi non realizzò: cfr. Spaventa La
filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, in Spaventa
Gentile Gentile e Socrrate volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare nel
merito della questione9, è da ritenere, per le ragioni che si vedranno, che
l’influenza spaven- tiana pesasse in maniera determinante nella sua prima
lettura di Socrate. Spaventa confuta l’interpretazione di Bertini, cercando di
definire i rapporti, da un lato, tra Socrate e la filosofia antica, e, d’altro
lato, tra Socrate e la filosofia moderna. Per tale confutazione, si era
appoggiato al capitolo hegeliano delle Le- zioni sulla storia della filosofia e
all’opera di Zeller, ma anche, per deter- minare i caratteri generali del
pensiero greco, alla traduzione francese di Claude Joseph Tissot della Storia
della filosofia di Heinrich Ritter10. Tuttavia, la lettura di Socrate risultò
ben diversa da quanto quei libri potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve,
che se per Hegel è Parmenide il vero iniziatore della filosofia, perché ha
sollevato il pensiero alla massima astrazione dell’essere11, per Spaventa la
filosofia inizia propriamente con Socrate, che ha scoperto la dimensione del
“concetto”, superando il naturalismo immediato della precedente vita greca. La
critica a Bertini si appuntava su questo aspetto. Per Bertini, di fronte
all’attacco dei sofisti, Socrate aveva restaurato l’ethos greco, sal- vandolo
dalla dissoluzione. Per Spaventa, le cose andavano diversa- mente. Non solo
Socrate non aveva restaurato la vita greca, ma le aveva inferto «il vero colpo
di grazia» (La dottrina di Socrate, in Spaventa), ponendo un nuovo principio,
quello della «soggettività universale»: caratterizzata la filosofia
presocratica come indistinzione immediata di pensiero ed essere, Socrate aveva
inaugurato l’antitesi dei due termini, senza tuttavia trovarne l’unità e la
sintesi, e anzi la- sciando al pensiero moderno questo compito ulteriore. I sofisti,
dun- que, lungi dall’essere dei distruttori, si presentavano quali profondi
innovatori, anche se il loro soggettivismo era piuttosto un individuali- smo,
fermo alla dimensione naturale ed empirica dell’individuo. So- crate
trasformava, con la dottrina del concetto, questo individualismo in un
autentico, universale soggettivismo: «in questo senso» – scriveva Spaventa –
«Socrate e Cartesio, che che ne dica il professor Bertini, si rassomigliano». Spaventa
Parmenide, Hegel [Ritter Cfr. Hegel Ma soprattutto, per il riferimento a
Da questo punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo
pratico o morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più
precisamente, il carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale
formalismo. Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa
espressione, per certi versi anticipando i temi della sua riforma della
dialettica. Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo
della «soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività
dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di
tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i
moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il
puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che
determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina
il soggetto». La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella riforma
della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere -- appariva
qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato, come la
verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera- mente
decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano ricondotti
tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo, l’ironia, e
poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza della mancanza
di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite storico della
propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava (seguendo qui
i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la sua
identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e qui la
fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate la
psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle
passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il
contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa
tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e
l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto.
Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse il premio della
Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, Labriola non citò mai
lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese [Si veda per questo aspetto Mustè
La dottrina di Socrate, in Spaventa. Gentile e Socrate 43 almeno un paio di aspetti14.
In primo luogo riprese la tesi del formali- smo, a cui dedicò la parte centrale
dello scritto e che anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme, mostrando come
«il suo di Socrate sapere è pura esigenza» e «quello che egli cerca deve ancora
trovarlo» (Labriola). In secondo luogo, insisté sulla mancanza in Socrate di
ogni notizia di psicologia, con accenti e motivi molto simili a quelli che
Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber- tini. Ma certo mutava il
quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto per la scelta, molto
radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla testimonianza di Senofonte,
non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun principio, massima, o opinione che
non sia, o esplicitamente riferita, o indirettamente accennata da Senofonte»;
poi per il fatto che la tesi spaventiana del formalismo serviva ora a recidere
i rapporti tra Socrate e la tradizione filosofica presocratica (ibid., 555),
superando il problema stesso che aveva animato la discussione tra Spaventa e Bertini.
Per Labriola, Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate come semplice
filosofo – scriveva – è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569); e tanto meno
poteva essere considerato come «il creatore del principio della soggettività»,
neanche di una soggettività «universale» come quella di cui Spaventa aveva
parlato. Al contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due linee
fondamen- tali di lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo di
sviluppo della religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della
divinità «come intelligenza autrice e reggitrice del mondo», riuscendo per
questo «a isolare la sfera morale dalla naturale; d’altro lato, in relazione
agli studi che allora conduceva per «una storia dell’etica greca» interpretò
Socrate come concreta espressione della crisi della storia greca, come
l’emergere di una colli- sione tra forma della tradizione e volontà
dell’individuo: per cui, sorge nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé
quella certezza» che l’opinione comune ha smarrito, tornando a porre, con
l’esercizio del dialogo, le[ L’interpretazione di Labriola è stata analizzata
da Cambiano, Il Socrate di Labriola e la storiografia tedesca e da Spinelli,
Questioni socratiche: tra Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono
rispettivamente nel primo e nel terzo volume di Punzo3, Spinelli ricorda
opportunamente un breve quanto penetrante articolo di Giannantoni, Il Socrate
di Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera”. Tra gli altri studi, mi
limito a ricordare Cerasuolo, e le lucide osservazioni di Poggi domande
induttive sulla definizione, sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità.
Per certi versi, Labriola seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne
modificava la prospettiva, calando Socrate non più nel centro problematico
della storia della filosofia ma in quello della vita religiosa e sociale del
mondo greco. A prescindere dallo sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di
Labriola, la tesi spaventiana del formalismo di Socrate restò alla base delle prime
riflessioni di Gentile. Già nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti – dove
il problema principale, sulle orme di Donato Jaja, era quello dell’intuito, e
quindi della profonda differenza tra l’intuito ro- sminiano dell’essere puro e
quello, platonico ma soprattutto prove- niente da Malebranche, delle idee
determinate e formate (Gentile) – i riferimenti a Socrate risentono della
discussione di Spa- venta con Bertini. Lo si vede, soprattutto, nella nota che
inserì per di- scutere la memoria di Aurelio Covotti Per la storia della
sofistica greca. Studi sulla filosofia teoretica di Protagora (pubblicata nel
1896 negli “An- nali” della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa), dove,
criticando le interpretazioni di Wilhelm Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì
la necessità di distinguere l’individualismo empirico di Protagora dal
soggettivismo di Socrate, pur sottolineando la sua distanza dal kanti- smo,
mancando ancora in Socrate «il concetto del pensiero come pro- duttività»
(Gentile). Una lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo più organico nella
recensione al Socrate di Zuccante, dove criticò «l’interpretazione
soggettivistica» di Protagora, che l’autore aveva dato, insistendo piuttosto
sul rapporto con Demo- crito: con riferimento a un articolo di Victor Brochard,
affermò anzi che la tesi dello storico francese andava «rovesciata», perché non
Demo- crito aveva appreso da Protagora i princìpi della gnoseologia sofistica,
ma viceversa questo, Protagora, era stato «scolaro» di quello, di Democrito
(Gentile). Questo tema del rapporto tra Socrate e Protagora era d’altronde
essenziale nell’equilibrio del libro, perché tanto Rosmini che Gioberti avevano
appunto confuso i due momenti (l’individualismo e il soggettivismo), lasciando
oscillare la figura di Socrate tra Protagora e Platone: «il Gioberti» –
spiegava Gentile Gli articoli di Brochard vennero ristampati in Brochard (ma si
veda la 4° edizione ampliata, Paris, con l’introduzione di Delbos).
Gentile e Socrate 45 «come il Rosmini, non conosce altro soggettivismo
che il falso antro- pometrismo protagoreo», e perciò, aggiungeva, si vede
costretto a tro- vare in Socrate Platone, «altrimenti del maestro di Platone
non si fa che una ripetizione di Protagora» (Gentile). Alla maniera di
Spaventa, insomma, il soggettivismo di Socrate non andava confuso né con
l’individualismo di Protagora né con la successiva dottrina pla- tonica delle
idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza di Socrate nel saggio su La
filosofia della prassi, dove, per dimostrare che Marx aveva assunto il concetto
della prassi dall’idealismo, e non dal mate- rialismo, chiamò in causa il
«soggettivismo di Socrate», facendo dell’antico filosofo greco il primo
idealista, anzi il primo teorico della praxis: perché, spiegava Gentile,
Socrate non concepiva la verità come un bene formato da trasmettersi, ma come
il risultato di un «personale lavorio inquisitivo», cioè del dialogo e
dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva – importava per Socrate
un’attività produttiva, ed era una soggettiva costruzione, una continua e
progressiva prassi» (Gentile). Altrove scriveva che il merito di Socrate
«consiste appunto nel superamento di quella dualità di volontà e intelletto,
che è presup- posta così dal determinismo come dal concetto del libero arbitrio»:
e arrivava ad affermare che, se avesse approfondito questo aspetto, sa- rebbe
stato condotto «al concetto hegeliano dell’unità di libertà e ne- cessità
razionale» (Gentile). Di questa singolare definizione di Socrate come primo
idealista, Gentile darà una spiegazione, nei Discorsi di religione, quando dirà
che, con Socrate, «la filosofia acquista coscienza del suo carattere
idealistico», anche se questa co- scienza «si oscurerà tante volte nel corso
del suo sviluppo storico»: e quasi per dare un esempio di tale oscuramento,
ricordava l’«idealismo ancora naturalistico» di Platone e Aristotele, che aveva
ricompreso l’intuizione socratica nel realismo del «mondo delle idee» e in
quello di «Dio, forma o atto puro, o pensiero del pen- siero. . Questi primi
riferimenti, in larga parte ispirati dalla posizione di Spaventa, cominciarono
a complicarsi negli anni appena successivi, quando Gentile iniziò a elaborare
la filosofia dell’atto puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad approfondire la
distanza tra dialettica del pen- sato e dialettica del pensare, tra pensiero
antico e pensiero moderno. Un preludio della successiva lettura di Socrate può
essere indicato, d’altronde, nella lunga recensione al Socrate di
Zuccante, dove Gentile, richiamandosi implicitamente (senza mai citarla) alla
posizione di Spaventa, chiarì due aspetti fondamentali della pro- pria
interpretazione. In primo luogo, in un passaggio di particolare im- portanza,
rielaborò e chiarì la tesi del formalismo socratico, definito appunto come la
sua «gloria». Scrisse infatti: la verità è che la ricerca socratica è
prevalentemente umana, perché l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano
della speculazione, segna- tamente nella rettorica. E lo stesso tentativo di
sollevare a scienza la rettorica, operato dai sofisti, ne mette a nudo
l’essenziale formalismo, e fa sentire il bisogno di quella più schietta e più
concreta scienza dello spirito, che Socrate persegue col suo motto divino:
conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità del suo interesse speculativo,
teorico, e del suo interesse morale, pratico: qui anche la radice del
formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo stesso Socrate. Il quale
supera la forma rettorica con l’affermazione del contenuto della rettorica
(giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non definisce altro che la
forma: il concetto come universale, non intravveduto da nessuno dei filosofi
precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il concetto stesso del giusto
(morale). In che consiste il valore di questa scoperta, che è la gloria di
Socrate (Gentile). In secondo luogo, stabilito il senso del formalismo
socratico, Gentile chiariva il significato della scoperta logica di Socrate,
affermando che si trattava non solo, e non tanto, della scoperta del concetto,
ma del «concetto del concetto», della «essenza dello spirito»: se i filosofi
prece- denti sempre avevano adoperato concetto e definizione, ora Socrate
sollevava il pensare a «pensiero del pensiero», conferendo agli uomini una
«seconda vista», quella della schietta universalità. Grazie a Socrate, il
pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé stesso, sostituendosi
all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più limitativo dell’assenza
di un contenuto assoluto, era il carattere del suo formalismo, inteso appunto
come considerazione della forma logica in sé stessa. Negli scritti di questo
periodo, l’accento cominciava a battere con più forza sulla continuità tra
Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele [non] si fa un passo
avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone (Gentile). Non solo
infatti, come precisò nella prolusione palermitana su Il concetto della
storia della filosofia, Platone aveva «trasformato» il concetto socratico in
«idee eterne e immobili, puro oggetto della mente»; ma iniziò a riportare la
filosofia di Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a quella parme- nidea,
che ai suoi occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e del So- fista:
«Platone» – scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile e realmente
immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si doveva
arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito». Più che Socrate,
dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle idee,
l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di Cratilo.
Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia che il giudizio su Socrate
cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti dell’opera:
in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti; in secondo
luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo che dedicò
al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare piuttosto
singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere affermato «il
carattere uni- versale del vero» (Gentile); ma subito aggiunse che quel con-
cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma una forma che,
conseguita per via induttiva, con «un processo di generalizzazione», era
piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta determinazione del mondo:
offrì insomma del concetto socratico una lettura singolar- mente negativa,
quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon- cetti o finzioni che,
nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva teorizzato. Di più,
in un capitolo successivo, affermò che il concetto socratico, «base
dell’erronea teoria platonica e aristotelica del concetto» , presupponeva la
scissione tra teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate proprio quel merito
che, come abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel saggio su La
filosofia della prassi. La considerazione trovava uno sviluppo rilevante, come
si diceva, nella terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la figura di
Socrate all’origine del concetto di «educazione negativa», collocandolo sulla
stessa linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la «possente» opera di
Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen- tile tornava a
rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza del divino
nell’uomo» e dunque di anticipare lo
spi- rito di libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone
aveva convertito la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come
un ritorno dell’anima «a quella pura cognizione originaria che ella si reca in
sé dalla nascita». Una critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta
ancora nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai
accedere al problema morale, perché privo del principio stesso della volontà
(Gentile). In tutta la prima fase della sua riflessione, Gentile tenne fermo il
Socrate di Spaventa, cioè la tesi del formalismo e della scoperta della
soggettività universale, via via innestandovi i motivi essenziali nella propria
filosofia: così, nell’Introduzione alla filosofia parlerà di So- crate come del
«primo grande martire degl’interessi più profondi dell’uomo e della sua nobiltà
e grandezza» (Gentile), come di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto
l’antico naturalismo e sco- perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella
più tarda Filosofia dell’arte arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e
labrioliano) della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più
radicale, dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte in
tutto il pensiero antico (Gentile). Ma la trasforma- zione essenziale e
decisiva avvenne certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in
modo particolare nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo,
acquistò il volto più complesso di fondatore del logo astratto: che era uno
svolgimento dell’idea, comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in
Socrate, e non in Par- menide e nei filosofi presocratici, andava indicato
l’autentico inizio della filosofia occidentale. Nella Teoria generale, dove il
problema fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva
più nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al
centro del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione di Parmenide»
(Gen- tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e presocratico e
carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da Platone. Tra
Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato «la netta
distinzione tra genere e individuo», non riuscendo certo a trovare la sintesi
tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto la via
platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e a
Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre il concetto come unità in
cui concorre la va- rietà delle opinioni»: affermazione di grande
significato, Gentile e Socrate
perché, almeno in senso formale, indica una rottura dell’intero natu-
ralismo antico, un presagio – se così può dirsi – della sintesi e della vera
individualità, che solo il pensiero moderno, osservando il con- cetto come
conceptus sui e come autocoscienza, arriverà, dopo il cri- stianesimo, a
compiere. Però, come si diceva, solo nei due volumi del Sistema di logica, la
figura di Socrate acquistò una nuova luce e un più preciso significato,
all’interno della dialettica del logo astratto e del logo concreto. Possiamo
dire che il punto centrale della considerazione delle forme storiche del logo
astratto è proprio il passaggio da Parmenide a Socrate, che è poi il passaggio
dal naturali- smo antico alla logica del pensiero pensato, inteso come momento
eterno e insuperabile del logo. Il punto socratico è quello fondamen- tale, se
non altro perché, superando la posizione, disperata e assurda, di Parmenide,
Socrate pone, nel concetto universale, l’intero circolo del pensiero antico,
che in Platone (con la teoria della divisione) e in Aristotele (con la teoria
del sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un adeguamento. All’altezza
della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con meno forza, rispetto ai
testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone, ma indicava con molta
più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero che, in un passaggio
non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava «il fondatore della
logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò a intendere in tutto il
suo rigore il concetto del logo quale presupposto del pensiero» (Gentile). Ma
subito precisò che tale fondazione del logo era in verità una negazione del
pensiero, perché il suo essere, privo di determina- zione e di differenza, è in
realtà mancanza di pensiero, il nulla del pen- siero, il semplice immediato: e
per Gentile, così come per Spaventa, non è l’essere di Parmenide a segnare
l’inizio della logica, come acca- deva in Hegel, ma il concetto universale di
Socrate. È con Socrate in- fatti, come ripete più volte (concordando, per
altro, con quanto Croce aveva sostenuto nella Logica), che «nasce formalmente
la scienza della logica» (Gentile), che viene posto non «l’immediato essere
astratto», ma la «mediazione», il «rapporto tra soggetto definito e predicato
onde si definisce», per cui, concludeva, «l’astratta identità dell’essere
naturale di Parmenide e di Democrito qui è vinta». E altrove Croce. chiariva: «la logica comincia
propriamente con Socrate, quando l’es- sere spezza la dura crosta primitiva
della immediatezza naturale, in cui s’era fissato nelle concezioni degli Eleati
e degli Atomisti, e si me- dia nella forma più elementare possibile del
pensiero: identità che sia unità di differenze» . Nel concetto socratico, nella
definizione, è già tutta la logica antica, che troverà nella dialettica
platonica e nel sillogismo aristotelico solo uno sviluppo necessario. Più precisamente,
Socrate diventa, nel Si- stema di logica, il fondatore della logica
dell’astratto, che non si esprime più nell’assurda immediatezza di A (essere
naturale), ma nel rapporto A=A, che indica il principio d’identità e l’intero
«circolo chiuso», come lo definì, del logo astratto: rapporto che è già
rapporto di pensiero, perché il primo A si distingue dal secondo A, generando
la figura del giudizio, sia pure di un giudizio analitico e definitorio. Così,
il passaggio (che impegnò il secondo volume dell’opera) dal logo astratto al
logo concreto indicava anche il merito e il limite della posizione socra- tica,
il suo elogio e la sua critica: perché il «circolo chiuso» che Socrate aveva
fondato, immettendo l’uomo nella regione del pensiero, era pur sempre un
circolo, una mediazione e un movimento, e perciò inclu- deva, sia pure in
maniera inconsapevole, il riferimento del pensato al pensare, dell’astratto al
concreto. Lo includeva, come spiegò, nella forma «mitica» di tutto il pensiero
antico, non ancora come «pensa- mento del logo astratto nel concreto», ma
viceversa come «pensamento del logo concreto nell’astratto» (Gentile). La
lettura del momento socratico sembrava così compiuta nei ter- mini
fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita, Gentile delineò una intera
storia della filosofia, che doveva fare parte della collana «La civiltà
europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere solo la prima parte,
fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata a cura di Bellezza, ci
rimane, tra le carte del filosofo, l’in- dice dell’intero lavoro (che si
sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione di Varisco, Martinetti, Croce
e Gentile stesso) e il manoscritto di un «prospetto» che si riferisce alla
parte successiva e non scritta sulla filosofia antica, fino alla sezione terza,
che avrebbe dovuto occuparsi di epicurei, stoici, scettici, accademici e
neoplatonici. Archivio della “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi
Filosofici”, manoscritti pubblicati. Gentile e Socrate 51 In questo ultimo
scritto sulla filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro
dell’intera considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica.
Più chiara e conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della
filosofia presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide
ed Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima
intuizione della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere
di Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere,
si riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile
definiva come «misticismo» (Gentile), come «intellettualismo» e «for- malismo»,
cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il
cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il
successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come l’esito
naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva finire,
nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla sensazione». S’intende
perché, nella linea che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di
elogio alla sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto
che rode questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce», e
che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il logico
compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la
potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere di
Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della parola,
che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto
gli spettatori, ma vi facciamo da attori». Sono i sofisti, perciò, che
«preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne deriva», che «rendono
possibile la scoperta di questo nuovo mondo». E il capitolo su Socrate, come si
diceva, co- stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile
proponeva del pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte
an- che di Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di
Aristotele, considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa
«un troppo bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone,
che nei dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante»: «il Socrate
storico – scriveva – non è il Socrate platonico». «Più attendibile» dunque
Aristotele, pur «ne’ suoi cenni sommari», perché in Aristotele emerge-
rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale
scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio, cioè
del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto del
pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano
dimostrato impossibile». Così Socrate
compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima
volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto
che può conoscere, e conosce».. Per questo, e solo per questo, Socrate rimane
per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una
delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come
vide So- crate, pensiero». La preferenza che Gentile accordava alla fonte
aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato
nella discussione con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In quella oc-
casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di Joël,
aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla penna di
Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature
dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gentile), soprattutto per la
tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di prammatismo», eliminando
quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne costituiva, invece, il tratto
saliente. Di conseguenza, aveva rifiutato l’intera impostazione di Labriola,
che aveva as- sunto il «Socrate senofonteo» come la pietra di paragone di ogni
altra testimonianza. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava
una certa tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile
osservare, il richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi
esclusivo ai passi della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia
concettuale» e «scopritore dell’universale» (Maier), con una larga
sottovalutazione di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine
etiche e morali. Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica
e quella senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora
in corso (si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con
riferimento a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano
sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Calogero nella voce Socrate del
dell’Enciclopedia italiana. Gentile e Socrate diverse letture di
Döring e di Joël), trascurava i possibili legami che alcuni autori, come
Heinrich Maier o Georg Busolt, avevano stabilito tra i passi socratici di
Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava, insomma, di una
semplificazione del ben più arduo problema delle fonti socratiche, ma di una
semplificazione necessaria affinché, nel discorso di Gentile sulla filosofia
antica, emergesse in piena luce il posto assegnato a Socrate, come iniziatore
della logica e superatore del precedente naturalismo. Dunque Socrate appariva,
nelle pagine che ora Gentile vi dedicava, come la rappresentazione vivente
della scoperta del concetto come giudizio, e a questo principio del logo
andavano ricondotti tutti gli aspetti della biografia. Socrate fu, pertanto, il
maggiore dei Sofisti (Gentile), perché convertì la parola di Gorgia nella nuova
«fede nel pensiero», restituendo a quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con
la loro opera distruttiva, avevano scoperto, il pregio dell’uni- versalità e
della verità. Questo era il senso dell’ironia e del dialogo: il dialogo,
possiamo dire, si superava nel logo, e si risolveva in esso, per- ché, come
aveva chiarito Platone nel Teeteto, era in verità un monologo, «un interno
dialogare della mente con se stessa» (ibid., 170), dove il concetto unico e
universale costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e la fine, dentro cui
i dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come simboli di un solo
ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente l’indicazione
spaventiana del «formalismo socratico», ma in certo modo, come ora vedremo, ne
metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo, schiettamente logico, rispetto
alla costru- zione successiva di una metafisica, culminante nell’opera di
Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione formale del concetto e del
giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora fissato in un tra-
scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe dirsi che Gentile
trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un precursore dell’attualismo,
come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù di Nazareth, ad Omodeo o a
Ruggiero: la sua prosa si manteneva più sobria, [Si ricordi la netta
affermazione del Maier, che risale all’edizione di Tubinga del Sokrates: «debbo
confessare che mi riesce incomprensibile come mai si siano potute dare tanta
importanza e tanta fiducia alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier)
controllata, ma certamente tendeva ad assegnare a Socrate un valore unico in
tutto l’orizzonte della filosofia antica20. Il «formalismo» indi- cava un
merito, non un difetto. E in tutto il capitolo sull’«essere come concetto», ne
sottolineò l’importanza, senza mai indicare il limite della visione socratica.
Limite che emerse piuttosto nelle pagine successive, quelle sull’«essere come
idea», dove, per spiegare il passaggio a Pla- tone, accennò pure al «problema
centrale di Socrate», consistente nel «dualismo da vincere» tra il mondo umano
e il mondo naturale, tra il concetto e l’esperienza, perché – scriveva –
Socrate «non aveva saputo dir nulla di quella natura che ci sta davanti, in cui
si nasce, si vive e si muore, e con cui all’uomo che pensa per concetti rimane
pur sempre da fare i conti» (Gentile). Era necessario segnare il limite di
Socrate, per offrire una spiegazione del passaggio successivo, quando il suo
«formalismo» ripiegò in una compiuta metafisica, tornando di fatto al
naturalismo e al mito eleatico dell’essere immutabile. E il lungo capitolo
sull’«essere come idea», che copre quasi la metà della parte scritta
dell’opera, costituisce in effetti una delle pagine più importanti, e in fondo
drammatiche, che Gentile abbia composto negli ultimi giorni della sua vita.
Parlò di «un nuovo abisso, che si de- lineava tra Socrate e Platone, come
quello che aveva diviso la filosofia umana di Socrate da quella naturalistica
che lo aveva preceduto; e ne preparò l’analisi con una sottile considerazione
delle scuole socrati- che minori, culminante nella figura di Euclide, che
«proveniva dall’eleatismo» e che per primo, inaugurando l’opera che sarà di
Pla- tone, «trasferiva il concetto o universale socratico dalla mente dell’uomo
nella realtà in sé. Di fronte al dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin
da Aristippo o Teodoro, il vento gelido della vecchia cultura, che riempiva il
«formalismo» di un contenuto antico, quello della natura, della trascendenza,
del realismo. Platone stesso, in fondo, compì questa opera necessaria,
appoggiandosi ai suoi veri maestri, l’«eracliteo Cratilo» e Parmenide, e ab-
batté «la barriera tra l’umano e il divino», innalzandovi sopra quell’edificio
possente che è la metafisica. All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva
fatto riferimento nella recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente,
vita, dottrina (Gentile). Per Omodeo, il rinvio è a Omodeo; per Ruggiero, al
primo volume di Ruggiero Gentile e Socrate Quando, in una decina di pagine di
forte intensità, entrò all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare
con più precisione il passag- gio che si era consumato dal formalismo di
Socrate alla metafisica di Platone, Gentile non mancò di osservare che la «soluzione»
che la dot- trina delle idee aveva dato al «problema» di Socrate, unificando
ciò che nel maestro si conservava diviso, era in fondo fallimen- tare, perché
metteva capo a un nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva tra
eraclitismo ed eleatismo: due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone
riuscì più a mettere una a tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare
Parmenide ed Era- clito e lo stesso Socrate. Il poderoso sforzo da lui tentato
di strin- gere insieme le due opposte esigenze pur nella forza indomabile
dell’energia con cui esse reciprocamente si escludono, non potrà non fallire. La
vicenda post-socratica delineava dunque la storia di un falli- mento; e di un
fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un prezzo elevato per la filosofia:
perché l’idea di Platone altro non era che l’es- sere di Parmenide («dire idea
– scriveva – è lo stesso che dire essere») e il dialogo, che Socrate aveva
coltivato come ricerca sogget- tiva della verità, si irretiva nella dialettica
oggettiva delle idee trascen- denti, dell’essere, nella «dialettica consistente
nella relazione che hanno le idee in se stesse», in «dialettica oggettiva, che
è norma e fine della soggettiva» Gentile parlava bensì di conquista del
pensiero platonico, di progresso, ma in tutta la sua pagina circolava
l’impressione del regresso e della decadenza, del passo indietro, della
chiusura metafisica. Impressione che si fece nitida nel brano in cui, mettendo
a diretto confronto i due filosofi, Socrate e Platone, affermò che il primo, di
fronte all’antico naturalismo, aveva scoperto il pen- siero come «relazione»,
«soggetto, predicato e loro relazione», mentre l’altro quella relazione aveva
ricondotta «in un’idea suprema», unica e universale, e perciò l’aveva
annientata e assorbita nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e dissolve
il pensiero: «quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che totalizza la
relazione, l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è irrelativa».
E dunque metteva capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è tutto un
blocco, da prendere LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio come
l’Essere eleatico. Pare pensiero, e non è. Che era una critica della metafisica
platonica e, al tempo stesso, il più alto riconoscimento a Socrate: il quale
restava, così, al centro di questa storia, come una possibilità inesplosa
dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo il cristianesimo, avrebbe
ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI, “Considerazioni sulla
dottrina di Socrate.” Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Opere
varie. Biella: Amosso. CERASUOLO.“Il “Socrate” di Labriola.” In La cultura
classica a Napoli. Napoli: Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica
dell’Università degli Studi di Napoli. BROCHARD, Études de philosophie ancienne
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Roma-Bari: Laterza. LABRIOLA,“La dottrina di Socrate secondo Senofonte Platone
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a cura di L. Basile e L. Steardo. Milano: Bompiani. MAIER, Socrate. La sua
opera e il suo posto nella storia. Firenze: La Nuova Italia, ed. or. Sokrates:
sein Werk und seine geschichtliche Stellung. Tübingen: Mohr. MUSTÈ, “Il senso
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OMODEO, Gesù e le origini del cristianesimo. Messina: Princi- pato, POGGI,
STEFANO, Introduzione a Labriola. Roma-Bari: Laterza. PUNZO Labriola.
Celebrazioni del centenario della morte. Cassino: Edizioni Dell’università
Degli Studi di Cassino, RITTER, Histoire de la philosophie ancienne, 4 voll.,
traduit de l’allemand par C.J. Tissot. Paris: Ladrange, SPAVENTA. Lettere,
scritti e documenti pubblicati da Benedetto Croce. Napoli: Morano, SPAVENTA,
Opere, a cura di Gentile. Firenze: Sansoni. Marcello Mustè. Mustè. Keywords: la filosofia
dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo, democrazia, kratos –
natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il principio politico,
liberalismo, partito liberale italiano, comunismo, il libero economico, il libero etico, libero
politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” --
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.
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