Grice e Siciliani: la critica della filosofia
zoologica e la psico-genia di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo italiano. Studia a Otranto,
Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a
causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo
inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce
molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità
importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e
BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le
discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di
Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato
professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa
disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso di
sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli accademico
a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la Rivista
bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione per
divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente,
dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava
con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro
di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di
scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua
azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere
morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia
e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio
dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in
primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e
attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in
Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da
Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di
recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è
dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il
"Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A
lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana, si accosta a VICO, tentando di inaugurare una
filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra
opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia
contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono
della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni. Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde
nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più
illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo
contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di
un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia”
(Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni
alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S. la presidenza di congressi a Firenze,
Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano a un
approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a
conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue
opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia
della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della
legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia”
(Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica” (Firenze); “I principi metafisici di VICO” (Firenze);
“Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e
al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio
filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche
della filosofia positiva in Italia in GALILEI (Bologna) Gli hegeliani in Italia
(Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione
in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in
Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come
antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma);
Il sacro secondo i dettami della filosofia (Firenze); L’nsegnamento della
pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e
pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra
vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione
secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e filosofia
internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee
e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). CALOGERO, Enciclopedia
Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma,
Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Calogero. Enciclopedia
Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere
S.” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica
, Galatina, Tor Graf Galatina, Carteggio familiar, Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce, P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno
Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL
RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA POSITIVA IN ITALIA PBOrESBOBB
DI FILOSOFIA NELLA R.
UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA, QlX
PB0FES80BE NEL B. LICEO DI
FIBENZE, FIRENZE, G. BARBÈRA, EDITORE. PRINTBD IN
ITALY^^^^^^ -,^ ,^ . i ,;atana Quest'opera
è stata depositata al Ministero
d'Agricoltura, Industria e Commercio
per
godere i diritti accordati dalla logge
sulla proprietà letteraria. G. BarbI'.ra. !',
(rcnuitifi TERENZIO MAMIANI DELLA ROVERE. Mio
SiQsoR Conte. Ella fu primo tra i
moderni italiani a tentare un rinnovamento
della filosofia ^ e a Lei pure spetta
il vanto d' aver continuMa e compiuta
la nobile tradizione de'
OaUuppi^ de Bosmini e de' Oióbertij della
quale per fermo rimarranno durevoli tracce
nella storia dd pensiero nazionale. A chi
dunque meglio che dUa, S. V. potrei
intitolare questo mio saggio j il quale
mira al fine medesimo cui Ella indirizzava
il suo primo lavoro? Che se talora^
per quella libertà di giudizio alla quale
Ella stessa educò le nostre menti con
le sue dotte scritture^ troverà contbaittUi
in queste pagine akuni jprincijpii da Lei
propugnati ^ non vorfà perciò reputare
scemato qud senso di schietta riverenza
chcy come ai pochi sommi onde si
onora U paese nostro, le professano
tutt^ i cid tori degli studi severi.
Anzi novella prova di questa larga
tolleranza io m* èbbi testé, quando,
con la squisita gentilezza che in Lei
è natura, Le piacque accettare V offerta
di questa mia fatica. La quale io
spero vorrà giudicare benignamente: al che
mi conforta pure il ricordo di certe
argute parole ch^ Ella dicevami ima volta
chiudendo un lungo conversare circa le
gravi divergenze delle diverse scuole
filosofiche: «porro unum necessarium ! coscienza
e fervore nel lavoro: il resto verrà
da sé. » Suo deditissimo P. Siciliani. BiTiglìano
presso Monte Senario In questo salutare
innovamento politico d'Italia cui assistiamo
trepidanti, un libro di rinnovamento filosofico
dovrebbe giugnere opportuno e gradito. Perocché
se tutti oggi andiamo ripetendo l'arguta
frase d’AZEGLIO — fatta ormai V Italia, Insogna
far gV Italiani^— parmi sia d'uopo cercare
di rifarci innanzi tutto nell'intimo di
nostra coscienza, nella radice, nella sorgente
stessa d' ogni umano e civil progresso, eh'
è dire il pensiero filosofico. Andare
a Roma, grazie agli eventi fortunati e
al nostro buon diritto nazionale, non è
stato guari difficile, né sarà difficile,
speriamo, potervi restare. Ma vi staremo
senza dubbio materialmente, se Roma, la
vecchia Roma, il pensiero cattolico non si
verrà anch'esso riformando e svecchiando. La
qual cosa certo conseguiremo per gradi e
con le arti che dovrebbe saperci dare
la sapienza politica, civile e amministrativa
; ma gioverà non dimenticar mai come l'
espediente più d' ogn' altro efficace e
sicuro ad opera siffatta, sia per
appunto una rinnovata filosofia n bisogno di
restaurar la filosofia surse di buon'ora
neir animo degV Italiani ; il* che
parrebb' essere un d^' caratteri speciali della
storia della nostra speculazione, sino da
quando gli scrittori del Rinascimento, scosso
il giogo della scolastica, mandavan fuori
i lor libri col titolo De PhilosophÙB
renovatione. Né quindi è a meravigliare se
cotal necessità sia venuta crescendo sempre
più nelP animo e nella mente nostra
col succedersi degli anni, tanto che a
siffatta impresa nobilissima abbiam visto
provarsi gV ingegni più illuminati e
fecondi: primo fra tutti, in questo
secolo, il Mamiani col Binnovamento della
Filosofia antica Ualiana^ e, poco appresso,
il Rosmini col Binnovamento della Filosofia
in Italia; indi il Gioberti con la
Introduzione aUo studio dèlia Filosofia, con
la quale mirava anch' egli ad una
restaurazione filosofica nel nostro paese;
e, per ultimo, il professore Spaventa ha
procacciato volgere anch' egli al medesimo
intento le sue dotte scritture, in ispecie
quella su la Filosofia dd Gioberti. Se
non che rinnovare, pel filosofo di
Pesaro, altro non voleva dire se non
restaurare certi principi! e richiamare in
vigore alcune industrie metodiche de' filosofi
appartenenti, la massima parte, all'età gloriosa
del nostro Risorgimento. Talché, quando il
Rosmini gli fece toccar con mano i
pericoli ne' quali s' era messo mostrandogli
come il Binnovamento proposto da lui
conducesse diritto ad una maniera di
sensismo, e' venne modificando siffattamente le
dottrine propugnate nel suo primo libro,
che dopo trenta e più anni s' é
studiato nelle Confessioni d'un Metafisico d'inaugurare
un novello Platonismo, siccome forma di
filosofare acconcia air indole della mente
italiana. H Roveretano poi non solo mirò
a restaurar cose vecchie, ma volle produrre
altresì qualcosa di nuovo. E pur nullameno,
chi guardi ben addentro ne' copiosi e
disameni volumi che seppe darci quella
mente potentissima, tranne il • problema
psicologico eh' ei giunse ad illustrare in
guisa davvero originale, ogn' altra cosa
in lui parrebbe invecchiata e quasi
stantia. Della stessa menda riesce offesa la
Introduzione del Gioberti. Che V ardente e
generoso autore del Primo^ intendeva
svecchiare (come diceva, gloriandosene, egli
stesso) le idee cardinali di quattro o
cinque filosofi cristiani, il cui sussidio
e autorità invocava quasi ad ogni voltar
di pagina. Non parlo qui del rinnovamento
eh' e' veniva meditando nella Protologia:
nella quale senza dubbio avremmo avuto
germi fecondissimi di vera e solida
ristorazione filosofica, se a queir ingegno privilegiato
e supremamente italiano fosse stato pur
conceduto imprimere valore diffinitivo, forma
netta e coerente, alle diverse dottrine che
con ansia febbrile andava saggiando e
trasmutandosele in sangue. Per contrario SPAVENTA,
del quale abbiamo in grandissimo pregio
l'ingegno e l'amicizia, intese dare anch' egli
nuovo indirizzo al pensiero italiano, ma
battendo ben altra via; la via del-
l'Idealismo assoluto. E studiossi d'inserirci
nell'animo e nella mente i principii dell'
Hegelianismo, per due ragioni: sì perchè
egli pensa esser questo il vero e
compiuto sistema di speculazione, almeno secondo
che viene interpretato da lui ; e sì
perchè gli è parso d'averne rintracciato i
germi in certi nostri filosofi a cominciare
dal Telesio, per esempio, fino al Gioberti.
Fer noi rinnovare non vuol dir
solamente richiamare, instaurare, svegliar dalP
antico, né solamente importare dal di
fiiora; che sì nelF un caso come
nelr altro il rinnovamento, anziché
naturale, spontaneo, autonomo, storico, riescirebbe
artifiziale, imposto, incosciente e, dirò quasi,
meccanico. Vuol dire bensì far da noi:
far da noi con elementi che ci
appartengano, ma tali che serbino (ciò che
più monta) ^virtù d' originalità e di
verace modernità. Vuol dire » insomma
esplicare; né si può esplicare senza
correggere, compiere, inverare. Avremo sbagliato
strada anche noi? Potrebb' essere! Non saremmo
i primi, e, certo, neanche gli ultimi.
In qualunque modo . ci sembra che,
pure sbagliando, noi non resteremo troppo
indietro fra le mummie, né avremo corso
tropp' oltre col pericolo di fiac- \
card '1 collo. So ben io che i
Positivisti fan presto ; ad innovar la
filosofia radiandola addirittura da' libri ^
e dandole il ben servito dalle nostre
scuole grandi e mezzane, quasi fosse un
trattato di teologia dommatica. Ma costoro
avrebber fatto i conti senza Toste. £
r oste in tal caso é lo stesso
pensiero, anzi la mente stessa, dalla quale
per nostra fortuna mai non riesciranno a
sradicare il profondo e sempre più acuto
bisogno del filosofare : senza dir
già che, s' ei riescissero ne' loro
intenti, scambio di sciogliere V intricato
nodo, altro non avrebber fatto che
tagliarlo di netto ; e che potessero
giugnere a tagliarlo con sicurezza ninno il
crederà, pensando come la spada eh'
e' ci brandiscon sul viso non par che
somigli quella del gran discepolo d'Aristotele!
Accennato il carattere generale ed il
proposito del mio saggio, toccherò della
sua forma e del suo disegno. Mi si
potrà chiedere : È egli cotesto vostro
saggio un lavoro di genere critico,
storico, monografico, ovvero dommatico? A parlar
proprio non è nulla di tutto questo.
Un lavoro d' indole dommatica, per solito,
dee racchiuder l'esigenza d'un sistema nuovo,
d'una dottrina ori- ginale, se pur non
voglia esser vana ripetizione ed increscevole
imitazione del passato. Ora un novello)
sistema filosofico oggi sarebbe impresa da
muovere a riso, od a pietà. Sono
ormai ventidue secoli, e noi, tardi nepoti,
ci andiamo pur sempre aggirando, ivi
sostanza, fra il Platonismo, e l'
Aristotelismo. La qual cosa non recherà
maraviglia a chi consideri bene la storia
del pensiero filosofico, nella quale, volta
e gira, non si può esser che con l'
uno o con l' altro sistema, ovvero fra l'
uno e l' altro, e però con tutt'
e due, se pur non vogliamo smarrirci
inevitabilmente e miseramente in una forma
di scetticismo, o di nullismo. Ai di
nostri, dunque, un nuovo sistema filosofico
p^rmi utopia, sogno e, stavo per dire,
ciarlatanismo. L' ingegno filosofico oggi deve
assumer valore di funzione critica rintegrativa,
nella quale si faccia luogo alla concorde
attività di due forze, la storia e
'1 pensiero, che vuol dire il fatto e
'1 da fare. La monografia poi, o è
d'indole semplicemente storica e obbiettiva,
ovvero d' indole critica. Se storica obbiettiva,
ella avrebbe a essere, dirò così, un
fedel ritratto, una perfetta immagine della
mente d'un filosofo, 0 di tutta una
scuola di filosofi. Or cotesto immagini e
ritratti, se da una parte tornano inutili
e infruttuosi stantechè non facciano che
ripeter sot- t' altra forma cose che
potremmo leggere nella stessa lor fonte,
dalP altra mi paion quasi impossibili,
perchè è impossibile penetrar davvero nelle
intime viscere del pensiero altrui, e farai
dentro alle occulte pieghe della mente d'
un filosofo. H notissimo detto di Kant
si può e devesi applicare anche qui:
quidqtUd recipUur, ad modum recipietUis
recipitur. Che se poi la monografia è
di genere critico, ella riesce assai
pericolosa; perchè trattandosi d'interpretare, è
pur facilissimo affibbiare agli altri quel
che invece frulla nel capo nostro ;
nel qual vizio intoppano, com' è ^
noto, gli Hegeliani, sì per la natura
stessa del loro metodo, e sì per
le secreto esigenze del loro sistema. Da
ultimo, un lavoro di genere puramente
istorico oggi non dovrebb' essere impresa
molto ardua fra tanti libri storici
che ci piovon da tutte le parti. Basterà
sposare un sistema, una dottrina da
farla servire qual criterio giudicativo;
basterà un po' d' acume critico, un po'
di tedesco per le citazioni obbligate a
pie di pagina, e poi molta e
molta dose di pazienza e di sgobbo
per raccogliere e adunar notizie e teoriche
da farle servire al criterio giudicativo
che ci torna comodo. Per me l'ideale
d'un buon libro, l'ideale d'un libro serio,
coscenzioso e positivo di genere
filosofico, oggi dovrebb' essere, diciamo
così, una sintesi di tutt' e quattro
cotesti aspetti o condizioni le quali, guardate
disgiuntamente e solitariamente, si palesan manchevoli
tutte e difettose. Ha da essere
perciò, nel medesimo tempo, monografico,
isterico, critico, e anche
dommatico
sino a certo segno. Cotesto ideale
(negozio non molto agevole, come sanno
coloro che se ne intendono e che
possiedono quel che dicesi gusto de^
lavori filosofici), non può essere un
ricamo sovra una stoffa altrui, e
neanche un parto assoluto del nostro
cervello ; sibbene ha da essere il
risultamento di due forze com- binate, come
dicevo poco fa ; ciò è dire
della mente di chi scrive, e di
chi per avventura possa più spiccatamente
rappresentare il corso tradizionale della scienza.
A questo sol patto sarà dato
pervenire al connubio fra la teorica e
'1 fatto, tra la scienza e la storia
della scienza, portandole entrambe ad un
fiato^ come direbbe il filosofo nel
quale io amo attingere ispirazioni. Laonde
chi volesse oggi filosofare con co- scienza
, dovrebbe saper costruire, come dicon
gli Hegeliani (e qui dicon benissimo)
; ma dovrebbe co- ^ struire senza
tradire, che è per V appunto il
gran guaio della critica hegeliana. Questa
grave difficoltà parmi d' averla superata, s'
io molto non m' illudo, E mi pare d'
averla supe- rata, perchè il mio libro
è come la sintesi e vorre' dir
la fusione razionale e organica de'
quattro aspetti quassù rammentati ; e
tal sarebbe la novità Cquant' al disegno
e alla forma del lavoro) alla quale
vorrei pretendere, se avessi coscienza d'
aver raggiunto lo scopo. Cotesto scopo,
lo veggo da me, io non ho potuto
raggiugnerlo, perchè ho dovuto costringere e
rannicchiare il mio pensiero entro un
dato numero di pagine, affogando in
nota molte e molte cose alle quali
avre' voluto pur dare ben altro
svolgimento e fisonomia. Però chiedo un
po' di compatimento quant'al modo col
quale ho incarnato il disegno, ma
domando severità di giudizio quant' alle
idee. Le quali, medi- tate da me per
tempo non breve, sento di poter difendere
contro chi vorrà farmi V onore d' una
cri- tica non leggiera, non velenosa, non
da scuola, né da sacristia (alla quale
non saprei rispondere, né risponderò), ma
d'una critica seria, onesta, profittevole. Il
Gioberti scrisse che il critico onesto
e co- I scienzioso deve durar la
metà della fatica spesa dal- l' autore
nel meditare e scrivere un' opera di
scienza. |Leibnitz andava molto più in
là, e richiedeva da'lettori quasi '1
medesimo lavoro sostenuto dallo scrittore.
Io non pretendo, né davvero posso
pretender l' una cosa, né r altra :
ma certo potrò desiderare che, chi
voglia giudicarmi con qualche serietà, debba
leggere e (se oggi non fosse troppo)
meditare un po' le cose ch'io dico. 11
che ho voluto qui avvertire, perché,
se può dubitarsi che in politica
esistano le cosi dette con- sorterie, certo
é che tra' filosofi cominciano a far capolino
certe fratellanze le quali giudicano d' un
la- voro a priori, guardando solo al
titolo e al nome del- l'autore. Dio
ci liberi dalle fratellanze filosofiche! Esse
per me, a dirla schietta, sono
altrettante Com- pagnie di Gesù negli ordini
del pensiero e della libera speculazione
metafisica. Questo mio libro, e l' altro
che terrà dietro su' principi della
Sociologia^ non é l' espressione di nessun
partito, di nessuna setta, di nessuna
scuola. Non é frutto di speculazioni e
ricerche passionate, per- che io non
mi sento schiavo di nessuna scuola,
servo di nessun nome, né milito sotto
nessuna bandiera più 0 meno germanica,
italica o francese che sia. \Baiùmem,
quo ea me cumgue ducete sequar: ecco tutto.
Neanche sarebbe una di quelle novità
sba- lorditole alle quali siamo avvezzi da
dieci anni a questa parte. Esso anzi
è la più modesta cosa del mondo:
che per quanto il titolo paia ardito,
non sarà tale per chi ripensi, come
la sostanza delle dottrine eh' io
propugno non mi appartenga in modo
assoluto. S'altri mi darà dell' ecclettico,
risponderò d'esser tale precisamente, ma nel
profondo significato che costumava dare il
Leibnitz a questa usata e abusata pa- rola.
E se qualcuno poi trovasse, che
questa o cotesta dottrina alla quale
verrò accennando non sia propria- mente
dell' autore eh' io dico d' ormeggiare
nel metodo e Dell'indirizzo filosofico,
tanto meglio per me. Ri- sponderò come
in un caso simile rispose egli
medesimo a certi suoi avversari : «
Che se finalmente non volete »
ricevere questa sentenza come di Zcìione^
mi dispiace » di darlavi come mia;
ma pur la vi darò sola, e B
non assistita da nomi grandi. » €
Le cose fuori del loro stato naturale non
dnrano né s' adagiano. » — Vico. Non
intendo scrivere la storia, e tanto
meno far la crìtica minuta del
Positivismo; indirizzo che, come ognun sa, non
senza buon§ e diverse ragioni invade
oggi e per- vadeTa mente di molti
filosofi, di scienziati, di storici e scrittori
d'ogni maniera. Altra volta m'avvenne
d'accen- nare alla parte debole di cotesto,
diciamolo pure, sistema filosofico. E allora
parvemi, fra 1' altro, di provar que- sto:
che il Positivismo, secondo il concetto
che se ne sono formati segnatamente i
Francesi, non pur mancava di storia,
ma non può averne avuta di nessuna
sorta.* Oggi poi dovrò intrattenermi a
ragionare su le dir. verse forme che
il Positivismo ha preso e può
prendere in avvenire, giacché ormai comincia
ad avere anch'egli una storia, per
brevissima che sia, da raccontare; e [quindi
rilevare certa parentela ch'egli ha con
l'Hege- 'lianismo. Nel quale riscontro
probabilmente meriterò anch' io, dall' alto
giudicatorio su cui siedon gli Hege- liani,
la solita commiserevole sentenza che, com'è
pur * Vedi Critica del Positivismo,
Bologna, Tip. Monti, 1868. 5ICILUM. 1 troppo
noto, suona così: Pover'uomo, non ne
capisce niente di niente; non Im
dramma di potenza speculativa, ^ ne briciolo
di nerbo dialettico! Mostrerò, da ultimo,
se . una vera forma di Positivismo,
ch'io chiamerò Filo- i sofia Positiva
italiana, sia per avventura i)ossibile; e] in
qual maniera si possa, mercè sua,
pervenire a cor- regger r uno e
compiere V altro de' due sistemi
suddetti, accogliendo quelle parti veramente
pregevoli che in essi certamente non
mancano. Comecché il Positivismo non sia
ne voglia essere un sistema, pure quant'
all' origine psicologica, per così dirla, non
mi sembra eh' e' s'abbia a distinguere gran
fatto dagli altri sistemi filosofici. La
ragione immediata del suo apparire parmi
risegga nell' esigenza di contrapporsi ad una
forma contraria di filosofare creduta
affatto erronea ; e questo filosofare
in tal caso è il dommatismo metafi- sico.
(IJom' è chiaro, cotesta in sostanza
è l'origine stessa dello scetticismo,
secondo che c'insegna tutta una storia di
ventidue secoli, ne' quali affermazioni
risolute souosi contrapposte a risolute e
persistenti negazioni. Il Posi-j tivista,
infatti, reputa inconcludente ogni speculazione! trascendentale.
Positivismo quindi vuol dire esigenza! della
prova, esigenza, bisogno della dimostrazione;
maC della prova di fatto, della
dimostrazione sperimentale. Se non che, a
guardarci bene, lo stesso Positivismo ma- nifesta
già senz'addarsene un bisogno filosofico,
una ten- denza speculativa, un'attività
trascendente là dove, per dirne una,
procaccia di raggiungere la così detta
comples- sità crescente nel coordinamento de'
fatti, e nel volere imprimere forma
gerarchica all'insieme delle particolari discipline.
Col che non intendo dire che il
Positivismo sìa già una metafisica ;
ma è per lo meno una metafisica incosciente,
come un illustre scrittore francese, non
senza cert' aria di meritato rimprovero,
ha detto al Littré. Per la qual
cosa paimi, che il Positivista
contraddica*^ apertamente a sé stesso quando
vien su gonfio e petto- ruto a
dichiarar guerra sino all' ultimo sangue
contro a ogni maniera d'indagini
metafisiche; tanto che la tendenza de'
Positivisti a filosofare, tendenza del
resto naturalissima e necessaria, diventerebbe
atto, facoltà, vo'dire diventerebbe metafisica
vera, quando potesse avverarsi una
condizione. Mi spiego subito. Io non
credo offendere anima viva osservando che
fra' Positivisti irancesi sia un bel
po' difficile trovare un solo che ab- bia
studiato con amore, per esempio, la
Ragion Fura di Kant, segnatamente la
Critica dd giudizio: difficilissimo poi
ritrovare uno solo, fra'Positivisti italiani
militanti ^ sotto le bandiere del
Gomte o meglio del Littré, che con pari
amore e spassionatezza d' animo abbia
letto, per esempio, il Nuovo Saggio
del Rosmini. Prescindendo dalle mende
svariate di che non va esente il
Criticismo e nemmanco il metodo psicologico
rosminiano, io non so persuadermi come,
dopo aver letto e inteso a dovere
lei due scritture mentovate, si possa
essere o dirsi Positivi vista, secondo
il concetto volgare che di questa
parola ci ha dato e ci dà oggi
chi piti ne parla. Se non che
nessuno immagini eh' io qui intenda
far \ un fascio del Positivismo
Francese, del Positivismo In- \ glese
e, se vogliamo, anche del Positivismo
Germanico; 1 benché quest'ultimo, assumendo
sempre più forma di schietto e nuovo
e ardito materialismo, mostri esser già un
sistema beli' e buono, checché se ne
sia detto o vo- glia dirsene in
contrario. Ma di questo, fra poco.
Quan- t' all' altre due forme di
Positivismo, ninno sarà che ' ignori
le polemiche tanto gravi, pacate,
esemplarmente ' serene fra Stuart Mill
e Littré avvenute or fa un anno.
\ E molti conosceranno le obbiezioni
che quel robusto ingegno di Herbert
Spencer ha saputo muover contro certe
dottrine del Comte. Chi abbia vaghezza
poi di sapere qual sia il carattere
e il resultato di queste due maniere
di Positivismo, potrà innanzi tutto
guardare alla forma, al fine, persino
al titolo delle opere nelle quali tale
dottrina è insegnata e propugnata. Così,
mentre Stuart Min ha fatto una logica,
o, a dir meglio, un ft Sistema
di Logica, che potrebbe riguardarsi
addirittura \ come un contr' altare al
sistema della logica hegeliana; ; il
Comte, almeno nei primi volumi delle
sue opere, ci ha lasciato (chiedo
perdono a tutti gV iddii della Senna) una
specie di rassegna, ma di rassegna
ragionata, giu- diziosa e, dicasi pure,
ingegnosa, delle particolari disci- pliiie,
massime di quelle che a lui tormivan
più familiari. Ho detto nei primi
volumi, perchè nelle opere poste- riori,
com' è noto, desiderando compier V
edifizio, egli ammannì un sistema di
politica, un sistema di religione e d'
educazione, un sistema di morale positiva,
e financo d'igiene: morale senza principio,
se pur non vogliamo appellare così
certa regola di condotta eh' egli
espresse con quella brutta parola d'
Altruismo : religione senza Dio, se
pur non vogliamo piegare il ginocchio
e dar in- censo a quella divinità
chiamata il Grand*Essere; intomo alla quale,
com'è noto, il fondatore del Positivismo
fran- cese finì per fantasticare alla
maniera de' neoplatonici Alessandrini e del
Ficino. Checche ne sia, può dirsi ch'egli
predicasse bene quant'a metodo, ma
razzolasse male quant'a sistema, perchè
affermava, anzi esagerava nella pratica ciò
che sdegnava e risolutamente negava nella
teoria e nell'ordine speculativo; intendo
il con- cetto dell' unità o Sistematismo
nd sapere, secondo il suo linguaggio. Da
questo primo riscontro, che diremo
esteriore perchè riflette la forma generale
delle opere e un po' anche il
valore del metodo ne' due filosofi, si
può ai^omentare che il Mill guardi la
scienza sotto l'aspetto ^ subbiettivo, cioè
come una serie di concetti, mostrando così
d'aver piena fiducia in una logipit
che sia atta a risolvere un problema
distinto sì cJaT problemi e sì dal soggetto
in che versano le speciali
discipline/ Esiste infatti, egli dice, una
conoscerla scientifica déWuomo in quanfè un
essere intéUettude, morale e sodale, e
quindi una dottrina delie cognidom détta
coscienza umana.* Agli occhi del Comte,
per contrario, non esiste logica tranne
che intrinsecata con la natura stessa
di ciascuna scienza. Se volete conoscere,
per esempio, la logica della chimica
(egli dice), studiate la chimica. Ecco
la scienza sotto r aspetto puramente
ed empiricamente obbietti- vo; in quanto che
considera le cose in sé, e solamente come
oggetti. Tal difiFerenza, com' è
evidente, non è lieve, massime quando
tengasi conto de' risultati. Il ri- sultato
cui giugno il Positivismo inglese è
questo : la} metafisica esser possibile,
ma solo come ricerca logica,! come
investigazione e analisi di concetti.
Il che, s' è| pregio nella logica
del Mill per la fede eh' e'
ripone nelle forze del pensiero, è
auche il suo difetto massimo, stante
che siffattamente ei chiudesi tutto nel
formalismo ** logico, secondo che altrove
mostrai.' So che il Mill se ne
vuol difendere, facendo vedere qual divario
corra fra la logica formale e quella
eh' e' dice logica della verità. Ma
la pecca di nominalista in lui è
chiara. Ed è chiara per chi abbia
convenevolmente considerato quelle quattro
teoriche, nelle quali il filosofo inglese vuol
darsi addirittura per innovatore: intendo ' le
dottrine della dimostrazione, della definizione,
degli assiomi e della induzione. In
tutto questo egli è per- * Vedi
Stuart Mill, A. Comte et U
Pontivitme, Paris, trad. pag. 60. "
Op. cit. pag. 57. • Vedi la Ont,
del Po9ÌHv. innanzi citata, VI, pag.
19. fetto Baconiano, checché ne dica
egli stesso. Perocché, se la inente ne'suoi
concetti, secondo questo filosofo, è superiore
ai fatti; non però cessa d'essere un
artifizio, logico, un artifizio psicologico,
un intreccio a cui nulla ; d'
obbiettivo potrà mai rispondere. E di
qua proviene i poi un' altra
conseguenza, eh' è questa. Se nella
logica la posizione del Mill riesce
evidentemente unilaterale e subbiettiva, è
pur d' uopo eh' ella si manifesti
impotente anche nella scienza storica, eh'
è dire nell'organamento ^ razionale de'fatti
storici. Ora se il metodo
positivo giunge a legittimar 1' analisi
de' concetti e la critica delle
idee, non bisognerà dire che, come
esigenza cri- tica, ei contraddica a sé
medesimo quando dichiara di non potere
in alcun modo studiare idee e
concetti nel- l'obbiettivo lor significato? E
donde questa impotenza? Dalla natura stessa
della mente, si può rispondere. Ma, s'egli
è così, la possibilità della scienza
si traduce in impossibilità vera. Che
poi questo non sia e non possa essere,
ne porge guarentigia sicura il processo
istorioo delle scienze tutte, e l'
incessante progresso ond' elle ci dan
prove luminose. La ricerca in senso
obbiettivo, adun-? que, è possibile; dove
che per il Mill è addirittura im-* possibile.
Questa è la parte debole del
Positivismo inglese. ; L' errore opposto è
il Jifetto del Positivismo fran- cese. Se
per il Mill psicologia e logica sono
scienze che s' alimentano di sé medesime;
per il positivista francese, al contrario,
elle non sono che appendici della
biologia, al modo stesso che la
sociologia é come un allargamento della
storia, ciò é dire una generalizzazione
del fatto istorico, ma del fatto
verificato mercè la deduzione delle leggi
della natura umana. Qui, ripetiamo, la
differenza è profonda. La scienza
della civil società, secondo il' Positivismo
inglese, pone radice nella così detta
Etolo- gia, li' Etologia è la vera scienza
dell'uomo, egli dice. . Essa è una
generalizzazione non già verificata, ma sì
primiti/vamente suggerita dalla deduzione détte
leggi della natura umana.^ Ora la
funzione deduttiva, nel Positivismo inglese,
non è operazione immediata, non è operazione
secondaria alla induzione, com' è nel
Positi- vismo francese, ma è funzione a
priori, è funzione i cui risultati
vonn' esser giustificati con T
osservazione, e con la scrupolosa ricerca
delle leggi empiriche. Brevemente, dunque:
pregio singolare del Positivismo inglase è
il metodo deduttivo-concreto (per usar la
frase del Mill) applicato alle scienze
morali in generale. Que- sto metodo è
costituito di due processi che si
svolgono, per così dire, di fronte ;
non già di due parti d' un me- desimo processo,
V una delle quali sia conseguente al- l'
altra, com' è per i Francesi
positivisti. Per tal prero- gativa massimamente
parmi che il Positivismo del Mill mostri
accostarsi all' indole della filosofia
nostrana, e molto allontanarsi dal
Baconianismo alla maniera che questo metodo
s'intende da'più.* Carattere e pregio poi
del Positivismo francese, parmi stia nel
credere alla j)ossibilità d'una filosofia
come risultato di tutto quanto il
sapere umano, e quindi nel porre come
inevitabile o sua condizione la necessità
della storia. L'indagine storica, il metodo
di filiazione: ecco il distintivo del Comtismo,
eh' è anco il massimo suo pregio.' Contro
il Comtismo è facile muovere la
medesima difficoltà, quantunque in senso contrario
, mossa te- sté contro il Mill. Se
infatti è possibile una ricerca e una
critica storica; perchè non sarà possibile
una ri- cerca logica, una critica dei
concetti, come tali? Per- chè dunque negare
una logica e una psicologia supe- f *
Vedi Stuart Mill, Sy^time de Logique,
Voi. H, pagr. 491. « Vedi Op.
cit. Voi. cit., pag. 461. • Vedi
CoMTB, Pha. Pontive. Voi. V, Lez.
48". . riore alla storia? Se non
che delle due maniere di Positivismo,
quella de' Francesi va piii facilmente sog- getta
a contradizione; la qual cosa tiene
alla doppia origine storica per cui si
distingue cotesto sistema. Pa- recchi
scrittori francesi infatti hanno avvertito,
che ove il Comte parla di natura
e di scienze fisiche, è decisamente
sensista, materialista e nominalista ; men- tre
che ove parla di filosofia politica e
storica si mo- stra panteista, ma senza
dar prova di quella specula- zione
ingegnosa, di quella mirabile unità
razionale, cui sanno poggiare, bene o
male che sia, i Panteisti moder- ni.'
Donde tal contraddizione? Dall'essere il
Comte, } per una parte, figlio del
Sensismo francese ; dall' altra ì poi
figlio del Sansimonismo, che, com' è
noto, è forma j grossolana di
panteismo. Per questa doppia tendenza | i
Positivisti di Francia non possono salvarsi
dal cadere j nelle conseguenze d' uno
de' due sistemi : materialismo, 0
panteismo. So eh' e' fan presto a
difendersi dall'una taccia come dall' altra.
Ma la logica vale qualcosa più delle
parole e delle calde proteste. E
veramente chec- ché se ne possa dire,
uno degli scrittori poco fa citati ha
fatto toccar con mano al Littré, che
inevitabile re- sultato del Positivismo è il
materialismo.* E d'altra parte sappiamo,
come tutti i Positivisti oggi, e
propria- ' mente i Gomtisti, faccian
causa comune con que' della \ sinistra
hegeliana, co' quali hanno intimo legame,
se-l condo che mostreremo. ' Ho detto
come per ragion d'origine al Positivismo francese
tomi più facile inciampar nelle contraddi- zioni.
Ne poi^o qualche esempio. Non si vuol
sapere nulla di cause finali! Ma non
è forse il medesimo Lit- * Vedi
Rbkocttibb, Annuairephìl 1867 Q nell^altro
del 1868. — Vaohb- BOT, Metaphi9iq\w
potive. Tom. Ili; Trattenim. 14. —Jakbt,
Onte phiL *
Vedi Janbt, Op. cit. pa^. 116 e
seg. tré quegli che, mentre grida
contro il principio della finalità, lo
afferma là ove dice, per esempio,
l'essenza stessa della materia oi^anizzata
esser la causa prima della finalità?
Eccoci in pieno materialismo, e in
pieno sistema; tutto che i Positivisti
non vogliano esser detti né materialisti,
né sistematici. Ancora, io domando: se
per domma del metodo positivo nulla è
da accettare che non # sia guarentito
immediatamente o mediatamente da' fatti; perchè,
al di là de^ fenomeni e dell'
esperienza e delle leggi che se ne
traggono, voler credere in un obbietto il
quale, per inconoscibile che sia, é
sempre un' afferma- zione della ragione?
Domando: è egli atto di metodo positivo,
di critica, di ricerca, il parlare di
certo grande oceano qui vieni battre
notre rive, et pour lequd nous n'avons
ni barque, ni voiles, mais doni la
dcdre vision est aussi sahUaire que
formUàble? È egli atto di Posh tivismo
e di ricerca che sdegni qualunque
spiraglio di soprassensibile e di
soprannaturale, parlarci così d'un Infinito,
comecché non se ne riconoscano tutti
quelli air tributi che il fanno tale?
E se ponete la possibilità di conoscere
cotesto vostro inconoscibile per il quale
dite di non aver barca né vele
che bastino, ma la cui cMaroi visione
é pur tanto sàkiiare al pensiero; in
che maniera non accorgervi come tutta
la storia della filosofia non altro
sia stata per tutt'i secoli scorsi
fuorché una serie di risposte, per
così dire, a cotesta medesima domanda che
neanche voi dite illegittima, né strana?
Sarann'elle erronee tali risposte: ne potrò
convenire. Ma saran tutte errori da
farne proprio tavola rasa? Da siffatte
considerazioni ci é dato trarre una
con- seguenza. Nel Positivismo oggi
avverasi una legge; quella legge che
accompagna sempre ogni novello indi- rizzo
nella filosofia, eh' é dire l' opposizione
nel seno % stesso del sistema. Ecco
una ragione di più per dichia- rare,
che dunque il Positivismo è un
sistema come tutti , gli altri !
La cagione profonda, dice il Littré,
che divide / il Comte dal Mill,
è il punto di vista psicologico e
logico nel quale s'è messo il filosofo
inglese, e la definizione reale, obbiettiva,
non già formale né psicologica, con
che si presenta la scienza nel
filosofo francese.^ Ora se il Po- sitivismo
inglese è principalmente un formalismo
logico, , e il Positivismo francese è
essenzialmente un empirismo ! storico; ne
viene di conseguenza che, in virtiì
della stessa critica positiva, noi dobbiamo
riconoscer legit-^ tima una terza forma
di Positivismo, la quale sappia sebi-
< vare i difetti proprii dell'una e
dell'altra maniera esclu- siva di Positivismo,
e insieme serbarne tutti i pregi.
Tale
appunto sembra a noi la filosofia
positiva
italiana
inaugurata dal Vico nel campo delle scienze
morali,
e, prima di lui, fondata già dal
nostro Galilei
con
ogni splendore di sapere nel regno
delle scienze
naturali
e fisiche. Di quest'ultimo non parleremo.
E
non ne
parleremo, à perchè non possiamo entrare
in
fisica,
e sì perchè ne abbiamo altra volta
discorso.* Bi-
sogna dunque
far capo dal Vico, giusto perchè nel
con-
cetto della
scienza che ci è dato trarre dal
tutt' insieme
delle
sue dottrine, la ricerca storica e la
ricerca psico-
logica e
logica includono già la esigenza d'una
conci-
liazione,
d'una compenetrazione in un tutto, per
così
dire,
organico e compatto. Nel Comtismo, come
s'è
detto,
queste due ricerche scompaiono, e si
riducono
ad una
sola. Nel Positivismo inglese elle sono
distinte,
anzi
diciam pure separate da ogni altra,
né si sa
come
annodarle insieme.' La ricerca, dunque, che
serbi
carattere veramente scientifico e positivo
non
* Vedi
«Situare MiU et la PhU, PotUive.
Paris, 1867, pag. 11.
"
Vedi Della Filoeojia Pontiva di Galileo
Oalilei, Bologna, 1868.
' Vedi
Syttòme de Logiqw, Tom. II, pag. 436.
può essere,
né assolutamente storica, né assolutamente
^
logica
e subbiettiva. Concetto e
Fenomeno, Vero e ^
Fatto,
(direbbe il Vico) s' hanno a
convertire perché
SODO
due strumenti indirizzati ad unico fine,
e come
tali
potranno generar la scienza. Vera filosofia
positiva,
dunque,
vero metodo positivo sarà e dovrà
essere, non
quello
che esclude, sì quello che include
tanto la ricerca j
in
senso storico e sperimentale proprio del
Positivismo \
francese,
quanto la ricerca logica, la critica
de' concetti, (
secondo
V esigenza del Positivismo inglese. Ora
solo nel '
filosofo
italiano é la correzione, il compimento
e il con-
nubio
legittimo de' due contrari indirizzi, come
vedremo.
Ho
detto che il Positivismo inglese per
alcuni riguardi
avrebbe
più immediata relazione con la filosofia
del Vico.
Tal
relazione sta nel modo col quale si
considera la
natura
del metodo in generale. E chiedo
permesso d' in-
sistere
ancora un momento sopra cotesto
particolare.
Stuart
Mill pone un domma metodico che noi
accettiamo
di
gran cuore. Nella scienza morale, nella
scienza del-
l'uomo, egli
crede necessario un metodo costituito d'un
doppio
processo; in quanto che la verificatone
a poste-
riori deve
procedere PARI PASSU con la dedtmone
a
priori.
* Perciò osserva: « il fondamento
della nostra •
confidenza
in una scienza deduttiva concreta non
è U ra-
ffionamento
a priori stesso, ma V accordo de
suoi resul-
tati con
quelli déW osservazione a posteriori.* »
Queste
per noi son parole veramente d'oro. È
pensie-
ro fecondo
pieno di verità che troviamo applicato
e legit-
timato nelle
indagini, in tutte le indagini fatte
dal nostro
Vico.Dov'
é proprio il difetto del filosofo
inglese? Anche
lui
come il Comte, benché sott' altro
rispetto, predica
bene,
ma razzola male. U grave diietto
dell' illustre
* Vedi
.S^. éU Log. Voi II, pag. 4C2.
* JUd.
Pag. 490.
Stuart
Mill sta nel non avere un concetto
compiuto
della
storia. Il suo Positivismo anzi manca
affatto del
senso
della storicità. Quel suo a posteriori,
o non è pro-
cesso, 0
al più è un processo tutto formale,
e tutto sub-
biettivo.
Come dunque può salvarsi dal formalismo?
Bi-
sognerà
quindi confessare, come il Positivista
inglese non
possa
riescire ad applicare storicamente la sua
verissima
e
bellissima sentenza metodica poco fa
rammentata.
Ma se
por questo rispetto ci allontaniamo dal
Mill,
per questo
medesimo ci accostiamo al Comte. Perocché
quantunque
il pensiero in questo filosofo non
faccia
che
raccogliere, adunare, disporre e indurre;
non per-
tanto in
lui troviamo il concetto della storicità
benché
in
maniera affatto empirica. Nel Positivismo
francese
sono
confuse in un tutto logica, psicologia,
sociologia,
storia,
biologia e simili. Mi spiego. Il
Comte è o si
dice
inventore d'una teoria storica applicata
allo svol-
gimento
della scienza e della società. La
parte nuova,
r
originalità di tale dottrina (se si
vuole) starebbe in
questo;
che fira la legge storica e il
fine o risultato
della
scienza, c'è compenetrazione, equazione. E
vera-
mente, in
che consiste la scienza secondo questo
filo-
sofo?
Consiste nel resultato complessivo totale
delle
diverse
discipline. E qual'è lo stato ultimo,
il terzo
periodo
dello svolgimento storico? È lo stato
positivo; che
vuol
dire, l'esclusione assoluta del teologismo,
del dom-
matismo
e della metafisica in generale.^ In
tutto que-
sto c'è
un pregio; ma e' è pure un
grave difetto. Non
trattasi d'
un vizio di formalismo logico, come
nel Mill;
trattasi
proprio d' un difetto, d' una manchevolezza
la
quale
consiste non soltanto nel formular quella
legge
storica,
ma anche nel modo ond' ella viene
applicata,
* Vedi
CoMTB, Principi» de PUH. Potitive, Paris,
1868, Première
Lc^on,
e gli scritti del Littró sopra
citati.
vo'dire
nell'uso che se ne fa. Se il
terzo periodo del
sapere
è uno stato assolutamente positivo; la
filosofia
non
altro sarà fuorché il puro efietto
della scienza ogget-
tivamente
considerata, e così tra scienza e
filosofia non
avremmo
ombra di diiFerenza. E in tal caso
quale sarà la^
conclusione?
Questa a punto: essere impossibile una
me-
tafisica. Né
solo impossibile come scienza assoluta,
come
scienza
a priori, sì pure come scienza
fondata su la psico-
logia, ma
avente un fine diverso e superiore a
quello delle
altre
discipline : ed eccoci nel nullismo !
Inoltre ci è da
osservar
questo. I Positivisti francesi dicon che
tutte
quante
le scienze passano per tre fasi:
teologica, meta-
fisica,
positiva. A tal proposito Stuart Mill
ha chiesto :
quando
mai la matematica, per esempio, s' é
trovata nello '
stato
teologico? Quando mai s' è creduto che
se le due
parallele
non s'incontrano, non possano incontrarsi
salvo
che
per volontà di Dio? *
CJotesta
legge storica, dunque, se dall' una
parte è
essenzialmente
empirica, dall'altra é male applicata.
Né poi
col dichiarar cotanto impotente la ragione,
com'essi
fanno, potran salvarsi dal contraddire ad
un
principio, eh' io credo verissimo, e
che non appar-
tiene
esclusivamente alla loro scuola. Chi
consideri^'l
principio
ond' è guidata la classazione e la
disposi-
zione delle
scienze secondo i Positivisti, può agevol-
mente
accorgersi come in essa il processo
sia que-
sto: un
andare dal di fuori, per così
esprimermi, al
di
dentro; dall'astratto indeterminato, dal vago
ge-
nerale,
all'universale concreto, determinato, specicde;
in
somma, un andare dal semplice al
complesso. Tale
è il
processo nel corso, sia logico, sia
storico, delle
sei
scienze, a contar dalla semplicissima
scienza de'nu-
* Vedi
Stuart Mill, A. Comte et U
PotitivUme, Paris, 1868, pag. 51.
meri,
che di nessun' altra abbisogna, lino
alla Socio-
logia eh'
è tanto complessa da supporre la
Biologia,
la
Chimica, nonché la Fisica con le sue
altre cinque
suddivisioni,
l'Astronomia, e la Matematica con le
sue
tre
sottospecie, e via discorrendo.' Or io
domando : se cia-
scuna
scienza, se tutte le scienze procedono
secondo la
suddetta
legge, perchè mai giunti al pensiero
debb'ella
cessare?
Perchè, dic^, non protrarre la ricerca
e quindi
imprimerle
forma davvero filosofica? La filosofia^
essi
dicono,
è scienza ultima. Ma appunto perchè
ultima,
io
rispondo, ella potrà esercitare funzioni di
prima!
Ripeto,
adunque, se al Positivismo inglese fa
difetto il
senso
della storicità, cioè la viva realtà
storica in quanto
processo;
al Positivismo francese manca il senso
della
psicologia
come scienza immediata, come immediata
condizione
della storia. Vero metodo, e quindi
vera filo-
sofia
positiva, sta nel porre e nel sapere
organai^e in una
sola
funzione tanto il processo storico, quanto
il processo
psicologico.
Questa è la posizione originale del
metodo
filosofico
davvero positivo. E questa è la
posizione del
Vico,
della Scienza Nuova, e però della
buona filosofia
italiana.
Nessun
Positivista che sappia e voglia rispettar
la
logica
vorrà dubitare, come certe pretensioni
delle loro
dottrine
contraddicano apertamente all'esigenza stessa
del
Positivismo. È egli un processo positivo,
o non più
tosto
essenzialmente negativo l'escludere, per esempio,
o
l'arrestare
in qual si voglia mo^o la ricerca?
Tornando
dunque
al pronunziato fondamentale del Positivismo
francese,
io dico che se ci è una legge
nella storia come
nel
pensiero, cotesta legge non è, non
può esser pro-
priamente
quella dataci dai Positivisti francesi. 11
pe-
* Vedi
A. CoMTB, Syttime de Politique Ponthe.
Tom. II, e nella Phil.
Po9Ìtive,
Première Le9on.
riodo
0 stato positivo non deve risultare
negativo, come
in
sostanza accade nel Positivismo. Vuol
essere anzi^
realmente
positivo, cioè razionale, filosofico, non teolo-
,,
gico,
né metafisico. Ed è la filosofia
positiva italiana
che
sola può correggere il concetto storico
del Comti-
smo;
perchè scoprendo ne' fatti la vera legge
storica, o
sociologica
che voglia dirsi, e liberandolo dall'empi-
rismo, la
storia non sarà, com' è pur troppo
pel Comte,
un
duro letto di Procuste secondo che ci
dicon gli stessi
francesi.
E
veramente, quant' alle applicazioni storiche,
in
generale,
a me pare che la Filosofia positiva
italiana
superi
di gran lunga il Positivismo. I
Francesi aspet- T"
tan
tutto dalla storia. Essi riguardano l' uomo
princi-
palmente
come essere morale e sociale: nel
che, com'è
noto,
rasentano il socialismo, e in questo
ci conferme-
rebbero
tanto gh studii del Comte, quanto, e
più an-
cora, r
influsso del Sansimonismo sopra di lui,
dal quale
invano
il Littré s' è sforzato difendere il
maestro.* Il
fatto
sociale, secondo una vecchia idea tutta
francese,
presentasi
a questi filosofi come un organismo
compatto
e
simmetrico; in una parola, com' una
gerarchia. Di
qui la
necessità d'un potere morale: di qui
una reli-
gione, una
morale, un' educazione pubblica, e simili.
Il
Positivista
inglese poi, conformandosi anch' egli al
vec-
chio genio
e all'indole del suo popolo, romperebbe
neir
estremo opposto, se volesse esser
conseguente a sé
stesso,
e se il gran buon senso di
Stuart Mill non trion-
fasse talora
delle sistematiche dottrine. Considerar la
scienza
come produzione soggettiva e logica; porre
ad
oggetto di'
essa innanzi tutto l'uomo, non come
essere
sociale,
storico, essenzialmente relativo, bensì come
uomo,
come individuo, come soggetto: tutto ciò
fa pre-
* Vedi
LiTTEÉ, X. Comte et la PhU, Potitive,
Pag. 118 e seg.
cipitare
logicamente nell' Individualismo; in tma
specie
di
disgregamento sociale, eh' è appunto la
negazione
del
Socialismo.* Nel Positivismo francese la
società è di-
namismo
esagerato; nell' inglese, per contrario, è
esage-
rato
meccanismo. Or anche qui la Filosofia
positivaj
italiana,
per esser davvero positiva, è chiamata
a porrei
in
armonia l' Individualismo e '1 Socialismo,
mercè uns
nuovo
concetto antropologico; voglio dire mediante
ilj
concetto
della Psicologia storica, i cui principii
troviamo!
solamente
nella Scienza Nuova.
Da
questi brevi riscontri emerge sempre pia
chiara
una conseguenza.
Dove nel Positivismo inglese non è
pos-
sibile una
filosofia o scienza della storia; nel
Positivismo
francese
cotesta scienza è possibile, ma unicamente
nel
senso
empirico. Quante filosofie storiche in
Francia dal
BossuetalGomtel
Ma se in Inghilterra abbiamo discorsi
storici
e monografie storiche e ricerche e
critiche e rac-
conti
storici che si potrebbero paragonare, come
s'è fatto,
a que'
di Machiavelli e di Tacito; filosofie
e scienze della
storia,
sono titoli ignoti ne' lor libri.
Tommaso Buckle,
che
pur volle provarcisi ne' cinque capitoli
della introdu-
zione alla
sua storia dell' incivilimento in
Inghilterra,
ad
altro non riuscì che alla negazione
della filosofia
della
storia, checché ne dicano i Positivisti
inglesi.
.\bbiamo
notato come nelle due forme di
Positivi-»
smo ci
sia differenza, e quindi esclusività anco
nel con- .
cetto
della Sociologia. Se infatti nel
Positivismo francese ;
la
psicologia è essenzialmente storica, e
quasi una pagina
aggiunta
alla Sociologia; movendo da un tutto
empirico,
cioè
A2\ fatto della comunanza sociale, giugno
air uomo.
*
Nella stirpe Sassone prevale il sentimento
della iDdividualità. L'at-
tività
inglese In rapporto air universale si
appoggia sempre sopra so
medesima,
come ha osservato Hegel: An 9ich
teWer feathcUtenden Indi-
vidualiUtì,
e
trova Y uoma ad essa congiunto per
intimo legame.
Sociologia,
dunque, è psicologia; perchè uomo vai
società
innanzi
tutto. Nella Sociologia v'è lo stato
o il momento
statico j
e v'è lo stato o il momento
dinamico. U mo-
mento
statico non è altro che biologia ;
per cui gli uo-
mini son
fra loro quello che le formiche e
i castori, e
quindi
la biologia, s' altro non vi fosse,
servirebbe a spie-
gare la
società. Ma la società è altresì
storia. DaUa storia
sorge
immediatamente, essenzialmente, la psicologia.
Se
dunque la Sociologia, come stato statico,
rampolla
dalla
Biologia ; come stato dinamico emerge
dalla Sto-
ria, e
però dalla Psicologia.* Al contrario nel
Positivi-
smo inglese
la psicologia è indipendente, troppo indi-
pendente
forse dalla storia ; però ne seguita
che la
Sociologia
altro non possa essere fuorché una
semplice ap-
plicazione
meccanica, e quasi una sovrapposizione di
essa.*
Di qua
gli errori sociologici delle due contrarie
posizioni.
Nell'una
abbiamo logicamente un potere pubblico che
non
conosce limiti; e quindi una gerarchia
sociale.^
Neil'
altra abbiamo la teorica dell'
Individualismo so-
ciale, ma
temperata, ripeto, dall'ingegno temperatissimo
del
Mill. Or qui l' accordo, vo' dire il
positivo, in che
deve
consistere? Deve consistere, al solito, nel
negare il
concetto
della sociologia tanto come semplice
applica-
zione della
nuda psicologia, quanto come appendice del
semplice
fatto storico. E siffattamente nell' ordine
delle
dottrine
storiche e sociali potremo liberare la
scienza
tanto
dall' arbitrio individuale e tutto
relativo, quanto
dalla
necessità empirica e tutta fisiologica
della storia
com'è
intesa dal Socialismo in generale.
Rispetto
poi al problema del sapere filosofico,
abbia-
mo notato
che nel Positivismo inglese la filosofia
toma
* Vedi
CoiiTB, Politique PotUivé^ IT. Littbì nella
risposta al MiU.
•
Stuart Mill, A. Comtt et la PhU. Po$itive, pag. 97.
Siciliani.
2
possibile
sol quando la logica siasi potuta
elevare a sistema ; parola che per il
Mill suona ordine di concetti : mentre
nel Positivismo francese eli' è reputata possibile
unicamente laddove tale ordinamento possa immediatamente
rampollare dalla scienza stessa. Di qua proviene
che la condizione di ciascuna e di
tutte le discipline, per i positivisti
inglesi, sia la logica; stante che
tutte le discipline sono sommesse air
autorità della logica : IHrar consegtienee
è U grand' affare della vita.* Pel filosofo
francese, in vece, le scienze procedono
indipen-
denti così,
che non son esse che abbian bisogno
della lo-
gica, ma
è anzi la logica che abbisogna delle
scienze. In altre parole: il soggetto
abbisogna dell'oggetto, e le idee
abbisognano dei fatti e dell'esperienza, di
cui non sono altro che la riproduzione
fedele.' Che cosa dun- que è da
concludere? E da concludere questo: che
dove il criterio del vero nella prima
posizione è bensì nel soggetto ma a
maniera d' aggiunta, cioè come dote formale,
estrinseca, acquisita (logica) ; nella
seconda posizione, al contrario, tale criterio
risiede nelle stesse scienze, in quanto
elle vannosi organando sotto V imperio d'
una legge storica, e consiste nel
modo onde i fatti fisici, chimici,
fisiologici, sociologici si succedono e aggruppan
fra loro con iscambievoli relazioni.' Posto
così il criterio del conoscere filosofico,
accade questo. Nel Positivismo inglese la
funzione conoscitiva che inaugura la
scienza, è l'induzione: la quale appresso rimane
quasi fosse un mezzo, un istrumento
in quanto viene associata alla deduzione,
eh' è facoltà nuova, ma' sempre di
natura formale. Nel Positivismo francese, i per
contrario, la funzione conoscitiva è
sempre una; * Stoabt Mill, Sy^tème de
Logique, Tom. I, pag. 9, § 5.
*
LiTTRé, Risp. al Mill, pag. 10.
*
CoifTK, Pkitol. Positive. Deuxième Le9on.
sempre
la stessa nella sua essenza. Comincia
induzione
e
finisce induzione. E se pur veste
forma deduttiva, ella
v'
inganna; stantechè la sostanza è, e
dovrà esser sempre
di
natura induttiva. È, in somma, una
deduzione essen-
zialmente
induttiva, se cosi posso esprimermi.'
Talché
il
Comte, non essendosi in questo mostrato
sempre con-
seguente a
se stesso, è stato corretto dal
Littré, come
quegli
eh' è venuto imprimendo valore strettamente
po-
sitivo al
metodo che il maestro appellò
stibbiettivo,^
Or
anche qui è necessaria una terza
posizione cri-
tica. Il
positivo non istà nel negare la
logica in grazia
delle
scienze, o nel ridur V una a
meschino anello delle
altre.
Saremmo, al solito, nell' esclusivo, e
nel negativo.
Sta
bensì nel mostrare come né la prima
né le seconde,
di per
sé medesime e separatamente, possano esser
filosofia.
11 monismo, sentenza che avremo a
ripetere
a
sazietà, non dà che monismo. Al solo
dualismo è con-
ceduto uscir
dall'identico vuoto, dal monotono, e por-
gere scienza
verace e positiva. ^
Da
ultimo, altra differenza vitale tra il
Positivismo
francese
e il Positivismo inglese abbiamo detto
essere il
modo
ond' è considerato il punto di vista
positivo. Pel
Positivista
francese lo stato metafisico nega lo
stato teo-
logico ;
e V uno e l' altro sono addirittura
e necessaria-
mente negati
dallo stato positivo. Al sorgere dell'
uno,
* Vedi
LiTTRÉ, A. Comte et la Phil. Ponit.,
pag. 532.
* Nel
Comte si manifesta chiara la tendenza
alia Filosofia. Lo di-
mostra,
per citare un esempio, il bisogno eh' e'
sentiva di congiungere
al
metodo obbiettivo il metodo sufobiettivo:
Notre cfnutUution logique ne
gnurait
ètre compia et durahle que d* aprle
une intime combinaieon dee
deux
mithodee. {Politique Ponitivc^ pag. 444*1.)
Per il Littré cotesto domma
del
sno maestro è peccato assai grave.
(Vedi A, Comte et la Phil. Poeitive,
pag.
532. e seg.) Per noi sarebbe stato
pregio singolarissimo, se il Comte
fosse
giunto a combinare in modo razionale
i due metodi. Co.munque sia, bi-
sogna tener
conto di qnesta tendenza metafisica ch'egli
manifesta nel porre
la
necessità d'un doppio metodo in
Sociologia.— Vedi Op. Voi. IV, Lez. 48'.
in
somma, deve sparir l'altro. Questo è
il concetto origi-
nale del
Gomtismo. Ora tal concetto.è risolutamente
repu«
diato
dal Mill. « Il modo positivo di
pensare, egli afferma,
non è
necessariamente una negazione dd
sopranaiuràle....^
Se
Vuniverso ha avido un cominciamento, U
suo comwi'
ciamento
per le condizioni stesse dd fatto è
stato sopra-
naturale}
r^ Qui non v' è compromessi, né
concessioni che
bastino. L'
opposizione è troppo aperta perchè non
risalti
agli occhi di tutti. Il Comte nel
suo terzo periodo
non fa
che negare la filosofia; e il Mill
risponde molto
a
proposito quando dice che il modo
positivo dipemare
non
istà nel negare, bensì neir affermare.
Ma, come
affermare?
Ecco un altro difetto del Mill. Egli
afferma,
è
vero, il soprannaturale ; ma evidentemente
V afferma
in
maniera tutta empirica. Non potremmo dunque
ri-
torcere
contro di lui le sue stesse parole
dicendo, che
it
modo positivo di pensare non istà néW
affermare em-
piricamente,
cotesto sopranaturale, nelP affermarlo, cioè,
col
buon senso inglese, ma si nell'
affermarlo, s' è pos-
sibile, in
guisa razionale e cosciente? Vedremo entro
quai
limiti sia questa appunto la posizione
del Vico.
Or che
abbiamo notato analogie e differenze fra
le
due
forme di Positivismo che oggi si
coltivano, e ar-
gomentatane,
in forza del medesimo principio positivo,
la
necessità d' una terza forma di
filosofia veramente
positiva;
giova far poche osservazioni rispetto a
.certi
positivisti
i quali fan le viste di non
voler essere pro-
priamente,
né inglesi, né francesi. E veramente
a tutta
prima
non parrebbero tali, perché non ardiscon
du-
bitare della
possibilità d'un sapere metafisico; ma a
guardarli
bene in viso, riescono anch'essi ad
un misto
dell'una
cosa e dell'altra, che vuol dire son
sempre
*
Stuart Mill, A, OomU et le
Pontivieme^ pag. 15.
positivisti.
Di questi in Italia ne abbiamo a
josa. E ne ab-
biamo a
josa tanto più, quanto che aman
chiamarsi ora
critici,
ora scettici prudenti, ora storici-filosofi
e che so
io; ma
non soffrono per nulla d'esser detti
metafisici, filo-
sofi, e
nemmanco veri e propri positivisti. Costoro
dun-
que vonn'
esser battezzati col titolo che si
meritano: del
qual
titolo non si potranno menomamente
lamentare e
tenercene
broncio, perchè li designa per quel
che sono,
e per
quel che valgono. Appelliamoli dunque
filosofi dd-
V
avvenire. Essi hanno fede nell'attività
profonda, inces-
sante dello
spirito, della storia; hanno fede nel
presente
progredire
delle scienze: però hanno fede in una
filo-
sofia; ma
in una filosofia eh' è di là da
venire, perchè
di
cotesto lor filosofare positivo altro non
ci han sa-
puto dire
fin qui ne' loro opuscoli e ne' loro
articoli da
giornale,
se non eh' egli verrà, e verrà
di sicuro 1
Cotesto
non è linguaggio seno. Non è
linguaggio
d'uomini
che dicono d'aver fede nelle forze di
ra-
gione. La
filosofia è scienza, ma è altresì una
religione,
per
chi voglia intenderla sul serio. Com'
è naturale, dun-
que, alla
contraddizione essi aggiungono, senz'accorgersi,
r
equivoco. Perocché cotesta attività dello
spirito, cote-
sto vantato
concorso di forze e divisione del
lavoro, non
ha
egli pure i suoi confini? Le scienze
speciali (si dice) _
non possono
uscire dalla loro sfera speciale per
elevarsi
àUa
ricerca delle r dazioni generali^
senz'annullarsi. Ora,
io
domando : se nessuna scienza in
particolare può avere
cotesta
pretensione; pò trann' averla tutte insieme? Ecca
il
problema che i neopositivisti, checché ne
dicano, non
hanno
peranco risoluto. D' altra parte i
filosofi (essi
soggiungono)
col continuo divagare nel mondo delle
ipotesi
e dell' a priori, non son capaci
neanch'essi a
darci
buona e positiva filosofia. Dunque, io
concludo
(e
badino alla conclusione cotesti fibsofi
dell' avvenire)
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22
INTBODUZIONB.
che né
per opera delle scienze, né per opera
dei me- •
tafisici
potrà nascere mai il vero filosofare.
Non può.)
nascere
dalle prime, come farfalla dal suo
bozzolo,
perché,
ripeto, ciascuna scienza, secondo che ci
dicono i
neopositivisti,
annullerebbe sé stessa nel momento stesso
che
presumesse trapassare i propri confini.
Tanto meno
poi
nascerà per opera de' filosofi metafisici,
essendo or-
mai un
fatto innegabile la loro impotenza,
attraverso
ventidue
e più secoli di speculazione, come ci
ricantano
da un
pezzo essi stessi gli Avveniristi in
filosofia!
La
conseguenza, al solito, è a bastanza
chiara: la
filosofia
essere d' ogni parte impossibile ! Oh
perché
dunque
baloccarci con le vantate forze di
ragione, con
questa
gonfiata attività del pensiero e della
storia? Non
è
dunque vero che contraddicendovi miseramente
non
potrete
dirvi nemmanco filosofi dell'avvenire, ma
scet-
tici d'un
presente che sdegnate e d'un futuro
che igno-
rate? Per
esser davvero positivi, é d' uopo
cominciare a
render
attuale quel che si crede possibile.
Cominciatela I
a
fare, dunque, co testa benedetta filosofia
s' egli é veroj
che
avete fiducia nella sua possibilità! Un
possibile che
non si
raggiunga mai, domando, non é per ciò
stesso
un
impossibile addirittura?
Ma noi
(soggiungono) non amiamo trastullarci con
le
ipotesi su'principii e su' fini delie cose!
E qui i
filosofi
dell'avvenire mi rendono immagine di chi,
pur
volendo
ad ogni costo imparare il nuoto, a
nessun patto
vuol
piegarsi ad entrare nell' acqua per
paura d' an-
dare a
fondo! Ora a me pare che l' operosità
veramente
critica
e positiva, non istia già nel guardar
con le mani
in
mano chi é nell'acqua e si sforza
al nuoto, ma nel
buttarsi
giù e lottare con l' acqua, e con
sé medesimo.
In
altre parole, non istà nel lasciar
fare alle scienze e
alla
storia, ma nel fare noi stessi
qualche cosa; nel far pronto, energico,
fiducioso, in bella compagnia con #
la
storia, e con le scienze.
Se non
che, rammentando una vecchia sentenza, ci
ri-
petono: la
filosofia non può elevarsi cdle relazioni
gen&rcili
sema
ilfondamerUo d^ particolari, ^eperò si richiedono
a
vicenda.
Precisamente questo 1 io rispondo. È
appunto co-
testo
richiedersi a vicenda che costituisce la
condanna
de'
filosofi dell' avvenire. Se le scienze,
come s' è detto,
non
possono esser filosofia senz' annullare sé
stesse ; la
filosofia
non può a sua volta assumer carattere
posi-
tivo, senza
l'aiuto efficace delle scienze. Dunque?
dun-
(ine
non è per nulla vero (badisi alla
conclusione) che
la
filosofia abbia a nascere^ che abbia
a germogliare
propriamente
dalle scienze. È vero bensì che
queste
varranno
ad eccitarla, a determinarla, a sempre
più
fecondarla,
anche a correggerla, ma non costituirla.
Persuadiamoci:
per nessun miracolo al mondo, e in
verun
ordine di cose, il numero è valso
mai e mai
non
varrà, come numero, a darci l'unità.
Fu e sarà
sempre
pazzia il pretendere che dal meno
s'abbia a
cavare
il più. Mi spiego brevemente.
In tal
questione abbiamo, per così dire, due
poli;
scienze
di là, e filosofia di qua: quelle
inefficaci, e
questa
impotente. Donde ha da partire lo
scoppio della
scintilla?
I Positivisti dicono, dal primo polo:
i Me-
tafisici, e
a prioristi assoluti, dal secondo. La
filosofia
positiva
risponde : né dall' uno, né dall'
altro. La scin-
tilla
scoppierà dall'incontro, cioè dal contrapporsi
di '*
essi. S'
egli è così, la conseguenza chiara,
evidente che
ne
scende, è questa: La filosofia non è
una specie di
appendice
o di giunta alle scienze, come
pretendono i
Francesi.
Non è un formalismo logico vuoto,
come si
pensano
i nepoti di Francesco Bacone. E
nemmanco
una
costruzione tutta a priori, assoluta e
indipendente
dalle
scienze, come pretendono gli Hegeliani. I
nepoti
del
Galilei e del Vico, per contrario,
credono che l'in- '
gegno
filosofico valga qualcosa anco per sé
stesso. Cre-
dono eh'
ei sappia in qualche maniera alimentarsi
e vi-
vere anche
da sé, e in sé medesimo. Se da
una parte I
r
ajpriorismo assoluto è vuotaggine (e qui
siamo co' po-
sitivisti);
credere, dall'altra, che la filosofia abbia
a ri-
sultar tutta
quant' è dalle scienze alla maniera d'
una
formula
chimica' dalle sole analisi ed esperimenti
chi-
mici, più
che vuotaggine cotesta per me é
ignoranza.
Così
la scienza, ripeto, sarebbe non più
che un aggre-
gato
meccanico, un aggregato inorganico e senza
signifi-
cato
razionale. Porre fondamento, adunque, non
vuol
dir
nascere o risultare: non vuol dire
che l'una cosa
sia
cagione e tutta la cagione deli'
altra, la quale poi
ne
sarebbe 1' effetto. Vuol dire benà
che la prima è
tanto
necessaria alla seconda, quanto la
condizione al
condizionato.
È la carrozza, sono i cavalli che
mi por-
tano in
giro. Ma se i cavalli mi portano,
son io che vado,
son io
che cammino, son io che corro, son
io che go-
verno la
quadriga. La ragione, la sola ragione
è l'auriga ì
di
quel cocchio di cui parla Platone nel
suo Fedro. 1
I
Positivisti, inoltre, stimano che tra
scienza e filo-
sofia corra
quella medesima parentela eh' é tra
'1 tutto e
le sue
parti. Questo dico e credo anch'io,
senz'essere
positivista
francese, inglese o americano. Ma cotesto
tutto,
domando,
è egli superiore, o inferiore, è
anteriore ovvero
resultante?
Anteriore, dicono i Dommatici. Resultante,!
affermano
i Positivisti. Né l'uno, né l'altro,
rispond' io. *
Se
resultante, mostrateci come saprete schivare
il pe-
ricolo di
darci un' enciclopedia, un ordinamento,
anche
ingegnoso
com' é la distribuzione delle scienze
fatta dal
Comte,
ma eh' è sempre ordinamento empirico;
stante-
che il
tutto non é vero tutto, ma é
tutto in quanto é
parti,
e però queste parti non sono elementi
organici di
quello.
Brevemente: la vostra gerarchia sarà sempre
un
accozzo,
non già un organismo attuale e
nemmeno possi-
bile: per
la semplice ragione che nella parti,
o, per
cosi
dire, nelle cellule ond' ei deve
resultare, non e' è
vita,
non metodo d'alcuna sorta.
Finalmente
i filosofi dell' avvenire consentono che
la
filosofia,
più die una raccolta e un dizionario,
abbia da
essere
una critica, cioè una continuazione del
lavoro delle
scienze,
elevatesi ad una sintesi, ad un
concetto superiore.
Ma,
ecco la difficoltà: come, senza un
criterio, elevare a
critica
r attività filosofica? Non è ella cotesta
un' altra
condanna
del Positivismo? Questo criterio noi
potrete
ricavare
dalle scienze, sia che le consideriate
numerica-
mente, sia
che complessivamente. Esse noi contengono
numericamente,
che altrimenti sarebbero già filosofia.
Noi
conterranno neanco nel loro insieme, perchè
baste-
rebbe, se
così fosse, accozzarle, basterebbe accostarle
in-
sieme, acciò
potessero comporre un organismo ; nel
modo
istesso
che T organismo della civil società,
secondo la
grossolana
dottrina dei giusnaturalisti francesi del
secolo
passato,
generavasi dall' accozzo delle volontà, non
si
sa
perchè né come, ond' essi caddero nel
meccanismo
sociale
del Rousseau. Senza un criterio non
v'è crìtica:
è
precetto elementare dì logicar, per non
dire già dì
buon
senso. Così pure la filosofia non può
esser consì^
derata
come corUintumone del lavoro détte scienze^
senza
cadere
nel difetto di ripetizione inutile,
infruttuosa. Il
concetto
superiore a cui sperate levarvi, non
è sintesi
vera,
bensì ripetizione d' analisi sotto mentite
sembianze
di
sintesi. Il concetto superiore, in
sostanza, è sempre
inferiore,
posteriore e quindi resultante. Dunque la
fa-
coltà
critica de' filosofi dell' avvenire non
è veramente
critica,
perchè non è veramente originaria, ma
derivata.
Qui
pervenuti, qualcuno ci chiederà: Qual
relazione ;
corre
tra Positivismo ed Hegelianisrao? C è
egli una re- ;
lazione?
Che
una relazione vi sia ce lo dicono
gli stessi odierni
hegeliani.
E se noi dicessero, basterebbe pensare
a che mai |
siasi
ridotta la loro estrema sinistra per
andarne con-
vinti. So
che a' Positivisti non piace chiamar
Positi-
vismo quel
nuovo Materialismo di Grermania uscito
da' fianchi
dell'Idealismo assoluto. Tal confusione ad
essi
non piace, perchè mentre il primo è
di per sé
stesso
una fiera protesta contr'ogni sorta
sistemi, il
secondo
(come di sopra toccammo) è un sistema
beli' e
buono.
Ma non son io che faccio coteste
confusioni: è
la
logica stessa. Dato che tra Feuerbach
e Littré, per
esempio,
sia differenza di metodo e di
principii (e il
divario
certamente è infinito), io chieggo: dov'è
poi
la
differenza ne' resultati? Io veggo
negazione dall' una
parte,
e negazione dall' altra : ecco tutto.
11 nuovo mate-
rialismo,
dunque, cotesto virgulto nato e cresciuto
nel .
giardino
dell' Idealismo assoluto, è l' anello che
pone una
relazione
fra il positivismo e 1' hegelianismo.
Tra' quali
perciò,
se profonda è la differenza nel
metodo, evidente
e
grande è la concordia ne' resultati e
nelle conseguenze
ultime.
Così che non ci reca nessuna
maraviglia il ve-
dere oggi
alcuni hegeliani scaldarsi tanto per
mostrare
a fil
di logica come i positivisti debbano
ormai consa-
crarsi
hegeliani, perocché l' hegelianismo altro non
fac-
cia che
compiere il positivismo: e positivisti, di
ri-
mando,
arrapinarsi fuor di maniera per convincere
gli
hegeliani,
che, a voler rispettare la logica,
non già il
positivista
in hegeliano, ma sì l'hegeliano abbiasi
a
trasformare
in positivista.*
* Il
Prof. Vera, VApotioìus Gentium dell'
hegelianisrao, come lo ap-
pella un
sao scolare, chiama il positivismo una
contrafazione dell' bege-
A me
qui non importa, punto vedere quale
delle
due
onorate e onorande schiere abbia ragione.
Solo
mi
giova far notare come gli hegeliani
ragionino e
sappiano
ragionare, quando segnatamente siano usciti
dal
nascoso mondo del pensiero puro, dove
per me (e
vo' credere
anco per loro stessi) concentrasi
tutto il
buio della
dialettica. Importa altresì notare
ch'essi
sanno
intendere la storia, almeno in gran
parte; che •
nella
storia hanno gran fede,
appunto perchè non;
l'hanno
perduta in sé medesimi: e, finalmente, che
non '■
solo
mostrano, ma dimostrano la legge del
progresso. .
Di
queste cose i positivisti, né sanno,
né vogliono far
nulla.
E in ciò l' intervallo che li separa
dagli hege-
liani é
davvero infinito. Ma quant'a resultati e
a con-
seguenze,
ripeto, ei s' assomigliano come due
gocciole
d'acqua.
Per qual ragione? C'è una ragione? Ci
deb-
b' essere.
Gli uni distruggono col negare, col
non fare;
gli
altri distruggono con l' affermare sciorinando
quella
compatta
e fittissima rete dialettica nella quale
si ri-
sica di
restare impaniati, se ali robuste non
ci soccor-
rano. Non
credo, infatti, che sia per mera
accidenta-
lità storica
se quasi in un medesimo tempo, con
la
difi'erenza
di pochi lustri, abbiano cominciato a
regnare
questi
due sistemi, o metodi, o indirizzi di
filosofare
che si
voglian dire. I positivisti anzi ci
assicurano come
una
delle cagioni del sorgere del positivismo
fosse ap-
punto la
stanchezza, la noia dello spirito moderno
verso
le
annebbiate speculazioni germaniche: nella quale
sen-
tenza ci
confermerebbero quegli hegeliani divenuti oggi
lianìsmo.
(Vedi Phil. de VÉsprit. Introd, pag.
LXIX.) Ai Comtisti certo
non
piacerà questa parola del Vera, perchè
si rammentanq della sentenza
del
loro maestro: L* hegelianismo è nn
fitichUme généraliU et gyttematUé,
enveloppé
d*un appareil doetoral propre à donner
le ohange au vulgaire.
— Vedi
CoMTK, dmr» de Phtl Pont, Voi. V,
Lez. 52% pag. 4'2.
schietti
positivisti. Ma, lasciando delle relazioni
storiche,
non è
difficile ritrovare un' attinenza ideale
fra i due si*
sterni.
Altra volta vennemi detto, adoperando una
figura,
la
quale non dispiacque, che l'Hegeliano, a
ben guardarlo,
non è
altro che un Positivista in guanti
gialli: nel modo
ìstesso
che il Positivista è un Hegeliano
vestito da con-
tadino. £
veramente, se il positivismo giugnesse ad
aver
coscienza di sé e diventare filosofia,
pensiero me-
tafisico,
speculazione; e' non potrebbe non riescire
ad
altro
che all' hegelianismo. So che questo
discorso non
andrà a'
versi di certi positivisti cui troppo
ripugna
sentire
affermare (come infatti affermava poco fa
un
Hegeliano)
che il positivista, pur non volendo,
prima o
poi ha
da cascare nell'idealismo assoluto, e molti
vi sono
di già
cascati.
Né é
da meravigliarsene ; perché, ripeto, se
il posi-
tivista si
risolverà a farla da filosofo, recando
ia atto
quella
filosofia che alcuni di loro credono
pur possi-
bile ;
r unica porta eh' e' si troveranno
dischiusa di-
nanzi agU
occhi, altra non potrà essere salvo
che
quella
che mena all'Idealismo assoluto. Se da
una
parte,
infatti, si reputa possibile cotesta
filosofia, e dal-
l' altra
la si desidera di tal forma e
di tanta perfezione
e
certezza da non invidiar punto l'
eccellenza della geo-
metria; qual
edifizio più stupendo e più saldo e
più
geometricamente
ordinato e compatto della dialettica
hegeliana?
Qual' orditura più razionale e tale che,
al
pregio
inestimabile della universalità e della
compren-
sione,
sappia congiungere una mirabile semplicità
e
faccia
insieme conseguire una soluzione compiuta
in
ogni
problema che agiti la mente umana?
Ma e'
é di più. A chi ben consideri, l'
Idea degli
hegeliani
è il Fatto stesso dei positivisti ;
ma il Fatto guar-
dato in
sé, il fatto considerato fuori le
condizioni del
tempo
e dello spazio, cioè come legge. Al
contrario,
il
Fatto de' positivisti è V Idea hegeliana,
ma Videa
considerata
fuori di sé, V Idea come tempo
e come
spazio,
come natura e come storia, come
fenomeno,
0 al
più, come fenomeno determinato in una
legge,
ma
legge sempre fenomenale, perchè intrinsecata
pur
sempre
col tempo e con lo spazio.
Brevemente: il
fatto,
che il positivismo corona e mitria
come assoluto
signore
della scienza, è V idea in quanto
è legge a sé
stessa,
in quanto è legge in sé. La
formula del Positi-
vismo (fatto
e legge del fatto\ che con tanta
sazietà ci è
stata
predicata e ci si predicherà ancora
per un pezzo,
non è
se non Tldea guardata nella sua
superficie sen-
sata. La
legge dd fenomeno^ ha detto Hegel, è
la cosa
in se,
in quanto è apparsa neW esistema.
Depuratelo
cotesto
fatto; studiatevi di mirarlo in se
stesso, in tutta
la sua
nudità; poi rivestitelo, rimpolpatelo, fatelo
cam-
minare,
fatelo procedere, consideratelo a traverso
le
diflFerenti
sue stazioni, rilevandone sempre la legge iden-
tica,
necessaria, universale, fatale : e così
avrete,-siatene
certi,
una forma d' Idealismo assoluto, la quale,
se non
è
quella di Hegel, poco ci mancherà. La
differenza,
dunque,
tra l'uno e l'altro indirizzo, è
questa: dove
il
Positivista dice : Tutto è Fatto e
l^ge del Fatto ;
l'Hegeliano
risponde: Tutto alla fin fine è Idea
e legge
dell'Idea.
Però il secondo ha più coraggio del
primo,
e
dice: «Non vi spaurite 1 la mia Idea
è precisamente
quello
che nelle vostre mani diventa Fatto :
voi la guar-
date con
gli occhi della fronte, e la
ricercate col micro-
scopio, col
telescopio, con le bilance, co' reagenti,
perchè
ne
studiate l' aspetto più grossolano ed
estemo, la fac-
cia: noi
la guardiamo in vece con gli occhi
della mente,
col
pensiero puro, in se stessa, nell'
astratta mansione
dialettica,
perchè ne vogliamo indagar l'ultimo fondo,
t»
Tra
schietto Positivismo, dunque, e schietto
Hege-
lianismo
ci ha intimo legame. Per questo,
ripeto, i
settatori
dell' una come delP altra scuola, fan
di tutto
per
trascinarsi a vicenda. Per questo la
sinistra hege-
liana si
viene sempre più alleando col Positivismo
fran- 1
cese.
£ per questo, finalmente, gli uni e
gli altri con-
sentono in
un risultato finale, sia che co'
primi s^ abbia
a
credere d' aver tutto spiegato, sia che
co' secondi si
pretenda
che nulla si possa mai capire de'
problemi ve-
ramente
metafisici del sapere umano. Le colonne d'
Er-
cole,
comecché in senso diverso, sono il
termine d' en-
trambi. E
può dirsi che lo stesso Hegel ne
consacrasse
il ben
auspicato connubio con quel famigerato
principio
che i
Positivisti potrebbero ormai accettare ad
occhi
chiusi:
Was veniunftig ist, das ist toirldich;
und was
wirklich
ist, dctó ist verniinftig,
E ora,
concludendo, dobbiamo ripetere, rispetto a
questi
due indirizzi, quel medesimo che qua
dietro siam
venuti
osservando riguardo alle due forme di
Positivismo.
I
Positivisti han ragione quando dicono a'
filosofi: Siate}
positivi.
Ma han torto marcio quand' e' gridano
: Smet- ^
tete d'
essere metafisici 1 L' esser positivi, e
poi piantare j
siccome
principio il non dover mai sorpassare
la rela-
tività; ciò
vuol dire esser negativi; vuol dire
contrad-
dizione.
Il pregio dell' Hegelianismo l' abbiamo
accen-
nato; è
il concetto della scienza e del
processo. Ora
l'esigenza
nuova qual è? È questa: combinare le
due
tendenze,
combinarle escludendo insieme il
negativo
dell'uno,
e il dommatico dell'altro. E bisogna
esclu-
der r
una e l' altra cosa, giust' appunto
per conseguire
davvero
il positivo. Desidenamo dunque essere del
no-!
stro
tempo? Se ciò desideriamo, non potremo
rinunziare,
né
alla tendenza positiva, e tanto meno
allo spirito filo-
sofico che
all'età moderna é venuto imprimendo l'Hege-
lìanìsmo.
Hegelianismo per me vai più che
Hegel, e vai
più
che i suoi creduti apostoli; non
altrimenti che il
cristianesimo
è assai più che cattolicismo, assai
più che
r
immobile schiera de^suoi pontefici. Hegeliani
oggi dpb-
biaiP^
eg^y tntti; come tutto il mondo non
può non
eeaere
cristiano. Se dunque Hegelianismo e
Positivismo
sono
due sistemi, due poli (come altri ha
detto) della <^
presente
speculazione europea, ci ha da essere
una via
di
mezzo; una via di mezzo nella quale
cotesti estremi
non
siano estremi. CI ha da essere una
via di mezzo
in cui
ridèa sia anche il fatto, e il
fatto idea per legge ,.
di
conversione, non di compenetrazione o d'
identità as-
tuta, ne
d'empirica differenza. £ questa per Tap-
))unto
è la nostra via: via, come ognun
vede, assai
larga;
via regia; in su la quale ci
sarà facile incon-
trarci con
tutti, e da buoni amici darci una
cordiale '^'^
stretta
di mano. E a percorrere cotesta via
abbiamo
invocato
1* autorità d' un gran nome italiano;
abbiamo
invocato
la scorta del nostro Vico.
Che e'
entra ora egli il povero Vico !
ci dirà con
una
smorfia di sprezzo qualche bell'umore
hegeliano o
positivista.
Perchè andarlo a svegliare dopo due
secoli !
E'
c'entra per due semplicissime ragioni; e
le dico
subito.
Fra tutti gli scrittori dell' Italia
moderna, il solo
Vico rappresenta,
per così dire, l' uomo vecchio e l'
uomo
nuovo;
il medioevo e il secolo decimonono.
Egli solo
dunque
rappresenta la contraddizione; ma, intendia-
moci bene,
la contraddizione che per intima necessità
si
risolve da se stessa. Nella mente
infatti, e però nelle
scritture
di lui, la tendenza a sciogliere^ tal
contrad-
dizione è
evidente, energica. In lui dobbiamo
studiare
noi
stessi, se pur vogliamo rigenerarci nella
scienza.
Ma,
più che nella scienza, dobbiamo rigenerarci
nel
metodo
in generale, eh' è la seconda ragione
per cui
è
d'uopo rifarci da questo filosofo. Quanti
altri filo-
sofi non
abbiamo avuto in Italia, d'ingegno forse
più
vasto
e più comprensiTO e certo più
analitico del suo?
Eppure
nessuno meglio di lui ebbe coscienza
del vero |
metodo
nel sapere. Stuart Mill, com' ho
avvertito, dice
die il
grande affare della vita gli è il
tirar conseguen-
ze. Da
buon inglese e' non poteva smentire
sé stesso
dicendo
diversamente. L'italiano, chiamisi Vico o
Ga-
lileo, Tizio
0 Sempronio, pare che, prima di
questo, vo-
glia sapere
qualcos' altro. Come s' ha a fare per
tirar
conseguenze
?
Gran
problema della scienza è il me^o. Qui
ap-
punto sta
principalmente l' originalità del Vico; qualun-
que possa
essere la serie di errori in cui
egli sia caduto.
Se
qualche ingegno erudito e severo prendesse
ad
c^qporre
criticamente i giudizi e le interpretazioni
che
tanti
e tanti scrittori son venuti facendo
delle opere
del
Vico, massime della Scienza Nuova in
cui si rac-
chiudono e
piglian quasi persona tutte le sue
dottrine,
probabilmente
si troverebbe d'aver imbastito una sto-
ria degU
studii filosofici e storici e anco
giuridici in
Italia,
a contare dal 1750, se non pure
dal 1725, insino
al dì
d' oggi. E sarebbe certamente lavoro
desiderevolisr
Simo,
potendo così presentare tutte le produzioni
scien-
tifiche del
nostro paese come aggruppate attorno a
un
centro
luminoso, qual' è appunto l' opera maggiore
del
filosofo
napoletano. Perocché il moderno pensiero
filo-
sofico
italiano, e potremmo dir anche la
nuova Italia, me-
glio che
con altri libri s' inaugura, per così
esprimerci,
con la
Sdenta Nuova, La quale se da una
parte, per
chi
l'abbia meditata con amore, è tale da
onorarci in-
finitamente
a cagione delle divinazioni originali ne'
nuovi
studii
filosofici e storici ; dall' altra, s'
io non m' illudo,
ai
palesa come il libro più acconcio,
per tutto il corso
storico
del nostro pensiero filosofico, a più
fedelmente
rappresentare
la forma nativa e ritrarre l' indole
vera
dell'ingegno
italiano.
StltlLIAKt.
3
Siccome
io qui non presumo di far tale istoria,
ho
Toluto
nondimeno apporre tal titolo a questo
primo
libro,
affinchè altri, eccitato per avventura
dalla trat-
tazione d'un
tanto profittevole soggetto, ne tolga il
carico
; mentr' io vo' ristringermi a far
una critica delle
principali
sentenze e delle interpretazioni emesse
intomo
alle
dottrine vichiane dai numerosi critici ed
espositori
italiani
e stranieri. Il che non solo tornerà
utile anzi
necessario
al disegno del mio lavoro, ma*
acconcio al-
tresì a
rendere omaggio a tutti coloro che
nello studio
del
Vico m' han preceduto. Così pure avrò
il destro
d' accennare
alle dottrine filosofiche de' nostri ultimi
scrittori
; imperciocché, bene o male che sia,
un periodo
filosofico
s'è oggimai compiuto in Italia; e,
bene o male
clie
sia, se ne sono scritte e se ne
scrivono più storie:
talché
parmi tempo di giudicare con ispirito
di mode-
stia, ma
con altra tanta franchezza, anche la
mente
de' nostri
maestri, traendo profitto dalle verità e
dagli
errori
in che per avventura sian essi
caduti.
In fin
del libro i lettori troveranno un
elenco, che
a me
sembra compiuto, di tutte le opere
nelle quali,
sia di
proposito sia di passaggio, parlasi del
Vico. Quan-
tunque abbia
dovuto leggerle tutte coteste opere, e
al-
cune anche
meditare, non di tutte potrò discorrere
con
egual
misura. Di quelle pochissime non potute
leggere
darò
anche notizia, e avrò cura di citarne
la sorgente.
Di cert'
altri autori poi non ho creduto far
neanco
menzione;
del Poli, per esempio, che ne' SupplemenH
al
Tennemann ha fatto un' esposizione cotanto
empirica
e
pesante e senz'ombra di critica delle
dottrine vi-
chiane, da
non potermene giovare in verun conto.*
Non
parlerò del libro del Marini, autore
traboccante
d'
entusiasmo cattolico verso il filosofo
napoletano, ma
certamente
ingegnoso, erudito e sempre pieno di
fede
*
Comincia dal chiamarlo tommo fra gli
eclettici italiani del seco-
lo XVIII!—
Vedi Manuale deUa 5i. delln FU. di
Tbnnemkahn. MUano,
1855,
Tol. 4, pag. 662 e seg.
nel
vero. Nemmanco terrò parola de' copiosi
volumi del |
Rocco,
e del Fagnani. L' un de' quali, pieno
anche lui di
vnoto
e smaccato entusiasmo verso l'autore della
Scienza
Nuova,
non sa vedere briciol d' errore, ma
tutto verità
elettissima,
tutto armonia, tutto profumo di sapienza
nel
suo
filosofo : r altro poi, non meno
ingegnoso del primq,
confesso
di non averlo potuto capire. Che se
intendere il
Vico è
impresa, come ci dicon tutti, non
molto agevole;
pensate
quando V espositore od interprete, nello
svolgerne
ed
applicarne le dottrine, usi linguaggio
indeterminato, e
finisca
per intrigarsi in un viluppo d' idee
vaghe e con-
fuse, com'
appunto il Fagnani con la sua scienza
della
Divinazione.
Né il Rocco, dunque, né il Fagnani,
né altri'
di
simil fatta potevano darmi appiglio a
critica di sorta.
Da
ultimo avverto, com' io non intenda
propriamente
far
un' intiera esposizione, e tanto meno
procedere ad
una
critica compiuta degli autori su' quali
terrò parola.
Noterò
quello che potrà giovare al mio
scopo, accen-
nando quelle
cose che potrò accogliere, e fermandomi
un po'
sopra quelle dottrine in cui mi sarà
parso eh' e' sì
discostino
dal vero nel combattere le teoriche
del Vico,
o che
ben s'appongano nell' interpretarle, o che
ab-
bian colto
giusto nel correggerle od esplicarle.
A
voler disporre con qualche ordine logico
i diversi
autori
che dal quarto lustro del secolo
scorso fino a' dì
nostri
sonosi occupati delle dottrine vichiane,
gioverà
distinguerli
in tre diverse categorie:
r degV
imitatori ed oppositori;
2*
degli eruditi e critici propriamente detti;
3*
degT interpreti filosofi.
Gotesta
divisione non é capricciosa, ne immaginata
a
priori.
Essa risponde davvero a tre differenti
periodi
di
tempo, nel primo de' quali prevalgono
appunto gl'imi-
tatori e
gli oppositori delle suddette dottrine, e
dura
sino a'
primi anni del secolo che corre. Nel
secondo pre-
dominano gli
eruditi e i critici; e questo
finirebbe verso 1
il
1840. Nel terzo finalmente primeggiano gì'
interpreti
filosofi,
i quali ad ogni patto vogliono
interpretai'e il
Vico
secondo che detta loro il proprio
sistema. Cote-
st' ordine
e cotesto progressivo moltiplicarsi d'inter-
preti, di
critici e d' espositori, ci farà toccar
con mano
un
fatto assai consolante àgli occhi di
tutti noi; e que-
sto fatto
è che gli studii sul Vico sono
venuti sempre più
progredendo
nell' analisi critica col succedersi degli
anni,
e
viemaggiormente crescendo nell'animo degl'italiani
e
degli stranieri Y amore verso il
nostro filosofo. D vero
concetto
e il valore della Scienza Nuova è
andato così
generandosi
e maturando col tempo nella mente e
nel-
l'animo di
tutti; e potremo quindi persuaderci una
volta
più di
quella verità avvertita fino dal primo
discepolo
del
Vico, Emmanuele Duni, che la Sdenta
Nuova, opera
prematura
pel tempo in eh' ella comparve, non
fosse
intesa
nel suo verace significato, o intesa
assai male.
Lb,
Scienza Nuova dunque, se da una parte
è il libro vera-
mente
italiano, libro italiano per eccellenza;
dall'altra!
è da
ritenevi come opera essenzialmente moderna.
E
se
cosi non fosse, non si capirebbe per
qual ragione i
lavori
critici sul nostro filosofo sian venuti
sempre più
accumulandosi,
massime nel terzo periodo che abbiamo
designato
col titolo degli autori critici e
interpreti filosofi.
Capitolo
Primo,
periodo
degl' imitatori e degli oppositorl
Non
parlo della censura né degli elogi
fatti alle
dottrine
del Vico mentr'e'visse: per esempio, della
let-
tera di
Giovanni Clerico sul Diritto Universale;
della
critica
del Giornale de* Ldferati cP Italia a
proposito del
Libro Metafisico,
nella qual critica alcune obbiezioni]
non
può dirsi che manchino d'acume e
verità; e final-
mente
dell' articolo del giornale di Lipsia
cui il Vico
rispose
acerbamente quando fu biasimato d'aver
fattoi
servire
al Cattolicismo le proprie dottrine. Ma
ciò che
innanzi
tutto giova notare è questo; che
comparsa
appena
la Scienza Nuova, parecchi levaronsi contro
dichiarandola
avversa alla religione; e, fra' molti, sarò
contento
rammentarne due: Damiano Romano, autore |
d'alcuni
lavori non affatto spregevoli, e il
Finetti,
professore
a Padova, mente sottile più che
acuta, in-
gegno largo
più che profondo, scrittore mezzanamente
erudito
ma poco efficace, autore d'un lodato
Corso dii
Diritto
di Natura e déUe Gentì, nel quale
si legge
tutt'
un capitolo contro il Vico. Il Romano
die fuori,
fra le
altre, due scritture che si collegano
IVa loro in-
timamente
per lo scopo a cui le indirizzava.
Nel-
l'una
difende contro il Vico l'origine tutta
greca delle
leggi
delle XII Tavole ; ' nell' altra
piglia a confutare
il principio
della Scienj^a Nuova riguardante l' ori-
gine del
linguaggio, e a mostrare contrario
addirittura
alla
religione cristiana tutto il sistema del
filosofo na-
poletano.* E-
a vedere infatti se le dottrine
giuridiche
del
Vico racchiudessero germi di vera e
propria rivo-
luzione
scientifica, basti dire che nel 1768
il Romano
pubblicava
il suo libro su YOrigine della
Società dedicato a
Maria
Teresa d'Austria, nel quale può scorgersi
com' egli, \
oltre
Rousseau e tutt'i Naturalisti, intenda
confutare
anche l'
autore della Scienza Nuova. E giova
notare lo
spirito
con che scriveva quest'accanito oppositore
del
Vico.
Nella dedica all'Augustissima Maria egli dice:
« Se
vi degnate per poco di sventolare il
mio Prodotto,
questi
stessi sentimenti vostri vi troverete
inculcati ed
espressi.
Sostengo in esso la indipendenza dell'
autorità
monarchica
da qualsivoglia giudizio umano...;. e la
di-
fendo
dagl'insulti de' Naturalisti, che si sono
sforzati
* Vedi
Damiano Romano, Difesa storica delle Leggi
Oreche venute a
JRoma
contro V opinione moderna del signor
Vico, Napoli, 1786.
*
Quattordici Lettere std terzo principio
della Scienza N^uova ec. 1749.
e si
sforzano di richiamare il genere umano
allo stato
della
natura. » Di sotto a queste parole ignobilmente
servili
del povero filosofo piaggiatore, escon due
conse-
guenze; la
prima, che il Romano avesse tanto
acume
da
scorgere ov' il diavolo tien la coda;
la seconda,
che
fra le dottrine del Vico s' ascondessero
idee e prin-
cipii
non comuni, né poco avversi agli
Augustissimi piag-
giati dal
Romano. In ogn' altra sua scrittura,
per esempio
'
nella Scienza del Diritù) Fubhlico^ e
meglio in quella su
lo
Stato naturale insujf^iente per la
sicurezza delVuomo
dopo
la prevaricazione délVuomo, egli è in
un indirizzo
affatto
contrario a quello del Vico. Basti
citare infatti
alcune
parole del primo capitolo dell'opera su V
Origine
della
Sociefày le quali accennano ad un
pensiero dia-
metralmente
opposto ai principii e al metodo del
Vico:
«
L'uomo non è naturalmente portato alla
società civile;
e in
conseguenza non ebbe la società civile
la sua origine
immediata
o mediata dalla natura.* » Dopo ciò
il let-
tore capirà
qual valore possano avere le due*
scritture
del
Romano poco fa citate, specie le
quattordici lettere
sul
terzo principio della Scienza Nuova.
Non
parlo di Giovanni Lami, scrittore toscano
assai
fecondo
ma non men loquace e borioso, storico
erudi-
tissimo,
filosofo assai leggiero, teologo di gran
nome,
collaboratore
infaticabile nelle Novelle Letterarie e
degno
traduttore del Meursio; nelle cui note,
toc-
cando del
Vico, lo condanna nella questione su
le
XII
Tavole, e poi non so quali e
quante empietà sai
scorgere
nelle altre sue dottrine. Tanto meno
vo' in-
trattenermi
a parlare di Appiano Buonafede, il quale
credendo
encomiare V autore della Scienza NuovOj
con
tutta
boria nazionale il contrappone ai Grozio,
ai Sel-
denio,
agli Hobbes, agli Spinoza, ai Montesquieu
e ad
altri
parecchi i quali, egli dice, annullano
la ragione
col
distrugger la religione. Il Vico, agli
occhi del Buo-
Vedi
pag. 81.
nafede,
non fece che innalzare nn edifizio
stupenda
in
favore della rivelazione, e scrivere
unicamente per
condannare
gli errori del suo tempo. In una
parola,
altro
in lui non seppe vedere tranne che
il senso della
religiosità
elevata a speculazione.*
Più
vivo interesse ha per noi l'opposizione
mossa
dal
Finetti, che non quella del Lami, del
Romano, od
altri
che sia. Ma non si può rammentare
il Finetti
senza
che il suo nome risvegli quello di
Emiiianuele
Duni
col quale scese in lizza e battagliò
fieramente. Na-
poletano
d'origine, il Duni professò nella Sapienza
di
Roma
verso la metà del secolo passato. Fu
scrittore,
se non
molto profondo, assai pregevole (checché ne
dica
il Ferrari) per lucidezza singolare d'idee,
grande
chiarezza
e facilità di dettato. Fino dal bel
principio
si
mostrò seguace caldissimo e pieno d'
entusiasmo delle
dottrine
del Vico, tanto che nel dedicare al
Ministro
Tanucci
il suo Saggio suUa Giurisprudenza Univer-
sale, fa
la sua profession di fede con queste
parole:
« In
mezzo ad un tempestoso mare di
scritti, co;ifesso
il
vero di non aver trovato altro
ricovero, che di sal-
varmi nel
porto della sapienza dell'incomparabile, e
(dicasi
pur francamente) del gran filosofo,
filologo e
giureconsulto
Giambattista Vico, gloria eterna della
nostra
napoletana nazione e maestro di quanti
mai fu-
rono ingegni
più scórti e illuminati.' »
Se il
Duni non apportò alcuna interpretazione ar-
dita nelle
tante applicazioni eh' egli fece delle
dottrine
del
suo maestro, ne fu nullamanco imitatore
sempre facile,
chiaro,
disinvolto, massime ne' suoi studii sul
Diritto 1
Romano. Talora
si mostra superficiale, come là dove
* Vedi
Appiano Bconafedb, Istoria critica cUl
moderno diritto di '
fiatura
e ddU genti, libro stampato la prima
Tolta dopo il 1766 senza*
data
DÒ luogo, e poi riprodotta a Perugia
negli ultimi anni del secolo
scorso.
* Vedi
r ediz. completa in dao grossi Tolumi
delle opero del Duni '
&tta
dal Gonnarelli in Roma nel 1845.
non
gli riesce di cogliere la vera
teorica della conoscenza
secondo
il Vico, avvegnaché ne parii piii
volte, e più
volte
la difenda dagli attacchi del Finetti.'
Ma spesso
è
acuto, come quando parla delle due
fonti del Diritto
'
Universale (vero e certo, ragione e
autorità) tuttoché non
sappia
vedere qual relazione corra fra questi
termini.
Ciò
nullameno intende a maraviglia questo punto
: che
VAidorità
pel Vico altro non sia che la
stessa Bagionef
ma la
ragione più o meno ingannata, la
quale è madre
del
diritto delle Genti e civile ossia
volontario ;doYecchè la
ragione
(Ratio) è in quella vece il pensiero
puro e indipen-
dente da' fatti.*
Ma ciò che poi sveglierà più vivo
inte-
resse é
la dottrina onde questo dotto storico
giusnaturali-
sta
difese il Vico, e per la quale
vuol esser rammentato
a
preferenza di tutti i critici e
seguaci del filosofo na-
poletano;
dico la dottrma risguardante l'origine del-
l'uomo. Egli
merita elogi per aver sostenuto in
Italia
con
parola coraggiosa e libera, una lotta
accanita con-
tro Teologi
e Tradizionalisti in nome della Sdenea
Nuova.
Il suo avversario fu appunto il
Finetti. Sotto
gli
occhi del Papa e dei cardinali,
adunque, nella Sa-
piìinza
di Roma, nel bel mezzo del secolo
XVIII, sur-
sero
due sette chiamate dei Ferini e degli
Antiferini;
l'una
delle quali propugnava l'orìgine ferina
dell'uomo,
dovechè l'
altra, con la Bibbia alla mano,
oppugnavala
gagliardamente.
Era senza dubbio l' esigenza del Darwi-.
nismo
che affacciavasi allora sotto forma
astratta,
speculativa
e quasi divinativa, per opera della
Scienza
Nuova,
Se non che occorre notare sin da
questo mo-
mento una
delle contraddizioni, anzi la massima con-r
traddizione
del Vico, cioè la nota distinzione
tra popolo
eletto
e popoli imbestiati dopo il diluvio.
Contraddizione
palese,
com'è evidente; perocché la legge storica
su
la
quale si cardina la Scienza Nuova,
con tale odiosa
distinzione
non è altrimenti una legge, appunto
perchè
* Vedi
Seiefua del Co»tume^ pag. 97.
* Vedi
Saggio $uUa Qiurisprudtnua untvtnaltt p.
64.
manca
del carattere d'universalità. Di tali
contraddi-
zioni nel
Vico troveremo più d' una. Ma i
primi cri-
tici e
seguaci delle sue dottrine non erano
atti a risol-
verle, e
depurare il vero dalla mischianza di
certe idee
assai
poco omogenee fra loro.^
Ora
questa medesima contraddizione passa nella
mente
del suo discepolo Duni; il quale
perciò difen-
dendosi
dagli attacchi del Finetti, dice : a
Io già mi di-
chiarai nel
mio Saggio, e qui ripeto lo stesso,
che non
intendo
di ragionare dell' origine e creazione
del mondo,
e
molto meno della nazione ebrea; ma
soltanto del-
l' origine
delle nazioni gentili* »
Il
Finetti poi nel contraddire al Duni e
quindi al Vico
quant' all'
origine dell' uomo, presentavasi armato di tutte
quelle
svariate pruove che sanno dare la
Bibbia e la
costante
tradizione degli scrittori'cattolici. Contraddiceva
alle
affermazioni sia de' poeti sia degli
storici antichi ai
quali,
dietro l'esempio del suo maestro,
affidavasi il
Duni;
e chiamava i primi indegni di fede,
mentre di- ,
chiarava
i secondi ignoranti e grossi d' ingegno.
Però
negava
risolutamente quelle tre note circostanze
onde
accompagnasi
lo stato ferino siccom'è concepito dal
Vico:
vita affatto solitaria, mancanza di
linguaggio,
uso di
venere vaga. 11 Duni invocava anch' egli
l'au-
torità degli
oratori, degli storici e dei filosofi
più illu-
stri
dell'antichità, massime di Platone, d'Aristotile,
di
Cicerone;
e più che altro faceva rilevare il
fatto dei'
popoli
ferini contemporanei. Ma le scienze
naturali non
avean
peranche cominciato a spandere alcun raggio
di
luce
in proposito, ne poi l'ingegno del Duni
avea tan-
t* ala
da elevarsi a comprendere que' germi
di principii
*
Nelle lettere, per esemplo, del di
Gheminghen a Tommaso Alfano,
in eoi
si discorre sol Talore del programma
pubblicato dal Vico avanti
il
1720 al sao Diritto Universale, leggiamo
queste parole: e Son curioso
di
Tederò come- 1* Aatore, trattando della
ragione amana corrotta, la •
possa
connettere con la moral cristiana, e
far quella principio di que-
sta l
> Vedi Op. di Vico, ediz. Predar!,
pag. 762.
* Vedi
Op. cit. Risposta al Finetti, pag.
40.
cosmologici
sparsi nel LS}ro Metafisico, e in
questi at-
tingere
forza a meglio interpretare e propugnare
le ap-
plicazioni
fatte dal Vico nella Sdenisa Nuova.
La con-
traddizione,
dunque, passata dal maestro al discepolo
*
e il
non aver saputo cogliere il principio
cosmologico
del
Vico, fece sì che tale polemica, nel
modo ch'era
sostenuta
dal Duni, apparisse inefficace e
manchevole.
Debole
e manchevole infatti ci sembra questa
ma-
niera di
ragionare : « Voi vorreste che i
primi fondatori
delle
nazioni fossero stati dotati d' innocenza
di costumi.
Ma,
caro signor censore, come potete voi
spiegare le
origini
dell' idolatria, la barbarie, l' immanità
negli usi
delle
orride loro religioni piene di duro
materialismo?
Come
l'immanità delie loro leggi e costumi,
le cui re-
ligioni si
sono per lungo tempo conservate finanche
nei
tempi
della maggior loro cultura, per qui
tacere le ori-
gini delle
lingue, delle poesie, della frode e
cose simili?
Come
finalmente i progressi di tali nazioni
di cui ne
abbiamo
le memorie troppo sicure, e non
soggette alla
minime
dubbiezze? Ma, giacché i monumenti e
la sto-
ria degli
antichissimi e de' presenti barbari popoli
sono
per
voi sogni, favole e delirii, perchè
non ci dite con
quali
altri principii, origini e progressi di
cose umane
debbasi
ragionare di questo mondo, degli uomini,
deUe
nazioni,
delle tante umane istituzioni, delle
origini e
progressi
delle umane industrie nelle colture delle
co-
gnizioni,
alle tante maravigliose invenzioni, nei
governi
e
polizia de' popoli ed in tante altre
maraviglie che os-
serviamo nel
gran teatro di questo mondo degli
uomini?
Come
non sapete che i costumi e le
leggi umane deb-
bano
necessariamente trarre loro origine e
progressi
daUe
idee degli stessi uomini? Come potete
negare il
vario
corso di tali costumi, che di grado
in grado spo-
gliandosi
del materialismo, li troviamo di fatto
più puri
nell'
età avanzata che nella fanciullezza di
tutte le na-
zioni.* » —
Io non dico che tutto ciò non
sia vero: dico
* Vedi
Risp. al Finetti, pag. 41.
che il
Duni, a difendere invittamente la sentenza
del
suo
maestro, avrebbe dovuto movere dai
principii co-
smologici e
psicologici, i cui germi non mancano
cer-
tamente
nelle opere del Vico.
Gasuista
acutissimo, quanto insolente, il Finetti
sor-
rideva a
sentir elogiare e difendere questa dottrina
della
Scienza Nuova; e tutto pieno d'entusiasmo
reli-
gioso rispondeva
con XXIII obbiezioni cavate dai libri
santi.'
Quindi esclamava: « Dottrine veramente
altissime !
religiosissimi
e ammirevoli pensamenti ! Tra le
varie cose
onde
pretende il Vico di far grandemente
spiccare la
divina
Provvidenza, una è quel capriccioso di
lui corso
delle
nazioni sulle regole, diciam così, del
trel II Duni
andrà
in estasi a tal pensamento ; e
pure a me è sog-
getto da
ridere, spezialmente quando si pretende con
à
costante ternario di far spiccare la
divina Provvi-
denza ;
essendo chiaro eh' ella rìsplende nella
grandezza
ed
importanza de' fini e nella idoneità
e giusta propor-
zione dei
mezzi, e non già nel far correre
le nazioni
pe'
numeri di tre o quattro. Un tale
giuoco non sembra
certamente
degno dell' infinita sapienza di Dio.*
» E al-
trove,
allargando la sua critica, aggiunge :
« La maniera
di
filosofare inventata dal Vico è tale,
che può porgere
delle
armi per oppugnare la Religione.... e
non poco
corredo
a chi voglia farne uso per impugnare
e met-
tere in
dubbio la Sacra Scrittura e la divina
rivela-
zione....; »
tanto che paragonandolo al Boulanger, uno.
degl'increduli
de suoi tempi (com' egli stesso
nota), non
dubita
porre a riscontro le dottrine dell'uno
con quelle
dell'altro
per otto diflferenti capi.
Com' è
chiaro, il Finetti non ebbe tutt' i
torti se gli
venne
in grave sospetto la Scienza Nuova.
Avea torto
bensì
nel confondere, come il Romano, tale
dottrina del
Vico
difesa dal Duni, con quella de' filosofi
francesi
' Vedi
Sommario delle oppoeizioni del Sietema
Ferino di Vico alla
Sacra
SeriUura, p. XI, XII.
* Op.
clt pag. IX.
de' suoi
tempi. Ed è a confessare che questo
mede-
simo torto
hann' avuto di poi parecchi altri
critici, an-
che viventi,
laddove parlano della dottrina su lo
stato
ferino
propugnata nella Sdeiiza Nuova» Avvertiamo
una
volta
per sempre che lo stato di natura
del Vico noa
ci ha
che vedere con quello de' giusnaturalisti
vis-
suti nella
seconda metà del secolo XVII, e nella
prima
del
XVIII. E tornando al Finetti, a
meglio capire la
maniera
della sua critica, nonché il carattere
delle sue
opposizioni,
giova qui rammentare certe parole, da
lui
stesso
riferite con aria di trionfo, d'un
personaggio"^
napoletano.
Il quale, stato già scolare per più
anni del
Vico,
raccontava come il suo maestro in
Napoli fosse
ritenuto
per uomo veramente dotto, ma che poi
fosse
stimato
pwsfjso a cagione delle sue stravaganti
opinionL
Il
Finetti si degna dirci d' aver chiesto
a quel gentiluomo
partenopeo
se quando il Vico scrisse la Scienjsa
Nuova
fosse
dotto, 0 non più veramente pazzo.
<i Oh allora
era
divenuto affatto pazzo!» dice rispondesse costui.
j
Concludendo
: questa polemica tra un filosofo
teologo
e un
discepolo del Vico, dietro a' quali
senza dubbio
v'erano
due schiere, due scuole e due
partiti, ci mo-
stra come
nella Scieììza Nuova ci dovesse essere
qual-
cosa
d'originale, e come fin d'allora scrittori
di filo-
sofia e
di storia e di diritto se n'
accorgessero tosto. E
che
cotesta polemica non fosse molto pacata
e serena,
ce lo
dicono le due sètte de' Ferini e
degli Antiferi-
niy
nelle quali si divisero i propugnatori
delle due dot-
trine.
Talché può dirsi in generale che le
dottrine del
Vico
fin di principio siano state parte
accolte e studiate,
parte
accanitamente discusse e avversate da
uomini ìn-
' Ho
Toloto accennare a tal particolare per
un altro motivo. Uno degli
ultimi
critici del Vico, il Cantoni, come
vedremo, pensa che la seconda
Seiemm
Nuova segni appunto il decadimento dell*
ingegno del Vico. So
ciò
che il Finetti racconta è vero, il
Cantoni potrà avere una ragiono
di più
a credere che le opere latine fossero
state scritte dal Vico men-
tr*
era dotto^ e poi da pauzo scrivesse
la Sdenta Nuova, segnatamente
la
seconda, stantechè la pazzia naturalmente
andò progredendo!
gegnosi
e iUustri professori di Università, coin'
erano
il
Dani e il Finetti. Nel qual giudizio
ci conferma inoltre
il
sapere come le dottrino del filosofo
napoletano ve-
nissero
accolte, interpretate e insegnate altresì
dal Con-
cini^ nella
Università veneta,' e come nel medesimo
giro
d'anni facessero lo stesso con le
loro pubblica-
zioni il
Ganassoni, il Rogadei, il Gaglio, il
Bisso, e ili
Natale.*
E dopo questo movimento scientifico inaugu-
rato dalle
dottrine del Vico nella mente di
molti sia
per
averle questi accettate e difese
ciecamente, sia
per
averle respinte assolutamente, meglio che
opposi-
zioni
dirette incontriamo ripetizioni più o manco
in-
gegnose,
come per esempio nello Stellini, nel
Cuoco,
nel
Pagano.
Comecché
noi citi, è impossibile che Iacopo
Stellini
abbia
ignorato aiFatto le opere del Vico;
egli amicis-
simo del
veneto Conti, e questi amico e
ammiratore
profondo
del Vico. Ma sebbene imitatore, non
riuscì a
far
progredire d'un passo le dottrine della
Scienza
Nuova.
Nella quale non essendo difficile
argomentare
il
concetto, per esempio, della morale
considerata se-
gnatamente
sotto l'aspetto di processo storico, egli
avrebbe
potuto comporre la scienza del bene e
del-
l'onesto
con disegno ben diverso da quello eh'
e' me-
desimo
adoperò in quel suo sconfinato corso
di morale.
Al
tutto subbiettiva infatti è per lui
la morale. E
se
nello studio delle facoltà psicologiche
vuol darsi
a
credere seguace dell'esperienza e
dell'osservazione
storica,
nullameno, a guardarci bene addentro, della
psicologia
e' non seppe sul serio fare alcun
uso sto-
rico, tanto
che pose come sorgente della morale
e
* Vodi
C^CInJ^a, Origini» fundamenta et capita
prima Jurit Xaturali*.
Padora,
1784.
' Pel
Ganassoni Tod. Oposo. del Calogerà, la
Memoria in difesa del
principio
del Vico so T origine delle XII
T&xoìq. — "RoGAD^h Saggio dd
diritto
pulbìico e politico del Regno di
Napoli: e specialmente DdV an-'
tico
Stato de' popoli d' Italia CÌ9tiberina. ~
Vedi anche nel Colangblo,
BiìAioteca
analitica ec •
de'
costumi il contrasto e l'accordo delle
facoltà. Ma
in che
mai risiede la vita, l'organismo di
esse? Lo
IStellini
non sospetta neanche la possibilità di
questo
problema.
Copia bensì la legge del Vico nel
disegnare
U
corso storico onde la barbarie procede
a civiltà;
ma,
piii che legittimarla con pruove storiche,
non fa
che
illustrarla con vaghe affermazioni psicologiche.
Così
pure,
se con tutta facilità copia i corsi
e i ricorsi storici
della
Scienza Nuova, spesso gì' intende
materialmente, e
I
talora persino in significato intieramente
contrario al-
l'insieme
delle dottrine vichiane, come quando ci
dice
e ci
assicura che il primo stadio dell'umanità
fosse stato
una
specie d'età dell'oro, età d'innocenza, età
di nes-
sun bisogno
fisico né morale.*
In
verità bisogna confessare che lo Stellini
somi-
glia la
scimmia la quale pur pretende ritrarre
la pa-
tente virtii
e le fiere e sublimi bellezze del
leone :
barbogio
Chinese, che mentre vuol imitare l'Europeo,
pili
che rifarlo, non riesce che a
contraffarlo ! Né questo
mio
linguaggio rechi maraviglia ad alcuno. Come
infatti
maravigliarsene,
se i poemi omerici per lui non
rappre-
'
sentavano che una medesima età ? se degl'
istinti po-
polari, per
quanto volesse parlarne, mai rfon pervenne
a
comprendere il gran valore e la vital
funzione nel-
r
opera della storia? se nelle morali
disciphne me-
' todo
unicamente accomodato disse quello delle
scienze
fisiche?
Fiacco imitatore, lo Stellini volle
nonpertanto
dissimularne
gli artifizi, ma non ebbe virtii a
produrre
sol un
concetto originale, e nessuna dottrina
della
Scienza
Nuova vantaggiare d'alcuna ingegnosa inter-
pretazione.
E pure il Bomagnosi ebbe cuore a
dichia-
!
rarlo superiore al Vico: gli stranieri
traevano in folla a
visitarlo,
e finì per aver titolo di Socrate
novello!
Ma
seguace piii amoroso del Vico e assai
più intel-
' Chi
non roglia ricorrere a11*edÌ2. di Padova
delle opere dello
Stellini,
può leggere queste idee nel VolgarinMamento
fatto dal Valbbiaxi
dell*
Origine e pr agretto de* coetumi^ 4>
ediz. Siena, 1829.
ligente
fu, al pari del Duni, il Pagano,
di cui il solo
nome è
ricordo pietoso ad ogni anima gentile
e aperta
ai
sensi di libertà. Come nel Duni, così
pure nel Pa-
gano le
idee vichiane leggiamo esposte con
chiarezza e
facilità,
ma anche con troppa imitazione; che
anzi è
da
confessare come in lui faccian difetto
alcuni pregi
del
Dunf, per esempio là dove pone
questi principii :
— che
lo stato della primitiva barbarie non
fosse gene-
rale ;
che la gelosia, piuttosto che un
certo vago senso
religioso,
spingesse T uomo al matrimonio ; e
che tra la
barbarie
originaria e la barbarie medievale il
Vico
non
iscorgesse divario di sorta: — il che, come
vedre-1
mo, a
noi non sembra punto vero. Ma grave
errore
del
Pagano è quello di volere interpretare
la storia in
un
senso troppo fisiologico; e questo tiene
alla efficacia
che
nella sua, mente esercitò la filosofia
francese di
quell'età.
E alla stessa cagione forse è
da riferire
s' ei
non seppe vedere come il processo
storico non sia .
né
possa essere unilaterale, ma complesso,
organico,
dovendo
abbracciar tutte le manifestazioni e tutti
gli
elementi d'
una data storia e civiltà. Per le
quali cose
non
possiamo accettare la sentenza ond' altri
ha pro-
nunziato,
che i Saggi del Pagano siano la
interpretp,-
zione
più fedele della Sciema Nuova: tanto
piii che
il
Pagano, intendendo in maniera grossolana al
pari
dello
Stellini la dottrina del corso e
ricorso, non dubita
sostenere
che le nazioni tutte a per lo
stesso movimento
onde
son rimenate alla luce della cultura,
ricadono
nelle
tenebre della natia barbarie. » Nel
che non s'ac-
corge quel
nobile e sventurato ingegno come il
ricorso
del
Vico sia anche progresso, e come il
suo svolgimento
abbia
luogo in età diflFerente da quella in
che accade t
il
corso della civiltà; mentre al contrario
in un medesimo
popolo ,
per esempio nel greco, egli vede
insieme un |
eorso
e un ricorso storico.* Il Pagano
dunque non iscorge
* Vedi
Mario Pagano, Op. edlz. Capolagro, Gap.
VI. Saggio VI,
Digitized
by VjOOQ IC
48
STORIA DELLA SCISKZA NUOTA. [lIB. !•
il
modo con che il suo maestro intese
coordinare i diversi
momenti
de' grandi periodi della storia eh'
ei disse corsi
e
ricorsi storici. Non riesce a salvam
dall'errore, nel
quale
intoppò lo Stellini, d'ammettere una prima
età
storica
non ferina, ma innocente. Non sa
vedere l' er-
rore del
Vico, oggi assai grave, delle catastrofi
e dei ca-
taclismi
fisici onde gli uomini furon da prima
scossi e
menati
a civiltà. Finalmente, come origine
assoluta delle
famighe
ponendo il ratto delle donne per opera
degli
uomini
forti, non s' avvede che nelle dottrine
del mae-
stro, più
che- cagione, cotesta era semplice
occasione,
non
altrimenti che le suddette catastrofi e
cataclismi
di
natura. Ma è da notare che fra
tanti errori egli
talora
sorpassa il maestro, non che i
mitologi suoi con-
temporanei,
quando sostiene, per esempio, che i
Greci,
\
quant' a mitologia, non facevano che
vestir poetica-
mente
racconti d' origine primitivamente orientale.*
Né a
quel tempo erasi ancor difi'usa quella
febbre,
che
tutti oggi invade, dell' orientalismo
indiano. E Vin-
cenzo Cuoco,
benché seguisse il Vico nelle esagerate
,
interpretazioni del suo Platone in Italia,
romanzo fatto
sul
gusto délVAnacarsi del Barthélemy; ne
divina ta-
lora qualche
idea originale come quando pone, a
dirne
solo
quest'esempio, un'origine spontanea anzi che
co-
municata e
artificiale alle manifestazioni storiche, reli-
giose,
mitologiche, poetiche e poUtiche. Così
mercé il
Pagano
e il Cuoco, entrambi ingegnosi discepoli
del
Vico,
temperavasi quella dottrina del maestro
che, come
vedremo
in altro luogo, potrebb'essere interpretata
con
opposti
e contrari significati. E vuoisi che
il Cuoco
meditasse
e anche scrivesse un lavoro sulla
Sdenta
\
Nuova, ma che da sé medesimo avesse
poi distrutto,
forse
per que' motivi politici che sì crudelmente
gli fu-
nestaron
l'animo, il quale, non meno del
Pagano, egli
ebbe
pieno di carità patria. Del Cuoco
in sostanza
* Op.
cit. Saggio I, Gap. XXIII.
Digitized
by VjOOQ IC
OAP.
I.]
IMITATOSI E OPPOSITOBI. 49
non
abbiamo ne interpretazioni, né esplicazioni
del
pensiero
che informava la Sdenta Nuova, degne
d'esser
rammentiite.
È bene anzi avvertire com' egli ne
acco-
gliesse
alcune idee al tutto erronee: quella,
per esem-
pio, d'
un' antichissima sapienza italica, anteriore
alla
romana
e alla greca per cui riteneva che
gli Etruschi,
sparsi
un tempo per tutte le terre italiane,
avessero
costituito
un popolo solo. Non pertanto il Cuojo
dà
s^ni
evidenti d'avere studiato la Scienza Nuova
ed
essersene
giovato, chi consideri quanto egli imitasse
e
ripetesse
le idee del Vico, ma sempre in
modo inge-
gnoso,
acuto, geniale, sul corso della civiltà,
su la co-l
stituzione
di Roma e su la legislazione in
universale.
Chi
dovea più d' ogn' altro valersi del
Vico in fatto I
di
principii legislativi fa il Filangieri. Il
quale, se stu-
•
diasse le opere del nostro filosofo,
e se in grande ve-
nerazione
avesse alcuni principii di lui, ce lo
atte- .
sta,
da una parte, una lettera del Goethe
scritta da
Napoli
nel 1787,* e dall'altra le citazioni
ch'egli
stesso
£a e le dottrine eh' e' non di
rado toglie dalla
Sdenta
Nuova. Dalle opere del Vico infatti
esce lumi-
nosa la
prova dell' esistenza d' un elemento
universale
e
assoluto nelle leggi guardate lungo il
processo isto-
rico,
e per cui la legislazione nella
storia non è altro
che la
incarnazione dell'idea del Diritto; della
quafe
egli
aveva additato, come vedremo, il principio
-nel-
r
opera sul Diritto Universale. Perciò nella
Scienza
Nuova
avverte che la filosofia del Diritto
considera
Vuomo
guai ddb' essere mentre la legislazione
censi- '
dera V
uomo quale è per farne buoni usi
neW umana
società}
Ora appunto la seconda parte di
questa sen-
tenza tolse
a studiare il Filangieri, e però diciamo
che la .
scienza
della legislazione altro non sia, chi
ben guardi, '
che
un' applicazione di questo concetto
vichiano. E vera-
mente, se
ad applicare ottime leggi al civile
consorzio
* Vedi
nel Cintohi, Studi oritiei, ec. pag.
276.
• Vedi
Degnità VI, VU.
SlCILIAIfl.
^ 1
Digitized
by VJiOOQlC
50
STOMA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
è
necessaria l'esperienza; e se l'arte dello
sperimento
non è
possibile in siflFatt' ordin di cose
tranne che me-
diante la
storia; perocché se la storia elevata
a filo-
sofia è
atta a mostrare che i fatti
legislativi, guardati
nella
loro idea e nelle attinenze con altri
fatti pos-
8on
essere considerati come altrettanti esperimenti
che
la
civiltà va seco medesima operando: se
tutto ciò è
vero,
.è da concludere che l' antecedente logico
della
Scienea
deUa LegislcusAone sia per l' appunto la
Scienea
Nuova.
Laonde non parmi che il Lerminier s'
apponga,
dicendo
il Filangieri seguace del Montesquieu,* per
la
semplice
ragione che il medesimo Filangieri ebbe
co-
scienza di
non dover battere le vie già con
tanta gloria
calcate
dal filosofo francese, com'egli stesso ci
assicura.
Filangieri
non intese a ricercar leggi, né a
descriver |
costumi
: volle anzi levarsi alla teorica dei
costumi e •
delle
leggi. Ora cotesta teorica, come vedremo,
è inutile
cercarla
nel Montesquieu ; ed è inutile
cercarvela anche
per
confessione degli stessi Francesi. Ripeto
quindi che
la
Scienza della Legislazione, chi la guardi
nella origi- 1
nalità
del suo disegno, è di fattura tutta
italiana, e
possiamo
designarla perciò come una pagina
(splendida
pagina
in vero!) della Scienza Nuova.
Ciò
non pertanto è da confessare come il
Filangieri
talvolta
s'accosti, forse anche troppo, al fare
del Ro-j
magnosi,
il cui pensiero mostra d' avere tanta
affinità
con la
filosofia francese. In gran parte meccanica
e
artificiale
riesce infatti la sua dottrina storica,
alla
quale
si riferisce la legge ch'egli espone
su le Religieni
e eh'
è pure una debole imitazione attinta
nel Vico ; 1
ma è
tal legge, ch'io starei per dirla
disorganata.
Filangieri
è da lodare per piil conti, massime
per aver
I
saputo cogliere il vero di quel
principio vichiano sulla
incomunicabiUtà
originaria dei miti presso popoli dif-
ferenti: *
col che mostra d' aver attinenze
sempre piiì
'
ItUroduction generai eo. Gap. XV, pag.
188.
* Vedi
Scienxa ddla Legialanone, Gap. VI.
Digitized
by
Google
CAP.
I.]
IMITATOBI E OPPOSITOW. 51
apffini
con gli altri seguaci e imitatori d'
un comune
maestro
e d' un ispiratore comune, quali
abbiam visto
essere
stati per differenti guise il Duni,
il Cuoco, il
Pagano.
Se non
che, come la tendenza alla pura
imitazione
eccita
spesso la critica, parimenti la critica
efficace!
e
produttiva viene più spesso eccitata dalla
critica
infeconda
e negativa. Così Melchiorre Delfico quan-
tunque più
volte citi '1 Vico e ne accetti
perfino al- )
cune
dottrine su la Giurisprudenza romana, si
pre-
senta come
negazione dì lui quando si pensi che
il
Vico
fu primo interprete critico del Diritto
Romano, e
dicasi
pure della Storia romana. Il dubbio
critico e fe-
condo
dell'uno su le origini di Roma e
delle XII Ta-
vole,
diventò dubbio scettico nell' altro. Egli
infatti
giunse
a dire che la comune opinione sulla
grandezza
romana
devesi ridurre al solo ingrandimento de'
con-
fini,
ottenuto spesso con mezzi rei ed
infami.* E se
il
Gravina appoggiandosi all' autorità di
Cicerone fin
da' primordi
del secolo XVIII appella Diritto per
ec-
cellenza il
Diritto Romano; il Delfico, in su lo
scorcio 1
dello
stesso secolo, non teme affermare che
Roma,
tuttora
barbara e ignorante, avea già veduto
a' suoi
fianchi
gli Etruschi, i Sabini, gli Umbri,
celebri già
per
leggi e per giustizia, gli Equi e
gli Equicoli,
così
appellati perchè giusti. Che cosa ne
fecero i Ro-
mani se
non distruggerli, piuttosto che imitarli?'
Le
grandi
lodi poi fatte in ogni tempo ai
frammenti
delle
XII Tavole, egli chiamava letterario
fanatismo.
Il
tanto encomiato Diritto Civile riguardava
come ri-
saltato
delle interpretazioni dei Giurisprudenti e
delle
dispute
forensi. Incertezza, arbitrio, volontà di
conser-
vare r aristocratico
dispotismo diceva essere il carat-
tere proprio
del Diritto Romano. Che se Roma
cadde,
* Vedi
Riocrehe nU vero earattere della
Oiurttprudenxa Romana e dei \
9uoi
cultori. Firenze, 2" ediz. 1796,
Introd. pag. 27.
•
Op. cit. pag. 46.
Digitized
by
Google
52
STOBIA DELLA SCIENZA NUOTA. [LIB. I.
non
cadde perchè oppressa dal pondo dell'
estrema sua
grandezza,
ma per mancanza di base e difetto
di solida
architettura
nell'edifizio. E conchiudendo poi la prima
parte
del suo libro, afferma che : (c
la giustizia di Roma
fu in
principio quale può essere neUa barbarie;
d'indi|
quale
dev' essere nell' anarchia, nella
confusione delle
leggi,
e nella generale corruzione.* » Talché
in ogni età
al
pensiero del Delfico Roma si presenta
in antitesi con
la
ragione e con la umanità: la
giurisprudenza per lui
è il
fatale retaggio eh' ella ci lasciò, e
i secoli ne hanno
moltiplicato
le specie.*
Vedremo
altrove, che se il Vico fu primo
a studiare
con
riservatezza guardinga e saviamente scettica
la sto-
ria del
popolo e del Diritto Romano assai
cose distrug-
gendo
accolte già e sanzionate dall' autorità
di molti
secoli;
non però cadde in quell' aperto e
desolante scetti-
cismo che,
uccidendo i fatti nella storia, spegne
ad un
tempo
la fede nell' animo di chi ne
interpreta il signi-
ficato,
com'è appunto il caso del Delfico. Il
Vico anzi
pervenne
a dimostrare, come vedremo, una legge d'
in-
timo
progresso nelle successive manifestazioni
storiche '
del
Diritto Romano. E questo evidentemente
contrad-
dice al
dubbio scettico del Delfico.
Così
può dirsi chiuso il primo periodo
degli scrit-
tori che
han discorso di questa o quella
dottrina del
nostro
filosofo. Nel qual periodo, ciò che
ha molto valore |
per
noi, è la polemica fra il Duni
e il Finetti: il resto è
lavoro
d'imitazione piii o meno fedele che
solamente nel
Filangieri
comincia ad assumere forma d' esplicazione
'
originale.
E questa tendenza imitativa, che finisce
con lo
scetticismo
giuridico e storico del Delfico, ci
mostra poi
quanto
sia vera quell'osservazione fatta da
parecchi sto-
rici
nostrani, che la snervata filosofia
firancese principal-
mente
scemasse originalità agli scrittori italiani d'
allora,
•
Op. cit. pagr. 116.
■
Pag. 162, 167.
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CAP.
n.] CMTICI BD BEUDITI. 53
togliendo
loro il poter discemere qual novità
di principi!
avesse
introdotto il Vico nel regno della
scienza e della
storia
umana.
Capitolo
Secondo,
periodo
de' critici e degli eruditi.
Tra il
secolo XVIII e il secolo XIX possiamo
dire
che
corra un abisso. Nell'ordine puramente
speculativo
ci è
di mezzo il Criticismo; e nell'ordine
delle idee stori- 1
che e
giuridiche, come in quello de' fatti
politici, abbiamo
i
filosofi giusnaturalisti francesi, e la
grande Rivoluzio-
ne. Con
la Scienza Nuova noi avevamo già prevenuto
l'esigenza
critica, dal puro mondo dell'attività
psicolo-
gica
trasferendola e compiendola nel regno dell'
attività
storica;
e nell'ordine delle idee avevamo sorpassato
al-
tresì la
Rivoluzione, perchè, ammesso il processo
istorico
al
quale, secondo la Scienza Nuova, deon
soggiacere tutti
i
fatti e tutte le idee, non v'è
pagina in questo libro dove
non si
senta la necessità, e non si tocchi
con mano, per
così
dire, lo scoppio d'un radicale innovamento
negli or-
dini del
consorzio civile, politico e sociale.*
Brevemente:
nei
tempi moderni veggiamo accadere nel nostro
pen-
siero quello
stesso che venne verificandosi nell' età
del
Risorgimento.
Co' nostri vecchi filosofi noi avevamo
ardi-
tamente
sorpassato la Riforma, nel modo stesso
che con
le
nostre scuole politiche (sempre nell'
ordine dell'idee)
*
Nella Sociologia mostreremo che co*principii
del suo Diritto C7ni-1
vende
il nostro filosofo Compie la dottrina
della Socialità di Orozio,
corregge
i prìncipii e quindi le consegoonze
der Naturalimno speculativo e
wteta/meo
di Spinoza, inrera il Natwali«mo empirico
di Hobbes, contraddice
al
TeoeraiÌ9wu> della scuola di Bossuet,
alio Scetticismo giuridico di Bayle,
di
Pascal e di Montaigne, e previene le
idee principali di Montesquieaj
e di
Rousseau legittimandole nel suo concetto
istorico.
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54
STOBIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
avevamo
già sorpassato le tendenze nonché i
bisogni
politici
di quell'età.*
Col
primo schiudersi del nuovo secolo, adunque,
non
può
non ischiudersi un periodo novello di
studi assai
più
severi circa le dottrine del Vico ;
talché V abisso
fra' due
secoli poco fa accennato per noi non
esiste, e
in
ogni modo la Scienza Nuova avrebbe
trionfato nel-
r
animo nostro come nelle nostre menti:
avrebbe trion-
fato nella
nostra storia civile come nel nostro
pensiero
filosofico,
quand' anche il gran fatto della
Eivoluzione
non ci
avesse scosso. Ci saremmo arrivati da
per noi J
forse
più lenti, ma certo più securi. D
segnale dunque
de' nuovi
studi s'inaugura cqu coscienza più chiara
sul
valore
delle dottrine vicinane, e tal segnale
ci è dato in-
nanzi tutto
da im poeta assai splendido nella
forma quale
fu
Vincenzo Monti, e da un poeta assai
potente e insieme
potentissimo
prosatore quale si fu Ugo Foscolo.
Nel 1803
in una
delle nostre più illustri Università, il
Monti
pronunziava
quella beUissima sentenza che poi tutti
hsìn
ripetuto
e ripetono parlando del Vico: La
Scienza
Nuova
è come la montagna di Golfonday irta
di scogli
e
gravida di diamanti. E quindi soggiungeva:
Chi
amasse
di chiamare a rivista le idee
generatrici e pro-
fonde delle
quali si è fatto saccheggio nel Fico,
tesse-
rebbe lungo
catalogo, e nuderebbe a moUe riputa^zioni.*
Ma il
Monti sente la verità e grandezza
delle idee
vichiane
com' un poeta. Il Foscolo dà un
nuovo passo
e va
molto più innanzi allora che nel
1805, nel celebrato
discorso
d'apertura all'insegnamento letterario nella
stessa
Università Pavese, piglia a trattare con l'
usata '
maschiezza
d'ingegno il vasto soggetto dell' origine e
dell'
ufficio della letteratura; nel quale prova
insieme
quant'
avesse studiato le opere del nostro
filosofo, e
come
sotto novelle forme si possa applicarne
le dot-
*
Ferbari, Cforto augii aeriUori Politiei
italiani^ pag. 846.
* V.
Monti, Proluaùme agli atudi delV
Univeraità di Pavia, MUa-
no,
1804. Pag. 58 e 59.
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OAP.
n.] OBinOI ED EBUOITL 55
trine
anche nei temi letterari. Ugo Foscolo
avea colto
il
valore d'alcune sentenze psicologiche sparse
nei lihri
del
filosofo napoletano ; e da queste
appunto ei seppe
trarre
il concetto posto come principio
fondamentale
del
suo ragionamento. Egli, infatti, ricorre ai
bisogni
dell'uomo
nel rintracciar Torigine delle lettere; e
quindi
reputa
necessario investigarne la natura psicologica
studiando
le facoltà stesse dell' uomo.' Che
poi avesse
meditato
e inteso le altre dottrine del
filosofo, lo mostra
il
modo, per dire un esempio, con che
egli discorre \
ea
l'origine e su la natura della
parola; la quale, tra-
ducendo
quasi lo stesso linguaggio del Vico,
dice essere
ingenita
in noi e contemporanea dia formazione
dei
sensi
estemi e delle potente mentali. Seguace
del nostro
filosofo
anche si palesa quand' accenna
fuggevolmente
a
certe idee (per esempio a quelle del
diritto e del
dovere)
le quali, manifestandosi dapprima idoleggiate
con
simboli ed immagini, si snodano poscia
e parlan
quasi
da sé stesse nella nuda verità di
ragione. Seguace
altresì
quando tocca delle origini del consorzio
sociale
e
dell'imperio civile: del che poi egli
stesso ci assi-
cura dove,
accennando a' poeti filosofi, dice che
delie
verità
sui principii di tutte le nazioni
vedute dal VicOy
egli s'
è studiato dimostrare e applicare le
conseguenze
alla
storia dei nostri tempi} Dottrine del
Vico, finalmen-
te, applica
nel discorso su le De^cazioni nella
Chioma '
di
Berenice, secondo che confessa da sé
medesimo.
Ma
alla Scienza Nuova volge tosto gli
occhi con ben
altro
acume di critica il napoletano Cataldo
lannelli;
la
qual critica, come vedremo, esagerandosi
nel Roma-
gnosi,
finisce per esser perdutamente scettica nel
Fer-
rari. Di
tutte le opere o studi fatti su
la Scienza Nuova
quella
che più d'ogn' altra merita d'esser letta
e me- !
ditata
è appunto l' opera del modesto impiegato
della
• Vedi
Ditearto delV origine e deW ufficio
detta LettercUura^ nel vo-
lume deUe
Lesioni <r Eloquenza, edizione di Napoli
1888, pftg. 28.
* Vedi
op. cit., paf . 89.
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56
STOBIA DELLA. SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
Biblioteca
Borbonica sa la natura e necessità
della
scienza
delle cose e della storia umana. Il
Michelet lo
ha
chiamato discepolo legittimo del Vico; e
il Roma-
gnosi,
credendo correggere la frase dello
scrittore fran-
cese, ha
voluto designarlo come legittimo giudice
dei
Vico,
Lo lannelli, per noi, è giudice e
discepolo insie*
memente.
Se la
Sdenea Nuova, come ci dicon tutti, è
una sin-
tesi
prematura pel secolo in che apparve;
il libro detto
lannelli
ne sembra, per così dire, l'analisi.
Per esempio,
la
bella dottrina de' nessi^ specie quelU
di successione ■
e di
comunicamene sociale, non è altxo che
l'esplicazione
di
quella del Vico su lo svolgimento
originario e spon-
taneo delle
diverse civiltà. Or quest'analisi dello
lannelli
era
logicamente necessaria; che anzi tutte le
odierne
ricerche
filologiche paleografiche paleontologiche mito-^
,
logiche
e storiche, a ben guardarle, non sono
che l'ana-
lisi più
minuta e più accurata di quella
sintesi primitiva
e
possente cui seppe levarsi il pensiero
nella Sdenea
Nuova.
Sicché tanto il Vico con la sintesi,
quanto lo
lannelli
con l' analisi, può dirsi abbiano
anticipato quel-
r
attività prodigiosa e fervente cui ci
è dato assistere
oggidì
nel regno della scienza e della
storia.
Ma lo
lannelli è anche giudice legittimo del
suo
maestro.
Se l'analisi infatti è svolgimento della
sin-
tesi, n'è
pur la correzione; e ben s' appose
il Roma-
gnosi
nel dichiarare lo lannelli maestro di
logica sto-l
fica,
segnalando l'opera di lui come organo
scientifico
degli
studi storici: il che quanto sia vero
può vedersi
nel
Gap. IV, dove non è scoperta fatta,
accennata o
divinata
nella Scienza Nuova, ch'ei non accolga
o in-l
terpreti
con sa»io giudicio, né v' ha
principio storico, filo-
logico,
politico, legislativo e mitologico eh' ei
non accetti.
Se non
che, accettare per questo scrittore non
vuol
dire
già imitare. Egli imita, ma imita
interpretando e
giustificando;
accetta, ma accetta correggendo ed espli-
cando. E
tal si è pure, come vedremo, il
carattere della
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GAP.
il] CBmOI ED ERUDITI. 57
critica
di presso che tutti gli scrittori di
questo se-
condo
periodo.
Lo
lannelli invero distingue la filosofia
della storia
dalla
critica de^ fatti storici ; e afferma
che se dell' una '
troviamo
i prindpii nel Vico, dell'altra, che
pur n'esce
oom'
una conseguenza, quel certo filosofo non
si potè oc- '
cupare
gran fatto. Quest'osservazione è verissima;
ma
non
men vera dovrà sembrare la considerazione
che ne
possiamo
trarre. E questa considerazione è la
seguente:
se la
scienza storica moderna come ricerca
analitica che
informa
di se tutto il sapere de' dì nostri
fii prevenuta,
già
mezzo secolo addietro, da un seguace
e dal piiì
acuto
fra' seguaci del Vico ; è pur
mestieri che (come
suole
accadere in ogni periodo storico) dall'
analisi
oggi
si possa e debbasi risalire alla
sintesi^ col fine di
sempre
più legittimarla, e svolgerla. Questa
sintesi à
appunto
la Sciema Nuova; alla quale perciò
dobbiamo
r^alire,
ma risalirvi con tutta la ricchezza
del pen-
siero
moderno, dell'analisi moderna, inverandola in
ciò
che
merita, e dimenticandone quelle parti che
sono
in
evidente contraddizione con la scienza d'
oggidì. Ora
seguitiamo.
Quel
che lannelli appella Istoriosofia (scienza
delle
cose
umane) non è altro, a guardarla bene,
se non
l'esigenza
massima della Scienza Nuova. Di che
cosa
ella
s'occupa fuorché di giudm, di ricerche, à^
analisi?
Il
nome stesso d^ Istoriosofia ci addita il
fine che propo-
nevasi l'
autore in siffatta scienza : non
filosofia, bensì
amore
di ricerca, di testimonio (e^Tw». Ora
tal ma-
niera dì
scienza cosi unita e si intimamente
congiunta e
legata
cotta Scienza dd Vico, ci manca: come
dunque
si
potevan intendere i suoi principii? *
lannelli, com' è
evidente,
ha ragione. Se la Scierusa Nuova e
la Isto-
riosofia
assomigliano, com' egli dice, alla fisica
e alla
matematica,
ne viene che questa, separata da
quella,
■ Vedi
Iaknelli, Sulla natura e neee99ità ec
Napoli, 1817, Gap. II, § 1. '.
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58
STOBIA DELLA SOIENZA NUOVA. [lIB. I»
debba
riuscire al tutto vuota e superficiale;
al modo
stesso
che la seconda, scompagnata dalla prima,
si mo-
stra umile,
oscura e affatto incerta. Unitele, perciò,
ed
elle
sapranno operare i prodigi dell'ingegno
umano.
Così
la Istoriografia e la Scienza Nuova
amicate in-
sieme,
sapranno comporre una disciplina profonda e
degna
della virilità ad genere untano. — Tutto
ciò è vero,
e'ci
conferma nel giudicio espresso poco fa
sul carattere
di
questo critico valoroso: egli è vero
scolare, e vero
giudice
del suo maestro. Se il Vico è
sintesi, cioè filo-
sofia della
storia, abbisogna, per così dire, dello
lannelli,
abbisogna
dell' analisi, della critica. Insomma la
Sdenea
Nuova
ha d'uopo della Scienza dei fatti,
ieWistoriograficL
Nel
primo scrittore quindi è l'esigenza del
secondo, come
in
questo v'è altresì il bisogno di
quello, e però si com-
piono a
vicenda. Se tale dunque è la critica
dell' acuto
lannelli,
ognun vede quant' erroneo fosse il
giudizio
ond'al
Komagnosi piacque chiudere i suoi Cenni
sopra
quest'autore,
dichiarando troppo spectdativo il disegno
storico
del suo libro. Ma perchè troppo
speculativo s'ei
non
esclude minimamente, né il poteva, quelle
indagini
di che
r autore della dottrina su' Fattori
dell' incivili-
mento dei
popoli pensava di poter fare tavola
rasa?
Gli
appunti che lannelli muove alla Scienza
Nuova
riduconsi
a questi: non esser ella intiera e
perfetta
come
scienza, bensì disordinata, confusa, indigesta;
né
tutte
vere, esatte e provate quelle massifne
elementari
sovra
cui è fondata; alcune di queste anzi
essere addi-
rittura
false, altre oscure ed ambigue. Oscuro
e ambi-
guo, per
esempio, il significato della Provvidenza,
come
quello
che talora par che racchiuda V azione
reale diDio\
su '1
mondo, tal' altra la persuasione negli
uomini circa
tale
azione.^ Questa difficoltà che primo d'ogn'
altro
egli
mosse contro la Scienza Nuova, e che
ci mostra
in lui
sempre più chiara l' esigenza critica, è
grave assai;
*
Op. cit, pag. 161.
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CAP.
n.] GBITIGI ED EBUDITI. 59
ma
appunto perchè grave, ella non può
esser risoluta
fuorché
interpretando la mente del Vico mercè
un
<TÌterio
filosofico tratto dalle viscere stesse
d'alcuni
supremi
principii i cui germi giacciono incolti
nel libro '
De
Antiquissima Itàlorum Sqpimtia. Questo non
fece
lo
lannelli. £i non curò, come non han
curato presso che
tutti
gli altri critici, di scoprire nel
Vico le fondamenta '
d'una
dottrina metafisica, e costruirvi su una
filosofia.
Crede
inoltre confusa, nel Vico, l'origine degli
Dei;
per
cui gli pare che egli stia or
con Lattanzio, ora
con
Platone. Imperfette quindi e arbitrarie la
teogonia
e la
cronologia teogonica, e tali da doverle
rifare on-
ninamente da
capo : che non sempre Giove sarà
il primo
Dio a
formarsi, né sempre Nettuno sarà l'ultimo;
non
sempre
Mercurio sarà il portatore di leggi
agrarie
ai
famoli ammutinati, né Diana emergerà sempre
da'
fonti, né Apollo dalle bellezze civili
dei popoli, né
Vesta
guarderà sempre le biade, né Ercole
diboscherà
la
gran selva per seminarvi, e nemmanco
Satiimo
presiederà
costantemente all'arata e seminata campa-
gna. Osserva
come il suo maestro parli poco e
male
del
Tartaro, degli Elisi, degl'Iddii Inferi e
dell'altra
vita ;
e lo corregge su la natura d'una
costante e pro-
fonda
persuasione d'una vita avvenire. Non tutte
pre-
cise ed
esatte reputa le idee su l' origine e
formazione
della
lingua; né la lingua per lui procede
sempre pari
passo
con la scrittura, perché l' una non
dipende da' biso-
gni onde
l'altra è originata. Mostra da ultimo
d'inten-
dere
acconciamente il maestro quando parla
dell'ante-
riorità del
linguaggio poetico (non già delle forme
poe-
tiche e
del verso) rispetto al linguaggio prosaico.
Questi
i pregi dello lannelli come seguace e
come
giudice
del Vico. Ma in lui non mancano
i difetti. Se
di
fronte al suo maestro egli ci
rappresenta 1' analisi;
come
analisi ei non può non riuscir
manchevole e in-
compiuto. E
che sia così, basti rammentare qual
con-
cetto mostri
egli d' avere della scienza
delle cose
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00
STOBIA DELLA SGIE2TZÀ NUOVA. [lTB. I.
timane
che definisce per V esatta conosceva
del nesso
e
subordincusdone détte umane cose fra loro,^
e qual fine
si
possa con lei conseguire, fine che ha
da consistere
nel
saper come le cose succedono e come
e quando coe-
sistano:
parole tutte queste che parrebber dettate
da
un
positivista de' nostri giorni 1 Quando poi
stabilisce
che la
scienza del Nesso deva raccogliersi in
quattro
capi 0
nessi (d' origine, di coesistenza, di
successione :
e di
comunicazione) rispondenti mirabilmente, secondo
lui,
alle quattro parti della Storia ideale
etema del Vico,
la
quale perciò debb' esser la stessa Scienjsa
delle cose
umane
storicamente e non già scientificamente
conside-
rate;* in
tutto questo ei ci mostra che se
il discepolo
compie
il maestro, vuol esser compiuto egli
stesso, e
in
gran parte rifatto. A lannelli, d'altro
canto, non
fu
dato cogliere quel concetto originale del
Vico sul
cominciamento
della storia eh' ei dice romanzesco e
strano,
non sapendosi a verun patto capacitare
dell'ab-
brutimento
primitivo della schiatta umana: col che
dà
segno d'
essere inferiore al Duni. Scherza poi
e sorride,
come
fan volentieri pressoché tutti gli altri
interpreti,
su lo
scoppiar del fulmine a cui più d'una
volta accenna
il
filosofo napoletano; né s'avvede come nella
Sdenta
Nuova
cotesta non sia vera cagione, bensì
occasione
svegliatrice
d^unuinità nell'uomo imbestiato: e nean-
eh'
egli riesce a salvarsi dalla, contradizione
in che in-
cagliarono
il Vico e '1 Duni rispetto all'
origine del
popolo
eletto. Finalmente non intende la lingua
di-
vinai perchè
non sa cogUere il valore di
quell'altra
idea
che le nazioni vìvessero per lunga
pezza mute,
e solo
parlassero per gesti e cenni: il che
si oppone
(egli
dice) al fatto, e al diritto; al
fatto, perché non
v'è
popolo senza lingua; al diritto, perchè
a vivere in
società
condizione imprescindibile é la parola.
Qui,
»0p.
cit. pag. 173.
• Pag.
175.
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GAP.
n.] CRITICI BD EBITDITI. ^
com' è
evidente, il discepolo è molto più
indie^
maestro.
Ma
quest' acuto è benemerito seguace del
Y\
un
altro pregio che noi dobbiamo segnalare
stri
lettori. Esplicando alcune dottrine della
Scienza
Ntwva,
e' prevenne i Positivisti nel rilevare
una legge
nello
svolgimento storico delle scienze; e, ciò
che pili
monta,
li prevenne correggendoli. Il processo
isterico
del
conoscere per lui è quello del Vico,
ma considerato,
al
solito, in maniera analitica. Egli pone
cinque età
nel
corso e nella evoluzione della Scienza;
le quali,
chi
ben guardi, ci ricordano le tre età
storiche del
maestro,
e si modellano su lo svolgimento
naturale delle
tre
facoltà conoscitive : Senso, Immaginazione
e Ragione.
Or r
ultima età, che per i Positivisti è
negativa tutto
che la
battezzino per positiva, in lui riesce
davvero po-
sitiva.
Nell'età della vecchiezza e della ragione,
infatti,
egli
vede nascere la Telosofia, Scienza dei
fini; e vede
sorgere Y
Etiólogia, Scienza delle cagioni.* Questi
due
concetti,
massime il secondo, ci son oggi
ripetuti tal \^
quali
da Stuart Hill, e da lui stesso
posti a fonda-
mento della
Sociologia. H Positivismo francese poi, con
la
tricotomia positiva de' suoi tre stati, non
volendo
saper
nulla, com' è noto, nò dell' una
ne dell' altra cosa
(ciò è
dire né di finalità né di causalità)
si contraddice
evidentemente,
e col fatto si palesa negativo e
nullo
nel
momento stesso che presume d' esser
profondamente
positivo.
E' miflomigliano a Stenterello che si
dà l'aria di
padrone,
giusto quando senz' addarsene è assai più
in
giù
dell'ultimo servo di casal II vero
positivo sta nella
quinta
età di cui parla lannelli.
Ma la
critica su la dottrina del Vico, che
con tanto
senno
avea saputo 'inaugurare quest' egregio
scrittore,
scade
a un tratto nel Romagnosi. Ognuno
infatti si
maraviglierà
nel leggere che cosa pensasse del
nostro
« Vedi
Gap. Vili, 4.
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by VjOOQ IC
62
8T0BIA DBLLÀ SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
filosofo
egli, l'autore dell'opera su V indole e
s\x^ fattori
délV
incivilimento, nelle sue Osservazioni suUa
Scienza
Nuova.
* Io non so maravigliarmene punto ,
specie
quando
considero che il concetto cardinale sopra
cui
si
sostiene l'opera dianzi citata del
Komagnosi, è la
negazione
assoluta del principio in che tutta
si regge
la
Scienza Nuova. L' incivilimento per lui
essendo sempre
I
dativo non mai naiivo,^ lo trascina
alla dottrina, o a dir
meglio,
all'ipotesi del così detto popolo
Auto-civile,
L'esistenza
d'un popolo siffatto, chi ben rifletta,
con-
traddice al
suo stesso principio; perocché se
l'incivili-
mento è
nativo nel popolo Auto-civile, non si
capisce
perchè
non possa esser tale anco negli
altri, negli altri
considerati
almeno quant' alla loro esistenza
originaria.
Né qui
parlo del modo con che nelle Vedute
eminenti
SfdV
incivilimento riguarda il genere umano,
figurandoselo
come
xxnHndividua personalità. Or queste dottrine
con-
traddicono
al Vico, distruggon la Scienza Nuova,
annul-
lano il
vero e il grande significato di
questo libro. Ecco
dunque
perchè il Komagnosi non poteva avere
in molta
stima
il metodo, nettampoco i principii di
lui. Quant' alle
critiche
speciali poi, non mi paion cosa molto
seria,
come
si potrà giudicare da queste che
verrò accen-
nando così
per semplice saggio.
Discutere
su le favole antiche pel Romagnosi è
im-
presa
fnwtife, inopportuna e stravagante; però
conclude
che il
Vico, avendo preso la strada delle
favole e dèlie
teogonie
per giungere alla storia, ha preso la
via pii^
disperata
da non cavarne costrutto alcuno. Ma
quale
altra
via men disperata di questa saprebb'egli
addi-
tarci per
avventura ! Quant' allo stato ferino
dell' uma-
nità,
domanda: ma perchè figurar V uomo
primitivamente
bestione,
ferino, girovago? Se Vico in ciò
(soggiunge
anche
luì come il Finetti con una smorfia
di sprezzo)
* Vedi
Oputeoli ani vari argomenH di Diritto
JUoeoJleo, Prato, 183o,
Le
Oètervaxioni 9tdla Scieruta Nuova furono
scritte nel 1821.
■ Vedi
DtW Indole e dei Fattori delV
incivilimeutOt § IX.
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GAP.
n.l ORITIGI ED ERUDITI. 63
fu
cmtesignano di Bousseau, gli rimane una
cattiva glo-
ria!* Crede
poi falso il circolo similare nel
corso mo-
rale e
politico dei popoli, e dà prova di
non averne
colto
l'intimo significato quand'afferma: « Se
«que-
sto circolo
può all' ingrosso verificarsi nella forma
dei
governi,
non si verifica punto nello stato
reale delle
popolazioni,
nelle quali la decadenza e il
risorgimento
non
sono una morte ed un rinascimento
morale e
politico,
ma piuttosto metamorfosi simili a quelle
che
reggiamo
nei bruchi. Insomma non si ricomincia
a6
ovo;
ma à. ricomincia da un nòcciolo
superstite e mo-
dificato
dalle circostanze antecedenti e conseguenti,
le
quali avendo distrutto ciò che era
incompatibile,
formano
un tipo fondamentale d' un altro genere
di
vita^
i>
Queste
osservazioni hann' anch' elle un aspetto
di
verità
; ma se il Romagnosi avesse meditato
la Sdevusa
Nuova
con più amore e men disprezzo e
meno boria a lui,
del
resto, tanto naturale, avrebbe visto che
il Vico altro
non
intese dire, come vedremo, se non
quello precisa-
mente eh'
egli stesso ha detto qui assai male
e senz' al-
cun
metodo filosofico. E perchè poi reputa
impossibile la
similarità
de' circoli storici? Perchè intese anch' egli,
in
modo volgare, come parecchi altri, il
valore di cosi
fatta
legge. Ei non poteva persuadersi come
nella sto-
ria ci
sia ritorni e ripetizione di forma
(meccanismo);
ma non
s'avvide che se pel Vico nella storia
ci è ri-
petizioni,
cotesto ripetizioni non sono possibili
senza
veraci
innovazioni (dinamismo).
Io non
so capacitarmi come l' ingegno potentissimo
del
Romagnosi non penetrasse nell' intimo della
Scienza
Nuova.
Non so capacitarmi com'ei facesse una
critica
*
Certo U Romafirnosi non TÌde che se
il Vico prevenne Roasseau e
tutti
qnei giasnataralisti del secolo XVIII i
quali sì volentieri ciarlavano
sa lo
ttato di natura, li prevenne correggendoli,
cioè legittimando ra-
zionalmente
cotesto stato natarale, col porre in
opera ben altri prin-
eipii
di psicologia e di storia cho non
eran quelli de' saddetti filosofi.
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64
STORIA DBLLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
debole
e scucita cosi che gira sempre
attorno senza
mai
coglier la sostanza delle dottrine del
Vico. U che
senza
dubbio terrà alla forma della sua
filosofia, della
quale
il Rosmini pose in evidenza i molti
e sostanziali i
difetti,
e, nonostante le calde e lunghe
difese del Nova,
i
giudizi del Roveretano restano pur oggi
intatti e verL
Il
Romagnosi, in ima parola, non poteva
pregiar la
Scienza
Nuovii, perchè le sue dottrine putiscon
di mecca-
nismo.
Artificiale e meccanica è in lui la
dottrina sul
governo
dello stato, ch'ei paragona al cervello
dell'ani-
male.
Artificiale e meccanica la dottrina dei
Tesmo-
fori
in politica e in religione ; le
quali per lui sono
bensì
strumenti benefici al popolo, ma nelle
mani dello
stato.
E dottrina presso che meccanica quella
de' suoi
Fattori
dell' incivilimento. * Perfino la
terminologia
eh'
egli adopera ne palesa l' indole della
mente e delle
idee:
storia naturale dei popoli, fisiologia
degli stati,
funzioni
meccaniche e dinamiche della società, dina-
mica e
meccanica morale, e simiU. *
Come
passaggio della critica empirica e negativa
del
Romagnosi alla critica scettica del
Ferrari, si pre-
senta la
traduzione e l' anaUsi che della Sdenjsa
Nuova
die
alla Francia 6 alla eulta Europa l'
illustre Miche-
let. Agli
occhi degl'Italiani questo scrittore ha due
grandi
meriti: d' aver fatto conoscere il nostro
filosofo
isin
dal 1827 fuori d'Italia, e, che più
monta, d'averlo
fatto
capire nella sua verità mercè quell'
arte facile,
disinvolta
e con quel fare schietto e rapido
con cui, tra-
ducendola,
seppe imprimere alla Scienga Nuova forma
netta
e fedele. Se non che, per quanto
il Michelet non
sia
crìtico interprete (né egli vi pretende)
ma critico
espositore,
non pertanto i suoi giudizi son tutti
co-
* Si
yegga la definizione che ne dà nello
Leggi dtlV ineivUimento, § 43.
* Il
Ferrari ha rilevato con molta esattezza
la differenza tra Vico
e
Bomagnosi nel lihro La menu di
Romagnoti. E noE a torto poi il
chiarissimo
professor Ferri pone il Romagnosi come
primo ponHvi^ta
In
Italia. — Ved. RÌ9t. de la PhU. lud.,
Tom. 1«% Paris 1869.
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CAP.
n.] CRITICI KD EBUPITI. 65
scienziosi
e pressoché tutti pieni di verità.
Eccone un
saggio.
Ci ha due Scienze Nuove, egli dice;
ma se le
Scienze
Nuove son due, la prima d' esse è
insieme I
r
ultima parola dell' autore ; ultima quant'
alla sostanza
delle idee.
Un'altra osservazione è questa: carattere
e
intento supremo di codesta Scienza Nuova
è quello
d'essere
una filosofia, e nel medesimo tempo
una storia
dell'umanità.
E un'altra riflessione che merita sia
ricordata,
è la seguente: il concetto d'una
perfezione
stazionaria
accennata dal Vico nella Scienza Nuova
e
riprodottasi
poscia in tanti libri, non riappare
altrimenti
nella
seconda Scienza Nuova. Mi giova notare
con ispe-
dalità
quest' ultimo pensiero del Michelet, per
correg-
ger la
sentenza di tutti quegl' interpreti i
quali per
d
lungo tempo ci han detto e ridetto
che dei corsi e
ricorsi
entro cui il Vico chiuse V umanità
(per dir la
parola
consacrata), ei non abbia parlato fuorché
nella
seconda
Scienza Nuova. Non ne ha parlato mai,
in nes-
sun libro,
in veruna pagina de' suoi libri I
La staziona-
rietà (sia
detto unU buona volta per tutte) non
è con-
cetto
vichiano. Io noi trovo esplicito, né
implicito in
lui ;
e non iscaturisce in verun modo dall'
insieme delle
sue
dottrine. Il concetto del corso e
ricorso storico,
adunque,
alla maniera volgare ch'é inteso da' più,
è
concetto
che assolutamente ripugna al pensiero e
alle
scritture
del nostro filosofo.
Ma non
tutti i giudizi del Michelet ci
paiono ugual-
mente
giusti. Ei non giugno a spiegar
convenevol-
mente, per
esempio, il concetto storico del nostro
filo- 1
sofo
su la forma del governo monarchico;
tanto meno
que'due
principii accennati piii d'una volta nella
iScien^^a
Nuova
e nel DvrìUo Universale su la
necessità in che
può
ritrovarsi un popolo di consentire a
lasciarsi gover-
nare ov'
ei non sappia governarsi, e su l'
affidar l' im-
pero del
mondo alla solerte prudenza dei migUorì.
Il Mi-
chelet seppe
delle opere del Duni, ma forse non
potè
leggerle:
così parrebbe almeno dal modo con che
lo
SrnuAiii.
ff
cita
fiiggevolmente solo una volta. Se quindi
avesse cono-
l
scinto il Duni, avrebbe dato al Jus
Gentium del Vico il
suo
proprio valore. E s'inganna poi quand'
aflFerma, che
il
Libro Metafisico sia la sola scrittura,
le cui dottrine
non
fossero state trasportate nella Scienza
Nuova, del
che lo
riprende giustamente il Predari. Ma il
Miche-
let ci
compensa di cotesti erronei giudizi laddove
con
acume
non ordinario confessa di riconoscere nel
Vico U
metafisico
sottile ,e profondo. E poi ci dà
prova sicura
d'animo
spassionato e libero da ogni boria
nazionale,
quando,
egli francese, francamente dichiara essere
il
Vico r
antagonista per eccdlenaa del CartesianismOy
l'avversario
più illuminato e più eloquente dello
spi-
rito del
secolo XVIII.' Anche quest'osservazione è
d'ogni
parte vera e luminosa; perocché se
carattere di
quel
secolo, come giustamente si crede, fu
la negazione
assoluta,
la negazione in tutto e di tutti,
distintivo, al
contrario,
delle dottrine del Vico si fu quello
di tutto
restaurare,
e tutto affermare mercè l'opera del
me-
todo
isterico.*
E
poiché siamo a parlare de' Francesi,
occorre far
menzione
degli altri che in quel paese,
nell'epoca di
che
trattiamo, non reputarono tempo perso
volger la
mente
al nostro filosofo. E primo fira
tutti il Lerminier,
* Vedi
Prtncipet de la PhU. de VHiat,
traduite de la Scietua Nuova
de
J. B. Vieoy BruxeUes 1839, pag. lxxi. — La prima Ediz.
è del 1827.
* La
ridazione fatta dal Michelet détte
occasioce iu Italia ad una
critica
del Kicci pubblicata nolV Antologia
del Vieusseax (Anno 1838» 1
N. 88,
e 92). Il Ricci mostra come lo
storico francese altro non desse
alla
Francia che ì frantumi della Scienza
Nuova, e per cinque diversi
capi
ne rileva la incompiutezza. Oltre a
questo pregio, negli articoli del
Btcci
re n' è un altro ; Taver posto
in chiaro, meglio forse che non
facess^i
il
Dani, il significato della parola Autorità^
che ne* libri del nostro filo-
sofo non
è di lieve momento, e mostra che
talora egli assume questa
parola
nel senso del Gius Komano come
sorgiva de* diritti pubblici e
privati;
talora com*effotto del consenso d* una
nazione in un dato prin-
cipio; tal*
altra come potestà, come potere ch*ò
negazione di ragione e
di
coscienza speculativa. Notiamo altresì come
il Ricci è quegli, fra* cri-
tici, che
più insiste su l* ufficio del
Seneualiemo nelle idee storiche delj
Vico.
Ved. Art. I, pag. 85.
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CAP.
n.] OBITIOI ED BBUDITI. 67
come
quegli che nelle due principali sue
scritture ne
discorre
sempre con entusiasmo, con amore e
grande ve-
nerazione.
Ben s' appone a designar la Sciema
Nuova
come
il monumento sublime e hieearro^ in
cui è viva la
impronta
delle fofrme e dei colori dd medio
evo, e che
gittato
in meeeo ed secolo XVIIlj fa del
Vico centro
dette
antiche tradizioni, e insieme precursore
déUa Scienza
Nuova:
* talché non a torto fino dal
1829 lo considerò
come
il vero predecessore de' Wolf, de'
Niebuhr, e degli
Hegeliani.
Se non che non sempre questo dotto
e simpa-
tico
scrittore dà nel vero, come quando lo
dichiara padre
dell'
JEfcfewswto moderno,^ o come laddove
osserva che
nella
storia del mondo egli trasportasse quella
di Roma.
Lerminier
non vide che di questa seconda
istoria ei gio-
V06SÌ
a meglio intender la natura della
prima, alle storie
tutte
e perfino alla storia universale
trasferendo gli ele-
menti
essenziali, originari, universali costituenti la
na-
tura umana.
Assai meglio avrebbe detto d'aver egli
tras-
ferito la
psicologia nella storia, anzi che la
storia di
questo
0 quel popolo alla storia di altri,
ovvero a quella
di
tutt'i popoli in universale. Né, d'altra
parte, il Vico
intese
applicare una legge alla storia in
generale; er-
rore, come
vedremo, dei Teologisti e degli Hegeliani:
intese
bensì applicarla ai popoli considerati
nelle indi-
viduali lor
tradizioni e civiltà. Tanto meno poi
é lecito
creder
eh' egli ponesse identità fra' tempi
eroici primi-
tivi e'
'1 medio evo: bensì è vero eh' e'
vi discemesse un
moto
perenne di ripetizione essenzialmente
progressiva.
Altrove
il Lerminier, parlando del Machiavelli, os-
serva come
r autore* della Scienza Nuova correggesse
lo
spirito storico del Segretario fiorentino,
mercé una
pciitica
ideale e platonica. ' Questa sentenza
in parte
è
vera; e dico in parte, poiché si
può chiedere se
co'
suoi principii applicabili alla politica,
il Vico abbia
• Vedi
Introd. gin. à VHitioire du Droit,
cap. Xm.
*0p.
cit. pag. 167.
• Vedi
JKrt. de
la Phtl, du Droit, Tom. U, pag.
102.
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68
STOMA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
corretto,
o non piuttosto compiuto ciò che nel
Machia-
velli è
solamente arte politica. Tutt' insieme
dunque può
dirsi,
che se la critica del Lerminier non
è molto acuta
né
molto sicura in alcuni giudizi, ella
riesce nondimeno
a
cogliere con lucidezza tutta francese la
natura e '1
fine
della mente e deUe opere del nostro
filosofo.'
Su'
giudizi del Lerminier riguardanti le idee
giurì-
diche e
politiche del Vico torneremo in altra
occasio-
ne. Qui
giova notare come in Francia, quasi
nel mede-
simo tempo
in che gli scrittori di cui abbiamo
accennato
facevan
conoscere il nostro filosofo, altri presero
a par-
lame
come il Gousin, Teodoro Jouffroy, il
Ballanche.
Tutti
ripeton le usate lodi, e qualche
giudizio del Gou-
sin, al
solito, a volerlo sottilmente esaminare,
non riesce
molto
esatto. Quando vuol fard credere, per
esempio,
che il
Vico, benché combattesse Gartesio ne
seguiva
nuUameno
la filosofia generale^* ognuno capisce
com'ei si
studi
attaccare al gran carro del cartesianismo
perfino
il
Vico; quasi che, anco a detta del
francese Miche-
let, non
ne fosse stato anzi V avversario piii
terribile.
E va
lungi dal vero quand' osserva, che
tutto ciò che
è nel
Bossuet e nel Vico trovasi in Herder;
' quasi che
si
possa ignorare che Fautore della
Metacritìca contro
il
Kant non fosse altro che un buon
sensista, il quale
'
perciò non dubitava credere che dall'
organismo pul-
lulasse ogni
nostro pensiero e facoltà:^ nella quale
sentenza
ci conferma il suo traduttore francese
il Qui-
net. U
Gousin poi dice il vero laddove pone
l'Herder
' come
compimento del Vico quant' al concetto
della na-
tura e
della efficacia che la natura dispiega
sulla storia.
Ma
avrebbe dovuto avvertire che s'egli è
compimento
*
Eccone, per esempio, una prora nella
seguente arguta osserraxione:
<
Quand n<nu voyont Vioo rentier nevi
au iorrent du dix-teptième et du,
dix'huiHhne
aiècU paur enfomttr U dix-neuvihnef nouB
pouwma à coup •ùr
lui
décemer le nom dt genie originai,
Pag. 168.
Tom. cit.
*
Vedi CoiTBiK, down eie,, 2* Serie
Tom. II, p. 882.
*
HiH. gin.
de la phtl. le^ XI.
^ Vedi
HiBOBB, mst. Ub. I, Cap. II.
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CAP.
n.]
GBITIOI SD BBUDITI. 69
del
Vico, Herder stesso vuol esser compiuto
col Vico
quant'
al modo razionalmente organico ond^ il
filosofo
italiano
usa guardare i fatti storici. Quel
medesimo con-
cetto che
forma tutto l' onore di Herder, costituisce
la
sua
condanna. Con V idea della natura,
infatti, Herder
non
poteva rintracciar le fila del vero
progresso della
storia,
appunto perchè il processo di natura
non è pro-
gresso. E
se con tanto entusiasmo ei discorre
sul princi-
pio della
tradizione umana che per lui costituisce
Tin-
tdUUo
dd genere umano; a tal principio egli
stesso
contraddice
quando, per' esempio, esce in quella
nota
apostrofe a'
popoli orientali, nella quale ha pur
cuore
di
rallegrarsi della loro immobiUtàl Se dunque
è vero
che
Herder per un verso compie il Vico,
è verissimo che
per un
altro il secondo, non solo compie, ma
corregge
il
primo.
Molto
più vero del Cousin ci sembra V
acuto Joufiroy
nell'
ingegnoso riscontro eh' ei fa tra
Bossuet, Vico ed
Herder,
quando rassomiglia il nostro filosofo ad
una gran
hice,
che in mezzo a fosca nube diffondesi
a larghi sprazzi.
E
parlando del Montesquieu coglie il vero
dove afferma,
che se
questi cerca lo spirito delle istituzioni,
il filosofo '
italiano
vi si profonda tanto da scrutarne le
leggi : leggi
non
solo delle istituzioni, ma di tutto
ciò che può espri-
mer r
umano pensiero ; leggi dello stesso
pensiero entro
cui ed
in cui le altre tutte di natura
sì compendiano
e
consistono.* Non basterebbe tale osservazione
a pro-
var come
Jouffroy penetrasse a meraviglia nel
midollo
della
Scienza Nuova? Gloria del Vico (afferma
poco piii
giù) è
r aver concepito come lo svolgersi e
'1 vivere del-
l' umanità
soggiaccia ad una legge ; e questa
legge è
d'uopo
indagar nella storia. Osserva ancora che
nella
Scienza
Nuova ha luogo una lotta, una lotta
continua^
fra '1
metodo geometrico e il metodo induttivo;
ed è
cotesta
lotta che ne turba ad ogni passo
V andamento
«
Vedi JoUFFBOT, MOangt» phUoeaph., Bruxelles,
1881, pag. 65.
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by VjOOQ IC
70
STOBIA DELLA SOIBNZA. NUOVA. [lIB. I.
e la
composizione. E anche questo è vero ;
ma non sa-
rebbe vero
dove se ne volesse concludere che
dunque
coiai
lotta non si risolva a nulla,
stantechè il metodo del
Vico
non sia propriamente metodo geometrico, né
metodo
pOramente induttivo
; il che certo avrebbe visto quel
dotto
filosofo,
se dello scrittore napoletano non avesse
cono-
sciuto altro
che la Scienza Nuova, come noi
sospettiamo.
Verissima,
finalmente, è V osservazione con cui
Joufifroy
chiude
il suo studio critico su le tre
grandi opere da
lui
esaminate, dicendo che T opera del
Vico è, senza
contraddizione,
la plt^ historique et la plus nud
faUe
delle
altre due.
Del
Ballanche diremo solo eh' ei mostrossi
lodatore e
fanatico
ammiratore del Vico di guisa che
volle imitarlo
vestendone
i pensieri poeticamente. Ma il nostro
filosofo
a lui
piaceva massimamente per la importanza e
va-
lore ch'ei
porge al senso religioso : piacevagU,
insomma,
pel
carattere ortodosso che ne informa le
scritture.
Come
poteva dunque risparmiare il biasimo
all'autore
della
Scienza Nuova d' aver posto fuori del
processo tra-
dizionale
quello della civiltà, e dato a questo
un' origine
affatto
naturale e spontanea? ^
Ed ora
tornando in Italia, ci è dato
assistere ad un
movimento,
diremo, febbrile nello studiare, nell'
inter-
* Vedi
Ballanohe, Opere, Parigi, 1880 nel Voi.
III. — Notiamo qui di
passaggio
e per ragion cronologica, come prima
ancora che in Fran-
cia si
divulgasse la fama del Vico, in
Germania era apparsa una tra-
dazione
della Scienza Nuova fotta da G. E.
Weber. La prefazione che
ir*ò
premessa non è molto faroroTole al
Vico, ed è scritta con passione.^
Ha ai
passionati giudizi del traduttore tedesco
vennero poscia ripa-
rando
dapprima il GOscbel, profondo ammiratore
delle dottrine del no-
stro
lilosofo eh* egli contrapponeva ad Hegel,
e poi il Moller, ed il Cauer.
Il
modo col quale il G{)sobel parla del
Vico, nonchò le difese del Mailer 1
contro
gli attacchi d*un anonimo scrittore, sono
molto rilevanti. Singo-
lare il
giudizio d'alcuni Tedeschi sulla Dipintura
che il Vico premise
alla
seconda Scienza Nuova. Agli occhi di
Weber cotesta dipintura parve
sciocchezza;
a quelli del G<tochel,per contrario, è
sembrata mirabil cosa,
e
quasi compendio delle dottrine storiche
fondamentali del nostro Alosofo.
— Vedi
i giudizi del Cantoni sopra questi
tre autori ne' suoi ShuU critiei !
t
eomparativit cap. XVIII.
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by
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GAP. n.]
CRITICI ED ERUDITI. 71
pretare
e svolgere le dottrine del Vico. Gli
studi critici
e r
edizioni crescono e s'incalzano dal 1835
in giù. Primo
fra
tutti è da ricordare il dotto toscano
L. T. (Luigi \
Tonti)
che fuori d^ Italia pubblicava un
libro di critica
su la
Scienza Nuova. Ei non conobbe gli
studi del Fer-
rari che,
giusto quell'anno, con ardimento giovanile
po-
neva mano
alla grande edizione milanese delle opere
del Vico.
Il Tommaseo lodò il libro del Tonti
otto anni
avanti
eh' egli stesso pubblicasse i suoi
Studi Critici sul
medesimo
autore ; ma se il Tonti avesse
conosciuto i la-
vori del
Ferrari nonché quelli dello lannelli,
l'opera sua
certamente
sarebbe riuscita più feconda nei
particolari.
Suo
merito è d' aver saputo esporre le
più astratte e
confuse
dottrine della Scienza Nuova in forma
chiara,
semplice,
schietta e senza pretensioni: e ad
ingegno to-
scano,
rapito troppo presto ai severi studi,
tale arte non
potea
far difetto. Versato nella erudizione
storica e giu-
ridica egli
ha cura di rilevar le attinenze fra
il Ma- 1
chiavelli
e '1 Vico, tra il Vico e il
Gravina, e tra '1 Vico
e i
giusnaturalisti di poco anteriori a lui.
Le pruove filo-
logiche e
filosofiche riguardanti la dottrina mitologica
della
Sdenea Nuova sa coglier giusto e
nettamente di-
chiarare.*
Ma nella terza parte del suo libro,
eh' è ap-
punto la
parte critica, dice ritrovar nel filosofo
napole-
tano due
difetti, su' quali discorre a lungo: 1*
d'aver egli
dato
all'umanità le leggi stesse dell'individuo,
poco ol
punto
considerando quelle che risultano dal
consorzio
civile
(difetto oggi, come vedremo, apposto al
Vico anche
dal
Mamiani): 2* d'essere stato incerto su
l'ultima de-
stinazione
dell'umanità.'
Quant'
al primo appunto, a noi non sembra
vero che
il
filosofo di Napoli abbia ragguagliato
l'individuo al-
Yumanitàf
bensì ai popoU, alle nazioni : non
al genere,
bensì
alla specie. Di fatto, anzi che di
genere umano,
e' ci
parla di tradizioni, di popoli, di
nazioni e civiltà che
* Vedi
Saggio 9opra la Seienna Nuova. Lugano,
lSd5, pag. 47.
*0p.
cit. pag. 200.
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72
STOBIA BELLA SOIENZA KUOYA. [lIB. I.
sorgono
e dechinano ; e fu lo lannelli,
e più ancora i so-
I
cialisti francesi che intesero la cosa
a tal modo, non già
r
autore della Sdenea Nuova. Così pure
è da rispondere
alla
seconda difficoltà. Come autore della
Scienza Nuova
non
può dirsi eh' e' fosse certo, ne
incerto sul destino del
mondo,
perchè cotesto scopo trascendeva i confini
del
soggetto
su cui versava la sua mente. La
Scienza Nuova
è
scienza della storia : è, innanzi
tutto, scienza dei fatti
umani;
ma de' fatti umani passati, non già
futuri. Or
la
filosofia della storia indaga il passato,
il quale a no*
stro
bell'agio possiamo ricercar ne' suoi modi,
nelle sue
leggi,
nelle sue relazioni di tempo e di spazio,
ma non
può,
non dee spinger T occhio nell'avvenire, che
solo ci è
dato a
mala pena indovinare. La destinazione del
mon-
do, adunque,
è soggetto di ben altra scienza. Che
se il
Vico
giugno a mostrare, come vedremo, una
legge anche
nel
futuro; i modi speciali e le speciali
forme di essa
ci
riescon assolutamente ignote; e però il
Ubro, come il
metodo
di lui, riveste indole meditativa,
indagativa, non
già
speculativa, dialettica, a priori^ ontologica
e che so
io. Il
perchè non ci fa maraviglia se anche
il Tonti parla
come d'
un grand' errore dove accenna alla
dottrina
de'
corsi e ricorsi storici del Vico.
Questo
lavoro, del resto, è scritto in modo
che in-
voglia a
leggerlo d' un fiato. Sotto quelle parole
appa-
rentemente
calme, serene, spesso anche fredde, ma
sempre
chiare e talora eleganti, sentesi certo
calor
vitale
che manifesta la fede nelle dottrine
intomo a
cui
medita lo scrittore. Belle senza dubbio
le conside-'^
razioni
sul movimento civile e scientifico in
Francia
ed in
Germania verso la seconda metà del
secolo XVIII;
pieno
di verità il riscontro tra i filosofi
francesi e'I
Vico :
e quello tra Vico ed Herder
segnatamente mostra
com'egli
intendesse appieno la distanza che separa^
Hegel
dal Vico nel concetto storico in
generale.*
* n
Tonti fa il primo ad accorgersi che
il Gans nella sua Storia
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by VjOOQ IC
GAP.
n.]
CBITIOI ED SRUDITI. 78
Ma r
amore e V interesse degli studi sul
Vico va
sempre
più crescendo, e due edizioni di
tutte le sue
opere
s'imprendono dal Ferrari e dal
Predari nel
medesimo
anno e nella medesima città. '
Il Predari
sperava
di riuscir meglio nella nobile
impresa; ma
arrestossi
ad im primo volume entro cui raccolse
tutte
le
scritture latine, e vi adunò
note e schiarimenti I
infiniti
che non mancano di pregi. Per
esempio, egli pone
in
chiaro i legami esistenti fra V
Orazione su la Bagùm \
degli
stujii, il Diritto Universale e il
Libro Metafisico;^
nel
che ha spiegato tanta accuratezza, che
nessun cri-
tico
posteriore ci è parso T abbia saputo
superare.* In-
gegnosa r
osservazione su lo scritto De mente
heroica^ \
eh' ei
dice potersi considerare com' esordio
oratorio a
tutte
le opere del nostro filosofo. La
verità di questcT giu-
dizio si
farebbe chiara, se la Mente eroica
del Vico non
aspettasse
pur sempre la pietà d'un traduttore,
e pili an-
cora d'un
interprete fedele, essendo libro di molto
valore,^
stante
che ritragga la natura ddla mente
rivelatrice e la
virtù
dell' ingegno inventivo per eccellenza.
Egli inoltre
vede
giusto dove chiama erronea, come sopra
avver-
timmo,
queir asserzione del Michelet riguardante
il
Libro
Metafisico; al qual proposito nota
felicemente che
la
maggior parte delle idee di quesf
opera circolano^ a\
eoA
dire, per tutte le parti vitali détte
successive sue
scritture.
Vere anche quelle riflessioni su l'analisi
e
su la
sintesi; le quali, com'è noto, il
Vico piglia in.
ben
altro senso che non facessero
Cartesio, Spinoza
e
Leibnitz. E parmi poi che questo
dotto commenta-
tore sia
riuscito anche a sciogliere certo nodo
in che
delle
saccessioni applica il sistema del Vico
nella Storia del diritto pri- 3
Tato
delle famiglie. Op. cit., pag. 198.
* Vedi
Op. del Vico con tradozioni e
commenti di Franoksoo Fri- \
DAU.
Milano, Braretta, 1885. — Op. del
Vico ordinate ed illastrate col-
r
analisi storica della mente di Vico
in relazione alla Scienza della ci-
viltà da
OnnsiPPK Fbrbart. Milano, Società Tipografica,
1885-87.— Edi-
tion
complète des oKiTres de Vico en six
toI. Paris,
1885-87.
* Vedi
Op. cit, pag. 410.
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74
STOMA. DELLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
abbiam
visto intrigarsi tutti quelli che han
parlato del
metodo
del Vico. Si sa quant' egli
condannasse il me-
todo
geometrico nelle scienze morali. Ma forse
che con
ciò
intese condannare quello stretto ardine
geometrico che
troviamo
commendato segnatamente nel Diritto Uni'
versale?
No, certo. Con vari argomenti il
Predari mo-
stra come
il Vico abbia celatamente avversato la
sintesi
;
cartesiana; quella sintesi che nel
linguaggio de^ primi
cartesiani
suonava propriamente analisi. Non s'ha dun-
que a
confondere col metodo propriamente matema-
tico la
dimostrazione geometrica da lui tanto
celebrata
e
creduta necessaria anco nelle scienze
morali: non
\methodum
geometrìcam, sed demonstrationem ipsam inh
jportandam.
Non il metodo, ma sì l'efficacia del
metodo
geometrico
vuol esser trasferita nelle scienze morali.
Siffattamente
il Predari ha chiarito assai meglio
del
Ferrari
cotesto punto. Col metodo geometrico la
mente
del
matematico s' ìsola, si astrae, si chiude
in sé me-
desima, e
lavora componendo. Ecco la sintesi di
Car-
tesio,
almeno come la intendeva il Vico. Ora
questa
sintesi
in sostanza è l'analisi di cui egli
parla, e ch'egli
stesso
condanna, appunto perchè non vuol già
isolare
il
pensiero nello stesso pensiero, ma
diffonderlo nella
etoria.*
Ed ora
eccoci al Ferrari. Nel Ferrari veggiamo
rac-
colti tutt'
i meriti e tutt' i difetti dei
critici, degP inter-
preti, de'
seguaci, degli espositori e degli
oppositori del
Vico
passati, presenti e fors' anco futuri.
Di lui tocche-
remo anche
in altro luogo. Qui diremo solamente
quanto
basti
per apprezzar la critica fatta al suo
maestro^
com'ei
chiama il Vico. Innanzi tutto notiamo
questo:
chi
vuole studiar le opere del nostro
filosofo non può
'
Dobbiamo lamentare che il Predari non
abbia mandato a compi-
mento (a
quel che noi sappiamo) la sua
edizione, che certo sarebbe stata
migliore
dell* altra del Ferrari, del quale ei
mostra le moltissime e ta-
lora
incredibili mende. Nò poco pregoToli ci
sembrano poi le molto
correzioni
storiche, filologiche, e cronologiche allo
stesso Vico, nonchò'
gli
emendamenti alle citazioni di lui
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by VjOOQ IC
CAP.
n.]
CBITICI ED ERUDITI. 75
fare a
meno dell'edizione del Ferrari; ma chi
desideri
intenderlo,
si guardi bene dal leggere anche per
isvago
l'analisi
della mente eh' egli ne fa, prima d'
avere stu-
diato il
Vico. Il gran merito del Ferrari, e
perciò la
parte
piii profittevole della sua grande
edizione, è quel
riscontro
continuo ed esatto delle note comparative,
delle 1
illustrazioni,
de'ravvicinamenti ond'ella è piena, massime
neUe
due Scienze Nuove. La parte positiva,
paziente,
fruttuosissima
de' suoi studi è appunto questa.
Nessuno
ha
potuto far altrettanto, e tutti dobbiamo
essergli
grati
per averci messo in grado di potere
studiare age-
volmente
questo filosofo. Altro suo merito è
quello d' aver
sorpreso
il Vico in più contraddizioni :
massime in quella, 1
in lui
evidentissima, tra l'uomo credente e il
filosofo
della
storia. Merito, da ultimo, l'aver saputo
eccitare
nell'
animo di tutti ammirazione ed entusiasmo
per l' in-
gegno e
gli studi del filosofo napoletano; e
stupenda per
verità
e per calore singolare è TanaUsi a
cui sottopone
la
mente di lui. La Mente del Vico
del Ferrari è una
monografia
unica nel suo genere: acuta, ingegnosa,
ani-
mata,
afiascinante dall' un capo all'altro. Nelle
sue mani
il
pensiero del Vico rende immagine sto
per dire d' un
organo
che l' anatomista riduce in frammenti, in
cel-
lule, ed
in ciascun frammento, in ciascuna cellula
va
rintracciando
l'aura vitale. £ il Ferrari supera se
stesso,
ripeto,
quando descrive e con vivacissimi colori
piglia a
pennelleggiare
nello stesso pensiero del suo filosofo
l'in-
tima lotta,
il segreto contrasto fra l' uomo vecchio
e '
l'uomo
nuovo.*
Tutto
questo è vero. Ma il Ferrari è
scettico, scet-
tico
sistematico, scettico tutto d'un pezzo I
Una prima
*
Carlo Cattaneo arrerte cotesto pregio del
Ferrari. H Ferrari, egli
dice,
tmmagind un nuovo ramo d* ideologia ;
loiciate le aeiranoni deW uomo
generico,
prete a studiare il pensiero epedjioo
nelle menti grandi e origi'
noli.
Egli ama ^[uaei studiare V architettura
ne* monumenti di Boma e
é^ Egitto^la
vegetazione neUe selve tropicali f le
roeeie nelle Mpi o ntXP Etna;
la guerra
nelle marcie di Cesare o di
Napoleone, — Vedi Vico e V Italia,
nel
Poliucnieo, Voi. II, pag. 257.
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76
STOEIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
domanda
perciò potrebb' esser questa : poteva
egli in-
tendere la
fede profonda del suo maestro nella
filosofia,
nella
vita della storia umana e nella
perenne e progres-
siva
attività del pensiero? No: nella mente
del Vico ei
dovea
scorgere specchiata la forma del proprio
ingegno,
la
immagine propria, 1' arruffio singolare
delle proprie
idee,
le contraddizioni palpabili, i paradossi
evidenti,
scintillanti
onde porgono spettacolo ingegnoso e pur
gradito
le sue scritture. Dovea ritrovarci l'
agitazione
furiosa
del proprio sentire. Dovea scorgervi un
fatalismo,
una
forza cieca, estranea e quasi attergata
che spinge
la
mente del Vico ad estrinsecarsi, per
esempio, in
quattro,
nò più né meno di quattro periodi.*
Così agli
occhi
di questo -critico il nostro filosofo
non è che
una
lunga serie di contraddizioni; sicché
riesce im-
potente
nella speculazione filosofica e povero d'
ogni
vigor
metafisico, appunto perché incapace a
sciogliersi^
dal
dubbio, e conseguir la scienza. Trentanni
di lavoro
ignorato
partorirono la Scienza Nuova, egli dice.
Or bene,
sopra
cotest' amplissima tela di trent' anni
il Ferrari si
accinge
a far le sue prime prove. Vi
lavora con entu-
siasmo
febbrile ; ma in sostanza non riesce
a far altro che
anatomia,
perocché in ultimo costrutto non sa
darci
che
ossa spolpate, nervi nudi e distratti,
muscoli spo-
stati e
lacerati, visceri frantumati, cranio spaccato,
cer-
vello
polverizzato. Ecco precisamente il Vico del
Fer-
rari. Chi
saprà riconoscerlo? Io no, certo; e
ne porgo
qualche
esempio che prendo a caso. Quanto
alla psUxh
logia^
egli dice, Vuomo pd Vico rimane
sempre nel-
* Che
il Ferrari abbia riflettuto sé stesso
nel Vico, si può credere che
lo
confessi egli medesimo con aria d*
ingenuità da fargli onoro, quando,
rispondendo
a certa crìtica acerba mossagli contro
da Guglielmo Librì, si
loda
d* essere stato il primo a giovarsi
delle varianti e delle ritratta- i
zioni
del Vico per designare lo svolgimento
storico delle suo proprie '
dottrine.
U Vico, egli dice, mi offriva ufC
occanone unica, peréhì U 9ue opere
non
tono che una lunga nerie di varianti.
Variante pel Ferrari suona con-
traddizione.
Vedi nella II* Lett. ai Redattori del
Journal dea Savana in '
risposta
alle censuro del Libri.
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CAP.
n.] CRITICI ED ERUDITI. 77
r
attitudine in cui era stato coUocato
da Platone e da
Cicerone
: sempre le idee divine che si
svegliano óJX oc-
casione
delle sensazioni: sempre quella doppia
natura
di
spirito e di materia e la stessa
esitazione di Carte-
siOy
Malébranchej Leibnitz a colmare V abisso
che le 56»'
para:
sempre V induzione che si avanza oMa
scoperta, e
la
ragione che dà V ordine e la
riprova: sempre infine
con^astate
le usurpaziofii geometriche del metodo car-
tesiano.^
Chi
non direbbe che il Ferrari abbia
assai ben poco
Dieditato
il Libro Metafisico e, più che il
libro, la mente
del
suo autore? Queste parole basterebbero a
mostrar
chiaro
il modo con che quest'uomo tanto
ingegnoso
conduce
la sua critica.* A veder poi con
qual' esattezza
parli
di storia della filosofia, basti quest'
afiermazione :
aver
il Vico studiato il Leibnitz, dal
Leibnitz essere stato
condotto
a ricostruire le tradizioni italiane nel
Libro '
Metafisico,
d'avere accolta la sua Monadologia, e
simili.
Or
dove son le pruove di tutto ciò?
Il Ferrari non è un
pedante,
non è uno scolastico : egli non
ha bisogno di
provare
1 Fatto sta che il Vico non
cita mai né opere,
né
dottrine, né sentenze di Leibnitz, di
cui rammenta ap-
pena il
nome, il solo nome due volte; e
vedremo quando,
dove e
perchè lo rammenti. Vera bensì è l'
osservazione
che
gli scritti latini del Vico racchiudano
il suo sistema
metafisico,
da lui sempre supposto e non mai
esposto.*
Ma non
possiamo indirizzare allo stesso Ferrari
que-
sto medesimo
rimprovero? Perchè lo avete sempre
supposto
cotesto sistema, e non indagato e
giustificato
e
corretto mai ne' vostri lunghi commenti?
* Dice che il
« Vodi
La Mente dd Vico. Ediz. Mil. Voi
I, pag. 112.
' n
mede«Ìmo tenore di critica egli segue
nei Proemi al Diritto <
UnivenaU
e al Libro Me^JUieo, voi. II e
III.
' Vedi
Prefaz. alla Mente dd Vico, pag. 9.
* n
Ferrari ayrebbe avuto grand* attitudine, se
lo scetticismo non
avesse
ridotto in polvere fosforica il suo
ingegno, a comprendere ed
esplicare
la dottrina metafisica del suo maestro.
Talvolta ne dà segni
evidenti,
per esempio laddove afferma che V intima
unione tra la finoa
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\
78
STOBIA DELLA SCIENZA NtJOVA. [lIB, I.
Vico,
avendo isolato nelle fasce della sua
metafisica il
corso
delle nazioni, andò a rovinare contro
le vaste fé-
derajnoni
della civiltà moderna. D critico e V
interprete
qui
vien meno, e in quella vece abbiamo
il politico
federalista
che ad un suo preconcetto si studia
subordi-
nare un
principio del maestro. E quando afferma
che
col
circolo similare questi rovescia perpetuamente
le nor
eioni
dalla Monarchia aUa barbarie, sarà lecito
chiedere
al
Ferrari, se questo principio possa esser
rigorosamente
dedotto
dall' insieme delle dottrine del Vico,
o se più ve-
ramente non
esista una splendida legge di progresso,
un
processo
in quel suo ternario storico e nella
successione
delle
forme politiche come ei le considera?
Ma eccola
contraddirsi
quando afferma che il Vico arresta U
corso
delle
nazioni alle grandi monarchie. Questo à
vero : ma
perchè
dimenticare che la grande monarchia pel
Vico
è la
Monarchia civile; quel reggimento politico
nel
quale
il mondo moderno (dopo il ricorso
storico) si
ferma
e devesi fermare, appunto perchè è il
governo,
r
impero della ragione spiegata? Nella
seconda Scienza
Nuova,
egli dice, il Vico giunge a
distruggere Omero.
Ma non
Tavea già beli' e distrutto nella Prima, per
non
dire anche nel De Constantia
PhUologia dove
il
dubbio traspare evidentissimo? Per un'
anomalia U
genio
del Vico profetizzò le verità dd
secolo XIX. Be-
nissimo: oh
perchè dunque non avete spiegato, com-!
mentato,
fecondato, ravvivato cotesto verità? Perchè
non ci
avete presentato V uomo nuovo svestendolo
delle
vecchie
ciarpe? Sono forse il dubbio e lo
scetticismo
sistematico
le verità del secolo XIX ?
L'esagerazione
del Ferrari passa il segno là dove
afferma
che nella Scienza Nuova il suo
maestro siasi
inalzato
a creare geometricamente la storia
deU'umanUàf
a
farla con la meditagione, a farne una
storia ideologica^
e la
metaJUica eo9t%tui»eé tutta la forza e
la grandetta dd 9%Hema di Vico,
Op.
cit., pag. 118.
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€AP.
H.] CRITICI ED BRUDITI. TV
e
quasi una geometria umanitaria. Io stimo
V ingegno
potente, vivacissimo
del Ferrari, e leggo e leggerò sempre
con
trasporto i suoi libri. Ma c'è egli
una ragione di
cotesta
critica che comincia col caos e
finisce nel caos?
La
ragione e' è, ed è tutta nei
suoi principii filosofici.
Tutto
ciò che v'è di fisiologico, di
fisico, di naturale,
d'istintivo,
di meccanico nelle dottrine vichiane, tutto
questo
egli ha saputo organare a sistema, e
con ardire e
con
ingegno senza esempio nella storia. Questo,
vedremo*,
è!il
suo sistema storico, eh' è in sostanza
T espressione
più
esagerata del Positivismo applicato nella
storia.
Suo
principio è la contraddizione: non la
contraddir
zione
già risoluta razionalmente com' è, per
esempio^
nella
mente degU Hegeliani; bensì la
contraddizione
empirica,
la contraddizione intesa come fatto, la
con"
traddizione
immanente. Per questo suo principio il
Fer-
rari dovrà
occupare un luogo distinto nella storia
della
filosofia
contemporanea, appunto perchè nella forma
oom'ei
lo presenta è un principio originale.
Ed egli
se ne
tiene, se ne gloria. Giorno di festa
fii per lui
quando
alla mente gU apparve chiara V
applicazione
di
tale idea alle dottrine poUtiche degli
Stati considerati
nelle
loro scambievoli opposizioni e ne'lor
contrasti.
La mia
gloria (diceva un giorno) si fonda
appunto su
la
scoperta di questa legge. E questa
legge egli è venuto
applicando,
com' è noto, in tutte le sue
scritture, dalla
Mente
del Vico alla Storia detta China. Ora
io domandò
con
questa filosofia poteva egli penetrar
davvero nella
mente
del suo maestro? *
*
NeU*£WMt $ur U principe et lee
limite» de la Ph*L de VBieL (Paris^
Joobert
1848) il Ferrari rìdaoo a quattro i
difetti cardinali del Vico :
l** Il
Vico, egli dice, ha trafportato nella
vita deUe naziom V armonia pre-
9tabilita
di Leibnitz, Sarà vero in certo
senso: in che senso? in che'
maniera?
2<* Ha foOto delia Scienza Nuova
una generalizz€tzione della Storia
nomano.
Ma, come se lo stesso Vico chiamò
la istoria n^mana tenuieeimo
Saggio della
storia universale? Z^ Ha coneiderato U
eieiema eoeiale solo nel
patriziato,
e però i plebei non eesere altro
che bimani eenza matrimonio nd
rdigioni.
Ma perchè non fate che la vostra
critica penetri in quo* due
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STOBIA
DELLA SOUNZA NUOTA. [UB. I.
io il
Ferrari è bene far menzione del
Cattaneo,
/e a
proposito d'un altro libro dello stesso
Fer-
^risse
un articolo pieno di serietìi e
dottrina, come
re
usava quel forte e versatile ingegno.*
Psicologo
K>
w/tico più che scettico, con la sua
critica egli comin-
cia a
riprender V andamento pacato e sereno
dello
.
lannelli. Il Cattaneo è come Y anello
fra il Ferrari e
'il
Tommaseo. Noi non possiamo, egli
dice, studiare
con
profitto lo spirito umano in sé,
nella sua essen-
za, bensì
nelle sue elaborazioni storiche, e nelle
situa-
zioni più
numerose e diverse che si possa. Però
biso-
gna studiare
il poliedro ideologico nel fluissimo numero
di sue
faccey e da questo terreno tutto
storico e speri-
metitàle
dovrà sorgere la vera cognizione dell'uomo;
la
quale
indarno si cerca nei nascondigli della
coscienza.
Lo
studio dell' individuo nella società, V
ideologia so-
dale: ecco
una sentenza piena di verità per cui
il Cat-
taneo si
chiarisce assennato seguace del Vico. E
che
egli
abbia inteso il pensiero del filosofo
napoletano lo
pruova
l'altra osservazione su le successive
trasforma-
zioni
storiche del diritto, per cui nella
Scienza Nuova
a
troviamo fusa la dottrina d^l' interessi
come cam-
peggia nel
Machiavello con la dottrina della ragione
i
esposta da Grozio, togliendo eoa la
contraddizione
che
divideva la storia dalla filosofia.'
» Che se anche
il
Cattaneo s' addolora al pensiero dei
Circoli fatali^
che il
Vico ebbe in comune, secondo lui, col
Machia-
mipremi
principii d'umanità, PuDOR e Libbrtas, che
sono il cardine della '
Scienza
Nuova, e per cui anch* il servo,
anch* il bimane un bel giorno
diventa
uomo, personalità ? é'* Cade col
Machiavelli nd »iHema delU dué
fati,
V ima harharay V altra eivtU, No,
introduce nn nuovo sistems nelle
due
differenti fasi, Tuna tpantanea e
raltrart^faMo; e questo non è cir-
colo fatale,
identico, ma progressivo. Dice poi che
il Vico eroit que la
vdonU
peut eorrompre Vceuvre de la roMon
(pag. 105). Qui evidente-
mente il
Ferrari non ha saputo, né poteva col
suo scetticismo, intender*
e
comporre in organismo i principii
psicologici del suo maestro.
* Firbàri,
Vieo et VltaUe. Paris 1889.
*
CiTTRinBO, nel Politeonieo. Voi. II, 257.
*
Vedi Periodico oit pag. 264.
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CAP.
in.] CBITIOI BD BBUDITI. 81
velli
e col Campanella, una consonanza mirabile
però sa
trovare
fra i più recenti sistemi umanitari e
quello del
Vico,
agli occhi del quale la Provvidenza,
con V occa-
sione degV
interessi delle inique passioni, trae la
giustizia
effettuandola
gradatamente nel mondo delle nazioni.
Laonde
osserva come prima di Fichte, segnatamente
prima
di Schelling, a lui fosse dato
riguardar la ragione '
qual
facoltà che occasionalmente si sveglia
nell'uman
genere.'
Capitolo
Terzo.
•CONTINUA
IL PERIODO DE' CRITICI E DEGLI ERUDITI.
Co'
suoi Studi Critici V illustre Tommaseo
segna il
passaggio
al terzo periodo, e quindi ad una
terza classe
di
scrittori che si sono occupati del
Vico. Critico e filosofo,
infatti,
egli stabilisce V anello fra i puri
critici e gì' in-
terpreti
filosofi negli studi riguardanti il nostro
autore:
Imitazione
e riproduzione, come negli scrittori del
primo
periodo,
non era possibile nell'ingegno versatile,
dut-
tile, acuto
ed elegante del Tommaseo; e tanto
meno
possibile
in lui una critica scettica alla
maniera del
Ferrari.
Piena la mente e l'anima di fede
e di pro-
fondo
sentire, questo scrittore è anche filosofo,
e vi
pretende.
Egli ha scritto libri di filosofia;
ha inter-
pretato, e
non di rado con sottigliezza scolastica
ha
difeso
il princìpio speculativo del Rosmini, e
propu-
gnatolo con
ardore giovanile. Nessuno dunque può ne-
gare a
quest'ingegno artistico e severo buona dose
di
virtù speculativa. Sarà filosofo scologizzante,
sarà
filosofo
più che rosminiano, ma è filosofo,
oltre che
critico
de' più sottili: è filosofo e
critico, e, senza con-
Nel
PoUteenico cit., pag. 276.
SlCILIAM.
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82
STORIA DBLLA SCIENZA NUOVA. [lIB.I.
trasto,
quant' a proprietà di linguaggio occupa
oggi 1
primo
seggio fra i viventi scrittori del
nostro paese.
Nessuno
meglio di lui poteva farsi a rilevar
le bellezze
nella
parte letteraria ed estetica delle idee
del no-
stro
filosofo. E, facile a spigolare ne'
campi altrui, an-
che in
questo egli è andato scegliendo fior
da fiore, e
ne
presenta cotal mazzo che lascia scorgere
l'arte di chi
n' ha
fatto la scelta. Chi, prima di lui,
avea saputo ritrar
r
indole, per esempio, di certe composizioni
poetiche del
Vico,
additar la possente originalità nello
stile, la sel-
vaggia
lobustezza della parola, la forma singolare
del-
l' ingegno,
e segnatamente l' animo e tutto il
carattere
morale
dell'uomo? Una delle più notevoli pagine
della
prosa
italiana, egli osserva, è la nobile
immagine di
donna
egregia lodata dal Vico : ed è
verissimo ; e vere ed
argute
non meno ci paion quelle considerazioni
su la
storia
del Caraffa, nella quale spesso questi
è dipinto
non
qncd era ma guai doveva essere, per
meritare le lodi
del
Vico. La dignità del lodatore si
vendica per tal modo
della
indegnità del lodato j e la lode
diventa condaivna.^
Ma il
Tommaseo, ho detto, è anche ingegno
specula-
tivo, e
spesso è felice nell'intravedere il vero
di certe idee
filosofiche
del Vico. Ecco un'acuta riflessione:
Fólibio e
gli
antichi deducono osscì-va^ioni generali da*
fottio U Mct-
chiavelli
trae consiglif il Vico determina leggi.
Ma le SUE
LEGGI
NON PANNO FORZA ALLA PRATICA, anzi
egli
dice
cìie l'uomo dee nelle teorie r attenersi
come cavallo
aìiimosoy
per poi nelle pratiche cose correr di
maggior
lena}
Altra bella osservazione è quando nota
come da
Platone
egli traesse non l'idea, sì la
ispirazione della
sua
storia ideale. Il che mi piace
avvertire col Tommaseo
contro
chi pretende rimontare sino al filosofo
ateniese
a
ripescarvi un antecedente alla Scienza
Nuova! Veris-
simo altresì
che le due Scienze Nuove paiono
entrambe
due
grandi edifici secondo la medesima idea
architettati :
*
Tommaseo, Studi Critici. Venezia, 1843 Voi.
I, pag. 89.
* Id.,
eod.. Voi. I, pag. 95.
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€AP.
lU.] OBITIOI
XD BBUDITI. 88
6
questo avverta chi ha creduto vedere
nella seconda
di
esse non so che stravaganze, follie o
puerilità. Con
salde
ragioni poi contro parecchi critici del Vico
egli
dimostra
come nelle opere di lui si manifesti
potente,
vera,
chiara l'idea del progresso; perchè se
aUe cose
umane
vide un corso e ricorso in orbita
fissa, non disse
che V
orbita non si potesse più e più
sempre cól volger
de' tempi
allargare^ E non meno della critica
che
riguarda
per diretto il Vico, preziose paionmi
anche
quelle
undici appendici indirizzate ad illuminare
il testo
dove
il filosofo napoletano sorge principal
figura: dico
le
appendici sopra lo Stellini, il Grozio,
il Romagnosi, il
Foscolo,
sul gius sacro e sul gius Romano,
su le origini
sociali,
su gli Sciti, Illirici, Slavi, sul
Niebuhr ed altri.
Il
Tommaseo vuol esser rammentato ed encomiato
eziandio
per un altro lavoro speciale sul
Diritto Univer- 1
sale,^
È un esame critico, al solito, assai
condensato
e
sparso di riflessioni ingegnose, d'opportuni
e fedeli
riscontri
e di felici divinazioni nel penetrare
le idee del
filosofo.
Ma è pur d'uopo confessare che se
come cri-
tico nessuno
può entrargli innanzi per sobrietà e
giu-
stezza di
giudizi, come filosofo non tutti sapranno
accet-
tarne ogni sentenza.
Molte interpretazioni e parecchie
confutazioni
eh' ei move al Vico noi non
potremmo acco-
gUere:
quella per esempio dove, accennando alla
luce
metafisica
del nostro filosofo, si studia vederci
non pili
che
Tessere ideale del Rosmini,' e T
altra onde presume
che
dal concetto della Trinità egli traesse l'
ordinamento
delle
facoltà umane, e nel medesimo concetto
scorgesse
radicarsi
la metafisica, la morale e fin la
giurispruden-
• Op.
cit., pag. 125. fe anche del Tommaseo
quesV altra bellissima
osseryazionc
: Dalle proprie averUure il Vico
dedusse H mondo invecchiato :
ma
^gìi medesimo ci vieta di crederlOf
egli che pronunziò: mundus enim
jaTenescit
adhuc; interpretazione luminosa deUa sua /rantesa
dottrina delh*
legje
de ricorsi, e risposta sufficiente a
dà lo accusa di negare al genere
umano
ogni forza (T avatuamenfo. — Dizionario
Estetico» Voi. I, pag. 398.
•
^kudi Filosofici, Voi. II. Venezia mdoooxl,
pag. 118 o segg.
l«
Stwli OrUici, Voi. I, pag. 30.
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84
STOBIA DSLLA SCIENZA NUOTA. [UB.
I.
za.*
Sbaglio grave, dice, Taver negato la trasmigrazione
I
delle civiltà da popolo in popolo
innalzandovi mura
di
bronzo.* Errore gravissimo poi da restame
scan-
dalizzati,
più che uno, mille Tommasèi, gli par
la sen-
tenza, che
dopo il diluvio gli uomini si
disumanas-
sero 1
* E qui r illustre critico si
fa forte delle censure
^ del
Lami, del Romano e del Finetti e
di tutti gli opposi-
tori del
primo periodo, co' quali dopo un secolo
e mezzo
par
ch'ei si trovi in pieno accordo. Il
Tommaseo non po-
teva
penetrare nelle dottrine speculative del
Vico, e da
quéste
trarre, più che dai due o tre
passi d'autori lettini
o
dagli urli dell'uomo bestiale assordante
l'aria e le
selve,
nuove dottrine e vere su le origini
dell' umanità,
non
discordanti oggi co' risultati delle scienze
naturali.
Come
si vede, con una critica sempre acuta
nelle
sue
osservazioni tuttoché non sempre vera ne'
suoi giu-
dizi, il
Tommaseo è stato il primo fra noi
ad espri-
merci '1
bisogno d' interpretare in maniera filosofica
le
dottrine
del nostro filosofo ; ma non vi
giugne, né il
poteva,
perchè non gliel permettevan né le
esigenze
della
fede tanto salda e vigorosa nell'
animo suo, né la
filosofia
schiettamente Kosminiana nella quale è uso
at-
tingere i
principii filosofici e i criteri metodici.
Usciamo
ora
un'altra volta dal nostro paese, e
vediamo se nel
giro
degli anni di che parUamo gli studi,
i giudizi e la
stima
circa il nostro filosofo sian venuti
sempreppiù
progredendo
anche presso altra letteratura come presso
di
noi.
L'illustre
Renouvier avrebbe stimato manchevole
la sua
storia della filosofia moderna ove anch'
egli non
avesse
accennato all'autore della Scienza Nuova.
11
Vico,
egli dice ripetendo un'aflFermazionedel Michelet,
•
ToMMAsio, Studi Filotojiciy Voi. cit., pag,
129.
•
Studi Gritici, Voi. cit. pag. 78.
• Due
o tre pa$9Ì d* autori latini e
H troppo reU^oto rispetto di tutu
torta
tradizioni in tali togni tmarrirono tale
ingegno. — Vedi Op. cit.
Voi.
cit. pag.
8S.
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OAP.
in.]
•oamoi bd eruditi. 85
del
CDUsin, del Lerminier, dello JoufiFroy e
d'altri fran-
cesi, ha
fatto alla scienza una rivelazione nuova
creando
la
filosofia della storia; talché dopo la
morte de' due
martki
suoi compatrioti Bruno e Campanella, ei
ci si
presenta
davvero qual rivelatore d'un mondo nuovo.*
Un'
altra osservazione, di cui è bene
prender nota, è
quella
dov' egli afferma che, quant' a
Cartesio, il Vico
ebbe
pieno diritto a biasimarne l'incompiutezza
del
metodo,
egli che, considerando come scienze la
poesia,
^ la
storia e la filologia, potè gettar -le
basi d'un
metodo
novello supremamente sperimentale, storico e
comprensivo.
Ma quali sono propriamente i principii
filosofici
del Vico? Ha egli una serie di
principii meta-
fisici? Il
Renouvier non risponde a questa domanda,
e si
tiene
contento nell' affermare solamente eh' egli
ama/va
la
metafisica di Descartes.
Sarebbe
questo il luogo di rammentare il
Bouchez; *
ma,
fra tutt' i francesi, questi è l'
unico scrittore che
del
Nostro abbia parlato in guisa assai
meschina, tanto
che a
veder come lo cita e come n'
espone le idee, fa-
rebbe
sospettare di non averlo letto, o che
ne abbia
solamente
discorso per sentita dire.«£ noi non
avremmo
tirato
fuori il nome di questo debolissimo
filosofo della
storia
e tenutone conto, se nel suo libro
non si vedesse
confermata
certa notizia della quale giova prender
nota.
Citando
un vecchio periodico di Francia, il
Bouchez dice
come
le opere del Vico fossero quivi note
già sino dai
primi
lustri del secolo passato. I francesi
dunque molto
probabilmente
non ignoravano il primo libro del
Diritto \
Universale
e, che più monta, neanche il secondo
nel '
quale
è racchiusa, com' è noto, la sostanza
della Scienza
Ifuova.
La qual cosa abbiam voluto qui
avvertire col
fine
di rinfiancare vie piii la sentenza
d'alcuni critici
su
l'origine delle molte affinità fra alcune
idee del Vico,
*
RBiroinriBB,Jfaraii««Z de PhUot. moderne ; Paris
et Uipsig 1 842 pag. 368.
'
BouoHBZ, Inltrod. è la Scietkce de
VHiet, ec. Paris, 1814.
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86
STORIA DELLA SOIKNZA NUOTA. [lIB. I.
e
quelle di certi filosofi e storici
francesi anteriori alla
rivoluzione,
massime del Tm^ot e del Condorcet.
Nel
tempo di cui parliamo (1844) novella
traduzione
comparve
in Francia per opera dell' autrice
anonima del
Saggio
sulla formaeUme dd damma eaftólico. E
anche
qui e'
è progresso; perchè se la traduzione det
Michelet,
come
si disse, è una riduzione non molto
fedele e man-
cante di
critica, la traduzione di che discorriamo,
oltre
d'esser
propriamente traduzione, è poi fornita d'un
lungo
lavoro su le opere e su le
dottrine del Vico, pre-
gevole
soprattutto per V analisi cui è
sottoposto il pen-
siero del
nostro filosofo.* L' autore di questa
prefazione
s' accorge
subito ov'è il nodo delle dottrine e
del metodo
vichiano.
Cotesto nodo, evidentemente, è nella
distin-
zione e
insieme nella relazione tra il vero e
il certo, tra
la
ragioìie e Vautoritcu^ E innanzi tutto
osserva come la
parola
autorità pel Vico voglia dir volontà,
coscienza,
1 voce
interiore, sorgente di quel conoscere ond'
all'uomo
non
riesce additar le ragioni scientifiche e
universali.
Brevemente;
la coscienza è autorità anzi la piìi
grave
delle
autorità. La ragione poi è facoltà
che giugno a
dimostrar
la cosa scientificamente, e quindi produce
il
vero.
E poiché tutto ciò che 1' uomo
dimostra è fatto
da lui
e però ha natura finita, ne segue
che il vero
debb'
essere inferiore al certo. V è
pertanto differenza tra
il
vero metafisico e '1 vero matematico:
questo è nostra
fattura,
e quindi è vero; quello, in vece,
non ci appar-
tiene come
nostro effetto, e in conseguenza riguardo
a
noi è
solamente un certo. Ora siccome conoscere
vuol
dire
scomporre ed astrarre per cavarne gli
elementi;
così
di Dio non potremo aver nozione vera,
ma certa,
stantechè
non ne sia dato scomporre ciò eh'
è essenzial-
mente uno,
né ritrovar cause di ciò che è
causa per sé.
È
necessario adunque un modo nuovo di
conoscere Dio;
* La
lunga ed elaborata prefazione a coi
alludiamo si vaole scrìtta
da un
celebre storico firancese (A. M.) amico
della traduttrice.
* La Seience
NouveUe, trad. etc., Paris, 1844, pag.
ltii.
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OAP.
m.J oBinoi SD sbuditi. 87
e però
necessaria una nuova facoltà. Questa
facoltà è ap-
punto il
volere, che si rivela col mezzo della
coscienza.
La
nozione di Dio quindi è un fatto
di coscienza e di au-
torità,
perchè autorità e coscienza tornano il
medesimo.
Ho
voluto accennar brevemente queste osservazioni
non
solo a mostrare che la prefazione di
cui parliamo
non è
da annoverarsi fra le solite ampolle
messe in fronte
alle
traduzioni delle opere di grandi autori,
ma a far
Tederò
altresì come in essa racchiudansi
interpretazioni
davvero
ingegnose. Il traduttore poi avverte la
confu-
sione fatta
dal Vico tra Zenone lo stoico al
quale è
attribuita
la dottrina del punto metafisico, e
quel Ze-I
none
à^Elea che riguardava i corpi siccome
aggregati
d'infinito
numero d^ atomi o di punti. Nota
essere esclu-
rivo
del Vico quel concetto per cui si
considera il corpo
siccome
|?wn^o metaifisico esteso. Osserva (e qui
prego gli
altri
critici H tener conto di tale
osservazione) che il
Vico
non volle né poteva respinger l' idea
del progresso,
attesoché
avrebbe contraddetto alla propria metafisica:
le$
cercle4 doni il entoure Vhutnanité doit
nécessairement
marcher
en avant.^ La qual sentenza, che cioè
nel padre
della
scienza storica rifulga chiarissima, chi
sappia di-
scemerla,
l'idea del progresso, è sostenuta in
modo
splendido
da un altro francese vivente, dal De
Ferron
come
appresso vedremo.
Fra le
idee originali del Vico il traduttore
pone
anche
questa : V uniformità originaria di
civiltà appo
differenti
popoli più come eftetto della comune
natura e
dell'
unità di fine che ne presiede allo
svolgimento, anzi
che
come resultato di comunicazioni dirette
avvenute
fira
popoli diversi.' Riferisce al Vico la
scoperta de' tipi
fantastici
di differenti classi d'uomini contro chi
non
vi
sapeva scorgere altro fiiorchè personificazione
di forze
naturali.
À lui medesimo riferisce l' aver dimostrato
sto-
ricamente il
processo delle tre forme politiche
generali,
* La
Science Nouvdle, pag. OVli.
*
Idem pag. oiz.
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88
STORIA DBLLA 801ENZA NUOVA. [lIB.
I.
aristocrazia,
democrazia, monarchia ; V aver avuto
co-
scienza come
né T eloquio né la civiltà latina
fossero
provenute
di Grecia; e, anziché divinato (come
vorreb-
bero alcuni
tedeschi), aver egli dimostrato in gran
parte
i suoi
principii storici, né solamente dato
impulso alla
presente
filosofia della storia, ma avere concorso
pro-
priamente a
svolgerla, a costituirla: al qual proposito
notiamo
come il traduttore giustamente rivendichi
al
Vico
il merito attribuito a Champollion, d' aver
inter-
I
pretato e svolto le conseguenze del
celebre passo di San
Clemente
Alessandrino. Fa vedere poi come in
pili cose
ei
mirasse più giusto e più sicuro dei
suoi successori
quant'
alla storia del Diritto; per esempio,
su la tanto
vitale
distinzione fra popolo e plebe, non
veduta da
!
Livio, e comprovata dopo il Vico dal
Beaufort e dal
Niebuhr.
Mostra quindi essere assolutamente nuovo il
modo
con che V autore della Scienza Nuova
considera
e
risolve la questione circa l'origine delle
XII Tavole;
nel
che lodiamo la forza e la maniera
ingegnosa on-
d' anch'
egli sa difenderne la verità. Verissimo,
final-
mente, quel
giudizio su la dottrina risguardante Omero
e i
poemi omerici, accorgendosi come il Vico
non in-
tendesse con
tal dottrina negare un Omero personale
che
'impresse
forma esteriore ai suddetti poemi, ma
negare
bensì,
nel che egli ebbe ed ha ragione,
un Omero che
fosse
creatore de' medesimi, come vedremo a
suo luogo.
Tali
sono i pregi di quest'assennato lavoro
critico
che va
innanzi alla seconda traduzione della
Scienza
Nuova.
Ma non vi mancano difetti ; e
ne cito qualche
esempio.
Come non iscorger l' attinenza fra il
vero e
il
certo del Vico? Come non veder che
1' autorità altro
non è
che la stessa ragione considerata quale
obbietto
che
propone sé a sé medesima, essendo due
termini co-
testi che,
come altrove diremo, van soggetti anch'essi
alla
legge di conversione? Se questo avesse
inteso il
traduttore,
non avrebbe affermato che dell' assoluto
non
si
possa aver nozione, ma sentimento. Nella
Ragione e
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€AP.
m.] CRITICI BD BBUPITI. 89
jìeW
Autorità del Vico egli forse ha
voluto scorgere qual-
cosa della
Ragion pura e della Ragion pratica
del Kant, '
G certo
non s' è intieramente ingannato. Ma non s'
in-
canna egli
quando si piace di scendere a
conclusioni cosi
immediate
col Criticismo? Che poi tanto in
metafisica
quanto
in geometria il punto sìsl principio d^
estensione;
che
però la matematica, sia come dire,
copia materiale
atta a
farci conoscere il tipo immateriale eh' è
appunto la <
metafisica;
e che tutto ciò stabilisca un
rapporto nuovo e
mai
non visto prima del Vico fra il
conoscere metafisico ed 1
il
matematico; le son cose alle quah non
è lecito, per no-
stro avviso,
mover dubbi. Or come in tutto questo
e' entra
^li il
panteismo? Il punto vai forse la
circonferenza?
Certo,
punto metafisico è lo sforzo, l' anima
del mondo :
od è
anche un modo dell'Assoluto. Ma che
natura di
modo è
egli mai cotesto? Anch' il Vico definisce
tal
modo
come disposizione dell' assoluto (dispositio
Dei) :
ma
qnal genere disposizione è ella cotesta?
Sarà de-
terminazione
intrinseca? Eccoci al panteismo! £ quando
siamo
al panteismo, io confesso di non
intender più
nulla
del Vico, né delle sue dottrine, e
nemmanco di
questa
scrittura del traduttore francese. Non
parmi
dunque
giusto affermare che la filosofia del
Nostro ad
altro
non possa riuscire salvo che ad una
forma di pan-
teismo.
Forse che tutto al mondo si può
ridurre a tre
modi,
come vorrebbe il critico, della sostanza
divina?
Intendo
come quelle tre note idee del Vico,
Quiete^ Co-
nato e
Moto, ove formino soggetto unico, semplice,
immu-
tabile,
possano facilmente condurre all'assoluta
identità.
Ma
ecco dov'appunto è necessaria la crìtica;
una critica
mercè
cui, chi ne voglia interpretar con
sincerità di giu-
dicio
le dottrine, è in obbUgo di porre
in accordo la
teorìa
in discorso con altra serie d' idee
evidenti, si-
cure, né
soggette a dubbie interpretazioni, che pur
tro-
viamo sparse
nelle opere del nostro filosofo.
Un
altro appunto potrebb' esser questo. L'
anonimo
traduttore
accenna al metodo educativo ond'il
Vico
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90 8T0BIA
DILLA SCIENZA MUOVA. [LIB. 1.
gettò
qualche barlume nel libro sulla Ragion
degli skidi.
Diremo
appresso perchè la sentenza pedagogica che
il
Vico
pone a fondamento di questo libro
tomi d'ogni parte
erronea:
ma forse per questo potrà esser
lecito al critico
di
fermarsi al primo uscio che gli vien
fatto incontrare?
Più
che dell' orazione De nostri temporis
studiorwm
rixHone,
non avrebb'egli potuto e dovuto ricavare
i
I principii
pedagogici del filosofo dalle sue stesse
dottrine
di
psicologia e di diritto, che certo
non gli sarebbe man-
cata stoffa
bastevole al fatto suo? Finalmente, quanto
all'appunto
su la monarchia, è vero esser questa
l'ul-
tima forma
politica che apparisca nel processo storico
I
dello Stato secondo il Vico ; ma
non è la più perfetta
1 né
in sé stessa, ne secondo i principii
della Scienza
Nuova,
come abbiamo avvertito parlando del
Ferrari.
£ qui
poiché siamo tra' Francesi, giova dire
quale
stima
facesse Augusto Gomte del massimo libro
del
nostro
filosofo. Come si rileva dalla
corrispondenza epi-
stolare col
Mill, il padre del Positivismo francese
studiò
il
Vico nell'ottobre del 1844; e prima
di tutto si chiama
contento
per non averlo letto innanzi, che
altrimenti
sarebbe
stato entravo ou dérmigé mofnentanémeni!
Af-
ferma poi
che il suo giudizio sul Vico è
quel medesimo
ch'egli
stesso formulò riguardo al Montesquieu e
al Con-
dorcet
: * il che basterebbe a mostrare
con qual disposi-
zione
d'animo ei pigliasse a leggere la
Scienza Nuova.*
Vedremo
altrove qual differenza corra tra l' opera
su
lo
Spirito deUe Leggi, e la Scienza
Nuova: quant'al
libro
del Condorcet fin d'ora diciamo nulla
o pochis-
simo aver
che vedere le intuizioni, del resto
felicissime,
di
questo filosofo con le indagini storiche
particolari,
positive
e analitiche del Nostro. E ancora,
chi vogUa un
altro
segno del modo come il Gomte leggesse
il nostro
filosofo
e qual frutto ne traesse, osservi
questo, che alcune
Degnità
del filosofo napoletano a lui parvero
indicare
* A.
Gomte, Op., Voi. IV.
*
LiTTRii, Augutte Cùmte, pag. 460.
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CAP.
in.] OBITIOI «D XBUDm.
un
primo passo verso U sentimento detta
vera i
eione
sociale. Non era naturale che il
Comte si feri)
li a
que' generali assiomi delle Degnità ove
pare'
intravedere
il germe della evoluzione sociale? Ma
ttjr-
marsi
a cotesti germi, e non accorgersi
qual fecondo svol-
gimento
abbian essi ricevuto dal medesimo autore,
è
lo
stesso che accorgersi del seme e non
veder l'al-
bero! £
come poi non iscorgere la sua stessa
legge dei
tre
stati ad ogni pagina della Scienza
Nuova? E come
aver
cuore, ciò che più monta, di
proclamarsene inven- ^
tore?
Giunto appena alle Degnità^ chiude
gli occhi
per
non vedere; e non vuol vedere ciò
che l'italiano
avea
già visto molto più profondo di lui,
e prima di lui !
Sennonché
egli stesso ne riconosce i meriti,
me-j
riti
ch'ei crede superiori a quelli del
Montesquieu, e
conclude
annunziando che la dottrina del Vico
potrà
deciderlo,
in una seconda edizione dell'opera sua,
a
consacrare
une ou deux pages à Pappréciation de
Vico.
Manco
male che principal inerito effettivo del
filosofo
italiano
gli sembra esser quella maniera profonda
con
la
quale nella Scienza Nuova è intesa la
filosofia storica |
del
linguaggio ! Ma chi per poco abbia
studiato il nostro
filosofo,
non saprà dubitare che per l'appunto
questa dot-
trina
particolare in lui si collega intimamente
con altre
di
maggior valore, stantechè una filosofia
storica del lin-
guaggio
importi già una filosofia della storia,
e quindi
una
scienza dei fatti storici: Or se
nell'una ci è meriti
eflFettivi,
non sarann'anco nell'altra cotesti meriti?
Ecco
il
positivista fi*ancese che, pur non volendo,
viene a rico-
noscer la
gloria (gloria ch'egli sperò d'aver tutta
sfron-
data nella
lettera al Mill) di chi un secolo
avanti a lui
e con
ogni splendore di scienza, inaugurava tra
noi la
rerace
filosofia positiva.
E qui
è anche il caso d' accennare all'
illustre Stuart
Mill,
il quale, un anno prima che il
Comte gli desse no-
tizia de'
suoi studi sul Vico, pubblicava il
Sistema di Logi-
ca, e
accennava al filosofo napoletano là dove
stabilisce i
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92
STORIA DILLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
principii
del metodo dedtdHvo^nverso, o metodo
storico.
L' azione
reciproca, egli dice, delle circostanze che
ge-
nerano i
caratteri degli esseri umani, e degli
esseri
umani
che modificano quelle circostanze o esterne
con-
dizioni,
induce necessariamente un circolo di moto,
od
un
progresso. Quantunque nel mondo astronomico
le
posizioni
successive de' corpi celesti producano cangia-
menti
variabili, questi cangiamenti sono ricondotti
nelle
condizioni
ordinarie e nell'ordinaria monotonia, in
virtù
del
sistema solare. Il moto de' corpi
celesti, insomma, è
essenzialmente
orbitale. Ma non è anco possibile un
moto,
una linea che non rientri in se
medesima? È
possibile.
Ora il moto della storia a quale
di questi due
tipi è
a riferirsi? « Uno degli autori (egli
dice) che per
i
primi hanno considerato la successione
degli avveni-
menti
storici come sommessi a leggi fisse
ed han cer-
cato
scuoprire queste leggi mercè un esame
analitico
della
storia, il Vico, il celebre autore
della Scienza
Nuova,
ha adottato la prima di queste
alternative. Egli
ha
concepito i fenomeni dell' umana società
come pro-
cedenti
nella stessa orbita, passando periodicamente
per
la
medesima serie di cangiamenti. Quantunque
tal ma-
niera di
vedere non manchi di verosimiglianza, non
potrebbe
sostenere un esame serio : e quelli
che al Vico
sono
succeduti in tale ordine di speculazione,
hanno
generalmente
accettato l'idea di progressione traiettoria
invece
di un' orbita o d' un ciclo.* *
Come
si vede, è il solito appunto ond'
il Vico fu ed è
anc'oggi
accusato da molti. Ma, come il Comte,
cosi pure
il Min
probabilmente lesso, o meglio sfiorò una
sola delle
opere
del filosofo italiano; perocché non sarebbe
difficile
mostrare,
se qui fosse luogo, com' il moto
storico del
Vico,
nel giro de' fatti storici, sia
precisamente quello
che il
positivista inglese addimanda progressività; e
sarebbe
facile poi far vedere com'egli non
sia caduto
*
Stuart Mill, Sy9t dt Logique, Voi.
Il, cap. 8.
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by VjOOQ IC
GAP.
in.| CRITICI BD ERUDITI. * 93
in
quel doppio difetto non .saputo schivare
dal Mill:
dico
il difetto d' un vero concetto
storico, e quello
di
credere che, ammessa pure una progressività
negli
affari
umani (per dir com' egli dice),
questa non abbia
a
costituire questione di metodo nella
Scienza Sociale,
bensì
un teorema della scienza stessa. Ora
a me pare che,
ritenuto
innegabile un cangiamento progressivo nella
schiatta
umana, l'oggetto della scienza non può
riuscire
identico
a sé stesso, non è immobile, né
immutabile;
per
cui, ammesso che la natura del metodo
tiene alla
natura
dell'oggetto, non siamo altrimenti in una
que-'
stione
teorematica, ma di metodo altresì. Il
concetto
adunque
della Scienza Sociale corre i destini
del concetto
della
scienza storica. Questa, come sarà megUo
veduto,
è una
delle pecche del Positivismo inglese.
Ma nel
Mill e' è tal pregio, come altrove
accennam-
mo, che
il diresti seguace addirittura del nostro
Vico, i
tantoché
il VI libro della sua Logica si
potrebbe credere I
un'applicazione
d'alcuni sommi pronunziati della Scienza
Nuova.
Parla anch' egli di legge storica; d' una
legge di
trasformazioni
successive, d' una progressione nelle con-
vinzioni
intellettuali dell'umanità. Più ancora : la
possibi-
lità d'una
vera Scienza Sociale e' non sa farla
consistere
in
altro salvo che in queste due
condizioni: 1» nel deter-
minare
cotesta legge, ma in maniera empirica,
cioè come
resultato
di pura osservazione ed esperienza storica;
2*'
nel saper convertire poi cotesta medesima
legge in
teorema
scientifico, deducendola a priori dai
principii di
nostra
natura.* Orchi non vede come qui
l'illustre in-
glese
avrebbe potuto confessare che a tali
quesiti erasi
già
risposto in Italia un secolo e piii
avanti che in In-
ghilterra
fosse pubbUcato il Sistema di Logica?
Chi non
vede
quanto ingiustamente abbia egli prodigato
al Comte
tutti
gli onori del metodo storico? Qua
dietro abbiamo
sospettato
che né il Mill né il Comté si
ebbero per av-
Stuabt
Hill, Syti. de Logique. Voi. IT,
p&g. 580.
Digitized
by VjOOQ IC
^
STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
ventura
notizia diretta o almeno accurata delle
opere del
Vico.
Se così non fosse, né questi avrebbe
fatto tanto
rumore
della sua legge sociologica e menatone
vanto
come
di peregrina scoperta, ne quegli, fatta
la cerna an-
che lui
dei meriti del positivista francese,
avrebbe oggi
affermato
che proprio al Comte s' appartenga V
onore
di
questo concetto: che ciascuna classe
distinta di
coficepimerUi
umani passi per tre stadi, teologico,
meta"
fisico
e positivo.^ Avrebbe visto, insomma, che
la legge
storica
del filosofo italiano è, come dire,
un organismo
vivente,
tutt' un sistema, di guisa che nessun
elemento
di
civiltà può rimanerne inori ; e
sarebbesi accorto per-
ciò che
la parte o l'aspetto vero della legge
sociologica
la
quale egli accetta e celebra, s' appartiene
al nostro
filosofo
italiano, dovechè la parte erronea ch'egli
stesso
ripudia,
potrà, quando se n'abbia gusto, formar
la glo-
ria della
presente filosofia francese.*
Ed ora
lasciando inglesi e francesi torniamo in
Italia,
dove
ci si presenteranno scrittori ne' quali,
fatte le de-
bite
eccezioni, piii che la critica erudita
e storica e
letteraria,
predomina il senso della interpretazione
spe-
culativa, e
sentesi l' esigenza filosofica nello studio
delle
dottrine
vichiane. Si comincia a capire che
nelle opere
del
Vico e' è pure i getmi d'una
filosofia da svecchiare
e da
fecondare. Si comincia a vedere che,
oltre la
.
Scienza Nuova, c'è pure il Diritto
Universale; e che
oltre
il Diritto Universale c'è anche il
libricciolo su
r
antichissima sapienza degl' italiani.
'
Stcart Mill, à. Comte et le
Po8Ìtim«me, pag, 13.
' Che
Staart Mill nel pronunziare siffatti
giudizi non aresse cogni-
zione esatta
del filosofo italiano, si può sospettare
anche dal linguaggio
pieno
di maraTiglia eh* egli usa noir
ultima edizione della sua Logica
ove,
parlando della Storia deW Tncivilimento del
Buckle, dice un gran mu-
tamento
rgnt>r»i avverato dopo la pubUicaiione
di tale storia, aTcndo que-
sto
scrittore poeto il gran princìpio per
cui la storia è aommesea {dVim-
pero
di leggi univeraali. Ma non è questa
per 1* appunto la grande sco-
perta della
Scienza Nuova almeno quant*al suo
principio? E tutte le
leggi
su la costanza de* fatti sociali
trovate dal Buckle e più dal Que-
tulut,
non sono forse altrettante applicazioni
sociali di quel princìpio?
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OAP.
lY.] INTXBPBXTI
FILOSOFI. 95
Ma
prima di procedere innanzi giova rispondere
ad
mia
difficoltà non diffìcile, a nascer nella
mente di qual-
che pedante.
Si domanderà: perchè insieme co' puri cri-
tici ed
eruditi in questo secondo periodo avete
messo filo-
sofi di
gran nome? La risposta è facile e
chiara: primo,
perchè
tale è l'ordine cronologico di cotesti
filosofi;
secondo,
perchè costoro han parlato o accennato
alle
dottrine
del Vico, adoperando una critica più
presto
erudita
e storica che filosofica. Qui non
potevamo
disporre
e coordinare gli autori in ragione
delle opere
scritte
e per gli studi eh' essi han
coltivato e per la
forma
del loro ingegno, bensì pel valore
della critica
ch'essi
hanno esercitato su le dottrine del
nostro filo-
sofo.
Nessuno ha dato segno d'elevarsi ai
veri prin-
dpii
di queste dottrine, non perchè non
sapessero, ma
sia
perchè alcuni di essi non ebbero tal
fine parlando
del
Vico, sia perchè non han creduto ad
una filosofia '
di
quest'autore. Nondimeno a contar dai primi
fino
agli
ultimi scrittori appartenenti a questo
secondo pe-
riodo, dallo
Jannelli, per esempio, al secondo
traduttore
francese
della Sdenta Nuova, è evidente un
progresso
mercè
cui la critica sul nostro filosofo,
da erudita e sto- \
rica e
filologica, viene assumendo gradatamente valore
sempre
più filosofico; di modo che T ordine
logico, in
questo
nostro saggio di storia sulla Scienza
Nuova,
risponde
perfettamente all' ordine cronologico.
La
critica nel senso d' interpretazione filosofica
sarà
quind'
innanzi il carattere per cui si
distingueranno gli
autori a'
quali verremo accennando nel seguente
capitolo.
Capitolo
Quarto,
periodo
degl' interpreti filosofi.
Il
terzo periodo degli studi sul filosofo
napoletano,
se è
vero che ha da risolversi logicamente,
come s'è
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96 *
STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
detto,
in una critica filosofica, doveva esser
dischiuso
propriamente
da' filosofi come quelli i quali, più
che fer-
marsi alle
applicazioni, costumano anzi risalire ai
prin-
cipii
e alle ragioni di esse. Or le
ragioni e i principi!
(
della Scienza Nuova giacciono sparsi, quasi
germi fe-
condi, nelle
opere latine del nostro filosofo ; e
a queste
vediamo
accennare più spesso, e ad esse
volgersi più
che ad
altro la mente degli scrittori che
noi verremo
adunando
ed esaminando in questo terzo periodo.
Primo
di tutti, infatti, al Libro Metafisico
ricorre
r
illustre Terenzio Mamiani ; e, trovatovi
il criterio del
vero e
del fatto che è come il nodo
vitale di tutte le
teoriche
vichiane, nel Binnovamento dell' antica
filosofia
I
italiana viene applicandolo a quella
dottrina ch'ei disse
della
hvtuijsione. Sennonché, un criterio qual è
questo
di
valore essenzialmente universale, come vedremo,
un
criterio
che nelle più elevate questioni di
metafisica
assume
qualità e forma di principio; nelle
mani del filo-
sofo
pesarese invece piglia natura e
proporzioni, per
cosi
dire, di norma psicologica, o ideologica
che sia:
né
quindi ebbe torto il Rosmini se in
cosiffatto innesto
operato
dal Mamiani vide annidarsi difetti non
pochi,
né
lievi magagne, confessate oggi tacitamente
e nobil-
mente dall'
autore delle Confessioni d* un metafisico.
Vedremo
a suo luogo se quando il Vico
propose quel
criterio,
non intendesse né punto né poco uscir
da' ter-
mini della Intuizione,
come allora pensavasi '1 Ma-
miani.* Il
quale, ove oggi tornasse a parlarne,
certo
ne
discorrerebbe in ben altri sensi e co'
riguardi di buon
platonico,
più che di filosofo naturale seguace
della
filosofia
del comun senso, al modo che con
sì acceso
entusiasmo
prese a fare trentacinque anni addietro.*
Del
• Vedi
Del Rinnovamento della FU. antica Itah,
Parijri. 1884, pag. 474.
*
Difatto nelle Con/esnoni (voi. I, pag.
597) il ManiiaDi designa il
filosofo
napoletano come il vero e ardito
rinnovatore della teorica delle
idee,
ma non dice come, non dice perchè,
e non giustifica in alcun luogo
ed in
vernn modo tale affermazione. Nò Teramente
il poterà, stantechè
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CAF.
nr.] INTERPRETI FILOSOFI. 97
rimanente
il merito a cui egli può e dee
pretendere
panni
questo. Primo d' ogni altro ei
richiamò alla
mente
degl'italiani non pur la dottrina su
l'anzidetto
criterio,
ma eziandio alcune teorie cosmologiche
sparse
nel
libro De Antiquissima Itàlorum sapientia.
Tale si è
quella
de' punti metafisici come generatori di
solidi, in
quanto
ci significano una forza unica che in
ciascun
corpo
meditiamo sotto la concezione d' un
punto: tale
queir
altra su la continuità che questa
forza infonde a
tutte
cose: * tale anco la idea del
conato motore iden-
tico per
tutto: tale il concetto della
incomunicabilità
del
moto onde ogni particola materiale si
può dir che
possieda
in proprio il principio motivo già
ricevuto da
tutto
il subbietto, talché il moto sia da
ritenere per al
tutto
spontaneo:' tale, finalmente, l'idea della
impos-
sibilità del
vuoto assoluto, e 1' altra che il
divisibile
accusi
r indivisibile, l' indefinito e l' immutabile
in seno
alle
fenomeniche e divise realtà.'
Ognun
vede quant'il Mumiani del Rinnovamento
cogliesse
giusto in queste idee cosmologiche del
Vico.
Dopo
trenta e piii anni però egli è
ritornato a parlarne,
ma
troppe cose nella nuova cosmologia
scordandosi della
vecchia.
Ristringendoci infatti, per ora, al
concetto isto-
rico,
se dell' antico maestro invocato sei
lustri innanzi
ei pur
si rammenta, se ne rammenta sol per
addolorarsi
anch'
egli che il Vico fosse stato l'
autore della dottrina
^
Corsi e ricorsi storici (malaugurata
dottrina!) né sa
darsi
pace pensando come mai nella mente di
quel
sommo
tal gravissimo errore fosse potuto capire.
Al con-
trario oggi
egli stima d'aver gettato le basi
alla filosofia
storica,
mercè l' idea dell' finità organica del
mondo
isterico.
Ma, diciamolo con buona pace
dell'illustre
U sua
teorica neopIatoDìca delle idee sia
diametralmente opposta a
quella
che, come redremo, scaturisce dall* insieme
delle dottrine richiane.
* Dd
Rinnovamento^ ec pai|^. 297.
* Op.
cit. pag. 455.
* Idem
pag. 458 e seg.
SUIII.IAM.
7
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98
STORIA DBLLA SCIENZA NUOTA. [UB. I.
nomo,
cotesto a noi sembra ed è un
concetto assolutar
mente
vìchiano. Per tre fattori, infatti, dice
il Mamiani,
il
mondo de' popoli forma unità organica; e
sono questi:
1*
natura comune e perpetua negli uomini;
2<' diversità
di
schiatte; 3« diversità di luoghi abitati.*
Trascurando
il
terzo fattore, perocché il concetto
etnografico tragga
seco r
altro del clima e de' luoghi abitati,
è chiaro che
medesimezza
e differenza abbian da essere, in
ultimo
costrutto,
i fattori dell' unità organica nella
storia. Or
ciò
che a me pare facesse il Vico,
e che il Mamiani
forse
non giugno nemmanco a sospettare, è
appunto
r aver
dimostrato per via di fatto, vuo'
dire filologica-
mente e
storicamente, esser queste precisamente le
universali
ragioni del processo isterico e del
verace
progredire
della civiltà. Ma il Pesarese non ha
torto
se
reputa freschissime intuizioni del suo
cervello cose
viete
e stantie, massime oggi che, buttatasi
dietro
le
spalle la sua vecchia e modesta
filosofia naturale,
ha
voluto levarsi tant' alto da produrre
non so che ar-
gomenti
ontologici e metafisici a dimostrar l'
iiidefinUo
e
immancabile progredimento nel regno de'
fatti umani.
Se la
novella filosofia platonica abbialo d*àvvero
dilungato
dal Vico, può vedersi da questo.
Havvi nella
Scienza
Nuova un'idea vera, infinitamente conforte-
vole, ed
è che un popolo decaduto possa da
sé medesimo I
rilevarsi
a vita novella: e il può, stante
che nella mente
dell'autore
l'uomo è attività profonda, attività essen-
zialmente
spontanea. L' autore delle Confessioni
intanto
respinge
risolutamente cotesto principio ; e lo
respinge
perchè
crede che cotesto popolo non possa
risorgere
salvo
die per altrui virtù. * Or io,
col dovuto rispetto al
grand'
uomo, vorre' chiedere: qual progresso è
egli più
naturale,
quello della vecchia Scienza Nuova, o
puro
quello
del nuovo filosofo delle Confessioni? Non
dico
*
Mamiani, Con/ei9Ìon% <f un metaJUico.
Firenze, 1865, toI. II, libro V,
Aforismo
Vili, 458.
*
Idem, eodem, paragr. 224.
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CAP.
IV.] HITKEPBBTI
FILOSOFL 99
poi
quanto facciano contro alle esigenze
storiche poste
dalla
Scienza Nuova nonché al concetto della
naturai
provvidenza
che ne scaturisce, que' cotal influssi
divini
ormai famigerati
del Mamiani, quelle funzioni storiche
di
certi popoli, quelle preordinazioni storiche
e civili I
di
certi altri, e quelle quattro età
nelle quali e' si piace
divider
la storia non solamente passata, ma
benanco
avvenire!
Al
Mamiani tien dietro il Rosmini, V
acutissimo
fra'
moderni pensatori d' Italia, e al
Rinnovamento del
pesarese
contrapponendo un altro ^innovamento, coglie
il
destro d'intrattenersi anch' egli su le dottrine
del Vico.*
Con
vigor dialettico irresistibile, difendendo sé
stesso
da
certa critica mossagli contro dal Mamiani,
questi egli
colpisce
a morte e lo conquide in tutte
quelle dottrine
mezzo
sensistiche cui nella seconda parte del
suo Rin-
novamento
accenna il pesarese. Or in mezzo a
tal cri-
tica accade
che il Rosmini faccia parola del
Vico, e lo
difende
dall'interpretazione di sensismo e d'empirismo
1
ch'altri
volesse dargli.* Questo, secondo noi, é
il merito
del
Rosmini rispetto al Vico. Avrebbe potuto
averne
anche
un altro , se in senso puramente
conoscitivo |
e
psicologico non avesse interpretato il
criterio della
conversione
del vero col fatto, al quale consacra
note
lunghe
e in gran parte noiose. Ma se
cotesta interpre-
tazione
possa accordarsi con l'insieme delle
dottrine
del
nostro filosofo, vedremo in altro Capitolo.
Qui é
d'uopo
solamente notare, che se in questa
polemica
r un
de' due filosofi interpretò
cotal criterio , come
•
Giova osservare come neUe sue prime
scritture il Rosmini non abbia
citato
U nome, nò mai rammentato alcuna
dottrina del Vico. Lo cita
bensì
nella Filoaojia Politica e nella Filosofìa
del Diritto dove segnata-
mente
cbiarisoe ♦» rnol ribattere il concetto
ù* ordine a cni accenna
Fautore
del Diritto Univeraaìe; mentre poi nel
Binnoramentoy libro an- |
tenore
ai due menzionati, b' intrattiene a
lungo sul nostro filosofo. Si può
dire
perciò che il Roveretano conobbe e
lesse le opere del Vico un
pò*
tardi, e solo eccitatovi dal Mamiani.
Ecco una ragione della critica
«pesso
stiracchiata con la quale crede tirar
dalla sua il nostro filosofo.
'
RoBXiNi, Jl Rinnovamento^ etc., libro
III, cap. XXXV, pag. 406.
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100
STOBIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. L
s'è detto,
neJ significato di regola psicologica,
l'altra
giunse
ad interpretarlo siffattamente da fargli
pren-
der
fisonomia tutta teologica, astratta, scolastica.
Né
questo
solamente fa il Rosmini. Con una
critica sot-
tilissima,
al solito, ei tien dietro lentamente
a tutti i
passi
del Mamiani, e discorrendo anch' egli
delle dot-
trine
cosmologiche sparse nel Libro Metafisico,
ado-
pera ogni
sforzo a dimostrare come, anziché le
inter-
pretazioni
date a tal proposito dal suo
avversario, sian
le sue
proprie interpretazioni quelle che tornano
più
vere e
legittime alla mente del Vico, e eoa
lo riduce
I al
panteismo, al dualismo, al materialismo, al
fata-
lismo,
all'ateismo e che so io.* Il che
non poteva riuscir
gran
fatto difficile al Rosmini, stante certa
confusione
ond'il
Mamiani espone quella dottrina cosmologica
in
favor
della quale invocava l' autorità del Vico
; ma ap-
punto col
Vico alla mano il Roveretano attacca
il Pesa-
rese, e
se ne libera di leggieri.
Se il
Rosmini in molte cose ha ragione di
riprendere
e
correggere V avversario, non molta ragione
parmi egli
abbia
nel modo con che egli stesso
interpreta il filo-
sofo
napoletano. L'autore del Nuovo Saggio
confessa
di non
cai)ire che cosa mai vogha significare
quella
materia
metrifisica a cui il Vico attribuisce
il conato. Che
cos'è,
donv^nda, cotesta materia metafisica? È
forse
alcun
che di reale e sussistente, cioè la
sostanza de*
corpi,
ovvero è una mera astrazione della
mente? Egli
s' attiene
a questa seconda interpretazione, e afferma
che la
materia metafisica, il mondo metafisico del
Vico
è
mondo d' idee, mondo di cose ottime,
mondo di virtù
indivisibili:
nel che gode poterlo dichiarare non
solo-
platonico,
ma eziandio malebranchiano ! ' Poi,
tirando-
l' acqua
al proprio mulino, non dubita affermare
come
cotesta
materiu metafìsica del Napoletano altro non
sia
fuorché
la materia comune intelligibile di san
Tommaso,,
'
Rosmini, Op. cit. pagr. 448 o sey.
* Op.
cit., pag. 14o, nota 4.
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'OAP.
IV.] INTBRPBJCTl
FILOSOFA . Ì^Ì
che
per lui, com' è noto, vuol dire
VEnte possibile, C!osi
che
(egli conclude) quanflo il Vico dice,
quella sua ma-
teria
metafisica essere sostanjsa de^ corpi, con
ciò egli
intende,
e noi dobbiamo intender con. lui, la
idea della
sostanza de'
corpi. Eccolo dunqne il povero Vico
non pur
dichiarato
malebranchiano, ma seguace devoto altresì
della
scolastica! Si può dar di peggio?
Giova poi notar
qui un
altro punto di discussione sopra cui
torneremo
altrove.
Si sa qual divario ponga il Rosmini
tra so-
stanza ed
essenza : Y una delle quali per
lui essendo
r
attività e T altra intelligibilità dell'
essere, ne segue
che le
sostanze sian da considerarsi come create,
e
come
eterne le essenze, perchè queste non
sono che le
cose
in quanto logicamente possibili. Or la
confusione,
egli
osserva, delle due parole d'essenza e
di sostanza,
è
quella che rende oscurissime le dottrine
del Vico : la
qual
confusione potrà cessare solamente quando
il co-
nato di
cui ragiona quel filosofo, sia tolto
in significato
d' essenza,
meglio che di sostanza.^ Sopra questo
punto
noi ci
rifaremo in altro luogo: basti qui
l'aver mostrato
in
poche parole come il Rosmini interpretasse
alcune
dottrine
del Nostro.
Ammiratore
sviscerato del Vico fu Vincenzo Gio-
berti, si
che mai non gli accade rammentarne il
nome
senza
metterlo accanto a quelli d'Agostino, di
Malebran-
che, di
Leibnitz. Non meno del Rosmini interpreta
an-
ch' egli
a suo modo la relazione tra l' ordine
ontologico,
e r
ordine logico. Crede verissimo il criterio
del fare il
vero,
ma solamente applicato a Dio; perocché
il vero
umano
non essendo un fatto, un parto umano,
bensì un
fatto,
un parto divino, seguita che la
ccniversime del
Vero
ed Fatto è quella déW ideale col
reale. Ora la me-
desimezza
ddV ideale col reale si verifica nd
giro deh
VEnte
e non in quello ddV Esistenza.^ È
qui, come ve-
dremo,
l'esagerazione dell'ontologismo giobertiano, per-
'
RosinKi, Rinnovamento, pag. 455 e seg.
*
GiOBiBTi, Inirod. aUo Hudio ec. Losanna.
1848, tom. I, pag. 269.
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by
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:ìffi
.*••-.' ': : &TaiH& della scienza
nuova. [lib. i.
che qui
pone radice quella ipotesi (me 1
perdonino tutti
i
Giobertiani della bassa e della media
Italia) su l' ori-
gine delle
idee. Merito del Gioberti pertanto è
l'aver
primo
e meglio d' ogn' altri avvertito quella
distinzione
messa
in chiaro dal Vico nello studiare il
vecchio idioma
latino
fra essere ed esistere; l'essersene poi
servito,
com'è
noto, nella confutazione del panteismo; e,
ciò
che
più monta notare, all'uso improprio fattone
da
Cartesio
contrapporre costantemente anco nelle opere
postume,
checché ne abbian sognato e vadan
sognando
certi
nostri hegeliani, l' uso proprio e il
senso in che
quelle
due voci furon dapprima adoperate dal
Vico.
Ma i
tre filosofi de' quali abbiam toccato sin
qui,
parlando
e discutendo intorno al Vico non
accennarono
a
veruna dottrina storica di lui. Ad
essi quindi tien
dietro
Silvestro Centofanti; il quale, comecché,
nella
|sua I
ormala logica della filosofia deUa storia
non citi
il
Vico, nullameno fin dalle prime pagine
i lettori pos-
sono
facilmente accorgersi quant' abbia studiato
in
queir
autore e fattene proprie le dottrine
storiche po-
nendole
sotto nuovo punto di lume. Il libro
del Cen-
tofanti
sarebbe, a dir proprio, un saggio di
metafisica
storica.
Mente maschia, scrittore di genio, a
fondamento
della
scienza storica egli pone tale un'
idea che ha fiso-
nomia
tutta vichiana. Considerando infatti la
realtà sto-
rica nella
sua genesi ideale, nella sua relazione
causale,
la
storia al Centofanti appar com' un
processo ascensivo
dall'idea
empirica all'idea filosofica, e però un legame
universale
stringe tutt' i fatti umani così nel
tempo come
nello
spazio.* Laonde al modo istesso che
nell'ordin
de'
fatti risulta necessaria l' idea d' una
società che com-
ponga ima
famiglia civile ; parimenti nell'ordin de'
con-
cetti la
scienza non fa altro che contemplar
la vita gene-
rale del
mondo, la vita di questa famiglia
sociale univer-
sale. E
poiché il fatto è di tre nature,
psicologico, sociale
*
Centofanti, Una /ormala logica ec, Pisa,
1845, pag. 63.
dby
Google
Digitized
b
CAP.
IV.]
INTBEPBBTI FILOSOFI. 103
e
coBmico ; ne seguita che nel primo d'
essi è la potenza
del
secondo, e però così Y umanità è nell'individuo,
come
r
individuo compiesi nell' umanità. Il Centofanti
, da
ultiino,
si chiarisce seguace del Vico anco là
dove osserva
che le
genti sparse per la terra e dapprima
ignote V una
all'altra,
per necessità psicologica e quindi sociale
en-
trano
appresso nelle relazioni d'un viver comune.
Parlando
di questo scrittore v'è da osservare
un'altra
ooBa.
Poiché il fatto sociale per lui si
rannoda col fatto
cosmico
e per necessità teleologica si compie
in questo ;
ne
segue che la formola proposta dal
filosofo pisano è
formola
essenzialmente teleologica. Così veramente che,
non
essendo ella in sostanza se non la
dottrina dei Nessi
dello
Jannelli guardata nell'ordine ideale, si
può dire
che
per questo rispetto il Centofanti compia
in certo 1
modo
il Vico e lo Jannelli insiememente.
Sennonché
nel
suo libro hawi un difetto ; intendo
l' abuso d' una
formola
puramente speculativa, per la quale poco
in-
telligibili
ne risultan le dottrine. Che cosa
vuol dire,
per
esempio, qneìY innaUare il fatto istorico
a grado di
passibilità
filosofica? E un altro difetto della
sua for-
inola parmi
questo : il non aver determinato
nettamente '
il suo
concetto teleologico; rispetto a cui forse
non pochi
dubbi
potrebbe sollevare la filosofia positiva.
Ma se
il Centofanti amò guardare il concetto
isto-
rico nella
sua nudità ideale, un altro toscano
suo col-
lega nella
stessa Università pisana, il Carmignani, da
erudito
e dotto giureconsulto prese a considerarne
la
parte
giuridica, la nozione del giure nella
sua Storia
déUa
Filosofia del Diritto, Comecché non molto
pro-
fondo, pure
fra tutti gU scrittori italiani di
materie giu-
ridiche il
Carmignani ha questo merito: d'essere stato
il
primo a far avvertire il valore delle
dottrine giuri- }
diche
razionali sparse a larga mano nel
Diritto Uni-
versale del
Vico, e dimostrarne l'anteriorità e
superio-
rità
rispetto a quelle della Scuola Storica
di Germania.
Altrove
ci verrà fatto citare qualche bella
sentenza di
Digitized
by
Google
104
STORIA DKLLA SOIBNZA MUOVA. [lIB. !•
questo
scrittore: qui ci piace prender nota
solamente
delle
bellissime parole con le quali egli
chiude la sua
storia
: Carne la filosofia rajdonale degli
antichi nacque in
Italia,
così la filosofia dd Diritto col suo
vero criterio per
opera
del Vico vi nacque: che il 5wo
vero punto di par-
tenza è
nell'opera di questo illustre italiano, e
si può dire
agV
Italiani.,., rivolgete tutte le forze del
vostro ingegno
a
scrutare profondamente nella filosofia del
Diritto del
Vico;
ad afferrarne lo spirito; ad impossessarvi
de^ brevi
e
fuggitivi lampi di luce che vi
s'incontrano e convertirli
in
principii necessari a dare alla società
umana le isti-
tuzioni
più acconce a favorire i progressi
della perfet-
tibilità e
della ragione.^
Ma più
che del Carmignani, d'un altro giurecon-
sulto e
anche filosofo è mestieri tener conto;
del dottis-
simo Emerico
Amari. Questi è il critico più
giudizioso
che
abbia saputo discorrere con chiara veggenza
su le
I dottrine
giuridiche della Scienza Nuova sotto
l'aspetto
filosofico.
Quel suo copioso volume, in ciascuna
pagina
del
quale egli invoca l' autorità del Vico
e con larghezza
di
niente ne svolge le diverse teorie,
dovrebb' esser fatto
oggetto
di studio da chi ami penetrar davvero
nel pen-
siero del
filosofo.* È uno de' libri più gravi
che siano stati
pubblicati
fra noi in quest' ultimi anni. Non
v' è pensiero
nelle
opere del nostro filosofo, né sentenza
circa le costi-
tuzioni
civili e il Diritto in generale,
ch'ei non abbia av-
valorato,
chiarito, applicato. Ma non potendo qui
rile-
var tutt'
i pregi di quest' opera, come pur
vorremmo, ci
ristringiamo
ad accennarne alcuni, e, primo d' ogni
altro,
questo.
Egli dimostra in più luoghi e in
più maniere,
che la
scienza della legislazione comparata è
tutta rac-
*
Cabmionami, Storia deUe orioni e
de'progrean ddla FUofofia dd Di-
ritto,
voi. II. —Altrove dice: La JUo$ofia del
DiriUo non ti era elevata
mai
prima del Vico aW altezza razionale a
cui egli con la originalità dd
»uo
genio la tpinte, Lib. VI, cap. IV,
p. 39
* K.
Amari, Critica d^ una eeienna dette
legidamoni comparate Ge-
nova,
1857.
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CAP.
IV.]
INTBRPRKTI FILOSOFI. 105
chiusa
come in germe nelle opere del Vico,
segnatamente •
nella
Scienza Nuova. Sicché a voler determinare
conve-
nevolmente
il carattere per cui l'opera delF Amari
si
disceme
da ogn' altra in cui si discorra
del nostro filo-
sofo, si
potrebbe affermare che il suo libro
sìa, per
cosi
dire, una specie di commento esplicativo
e interpre- .
tativo
di quelle dottrine vichiane risguardanti la
parte
filosofica
e storica della legislazione comparata. Che
se
ai
lettori paresse men che vero cotal-
nostro giudizio, noi
gr
inviteremmo a leggere e meditare il
libro veramente
ingegnoso
dell'Amari, nel quale poi troverebbero un
al-
tro merito,
ed è questo. A preferenza di molti
critici del
Vico
egli ha veduto come, le opere di
lui, nonostante
la
diversità de' titoli, sian tutte informate
dalla virtìi
d'unico
e fecondo principio, sì che sembrino
elementi
d' un
tutto, parti d' una scienza sola.* Il
che abbiam
voluto
ricordare contro coloro che le opere
e le dot-
trine del
filosofo napoletano credono fatte a pezzi.
!
Ma
anche l' Amari, com' è naturale, ha i
suoi difet-
ti! Suo
principal difetto è il non aver
interpretato in
modo
veramente filosofico alcune dottrine del
maestro,
d'averlo
spesso inteso alla lettera, come nel
concetto
della
provvidenza, e di ntjn esser giunto a
coglierne
talora
la parte originale mettendo da banda
certe sen-
tenze
erronee come qualcuna riguardante, per
esempio,
la
questione delle XII Tavole: su la
quale noi ci rifa^
remo
in altro lavoro dove mostreremo la
debolezza de- 1
gli
argomenti co' quali cred' egli d' aver
invalidato tale
dottrina
del Vico. Difetto ci sembra altresì
il non ac-
cettare quel
principio, eh' è uno de' cardini
della Scienza
Nuova:
non doversi credere, cioè, che il
Diritto sia
uscito
da Ufia prima nazione^ da cui le
altre lo abbiano
ricevuto;
per cui nessun valore potrà spiegare
agli
occhi
suoi quella ragione accettata dal Vico
a tal pro-
posito, ed
è che, dove tal diritto fosse
comunicato e non
E.
Amari, Op. cit. pag. 259, 537 nella
Dota 3.
dby
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b
106
STOBIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
*
piuttosto originano e intrinsecato negli nmaui
costami,
la
natura comune degli uomini non procederebbe
se-
condo leggi
naturali/ E di qua proviene poi se
V Ama-
ri,
intendendo im po' grossolanamente il
concetto di
provvidenza,
vien trascinato a riconoscer nella storia
e
nella civil società uomini e popoli
eletti, destinati a
I
compiere grandi e speciali funzioni
storiche: il che dav-
1
vero, più che altro, sembraci contrario,
come vedremo,
iJlo
spirito della Scienza Nuova.
Per
quest'ultime ragioni, dunque, considerato l'Amari
come
critico filosofo, noi dovremo annoverarlo
fra' com-
mentatori
che han lasciato il Vico qual era,
cioè mezzo
filosofo
e mezzo teologo quant'a filosofia della
storia.
Cattolico
sviscerato, con lenti da teologo ei s'
è fatto a
guardare
certe dottrine della Scienza Nuova ;
e col teolo-
gismo
interpreta infatti la teorica de' Corsi
e Ricorsi,
e
perciò quella sul progresso. Debole critico
per ciò
medesimo
e' ci pare quando su l' origine del
linguaggio
afferma,
il Vico sembrargli infinitamente ardito
perchè,
interissimo
cristiano^ giugne là dove il pagano
Platone
non
giunse, dove non osò spingersi Rousseau,
né seria-
mente
precipitarsi Mqndeville o Lametrie} Noi
vedremo
questo
esser anzi un concetto propriamente
originale
del
filosofo napoletano e pieno di verità.
Essendomi
avvenuto qui d'accennare ai giurecon-
sulti che
in questo 3» periodo han discorso del
Vico, è
da
avvertire che, prima già del Carmignani
e dell' Ama-
|ri,
il Mancini e'I Mamiani accennaron più
volte ai
'
principii giuridici del Nostro nella
polemica eh' ei ten-
nero su
la Filosofia del Diritto.* Su
l'interpretazione
ch'essi
danno al concetto del diritto posto
dal Vico
ritorneremo
altrove, e la mostreremo sbagliata da
cima
1 a
fondo non tanto nel Mancini quanto
nel Mamiani. Qui
ad
onore del primo dobbiamo osservare come
fra tutti
*
Vico, Seconda Scienza Nuova, DegDÌtà, CV.
•
Amibi, Op. cit. pag. 829.
-*
Mancini e Mamiani, Lett, tuUa FU. dd
Diritto, Napoli, 1S41.
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CAP.
IV.] IKTBBPBBTI FILOBOn. 107
gli
scrittori giureconsulti italiani egli abbia
un merito
singolare
rispetto al Vico. Fin dal prim'anno
di questa
seconda
metà del secolo ei s'avvide come
dalle opere
del nostro
filosofo si possa trarre un gran
concetto, il*
concetto
delle nazionalità.* Il Vico non parlò
mai di na-
zionalità
com'oggi la intendiamo, e tanto meno
di na-
zionalità
italiana; e pure ella scaturisce a
fil di logicai
dalla
sua dottrina sul Tempo Oscuro. Il
Mancini osserva
com'il
Vico una volta sola ardisca lodare se
stesso
neir
Autobiografia là ove rammentando il novello
prin-
cipio del
Diritto naturale delle genti fondato su
la na-
tara
comune delle Nazioni, non dubitò scrivere
di sé
medesimo
queste memorabili parole : Per questo
suo tro-
vato 5'
intende Vico esser nato per la gloria
della patria ;
e in
conseguenza ddVItcdia. Sennonché il Mancini
a tal
proposito
ha discorso, com' era da prevedersi,
in modo
ampolloso
e poco preciso, contentandosi di cogliere
il
concetto
della Nazionalità nelle opere del filosofo
col
guardar
solamente alle estrinseche attinenze, per
esera-
pio al
titolo della prima edizione della Scienza
Nuova,
a
qualche sentenza sparsa qua e là nel
Diritto Univer- 1
sale,
e ad altro siffatto. Egli dunque non
risalì ai prin-
cipii
e alla filosofia storica di questo
filosofo a potervi |
rintracciare
l'origine ideale, per così chiamarla, del
principio
della nazionalità.
Dal
tutt' insieme degli scrittori giureconsulti
di que-
sto periodo
scorgerà chiaro il lettore quant' ei
superino,
nello
interpretar le dottrine giuridiche del
Vico, gli
autori
di questo medesimo genere a cui
abbiamo ac-
cennato nel
primo e anche nel secondo periodo.
Tutto-
ché non
filosofi, pure questi giusnaturalisti manifestano
tendenza
filosofica nella lor critica; e però
segnano
anch'
essi un progresso in siffatfordine di
studi.'
' S.
Hakoini, Intorno alla Nazionalità come
fondamento dd Diritto
ddU
gentiy Prelezione ec, Tonno, 1851.
' Il
D* Ondbs Reggio accenna anch' egli al
Tico più d'una rolta nella
■oa
Jntrodwt, ai prineipii deUe umane eooietà,
e talora pretende correg-
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108
STORIA DKLLA SOISNZA NUOVA. [lIB. I.
Innanzi
di passare a discorrere de' filosofi,
ultimi in-
terpreti del
Vico, facciamo notare come l' illustre Vau-
I
nuoci con V usato impareggiabile suo
stile in parecchie
pagine
dell' antica storia di Roma si è intrattenuto
sul
Vico,
dimostrando com'egli precorresse francesi e
in-
glesi nel
far rovinare quel fantastico edificio
fabbricato
da
tanti e per sì lunghi secoli su
le origini e su la
storia
di Roma, e facendo altresì vedere che
se il Vico fu
precorso
da alcuno, questi fu un italiano.*
Crede an-
ch' egli
che, agitando questioni fino allora
intentate, quel
filosofo
cominciasse una grande rivclueime d^idee, e
compiesse
da sé sólo V opera di più
generazioni d* ingegni.
Rileva
nettamente, il modo col quale spiegò
le diffi-
coltà e
le contraddizioni degli antichi racconti in
ge-
nerale,
notando com'egli ponesse le fondamenta alla
vera
filosofia della storia romana, appoggiandosi
in
ispecie
sul corso delle leggi romane, sul
significato del
patriziato
e della plebe, e sul modo con
che questa
diventò
popolo. In tutte le indagini su Roma
lo dice
sublime,
ispirato. '
Anch'
egli si duole che il Vico, nel
condurre i primi
mortali
dallo stato di natura alle istituzioni
romane,
^erlo
come quando vuol mostrare, contro la
sentenza del Vico, che i
.
selvaggi hann' avuto benissimo Videa di
proprietà, mentre la propria
de
beni nella Scienza Nuova non è
annoverata fra i prìncipH primi99imi
d'umanità
al pari del matrimonio, delle sepolture
e simili (pap. 57). Ma
il
selvaggio, domandiamo, ha egli idee, o
non più veramente istinti?
Per
avere idee non è necessario un
processo, e quindi la storia, la so-
cietà, la
civiltà? 1 principii veri d'umanità, come
vedremo, pel Vico
sono
due principalmente; tutti gli altri non
sono che mezzi e condizioni
d' nmanità.
Ma nel cervello del cattolicissimo D'Ondes
cotesto cose diffi-
cilmente
entreranno. Nondimeno egli è da lodare
qnando mostra che il
principio
del Diritto pel filosofo napoletano è V
utile inalzato alV idea dd '
giu&to.
Anche il Carmignani e TAmari e
specialmente il Mancini accen-
nano a
tal concetto vichiano.
* È
noto come fin dal 1677 il
Lancbllotti, ne* suoi Farfalloni degli
'
antichi ttorieif prevenisse il Vico in
questa maniera di critica. Curioso
che
dopo un secolo il libro suo fosse
stato tradotto in francese e stampato
A
Londra nel 1770.— Vedi Vankucci, St.
antica d'Italia, voi. I,
pag. 884.
•
Atto Vaknucoi, Op. cit., voi. I, pag.
886.
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GAP.
IV.] INTEBPBBTI
FILOSOFI. lU9
cadesse
in romanzi. Ma qui il Vannucci, com*
è chiaro,
pone
due estremi fra' quali c'è davvero un
abisso: stato
di
natura di qua, e civiltà romana di
là. Chi vorrà
dunque
maravigliaci se anche a lui certe
idee del Vico
fossero
parse non altro che romanzi? Checché
ne sia,
questo
valentuomo ha poi il merito d' aver
tenuto conto
del
Duni, e d'aver saputo apprezzare degnamente
il va-
lore de'
suoi studii. Di fatto, ritiene anch' egli
(come
noi
stessi notammo) che tutte le opere
del Duni, specie
quelle
su l' origine e su' progressi del
cittadino e del
governo
di Roma, altro non siano che un
commento^
un'applicazione
e un'esplicazione delle idee del filosofo
napoletano
: Il Duni non ha un' idea che
non sia dd
Vico;
e nota com'egli abbia reso grandissimo
servigio
al suo
maestro applicandone i fecondi principii a
tutte
le
quistioni del Diritto e a tutt'i
fatti d'ordine poli-
tico e
civile. Osserva poi come i Sansimonisti
(e noi di-
ciamo anco
i Positivisti odierni), imparassero dal
Vico]
a
divider la storia in grandi periodi
sociali coordinan-
done i
fatti sotto le idee madri onde sono
prodotti. Nota
finalmente,
come il Niebhur trovasse nel nostro
filosofo
l'occasione,
l'impulso, la chiave a novelle invenzioni,
e
crede
tesi difficile a sostenersi che il
celebre storico igno-
rasse il
Vico. Le reminiscemse della Sciema Nuova
(egh
conclude)
s'incontrano ad ogni momento nella storia
ro-s
mana
del dotto tedesco.* Veniamo ora ai
filosofi pro-
priamente
detti.
Ne'
prim' anni di questa seconda metà del
secolo il
Boullier
s'è intrattenuto del nostro Giosefo nella
sua sto-
ria sul
Cartesianismo, e aflerma innanzi tutto com'
egli,
non
altrimenti che Huet, esagerasse la povertà
dell'eru-
dizione di
Cartesio e il disprezzo di lui per
la storia. Un
altro
francese, l' acuto Renouvier come vedemmo,
osserva
in
vece eh' egli ne avea tutto il
diritto nel produrre
tal giudizio;
e noi stiamo col Renouvier. Né vale
che il
Boullier
si scateni tanto contro il filosofo
di Napoli, che
' Atto
Vaskucci, Op. cit., toI. 1, pag. 894.
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110
STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [UB. I.
pel
Vico non è quistione di maggiore o
minor pre-
valenza d'
erudizione, ma è quistione principalmente
di
metodo. Il metodo positivo è il
metodo psicologico
e
storico ; è la psicologia intesa storicamente,
e quindi
la
storia intesa psicologicamente. Ora il
metodo Car-
tesiano è
assolutamente psicologico: ecco dunque una
delle
ragioni per cui il Vico levossi
contr'al Carte-
sianismo. Il
BouUier crede anch' egli, la metafisica
del
Nostro
essere uìie esquisse d^une méthaphysiqm
dont les
traits
principaux sonò empruntés à Pythagorcs à
Platon
et
aussi à Leibnitz,^ Ma dove son le
ragioni? Certo, in
qualsia
moderno sistema toma facile rivedere più
o men
chiaro
il concetto del numero Pitagorico, la
monade
Leibniziana,
l' idea Platonica, la categoria Aristotelica
e
simili.
Il difficile sta nel mostrare in che
maniera quelle
che
diconsi rimembranze siano insieme arganate,
cioè
in che
guisa compongano fra loro un vero
organismo.
Il
modo col quale il Boullier interpreta
la metafi-
sica del
Vico è leggiero e talora grossolano.
Il suo
metodo,"
egli dice, è metodo ontologico, non
diverso da
quello
liei suo compatriota Giordano Bruno, perchè
con
esso
ci trasporta immediate in seno all'essere
primo.
E qui
vorremo chiedere al Boullier: con qual
locomotiva
avvien
egli, di grazia, cotesto immediato
trasferimen-
to? Un'altra
enormità tutta francese poi è questa:
il
principio
del sistema Vichiano esser Videntité du
vrai
et du
fait oti du vrai et de Vétre:
voUà le premier prin-
cipe de
son système} Non basterebbe tale
affermazione
per
giudicare la critica di quest'autore? Ma
c'è ancora
qualche
altra enormità ; per esempio, che il
Vico s' ac-
cordò co'
Cartesiani ^owr faire de Dieu Vunique
cause de
tous
les mouvements de Vàme et du corps,
e che al pari
de'
Cartesiani egli riduca gli animali a
puro meccani-
smo !
^ Circa la teoria sn^ punti metafisici
poi dice sia la
*
BouLLiBR, Hi9t. de la PhU. Oartitiennet
Paris, 1854, voi. II, pag. 528.
*
Idem, eod., pag. 530.
*
Ibi. pag. 581.
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CJkVm
lY.] IKTESPEBTI
FILOSOFI. Ili
parte
più notevole della metafisica vichiana, ma
vuole
che r
esteso, quando tu il ravvisi nella
sua essenza, ri-
8^ga
in Dio, non però in Dio considerato
nel suo atto. Col
che,
com' è evidente, il Boullier toglie
alla dottrina del
nostro
filosofo ogni originalità, riducendola al
cosmo-
logismo
Cartesiano. Che s' egli nondimeno giudica
con
assennatezza
il valore della Scienza Nuova, ci fa
poi
cascar
la penna di mano ove pretende che
tra questa
e le
MeditaeUmi di Renato non sia opposizione
di sorta,
salvo
che di metodo. Sicché mentre il
Michelet dichiara
essere
il Vico l'avversario piii terribile del
Cartesiani-
smo, il
Boullier vuole eh' egli, pur combattendolo,
resti
nnllamanco
suo fedelissimo seguace ! * Di tutt'
i francesi
solo
questo scrittore, fatta però eccezione del
Bouchez, è
quegli
che non sa penetrare più in là
della buccia nelle
idee
del nostro filosofo. E pur dà segno
d'averlo stu-
diato e
meditato con amore grande; ma certo
non senza
grande
passione.
Veniamo
ora agli ultimi scrittori italiani che
sonosi
dati
cura del nostro filosofo, e che nella
storia della
Scienza
Nuova spiegano per noi interesse maggiore.
Son
quasi
tutti filosofi, come avvertimmo già; e
ne parlere-
mo
brevemente, al solito, secondo l' ordine
cronologico.
Innanzi
a tutti ci si presentano i
Giobertiani; e l'esage-
razione
della interpretazione giobertiana e cattolica
ce
r
addita da prima Alfonso De Carlo ne'
suoi quattro i
volumi
di filosofia secondo i principii del
Vico, de' quali
volumi
è a nostra notizia unicamente il
primo dove si
discorre
di Protologia. Uomo sinceramente cattolico,
sinceramente
liberale e passionato seguace del filosofo
subalpino,
il De Carlo volle servirsi del nome
del Vico
perchè
gli fosse consentito insegnar le dottrine
giober-
iiane
quando nel vecchio Keame faceasi più
tristo e in-
solente il
dispotismo de' Borboni. Questa ci sembra
r
orìgine del suo libro, o meglio del
titolo vistoso e falso
•
BouLURB, Op. cit., Tol. cit. psg. 584.
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by VjOOQ IC
112
STORIA DELLA SGIBNZA NUOTA. [lIB. I.
di
cotesto SUO libro. Perocché non sapremmo
altrimenti
spiegarci
come nelle 600 pagine d'un' opera che
s'in-
titola dal
Vico, si parli e si propugni dall' un
capo all'al-
tro le
dottrine del Gioberti, anzi che quelle
proprie del
filosofo
napoletano.
Ma più
che altri merita qui d'esser menzionato
l'illn-
( stre
Fornari, come quegli che fin da' primi
anni di que-
sta seconda
metà del secolo ha mostrato neUe sue
dot-
trine quanto
siasi dovuto ispirare al Vico, benché
di
rado
gli faccia l'onore di citarlo. Il
Fornari oggi fra
noi è
il filosofo artista per eccellenza. Quanta
efficacia
di
stile! Quanta eleganza di parola nelle
sue pagine 1
Speculare
sottilmente ei non sa, o meglio, non
vuole.
Nella
sua mente l'idea nasce viva, nasce
sempre incor-
porata in
una forma, incarnata in una figura.
Il che non
ci
reca maraviglia in lui, autore delia
stupenda opera su
I r
Arte del dire, né ci sorprende il
magistero dello scri-
vere
veramente sovrano. Come scrittore, il
Fornari
segna
un progresso nelle sue stesse opere.
Ne' Dialoghi
su
l'Armonia universale, per esempio, predomina
il tono
classico,
e nell' Arte del dire v' è qua
e là non so che
di
leccato che stanca. Ma l' arte vera,
quell' arte che
sa far
tutto e tutto nascondere, si palesa
mirabile nel
suo
libro in corso di stampa su la
vita di Cristo : tal-
ché non
senza ragione il Tommaseo pensa che,
quanto
a
fattura e a stile, cotesta opera del
Fornari sia il primo
libro
del secolo. Col Fornari si può
dissentire; e noi
pur
troppo dissentiamo da lui per moltissimi
conti. Ma
chi
non vorrà ammirarne l' ingegno poderoso e
non di
rado
originale checché ne predichino certi
hegeliani?
Sennonché,
lasciando deljFornari scrittore, conside-
riamolo come
filosofo rispetto al Vico. In fondo
egli é un
Giobertiano;
ma il Giobertismo in lui é modificato
sì
che
altri penerebbe a riconoscerlo. Però noi
diremmo
seguace,
poiché quando il Gioberti scriveva, la
mente del
Fornari
erasi già formata. Egli é anche
cattolico, es-
senzialmente cattolico;
ma dubito forte se i Gresuiti vor-
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CAP.
IV.] INTEBPRITI
FILOSOFI. 113
ranno
stargli in compagnia.' Nella sua mente
l'idea
cristiana
è, per cosi dire, ciò che il
mito indiano di-
venta nella
fantasia greca. Però noi crediamo che
uno
stndio
lungo e amoroso delle dottrine vichiane
ch'egli
celatamente
ormeggia, ha dovuto spiegar molta effica-
cia su
la forma singolare del suo pensiero.
La Vita
di
Cristo^ a quel che parrebbe, è tutt'
un disegno di filo-
sofia
storica; ma di filosofia storica nel
senso cristiano.
È, in
sostanza, il concetto del Bossuet, ma
affatto in-
novato e
trasfigurato; perchè nel Bossuet, vuo'dire
nel
vecchio
concetto cattx)lico, è quasi ombra ciò
che nel
Fomari
è corpo, corpo vivente, vivente organismo.
Da
sincero
cattolico egli dunque ha studiato il
Vico, in lui
s' è
ispirato, e alla luce d' alcuni suoi
principii ha in-
terpretata
la stoiìa. In modo ingegnoso ei
rannoda (vero
o non
vero che sia è un' altra quistione)
i due grandi
fatti
dell' universo, creazione e redenzione,
considerando
Cristo
quel centro massimo inverso a cui s' accolgono
e da
cui partono tutt' i raggi d' ogni
qualunque civiltà,
d'ogni
qualunque religione. Qui nel fondo, com'
è chiaro,
e' è
il Bossuet, e nella forma e' è
qualcosa del Vico. E
che il
Fornari arieggi alla Scienza Nuova, il
dimostra
quella
legge delle sei giornate, passim stcunwd
di civiltà,
per le
quali ei vede passare i popoli e
le famiglie
umane
a cominciar da Babilonia fin a Roma.
E che
poi la
imiti in senso tutto cattolico ce '1
dimostra un
principio
ch'egU vi attinge e che nel tempo
stesso
crede
correggere. <i Fu deUo gravido di
sderusa, (egli
dice)
gravido di tutta una scienza nuova il
detto di Criam-
battista
Vico, Che Vuomo ignorante fa sé
medesimo cen-
tro e
misura delle cose. E forse la
filosofia della storia
sard)be
stata piik intiera infino dalla nascitay
se U filo-
*
Queste parole noi scrivoramo dieci mesi
addietro, ed ora abbiam
listò
col fatto come darrero i Gesuiti non
vogliano saperne dell* ultimo
libro
del Fornari. IWilarcheo della CivUtà
CaUolica lo ha ripudiato fa-
cendone una
critica veramente puerile; ma il prof.
Acri con una difesa
dotta
elegante e gentile lo ha fatto invece
ben volere ed ammirare a chi
meno
n'era disposto. Filarcheo ha reso nn
buon servigio al Fomari.
SiciLuni.
8
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114
STOBIA DELLA SCIENZA KUOYA. [lIB. I.
sofo avesse
conceputa intiera quella verità; dicendo^
che
la
mente ddPuomOy chiusa in sé dal
peccato, ritiene
chiudo
in sé medesima l'universo} » Ecco
un'interpre-
tazione
tutta cattolica, essenzialmente cattolica, d'un
principio
fondamentale della Scienza Nuova: equi co-
ni' è
naturale, siamo davvero agli antipodi con
l'illustre
abate
napoleta-no. Che poi il Vico abbia
lasciato certa
salda
impronta nella mente del Fomari, anche
per ciò
che
risguarda i principii di cosmologia, ce
lo fa sospet-
tare la
sua dottrina sul tempo e su lo
spazio come in
altro
luogo diremo: e lo stesso ci mostra
l'aver egli
creduto
compiere e correggere il nostro filosofo
nella
definizione
che questi ha dato su la natura
delle fa-
coltà: *
nelle quali correzioni ov'il Fornari fosse
riuscito,
io non
saprei scorgere davvero in che mai
s'abbia
a far
consistere l' originalità del Vico. Ciò che
dunque
v'ha
di vigorosamente speculativo e direi quasi
d'ar-
chitettonico
nel Fomari, mostra una certa impronta
vichiana
:• tutto il resto rimane estraneo
alle dottrine
speculative
del nostro filosofo secondochè noi le
in-
tendiamo.
E oltre
che al Vico, egli sembra essersi
ispirato al-
tresì a
Tommaso Rossi che il Vico non dubitò
appel-
lare mente
divina; tanto che al Fomari dobbiamo
se
oggi
alcuni giovani napoletani son venuti
richiaman-
doci alla
memoria le ignorate dottrine di questo
filosofo,
fra'
quali notiamo l' egregio signor Giordano-2iOCchi.
Ne' suoi
studi sul Rossi egli per primo ha
rilevato accu-
ratamente
alcune attinenze fra la metafisica di
questo
filosofo
e quella del Vico, dimostrando come
in su' pri-
mordi del
secolo XVIII l'uno compiesse l'altro,
segnata-
mente nelle
dottrine cosmologiche, come l'altro inte-
grasse l'uno
col concetto storico, e com' entrambi si
fos-
sero opposti
non pure aUa filosofia spinoziana e
lockiana
allora
in gran voga, ma anche in gran
parte al metodo
*
FoRNART, Della Vita di Critto. Firenze,
1869, cap. V, pag. 325w
*
Idem, DeW Armonia Univertale, 2'* ediz. Firenze,
1863, pag. 74.
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CiUP.
IV.]
INTBBPBBTI FILOSOFI. 115
cartesiano.'
Un altro scrittore poi, il Galasso,
accenna
più
volte con acume ed opportunità alle
idee metafisiche
del
Vico nella sua critica all' Hegelianismo
; e piii chiaro
e più
di proposito ne parla nell'altro suo
lavoro sul
metodo
storico dello stesso filosofo.* Ma non
sempre in
lui la
chiarezza e la semplicità nel concepire
e nel-
l'esporre
le idee eguagliano i molti pregi
dello stile in
guisa
che i lettori ne possano trarre tutto
il valore.
Non
ultimi si presentano gli Hegeliani ad
invocare
le
dottrine del Vico, e proclamarsene seguaci.
L' illu-
stre B.
Spaventa lo appella suo cavai di
battagUa; e
non ha
torto. Altrove io dissi quanto la
presente filo-
sofia
italiana debba a quest' ingegno acuto
e vigoroso.'
Da
quindici anni a questa parte egli è
stato il primo
ad
accorgersi come nelle opere del filosofo
napoletano !
s'asconda
un pensiero filosofico profondo e
originale.
Che se
altri prima di lui ha detto lo
stesso, egli solo
però
ha mostrato come davvero l'autore della
Scienza
Nuova
debba meritar titolo di filosofo, anzi
di metafi-
*
sico. Del che dobbiamo essergli grati,
massime pensando
com'
altri della medesima scuola abbia avuto
ed abbia
cuore
d'appellare il Vico una mediocrità
filosofica!
L'Hegelianismo
è tal sistema il quale, guardato
sotto
certo
punto di lume, ti par davvero non
altro che un
espUcamento
della Scienza Nuova : sicché agli
Hegelia-
ni, abili
s'altri mai nel cogliere anco i più
fuggevoli
riscontri
storici, non dovea riesch: difficile
ritrovare nel
Vico
tutt' i germi dell' Idealismo assoluto.
Di fatto, il
vero
pregio, il valore massimo di lui
(osserva il pro-
fessore
Spaventa) sta nel porre lo spirito
siccome l^ero
sviluppo
di $è stesso. Ecco il nodo, egli
dice, tutto il
nodo
della Scienza Nuova.
Qui
Spaventa ha ragione. Dov'è che comincia
il
*
GlORDANO-ZoccHi, Studi aopra Tommaso Robbì^
Napoli 1865.
•
Galasso, Dd nstema Hegdiano^ Napoli 1867.
Del metodo Btorìeo i
del
Vico nella Rivitta Boiogneae, 1868, Fase,
del giugno.
' Vedi
la nostra Memoria, Oli Hegeliani in
Italia, Bologna, 1868. t
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IIG
STORIA. D£LLA. SOIBNZA NUOTA. [lIB. T.
SUO
torto ? Laddove pretende interpretare a
metà il
pensiero
del filosofo. Tutto ciò che si piglia
da Hegel
e si
trasferisce nel Vico ci sta a
maraviglia : a maravi-
glia insino
a che non si trascende la storia,
e il finito.
Di là
dalla storia comincia quella intricata
speculazione
dialettica
assoluta di cui nel Vico non ce
n'è ombra,
almeno
intesa nel senso hegeliano. La storicità;
ecco il
gran
pregio, l'onore del Vico: e quest' è
pure uno
de'
pregi dell' Hegelianismo. Ma qui proprio
è l' abisso.
Ciò
che pel Vico infatti è idea umanoj
nell' Hegelia-
nismo è
pensiero considerato nella sua assolutezza.*
Mondo
naturale e mondo umano, provvidenza
naturale
e
provvidenza umana, che cosa sono pel
Vico? Non
sdtro
che la differenea reale ddV assòluta
indifferenza^
£ che
cos'è mai cotesta indifferenza assoluta? Si
sa:
è la
Idea. Ma e' è egli nel filosofo
napoletano cotesta
vostra
Idea? Sì, certo: è V unità dello
spirito che in-
forma e
dà vita a quésto mondo di Nazioni}
Addio
dunque
concetto dell'Assoluto nel Vico ! Addio
concetto
del
Vero eh' è l'Essere, e dell' Essere- Vero ;
dell'asso-
luta Causa
e dell' assoluta Potenza! Qui mi
sparisce
dagli
occhi la modesta persona del nostro
Don Giam-
battista, e
in sua vece levasi la gran figura
di Giorgio
Federigo
Hegel di Stoccarda. Non s' ha piii la
Scienza
Nuova,
bensì la Logica obbiettiva: non più
il metodo
i
psicologico-storico, ma il dialettico : non
piiì un modesto
speculare,
bensì un sapere trascendentale: non più
una
scienza
dell'Assoluto, ma la scienza Assoluta
addirittura.
E qui,
com' è naturale, non e' è accordi
che tengano.
Il
solo Spaventa inoltre, non pur fra
gli Hegeliani,
ma fra
tutti quelli che hanno preso a
parlare ex-professo
I del
Vico, ha intraveduto V originalità della
psicologia vi-
'
chiana. Ha visto come il concetto di
sviluppo in luì sia
uno
schema sotto tre diverse forme: !•
Come schema lo-
* B.
Spaventa, Sul caraiUre e sviluppo della
FU, Italicma, pag. 31.
*
Idem, Lezioni di FUosoJia, Napoli, 1862,
pag. 85.
*
Idem, Prohu, cit. pagr. 27.
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OAP.
!▼.] INTEBPBBTI FILOSOFI. 117
gico;
2» Come schema psicologico, o individuale
; 3* Come
schema
della psiche concreta e vivente si
nei popoli e
sì
nell' umanità.* Tutto questo è vero.
È vero nella sto-
ria, nella
psicologia e nel pensiero, cioè nella
logica; e
dobbiamo
rallegrarcene vivamente con V illustre
profes-
sore
napoletano. Ma che cotesto medesimo schema
ab-
bia da
essere pel Vico lo schema altresì
della totalità del
reale
e di THo stesso (com' è certo
per Hegel), questo è
per r
appunto ciò che a me non pare,
né secondo ragio-
ne, e
nemmanco secondo l'autore. ìì concetto
dell' Unità
dello
Spirito nelle due filosofie hegeliana e
vichiana si
assomiglia
certo quant'al processo: nel che siamo
He-
geliani
anche noi e piii Hegeliani dello
stesso Hegel, se
pur
fosse possibile. Ma cotesta grande Unità
dello Spi-
rito che
pel filosofo di Stoccarda è un
Ultimo, pel Vico
è un
Penultimo ; e perciò stesso non può
essere neanche
un
Primo. E qui pure, com' è evidente,
parmi opera persa
ogn'
invocazione d'accordi, e vano qual si
voglia dialet-
tico
almanacchio. E di qua proviene come
non di rado
il
prof. Spaventa creda imperfezione ed errore
nel Vico
ciò
che davvero è imperfezione ed errore
nell'Idealismo
assoluto,
precisamente come gli accade, per dirne
una, là
dove
pretende scorger le così dette età
storiche anco nel-
r
umanità, considerata come tale, meglio che
nei popoli,
ai
quaU solamente vuol esser applicata cotesta
legge se-
condo il
vero senso datole dal Vico: il che
osserviamo
tanto
più volentieri, in quanto che egU
stesso biasima gli
Hegeliani
per aver esagerato oltre misura cotesto
prin-
cipio.' Da
ultimo è da notare, ad onore del
valoroso
prof,
di Napoli, com'ei sia de' pochissimi che
col Tom- '
maséo,
col traduttore anonimo francese, col De
Ferron e
qualche
altro, abbia inteso a dovere e pienamente
le-
gittimata la
dottrina de' Corsi e ricorsi storici.'
n
nostro eh. collega ed amico professor
Fiorentino
* B.
SPAYBifTA, Legioni di Filo9ofia ec. pag.
94 e seg.
*
Idem, eodem, pag. 99.
*
Idem, eod., pag. 100.
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118
STORIA. DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. V
ha
parlato anch' egli del Vico ; e
ormeggiando lo Spa-
venta, ne
ha parlato da schietto e fedele
hegeliano co-
in'
era da prevedere, in una serie di
lettere indirizzate
alla
egregia e compianta Marchesa Florenzi.
Consen-
tiamo con
lui quando irrompe contro gli eterni
enco-
miatori del
Vico ; che d' alcuni di cotesti
lodatori a buon
prezzo,
impotenti inneggiatori al genio di lui,
a bella
posta
non abbiamo voluto far parola, e ne
avremmo
avuto
larga mèsse da mietere. E battiamo le
mani altresì
air
amico nostro in tutto quant' egli
acutamente viene
osservando
su la dottrina del Vico risguardante
l'origine
e la
natura delle religioni, e in ciò
ch'ei dice sopra
certe
grossolane contraddizioni proprie del nostro
au-
tore, perchè
crediamo anche noi con lui, col
Ferrari, con
lo
Spaventa ed altri, che nel filosofo
napoletano e' è, a
1 dir
così, due uomini, il vecchio e'I
nuovo. Non meno
vere,
finalmente, ci paion quelle sue
considerazioni sul
. modo
con che il nostro filosofo riguardava
il Diritto
Romano,
e belle, se non tutte vere, quelle
altre sul
processo
psicologico delle facoltà inteso alla
maniera
del
Vico. Ma non sapremmo convenire in
parecchie al-
tre cose,
alle quali con l'usata franchezza e
brevità
verremo
accennando.
Come
ogni fedele hegeliano anche l'amico nostro
vuol
ritrovare, al solito, gli antecedenti del
Vico; e lo
rimonta,
nullameno, sino alla Repubblica di Platone!
Avrebbe
potuto ricacciarlo anco fino agli Egizi,
ove forse
avrebbe
ripescato qualcosa di più, come confessa
lo stesso
Vico
quando si prova a rintracciar le
origini storiche
del
suo storico ternario. In Platone, dice
il Fiorentino, ci
era
Vico, ma non tutto, né sviluppato; ci
erano i semi che
fecondati
germinarono, e dMa ReptÀblica fecero baiUar
fuori
la Scienza Nuova. Fra gli hegehani il
Fiorentino
è
quegli che meno degli altri intoppa
nel difetto di far
la
storia a furia di riscontri storici;
i quali per inge-
gnosi che
paiano non riescono sempre positivamente
veri.
E non più che ingegnoso ci sembra
questo di cui
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CAP.
IV.] IKTEBPBETI
FILOSOFI. 119
si
parla. Noi crediamo che ciò che
veramente distìngue
r
ingegno e le dottrine del Vico non
sia un indirizzo I
platonico,
anzi piuttosto aristotelico: il che risulta
da
tatto
r insieme delle sue dottrine, meglio
che da questo
o quel
passo isolato e stralciato dagli altri
a tutto pro-
prio comodo
e servigio. Ma perchè s^ha a risalire
alla
Repubblica
di Platone massime quando si parla
della
Scienza
Nuova? Per affermar questo l'amico nostro
s' appoggia
principalmente nelle forme del reggimento
politico,
le quali pel Vico sono tante quante
le facoltà
dello
spirito : sentenza, com' è noto,
propria di Platone
e poi
di tutti quant' i politici, e che
ritroviamo sco-
pertamente
ormeggiata nel nostro filosofo. Ora che
un
divario
profondo per valore e significato razionale
sia
da
scorgere, come vedremo, tanto nel concetto
psicolo-
gico quanto
nel concetto dello stato del filosofo
ateniese
rispetto
a quello del Vico, ninno il saprà
negare che
abbia
meditato il principio storico sopra cui
tutta è
fondata
la Scienza Nuova. Io dunque non so
capacitar-
mi, e
mi son maravigliato meco stesso, come
mai il no-
stro collega
sia potuto venire in questa sentenza,
che
la
Bepubblica e la Sdema Ntwva si
fondano sopra un
disegno
comune. Ma, di grazia, dove son le
ragioni? E
dato
ci siano cotesto ragioni, come non
accorgersi che
il
processo psicologico secondo la mente del
povero pe-
dagogo di
VatoUa è diametralmente opposto a quello
proprio
del gran figliuolo di Aristone; e
quindi diffe-
rente la
genesi delle forme politiche dello Stato
nei due
filosofi?
E che cosa ci ha che vedere il
concetto plato-
nico della
Oittà con quello della Cittàj deUe
Genti Minori
che
scaturisce dal processo isterico della
Scienza Nuova?
Eppoi,
per accennar qui ad un altro ordin
di cose, quanto
r
immobilità delle idee platoniche non si
discosta dal-
l'attuosità
profonda, intima, vivace che il Vico
attri-
buisce al
suo Ente-Vero? D' altra parte, non è
lo stesso
Fiorentino
che avverte come il Vico medesimo
facesse
una
breve critica alla Bepubblica stantechè in
essa
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120
STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
ruomo
sia considerato, non qual è, anzi
qual dovreb-
b'
essere? 0 perchè, dunque, chiamar comune
il disegno
delle
due opere? In altra sua scrittura,
parlando del
Parmenide
e della dialettica platonica, il Fiorentino
dice
che il Vico vi attinse lo schema
della Scienza Nuo-
va.
Anche qui la interpetrazione critica dà
in fallo. Si
sa
oggimai (e dirlo al Fiorentino sarebbe
come portar
nottole
ad Atene) che nel Parmenide e nella
Bepub-
I
blica tanto il carattere generale quanto
il processo tor-
nino fra
loro assai diversi. Come va dunque
che il dise-
gno della
Scienza Nuova, eh' è comune con quello
della
RepubbUca,
è anche lo schema della dialettica
esposta
nel
Parmenide? In somma, io non dubito
che una rela-
zione esista
fra Vico e Platone: non dubito che
riscontri
se ne
possan fare in infinito. Ma prima di
tutto biso-
)
gnerebbe stabilire a qual Platone s'
assomigli il Vico,
j a
quello del Sofista, del Timeo o
all'altro della Repub-
'
blica, del Fedro, ovvero a quello del
Parmenide? Per^
quanto
mgegnosi, dunque, cotesti riscontri sono
sempre
estrinseci,
analogie secondarie, esteriori, e quindi
spesso
fallaci
con cui gli hegeliani abbarbagliano d
ma la-
sciano
sempre il buio che trovano.
In
fine della prima lettera poi egli
afferma che la
metafisica
per Vico versa nel vero e non
ha processo.
Non ha
processo? Or come, s' egU stesso, lo
stesso Vico,
primo
fra tutt' i filosofi dell' evo
moderno e mezzo se-
colo avant'
il Kant appose alla metafisica questa
me-
morabile
definizione: Critica dd vero? E se la
critica
vichiana
non è processo, o per lo meno
esigenza di esso»
che
cos' è mai^ Senonchè nella seconda
lettera, com'era
naturale,
col suo retto senso il Fiorentino
contraddice
apertamente
alla prima quando mostra come il
princi-
pio sopra
cui '1 Vico fondò l' opera sua,
riesca differente
dal
principio di Platone. Di cotesto disdirsi
non ci
doliamo:
ci rallegriamo anzi. E ce ne
^rallegriamo per-
chè, s'egli
è co^, il comune disegno della
Repubblica
e
della Scienza Nuova, eh' e' vagheggia nella
prima
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GAP.
IT.] ÌNTBRPEBTI
FILOSOFI. 121
lettera,
sfuma del tutto o per lo manco
è ridotto a
termini
'convenienti. E molto men vera poi ci
sembra
quest'
altra sentenza: Che l'autore della Scienza
Nuova,
avvistosi
della inconvenienza d'ammettere una Mente
Sovrana,
facesse capo ad una psiche vivente e
defini-
ta. Ma
la psiche vivente di cui parla il
nostro amico
non
contraddice nà punto ne poco alla
realtà di quella
Mente,
anzi ne legittima vie più la
necessità. Il Vico
dunque
non vide mai cotesta inconvenienec^ né
poteva
mai
vederla: ne vide per contrario la
massima conve-
nienza;
convenienza dettata non pur dalla ragione,
ma
anche
dal fatto; e cotesta convenienza di
fatto esce
laminosa,
come risultato finale, dall'intiera Scienza
Nuova,
cioè dire dalla natura intima del
processo isto-
rico.
E neanche sembraci al tutto vero
l'affermare che
rispetto
a questa Mente infinita il Vico
ricopi il celebre
argomento
di Cartesio e d'Anselmo, o il
concetto del
^Bene
di Platone. Nel Vico c'è qualcosa di
piii. C'è
tale
un' idea dell' Ente che non è
quella del vecchio '
monoteismo.
E perchè e' è questa, v' è
altresì un con-
cetto
originale su la natura del finito.
Verissimo
poi dove osserva (3* Lettera) che nel
libro
Metafisico il nostro filosofo volle dar
l'aria d'una
veneranda
antichità a concetti nuovi ed in gran
parte
da lui
la prima volta proposti. Ma non è
per nuUa^esatto
il
dire ch'egli desistè dallo scrivere la
seconda e la
terza
parte del suddetto libro a cagione
della critica
mossagli
contro dal Giornale de' Letterati. Le
altre due
parti
ch'egli andava meditando e su le
quali usava
talora
intrattenersi col suo Paolo Doria, non
erano
e non
potevan esser che applicazione e
svolgimento
della
prima. Era precisamente il Diritto
Universale che
poi
venne a luce dopo dieci anni; ed
era la Scienza
Nuova
che comparve dopo tre lustri. A noi
dunque
non
pare che il Vico si riconsigliasse
con seco medesimo
dopo
le critiche dei Letterati, nel senso
che avesse can-
giato
indirizzo. La qual cosa tanto più
crediamo, quanto
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122
STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
che la
seconda e la terza opera dianzi rammentate,
non si
discostano né pur d' un minimo dalla
sostanza
(dico
dalla sostanza) del Libro Metafisico.
Giambattista
Vico
fa tutto d'un pezzo, sempre; nò la
sua mente
ebbe
uggia d'un vero oggi per correr
dietro ad un
altro
domani, come il palato e la lingua
fanno dei cibi.
Certo
il suo pensiero fu un processo ;
processo conti-
nuo,
svolgimento incessante; ma sempre d'un
colore,
sempre d'
una fisonomia, sempre d' una indole.
Percioc-
ché la
mente del vero filosofo debba progredire,
ma
progredire
non già contraddicendosi, bensì conciliando
sé con
sé stesso e con le cose e con
le idee, co' fatti,
con la
storia, con la coscienza e perfino
col senso co-
mune. Prima
del Fiorentino il Ferrari avea detto
lo
stesso;
ma neanch'egli in ciò seppe coglier
nel vero
come
dicemmo a suo luogo.
Fra
tante belle riflessioni l'amico nostro non
sa
fare a
meno talvolta delle ormai grinzose
tricotomie
hegeliane
; com' é, per esempio, là ove
parlando del
genio
della civiltà latina, la pone a
riscontro con la
greca,
e pretende anch' egli ritrovar legami
dialettici
necessari,
ideali, con una civiltà anteriore (divina)
e
con
una civiltà posteriore (umana), stantechè
il mondo
latino
rappresenti per sé stesso l'età eroica.
Coteste
dialettiche
storiche hanno già fatto lor tempo: e
ci
vuol
ben altro che analogie ritmiche cosi
inquadrate
e
geometrizzate come quelle degli hegeliani a
ritrarre
il
positivo de' fatti storici. Al qual
proposito da ultimo
notiamo,
come anch' egli abbia talora prestato
facile
orecchio
a certe conclusioni dei filologi moderni,
quando,
per
esempio, vuol circoscrivere troppo in sé
stesso il
popolo
di Roma. Certo il Vico non vide,
né potea ve-
'dere
le attinenze fra latino, greco ed
ariano. Ma quant'a
ciò
egli non fa quistione d' originarietà,
bensì di svolgi-
mento
autonomo di civiltà. E qui ha torto
il Fioren-
tino; e
non meno avrebbe torto il Mommsen se
questi
anzi,
come vedremo, non rassodasse e vie
più confer-
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CAP.
lY.] INTEBPBETI
FILOSOFI. 123
masse
la sentenza del Vico a tal proposito.
Il nostro
filosofo
ebbe coscienza chiara, per esempio, di
questo
fatto,
che V idioma latino non è potuto
uscire dal greco ;
del
che vedemmo essersi accorto, fra gli
altri, il tradut-
tore anonimo
francese della Scienza Nuova. Ne vor-
reste più
da un uomo vissuto due secoli fa?
Concludendo,
quant'al Fiorentino, noi abbiamo in
pregio
grandissimo V ingegno e gli studi del
nostro va-
loroso
collega, e ne abbiam dato prova altra
volta: ma
qui
non è questione d' ingegno e d' erudizione
isterica,
bensì
di critica, d'interpretazione. Chi vorrà.
accettare
i
risultati d^una critica parziale, unilaterale
e non di
rado
infedele qual si è quella dei critici
hegeliani in
generale?
Anche nel suo Pomponaeeij come nel
lavoro
sul
Vico di che parliamo, tirando V acqua
al proprio mu-
lino egli
cade nel solito difetto (come altrove
notammo
e come
è stato mostrato dal Frank e dal
Fontana)!
sia
con lo studiarsi di porre sotto
acconcio punto di
lame
questa o cotesta dottrina d' un autore,
sia col de-
bilitare e spregiare
quella d' un altro ove per avventura
non
faccia comodo. Non così nel suo Bnmo,
il piii bel
lavoro
dell'amico nostro considerato (già s'intende)
come
lavoro
di critica; perchè in esso l'apprezzamento
critico
ci
sembra men passionato e meglio condotto.
Dal qual
fatto
altri forse potrebbe concludere che,
nell'indirizzo
della
critica, il Giobertismo non dà in
quelle esagera-
zioni cui
di solito riesce l'Idealismo assoluto.
E qui
chiedo poter interrompere un istante l'
ordine
cronologico
impostomi sino da principio per far
men-
zione d'un
altro valoroso hegeliano, ultimo venuto a
parlare
del Vico. È questi il professor Vera,
il bene-
merito
volgarizzatore dell' Hegelianismo, e delle
scrit-
ture
hegeliane. £ innanzi tratto osservo che
le relazioni
ch'egli
scorge fra Vico, Herder e Bossuet ci
paion tutte
▼ere,
ma non certo nuove, perchè fatte già
da altri,
come
s'è visto, sin dai primi lustri del
secolo. Delle altre
osservazioni
quella che piii lodiamo, essendoci parsa
toc-
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124
STORIA DELLA SOIBNZA NUOVA. [UB. L
cata
con fedeltà e maggior dirittura di giudizio,
è la
interpretazione
circa il concetto del Diritto Universale,
in cui
ha saputo accennare altresì con verità
al triplice
elemento
del diritto, dominio, libertà e tutela.*
Lodiamo
non
meno l' illustrazione a proposito della
dottrina del
vero e
del certo, la giusta relazione veduta
fra questi
due
termini, e segnatamente lodiamo T aver
chiarito la
natura
vera del processo psicologico secondo il
Vico.
Le
quali cose, del resto, dovean tornare
agevolissime
ad un
hegeliano, in virtù di certa affinità
che alcune
dottrine
del nostro filosofo mostrano avere,* come
di-
cemmo, con
quelle dell'Idealismo assoluto. Ma ecco su-
bito, per
esempio, una sentenza che respingiamo (come
abbiam
fatto col Fiorentino), su la relazione
tra Vico
e
Platone, perchè generata dalla solita
febbre degU
antecedenti
e dei riscontri storici che ci fa
travedere e
spesso
anco vaneggiare I Gli estremi si
toccano anche qui
secondo
il motto volgare. Perocché non è
stato scrittore
cattolico
0 teologizzante il quale, parlando del
Vico, non
fosse
risalito al divino^ al cristianeggiante
Platone per
ripescarvi
annidata qualche Degnità o alcun che
di luce
intelligibile
di cui, per vero dire, non è
difetto neanche
nel
Vico. E vedemmo, per esempio, il
Tommaseo, in ciò
temperatissimo,
contentarsi d' aifermare solamente che
il
Vico s' ispirasse nel filosofo ateniese.
Ora il Vera
vien
fuori anch' egli a dirci lo stesso,
anzi più dello
stesso,
ma certo con intendimento assai diverso,
affer-
mando
addirittura che il Vico potè giugnere
alle sue
scoperte
solo seguitando le dottrine di Platone
stìi-,
diando
la teorica platonica delle idee,
comprendendo
V
importanza e la funzione deWidea deW
universo. Ch'ei
r
abbia studiato e fino a certo segno
se ne sia ispirato,
come
vuole il Tommaseo, ne potrò convenire:
che
r abbia
^^tto poi ne dubito assai; e in
ispecie dubito
. *
Vsiu, ItUroih aOa Ftlo9ofia deUa Storia. Firenze,
1869, pag. 70.
Digitized
by VjOOQ IC
CAP.
nr.] INTERPRETI FILOSOFI. 125
che
abbia voluto seguirlo pel fine che
dice il Vera, il
quale
è noto qual valore porga alle idee
platoniche, e
come
queste idee egli pretenda legare al
carro della
Idea
del maestro.* Che cos'è infatti cotesta idea
rispetto
all'universo?
È il principio della storia ;
perocché ella
sia
che governa tanto la vita delle
nazioni, quanto la
vita
dell' organismo animale. E che cosa
poi vuol dire
tutto
ciò? E' vuol dire che c'è una storia
ideale delle
nazioni,'
e che quindi da Platone al Vico
non v'ha che
un
breve passo. Può darsi che questo sia
hegelianismo,
idealismo
assoluto, fatalismo ideale, o come
altrimenti
piacerà
chiamarlo; ma filosofia del Vico che
nasca sin-
cera dalla
Scienza Nuova, no davvero, a II mondo
ha
una
storia ideale, perchè l' idea è principio
della storia :
e la
storia in tanto è ideale pel Vico,
in quanto l'idea
(la
Idea) rivela e scuopre se medesima
nella storia. »
Prima
d'ogni altro ci sarebbe da chiedere
al valoroso
hegeliano
: In qual senso cotesta Idea può
esser prin-
cipio della
storia? E intesici sopra cotal punto
(e pro-
babilmente
non giugneremmo ad intenderci mai) ci
sarebbe
da pretendere poi un' altra risposta:
Che è mai
l'Idea
per l'autore della Scienza Nuova?
Se non
che, quand'egli aflFerma che il Vico
seguita
le
teoriche di Platone, dimentica che più d'
una volta
lo
stesso Vico dice e confessa d' essersi
allontanato da I
Platone.
Al Fiorentino abbiamo ricordato la immobi-
lità delle
idee platoniche e '1 concetto che
dell' Essere
ci
porge il nostro filosofo: lo stesso
rammentiamo al
Vera.
Si dirà che il Vico da sé
medesimo invochi Platone
e lo
annoveri fra i quattro suoi maestri?
Verissimo;
ma è
vero altresì che fra' quattro maestri
e' è anche
Tacito,
il quale per ben due volte egli
dice di voler
seguire,
meglio che Platone, quant' al considerar
l'uomo
nella
sua realtà. Ci è anche Grozio che
a dignità di
vera
scienza, come tutti sanno, cominciò ad
innalzare il
*
Vbra, Introd. à la Phtl, de Hegel,
cap. IV.
*
Idem, Introd, alla FU. deUa
Storia, pag. 68.
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126
8T0RIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
concetto
del Diritto naturale. E e' è
finalmente, e sopra
tutto,
Bacone. Quale sarebbe, di grazia, la
Idea di Ba-
cone, di
Tacito e di Grozio? Tornando a noi,
dunque,
il
Vico seguendo le dottrine di Fiatone
non avrebbe a
essere
che un metafisico platonico ; nel
modo stesso che
il Vera,
seguendo le dottrine di Hegel, è un
metafisico
hegeliano.
Ma nulla di tutto ciò. Il professor
Vera fa qui
una
grande scoperta, e intoppa in una
grande contrad-
dizione.
Egli scuopre che nel Vico non ci
ha ombra di
metafisica
; spiega in che maniera quel povero
maestro
di
rettorica non ne intendesse neppure il
nome (sic), e
come
anzi avesse confuso la metafisica con
la lingua (sic).^
Or la
conclusione più legittima che altri
potrebbe facil-
mente cavare
da cotesto discorso tutt' altro che serio,
sarebbe
questa: che come il Vico tuttoché
seguace di
Platone
non è nient' affatto un metafisico ;
parimente il
traduttor
Vera, benché seguace svisceratissimo di
Hegel,
non
meriti neanche lui né pur per ombra
titolo di meta-
fisico. Non
so se tal maniera di ragionamento
regga al
martello
di sublime e riposta dialettica: ma
regge di
certo
alla logica del comun senso, e mi
basta. Per gU
hegeliani,
e' si sa, la metafisica s' incentra e
s' impernia
tutta
nella Idea: e chi agli occhi loro
non sia cotanto
fortunato
da giungere a contemplare le risplendenti
fattezze
di questa Dea, può andarsi a riporre
e mai non
isperi
di meritar nome di metafisico. È
questione di
titolo
0 meglio di saluto. Padroni a darlo
e a renderlo
il
saluto: ma, datolo una volta, non
siete altrimenti
liberi
di non riceverne uno anco voi. Non
sarebbe pro-
prio il
caso di rammentare agli hegeliani e a
tutti quelli
che
negano al Vico il titolo di
metafisico, V arguta ri-
sposta del
vecchio contadino al cameriere in giubba
e
guanti bianchi?
Come
ognun vede, in questo il Vera è
in aperta oppo-
sizione con
gli altri hegeliani. È in opposizione
special-
*
Vira, Introd, alla FU. della
Storia, pag. 77.
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\
\
CAP. IV.
J ENTEBPBETI FILOSOFI. 127
mente
con lo Spaventa che, com' è noto,
non è cosi
tenacemente
agganciato al maestro da confondere asso-
latamente
Hegel con hegelianismo (due cose che
molti
hegeliani
oggi distinguono) e nuli' altro scorger
nella
filosofia
italiana che sottigliumi teologici innestati
a
meschine
vuotaggini scolastiche. Ingegno acuto e
insie-
me largo
egli ha studiato con grande amore non
pure
i
nostri filosofi del Risorgimento, ma quelli
altresì
dell'età
moderna; e non gli ha mai battezzati
teologi,
né
dato loro titolo di mediocrità filosofica.
Égli è cri-
tico severo,
interprete dell'idealismo assoluto superiore
À
qualunque più sviscerato seguace di Hegel
giust' ap-
punto perchè
non si è cristallizzato e quasi
mummifi-
cato, come
fa il Vera, col suo maestro. Ed
ecco la ra-
gione per
cui lo Spaventa non isdegna scrivo-e
che il
Vico è
anche un metafisico, che nelle sue
scritture e' è
pure
una metafisica, né va quindi a
cercare col fiiscel-
lino
certi meschini argomenti per negargli un
valore
speculativo
com'è appunto quello del Vera là dove
^li,
attaccandosi quasi a'rasoj, pronunzia: È certo.
che
aprendo
i libri di Vico e quelli di
Fiatone e di Aristotele
e
raffrotUando le loro ricerche sulle idee,
Vico rimane al
paragone
di molto inferiore. Certo, Vico non
é, né Ari-
stotele, né
Platone ; ma forse che gli otto
libri politici
dell'
uno e la Repubblica dell'altro sono
la Scienza Nuo-
va? Che
cosa pensereste di chi pigliasse a
biasimar Ga-
lileo per
non avere scoperto nel sole i metalli
che oggi
sappiamo?
La questione è se i germi d'una
metafisica
in lui
per avventura ci siano: lo svolgimento
viene da
sé ;
ed é opera della critica rintegratrice.
Ora il Vera
non ha
creduto far né l'una cosa né l'altra;
né svolgere
né
interpretarne i principii, anzi negare ogni
loro im-
portanza, e
di qui ognuno può argomentare qual
va-
lore possa
avere la sua critica.
Pronunziata
dunque la sentenza, che il Vico non
pervenga
né punto né poco al concetto della
metafisi-
ca; passando
alle questioni storiche il Vera ne
trae
dby
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b
128
STORIA DELLA. SCIENZA. NUOTA. [UB. I.
lunga
serie di conseguenze che, secondo lui,
sono altret-
tanti
errori, e perciò altrettanti biasimi al
Vico. Qui
non
possiamo indugiare a mostrar che cosa
accettiamo
e che
respingiamo di questa critica. Gioverà
intanto
assommarla
ne' seguenti capi, a' quali verremo
man
mano rispondendo
in luoghi opportuni. 11 eh. traduttore
di
Hegel dunque dice:
!• La
storia ideale del Vico non è vera
costruzione
ideale
della storia, e però non è vera
filosofia della
storia;
bensì una generaUzzazione d'alcuni fatti
parti-
colari, e
quindi insufficienti, come per esempio
quello
del
nascere, crescere e morire, dall'individuo
trasportato
alla
storia.
2^"
Egli non vide come accanto alle
analogie sorgan
le
diflferenze; e come queste la vincano
sopra quelle.
S""
La sua legge storica non tocca
minimamente il
contenuto,
la sostanza, bensì la superficie, la
forma dello
Stato
; e però non riesce ad un
resultamento scientifico.
4"*
Non seppe levarsi all'idea d' umanità, né
a quella
di
progresso; negò anzi implicitamente il
progresso.
5*
Perciò il concetto de^ corsi e
ricorsi è concetto
assolutamente
antistorico, e distrugge la storia.
6* Per
esser conseguente a sé stesso egli
avrebbe
dovuto
far correre e ricorrere nel corso
storico anche
la
vita selvaggia.
T""
Lascia fuori della storia buona metà
della storia
medesima,
e però del genere umano.
8' La
dottrina vichiana del Diritto non racchiude
lo
svolgimento sempre progressivo della idea
del giure,
la
quale per lui è tutta rannicchiata
nel Diritto romano.
§• La
storia universale, il medio evo non
sono agli
occhi
suoi altro che copia e riproduzione
della civiltà.
IO» La
Scienza Nuova esclude dalla storia e
però
non
ispiega il cristianesimo, nettampoco la
Riforma.
!!• Il
Vico, insomma, non comprese in che
modo
V idea
possa essere neUa storia.
La
critica che ne fa il chiarissimo
traduttore, di-
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OAP.
IV.] niTBBPBBTI
FILOSOFI. 129
ciamolo
pure, non è molto seria, e^ per
più rispetti
riesce
incompiuta. Scambio di liberare quel filosofo
dalle
contraddizioni, dai controsensi, dagli equivoci,
'
dai
vecchiumi, e poi studiarsi di ricostruirne
il pen- ,
siero
e compierlo imprimendogli vita e gagliardia
no-
vella; e'
ce riia distrutto addirittura, o meglio
ha
creduto
distruggerlo. E lo ha distrutto riportando
ad
Hegel
quel po' di buono che neanch'egli ha
saputo e
voluto
negargli. Poniamo infatti che sian tutte
legittime
le
accennate difficoltà: che cosa ci
rimarrebbe della
Scienza
Nuova? Nulla; nulla precisamente. S'egli
dun-
que è
così, non si capisce come cotesto
filosofo hegeUano
abbia
voluto sciupar venticinque lunghe pagine di
stam-
pato pel
gusto puerile eli ripresentare agli occhi
nostri
lo
agl'adito spettacolo d'un cadavere! Altra
volta egli
inneggiò
al filosofo napoletano : inneggiò
segnalandolo
all'
Europa come fondatore della filosofia della
storia,
ddla
critica filosofica delle lingue, ed altro
simile. E que-
sto scrisse
nel 1856 a Londra, e credo abbia
ripetuto
anche
a Milano pochi anni addietro. Oggi
poi, come s'è
visto,
il Vico per lui sembra esser poco
più che un
umanista
del secolo XIV! Dunque è da dire
che una
delle
due volte almeno egli abbia dovuto
leggere il nostro
filosofo
armandosi d' occhiali color fumo, ma solo
resta
a
sapere se cotesti occhiali abbia egli
adoperato nella
prima,
ovvero nella seconda volta. Avvertiamo
pertanto
che il
decimo appunto fatto dal Vera è
giustissimo:
era
stato affacciato da altri critici prima
di lui, e l' ac-
cennammo
anco noi stessi fino dal bel
principio. La
Scienza
Nuova non ispiega il cristianesimo: ecco
una
delle
manchevolezze o contraddizioni da cui
bisogna
salvare
questo libro, ma senza fargli perdere
il va-
lore e,
per così dire, la fisonomia nativa
end' è rive-
stito.
Senonchè qui ci sarebbe da chiedere:
forse che
il
cristianesimo, questo gran fatto della
civiltà umana,
è
stato meglio inteso e spiegato dagli
hegeliani? A me
pare
che a tal proposito il nostro
filosofo siasi voluto
SlCILIARI
9
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]30
STORIA DELLA SOIICKZA NUOVA. [lIB. I.
governare
precisamente al modo che oggi fanno i
po-
sitivisti
circa questo o quel problema metafisico,
la-
sciandolo in
disparte. Egli era fervente cattolico, cat-
tolico di
buona fede. Ma, per cattolicissimo ch'ei
fosse,
fra le
sue dottrine ha lasciato cotal serie
di criterii^
da
mettere in grado chi voglia e sappia
leggerlo, d' in-
j
t^rpretare il cristianesimo in significato
non pura-
mente
cattolico ed assolutamente soprannaturale, e
neanche
in senso meramente hegeliano e al
tutto
mitico
da pareggiarlo addirittura ad un'
invenzione af-
fatto
fantastica o favolosa. Al qual proposito
mi piace
aggiungere
un'altra osseiTazione. Oggi appunto un
esperto
hegeliano ed un espertissimo cattolico, fra
noi,
si
studiano imprimere al concetto isterico due
significati
al
tutto opposti e contrari : il Vera
col suo ultimo libro,
il
quale al postutto è una ripetizione
della filosofia sto-
rica di
Hegel, e il Pomari con la sua
Vita di Cristo,
che,
come sopra toccammo, è una filosofia
della storia
levata
alla sintesi più alta ed elegante cui
sappia pog-
giare la
mente d' un acuto pensatore cattolico.
Sono
due
estremi cotesti, che in parecchie
conseguenze si toc-
cano, come
vedremo. Or fra questi estremi non ci
ha
da
essere anche qui una via di mezzo?
Ma
basti degli Hegeliani; e veniamo a
toccare de-
gli ultimi
scrittori i quali, comechè non tutti
filosofi,
secondo
lo stretto significato di questa parola,
nulla-
meno
si distinguono pel carattere ond' abbiamo
desi-
gnato il
3» periodo dì questo nostro abbozzo
isterico,
ciò è
dire pel carattere della interpretazione
filosofica
nel
discorrere eh' essi han fatto, sia di
proposito sia pur
di
passaggio, intomo alle dottrine del Vico.
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131
Capitolo
Quinto,
continua
il periodo degl' interpreti filosofi.
Innanzi
tutto occorre accennare a quattro altri
vi-
venti
scrittori assai diversi fra loro per
dottrine e forma
d'ingegno,
cioè al Bertini, al Conti, al
Franchi, al Maz-
zarella; poi
all'egregio Cantoni, critico ed erudito;
ap-
presso
all'illustre storico vivente della medicina;
per
indi
concludere con una rassegna d' alcuni dotti
fran-
cesi che
in quest'ultimi anni volsero la mente
al
nostro
filosofo. L'illustre prof. Bertini ha
toccato rapi-
damente del
Vico in un suo scritto su le
prove metafìsicfie
éTuna
realtà sovrasensihile,^ Con l'usata castigatezza
di
forma e severità d' ingegno egli accenna
ad un sol
punto;
del quale non pertanto ci piace
prender nota,
8Ì
perchè tra' viventi filosofi italiani di
grande autorità
ci
paion le sue parole, si ancora perchè
l' idea cui egli
accenna
racchiude un valore speciale per la
nostra isto-
ria
filosofica del secolo passato. Parlando
delle dottrine
della
conoscenza del Kant, egli dice: «
questa dot-
»
trina kantiana fece tornare alla memoria
de' tede-
» schi,
e in particolare del Jacobi, ciò che
già avea
»
scritto poco prima il Vico nel suo
libro De Antiquis-
» sima
Itàlorum sapientia: che cioè il vero
è il fatto,
» e
che non si ha vera e piena
conoscenza se non delle
» cose
di cui noi siamo gli autori. Anche,
il Vico trat-
n
teggiava un ideale di scienza divina
e assoluta che |
» ha
molta analogia colla intuizione intellettuale
desi-
»
derata e descritta da Kant, e con
questo paragonava
» la
scienza umana, la quale, secondo il
Vico, anziché
»
scienza, si dovrebbe chiamare cogitcUio,
ossia uno stu-
» dio
di andar raccogliendo quei pochi elementi
delle
» cose
che è dato a noi dì conoscere.
i> È una relazione
* Vedi
negli Atti ddV Accademia di Torino,
Maggio, 1866.
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132
STORIA DELLA 80IBNZA NUOVA. [lIB. !•
celesta,
tra Kant e Vico, della quale giova
tejier conto; e
abbiam
voluto farlo citando le parole del
valoroso Bertini.
Augusto
Conti, pensatore profondamente cattolico
e
altrettanto onesto e sincero nelle sue
convinzioni, ha
voluto
consacrare intera una lezione alle dottrine
del
I
nostro filosofo nel suo Specchio della
storia generale della
filosofia.
Chi conosce i principi! filosofici dell'
illustre ed
elegante
scrittore toscano saprà indovinar subito
quale
esposizione
egli faccia del Vico, e sospettare in
che senso
ne
interpreti le dottrine. Può dirsi eh'
e' sia il rovescio
degli
hegeliani; perchè si studia di tirar
tutto dalla
sua
parte l' A. della Scienza Nuova,
segnalandolo natu-
ralmente
com' uno de' tanti anelli della sua
filosofia pe-
renne. Io
non istarò qui a negare ne che
il Vico sia
cattolico,
né che la critica del prof, pisano
sia fatta
male.
Sarà anzi critica savia e coerente:
ma è tutto
il
Vico della prima maniera quello eh'
ei ci dà, perocché
niente
vi sappia discemere che non si
ritrovi più o
men
palesemente in Agostino, in Tommaso, in
Anselmo
e
simili. Però nel Vico nulla ci é
di nuovo, nel senso
del
filosofo samminiatese, salvo che il
concetto d'una
filosofia
civile. Né potrebb' esser diversamente,
ammessa
la
maniera con che suol procedere in
tale esposizione cri-
tica
appoggiandosi per lo pili in certe
aflFermazioni gene-
rali e
duttilissime del nostro filosofo, qual è,
per esempio,
questa:
Dio, com'è U principio ddV essere, così
è anche
del
conoscere. Quante mai conseguenze non si
potreb-
bero far
rampollare da cosifiatto principio ! Un
giober-
tiano,
per esempio, vi mostrerebbe com' ei
si sgomitoli
tutto
nelle note formolo e cicli creativi e
concrea-
tivi
assoluti e relativi di cui al solito
egli ha piena la
bocca;
dovechè un hegeliano non mancherebbe darvi
pruova
di tal destrezza, da sciorinarvi sotto
gli occhi
a fil
di logica tutta la rete delle sue
leggi dialettiche.
Nel
Vico c'è parecchie di cpsi fatte
sentenze; né al
Conti
poteva riuscir difficile tirarle alla sua
filosofia
comprensiva.
Ma egli dice benissimo dove osserva
che i
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OAP.
T.] INTBBPBBTI FILOSOFI. 133
prìncipii
del Vico, anzi che condurre al
panteismo, lo
combattono;
e in ciò noi conyeniamo pienamente.
Or
non
sarebbe stato mestieri dimostrar come non
vi con-
dncano
e conte lo possan combattere? Consentiamo
altresì
col dotto scrittore in tutte quelle
saggio rifles-
sioni eh' e'
sa fare su l'indole comprensiva e
storica
del
metodo vichiano. Ma non sapremmo
concedergli
che la
dottrina dei corsi e ricorsi apparisca
solo nella
seconda
Scienza Nuova. È quistione di fatto
eh' ei po-
trà
risolvere col ridar un' occhiata al
sommario della
1*
Scienza Nuova. Farà male anche a lui
cotesta dibat-
tuta e
combattuta dottrina; ed è forse per
questo ch'egli
procaccia
di trovar modo a scusarne l'autore:
ma, più
che
scusarlo, avrebbe dovuto e potuto
difenderlo. Crede
anch' egli
poi, erroneamente, come il Ferrari, che
il
Vico
s'ispirasse alla teorica delle monadi di
Leibnitz;*
ma
contro il Ferrari mostra, e fa
benissimo, quanto il
Vico
fosse lungi dal confonder la causalità
con l' iden- (
tità
ideale. Finalmente osserviamo che i
principii ond' il
Vico
resiste al Cartesianismo e che il
Conti riduce a tre,
sono
da lui debitamente interpretati, meno T
ultimo
poco
fa menzionato; che Dio, cioè, essendo
principio
dell'
essere, è anche principio del conoscere.
Accettando
questa
sentenza accetta anco l' altra tanto
familiare al
Vico,
per cui la metafisica, la matematica
e l'etica siano
da
Dio.' Anche cotesta è afi'ermazione
generale, onde
nnlla
può concluderai finché non si giùnga
a mostrare
come
precisamente accada che quelle scienze
rampol-
lino da
Dio. Per ciò medesimo accoglie e
ripete quel-
r
altro pensiero che il sommo della
certezza risegga
nella
metafisica; contraddicendo cosi a ciò eh'
egli stesso
ana
pagina innanzi aveva accettato dal Vico
: la cer-
tezza somma
potersi l'aggiugnere unicamente con le
matematiche.
— Bisogna pur confessare che con la
sua
critica
il Conti ha lasciato il Vico dove
appunto l' avean
* A.
CoNTf, Storia della Filotofich Firenze
1864, Lez. XX,pag. 405.
'
Id«m, eod. pag.
420.
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134
STORIA DBLLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
condotto,
per esempio, il Duni, Tlannelli, il
Tommaseo,
r Amari,
il Rosmini e tutti gl'interpreti filosofi
catto-
lici. E
noi non sapremmo fargliene carico: con
la sua
maniera
di filosofare non poteva far diversamente.
Anche
l'illustre Franchi, scettico ingegnoso, one-
stissimo,
sincero, e critico furibondo, pare talora
siasi
data
la pena di leggere qualche libro del
Vico; e ne parla
I in
due luoghi neUe sue Letture sulla
storia della filosofia
moderna.
È noto come il Vico più volte
accenni a Ba-
cone, nella
Scienza Nuova, nel Libro Metafisico, nel-
^ r
Orojsiotie sugli studi, e fin nelle
sue Vindicue contro
gli
Atti degli eruditi di Lipsia. Lo
rammenta sempre
con
parole amorose e riverenti, annoverandolo,
com'è
noto,
fra' suoi maestri. Il valoroso Ausonio
reputa esa-
gerati
cotesti elogi, massime, die' egli, quando
si pensi
a
Gralileo. Non possiamo qui intrattenerci
sul valore
speculativo
di Bacone: il divario e le
somiglianze fra lui
e il
nostro Galilei accennammo altrove.* Ma gli
elogi del
Vico
al filosofo che primo ebbe coscienza
della teoria
sperimentale
(dico della teoria) non dovrebbero parere
esagerati
a nessuno: il Franchi anzi avrebbe
dovuto
chiamarsene
contento, se avesse badato all'indirizzo
sto-
rico e
però sperimentale cui è tutta volta
la Scienza
Nuova.
Né qui giova gran fatto invocar
l'autorità di
Cartesio,
dicendo ch'ei fece appena menzione di
Ba-
cone; del
Newton che noi nominò mai; del Locke
che
lo
citò solo una volta, non come
filosofo, bensì come
storico.
Questa anzi è una ragione di più
per apprez-
zare gli
elogi che ne fa il Vico. Qual è
il motivo princi-
pale onde
r autore della Scienza Nuova encomia
tanto
spesso
r autore del Nuovo Organo? Questo,
parmi; l'esi-
genza in
Bacone a dimostrar con esperimenti la
verità
già
concepita, e quasi preveduta col pensiero.*
La ra-
gione dunque
ond' al Vico piaceva Bacone, ci
mostra
com'
egli sapesse intendere e pregiare la
mente del filo-
* Vedi
la nostra memorìa su Galileo. Bologna.
1868.
*
Vico, Vindìeke^ nve NoUb in Ada
erudiUìrvm lAptitnna, § 9.
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-GAP.
T.J IDTEBPIUCTI FILOSOFI. 135
sofo
inglese. E dico intendere e pregiare,
perciocché
-egli
non iscorgeva nel Nìmvo Organo quel
rachitico
sperimentalismo
che ci san vedere i positivisti, e
per cui
solamente
e con tanto calore costoro invocano a
maestro
il
conte di Sant'Alban. Di che proviene
poi un'altra ri-
flessione ;
ed è che dalla citazione del Vico
testé riferita
è
manifesto, come gli sperimenti non sieno
la sorgiva,
bensì
la riproduzione, la conferma di ciò
che in qualche '
maniera
si è innanzi concepito ; e per
cui i diritti dello
spiritò
restano salvi di fronte a qualsiasi
forma d'empi-
rismo.
D'altra parte, poiché senza sperimenti ciò
che s'è
speculato
riesce al tutto sterile e vuoto, ne
segue che non
senza
buone ragioni nella Scienza Nuova il
metodo di
iilosofare
del Nuovo Organo è detto essere il
metodo
più
accertato. Avea dunque torto il Vico
nel profondere
•encomii
al Gran Cancelliere? Esagerazione é il
dire,
nell'
Autobiografia, essere stata grande fortuna
per lui
aver
avuto notizia del libro del Signor di
Verolamio?
Ma e'
é di pili. Il Franchi reputa Bacone
padre di quella
storia
che l' autore del nuovo Organo disse
letteraria, e
senza
cui la storia del mondo pare vagli
come la statua*
di
PoUfemo priva dell' occhio. Or come
va che l' acutis-
simo critico
non s' è accorto esser la Scienza
Nuova pre-
cisamente
cotest' occhio dato dal Vico al
Polifemo di
Bacone?
E non é ella cotesta un'altra
relazione fra' due
filosofi?
E non è in questa relazione appunto
il motivo
degli
encomii esagerati? — Il Franchi parla
del Vico
anche
a proposito del Cogito di Cartesio. È
noto come
l' autore
della Scieìiea Nuova, ragionando di questo
cri-
terio,
facesse menzione altresì del detto di
Sosia: quum
cogito,
equidem certe idem sum qui semper
fui. Ne parla
€ome
fatto inconcusso inverso a cui le
lance dello Scet-
ticismo, per
acutissime che paiano, rimangono spuntate
appunto
perchè il dubbio, essendo anche pensiero
e
quindi
importando identità personale, racchiude cer-
tezza. Il
Franchi domanda (e nel domandare, dà
segno
di
stupire in che maniei'a la penna d'un
Vico abbia
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136
STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I»
potuto
scrivere tali enormezzel): che cosa mai
ci ha
che
vedere il motto volgare di Plauto col
principio
filosofico
di Cartesio? Ma, buonissimo e valoroso
Au-
sonio,
trattasi per T appunto di questo I
La posizione
Cartesiana
è ella davvero un principio, o no?
È egli
un
vero, o non piuttosto un certo?
Tra i
filosofi vi è anche il Mazzarella,
che in que-
st'
nltim' anni ha parlato del Vico nella
sua Storia
della
Critica, e ne ha considerato l'ingegno
critico in
relazione
alla critica anteriore e posteriore
all'autore
della
Scienza Nuova. Con la solita chiarezza
e sempli-
cità e
dirittura di pensiero egli ha saputo
mostrar che
cosa
rappresenti il filosofo di Napoli nella
Storia della
Critica
: !• il disprezzo della critica
meramente erudita:
2<'
la necessità di congiungere insieme
filologia e filo-
sofia; 3-
la critica non di libri né di
fatti, sì delle idee
della
mente umana, col fine di rintracciar
la storia
anteriore
alla storia scritta, e porre così il
vero fonda-
mento al
metodo critico con l'analisi delle idee
umane.^
11
Mazzarella inoltre sa rilevar nettamente
alcune at-
tinenze, che
a noi paion vere e ingegnose, tra
Cartesio
e
Vico, tra il metodo dell'uno e quello
dell'altro. Né
manco
ingegnosi ci sembrano que' riscontri tra
il Vico
risguardato
come filosofo delia storia, e Bossuet,
Schlegel,
Herder
ed Hegel.* Ma anch' egli, al solito,
vuol con-
dannarlo a
motivo de' suoi bestioni e del rombo
dei ful-
mini e
dell' idea del progresso cui l' autore
della Sdema
Nuova
(egli dice) non seppe levarsi!
Uno
degli ultimi lavori sul Vico è quello
dell' egre-
gio nostro
amico prof. Cantoni. Nel quale se i
pregi
non
mancano, non mancano pure i difetti;
difetti so-
stanziali
che tengono, anziché all'ingegno dell'autore,
all'affrettata
composizione del Ubro, secondo che con-
fessa egli
medesimo, e fors'anco all'affrettata medita-
zione di
esso. Ne facciamo qui menzione solo
per ra-
*
Mazzarella, Storia defla Oritiea, GeDora,
1866-68, Voi. I, Oap. XV.
•
Id. eod. Gap. XX.
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OAP.
▼.]
nmcBPBXTi FiLosori. 137
gion cronologica,
perchè davvero, considerato il fine e
l'indole
della critica cui egli è venuto
informando il
suo
libro, avremmo dovuto annoverarlo, non meno
che il
Mazzarella,
fra gli autori del secondo più che
del terzo
periodo.
Nei suoi Studi critici e, cofnparatìvi
il Cantoni
non
vuol farla da filosofo; e veramente
ad altro in so-
stanza ei
non mira, salvo che a rilevar le
differenze delle
dottrine,
giudicandole, più che altro, da' resultati.
Ora
il
vero giudizio crìtico nelle quistìoni
filosofiche non istà
forse
nel conti^apporre dottrine a dottrine,
rifacendo e
ricomponendo
e quasi ricreando nel proprio cervello
il
pensiero
di cui si piglia a far un'
esposizione critica? Ci è
gran
confusione nel metodo del Vicol dice
il Cantoni; e
dice
verissimo. Ma la vostra critica appunto
avrebbe do-
vuto
chiarircela. C è malintesi ad ogni
capitolo ! Vero an-
che questo:
ma voi avreste dovuto studiarvi
d'intenderli.
C'è
contraddizioni ad ogni pagina! Sì, certo:
ma avreste
dovuto
risolverne alcune, ripudiarne altre, e poi
accor-
dare
l'autore con sé medesimo: ecco quale
sarebbe
stata
la critica feconda e non solamente
scettica e va-
gliatrice.
Ma io vo' farla da semplice espositore,
sog-
giungerà il
Cantoni. Bene: s'egli dunque è così,
il vostro
lavoro
è un fuor d' opera, un fuor di
tempo. Di cen-
sure ed
esposizioni alla maniera di lannelli, del
Roma-
gnosi,
del Ferrari, del Tommaseo ne abbiamo
assai.
Perchè
una di più?
A quel
che mi pare il bravo Cantoni,
pigliando a
scrivere
il suo libro, non guardò bene al
fine* cui era
in
obbligo d' indirizzare il suo studio. Oggi
non è lecito,
panni,
scrivere un lavoro critico prefiggendosi un
fine
a
piacere. Dato un autore, dato un
filosofo, il fine dee
palesarsi
già da sé medesimo; deve scaturire
principal-
mente
dall'esigenza critica e dalle relazioni
storiche,
logiche,
0 ideali in che può trovarsi la
dottrina, il sistema,
la
filosofia, in somma lo scrittore che
si piglia a studia-
re. E
il Cantoni forse non ebbe seriamente
considerato
un
altro punto; ed è che fino dal
1712 cominciarono len-
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138
STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
tamente
gli studi critici su le dottrine del
Vico; cioè fino
da quand'
egli rispose alle benevole censure fattegli
da
un
amico sopra una certa sua orazione,
per non parlare
delle
critiche mossegli contro dal Giornale di
LcUeraU.
E tali
studi critici, come s' è visto, sono
andati man
mano
accumulandosi fino ad oggi, crescendo
sempre di
numero
e d'importanza. Or che cosa avrebbe
dovuto fare
il
Cantoni ? Avrebbe dovuto trarre motivo
al suo libro
anche
dall' esigenza di tutta intiera la
critica fatta sul
suo
autore. A questo modo il libro
sarebbe tornato
profittevole,
compiuto, e forse non isfornito di
qualche
originalità
nel disegno. — L'opera del nostro
amico, ripe-
to, ha
molti pregi. 11 Capitolo, per esempio,
che agli oc-
chi nostri
varrebbe tutto il libro, è quello
dove l'autore
pone a
riscontro le idee del Vico su la
storia e sul Di-
ritto
romano, con quelle della Scuola Storica
tedesca. Ma
neanche
in questo ci è parso eh' e' sia
riuscito ad interpre-
tare certi
concetti del filosofo napoletano in guisa
da de-
durne tutto
ciò che di vero han detto oggi
i tedeschi : il
che
s'egli avesse fatto, non avrebbe sostenuto,
per esem-
pio, che
quant' à leggi agrarie il nostro
filosofo siasi im-
hrogliato!
Lodevoli anco ci sembrano alcune
confutazioni
al
Ferrari; l'aver per esempio osservato (ma
non dimo-
strato) che
libertà e necessità nel Vico non si contraddi-
cono. Vero
poi che in questo filosofo manchi la
coscienza
del
proprio metodo ; e verissimo che la
psicologia è di
suprema
necessità alla filologia; canone, com'egli dice,
dis-
prezzato dai
più degli odierni filologi di Germania,
Vero
altresì
che il metodo del Vico sia
sperimentale, ma non
però
assolutamente sperimentale; e verissimo,
finalmen-
te, che
il concetto d'una Volker Psycólogiey di
che i tede-
schi menan
vanto, trovasi tale e quale nelle
opere del no-
stro
filosofo, non già come vaga esigenza,
ma come viva
applicazione.
Al Cantoni poi dobbiamo esser grati
di
averci
fatto sapere i giudizi che sul Vico
han dato i
tedeschi,
segnatamente quelli del Goschel nei suoi
Fogli
sparsi:
giudizi dati col fine di contraddire,
come no-
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oàp.
t.] iktsrpbxti filosofi. 139
tammo,
all'hegelìanismo: giudìzi assennati e molto
di-
versi da
quelli datici dal pedante E. Weber
nel preludio
alia
sua traduzione della Scienza Nuova.
Ma il
pensiero originale, originalissimo in tutto
il libro
del
Cantoni, è il modo col quale è
giudicata la seconda
Sdenta
Nuova. Con questa Scienza Nuova, egli
dice,
il
Vico rimtegava e distruggeva V opera
propria. Ho detto
pensiero
originale, perchè da due secoli in
qua non è
surto
in mente ad alcuno. Ma, di grazia,
che è mai cote-
sta
decadenza deiringegno del Vico nella
seconda Scienza
Nuova?
Sarà follia, come ripeteva il teologo
Finetti
ne*
suoi sproloqui contro il filosofo
napoletano? Ovvero
sarà
indietreggiamento cretino, allucinazione, sogno?
La
seconda Scienza
Nuova è un apriorismo, un sistema-
tismo!
Ecco tutto il peccato, il gran
peccato del Vico,
secondo
il Cantoni.
Che
nella prima Scienza Nuova prevalgano V
indu-
zione e
l'analisi comparativa, non è a dubitare.
Ma
for^
che predominio d' un indirizzo metodico
vorrà si-
gnificare
diversità di principii? È bene che il
Cantoni
ascolti
dalla bocca stessa del Vico, giudice
unicamente
legittimo
in questo proposito, la risposta alle
afl'rettate
censure.
Ecco le sue parole: Nella Scienza
Ntwva
prima
se non nella materia errammo certamente
neU
Vordine^
perchè trattammo de principii delle Idee
divi-
samente da'
principii delle Lingue; che erano per
natura
tra
loro uniti; e pur divisamente dagli
uni e dagli altri
ragionammo
dd metodo con cui si conducessero le
ma-
terie di
queste Scienza: le quali con altro
metodo dove-
vano fil
filo uscire da entrambi i detti
Principii.... Tutto
ciò si
è in questi libri emendato. *
Udiste?
In queste poche parole non pur ci
sono ac-
cennati i
caratteri essenziali del metodo vichiano
(eh' è
induzione
e deduzione compenetrate in unità di
processo,
come vedremo),
ma ci è detto chiaro altresì come
tutto
<
Vigo, Framm. di Prof. aUa 8' ed.
della Seienna Nuova. Voi. V.
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by VjOOQ IC
140
STORIA DBLLA SOIENZA NUOTA. [lIB. I.
tutto
il divario fra le due Scienze Nuove
in altro non istia
fuorché
in una maggiore accuratezza metodica della
seconda
rispetto alla prima. È questione dunque
d' or-
dinamento
razionale, questione di metodo, di conte-
nuto
no. Or s'egli è vero che nel
metodo, nella for-
ma risiede
innanzi tutto la sdeneoy ne viene che
nella
seconda
Scienza Nuova, con la perfezione del
metodo,
s' ha
d' avere altresì maggior compiutezza e
perfezione
anco
nelle dottrine. E pure il Cantoni non
ha visto ne
runa
cosa, né l'altra! E con la esplicita
confessione
del
Vico stesso, poco fa rammentata, gli
è anche sfug-
gita la
intrinseca ed essenziale armonia che
insieme
congiugne
ed assorella le due Scienze Nuove.
L'altra
sentenza non meno originale, che nessuno
invidierà
al Cantoni, risguarda il modo col
quale ei
considera
il Libro Metafisico. Questo libro agli
occhi
suoi
non ha capo né coda; é un
cumulo di fantastiche-
rie; un
romanzo da non far punto onore
all'autore del
De
Constanlia Jurisprudeniis ; libercolo, in
somma, il
cui
valore al postutto non é che un
solenne pregiudizio
di
certi italiani che hanno ingegno losco
e mente an-
nebbiata.
Sarà pur vero cotesto: ma se, da
una parte,
il
primo libro dei filosofo napoletano non
é che una
vera
anomalia, e l' ultimo, dall' altra, ci
segna la vera
decadenza
del suo pensiero; domando, che cosa
ne resta?
Non
altro, in fede mia, che l'empirismo;
una serie
d'incoscienti
divinazioni e d'osservazioni empiriche, a
raccor
le quali non facea mestieri certamente
d' un inge-
gno
superlativo : e, s'egli é così, non
s'intende in che ma-
niera tanti
insigni scrittori abbiangli tributato gloria
infinita,
né perché questo nostro secol de'
lumi abbia
voluto
porgergli titolo di genio.
Entrar
ne' particolari del libro del Cantoni
ci è
davvero
impossibile: sarebbe il caso di rifarlo
da cima
a
fondo, almeno per ciò che riguarda lo
dottrine filo-
sofiche. Ci
ristringiamo ad accennar di volo qualche
giudizio
che prendiamo a caso. Egli afferma
risoluto
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OAP.
Y.] INTERPRETI FILOSOFI. 141
che il
Vico fa un fascio della Morale e
del Diritto. Que-
sto han
detto altri, e questo diremmo anche
noi se
con
occhio superficiale e grossolano guardassimo
tutte
le sue
dottrine. Mi spiego tosto. Il motivo
di questa
confusione
operata dal Vico, dice il Cantoni,
risiede
nell'aver
egli fatto dipendere le due scienze
poco fa
rammentate
da un concetto unico, cioè dal pudore
(Pu-
dore Or
come non vedere che in tutt'e quattro
le
opere
del filosofo napoletano accanto all' idea
del Pu-
dore sorge
costantemente l'altra della Libertà? E non
è
precisamente in quest'originario dualismo
psicologico
e
morale della natura umana (Pudor e
Lxberias) eh' è
d'uopo
saper rintracciare la distinzione fra la
scienza
del
diritto e quella dell'obbligazione etica,
anziché fer-
marsi in
certe sentenze mezzo scolastiche ed
ascetiche
sparse sopratutto
in su '1 principio del 2* lib.
del Diritto
Universale?
— Il Vico appella Dio il giusto,
il buono, il
vero,
il santo. Errore! esclama il Cantoni;
coteste essendo
idee
di relazione, dovechè Dio è un essere
in sé e per sé.*
Ma
forse che cotesto essere in sé e
per sé lo appellereste
ingiusto,
non vero, non buono, né santo? E poi,
se un hege-
liano
pigliasse a dimostrarvi che Dio altro
non é salvo
che
relazione, la relazione per eccellenza, che
cos' avreste
a
rispondergli? — Quant' all' origine dell'umanità il
Can-
toni fa
un mazzo dell' Hobhes del Puffendorf
del Rous-
seau e
del Vico, appellando romanzo la dottrina
su lo
stato
di natura, precisamente come fin dal
secolo scorso
vennero
battezzandola il Romano, il Finetti, il
Buona-
fede, e
poi lo lannelli, il Romagnosi, il
Tommaseo : ro-
manzo però
(egli aggiunge) da cui l'autore della
Scienza
Nuova
ha tratto eonseguenze del tutto diverse.
Starà
bene,
io rispondo: ma se coteste conseguenze
sono di-
verse, non
vuol esser tale anch' il principio
ond' elle
rampollano?
il quale perciò in apparenza solamente
potrebb'
esser confuso con quello eh' è
proprio de' gius-
«
Cahtohi, Q, B. Vico, Studi critici
e comparativi. Torino, 1867,
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142
8T0BIA DELLA SCIENZA NUOTA. [LIB. U
naturalisti
del secolo scorso? — Parlando della libertà
che
pel nostro filosofo, come s' è detto,
costituisce uno
de'
due principii'd' umanità^ il Cantoni avverte
accon-
ciamente
ch'ella pel Vico si manifesta come
proprietà
e come
difesa. Ma queste due parti od aspetti
del Di-
ritto, egli
soggiunge, sono evidentemente piuttosto conse-
guenze che
fondamcfito della Società. Errore grave,
come
ognun
vede ; errore massiccio, massime di
fronte ai lumi
e alle
conclusioni cui è pervenuta oggi la
scienza giuri-
dica;
perocché i diritti originari pel Vico,
secondochè
lo
intenderebbe, il Cantoni, sarebbero dati
graziosa-
mente dalla
società, sarebbero compartiti dallo Stato
meglio
che inseriti nell'animo per opera della
stessa na-
tura. —
Né poi lo intende meglio dove afferma
che que-
sto filosofo
riguardava i popoli come originari del
luogo
dove
abitano.^ La sentenza adottata dal Vico
a tal pro-
posito è
precisamente l' opposta. Buon credente, catto-
lico di
buona fede, egli accettava la dispersione
falegica;
e il
fatto dello stato ferino quindi reputava
come pro-
dotto per
ragione della colpa originaria (ragione al
tutto
accidentale e secondaria) non già per
ragion tm-
turale
e necessaria come appunto avrebbe dovuto
ri-
guardarlo se
fosse stato conseguente ai suoi medesimi
criteri
metodici, nonché ai suoi principii
filosofici, se-
condochè
altrove mostreremo. Tale affermazione del
Vico,
adunque, è erronea ; é evidentemente
contraditto-
ria.
Ora non solo il Cantoni non ha
levato di mezzo
tal
contraddizione pur accordando la mente del
filosofo
con sé
stessa, ma non ne ha visto nemmanco
la pos-
sibilità.
Altri forse potrebbe sospettare ch'egli
abbia
confuso,
nell'autore della Scienza Nuova, il
concetto
dell'
autoctonicità con l' idea di svolgimento
autonomo
de'
popoli primitivi.
Qual è
la ragione, chiederà qualcuno, di questa
cri-
tica tanto
affrettata e superficiale in un libro
non man-
*
Cantoni, O. B. Vico, Studi critici
e comparativi, Torino, 1807.
pag.
881.
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OAP.
Y.]
INTERPRETI FILOSOFI. 143
canto
di pregi, in un libro scritto e
meditato a bella po-
sta su
le dottrine del Vico ? La ragione
è tutta subbietti-
va, e
si radica nell' indirizzo stesso della
mente e delle
idee
di questo critico. A giudicare dal
presente lavoro, bi-
sogna pur
dire che il Cantoni non ha fede
in una filo-
sofia. Pili
che critico egli è un positivista;
non sapen-
domi
persuadere come il vero critico possa
fare a meno
d'una
filosofia, senza cui ogni critica, anche
giudiziosa,
parrai
<lebba riuscire ad un artifizio
puramente anali-
tico. Come
dunque poteva egli aver in pregio le
dot-
trine
filosofiche del nostro scrittore quand'
anco avesse
voluto
e saputo rintracciarle con amore,
interpretarle
con
giudicio, svolgerle debitamente secondo i
veraci
bisogni
della scienza moderna? Come pregiarne il
si-
steniatismo
(ripetiamo la sua parola) del Libro
Meta-
fisico e
della seconda Scienza Nuova? Come scemere
un'attinenza
vitale fra l' una e l'altra opera? Ma
basti
del
Cantoni.
In
quest' ultimi anni l'illustre Puccinotti ha
felice-
mente
compiuto la sua storia della medicina
che altri
ha
meritamente appellato monumentale. Chi pigliasse
a
meditar nelle opere di quest' insigne
e venerando
scrittore
che ad anima nobile e incorrotta
congiugne
severità
e robustezza di mente, s' accorgerebbe di
leg-
gieri come,
per quanti possan essere i difetti,
un filo
segreto
ne annodi le parti e stringa insieme
le dottrine
così
che ne risulti un vero e compiuto
sistema di me-
dicina e
di storia.* La Patologia Induttiva, entro
cui i
medici
e i naturalisti avvenire sapran ritrovare
i germi
d'una
restaurazione della patologia sinceramente ita-
liana in
quanto che non contraddice ma compie
la no-
vella
dottrina cellulare e organica che oggi
fa tanto
rumore,
si presenta come una patologia
essenzialmente
storica
e fisiologica. Chi di fatto sia
disposto ad acco-
glier la
teorica del Puccinotti sul morbo, non
potrà
* Vedi
il nostro opuscolo Intorno alla Storia
della Mtdieinn di Fran-
w«eo
Pueeinott». liOttera al prof. A. C. De
Heis. Firenze, Barbòra, 1864.
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144
8T0BIA DILLA SCIENZA KUOYA. (lIB. I.
logicamente
ripudiare i suoi principii fisiologici
tera-
peutici
igienici e, che più monta, il suo
disegno storico;
<lel
che porgeremmo dimostrazione se questo
fosse il
luogo.
Tutto in lui è un organismo; ed
ecco perchè la
tìua
Storia è propriamente una filosofia ddVidea
détla
salute
fra gli uomini, attraverso le differenti
età della sto-
ria. Nel
profondo concetto di questo scrittore,
adunque,
la
patologia dee riprodurre la fisiologia
nelle essenziali
sue
condizioni ; al modo istesso che il
disegno d' entrambe
queste
discipline ha da rispondere al loro
processo iste-
rico,
riprodurlo, compierlo, inverarlo. Si può
dissentire
dal
Puccinotti ; dissentire in parecchi punti
anco essen-
ziali delle
sue dottrine: ma ninno dubiterà ch'egli
sia
'
stato il primo a gettar le fondamenta
d' una storia
filosofica
della medicina; la quale non potrebV esser
davvero
filosofica, ove non rispondesse ad una
patologia
e ad
una fisiologia egualmente filosofiche. La
Patologia
Analitica
del Bufalini è incapace, per la
stessa intima
costruttura
del suo organismo, di partorire un
concetto
storico;
e ninno infatti degli organicisti italiani,
e neanche
lo
stesso Bufalini, ci han saputo dare
sin qui, e non pote-
vano darci,
una storia secondo le esigenze del
mistioni-
smo,
come quello che di per se medesimo
si presenta
esclusivo,
empirico, negativo. In che maniera dunque
ci
è
arrivato egli il Puccinotti? Ci è
potuto arrivare per
due
motivi; primo, perchè tale è l'esigenza
stessa della
sua
Patologia induttiva; secondo, perchè nel
rintrac-
ciare lo
svolgimento, il processo isterico dell'
idea igie-
nica e
patologica, egli seppe attingere ispirazioni
e
lumi
nella Scienza Ntiova, da questa
trasportando nel
regno
della medicina la legge isterica universale
rin-
tracciata
dal filosofo napoletano. Brevemente: il
Puc-
cinotti
nella sua Storia non ha fatto altro
che appli-
care il
concetto cardiiiale della Scienza Nuova ad
uno
de' rami dell' umana enciclopedia ;
allo svolgi-
mento della
idea della salute fisica dell'uomo. Ecco
precisamente
ciò che forma l'onore e il merito
di questo
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OAP.
T.] INTBBPSBTI FILOSOFI. -^
valentuomo
quando sia considerato come stoi\
medicina.^
\^
Ora ci
'Converrà di bel nuovo uscir d'Italia
dare
in Francia, donde questa volta ritorne^-emo
\
più
contenti che altri non penserebbe. Rendiamo
^
stizia
ai Francesi: in quest' ultimi anni
essi han discoK*o
del
nostro filosofo meglio che per tutto
questo secolo
non
facessero il Michelet, il Lerminier, il
Gousin, lo
JouflFroy,
il Bouchez, il Comte, il Renouvier,
il tradut-
tore anonimo
della Sciema Nuova^ ed altri. Il
progresso
della
critica su le dottrine del Vico, da
tre anni a questa
parte,
è assai più notevole in Francia che
in Italia. Ce
ne dan
prova il Franck, il De Ferron, il
Vacherot.
Il
Diritto Universale non era stato mai
preso in
esame
accurato e coscienzioso dai Francesi, ne
dagF Ita-
liani.
Questo ha fatto il Franck; e lo
ha fatto in modo'
che
noi avremo a lodarcene pienamente.*
* Il
chiarissimo professor Ferri, nella sua
pregevole storia su la filo-
sofia
moderna italiana, ha chiamato filosofia del
numero la filosofia del
Puccinotti.
Questa frase è vera, e felicemente
trovata; ma fino a un certo
segno.
Il concetto del numero, quant* a noi
sembra, non ò tolto pro-
priamente
come principio dal Puccinotti, bensì come
criterio, come espe-
diente, come
il massimo espediente metodico sperimentale,
avvisato nella
sua
forma astratta. Equivale, insomma, a ciò
che lo stesso Puccinotti
suole
appellar metodo della squadra e del
compatto. Diremo che questo
per
avventura sia schietto pitagorismo? Diciamolo,
se cosi piace: mail
nmmero
per lui non sembra esser Tarchetipo
assoluto, Tassoluto mo-
dello per
Imitazione del quale sian fatte le
cose, e nemmanco la sostanza,
il
vero essere della realtà: sentenze, com*
è noto, in cui si dividono gli
an-
tichi e
i moderni storici e critici
neirinterpretare il primitivo pitagorismo.
(BKwnm^LaFil
Greca prima di Socrate, p. 176) Ora
il Puccinotti non
potrebbe
segrnire in modo esclusivo Puna o
Paltra sentenza, attesoché si
contradirebbe
in due differenti maniere. In biologia
egli è dinaniista;
qnantanque
il suo dinamismo non abbia che vedere
con quello dei no-
«tri
vecchi medici di mez^o secolo addietro:
in filosofia poi, a dir tutto
in una
parola, egli è un buon credente
cattolico, un filosofo essenzial-
mente
cristiano. Ma ove abbracciasse il concetto
del numero in uno
de'
dae suddetti significati, non cadrebbe
evidentemente nel meccanismo
da una
parte, e nell'ateismo o in una forma
di dualismo ontologico
daU'altra?
K siffatte conseguenze non ripugnano troppo
tanto all' insieme
delle
dottrine quanto alla coscienza di questo
scrittore?
*
Altro buon segno del progresso de'
nostri studi sul Vico son le
induzioni
del Diritto VnivertaU pubblicate fra noi
in quest' ultimi anni
SlClLUIfl.
10
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Mt}
STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [MB; T.
L' opera
sul Diritto Universale, dice il Frank,
mostra
il
genio dd Vico che crea una filosofia
del diritto su la
quale
edificherà più tardi la Sciensa Nuova.
Che questo
libro
racchiudesse i germi d' una filosofia del
diritto, Io-
sapevamo
già, e il nostro Carmignani ce ne
avea posto
su r
avviso : ma siamo contenti che oggi
venga a ridir-
celo un
dotto francese, tanto più che un
altro fran-
cese, Paolo
Janet, non ne ha voluto tener conto
neUa
sua
storia, e nessun conto ha creduto
fame altresì
lo
Stahl nella bellissima Storia su la
filosofia del
diritto.
Il Franck dunque coglie giusto ove
dimostra
come quest'
opera sia fondata su la relazione in
che si
annodano
insieme filosofia e filologia, metodo
essenzial-
mente
vichiano, come lo chiama egli stesso.
Indovina
poi ed
espone con chiarezza l'origine al tutto
psico-
logica a
cui il nostro filosofo fa risalire il
triplice
diritto
originario (libertà, dominio, tutela) e per
cui ^li
merita,
dice il Franck, d' esser segnalato a
preferenza
di
tutti i giusnaturalisti suoi contemporanei
od a lui
per
opera del (ìianif del Pomodoro e del
Sarchi; T ultima delle quali die
occasiono
al Franck di scrìvere il suo lavoro
critico pubblicato nel Jonmal
Idea
S.xvnnt9j 1866-67. La traduzione del Giani
è proprio affogata in infi-
niti
commenti cho il medesimo traduttore oggi
forse non accetterebbe
se
rivesse, avend* egli inteso
quest^opera coni* avrebbe potuto
inten-
derla uno
scolastico. Non manca di pregi la
traduzione del Pomodoro, e
vince
le altro per esser compinta. Il
Sarchi si è contentato di tradurre
il
primo libro; ma vi ha premesso
un'introduzione che il Franck ha lo-
dato. Il
concetto precipuo del Sarchi è questo:
la filosofia politica fra noi
essere
stata fondata dal Machiavelli mercè il
concetto di libertà, e dal
Vico
mediante quello di provvidenza. Ma, come
accordare libertà e prov-
videnza?
Kcco il nodo a cui il
Sarchi non ha badato, né punto,
nò
poco.
— \i giusto qui avvertire come, prima
del Carmignani e deirAmarì,
il
Mamiani ed il Mancini accennassero qua
e colà ai principi! giuridici del
Vico
[Utt, intomo alla FU. del Diritto,
Napoli, 1841). Dopo le trada>
zioni
poco fa rammentato, niun altro fra
noi ha parlato del Diritto Uni-
vermle^
tranne roi:rregio prof. Luchini nella
sua Critica della penalità^
condotta
secondo i principii del filosofo
napoletano. Egli ha messo a ri-
scontro ia
dottrina del Nostro con le teoriche
di Kant, del Bentham, del
Romagnosi,
del Rossi e della Scuola toscana, e
se ne dichiara seguace.
Vedremo
nella «Socto^ofTtd s'egli siasi apposto
nello mterpretar la teorica
della
penalità dell* autore del Diritto
Univtrtale,
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OAP.
Y.] INTSBPBBTI FILOSOn. 147
anteriori.
Di fatto, porre a fondamento della
società un
doppio
bisogno materiale e morale, eh' è dire
l'istinto al
bene
essenzialmente morale e all'utile tolto nel
significato
di
equo-buono; dimostrar Funo anteriore logicamente
all'
altro e questo mostrar co' fatti
anteriore a quello
per
sola ragion cronologica; trame quindi il
principio
giuridico
ed etico d' una doppia società (soci^as
veri e
sodetas
(squi-boni) ; far consistere la natura
d'entrambe
in uno
scambio di beni materiali e morali
fra gì' indi-
vidui; porre
il concetto di giustizia come proporzione
onde
questi beni vonn' esser distribuiti, ri che
quan-
d' anco
non esistesse un bene di genere
morale ma solo *
beni
materiali ci avrebbe a essere ciò
nullamanco una
misura
secondo la quale siffatti beni devano
andar ripar-
titi, e
quindi la necessità del medesimo concetto
di
giustizia
anche nelle attinenze puramente materiali
fra
gli
uomini: presentare siffattamente la scienza
del di-
ritto, dice
il Franck, vuol dire creare addirittiu*a
la filo- '
sofia
delie relimoni civili e sociali, la
benintesa Sociologia.
Due
sono perciò le regole fondamentali
dell'umana
condotta
che scaturiscono da'principii del Vico:
ope-
rare di
buona fede rispettando la verità in
tutto, ed
esser
utile ai propri simili. — ("onvien
confessare, di-
ciamolo di
passata, che ove il Franck avesse
tenuto
conto
principalmente di questi criterii, non
avrebbe
speso molte
parole a biasimare il Vico a
proposito del-
l'esagerato
concetto che questi ebbe intorno alla
carità,
la
quale talora, com'è noto, egli confonde
con la giustizia.
Altro
pregio insigne di questo scrittore è
l'aver sa-
puto
cogliere i veri principii del Diritto
punitivo del '
nostro
filosofo, mostrando com' egli, col tener d'
occhio
nella
sua dottrina non pure il colpevole ma
anche i
diritti
e gì' interessi della società, compia
nel medesimo
tempo
le due opposte teoriche penali; quella,
cioè, dei
sistematici
platoneggianti che nel comminar la pena
mirano
soltanto all' ammenda del colpevole, e l'
altra
degli
ntilitarii e positivisti che della parte
morale non ^
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148
STORIA DBLLA 80ISNZA NUOTA. [lIB. I.
sanno
tener conto, ne punto, ne poco. Ma
sopra tale
argomento
ci rifaremo altrove di proposito.
Seguitando
intanto,
parmi che il pregio massimo della
crìtica di
questo
scrittore stia nel modo col quale
considera i pria-
•cipiì
delia politica; prìncipii che, quantunque
nello
stato
di germe, possiamo rintracciare nel Diritto
Um-
versale.
La politica del Vico, egli osserva
giustamente,
è
tutta fondata sul Diritto, ma in
armonia con la storia.
Sentenza
verissima e feconda, che il Franck
avrebbe
dovuto
rifletter meglio dove censura il Nostro
per al-
cune
applicazioni eh' ei venne facendo alla
storia. Lad-
dove il
Vico, egli dice, s' accinge ad applicare
il me-
todo allo
studio del Diritto, urta evidentemente ad
un
doppio
scoglio ; da una parte, quand' egli
chiede soc-
corso alla
sola ragione, risica di confondere e
spesso
confonde
il dominio della giurisprudenza con quello
della
metafisica; dall'altra poi, quando chiede
aiuto
alla
storia, altro non fa che aggirarsi in
mezzo alle
istituzioni
e ai destini del popolo romano,
quasiché la
storia
di questo popolo fosse la storia
universale. In
altre
parole il Franck dice così : il
Vico da una parte ,
svapora
nell'a priorismo e dà nelle astrazioni;
mentre
poi
dall' altra intoppa nell' empirismo.
Il
Franck dice benissimo. Nel filosofo
napoletano
questa
doppia tendenza è manifesta. Ma anziché
difetto
cotesto,
perché non dirlo pregio? Non é egli
stesso, in-
fatti, che
non rifinisce d'incelare il metodo vichiano
appunto
perché consiste nel connubio della
filosofia con
la
filologia, della metafisica con la
giurisprudenza, della
ragione
con l'autorità? Or l'esigenza d'un doppio
or-
gano, d' un
doppio strumento nel metodo, non é la
con-
dizione
legittima, e propriamente la parte vitale
d' una
dottrina,
doveché gli errori d' appUcazione hanno
valore
Affatto
secondario? Il non aver poi riflettuto
a questo
ha
fatto sì che il Franck giugnesse ad una
conseguenza
non
vera, dicendo che il Montesquieu, quant'al
metodo,
vinca
e superi il filosofo italiano. Paragoni,
somiglianze,
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V
OAP.
V.] IIITIBRPBETI FILOSOFI. 14^
analogie,
riscontri fra questi due scrittori
non sono
possibili.
Montesquieu non ebbe neanche sentore àeV
n
metodo
vichiano; ed ecco perchè l'opera su
lo Spirito
ddle
leggi non è una filosofia della
storia, non è la Scienza
Nuova,
né quindi credo che lo scrittore
francese siasi
ispirato
né punto né poco neir italiano, come
inchine-
rebbero a
supporre il Lerminier, il Carraignani,
l'Amari
ed
altri. Il senso delle storicità, come
primo fra tutti
osservò
il Ferrari, manca affatto nel Montesquieu;
e
manca
in lui, come tutti oggimai ritengono,
il compi-
mento
razionale filosofico; vi mancano insomma i
prin-
cipii,
0, per dir la parola che usano
gli stessi Francesi
a tal
proposito, vi manca il carattere détta
raziofialità.^j
L' ultimo
libro nel quale si parli cou serietà
scien-
tifica del
nostro filosofo, è quello del De
Ferron, inge-
gnoso e
abilissimo scrittore. Nessun francese meglio
dì 1
lui ha
saputo cogliere il significato razionale
della Scienza I
Nuova,
comprenderne il metodo isterico, e pome
l'autora
in
quel seggio che gli spetta fra i
pensatori dell' evo
moderno.
Tracciata la storia dell'idea del
progresso,^'
egli
entra a discorrer su la scienza de'
fatti storici
qual'
era concepita prima del Vico, sul
Diritto Romana
rispetto
alle dottrine di lui, su la Scienza
Nuova di
fronte
alla critica moderna, e con erudizione
eletta,
acconcia,
sobria e non affollata, prende a
trattare la
' Il
Canuignani dice benissimo dove affernia che
il metodo del Mon- )
tesqaien
rassomiglia al microscopio, in mentre che
quello del Vico rende
imagine
del telescopio. (Storia della FU, del
Diritto^ lib. III.) Che poi il
difetto
di razionalità costituisca la parte debole
deiropora del filosofa
francese,
è cosa ormai detta e ridetta e
provata fino dal secolo passato,
e
confermata sempreppifi dai moderni. Non
potendo trattenerci in questi
particolari,
rimandiamo i lettori al giudizio che
in proposito danno i
seguenti
scrittori, e che torna conforme al
nostro espresso poco fa: Duxi,
Saggio
mila Giuritpr. univ., pag. 57.
— FlLAKOlRRI, Se. della Legialaz.^
lotrod.
— MaCKINTOSH, Vige, nur Vétude du
Droit de la nature, ec. pag. 22,-t
—
RoTTBSKAg, Emil, 1. V. — Fra i
moderni poi cons. Lebminirr,
Biat,^
ginér,
oc, pag. 1 75. — Barkt,
Hiwf. dea idéen morale» et politiquea
en
France
en XVI JI Siede. — Jakrt, Hiat. ec.
yol. II, pag. 516. — DaFAO,^;
De la
méth. d*olaervation aux aciencea mor.
et poi.,, pag. 860, nota XL.
Qneit*
ultimo anzi dice mancare affatto nel
Montesquìon una teorica.
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150
STORIA DELLA SCIENZA HUOYA. [lIB. I«
quistione
su Tetà dell'oro, e l'altra su T
orìgine e sul
valore de'
poemi Omerici. Il buon senso del De
Ferron
nel
saper rilevare in siffatte quistioni il
merito del no-
stro
filosofo a me sembra davvero mirabile.
Con dirit-
tura di
giudicio intende la relazione fra il
diritto civile
e '1
diritto filosofico ; e con tal chiave
nelle mani riesce
ad
interpretar debitamente la storia ideale
che l' autore
della
Scienza Nuova seppe cogliere nello
svolgimento del
gius
romano. Uno per lui è il sistema
del Vico; onde le
due
Scienze Nuove non sono da riguardarsi
altrimenti
che
come detix rédadions éCun ménte sujet:
al che do-
vrebbe por
mente il nostro Cantoni. Ritiene egli
pure
che lo
Champollion non discoprisse, bensì confermasse
pienamente
la dottrina del Vico su la storia
della scrit-
tura, tale
essendo infatti la triplice scrittura
egiziana
geroglifica,
jeratica e demotica. Dimostra ch'egli prima
d'ogn' altri
ritrovò e compose in armonia parecchie
dottrine
accettate oggi e rassodate difinitivamente
dalla
scienza,
quali sono, per citarne qualcuna, la
formazione
del
dramma satirico riguardato come sorgente
d'ogni
poesia
drammatica, l'anteriorità del linguaggio poetico
al
linguaggio prosaico, e simili. Da ultimo
fa rilevare
come,
non contento d' avere scoperto la legge
secondo
cui si
vanno svolgendo nel corso isterico le
grandi ci-
viltà nonché
le forme semplici del reggimento politico,
profondasse
la mente nel ricercare e determinare
il
carattere d'
un' epoca anteriore alla città ed
alle ari-
stocrazie
feudali, epoca che costituisce appunto
l'età
divina.
La quale osservazione, fatta da un
francese,
dovrebbero
oggimai spassionatamente meditare i posi-
tivisti
francesi che non rifiniscon di celebrare
la sco-
pei'ta
della legge sociologica del loro maestro!
Ma nel
De Ferron incontriamo riflessioni che non
ci è
venuto fatto ritrovare in verun critico.
Base della
città,
die' egli, fondamento del formarsi delle
nazioni
per r
A. della Scienza Nuova non è Y
istinto della so-
ciabilità,
come credevano i giusnatnralisti suoi
contem-
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CAP.
y.] INTERPRETI FILOSOFI. 151
poranei.
Se tale istinto può aver creato la
iaiiiiglia e
le
tribiì, non però basta a fondar la
città , non riesce
a
condurre un popolo ad una data costituzione
poli-
tica. È
necessaria dunque una l'orza estrinseca,
senza
cui r
uomo rimarrebbesi nello stato pastorale.
Ora co-
tal
forza estrinseca e tutta naturale consiste
nel fatto
del
successivo migrare delle tribù da alcuni
centri; nel
loro
successivo aggrupparsi in dati luoghi; nel
fissare
lor
sedi, ond' è resa possibile l'agricùltura;
e finalmente)
nel
fatto delle conquiste, le quali hanno
virtù di creare
e
rendere sempre più stabili e quasi
organiche le na-
zioni
sedentarie. Tutto questo, dice benissimo il
De Fer-
ron,
scaturisce a fil di logica dalle
dottrine del Vico.
Diciamolo
ora con parole nostre: T organismo
sociale,"'
la
società, è da natura; è nella natura:
l'organisiifo dello
Stato,
in vece, è sottoposto a processo ;
questo processo
tiene
ad arte; ma quest' arte è fondata
aqch'ella in na-
tura. La
relazione storica, dunque, ecco il concetto
del
Vico
che il De Ferron ha interpretato a
meraviglia.* ,
Altra
osservazione assai notevole parmi questa.
Non
v'è
stato né v' è, die' egli, chi i;on
abbia celebrato il
filosofo
di Napoli qual padre della filosofia
della sto-
ria; mais
on se garde d'exposer sa méthode
historique,
aristoteliemie,
i cui principii son oggi venuti
applicando ,
in
diverse ricerche storiche il Macaulay, il
Michelet, il
Guizot.'
Con queste parole il De Ferron mostra
d' aver
pienamente
compreso il metodo della Scienza Nuova;
metodo
essenzialmente aristotelico, checché ne abbian'
detto
e si piaccian dire certi hegeliani.
Ed ecco per-
ché egli
s' allontana da parecchi altri critici
nell* ap-
prezzare il
concetto vichiano sul progresso ; rispetto
al
quale
consente con Y anonimo traduttore francese,
col
Tommaseo,
con lo Spaventa e con altri, per
citare qui
' È
uno de' principii su' quali è fondata
la Sociologia del Comte e
ch'eglif
spesso appella contenBo, cospirazione {Coum
de PhiU posity voi. V).
Sarà
anche questa una scoperta del Positivista
francese?
* Db
Ferron, Op. cit. Voi. I, pag.
137, 107.
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152
STOBIA DELLA SCIENZA NUOTA. [UB. L
tre
nomi che, quantunque discordanti nel resto,
con-
vengono ciò
nondimanco nel credere che nel Vico
esista
r idea
del progresso. E a chi neghi o
dubiti che cote-
sto concetto
ritrovasi nella Scienza Nuova, il De
Fer-
ron è
pronto a rispondere: cela parati impassible
a
PRIORI,
car le progrès décovUe de son sy
stèrne; mais
en
otUre U le prodame formellemeYU} Si
dirà che il
Vico
non vide 1' elemento, la molla
principalissima del
progresso,
cioè la trasformazione dei rapporti econo-
<
mici
fra i popoli? Ma lo scadimento, il
ritorno della
barbarie,
sopra cui tanto insiste il nostro
filosofo e per
cui
rendesi necessaria un' invasione, non sono
forse (ri-
sponde
quest' egregio critico) altrettanti mezzi,
altret-
tante
condizioni di progresso? Come si vede,
tutt'i giu-
dizi del
De Ferron riescono assennati, opportuni,
pieni
di
verità, e e' invoglia ad accennarne
qualcun altro.
Egli
paragona il Vico al Cuvier, e la
Scienza Nuova
par
che gli renda immagine della geologia;
per cui non
dubita
affermare, che la critica moderna sia
stata creata i
dal
filosofo italiano. Perocché cotesta critica
è quella che
debb'
essere ; cioè non assolutamente obbiettiva,
ma sub-
biettiva
altresì, stantechè ad apprendere il passato
e
comprender
la vita della storia non solo sia
mestieri
d'
investigarla, ma di sentirla eziandio. Or
s' egli è così,
l'ingegno
critico e storico non deve assumer
necessa-
riamente una
forma artistica?* Discorrendo inoltre del-
l' età
dell' oro, la quale col metodo
inaugurato dal Vico
non è
altrimenti possibile immaginarla dietro ma
in-
nanzi a
noi, conclude con questa notevole sentenza:
* Voi.
cit. pag. 138. Questo infatti proclama
il Vicopiìie piti volte;
o
basti leggere, per esempio, il titolo
doir ultimo Oap. della Seienta
Nuova^
VAAMtoma F/, e la Concloiione, in
principio della quale egli accenna
alla
quarta specie di Repubblica cui allude
Platone.
* E
tale è yeramon te l'ingegno del Vico,
come hanno osservato se-
gnatamente
il Tommaseo e il Lcrminier con tratti
pieni di verità e di
1
eloquenza. {Introd. gin. à VUUt. du
DroU. Bmxelles
1830, pag. 278.) No-
tevolissime
poi le parole colle quali il Manzoni
scolpisce T indole dello
ingegno
Vichiano {Due, tuW Adelchi^ 213), nonché i
giudizi del Parma e*^
del
Canal. — Vedi nel Tommaseo, Studi
CWa'ei, p. 117.
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OAP.
y.] INTIBPRBTI FIL08011. I5S
« Se àUro
servigio non avesse egli reso tranne
quello di
liberarci
daW argomento che serve di base e
di pretesto \
ci
socicdisìno utopista e al Cesarismo (eh' è
ttM uno)t
per
questo sólo bisognerebbe riguardarlo cmne
uno de' più
grandi
benefattori deh' umanità.^ » Notiamo
finahnente
la
risposta eh' egli indirizza a coloro
i quali rimpro-
verano il
Vico d' avere spogliato la storia
della sua
poesia,
e allontanatala dall'ammirazione verso le
grandi
cose e
gli uomini grandi. Il Vico fu il
primo a spiegare
la
storia mercè l' attività di tutti
gli-^uomini, delle mol-
titudini,
del senso comune. Come i vecchi poeti
su la
scena
tragica, così i vecchi storici su la
scena del mondo
altro
non sapevano presentarci fuorché principi e
im-*
peratori:
ma il Vico è il grande introduttore
de' popoli
su la
scena della storia; egli ha scoperto
la dottrina che
sóla
può fondare la democrazia, mostrando i
suoi giusti
diritti
nel governo dd mondo} Di quest'
ultima e bellis-
sima
interpretazione noi terremo conto nella
Sociologia.
La
critica del De Ferron su la dottrina
del Vico
riguardante
Omero e i poemi Omerici, non è
men vera
e, per
le conseguenze che ne sa trarre,
invincibile. Le
.
analisi e le notizie intomo agli
studi fatti sopra tale
argomento
dal 1780 ad oggi, per quanto brevi,
sono al-
trettanto
piene ed esatte. Fra le altre cose
chiarisce
molto
acconciamente questo punto; che il Wolf
non co-
nobbe altro
che una parte della grande quistione
su Tori- .
gine
de' poemi Omerici, appunto perchè volle
trattarla
sotto
l'aspetto esclusivo della letteratura greca.'
Non
sono i
critici seguaci del Vico (egli osserva
acutamente)
che
oggi debbono dimostrare la impersonalità
d'Omero;
sono
per contrario i seguaci d' un Omero
individuale che
han da
farci vedere come mai sia possibile
cotesto Omero
di
fronte alle epopee nazionali ed
essenzialmente popo-
lari
scoperte e analizzate in questo secolo.
Ma il critico
• Db
Fbbron; Théor, du prog, VoL cit. pag.
198.
•
Idem, eod. Pag. 229.
•
Pag. 209.
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154
STORIA DBLLA 80IBNZA NUOVA. [lIIU I.
francese
non avv.erte un' altra ragione ond'
al Wolf non
riesci
comprendere tutto il valore della dottrina
del Vico
sopra
Omero, la quale noi additeremo in
altro capitolo.
Tutte
queste ed altre cose detteci oggi con
tanto giu-
dizio dal
De Ferron, in Italia sapevamo già.
Dei grandi
meriti
del nostro filosofo mai non v'è stato
fra noi chi ne
abbia
dubitato, tranne qualche losco hegeliano,
come ve-
demmo. Non
pertanto abbiam voluto riferirle perchè,
rammentate
da un illustre e vivente scrittore
francese nel
quale
il buon senso è pari all' erudizione
e alla dottrina,
a noi
torneranno piii gradite, e certo men
dure e piii vere
agli
orecchi de^li stranieri.
Il
Vacherot è stato 1' ultimo francese
che abbia ac-
cennato al
Vico, e lo ha fatto con quella
nettezza ed
eleganza
di linguaggio eh' egli sa adoperare
in tutte le
sue
scritture. La Scienza Nuova; ecco il
titolo (egli
dice)
che davvero si conviene all' opera
del Vico. Il fine
segreto
a cui egli mira è quello di
ritrovar V immuta-
I bile
'nel variabile, V unità nella diversità,
la legge nel
fatto.
L^idea fissa del Vico, in altre
parole, è quella pre-
cisamente di
rinvenire negli annali del mondo questa
legge;
onde poi da una parte scaturisce la
necessità del
metodo
comparativo, e dall' altra, cQme risultato,
la legge
delle
tre età.^ Senonchè il Vacherot vuol
che il filosofo
italiano
abbia a dividere la sua gloria col
Montesquieu,
perocché
entrambi questi filosofi a lui sembrano
seguaci
dello
stesso metodo, dell'osservazione. Innanzi tutto
qui
è da
notare un progresso tra il Franck e
il Vacherot;
•
perchè se l'uno, come s'è visto,
dichiara superiore il
'Montesquieu
al Vico, 1' altro si ristringe a
metterli alla
pari.
Ma l'autore del libro su lo Spirito
delle Leggi
non ha
forse ben altri titoli a cui possa
pretendere? E
d'altra
parte il metodo dell'uno è egli tale
da confon-
dersi con
quello dell'altro, come dianzi abbiamo
detto
parlando
del Franck?
*
Vaohibot, Seienee et Cotueienee. Paris,
1870.
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by VjOOQ IC
I
€AP.
yi.1 CONCLUSIONE.
Ci
piace conchiudere con una sentenza del
De Ferron,
della
quale brameremmo che i lettori prendessero
nota
per
quando verremo a trattare il problema
sociologico.
La
Scienjsa Nuova^ egli dice, è una
rivelcusione nella poli- *
tìca,
ndla filosofia^ nella storia, nelle arti^
Ed è veris-
simo. Questo
libro, che dicemmo rappresentar la vera
forma dell'
ingegno italiano ed esser tutto cosa
nostrana,
è, per
cosi dire, un poema: è il poema
della storia.
Cosi
abbiamo creduto sempre e sempre ripetuto
noi altri
italiani,
a cominciare da Vincenzo Cuoco che
primo di
tutti
con tal nome ebbe a designare la
Sciefusia Nuova,
fìno a
Giuseppe Giusti che in un sonetto ne
ritrasse \
r
intimo significato profondamente poetico. Ma
è un
poema
di fatto; è un poema che si fa:
poesia vivente
nella
quale ci è dato assistere al trionfo
del pensiero,
al
trionfo della personalità così degl'
individui come I
delle
nazioni. Potrebb' esser dunque tutto un
empirismo
cotesto
libro? E il metodo col quale è
condotto, potreb-
b' esser
un metodo puramente positivo e grettamente
storico
al modo che questa parola vien intesa
oggi
da'
più? Dove sono e quali sono, dunque,
i suoi principii?
Capitolo
Sesto.
CONCLUSIONE.
Disegnata
così a fuggevoli tocchi la storia
della
Scienza
Nuova, e fatta rapidamente la critica
degli
scrittori
che, sia di proposito, sia per
incidenza hanno
parlato
intorno alle dottrine del nostro filosofo,
veniamo
alle
conclusioni. Dissi già che di tutti
non avrei potuto
né
voluto discorrere, perocché non tutti ne
valevan la
pena,
né tutti importavano al mio disegno;
e poi non
mancai d'
avvertire che neanche di ciascuno avrei
fatto
*
Db Frrkox, Op. cit., voi. cit., p.
232
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by VjOOQ IC
i
8T0BIA DELLA SOIENZA NUOTA. [LIB. I.
la
compiata esposizione, stantechè mi premesse
toccar
diamente
di certe sentenze e di certe
interpretazioni
/
conclusioni atte a farmi rilevare il
significato e il
valore
e la continuità della critica circa
il Vico, facen-
dola servire
perciò ai fiiù. del mio libro.Jfea
questi fini
non
era ultimo quello d* accennare con
siffatto spediente
alle
dottrine del filosofo napoletano. Al qual
proposito
mi sia
permesso ripetere anche qui, che uno
studio
monografico
ed espositivo circa tale autore, a
me, come
ad
altri, sarebbe riuscito non più che
una pedanteria,
sia
considerando l'infinito novero di sì fatti
lavori crì-
tici
espositivi, monografici, sia guardando alla
natura
stessa
delle opere, all' indole delle dottrine,
nonché alla
,rforma
speciale della mente di lui. Le sue
teoriche filo-
;
sofiche non costituiscon di per sé
stesse, a dir proprio,
un
sistema; formano bensì un corpo di
dottrine, non
però
svolte, determinate, organate in unità
ra/àonale,
ma
frammiste ad elementi eterogenei. Infruttuosa,
dun-
que, e
al tutto inutile sarebbe stata una
trattazione
monografica
di esse. Ma, d' altra parte, se
è vero che
elle
son venute assumendo, come s' è visto,
certo valor
sistematico
nella mente e nelle scritture de'
suoi seguaci,
imitatori,
oppositori, critici ed interpreti; panni
che
l'aspetto
più profittevole, il modo più utile,
positivo e
fors'anco
nuovo d'esporre i concepimenti originali
del
filosofo
napoletano, fosse quello appunto di guardar
le
dottrine,
la mente di lui, nel suo reflesso;
guardarla,
^er
così dire, attraverso il pensiero altrui,
attraverso le
differenti
esplicazioni de'^ critici: di guisa che
maritando
la
nostra critica con quella degli altri,
potessimo venir
capaci
di ripensarle in noi medesimi, e con
le nostre
proprie
ispirazioni ricreare e quasi rinverdire e
compier
nella
nostra mente le originali sue divinazioni,
mo-
strando,
come tosto faremo, in che maniera
egli avrebbe
pensato
con la sua mente, e in qual
modo avrebbe
adoperato
le sue medesime industrie metodiche se
oggi
vivesse. Ecco giustificata, non. pur la
necessità,
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CAF,
VI.] 00H0LU8IONI. 157
ma la
forma altresi di questa prima parte
del nostro
lavoro.
Or che
cosa è da argomentare da questa
rapida
storia
e da questa breve critica fatta sin
qui? Due cose,
panni
: 1* il valore e Y importanza
dimostrata sempre ,.
più
chiara nelle dottrine di questo filosofo
; 2« la posi-
zione
speciale della nostra critica rispetto a
quella degli
altri,
e di fronte alle dottrine stesse del
Vico.
Le
ti'e differenti classi di scrittori che
abbiam visto
succedersi
e occuparsi del nostro filosofo nei
tre diversi
periodi
sin qua discorsi, ci mostrano come
per ispazio
dintorno
a un secolo e mezzo, tanto in
Italia quanto
fuori,
non pur la stima e V amore, ma,
che più rileva,
il
senso critico e i risultamenti della
critica sien venuti
crescendo
vie più nell'animo e nella mente di
tutti.
Filosofi
d'ogni scuola ne han pariate: razionalisti
e
cattolici,
materialisti e spiritualisti, sperimentalisti e
idealisti,
teologi ed hegeliani. Molti han creduto
poterlo
invocare
interprete, chiamarlo auspice del proprio
siste-
ma ;
molti segnalarlo come inauguratore d' un
peculiare
indirizzo
speculativo. Abbiam visto poi scrittori
d'ogni
genere
e d' ogni valore encomiarlo vivamente ;
e letterati I
€
giuristi, naturalisti e storici, stranieri
e nostrani salu-
tarlo
pensatore potentemente originale. Tutti se
ne sono
occupati
; se ne occupano ; si che
neanc' oggi la critica cessa
di
ricercare nel profondo pensiero novelli
aspetti, lumi
nuovi,
e nuove e peregrine divinazioni. Ci
sarà dunque
lecito
chiedere (uè tale domanda parrà vana
e puerile,
né
superba) se possa per avventura sembrare
effetto
di
meschina boria nazionale il segnalare oggi
l' autore
della
Scienza Nuova come il nostro Cartesio,
il nostro
Kant,
il nostro Socrate, caposcuola della scienza
e della .
moderna
filosofia italiana ? Non ce ne porgon
diritto gli '
studii
critici che abbiam vista succedersi e
incalzarsi
pel
non breve spazio di cencinquant' anni
? Questo
quant'
alla prima considerazione. Veniamo alla
seconda.
Ne'
tre periodi ne' quali abbiam diviso
la storia della
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158 STORIA
DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. T*
crìtica
su le dottrine del Vico, non pur
ci sembra occul-
tarsi un
legame logico, ma esser evidente altresì
una
successione
progressiva, rispondente air ordine cronolo-
gico secondo
cui son apparsi gli scrittori de'
quali s' è
parlato.
E invero, nel primo periodo predomina
T imita-
zione, nel
secondo prevale la critica erudita, in
mentre
che
nel terzo primeggia l'interpretazione filosofica.
Que-
• sta progressione
è generale, in quanto che risgufirda
;non
pur le idee storiche o giuridiche od
etiche del no-
'stro
filosofo, ma le dottrine metafisiche
altresì. 11 Duni
e il
Franck, per dime una, toccano entrambi
de' suoi
principii
giuridici. Ma quanto non è diversa
la stima
eh' e' ne
fanno? Qual progresso fra la critica
del Tonti
e
quella del traduttore anonimo francese
della Scienza
Nuova?
fra il Pagano e '1 De Ferron?
tra le interpre-
tazioni del
Filangieri e quelle dell'Amari? fra le
censure
dell'
lannelli e quelle del Ferrari, od uno
dei filosofi
del
terzo periodo? La medesima differenza
progressiva
scorgiamo
fra gli oppositori. Il Finetti e
il Romano,
per
esempio, son gli oppositori nel primo
periodo; op-
positore
anche il Romagnosi, appartenente al secondo
massime
nelle sue Osservazioni alla Scienea
Nuova;
oppositore
altresì '1 Vera che appartiene al
terzo. Ma
l'esigenza
della loro opposizione è
infinitamente di-
^
vei*sa. Nei primi è al tutto empirica
e grossolana, ed è
j
sostenuta dalla fede e dal principio
d'autorità; nel se-
1
condo s' eleva sì che assume certa
forma razionale o,
se
vuoisi, di buon senso ; nel terzo,
finalmente, cotesta
opposizione
attinge valore di speculazione propriamente
filosofica,
tanto da negare al Vico una
metafisica. La
stessa
diflerenza poi fra gli autori di
un medesimo
periodo.
Ci è divario, per esempio, fra la
imitazione
dello
Stellini, e quella del Duni ; molto
piii fra la imi-
tazione del
Pagano, e quella del Filangieri nel
primo
periodo.
Che se il Foscolo accenna ad un
risveglio della
coscienza
critica circa le dottrine del Vico
schiuden-
done perciò
il secondo periodo, eli' è come
V ombra
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OAP.
yi.J OONOLUSIONS. 159
che
precede la persona, in quanto che tale
critica si
allarga
sempre più per opera di lannelli, del
Ferrari,
del
Predari, del Tommaseo, e via segui.
Finalmente il
modo
col quale nel terzo periodo ne
tratta, per esem-
pio, il
Mamiani del Rinnovamento, non è quello
del
Rosmini;
né la maniera con che ne parla
il Roveretano
potrà
mai esser confusa con quella onde ne
discorre
lo
Spaventa.
Un
certo vincolo, adunque, ed un progresso
in questi
autori
parmi evidente; e tal progressione è
racchiusa
nelle
tre parole che siam venuti adoperando
nel desi-
gnare
il carattere de' tre periodi; esigenza d'
imitazione,'
di
critica semplicemente detta, e d'interpretazione
o-
critica
filosofica. Ecco le tre fasi cui è
andato soggetto i
il
pensiero del nostro filosofo. Col che
non si pretende/
già
che tutto sia imitazione nel primo
periodo, e tutto
critica
nel secondo, e pura interpretazione nel
terzo.
Coteste
tricotomie così rigide, misurate e
geometrica-
mente
disposte, noi volentieri lasceremo agli
hegeliani
che
tanto ne abusano. Si pretende bensì
che uno di
questi
caratteri prevalga in ciascun periodo; nel
terzo
de'
quali Y imitazione e la critica
rìveston significato
propriamente
filosofico. Or quale sarà la conseguenza
legittima
che dovremo traiTe da questo
discorso?
La
conseguenza mi par facile e chiara.
Se è vero
che il
pensiero, storicamente considerato, non è
opera
vana,
sterile e quasi un lavoro penelopeo;
se è vero
che la
storia, comunque la si riguardi, è un
processo
onde
la mente nostra non si può stralciare
né in modo
alcuno
prescindere, stanteché il presente si
rannodi col
passato
e ne scaturisca; se è vero, da
ultimo, che in tanto
la
critica riesce feconda e la scienza
mostrasi progressivn,
in
quanto sappiano entrambe giovarsi del
passato, vuoi
raccogliendo
i buoni frutti di chi ci ha
preceduto nel-
r
indagine del vero, vuoi legittimando e
compiendo i
risultamenti
cui si è pervenuti, od anche
schivando gli
errori
ai quali per avventura siasi inciampato:
ne se-
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160
STORIA DBLLA 80I8KZA «UOVA. [UB. !•
guita
che, per necessità logica e storica,
la forma
ideila
nostra critica ha da rivestir
carattere e natura
^filosofica,
diventando critica razionale, critica
vagliatrice,
interpretazione
liberamente metafisica. Se non che, le
maniere
onde può esser condotta cotesta
interpretazione
posson
esser divei*se, e perfino opposte fra
loro. Filosofi
cattolici,
infatti, ontologisti, psicologisti, hegeliani,
po-
sitivisti,
come vedemmo, credono interpretare con di-
rittura e
sincerità il pensiero del Vico, dovecchè
in
sostanza
non riescono ad altro che al
teologismo, al
tradizionalismo,
all'idealismo assoluto, all'empirismo,
al
nullismo, tanto in filosofia quanto nelle
applicazioni
di
essa, adoperando un magistero critico non
di rado
esiziale,
spesso erroneo, sempre infedele verso V
autore
che
studiano. Fate d' interpretare, a mo' d'
esempio, i
sommi
pronunziati di questo filosofo co' criteri
del Gio-
berti, del
Rosmini, del Tommaseo, dell'Amari, del
CJonti,
del
Fornari, e simili : egli perderà
tosto l'originalità che
lo
distingue; sì che vi avrete dinanzi
l'uomo vecchio,
vi
avrete lo scrittore, tuttoché ingegnoso,
delia tradi-
zione
cattolica; e la Scienza Nuova altro
per voi non
sarà,
che una filosofia in senso teologista,
ortodosso, cat-
tolico,
secondo ch'ebbe a dire quel cardinale
cui il po-
vero Vico
umiUò (disgraziato!) il suo libro.
Studiatevi
d'
interpretarlo co' criteri dell' Idealismo
assoluto, come
fan
gli hegeliani; e ne avrete sformato,
anzi radiato ad-
1
dirittura ogni nativa fisonomia, sì che
la Scienza Nuova
agli
occhi vostri assumerà forma assolutamente
specula-
tiva; sarà
una filosofia dello spirito fabbricata a
^^^iorì;
sarà
una scienza della storia condotta a
furia di metodo
^.dialettico.
In entrambo i casi, io domando, che
cosa di-
venterà
nelle vostre mani la mente del
filosofo napole-
tano? Una
delle due: ella diverrà schiava del
Teologismo,
ovvero
ancella dell'Idealismo assoluto; nell'un caso
vi
si
presenterà povera d'ogni originalità; nel
secondo man-
cante di
verità. Interpretatelo, invece, con una
critica
puramente
erudita, mezzo storica e mezzo speculativa.
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OAP.
VI.] CONCLUSIONI^
^ 161
com'è
quella di lannelli, o del Romagnosi:
ne saprete
rilevare
così molti pregi, ne scoprirete molte
magagne,
ne
porrete a nudo molte manchevolezze; ma
certo non
giugnerete
ad imprimere forma razionale ai principii
su'quali
si regge la Scienza Nuova. Che se,
finalmente,;
vorrete
provarvi d'interpretarlo con le norme
d'una-
critica
fiacca e slombata e puramente analitica,
cioè-
co'criterii
del positivismo, come avrebbe inteso di
farei
il Cantoni,
o peggio ancora con le ispirazioni d'
uno scet-l
ticismo
sistematico secondo che ha fatto il
Ferrari o fa-
rebbe il
Franchi, avrete annullato medesimamente il
pensiero
di questo filosofo. Il quale perciò
si presenterà
com'
una follia per i contemporanei, com'
errore per i
posteri,
come anomalia per lo storico, come
ingegno de-
caduto
pel critico, come contraddisnone puerile
pel posi-
tivista,
mentre agli occhi di tutti non sarebbe
altro che
anacronismo
vivente, energia senaa scopo, genio sema
popolo,
come precisamente ha detto il Ferrari.
Col
Teologismo perciò tale interpretazione critica
rie- ,
scirà
inevitabilmente dommatica, tradizionale, eunuca,
in-
feconda e
cieca. Con TldeaUsmo assoluto risulterà
anche
dommatica,
e di più unilaterale, esclusiva, infedele,
e, ;
quant' ai
resultati, vi getterà nell'abisso d'un
meccanismo
ideale,
nel buio desolante d'un ideale fatalismo.
Final-
mente con
lo Scetticismo, qualunque ne sia la
forma e la
natura
e la gradazione (critica pura, metodo
critico, posi-
tivismo),
siffatta interpretazione tornerà povera, sterile,
inconcludente,
negativa, assolutamente nulla. Dunque
nessuna
di queste tre maniere di critica può
elevarsi
a
valore davvero positivo, e positivamente
razionale.
Le son
misure e strettoie incomportabili, in mezzo
a
cui la
mente del nostro filosofo restando, a
dir così,
affogata
e strozzata, non può non ribellarsi,
e non isfug-
gire
ad ogni magistero di critica che non
sia efficace,
comprensiva,
feconda, seriamente filosofica, e mode-
stamente
metafisica. £ dove non fosse così,
che cosa
avremmo
nell'autore della Scienza Nuova fuorché un
MCILIAM.
H
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162
STOBI A DBLLA SGIKNZA NUOVA. [UB. I.
fiacco
hegeliano, od un positivista meschino,
ovvero un
ontologista vaporoso
, o , peggio ancora , un teista
grossolano?
Stringiamo,
dunque: a tre patti, e solamente a
que-
sti tre
patti, sembra a noi che la
interpretazione cri-
tica del
nostro filosofo possa attingere un valore
legit-
timo, ed
un significato razionalmente positivo:
!•
Interpretando le sue dottrine così ch'elle
non si
abbiano
a contraddire e distruggere a vicenda
formando
fra
loro quasi una massa inorganica ed
eterogenea, come
abbiam
visto accadere ai teologisti, agli
ontologisti, ai
filosofi
cattolici in generale:
T
Interpretarle rì fattamente, che non si
giunga
a
disformare in guisa il pensiero di
questo filosofo, da
trasfigurarne
o scancellarne ogni naturale e propria
fiso-
nomia,
come incontra pur troppo agli hegeliani;
3»
Finalmente guardarci dall' interpretarle in guisa
al
tutto empirica; nel qual caso verremmo
a negar loro
ogni
valore di speculazione metafisica, come per
l'ap-
punto
avviene ai critici puri, agli scettici,
ai positivisti.
f
Brevemente: cotesta interpretazione non può
esser
! ne
assolutamente dommatica, né assolutamente
scettica ;
j ma
scettica e dommatica insiememente. Vuol
esser cri-
1 tica
rintegratrice, critica organica, e tale che
sappia in
un
medesimo tempo conseguire tre cose:
districar l'au-
tore da'
viluppi di certe grossolane contraddizioni
la più
parte
religiose; liberarlo dalle pretensioni esclusive
e
dommatiche
d'una speculazione campata a mezz' aria;
e,
finalmente,
salvarlo dallo spirito negativo d' una
critica
puramente
erudita, o d'una critica da positivisti.
La
necessità
di queste tre condizioni a me sembra
evidente.
Ella
non pure sgorga legittima da tutta la
storia sin
qui
tracciata della Scienza Nuova, ma ci
è poi guaren-
tita dalla
ragione stessa, come in uno de'
prossimi ca-
pitoli
vedremo. Intanto facciamo di dare un
primo passo,
presentando
con brevità e come in una sintesi
la spe-
culazione
del nostro filosofo.
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OAP.
Yl.\ CONCLUSIONE. 163
Tutte
le idee del Vico parmi si possano
assommare
in due
concetti originali; il primo de' quali
costituisce
il
sustrato, il cardine della Scienza Nuova,
mentre il
secondo
forma la sostanza delle opere latine,
segnata-
mente del
Libro Metafisico. Questi concetti originali
sono:
!• r
aver mostrato una legge conlbrme cui
procede
il
corso de' fatti umani e storici,
ponendo in opera il
metodo
non puramente isterico, ma storico-psicologico:
2*'
l'aver dimostrato cotesta medesima legge;
cioè
mostratala
razionalmente, idealmente, avvalorando così
la
prova istorìca mercè la speculazione
filosofica sul
processo
e costituzione dell'essere in universale.
In una
parola: l'aver mostrato un fatto, e T
averne
dimostrato
Videa; che vuol dire, aver saputo
scorge^f
l'idea
nel fatto, schivando gli errori del
teologism^
e
dell' idealismo assoluto : ecco per l'
appunto la novità
del
filosofo napoletano. Molti scrittori di cui
s' è discorso
han
veduto più o meno esattamente l'importanza
del
primo
concetto ; e, facendo giustizia al
filosofo di Napoli,
non
han dubitato attribuirgli l'onore della
scoperta,
checché
ne dicano i GomtianL Ma nessuno,
quant' io
sappia,
ha' pur sospettato com' in lui esista
anch' il
secondo,
dal quale rampolla propriamente la vera
di-
mostrazione
che rinfianca, rassoda e legittima il
primo.
Spieghiamoci
in altre parole. La Scienza Nuova
rac-
chiude il
processo della storia; e propriamente
parlando
ella
contiene lo svolgimento della storia
naturale del-
V
umanità. Ma, a guardarlo con occhio
superficiale,
cotesto
processo parrebbe difettoso ne' suoi
estremi, cioè
nel
suo principio e nella sua fine.
Intendo dire che la
Scienza
Nuova appar manchevole nell' indagar l'origine,
e nel
determinare il fine del genere umano.
Se non che,
a
guardarci bene addentro, e' son difetti
codesti affatto
apparenti;
difetti, se vogliamo, deUa Scienza Nuova
considerata
qual libro d'applicazione d'una teorica,
non
già
nella mente di chi la concepì e
di chi la scrisse.
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164
STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [UB. L
Nella
mente e nelle altre scritture di
questo filosofo
può
rintracciarsi la risposta tanto all' uno,
quant' al-
l' altro
quesito : e noi potremo e dovremo
tramela per
necessità
logica. La Scienza Nuova quindi abbisogna
delle \
opere
latine, non essendo ella altro se non
l'esplicazione
empirica,
sperimentale, concreta, storica del secondo
de'
due concetti rammentati poco fa. Il
quale perciò è
presupposto
sempre dalla prima all'ultima pagina di
quel
libro, e quindi sarà mestieri saperlo
speculare nel-
r
insieme delle sue dottrine, divinarlo,
ricostruirlo, rior-
ganarlo e
vivificarlo a quel modo che nel regno
zoolo-
gico farebbe
un moderno Cuvier col soccorso d' una
tibia,
d' un
femore, d' una mascella, d' un cranio. E
innanzi
tutto
gioverà qui toccar rapidamente del
carattere pro-
prio
dell'ingegno e delle opere del Vico,
per indi ac-
cennare, nei
capitoli che seguiranno, alle relazioni che
pur
esiston tra lui e la filosofia del
suo secolo nonché
quella
de' nostri giorni.
Considerare
la genesi della mente del Vico in
quattro
fasi,
in tre periodi, in tre o due
momenti, come abbiam
I
visto fare da alcuni critici, non
solo ò metodo artifi-
ziale,
ma inutile e anch' erroneo. Per una
simile divi-
sione il
Ferrari giugne quasi a vedere nel
pensiero di
lui
fatalismo e cieca necessità: e forse
di cotesto fata-
lismo e
di cotesta necessità avrà egli scòrto
qualche
traccia
fin nelle lettere al padre Solla e
al monaco Giac-
chi !
Una divisione a periodi, per esempio
quella del Can-
toni, è
altrettanto artifiziale quanto erronea. Di
fatto,
nell'
ultimo perìodo, come dicemmo, altro egli
non sa
vedere
tranne che un decadimento di quell'
ingegno so-
vrano ;
decadimento quando per l' appunto ei
concepisce,
rintegrandolo,
il disegno della seconda Scienza Nuova
1
Ma se
decade nella seconda, non è già beli'
e decaduto
anche
nella prima, ammesso che, come vedemmo,
con
r
autorità del medesimo Vico, nessun divario
essenziale
di
principii corra fra l'una e l'altra?
Regola generale:
se
cotesto divisioni fosser vere, ciascuna
fase dovrebbe
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OAÌ».
YI.] CONCLUSIONE.
165
mostrare
un carattere speciale, ciascun periodo do-
vrebb' esser
determinato da una forma peculiare. Or
questo
appunto nel Vico non si verifica in
modo al-
cuno. Nel
Libro Metafisico son evidenti i germi
del
Diritto
Universale; come nel secondo libro del
Din^o(
Universale,
massime nel capitolo XII, abbiamo intera,
benché
in germe anch' essa, la Scienza Nuova
: al modo
istesso
che nell' orazione su la Ragion degli
studi ci è I
i
segni d'un novello metodo della
giurisprudenza, il
quale poi
assume significato più complesso, e valore
essenzialmente
comparativo nel De Constantia jurispru- »
dentiSj
come fra gli altri ha saputo rilevare
V Amari.^
Non
fasi, dunque, non periodi, non momenti
nello
svolgersi
del suo pensiero; e quindi non
fatalismo nella
sua
mente, né diversità essenziale di principii
nelle sue
diverse
opere. Ripetiamolo anche una volta:
l'ingegno
del
Vico è processo, é svolgimento; ma
processo con- \^
seguente
a sé stesso, svolgimento che s'allarga
bensì e
riveste
forma vie meglio determinata, ma senza
negarsi
e
contraddirsi e annullarsi nei pronunziati
filosofici fon-
damentali
della sua metafisica. Niuno quindi può
aver
diritto d'
affermare eh' ei cangiasse nelle sue
dottrine ;
ma
tutti abbiamo ragione di pensare ch'ei
si cor-
reggesse e
compiesse per propria virtii. Chi é
che potrà
aver
buono in mano per credere eh' ei
negasse addi-
rittura
tutt' un ordin d' idee per abbracciare
un altro
affatt'
opposto e contrario? Nella febbrile e
profonda
ed
ignorata agitazione del suo pensiero egli
corresse e
compiè
se medesimo depurando le proprie idee
da certe
forme
eterogenee, estrinseche, accidentali, secondarie
; le
quali
se ciò non pertanto accompagnaron sempre
la sua
coscienza
cattolica, non rispondevano certamente né
al-
l'insieme
deUe sue dottrine, né all'esigenza vivace
del
suo
metodo, né al bisogno acutissimo in
lui deUa stori-
cità. Solo
in questi limiti ha luogo lo
svolgimento, e, se si
vuole,
il cangiamento del suo pensiero. Sbaglia
grossa-
mente perciò
chi ha detto che, ove quel filosofo
tor-
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166
STORIA DILLA SCIENZA IXVOYA. [lIB. I.
nasse
a vivere oggi in pieno secolo
decimonono, e' sa-
rebbe uno
schietto e fervido hegeliano, come pur
troppo
s' è
detto e si ripete del povero abate
Gioberti. Cotesti
critici
a quattro quattrin la calata, cotesti
facili mani-
polatori
delle convinzioni altrui e dell' altrui
coscienze,
non
han riflettuto, non riflettono, come tra
la necessità
(evidentissima
nel Vico) di superar la coscienza
religiosa
rompendo
e trascendendo i legami d' una cieca
fede, e
r
indossar la cappa magna d' Idealista
assoluto, ci corra
davvero
un abisso! AgU occhi di costoro par
che non
esista
per nulla al mondo questo salutare
principio:
che se
Y onestà è necessaria in politica e
in religione,
altrettanto
necessaria ella ha da essere anch' in
filosofia.
Talché
quell'andazzo di certuni, oggi tanto
corrivi e
inchinevoU
a vedere in altrui quel che sono
stati o
sono
essi medesimi distinguendo in un filosofo
un primo,
un
secondo e un terz' uomo (ciò eh'
ei dicon maniere di
filosofare,
quasi che si trattasse di pittura o
di musica!),
senza
fallo dee farci argomentare una di
queste due
cose:
0 leggerezza di speculazione, o disonestà.
Questo
non ha
luogo nel Vico. In filosofia ei non
fu né debole
e
cangiante come i colori dell' iride,
né disonesto. Non
fu una
giubba rivolta, per usar qui la frase
del Giusti.
E dopo
questa tirata da moralisti, torniamo in
via.
Ogn' ingegno
inventivo è mosso da un peculiar bi-
sogno. L'
esigenza della mente del Vico è un'
acuta esi-
genza
storica e giuridica insieme : questo
é il carattere
sincero
delle sue scritture ; e questo è
pure il criterio
a
convenevolmente interpretare la natura, il
fine, il
significato
di esse. La Ragion degli studi é
una specie
; d'
introduzione, di propedeutica nella quale
il pensiero
dell'
autore comincia a far le sue prove.
* Due sono le
*
Singolare che la monte di questo
filosofo si cominciasse a stoI-
gere
col problema pedagogico sa V edacazione
nnÌTersale, mostrando cosi
fino
dal bel principio una tendenza seriamente
pratica e positiva di
speculazione.
La DiMerUutione mi metodo degli 9tudii
(die' egli stesso)
ì un
ahbotzo dcU* opera, ohe poi lavorò,
De Univerei Jurie Uno Principio,
di cui
ì cqtpendiee V altra De Conetantia
Jurieprudentie. (Vedi Autobio-
Digitized
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CAP.
VI.] 00N0LU8I0NE. 167
idee
principali di questo libro: metodo negli
studi, e
metodo
nella giurisprudenza. Neil' una come nell'
altra
cosa è
manifesto il concetto, il bisogno della
storicità.
Senonchè
V esigenza istorica eh' ei palesa là
dove parla
del
rinnovamento degli studi in generale, è
un' esigenza
fittizia
che scaturisce dalla tradizione, dall'
autorità sto-
rica, meglio
che dalla i*agione storica, secondo che
questa
vuol
essere intesa nelle opere posteriori. Egli
in buon
conto
pretende rinnovare il metodo degli studi
mo-
vendo, più
che da' suoi medesimi grincipii psicologici
e 1
giuridici,
come dovrebbe, da un' idea tutt'
affatto plato-
nica.
Vorrebbe vedere in sostanza una repubblica
pla-
tonica nelle
Università. Vorrebbe sottoporre l' insegna-
mento ad
unità di metodo e di prìncipii. Ora
questo
concetto
pedagogico evidentemente contraddice alla sua
stessa
filosofia, ed è uno de' suoi errori
più gravi (errore
creduto
altissima verità da alcuni suoi critici
cattolici,
segnatamente
dal Tommaseo) perchè non ci addita
svol-
gimento, ma
indietreggiamento di pensiero, e quindi pa-
lesa difetto
di progresso, di rigor logico nella
speculazione,
appunto
perchè con questo concetto ei s'oppone
ad un'al-
tra serie
di dottrine assai chiare in lui,
dottrine segnata-
mente d'
ordine psicologico. Ohe cosa dunque è
chiamato
a far
qui il critico, l'interprete filosofo?
Evidentemente
è
chiamato a levar di mezzo tale
contraddizione; non
solo
perchè la s' oppone ad altre sue
dottrine, com' ho^
detto,
nm perchè fa contro alla ragione
stessa, al sa-
pere
moderno, ai moderni principii, ai nuovi
bisogni cui
oggi
deve informarsi la costituzione della civil
società e
della
pubblica e privata educazione ed
istruzione. Ecco
qua
uno de' molti esempi ne' quali, depurata e
corretta
una
dottrina del nostro filosofo, nuUameno
resta intera
la
fisonomia, il carattere della sua mente.
Un cattolico,
per
esempio il Tommaseo che loda e
accetta nel Vico
il
principio in discorso non s'accorgendo
della contrad-
grafia,
pag. 359.) Ecco anche qui ana proTa
della continuità, e quindi
d'un
processo nei suo pensiero.
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168
STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
dizione,
ed un positivista che appoggiandosi ne'
criteri
psicologici
e giuridici di questo filosofo lo
traesse ad
un
polo opposto, cioè alla dottrina dell'
Individucdismo
nel
problema pedagogico, 1% falserebbero ad un'
ora me-
desima, e
per due opposte ragioni ; tanto che,
scambio
di
rinnovare e legittimar la sua mente,
la distruggereb-
bero
addirittura. — Quanto poi al metodo
della giuri-
sprudenza,
il Vico pone un concetto nuovo, in
virtù del
quale
il libro in discorso ha relazione
intima coì'DiriUo
Universale»
Egli accenna ad una cert' analisi
informata
a
nuova critica; e quest' analisi è il
metodo isterico che
appresso
applica splendidamente allo studio del
Diritto
Romano.
Vera
introduzione alle sue scritture è il
Libro Me-
tafisico.
Qui l'esigenza isterica si tocca con
mano, tut-
toché
sbagliata nell'applicazione; ma non è meno
evidente
il bisogno filosofico e speculativo. Il
Libro Me-
tafisico è
stato, a così dire, una specie d'
indovinello
agli
occhi de' suoi critici ed espositori.
Chi ci ha scòrto
davvero
tutta l' antica, 1' antichissima sapienza
della
gran
madre Italia; e chi non ha saputo
vederci nulla
addirittura,
se non forse una serie d' incongruenze
da
cima a
fondo. Però non s'è abbastanza avvertito,
esser
l'autore
stesso quegli che c'istruisce in tomo
al vero
carattere
e significato di questo libro. Più
volte ei lo
cita
appellandolo il Libro Metafisico; e più d'
una volta
avverte
i lettori, in esso star chiusa la
sua metafisica:
metaphysicam
complectitur,^ E chi pensi che le
occa-
sioni a
scriverlo furon due, il Cratilo di
Platone (come
avverte
egli medesimo) e la lotta ingaggiata
contro il me-
todo
cartesiano (il che agevolmente si lascia
scorgere dal-
l'insieme
del libro nonché dal bisogno istorico
che spinge
la sua
mente, contrapponendosi così al cartesianismo)
non
penerà a capacitarsi, che con esso
egli studiavasi mo-
strare per
via di fatto come guardando filosoficamente
*
Vico, De Univ. jwr. Uno Prino. e te,
Proloq. § 7.
dby
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b
CAP.
VI-l CONCLUSIONE. 169
una
lingua se ne possa trarre qualche
germe di meta-
fisica,
procacciando così d' attingere dal fatto
isterico il
concetto
filosofico. Illusione ! si dirà. E io
ne convengo.
Ma
forse che anche cotesta illusione non
vale a mo-
strarci
l'indirizzo originale della sua mente ?
Nullamanco
non è
a credere che tanto egli errasse ne'
principii
quanto
illudevasi certamente nel fatto speciale,
cioè
nella
materia filologica in che accaddegli
applicare la
sua
dottrina ; la qual materia fu, com'
è noto, la favella
latina.
Perocché s'egli è vero che nelle
parole origina-
rie riman
quasi improntata l' immagine del pensiero ;
qual
mezzo più sicuro por cogliere qualche
spiraglio di
cotesto
pensiero salvo l'analisi della parola? Ciò
che il
Vico
tentava col latino due secoli addietro,
oggi si è I
tentato,
per esempio, col proto-ariano. Nella
coscienza
Ariana,
per dime una, conoscimento vai nascimento;
perchè
di fatto lo spirito nasce conoscendo,
e nascendo
non
può non conoscere ; dovecchè pel
selvaggio pensare
suona
parlarsi nel ventre. Ricordare è innovare
il pen-
siero, e
quindi importa la virtù del riflettere;
non al-
trimenti che
Tatto del volere è atto d'amare, atto
di
scegliere,
e quindi racchiude il concetto di
libertà.*
Tutto
ciò è intuizione, è pensiero spontaneo
iniziale
originario,
e non pertanto riesce mirabile nell' esattezza
e
verità dell'idea per cui tanto va
innanzi all'altre
la
coscienza proto-ariana.
Or se
la parola è l' espediente più efficace,
il mezzo
più
fedele per conoscer la forma sotto
cui si presenta
il
pensiero quaranta secoli addietro, e fino
a certo se-
gno è
atta a rivelarci la storia e la
cultura intellet-
tuale
primitiva d'un popolo; ninno dirà che
il Vico,
facendo
tale applicazione al latino, siasi
ingannato nel
metodo,
come pur troppo errava nel soggetto
di sifiatta
applicazione.
Al qual proposito è da avvertire che
il
professor
Vera, biasimando cotesto metodo che primo
PlOTET,
Origini indo'ewropee. BuRKOUF, Saggio aul
Veda,
d'ogn' altri
'1 filosofo napoletano creò recandolo in
atto
nel
suo Libro Metafisico, giugne a negarne
persino la
possibilità
nonché l'utilità, contraddicendo così eviden-
temente ai
risultati più sicuri e meglio accettabili
della
moderna
filologia.* Non il principio, giova
ripeterlo, né
il
metodo del Vico danno in fallo :
sono fallaci bensì le
applicazioni
di esso, quelle in ispecie fatte nel
Libro Me-
tafisico.
Che se la sua mente privilegiata
avesse avuto
il
benché menomo sentore del sanscrito, non
avrebb'egli
fatto
miracoli meglio che gli odierni filologi
non fan-
n'oggi?
Egli era precisamente su la medesima
via; ma,
di
più, era fornito di ben altri e
più saldi e più ric-
chi
strumenti.
Il
Libro Metafisico fu severamente giudicato
dal
Qiomale
de? Letterati. Dico severamente non tanto
per
le
difficoltà particolari affacciategli, quanto per
l'ob-
biezione
riguardante il disegno, la condotta stessa
del-
l'opera,
e quindi '1 fine al quale mirava l'
autore. Quan-
t'alle
critiche particolari que' valorosi eruditi non
avevan
tutt'i
torti: la storia del pensiero filosofico
condotta
solamente
con l'analisi delle parole, massime
dov'elle
rappresentino
rozze civiltà, è impresa inefficace e
vana.
Obbiezione,
come si vede, assai grave ed acuta,
alla
quale
il Vico, checché ne dicesse, non ebbe
che rispon-
dere sul
serio. Torto essi ebbero bensì
nell'attaccar la
condotta
dell' opera, per le ragioni poco fa
riferite : nel
che
meritano scusa, non sapendo a che mai
dovesse
andare
a parare la mente di quel sommo.
Ma qual
compatimento
meritano certi critici odierni che dalla
Scienza
Nuova potrebl)ero e dovrebbero torre misura
per
ponderare il valore del Libro Metafisico
anche a
guardarlo
solo come un semplice tentativo?
Godiamo
qui nel dichiarare come l' illustre
Spaventa,
fra
tutti, abbia saputo imbroccar giusto nel
determinare il
significato
del Libro Metafisico. Biasimando egli
piace-
*
Ykra, Introduzione alla FU. della Sl,
Pireoze 1869, pag. 66.
volmente,
al suo solito, certi nostri Bramani
italiani che
in
questo libricciolo sanno subodorar non so
quanti e
quali
profumi di sapienza pitagorica etnisca ed
egizia,
con
Fusate acume osserva, che cotest' antica
sapienza
in
esso racchiusa altro a dir proprio
non sia, che la
metafisica
stessa che agitavasi nel pensiero del
Vico.*
Noi
accettiamo pienamente e in generale questo
giudizio;
ma
neghiamo che siffatta metafisica abbia da
esser
proprio
quella ch'ei suppone di poterne cavare.
Il Vico,
egli
dice, ha una metafisica; ma incorporata
colla
Sdenea
Nuova, Voler comprendere Vico colla sua
vec-
chia
metafisica (Italorum Sapientia) è non capir
niente.
Quindi
V oscurità.* Col professore di Napoli
noi credia-
mo che
il Vico abbia una metafisica; checché
si piac-
cia affermare
il suo collega professor Vera: ma
diciamo
che il
difetto di quell'autore, se pur è
difetto, risiede
non
già nell'averla incorporata, anzi nel non
averla
incorporata,
cioè nell'averla supposta, presupposta, co-
me toccammo;
e quindi, se è tale, bisognerà pur
rin-
tracciarla
giacché c'è. In secondo luogo crediamo,
che
non si
possa giugnere a capir di lui niente
davvero
senza
qualche lume di questa così detta sua
vecchia me-
tafisica,
fuor della quale senza dubbio la
Scienza Nuova
parrebbe,
come qui potrebbe dire il Ferrari,
una sdoc-
chcBea
napoletana. Il Vico dunque é oscuro,
oscurìssimo :
r han
detto, e lo dicon tutti ; ma é
tale ùon per la sua
vecchia
metafisica, ma perchè con essa non si
vuol in-
terpretare
la Scienza Nuova. In una parola, se
vi fosse
incorporata,
non potrebb' essere oscuro, anzi
trasparente
e
chiaro, per usar qui un'altra frase
dello Spaventa.
A chi
ha detto poi che con siffatto libro
il Vico in-
tendesse
scrìvere una specie di storia della
filosofia, si
può
far riflettere che, dov'egli avesse mirato
a tal fine,
non gU
sarebbe venuto meno l'ingegno, né
l'erudizione.
Di
certo avrebbe fatto assai meglio che
non fece Appiano
•
Spayekta, Lenoni di FiL, ec. Napoli,
1868, pag. 48.
*
ì<iem, eod,^ pag. 154.
Buonafede
o GioTan Maria Lampredi circa la
filosofia
degli
Etruschi. In sostanza io voglio dir
questo : il Vico
cercava,
anche in filosofia, un altro sentiero;
e nel cer-
care cotesto
nuovo sentiero filosofava. Ma, nel filoso-
fare,
dapprima credè eh' altri avesse filosofato
al pari
di
lui; del che poi si ridisse
compiutamente. D Libro
MetafisicOy
dunque, va considerato non già come
una
storia
della filosofia, bensì come un tentativo,
come
una
specie di saggio di filosofia, ma
saggio di filosofia
condotto
con metodo isterico, mercè cui quel
filosofo
pretendeva
risalire ai germi primitivi racchiusi nelle
primitive parole,
non già con metodo dialettico, a
priori,
assolutamente
razionale, o puramente psicologico. Per
questo
principalmente egli è F antagonista per
eccetterusa
del
Cartesianismo, come han detto gli stessi
francesi.
K per
questo può dirsi che il suo Libro
Metafisico sia
com'
un'introduzione alle opere posteriori.*
Poiché
dunque in siftatto libro vi è, come
s' è detto,
un
doppio carattere, storico e filosofico,
però è possibile
rintracciarvi
i germi d'una filosofia che serbi
natura iste-
rica, indole
positiva, carattere essenzialmente compren-
sivo.
Quattro sono i concetti ne' quali
possiamo tutta
assommare
la sua metafisica:
a) Il
concetto del sapere, non come sdenta
asso-
luta, bensì
come prodtmone assoluta del pensiero; e
quindi
un
criterio il (Juale, assumendo forma e
valore universale,
possa
diventar principio, il principio stesso del
sapere.
b) Un
fondamento positivo alla psicologia riposto
nel
concetto di sviluppo, di generazione delle
funzioni
psicologiche
; e però le condizioni a risolvere
in maniera
positiva
la dibattuta quistione su l'origine delle
idee,
nonché
quella risguardante le produzióni storiche,
filolo-
giche,
mitologiche e religiose delle diverse
civiltà:
* Che
sia piccol di mole non importo, non
essendo fatto ad
DdpKini.
Al qnal proposito glorerebbe meditare ciò
ohe TA. medesimo
seppe
rispondere al Oior, de* Leti, quando
fa accasato appnnto del di-
fetto di
brevità nel delinear il disegno della
sna metoflsiea. Risp. 2*, § 2.
c) Il
concetto d' un fondamento assoluto
delle
cose,
non già nel significato ontologico
scolastico e teo-
logico, sì
nel senso d' un Assoluto inteso com'
attività
essenziale,
Mente e Causa, Spirito, Atto assoluto
e asso- |
luto
centro al mondo presente, ma senza
che col mondo j
s'abbia
a confondere e intrinsecare, schivando così
da
una
parte un volgare ontologismo, dall'altra un
as-^
sur do
panteismo:
d)
Finalmente un nuovo concetto della sostanza
cosmica,
e però dello spazio e del tempo,
della storia
naturale
e della storia umana; nel quale resti
salva
tanto
r esigenza della dottrina meccanica, quanto
quella
della
dottrina dinamica.*
Tutto
ciò vedremo poco per volta. Qui
frattanto gio-
verà toccare
d'alcune relazioni tra la filosofia del
Vico, e
quelle
che tenevano il campo all'età sua;
acciò che non
s'abbia
a ripetere che anche in metafisica
egli fosse
stato
una cometa solitaria nel cielo della
scienza, un inge-
gno senz'
antecedenti, com' han preteso e pretendono
certi
suoi critici. Co' quali elogi, com' è
chiaro, dandogli
essi
tutta la vena della spontanea divinazione,
gli tol-
gon
perciò ogni coscienza riflessa, ogni
attività consape-
volmente
indagatrice, e se lo immaginano e ce
'1 dipin-
gono come
il sonnambulo che passeggia solitario e non
.
visto
in mez7:o alla numerosa falange de'
matematici,
de' naturalisti,
de' fisici e de'sensisti del secolo XVIIl.
* In
qoeste quattro idee sono i germi d*
un sistema; ma d* un sistema
filosofico
non assoluto, nò donimatico, bensì d*un
sistema, o, a dir prò- «
prie, d'una
dottrinala quale mentre che lascia molte
questioni aperte, corno |
direbbe
Stuart Mìll, chiude nondimeno il rarco
allo scetticismo. Questo av- 1
rerte
lo stesso Vico nella Conclusione dell*
opera indirizzata a Paolo Doria:
Habetf
$apientis9Ìme PauUc Doria, Metaphyneam humana
imbeeillUate dignam,
qua
homini neque omnia vera permittat, neque
omnia negatf 9ed aliqua. E che
tali
dottrine ciò nondimeno abbiano una forma
e compongano fra loro
unità
organica, egli medesimo ce lo avverte
laddove mostra, la sua me-
tafinea
etter compita topra iìMa la «va «dea,
avente porciò capo, orga-
nismo e
sangue. Vedi nella Risp. 1" al
Giornale de^ Letterati,
U Vico
nacque e visse in mezzo al
Cartesianismo,
e
segnatamente in sul finire di quel
giro d' anni in cui
tal sistema
lottando con sé medesimo sdoppiavasi, per
cosi
dire, in quelle molteplici direzioni
filosofiche for-
manti,
giusta la frase d^ un illustre
critico, un cammino
eccentrico,
* il cui risultamento reggiamo
rappresentato
nelle
scuole di Malebranche, di Geulingc, di
Berkeley,
di
Spinoza, di Locke, di Leibnitz.' Non
guardando per
ora al
postulato cartesiano tolto siccome inizio
del filo-
sofare, è
noto che gli errori cui detter luogo
i sistemi
ne'
quali sdoppiossi tale indirizzo filosofico,
ponn' essere
assommati
negl' infrascritti : l' aver posto, in
generale"^
il
concetto dell' Assoluto non già come
fine, anzi come
principio
del sapere: l' aver troppo diffidato della
realtà,
de' fatti,
dell'esperienza, della storia: aver annullato
o
dispregiato
lo studio delle cagioni finali, tutto
som-
mettendo
alla causa efficiente, e le leggi
della natura
spirituale
spiegando con quelle della natura corporea:
aver
ridotto ad assoluto meccanismo il mondo
fisico,
donde
le dottrino dell'occasionalismo, dell'incomuni-
cabilità di
sostanze e dell' armonia prestabilita
intesa^
alla
maniera volgare de' Wolfiani." In una
parola, il
*
Bitter, Hìh, de la PhU. mod., voi.
I, pag. 416.
* Per
Cartenanitmo intendo, com'è facile capire,
quelle diverse di-
rezioni (non
meno di quattro) le quali, parte
svolgono e compiono, parte
trasformano,
e parte impugnano, yìh che T
indirizzo del filosofo francese,
le sue
dottrine cosmologiche, ontologiche e teologiche.
' In
questa critica si può dir che
consentano, in generale, i principali
storiografi
moderni.— Vedi Rittrr, op. cit.,
voi. cit— Cousin, Fragm, de 2a
Phil.
CarténennCf
pag. 160 e segg. Coure ec, 2*
serie, t. I, lez. XI, p. 244.
—
Rbnouvikb, Man, de Phil mod,, liv. II.— Boullieb, HììU de la
Phil.
Carte»,,
t. IL — Sohmidt, St, della FU.,
pag. 177
e segg. — Saibset, Orit,
et
hùt. de
la PA»l., pag. 130 e segg. —
Fouoheb de Carbil, Lettre» ««r-
Cartesianismo,
per grandissimo che possa essere il
me-
rito di
chi l'inaugurò e di chi vennelo
attuando ne' suoi
diversi
indirizzi, non pervenne al vero concetto
dell' as-
soluto,
della costituzione del mondo, e della
natura dello >
spirito.
Uno de' suoi pregi, come s' è detto,
è la posi-
zione del
pensiero qual inizio di scienza
indipendente
da
ogni qualunque autorità : ma di ciò,
com' è noto,
Cartesio
non può vantarsi d' essere stato primo
divul-
gatore e
sostenitore nel regno della scienza.'
Vero
pregio, pregio massimo dell'autore delle
Me-
ditazioni
sta neir aver considerato come originaria
virtù
dell'anima l'attività stessa del pensiero;
aver
posto
r anima come il pensiero stesso, e
però come sog-
getto e
obbietto.' Senonchè il pensiero per lui
non era
altro
che rappresentazione, e, come tale, unione
a dir
cosi
meccanica, incosciente, immediata di due
oppositi
elementi,
dell'universale e del particolare, dell'infinito
e
del
finito. Come dunque potev' egli riuscire
al vei'o or-
ganamento
del sapere filosofico, posto un fatto
empirico,
Dt$c
et le Cartinanimne, Introd. — Franchi,
St. detta FiL mod., Tol. 1,
letlnrs
9, 10, 11. — Jaitbt, (Euw, phiL
de LeibnitZj ToL I., Introd. —Trn-
mtiiAinf,
Su ddla FU,, voi. II, p. 84.
' La
riforma cartesiana, cosa arvertita presso
che da tutti gli sto-
riografi,
non giunse nuova fra noi, tanto clie
la si riguardi come rinno-
ramento
filosofico, quanto che come reazione
scolastica. ATevamo avnto
già il
Petrarca, poi il Da Vinci, la scuola
Telesiana, poi la scuola Gali-
leiana.
(Vedi Libri, HUt. de» •eienc, math.,
t. III. ~ PncoiiroTTi, Sl della
Med,^
voi. ult.) Potremmo dire altresì che
TAconzio, come osserva giusta- ,
mente
il Franck [Diet, de» »eiene. phiL)
fosse stato in Italia il devander \
del
metodo cartesiano. Avevamo avuto anche il
Bruno; e segnatamente
il
Campanella, le cui opere non dovettero
esser del tutto ignote a Cartesio,
come
nota il Bitter {Hi»t. de la phU.
mod., voi. I, pag. 14, 85). Ma anche
qui,
al solito, s* inciampica neir esagerazione
quando si vuol risalire fino
a
sant'Agostino a ripescar 1* antecedente del
pronunziato Cartesiano ! Nò
io mi
ci vo' opporre, sapendo che in quel
Santo Padre e' è pur troppo
r
esigenza cartesiana (Vedi per es.: De
Lib. Arò., lib. II, cap. 8; e
spe-
cialmente De
Civii. Dei, lib. XI, cap. 26). Ma
il valore della posizione è
tanto
diversa ne* due filosofi, quanto diversi
i tempi in ch*ei vissero,
trattandosi
ben più che di certezza d'esistenza.
Il Cousin poi, com'è
noto,
va fino al No»ee te ipeum di
Socrate ! Contentiamoci di questo, che
non è
poeo: un eclettico ne potrebbe far di
peggio.
•
DiBOARTBS, Médit. 2, art. 7. Lettre»,
U II, U». Obi.
répotue», I, 4.
posta
una dualità empìrica? E in che
maniera spiegare
nel
pensiero l'unione del finito con
l'infinito? Ma che
davvero l'
idea di Dio sia innata e a
priori nella nostra
mente
com' egli stesso afferma, * al modo
eh' è innata,
non
nata, cmmcUa l' idea di noi medesimi
(ciò eh' è pro-
prio la
novità di Cartesio) è ancor cosa da
dimostrare.
È ella
possibile nel nostro pensiero l'idea
dell'infinito
veramente
detto? L'essere adegua il conoscere, dicono
certi
interpreti hegeliani; e poiché nel
conoscere v'è
r
infinito, il pensiero è dunque infinito
: ecco la novità
vera
di Cartesio, su la quale s' imbasa
propriamente la
filosofia
moderna. — Ma il pensiero è egli
propriamente
l'essere,
come si vorrebbe darci ad intendere?
Non
potrebbe
stare che cotesta fosse un'affermazione
arbi-
traria di
Cartesio, fatta legittima, più che altro,
dal
desiderio,
nonché dall' artifiziosa interpretazione che gli
hegeliani
porgono all'entimema cartesiano? .Diranno
non ci
essere artifizio di sorta in questa
loro inter-
pretazione.
Ma non è forse egli stesso, Cartesio,
il quale
a
chiare note ci dice in che senso
parli d'innatismo,
afiermando,
la natura stessa averci fornito d'una
facoltà
mercé
cui produceìido queUPidea possiamo conoscere
Dio?*
Checché ne sia, era d'uopo rivedere,
chiarire e
correggere
in gran parte la posizione cartesiana
del
pensiero.
Questo quant' al Descartes, come iniziatore
del
novello
indirizzo. Quanto poi agli esplicatori del
Carte-
sianismo, in
generale, era d' uopo restituire alla
scienza''
il
concetto delle cause finali invocando
segnatamente
lo
studio della storia; porre l'assoluto come
obbietto
•
Descartes, Médit. 8«.
■ Vedi
nella Troinhn. oljection9f Z" Rép, :
e nella Rép. à M. Begiut.
Non
ignoro che nella Meditaz. 3^ e
5" egli dice apei-tamente, Tidea
di Dio
essere innata in quanto ci ^ imprenta
da lui medesimo. E qoi è
chiara
la contraddizione tra ciò eh* egli
afferma in queste Meditazioni,
e le
illustrazioni eh* egli stesso ne dà
nelle Risp. alle obbiezioni poco fa
indicate.
Bisogna dunque levarla di mezzo tale contraddizione;
è fuori
dubbio.
Ma perchè pretendere di leTarla con T
identificare Dio e pen-
siero,
facendo contro cosi a tutte lo
esigenze della metafisica cartesiana ?
anziché
come principio di ricerca; accomunare in
un
subbietto
dinamico universale tanto la costituzione
del
mondo
fisico, quanto quella del mondo morale
; e quindi
statuir
le norme d'un metodo non geometrico,
non
puramente
psicologico, né assolutamente a priori
nella,
costruttura
della Scienza Prima.
Questo
per V appunto presero a fare il
Leibnitz in
Germania
e, poco appresso, il Vico in Italia.'
Non vorrei
che i
lettori stimassero inconcludente il
ravvicinamento
di
questi due nomi, e inutile e vuoto
un riscontro delle
loro
dottrine. Non è cotesto, intendiamoci, uno
de' soliti
riscontri
onde rigurgitano certi libri odierni appo
cui
non di
rado si dà per concreta, storica,
reale un'atti-
nenza
meramente logica, o ideale che sia.
Il riscontro tra
il
filosofo di Napoli e il filosofo di
Lipsia è tutto ideale ;
ma la
ragione di esso pone radice, meglio
che in qual-
che riposta
e fatai legge dialettica, in queste
due ragioni
principalmente:
!• nella forma e natura stessa di
lor
mente
: 2* nelle condizioni della filosofia
del secolo XVII.
E
innanzi tratto ricordo anche qui, non
esser possibile
dimostrare
che il filosofo italiano siasi ispirato
nel filosofo )
di
Lipsia ormeggiandone metodi e dottrine,
com' altri
hann'
affermato.' Nullamanco l'affinità fra alcune
dot-
* Il
Vico ebbe coscienza della propria posizione
specalativa, e sciente-
mente
opponevasi alP esagerazioni ed errori cui
ruppero le diverse dire-
zioni e
scuole nate dair indirizzo cartesiano. £gli
conobbe lo opere di Spi-
no}^, di
Locke, di Malebranche, e Tisi oppose.
Quant'a Spinoza, cfr. Op.
voi.
Ili, 12, 80, 221 ; V, 49, 138,
573 ; VI, 99. -- QnanV a Locke,
IV, 40,
U40;
VI, 5. — Quant'al Malebranche, II,
95, 96, 149, 161; VI, 107, 113;
lU,
232. Non è dunque niente vero ciò
che è stato affermato da un
hegeliano
che il Vico, posto eh* abbia
speculato, speculasse incoscia-
mente
e senz" alcuna relazione alla storia
della scienza.
* In
tutte le suo scritture ne rammenta il
nome appena appena due
volte
a proposito, non già di qualche
dottrina filosofica, ma delle con-
troversie
fra Newton e Ldbuìtz. Una di queste
citazioni è nella seconda
S<-ieruM
Xuova; T altra in una lettera al
Gaeta scritta nel 1737. Egli
dunque
rammenta il nome di Leibnitz sette
anni prima di morire, e, che
più
rileva, lo rammenta dopo che vennero
alla luce il Libro Metafìnco,
il
Diritto Univeraale, e la prima Scienza
Nuova. Ne ricorda perciò il solo
nome
quando la sua mente erasi già
rafferma e assodata in un sistema.
Come
dunque potò imitarlo V Come essersene
ispirato?
trine
dell'uno e alcune teoriche dell'altro
filosofo è pure
un
fatto evidente. Come spiegarla? Cotest'
affinità per
me è
al tutto originaria ; e tiene,
ripeto, parte alla forma
e alle
esigenze del loro ingegno, parte
all'opposizione che"^
le
diverse direzioni Cartesiane venivan risvegliando
nella
lor
mente, massime il metodo geometrico e
la cosmo-
logia
meccanica di Cartesio, il concetto
psicologico del.
sensismo
inglese, il concetto della sostanza
Spìnoziana,
ilTeosofismo
e l'Occasionalismo di Malebranche. Io so
che
alcuni storiografi, segnatamente francesi,
attaccano
al
gran carro del Cartesianismo anche questi
due filosofi.
Ma
checché se ne sia detto e se ne
dica, essi a me paion
oppositori,
oppositori veraci delle diverse scuole che
venner
pullulando dal famigerato entimema. Quant'al
Leibnitz,
infatti, basti rammentare il concetto della
monade
fornita del suo doppio carattere di
rappresen-
tazione
originaria e riflessa, tuttoché cotal
dottrina per
piii
conti dia in errore.* Quant' al Vico
poi, vedemmo
come
gli stessi francesi non dubitino segnalarlo
come
antagonista
per eccellenza del Cartesianismo. Però
ninno
creda
che con questo noi pretendiamo stralciare
addi-
rittura ogni
attinenza fra questi filosofi e il
movimento
Cartesiano,
che sarebbe ignoranza grossolana. Vogliamo
anzi
stabilirvi una relazione piii intima, più
vera, con-
siderandoli
non già come puri esplicatori e tanto
meno
come
seguaci, ma piuttosto, ripetiamo, come
oppositori
e
correttori di esso. Perocché se tutto
il mondo mo-
derno
filosofico è Cartesiano, è Cartesiano nello
spirito,
nella
tendenza. Cartesiano nell' esigenza psicologica
an-
ziché nelle
dottrine metafisiche: al modo stesso che
se
vogliam oggi con tutta serietà applicar
la mente
alla
ricerca filosofica, dobbiamo esser hegeliani,
ma
senza
metterci su gli omeri l'edificio pesante,
comec-
ché
splendido, di quel sistema, nonché della
lunga serie
delle
sue applicazioni alle scienze speciali:
al modo
*
Appartiene al Leibnitz, com* è noto,
qnesta sentenza : che m ciò
che ha
di buono il Cartenanitmo non è che
V anticamera dé,la Jiloeofio,
ìstesso,
finalmente, che, a contar dalla scuola
alessan-
drina e
dalla scuola stoica, tutt'i periodi
filosofici e
tutt'
i filosofi, pel corso di venti e
più secoli, si mostrano
platonici
e aristotelici quant'al concetto della
scienza
e del
sapere filosofico consistente nell'universale,
non
tutti
però innalzando un piedistallo, né all'idea
piato*
nica,
né alla categoria aristotelica. '
Mentre
che dunque dura, frastagliatosi in più
di-
rezioni, il
moto Cartesiano, con metodo più vasto
e com-
prensivo due
filosofi prolungano il novello indirizzo, e
si
presentano come veri inauguratori e
innovatori della
filosofia
moderna. Leibnitz e Vico, incominciando a
cor-
' Il
Cartesianismo, come avvenne anche del
Platonismo e dell' Ari-
stotelismo
in antico, e come delPHegelianisnio ne*
tempi nostri, influì
sa la
mente di, tntf* i filosofi del sec.
XYII, e quindi anche su quella
del
Vico; ma v'influì al modo stesso che
la scintilla fa rispetto a ben
disposta
materia. Nel Vico troviamo la correzione
de* diversi indirizzi
Cartesiani,
ma senza eh* ei ve n* escludesse
nulla d' accettabile e di vero.
Giovanni
Locke, tnttochò nato da Cartesio, combatte
Cartesio, ma ri-
mane
esclusivo, schietto sensista. Gassendi lo
combatte, ma rimane em-
pirico ed
erudito. Mo^re e Poiret lo combattono,
ma rimangon mistici.
Lo
combatte Bayle, lo combatte Pascal, ma
per diventare scettici. Lo
combatte
Spinoza, a riesce ad una forma
assurda di panteismo natu-
rale. 11
Vico anch*egli combatte Cartesio direttamente,
qua e là nelle
sue
scritture, e indirettamente sempre, in ogni
pagina della Scienza
Nuova,
mercè il vietodo Utorico in filosofia;
ma non riesce a nulla di tutto
questo.
Il metodo isterico del Vico, perciò,
è una reazione energica contro
il
metodo puramente psicologico, matematico e
geometrico de* Cartesiani.
E con
questa gran leva nelle mani, chi non
vede com* e* dovesse riuscire
V
antagonÌ9ta più spiccato e il più
potente correttore della filosofia del
secolo
XVII? Nel secolo XYIII, per contrario,
veggiamo ripudiare i quat-1
tro
risultati del Cartesianismo; ontologismo,
panteismo, idealismo e mo-
nadismo
volgarmente inteso. Veggiamo ripudiare ogni
sintesi, e adorare,
unico
Dio, r analisi (Condilacchiani, Scozzesi
ec). Anche cotesta è rea-
zione; ma
reazione affatto negativa. Il Vico è
in mezzo alla prima e alla
seconda
tendenza, senz* esser l* una cosa, nò
1* altra. Ecco la sua posizione
storica
come filosofo, rispetto alla filosofia
cartesiana. Che se tra 1* affer-
mazione e
la negazione dee sorgere necessariamente
Fattività critica,
questa
s* ha da palesar prima sotto forma
isterica, e poi sotto forma
speculativa
e psicologica. Ed ecco un legame intimo
, comecché ideale, fra
il
Vico e il Kant. Storicamente, il
secondo suppone il primo ; logicamente
poi, r
uno suppone 1* altro: e nel Vico
infatti troveremo tanto che basti ^
a
gìQstiflcare tale esigenza critica e
psicologica.
rreggere
il postulato cartesiano, impugnano ad un
tempo
il
concetto della sostanza Spinoziana, la
dottrina mec-
canica di
Cartesio, il materialismo di Gassendi, l'
idea-
lismo e
r occasionalismo di Malebranche, il
sensismo di
j^Locke
e però lo scetticismo di David Hume.
*
Non
vogliamo, né il potremmo, entrar ne'
partico-
lari di
queste dottrine; le quali, del resto,
sono a tutti
note
per le dotte e svariate ricerche
storiche fatte oggi
in
proposito. Solo avvertiamo che se tale
è l'importanza
dei
due filosofi, gioverà prender nota d'alcune
loro atti-
nenze, tanto
pili che un riscontro fra essi,
quant'io mi
sappia,
non è stato mai fatto. Dobbiamo
contentarci
di
pochi cenni, bastevoli al nostro intento.
Quanto
vasta e splendida l' intelligenza del
Leibnitz.
tanto
è profondo, ma oscuro, esitante il
pensiero del
Vico.
Dell'uno fu detto poter egli solo
rappresentar
tutta
un' accademia di scienze ; mentre
dell' altro, sem-
plice
umanista al cospetto del pubblico, fu
sovente ri-
pensata con
meraviglia l'erudizione parca dapprima,
affollata
poi, né molto sicura, tuttoché illuminata
sempre
dallo
splendore d'inattesi principii.' Il Leibnitz,
mate-
matico
acutissimo e scopritore del calcolo
differenziale
in un
tempo che il Newton scoprivalo anch'
egli : il Vico
non
andò più in là della quinta
proposizione d' Euclide !
Quegli,
conoscitore di lingue; questi, infelice
scrittore,
* Il
piti chiaro e puro,, e in pari
tempo il piti semplice tipo deUa
nuova
jUoBoJia ì. Leibnitz, In esso si
ved-e riunitOf come in un JiorCf eid
che
ri ha
<V essenziale nelle due serie di
sistemi da Cartesio sino a Spinota^ e
di
Herbert
e di Locke. (Schmidt, op. cit., pap.
208. Vedi anche Jaitkt, Op. di
fAnbnitx,
?ol. I, Intr.) È noto come fin
da' primordi del nostro secolo il De
Biran
in Francia ponesse in chiaro il
valore della novità del Leibnitz/
nonché
della polemica di questo filosofo contr*
al Cartesianismo : ma
della
confutazione che sgorga anche dalle
dottrine del filosofo di Napoli i
contr'al
medesimo sistema, nessuno si è mal
brigato far motto. In ciò
pure,
come vedremo, il Leibnitz è stato
assai piìi fortunato del Vico.
* Il
Giornale de* Letterati, giudice non
sospetto, affermò che in ogni
linea
delle opere del Vico è chiuso un
concetto. Il Tommaseo, fra le tant<e
acute
osservazioni in proposito, come vedemmo, fa
anche questa: non
esser
pagina in questo filosofo^ dove non
arda qualche splendore insolito
d'idea
e di parola. Studi Critici, vol. I,
pag. 119.
avverso
perfino all'idioma francese che non volle
im-
parar mai.
L' uno cercato da' grandi sin nella
sua vec-
cliiaia:
ricco, onorato, cortigiano e corteggiato,
fondatore
d'
accademie, cultore e favoreggiatore delle
arti belle,
conoscitore
d'arti utili, teologo, legista, politico,
diplo-
matico,
viaggiatore in tutte parti d'Europa.
L'altro, nulla
di
tutto ciò : si credè poeta, e
fu pedagogo ; sperò di-
ventar
professore di Diritto, e fu maestro
di rettorica
per
tutta la vita; e mai non uscì
dal paese natale, se
non
per andare a Vatolla, e vivervi
oscuro e ignorato
per
nove anni. Storiografi entrambi, ma l' uno
di fatto,
l' altro
titolato. L' ingegno del primo si
manifestava in
date
occasioni : contro Bayle indirizzava la
Teodicea,
e
contro Locke i Nuovi Saggi su l'
intendimento umano.
L'ingegno
del secondo procedeva, come dicemmo, per
interno
impulso, ne fece buona prova nelle
controversie,
come
incontrògli nelle Risposte al Giornale de'
Letterati.
L'uno
scrivea di filosofia alla sfuggita, meno
i lavori
di
storia;* e bastavagli qualunque occasione
per ap-
prender
tutto, e tutto assimilare con facilità
sorpren-
dente: il
pensiero dell'altro svolgevasi con lentezza
fati-
cosa; tardo
nel concepire, impicciato nel correggere,
noioso
e ritondante nel ritoccare. Ecco la
forma della
mente;
ed ecco le esteriori condizioni della
vita cotanto
diversa
ne' due filosofi. Chi potrebbe pur
sospettare
nell'intimo
de' lor pensieri un barlume d'affinità? E
pure
un' affinità è manifesta.
La
novità del Leibnitz, come s' è detto,
è il con-
cetto della
monade ; quella del Vico è il
concetto d'una
legge
isterica : quindi l' idea fondamentale
comune alla
Scienza
Nuova e alla Monadologia risiede in
un in-
temo
principio di vita, d'attuosità, di divino,
esistente
nella
storia e nel mondo. La natura dello
spirito, per
entrambi,
è quella d' un essere finito eh' è
ad un' ora
stessa potenzialmente
infinito: si che l'uno dalla natura
*
Vedi KiTTER, Hint. de ìa Phil. mod., voi. II, pag.
230.
deli^uomo
e 1^ altro dall'osservazione istorica traggon
la
legge
universale del progredire.* Entrambi scorgono
grand'
affinità fra la teologia e la
giurisprudenza ; * e
nel
nome complesso di giurisprudenza discoprono
altri
rami
di sapere, ne sentono il bisogno di
studi compara-
tivi, di
che il Vico die bellissimi saggi nel
Diritto Uni-
versale,
mentre il Leibnitz sperò di scrivere
un ThecUrum
{legale
col fine di rintracciare il parallelismo
delle le-
gislazioni;
ond'ebbe a dire che la giurisprudenza,
in
ispecie
il diritto che n'è quasi l'anima, più
che scienza
speculativa,
sia disciplina isterica.* Talché se quant'
al
Diritto
Romano altri afferma che il Leibnitz
ne giudicò
meglio
de' moderni Y originalità e le
speciali qualità, il
Vico
siffatta originalità non pur la giudicò,
ma la di-
mostrò, come
altrove ci sarà dato vedere. Ancora :
se
Tun
dei due filosofi inaugura la scienza
linguistica e
r
altro crea la critica filologica, amendue
col possente
pensiero
salgono alla possibilità d'un vocabolario
men-
tale
universale : amendue reputano la filologia
e l' eti-
mologia
strumenti necessari, mercè cui la mente
si
possa
levare a qualche sentenza universale.*
Leibnitz
primo d'
ogni altro presentì la necessità di
porgere no-
vella forma
all'Etica, ponendo una difierenza fra la
Morale
e il Diritto; difierenza che poscia a
maggior
perfezione
condussero i seguaci del Tommasio :
il Vico
presentì
anch' egli tale indipendenza, ma inoltre
sentì
chiara
la necessità d' investigare 1' universal
ragione
del
diritto in maniera storica; talché se
per l' uno fine
massimo
del giure è il perfezionamento in
generale,' per
l'altro
questo grandioso concetto del diritto forma
quasi
*
Leibnitz» Op. VI, l,pag. 332. Dut. —
Vico, Scienza Nuova, passim.
'
Vico, De CormU Juri9., Parte I.— Leibnitz,
Nox>a meth,, ec, pag. 180.
■
Leibnitz, Meth, nova ditte, dpcend.
juritpr,, P. II, § 29. Amendne
si
presentano al pubblico con questioni di
metodo; ricerca degl* ingegni
veramente
grandi, anziché da filosofi pedanti e
scolastici, come si crede.
'
Nella Ragion degli Hudi v' ha i
criteri per lo studio della ginrisprndenza.
* Vedi
quant' al Leibnitz Mimoire» de VAeadfmie de
Berlin^ voi. I,art. 1.
'
Leibnitz, Xouv. Et», I, pag. 277.
il
sustrato della Scienza Nuova, si che
vede svolgersi
cotale
idea anche attraverso gli antichi poemi.
Quant'
alla fisica poi, alla res extensa di
Cartesio,
agli
atomi fisici del Gassendi, contrappongon
gli (domi
di
sostanza, gli atomi metafisici,^ i punti,
i momenti me-
tafisici e
lo sforzo impedito nell'essenza stessa
dell'uni-
verso.' Per
questa medesima ragione entrambi parlano
linguaggio
somigliante circa la natura delle
matemati-i
che.
Di fatti contro Cartesiani e Hobbesiani
il Leibnitz
mostra
la inefficacia di siffatte scienze nelle
indagini
propriamente
filosofiche, e al di là del calcolo
aritmetico
e
geometrico crede esserci luogo ad un
altro e più
rilevante
calcolo che tiene all' analisi delle
idee; stan-
techè
nella sostanza, die' egli, ci abbia sempre
qualcosa
d'
infinito.' La medesima insufficienza del
metodo geo-
metrico
scorge anche il Vico in più luoghi
delle sue scrit-
ture; e
lo reputa difficile, anzi impossibile alla
mente
del
metafisico.^ Col che essi anticipano alcune
idee di
Kant
in proposito.
*
Lbibnits!, %ff. noìit;. etc, tomo II, pag.
126.
*
Vico, Risp. 1« al GiomaU de'
Letterati, L* affinità de*dne filosofi,
come
si vede, è mirabile anche nel
linguaggio: punti metaJUici, conato
(«VTf^i'X^'av)
tramezzante la potenza e Tatto (Lbibkitz,
Op. II, 1,
pag.
19), 0, come direbbe il Vico, la
Quiete e il Moto; per cai la
matte-
ria, anziché
passiva, ò per entrambi una forza
viva (Op. cit, pag. 817).
Anche
i punti matematici per entrambi non
sono che simboli de* metaji-
tici;
e i punti jieiei per tutt'e due
riescono indivisibili, ma solo in appa-
renza. La
ragione poi ond*essì adoperano la parola
punto è la idede-
sima;
ed è, che il punto racchiude infinito
numero di relazioni. Finalmente
si
potrebbe dir propria anche del Vico
la nota sentenza del Leibnitz:
eonatue
e*t ad motum, ut punctum ad epatium,
(Id. eod. II, 2, pag. 8; e
pel
Vico vedi nelle Risposte al Oior. de*
Lett.)
* In
omnibu» èubetantiis aliquid eet infiniti;
unde fit ut a nobie per-
/ecte
intelligi potint sciite notionee incompUtfr,
qualee eunt numeromm,
figurarumj
aliorumque hujuemodi modorum a rebus animo abstractorum.
Lkibxitz,
Op., ediz. cit., V, pag. 143.
* Vedi
neW Autobiografia, AìtroY e dice che la
matematica è la più certa
di
tutte le scienze, perchè prova per
cause [De Antiq, Ital., cap. I, 1),
ma il metodo
di essa riesce esiziale, sterile e
pericoloso quando si voglia
adoperare
nelle altre discipline (Risp, al Gaeta,
pag. 99), disastroso poi
nella
fisica, neir educazione degT ingegni
(/&»', passim), utile solamente
neir
ordinare anziché nello scoprire (De Antiq.,
Ital. cap. VII, § 4).
Entrambi
poi riconoscono in Dio le stesse
primalità:
potenza,
volontà, intelligenza;* e se nell'uno
troviamo
il
principio che Dio creando non possa
produrre altro
che il
migliore e il più perfetto de' mondi,*
nel Vico
tale
dottrina si lascia argomentare, come
vedremo, dal-
l' insieme
delle sue dottrine. Quant' alla storia,
V un
d' essi
riconosce un progredire continuo nel tutto,
e la
possibilità
del regresso nelle parti;' dovechè l'altro,
meglio
determinando e dimostrando cotal concetto,
pone
la
dottrina dé*c(/rsi e ricorsi storici, in
cui sono rac-
chiuse le
idee di progresso e regresso, governati
da una
medesima
legge. Che se è stato detto esser
d'uopo
risalire,
meglio che al celebre Discorso del
Bossuet, alla
metafisica
del Leibnitz per ritrovare un concetto
spe-
!
culativo che fosse come il vero
antecedente della filosofia
della
storia, s'è detto giusto; atteso che
veramente il
filosofo
di Lipsia, col sommettere al principio
della ragion
sufficiente
l' ordine delle cose fisiche e morali,
dischiuse
la via
alla dottrina del Determinismo universale,
pe-
rocché tutto
per lui si annodi nel mondo, tutto
si cor-
risponda,
tutto armonizzi. Nel Vico veggiamo questa
medesima
esigenza ; ma nello stesso tempo ne
troviamo
la
correzione. Perciocché se anche per lui
il passato è
gravido
del presente, al modo stesso che il
presente
partorisce
il futuro; non tutto però nel mondo
delle
nazioni
é avvinto a leggi fatali e cieche,
perché nel
regno
dello spirito vi è agli occhi suoi
la ragione, v' è
pur la
libertà, sicché tutto il processo isterico
per
l'Autore
della Scienza Nuova non é altro, in
sostanza,
j che
la soluzione del problema della libertà,
sia che tu la
consideri
negl' individui, sia che negli Stati.
Dinanzi alla
mente
d'entrambi, dunque, risplende chiara la
legge
della
continuità nel giro de' fatti umani e
storici.
Né si
creda che l' affinità fra ^ i due
filosofi non si
*
Lribnitz, MonaU., Op., ediz. Erd., pag. 705.— Vico»
De Univ. Jur,
*
Idem, Theod., 8.
*
Idoin, eod., 8.
lasci
scorgere altresì nelle contraddizioni e non
di rado
anche
nelle strettoie fra cui gi resta
impigliata la co-
scienza
religiosa. Ei cominciano a scrivere innanzi
d'aver
fissato,
determinato e organato le proprie idee
; di modo
che,
se l' uno fin quasi ai quarant' anni,
fino alla com-
parsa delle
Meditazioni,* va fluttuando non libero da
incongruenze,
T altro va tentennando fino alla
terza ^
edizione
della Scienza Nuova. Onde non è a
meravi-
gliare se
tutt' e due si contraddicano quant'
al concetto
di
creazione ; perchè, se V uno ponendo
la moltiplicità
delle
monadi come primitiva ed esistente per necessità
metafisica,
dice nullamanco esser Dio quegli che
sceglie
r
ottimo fra i mondi, e immagina delle
monadi create
par
des fidgurcUiotis continudles dalla divinità;*
l'altro
poi,
stabihto il criterio della conversione in
senso me-
tafisico,
non dubita parlarci del miracolo della
creazione,
e
dell'annullamento del mondo! — Quanto
aiprincipii,
in
generale, si palesano entrambi eclettici ;
ma è d' uopo
intenderci
nell' applicar loro cotesto nome. Sono
eclet-
tici appunto
nel significato e nel valore che lo
stesso
Leibnitz
dav' a tal voce; nel qual valore
ci conferme-
rebbero
molte sentenze del Vico. Sono eclettici,
io dico,
non
perchè raccolgano in un tutto ciò che
si presenta
come
vero squadernato ne' differenti sistemi,
eh' è pre-
cisamente il
fiacco e volgare eclettismo sfornito d'
ogni
originalità;
ma sì perchè, aggiugnendo anch'essi qual-
che altra
cosa di proprio, riescono a comunicare
novello
impulso
a tutti gli ordini delle scienze.' —
Rispetto
alle
fonti del conoscere, o fondamenti del
sapere, alla
doppia
sorgente vichiana del vero e del
certo risponde
'
Meditationea de cognitionet veritate et ideiti
f 1684.
*
Lribnitz, Monad,f ediz. cit., pagr. 708.
' Vedi
questa sentenza del Leibnitz nelle Lettre*
à Rémond de Mont-
mort,
edlz. Erd., pag. 701. e ne* Nouv,
£»»., Hb. I. Nel Vico poi troviamo
molte
affermazioni del tenore seguente: Chi ai
trae fuori da questi prin-
eipii,
guardi clC ei non traggati fuori deìV
umanità, E eh* egli poi sia
eolettico
in questo senso, anziché nel significato
voluto dal Cousin, dal <
Lerminier,
dal Michelet, dal Romngnosi, dal Ferrari
e dal Poli, apparirà
meglio
dal complesso o dalle tendenze delie
suo dottrine.
la
doppia serie di prìncipii razionali e
sperimentali
ammessa
dal Leibnitz; agli occhi del quale le
verità del
prim'
ordine riposando sul principio d' identità,
e quelle
del
secondo su la coscienza, non patiscono
quinci di-
mostrazione,
appunto perchè immediate ; immediazione
^ a
priori, e immediamoìte a posteriori.^
Quanto poi al
metodo,
ripetiamo, essi accettano il postulato
carte-
siano, ma
l'accettano nel significato d'inizio anziché
di
principio essenziale e costitutivo della
scienza, non
essendo
al postutto che l'espressione d'un fatto.*
Ma non
senza ragione l' autore della Scienza Nuova
è
venuto dopo 1' autore della Monadologia;
come non
senza
ragione al secolo XVII è succeduto il
secolo XVIII.
Per
più riguardi '1 Vico si lascia
indietro Leibnitz; e
questo
è un terzo motivo per non credere
ch'ei l'or-
meggiasse.
Egli infatti giugno a salvarsi, chi
ne penetri
convenevolmente
il pensiero, da' seguenti difetti: 1*» Se
il
Leibnitz si oppose nel medesimo tempo
all'innatismo
cartesiano
e al nulla innato di Locke, non
perciò riesci
a
stabilire la dottrina della conoscenza,
tuttoché si
studiasse
mettersi in mezzo a questi due
sistemi. Rico-
nobbe certe
primitive inclinazioni, certe predisposizioni,
certe
idee virtuali, non propriamente beli' e
formate.
Ma che
cosa mai sono cotesto idee virtuali?
Lo spirito,
in
altre parole, è innato a sé stesso:
ecco la novità
leibniziana,
quant' al problema del conoscere. Ma
come
è
innato a sé stesso ? Una risposta
più soddisfacente a
*
Lribnitz, Nouv. £«9., IV, 9, 2, pag.
400 e segg., ediz. cit.
'
C*est une propotition de fati fondée
par une expèriemce imme-
diate^ et
ce n'ett pas une propotitton nécestatre.
(Lkibkitz, Nouv. Eu.,
IV, 2,
1, pag. 881.) — Il Vico poi
osserva che il postalato cartesiano c<m-
/onde
la eoacienza con la tcienxa (De
Antiq. Ital. cap. I, § 2), riesce
im-
potente
contro gli teettici (Ibi.), Iwnuga la
vanità, è metodo individuale
inettOf
e ae pud eswr buono a rinvenire
i certi »egni e indubitati del mio
€9»cref
non può eaner buono a ritrovarne le
cagioni (Risp. II. al Oior,
de*
Lett.f § 4). Questo criterio dunque
ha solamente valore come di
norma
direttiva de* fatti immediati, tanto per
V uno quanto per V altro
filosofo.
Sono pregevoli le osservazioni del Bitter
in proposito. Hit, dt
la
Phil. mod. voi. cit., pag, 9Ì.
tal
quesito la troveremo nel Vico. 2* Si
salva dall' idea
volgare
dell'atto creativo ammessa dal Leibnitz.
Gol
che
non intendo affermare che nel filosofo
di Napoli
non vi
sia pure cotesto concetto volgare della
creazione:
dico
solo che, riguardo a tale dottrina,
la coscienza reli-
giosa in
lui è vinta dalla coscienza speculativa
meglio
che
nel Leibnitz. 3" Corregge il doppio
carattere della
facoltà
rappresentativa della monade; insudiciente, tanto
che si
consideri come originaria quanto che come
riflessa,
a
spiegare segnatamente la conoscenza. 4» Non
cade
nel
concetto della indipendenza, della
incomunicabilità
e
moltiplicità inconcepibile degli enti semplici.
5» Si
salva
dalla dottrina d' un' armonia prestabilita
intesa
in
maniera estrinseca, passiva, accidentale, cioè
posta
immediatamente
dal divino arbitrio, per cui ella
riesce
affine,
sotto alcuni rispetti, con la teorica
dell' Occa-
sionalismo.'
6» Finalmente il filosofo italiano supera
il
tedesco
pel gran concetto della storicità inteso
in tre
modi:
a) come fondamento d'una scienza nuova
su le
origini
e sul progresso de' popoli ; 6)
come fondamento
e insieme
compimento vitale del sapere metafisico ;
e) da
ultimo,
come centro attorno a cui s' accolgano
e si rin-
tegrino
a vicenda, attingendo siffattamente un
valor
razionale,
tutte quelle scienze che risguardan la
vita
dello
spirito considerato storicamente, e il cui
risultato
è
racchiuso appunto in quella disciplina che
con bar-
barismo
comodo, secondo l'arguta frase di St.
Mill,
oggi
appelliamo Sociologia.
In una
parola, si può affermare che tanto la
Scienza
*
Giova osservare, secondo il giudizio d*
alcuni critici segnatamente
del
Ritter, che a simile conseguenza conduce
direttamente il concetto
volgare,
il concetto Wolfiano deir armonia
prestabilita anziché quello
che si
potrebbe trarre dalla monadologia leibnizicna
quando fosse in-
terpretata
con animo benigno. Fra le monadi
esiste intima relazione,
ciascuna
d*esse rappresentando tutte le altre. La
monade è unità, e
come
tale ra innanzi alla dualità. Dunque
V armonia ù prestabilita perchè^
è
intima ed essenziale alle cose, non
perche posta, o sovrapposta per
immediata
opera di Dio. Il volgare concetto
WoUiano dell' armonia presta-
bilita non
è sinceramente leibniziano ; e tanto
meno appartiene al Vico.
Nuova
quanto la Monadologia esplichino, inverino
e
correggano
il Cartesianismo. Ma può aifermarsi non
meno
che la prima di queste due scritture
corregga a
sua
volta la, seconda, e la compia.
Sin
qui abbiamo considerato i due filosofi
sotto
doppio
riguardo ; in sé medesimi, e in
relazione al Car-
tesianismo.
Ci sarà permesso ora considerarli di
fronte
al
moto filosofico moderno, segnatamente rispetto
a
quelle
due forme di filosofia che la
speculazione è ve-
nuta
assumendo ne' due paesi d' Europa i
quali sem-
brano meglio
disposti a tal maniera d'indagini.
Capitolo
Ottavo,
delle
due moderne filosofie.
Abbiamo
detto come per due ragioni, l' una
subbiet-
tiva e
r altra istorica, il Vico e il
Leibnitz, tuttoché
ignoti
r un r altro e diversi per
luogo, tempo e condi-
zioni di
vita e d' ingegno, ci palesino cert'
affinità di
indirizzo
speculativo. Ciò che molti hanno affermato
del
filosofo di Lipsia, di non mostrar
carattere spic-
catamente
germanico ma europeo, potrebbe dirsi pari-
menti, ^
forse con più ragione, del filosofo
napoletano
rispetto
all'Italia. Ingegni universali e supremamente
comprensivi,
ci rappresentano entrambi 1' universalità
nel concetto
filosofico, massime quand' e' siano
avvisati
riguardo
al tempo in che vissero, e di
fronte al Car-
tesianismo
che presero a correggere ed innovare.
Pos-
siamo dir
quindi che nelle loro dottrine essi
ci esprimano
com'
una sintesi vasta tuttoché confusa, e
dischiudan
così
due diversi periodi filosofici ne' due
paesi che
nella
eulta Europa sembrano più acconci alla
profonda
speculazione;
dico il periodo filosofico germanico, e
r
italiano. Quant' al Leibnitz, tale sentenza
invero non
troverebbe
molte opposizioni,* se non forse per
parte
d'
alcuni hegeliani, i quali, com' è
noto, non credono di
scoprir
terra salvo che nel Kant, e
propriamente nella
dottrina
su' giudizi sintetici a priori e su
1' attività ori-
ginaria del
pensiero come sorgente delle categorie.
Quanto
poi alla moderna filosofia italiana, io
per me
non
saprei risalire piii in là del Vico,
per tre ragioni
principalmente:
la prima, che in lui ritrovo elementi
metafisici
originali ad una riforma filosofica, più
che
in
altri filosofi antichi o più recenti
di lui: la seconda
che a
lui, meglio che ad altri, s' accosta
la forma e
r
indole e la natura dell' ingegno
italiano, come quella
che
mostra di non essere molto inchinevole
a sbale-
strare
troppo in su, o affogar troppo in
giù, almeno
per
quanto riguarda la speculazione metafisica:
la terza
poi è
questa, che solamente rimontando a lui
sarà pos-
sibile
ricondurre come in un centro, per
così dire, ideale
que'
diversi indirizzi a cui è riescito
nel presente secolo
il
nostro pensiero filosofico. Ci è il
Bruno, mi si dirà
subito.
Ed io lo so: ma so pure esser
egli una cometa,
com'
ebbe a cliiamarlo Hegel ; una cometa
assai più
solitaria
che non sia stato il Vico. E
poi '1 frate Nolano
è
panteista, checché ne dica il Ritter
ed uno de' suoi bio-
grafi di
Francia; e il panteismo, qual che ne
sia la forma
anche
passata per la sottil trafila de'
nostri hegeliani,
non
par cibo pel nostro stomaco, né
soddisfa all' esi-
genza
modesta di nostra mente, appunto perchè
pecca
d' eccesso.
Che se noi vogliamo dir panteista, ad
ogni
modo
parmi non si possa accettare come
rappresentante
del
pensiero nazionale, stantechè la forma
della specu-
* Più
d'una volta il Willin osserva che la
filosofia germanica data
dal
Uibnitz. (ITiat. de la Phil. Allem.y
t. I, Introa. p. 18.) Della mede-
sima
sentenza sembrano lo Schmidt, di cui
abbiamo riferito neir antece-
dente
capitolo un giudizio a questo proposito,
il Cousin e lo Janet nelle
opere
innanzi citate, il Rcmusat [De la
Phil. Allem.), e specialmente lo
storiografo
Barchou de Pcnhotìn, il quale inoltre,
quant' alla nniversa-
lità dell'
ingegno, chiama Leibnitz il filosofo
conciliatore per eccellenza, —
I Vedi
Hit. ds la PhU. depuU leibnitzjiuqu'a
Hegel; Voi. 2. p. 181 , Paris 1836.
lozione
in lui non s'addimostri pienamente
determinata.
Il
Bruno rappresenta T indole stessa del
Rinascimento:
la
lotta, r opposizione, T aiFermazione di
più cose con-
trarie, e,
in somma, l'eterogeneità del pensiero:
talché
nel
leggerlo e meditarlo non sai dire se
1' assoluto in
lui
sia la natura, ovvero un quid
superiore alla natura.
Ci è
anche il Campanella, altri soggiugnerà. Ma,
a non
imboscarci
qui in troppe sottigliezze, basti notare
come
I nel
frate di Stilo faccia difetto l'aspetto
istorico, manchi
I il
concetto e quindi '1 bisogno della storicità,
eh' è per
l'appunto
la febbre del secol nostro, e il
pregio mas-
simo del
Vico. E poi quel senso universale, eh'
è proprio
la
novità del filosofo calabrese, è concepito
in maniera
quasi
meccanica, nel che conviene lo stesso
Spaventa.
Finalmente
il Campanella è un filosofo ddia
restaura^
zione
cattolica, secondo che con verità ha
saputo desi-
gnarlo il
medesimo Spaventa; e tanto meno quindi
potrà
servire
ad un disegno istorico di filosofia.
— Vi è pure il
Pomponazzi.
Ma l'originalità del filosofo mantovano è
doppia;
e riguarda il gran valore ch'egli (a
preferenza
r di
tutt' i filosofi del Rinascimento) dà
al concetto della
vita
pratica, secondo l' osservazione del Ritter
; e l' esser
egli
poi uno schietto materialista, come credono
i più.
Ora un
concetto pratico della vita senz'un
concetto
teoretico
rispondente, non istà; né, d'altra parte,
il
materialismo
ci sembra dottrina che possa scorgere
i
passi
del critico nella storia del pensiero
italiano. Il
Pomponazzi
schietto materialista é una cometa, non
meno
del Bruno panteista. — Citiamo ancora
un altro
nome:
il gran Galileo. Ma, comecché egli
giugnesse ad
accordare
mirabilmente una canna di quell'organo che
a
lui
parve scordato, ninno dirà che il
massimo restaura-
tore della
scienze fisiche fosse un metafisico. — Vogliamo
invocare
san Tommaso? Dapovolgeremmo la storia;
come
precisamente incontr' agli odierni tomisti e
scola-
gizzanti. —
Ci è, finalmente, il Cusano, che potrebb'
es-
ser davvero
segnalato come l'antecedente della nostra
moderna
filosofia, massime considerando que' due
prin-
cipii
ond'ei si disceme da ogn' altro filosofo:
cioè il
concetto
negativo, ma altrettanto necessario in
filo-
sofia, della
dotta ignoranza; e il concetto positivo
del-
l'Alterità
opposta all'Unità, nonché della connessione
intima
(coinplicatio) di tutto nel tutto. Ma
Niccolò di
Cusa,
non ci appartiene.
Chi
volesse quindi rimontare più in su
del Vico, non
potrebbe
fermarsi a questo piìi che a cotesto
filosofo
del
Rinascimento; sia perchè la filosofia d'
alcuni d'essi
non
racchiude in sé tutte le esigenze del
moderno pen-
siero
italiano; sia perchè certi altri
evidentemente danno
in
errori, e però, scambio d'illuminare, ci
abbuierebbero
il
cammino; sia finalmente (ciò che più
monta) perchè
l'impossibilità
di risalirvi si radica sopratutto nel
ca-
rattere
stesso, nella stessa natura di quel
periodo filo^
sofico
e della speculazione di que' filosofi. Mi
spiego.
Nella
storia del nostro pensiero filosofico l'
età del Ri-
nascimento
ci rappresenta, come dire, il conato
vivace,
l'energia profonda
e la forza per quanto rigogliosa
della
speculazione,
altrettanto indisciplinata e intemperante.
Or chi
pigliasse a risalirvi, sarebbe costretto
guardar
que'
filosofi nel loro insieme, avvisarli nel
significato
complessivo
delle svariate ed opposte loro tendenze,
e
queste
venir ragunando, integrandole e compiendole
nel
Vico.
U che quando potessimo qui fare, non
mancherebbe
neanche
a noi modo a riempiere più capitoli
di riscon-
tri ideali
fra lui e il Vanini, il Campanella,
il Bruno,
e, più
in su, il Ficino, il Pomponaccio,
l'Achillini, il
Nifo,
lo ilabarella, il Cesalpino, il Porzio,
e simili. Ma
che
cosa avremmo concluso di po&itivo con
le facili
architetture
de' riscontri ideali? Un vincolo ideale
tra
il
Vico e il Rinascimento si può forse
più agevolmente
I rinvenire
considerando i suoi principii psicologici;
ma,
quant'a
metafisica, ei si collega direttamente,
come
s' è
detto, col Cartesianismo. — A chi poi
talentasse mo-
vere da
qualche filosofo posteriore al Vico, e
sia per
esempio
il Galluppi, evidentemente comincerebbe senza
antecedenti
nostrani, e, a spiegarselo, dovrebbe
riferirsi
alla
scuola Scozzese, al Locke, al Criticismo
e che so io.
Vogliamo
dunque ritrovare un centro, sia pur
ideale,
a cui
riferirci nello studiare con intendimento
critico il
nostro
moderno periodo filosofico? Non e' è
altra via che
questa:
far capo dall'Autore della Sdenta Nuova.
Chi
sapesse
o potesse additarcene altra più acconcia,
gliene
sapremmo
grado. Torniamo intanto al nostro
proposito.
Anche
sotto un altro rispetto il Leibnitz
appare più
fortunato
del Vico: egli esercitò efficacia
grandissima
su la
Germania e su T Europa. Checché
infatti ne dica
il
Ritter a tal riguardo, è noto come
dal concetto mo-
nadologico
partisse quella doppia direzione in clie
poi
s' è
venuto svolgendo il pensiero filosofico
tedesco. *
• Si
può dire che Wolflo, Reimarus, Baumcarten,
Bilfinger, Meyer,
e
potremmo anche citare i nomi di
Mendelssonn, Winckelmann, Lessine,
Herder,
Hamann Ano ad Eberhard e al Platner,
svolgessero un aspetto del
concetto
leibniziano ueirarte, nella religione, nella
filosofia, nella storia, in
parte
esagerandolo, opponendosi a vicenda, e a
vicenda compiendosi. Kant
poi,
che non manca d'aver attinenza col
Lambert e col Tetens, i quali a
lor
volta per mezzo del Wolfianismo si
ricollegano col Leibnitz, ne ri-
piglia r
altro aspetto, e genera siifattamente un
indirizzo assai più ori-
ginale e
più rigoglioso; il quale movendo dalla
posizione del Criticismo
e
passando pel Subbiettivismo Fichtiano, giugne
all'Idealismo obbiettivo
di Schelling,
chiudendo il proprio circolo nell'
Idealismo obbiettivo e as-
soluto di
Hegel. Il Gioberti fra noi s'avvide
d'una relaziono tra Leibnitz
e Kant
laddove osservò che quel filosofo,
attribuendo ad ogni monade
creata
la prerogativa delia monade increata^
spianti la strada alla Jtlo-
Hojìa
critica donde u»ci poi il panteismo.
{Errori FU. fip. 443.) La ragione
data
qui dal Gioberti non sarà molto
accettabile; ad ogni modo egli s'ac-
corse deir
esistenza e della necessità d' un legame
fra i due filosofi. Anche
Spaventa
ha osservato che il Leibnitz prevenne
il Kantismo in maniera o/V>-
ristica
e popolare col suo concetto della
monade. (La FU. di Oiohertif p. 103.)
Più
chiaro e più accoucio di tutti
sembraci il modo col quale il
Chalibosus
pone
relazione fra' successori di Leibnitz.
Kant, egli osserva, col con-
cetto della
cosa in s?, col noumeno, nega
Leibnitz; la scuola di Jacobi
con r
ide& d* un contenuto razionale
accessibile solo al sentimento, s' op-
pone
all'idealismo critico di Kant, e nel
medesimo tempo all'idealismo
subiettivo
di Fichte; mentre la scuola di
Herbart col realismo delle mo-
nadi e
col realismo psicologico, si oppone
all'idealismo obbiettivo e as-
luto
di Schelling e di HegeL (Willm, Op.
cit., p. 87.) Questi due gruppi
rappresentano
un doppio svolgimento del pari esclusivo
del concetto mo-
Men
fortunato del Leibnitz il Vico non
ispiegò gran-
d' efficacia
in Italia, nettampoco in Europa, per
le ra-
gioni ormai
dette e ridette da' suoi critici ed
espositori.
Ma
anche in questo gioverebbe guardarci dal
cadere in
esagerazioni.
Posta la storia della Scienza Nuova
da noi
tracciata,
nessuno, crediamo, vorrà più oltre dubitare
che
l'azione
del filosofo italiano fosse stata nulla,
così ne' suoi
contemporanei,
come ne' suoi seguaci. Legami intimi,
vincoli
speculativi necessari, storici, nou vi sono
; e quindi
è
inutile cercarvi continuità e processo
veramente detto.
Il
Genovesi e '1 Galluppi, per dire un
esempio, tutto-
ché non
ignorassero, in ispecie il primo, le
opere di lui,
scrissero
non pertanto come s' egli non fosse
esistito al
mondo
mai. Verso il sesto lustro del
presente secolo, in
quella
che co' seguaci di Hegel comincia a
declinare il
moto
filosofico originale di Germania, e in
Francia come
in
Inghilterra odonsi i primi rumori del
Positivismo,
vedemmo
come anche fra noi si cominciasse a
sentir
più
acuto il bisogno al filosofare. E
cosi il Mamiani
(il
Mamiani del Rinnovamento), e quasi nel
medesimo
anno
il Rosmini, si provano a rannodar gli
anelli della
nostra
tradizione filosofica, ma con efficacia
assai lieve.
E dico
lieve, perchè, quantunque ella ingagliardisse
vie
più
col crescer degU anni e col
succedersi de' nostri filo-
sofi, non
pertanto pretendere di stabilire in essa
tradi-
zione un
vero processo ed una continuità logicamente
progressiva,
a me sembra vana impresa e, fino
a certo
punto,
anche infruttuosa. Giova ripeterlo: a voler
rin-
tracciare
alcun filo di cotesta tradizione in
maniera posi-
tiva, ciò
è dire storica, né soltanto ideale,
io per me non
iscorgo
altra via tranne quella che noi
abbiamo, anziché
percorsa,
additata; intendo la via che dal Vico
ci mena
ai
nostri ultimi filosofi, ma per mezzo
de' giusnatu-
oadologico;
ma vi ò certamente un progresso fra
1 rappresentanti del
primo
e qaelli del secondo. Vedi per le
notizie particolari di questo
periodo
fllotollco tedesco il Barohoc dr Ponhoem,
Hìh, de la Phil. depuU
UibnitK
juMqu'à Hegel. — BuuLE, Hi9t. de la
PhU,, voi. Vili.
ralisti,
de'sociologisti, de'critici e degli storici
attraverso
i tre
differenti periodi già discorsi. Altre vie
ci saranno,
io lo
so; ma tutte artifiziali, tutte pericolose,
tutte vuote
0
rigonfie de' soliti riscontri ideali che
agli occhi dello
storico
e del critico positivo valgono fin' a
certo segno.
Con la
qual cosa non è a credere che
noi pretendiamo
dare
alla filosofia italiana caratteri e
prerogative eh' ella
non
ha, né può avere di fronte a
quella di Grermania.
Il
professore Spaventa osserva, che la
filosofia italiana
non
costituisce processo, né assomiglia, per
così dire, ad
un
filo che si sgomitoli necessariamente e
razionalmen-
te, com'
é quello che in organismo vivente e
palpitante
annoda l'
Idealismo critico con l' Idealismo assoluto,
mercé
l'Idealismo subbiettivo di Fickte e
l'Idealismo
obbiettivo
di Schelling: non é, in somma,
unevolturìone
strettamente
logica, un dispiegamento serrato, compatto,
e come
chi dicesse inquadrato e chiuso tutto
in sé me-
desimo com'
una severa dimostrazione geometrica. Il
professore
di Napoli dice benissimo. Questo oggi
dicon
tutti;
e questo medesimo ripetiamo anche noi.
Sola-
mente
chiederemmo: non potrebbe stare che cotesto
filar
compatto e processuale; che coteste
filiamoni se-
riali, com'
ha detto lo Spencer ai Positivisti
francesi;
che,
in somma, coteste annodature organiche,
conside-
rate (già
s'intende) nell'ordine istorico, fossero per
avventura
altrettante immaginazioni del nostro cervello,
meglio
che relazioni di fatto a cui ci
spinga la ragione,
meglio
che attinen/ie concrete in cui ci
confermi la
storia?
Annodamenti, giunture, articolazioni intime for-
mano di
certo il pregio massimo della Scienza;
costi-
tuiscono r
essenzial condizione del sistema ; sono
la vita
della
ragione, avvisata come funzione filosofica
e meta-
fisica. Ma
si vorrà dire che tutto ciò sia
anche pregio
e
condizione vitale ove dall'ordine astratto
e teore-
tico e
individuale si discenda in quello delle
applica-
zioni e
della storia, per esempio ad un
periodo storico
nel
quale ci sia dato assistere all'opera
svariata di
molti
ingegni, al lavoro molteplice di più
menti fra loro
diverse
per infinito numero di condizioni,
condizioni
differenti
per luogo, tempo, educazione, carattere
indi-
viduale, e
civiltà? È egli pregio, di grazia, o
non più ve-
ramente
difetto il prendere un dirizzone e
andare sino
in
fondo diritto come fil di spada? E
dov'è, dunque,
la
necessaria moltiplicità di direzioni, e
quella ricchezza
d'aspetti
differenti, e quella varietà di vedute
e di metodi
e
dottrine in cui risiede, a dir
proprio, il moto e l' essere
e la
vita feconda della storia? I quattro
filosofi di Ger-
mania
costituiscono, come dire, una mente sola,
un sol
pensiero;
formano quasi un sol uomo che svolga
e deter-
mini la
propria attività: e, in effetti, come
un sol uomo
essi
hanno saputo filar sillogismi e tesser
la scienza
cosi
da comporre, sto per dire, una catena
salda e com-
patta di
soli quattro anelli.* Per contrario la
filosofia
italiana
non ci pone sott' occhio nulla di
simile. Ella non
è un
processo, o al più è un processo
distratto, rotto,
saltellante,
fatt'a pezzi e a bocconi, Qual
relazione
mai
tra Vico e il Galluppi? tra Galluppi,
Rosmini e
Gioberti?
tra Gioberti e lo scettico Ferrari?
fra Ausonio
critico radicalissimo,
e il cattohcissimo Conti? fra il neo-
platonico
Mamiani e il severo storico Bertini ?
fra' nostri
Hegeliani
e i nostri redivivi Tomisti?
Riconosciamo
francamente i pregi del periodo filo-
sofico
germanico; e non meno francamente
riconosciamo
i
difetti della nostra moderna filosofia
considerata sotto
r
aspetto storico. Ma ci si permetta
una confessione, ed è
che
noi saremmo tentati a scegliere più
presto questi di-
fetti,
anziché que'pregi ; per la semplice
ragione accennata
poco
fa, che gli uni, nella mancanza
d'unità e d'un'euriti-
mia
stecchita e geometrica, ci presentano il
fecondo moto
* Ecco
come il Remnsat riduce quasi a forma
geometrica V anda-
mento
progressivo del pensiero germanico, o
meglio, de* quattro filosofi
in
discorso : L* idea^ dice Kant, non
prova che «d «fe««a : V idea^
ripigìiè
Firkte^
produce Veuere: Videa, soggiunte Schelling^
riproduce V e«itcrc : V idf^,
eondwe
Hegel,, > Vetsere. (De la Phil.
ÀUem,, p. 45.)
del
fatto istorico, dovecchè gli altri, nell'
evoluzione
serrata
e compassata di loro speculazioni, ci
traggono e
e'
incatenano allo spirito dommatico, esclusivo,
unilate-
rale del
filosofare, e perciò medesimo racchiudon la
morte
del
pensiero appunto perchè presumon di
chiudere il
circolo
dello stesso pensiero. Non dimentichino gli
ama-
tori de'
periodi storici filati e serrati, come
la storia
della
scienza e delle grandi età, presso
cui rifulse più
splendido
il pensiero filosofico, stia tutta contro
di loro.
Si
rammentino che nell' età gloriosa del
Rinascimento in
Italia
cotesto filar sottile di speculazione,
cotesto fitto an-
nodarsi di
più scuole e stringersi e allacciarsi
di più filo-
sofi
impersonandosi quasi in un sol filosofo,
non ebbe
luogo.
Non ebbe luogo, checché se ne dica,
nel più celebrato
periodo
che ci presenti la storia del
pensiero umano, il
periodo
della filosofia greca, né prima né
dopo Socrate;
ma in
esso il critico vede una moltiplicità
sempre più
crescente
e feconda da' primi Ionici agli ultimi
Stoici, agli
ultimi
Scettici, agU ultimi Neoplatonici, tuttoché
quelle
scuole
così differenti si fossero succeduta sotto
l' impero
d'una legge
universale, storica e psicologica insieme.^
*
Questa legge conforme alla quale si
venne svolgendo il pensiero spe-
culativo
nelle scuole greche, possiamo trovarla
accennata dal Laerzio
(come
hanno osservato il Brandis e il
Ritter) là dov^egli afferma che
presso
quei popolo la filosofia sMniziò con
la nozione d*una pluralità^ indi
venne
progredendo con quella d* un' assoluta
um'rà, e appresso cercò di
stabilire
una relazione fra' due concetti. E questi
caratteri, in generale,
ci
additano veramente la scuola ionica e
pitagorea, la scuola eleatica
e poi
quelle d'Anassagora e d'Empedocle; ma
sempre in maniera esclu-
siva,
grossolana, oggettiva e naturale. La
comparsa di Socrate segna
un
ricorto della medesima legge, ma con
ben altro significato e indirizzo
razionale.
Accanto a lui vediamo sorgere la
Sofistica: il che vuol dire che,
oome
in ogni ritorno istorico, nel 2fi
periodo della filosofia greca ha luogo
un
doppio lavoro di demolizione e di
ricostruzione; l'uno rappresentato
da'
Sofisti» l'altro da' Socratici. Ond'è che
la sofistica né vuol esser avuta
in
dispregio, come' fanno alcuni fra'quali il
Ritter, e nemmanco esage-
rarne il
valore e l'importanza isterica secondochò
fanno altri, per esem-
pio
l'Hermann, col porre i Sofisti a capo
d'un periodo novello di filoso-
fare. Nella
storia del pensiero greco (passaggio al
2o periodo), tanto
vale
un Sofista, quanto un Socratico; appunto
perchè se la negazione del
primo
non è annullamento di speculazione,
l'affermazione del secondo non
Un
vincolo storico, reale, positivo, cosciente,
lo tro-
viamo fra
Platone e Aristotele. Al di qua e
molto più
al di
là de' due luminari non ci ha
che relazioni ideali,
gran
numero delle quali è, piò che altro,
l'effetto
della
critica armeggiona di certi storiografi;
essendo
già
note le spostature a comodo che son
venute muli-
nando certe
fantasie hegeliane dietro l'esempio del
maestro,
ponendo, per dime una, dopo la scuola
Zeno-
niana d'
Elea quella d' Eraclito, con aperta
smentita
della
storia, de' fatti, della cronologia e
de' dati storici
più
sicuri, e considerando Socrate, per dirne
un'altra,
come
logicamente posteriore ai Sofisti, mentre è
noto
.come
il gran figliuolo dell'umile Fenareta fosse
loro
contemporaneo!
Rammentiamoci che cotesti lambicchi
e
distillatoi, cui si pretende sottoporre la
storia, non
ti può
dir neanche posizione sistematica, ovvero
esplicazione organica d'nn
dato
ordln d' idee. Ma la ricostmzione
rappresentata da Socrate è essen-
zialmente
psicologica ed etica, non più naturale,
empirica ed estrinseca ;
stantechè
in loi, come incontra in ogni ricorto
ttoricOf ripetesi il ca-
rattere
della pluralità oggettiva (però come
eoncetH, i quali importano
la
coscienza), e quindi in Platone ed
Aristotele si ripetono, ma trasfl-
gorati,
gli altri due caratteri. Platone infatti
pone V unità assoluta in
8Ò,
mentre che Aristotele si studia ritracciare
una relazione fra quel-
la mmo
e il moluplieet sforzandosi di levare
il dissidio fra 1* immanenza
deU*a8ffoInto
nel mondo, e la permanenza del mondo
neir assoluto avvi-
sato in
sé stesso. Dopo il *i<* periodo,
al solito, un altro ricorto^ ma di-
verso da'
due primi; essendo che ben altre e
assai più complesse e più
disparate
cagioni promossero la filosofia greca,
neoplatonica e giudaica.
1!
prof. Bertini nel suo ultimo lavoro
ha accennato con verità a' tre ca-
ratteri per
cai si distinguono i tre periodi, o
meglio i tre ricorsi del
perìodo
filosofico del pensiero greco: nel ì"
delquali predomina il natura-
lismo; nel
2« primeggia la dialettica e T
antropologia; nel 3" finalmente
prevale
il tradizionalismo e il misticismo. Quel
che importa notare è
questo;
ohe cotesta legg«, sia che la
s'intenda nella forma datale dal
Bertini,
o in quella da noi rapidamente
accennata seguendo V idea di Dio-
gene
Laerzio, non è legge dialettica^ a
priori^ oMoluta e neanche orga-
nica, nel
senso che pretendono gli storiografi
Hegeliani. È una legge a
cui
soggiacciono, come vedremo, tutte quante le
scienze ; ma è di natura
essenzialmente
psicologica, perchè ritrova nella psicologia
ogni suo fon-
damento,
precisamente come la gran Ugge tetoriea
del Vico, della quale
essa
non è altro, com'è facile capire, che
un'applicazione allo svolgi-
mento del
pensiero filosofico greco.
ebber
luogo nel periodo della Scolastica, appo
cui No-
minalisti e
Realisti, Tomisti e interpreti aristotelici
arabi,
greci, latini e italiani, comecché avvinti
al giogo
della
fede, compieron ciò nullamanco tale un
lavoro di
riflessione
teologica svariata, senza cui sarebbe stata
im-
presa vana
ogni risorgimento nel secolo XV e
XVI; il
perchè
un dotto critico non dubita segnalare
il risultato
generale
del periodo scolastico come la prima
insur-
rezione
dello spirito moderno contro V autorità.^
E ri-
cordiamoci,
finalmente, che cotesta vagheggiata e acca-
rezzata
maniera di processo non ha avuto
luogo nel
periodo
supremamente ricco e rigoglioso del
Cartesia-
nismo nel
secolo XVII.*
Se
adunque tali sviluppi compatti e serrati,
e questo
considerare
più scuole come una sola scuola, e
più menti
com'una
mente, e più sistemi come un sistema,
non
ha
potuto aver luogo in veruno de' più
segnalati periodi
storici
della filosofia, non è da concludere
che, se pur
nei
tempi moderni ciò ha potuto verificarsi
in Germania
dal
1760 al 1830, non altro sia stato
che una bella ec-
cezione? Ora
un'eccezione non vale a confermarci nella
regola?
0 presumeremmo forse d'elevare a dignità
di
legge
un'eccezione? Se non che, cotesto innalzare
a leggi
le
eccezioni non ci arreca punto maraviglia.
La preten-
sione di
chi celebra la misurata compattezza della
specu-
lazione
germanica è una conseguenza che pullula
im-
prescindibilmente
dalle viscere del sistema nel quale,
per la
necessità di una stessa legge, il
concetto dell' in-
dividualità
sfiima, assorbita dal generale, e riducesi
ad
apparenza,
a fenomeno, ad accidente, così nell'ordine
ideale
e speculativo, come nell' ordine civile,
politico e
sociale.
— Ma dunque (mi si chiederà qui)
vorreste voi
*
Barthblkmy Saint-Hilairb, i>0 la Log,
d^Ari»U^ T. U,
19^.
' n
Barchou de Penho^ln dice anche lui
non di rado, come il Boul-
lier,
qualche enormità tutta francese. Per
esempio questa, che Cartesio,
Spinoza
e Malebranche formino una mrd4>nlmn
icuofa^ e una ntf^itm dot'
trino/ —
Vedi Op. cit., p. 101.
discredere
ad ogni processo istorico nel pensiero
filoso-
fico? Tutt'
altro! L'esigenza del processo, in tutto,
non è
meno
salda e men vivace nella nostra, che
nella vostra
mente.
In noi non sistematici assoluti eli'
è piii vera,
più
legittima, più pratica, positiva : ecco
la nostra pre-
tensione.
Sarà puerile o troppo ardita cotesta
pTeten-
sione
: ma, fra tante pretensioni che c'è
al mondo, e delle
quali
si mostrano cotanto ricchi gli annali
della filo-
sofia, non
ci potrà capir anche questa? Un
processo nel
pensiero
filosofico, tanto nella storia universale
come
ne'
suoi differenti periodi e sin nelle
diverse scuole d'un
sol
periodo, ci ha da essere; e ci
ha da essere appunto
perchè
la storia, anche agli occhi nostri, è
sempre
l'opera
d'un disegno. Ma poiché l'incarnazione di
co-
testo
disegno non è soltanto effetto di
pensiero inco-
sciente, ma
è la risultante di condizioni molte,
svariate,
complesse
per numero e complicate per natura,
fra cui
signoreggiano
le intuizioni, prevalgono i sentimenti,
pri-
meggiano le
tendenze istintive; ne seguita che il
pro-
cesso non
può manifestare, come si pretenderebbe, una
forma
squisitamente organica e seriale, Ei debb'
essere
incompiuto,
com' avviene d' ogn' altro fatto storico.
Or
s'egli
è incompiuto, non bisognerà pur compierlo?
E chi
potrà
compierlo, chi potrà integrarlo fuorché il
pensiero
che lo
studia e sommette alla propria
speculazione?
Un
processo dunque ci ha da essere; ma
ha da
essere
insieme obbiettivo e subbiettivo, storico e
specu-
lativo,
essendo l' opera combinata non già dalla
nostra
fantasia,
com' è vezzo di certi storiografi che
annodano,
per
esempio, Cartesio e Kant co' fili ch'ei
sanno mae-
strevolmente
rimaneggiare a tutto lor profitto, bensì
r
opera combinata fra il pensiero che
fa, e il pensiero
che, facendo,
vede, scopre e progredisce e sale
sempre
più in
su. Spieghiamoci meglio. Non si tratta
di com-
binare fra
loro le diverse menti de' filosofi d'un
dato
periodo:
si tratta di combinar tutto il
periodo, o, per
lo
meno, i risultati di tutta la
speculazione d' un dato
periodo
filosofico, con noi medesimi, cioè con
la nostra
mente,
co' bisogni della presente speculazione.
Nel primo
caso,
plasmando a nostra immagine e simiglianza
una
data
serie di dottrine e di filosofi, la
storia sarebbe
fatta
da noi : nel secondo, invece, ella
sarebbe fatta mercè
una
doppia forza, in virtù d'una doppia
leva; cioè da
sé
stessa, e anche da noi. Non è
quindi la storia, la
storia
come storia, quella che possa e deva
render com-
patto
organando appuntino il processo; il quale
perciò
non
può esser costituito nella sua forma
organica da più
scuole
e da più menti considerate queste
alla maniera
d'una
scuola od' una mente; bensì dev'esser fatto
tale
da
chi, venendo dopo, è deputato a
raccoglierne l'ere-
dità. Se
non fosse così che cosa ne
seguirebbe? Ne
seguirebbe
che per nessun miracolo al mondo
sapremmo
salvarci
da questa conseguenza: che, cioè, la
storia
della
scienza s' identificherebbe, si compenetrerebbe
con
la
scienza stessa;* e quindi per inevitabil
necessità do-
vremmo
giungere ad uno di questi due
corollari: cre-
dere, cioè,
0 che il sapore filosofico 1' avremmo
oggi
beli' e
conseguito, o che noi conseguiremmo
giammai,
essendo
indefiniti i limiti della storia. Dimodoché
do-
vremmo,
com'è evidente, imbrancarci o con gli
Hege-
liani,
ovvero co' Positivisti. E, se co' primi,
non avremmo
torto
dijicantar su tutt'i tuoni d'aver già
piantato le
colonne
d'Ercole; né, se co' secondi, c'inganneremmo
menomamente
nel predicare illusorie le speranze d' un
sapere
propriamente scientifico e metafisico.
La
condizione dunque del processo istorico del
pen-
siero
filosofico non istà nell'esserci fUicusione
e continuità
ne' suoi
rappresentanti: basterà che ci sia
svolgimento
e
progresso, e quindi vincoli ideali ove
sieno impossi-
bili gli
storici; i quali non di rado è
impresa ben vana
il
cercare, non potendo esistere, o, pur
esistendo, non
* È
questo, coni* è noto, ano de* dommi
supremi deU* Hegeliauismo,
(Tedi
Hrocl, Logique^ Introd, § XIII) e del
Positivismo, tuttoché il si-
gnificato ne
sia diverso. —-Vedi CoirrB e Littbì
nelle Op. innanzi citate.
sarebbero
che eccezioni. Anche noi quindi crediamo
che
nella
storia della filosofia c'è attinenze; ma
aggiungiamo
che
c'è anche salti: e se c'è attinenze
e salti, la conse-
guenza
(conseguenza buona solamente per noi,
anziché
per
gli aggomitolatori e sgomitolatori de'
periodi storici)
è
questa, che una critica è necessaria;
necessaria una
critica
filosofica atta a scoprire le une, e
colmare gli
altri.
Tornando ora al proposito, nella storia
della filo-
sofia
italian«r ci è salti, per esempio,
fra Bruno e il
Vico,
fra il Vico e il Galluppi, fra
il Galluppi e il
Rosmini
e il Gioberti: ma non ce ne
maraviglieremo
per
ciò, sapendo che se questo non è
pregio, non può dirsi
nemmanco
difetto. Poiché il punto, ad ogni
modo, sta
nel
vedere se tomi possibile scoprirvi una
progressione
ideale;
e questa per appunto debb' esser l'opera
con-
corde de'
viventi filosofi, e il frutto d' una
storia savia-
mente
critica.
Nulla
infatti è inutile nella storia della
scienza, e
tantp
meno in quella della filosofia. Agli
occhi dello
storico
spiegano egual valore tanto il moto
speculativo
attuatosi
dal Leibnitz ad Hegel, quanto quello
che, pur
con
varietà d'indirizzi, è venuto effettuandosi
fra noi dal
Vico
al Gioberti. Nello svolgersi di*questi due
periodi
filosofici
potremo verificare una gran legge; la
legge
medesima
che presiede alla storia generale del
pensiero
filosofico.
Mi spiego subito e in brevi termini,
anticipando
un'
idea che altrove giustificherò. Platonismo
e Aristote-
lismo sono
due parole di significato altamente
compren-
sivo per
la storia della filosofia occidentale. Non
sola-
mente elle
racchiudono una legge che ritrae la
natura
del
processo isterico della filosofia,* ma
cotesta lor legge
è
anche principio, un principio d'indole
teoretica. Non
v' è
infatti, né v' è stato filosofo, il
quale non si possa
dir
seguace dell' uno o dell' altro
indirizzo, ovvero
d'entrambi,
ma accordati e accostati insieme in
uno
* Tedi
la nota di qaesto medesimo Cap. a
pa^. 196.
de'
tanti modi tentati e ritentati già
fino da antico, a
contare
da Cicerone a Boezio, da Boezio a
Bessarione,
e
dagli altri molti che nel Rinascimento
si provarono
in
simili accordi, fino al Rosmini. D'altra
parte chi
pigli
per poco a filosofare con serietà
scientifica an-
ziché da
burla, come par che vogliano fare
oggi critici e
positivisti,
non può a meno di non riconoscer
nelle cose
un
fondamento assoluto. Ora tal fondamento
assoluto non
può
esser posto tranne che in uno di
questi tre modi: o
nel
senso dell' idea platonica, o nel
significato della cate-
goria
aristotelica, ovvero in una terza maniera
nella quale
tomi
possibile un accordo fra l'esigenza
dell'uno, e quella
dell'
altro indirizzo. Qual debba esser la
natura di tale
accordo
e come porlo in opera, diremo
altrove. Qui giova
avvertire
che siffatta legge non solo racchiude
il nodo,
per
così dire, della storia della filosofia,
tanto guai-data
neir insieme
del suo svolgimento universale quanto nei
suoi
particolari periodi, ma costituisce ad un
tempo la
vera
scienza della storia del pensiero
speculativo, appunto
perchè
forma il triplice aspetto sotto cui
può esser con-
siderata in
sé medesima la mente del filosofo
nella so-
luzione del
problema metafisico. Si dirà per avventura
che
cotesta maniera di considerare la storia
del pensiero
filosofico
sia merce hegeliana? Può darsi che in
appa-
renza la
si dimostri tale. Ma fin d'ora
avvertiamo che
cosiffatto
principio è superiore all' hegelianismo stesso,
in
quanto costituisce il criterio col quale
potrà esser
giudicato
il valore speculativo di quel sistema.
Tornando
al proposito, posto il Cartesianismo, Leib-
nitz e
Vico non potevan essei-e, e nel fatto
non sono,
né
puri platonici, né puri aristotelici. Essi
bensì ci espri-
mono il
conato verso un accostamento scambievoli
dei
due
indirizzi; tale essendo il valore della
loro universa-
lità, e
di quella sintesi confusa ond' inaugurano,
come
avvertimmo,
i due periodi moderni della filosofia
te-
desca e
italiana: i quali perciò, rappresentando
l'ana-
lisi,
costituiscono il lavoro a cui
necessariamente con-
duce
quella sintesi. Invero dopo Leibnitz in
Germania
e dopo
il Vico in Italia, la filosofia
assume, tanto nel-
l'uno quanto
nell'altro paese, il vecchio contenuto, ma
sotto
novelle forme: da una parte, la
filosofia fondata
nel
sentimento, e l'idealismo assoluto; dall'altra,
lo
psicologismo
scolastico, e l'ontologismo: indirizzi più
0 meno
esagerati del platonismo e dell'
aristotelismo.
E
lasciando qui de' due aspetti vieti della
filosofia ger-
manica e
dell'italiana, le due forme che in
esse ad-
dimostrano
più spiccata originalità rassomigliano quasi
a due
correnti che riescono a due punti fra
loro op-
posti e
contrari, e sono la filosofia ctisiologica,
e quella
dell'assoluta
identità. Se nella prima vi è, come
s'è
detto,
processo e continuità di sviluppo ;
nella seconda
non
manca già un carattere comune tra i
suoi propu-
gnatori, n
Teismo fra noi è venuto assumendo
evi-
dentemente
forma sempre più netta, meno impaccia-
ta, men
grossolana; perchè se il concetto
religioso,
per
dime un esempio, agli -occhi del
Galluppi e del
Rosmini
e del Gioberti costituisce un elemento
essen-
ziale
nell'organamento del loro sistema, la
rdigion civile
di cui
ci parla il Mamiani, è una parola
com' un' altra;
una
parola che non dice nulla, o
pochissimo; e pure
ha
fatto e fa tanto comodo all' autore
! Questo processo
e
questo risultato della filosofia itaUana è
come una
risultante
di più forze: fra cui è da
notare innanzi
tutto
r educazione storica tradizionale e
cattolica, la
forma
e natura speciale dell'ingegno italiano non
così
facile,
come dissi, a dar negli estremi, e
segnatamente
gl'influssi
della stessa filosofia germanica. Queste ed
altre
cagioni partoriscono il movimento filosofico
in
Italia
nel nostro secolo. Il pensiero filosofico
nostrano
(e qui
han ragione gli Hegeliani) è venuto
promosso,
eccitato
dal pensiero germanico ; a quel modo,
potremmo
dire,
che le diverse forme di filosofia nel
XV e XVI
del
nostro Risorgimento vennero eccitate dal
sùbito
risvegliarsi
della filosofia greca e platonica; da'
com-
Aatori
arabi e aristotelici delle scuole di
Padova,
/bologna,
di Firenze. Il Criticismo esercita grande
Zone
sili GaJluppi; e le tre forme
dell'Idealismo ger-
n/anico,
subbiettivo obbiettivo ed assoluto, spiegano
alla
lor volta influssi potenti, immediati sul
Gioberti e
sul
Rosmini, come ci dimostrano la Protologia
del primo
e Ja
Teosofia del secondo, e anche in gran
parte sul
Msaniani.
Ma se è vero, com' è verissimo,
che i nostri
filosofi
han procacciato d'ormeggiare i Tedeschi, e
questi
sono
valsi ad eccitare in quelli piìi
gagliarda la virtù
speculativa;
è altrettanto vero che gì' Italiani mai
non
cessaron
di combattere le pretensioni sistematiche
as-
solute del
Germanismo; e questo è un altro
carattere
comune
che li distingue. Si può dire, in
somma, che
il
pensiero italiano sia venuto affilando le
armi nella
fucina
dello stesso avversario: ecco tutto.
Di chi
sarà il trionfo? Chi canterà gl'inni
della
vittoria
?
Parliamoci
tondo e netto. Il trionfo dell'
Ontologi-
smo e
del Neoplatonismo, come ci è dato da'
nostri filo-
sofi, è
un' illusione ; ma non sarà meno
illusione il
trionfo
dell' Idealismo assoluto. Noi dunque non
faremo
festa
ne all' uno ne all' altro, né
batteremo le mani alla
vittoria
del Grermanismo né dell'Italianismo, per la
semplice
ragione che in siffatt' ordin di cose
le credute
vittorie
ci paiono sogni di menti ammalate.
Queste due
scuole,
queste due filosofie (ci sia permesso
stringerle
entrambe
sotto due concetti o indirizzi distinti)
ci rap-
presentano
la speculazione ardita del nostro secolo;
ma
per
opposte ragioni si dilungano entrambe dalla
casti-
gatezza
della sintesi ontologica, discostandosi in
pari
tempo
dalla severità del metodo istorico e
psicologico.
Sennoncthè,
oggi segnatamente, chi ben le guardi,
elle
cercano
allearsi e compiersi a vicenda, giusto
perchè
rappresentano
e riproducono anch'esse l'antica lotta
fra r
Aristotelismo e il Platonismo, tanto in
sé stessa
e nel
loro insieme, quanto nelle loro particolari
divi-
sioni,
esprìmendoci perciò il bisogno perenne e
crescente
di
quell'accordo sperato sempre, ma non attinto
mai.
Questo
panni, dunque, tutto il significato del
loro svol-
gimento; e
questo mi sembra il problema alla cui
so-
luzione elle
s' affaticano da un secolo e mezzo a
questa
parte.
Non è egli giusto quindi affermare
che chi spera
nel
trionfo assoluto dell'una su l'altra spera
invano, e
chi s'
affida in certi accordi e temperamenti
in sostanza
esclusivi
e unilaterali non ispera peggio? Citiamone
un
esempio.
Il Gioberti dello Spaventa, lavoro (checché
se
ne
dica dagli hegelianissimi) d'una potenza
critica vera-
ramente
singolare fra noi dopo i libri del
Rosmini, nelle
intenzioni
dell' autore dovrebb' essere un accordo
tra la
filosofia italiana,
e la così detta filosofia moderna
Euro-
pea.
Lasciando stare quel moderna e molto
piii Y europea
(frase,
la quale a me rammenta quella che
han su la
punta
della lingua i Pontefici di Roma
quando costoro
menan
vanto de' creduti e desiderati dugento
milioni di
cattolici),
io chiederei, se il fare assorbire à
quel modo
eh'
egli ha fatto il filosofo italiano
dal filosofo tedesco,
sia da
dirsi accordo, o non più veramente un
solenne
trionfo
del secondo sul primo, e quindi '1
trionfo asso-
luto del
divenire sul creare? ¥* allora dov'è mai
l'ac-
cordo fra
le due filosofie?
Un
accordo, come suona la parola, è
necessario, ed
è
razionale; che posta l'analisi, posto il
lavoro anali-
tico di
quel doppio indirizzo, una sintesi ne
dovrà sgor-
gare di
necessità. E il fatto stesso ce ne
porge prova
e
guarentigia. Il Mamiani, l'autore delle
Confessioni^
ha pronunziato,
fira le altre, questa gran verità:
d'aver
egli
concluso e chiuso, fra noi, un
periodo filosofico nel
quale
egli stesso, col Galluppi e col
Rosmini e col Gio-
berti, è
venuto cogliendo allori molti, e ben
meritati.
L'À.
delle Confessioni ha detto benissimo: ha
chiuso dav-
vero un
periodo ; ma solo ha dimenticato
avvertirci che
in
esso egU ha chiuso anche sé medesimo.
Chi consi-
deri infatti
il suo neoplatonismo, per quel tanto
che
contiene
di correzione verso gli altri nostri
filosofi,
l'illustre
Pesarese ha merito grande; ma avvisato
in
sé
stesso cotesto neoplatonismo, specie quant'
alla parte
psicologica,
è già morto in sul nascere. E
doveva esser
così,
almeno per chi voglia ammettere che
la storia
della
filosofia non possa esser ripetizione
inutile e in-
fruttuosa di
teoriche trascendentali. D'altra parte l'He-
gelianismo,
checché se ne voglia dire, ha oggimai
esau-
rito la
propria vitalità con lo scindersi nello
tre note
scuole
di destra, sinistra e centro. Oggi
dunque non è
impossibile
raccorre i frutti di così lungo, di
così osti-
nato lavoro,
e di lotte e contrasti e discussioni
infinite
attuatesi
nei due paesi, appo cui l' ingegno
europeo
serba
piii acconcia e vigorosa virtù speculativa.
A tale
impresa hann'
influito efficacemente i nostri hegeliani,
r
opera dei quali riguardata stòiicamente, io
non du-
biterei
chiamarla provvidenziale. Nelle mani di
questo
infaticabile
artefice che appelliamo storia, i nostri
he-
geliani
sono, mi si lasci dir così, un
istrumento, un
mezzo,
acciocché nel possibile accordo delle due
filo-
sofie abbia
a trionfare il vero. Più che apostoli
e messia
e
predicatori della buona novella, com' essi
medesimi si
piaccion
segnalarsi, sia col tradurre le opere
di Hegel,
come
fa il Vera, sia col modificarne e
interpretarne le
dottrine,
come fa Spaventa, e' mi paion la
condizione
imprescindibile,
efficace, perché il pensiero filosofico
possa
innovare sé stesso nella pienezza d' una
coscienza
speculativa
chiara, intima, vivace, sceverando dal vero
quel
carattere arbitrario di costruzioni dommatiche
il
quale
accompagna i pronunziati dell' Idealismo
assoluto.
L'
Hegelianismo é cosa nostra: lo ha
detto il profes-
sore
Spaventa; ed é verissimo. Ma é cosa
nostra in
quanto
è anche un assoluto realismo; realismo
obbiet-
tivo nel
vero senso della parola, non già
campato a
mezz'aria,
com'è quello di Hegel, il quale
perciò usurpa,
non
legittima il significato della obbiettività.
Ripetiamolo:
se la filosofia ha bisogno d'innovarsi
esi- i
stro \
ica. i
diventando
positiva e razionalmente positiva, tale esi
genza
del pensiero italiano e tedesco, pia
che dal nostro
cervello,
ha da scaturire dalla stessa ragione
istorica
Osservando
lo svolgersi di queste due forme del
pen-
siero
filosofico moderno, è facile accorgersi
com'elle
assomiglino
(ci si permetta un paragone) al
cammino
di due
linee le quali, partendo lontane fra
loro, nondi-
meno si
vadano accostando sempreppiù. L'una s'è
mossa
prima
dell' altra ; e assai più spedita
e più rapida ne' suoi
passi
e difilatamente ha percorso assai più
lungo tratto
che
non abbia guadagnato la seconda. Questa
poi s' è
mossa
dopo, e spesso è venuta sviando e
svagando per
più e
diverse ragioni; ma, non altrimenti che ne'
feno-
meni
elettrici d'induzione, passo passo ne ha
sentito
gì'
influssi, e le si è venuta più
e più avvicinando. Un
punto
di coincidenza, dunque, fra queste due
linee con-
vergenti è
necessario; ma la grave difficoltà sta
nel
trovare
cotesto punto. Usciamo di figura. Se
i due pe-
riodi
filosofici nel dischiudersi per opera del
Leibnitz
e del
Vico mostrano, come vedemmo, cert' affinità
spontanea
e incosciente, è pur mestieri che cotest'
affi-
nità s'abbia
da palesare altresì nel loro chiudersi;
ma
s' ha
da palesare cosciente, riflessa, e quindi
promossa,
eccitata,
ricercata e partorita dalla stessa ragione
come
funzione
filosofica. E pensiero moderno debbe aver
coscienza
di tale affinità: né può averla se
non la
cerca;
né può cercarla efficacemente se non
la pone.'
*
Ninno si meraTigli se fra* vari
indirìzzi moderni della filosofia noi
qui
non abbiamo tenuto conto altro cbe
della speculazione tedesca, e
dell*
italiana. L' ingregno inglese procede sempre
a un modo, ne da due
secoli
A questa parto ò mai uscito dalle
orme segnategli dal suo Bacone,
e poi
dal Locke, da Hume e dalla Scuola
scozzese. Spencer e Mill ce *1
dicono
chiaramente ; ne* quali filosofi è
pur chiaro un progresso rispetto
ai
loro antecessori, ma è un progresso
monotono, omogeneo. L* ingegno
francese
poi, dopo le grandi tracce lasciategli
dal Cartesianismo, si è
svolto
sempre fra 11 Sensismo eil un acquoso
Spiritualismo ; né la scuola
eclettica,
i cut ultimi rappresentanti oggi fan
tanto onore alla Francia,
ha
nulla di veramente originale. )£ una
bella eccezione in quel paese la
scuola
e gli studi iniziati dal Main^de
Biran. Se dunque originalità di
Italia
e Glermania, madri d'ogni grande filosofia
e dìvi-
natrici
delle più ardite concezioni metafisiche,
per ne-
cessità
isterica hann'a risalire alle loro
primitive sor-
genti
moderne, Leibnitz e Vico ; ma
risalirvi (intendia-
moci) con
tutta quell'opulenta ricchezza che a noi
porge
il lavoro di specukzione compiutasi nello
spazio
di due
secoli. Il trionfo ha da esser
comune, perchè
comune,
quantunque diviso, è stato il lungo
lavoro.
Se non
fosse cosi, la conseguenza, per le
menti che
con
ansia febbrile e con ignorati e
crudeli tormenti
ma con
altrettanta fede si travagliano invittamente
nella
ricerca d'ogni parte spinosa della verità,
sa-
rebbe dura
davvero, sarebbe sconfortevole. E la con-
seguenza è,
che la storia sarebbe un' ingiustizia
: ingiu-
stizia
altrettanto manifesta e insopportabile, quanto
inesplicabile.
Ancora : se questi due periodi,
queste due
filosofie
di cui si parla, non avessero quelle
attinenze e
quel
valore e quel fine che noi diciamo,
elle assomiglie-
rebbero a
due forze distratte, inconsapevoU, naturali,
sciolte
da ogni legge, libere da ogni
ragione; sì vera-
mente che
le analogie e le differenze e
l'intero loro
svolgimento
sarebbero tutte cose accidentali, estrinseche,
meccaniche,
fortuite, e perciò stesso empiriche, perciò
stesso
inesplicabili, perciò stesso insignificanti, non
al-
trimenti che
que' riscontri ingegnosi ma vani, ma
incon-
cludenti,
che alcuni storici sanno scorgere fi-a
la storia
d'un
popolo, e quella d'un altro, fra la
China, per esempio,
e
l'Europa, tra Confucio e Pitagora, fra
il Celeste Impero
e il
Teocratismo papale, come fa il nostro
Ferrari. Or noi
domandiamo
alla coscienza di tutti gl'indefessi
indagatori
del
vero; domandiamo alla coscienza degli amici
sinceri
e de'
sinceri nemici della filosofia : È
egli mai possibile
speculazione
oggi è possibile, è d' uopo ricercarla,
quantunque sotto
forme
diverse e con risultato e valore
differente, nell* ingegno tedesco e
italiano.
So che gli Hegel ianissimi sorrideranno di
gran cuore a queste
parole.
Ma io qui vo* restringermi a chiedere,
se da quarantanni a
questa
parte fuori d* Italia ci sìa stato
filosofo che possa reggere al para-
gone
dell'ingegno del Rosmini, miracoloso per
acutezxa speculativa.
che la
storia, massime la storia del pensiero
filosofico,
abbia
da essere, o un' opera cotanto
ingiusta, ovvero un
artifizio
cotanto sterile, infruttuoso e meccanico?
Concludo
per ciò che riguarda il nostro
filosofo
nonché
la seconda parte del nostro lavoro.
Si è detto
e si
dice che il Vico non ispiegò
efficacia di sorta nel
soQ.
secolo. E poi s' aggiunge che, quand'
ei venne sco-
perto (e
fu vera scoperta) noi già l' avevamo
sorpassato.
Sarà
vera V una cosa e l' altra. Ma
gli uomini grandi
e ì grandi
ingegni, se vogliamo stare all'
osservazione
di
Stuart Mill, i quali per difetto di
favorevoli oc-
casioni non
poteron lasciare traccia alcuna di sé
nella
loro
età, spesso sono stati di gran valore
per i posteri.*
Tale
per noi è il Vico; e tale si
é pure la sua Scienza
Nuova.
S'ei nulla valse pe' nostri padri (il
che non è
vero),
vale moltissimo per noi. Solamente in
lui potremo
rannodar
gli anelli della nostra tradizione
scientifica:
in lui
ricongiugnere il nostro Rinascimento col
nostro
moderno
Risorgimento. Per andare avanti debitamente,
come
suona il motto volgare, è d' uopo
dare un passo
indietro
: Chi vuol salire, pigli V aire.
Se questo é vero,
se
questo é necessario in tutto; non
sarà altrettanto
vero,
altrettanto necessario in filosofia?
Con
sifi'atti intendimenti noi prendiamo ad
interpre-
tare il
principio filosofico della Scienza Nuova. L'
acuto
Littré
lia detto benissimo: Tout annonce gu'on
ne verrà
plus
aucune grande éruption métaphysigue, comparàble
à
celles qui otit signaU Vére moderne
depuis Descartes,
et qui
ont abouti à HegeV Ma la conseguenza
vera non
è
quella che ne trae il positivista
francese, bensì quella
che ne
ricaviamo noi : e tal conseguenza é
la necessità
di
critica, la necessità di ritomo critico
su la feconda
speculazione
degli ultimi grandi filosofi, e quindi
la ne-
cessità d'un
accordo fra essi.
'
St. Mill. SytL de Log., toI. 2, pag. 545.
*
LiTTRi, Princ de Phtl. Poeit., Pré/,,
pag. 59, Paris, 1868,
Il
concetto della Scienza e '1 concetto
del Criterio si
richiamano
a vicenda, poiché non si può
determinar l'uno
senza
additare nel medesimo tempo il significato
del-
l' altro.
La prova più facile e megUo
convincente di tale
affermazione
ci è data dalla storia della
filosofia; non
v'essendo
sistema, non dottrina filosofica, nella
quale
que'
due concetti non rispondan fra loro
per caratteri
comuni,
e per note affini ed omogenee. E
poiché applicare
il
criterio vai come imprimere forma al
conoscere, onde
poi
risulta il metodo; è naturale che,
tanto l' idea della
scienza,
quanto quella del criterio, abbiano a
racchiu-
dere altresì
la nozione del metodo. Se non che,
scienza
metodo
e criterio sono tre concetti dipendenti
dalla
soluzione d'
un medesimo problema, del problema della
conoscenza:
nel quale perciò si radica propriamente,
direbbe
il Trendelemburg, l' ultima differenza de'
siste-
mi. Sono
dunque tre aspetti diversi, sono tre
diverse
determinazioni
d'un medesimo subbietto; le quali noi
non
possiamo definire, ma espUcare, stanteché
la defi-
nizione,
secondo il detto di Campanella, sia
come la
conclusione
e quasi l' epilogo della scienza stessa.
Nel
circolo
della riflessione infatti la mente,
ripiegandosi
in sé
medesima si compie, si pone, si
determina, cioè
si
definisce; e si definisce perchè si è
venuta esplicando;
e con
r esplicarsi mostra col fatto che cos'è
mai T in-
tendere,
quali vie abbia percorso, e con che
guarentigie
si
possa pervenire ai risultamenti più sicuri
del sapere.
Nondimeno
ci è cose che noi potremo sapere
fino
da ora
; voglio dire le condizioni del
sapere. In che mai
dobbiamo
fondare la scienza? In che porre i
limiti del
sapere
metafisico? I più de' filosofi, com'
è noto, si fanno
tosto
a rispondere: « su la natura e
sul valore dell'uomo
stesso.
» Ma il punto è precisamente questo:
qual' è mai
la
natura, qual è il valore dell' uomo
? La risposta più
seria
e positiva a tale domanda, se non
vogliamo per-
derci nelle
solite ciance trascendentali, panni questa:
che
l'uomo, l'uomo quale ci è dato da'
fatti e dalla
storia,
non l' uomo concepito sotto forma di
spirito del
mondo
{der WéUgeisf), non sia tutto, e
nemmanco nulla : *
di che
ci porgono guarentigia nel medesimo tempo
la
coscienza,
l'esperienza e la ragione. Ora se
questo è vero,
due
conseguenze n'emergono innegabili; la prima,
che
la
scienza, tolta nel significato di sapere
metafisico,
non
può esser né propriamente negativa, né
propria-
mente
assoluta; la seconda, che non si può
esser siste-
matici e
dommatici, non essendo noi tanto fortunati
da
possedere
una formola assoluta entro cui mostrar
chiusa
la
ragione ultima e propriamente essenziale
delle cose.
Ma
diremo perciò che il filosofare altro
non possa essere
fuorché
una pura e semplice ricerca sfornita
di qual si
voglia
risultamento metafisico che sia positivo,
sicuro,
determinato?'
Che se anche per noi filosofia suona
ri-
' Homo
quia neque nthU e«(, neqite omnia^
nee nihil percipit, nec in,'
Jinitum,
— De sntiqaiss. Italoram sapientia, cap.
Ili, 16.
*
Filosofo dommatieo e filosofo nttematioo
a$8oluto per noi suona il
medesimo,
anche ammesso che un sistema possa
esser costruito per sola
Tìrtù
di ragione, e innalzato (se fosse
possibile) ad evidenza matematica,
secondo
che pretendon gli Hegeliani. Il dommatismo
volgare, teologico,
fondandosi
in un principio estrinseco alla ragione,
è da ripudiarsi per
difetto;
ne conveniamo. Ma il dommatismo sistematico
de* metafisici as-
solati col
pretender troppo, anzi tutto, non è
da ripudiarsi per eccesso ?
Différiscon
ne' mezzi infinitamente, io lo so ;
ma il risultato è il mede-
cerca
e amor di sapere, nondimeno è ricerca
effettiva,
è
ricerca non solo atta a raccogliere
il fatto, ma tale che
sia un
fare altresì ella medesima, cioè una
funzione cri-
tica, ma
efficace, positiva, attuale, come può e
debb'es-
sere
dopo il Kant; funzione quindi capace
non già a ri-
mandarci al
futuro, cioè ai risultati della storia,
sibbene
a
saperci dire qualcosa anc' oggi su'
grandi e terribili
problemi
di nostra esistenza, del mondo, della
vita, della
società.
Se la scienza è possibile, come
alcuni, positivisti
cominciano
a credere,* non vuol essere in
qualche ma-
niera
attuale? Poiché, giova bene ripeterlo anche
qui,
un
possibile che mai non esca dalla nuda
possibilità, in
realtà
non è alti*o che un impossibile!
È da
dire perciò che tanto V idealista
assoluto o
l'ontologista
Giobertiano, i quali in una formola,
tut-
toché
diversissima, ti assommano la ragione
d'ogni umano
e
divino sapere, quanto il positivista e
il puro critico
che
ogni sapere metafisico dichiarano impossibile,
escano
tutti
dal positivo, perchè chiudon l'indagine, e
spen-
gono
siffattamente ogni bisogno critico nel
pensiero. E
così
neir uno come nell' altro caso, la
mente si rimane
impigliata
in un' affermazione supremamente domma-
tica:
dommatica positiva (sistematica) nel primo,
dom-
matica
negativa (esclusione della metafisica) nel
secondo.
Or la
filosofia intanto può assumere forma e
valore di
speculaziope
positiva, in quanto riesce a schivare
non
pure
il donmiatismo (il sistema assòluto
propriamente
detto),
ma eziandio l'assoluto positivismo (scetticismo,
nullismo
metafisico). Fra questi contrari il
filosofo che
Simo,
perchè Tano con la credenza e l'altro
con la dimostrazione pre-
samono
darci tutto il vero. Entrambi quindi
negano 1* attività speculatÌTa;
il
primo la nega dichiarando la ragione
impotente, il secondo la nega
reputandola
esauribile anzi esaurita e soddisfatta. Che
nel]* insieme delle
dottrine
del Vico non vi sia pretensione di
gUtema propriamente detto,
Tabbiam
visto riportando (pag. 173) alcune parole
della Conchu. del
Libro
MetaJUieot e meglio si può vedere
laddov*egli accenna ai dom-
matici
del suo tempo ch'erano i Cartesiani.—
De Antiqui^, etc., Gap. I, § 2.
' Vedi
la Conclus. dell'ultimo libro del Taine
suìV Intelliyenza,
voglia
esser davvero positivo, sa di non
esser domma-
tico;
ma poi sa qualche altra cosa. Egli
sa di non po-
ter esser
mai dommatico, non mai sistematico
assoluto.
Sa di
non saper tutto, e, che più monta,
può giugnere
a
conoscere la ragione per cui deve
ignorare qualche
cosa.
È il caso del sapere del non
sapere, appunto per-
chè se
ne ha coscienza. — E non è
ignoranza cotesta?
mi si
dirà. — Sì, certo, è ignoranza: ma
è ignoranza
dotta,
direbbe il Cusano.
Tre ci
sembrano adunque le condizioni, tre i
carat-
teri
precipui del filosofare che voglia riescire
seriamente
e
razionalmente positivo; e sono questi:
A) La
speculazione filosofica non può esser fon-
data sopra
elementi che non siano sperimentali, ma
di
esperienza
intema ed esterna. Tutto è processo,
genesi,
attività
nel pensiero; stantechè tutto in lui
sia generato,
tutto
edotto mercè i dati sperimentali. Né
questo vuol
dire
sensismo, psicologismo grossolano, nettampoco ma-
terialismo
ed empirismo, come potrebbe parere a
tutta
prima;
perocché non per nulla ne' ricchi
annali della
moderna
filosofia esistono, chi voglia meditarli
sul serio,
i
Nuovi Saggi del Leibnitz, la Critica
della Ragion pura
e
quella sul Giudizio di Kant, il Nuovo
Saggio del Ros-
mini, e
qualche altro libro di questo genere,
ma non
certo d'
egual valore. Fatti dunque (ripetiamo anche
noi
co'
Positivisti) e leggi de' fatti ; ma,
aggiungiamo, la
ragione
anche degli uni e dell'altre.
B) La
filosofia non meriterà titolo di positiva,
dove
pretenda
procedere scompagnata dall' altre scienze,
e
far da
sé. Come nella soluzione de' grandi
problemi que-
ste non
bastano a sé stesse, parimenti non v'
è ragione
a
credere che anche quella da sola non
abbia a soggia-
cere alla
medesima condizione. Che se mossa da
antico
orgoglio
presuma d'essere scienza di tutto, per
ciò ap-
punto eli'
abbisogna di tutto; abbisogna di tutt'i
fatti,
di
tutta r esperienza, del concorso di
tutte quante le
sfere
e discipline dell' lunana enciclopedia. Il
perchè non
si può
dire in modo assoluto esser la
metafisica quella che
generi
le scienze; vecchia pretensione del
teologismo
che ci
ricaccerebbe nel più fitto medio evo:
ma nean-
che si
può aflFermare esser le scienze quelle
che, come
altrove
notammo, possano di per sé sole
partorire la
filosofia.
A due patti la funzione filosofica
riesce posi-
tiva: quando
sia generata dalle scienze, e quando,
ge-
nerata che
sia in qual si voglia modo, possa
e sappia
come
ogni produzione organica viver da sé,
e far vi-
vere. Non
è dunque vero che all'altre discipline
ella
porga
principii e dispensi metodi e partecipi
criteri. Ri-
ceve anzi
dal di fuori tutte queste cose; ma
per legit-
timarle,
organarle, ricrearle : il che non può
esser rico-
nosciuto dal
positivista conseguente a sé stesso, senza
ch'egli
inciampichi in contraddizioni per quanto
evidenti
altrettanto
inevitabili.
C) Il
terzo carattere, conseguenza da' due primi,
è
questo;
che concepita così la filosofia di
fronte alle altre
scienze,
ella riesce positiva, ma non però cessa
di posse-
dere un
valore metafisico. Diventa metafisica, non
meta-
fisica
teologica, né metafisica a priori e
tutta d'un pezzo;
orditura
dialettica ideale somigliante a rete d'
acciaio che
stringa,
affoghi e strozzi tutto ciò che tocca
o ricopre.
Diventa
bensì metafisica atta a costruire sé
stessa, ma in
quanto
costruisce anche le scienze; in quanto,
in somma,
é
attività filosofica d'un' attività anteriore,
dell'attività
scientifica,
sperimentale, molteplice, essenzialmente ana-
litica e
particolare. Non é quindi lecito
confondere,
né
identificare queste due sorgenti d'attività,
sia ridu-
cendo la
prima alla seconda, sia facendo che
questa
venga
tutta assorbita in quella. Evidentemente
con-
traddiremmo
ad un fatto; contraddiremmo al bisogno
potente
in ogni tempo, in ogni luogo per
la specula-
zione.
Perocché non è possibile (per dirla
con le me-
morabili
parole di Kant) che V uomo rinunei
alla me-
tafisica,
come non rinunzia cMa respiratone anche
con
la
paura di respirare uri aria malefica.
Queste
condizioni che noi poniamo alla ricerca filo-
sofica sono,
quanto semplici, altrettanto positive. Non
è
a
dirsi eh' elle precludano e arrestino
in modo alcuno la
funzione
critica, secondo che incontra tanto ai
nemici
d'ogni
sistema, quant' ai sistematici assoluti.
Nel deter-
minare
infatti la natura e '1 fine della
scienza, i primi
ci
dicono: « non bisogna tentar V
impossibile prefiggen-
doci '1
fine di conoscere VinconoscìbUe, Tassoluto.
» Ecco
posta
al sapere una condizione essenzialmente
negativa,
perchè
contraddice alla natura stessa del pensiero
e del-
l' attività
critica.* I secondi poi, cioè i
sistematici, so-
stengono che
la scienza non solo può e deve
attingere
r
assoluto, ma ha da ridurlo trasparente
così da ade-
quarlo, da
conoscerlo sicuti esty altrimenti vai come
nulla
conoscere.*
Ma se cotesto conoscere (metafisicamente)
il
tutto, fosse un bel sogno; non ne
verrebbe che nulla
* I
poBitWisti credono anch* essi no fatto
il bisogrno specalativo ; e
come
fatto noi negano. Ma dopo aver
distinto quel che in esso ?* ha
di
permanente,
cioè la presenza perpetua dell'infinito
nollo spirito, da ciò
che è transeunte,
eh' è dire 1* inutile sforzo a
risolverò problemi per se
medesimi
insolubili, sogrgiungono : e Se l'Assoluto
è qualche cosa, non può
essere
che una realtà. Ora og^ni realtà si conosce
mercè l'esperienza, la
quale,
del resto, non potendosi applicare
all'Assoluto, ci fa piombare In
un
circolo senza uscita. Dunque la metafisica
e una fase tratmtorta dello
•pirito
umano, » (Littré, Prineip. de Phtl.
Posiu Prófac. p. 53, 1868.) In-
nanzi tutto
domandiamo, se condizione permanente del
fatto, che nel
caso
nostro è il bisogno della speculazione,
ò la presenza nel pensiero
d'un
infinito, non sarà appunto per ciò
possibile una ricerca metafisica?
Quant'all'inutile
sforzo poi non approda fondarsi nella
storia, non potendo
in
siffatt' ordin di cose indurre
legittimamente dal passato al futuro.
Finalmente,
quant'al circolo senz'uscita, osserviamo che
l'assoluto è reale,
realissimo,
ma non di realtà sensata e tangibile
; e non è vero che ogni
realtà
non si possa altrimenti conoscere se
non per l'esperienza ; errore
capitale
del Positivismo. Queste ed altre risposte
han dato al Littré i
medesimi
francesi, specialmente Janet, Caro, Vacherot,
Rénouvier, Pillon,
Reville,
Laugel. A noi piace rammentargli un'altra
bella sentenza d'un
filosofo
poco fa citato non certamente benevolo
ai matefisici: Una me-
tajinca
è tempre enttita e tempre eneterà
nell* umanità^ perche etto ì ine-
rente
alle invettigagioni della ragione umana che
epecìda. — E. Kant, Critica
ddUi
Ragion Pura^ noli' Introd. alla 2.* odiz.
§ 1.
"
Niente ni conosce te tutto non ti
conotce. — Spaventa, Lex. di FU.
p.
154. — Vrba, specialmente nell' /n<rod.
à la PkU. d'Hegel.
davvero
potremmo dir di conoscere appunto perchè
non
conosciamo
tutto? Ecco anche qui posta una
condizione
al
sapere affatto negativa, comecché paia
essenzial-
mente e
supremamente positiva. Certo è positiva; ma
è
positiva solo nel desiderio, solo nelle
intenzioni e
pretensioni
de^ sistematici, non già nel fatto,
non già
ne'
risultati della scienza ch'ei ci
ammanniscono.
Al
contrario, condizioni positive del filosofare
ci
sembran
quelle da noi poco fa rammentate,
massime
la
prima ; nella quale, se non
escludiamo la possibilità,
non
ammettiamo né pur Timpossibilità, l'assoluto
difetto
d'un
conoscere metafisico. Escludiamo bensì
l'autorità:
e
dicendo autorità intendiamo dir tutto ciò
che non sia
ragione;
come dicendo ragione, intendiamo dire
altresì
la
storia, i fatti, la natura, la
tradizione scientifica, ma
avvisate
queste cose come altrettanti mezzi ond'ella
si
manifesta
e progredisce e riconosce sempre piii
chiara
l'opera
propria nel lungo e faticoso lavoro
deUa storia.
Capitolo
Primo,
dottrina
della scienza e del criterio.
Si è
detto e si dice che il sapere,
le scienze, l'en-
ciclopedia,
siano quel che sono le cose stesse:
un orga-
nismo. E
s'è detto benissimo. Ma che è egli
mai l'or-
ganismo? Che
cos' è la vita?
Se
neanche per noi è vero che l'
organismo, in ge-
nerale,
abbia a rampollare dalla virtù d'un
principio
vitale,
come credevano i vecchi fisiologi
dinamisti, nul-
lamanco
è verissimo ch'egli ha da raccogliersi,
per così
dire,
in un principio, e integrarsi in una
forma d' unità.
Se
cosi non fosse, il concetto d' organismo
tornerebbe
altrettanto
inintelligibile nel pensiero quanto impossibile
nell'ordine
della realtà. La vita è innanzi tutto
unione
iniziale,
concorso rudimentale delle comuni efficienze
di
natura chimica, fisica e meccanica;
appresso vuol
esser
anche unità, unità resultante^ unità vera,
stan-
techè
vivere non sia che generazione incessante,
in-
cessante
attività, e quindi processo essenzialmente
te-
leologico. Simigliantemente
nella vita delle scienze,
condizione
imprescindibile è un principio; e questo
principio
ha da emei^ere dal loro medesimo
seno, ma
non
per sola virtù di esse. Perocché,
dicemmo, non
più
che in due modi e per due
ragioni la filosofia po-
trebbe
scaturir dalle scienze; o perchè racchiusa
in
ciascuna
d' esse, o perchè contenuta nel loro
insieme :
non
v'è scampo. Se vero il primo caso,
ciascuna sarebbe
già
filosofia, e basterebbe a sé medesima.
Se vero il se-
condo,
servirebbe conoscerle tutte per possedere
altresì
la
filosofia, e dirci filosofi; o, che
torna il medesimo,
basterebbe
accozzarle tutte, basterebbe possederle, per
aver
l'organismo del sapere. Coteste supposizioni
sono
entrambe
erronee; e quindi sorgente unica e
assoluta
del
filosofare non possono esser le scienze,
comunque
le si
voghan considerare.
La
conseguenza che vien fuori da questo nostro
di-
scorso ci
sembra assai logica e altrettanto chiara.
La
Scienza,
il sapere per via di scienza, non
istà nello svol-
gimentó
d^un principio (Gioberti e Rosmini). Non
istà
nemmanco
in un principio che legittimi sé
stesso in quanto
si
faccia sistema, si svolga, s'attui, si
realizzi (Fichte,
Schelling,
Hegel). Né, finalmente, consiste in un
racco-
gliersi
successivo, in un progressivo adunarsi
verso un
principio
di là da venire, ed emergente dalla
virtù stessa
di
cotesto successivo e progressivo adunamento
di par-
ticolari
(Positivisti). Nel primo caso il principio
sarebbe
dato,
vuoi per intuito, vuoi pel verbo
della società, della
tradizione, dell'autorità;
e così moveremmo sempre, o
da un
a priori, ovvero da una condizione
estrinseca e su-
periore al
pensiero. Nel secondo sarebbe posto
indipen-
dentemente
dall' esperienza, e riesciremmo ad una
posi-
zione
formale, arbitraria, relativa, subbiettiva. Nel
terzo,
finalmente,
dovrebb' essere indotto; e faremmo opera
vana,
non potendo dal meno indurre il più.
Nelle due
prime
posizioni costringeremmo nelle catene d'un
si-
stema e
nelle strettoie d'una formola la vita
libera, lo
svolgimento
autonomo delle scienze: in mentre che
nella
terza contraddiremmo, come s' è detto nel
Pream-
bolo, all'
esigenza speculativa e metafisica della
ragio-
ne, eh' è
dire ad un fatto; sì che dovremmo
reputare
affezione
morbosa, malattia, quel bisogno acuto,
crescente
d'una
scienza superiore intomo a cui si
travaglian le
menti
più robuste che ci presenti la storia
del pensiero
umano
da Platone a Leibnitz, da Aristotele
a Kant.
Che
cosa dunque ha da essere, o meglio,
che cosa
può
esser la scienza? Ha da essere bensì
adunamento
successivo,
induttivo, integrativo delle particolari disci-
pline; ma
fatto per opera dell'attività organatrice,
del-
l'energia
eduttiva del pensiero. Ond' accade che
se un
criterio
a questa composizione organica è necessario,
cotesto
criterio ha da sorgere innanzi tutto
dalle viscere
stesse
del processo isterico della scienza
(Positivismo) ;
ma
soltanto il pensiero, soltanto l'attività
riflessa della
mente
potrà imprimergli forma, valore e dignità
di prin-
cipio
(Hegelianismo). Poiché se è vero che
il pensiero
nasce
dalla storia, nondimeno la supera. S'è
vero che
abbisogna
assolutamente di fatti, U trascende. E
s' è
vero
eh' egli riesce impotente senza 1'
esperienza, ciò
nullameno
la compie. La chimica, 1' astronomia,
nel
loro
processo istorico, son venute progredendo a
questo
o a
quel modo, secondo questa o quella
legge. Or in
cotesta
legge appunto giace il criterio atto
a farci pon-
derare con
giusta misura il valor razionale della
scienza
stessa.
Ma a levare a dignità di principio
siffatto cri-
terio non
bastan le scienze stesse, ne basta la
storia;
perchè
noi permettono i confini entro cui
ciascuna di
esse
ha da svolgersi; noi consentono i
metodi che eia-
scuna
ha da porre in opera conforme la
natura del
proprio
obbietto; e noi concede l'indole del
fine inverso
a cui
ciascuna si va travagliando. Infatti un
ordine di
cognizioni
piglia forma di scienza, quando può
assu-
mere valore
d'individualità; ed è individualità, quando
riesca
autonoma nel metodo, e indipendente nelle
con-
clusioni. Or
quest' autonomia e questa scambievole in-
dipendenza
tengono alla peculiarità del fine cui
cia-
scuna
scienza studiasi di pervenire. Talché, dove
una di
esse
vahchi per avventura i propri confini,
ella smar-
risce il
segno cui mira, si confonde con le
altre disci-
pline, e
turbando l' ordine e le scambievoU
dipendenze
delle
diverse sfere di cognizioni, finisce per
negare il
proprio
obbietto, e per annullare sé medesima.
E s'an-
nulla,
perchè pretende diventar generale, in
mentre che
per
vivere, cioè per essere quella che è
(scienza), ha
da
mantenersi particolare, anzi rendersi vie
più parti-
colare.
S'annulla, perchè pretende assumer valore
d'iji-
dagine
metafisica, mentre vuole, mentre debb' esser
ri-
cerca
limitata e speciale. S'annulla, in somma,
perchè
presume
diventar filosofia, mentre vuole e debb'
essere
scienz3..
Di
questi medesimi diritti e di questi
medesimi do-
veri ha
da godere la così detta Scienza
Prima. Anch' ella
è
autonoma nel suo metodo, perchè anch'olla
è indi-
pendente nel
suo fine. E in vero, tutto il
nodo della que-
stione
riguardante le sorti della metafisica parmi
con-
sista nel
vedere, se di là da' fini peculiari
attorno a cui
travagliansi
le discipline speciali, sia possibile
ricercare
un
fine superiore, universale, e diverso dagli
altri. L'im-
poesibiUtà
a proporci cotalfine dovrebbe tenere all'
ob-
bietto,
ovvero al soggetto. Or né tutte le
cose è dato
all'uomo
scandagliare in tutt' i lor fini e
sotto tutti gli
aspetti,
né il pensiero è da reputarsi fonte
esaurita o
esauribile
mai d'attività indagatrice e speculativa.
Un
sapere
superiore adunque è possibile, prestandosi
a ciò ,
tanto
le condizioni del soggetto, quanto quelle
dell'og-
getto,
voglio dire del pensiero e dell'essere.
Ed è quindi
possibile
una scienza la quale, anziché rappresentare
un
puro e
semplice risultamento di tutte Y altre
sfere di
cognizioni,
assuma nel medesimo tempo natura di
risul-
tamento e
forma di principio. Solo in questo
senso la
filosofia
può esser detta a priori. E solo
in questo si-
gnificato
ella può esser la ricerca ddF
assòluto nelle
cose,
0, eh' è il medesimo, la ricerca
dell'unità nella
vita
dell'essere e del pensiero. Di guisa
che nel men-
tre riesce
intimamente collegata con l' enciclopedia se-
condo
l'attinenza che congiugne il condizionato
alla
propria
condizione, nullamanco se ne distingue
essen-
zialmente in
grazia del fine al quale è
indirizzata.
Se
dunque la filosofia è possibile al
solo patto che
sia
un' indagine del fine de' fini
scrutati nelle differenti
materie
dalle diverse discipline, vuol dire ch'ella
è scienza
inferiore
e insieme superiore alle altre, ma
sotto aspetto
diverso.
È inferiore, in quanto essa ha da
conoscere i
lor
fini; e col conoscerne i fini non
è lecito che ne
ignori
i mezzi, che vuol dire ha da
conoscer le scienze
tutte,
ha da presupporle come essenzial condizione
di
processo
: talché conoscendole nei lor mezzi e
più nei lor
fini,
accade che queste si presentino precisamente
come
le
virtù, cioè indimsibtli, secondo la bella
osservazione
del
nostro filosofo.* Ma é poi superiore;
ed é superiore
perché,
ripetiamo, dee possedere anch' ella un
proprio
fine
da scrutare. E così resterà pur
sempre vera quella
vecchia
sentenza cui seppe levarsi la speculazione
del
pensiero
greco circa l'obbietto dalla metafisica:
rxvryiv
To3v
nptùroìif a^j^wv xat atrt<av «cvac
Ostapvjrtxriv,^ Nel che
com'è
noto, consentirono i filosofi tutti,
platonici o
aristotelici
che fossero, e consente non meno chi
non
sia
scettico dichiarato; perocché senza l'universale
la
'
Vico: Scientìa namque eàdem natura aunt
qua virtuUt. (De Mente
Heroica.
Op. voi. VI, p. 119.)
'
Abist., Afetaph. I, 2. Al medesimo
concetto giunge Socrate, quan-
tunque per
esclusione, nel Teeuto, vedi pref. del
Consin al dettò dialogo.
scienza
è davvero impossibile. Che se anche i
Positi-
visti ci
parlano spesso e volentieri dell'
universale, cote-
sta
loro universalità, chi ben la guardi,
è complessità,
cioè
l'universale implicato nel particolare, non
istac-
cato
da esso, né ad esso superiore. Ond'
avviene che il
sapere
complesso di cui si vantano costoro
non è l' as-
soluto
sapere, o meglio, non è il sapere
qualcosa d' as-
soluto ;
poiché ristringendosi a voler conoscere non
altro
che
leggi, non pervengono aUa ragione di
queste leggi,
né
alla ragione de' fatti, stanteché le
leggi non siano
altro
che fatti.*
Ma se
una scienza superiore alle altre é
possibile in
quant'è
possibile la ricerca d'un fine
corrispondente, tal
superiorità
riesce sempre essenzialmente relativa. Ond'
è
che la
boria de' metafisici e de' teologisti
nel segnalarci
la
filosofia col titolo di scientia
scientiarum oggi vuol es-
sere
attenuata e corretta. EU' é scienza
delle sdenee non
perché,
come dicemmo, possa imporre alle altre
metodi
e
principii; sì perché da queste debb'ella
accoglier ciò
che dall'
accertata lor induzione risulta sicuro, o
con
sicurezza
conghietturato, ovvero con esperimenti attivi
guarentito.
A tal riguardo le scienze dominano la
filo-
sofia; e
la dominano sol perché possono, debbono
imporle
i
propri Insultati. E qui l' antica
genitrice, anziché si-
gnora,
debb'essere ancella: tanto che, se un
Giorgio Hegel
pretenda
per avventura sorpassare la virtù del
calcolo
e la
potenza del telescopio dell' astronomia,
all' astro-
' L*
illustre H. Spencer dice che la
filosofia debb' esser la cogninont
eompletamente
unificata (Firtz Principlet^ 2* ed. Londra
1867, Somm. e
Condas.).
Altrove la chiama cognizione del più
alto grado di generalità:
ù
KnowUdge of the highett degree of
genercdily (Ibi, p. 181). Altrove an-
cora osserva
che la filosofia è costituita in
guisa da levare a piCi alta
generalità
le generalità delle scienze; e quel
che le generalità d*una
scienza
fanno rispetto ai particolari, lo stesso
facciano le generalità filosofi-
che rispetto
alle prime (Ibi, p. 134).— Siamo sempre
al medesimo difetto.
Che
cos* è quest' unijìccuione t Che cos*
è V alto grado di generalità t
£
pure
lo Spencer, fra tutti i positivisti,
è il più chiaro, il più lucido
sì nel
concepire
come nell* esporre la propria dottrina; ma
nel fissare T oggetto
della
filosofia, come si vede, è anch* bgli
assai vago e indeterminato.
nomo
sarà pur lecito sorriderne, e compatirlo.
Semion-
chè r
ipotesi, la parte opinabile, conghietturale,
è pro-
pria delle
discipline particolari, massime di quelle
d'or-
dine fisico.
L'ipotesi è, per dirla così, lo
strascico che
aqcompagna
sempre la mente dello scienziato : è
l' om-
bra ishe
tien dietro all'induzione, e spesso la
precede.
E non
potendo ella aver luogo in quelle
notizie indut-
tive
emergenti da un' esperienza immediata e
stretta-
mente
particolare, piglia forma generale, e
rappresenta
ed
esprime la ragione d'una data serie
di fatti. Cosi
avviene
che, non cessando d' essere ipotesi, han
pure un
valore
universale la dottrina, per esempio, degl'imponde-
rabili
sull'esistenza dell' etere in fisica, la
teorica del-
l'atomicità
in chimica, della gravità in fisica,
del prin-
cipio
biologico in fisiologia. Or la filosofia
è sdenea dette
scienze
anche nel senso eh' ella è chiamata
a raccogliere e
legittimare
in guisa razionale e metafisica siffatti
risultati
d'indole
ipotetica che l'esperienza non può, o
tarda a ve-
rificare.
Ella dee compierli, deve integrarU ;
e a tale scopo
si
studia metterli in relazione al fine
peculiare e supe-
riore
ch'essa, come indagine metafisica),, procaccia
di con-
seguire. In
-questo caso la filosofia, anzi che
ancella, è
signora
di se : e dove qualche Buchner
presumerà, tra-
passando i
limiti segnatigli dall'esperienza, di
trastullarsi
con
quella famigerata astrazione d'un Dio
materia eh' è
insieme
forza, o d' un Assoluto forza eh' è
insieme esten-
sione, il
filosofo, non altrimenti che il suddetto
astro-
nomo di
Hegel, potrà, dovrà sorridere alle
affrettate
conclusioni
di lui. Che in tal caso cotesto
Buchner qua-
lunque non
è altrimenti un naturalista e sperimenta-
tore
paziente e riservato con in mano la
squadra e '1
compasso,
la bilancia e '1 microscopio, ma è
un siste-
matico fatto
cieco, e tramenato anche lui dalla
solita
boria de'
metafisici e de' dommatici.
Di qua
poi nasce che la filosofia davvero
positiva
non
sa, non vuol parlare d'alberi genealogici,
ne d'en-
ciclopedia;
non di piramidi nelle scienze alla
maniera dei
sistematici
assoluti, net^mpoco di scale, di coordina-
menti e
sistemcufWfii e gerarchie nel sapere a
mo' dei
Positivisti
francesi. Tutte queste soompartizioni gerar-
chiche e
genealogiche riescon sistematiche e artifiziali;
e sono
quindi altrettante catene alla libera
individualità
di
ciascuna scienza: il perchè non diciamo
che il sapere
umano
somigli ad alberi, né a piramidi, ma
piuttosto,
applicando
qui un profondo concetto del Bruno,
ad al-
trettanti
circoli fra loro annodati, e quasi
toccantisi per
la
circonferenza. Il centro è comune a
tutti, ma non ri-
siede in
alcuno. Che se altri volesse servirsi
d'una figura
meglio
appropriata, potrebbe assomigliare V economia
e
la
costituzione delle scienze a quella
porzione del sistema
nervoso
che domandasi della vita organica, cioè
al gran
simpatico;
appo cui l'unità della vita pone
radice per
entro
ad una moltitudine di centri e di
fochi vitali e di
gangli
sparsi, difiusi per V organismo,
indipendenti fra
loro,
e pur collegatissimi nel fine della
vita organica.
L'assolutismo
nelle scienze partorisce il medesimo
efietto
che nella vita sociale: rallenta e
dissecca e spegne
addirittura
l'attività individuale. Tiranna infatti è
la
divisione
enciclopedica del Gioberti; la cui tripUce
scom-
partizione
fondasi tutta ne' due membri della
nota for-
mola
ctisiologica, nonché nella relazione di
essi.* Che
se
nelle opere postume ei ci parla d'una
scienza il cui
fine
ha da esser V analisi del principio
costiltdivo ddlo
spirito,^
cotesto, al solito, è a riguardarsi
com'una di
quelle
felici inconseguenze in che non di
rado sdruc-
ciolò quella
mente privilegiata. E se nelle opere
postu-
me al
concetto della Ontologia venne sostituendo
quello
della
Protologia; cotesto principio protologico, inteso
come
fondamento e come criterio enciclopedico,
non ap-
pare men
dommatico del principio ontologico che neUe
prime
opere egli poneva siccome base della
distribuzione
organica
delle scienze. La Protologia, egli dice,
è la filo-
'
GiOBBBTi, Introd, alla FU.^ voi. Ili,
pag. 5 e segg., ed. cit.
■
Idem, ProUÀogìa, toI. 1. Saggio 1.
De' Principii, p. 96.
sofia;
e la filosofia è scienza di Dio
e di tutte quante le
cose
in quanto a Dio si riferiscano, e
con lui si connet-
tono,* —
Tiranna e dispotica non meno, anzi
più, la divi-
sione
enciclopedica di Hegel. Nella qyale poiché
i tre mo-
menti della
scienza devon esser quelli della stessa
Idea,
avviene
che il processo logico debba riescire
identico al
processo
reale, non altrimenti che la logica è
sostanzial-
mente
identica all'ontologia, e ciascuna scienza
servire
alla
legge dialettica qual riprova e conferma
della for-
mola
ideale assoluta. Se è vero, com' è
verissimo, che
r
Idealismo assoluto non è altro, a
guardarlo bene, che
V algebra
del naturalismo, come con espressione
felicissima
fu
designato da un filosofo francese,* dov'
è piii possibile,
io
chiederò, l' autonomia di ciascuna scienza?
Non deve
anzi
costringerle così e forzare i risultati
ad obbedire al
supremo
principio? Il processo di Hegel, ha
detto un
critico
eh' è insieme filosofo e naturalista
di prima riga,
è
essenzialmente suicida (essentiaUy suicidai); e
quindi
la
classificazione che ne scaturisce è senz'
alcun fonda-
mento serio
e positivo.'
E al
modo che non sono da accettarsi gli
alberi
genealogici
de' metafisici dommatici, non è a far
buon
viso
neanche alle classificazioni gerarchiche onde
ci par-
lano i
positivisti. Perchè se gli uni riescono
ad annul-
lare la
individuale autonomia delle varie sfere
dello sci-
bile col
porre in cima alla piramide una
scienza madre
ond'
ogn' altr' abbia a rampollare, ad un
risultato somi-
gliante
riescon gli altri, laddove, scambio di
porre in
principio
cotesta scienza tiranna cui tutte le
altre son
deputate
a servire, la pongono in fine di
tutte. Tal si è
per V
appunto la Sociologia, com' è intesa
da positivisti
* Il
prof. Spaventa dice che il pregio
della distribazione enciclope-
dica del
Gioberti è V unità concreta della
SeienMa cui perviene il JU080/0
subalpino
(Introd. alle Lez. ec. p. 149).
Cotesto ò precisamente il sao
difetto
!
-*
Saissbt, Gritique et Hitt. de la PAtf.,*
Paris, 1866.
' H.
Spemobb, E9%ay9 Scientifica Politicai, and
Speculative^ Londra, 1868.
Voi.
I., p. 128.
francesi.
Ma intorno a questa dottrina giova
spendere
poche
parole.
La
genesi, e quindi T ordinamento delle
umane disci-
pline, tiene
al concetto stesso della scienza e a
quello se-
gnatamente
della filosofia; ond'il significato differente
di
questo vale ad imprimere a quella
diverso valore, non
che
diversa estensione. La genesi delle
scienze, per i
positivisti,
riesce empirica. Perchè? perchè tale è
il
concetto
eh' ei ci danno della filosofia. Or
una divisione
enciclopedica
che torni razionalmente positiva può solo
conseguirsi
quando soddisfi a questa condizione;
ch'ella,
cioè,
risulti ad un'ora dalla storia, e
dalla psicologia;
0
meglio, che possa rispondere tanto al
processo iste-
rico, quant'
al processo psicologico. Ai Positivisti
vien
meno
tale condizione, tuttoché sia da
riconoscere i molti
pregi
del loro concetto enciclopedico. Fra essi,
quelli
che
meritino special menzione a tal proposito
sono
due,
il Comte e lo Spencer. Il primo
considera la
genesi
delle scienze in modo assolutamente
obbiettivo
e
storico: il secondo in maniera affatto
subbiettiva,
psicologica,
ideale. Ma tanto l'uno quanto l'altro,
se-
gnatajnente
il primo, sono lontani dall' aver
determi-
nato il
criterio del vero ordinamento, e della
vera ge-
nesi
razionale dell' enciclopedia. Nel positivista
francese
primeggia,
al solito, il principio della continuità,
della
dipendenza
assoluta, e d' un vincolo indissociabile
e
strettamente
gerarchico fra le discipline più semplici
ed
elementari, e quelle piìi composte e
complesse. Nel-
r inglese,
al contrario, predomina il principio
opposto;
quello
dell' indipendenza, dell' autonomia, e
dell' indivi-
dualismo
nella differente costituzione delle divei*se
sfere
di
conoscenze. Di modo che, dove per l'
uno il criterio
classificativo
sgorga dalla natura e dall'ordine stesso
delle
proprietà delle cose ; per l' altro
consiste nel modo
come
s'apprendono cotesto proprietà. Ristiingiamoci
per
ora al Comte. La gerarchia del sapere,
secoudo lui,
risulta
di sei scienze, composte e disposte
conforme
la
legge della generalità decrescente, e della
ci*escente
complessità.
Però la matematica, disciplina più d^
ogni
altra
semplice, universale e astratta, costituisce
l'im-
prescindibile
condizione di tutte le altre; talché
com'è
la
prima a nascere, così ha da esser
la prima a for-
mare
l'educazione della mente. La Fisica sociale
poi
riesce
la pia complessa fra tutte; ed è
l'ultima a com-
parire sia
nell' ordine logico, sia nell'ordine
storico.*
I
difetti della dottrina enciclopedica francese
possiamo
ridurtì
a' seguenti : 1* Il non aver
impresso il verace ca-
^rattere
ad alcune scienze; per esempio alla
matematica, a
proposito
della quale Stuart Mill domanda, come
avver-
timmo, se
per avventura ella sia da considerarsi
come
teologica
0 metafisica, ammesso che anche
storicamente
ella
debba nascer prima delle altre. Ne
poi è vero che la
scienza
dell' astratta quantità numerica e spaziale
nasca
pura
(come dovrebbe, secondo il Comte), ma
pura e insie-
me
applicata, secondo che molto acconciamente
osserva
in
proposito lo Spencer. 2** Il considerar
come un cou-
ronnement
de Védifìce la Sociologia: ond' accade che
la
scienza de'
principii, non potendo essere altro che
una
semplice
appendice di essa e di tutte le
altre discipline,
resta,
non che falsato, annullato ogni concetto
di filo-
sofia.
3*" Il segnalare alcune scienze come
assolutamente
irreducibili,
massime la matematica; la quale invece,
considerata
come scienza, suppone le leggi del
ragio-
namento
e quindi la logica, secondo che in
maniera
*
CoMTK, Cour% de PhiU Po9Ìt.y 2« L09.
— La Sociologia è la «ctence la
jAuB
élevéCf et qui couronne V oeuvre, Littbì,
Parole* de PhU, Pont,, 2« ed.,
1868,
p. 70. — Lo stesso Littró afiferma,
che /aire de ehaque eeience pctrti-
cidiire
un menthre de la «cienee generale,
eat une grande revolution epéctUa'
Uve,
(Op. cit., pagr. 23.) Sarebbe stata
davvero gran rivolazione cotesta
0T6 il
Comte non fosso riascito anch^ egli
ad affogar le scienze le une
nelle
altre, annullando così V indipendenza di
ciascuna. Del resto lo sforzo
della
metafisica è stato sempre, chi ben
guardi, quello d* informare ad
organismo
le rarie discipline. Non vi ò
riuscita appunto perchè, in tale
organamento,
chi ha Toluto incatenarle troppo fra
loro, e chi troppo spic-
ciolarle e
renderle indipendenti, quasi edifizio a
frammenti. U Comte rie-
sce
ineritabilmente al primo difetto.
invitta
ebbe a dimostrare fin dal secolo XVII
il Leib-
nitz;
mentrechè, come includente nozioni astratte
(spazio,
quantità,
grandezza) suppone l'ideologia, la psicologia
e la
logica. 4* Finalmente, massimo difetto di
questa
dottrina
francese è quel sostenere a marcia
forza che da
una
scienza, o gruppo di scienze, abbia a
ncisceme e quasi
pullularne
un altro gruppo, e cosi via.
Di
tale dottrina lo Spencer ha fatto una
critica
quanto
seria altrettanto severa; e ne ha
avuto ben
donde,
massime dove ci fa toccar con mano
che la
legge
regolatrice dello svolgimento storico del
sapere
non
sia nuli' affatto quella di filicmone
secondo che pen-
sano i
Gomtiani, come altrove accennammo. Se cosi
fosse,
egli dice, ne seguirebbe che, dov'
esiste un
dato
gruppo di scienze, non sarebbe possibile
un altro ;
mentre
nel fatto in un primo gruppo o
momento, ci son
tutte,
e tutte in un secondo, e tutte
in un terzo, svol-
gendosi come
di fronte, anziché per successione seriale.
E la
critica dello Spencer poi ci sembra
ancor più so-
lida ove
dimostra, che se il primo gruppo di
scienze
può
esser detto strumento e condizione del
secondo, e
questo
condizione del terzo, ninno potrà confonder
la
condizione
con la cagione véramente detta :
sicché giunge
ad una
conclusione affatto opposta a queUa cui
rie-
scono i
Gomtiani, ed è che la psicologia, per
esempio,
non
possa dirsi appendice della biologia, né
la sociologia
semplice
appendice della storia; nel che egli
concorda
pienamente
col MilL*
Ma se
la genesi enciclopedica ne' positivisti
francesi
è
manchevole per più conti, non meno
difettosa ci
sembra
quella del medesimo Spencer.* Suo
massimo
*
Hbrbkrt Spknobb, The (ioMificatifm of the
Scieneee, 2« ed., 1869,
p.
25. — St. Mill, ^»t. de Log.,
voi. II,
p. 486.
".
Egli distiogoe tre gruppi di gcienze
: AetraUe, Attratto-conoreU e
Conerete,
Le prime stodiano i fenomeni relativi
a noi (Logica e Mate-
matica), e
ci dan le leggi delle forme :
forme. Le seconde ricercano i fe-
nomeni in
sé (Meccanica, Fisica, Chimica ec.), e
queste porgon le leggi
dt*
fattori : /aetort. Le ultime, finalmente,
ai travagliano intomo ai fe-
difetto
è quello appunto ond' è magagnato,
come av-
vertimmo, il
Positivismo inglese; il formalismo. La sua
genesi
enciclopedica, infatti, non mostra alcuna
rispon-
denza ne
col processo isterico, né col processo
obbiet-
tivo delle
cose stesse. Non diciamo, si badi
bene, che co-
testo sia
difetto essenziale nella dottrina dello
Spencer. È
tal
difetto che in forza di certi suoi
principii egli potrebbe
schivare,
massime quando si volesse tener conto
della sua
bella
teorica sul Progresso. Ma di questi
principii ei non
ha
fatto applicazione alla genesi delle
scienze; e però
Stuart
Mill ben a ragione gli ha mosso
rimprovero di non
aver
riconosciuto e distinto la fase empirica
dalla fase
scientifica
nello svolgersi d'una scienza.* Altro
difetto
è che
la filosofia, nella generazione enciclopedica
dello
Spencer,
non trova luogo, a meno che non
vada confusa con
la
logica, con la psicologia o con la
sociologia; il che per
lui
non dovrebb' essere. Perchè se l'oggetto
delle nostre
conoscenze,
com'ei dice, è doppio, cioè il
conoscibile e l'tV
conoscibile,
ne seguita che, dato l'obbietto, è
già bell'e data
la
possibilità di una scienza che gli si
travagli attorno.
Ora,
onde viene e dove riesce mai cotesta
scienza il cui
obbietto,
comecché inconoscibile, pur nullameno esiste?
Vien
prima della logica, ovvero dopo la
sociologia? Se
prima
della logica, studierà anch'ella non altro
che forme?
Se
dopo la sociologia, non s'occuperà d' altro
che di pro-
dotti ?
E nell'un caso come nell' altro, io
chiedo, non isfu-
merà
l'indipendenza e l'autonomia e la
superiorità della
filosofia
rispetto alle altre discipline? La genesi
dunque
delle
scienze, nella dottrina del filosofo
inglese, è una
genesi
fatta per comodo; una genesi metodica
anziché
scientifica,
la quale non soddisfa alle esigenze
del pen-
nomeni
in sé, ma considerati nella loro
totalità (Astronomia, Geologia,
Biologia,
Psicologia, Sociologia), e danno le leggi
de' prodotti : prodwst»,
(Ved.
The Cla$$., loc. cìt.). Ora se il pensiero
umano non istudia altro
che /orme,
/attor» e prodotti, ne viene che alla
filosofia non ò dato far altro
salvo
che unificare complMamente qnesta materia
già per gradi unificata
mercè
T opera lenta e progressiva delle
scienze. {Firet Prine., p. 181.)
'
St. Hill, A. Comte et la Fil
Poeit,, p. 50 e segg.
siero
filosofico. — Massimo pregio dello Spencer,
a tal ri-
guardo,
è l'aver mostrato il consenso scambievole
fra' di-
versi gruppi
di scienze. Questo è anche il pregio
della dot-
trina del
Comte, io lo so : ma con la
profonda differenza,
che
dove il francese non sa vedere fra
le discipline altro
che un
nesso di causalità e filiaeione compatta; T
inglese
in
quella vece ne scorge, con più
verità, un' attinenza
meno
stretta, men rigorosa, più libera. Egli
scorge il
vincolo
che corre fra la condizione e '1
condizionato.
Come
ognun vede, tanto la teorica del positivismo
francese
circa la divisione delle diverse branche
del sa-
pere, quanto
l' altra del positivismo inglese, trascendono
il
positivo, riescono entrambe esclusive, e
perciò stesso
negative.
La prima annulla addirittura la genesi
psico-
logica delle
scienze; la seconda ne trascura la
genesi
obbiettiva
e storica. Ora in che ha da
consistere il
positivo
in siffatta quistione ? Evidentemente nel
serbar
tanto
r uno, quanto l' altro aspetto. Giacché
davvero le
genesi
e quindi la divisione enciclopedica perchè
riescano
positive,
han da esser fondate nella storia, e
nella psico-
logia. Che
cosa infatti risguarda la genesi ideale
del-
l'enciclopedia?
Riguarda le scienze stesse avvisate sotto
doppio
aspetto ; cioè in sé stesse, e
nelle lor mutue re-
lazioni.
Dunque, a distribuirle convenevolmente, vuoisi
tener
V occhio innanzi tutto alle funzioni
diverse ond'è
possibile
la scienza; né v'ha quindi altro
espediente fuor-
ché
ricorrere al processo conoscitivo. A questa
maniera
il
fondamento più sicuro, immediato, e quindi
il crite-
rio più
razionale della genesi enciclopedica, é la
genesi
stessa
della cognizione. E s'egli è vero che
la scienza
guardata
nella sua forma non è altro che
un esplica-
mento
di concetti, d'idee e di giudizi, é
naturale che
la
genesi e la divisione dei vari ordini
di sapere devano
radicarsi
nella stessa genesi e divisione de'
giudizi.'
' Non
potendo qui entrare in minate ricerche
d'ideolo^a, diciamo
solamente,
tre nature di giudizi esser possibili;
i quali, con linguaggio
men
soggetto alle tante difficoltà solite a
nascere a questo proposito.
Quanto
poi alla genesi storica delle scienze,
poiché
la
storia, il regno de' fatti umani non
è che produzione
chiamiamo
tnduuiviy dedtutivif edutHvi. Adoperando siffatto
parole, non
solo
intendiamo accennare alla natura della
relazione che stringe ì ter-
mini del
giudizio, né solamente ali* origine di
essa, ma eziandio alle tre
funzioni
o metodi che si adoperano ne*
differenti ordini di scienze e di
cognizioni.
Nel giudizio induttivo, per esempio, tal
relazione è al tutto
empirica,
e di fatto. Nel giudizio deduttivo è
razionale ; stantechè il pre-
dicato, con
artifizio d* analisi deduttiva, si tragga
dal seno stesso del
soggetto.
Nel giudizio ednttivo, finalmente, ha luogo
tanto Tuna
quanto
1' altra operazione, cioè V induzione
e la deduzione, ma compe-
netrate; e
tal compenetrazione si radica nell'intima
virtii dello stesso
pensiero,
previo il processo psicologico. Questa è
la funzione raziocina-
tiva;
funzione essenzialmente eduttiva: la quale,
se inevitabilmente sup-
pone le
altre due funzioni, ne è però il
compimento. £ tale in sostanza il
vero
metodo aristotelico, comò noteremo più giù.
Or la
genesi ideale, e quindi 1* organismo
e la divisione delle scien-
ze, trova
il suo fondamento e il suo criterio
immediato nella, genesi stessa
delle
funzioni psicologiche. Tre forme irreducibili,
dunque, tre gradi, e
però
tre gruppi distinti di scienze sono
possibili:
Io
SoiBNZR iNDCTTiYE {d^ oMervoxione), Ogni
lor pregio e progrosso
sta
nel poter divenire sempre più sperimentali,
sempre più attive, col
riprodurre
la natura, e som metterla ali*
esperimento. Il lor carattere
quindi
risiede nello sdoppiarsi, nel moltiplicarsi,
nel suddividersi, e ren-
dersi sempre
più particolari. Né, chiamandole induttive,
intendiamo negar
ad
esse il magistero deduttivo; che non
è possibile discorso scientifico
al
quale possa far difetto 1* artifizio
della deduzione. Intendiamo, dire
che la
deduzione di questo primo gruppo di
scienze è sempre di natura
induttiva,
perchè move dalla induzione e sopr*
essa tutta si regge, fe,
in
somma, la deduzione al modo che 1*
intende, per esempio, il Littré
e in
grran parte anche Bacone, e che non
è nuli' affatto 1* induzione so-
cratica e
aristotelica benintesa.
Il<»
SoiRNZB DKDUTTivB {di tpeéulaxwne). Lor
pregio e progresso
consisto
nel potersi maritare di mano in mano
col primo gruppo, e
nel
trovare applicazione ai fatti, rendendo
così vie più razionali le di-
scipline
induttive. Lor carattere poi è quello
d'essere in minor nu-
mero delle
prime, rlducendosi infatti alle matematiche
pure, e alle ma-
tematiche
applicate a qnal si voglia ordine d*
oggetti (per ciò che riguarda
la
categorìa dello spazio e della quantità),
nonché a quelle scienze d'ordine
morale
alle quali si può applicare il metodo
dedtoHvo-inverto di St. Mill.
Neanche
a queste può mancar 1* artifizio
induttivo; ma cotesta lor in-
duzione è
sempre, diremmo, di natura deduttiva.
Ilio
SoHNZi EDUTTlTi {d^ %ntegraxùm«f 0
tpeculaxiane tnueendentaU),
In
queste si adunano i caratteri de'
grruppi precedenti. Non sono molte,
né
poche di numero, rìdacendosi in sostanza
ad una soli^ ma svariata,
feconda,
moltiplice nelle sue applicazioni. Suoi
pr^gi sono: l^ il potersi
e il
doversi vie più intrinsecare con le
altre scienze ; o meglio, il poter
>6
resultato d'azioni e reazioni fra il
mondo fisico e
quello
dello spirito, e quindi d' una doppia
serie di
leggi,
naturali e psicologiche, modificate dalle
diverse
<^ndizioni
di tempo e di luogo, secondo che
ha mo-
strato, fra
gli altri, il Buckle ; * ne
viene che il processo
istorico
ha da rispondere bensì al processo
psicologico, e
la
genesi storica delle scienze dee certamente
ritrarre
la lor
genesi ideale, ma non per questo sarà
lecito
<ìonfonder
F una cosa con V altra. Il
Littré distingue
la
costitujsione d'una scienza dalla sua
evoluzione: e
trasferir
queste in so medesima unificandcle
completamente, come dice
benissimo
Io Spencer: 2o non potendo moltiplicare
so stessa, crescere
sempre
più nell* ordine delle applicazioni. Tal
si è per 1* appunto la filo-
sofia :
nella quale deyon raccogliersi le altre
scienze, ed esserne come vi-
vificate e
indirizzate a novello fine.
Da
questa nostra genesi e divisione
encicl(^dica emergono più con-
segaenze,
fra cui segnaliamo le principali. Se
è vero che le diverse sfere
di
cognizioni van sempre più rendendosi
particolari, è anche verissimo
eh'
elle nel medesimo tempo debbono andare
assumendo carattere e va-
lore sempre
più generale. V investigauione della natura
(dice Io Spencer)
ci
rivela un numero crescente di specialità;
ma simultaneamente rivela più
e pitk
le generalità entro le quali cadono
queste specialità. {The Classi/, j
ed.
cit., p. 11). — Inoltre, i diversi
gruppi di scienze, secondo che emer-
gon
dal nostro criterio psicologico, son fra
loro connessi, ma nel medesimo
tempo
autonomi e indipendenti. Son connessi,
perchè il primo gruppo è
condizione,
strumento e mezzo rispetto al secondo,
e U secondo rispetto al
terzo;
mentre il terzo è mezzo e fine
ad un tempo. Sono indipendenti, poi,
perchè
ciascun di essi è fornito di
caratteri, qualità, fini e metodi propri.
— La
nostra genesi enciclopedica, finalmente, porge
la misura e M criterio
per
definire i limiti, per giudicare il
valore, e per assegnar la posizione
di
dascuna
disciplina nell* ordinamento dello scibile.
Ponete, per esempio,
il 30
gruppo in luogo del 1<»; il l**
in luogo del 2<*; 0 questo in
luogo del l''
o del
8<>, attribuendogli caratteri e valore
non propri: avrete falsato la
natura
delle scienze ; le avrete confuse ;
ne avrete guasta V ìndole, tur-
bando cosi
tutta r economia razionale del sapere.
Questa
dottrina, essenzialmente psicologica e quindi
razionalmente
positiva,
contraddice, com' è evidente, alla
distribuzione enciclopedica
de* sistematici,
per esempio a quella del Gioberti e
di Beerei ; e nel men-
tre
racchiude i pregi della classificazione de*
Positivisti inglesi e fran-
cesi, ne
corregge insieme i difetti. Ma i
pregi e la verità d* un criterio
ordinativo
non può vedersi altro che nelle sue
diverse applicazioni, nelle
•quali
non possiamo intrattenerci. Solo notiamo
che tal dottrina ò un* in-
terpretazione
de* principi! psicologici del nostro
filosofo, come vedremo.
*
T. BuCKLS, History of OivUiMation in
England^ voi. I,
cap. 2».
fa
benissimo. Ma nella sua dottrina cotal
distinzione à
un'inconseguenza.
La costituzione d'una scienza muove
dalla
ragione : la evoltmone di essa, per
contrario, è frutto
della
storia. Or se F una cosa non è
V altra, è da con-
cludere che
la scienza è superiore alla storia.
Perchè
dunque
compenetrarvela? D'altra parte, non è punto
vero
che,
vuoi nella genesi ideale o psicologica
delle scienze,
vuoi
nella lor genesi storica, procedasi dalla
parte al
tutto,
dal semplice al composto, dal rudimentale
e irre-
ducibile al
complesso, come vogliono i Francesi. È
vero
bensì
che dal tutto si va al tutto,
cioè dal tutto iniziale
al
tutto attuale, o, come direbbe lo
Spencer in suo lin-
guaggio,
dall' omogeneo slVeferogeneo,^ La genesi
storica
del
sapere, infatti, rassomiglia quella della
società stessa:
nella
quale dapprima i poteri dello Stato,
per esempio,
anziché
distinguersi fra loro, formano un potei'e
unico ;
e,
anziché individui liberi, vi esiste un
solo individuo.
Parimenti
le scienze forman dapprima una scienza
; uno
le
possiede, uno o pochi le insegnano,
come uno è quegli
che
comanda. Però diciamo che la genesi
storica di esse
procede
per tre momenti (vecchio concetto
aristotelico)
cioè :
Sintesi iniziale e confusa, poi Analisi,
e poi Sintesi
finale.
Nel primo di cotesti momenti non s'
ha una data
serie
di scienze, come dice il positivista
francese. S' ha
bensì
tutte le scienze, ma fomite d' un
carattere comu-
ne ;
il qual carattere sta nel comporre il
sapere traen-
done le
ragioni da tutt' altra fonte che non
è Y intimità
stessa
dello spirito. In questo primo momento,
in somma,
* La
legge secondo cui lo Spencer chiarisce
la sua teorica del pro-
gresso con
tanta sapienza ed erudizione da lasciar
maravigliata la mente
d*ogni
lettore, si potrebbe applicare benissimo
alla genesi delle scienze
intesa
storicamente. Egli, come 8*ò detto, non
ha fatto quest'applicazione.
Ma ci
è da sospettare che, facendola, rieacirebbe
incompleta, com* è in-
completo il
principio su cui è basata. Il
procedere daW omogeneo alV ete-
rogeneo è
davvero un processo : ma è processo
che non risolve, mancan-
doci un
terzo momento necessario a compiere il
primo e *1 secondo. Oltre
questo
difetto, il principio dello Spencer ha
V altro di non esser nuovo,
anzi
vecchissimo, perchè risale ad Aristotele :
*Aft 70?^ sv tw iffS^C
\jncf.p^st
To vfpÓTtpov, De An. II, m.
lo
spirito è, come dire, fuori di sé,
nella natura, nel-
r
autorità, e quindi la scienza è quasi
indotta; ma tale
induzione
dapprima è affatto empirica, naturale,
gros-
solana,
divina, direbbe il Vico. Nel secondo
momento
ci ha
distinzione, analisi, astrazione : e qui
la mente,
accostandosi
a sé medesima, deduce. Nel terzo,
final-
mente, il
pensiero possiede sé stesso, perchè
possiede
l'altro:
egli é filosofia perchè è scienza; ed
è scienza
vera
perchè è filosofia. Ci è dunque
rispondenza, ci è ar-
monia fra
la genesi ideale e la genesi stòrica
della scien-
za, non
già compenetrazione, come vorrebbe il
Comte.
Anche
noi quindi crediamo in una legge di
succes-
sione
nell'attività del pensiero; né respingiamo
una di-
sposizione
gerarchica e genealogica del sapere. Ma
né
r uua
è assoluta filiazione, né 1' altra è
composizione
organica
e compatta sì che le scienze che
seguono altro
non
possan essere fuorché semplici appendici di
quelle
che
precedono. È vero: il pensiero nella
storia as-
sume innanzi
tutto forma teologica. £ quando accada
eh'
egli abbia carattere metafisico, il suo
contenuto sarà
sempre
di natura mitologica, religiosa, tradizionale,
ri-
velata,
essendo sempre un prodotto d' autorità.
Appresso
riveste
forma naturale ; stanteché sorgano le
scienze le
quali,
svolgendosi com' elementi particolari del papere,
si
vanno liberamente determinando con metodo
appro-
priato a
ciascuna di esse. In un terzo
periodo, final-
mente,
piglia forma complessa e insieme universale
come
nel
primo; toa non più sotto forma
teologica, né me-
tafisica ed
a priori, bensì filosofica; appunto perché
è
deputato
a raccoglier la ricca eredità accumulatasi
negli
antecedenti
periodi. Or se è vero, come dicemmo,
che
il
pensiero è superiore alla storia tuttoché
emerga
dalla
storia, non è men vero che la
speculazione ri-
flessa
trascende anch'olla le scienze, comecché
dalle
scienze
sia venuta germogliando. CJondanniamo dunque,
anche
noi, la metafisica che si presenta com'
elabora-
zione
teologica riflessa. Condanniamo, per dirla
col Lit-
tré,
quel punto di vista metafisico eh' è
trasformaeiane
del
punto di vista teologico. Ma potremmo
condannare
quella metafisica
eh' è insieme critica e inveramento
del
punto di vista positivo? In altre
parole, condan-
niamo
rìsolutamente la metafisica fatta a priori;
ma
non
meno risolutamente neghiamo che la terza
fase^ il
terzo
stato della scienza, abbia da esser
positivo nel
senso
che i Francesi tolgon questa parola.
Lo staio
positivo
de' Gomtiani, afferma un giudice non
sospetto,
non è
che un'ignoranza confessata della causa: an
avowed
ignoring of cause àltogether^ Ed è
veramente
così.
L'attività riflessa della ragione intanto
giugno ad
esser
funzione critica feconda e profittevole, in
quanto
riesce
a superare il positivo mediante il
positivo. Or è
tejnpo d'
interrogare il nostro filosofo.
Che
cosa ci lascia indurre il Vico tanto
riguardo
al
concettx) della scienza in generale, quanto
rispetto
alla
costituzione e coordinamento delle umane
disci-
pline?
Rifacciamoci da questo secondo punto.
Ei non
parla di formolo dommatiche, né d'alberi
genealogici.
Anzi ci avverte come in certo senso
la
metafisica
abbia da esser subordinata aUa fisica;
la
quale
dà per vero ciò che sperimentalmente
possiamo
imitare}
Sennonché qui è da far piìi
osservazioni. Una
scienza
è indipendente nel metodo e autonoma
nel pro-
cesso.
Questo è il nostro pensiero. Ma potrebb'
esser
'
Sprncrb, The daasif. of The
Scienc,, 2* ed., p. 87.
* De Anttq.
hai, Sap,^ nella Condunone, Si dirà
che per lai la
scienza
tovrana sìa la teologia: ed è t ero;
ma è sovrana solo in quanto
è la
piil oerta. Ora il eerto nelle sue
dottrine non è il vero, ciò ò
dire
un
prodotto di ragione, bensì un effetto
di persuasione, un prodotto
di
natura empirica inseritoci nell* animo
dall* autorità. Quanto egli poi
si
mostri avverso alle scompartÌEioni sistematiche
delle scienze, vuoi
nel
senso pontivteta, vuoi nel senso metajUieo
dommatico^ può vedersi là
dove
con sottile ironia parla de' Cartesiani
(dommatici del suo tempo)
i
quali unum Metaphyeicam «Me docent qua
notte indubium det verum^ et
ab eOf
TAKQUiM a fontr teeunda in aUa»
teientiae derivari.»,, quare me-
taphyeieam
eeterie »eientu9 fundo»^ euique 9uum
aatedere exietimant. Op.
oit,
cap. I, § II, 1.
anche
tale nelle sue ultime conclusioni? No,
certo:
stantechè
queste, essendo di natura universale, hann'
a
dipendere
dal lavoro, anziché d^una, di tutte
quante
le
umane discipline. Più ancora: potrebb'ella
dirsi in-
dipendente rispetto
alle condizioni logiche e formali?
Nettampoco:
se così fosse, tornerebbe impossibile
l'unità
della
enciclopedia. Finalmente si potrebbe osservare,
con lo
Spencer, che a sapere se i corpi
esistano la
fisica
non abbisogni nuli' affatto della metafisica.
Ed
è
vero. Ma evidentemente cotesta notizia, più
che ra-
zionale, è
notizia empirica. Or bene, quando il
fisico
volesse
darsi dimostrazion razionale del soggetto o
della
materia eh' egli ha fra mano, e
cod legittimare
il
postulato onde move il suo pensiero,
non diverrebbe
per
ciò solo un filosofo? Diverrebbe, io
credo. Nel
processo
della scienza, dunque, v'ha un momento
nel
quale
il fisico, od altri che sia, non
può far a meno
della
speculazione metafisica. Se a tal esigenza
egli
sappia
e possa per avventura soddisfare da
sé, tanto
meglio
: vuol dire che, oltre d' esser
fisico e fisiologo e
geologo
e simili, egli è anche filosofo. Ma
ov' egli non
senta
questo bisogno, con che diritti e
ragioni disco-
)ioscere
ogni valore alla ricerca filosofica? Il
vincolo
che
tutte aduna e stringe le scienze son
le norme logi-
che ;
la necessità logica che scaturisce dall'
intima costi-
tuzione
dello stesso pensiero. Intesa quindi come
logica,
la
filosofia precede e accompagna le sfere
diverse del
sapere;
ma, in quant'è metafisica, ella tien
dietro ad
esse,
e ne é il risultato finale. E
anche in ciò siamo
Aristotelici.*
*
Mei., V. -- Tal si è pure la
sentenza del Vico. In questo senso
egli
afferma
che ninna geienta bene incomineia »e
dalia mektfieiea (logica) non
prenda
i prineipii; perchè ella ì la eeienna
che ripartieee alle altre i lor
propri
eoggetti; e poichi non pud (in quanto
metafisica) dare U 9W>, dà
loro
immagini del euo. Onde la Geometria
ne prende U punto e V dieegna ;
VArUmetiea
V uno, e *l moltiplica ; la
Meccanica il conato, e V attacca ai
corpi.
(Risp. al Oiomale de^Lett.) In queste
parole parmi chiaro T ufficio
della
filosofia, in generale, rispetto alle altre
scienze. Filosofia è logica.
Veniamo
al concetto della scienza; ma gioverà
fare
innanzi
tratto un' osservazione storica. Dicemmo
com' il
Vico
sia tra Cartesio e KAnt, vuoi
storicamente, vuoi
teoreticamente.
Posizione puramente psicologica è quella
del
primo; puramente logica e psicologica
quella del
secondo,
la cui dottrina perciò molto acconciamente
è
stata
detta Idealismo crìtico, o Criticismo
ideale. Nella
posizione
cartesiana, avvertimmo anche questo, il
pensiero
non è
altro che un fatto (pag. 185-86): la
coscienza tras-
cendentale
di Kant poi tiene doppio rispetto; è
una e
molteplice,
è diflferenza e medesimezza, in quanto
importa
il
doppio elemento formale e materiale nella
cognizio-
ne. Ora,
per quanto diverse, queste due posizioni
han
comune
un carattere; quello d'esser solitarie,
astratte,
puramente
suhbiettive, e quindi insufficienti ; nel
che ci
confermerebbe,
s'altro mancasse, il resultato puramente
speculativo
cui pervennero le scuole diverse inaugurate
da
que' due filosofi. L' analisi della Ragion
pura alla fin
fine a
che mai riesce ? A metterci in
guardia dell'assoluto
di
ragione, rilevandone i paralogismi e le
antinomie, e
facendoci
assistere scontenti e umiliati a
quell'inutile
ideale
che ci rende immagine, a dir cosi,
dell' acqua di
Tantalo
: per cui s'è detto che l'autore
del Criticismo, sem-
pre per
quell' esigenza d' un ideale rimastogli in
tronco,
scambio
di chiudere, apri anzi le porte ad
una varietà
di
scetticismo, come osserva il B.
Saint-Hilaire : nel che
tutti
convengono, perfino Hegel, il quale appunto
con
l'idealismo
obbiettivo e assoluto cercò soddisfare aU'
in-
soddisfatto
bisogno della Ragion pura.^ Cartesio poi
dove
psicologia,
metafisica e simili. Come logica eli*
è scienza madre, in
quanto
è universale condizione d* ogni disciplina.
Che poi in senso di
metafisica
debba riguardarsi come risultato finale, ci
è avvertito dnl me-
desimo
filosofo dove accenna alla relazione eh*
ella ha, per esempio, cou
la
geometria: Geometria e Metaphy$iea mum
verum tMccipity et aecepttun
(e
però elaborato) in iptam Metaphynctim
refundit. De Antiq.y 101.
*
Giusta quindi, per tal motivo, Taccusa
fatta al Criticismo dallo stesso
B.
Saint-Hilaire: Kant a voulu /aire une
revolution} il na guère en/anté
qu'iine
anarokie plue fatale. Log. d' Axist., Pref.
p.
CXLVUL
si
riduce egli? Alla necessità d' invocare il
solito Deus ex
machina,
tornatogli insufficiente il criterio delPevidenza
e deir
idea chiara e distinta ; * senza
dir già eh' egli
medesimo
annunziava il Cogito qual semplice
ritrovato
atto a
soddisfare il bisogno di sua mente,
non già pel
fine d'
insegnare agli altri un metodo a ben
governare
il
pensiero : seulement (son sue precise
parole) de faire
voir
en quelle sorte fai tàché de conduire
la mienne.
Nella
posizione del Vico, per contrario, è
schivato
nel
medesimo tempo tanto il fatto empirico
di Carte-
sio, e
quindi V indirizzo dell' ecclettismo e di
quel timido
spiritualismo
che da lui hann'oggi redato i
Francesi,
quanto
lo scetticismo al quale pur tiene
aperto il fianco il
criticismo,
nonché quella serie di posizioni che,
nate dal
Kant,
riescono all' Idealismo assoluto. Con qual
mezzo?
Con un
mezzo semplicissimo. Col criterio del vero
e del
fatto
; ma elevato a dignità e valore
di principio. L'osser-
vazione che
il Vico fa a Cartesio è, quanto
agevole, altret-
tanto
efficace. Neanche gli scettici dubitano di
pensare,
egli
dice: essi aifermano solo che del
pensiero non si
possa
avere scienza, bensì cosdensa} Ora il
pensiero car-
tesiano è
un eerto, non già un vero; quindi
ha natura di
segno,
d'indizio certo (rsxfxyj/jtov), della cui
certezza ninno
al
mondo non ha mai saputo né voluto
dubitare. Di qui
si
vede come la sua posizione speculativa
non istia già
nell'aflFermare
una verità di fatto, sì nell' indagarne
l'ori-
gine, la
genesi, la guisa: cioè nel far la
critica del vero
che
appare alla coscienza, perché sdre est
tenere genus
seu
formam qua res fiat. E si vede
come il criterio vi-
chiano
del fare il vero acchiuda una
dottrina schietta-
mente
aristotelica, eh' è dire la ragion
vitale di quel-
* Yed.
le bello riflessioni del Rsnottvzkb in
proposito. EnsaU de Ori-
tiqne
generale^ toni. Il, part. 3.
' I
difetti che nella posizione Cartesiana
scorge il nostro filosofo gli
abbiamo
già riferiti (p. 186). II Gioberti
non s'ingannava nel dire che
Oarteno
non ebbe il menomo sentore de* teeori
che n acchiudono nel SUO
Cogito.
(Protol. VOLTI, p. 250.)
l'artifizio
logico secreto, naturale, onde la mente
nel
discorso
rinviene il medio termine. La mente
sa perchè
fa:
AtTtov Sort vójfjffef >? i^épytia} Or
di cotesta attività
occulta,
superiore ed essenzialmente eduttiva, sensisti,
scettici,
empirici, positivisti non hanno coscienza.
Essi
ignorano
cogikdionis causs€e, seu quo poeto cogitalo
fiai^
*
ilTTff ff9.ittpòit OTt ra ?ov«p£i ovra
tiQ ivspysiav àva-
'^òiJLstfx
gUjOtcxerai. Airtov 5'ò?i vónii^ >j
èvipynx. ÌItt' $5
ève py
e loti >i Sxivafii^' xa< dtd
tovto TrotoùvTéf ^e^vwo'xouo'ev.
Metaph,
IX.
*
Z>« Antiqui^. ItaLf cap. L § II.
Anch' egli quindi è scettico la sua
parte:
e debb' essere, in forza del suo
medesimo criterio. Ritiene infatti
che,
quantunque la mente conosca sé stossa,
ignora nondimeno la pro-
pria genesi
: Dutn «e mens cognoscttp non facit;
et quia non /acit^ neacit
genvs
quo «e cognoscit. (Ibi, § I, 17.)
Con la qual sentenza potrebbe sem-
brare cb'ei
cada in contraddizione con sé stesso;
ma riflettendo che la
mente
che «» conotce qui ya intesa non
come facoltà, bensì come potenza
(della
qual distinzione ragioneremo appresso), la
contraddizione si dile-
gua. Così
pure è da intendersi quell'altra sentenza
ove dice che l'occhio
Tede
le cose, e pur non vede sé
stesso; che a veder so medesimo egli
abbisogna
d'uno specchio; e però chiama insufficiente
l'idea chiara e di-
stinta di
Cartesio. Dal tutt' insieme quindi possiamo
argomentare tre
conseguenze
: 1° Che la posizione del Vico
non è né dommatica nò scettica,
ma
essenzialmente critica; e Critica del vero
per eccellenza egli definisca,
ricordiamolo
anche qui, la metafìsica : 2» Che
a pervenire al sapere scien-
tifico non
basti il eerto, il fatto, l'indizio,
nò il criterio che il vero sia
il
fatto; ma è d'uopo che cotesto
criterio sia levato anche a principio:
3"
Che a Ini non manca il nuovo
pensiero, il nuovo Cogito reoo bum,
come
vorrebbe Spaventa; anzi possiede chiara
l'esigenza, per lo meno,
della
critica psicologica, bastevole a prevenire
il Kant. Dico esigenza,
perché
il problema critico a lui si presenta
sotto 1' aspetto isterico, ciò
che
forma la sua novità ; e avvertimmo
come V aspetto storico importi già
r
esigenza psicologica. Se poi si vuol
dire che a lui manchi il Cogit*»
nel
significato di mediazione assoluta e però
di perfetta trasparenza deWes-
aercf
Spaventa ha ragione. Ma questo per
noi, anziché difetto, é pregio
grandissimo.
E qui il filosofo di Napoli é
tanto dappresso a quel di
Kcenisberg,
quant' altri non s' immagina. Dommatici e
sistematici, hege-
liani e
ontologisti cattolici, unisconsi ad una
voce nel battezzare scet-
tico
l'autore del Criticismo. Perciò gli
Hegeliani credono compierlo di-
cendo, che
la Ragion Pratica ò siffattamente collegata
con la Ragion
Pura,
che la prima in sostanza non sia
altro che l' incarnazione, il com-
plemento
della seconda, ma che questa di per
sé stessa inevitabilmente
meni
allo scetticismo. Io non vo' negar
tutto questo. Osservo solo che
due
sono i grandi concetti di Kant: 1*
che non si possa giungere al
vero
sistema, alla dottrina propriamente dommatica^
2* che, ciò non
Non si
può ridire il mal governo che s' è
fatto e se-
guita a
farsi del criterio vichiano. In molti
libri leg-
giamo:
criterio del vero è il fatto; e
da tutti è stato inteso •
0 in
modo materiale ed empirico, ovvero in
significato
trascendentale
e assoluto. Se così fosse, quel
filosofo
avrebbe
consacrato, da una parte, ogni sorta
d'empirismo
e di
materialismo ; e dall' altra avrebbe
fatto ragione ad
ogni
maniera di panteismo. La formula vera,
la vera po-
sizione
della scienza e del pensiero, per
lui, non è questa:
Criterio
dd vero essere il fatto ; bensì
quest' altra : La
conversione
del vero col fatto. Fra la prima
e la seconda
ci è
un abisso addirittura. E per veder
cotesto abisso
e
ritrarsene, è mestieri penetrar Bell'insieme
delle sue
dottrine
con la luce del medesimo principio.
La chiave di
volta d'
ogni positiva speculazione, e quindi il
vero Deus
intus
adest della mente di questo filosofo,
e però il bandolo
a
strigar tanti nodi che avviluppano il
suo pensiero, è ap-
punto
cotesto criterio, secondo che noi lo
interpretiamo.
11
criterio ha da esser egli un segno,
un indizio del
vero,
0 piuttosto un primo vero? Ha da
esprimerci un
dato,
un fatto, o pur V essenza del
vero, la condizione
originaria
e trascendente del conoscere?
Intendendolo
al primo modo, la scienza tornerà im-
possibile, e
trionfa lo scetticismo ; perocché non
ci sal-
veremo dal
noto circolo eh' è questo: « per
conoscer la
ostante,
non si cada nollo scetticismo, appunto
perchè egli non crede
che il
non esser sistematici Teglia dire essere
scettici addirittura.
(V.
Critica dtUa Ragion Pura, 2* P., Gap.
IV.) Per me la riyoluzione
operata
dal filosofo prussiano nel regno della
speculazione, cioè quan-
ta alla
natura del sapere, sta tutta qui. Il
Vico in ciò lo prevenne: almeno
era su
la medesima strada. Quindi può dirsi
che entrambi condannino
le due
posizioni esclusiye del Si^temaH^mo e dello
Soetticinno.
verità
è necessario il criterio; e per ayer il
criterio è
necessaria
la verità. » Pigliandolo poi nel
secondo modo,
difficilmente
schiveremo un sistema esclusivo e domma-
tico.
Il vero criterio, dunque, ha da esser
Tuna cosa e
l'altra;
indizio e principio. Come indizio, come
postu-
lato atto
a conquider lo scetticismo e inaugurare
la
scienza, e'
consiste nel porre, come si è detto,
il fatto qual
criterio
del vero ; né e'' è altra via.*
Come principio, sta
nel
porre, dall'una parte, la conversione del
vero cól
fatto,
e dall'altra, come appresso mostreremo, la
con-
versione del
fatto nd vero, applicandolo all' essere
e a
tutte
le categorie dell'essere. Or in questa
seconda
forma
assume egli davvero natura di principio?
Di
certo,
l'assume; giusto perchè importa l'essenzial
con-
dizione
dell'essere stesso. Ma non anticipiamo.
Abbiam
detto che di questa dottrina del Vico
s' è
fatto
mal governo. Mostrammo già come primo
fra tutti
ne
discorresse il Mamiani, e, poco appresso,
il Rosmini.
Giova
qui riassumer le ragioni della controversia
fra' due
filosofi.
Il Mamiani accogliendo questo criterio,
come si
disse,
osserva che con esso il Vico non
intende pro-
por
nulla che esca da' termini della
intuinone (secon-
dochè
allora diceva l'A. del Rimiovamento), ma
conside-
rare in
essa, oltr' a' caratteri universali, alcune
doti
più
particolari, col fine di proferire a
un tempo mede-
simo il
criterio della certezza, e '1 criterio
della scienza.
In
altre parole egli dice : col suo
criterio il Vico intende
guardare
non pure al formale della cognizione,
ma ezian-
dio al materiale
obbiettivo.* Tutto questo è vero ; ed
è
verissimo
che, tranne la natura fisica e quella
degli atti
del
mondo estemo, tutt' altro pel filosofo
napoletano sia
produzione
del pensiero, com'avviene dell'algebra e
della
geometria.
È fuori dubbio altresì che il
criterio per lui
non
pure ha da esser segno del vero,
ma anche principio.
* «
Nee ulla »ane alia patct via qua
eeepticit re ipaa convelli poétit, niti
ut
veri criterium 9Ìt id ip»um fecitte*
t — De Antiquisi, Ttaì,, cap. 1,
§ III.
•
ìiAìttAVif Rinnovdm, ec, p. 474.
Sennonché
FA. del Rinnovamento non vide allora
ciò che
avria
potuto e dovuto veder oggi V A.
delle Confessioni.
Non
vide che l'aspetto originale di tal
dottrina non istà
nel
riguardare il criterio vichiano qual
semplice segno ed
inizio
di scienza, ma qual principio, qual
legge dell'es-
sere stesso
in universale. Laonde non avendone còlto
altro
che il significato psicologico, accadde che
alla
possente
lima del Rosmini non poteva tornar
guari dif-
ficile
ridurre in polvere cotesto criterio al
modo che ma-
neggiavalo
il Mamiani.'
Se non
che è da confessare come neanche il
Rosmini
dal
canto suo valesse a cogUere né la
dottrina in discorso
né
quella parte di vero che, con
altrettanta verità quanto
calore,
propugnava il Pesarese. È noto che il
criterio pel
Rosmini
ha da essere un principio, e dev'
esprimere la
verità
prima, l'essenza della verità. Or qual
è l'essenza
del
vero? Eccotelo ricorrere al solito rifugio
àeW Ente
idmle!
Ma se cotesta potrà dirsi condizione
di cono-
scenza, non
però é principio di scienza, criterio
del sa-
pere per
via di scienza. Che cosa potrà
insegnarci mai
con la
sua vuotaggine l'essere possibile? l^ou è
dunque
cotesto
il criterio di cui parlava il
Mamiani, e tanto
meno
quello del Vico. — Non potendo indugiare in
mi-
nute
osservazioni sul modo con che il
Rosmini interpreta
la
dottrina di che parliamo, osserveremo
solamente che
sapere
il vero, pel filosofo di Napoli, non
é solo un cono-
scere il
vero, come vuole il Rosmini, ma è
porre, è fare, é
creare
il vero; altrimenti per nessun miracolo
al mondo
giugneremmo
ad averne notizia. Conoscere pel Vico
non
*
RosMiKT, Rinnovami, ddla FU. in Ttalia,
Milano, 1836, cap. XXXV.
Gioverebbe
Ieg(?ere in questo copioso volarne del
Roveretano qnel lungo
capitolo
e que* prolissi cementi nonché quelle
sette conseguenze che la
invitta
dialettica Rosminiana seppe cavare dal
criterio secondochè in-
tendevalo
il Mamiani. A lui bastò congegrnare,
al solito, una di quelle
sue
tavole sinottiche nelle quali ei dimostra
di quanta e qual vena ana-
litica fosse
ricca la sua mente, per metter
Tavversario col suo criterio
accanto
ad Elvesio, ad Epicuro e ad
altrettali! Ved. Tav. Sinottica (WSitt.
FU.j
intomo al criterio della cert&ma^ voi. cit.,
p. 318.
è
vedere, non è patire, non è
semplicemente appren-
dere. È
vedere, patire, apprendere, appunto perchè
il
pensiero
è essenzialmente un conoscere. In una
parola,
se il
vero non si conosce facendolo, non si
conosce
nuU'aifatto;
non s'intende.* Quand' è infatti che di-
ciamo di
pensare? Giusto quand'abbiamo idee. Avere
idee
importa cólligere dementa rei; ex quibus
perfecHs-
sime
exprimatur idea. Il vero è l' idea,
ma l' idea in-
nanzi che
sia tale: è l'idea germe, l'idea
potenza, la
stesso
spirito in potenza, il pensiero non
per anche at-
tuatosi come
tale: in una parola è il senso
che si leva
a
dignità d' intelletto. Raccolta l' idea, fatta
l'idea, cioè
dispiegatasi
la meìite, eccoti il vero-fatto. Mi
si doman-
derà in
che maniera il Vico chiami esterni
gli elementi
onde
risulta l'idea? Perchè, rispondo, l'eduzione
del-
l'idea
suppone la formazione del concetto; e
il concetto
suppone
una serie di atti induttivi che
appresso deter-
mineremo.
Tutto ciò è come estemo all'idea; è
condi-
zione, non
causa del suo processo.
Senonchè
col raccorre gli elementi esterni la
mente
pone
qualcosa di proprio: pone se stessa
come pensiero;
diventa
ella stessa le cose ; diventa tutte
le cose. Ond' è
agevole
vedere come il criterio del Vico sia
il princi-
pio del
metodo geometrico, che per lui,
ricordiamoci,,
suona
genetico. Mi spiegherò con un esempio.
Come
si
hanno gli assiomi, le verità prime e
necessarie, se-
condo i
positivisti? Mercè 1' esperienza, risponderebbe
il
Mill. L' assioma che due rette non
cTiiudono spazio
* «
Leggere è raccogliere gli elementi della
tcriUura onde le parole tono
composte
; con V intendere è COLLIORBB
elbmbnta RBI, KX QUIBUS PRRrBCTis-
31VA
RXPRIMATOR IDRA. Donde è lecito
conghietturare che gli antichi ittt-
liani
conveniseero in queeto pensiero : Vbrum
rssr ipsuv factum.» Qual è
cotesto
fatto? È il pensiero, il vero-fatto:
perchò ricevuto, indotto, rac-
colto, e
anche edotto dalla mente. In tale
questione il nostro filosofo,
contro
il solito, non manca di chiarezza.
Egli infatti dice: e AUora il vero
9Ì
converte col /atto, quando trae il
9uo essere dalla mente d^ lo eonoece
;
HI
QDOD YERUM 00GNO8CIT0R SUUM K8SR A
MBNTB HABBAT QUOQaR A QOA
cooKosci'TOR.»
De Antiqui^,, cap. I, De Origine et
ventate Scientiaruni..
Sgorga
immediate dall'esperienza. Che se apparente-
mente si
origina dal pensiero, cotesto pensiero in
tal
caso
non è altro salvochè una ripetizione
dell'espe-
rienza :
è r immaginazione che allarga i
limiti del fatto.
Ma
questa, evidentemente, se è una maniera
di sapere,
non è
il vero conoscere; perchè cotesto conoscere
non
sarebbe
una mia fattura, sibbene imitazione, copia
del-
l'esperienza.
Che cosa, invece, vi direbbe il Vico
a tal
proposito?
Direbbe: non istate a immaginarvi due
rette
portevi
già dall' esperienza e poi prolungate
all'infinito:
fatevele
da per voi medesimi coteste rette. Ma
come farle ?
Generandole
entro voi, per voi stessi, con
elementi speri-
mentali; e
così, più che l' immagine del fatto,
avrete la
vera
definizione, e però la genesi del
fatto. Concepite
il
punto come prolungato verso un altro
punto : eccovi la
linea.
Or se due rette hanno in comune
due punti, po-
trann'elle
chiudere spazio? Non potranno. Questo pre-
cisamente è
il vero-fatto, il vero da me stesso
fatto, da
me
stesso prodotto, da me stesso generato.*
Per
non chiamare il vero fattura di
nostra mente,
il
Roveretano si puntella nel solito argomento
de' ca-
ratteri
della verità: immutabilità, assolutezza,
eternità,
necessità,
università e simili. Ma ci sarà
lecito chiedere :
* «
Men« humana eontinet dementa verorum quce
digerere et eomponere
poMt'ti
et ex quibu$ dUpontU et compoeitie,
exittit verum quod demoiutraiU
{teientice)
ut demontiratio eadem ae operatio «i/,
et verum idem ao faetum. >
Ve
Antiq.f cap. Ili, 4. Né Yale che
il RosmÌDi, chiamando in soccorso
lo
stesso Vico, dica, questi elementi esser
le idee e coteste idee crearti ed
eccitarti
da Dio negli animi degli uomini. Per
questa frase VA., della Scienza
iVuova
è stato battezzato Malebranchiano ! Ma
come non vedere che in
quel
luogo il filosofo intende parlare del
senso dato a questa dottrina da
coloro
che eteogitarono tali locuzioni, le quali
ei non accetta perchè non
sempre
accetta il significato delle parole latine,
come osserva lo stesso
Rosmini
a proposito del Verum e del Faetumf
Bastino queste parole: e Par,
igitur
eet ut qui ha» loeutione* excogitarint,
ideas in hominum animi* a
Deo
oreari exeitarique eunt opinati, * Cap.
VI, 2. Fa meraviglia che il Ro-
smini non
siasi accorto come quattro righe più
giù V autore contraddica
apertamente
a Malebranche {Malebranckii doctrina arguitur^
ibi., § 4) :
e come,
se fosse vera V interpretazione eh*
ei ne dà, il Vico avrebbe sciu-
pato
addirittura il senso verace e
originalissimo del suo criterio.
una
proposizione d' Euclide serba ella questi
ed altret-
tali
caratteri perchè ve li abbia inseriti
la mente di
Euclide
come tale, o non piuttosto il
pensiero medesimo,
il
pensiero in quanto è identico appo
tutt' i pensanti,
identico
nelle sue leggi essenziali, identico nelle
condi-
zioni
logiche originarie? Nella proposizione 4 -j-
4 = 8
havvi
necessità. Perchè? Perchè lo stesso
pensiero
ne ha
messo gli elementi. Ma perchè vien
fiiora 8 e
non
10? Precisamente perchè ci abbiam posto
il 4 -h 4:
cangiate
questo, e avrete cangiato anche quello.
E
perchè
serberà egli un valore universale tanto
da non
parer
fatto né d' ieri né d'oggi, né
intuito solamente
in
Francia o in Australia, nell' età
della pietra ripolita
0 nel
bel mezzo del secolo XIX? Appunto
perchè il
pensiero
è anch' egli necessario, universale nelle
sue
native
condizioni in ciascun individuo che in
qual si
voglia tempo
o luogo sia capace di pronunziar 4
-f- 4.
Le
critiche dunque che altri potrebbe trarre
dal Ro-
Hmini
là dov' ei si studia d' interpretare
a suo modo
la
mente del Vico rispetto al problema
del conoscere,
tornano
tutte vane, tutte manchevoli.
Ma
veniamo al più sodo. Il criterio del
nostro filosofo
si
porge altresì come il fondamento più
saldo della
dottrina
della prova. Nel conoscere per cause,
egli dice .
seguendo
lo schietto Aristotelismo, sta la vera
scien-
za: il
che si riduce al medesimo criterio
della con-
versione del
vero col fatto.* Che cos' è in
sostanza il
provare
per cause? Al solito è un raccoglier
gli ele-
menti della
cosa.* Provar dunque per cause, e
con-
vertire il
vero col fatto, suona il medesimo. Un
esem-
pio. Il
principe Alberto, dice St. Mill, morirà.
Perchè?
Non
perchè tutti gli uomini (egli risponde)
sian mor-
tali ;
si perchè tutti quelli a me noti
e che son vissuti,
*
« Probare per cauMaat e/Jhere eat,
Effecttu eH verum quod eum facto
eonvertitur.
* (De Antiq. Cap. Ili, 2). —
< Chi aa per via di caute i
U jnà
sapiente.
» Akibt., Meta/. Trad. Bonghi^ Lib.
I, Cap. II, 2.
* <
Probare a eauwU rH elementa rei
eolìigere. » Ibi.
son
già beli' e morti. — Or tutto ciò, io
domando, signi-
fica egli
provare, o non più veramente collegare
un fe-
nomeno ad
un altro fenomeno? £ s'egli è così,
non
ne
viene che l'esigenza della prova si
riman sempre
insoddisfatta
riguardo all'uno de' due fenomeni invo-
cato per
ispiegar l'altro? Per contrario, alla
domanda
se il
principe Alberto morirà, come risponderebb'egli
il
Vico? Risponderebbe invocando bensì un
fatto, ma un
fatto
eh' è insieme cagion vera, idea,
concetto, principio,
cioè
la natura stessa dell' uomo. Se
intanto la prova legit-
tima si
radica nella causa; se il vero sapere
è sapere per
via di
cause, è già beli' e dimostrata inefficace
non pur la
teoria
sillogistica del positivista che nella
proposizione
particolare
vuol rannicchiar la sorgente della prova,
ma
eziandio l' altra degl' idealisti, formalisti
e ìntuitisti
che la
ripongon nella proposizione universale entro
cui
giaccia
racchiusa, come in bozzolo, l' idea
bisognevole di
prova.
La dottrina che a questo proposito è
possibile
trarre
dal nostro filosofo non solo ci dice
perchè Tizio
morirà,
ma, pili ancora, perchè sian morti i
morti, e
perchè
abbian da morire i morituri. Ella
mostra come la
causa,
il vero, l' idea, si convertano col
fatto : come il
fatto
provi la causa; come la causa generi
il fatto.
Tal si
è la legge del discorso scientifico.
Il quale perciò
non è funzione
deduttiva che dal generale scenda al
parti-
colare, 0,
come vorrebbe il Mill, dal generale
proceda al
generale
; e nemmanco è funzione induttiva che
dal par-
ticolare
salga al generale, o che un fatto
congiunga ad
un
altro fatto. Le tre funzioni che
accennammo parlando
della
genesi delle scienze han tutte natura
di sillogismo,
ma
sotto tre forme, tre gradi, tre
processi differenti. Il
processo
sillogistico è monco nell' induzione ;
è incompiuto
nella
deduzione; ma è compiuto e perfetto
solamente
nell'
eduzione, nella quale troviamo i due
elementi della
iK)noscenza
compenetrati dalla stessa virtù nativa del
pensiero.
Il sillogismo dunque è funzione essenzial-
mente
edidliva. Esso importa già la posizione
del faUo, e
importa
la determinazione del vera; però la
mente scorge
la
conversione d' entrambi, e compenetra in
uno i due
processi
per sé medesimi incompiuti, induzione e
dedu-
zione. E
qual è la relazione fra queste tre
funzioni, tal si
è pure
la relazione, come dicemmo, fra le
scienze e la
filosofia.
Se è vero che questa ha bisogno
assoluto di
quelle,
non sarà men vero eh' ella è
indirizzata a com-
pierle, a
trasformarle in proprio elemento. Talché
una,
a dir
proprio, è la scienza umana: uno sarà
quindi il
metodo
quantunque s' incarni sotto tre forme
distinte.
D vero
non può non esser che uno.*
*
Dalle cose discorse fin qui risulta,
e meglio risalterà in seguito,
una
conseguenza che ci preme ribadire. 11
metodo che noi interpretiamo
nel
Vico, a guardarlo in relazione alla
storia della filosofia, è metodo
(chiodo
perdono a tutt* i platonici) essenzialmente
aristotelico. Il metodo
deUo
Stagirita, quando si voglia intenderlo a
dovere, non è nò induuivo^
nel
senso che da* più si piglia questa
parola, né 9ÌHogÌ9iico^ nel signifi-
cato degli
scolastici. Pur troppo è stato inteso
nel primo e nel secondo
modo
per più secoli e presso parecchie
generazioni di filosofi ; ;na ciò
tiene,
come
Tedremo in un prossimo capitolo, a
que' due indirizzi contrari ed
erronei
secondo cui è stato interpretato
rAristotelismo. Bacone, per es.,
non
cessava di credere e d* appellar
«illogittieo il metodo dello Stagi ri
ta ;
nel
che tanto s* illuse quel grand' uomo,
che a poco a poco giunse a
scrivere
d'averla creata lui, proprio lui, la
vera induzione! Oggimai
tutti
sappiamo quanto valga cotesta sua induzione
; oggi che lo stesso
Macaulaj
ne ha sfrondato i meriti (£«t. polU.
etc. p. 212); ogg^i chele
stesso
St. Hill ha creduto ripudiarla e
correggerla (SysU de Log,^ voi. II,
p.
462); oggi eh* è noto come ne abbiano
scritto il Liebig, Kuhno Viscer,
il
Remusat, per non parlare del furibondo
De Maistre. Anche Galileo
avversava
a morte il metodo aristotelico: ma,
com'è agevole accor-
gersi, egli
intendeva parlare del metodo averroistico e
scolastico (Ofr.
segnatamente
Man. SUt., Giornata li, p. 120.— Lett.
del 80 Die. 1610).
E più
d* una volta anche il nostro Vico
sbeffeggia le inutilità de* generi
oriHoteìici
(De Antìquiee., Gap. Il, 5); ma
anch*egli è nel medesimo caso
del
Galilei. Si vorrà dire ch'ei non
capisse Aristotele. Diciamolo pure:
il
punto sostanziale è questo, che l'insieme
delle sue dottrine lo dimostrano
assai
più da presso ad Aristotele che ad
altri non, parrebbe. Per citare
un
altro nome, anche St. Mill parla
contro il metodo sillogistico del
filosofo
greco; ma non sarebbe difficile mostrare
come il vero metodo
aristotelico
sia, più che non paia, quello stesso
metodo deduuivo^nverto
ond'
il Mill crede aver superato antichi e
moderni, e d* aver corretto
Bacone
e Aristotele nella teorica della prova.
Io ho
voluto chiamare e chiamo eduxione il
processo razionale e
oosciente
del pensiero, non per vano desiderio
di parole nuove, sì perchè
Ragionando
su la natura del metodo, non possiamo
far a
meno d' interpretare un'altra sentenza del
Vico,
che costituirebbe
difficoltà assai grave agli occhi de'
teo-
logisti,
e il Rosmini appunto ne ha cavato
partito.
Il
nostro filosofo parla anche d' una
scienza divina
qual
regola delP umana; e all'una riferisce le
leggi ed
i
processi dell' altra.* Senz' andarci
assottigliando in
discussioni
e distinzioni poco profittevoli, l' interpreta-
zione
più acconcia ne sembra questa. Quando
si parla
di
scienza divina siccome norma dell'umana, è
al tutto
arbitrario
dar a creder che 1' uomo abbia
da intuire
o
coglier nulla del sapere divino : il
tempo di codeste
trascendenti
intuizioni ormai dovrebb' esser passato. Si
vorrà
dir piuttosto che alla mente sia
possibile conce-
pire in
alcun modo un tipo, comporsi un'idea
di scienza
non ne
sia fatto un fiascio con la volgare
induzione de' Positiyisti o con
la
loro dedazione, eh* è sempre, come
dissi, di natura induttiva (Lit-
TBé,
A, Comte et la Phil. Potiti p.
532 e segg.), e tanto meno poi
col
metodo
sillogistico degli scolastici. Il metodo
legittimo d'Aristotele,
ripeto,
non è deduzione, nò induzione, bensì
eduzione. Ce ne dan prora
tutte
le sue scritture, massime i libri
naturali; ed esempio splendido ne
porge
fin la Sillogistica, dove il così
detto metodo sillogistico dorrebbe
mostrarsi
più spiccante che mai se darrero
fosse il suo. Bellissimo esem-
pio anche
abbiamo ne* due primi capitoU della
Metafisica, dove niuno dirà
ch'egli
specifichi il concetto della scienza, in
generale, con industria indut-
tiva 0
deduttiva che sia. L'induzione aristotelica
qui è induzione socratica,
giusta
l'acuta osservazione del Bonghi (Meta/.
(TAritt», Introd., p. XXXIX).
Perciò
egli adopera l'induzione ordinaria sólo in
quanto move da criteri
comuni
su la natura della scienza; ma,
giunto a'principii che han da
costituirla,
nonchò alle somiglianze e differenze fra
le varie discipline,
cotesta
induzione da positivisti sparisce, o
meglio, diventa processo
eduttlvo,
diventa compenetrazione d' atti induttivi e
deduttivi. Se non
fosse
così, non avrebbe potuto stabilire il
noto principio : Kac òlo^ Si
tràTa
imvrìiJLVi 5tavo>}TCx>j, ri x fitriy^o^Tx
ti ^caviac, ntpi
aiTcaec
xxt ^px^i sVtiv, if o^xpi^ivripa^, -il
dn'koìjvripaiy
{Mttaph.\,\),
Or
questo precisamente ò U metodo che il
Vico, certo in modo assai
confuso,
esitante, arruffatissimo, adopera nelle sue
ricerche; nò quindi
il De
Ferron s' ò apposto male nel dichiararlo,
come vedemmo, metodo
essenzialmente
aristotelico.
* Dice
anzi così: H mio criterio i in
me aeeieurato daUa eeienga Hi
Dio,
eiCl fonU e regalia dT ogni vero.
(Risp. II al Oior. de^Lett.)
eh'
ella non possiede, ma che pur va
con infinito pro-
cesso e
per gradi accostando sempre più. Talché
quando
sentiamo
il metafisico teologista e Tontologista
affermare
la
scienza divina essere norma e regola
dell' umano sa-
pere,
mostrando credere con ciò d'averne contezza
vuoi
per
virtù d'un rapido volo d'intuito, vuoi
per notizia
chi sa
come e da chi graziosamente rivelataci,
e' non
dicon
nulla di serio, nulla di positivo
addirittura. Per
affermar
tutto questo con tanta sicurezza, non
do-
vremmo
possederla cotesta scienza? Non dovremmo
anzi
dominarla e rimaneggiarla a nostra posta
così come
l'agrimensore
fa del suo compasso?
Norma
vera, norma che noi dominiamo davvero,
norma
già nota al mondo prima d'ogni altra,
semplice,
evidente,
inconcussa, è per l'appunto la matematica.
Della
quale l'A. della Scienza Nuova, non
altrimenti
che
Leibnitz, Galileo, Boezio, Cicerone, Aristotele,
Pla-
tone,
Pitagora, è grandemente innamorato, e
sempre
ne
parla, e sempre con passione viva ne
esalta i pregi*
La
contraddizione ch'altri vede nel porre
ch'ei fa qual
modello
del sapere or la scienza divina or
la matematica,
è
affatto apparente. Che nell'un caso parla,
o intende
parlare,
deìVidea massima della scienza, della
scienza di-
vina, la
quale altro non potrà essere salvo
che la per-
fetta
conversione del Vero col Fatto, la
compenetrazione
assoluta
dell'oggetto col soggetto. Nell'altro, invece,
di-
scorre non
già dell'idea massima, bensì d'un tipo,
d'una
forma
che, più d'ogni altra accostandosi alla
prima, più
fedelmente
la esprima e la rappresenti. Tal si
è per ap-
punto la
matematica. Tipo infatti del sapere
squisita-
mente
razionale per lui è la scienza
dell'astratta quan-
tità; tant'è
vero che Dio stesso, die' egli in suo
lin-
guaggio, non
altrimenti opera nel mondo delle forme
reali,
di quel che faccia il matematico nel
mondo delle
figure.*
Questo parmi '1 significato più acconcio
da dare
Ved.
Risp. n al CHorn. de' LetU, §
IV.
a tal
sentenza del Vico se non vogliamo
farlo cadere in
aperta
contradizione con seco medesimo; non già
che Dio
e la
sua scienza abbian da esser davvero
norma imme-
diata,
origine e sorgente del sapere umano 1
È un para-
gone, è
una figura e nulla più.
E
poiché intende a questa maniera la
scienza di-
vina, perciò
riesce a salvarsi dagli estremi cui
per vie
diverse
rompon l' idealista assoluto e il
teologista onto-
logo.
Pel primo scienza umana e scienza
divina son tut-
t'uno:
pel secondo ce n' è tal divario
quanto fra il finito
e V
infinito. Se non che Rosmini e
Gioberti nelle opere
postume,
ormeggiando gli aprioristi, pongono anch'essi
medesimezza
fra V una e Y altra scienza,
distinguendo
solamente,
specie il Rosmini, la materia dalla
forma, e
questa
reputando identica, e quella diversa nelle
due
scienze.*
Ma, s'egli è così, divario essenziale
non ci è,
né ci
può essere; stanteché l'essenziale nel
conoscere,
più
che nella materia, stia nella forma.
Invece secondo
la
dottrina del Vico può dirsi, che se
tra l'una e l' altra
scienza
non corra assoluta identità, non vi
possa esser
nemmanco
assoluta difi'erenza. Il pensiero divino
co-
nosce,
perché raccoglie gli elementi; e nel
raccorli reci'
meivte
li pone. Il pensiero umano va
raccogliendoli an-
che lui,
e nel raunarli idealmente li pone. E
tale vera-
mente appare
la sua sentenza là dove osserva che
il
conoscere
umano si discerne dal divino quanto
il solido
dal
piano, quanto 1' effige in rilievo
dal monogramma.*
*
Rosmini, Teosofia^ toI. I, cap. Vili.
-- Gioberti, ProtoUy voi. II.
*
Altra difficoltà, secondo alcuni critici,
sarebbe questa. Se vero sapere
è il
sapere per cagioni, se conoscere Tal
produrre, se pensare è fare ; com*
è
possibile
arere scienza dell* assoluto senza farlo,
senza produrlo? Cono-
scere Dìo
a questa maniera non è un assurdo?
anzi una bestemmia, a
detta
del medesimo Vico? — Per tutta
risposta io to* riferire alcune sue
pa-
role le
quali racchiudono, panni, il significato
sincero di sua mente, chec-
ché ne
possa dire in contrario egli stesso:
< Volete {^o' Qf^W) insegnarmi
una
verità ecientijiea t Assegnatemi la cagione
che tutta si contenga dentro
di me,
sicché io m* inltenda a mio modo
un nome^ mi stahUisea un assio-
ma del
rapporto ék' io faccia di due o
p^ idee di cose astratte, e in
con-
segueAa
dentro di me contenute : partiamoci
da un finto indivisibUe : fer-
Dalle
cose discorse ci sarà dato cogliere
il significato
universale
del Criterio della Conversione, scandagliarne
il
valor razionale, e vedere quant' ei
riesca fecondo nel-
r
applicazione. Perocché criterio del vero,
criterio del
certo,
criterio psicologico, criterio logico e
simili, mai non
approderanno
a nulla quando non possano risolversi
nel
criterio
della scienza, che vuol dire nel
principio stesso
della
scienza. Qual è cotesto principio? Qui
dobbiamo
contentarci
d'additare a fuggevoli tocchi il risultato
spe-
culativo
della nostra dottrina, applicandolo alla
storia.
Conversione
suona processo, e importa quindi molti-
plicità
e varietà di momenti, d'intervalli,
d'istanti. Im-
porta
differenza di gradi, e diversità di
termini; onde
vale a
ritrarci la natura stessa, la stessa
intima costrut-
tura
delle cose. A questo modo il
criterio, da semplice
norma
psicologica, da semplice criterio, passa ad
assu-
mere forma
e valore di principio scientifico
universale,
appunto
perchè ritrae la natura stessa delle
cose. Sen-
miamoci
in un imaffinato inftnitOf e voi mi
potrete dire : fa* del proposto
teorema
una dimòetranone, che tant* i dire
quanto : fa' véro ciò che tu
vuoi
eonoacere;
ed t'o, in eonoecere il vero che
mi avete proporlo, il farò; talchi
non
mi
reeta in conto alcuno da dubitarne,
perchè io §te»»o V hofaUo, » (Risp.
II,
§ IV.)
Ecco qui descrittaci con esattezza mirabile
la funzione edattiT»
del
pensiero ftlosofico positivo. Conoscer TAssoluto
per via d*an intimo
lavoro
di riflessione eduttira non è impresa
impossibile, né assorda; e
conoscerne
e provarne resistenza per via di
causa non vuol dire crearlo,
come
suppone il Vico. Vuol dire bensì che
noi possiamo comporcene l'idea,
creandolo,
educendolo come ideale per virtù del
pensiero. Vuol dire, in som-
ma, esser
necessario adoperare qudV analiei divina
de*pen»ieri umani..,, la
quale
guidandoci JU filo entro i ciechi
laberinti del cuor deU^uomo^ ci potrà
dare
non già gV indovinelli degli Algehrieti,
ma la eertena quant^ è lecito
umanamente
sul problema ftnale e sull'assoluto
fondamento delle cose.
[Lett.
al SoUa^ voi. VI, p. 14.) Che
cosa sian cotesti indovindli da Al-
gebrieti,
fatevele dire da' Teologi e dagli
Hegeliani, che l' avrebbero a
sapere
! **
nonché
il concetto di conversione non potrebbe
rivestir
forma
di principio, ove con esso noi non
potessimo
correggere
altri due criteri che sono due
estremi : l' as-
soluta
identità, e l'assoluta diversità. Quando si
tratti
d'investigar
la natura e scrutar la costituzione
essen-
ziale
dell'essere considerato in sé stesso, a
me non riesce
concepirla
altrimenti salvo che sotto tre forme,
o posi-
zioni che
si voglian dire ; e son queste
:
1* Che
i termini della conversione ìestino essen-
zialmente
diversi, opposti, non conciliati; o al
più con-
ciliati in
maniera empirica (Dommatismo empirico):
2» Che
cotesti termini in sostanza siano
essenzial-
mente
identici (DommcUis^mo razionale e metafisico;
Sistema
assoluto):
3**
Che siano l'una e l'altra cosa
insieme; diversi
in
quanto identici, identici in quanto diversi
(Dottrina
filosofica
positiva).
So che
i positivisti, poco benevoli a tal
maniera di
speculazioni,
sorrideranno a questo linguaggio per loro
poco
men che sibillino. Ma non v' è
riso che basti a di-
struggere i
fatti, e la storia. Tutta la storia
passata e
anco
futura del pensiero speculativo s'è
aggirata e
s' aggirerà
in perpetuo sopra que' tre punti ;
per cui chi
voglia
in qual sia modo filosofare, non può
non imbat-
tersi in
una delle tre posizioni anzidette.
Nella
prima d' esse i termini della
conversione, as-
solutamente
ed essenzialmente diversi, convertonsi; ma
in
guisa aflFatto estrinseca, meccanica. De'
due termini
l'uno
é assolutamente fuori dell'altro; sì che
paion
solamente
fra loro congiunti, quasi attaccati,
addossati
r un
r altro non si sa come, non si
sa perché. Dunque
alterità
empirica, empirica diflFerenza: differenza reale
fra
essi, non già svolgimento di forme,
né di contenuto;
non
diversità di momenti, d'atti, di funzioni,
ma di
stato.
Si direbbe che non ci sia altro
che suoni acuti
di qua
e suoni gravi di là, ma sempre
fra loro scordanti,
non
sapendosi ritrovar quella nota fondamentale
e co-
mune
che, temprandoli insieme, Taglia a comporli
in
armonia.
Però qui non ci ha moto, non
vita, ma realtà
fredda, immobile,
stecchita. AèA;BèB;CèC;
r
essere è T essere : ecco tutto.
Nella
seconda i termini, come essenzialmente
identici,
si
convertono, ma solo in apparenza. Si
convertono solo
per
ripeter sé medesimi. Si convertono perciò
in quanto
si
compenetrano: il che non vuol dir
conversione, ma
identità
assoluta. Ciò svolgimento, processo, sviluppo,
varietà
di momenti; ma è svolgimento formale,
sviluppo
fenomenico,
semplice varietà non diversità di momenti
:
quindi
ripetizione, monotonia, necessità meccanica ma-
teriale, 0
meccanismo ideale. Nulla di nuovo, fuorché
il
fenomeno.
Una la sostanza, ma infinitamente
molteplici
le
superfici. L' essere, l' essenza delle cose
è identità con-
creta,
identità sostanziale. Qui dunque e' è
difetto di fe-
condità vera
nell'essere; dimodoché la conversione è
compenetrazione
di termini in una varietà infinita di
momenti
reali e tutti fenomenici. A-=B; B-C;
C-D:
l'Essere
é il Diventare.
Nel
terzo caso, finalmente, la prima e la
seconda po-
sizione sono
conciliate. Né tal conciliazione accade
mercè
i
soliti principii superiori, e i soliti
terzi armonici, e i so-
liti
dialettismi che, quanto piii voglion
accordare, tanto
più
facilmente scordano alterando, sciupando,
guastando
la
natura dei termini che intendono trarre
ad armonia.
Sono
bensì conciliate, perchè legittimate entrambe;
né
potrebbon
esser fatte legittime, ove ciascuna d' esse
non
serbasse l'
individuale esigenza che la distingue.
Voglio
dire
che fra' termini della terza posizione
non v' è im' as-
soluta
identità; e non v' essendo assoluta
identità, e' sono
distinti;
e distinto eziandio ne risulterà il
processo.
Laonde,
anziché compenetrazione, fra essi ci è
conver-
sione ;
anziché assorbimento dell' un nell' altro,
rispon-
denza. Or
come sarebb'ella possibile tal conversione
ove
fra' termini
non fosse opposizione? Essi perciò hanno
un
limite
in sé, e quindi un intervallo. E
non ostante i li-
miti e
gr intervalli e' pur si toccano, ma
senza confon-
dersi: e
non potranno confondersi perchè la lor
diffe-
renza non
è di forma, anzi di sostanza. Qui
dunque non
v'è
noiosa e monotona ripetizione: ci è
vita vera, ori-
ginalità,
novità, fecondità d'essere. A si converte
con J?,
non
perchè l'uno sia l'altro, non perchè
siano identici,
ma sì
perchè sono distinti. Or come potrebbero
esser
distinti
senza un fondamento comune ?
Per
astratto che paia questo nostro linguaggio,
non
potrà
essere oscuro a chi abbia qualche
dimestichezza
con
ispeculazioni di cotal genere; né dubbia
od oscura
tornerà
la conseguenza che ne trarremo. Ed è
che il
criterio
della conversione, sia che Tobbietto di
essa
vogliasi
intendere come assorbimento o compenetra-
zione de'
suoi termini, sia che come assoluta
alterità;
riesce
sempre infecondo, sterile, esclusivo,
irrazionale, o
al
pili apparentemente razionale. Dunque la
posizione
metafisica
piti legittima e positiva sarà la
terza; ed è
quella
appunto che si trae dalle dottrine
del Vico. Spie-
ghiamoci
pili netto, e confermiamo qui anc'
una volta
il
concetto della Scienza e del Criterio.
Nella
prima posizione la scienza non è
possibile a
verun
patto. Ella pecca per difetto. Ella
pecca per non
saper
essere scienza metafisica in modo alcuno
e sotto
nessuna
forma: però essa è nulla perchè,
metafisicamente,
è
scienza del non sapere. Tale sembra
voglia esser la
missione
storica degli odierni positivisti: Far la
scienza
del
non sapere metafisico! In sostanza e' non
fanno che
riprodurre
la posizione di Sesto Empirico,
modificandone
la
forma: nxvri lòyra lóyo'j
CTOv àvrcxcIo'Oae. E poichè
tal
posizione è negazione dell' esigenza
metafisica, però
cot^t'
indirizzo deve assumere più forme, maniere
di-
verse, metodi
differenti, rappresentandoci così gli sforzi
inefficaci
del pensiero, ed esprimendoci '1 conato
infrut-
tuoso della
mente. Ella quindi piglia forma di
credenza,
la cui
più alta e sistematica espressione è
il credo quia
absurdum;
e piglia forma altresì di senso
comune, d' ana-
lisi,
d'osservazione, di classificazione, d'indagine
par-
ticolare,
induttiva, sperimentale, psicologica. Tal si
è
quella
lunga serie di tentativi più o men
razionali che
dal
monoteismo informe, cui nella religione
s'eleva il
pensiero
attraverso un teologismo pia o men
riflessivo
si va
innalzando e negando se stesso, e
vuol essere
scienza
d'autorità, di fatti, di coscienza,
d'istinto, di sen-
timento,
d'esperienza. Quindi è Tradizionalismo, Psico-
logismo,
Spiritualismo, Materialismo, Filosofia del
senstis
naturce
communis, Filosofia del sentimento, Scetticismo.
Tutte
filosofie entro cui più o meno
spiccatamente s'an-
nida il
Positivismo, perocché tutte consentano nel
co-
gliere il
diverso, l' essere come diverso, alla guisa
che
lo
presenta il fatto. Però non sanno
spiegarlo, non sanno
intenderlo.
E quindi l'oggetto del sapere metafisico
per
esse
riman sempre tale, sempre diversità
empirica.
Nella
seconda posizione il concetto della scienza
è
possibile:
tanto possibile, tanto facile, che pecca
per
eccesso
; pecca, come dicemmo, per voler
essere scienza
ciSSoliUa,
e quindi finisce per diventare scienza
del nulla:
scienza
dell' essere che s' annulla. Tal si è
l' Idealismo
assoluto,
e tali tutti que' sistemi che gli
sono affini:
la
teorica del tutto-idea, dell' idea-tutto,
che pone il
contenuto
dell'essere come assoluto, identico, univer-
sale. Il
divenire è legge; legge essenziale, legge
supre-
ma :
per cui gli Hegeliani oggi non fanno
che ricantar
sott' altra
forma la posizione d'Eraclito: nàvra yj^pti
òifSiy
psvsi: ripetizione monotona, monotono ritornello»
ond'
agli occhi di costoro (secondo l'
osservazione d' un
tedesco)
tutto è vecchio, tutto è saputo, e
nulla di
nuovo,
nulla di spontaneo, nulla d'originale non
sarà
mai
possibile nell'essere stesso.* L'identico nel
diverso,
ma nel
diverso fenomenico, apparente : ecco la
formola
dell'
Idealismo assoluto quando l' Hegeliano voglia
esser
conseguente
a sé medesimo.'
'
Stahl, St. dilla FiL dd Diritto^ voi.
II» p. 300.
' Non
mi facciano il viso dell* arme i miei
buoni amici Hegeliani, se
Nella
terza posizione, finalmente, la scienza
intesa
come
sapere metafisico non è un nulla,
dicemmo, e
neanche
il tutto. Non è metafisica negativa,
e nemmanco
scienza
assoluta. La divisa dunque della vera
filosofia
positiva
è il gran principio Leibniziano, che
troviamo
verificato
anche nelle dottrine del Vico : Tutti
i sistemi
esser
veri in ciò che affermano; tutti
essere falsi in ciò
che
negano. Perciò il carattere che la
distingue risiede e
spicca
sopratutto nell'accettare quel che le
posizioni con-
trarie ed
opposte affermano, e nel negare
precisamente
ciò
ch'elle negano. Essa nega la loro esclusività,
le
corregge,
e le invera. Quindi riesce filosofia
positiva, in
quanto
è produzione de' fatti e del pensiero
; risultamento
d'un
lavoro costante e combinato fra
l'esperienza e le
idee,
fra la natura e lo spirito, fra
la storia e'I pensiero.
Più
che sperienza, in lei tutto è
sperimento : tutto con-
versione
incessante, attuosa, e quindi fiducia
profonda
nel
reale come nell'ideale, fede vivace nella
storia come
nella ragione.
La filosofia positiva dunque è positiva
non
perchè
neghi la metafisica, come pretende il
Positivista,
ma si
perchè nega, dall' una parte, la
metafisica dom-
matica, l'
assoluto sapere, 1' assoluto a priori;
mentre
dall'
altra nega lo stesso Positivismo, eh'
è in sostanza
il
nullismo metafisico. Or se la funzione
filosofica se-
riamente
positiva non è quella che nega bensì
quella
rol
mio corto cervello non arrÌTando ad
afferrare il secreto vìncolo dia-
lettico
dello due parole, abbia qai considerato
il divergo come efìOmero
ed
accidentale rispetto a\V identico. Ma non
son essi medesimi che pronun-
ziano, legge
suprema esser V ikdifperbnza dippersnziata
indifprrintr-
MEirrE?
Or che ci dicon queste parole?
Traducendole in linguagt^io un
po'più
umano, 8*ò possibile, ci significano
precisamente questo : /(Z«n(»efì
fatta
diverta in modo identico. E che cosa
Tuol dire identità fatta diverta
in
modo identico f Vuol dire identità
nella divereità^ nò più, nò meno.
Dunque T
essenziale ò sempre T identico! Però non
si sono ingannati
coloro
che, nella stessa Germania, hanno
rassomigliato il sistema di Hegel
ad un
serpentone si morde la coda. (Ved.
presso Lbrminirr, Bi$t.^ de
hi
Phil, du Droitf Voi. II) Nò sonosi ingannati,
nel medesimo paese, nel
dire
che 1* Idealismo assoluto ci rammenta
la eometta di MUnchhausen
la
quale sonava da so ! (Staul, Op.
c«(., voi. cit, p. 499).
che
afferma, ella nega appunto il puro
astratto, nega
il
puro concreto, e cosi afferma la vita
e l'armonia
d' entrambi
ricercandola. Non siamo dunque hegeliani
anche
noi? non siamo anche noi positivisti?
Noi affer-
miamo,
infatti, quel ch'essi affermano; ma siam
pronti
a
negare la loro negazione. I primi
afferman l'identità
com' essenza
delle cose; e però, se voglion esser
conse-
guenti,
devon negare la differenza in quanto
essenziale
ella
medesima. I secondi affermano una relazione
tutta
estrinseca
e stavo per dir meccanica fra le
cose; la iden-
tità
astratta, la differenza reale, immediata e
però sola-
mente
empirica, data, mostrata dal fatto, ma
non legit-
timata dalla
ragione: perciò essi negan l'identità come
essenziale
nell' essere, perchè non capiscon Y
essere, né
loro
importa guari capirlo. Or la filosofia
è positiva,
Imperché
afferma l'elemento positivo, voglio dire
l'af-
fermazione d'
etrarabe queste due posizioni ; 2»
perchè
.negando
l'elemento negativo contraddice alla negazione
di
esse. L' ingegno filosofico positivo sarebbe
un imper-
donabile e
meschino anacronismo e contraddirebbe a sé
medesimo,
ove non accettasse il positivo che è
nell' una
e nell'altra
di queste contrarie posizioni cui è
giunta la
moderna
filosofia europea. Ma se la nòstra
posizione è
davvero
moderna, non però cessa d' essere antica
: ed è
antica
senz' esser vecchia. Essa è la
medesima esigenza
di
quelle due grandi dottrine attorno a
cui s'affatica
da
venti secoli la speculazione occidentale.
Aristotelismo
e
Platonismo. Aristotele e Platone non si
contraddi-
cono. Essi
concordano, s' altro mancasse, nel concetto
della
scienza; e gli opposti indirizzi ond'
abbiamo parlato
sin
qua in modo puramente astratto e
teoretico, non ap-
partengono
ad essi, ma di essi ci rappresentano
appunto
r
esagerazione. Dunque la correzione piii
seria ed efficace
del
Platonismo e dell' AristoteHsmo sta nella
terza po-
sizione. La
quale perciò, in mentre cha»giustifica la
storia
della filosofia, la innalza ad unità
razionale, e le
imprime
una forma razionalmente positiva.
In che
veramente consiste tal forma razionale e
po-
sitiva di
speculazione metafisica?
Ella
consiste nel porre tre ordini di
realtà, ma si-
gnoreggiati
da un medesimo principio. A questi
tre
ordini
di realtà il Vico, certo per
significarne 1 indipen-
denza e
la distinzione essenziale, die titolo di
mondi:
Mondo
delle Menti e di Dio (Processo
ideale);
Mondo
della Natura (Processo naturale);
Mondo
delle Nazioni (Processo istorico),*
* Il
concetto de' tre proce»9Ì è simboleggiato
ne* Tre mondi della IH- .
pintura
messa in fronte alla Scienza Nuova.
Taluno potrà sorridere pen-
sando a
questo schema simbolico; e sorrida a
sua posta! Non è mancato
invece
chi lo abbia preso sul serio come
in (Jermania U GOoschel, il quale
ha
saputo scorgervi un concetto metafisico
originale, tantoché ne* suoi i
Fogli
«parti ne ha parlato in opposizione ali*
Hegelianismo (Ved. Cantoni,
St.
Critici). Ma ci è una ragione seria
per cui il Vico pone in fronte
alla
Scienza
Nuova cotesto suo schema? Ovvero ò
una fantasia platonica e
mezzo
teologica, uno scherzo da erudito, un
giuoco da letterato, un va-
neggiamento d'
un contemplatore solitario e fantasioso V
Una ragione
e* è
; ed è quanto seria altrettanto
chiara. Cotesto schema simboleggia
appunto
la sua dottrina metafisica, i cui
germi dicemmo trovarsi nelle ^
opere
latine. Avvertimmo già che una metafisica
nella Scienza Nuova
c'è,
ma vi è supposta, vi è presupposta,
non già incorporata con essa,
come
crede il prof. Spaventa. Come fate a
sapere (mi si chiederà) che
cotesta
metafisica ci è, ma vi è supposta?
Lo potrò sapere per più vie.
Lo so,
perchò lo induco dair insieme delle
dottrine spiegate in quel li-
bro. Lo
so, perchò guardo alle attinenze infinite,
tacite ed espresse, fra
la
Scienza Nuova e le altre opere.
Finalmente Io so, perchò V autore
stesso
me lo
dice e me lo fa intender chiaramente
con la sua Dipintura, Che
cosa
infatti vorrà significare mai cotesto
schema simbolico? lì con-
cetto de*
tre mondi racchiude in sostanza quello
de* tre processi dell* es-
sere; col
che il Holitario del secolo JF///
anticipava d* un secolo THege-
liauismo,
ma nel medesimo tempo lo correggeva.
Ora, chi applichi al tri-
plice
processo il criterio della Convernone del
vero col fatto,, nel mentre
può
imprimer valore di principio a cotesto
criterio, si avvede che pro-
prio in
quella Dipintura giace nascosto il
nòcciolo, per così dire, della
monte
del Vico, e però la chiave maestra
della sua dottrina metafisica.
Questo
schema da una parte è come il
risultato delle opere latine ridotto
a
concretezza sensata, e presentato sotto
forma simbolica ; mentre dal-
r altra
e* si presenta come Tantecedente immediato
della Scienza Nuova,
e
figura quasi il perittero degli antichi
edifizi. Che sia cosi non e* é
bisogno
di perderci in istudìati arzigogoli. Il
fine per cui egli prepone
al suo
libro la Dipintura è detto nello
stesso titolo: la Dipintura pro-
posta al
frontispizio serve per T INTRODUZIONR delV
Opera. Dunque, ridicia-
molo, in
lui c'è una metafisica; e questa
metafisica non ò incorporata
Or se
tre sono gli ordini della realtà, in
questi
per
prima cosa, vuol esser fondata la
genesi e V ordina-
mento delle
difiPerenti parti che compongon la
filosofia.
La
prima di queste parti riguarda il
processo ideale, il
processo
in sé medesimo considerato, V essere
attuale,
r
infinito attuale. Ella è metafisica e
logica, due cose in
una;
ma senza che fra loro ci sia
quella pretesa equa-
zione che
a marcia forza ci voglion vedere gì'
Idealisti
assoluti.
Se è vero che la metafisica è
anch' essa una lo-
gica, non
è vero che la logica sia la
metafisica. — La
seconda
parte è la filosofia della natura, la
quale versa
nel
finito attuale senza che s'abbia da
imporre alle
fisiche
discipline. Ella non fa che applicare,
in accordo
co'
risultati sicuri dell' esperienza, il
solito criterio della
conversione,
per cui non potrebb' esser detta costru-
zione a
priori, — La terza parte, finalmente,
è la filo-
sofia dello
spirito sotto tre forme, o processi:
storico,
sociologico
e psicologico. L' obbietto di essa
non è il
finito,
ne l' infinito, ma il finito che
tende all' infinito,
Vinfiniio
potenziale. Ora il problema di tutt'e
tre queste
parti
è quello stesso di ciascuna, ma sotto
forma pe-
culiare.
Esso consiste nel mostrar l' identico nel
diverso
e
viceversa; cioè nel mostrare la conversione
del Vero
nella
Scienza Nuova, ma è tutta in quello
schema che 9ervc per intro-
duzione deW
Opera. Perciò chi voglia intendere il
suo libro, s' ha da stu-
I
diare d* intendere innanzi tutto la
Introduzione che vi è preposta. E
pure
quanti
sono che ci abbian badato ? Quanti
sono anzi che non ci abbiano
riso V
Ma che cotesto invece sia negozio da
non pigliarsi a gabbo, ce lo
dice
egli medesimo là dove rÌ9tringendo TI
db a deW Opera inuna^omma
hrieviisima,
accenna che cosa rappresenti in sostanza
la sua figura. Che
poi
intendesse racchiudervi una dottrina metafisica,
lo avverte chiaro
nella
lunga nota in su la fine della
Spiegcutione^ dove per fare intendere
al
lettore la heUezaa detta Divina Dipintura^
gli pone sotV occhio V or-
' rore
e la bruttezza d* altre dottrine
contrarie, per es. lo Spinozismo, il
■
Determinismo storico, lo Scetticismo, il
Sensismo, V Epicureismo e simili.
Dunque
(giova ribadirlo bene) di sotto a
que* sìmboli, che a taluno son
parsi
fantasia da poeti, la critica seria e
indagatrice ha da scorgere due
;
concetti: !« U concetto della Conversione}
S*» il concetto de* tre /Voce»»».
Questo
è il punto, e quello è la leva;
e con quel punto e con questa
leva,
chi no avesse la fona, potrebbe
muovere terra e cielo.
col
Fatto, della forma con la materia,
dapprima in sé
stessa,
poi nella natura, poi nello spirito e
nella storia.
Questa
è precisamente la divisione razionale e
po-
sitiva della
filosofia. Ed è razionale e positiva
perchè
mentre
racchiude il vincolo secreto de' tre
processi, nega
insieme
la pretensione de' sistematici assoluti, agli
occhi
de' quali
la genesi del pensiero è identica a
quella del-
l'essere.
Per noi invece fra l'una e l'altra
non v'è iden-
tità, ma
conversione. Ed è questo, come vedremo,
il
significato
sincero della nota sentenza vichiana su
la
relazione
fra l'ordine logico e l'ordine ontologico.
A
conclusione intanto di tutto ciò che
siam venuti
discorrendo
ne' precedenti capitoli su la scienza e
sul
criterio
della scienza, dobbiamo vedere in che
modo il
criterio
delle tre posizioni ond' abbiamo innanzi
discorso
valga
altresì a farci interpretare la storia
della filoso-
fia, e
intender la genesi e determinare la
peculiar na-
tura de'
differenti sistemi filosofici.
Non si
può esser filosofo senza essere storico
della
filosofia,
e viceversa. Scienza e storia della
scienza sono
due
aspetti d'un medesimo subbietto; ma sotto
diverso
punto
di lume. Sono due aspetti che non
si confondono
fra
loro, ma si distinguono; e si
distinguono appunto,
perchè s'
hanno a compiere a vicenda. Questa è
legge
universale
di ciascuna scienza, ma segnatamente della
filosofia.
La necessità della storia d' una scienza,
infatti,
è in
ragione inversa della sua compiutezza e
costituzione.
La
storia della matematica è una curiosità,
un' erudi-
zione agli
occhi del matematico. Erudizione e
curiosità
la
storia della chimica e della fisica
pel chimico e pel
fisico
puramente sperimentale. Ma potrebb' esser
sem-
plice
curiosità la storia delle scienze induttive
quando
si
pigli a considerarle nelle loro questioni
generali come
ha
fatto il Whevrell? Sarà semplice erudizione
la storia
del
Diritto pel giusnaturalista? Erudizione e
curiosità
la
storia del sentimento religioso studiato
nelle differenti
civiltà?
Tanto meno dunque la storia del
pensiero filo-
sofico
potrebb'esser pel filosofo una quistione di
curiosità.
Una
filosofia che divelta e stralciata dal
suo passato
non
sappia annodarglisi e continuarlo e
correggerlo, piii
che
filosofia è romanzo; più che speculazione
seria, uto-
pia. Un
agrimensore cui manchi il terreno da
sottoporre
a
misura; un pilota senza naviglio sopra
cui possa ado-
perar lo scandaglio
e la bussola: tale per me è il
filo-
sofo senza
la storia de' sistemi filosofici.
Sennonché,
studiar questi sistemi nella storia per
noi
non è, come per gli ecclettici,
studiare la scienza
stessa.
La storia è mezzo efficacissimo, strumento
essen-
zialissimo,
condizione vitale per la scienza, ma
non ca-
gione. Ora
perchè lo studio de' sistemi abbia
valore di
strumento
efficace, è d' uopo saperlo non pur
maneg-
giare, ma
indirizzarlo ad un fine altresì. Per
l'una cosa e
l'altra
un criterio è imprescindibile. Dond' emerge
cote-
sto
criterio? Dalla storia, dicono alcuni. Ma
allora la sto-
ria sarebbe
la scienza stessa! Dalla mente, risponde
altri,
cioè
dal sistema. Ma in tal caso la
mente, il sistema sa-
rebbe la
storia ! Né dall'una, dunque, né
dall' altra sor-
gente in
modo esclusivo può emergere il criterio,
sibbene
da
entrambe. In che maniera? Hoc opus,
hic labor.
Perchè
il criterio possa riescir davvero
profittevole
dee
metterci in grado d' interpretare in
qualche modo la
storia.
Dee farci comprendere il suo problema;
dee farci
intendere
il suo fine. Ora per interpretare la
storia della
filosofia
innanzi tutto è mestieri disporla,
ordinarla; or-
dinarla
secondo il fatto, più che secondo le
ispirazioni
di
nostra fantasia. Ma, daccapo, come disporre
e ordi-
nare senza
un criterio? Ecco la necessità della
psico-
logia. La
quale sedendo in mezzo, per così
dire, alla
storia
e alla filosofia, cioè in mezzo ai
fatti, ai sistemi
che ci
porge la storia e alla teorica che
può darci il
pensiero,
costituirà l' unica sorgente del criterio.
E il
segno
men fallace a ponderarne la verità e
legittimità
è il
vedere se ci ha rispondenza fra lui
e l' ordine cro-
nologico
nonché i caratteri presentatici dalla
storia
delle
diflFerenti dottrine. Tal rispondenza ci
può fallire
in due
modi, e per due ragioni; o perchè
la materia
non si
presti, ovvero perchè il principio tolto
siccome
regola
torni inapplicabile ed erroneo. Neil' un
caso la
storia,
come scienza, è fatta impossibile per
sé stessa:
nell'
altro è fatta impossibile da chi la
studia per non
aver
saputo imbroccar nella scelta del criterio.
Di fatto,
per
vedere se uno storico della filosofia
erri lungi dal
vero,
non e' è che guardare alla
composizione del suo
disegno.
Quand' ei prediliga alcune figure, e
metta V una
anziché
l'altra sotto certi punti di lume, e
faccia risaltar
questa
più che quella scuola, e rintani giù
fra le ombre
un'
altra, o tiri un velo sopra una
terza, egli per noi è
storico
da scuola, storico da gabinetto, storico
a proprio
servigio, storico
esclusivo, perchè esclusivo il criterio col
quale
interpreta la materia eh' egli ha fra
mano. Tutti
gli
Hegeliani senza eccezione danno in questo
difetto.
Senonchè
la storia de^ sistemi, eh' è appunto
la mate-
ria sopra
cui lavora lo storico, può davvero
prestarsi ad
uno
studio che serbi valor razionale? — I fini
dello storico
sono
diversi. Principalissimo è quello di
legittimare il
proprio
sistema (giacché non si può prescindere
da una
dottrina),
ricostruendo così e ricomponendo gli anelli
della
tradizione scientifica. Egli dunque innanzi
tutto
è
chiamato, giusta l'osservazione del Ritter,
a determi-
nare i
periodi della storia. Ma sono essi
possibili cotesti
periodi?
Sì, certo, risponde il medesimo Ritter;
e ce ne
garantisce
la vita e la natura stessa dell'
individuo, che
vuol
dir la psicologia.* Ma se è possibile
determinare i
* «
Noua pentùfiB que, camme dan» la tic
de ehaque homme il jf a de»
période»
dan» le» quelle» il a tantfìt più»
tcmtót moin» eonjianee de lui-
mime
{la vici»»itxule du eommeil et la
veille en/oumit un exemple trh «en-
»ible)f
de mime au»»i dan» la vie de
Vhumanité enti^re, le développement
e»t
«Olimi* à la periodieiti. Ceat pour
VhahUe kietorien un probUme du più»
kaut
intéra que de trouver le» périodee de
ee diveloppement et «Te» déter-
miner
le» caracth^e». > (Hist. rol. I,
p. 28.) E altroTO, parlando del
perìodo
della
filosofia greca, dice il suo processo
esser e eon/orme au déveloj^-
ment
iiUelìeetuel de Vhofinne, don» Vindividu
eomme dan» Veipèoe, ear la
civili»ation
tend toujour» de la circonférence au
oenlre, » {j>. ibi, 157.)
periodi
storici perchè la materia si presta a
tal fine,
come farebb'egli,
il Ritter, a rilevare e ponderare ac-
conciamente
i caratteri delle differenti scuole e
sistemi
senza
il sussidio d'una norma anteriore e
superiore
alla
storia? Eccoci ricascati nella solita
necessità d'un
criterio
che valga ad imprimere forma razionale
alla
storia
: senza di che lo storico potrà
esser pregevole per
erudizione,
prezioso per esattezza storica, saggio e
con-
scienzioso
per fedeltà critica, ma non per
questo avrà
valicato
i confini dell' empirismo. Tale è il
Ritter fra gli
storici
contemporanei della filosofia. Egli è
critico sa-
vissimo,
checché ne dica la scuola di Hegel.
È interprete
coscienzioso,
indipendente, scrupoloso, accuratissimo; ma
non è
filosofo. A lui fa paura il
dommatismo ; fa paura
il
sistema nella interpretazione istorica : e
non ha torto.
Ma non
si può essere storico filosofo senz*
esser dom-
matico
e sistematico? Il gran pregio del
Ritter sta nel
carattere d'
indipendenza eh' ei dà alle differenti
scuole.
Ma un
principio sopra cui s'incardini la sua
critica, e
gli
porga ragione di tale indipendenza, a
lui manca
assolutamente.
11 criterio
mercè cui lo storico potrà render
utile
lo
studio della storia ed elevarla insieme
a dignità scien-
tifica, sta
neir interpretar la successione e la
genesi e
le
attinenze de' sistemi filosofici ponendo in
opera il cri-
terio delle
tre posizioni che noi abbiamo accennato.
Queste
tre posizioni (e altre non sono
possibili) invocate
a
chiarirci nel magistero della critica e
della interpre-
tazione
della storia, non costituiscon già un
criterio em-
pirico, né
un criterio d' indole eclettica; tanto meno
un
criterio
dommatico, sistematico, ricostruttivo. Non è
cri-
terio
empirico, perchè non sono i fatti
storici (e nel caso
nostro
i fatti storici sono i sistemi
filosofici) che lo par-
toriscano, 0
lo spieghino; ma egli stesso è che
spiega
la
comparsa delle^differenti scuole e dottrine
filosofiche
nel
regno della storia. Non è poi
criterio eclettico per-
chè non iscaturisce
dalla storia, né da' sistemi; anzi ci
fa
capaci d' interpretar V una e giudicar
gli altri senza
esser
sistematici : sentenza che per taluno
avrebbe faccia
di
paradosso, ma non è.* Finalmente il
nostro criterio
non è
sistematico, perchè non isgorga dalle
viscere stesse
di
alta metafisica, né quindi importa ombra
di necessità
dialettiche,
a priori, metafisiche. Ma qui dobbiamo
intenderci
con gli storici hegeliani.
Qual è
il criterio storico di Hegel? È il
principio
stesso
cella sua filosofia; V identità assoluta.
Una infatti
per
lui è la filosofia, uno il sistema
; e le dottrine par-
ticolari non
altro che forme diverse d' un
medesimo
contenuto.*
11 dommatismo sistematico nella storia de'
si-
* La
H;nola del Cousin scimmiottando Hegel,
com'è noto, Terrebbe
far
germinare la filosofia dalla storia, o
considera perciò come elementi
organici
necessari, aempiici e irriducihili solo
quattro sistemi; Sensismo,
Idealismo,
Scetticismo, Misticismo. Da questi fa
risultare la storia d'ogni
tempo
e ln)go; o da essi medesimi vuol
far germogliare la filosofia: La
teoria
deve emergere dalla storia. [Court
ec. Ber. 2* t. II, p. 109-353.) Or
80 la
storia in ogni grand* età e in
ogni periodo filosofico presenta
qne*
soliti qiattro demetiti organieif ne segue
che la teoria, dovendo pul-
lulare
appuiÉo da essi, altro non potrà
esser che un accozzo eterogeneo
e,
meglio che un eclettismo, un sincretismo.
Se gli elementi infatti sono
contraddittorìi
ed eterogenei, non dovrà esser tale
altrosì V insieme che
ne
verrà fuom V Che se per tale
accozzo è mestieri d* un criterio,
eccoci
tosto
fuori della storia; e allora non sarà
altrimenti vero il gran domma
che la
teoria abbia da emerger dalla stessa
storia. — Altro difetto del
Cousin
è, che iella sua divisione non trovan
luogo parecchi sistemi, come
per
es. il Critclsmo, e Y Idealismo
assoluto: 1* uno perchè non è
sistema,
e
nemmanco icetticismo; l'altro perchè, sotto
il riguardo psicologico,
sarebbe
P unione di due sistemi, secondochè
avverte egli stesso. Inoltre
non
giunge a determinar nettamente la fiinzione
dello Scetticismo nella
storia,
e distinruerla dalla funziono che esercita
il Misticismo, il quale
definisce,
le eotf> ds désespoire de la
raièon humaine: quasi che il secondo
fosse
un atto legativo cosciente, com'è il
primo, e non già positivo in
qnanto
che imprta fede, contemplazione, sentimento
e simili. Finalmente
chi
non vorrà legare p^li Eclettici che
il Misticismo, il Sensismo e lo
Scetticismo
siaio da riguardarsi come altrettanti
sistemi V — Ecco a che
mena
un criteri) erroneo su la divisione e
genesi de' sistemi filosofici.
Non s'
intende h storia, e poi si precipita
senza rimedio in una teoria
affatto
sincretici e però assurda.
* *
La storci della filosofia mani/estaf ne*
vari sistemi che sono ap-
parsi,
una sola i medesima filosofia che ha
percorso diversi gradi, e prova
che i
prineipii particolari di ciascun sittema
non sono che parti d* un
solo e
medesimo utto. > (Hbgel, Log. Introd.
§ XIII, trad. Vercu — Wilmx,
stemi
non potrebbe risaltare più evidente, più
rigoroso,
più
universale, più assoluto. Noi innanzi tutto
neghiamo
risolutamente
che le vario dottrine non possan
essere
altro
fuorché momenti diversi d* una filosofia.
Dov'è iden-
tità di
contenuto, a dirne un esempio, fra
Idealismo e
Materialismo?
Tra Teismo e Panteismo naturale o
ideale
che
sia? Ci vuol davvero la pupilla
lincea degli hege-
liani a
vedere, o meglio, a travedere siffatte
ideatità di
contenuto
! D' altra parte, se posta la
evoluzione della
idea 0
contenuto dello spirito ne seguita (come
dicono)
che la
filosofia ha da esser identica alla
storia: non è
egli
codesto un principio degno d' un eclettico
francese?
Non è
la negazione più aperta, più schietta
del progresso
in
filosofia, meno, s'intende, fino al ] 831,
epoca memo-
randa in
che con la sua bacchetta d'acciaio il
gran
negi-omante
del Nord ebbe diffinitivamente segnato e
chiuso
in perpetuo il circolo della filosofia?
S'egli è
così,
la dottrina ^é* circoli e de' ricorsi
storbi che il
Vera
dice esser l' errore madornale della
Sdenzii NuovOj
per me
sarebbe anzi una conseguenza logica, imme-
diata,
inevitabile dell' Hegelianisrao, almeno quant'
al
pensiero
speculativo.*
Hi9t.,
voi. IH, p. 439). La successione
istorica de' sistemi perciò riesce
identica
a quella delle determÌDazioui logiche della
Idea: il perchè in
fondo
a tuttM sistemi non si occulta altro
che un medesioo oontenuto.
* Chi consideri
bene le dottrine e applichi con
acciiiatezza le esi-
genze del
metodo vichiano alla storia de' sistemi, si
accorgerà tosto corno
nella
filosofia, guardata storicamente, ci abbia
da esser moIiipUcità di mo-
menti, e,
che più monta, diversità di contenuto;
del che /a storia dt'Ila
filosofia
greca, come accennammo (pa?. 19«, 197)
porge splendido esem-
pio. Ma,
si badi, ciò non toglie punto che
ci abbia da esser», come di fatto
ci è,
differenze di forma. Se i ritomi e
i rieorgi «tarici nm importassero
anche
in filosofia un contenuto nuovo pur
occultato sotto vecchia forma,
che
cos' altro sarebbe la storia del
pensiero filosofico salvo che an' og-
;,Mo8a
e sterile ripetizione d'un medosiuio
uggiosissimo spettacolo'? Nella
storia de'
sistemi, più che in altre, il moto
e lo svolgim4Qto storico non
somiglia
ad una linea retta, come dicono
alcuni, e mmmanco ad un
circolo,
come pretendono altri. La storia della
filosofia 3 linea retta e
circolo
insiememente. È linea retta, chi guardi
al contenuto ; ed è poi
circolo,
chi consideri la forma, cioè la parto
meccanica do' fatti; giac-
che la
storia, lo dicono e lo credon
tutti, ò fornita alch'ella del suo
Un'
altra osservazione contro gli Hegeliani
poiché
ci
calza. Se V ingegno filosofico (quello,
ben inteso, de-
gl'
imperturbabili e severi negromanti in
filosofia) rac-
chiude in
sé tanta virtù e tal vena
architettonica da
costruire
con lavorio tutto a priori il sistema
della
scienza
dell'essere e del conoscere; la conseguenza
parmi
chiara,
irrepugnabile : ed é che la storia
della filosofia
non
potrà non riescire affatto inutile e
insignificante.
A che
sciupar tempo, a che sprecar la
nostra attività
critica
a studiar ne' bozzetti piii o manco
smorti e me-
lensi e
sconci e abortivi che ci presenta la
storia, se
abbiamo
già dinanzi agli occhi in marmo vivo
e quasi
palpitante
il Davide e '1 Mosè? — Dicono:
« Noi invo-
chiamo la
storia de' sistemi, é vero, ma per
semplice gua-
rentigia del
sistema: la invochiamo com' una riprova di
fatto,
com' una conferma sperimentale.... » Conferma
di
che?
Della costruzione a priori,^ Dunque codesta
vostra
costruzione
è una congegnatura inefficace ! — D'
altra
parte,
se il sistema giace ascoso e beli'
e apparecchiato
nella
storia e non fa che germinare da
essa, in questo
caso
non sarà inutile la vostra costruttura
ideale, a
priori?
Brevemente, una delle due: La costruzione
a
priori
del sistema é ella assoluta? Dimque è
faccenda
inutile
la storia de' sistemi. Il sistema
giace egli beli' e
apparecchiato
nella storia? Dunque inutile ogni alma-
meccanismo.
Ora dunque per noi il pensiero
fllosofico ò daTvero pro-
gressivo; è
progressivo sul serio; progressivo noi
verace senso della
parola
progresso, appunto perchè si svolge anche,
e sopratutto, nel suo
contenuto.
£ qui, com* è chiaro, noi rispetto
agli Hegeliani siamo addirit-
tura a:rU
antipodi; e non è altrimenti il
nostro povero don Giam-
battista
quegli che non ebbe la fortuna (sic)
di scoprire la gran
Ugge
dd progredire della utnanità, ma è
proprio il loro Hegel cui toccò
la
sventura (abbiano pazienza!) di non
conoscerla, anzi di negarla co-
testa
legge; o almeno, riconosciutala da Talete
fino al 1831, Tha poi
negata
a tutt*i secoli avvenire, condannandoli
senza scam(H> a ruminare
eternamente
la medesima formola metafisica! Il concetto
del vero prò-
gre99o
è concetto propriamente impossibile nella
mente degli Hegeliani,
come
vedremo nella Sociologia.
»
MiOHKLiT, Exam, Crit, de la Mèi. d'Arisi.,
Paris, 1836, p. 305.
nacchìo
architettonico dialettico a priori. Nel
primo
caso
voi sarete altrettanti Dii; e noi non
v'intendiamo,
perchè
confessiamo di non esser capaci d'
intendere un
linguaggio
e un pensiero sovrumano. Nel secondo
poi
sarete
eclettici, o positivisti; e noi vi
superiamo. Non v'è
scampo.
Se la storia de' sistemi ha da
servire di per sé
sola a
darci la filosofia; se, d'altra parte,
la congegna-
tura a
priori ha da essere assoluta e tutta
d'un pezzo:
come
legittimarle entrambe? perchè invocar la
neces-
sità d'entrambe?
Intendo l'eclettico che, non sapendo
rinvenir
filo d' energia speculativa ne' bisogni
intimi del
suo
pensiero, viene a chieder soccorso alla
storia. Intendo
non
meno il positivista che con le mani
sotto le ascelle
tutto
aspetta dalla storia appunto perchè non
ha briciol
di
fede nelle native forze della ragion
filosofica, e sorride
agli
sforzi ne' quali nobilmente altri si
prova. Ma come
potrò
intender gli hegeliani che invocan la
storia nel
momento
istesso che vantano la singoiar pretensione
di
costruir l' edifizio scientifico a priori
rifacendosi dal
tetto
?
Che
cosa dunque è da concludere? Precisamente
r
opposto di ciò eh' essi pretendono :
che ne la storia
contiene
il sistema, né la mente può
costruirlo e de-
durlo
a priori. Né induzione, al solito, né
deduzione
neanch'
in quest' ordin di cose. La
possibilità d' una
dottrina
metafisica può germinare dall' azione
combi-
nata delle
due forze; dalla storia de' sistemi
interpretati
a
dovere, e dalla energia intima del
pensiero specula-
tivo. Or
tutto ciò potrebb' egli esser possibile,
se questo
pensiero
non fosse ad un tempo e dentro
e fuori della
storia?*
* Lo
Schmidt divìde la storia de* sistemi
filosofici morendo dal con-
cetto della
filosofia elio per lui è teienza del
fondamento ultimo del nottro
pentierOf
e delV a$§oluto, E poiché cotest'
obbietto si può concepire in tre
gaise,
cioè obbiettivamente, sabbio ttiv amente e neirun
modo e nell* altro
riconoscendoli
entrambi come identici, però ne deduce
1* opposizione
de*
sistemi, e la divisione della storia.
La prima e più generale divisione
è
questa; 1» filosofia grreca ; 2o
filosofia nuova avanti Kant ; S*"
filosofia
Il
nostro criterio non è niente di tutto
questo. Non è
empirico,
non è eclettico, non è sistematico,
non è dom-
matico.
E positivo, e razionalmente positivo. Ed
è tale
perchè
piglia di mira non già i sistemi
propriamente
detti,
anzi le posizioni ultime, più semplici,
irreducibili
del
filosofare, squadrandole sotto doppio rispetto
; sotto
il
rispetto della scienza, e del suo
oggetto. Le posizioni
possibili
dell' ingegno filosofico, di fronte al
sapere me-
tafisico,
dicemmo esser tre: !• impossibilità della
metafi-
sica
(Scetticismo); 2» sua attualità (Sistema
beir e com-
piuto); 3»
sua possibilità (Critica). Anche tre,
dicemmo,
le
posizioni del suo oggetto, cioè le
possibili soluzioni del
problema
metafisico. Dunque tre han da essere
i sommi
generi
sotto cui la storia può venir
adunando, disponen-
do,
ordinando le dottrine, gì' indirizzi, i
metodi, le esi-
genze
speculative formanti le specie e
sottospecie, le
recente
dopo Kunt {St, della FU., p. 16).
Innan^ù tutto questa è una di-
Tisione
essenzialmente sistematica, e riesce alla
filosofia dell* identità: il
che
solo basterebbe a condannarla. Il concetto
inoltre nel quale è fondata
• è
superlativamente esclusivo; tanto cbe rimaui^on
fuori del corso isterico
interi
periodi di speculazione occidentale, per
non parlare della filosofia
orientale.
Così precisamente egli tratta, per esempio,
la scolastica: la
quale,
tuttoché non si possa dire speculazione
metafisica, non però cessa
d'essere
8peéulazione,quantunque in servigio della
teologia e del domma.
K poi,
come mai dalla filosofia greca, con
un salto più che mortale, si
piomba
a Cartesio ? Dov* è qui, non
dico la verità, ma la realtà del
pro-
cesso
storico della filosofia? Un'altra domanda.
Lo Schmidt pone Videntìtà
come
contrassegno del 8^ periodo della
filosofia. Ma, con qual diritto, con
che
verità qualificar tutt* i filosofi di
cui egli parla nel suo S"*
periodo col
carattere
dell* identità ? Come si vede, lo
Schmidt cade nel 1* a pr»art«mo
hegeliano,
ma senza far pompa de* grandi pregi
di Hegel. Tranne V op-
posizione
fra' sistemi, nonché la triplice maniera
onde in essi è concepito
l'assoluto,
ei confessa dì non saper altro per
via a priori di concreto, di
particolare
circa la storia delle scuole e delle
dottrine filosofiche: dovec-
cbò
Hegel non pnr move dalla logica, come
s'ò detto, e dalle alture
logiche
procaccia dedurre i sistemi ed i
momenti della storia, ma più an-
cora li
costruisce; li costruisce indipendentemente dalla
storia. Il metodo
dello
Schmitd, quindi, avrebbe una parte
accettabile, un aspetto vero;
che,
cioè, r indagine storica, per lui,
non riescirebbe un di più affatto
inutile,
come in sostanza dovrebb' essere per Hegel.
Se non che cotesto
bel
pregio svanisce, tost<t che si pensi
all' erroneità ed esclusività dom-
matica
del principio onde move la sua
speculazione. (Op. cit., p. 23.)
divisioni
e suddivisioni de' vari sistemi che
ci presenta
il
fatto istorico della filosofia. Non v'
ha dottrina che no
resti
fuori: né v'è sistema che il nostro
criterio non in-
terpreti e
legittimi. Esso racchiude una legge; anzi
guardato
psicologicamente è legge egli medesimo:
quindi
è
processo, è ternario, è tricotomia, come
direbbero gli
hegeliani,
ma basata in un fatto, fondata in
una neces-
sità
psicologica. È legge ; ma è una
legge, vorre' dire, li-
bera; libera
nelF ordine delle applicazioni, È una
trico-
tomia
mobile, variabile, raoltiforme. È un
ternario pro-
gressivo da
applicarsi liberamente fin dove si può,
senza
che
neppur d'un minimo la storia abbia a
restare for-
zata ne'
suoi responsi, compulsata ne' suoi principii,
vio-
lentata
nelle sue conseguenze. Il nostro criterio,
dun-
que, non
è un letto di Procuste perchè non
iscaturisce
dall'
alto; anzi lascia dischiuso il corso
istorico all' atti-
vità
speculativa, sì che lo svolgimento de'
sistemi, più
che un
circolo, sia davvero quel che debb' essere;
un
processo.
Si può
egli applicare alla storia de' sistemi
cotesto
criterio?
Ovvero è atto solamente a significarci
la ge-
nesi ideale
delle posizioni del pensiero? È atto all'
un :i
e all'
altra funzione. Anche qui, come nella
genesi en-
ciclopedica
e nella distribuzione delle scienze, no
n è
lecito
confondere, ma neanche separare l' aspetto
ideale
dall'aspetto
istorico. Non è egli vero che,
teoricamente
parlando,
chi voglia filosofare non può imbattersi
in altro
che in
una delle tre soluzioni sopra indicate
circa il pro-
blema
metafisico? Or bene, il fatto istorico
non ci mostra
sistema,
non ci addita dottrina, che ad una
di esse più
0 men
direttamente non abbia a ridursi. Intanto
ove il
nostro
criterio non si potesse applicare alla
storia, che
cosa
ne verrebbe? Questo: che da una parte
la filosofia
mancherebbe
d'ogni valore scientifico, e la storia
di essa,
dall'
altra, non potrebbe assumere forma e
significato ra-
zionale di
sorta. Ma come applicarlo cotesto criterio?
Qui
ffiace
Nocco! diceva il buon padre Cesari. Poiché
qui ap-
punto
è mestieri saper cansare due scogli
del pari esiziali
e
funesti: il fatalismo isterico degli
hegeliani, e quel-
r
accidentale, queir arbitrario, quel succedersi
empirico
e
arruffellato dei sistemi onde non sanno
darsi conto
né
ragione gli altri storici della filosofia.
I
sistemi filosofici (Hegel qui ha ragione)
non for-
mano già
successione fortuita ; ma neanche
compongono,
come
altrove toccammo, organismo d'ogni parte
ser-
rato e
compatto. Nella storia della filosofia e
quindi
fra'
differenti suoi pei-iodi, ci è continuità,
ma ci è pure
discontinuità;
vi è intervalli fra' quali non sempre
esi-
stono
annodamenti e articolature, ma spesso
giunture
e
saldature esteriori ; né sempre scorgiamo
connessioni,
ma
successioni. Or in questi passaggi la
storia ci pre-
senta le
forme negative, le forme transitorie della
me-
tafisica, le
quali perciò non sono sistemi, non
sono forme
positive
come quelle dianzi accennate. Tali sono,
per
noi,
il misticismo e *'l sincretismo , l'
eclettismo e lo
scetticismo,
il criticismo e '1 positivismo, e
qualunque
altra
forma nella qual si racchiuda un'
esigenza meta-
fisica non
soddisfatta.* Or se la storia della
filosofia
*
Pongo in questa categoria 1* Eclettismo
francese, non l' Eclettismo
secondo
il concetto leibniziano altrove accennato.
E pongo poi nel no-
Tero
delle forme negative di metafisica anche
il Criticismo, non per ciò
eh*
egli contiene di positivo, per es. i
risaltati su la critica del giu-
dizio, il
principio della. Ragion pratica e simili,
ma solo pel risultato
negativo
cui pervenne il Kant rispetto al
problema metafisico. Sotto
questo
riguardo il Criticismo è il vero
Positivismo; il quale perciò non
è che'
una contraffazione grossolana del primo; nn
Criticismo inco-
sciente.
Entrambi infatti convengon nel dichiarare
impossibile la me-
tafisica: ma
nel primo indirizzo cotesto giudizio ò
un risultato critico,
in
mentre che nel secondo è una pura
affermazione; affermazione pro-
messa, più
che altro, dalla storia e dalle lotte
inefficaci de' sistemi, come
dicono
i Positivisti. Chiamando perciò forma
negativa di metafisica
il
Criticismo, intendo guardare questo sistema
in attinenza con la solu-
zione
fondamentale della scienza prima, con la
scienza dell'assoluto,
rispetto
a cui si sa a che cosa
riescisse la Rngimi pura. E questo
modo
col
quale consideriamo il Kantismo è confortato
dalla nota sentenza di
Schelling
che noi crediamo verissima: La Critica
dd Kant l un'opera
uniea
perchè ì il fondametUo di tutti i
tittemif ^enza eh' eìla eia per 9Ì
«tewa
un nttcma. (Syst. de Pldéalìsme
trascendantal. pag. HO.)
fosse
per avventura quel che vorrebbe Hegel,
io sfide-
rei tutti
gli hegeliani a giustificare, ad intender
coteste
forme
negative nelle quali talora s'incarna T
attività
speculativa
del pensiero umano. Per essi la
storia do-
vrebb'
esser tutta uno svolgimento perpetuo,
crescente
e mai
non defettibile di forme positive. L'
Idealismo as-
soluto,
dunque, non ispiega coteste forme negative;
non
ispiega
gli errori in filosofia, al modo
istesso che non
giugne
a spiegare il male nell'ordine morale.
Stando
anzi
alla legge e alla necessità dialettica,
non dovrebbe
avvenir
tutto l'opposto? Al contrario movendo, come
vedremo,
dalla psicologia, cioè dalla genesi
psicologica, i
passaggi
e gli intervalli nella storia della
filosofia son
già
beli' e spiegati, ed entro certi
limiti anche giustifi-
cati; e
così avremo spiegato e giustificato le
forme
negative
del pensiero metafisico considerandole come
strumenti
e condizioni delle forme positive, appunto
perchè
siffattamente non siamo spinti da una
superna
necessità
dialettica, ma guidati da una legge
essenzial-
mente
psicologica e storica.
Sennonché,
se due son le serie delle posizioni
nel
processo
isterico della filosofia, una però è
la legge che
le
governa e per cui elle formano un
sol organismo,
un sol
processo. Vi è tra' viventi storici
chi nella storia
della
filosofia distingue due serie di sistemi,
sistemi
erronei,
e sistemi veri, ì quali ultimi per
lui formano
la
filosofia perenne. Quelli negano, separano,
confon-
dono; questi
affermano, distingtcono, accordano.* Ma
quali sono
i veri? È egli possibile anzi, nella
storia, un
sistema
vero? E quali poi sono i sistemi
erronei? Il
panteismo,
il dualismo, lo scetticismo, ci si
risponde. Ma
da
quando in qua è diventato sistema lo
scetticismo? '
Neppur
quello di Sesto Empirico, portato alla
forma
più
squisita di negazione dal Ferrari, potrà
meritare
cotesto
titolo. Perchè fame dunque una famiglia
con
*
Tale, per esempio, è la dottrina, del
prof. Conti. Ved. ^. <UUa
FU,,
Tol. I, Introd,
gli
altri due, rispetto a cui diflFerisce
essenzialmente per
la
funzione peculiare eh' egli esercita nella
storia ?
E
perchè poi appellar negativi il dualismo
e il pan-
teismo?
Forse che essi non racchiudon parte
di vero?
Questione
di parole! si dirà. No, davvero,
quistione di
sostanza,
io rispóndo. Dicendo sistema lo
scetticismo,
e accomunandolo
col panteismo e ch)1 dualismo, noi
avremo
alterato profondamente la congegnatura de' si-
stemi,
avremo travisato il valore della storia^
ne saremo
in
grado di coglier alcun vincolo razionale,
verun legame
organico
fra sistemi veri e sistemi erronei.^
* Per
la maniera con che questo valoroso
scrittore considera le forme
positive
e le forme negative del filosofare,
avviene che il disegno, ond' è
architettata
la sua storia, torna esclusivo,
unilaterale, parziale, tuttoché
egli
quasi ad ogni voltata di pagina si
piaccia chiamarlo comprenaivo.
Noi
intenderemmo il pensiero del Conti
quand'egli, a spiegare e scriver
la
storia della filosofia, avesse ormeggiato,
per esempio, il Gioberti, il
Rosmini,
e come questi avesse diviso tutta la
storia e la filosofia in due
grandi
scompartimenti; sistema ortodosso, e sistemi
eterodossi; di qua
la
verità, e di là V errore. A
questo modo sarebbe stato conseguen-
tissimo
alle idee cattoliche. E poiché T
errore, secondo V osservazione
del
Rosmini, non è, nò può esser sistema,
nò quindi aver leggi, non
avrebbe
chiamato aiatemi quelli eh* ei dice
sistemi negativiy nò si sarebbe
aiikticato
a mostrarli regolati da una leg?e. La
quale pel Conti, chi ben
guardi,
non è norma isterica, non ò criterio
fecondo e profittevole nella
interpretazione
de* sistemi, ma, al più, una veduta
della mente esco-
gitata
per comodo di studio. Qual vincolo,
per dirne una, qual processo
fra
panteismo e dualismo ? fra questi e
lo scetticismo, siano qualunque
la
forma? Non è vero, dunque, che ci sia
una leggo la quale guidi Ter-
rore, ed
un'altra che sopravvogli alla verità: come
non è vero che
nella
storia de* sistemi siano due correnti,
Tuna che sbocca e perdesi
negli
abissi dello scetticismo, e 1* altra
che finisce e riposa tranquilla e
serena
nella perenni» philotopMa guarentita e
sorretta da* cinque eriterii.
La
legge ò una, ma si applica in
due modi: come una è la corrente
che
procede
sempre incanalata per entro a un medesimo
alveo, ma che ta-
lora,
straripando, allaga le campagne, e spianta
dalle piìi fonde radici
le
selve annose, e non di rado stagna
e si corrompe e inverminisce,
e tal'
altra precipita sì che trascina e
inghiotte no' suoi gorghi le pic-
cole e
fragili barchette delle menti umane. Ma
è sempre la medesima
onda,
sempre la medesima corrente che muove
da un* identica sorgente ;
la
natura umana. Al qual proposito giova
osservare come nò filosofi hege-
liani, nò
filosofi cattolici potranno intendere
convenevolmente la storia
del
pensiero filosofico e spiegare naturalmente
le sue forme negative, per-
chò sì
gli uni come gli altri trascurano la
psicologia. I primi, come s* ò
Il
nostro criterio non ha nulla d' estraneo
alla storia
e alla
psicologia; nulla d'a priori nel senso
domma-
tico,
sistematico, religioso. È un a priori,
se si vuole;
ma un
a priori di natura essenzialmente
psicologica.
Or che
cosa con la psicologia potremo conoscer d'
an-
ticipato su
la genesi de' sistemi filosofici?
Anche
qui, non altrimenti che nella dottrina
su
l'ordinamento
deUo scibile, come poco fa osservammo,
è d'
uopo distinguer la genesi ideale e
psicologica, dalla
genesi
storica nelle dottrine filosofiche. La
genesi ideale
de'
sistemi si radica nella natura e
sviluppo delle stesse
funzioni
psicologiche considerate in sé medesime,
cioè
neir
individuo come ^)rocesso conoscitivo. La
genesi isto-
rica
poi tiene anch' ella al processo
conoscitivo, ma
considerato
nella specie, nella successione storica e
sociologica.
Dall' una non può esser dedotta l'
altra,
perchè
nella seconda intervengono cagioni assai
più com-
])lesse
che non troviamo nella prima. Or
dalla psico-
logia noi
potremo conoscere anticipata la genesi
ideale
dei
sistemi, non mai la genesi storica. E
in che consiste
ella
cotesta notizia anticipata? Semplicemente in
questo:
che
nel determinare il fondamento assoluto
delle cose,
il
pensiero filosofico non giugno di tratto
alla verità che
gli è
consentita. Dapprima ei la comprende in
maniera
empirica,
e per virtii, come dire, estrinseca ;
puntellan-
dosi, per
esempio, nel senso, nella natura,
nell'espe-
rienza, neir
autorità e simili. Poi la concepisce
in una
maniera
affatto opposta, ponendo in opera tutta
la ener-
gia della
propria speculazione. Finalmente per una
terza
guisa eh'
è il connubio, l'accordo, l'inveramento
delle
due
prime.*
detto,
movono da un ordine superiore, dalla
dialettica; i secondi invo-
cano il
deus ex machina della colpa originaria.
Essi dunque restau fuori
della
storia e della psicologia, perchè le
trascurano entrambe.
*
Questa legge per cui ricorre la
storia della filosofia e che ò rac-
chiosa,
come specie nel genere, nella legge
storica del Vico, fu già divi-
nata da
Aristotele, e da lui primamente applicata
alla storia della filo-
sofia
antisocratica e so-jratica L* A.
della Scimxa Nuova non fa che
Questa
divisione risponde perfettamente alle tre
po-
sizioni del
problema metafisico; anzi è come il
sustrato,
lo
scheletro intemo e fondamentale delle tre
forme po-
sitive del
filosofare. Risponde altresì alla legge'
dalla
quale,
come vedemmo, è governata la genesi
enciclope-
dica, nonché
la distribuzione gerarchica delle scienze.
La
filosofia,
infatti, origina e progredisca come ogn'
altra
disciplina.
È primamente induttiva, e poi deduttiva;
ma
giunta
ad esser eduttiva, le supera tutte,
le trasfigura,
applicare
il medesimo principio a tutte le
manifestazioni della ciriltà,
alla
storia in generale : e perciò Io
Stagirìta è il suo più legittimo
ante-
cedente. Il
Michelet ha detto che V esposizione
migliore della filosofìa da
Talete
a Platone sia qnella d'Aristotele (Exam,
<rit. de la Métaph, d*Art«t.f
ediz.
eit., p. 121). Lasciando stare se com'
esposizione sia tale (e tale
non si
può dir oggi, almeno per ciò che
spetta al Platonismo), certo è
«:he
Aristotele ci ha dato il vero modello
del metodo col quale è da scri-
ver la
storia della filosofia. Egli non va
né terra terra come certi nostri
critici
a cui fan paura le leggi nnirersali,
nò svolazza attraverso le
nnvole
come fan gli storiografi sistematici. Neil'
interrogare la storia
dol
pensiero filosofico egli ha con sé
due cose: 1° un criterio logico;
2" un
irincipio' d'
indole psicologica e storica. Il criterio
col quale saggia il
valore
delle differenti scuole, sta nelle quattro
sue cagioni di là delie
quali
non è possìbile immaginare altre. II
principio poi è una legge
P'iramento
psicologica, non dissimile da quella per
esempio del Laerzio
da noi
altrove accennata (p. 196). Per questa
legge la filosofia move
innanzi
tutto dall'unità, ma confusa ed estrinseca:
poi tendendo all'uni-
versale,
cade nell'arbitrario, ed è filosofia dell*
opposizione : finalmente
ritorna
all'unità, ma in grazia della moltiplicità.
Va insomma dall'in-
dividuo
particolare al generale, e dal generalo
ali' individuo pieno e
uniTersale.
Questo principio aristotelico ò stato messo
in chiaro dal
Kavaisson
{Metaph. ri' ArUu^ tom. I. lib. II, e. II,
specialmente p. 845, 481).
Abbiamo
detto esser cotesta una legge di
natura puramente psicologica,
perchè
nel processo delle facoltà il pensiero
dapprima versa nell'unità
empirica,
nella materia, nel sensibile; poi nelle
opposizioni e astrazioni
dell'
intendimento ; e da ultimo in una
unità superiore , eh' è unità
di
ragione. Altrove abbiamo additato la
medesima legge sotto forma
astratta
: SirUen iniziale e eonfu9ay Analiai^
e Sintesi finale fp. 282). Ma
il
difetto d' Aristotele dove sta? Nel non
aver avuto coscienza del vin-
colo secreto
die dev'esistere fi-a il criterio logico,
merce cui la mente
dello storico
dee ponderare il valore de' differenti
sistemi, e '1 princip-'o
di
natura storica e psicologica eoi quale
egli deve saper diaporre e or-
ganare la
storia ne' suoi diversi periodi. E
appena bisogno d' avvertire
che
criterio e principio per noi, come s'
è visto, son la stessa cosa, ma
guardata
sotto doppio aspetto.
le
comprende e le trasforma in proprio
nutrimento, in
proprio
sangue, e però le innalza a
filosofia.*
Sennonché
quant' al succedersi de' sistemi
filosofici,
al
loro intrecciarsi, modificarsi, sdoppiarsi,
ricomporsi e
riaffacciarsi
sotto novelle forme, nulla non potremo
sa-
pere con
la psicologia. Nulla non sappiamo
anticipata-
mente quant'
alle forme negative del filosofare, che
nel
processo
isterico s' avviluppano svariatamente con
le
forme
positive : il quale avviluppamento s'
affaccia così
molteplice
e spesso impensato e strano, che
molti appel-
lano
confusione, caos e disordine, anziché
processo orga-
nico e
razionale, la storia della filosofia. Ecco
la neces-
sità
inevitabile dell' osservazione, de' fatti,
della ricerca
storica
e della distribuzione dei periodi nella
storia
de' sistemi.
Ed ecco la necessità di applicare ad
essi i
lumi
della psicologia.
Or
questa divisione e questa genesi de'
sistemi filosofici
di che
abbiamo parlato, non é che un'
applicazione, un
aspetto
della gran legge storica e sociologica
scoperta
dal
Vico. Il quale infatti direbbe che l'
ingegno specu-
lativo,
procedendo per tre fasi, periodi, epoche,
età o ri-
corsi,
riveste dapprima foima naturale, carattere
divino e
però
accidentale, estrinseco, fantastico. Appresso
riveste
carattere
eroico, nel quale il conato e lo
sforzo della
mente
del filosofo col suo razionalismo dommatico
rap-
presenta ciò
che il primitivo eroe nella moltitudine;
e
anche
questo, tuttoché staccatosi dal divino, non
cessa
d'esser
passeggero, esclusivo, individuale. Finalmente
*
Perciò se la Metafisica nel!' ordine
logrico è \& prima fra le
scienze,
come
dice Aristotele, è V ultima nell'ordine
cronologico (asrà-yvTcxà) per-
chè
abbisogna di tutte, come altrove mostrammo
(p. 221). Così la filosofia è
scienza
generale, non percbò le rimanenti
discipline altro non siano fuorché
altrettante
coneeguenae di essa, ma nel senso
ch*ella tiene il /^rimo poeto:
Kaì
xa9o).ou outwc Jt' npoirrì. {Met., VI.)
E tiene il primo poeto
sotto
due sensi, e per due ragioni divecse
; come logica, cioè, e come spe-
culazione
critica positiva. Come logica, dicemmo
esser condizione univer-
sale d'ogni
scibile ; come speculazione positiva, e
posteriore alle altre
scienze,
viene ultima, e, come ultima, ò anche
prima: npùtrri f 1X0709(01.
assume
carattere umano; ed è umano, perchè
rappre-
sentando la
correzione de' due primi indirizzi, non
può
non
esser positivo nel senso che noi
porgiamo a questa
parola.*
* Il
Vico infatti accenna ad una Aorta
naturale de* nttemi {De
Univ.,
CLXXXIII, 4) la quale poi nella sna
mente assume forma di etoria
ideale
della filosofia (Prima Seienna Nuova, e.
XXI. Seconda Scienza Nuova,
lib.
II : D* intomo aUa logica degli
addottrinati^ p. 288). Ma tanto la
storia
ch*ei
dice naturale^ quanto l'altra chiamata t(iea?e,
appartengono al do-
minio della
psicologia, perchè ponno essere spiegate
mercè una legge psi-
cologica.
Così nella storia, egli dice, dapprima
ha luogo l'indagine delle
ooM
naturali^ poi delle morali, da ultimo
delle razionali. Quindi Fisici,
Moralisti,
Teologi: per esempio Empedocle, Socrate,
Platone. La mente
parte
dal simbolo, anzi vi nasce: indi
trasporta il simbolo ad indicare il
vero
Jieieo^ poi il vero tiu>raf«, appresso
il vero metafinoo. Or questa genesi
a cui
egli accenna, si applica evidentemente
tanto al processo delle scienze,
quanto
a quello della filosofia; e, di più,
risponde appnntìno alla storia
e al
processo ideale de' metodi. I metodi per
lui sono ìtq ;V Induzione^ il
Sittogiemo,
il Sorite. {De Antiquiee., e. VII, §
IV, 14.) È bene avvertire
com'ecfli,
discorrendo del Sorite^ sbagli nell'attnbuire
a Socrate quella
forma.
d'induzione cui allude nel Libro
metafìtico; e non meno sbaglia,
come
osservammo, quando chiama sillogistico il
metodo aristotelico. Ma
questi,
com' ò chiaro, sono sbagli di storia,
inesattezze di fatto, non già
di
dottrina. Ciò che importa è che sin
nel Libro metaJUico egli sa
scorgere
un vincolo, un processo, e quindi un
progresso fra le tre posizioni
metodiche
del pensiero: Induzione, Dedazione, Eduzione,
rispondenti alla
storia
delle scienze, come a quella della
filosofia. Giova perciò intenderci
bene. L'
Induzione, per lui, è un artifizio
sintetico, ma d'indole empirica;
ondo
la mente non facendo che raccogliere,
adunare, procede dall'effetto
alla
causa, e quindi è analisi, diremmo,
sintetica. (Inductio, pioura àna-
lytica;
Stllooismus, stntrtioa. Ved. De Conet,
PhUologim, cap. IV.)
Il
Sillogismo
invece è un artifizio deduttivo, è
ainteei analitica per cui la
mente
procede dalla cagione all'effetto; ma è
incerto nel euo procedi-
mento
e però inetto a scoprire {De
AntiquÌ9$., cap. II, VII, 4). Questo
è
quel
metodo eh* ei condanna ne' Cartesiani,
ed è quel 9ÌUogi»mo debole
oÌ79iv'/ì^
i7uXXo7(7]txo; che Aristotele biasimava in
Platone (>lna/. Poet.,!,)
Finalmente
il Sorite, per lui, è tutt' altro di
ciò che ne dice la logica or-
dinaria. II
Sorite non è, a dir proprio, nò
sintesi, né analisi. Non è ana-
lisi
sintetica che dall'effetto ealga alla
cagione, e nemmeno è sintesi
analitica
che dalia causa eeenda all'effetto. Invece
è funzione che oofuxi-
tena
caute con caute: Qui utitcb borite
gauss ab oaussis, ouiqur proxi-
MAif
ATTBXIT. {De AntiquÌ89„ De certa /acultate
eciendi, 15.) Perciò il Sorite
essendo
la funzione sillogistica nella forma pid
compiuta, presuppone e
racchiude
in sé l'analisi e la sintesi, la
deduzione e l'induzione, e di fronte
a
queste debb* esser superiore e posteriore.
Dunque la funzione discor-
siva che
egli appella Sorite e che pone nel
terzo momento della storia
Se
tutto questo che noi siamo venuti sin
qua discor-
rendo è
vero, quale ne sarà la conseguenza?
Sarà che
tanto
nella storia deUa filosofia, quanto nel
succedersi
de'
sistemi, il progresso non è, come ci
predicano i posi-
tivisti, un'
illusione de' filosofi di mente ammalata
e
nebulosa,
ma un fatto storico e psicologico ad
un tempo ;
una
storica e psicologica necessità. I
diff'erenti sistemi, ci
dicono
i filosofi deW avvenire^ possono conferire
al pro-
gresso non
come cagioni determinanti, ma come sem-
ideale
de* metodi, non è altro che il
processo ednttiro di cai altrove ab-
l)iaino
discorso. Neir annodar cau»e con carne
sta V invenzione del ter-
mine medio,
e perciò la conversione dd vero col
fatto (p. 215-46). Se non
che
talora anche in ciò egli si
contraddice ! ifferma, per es.*, che
V analisi
(la
qaale abbiam visto essere per lui
posteriore alla sintesi, e però, come
artifizio
deduttivo, posteriore ali* induttivo), sia
il metodo puramente cri-
tico de*
Cartesiani ; e non senza ragione lo
condanna, perchè esclusivo e
solitario.
Ma più volte poi dice esser tale
anche il Sorite; cioè un ar-
tifizio
puramente critico e analitico. {De
AnUqxUss,^ e. VII, § IV. — Ds
Nos.
Temp. Stud. Jiat,, Argum. — RUp, i*
al Glor. de' Lett., § IV. --
/?«
Oonst.
PhiloL, e. XIV.
— Sec. Se. Nuo., p. 239.) Ma
non abbiam vist )
com'egli
medesimo ponga il Sorite dopo Vlnduzimie
che è analisi-sinte-
tica, e
dopo il SiUogismò che è sintesi-analitica?
Come, dunque, se è po-
steriore e
superiore, potrà esser non altro che
pura critica e pura ana-
lisi, e
perciò anteriore e inferiore? Non è
contraddizione palpabile cotestaV
A
levar di mezzo siffatti controsensi,
bisognerà stare alla definizione
eh' ei
medesimo ne porge del Sorite: funzione
che concatena cause con
ca«we, non
già effetti con causcy o eause con
effetti. Ella compenetra, come
dicemmo,
in un medesimo circolo l'analisi e la
sintesi, l'artifizio indut-
tivo e
'1 deduttivo (p. 245). fe insomma il
nwtodo ch'egli sposso ap-
pella
geometrico (2* Risp. al Oior. de'
LcU., § IV). È, ripetiamo, il metodo
ednttivo,
genetico, il quale non è geometrico
in quanto debba essere
tolto
cosi com' è dalla matematica, ma nel
senso che dalla geometria
s'ha
da pigliar la dimostrationCf cioè la
guisa per far la scienza. Lo
dice
egli stosso; non m^hodus geometrica^ sed
demonsb'otio. E dopo ciò
auguriamoci
che alcuni suoi crìtici non vorranno
maravigliarsi più oltre
ch'egli
abbia voluto appellar geometrico il metodo
proprio della sua
Scienza
Nuova! {i^ Se. JVuo., p. 140-50). Uno
de' continovi lavori di questa
scienza
d dimostrare FIL PILO.... lo spiegarsi
delle idee umane (ih. p. 44).
Concludendo:
Col porre la genesi psicologica de* metodi
e '1 processo
isterico
delle tre funzioni metodiche, il nostro
filosofo ci ha dato in-
sieme la
dottrina su la genesi positiva delle
scienze, secondo l'inter-
pretazione
che noi altrove abbiamo accennato (p.
230), e sopra questa
legge
si modella eziandio la storia ideale
della filosofia^ com'egli dice, o
la
storia naturale de' sistemi JUoéoJtci. Sono
germi cotesti, io lo veggo;
ma
germi fecondissimi.
plici
condizioni del progredire; cioè com' errori
che si
combattano,
e che nel combattersi a vicenda si
correg-
gano. —
La contraddizione qui è palpabile ; e
non è la
prima
né l'ultima nella quale intoppino i
positivisti.
I
sistemi filosofici non sono che errori,
e pur si correg-
gono !
Ma, so correggonsi, in clie maniera
saran tutti
un
errore? È possibile correzione senz'una
parte di vero?
Or se
racchiudon parte di verità, certo non
avrebbe a
parere
impresa disperata poterli assommare; per la
semplice
ragione che se la mente umana è
quella che
ha
potuto partorirli e poi di mano in
mano correggerli,
ella
medesima potrà venirli adunando in
organismo, nel
che,
come si disse, è necessario un
criterio superiore/
Abbiamo
detto esser triplice il processo delle
cose
governato
da un medesimo criterio, il quale
perciò as-
sume valore
di principio : la Conversione del
vero col
fatto.
Ora il primo processo a cui è
d' uopo fare co-
testa
applicazione è appunto la storia, perocché
lo spi-
rito nasce
nella storia, e la fa. E poiché
nel medesimo
processo
isterico é racchiuso il processo
psicologico il
quale
n' è il fondamento più immediato in
quanto é la
* I
sistemi si combattono, è vero: essi
rappresentano il transito a
verità
; e anche questo è verissimo. Ma
ciò fanno non tanto perchè sono
errori,
non tanto perchè lottano, qaanto perchè
racchiudono in sé mede-
simi un
elemento di speculazione e perciò di
verità metafisica. In una
parola,
essi lottano, ma non per distruggersi
a vicenda, sì per legittimarsi,
e
compiersi. Giova ripeterlo anche qui:
Positivismo e Idealismo asso-
luto mancano
del vero concetto del progresso nella
storia de' sistemi.
L* uno
considerandoli come produzioni fantastiche della
mente, crede
che
poco alla volta essi finiscano per
divorarsi a vicenda senza verun
incomodo
degli spettatori; dovecchò l'altro, avvisandoli
come organi e
vegetazioni
d' una medesima pianta, nega loro ogni
ulteriore progresso
giunto
che sia a vedere sbocciato quel fiore
nel quale sono contenuti
in
atto rami, fronde, foglie, tronco e
radici della pianta. Questo fiore,
si sa,
non può essere altro che la filosofia
dell'identità. Ora a me pare
che,
se hegeliani e positivisti vorranno per
poco tenersi conseguenti a sé
stessi,
la storia della filosofia agli occhi
loro non potrà essere altro
che un
caput mortuum; sempre per la solita
ragione, che gli uni hanno
intera
fiducia nella costruzione ideale della
metafisica, mentre gli altri
non ne
hanno punto, anzi la negano. Caput
mortuuml nò più, né meno.
La
logica è inesoraWle.
stessa
nostra coscienza, perciò la prima
applicazione
di
quel principio riguarda la genesi
psicologica. Ma,
innanzi
tutto, che cosa ci dice la storia
della psicologia
rispetto
al problema psicologico?
Capitolo
Quarto.
platonismo
e aristotelismo
nel
problema psicologico.
Il
nodo al quale per ragioni più o
manco immediate
si
rappicca la soluzione de' piii vitali
problemi delle
scienze
morali, e stavo per dire anche quelli
della me-
tafisica, è
il problema psicologico, che un moderno
filo-
sofo ha
giustamente appellato problema generatore.^
La
psicologia segue anch' ella una legge
cui vediamo
soggiacere
ogn' altra parte della filosofia. Pigliando
a
considerare
il problema psicologico sotto l' aspetto
teo-
retico, ci
accorgeremo tosto della possibilità d' una
dop-
pia
soluzione, che si riferisce a due
sistemi fra loro
opposti
e contrari: i quali sistemi, per
quanto si voglian
fregiare
di titoli vistosi e facciano pompa di
nomi pili
0 meno
appariscenti, ci rivelano sempre alla fin
fine l'esi-
genza del
materialismo, ovvero quella dello spirituali-
smo. Se
pigliassimo poi a guardare il medesimo
pro-
blema sotto
r aspetto isterico, sarebbe agevole il
vedere
come
quelle due soluzioni mettan capo a'
due maggiori
filosofi
dell'antichità, Platone e Aristotele, ne'
quali s'im-
batte sempre
la mente dello storico quando meno se
'1
crede.
Che se oltr' ai due massimi filosofi
di Grecia to-
gliessimo ad
esame anche la teorica psicologica degl'
in-
signi
rappresentanti della sapienza cristiana. Agostino
e
Tommaso, i quali non fanno che
ormeggiare i due
Fichte,
Doetrine de ki Seienetf trad. Grimbl^t,
pag. 110.
greci
quanto le necessità del domma comportavano,
avremmo
beli' e fissato l' obbietto e determinato
i con-
fini della
critica intorno alle principali soluzioni
date
sul
problema in discorso, e fors'anco avremmo
tirato le
somme
linee d' un intero disegno isterico della
scienza
psicologica
fino all' età del Rinascimento^ I
quattro filo-
sofi
menzionati comprendono in germe tutte le
posi-
zioni
psicologiche possibili, meno una; meno
quella,
cioè,
che, nulla serbando di filosofico e
di psicologico,
si
riduce tutta a negozio di biologia,
come vorrebbero
certi
moderni fisiologisti.
Nella
storia della filosofia, infatti, avviene
quel me-
desimo che
in ogn' altr' ordin di cose morali
: le prime
tracce
dello sviluppo, i germi del processo,
come germi,
s'annidan
tutti nelle origini. Nelle origini la
virtù spon-
tanea e
divinatrice dell' ingegno emerge vigorosa e
po-
tente così
che basta ad alimentare i' attività
analitica
di più
secoli, ed eccitar 1' ansia e '1
bisogno speculativo
di più
e più generazioni. Le origini . riflesse
della spe-
culazione
occidentale pongono lor prima radice nel
pen-
siero greco
; massime in quel perìodo in cui
Platone e
Aristotele
rappresentando, per così dire, 1' analisi
in
cui
sdoppiossi e ingagliardì la sintesi
socratica, giun-
gono a
toccar l'apice della riflessione metafisica
sotto
duo
forme distinte; distinte nell'idea, diverse
nella
forma
e anco nello stile, ma atte ad
integrarsi e com-
piersi a
vicenda. Il vivente storico inglese della
Grecia
ha
detto che la speculazione europea, nonché
gran
parte
dell'orientale, altro non sia stata in
sostanza
fuorché
un commentario intricato e perpetuo de'
due
massimi
filosofi. A compiere il concetto avrebbe
potuto
•e
dovuto aggiugnere che in cotesto
commentario, in
cotest'
analisi, tanto più evidente appare il
progresso,
quanto
più intenso é lo svolgersi delle
dottrine, e più
fitto
e più variato il succedersi delle
scuole. Chi dun-
que
pigliasse a far la storia critica del
Platonismo e
dell'Aristotelismo,
e' sarebbe già in grado di far
la sto-
ria
della filosofia: in cui lo scetticismo
avrebbe quella
funzione
e queir ufficio che gli spetta;
ufficio senza fallo
assai
rilevante, ma, come dicemmo, di semplice
stru-
mento più
che d' artefice; funzione di mezzo, d'
espe-
diente,
d'incentivo piii che d'elemento vitale
della scien-
za. Se
infatti v' ha cosa nella quale
consentano appieno
i due
massimi filosofi, è questa: che il
concetto del sa-
pere, del
sapere per via di scienza, debbasi
appuntare
neir
universale, stante che dall' universale
possa emer-
gere
unicamente la possibilità della metafisica
(pag. 22 ))
Ecco
perchè tale possibilità è già beli' e
dimostrata,
s' altra
prova mancasse, dal fatto storico, dalla
storia
della
filosofia. Ecco perchè lo scetticismo,
siane qua-
lunque la
forma, è distrutto, o meglio, è
ridotto al suo
legittimo
valore, dall'esistenza atessa e dallo
svolgimento
cui
son venuti soggiacendo il Platonismo e
l'Aristotelismo.
Ed
ecco perchè, ripetiamolo, questi due grandi
sistemi
racchiudono
un significato supremamente comprensiva
per
due rispetti diversi, l'uno storico e
l'altro teore-
tico, e
per due diverse ragioni altrove accennate
(p. 201).
Sul
carattere precipuo del Platonismo ci
sarebbe a
sperare
che né critici, né storici qund'
innanzi avessero
a
discutere più oltre. Volumi in foglio
scrissero antichi
e
riscrissero moderni, sia per determinare il
concetto
platonico
del Bene, sia per isgroppare que'
tanti viluppi
su la
natura delle idee, sia per ispecificar l'
attinenza
peculiare
fra esse e Dio, o per lumeggiare
il processo
della
dialettica e chiarir la forma verace
del metodo
filosofico
platonico, o, finalmente, per additare il
rap-
porto fra
'1 pensiero e l' obbietto sovrassensibile
di esso.
Pare
che i più oggi consentano a ritenere,
il distintivo
platonico
star nella teorica dell' esemplarismo, e
quindi
nella
dottrina (vera o no che sia) delle
idee avvisate
oom' eteme
conoscibilità, e com^ eterne e assolute
specie
delle
cose, * 11 che tanto più avrebbe
a parer vero, in
^Ytìov
wjTTioòc To (zé^iov (iTxpct^ityt/y.)
iS\tntv. Tm. — Cfr.
quanto
che il punto attorno a cui s'aggira
la critica
dello
Stagirita sta tutta qui: Videa non
pure esser
Buperiore
alle cose, ma tutta al di là e
tutta al di fuori
delle
cose. Né le tre scuole d' interpreti
che hanno a
capo
Herbart Hegel e Bitter, e che in
Germania oggi
dividonsi
'1 campo della critica sul significato
essenziale
e
speculativo de' dialoghi platonici, dissentono
guari in-
torno a
cotesto particolare, quantunque tutt' e tre
rie-
scano a
dissidii profondi nell' applicar la critica
non
tanto
erudita, quanto d'interpretazione filosofica.
Difficoltà
pili gravi porge T Aristotelismo ;
col qual
nome
intendo abbracciare tanto Aristotele, quanto
la
interminabile
tratta de' suoi commentatori. Queste dif-
ficoltà
senza fallo tengono all' indole stessa
della dot-
trina
aristotelica, all'esser eUa, per così dire,
bifronte,
racchiudendo
i germi di due contrarie ed opposte
dire-
zioni
speculative: cosa che, ove non fosse
universalmente
riconosciuta,
basterebbe a comprovarcela, s' altro man-
casse ,
la critica che neanc' oggi ha smesso
e certo
mai
non ismetterà la speranza di porre in
accordo lo
Stagirita
con sé medesimo. Eertanto, riconosciuta l'
am-
biguità e
r indeterminatezza del sistema aristotelico
non-
ché il
difetto d' impasto omogeneo in parecchie
sue teo-
riche;
considerato come Aristotele uscito del
tirocinio
platonico
dovea serbare, come serbò evidenti, alcune
tendenze
già inseritegli nell' animo dalla viva
e potente
e
drammatica parola di chi seppe concepire
e scrivere
il
Protagora e '1 Filébo; tenuto conto
sopratutto del-
l'opposizione
gagliarda e severa ch'ei mosse contr'al
maestro
; e, finalmente, considerato lo svolgersi
così va-
rio, così
intricato, così opposto ne' suoi resultamenti
cui r
Aristotelismo andò «oggetto attraverso civiltà
di-
verse, tempi
diversi, luoghi divedi : non avrebbe
a parer
Stallbacm,
ne* ProUgom, al Parmenide, I, Sez. 2.
— Rosmini, Aritt. eep.
ed
esam.f Introd. — Zkllbr, DeU^ espogiz.
aritt, della fil, di PUxtone,
c.
rV. — Tbbndelsnburo, Plut. de id., p.
60. — H. Mabtik, Éhui. mr le
Tim,,
Tol. 1, Àrgom, — CousiN, Du vrai,
du beau et du bien, loz. IV.
troppo
ardito T argomentare, come dal tatt'
insieme delle
sue
teoriche, in ispecie dalle tendenze
molteplici degli
esegeti
d'ogni età, cotest' indirizzi devan essere
tre, me-
glio che
due. De' quali indirizzi noi chiameremo
il primo
ip&rpsicólogko;
il secondo. Triturale oàempirico; e il
terzo
medio,
ovvero aristotelico-platonico propriamente detto.
Dal
significato stesso di queste parole, ognuno
s'accor-
gerà come
il nostro criterio diflferenziale, e la
divisione
riguardante
gì' indirizzi della dottrina aristotelica
non-
ché le
diverse esegesi a cui elle conducono,
sia per noi
principalmente
di natura psicologica; e non può non
esser
tale. Aristotele, infatti, non cessando d'
essere
Aristotele,
è anche mezzo platonico. Un criterio
diflFe-
renziale,
dunque, circa le dottrine de' due
filosofi, non
potrebb'
essere attinto in altra sorgente salvo
che in
quella
della psicologia, dove appunto riluce piii
netto
il
dissidio, checché ne dica il Ravaisson,*
tra i due
filosofi
della Grecia. D' altra parte cotesta nostra
divi-
sione non
solo si porge come criterio a
discemere e
giudicar
le diverse scuole aristoteUche, ma ci
sommini-
stra modo
altresì per valutare l' esplicazione storica
del
Platonismo
al lume di quel terzo indirizzo che
noi pen-
satamente
abbiamo appellato medio. 11 quale, se
con gli
altri
due l' abbiam detto aristotelico, non è
meno plato-
nico perciò.
Cotesto indirizzo medio, infatti, non è
ori-
ginario, ma
secondario. Non è nato fatto, ma
capace
di
farsi, di generarsi, d'assumere fattezze
proprie e
fisonomia
sempre più individuale e spiccata nel
corso
della
storia. Però più d'uno storico della
filosofia ha
paragonato
1' Aristotelismo e '1 Platonismo a
due fiumi
che
risalgono verso due sorgenti diverse; e
meglio
avrebber
detto due correnti distinte d' un
medesimo
fiume,
le quali, scorrendo, sempre più si
rimescolano
e
conifondono per entro a un medesimo
alveo. Nel-
r
Aristotelismo quindi ci è il Platonismo,
o meglio ci
*
E9$ai de Ifitaph, d' ÀrUt, Tom. I,
Introd. p. Y.
è
germi di due maniere di Platonismo,
legittimo e
spurio.
Il Platonismo spurio in sostanza è
Arabismo;
e la
cagion prossima, X origine immediata di
esso non
risale
già alla dottrina platonica, come altri
ha creduto
cogliendo
a frullo qualche sentenza qua e là
sparsa
ne' dialoghi
del filosofo ateniese; ma risale al
medesimo
Aristotele;
e ciò per due diverse ragioni. La
prima
delle
quali, come ha osservato un illustre
storiografo,*
si
radica nell'opposizione che lo Stagirita
ingaggiò con-
tro il
maestro ; e questa, più che cagione,
noi diremmo
sia
stata occasione, incentivo alla dottrina
averroistica.
La
seconda poi vuoisi riferire, come toccammo,
all'in-
determinatezza
e ambiguità della stessa dottrina ari-
stotelica su
l'intelletto; tant' è vero che Alessandro
d'
Afrodisea, intendendolo in parte sotto
l'aspetto em-
pirico,
potrebbe aver fatto più sdrucciola, per
parte sua,
la
strada all'Averroismo.' Se dunque tale è
l'Aristo-
telismo di
fronte al Platonismo, si può dire
che, ove altri
pigliasse
a far una storia compiuta del primo
conforme
al
criterio che noi diciamo, farebbe anche
la storia
del
secondo, cioè del Platonismo vero, del
Platonismo
legittimo,
appunto perchè nell'uno e' è, anche 1'
altro,
ma
corretto, o a dir meglio, compiuto
per più d'un
rispetto.'
Ora
che i tre indirizzi non siano per
avventura tre
fantasie
del nostro cervello, potrebb' apparir
manifesto
dalle
sentenze diverse che noi potremmo
agevolmente
venir
adunando nel medesimo Aristotele, se
potessimo,
anche
a far bella mostra di peregrina ma
non difficile
erudizione,
ingolfarci in esami di esegesi minuta
e par-
ticoleggiata,
e se il Rosmini non avesse già,
meglio che
*
Renan, Averrhoé» et VAverr.^ pag. 42.
*
Ravaisson, op. cit., toro. IT, p. 296 e segg.
* Il
Bonghi parlando della metafisica d'Aristotele
osserva, c^ tutti
qtianti
% »Ì9temi fino a Carteno ei »%
»ono tpecehiati dentro^ e ci hanno
jwù o
meno riconoeciuto il proprio vieo, (Lett.
al Rosm., Trad. della Me-
taf.,
p. Vili). Il Nourisson dice fino a
Leibnitz. {Tabi, de» progrU, ec.,
2*
ediz, 1S59 nella Condu$,) Perchè non
dire fino ad Hegel addirittura?
ogn'
altri, posto in sodo con maniera
davvero magistrale
r
esistenza nello Stagirita de' due primi
indirizzi. Ma
una
prova più chiara potrebbe averla chi
guardasse
al
modo con che sonosi venute svolgendo
e diramando
e poi
intricando e vie più ravviluppando fra
loro le va-
rie scuole
aristoteUche non solo per tutte quelle
dieci
età
che il nostro Patrizi distingue nella
storia degli
esegeti
aristotelici, ma eziandio per tutto il
periodo
che
corre dall' epoca del Rinascimento fino
agli ultimi
critici
tedeschi hegeUani e non hegeliani,
Michelet,
Franti,
Zeller, Trendelenburg. Da Teofrasto, per
esera-
pio, a
Stratone di Lampsaco incomincia a prevalere
di già
r indirizzo naturale, pigliando forma
sempre più
empirica
di guisa che si potrebbe dire non
v'essere
stacco
assoluto fra questo indirizzo aristotehco,
e quelle
scuole
che vi tenner dietro, segnatamente
l'Epicurea
e la
Stoica.* 11 Nominalismo del medioevo che
il Ro-
smini più
acconciamente appellerebbe Bealisfno ari-
stotelico,
nonché il naturalismo d'alcuni peripatetici
del
secolo XV e XVI, ci palesano anch'
essi l' indirizzo
empirico.
' I Positivisti, finalmente, credono anch'
essi
oggidì
potersi agganciare allo Stagirita, ne in
verità
avrebbero
gran torto se troppo facilmente non
dimen-
ticassero
come accanto all'Aristotele positivista ci
sia
un
Aristotele filosofo anzi metafisico propriamente
detto.
D'altra
parte, il Neoplatonismo e più
l'interminabile
serie
dei commentatori arabi o arabeggianti che
smar-
rivansi
in quella grossolana forma di panteismo
])sico-
logico
annidatasi nella dottrina dell'intelletto agente
così
balordamente interpretata in Aristotele, non
ci
palesano
schiettissimo l'indirizzo iperpsicologico?
Fra
questi estremi quanto evidente nella storia
al-
*
Ravaisson. Op. cit.» tom. II, p.*
4", lìb. 1,
e. 1.
•
RosMiivi, ArUu eiip. ed etam.y Introd. pagf.
46. — Roussblot, Étud^
tvr
la Phil. dan»
le moì/en àgef l» p.*, pa«r. 80. —
Saint-RinÌ Taillak>
DntB»
Seot Erigene et la Phil, Seolwtt., p.
101. - CousiN, Fragni, de PkiU
du
fnoyen Age, p. 72.
trettanto
necessaria in teoria è la posizione
mediana.
Ella
si studia porre nn accordo fra
l'esigenza fondamen-
tale del
Platonismo, e quella dell' Aristotelismo; fra
l'uni-
Tersale
in sé, e Y universale anche nel
mondo. Se non
che è
facile vedere come questa posizione abbia
a ren-
dere
immagine, diremmo quasi, del ferro
magnetico il
quale
senza posa oscilla fra mezzo al polo
positivo e
al
polo negativo. Tale davvero è l' indirizzo
medio, un
ferro
magnetico : per cui non è impresa
agevole stabi-
lire, per
esempio, se certi realisti e certi
nominalisti
dell'
evo medio, de' quali il Rosmini con
l' usata pazien-
tissima
industria andò scovando più e diverse
famiglie,
sLin
da dichiararsi aristotelici meglio che
platonici.*
L' indirizzo
medio nelle dottrine filosofiche, massime
parlando
di Platonismo e d' Aristotelismo avvisati
nel
loro
svolgimento istorico, spicca per questo
contrassegno:
d'
esser la molla maestra, per così
dire, del progresso
nello
sviluppo del pensiero speculativo. Or
s'egli è
tale,
non debb' esser rappresentato da que'
filosofi che
*
Pretendono alcuni storici ctie il
Nominalismo non dlfForìsca punto
dal
Concettualismo (per es. il Cocsin, (Euvres
cT Abelardo Introd., p. XCVI
in ciò
confutato meritamente dal Rosmini, Atìm,
ec. p. 22.) Meno a?7en-
tato
degli altri il Roverotano si contenta
designare il secondo com* una
gpecie
del primo. E sia pure. Ma se
fra Tun sistema e T altro non
fosse
alcun
diyario, dovremmo porre in un fascio,
non diciamo con quanta ve-
rità, i
nomi di Roscellino, di Guglielmo di
Champeaux e d'Abelardo?
Per
noi la differenza delle tre direzioni
filosofiche medievali è precisa-
mente quella
che esiste fra le tre posizioni dell'
universale rispetto alle
cose :
ante rem, in re, poH rem. Non
dico già che tra Nominalismo e Con-
cettualismo
corra quel medesimo divario che pur
troppo intercede fra essi
presi
insieme, e quella specie di Realismo
per cui si distingue, 'per es.,
Anselmo
d* Aosta. Ma la differenza è pur
evidente, essendoci differenza,
parmi,
tra V ammettere e 'I negare
Vunivenalenel concetto. Checche se ne
dica,
la scuola di Roscellino è nominale
pura. Quella di Guglielmo di
Champeaux
è schiettamente realista. Ma un barlume
di vero progresso
nella
scolastica traluce nel Concettualismo. Esso
ci rappresenta, almeno
compera
possibile in quell'età e in quelle
condizioni della scienza, l'in-
dirizzo
aristotelico medio. Il Concettualismo è
tanto superiore al Nomi-
nalismo,
quanto Io spirito all'esperienza, -le idee
ai fatti, il senso al
pensiero.
Il Rimuaat e il Nouritaon han saputo
rilevare a meraviglia i
meriti
di questo indirizzo nel periodo scolastico.
(Abìlakd,
Tom. 1,40,
II,
24. — Tahleaux de» progrì», ed. cit. p. 257.)
la
critica non radamente finisce per
battezzare con titoli
diversi
e disparati e talvolta anche opposti,
non altri-
menti che
gli zoologisti adoperano riguardo a certe
specie
zoologiche le quali, in via di
formazione spe-
cifica, non
possiedon per anche caratteri netti,
spiccati
e ben
determinati? Tal si è agli occhi
nostri, per dire
un
esempio, Alessandro Afrodisio; il quale,
tuttoché
meritasse
titolo di secondo Aristotele, ninno però
vorrà
dichiarare
schietto aristotelico. S'egli infatti, combatte
la
dottrina atomistica degli Epicurei nonché
quella
delle
forme seminali degli Stoici, é questa
una buona
ragione
perché non sia detto seguace dell'
indirizzo ari-
stotelico
empirico. E, inoltre, se contro Avveroé
piglia
a
corregger la dottrina dell' intelletto
possibile, ciò di-
mostra com'
ei non sia nuli' afiatto un
iperpsicologista,
e per
la stessa ragione non é a confondersi
co' puri
platonici.
Che se, finalmente, opponendosi allo stesso
Aristotele
procaccia dimostrare come la specie anziché
nell'individuo
sia nel pensiero, con ciò si
manifesta chia-
ramente seguace
dell'indirizzo mediano. L' Afrodisio
dunque,
se potessi designarlo così, sarebbe il
concet-
tualista per
eccellenza fra gli esegeti ellenici, e
quindi
potrebbe
rappresentarci l'antecedente ideale del Con-
cettualismo
mediqevale. Egli per primo nella storia
del-
l'
Aristotelismo ci esprime il bisogno d'
accordare le due
opposte
direzioni aristoteliche, restando egli stesso
ari-
stotelico, e
però non arabo, né sensista. — Si
potrebbe
facilmente
dimostrare, se qui fosse luogo, che
il mede-
simo
indirizzo ci esprime e la medesima
funzione eser-
cita san
Tommaso nel medioevo; talché nell'età me-
dioevale il
D' Aquino rappresenta ciò che l' Afrodisio
fra'
primi commentatori greci.*
*
Parlando di sau Tommaso il Bonghi
dice: Quello che m'ha fatto
molto
maravigliare, e di cui non mi $on
reso cofUo pienamentef ^ come
•'
accordi in tanti luoghi coW A/roditeo^
tema perft citarlo mai, ìé accordo
^ tale
che non pud ewer casuale. (Op. cìt.
LeU. al Rosm.« p. XUI.) È vero,
san
Tommaso non conoscerà che di nome
rAfrodisio. Lo conosceva per
mezzo
d*A7erroé; eppure tanto spesso trovasi
d'accordo con lui neir in-
Altri
esempi più spiccati potremmo averli nel
Ri-
nascimento;
esempi di filosofì che a tutta prima
non
paiono
stare né di qua ne di là. Tali per
noi sono, a
dime
questi, il Porzio, lo Zabarella, il
Lagalla, il Castel-
lani; e
non esiteremmo annoverarvi anche il
Sessano,
come
quegli che finì per combatter l'Averroismo
e
dar
molto da pensare a' seguaci dell'
indirizzo empirico
fra'
quali in cima a tutti siede il
Pomponazzi * Che se il
Patrizzi
e più il Ficino, fra gli altri,
si palesano schietti
neoplatonici,
cotesto lor platonismo non va certamente
confuso
con l'Arabismo. Anche noi crediamo che
certi
Platonici
e certi Peripatetici arabeggino la lor
parte,
e
tanto s'assomiglino fra loro quanto due
gocciole
d'acqua.
Ma perchè pretendere porli in un
mazzo?
La lor
mente muove da sorgive diverse; così
che, in-
terpretando
a lor modo Aristotele e Platone, gli
uni
spesso
vaporano, come s' è detto, in una
forma confusa
di
panteismo psicologico, in mentre che gli
altri svo-
lazzano sì
da restare immersi e balordicci in
mezzo
agli
splendori d' un misticismo il quale se
non è pan-
teismo poco
ci corre. Arabismo quindi non è
Plato-
nismo; 0,
se si vuole, è i) fiacco, è il
grossolano Plato-
nismo venuto
fuori, come to^tommo, attraverso la critica
male
interpretata d' Aristotele contro il suo
maestro.
Se
dunque la storia dell'Aristotelismo è lì
pronta a
mostrarci
incarnate nelle sue scuole tre diverse
tendenze,
ciò
vorrà dire più cose. Vuol dire che
queste tre tendenze
debbono
esistere, ma esistere come in germe
nelle dot-
trine e
nella mente stessa del Caposcuola. Vuol
dire
terpretare
il JUo$ofo, che davvero tale consenso
non può esser ccituale.
Quale
n' è, dunque, la ragione ? Il
Bonghi non ne avrebbe fatto le mera-
viglie se
avesse pensato eh* eran tutt' e due
nel medesimo indirizzo, nel-
r
indirizzo aristotelico mediOf per quante
possano esser le differenze.
*
Molti filosofi italiani, che d'ordinario
sono mossi iu fascio col Pom-
ponazzi 0
con gli schietti averroisti ovvero co'
puri platonici (come
appunto
il Nife) a noi paion seguaci più
o mono spiccati dell'indirizzo
medio,
quando siano interpretati con benignità di
giudizio, e senza le
traveggole
d'una critica sistematica.
ch'elle
hann'a distinguersi e sdoppiarsi e correre
il palio
del
processo istorico. E vuol dire, perciò,
che a questo
ior
successivo distinguersi ha da presiedere
una legge
di
progresso che per passi lenti, ma
sicuri, valga a ri-
condurre r
analisi alla verità della sua sintesi
primi-
tiva.
Aristotelismo e Platonismo, ripetiamolo, non
sono
a dir
proprio due filosofie ; né sono due
serie di filosofi
gli
Aristotelici veri ed i veri Platonici.*
Sono ben» due
filosofie
que' due commenti così opposti fra
loro e con-
trari, che,
fondandosi in un concetto b empiricamente
naturale
o esageratamente iperpsicologico del pensièro,
vennero
fabbricandosi col succedersi de' secoli,
con l'in-
calzarsi de'
filosofi, e con 1' avvicendarsi delle
scuole.
Non
seguiremo perciò, a questo proposito, la
sentenza
del
Buhle, del Bitter, del Renan tb d'
altri storici che
altro
divario non sanno scorgere, fra'
peripatetici del
Rinascimento,
se non quello eh' è possibile
riconoscere
fra'
commentatori d' un medesimo caposcuola. Come
confonder
l'Achillini col Porzio? e il Porzio
col Nifo?
e il
Nifo con lo Zabarella e col
(3ontarini? e tutti
questi
con lo Zimara e con altri di
simil tenore?
Il
criterio innanzi stabilito ci può far
comprendere
perchè
mai tutti quelli che han sempre
sospirato un
accordo
fra l' uno e l' altro sistema, risentano
piii del-
l' indirizzo
platonico anziché dell' aristotelico ; e
perchè
accanto
a Bessarione, al Mirandolano, al citato
Gonta-
rini,
al Mazzoni, e a tutti gli altri
che credono toccar
col
dito il vagheggiato accordo, non manchino
i Donato,
i
Folieta. i Buratella che reputino pazzia
cosiflFatto
accordo.
I primi ci dimostrandoci fatto che
nell'Ari-
* Una
prora estrinseca che fra il Platonismo
e 1* Aristotelismo pri-
mitivi non
V* è, masdme in certi ponti di
metafisica, divario sostan-
ziale,
potrebb* esser tolta dalla maniera ond'
Aristotele conduce la crìtica
inverso
alla fllosofia del sno maestro. Lo
Scbleiermacher Tha chiamata
critica
da maestro di scuola: e, per alcuni
rispetti, non a torto. Lo Zeller
infatti
ha mostrato ad evidenza come il
discepolo stiracchi non di rado
il
maestro per meglio abbatterlo. — Ved.
Op. cìt. trad. dal Bonghi spe-
cialmente
nel Cap. iV.
stotelismo
c'è il Platonismo, e però l'indirizzo
medio;
i
secondi poi che nello Stagirita ci ha
i germi delle altre
opposte
e contrarie direzioni. Un accordo è
possibile ;
ma non
fatto a maniera ^meccanica e per
sovrappo-
sizione,
come si pensano certi viventi neoplatonici
col
trasferire
all'un filosofo ciò che si crede
faccia difetto
all'
altro, e dando per esempio ad
Aristotele l' idea pla-
tonica, e
a Platone il concetto della Juva^c? o
della
ytvevii
aristotelica. Il discepolo ha pur egli
la sua idea,
cgme
al maestro non manca la virtù del
fatto e il valore
dell'esperienza.
L'accordo quindi è opera della storia;
ed è
r opera travagliosa della critica
rintegratrice.
La
quale, rotondando le sporgenze e
ammorbidendo le
angolosità
che pur troppo si lasciano scorger ne'
due
filosofi,
li modifica, li rimpasta, li trasfonde
1' uno nel-
r altro
e li trasfigura siffattamente che ci
scompaian
dagli
occhi Aristotele e Platone, senza che
perciò abbia
a
scomparire ed estinguersi quell'eterna e
vivace esi-
genza cui
levossi il pensiero indoeuropeo fin da'
primi
momenti
della sua riflessione speculativa e
metafisica.
Ripetiamolo
anche qui. Il risultamento finale del-
l'Aristotelismo
e del Platonismo non è già il
trionfo
dell'uno
su l'altro, od al contrario. È il
trionfo d'en-
trambi, per
una ragione altrove rammentata a proposito
delle
due moderne filosofie. E que' critici che
tanto
sudano
e s' arrovellano a mettere in trono
vuoi un
Aristotele
passato attraverso i lambicchi d'una
critica
infedele
ed eunuca, vuoi un Platone rimpannucciato
co' cenci
d'un troppo vieto tradizionalismo, negano,
senz'
addarsene, la storia. Negano la storia,
perchè
disconoscono
gran parte del lavoro storico già
com-
piutosi per
opera degli esegeti ellenici, arabi,
alessan-
drini,
latini, italiani del Risorgimento.'
* Reca
marayiglia davvero il pensare come in
questa maniera di critica
incappino
perfino, parlando d'Aristotele^ gli hegeliani
più assennati quando
affermano,
per esempio, che aìVidea topra le
cose di PlaUme AnstoteU
SOSTITUÌ
Videa delle coae^ o la forma.
Basterebbe già la parola 909Htu\ a
far
cangiare
ftsonomia, non pure airAristotelismo e al
Platonismo, ma a tutta
Premesse
queste considerazioni generali, veniamo
alla
quistione psicologica. U problema psicologico
al
quale
si connette ogn' altro, è quello che
risguarda la
relazione
fra V anima e '1 corpo. Se
cotesta relazione
interviene
fra mosso e movente, per usare l'
antico lin-
guaggio,
s'ha l'indirizzo platonico; il quale
j>wò trovar
riscontro
con la posizione iperpsicologica della
esegesi
de'
commentatori averroisti. Se è relazione di
potenza e
Aleuto,
pigliando l' atto come determinazione o
semplice
la
storia della scienza. B tal si è
infatti il linguaggio tenuto nella ìot
critica
da Hegel, dal Michelet, dal Franti,
dallo Zeller, ne' quali attingono
ispirazione
i nostri hegeliani. Ma dicendo che
Aristotele sostituì oc, non
sembra
che lo Stagìrita abbia inteso di
negare addirittura V idea plato-
nica?
Giacché a poter sostituire bisogna innanzi
negare; e per mettere
qualcosa,
è d^uopo averne levato qualche altra.
Ora il vero si è che Ari-
stotele,
oltre la specie come predicabile, il
che costituisce proprio la
novità
sua di rimpetto a Platone, riconosce
altresì la specie separata^ la
specie
in sé, là forma in sé, spoglia
di materia. La qual forma in sé
(s Zi
poi aurvj x^-^' aur^fv vj uo^^tj) è
altrettanto chiara in Aristo-
tele,'quanto
la forma mista alla materia (ùtgjùti^jvvj
(uterà rrì; vItiq). lì
divario
fra* due ftlosoft perciò non risguarda
la prima, vo* dir la specie
per
eccellenza, ma si la seconda, cioè la
cosa contenente la specie. Di che
si
vede come per lo Stagirita, oltre
l'insieme de' due elementi (to au voXov)
ci sia
ben altro ancora. Al di là del
to' slSoz sv fn uXv), infatti, vi
ha
l'essere, vi ha la ragion delle cose,
tÒ tìSo;, (Ved. Metaph. X, 2). In-
tanto, che
cosa ti fanno i critici hegeliani ?
Essi pigliano quel che loro
toma
comodo. Pigliano il to' oùvoXov, e il
resto considerano come un caput
mortnumj
o sentenziano: Ècco qua il vero
Aristotele! Che sia l'Aristotele
del
loro cervello, è chiaro, né vi cape
ombra di dubbio. Che sia l'Ari-
stotele che
ci porge la storia, lo neghiamo
risolutamente; né ci man-
cherebbe
modo a darne dimostrazione, se questo
fosse il luogo. Si dirà
che
quel caput mortuum sia come il Deus
ex machina dì Cartesio? una
contraddizione?
Innanzi tutto potrebbe stare ch'ella non
fosse tale: e tale
infatti
non la reputarono i nostri vecchi
critici del Rinascimento, né
tale è
creduta oggi da' massimi e più severi
interpreti moderni, qual è
Trendelenburg
in Germania, Rosmini in Italia, Ravaisson
e B. Saint-
Hilaire
in Francia. Checché ne sia, la
critica seria e feconda starebbe
appunto
nel levar di mezzo la contraddizione,
ma senza negare nò ra-
diare in
Aristotele l'esigenza platonica; se no,
risicheremo d'incespicare
nel
solito scoglio, quello cioè di far la
storia zoppicando, e far cammi-
nare la
macchina con una sola ruota. Nessuno
de' quattro critici poco
fa
rammentati, fra' moderni, e neanche fra
gli antichi il nostro Simone
Porzio
per esempio, avrebbero detto, né dicono,
sostituì. Avrebbero dette
aggiunse,
a/mpìè, eon-ewT, iiirern, t' simili.
modificazione
della potenza, avrai la posizione empirica
dell'Aristotelismo,
il cui rappresentante più logico, più
originale
nell' età del risorgimento dicemmo essere
il
Pomponaccio.
Se cotest' attinenza, per ultimo, è quella
di
forma
e di matefia, ma intesa in maniera
che la prima
tuttoché
rampolli dalla seconda non però sia
come assor-
bita da
questa e ne dipenda in modo assoluto,
ma anzi la
superi,
la informi di sé e basti ad
alimentarsi di sé me-
desima; in
tal caso avremo una terza posizione,
la cui esi-
genza é
pur manifesta in Aristotele, e nella
quale pone
radice
la soluzione più acconcia del problema
psicologico.
L' indirizzo
iperpsicólogico, nome che d' ordinario
scambiasi
con l'altro di platonico, ha natura
dedut-
tiva, e
costituisce il metodo degli spiritualisti
di tutt' i
tempi
: nelle cui mani la psicologia
assorbe siifattamente
la
fisiologia, da ridurla alle umili
condizioni di sem-
.plice
appendice della prima. L'indirizzo aristotelico
empirico
ha natura puramente induttiva; ed é
il me-
todo
de'mateiialisti d'ogni età, nonché di certi
moderni
biologisti
e positivisti, agli occhi de' quali la
scienza
dell'
anima é com' un' ultima pagina, una
modesta ap-
pendice
della fisiologia, ovvero una specie
d'enume-
razione,
come direbbe Hegel, di ciò che é
l'anima, di
ciò
che in lei avviene, di ciò eh'
ella opera. * L' indi-
rizzo medio,
finalmente, facendo giusta parte e ragione
tanto
alla psicologia quant' alla fisiologia,
interpreta il
rapporto
fra la potenza e l' atto col sussidio
del me-
todo
genetico ; e così giugno a salvare
ad un' ora me-
desima i
diritti dello spirito e quelli della
materia.
A
siffatto risultamento ci mena la critica
e la sto-
ria delle
differenti soluzioni date a quest' arduo
pro-
blema.
Rifacciamoci brevemente dal Platonismo.
Il
concetto psicologico del gran figliuolo d'
Aristone,
se é
parso profondo a molti in quanto che
mira, come
direbbe
il Cousin, a congiugner la natura
intelligibile
*
Phil, de VEnprit, trad. del Vera, T.
1, 1868, p. 72.
con la
materiale maritando due mondi opposti
nell'anima
razionale
e sensitiva,* pur nullameno e' riesce
manche-
volissimo
chi pensi come anima e corpo al
filosofo di
Atene
s' affacciassero dislegati, scissi, e
solamente ap-
paiati così
fra loro com' il nocchiero col suo
naviglio.*
Nessun
vincolo secreto, adunque, nessun nodo, né
om-
bra di
processo nelle funzioni psicologiche pel
padre del
Platonismo.'
Di qua proviene che per lui la
mente, vi-
vendo d' una
vita superiore, non abbisogna, a dir
pro-
prio, di
pareli^; il pensiero essendo già per
sé stesso
un
discorso con sé medesimo : Sto^UyaSat^
Perciò stesso
una
divisione razionale e organica degli atti
psicologici
teoretici
nella dottrina platonica è impossibile :
' laonde
quant'
all' essenza propria e specificante l'
anima, piut-
tosto che
generarsi, si compone; o, come osserva
accon-
ciamente un
acuto scrittore, si raccozza, non si
esplica.®
Il
concetto psicologico dunque del primitivo
Plato-
nismo é
tanto incompiuto, quanto incompiuto si
palesa
quello
della sua cosmologia, nonché l' altro delle
rela-
zioni fra
il mondo e gli etemi paradigmi.
Il processo
psicologico é assai meglio determinato
neir
Aristotelismo. Ed é tale in grazia
della dottrina
dell'entelechia,^
e della relazione fra la materia e
la
*■ L'
anima uriiana è formata alla stessa
maniera dell* anima del
mondo.
{Tim., trad. Coubin, voi. 12, p. 120
e specialmente 123 e segrg.)
È
qualcosa d' intermedio fra il mondo
sensibile e V idea. (Zeller, Eapo-
»tx.
arìatotelica della jUoBofia platonica.^ p.
304.)
* Di
qui la celebre definizione dell* uomo
alla quale han fatto e fauno
buon
viso tutti gli spiritualisti: Avro^f tu
toO» (Tw^aro; OLpy^ov
(àjÀo'koyTntTafisv
«vO^owttov govai etc. Ved. nel Primo
Alcib.f 51.
•
Chaigkbt, De la Paycologie de Platon^
Paris, 1862, p. 232 e segg.
* Ved.
nel Soph,, trad. del Cousin, Tom. XI,
p. 230.
' La
classazione accennata nella Repub. (Lib. IV
e IX) si riferisce
agli
atti morali; e lo stesso può dirsi
dell'altra simboleggiata nel mito
poetico
del Fedro. Solo nel Teeteto havvi un
principio di divisione teo-
retica delle
funzioni psicologiche, ma anche questa
manchevole.
•
BONQHI, Storia del concetto deWAnipia neUe
varie scuole antiche e
del
medio-evot pag. 288, nei Saggi di FU,
Civile^ Genova 1852.
■'
Arist., 2)« i4»., II, e. I, § VI: W\j'/ri sanv
«vtc>«x*** **^/'**'''*'
arà^y.roc
yuTtprou Sovy.jjLH Zwvj'v j^^ovto?.
forma.
Tale anche dove si rifletta al valore
che Aristotele
porge
al senso come rappresentazione com' elemento
essenziale
del pensiero,* nonché all'ufficio eh' egli
attri-
buisce
all'immaginazione (>3stxaT«a) come facoltà me-
diana fra
senso e ragione;* anticipando così la
dottrina
su la
relazione che il Kant stabilì fra
questa facoltà
e le
altre due estreme funzioni dello spirito.
Con que-
ste idee
fondamentali, checche ne dicano coloro che
col
B.
Saint-Hilaire non rifiniscono d'incelare la
psicologia
platonica,"
Aristotele creò la psicologia come scienza
indipendente
dalla biologìa, gettando insieme le basi
della
zoopsicologia che, nelle mani segnatamente
del
Darwin
e dell' Agassiz, oggi comincia ad assumere
di-
gnità e
significato razionale. Ecco dunque uno
degli
esplicamenti
, una delle correzioni dell'Aristotelismo
verso
il Platonismo neU' àmbito delle ricerche
psicolo-
giche. Nel
Timeo Platone riguarda l'animo qual moto
originario
e spontaneo fàuToxtv»Toc); Aristotele, meglio
avvisandosi,
estende siffattamente cotal virtii da
riferirla
altresì
all' animale.^ E questo, senza dubbio,
fu un passo
gigantesco.
Ma se
nel filosofo di Stagira vi ha passi
cCoro ad
ogni
pie sospinto, non per questo vi manca
la scòria.
La sua
psicologia, come quella del suo maestro,
è man-
chevole ;
ed è manchevole, perchè riesce tale
altresì la
costituzione
della sua cosmologia. Il sistema dell'uni-
verso per
lui è quasi una catena di cui
gli anelli prin-
cipali '
rappresentati dalla forma e dalla materia,
dalla
potenza
e dall'atto (5uvx/:xtc ed ivtpyéia), si
ripetono,
s' ingradano
e moltiplicano viepiù col distendersi di
essa.
*
Akist., Ve An.f lib. I, cai). L
^
*
Idem. Ta y.iv ovv e*trìvì rò
vokjtcxov «v toìc (por.vróÌ9fia9t voti.
De
An., III.
*
B. SAnrr-HiLAiRK, Tmité de VAme^ Introd.
*
Abist., Melaph. X.
*
Intendiamo accennare a* due princìpii
intemi che per Aristotele
costituiscon
r essere e sono anzi Tessere; a
differenza degli altri 4no
ntemi
che ne costituiscono i Jimiti. (Meutph.f
II, 5, 7*%*., II )
È una
scala in cui per moto continuo, dallo
stato di
sonno
e di stupore, la potenza s'aderge al
più alto
grado
dell'attività pura.* In cotesta relazione
trovasi
precisamente
la materia corporea di fronte agli
esseri
vegetabili
e sensitivi ; il vegetabile e '1
sensitivo rimpetto
all'essere
intellettivo; e T intellettivo inverso agi'
intel-
ligibili.'
Ma in che risied'egli cotal passaggio?
Tutto
ciò
che agisce non può non essere un
ente in atto, cioè
la
specie che operando sopra un ente
potenziale vien
così
traendolo dal nulla.' La forma dunque
che ger-
moglia dalla
materia è davvero il passo d^oro
nella
cosmologia
aristotelica; come il passaggio empirico e
al
tutto materiale e puramente generativo
dall' uno
all'
altro, n' è la parte inaccettabile ed
erronea. La
potenza
non movesi da sé per intima energia,
ma
solo
in virtii del movente, della forma.
Il potenziale,
in una
parola, non giugne all'attualità, salvo che
per
mozione
d'un attuale.* Or com'è possibile che
la po-
tènza riesca
anteriore all'atto, se in realtà è
sempre un
atto
quello che ha da movere il termine
correlativo ?
Che se
l'atto è antecedente alla potenza e
la precede
altresì
di tempo ; ^ non è egli chiaro
che cotesta po-
tenza abbia
a riescire affatto vuota e sterile e
infeconda,
posto
eh' ella abbisogni sempre d' un atto
che la tragga
ad
atto?
• Ma
c'è di più. Se l'originalità d'Aristotele
risiede
neir
aver visto l' elemento formale intrhisecarsi
col ma-
teriale ;
e la forma in quanto reale costituire
perciò la
sostanza
(ouVJa); e questa esser non altro che
processo.
V?
fuo-c;, wTTff rin trvvtyjia XavOoévscv
to' TtsBóptov aur&ìv xat
tÒ
^ttjoy wOTi/Owv ««TTt'v. Hi»U Anim.f Vili.
*
Arist., Metaph. Ili, 8.
*
Idem, De Oenerat. Aninu, II, 1.
*
"O ffTTÌv VI xcv)}(7(; «V Tw
xtv>jTw, Stj'koy' i'»Ts\éyr^si<x, yoip eVre
TOUTOÙ
uttÒ toù xcvy}tcxoù, xat vi Toù
xcvvjTcxou évépytta. ovk
y.Xkvì
è Tri. Metaph,, XI.
»
Idem. Metaph. Vili, 8.
atto
immanente nelle cose (viv??*?) donde poi
emerge
il
doppio aspetto o doppia determinazione
dell'indi-
viduo
(7eveT^at aa>wc, 7ivj(T5a£ rt): la parte
fiacca di
sua
dottrina, invece sta nell'aver posto,
com'ho toccato,
medesimezza
di natura, fra le due supreme
determina-
zioni degli
enti nell'ordine delle sensate realtà, onde
poi
accade
che rimanga difettosa tutta la cosmologia.
La
potenza
avvisata in sé medesima è Sivafii^,
In quanto
fluisce
verso l'atto è tvspysia. In quant'è
atto, stato,
riposo,
stasi, è 5VT«>ex«ta. In quanto poi
transigi ad
atto
novello ripiglia valore d' Bvspyùv., e così
di seguito.
Il
moto (KlvYiTit:), il conato^ come direbbe
il Leiljnitz,
il
conato 0 lo sforzo, come direbbe il
Vico, costituisce
l'essenza
di tutti questi tennini diversi; in
lui s'in-
centrano
potenza ed atto;* il perchè formando
fra loro
continuità,
compongono un sol ente capace di
passare
attraverso
stati o momenti in sé stessi diversi
per in-
trinseca
eccellenza. La produzione si fa sempre
nella
medesima
specie, ed all' univoco. *
Or se
cotest' appunto è la natura del
passaggio,
non è
egli chiaro che le cose devan
liescire identiche
nella
sostanza? Non é chiaro che, ov' elle
progrediscano,
cotesto
lor progresso altro non sarà che
trasformazione,
ninno
potendo affermare che trasformarsi vai
progre-
dire ?
E s' é così, a qual fine e con
che ragioni mover
critica
al maestro, nella cui dottrina il
mondo non è
che
parvenza, fenomeno, ombra vaniente e
passeggera?
Nella
dottrina cosmologica aristotelica, dunque, il
prò-
cessus
è al tutto apparente. Apparente e
fallace la spon-
taneità e
r intrinseca attuosità delle forze. Né
san Tom-
maso ebbe
torto d' affermare, contro gli arabeggianti
dell'età
sua i quali così appunto interpretavano
Aristo-
tele, che
una forma sostanziale novella mai non
appare,
*
"iÌTxs \sins70n TO 'key^Biv
slvxc xat ivépystav xat
fivj
9*
ecyae, Metaph,, XI.
*
Mrtaph. XI, 3.
ove la
vecchia non isparisca; e che la
generazione,
concepita
qual moto continuo e come incessabile
tras-
formazione d'
un subbietto identico, renda le forme
no-
velle
affatto accessorie e accidentali.' Se
quindi il genie
possente
d'Aristotele seppe scorgere e dimostrare
una
delle
grandi leggi della realtà, vo' dir la
continuità tra
forma
e materia (tò (ruv-^sf), la relazione
intima fra la
^uvaj^xì;
e r £VTf>èX5*«» ^ P^rò il profoudo
concetto della
£V5/>7sia;
non però giunse a vedere quell'altra
condi-
zione, non
meno imprescindibile della prima, la quale
seguendo
una vecchia frase pitagorica potremmo ap-
pellar legge
ddV intervallo {StitTTviiia),
I
medesimi pregi e le stesse manchevolezze
nella
sua
psicologia. L' uomo è tu vo>ov : dunque
è materia e
forma
ad un'ora medesima. L'anima intellettiva,
quindi,
è
atto. E la potenza di quest'atto? È
il senso.... La-
sciando le
induzioni favorevoli che si potrebbero fare
circa
tal dottrina d'Aristotele interpretando il
concetto
del
senso ch'ei chiama generale, si potrebbe
domandare:
in che
sta la relazione, e qual' è mai
la natura del pas-
saggio fra'
due -termini? Se ci è continuità, in
che ma-
niera il
senso può diventar ragione, l'esteso
inesteso,
la
materia pensiero? Se poi non v'.è
continuità (né ci
può
essere una volta eh' ei medesimo
invoca la mente
dal di
fuora^), com' è che alla fin fine
si ritrovan, por
cosi
dire, sovrapposte le tre anime che
sono anch' elle
forma
e materia, atto e potenza? — Trendelenburg
e
Rosmini,
fra gli altri, han messo a nudo,
com' è noto
• Summay
Pars I, LXXXVI, iv, e — fe bene
arvertire come gli sto-
riografi
hegeliani, imbattendosi in questa dottrina
Aristotelica, credano
scoprir
le Indie e vi s'aggancino tenacemente,
senz'addarsene ch'ei s'ag-
ganciano,
anziché al vero e genuino Aristotele,
ad nn tronco arabo ! E' non
s'accorgono
come già da sette secoli siano stati
mlnerati da quel mo-
desto
fraticello che, primo e meglio d' ogn'
altri, mise a nudo le maga-
gne dell'
Averroismo ove dimostra Averroè peripatetiofn
philotopJUm de-
pravatore
Ved. Opusc. Contra AverroytUy specialmente
a pag. 225 o segg. ;
e
nella Sommay q. LXXIX.
*
Aribt., Or Gerterot, Anim., II, 3.
questo
sconcio aristotelico. L' un d' essi non
capisce in
che
maniera lo Stagirita interrompesse la serie
pre-
clara, e
però si studia correggerlo facendo che
la mente
in potenza
(tw Travra 7£vs<j5a) pulluli tutta dalle
sotto-
poste
facoltà sensate.* L' altro poi, non meno
accorta-
mente del
primo, reputa impossibile cotesta scaturi-
gine,
attesoché il disprigionarsi dell' intelligenza
dal
puro
senso e dalla potenza, così com'è
intesa dal padre
della
Storia Naturale, terrebbe propriamente del
mira-
coloso.*
Anche qui, dunque, bisognerà dir che
Aristo-
tele non
riesce a vedere in che mai risegga
l'intimità
del
processo. Laonde se l' attività della
natura per lui
pone
radice nella specie come forma reale,
e quella
dell'anima
razionale risiede nella specie come idea
o
mezzo
del conoscere (nel che sta proprio
l'originalità
psicologica
aristotelica)^non perciò vennegli fatto d' im-
primer
compattezza ed omogeneità in quella tela
del
suo
maestro che a lui pareva scucita e
fatta a bran-
delli, 0,
com' egli usa dire, composta d'episodi
a mo' di
una
cattiva tragedia.' Non chiarì acconciamente,
in-
somma, come
nell'ordin de' fatti la potenza non pur
vada
innanzi all' atto e sia l' atto
medesimo posto come
potenza,
non altrimenti che la potenza è
l'atto me-
desimo non
per anche salito a questo valore; ma,
piii
ancora,
che la potenza abbia tale e cotanta
efficacia,
che,
posta una volta, per tutta sua
propria virtii debba
transitare
all'atto senza l'intervento d'altro subbietto
che
sia atto. Se cosi non fosse, che
cosa ne seguirebbe?
Questo,
di sicuro: che la potenza non sarebbe
altri-
menti
potenza, ma impotenza.*
*
Trkndelenburq, Ar%9t, in III, 5, De
Anim.f 2.
*
Rosmini, Àrvft. esp. ed emm. L. III, Gap.
XVII.
' Oux
ioty.in <y Yi (fvmq ènnvoSiM^Tni oJca
ex t«wv ^atyof/E'v&iv
wTTTsp
fjLO^Qripd T/9«7w5«a. Metaph.^ XIV.
^ Ci
sia qui permessa un'osservazione su la
quale ci rifaremo pid
riposatamente
in altra occasione. Alcuni fra i più
acuti filosofi aristote-
lici del
Rinascimento, in ispecie quelli cfie non
avevano interesse a ti<
rar lo
Staijirlta A'orso il Platonismo come certi
commentatori neoplatonici
Poiché
dunque lo Stagirita non imbroccò giusto,
e
sott' ogni riguardo, nel concetto
cosmologico della so-
stanza, vo'
dire nel processo genetico dell' individuo
;
non
poteva neanche coglier netto il processo
psicolo-
gico della
conoscenza, ne tampoco l'altro che dicemmo
istorico
e sociologico. Laonde possiamo concludere
che
il
gran maestro d'Alessandro, quant'al problema
psico-
logico, legò
soprattutto alla nostra eredità una doppia
esigenza:
V il concetto del metodo ch'egli,
svolgendolo
e
compiendolo, trasse da Socrate ; 2*"
il concetto dell' in-
tima
attività della natura in generale.* Col
che, come
vedremo,
Aristotele meglio che Platone sarebbe l'
ante-
cedente
ideale più legittimo del Vico.
Ma,
lasciando de' due massimi filosofi di
Grecia, ho
detto
che avrebbe tirato le somme linee d'
un compiuto
disegno
storico della psicologia chi pigliasse a
fecondare
e
svolgere que' germi psicologici che a
larga mano tro-
viamo sparsi
ne' due massimi filosofi del mondo
cri-
stiano,
Agostino e Tommaso. Il padre de'
padri sta cosi
al
dottore de' dottori della Chiesa, come
il filosofo di
Atene
a quello di Stagira; con la giunta
delle neices-
sità
cui spignevali '1 domma cristiano. Se
infatti può
0
tanto meno poi trarlo allo schietto
materialismo, come non dubitavano
fare
alcuni della scuola Bolo^ese e Padovana,
ma si studiavano bensì
d*
intenderlo benignamente e correggerlo alla
guisa che per più riguardi
s'è
studiato di fare il Rosmini; costoro,
dico, s'accorsero dove per av-
ventura
appiattavasi il tarlo che magagnava la
dottrina psicologica del
vecchio
maestro, o dissero V anima intellettiva
esser atto bensì della
sensitiva,
ma, più che atto, lo appellarono actw
in actu: t6Ss d' un tó^j,
direbbe
lo stesso Aristotile. Dissero l'anima
intellettiva forma; forma
sostanziale
uscente dalla sensitiva, identica a questa
i ma insieme dì-
versa,
e però autonoma e indipendente. Col
che, mi pare, avrebbero at-
tinto il
vero concetto della genesi psicologica, ove
alla generazione ari-
stotelica
avesser sostituito un'altra legge superiore
alla prima, della quale
parleremo
appresso. So che ad altri parrà
indovinello questo actwi in actu :
ma
allora non sarà meno indovinello la
suddetta frase del medesimo Ari-
stotele, e
r altra petuiero de\ pernierò; quella
dolio Schelling e di Platone,
idea
deW idea; quella di Hegel, /omia ddla
forma; quella di Fichte, fo
delV
Io; quella del Gioberti e del Cusano,
moto del motOf e via discorrendo.
*
KARTUt*, De la Pittfcoìntfie dWrittt,, p. 11*2.
— C. Wa Din VGTOS, P*y-
co/.
d'^Arint.
Conclus.
direi,
come s' è mostrato, che i due
filosofi greci furon
primi
a chiarire, da una parte, la
necessità di due op-
posti
elementi psicologici in un tutto (esigenza
psico-
logica
platonica), e, dall'altra, la necessità
d'un intimo
annodamento
de' medesimi in una compiuta unità (esi*
genza
aristotelica); con pari sicurezza può
affermarsi
che al
medesimo segno volsero gli occhi i
due filosofi
cristiani.
L' Aquinate, di più, si propone di
rinvenire
in
tale dottrina un accordo, e fino a
certo segno vi
riesce,
non pur fra' due greci filosofi, ma
eziandio fra
sé
medesimo e '1 suo maestro africano,
tanto eh' egli
stesso talvolta
s'accorge di tirarlo più del dovere
ai
propri
pensamenti, come del resto incontra ad
ogni
critico
che senta di poter fare da sé
anco quand' abbia
le
mani nella pasta altrui.
Qual
era infatti l'esigenza cristiana di fronte
alla
filosofia
greca rispetto al problema psicologico? Era
la
necessità di porre un fondamento razionale
non solo
a que'
dommi che come lor precipua condizione
doman-
dano il
concetto dell' anima nel senso di
natura indivi-
duale piena,
concreta, vivente e cosciente; ma eziandio
a
quegli altri pronunziati cristiani che la
natura del-
l' uomo
deggion supporre spirituale in sé, ed
immor-
tale. Or
bene, i due filosofi cristiani, non
senza profonda
ragione
e necessità, si studiaron per l'appunto
di ri-
trarre,
ciascuno dal proprio maestro, il vero
che i due
greci
filosofi racchiudevano, e che soccorreva
pur tanto
a
viepiù legittimare i diversi insegnamenti
dommatici
della
fede. Così avvenne che Agostino, badando
più
che
altro a rassodar que' dommi che ove
l' anima non
fosse
di natura spirituale e dal corpo
indipendente
parrebbero
più che misteriosi e inintelligibili,
teneva
l'occhio
al concetto platonico: in mentre che l'
Aqui-
nate,
procacciando ritrovar salde basi ai dommi
che
segnatamente
importano il concetto d'una compiuta
individualità
e personalità umana, guardava al con-
cetto
aristotelico. A questa maniera (juelle
menti pri-
vDegiate,
traendo profitto dalla speculazione greca,
si
pensavano
d' accordar le necessità della fede
co' bisogni
della
ragione, levando così ogni dissidio fra
le leggi
psicologiche,
e^i fatti d'ordine superiore.
Se non
che co' pregi essi redavan prure i
difetti dei
loro
maestri. Difetto in Agostino, checché ne
dicano al-
cuni
francesi, è quel medesimo che abbiam
riscontrato nel
filosofo
ateniese ; la mancanza di processo.*
Col che non
dico
già che non iscorgesse anch' egli uno
svolgimento
nelle
diverse funzioni psicologiche, essendo noti
que' sette
gradi
attraverso cui l' Ipponese vedeva esplicai'si l'
ani-
ma,' nel
che si vantaggia non poco sul suo
maestro. Dico
bensì
che sifi^atto processo in lui, non
meno che nel suo
maestro,
si palesa incompiuto e quasi inorganico,
non
avend'egli
scorto intimità di sorta fra'l senso
e la ragione,
ponendovi
anzi intervallo infinito alla maniera per
l' ap-
punto di
Platone. In altre parole : il
processo per lui ha
luogo
solamente nel mondo intellettivo, e non
anche nel
sensato;
sì che giugne a parlare, come oggi
il Rosmini,
d' un
senso intellettuale, E tanta efficacia
spiegava agli
occhi
suoi la virtii deduttiva e sì netta
parevagli l'in-
.
dipendenza della psicologia dalla biologia,
che il sentire
per
lui è anche un intendere, al modo
istesso che l' in-
tendere è
anche sentire, comecché nulla non ci
abbia
che
vedere col senso veramente detto.' Così
il sensato
* Al
nostro assunto non importa vedere qua'
dialoghi di Platone co-
noscesse il
filosofo d'Ippona. E neanche cMm porta
stabilire s* ei sia se-
guace de*
Neoplatonici meglio che de' Platonici, come
vuole il Nourisson
[Phil,
deSt. AugtutHny Paris 1865, voi. IT, pag. 101), ovvero
degli Ales-
sandrini,
segnatamente di Plotino, come crede aver
dimostrato II Bonl-
liet
col confronto de' testi {Trad. des
Ennéadea, Tom. II). Noi ci acco-
stiamo alla
sentenza del Saisset, il quale ha
mostrato che Agostino co-
nobbe assai
bene il filosofo Ateniese (Trad. de
la Citi de Dmw, Introd.,
pag.
XLI). Conobbe il Timeo: e tanto
bastava a queir ingegno potente
e
fecondo per cogliere l'intero disegno del
Platonismo. Del resto, par-
lando di
Agostino rispetto a Platone, più che
della filosofia e delle teo-
riche, noi
intendiamo parlare d' indirizzo generale, nel
quale convengono
Platonici,
Neoplatonici, Alessandrini e, non meno di
questi, sant'Agostino,
*
Agost., De quaiuU. Anim., pag, 77,
ed. Mignc.
»
Idem, eod,, XL.
per
Agostino è quello che per Platone:
passione del
corpo
come corpo (non del corpo animato)
confuso
perciò
con l'impressione eh' è affezione al tutto
fisio-
logica:
donde poi nella presenzialità, come
Platone,
fa
egli risiedere 1' attinenza fra l' anima
e '1 corpo.*
Sennonché
il filosofo cristiano si vantaggia sul
greco
quant'
al concetto stesso dell' anima razionale.
Si van-
taggia non
solo perchè col modificare profondamente
la
dottrina della reminiscenza, mondandola un
po' dal-
l' invogha
mitica, ebbe cura di sostituirvi l'
intuizione
onde
la mente vien capace di cogliere,
nuUa interpo-
sita
creatura, il lume dell' etema ragione
qual puro
lume,
o intelligibilità pura;' ma, piii ancora,
se '1
lascia
dietro assai lungo spazio mercè il
concetto d' un
atto
intellettivo posto come originario, radicale,
au-
tonomo, il
quale, costituendo T assenza stessa del
pen-
siero
(mens), è capace di comporre una
triplicità nel-
r
unità della conoscenza. Quest' unotrino
psicologico,
meglio
che inerenza d'un soggetto, è anzi
egli me-
desimo un
soggetto, è il soggetto.' Dove così
non fosse,
e
l'anima non avesse notizia primigenia di
se stessa,
come
potrebb' ella conoscer le cose, posto
che a cono-
scer le
cose condizione imprescindibile è conoscere
in-
nanzi tutto
sé medesima? Or cotesta coscienza ori-
ginaria,
netta, spiccata, autonoma, è per appunto
la
grande
novità ónde l' ardente africano vola sopra
tutt' i
filosofi
cristiani del medio-evo, e della quale
il Rosmini
si è
celatamente servito nella parte originale
della sua
teorica
su la conoscenza. Qui davvero Agostino
si pre-
senta quale
antecedente del postulato cartesiano,* ne'
li-
miti che
altrove accennammo (pag. 175). Ma è
da con-
*
RiTTER, Hùt, de la PhU. ChreU, voi.
II.
« De
Trinit. XII. — Conf^,, Vili.
* Vedi
le belle rifleesioni del Bonghi a
questo proposito nella Storia
del
concetto ddV anima ec, e del Rosmini
neir opera Deìle «entenite de* Fi-
losofi
intomo alla natura ddl* anima, p.
101.
* Yed.
segnatamente Dr Civit. Dei, lib. XI, cap.
26. — De Lih. Arh.
lib.
II, cap. a.
fessare
che, per benigni che fossero stati e
sieno gì' in-
terpreti,
specialmente i Francesi, che in questi
ultimi
anni
presero a chiarire la psicologia del
vescovo di
Ipponà,
la fimzione del senso pel gran padre
della
Chiesa
resta fuori il circolo della ragione.
Veniamo al
D' Aquino.
Checché
ne abbia detto il Gioberti, san
Tommaso è
perfettamente
aristotelico, massime nella dottrina psico-
logica, ma
senza esser seguace, a parlar proprio,
del-
l'indirizzo
iperpsicologico, e tanto meno dell'indirizzo
empirico
dell'Aristotelismo. Egli chiarisce, anzi cor-
regge la
confusa ed ambigua dottrina aristotelica su
r
intelletto agente e su T intelletto
possibile, non sa-
pendo
scorgere fra il primo e '1 secondo
una distinzione
essenziale;
col che abbatte d'un colpo quelle
estreme
e
contrarie tendenze aristoteliche, l'una delle
quaH pone
troppo
al di là e al di sopra di
noi l'intelligenza,
mentre
l'altra, ponendolo troppo al di sotto,
lo iden-
tifica con
l'intelletto possibile.* L'anima per lui è
atto
del
corpo; e così accetta pienamente la
definizione
dello
Stagirita, com'egli medesimo confessa: ed è
al-
tresì
peripatetico perfetto ove dichiara, l'uomo,
an-
ziché
spirito 0 corpo, esser ?uno e l'altro
insieme-
mente.*
Però si può dire che il Tomismo
correggesse
la
dottrina peripatetica su la sovrapposizione
delle tre
anime
non già che perpetuasse tale errore,
com' è stato
detto
da alcuni storici.' L'anima per l'Aquinate
non
sente
perchè razionale, com' é per Agostino;
sente per-
chè é
anche corpo e organismo. Intendere perciò
non
*
Summ,, q. LXXIX. Sicut in omnia
riatura, ita et in anima ett ali'
quid,
quod est omnia fitri, et (diquid quod
est omnia facete, E parlando
delle
due forme d* intelletto, avverte che
nec tamen eeqtiitur quod eit du-
plex
intelligere in homine; quia ad unum
inteUigere oportet utraque ista-
rum
nctionum eoneurrere. (Quceet.y DispìU, q.
de An. art.
4.) Vedi anche
gli
Opusc. DdV Intelletto e ddV Intelligibile,
volgarizzati dal Rossi, 0pu9e
^Uoeofici
$celti ec, Firenze, Le Monnier 1864,
pag. 421
e segg.
*
Snmm., Par. l, LXXV, LXXVI, art. 1.
'
JouRDAiN, La Phil. de S. Tfiom.
D'Aquin, tomo I, cap. V.
vai
sentire anche come intendere, ma è
puro intendere:
così
che s' egli è sentire, è tale innanzi
tutto perchè è
corpo. L'
anima razionale dunque vien su dalla
potenza :
e la
potenza è materia.' È egli materialismo
cotesto?
No,
certo. Se l'anima è atto del corpo,
non vuol dir
già
eh' ella sia rispetto all' organismo,
come 1' eflFetto
alla
sua cagione. Vuol dire bensì che il
corpo non è
puro
corpo. Vuol dire che la potenza non
è pura ed
inerte
potenza, come vedemmo richiedere uno de'
due
indirizzi
del suo maestro Stagirita. Vuol dire,
in somma,
che,
in quanto potenza, ella è forma
iniziale, forma in-
coata,
ma forma.*
Di che
si vede come V Angelo delle scuole,
pur
tenendosi
fedele alle orme aristoteliche, non sia
né
realista
schietto, né tampoco nominalista, ma
piuttosto
tragga
al concettuahsmo ben inteso : nel
qual metodo,
come
toccammo, egli era stato prevenuto già,
per non
parlare
di Teofrasto e Temistio, dal più
fecondo de' greci
commentatori,
Alessandro Afrodisio, come quegli che
innanzi
ogn' altri ebbe ad appellar l' anima
non solo
atto e
perfezionamento del corpo (T£>f cor*»;),
ma anche
potenza
del corpo (d^jv^im tow jw/xaro;).' E
nello stesso
metodo
fu poscia ormeggiato da parecchi filosoh
del
Rinascimento
: da quelli segnatamente che tra V
anima
e '1
corpo introdussero un' attinenza di
causalità reci-
proca,
stante clie la natura partorisca la
forma in quanto
é
potenza anch' ella, ma potenza attuosa
; e la forma
(juinci
rigeneri e ravvivi la materia in
quanto la compie.
Se non
che il Tomismo, scordando spesso l'ottimo
indirizzo
d'Aristotele, tìgge gli occhi nella
materia, e
in
questa presume riporre talora la ragione
e '1 principio
dell'
individualità. Errore del quale secondo
alcuni sto-
rici tornerà
sempre vano il voler difendere il
dottore
Angelico,
quando si consideri che la materia,
perchè si
'
Idem, eoci., XG: educitur e potentia
imtterice.
* Ib.,
LXXVI.
* Ved.
ueirOp. cit. del RAyAiSHUN, T. II, p.
296 e sogg.
porga
qual principio d'individuazione, ha pur
bisogno
d'esser
determinata, suggellata, segnata: or da che
cosa
mai
può esser ella improntata sadvo che
dalla forma?
ciò
che formava appunto il nòcciolo della opposizione
degli
Scotisti.* Del buon indirizzo aristotelico
inoltre si
dimentica
san Tommaso dove, rasentando l'aristote-
lismo
emJ)irico, si mostra così titubante su
la verace
natura
del senso, che la potenza per lui
non è così
piena
e così feconda come pur domanderebbe
la pro-
duzione
dell'atto; e quindi sente necessità di
chieder
sussidio
a un lume piovutoci addosso non sai
dir come
* Io
qui non intendo propugnare la teorica
sa T indìvidnazione di
san
Tommaso. Son anch' io del parere che
gli Scotistl non aressero poi
tatt*
i torti neir opporrisi, perchè davvero
non mancano sentenze nel
Tomismo
che debbano andar soggette ad una
critica severa. Ma fa me-
raviglia il
pensare come non tutti che ne han
parlato siansi dati cura
d'
interpretare con benignità siffatta dottrina;
e più meraviglia il ve-
dere come
r abbian trattata male anco i più
versati nella filosofia sco-
lastica e
nello studio deir Àquinate, qual* ò,
per esempio, lo Jourdain
che
tanto nel 1® quanto nel 2* voi.
dell* opera poco fa citata, si mette
a
sfatar V Angelico in modo poco serio
per le contraddizioni nelle quali
secondo
lui, cade 1* autore della Somma, e
per V inanUà con che tratta
siffatta
questione. Si dice e si scrive che
il principio d* itulividwuione
per
TAquinate stia nella materia; e se
davvero fosse così, non s* avrebbe
torto
a dargliene biasimo. Ha, a voler
interpretare con dirittura di giu-
dizio la
dottrina tomistica, non è proprio e
sempre la materia quella
in cui
è da riporsi tal principio, slbbene
ciò che in un ente ha ragione
di
primo subbietto. Ecco le parole
deirAquinate: Ulud qntodtenet ratio-
nem
primi tubieeti, est oausa individuationie
et divieionin tpeciei in eup-
poeitis.
E qual' è questo primo «ubbietto t
Est id quod in alio recipi non
potesL
Or le forme separate, per ciò che
non ponno esser ricevute in
altro,
hanno ragion di primo subbietto; però
s'individuano; e però In
et«
tot »unt epeeies, quot eunt individua,
(Ved. De
nat. materia, e 8.) Or
la
materia è ella principio di distinzione?
Si, certo: ma in quanto e sin
dove
ha funzione di primo subbietto. Nella
dottrina tomistica, dunque,
il
principio d' individuazione non sarebbe nò
la forma né la materia, ma
or
l'una or l'altra secondo che quella o
questa esercita funzione di
primo
subbietto. So che i dubbi non per
questo si diradano, né gli op-
positori
cessano. Ma io, ripeto, non difendo
in tutto tal dottrina, sib-
bene
chiarisco la interpretazione da darsene, e
la critica da fame. — Vedi
in
proposito le lettere dell' egregrio Aless.
Bbrntazzoli assai dotto nella
filosofia
di san Tommaso: Di un ulteriore e
definitivo esplicamenio ddla
FlIoHofin
/tcnlasttra ec, Bolo^'na, ISCl.
né
perchè,* invocando così un atto immediato
di
creazione.
Se l'anima è forma, atto puro,
potrebbe
esser
generata dal corpo? Non potrebbe,
risponderà
Tommaso:
ciò eh' è immateriale è impossibile
che ram-
polli per
via di generazione ; la quale non
è altro, a dir
proprio,
che trasformazione. Ma potrebb' esser fatta
della
sostanza divina? Tanto meno; perchè questa
non
è che
un atto purissimo.' Eccotelo dunque anche
lui
all'
intervento del solito DetAS ex machina;
alla neces-
sità d' un
atto peculiare di creazione ex niMlo,
Or non
vi
sarebb'egli altra via al nascimento
dell'anima fuori
di
queste due, generazione o creazione
estranea e divi-
na? —
CJom'è evidente l'A. della Somma (non
altrimenti
che
l'A. della OUtà di Dio risguardo a
Platone) eredita,
co'
grandi pregi, anch' i difetti della
dottrina aristotelica.
Il
concetto della individuahtà è concetto
capitale
nella
storia della psicologia. È propriamente la
radice
prima
onde pullula, chi ben guardi, tutto
il pensiero
moderno
filosofico, politico, religioso. La teorica
della
individuazione,
perciò, è l' addentellato più acconcio per
cui,
nella storia delle soluzioni riguardanti il
problema
psicologico,
il medioevo, segnatamente il Tomismo, si
congiugne
con l' età e co' filosofi del
Rinascimento. Non
ostante
i pregi e i meriti grandi che
l'Aquinate può
vantare
verso l'Aristotelismo e più verso il
Platonismo,
la sua
dottrina doveva esser corretta mostrando
che il
principio d'
individuazione non istà, a dir proprio,
nella
forma,
né tampoco nella materia, ovvero nell'una
o
nell'altra
secondo la ragione del primo suòbietto.
Meglio
ponendo
il problema psicologico si dovea mostrare
che
1'
anima è individuale non perchè informi
una materia,
ma sì
perchè, materia ella medesima, diventa
forma;
perchè l'
anima si fa coscienza; perchè la
coscienza em-
pirica
attinge valore d'autocoscienza e di libero
pen-
*
Summa, !• 2», CXI, art. 2: impre9no
divini luminii in noòw, re-
fidgentia
divincB cIoritoiM in anima,
•
Summa, P. I. LV, v; XC, ii.
siero,
nel cui regno non v' ha materia
e organismo che
lo
spirito non vinca e sorpassi, né
fantasma o imma-
gine eh'
ei non superi e sottoponga a sé
stesso.
Ora
produrre, o almeno compiere cotal
dimostrazione
in
maniera positiva ponendola sotto novelli
punti di
luce,
non era possibile senz' il concetto
della storicità,
essendoché
appunto in seno alla specie, in seno
al co-
mune e
alla moltiplicità appaia e si determini
e spicchi
vie
più la nota della differenza, tuttoché
cotal differenza
germogli
nelP individuo, e sempre per natia
virtù del-
l'
individuo. A tal' opera spiegarono grand'
efficacia in-
nanzi tutto
i nostri filosofi del Risorgimento. Altrove
mostreremo
come in tal' epoca si riproduca il
medesimo
triplice
indirizzo della scolastica, ma con esigenza
ben
diversa,
perché la storia è tale artefice che
mai non
ricopia
sé stessa. Qui notiamo solamente che
nel me-
dioevo le
tre tendenze aristoteliche, le quali
abbiamo
appellato
iperpsicólogica, empirica e media, riproducono
nel
Risorgimento l'esigenza del Realismo, del
Nomi-
nalismo e
del Concettualismo, ma trasformandola. Se
per
queste tre scuole la ricerca filosofica
versava su
la
natura dell' universale dapprima, e poi,
massime con
r
Aquinate, su la natura del medesimo
universale ma
in
relazione col particolare (principio d'
individuazione) ;
per i
filosofi del Rinascimento, in vece, ella
risguardava in
modo
precfpuo la natura intellettiva dell'anima,
nonché
il
rapporto fra il pensiero e l'organismo.
Essi modifi-
cano profondamente
tanto il Platonismo quanto l' Ari-
stotelismo;
così che alcuni, specie quelli che
rappre-
sentano r
indirizzo medio , non intendono ristringere
l'intelletto
nel puro senso, ma lo allargano si
che, 'ri-
collegando
il problema psicologico al problema cosmo-
logico, si
sforzano di rannodar l'anima in quanto
in-
telligente
con la natura in quanto intelligibile.*
* Noi
avremmo buono in mano a dimostrare,
se qai fosse luogo, che
r indirizzo
medio aristotelico nel Rinascimento fa
rappresentato, sebbene
in
maniera incerta e assai confusa come
portava il carattere di quel-
Il
Rinascimento apparecchiava la moderna psicolo-
gia, ma
non la costituiva. E non la
costituiva perchè
il
problema psicologico non può ricevere
acconcia solu-
zione quando
sia troppo confinato nelle pure indagini
psicologiche.
V'era, per esempio, chi studiavasi di
pro-
* vare
V immortalità dello spirito e chiarire
le ragioni e
i modi
ond' il pensiero nel suo operare s'
addimostra
indipendente
dal corpo. E v' era poi chi
facevasi ad in-
vocare il
sussidio de' soliti influssi divini come
fanno
anc'oggi,
a tre e quattro secoli di distanza,
i nostri
neoplatonici.
Or io non dirò che il problema
su' destini
dello
spirito possa esser risoluto così
facilmente quan-
t' altri s'
immagina. Dirò che alla psicologia potrà
dirivare
qualche sprazzo di luce non già
mostrando
(inutile
tentativo!) che l'anima sia indipendente
dal
corpo,
ovvero che Dio faccia piovere il suo
influsso su
r intelletto
arzigogolando in che guisa lo irraggi,
lo il-
^
lumini e lo riscaldi; ma procedendo
per altra via; pro-
cedendo per
una via men soggetta alle angustie
del-
l'empirismo,
0 meno aperta alle facili speculazioni
dell' a
priorismo. Se Dio influisce, comunque si
voglia,
su
l'anima, altro ei non potrà fare che
modificarne
l'operazione:
cangiarne la natura non può davvero.
Che
se, d' altra parte, si giugno a
dimostrare l' indi-
pendenza dal
corpo, non per questo s' avrà dimostrato
ch'ella
sia proprio immortale, se pure non
vogliamo
r età,
da parecchi filosofi ; fra' quali
notiamo il Contarini, il Porzio, lo
Zabarella,
il Gaetano (De Vio), il De Spina,
lo Scaino fra gì' interpreti,
0
anche il Sessano. Il quale, nella
forma ultima da lui data alla
dottrina
8U r
anima, si può dire che si rannodi
col D'Aquino e perciò anche con
TAfrodisio;
onde il Bonghi ha detto benissimo
affermando che, nell' in-
terpretare
Aristotile, il Sessano segue appunto il
commontatore greco
{Meta/,
rf'Arwt., Leti, ed Roam. p. XIII).
Questi ed altri vecchi nostri filo-
sofi
andrebbero studiati, interpretati, e naturalmente
anche corretti se-
condo il
criterio che abbiamo appellajto medio.
Specialmente andrebbe
studiato
il povero Nìfo cosi malconcio e
sfatato dal nostro collega Fio-
rentino: al
quale il Franck, del resto, ha saputo
dire che il Sessano non
pure
fu il piò, Maggio metafisico del suo
tempo, ma, più ancora, che il
Pomponazzi
trovò appunto nel Nifo un contraddittore
imbarazzante, e
d'una
grande autorità. — (Joum, dee Sav. Magg.
1869.)
acconciarci
alla celebre quanto inutile distinzione del
Pomponazzi
dell'Io fisico e dell'Io intellettivo, e
del-
l' anima
propriamente mortale e impropriamente im-
mortale! Al
pili potremmo giugnere a dir questo;
che
r
anima non finisca così come finisce
il corpo, cioè
disgregandosi
e trasformandosL. Ma cotesta soluzione
non è
affatto negativa?
Tutt'
insieme dunque la speculazione del Rinasci-
mento, per
quanto riguarda il problema psicologico,
era
piuttosto
negazione anziché affermazione : negazione
del
medioevo,
e apparecchio a novelle affermazioni. Nean-
che il
Pomponaccio, il più schietto seguace dell'
indi-
rizzo
aristoteUco naturale^ potrebb' esser detto
materia-
lista nello
stretto senso della parola. Il significato
vero
del
suo libro su la immortalità, diciamolo
di passata, è
quello
di porre sott' occhio, da una parte,
le magagne
delle
viete dimostrazioni su la natura, e
sul fine e su
r
origine dell' anima; e manifestare, dall'
altra, il bi-
sogno di
prove più salde, e però la necessità
in cui
trovavasi
il pensiero filosofico di tentare ben
altre so-
luzioni, e
schiudersi altre vie. Qual' era una
di queste
vie?
La durata dello spirito, come personalità,
doveva
esser
indagata nella medesima essenza e
costituzione
intima
del pensiero. £ a tal fine che
cos' era neces-
sario? Era
necessario lo studio del processo isterico;
appunto
perchè l'intima costituzione del pensiero
si
rivela
da sé medesima nello svolgimento della
vita
dello spirito;
e la vita dello spirito è appunto
la storia.
In
altre parole : era necessario vedere
per via di fatto,
cioè
col processo storico, come l' essenza dello
spirito
risegga
tutta nelP esser egli un conato,
un'attività pro-
fonda che
sempre più si estrica da' viluppi di
natura e
di sé
stesso; che sempre più si determina
in sé, e si
compenetra
con la natura e con sé medesimo
; e come
per
siffatta qualità egli sia capace di
trascender la
natura,
di sorpassare l'organismo, di superare
anche
sé
medesimo, pur rimanendo sempre una
personalità.
Ed
eccoci pervenuti alia conclusione dove in
questo
capitolo
desideravamo giugnere, e per la quale
abbiam
dovuto
fare sì lungo giro da risalire fino
alla doppia
sorgente
storica del concetto psicologico. Se per
più e
diverse
ragioni ne il Platonismo né l'Aristotelismo
pri-
mitivi non
pervennero, in generale, a determinare il
vero
concetto
dello spirito quantunque ne apparecchiassero
gli
elementi da secoli molti, il che non
è poco ; se i due
massimi
rappresentanti della filosofia cristiana,
tuttoché
introducessero
due nuovi concetti in siffatta questione,
non
però giunsero a salvarsi da incongruenze
manifeste ;
se, da
ultimo, cop lo sdoppiarsi dell'Aristotelismo
nel
Risorgimento
fu messa a nudo la fallacia delle
vec-
chie
posizioni, l'insufficienza d'im argomentare
fiacco
e
barcollante esprimendoci così l'esigenza di
prove
novelle
in siffatte indagini: è chiaro come
all'uscire
del
medio evo importasse rannodare i quattro
concetti
attorno
a' quali vennero travagliandosi per sì
lunghi
secoli
co' lor proseliti i quattro filosofi
cui siamo venuti
accennando,
correggerli, esplicarli, compierli, e statuire
una
dottrina positiva circa la genesi
psicologica. In
altre
parole: importava accettar l'esigenza psicologica
platonica
risguardante il connubio del doppio mondo
sensato
e razionale: ma occorreva anche correggerlo
mercé
il concetto della triplicità intima,
originaria cui
poggiò,
primo fra tut^i. Agostino. Importava
altresì ac-
cettar r
esigenza aristotelica del processo psicologico,
e
nel
medesimo tempo modificare profondamente e
trarre
a
maggior compimento il concetto della
generazione
psichica
dello Stagirita mercè il concetto di
creazione;
il che
tentò fare, e lo fece da par
suo, l' Aquinate : ma
più
ancora importava correggere il concetto
creativo
de' Tomisti
e de' filosofi cristiani, in generale,
cancel-
lando in
esso queir immediatezza divina eh' è
un dato di
fede
anziché di ragione, avvisandolo invece com'
essenzial
condizione
dello spirito. Questo, possiamo dire, si
stu-
diaron
di fare tutt' insieme parecchi filosofi
italiani de|
Rinascimento,
o per lo meno ne sentivano la
necessità. ^
Nessuno
vi riesci compiutamente, per la ragione
qua ^
dietro
accennata, d' aver voluto ristringer tale
ricerca ^^
negli
angusti confini della psicologia. Ad essi
mancava
un
altro grande concetto. Mancava un'altra
posizione,
per
cui si distingue infinitamente il
Rinascimento dal
tempo
moderno. Mancava l'esigenza di riguardare
il
pensiero
innanzi tutto come genesi psicologica, e
questa
genesi
psicologica poi considerare qual fondamento
im-
mediato
della genesi storica. Però non è da
meravi-
gliare se
alla scuola de' nostri politici facesse
difetto
la
vera nozione del diritto sopra cui si
puntella uni-
camente la
scienza politica, nonché il concetto vero
della
individualità, senza cui non può sorgere
né per-
petuarsi lo
Stato libero. Né fa meraviglia se i
teologi
assorbissero
il gius nella morale, e se una
riforma re-
ligiosa
allora non potesse fra noi essere
effettuata nel-
r
ordine civile, comecché fosse già in
gran parte pe-
netrata
nella mente de' nostri filosofi.
Mostrammo
come il Vico si colleghi col
Cartesiani-
smo; e
dicemmo che co' nostri filosofi del
Risorgimento
ei si
congiugne logicamente, più che per le
quistioni
metafisiche,
per la ricerca psicologica. In lui si
compie
la
posizione cartesiana, e si riproducono e
ringiovani-
scono i
vecchi principii improntati del sentimento
della
viva
realtà. Vi é dunque un' attinenza
ideale, vi é un
legame
logico tra la posizione del Vico,
della Scienza
Nuova,
e quella de' filosofi del Risorgimento.
Alla ri-
cerca
psicologica nuda, astratta, empirica e
subbiettiva,
deve
tener dietro necessariamente la ricerca
informata
alla
esigenza della storicità. Ecco perchè a
ricostruire la
storia
del pensiero italiano e rannodare il
secolo XVIII
co'
secoli anteriori, non avremmo guari bisogno
né di
Cartesio
né del Cartesianismo, se non fosse
per alcune
questioni
cosmologiche e ontologiche. Egli si
ricongiugne
co'
filosofi del Rinascimento in tre modi,
come nel pros-
simo
capitolo mostreremo; ma di più li
trascende in-
finitamente,
perchè se è vero che nel medio
evo il pen-
siero
filosofico riponeva l'essenza dello spirito,
a così
dire,
furori di §è, mentre nel Rinascimento,
attraverso
forme
diverse, inchinava a riporlo sotto di
se; è natu-
rale che,
col sentire la necessità del processo
istorico,
novello
sentiero egli avesse a dischiudersi,
rintracciando
quell'essenza
nel seno stesso dello spirito siccome
centro
e
insieme processo della storia. Gli storici
della filo-
sofia
italiana, ripetiamolo anche qui, non
potranno far
a
meno, quando voglian discoprire un vincolo
ideale
fra le
due epoche, di questa relazione alla
quale siamo
venuti
accennando, e su la quale ci rifaremo
più ri-
posatamente
in luogo più acconcio.
Capitolo
Quinto.
ORGANISMO
E PROCESSO PSICOLOGICO.
{Fxmdamenio
razionale del processo istorico.)
I
punti sostanziali ne' quali possiamo
stringer la
dottrina
psicologica, seguendo le orme del nostro
filo-
sofo, son
questi:
!•
Concepire in maniera compiuta e vera
la natura
della
facoltà psichica in generale.
2«
Distinguere nelle funzioni psicologiche due pro-
cessi,
conoscitivo e operativo, ma formanti unico
orga-
nismo, unico
circolo.
3*
Riguardar gli atti psicologici come una
molti-
plicità
di funzioni distinte e per sé stesse
irreducibili;
ma
nondimeno determinate e recate in atto
dalla virtù
d'
unico principio originario.
4*
Finalmente, porre siccome base razionale e
im-
mediata del
processo istorico lo stesso processo psico-
logico.
Col
primo di questi concetti il nostro
filosofo si col-
lega
dirittamente con Aristotele, e con gli
Aristotelici
del
Rinascimento seguaci dell' indirizzo medio;
e nel
medesimo
tempo corregge, in ordine alla psicologia,
quel
vecchio
domma del falso Aristotelismo e del
malin-
teso
Platonismo che suona così: niente moversi
da sé,
che
non sia mosso. Col secondo e col
terzo imprime
forma
razionale e organica alla scienza dello
spirito
tanto
contro Averroisti e Neoplatonici che troppo
distac-
cano i
due elementi onde risulta V ente
umano, quanto
contro
quegli Aristotelici empirici che, troppo
affogando
r uno
neir altro, finiscono per confonder la
sfera della
psicologia
con quella della biologia: ma, sì nel
primo
come
nel secondo caso, egli serba Y
esigenza psicologica
platonica
che dicemmo consistere nella distinzione
dei
due
elementi, nonché V esigenza aristotelica la
quale
riguarda
il processo nelle funzioni psicologiche.
CJon gli
stessi
concetti onde corregge nella quistione
psicolo-
gica il
Platonismo e l'Aristotelismo, previene l'
esigenza
del
Criticismo intomo al doppio ordine della
Ragion teo-
retica e
della Ragion pratica, e insieme la
invera e la
compie.
Col quarto concetto, finalmente, imprime
signi-
ficato
razionale e positivo al fatto storico,
e crea la
Scienza
Nuova.
Innanzi
tratto intendiamoci sul metodo acconcio a
simili
indagini.
Tommaso
Buckle osserva che i filosofi, parlando
su la
natura dell'anima, non sanno pigliar le
mosse
altro
che o dalle sensazioni, o dalle idee;
riuscendo così,
nell'un
modo e nell' altro, ad un metodo
solitario, astratto,
inefficace,
inconcludente.* Sennonché egli stesso, il
Bu-
ckle, non
giugno a salvarsi dal primo difetto.
11 suo me-
todo
isterico, differente dal deduttivo inverso
raccoman-
dato dal
Mill, é addirittura un metodo empirico;
onde
inciampa
in quel sensismo ch'egli condannando
vorrebbe
causare.
Checché ne sia, l'osservazione é degna
d'un
*
HUtory of Civilization in England, voi.
I, cap. Ili.
positivista
inglese ; e noi, pur correggendola,
non dubi-
tiamo farla
nostra. A schivare infatti tanto le
conse-
guenze d'un
gretto empirismo, quanto le arditezze d'un
magro
e sfumante idealismo, è forza movere
non dal fatto
della
sensazione, eh' è cosa estrinseca e quasi
soprav-
venuta allo
spirito, e nemmanco dalle ideej le
quali in
sostanza
non sono, per noi, fiiorchè produzioni
di lui;
ma da
lui stesso ; dallo stesso spirito in
quanto pensiero.
Bisogna
movere, in somma, dal centro, anziché
dalla
circonferenza;
dalle facoltà, ma dalle facoltà concepite
quali
sono in realtà, cioè come funzioni. A
tal uopo è
necessario
adoperare un metodo che non escluda,
ma
che
sappia includer le esigenze di tutt' i
metodi; em-
pirico,
naturale, sperimentale, psicologico astratto,
fisio-
logico, e
simili. In una parola, è necessario
il metodo
genetico
; il quale, rispetto alla psicologia,
è ciò che il
metodo
eduttivo è rispetto all'ordine del
conoscere.'
* Il
metodo col qnale i Positiristi presamono
di far la scienza psico-
losrica
è al tutto empirico e artificiale; ma
qui non intendo porre in nn
fascio
psicologi positÌYisti inglesi e francesi,
com*ha fatto il Vacherot.
{Betf.
de» Deux MondeSf die. 1869.) Spencer,
Mill ed Alessandro Bain stimano
(come
notammo nell'Introd., p. 6) che la
psicologia è superiore, indipendente
dalla
biologia, precisamente come la deduzione è
indipendent-e e superiore
air
induzione pel Mill, e come la
Sociologia è indipendente dalla storia
tanto
pel Mill quanto per lo Spencer. I
Francesi, al contrario, facendo
della
Psicologia una semplice appendice della
Biologia, non sanno con-
cepir r
nna senza 1* altra. lì
ri'y a point de p9yeolog%e en déhors
de la
biologie.
(LiTTRÉ, A. Oomte et St. Mill, p. 29 e segg.) Tale
anche è per
essi
la deduzione rispetto air induzione, la
psicologia rispetto alla storia,
la
Dinamica rispetto alla Statica Sociale.
Sennonché, qualunque ne sia
la
differenza, le due scuole intoppano in
due errori diversi; nel formalismo
empirico
Tuna, e nel materialismo Tal tra: e
così entrambe rendono im-
possibile la
scienza della psiche. Rifacciamoci brevemente
dagP Inglesi.
Qual
debb* essere, secondo St. Mill, il
fine della psicologia? Non
altro
che la ricerca diretta delle ntceeeeioni
mentali, (Sjfét, de Log, tom. II,
p.
484.) E quaV è la legge più
semplice, più generale cui si riducono
i
fenomeni
psichici? Quella àéiV anaoeiazione delle idee;
la grran legge os-
serrata
da Hume. [La PhU. de Hamilton^ cap.
Vili.) Innanzi tratto si
può
osservare: La legge dell* associazione è
legge empirica, e quindi ò un
fatto:
ma qual n'è la ragione? Senza questa
ragione potreste uscire dal-
l'empirismo?
st. Mill non ispiega cotesto fatto,
ma 1* accetta dair espe-
rienza. —
Altro difetto gravissimo, conseguenza del
primo, è questo; che
Il
metodo genetico applicato alla ricerca
psicolo-
gica attinge
valor positivo e insieme razionale, quando
la
legge d* associazione nou racchiude
necessità psicologica di sorta. È
una
legge men che empirica, e può
mancare. Dunque una notizia scien-
tifica circa
la natura psicologica, per lui, è
impossibile. — 'Più ancora: il
prodotto
ddV anaociaziowi è un fatto «t*
generi»: egli stesso ne conviene.
{DUaertation
and DiicuMiona, III, 104.) Or bene,
come spiegare cotesto
9ui
generi» con la pura legge d*
associazione ? Ci ò qui rispondenza,
ci ò
proporzione
tra V effetto e la causa? —
Finalmente, come spiegare con la
semplice
associazione il gran fatto della coscienza
f Bisognerà dunque
concludere
che la legge, la quale St. Mill
dice esser la più semplice e ge-
nerale fra
tutte quelle d' ordine psichico, importi
qualche altro fatto ante-
riore, 0
irreducibile. La psicologia contemporanea inglese
quindi cade nel
formalismo
empirico. E se riesce a distinguer la
psicologia dalla biologia
e
dalla storia (eh* è il suo pregio),
non riesce a trovare fra V una
e le
altro
vincolo di sorta. — Tocchiamo ora
della scuola psicologica de* Posi-
tivisti
francesi.
Il
Littré riguarda la psicologia qual semplice
appendice ed appli-
cazione
della biologia; e vuol quindi trattarla
con metodo analogo. Ma
fa una
distinzione acuta e ingegnosa di cui
giova tener conto, perchè
forma
la sua stessa condanna. Egli pone un
divario profondo tra la fa-
coltà e
il suo prodotto. Logica, ideologia,
psicologia (egli dice) non si
distinguon
menomamente dalla biologia quando siano
avvisato come
funzioni;
ma, guardate nei lor prodotti, se ne
differenziano in infinito.
Parimente
il linguaggio, come facoltà, è faccenda
biologica ; ed ha la sua
ragione
in una delle circonvoluzioni anteriori del
tessuto cerebrale, secon-
dochè
ci assicuran oggi gli sperimenti fisiologici
: ma, come grammatica,
se ne
discosta per grand* intervallo, o nou
ci ha che veder niente con la
biologia.
— Che cosa rispondere ? Rispondiamo,
troppo antica e troppo
vera
esser oggimai la sentenza aristotelica, che
tra la natura della causa
e
quella dell' effetto non possa esserci
divario essenxiaie. Or negli esempi
quassù
arrecati il divario essenziale e* è:
gli st>essi positivisti non- ar-
discono
dubitarne. Come dunque spiegarlo cotesto
divario? È egli pos-
sibile
spiegarlo senza riconoscer la differenza
fra le due scienze non
solo quant'
a* prodotti psicologici, ma anche quant*alle
facoltà? Como
funziono
il linguaggio non appartiene egli anche
al quadrumane? Ora in
forza
di che cosa riesce tanto profondamente
diverso il risultato nel bimane
che ha
pur comune col quadrumane la funzione?
Si dirà in forza del-
l' unione,
del numero, dell* attrito nella specie,
nella società? Ma non
vivono
in società anche alcune famiglie di
quadrumani? Eppure quella
funzione
non ha dato, e mai non darà il
risultato che pur dovrebbe! Àn-
cora: se
il prodotto fosse tant^ diverso dalla
facoltà solo per ragion del-
l'
associazione e del contatto, che cosa
ne verrebbe? Che 1* uomo sarebbe
fornito
di qualità e doti essenziali non per
so stesso, cioè non perchè
individuo,
ma per altri e da altri, cioè
perchè membro della società. Or
tutti
sanno che la £eicoltà della parola,
cosi intimamente annodata col pen-
siero, non
e dote accidentale ìn& eÈsenzi<de dell'uomo;
dell* uomo in quanto
soddisfi
al bisogno sperimeDtale. QuaP è V
esperienza
vera
nel campo della psicologia ? Un fatto
: ma un
fatto
che sia condizione logica di tutti
gli altri fatti; il
fatto
per eccellenza, il fatto de' fatti,
il faUo che si foj
efletto
e cagione ad un tempo istesso, la
coscienza. La
coscienza
è un fatto: ma chi presumerà
spiegarlo con le
sole
leggi fisiologiche? D' altra parte, dir
coscienza, come
da un
pezzo ci predicano gli spiritualisti
francesi, desi-
gnandola
come fatto per eccellenza, come il
fatto più saldo
della
psicologia, è dire un bel nulla ove
non si pervenga
a
risolvere questo doppio quesito: P Se
la coscienza è
un
fatto, conie si fa? 2» Perchè si
fa? Il nocciolo della
psicologia,
come scienza, sta tutto qui. E niuno
potrà
sperare
di scioglier cotesto nodo, se non
giugno a ri-
spondere all'obbiezione
che il Vico move contro al
Cogito
caitesiano: la coscienza essere un fatto
certo,
non un
fatto vero. Or s'egli affaccia tale
difficoltà, non è
da
supporre eh' egli medesimo ne abbia
in pronto la
risposta?
In altro capitolo abbiamo già visto
come ri-
ìndÌTÌduo,
non già in quanto membro della
società. Se dunque il prodotto
della
facoltà non è accidentale ed estrìnseco
ma intimo ed ossenzialo,
ne
viene che quaFc la natura dell'uno,
tal debV esser anche quella dell'al-
tra; e
cosi la distinzione del Littré sfuma
e dilegua. Inoltre, ore la natura
del
prodotto fosse quella stessa della facoltà,
e la facoltà fosse faccenda
al
tutto biologica, ninno ci salverebbe da
una schietta dottrina meccanica.
Ora i
positivisti francesi (al contrario degV
inglesi) affogan la psicologia
nella
biologia, e perciò la negano; e col
negarla precipitano logicamente
nel
materialismo. Talché se la psicologia
inglese, nelP ordine sociolo-
gico, mena
alla dottrina dell' JndividualinnOf e
quella de' francesi non si
salva
dalla dottrina del Socìalitmo; è da
concludere che il metodo psico-
logico de' Positivisti,
sia nell' una scuola sia nell'altra,
anziché positivo e
razionale,
riesca affatto negativo ed erroneo, come
vedremo in Sociologia.
Tale
altresì (diciamolo di passata) è il
metodo del Taine. Più formalista
ancora
del Mill, ei vuol far rivivere lo
schietto nominalismo nel regno
della
psicologia. Quale snellezza, quanta eleganza
nella forma e nello
stile
di questo facile e simpatico scrittore
! ma quanta e qual super-
ficialità
d'analisi e di ragionamento! Chi ne
voglia una prova, legga,
por
esempio, ciò eh' egli dice sul
concetto della personalità e della co-
scienza, e
vegga con che leggerezza confonda potenza
e facoltà nella
ricerca
psicologica. Il Taine è degno discendente
dell'abate Condillac.
(Vedi
De VlnuUigenee, Paris 1870, t. I,
lib. IV, cap. UI, t. II, llb.
I,
cap.
II, § 8.)
sponde
(p. 186-236). Meglio il vedremo qui
interpre-
tando e
svolgendo il suo pensiero.
Io
prego positivisti e fisiologi a non
digrignarmi i
denti.
La psicologia non è un'ultima pagina
della neu-
rologia,
come or non è molto ebbe a
proclamarla un
fisiologo
d'alta rinomanza; e pur nullameno non
cessa
d' essere
anch' ella una fisiologia. La psiche è
anch'essa
un
organismo, una generazione come la vita,
perchè
una
medesima legge di formazione ha da
presiedere ad
entrambe.
Ma solamente si pretende che, se
comune è
il
processo e quindi la legge, diversissimo
abbia a ri-
sultarne il
contenuto.
Che
cos'.è, infatti, il processo fisiologico?
Se i fisiologi
odierni
ci riflettessero, s'accorgerebbero tosto d'esser
d' accordo
col vecchio Aristotele. Il processo
fisiologico
in
sostanza non è che l' attuazione del
numero nel-
r unità:
le forze naturali e comuni trasformantisi
in
efficienza
dinamica vitale e risultante.* L' anima
dunque
è la
reàUà ultima dell'organismo.' — Che cos'è invece
il
processo psicologico? È imita che si
pone e s'attua in
sé
medesima : unità che si realizza nel
numero ; che si
fa
numero. Però è anima, è principio
vitale che diventa
* A
BIST. De Pari, Ànim,, II.
*
Aristotele ha ragione d* affermare, V
anima non esser una potenza
di cui
il corpo sia T attuazione, ma VaUo
del corpo nel senso di realtà
ultima
di Ini: Où to toì^ol «OTtv ivr s\i
j^itof, ^u^^^» *^^' «ut»?
(TtàpLOtrò^
Tivof. {De An., II.) Perciò eUa non è
actu» oorporis organici
nel
significato di principio, cbè saremmo
sempre nell* averroismo e nel
neoplatonismo
; bensì ò atto in quanto è il
risultato estremo e, come tale,
è
anche principio. Brevemente: V anima è
principio del corpo, T anima
principia
V organismo; ma non come attoy bensì
come potenza feconda,
reale
(to ^vvaTOv) tuttoché rudimentale. Chi non
voglia interpretare
così
il concetto dell' anima nelP Aristotelismo,
cade senza rimedio nelle
contraddizioni
in cui sMmpastojavano e s* impastojan
tuttora i Tomisti,
non
escluso il Rosmini. Il quale, diversamente
dall'interpretazione che noi
diamo
a questo concetto aristotelico, pone V
anima non già come atto del
corpOf
anzi come principio che produce quegli'
atto {Psicologia^ Novara 1858,
voi.
I, cap. IX, art. IV, § 223).
Posto ciò, la conseguenza su 1*
origine
dell'anima
quale sarà? Sarà altrettanto arbitraria e
ipotetica, quanto
inevitabile
e chiara: cioè la necessità d'un atto
d'immediata creazione.
(Op.
cit., voi. cit., cap. XXIIIt —
Antropologia^ lib. IV, cap. V.)
spirito,
è senso che diviene intelletto, è
istinto che
sale a
coscienza, è bisogno cieco, cieca tendenza
che
assume
valore di volontà morale, e di libera
perso-
nalità.*
Come
sta dunque la biologia alla psicologia?
Come la
vita
al pensiero; come la parte inferiore
della pianta,
come
le radici, alla parte superiore, al
tronco, a' rami,
alle
fronde, alle frutta, a' fiori. Ma fra
Tuna e l'altra
di
queste parti ci è un nodo; ci è
il nodo vitale. Ap-
punto in
questo nodo vitale s'immedesimano entrambe,
e si
divariano. Ed è cotesto nodo che non
sanno scorgere
e
tanto meno sgroppare, per quanto facciano,
materiali-
sti,
positivisti e interpreti empirici del?
Aristotelismo. In
questo
nodo vitale si toccano, senza confondersi,
due
sfere,
due organismi, due vite, due contenuti.
Questo
nodo
vitale è insieme forma e materia,
atto e potenza.
È
forma d' un' anterior materia eh' è l'
organismo, il
processo
biologico; ed è materia d'una forma
po-
steriore e
superiore eh' è l' organismo delle facoltà,
il
processo
psicologico. Il processo di natura infatti
si
assolve
dal potenziale all' attuale, dall'
indeterminato
al
determinato, e partorisce l' individuo : il
processo
psicologico
si assolve dal potenziale aitu^jde^
àU'aUtude
determinato,
cioè dall'individuo alla personalità, e
cosi
genera
la coscienza. Verissimo quindi l'altro
concetto
aristotelico:
il pensiero e la natura esser come
l'analisi
e la
sintesi che camminano in senso contrario,
ma go-
vernati da
una medesima legge.'
Or la
scienza della psiche dee rintracciare il
nodo in
cui si
toccano i due processi, investigandone la
genesi
<
Sotto quest* altro aspetto Aristotele dice
Terìssimo che I* anima,
anziché
armonia di parti o risultanza di moti
diversi, ò per sé stessa
attività,
accordo, e qnindi capace a regolare
ogni moto. Non ò numerp
ma
unità; unità della forma e dell'atto:
Tò yàp tv vìolÌ to etvae
ir>ffova;i^«i!l;
\iytxaiy to xvpiov in fvTf>f;i^sta jctc.
(Id. Eod.) —
È
Vachu in aetu degli Aristotelici del
Risorgimento segnaci deir indi-
rizzo medio,
per esempio ^del Gontarini, come
aTrertimmo.
*
RàTAiBSOX, Métaplu d'Aritt., t. I, p.
483.
psicologica.
Lo spirito è essenzialmente processo, è
ge-
nerazione,
ma non trasformazione. Non va dalla
parte
al
tutto, come avviene delle combinazioni
meccaniche;
ma dal
tutto al tutto, dal tutto potenziale
al tutto at-
tuale, dal
di dentro al di fuori, da una
sintesi origi-
naria e
confusa, ad una sintesi analizzata.* Voglio
dire
che il
processo psicologico s'inaugura non già con
que-
sta o
cotesta facoltà, anzi con tutte le
facoltà. Le quali
perciò
non sono funzioni determinate e specificate
sin
dalla
loro origine, ma convengon tutte nell'
essere al-
trettante
potenze, e, come tali, formano unica
potenza
originaria,
eh' è conato essenziale, sforzo incessante.*
Che
cosa sia questo conato, si vedrà
nell' altro capi-
tolo. Qui
dobbiamo considerar le facoltà psicologiche
come
ce le presenta il fatto, cioè come
una moltipli-
cità
di funzioni.
Che
cos'è la facoltà psicologica? È un
passaggio
dalla
potenza all' atto. Ella ci esprime la
pronta ne-
cessità di
fare, di determinarsi, d' attuarsi ;
e quindi
vuol
dire facilità, prontezza, solerzia, agevolezza
di
fare.'
Or la facoltà intanto significa pronta
e spontcmea
solerzia
di fare, in quanto fa il proprio
obbietto; in
quanto
si fa come funzione; in quanto si
pone come
*
Anche in ciò la psicologia somiglia
alla fisiologia, ma non tì si
confonde.
L* organogenia s' inaugura, meglio che con
uno, con tutti gli or-
gani ad
un tempo. Per esempio i centri
primitiTi multipli del sistema
nervoso,
che la microscopia ci pone sott*
occhio, chiarisce e conferma
quest'
assunto. Cfr. Vulpian, Physìologie gfn. et
comp. du syaL nere. —
LhittS,
SyH. New. cerebro-spinale. — Glkibbrrg,
Intinto e Libero cwbitrio^
trad,
del Langillotti, Nap. 1868.
*
Oonatum uni menti attrihuimu»f quce libero
arbitrio prcedita pottH
BUB8TARB....
eoque pacto potett motitm subsistrre et
stare in conato [De
Univ.
LXXV, 4). Ne* corpi e* è moto,
secondo il concetto cosmologico
del
Vico, ma nell* animo e* è moto e
eoncUo: o meglio, il moto qui as-
sumendo
natura di conato è moto del moto,
e quindi è aetw in actu.
* Expedita
seu expromtn f'iciendi solertia (De
Antiquisn, TtaU Sap.^
cap.
VII, 1). Facoltà suona anche proprietà,
ma proprietà cosciente : di-
stinzione
confermataci dal comun linguaggio che
attribuisce la proprietà
alle
cose, ma predica dell* nomo \h
facoltà. Vedi le belle riflessioni dello
JouFPRoy
in proposito {^filang. Phil.,
ed. Bruxelles, p. 267).
attività:
FacuUaùes sunt eorum, quce fadmus. Ecco
il con- 1
cetto
psicologico piìi originale del Vico. Il
germe di que-
sto concetto
è schiettamente aristotelico; * ed è
la chiave
ond'
egli, anticipando la moderna psicologia, preveniva
il
Fichte, e insieme ne correggeva V
esagerazione.*
Dunque
la facoltà posta come funzione psicologica
che fa
sé stessa in quanto fa il proprio
obbietto, è il '
passo
d'oro del Libro Metafisico. Ad esso
rispondono
altri
due che troviamo nel Diritto Universale
e nella
Scienza
Nuova; e tutt'e tre riescono a
comporre l'or-
ganismo del
processo psicologico. Tale organismo, in-
fatti, parmi
racchiuso in queste due sentenze: !•
che
r uomo
è innanzi tutto SensOy appresso
Immaginazione
e
quindi Ragione: 2*» che l'uomo è un
Potere, un Volere
e un
Conoscere potenzialmente infinito.^
•
ÀRlST. De an.^ Ili, 4.
• DoTe
stanno, a mo* d'esempio, i colori, i
sapori, gli odori, il tatto?
Se il
senso è facoltà, ne segue che tu
in sostanza hai a far i colori
nel
vedere,
tu i sapori nel guastare, tu i
suoni nelP udire, tn gli odori nel-
r
annusare, tu stesso il freddo e '1
caldo \iel toccare. Nam si «enatu fa-
cultates
sunt, videndo colore», sapores gustando,
sono» nudiendo, tangendo
frigida
et calida rerum facimua. {De Antiquisa,
e. VII, 3.) Parimenti con
le
immagini e con le rappresentazioni la
yirtù fantastica partorisce il
proprio
obbietto, e si fa; di modo che
scegliendo il meglio di natura
ed
elevandolo a valore di tipo, a questo
vien conformando V opera d* arte.
De
medio lectam {formam) ttupra fidem
extoUunt, et ad eam auos heroaa
con/ormant.
(Ibi, 2.) E la memoria, potenza che
rifa e penetra so mede-
sima, non
potrebbe rifarsi e penetrarsi ove innanzi
non si fosse fatta;
ne
quindi può esser quella magra e
sterile ritentiva di che ci parlano
i
sensisti. L' intelletto è facoltà anche
lui, perchè col determinarsi viene
a
geminarsi nel giudizio, e perciò vede
; e vede, perchè occhio dell' intel-
letto è
il giudizio : Judicium eat oculus
intellectu» ; né potrebbe intellet-
tivamente
vedere, se non intendesse; nò intendere,
ove anch'agli, al
solito,
non facesse il proprio obbietto.
Intellectus verna faeultaa est, quo
quum
quid intelligimua, id verum facimua, (Ibi,
5). In tutto questo il
Vico
ormeggia Aristotele. Per es. la visione,
secondo lo Stagirita, è Vatto
dd
colore; l'udito è V aUo del auono. (Ravaisson
Metaph, d^ Ariat., t. I,
p.
427. — Aeist. De An. I.)
• Il
primo di questi due principii è
evidentemente aristotelico, per-
chè dall*
ou^SvitTiq al voù^, com' è noto,
ricorrono parecchi gradi e sfu-
mature
componenti tutte un unico processo: ^ója,
^àvTacr|ua, s<xo3v,
f^pòvn^i^y
tnuTTTniivì {Log. d^Ariat*, Barth. Saint-Hilairk,
tomo II,
par.
II, sez. XI.) Il secondo poi è
anche aristotelico, e risponde all' in-
In
quest'organismo psicologico abbiamo due serie
diverse
di funzioni, e sei gruppi di facoltà;
teoretiche
e
conoscitive le une, operative e pratiche
le altre. Sen-
SO;
Immaginazione e Ragione formano il processo
della
Ragion
conosciHva: Conoscere, Volere e Potere
compon-
gono il
processo della Bagione operativa. Uno è
il circolo
psicologico,
ma incarnantesi attraverso gemina forma;
perocché
lo spirito, come ogn' altra unità
originaria,
si
determina e si ostrica per dualità.
Il Senso. da una
parte,
e il Potere dall' altra, son facoltà
rudimentali,
empiriche,
sintetiche, ma di sintesi grossolana. Elle
ci
esprimono,
secondo il concetto aristotelico, un
medesimo
principio,
ma sotto due condizioni diverse,
precisamente
come
l'intendimento. e la volontà.* Il senso che
solle-
vasi
dapprima a valore di percezione empirica,
poi di
rappresentazione,
poi di concetto, poi di nozione e
di
idea;
e il potere naturale eh' è dapprima
istinto fisio-
logico e
poi istinto psicologico, poi desiderio e
pas-
sione, poi
arbitrio, quindi volontà e libertà; queste
due
serie di funzioni, io dico, si vanno
sempre pili
accostando
fra loro, e somigliano (per usar la
frase
dello
Stagirita) alle due branche d'un angolo,
e rie-
telletto
teoretico e intelletto pratico; ma altri
molti prima del Vico
n'aTean
dato cenno, per esempio sant'Agostino (eh*
egli stesso cita a que-
sto
proposito), il Campanella {Metaph., lib. 1,
cap. 8, art. 8), e potremmo
citare
anche la triplice forma d'intelletto del
Pomponaccio, nonché quella
del
Bruno. Antecedenti, dunque, ce ne sarebbero
a buon dato. Ma non
bisogna
dimenticare che la novità psicologica del
filosofo napoletano
risiede
nell'uso ch'ei fa di questi due
concetti; T applicazione storica
di
essi, da una parte, e, dall' altra,
il considerar le facoltà psicologiche
come
altrettante funzioni d' unico principio. L' una
cosa riesce evidente
a' più
superficiali lettori della Scienza Nuova;
l'altra s'induce dal
complesso
delle sue dottrine. — Un' altra
osservazione. Quando il Vico
nel
Libro Metajieico riduce a tre le
operazioni della mente {Percezione,
Giudizio
e SiUogi»tno\ più che alle facoltà,
evidentemente guarda a' pro-
dotti di
esse; più che alla Psicologia, tien
l'occhio alla Logica. Nella
Scienza
Nuova poi considera le tre facoltà
conoscitive (Senso, Immagi-
nazione,
Ragione) in attinenza col processo
isterico, nel quale fantasia e
immaginazione
hanno grande importanza. Ma sia eh'
egli consideri le
facoltà,
sia che i loro prodotti, il processo
ha sempre una medesima legge.
«
Abtibt. De An, III, 7.
SCODO
entrambe ad un termine superiore, eh' è
il co-
noscere, ma
al conoscere come Ragione; al conoscere
in cui
le sottostanti facoltà diventan la stessa
ragione,
in
quanto che sono da essa legittimate.*
' Non
potendo entrar nell* analisi particolareg^ata
delle funzioni
teoretiche,
ristrinsriamo qui In nota i diversi
gradi e passaggri del pro-
cesso
conoscitiTO secondo i tre grappi segnati
i dal Vico: (Senso, Imma-
ginazione,
Ragione: Percezione, Giadizio. Sillogismo):
I. a)
Sensazione. — Importa la necessità d*
un principio sensiente, e
d*on
termine sentito; ma entrambi indistinti e
formanti unità incon-
sciente
e confusa. L*obbietto (il termine del
sentire) non è poeto, ap-
punto perchè
non ò appreso come oppoeto; ma è
come sovrapposto e
sopravvenuto
da fuori. Il eeneo dunque è il
principio del conoscere, ma
principio
iniziale, estrìnseco, occasionale, e come
tale suppone un prin-
cipio
intrinseco, ed essenziale: sicché quantunque
paia estrinseco, è
nondimeno
incluso nel circolo psicologico.
b)
PRRCEZIONB EMPIRICA (Coeeìenza empirica), —
Necessità d' un
principio
percettivo, e d* un oggetto percepito
; ma percepito come puro
oggetto,
cioè come oggetto indeterminato e oppoeto
al soggetto che lo
percepisce
sotto forma al tutine empirica (!<»
carattere dell' «tUc umano).
e)
Rappresentazione semplice. — Necessità d' un
oggetto deter-
minatOf
singolo, e però fornito di qualità
{/antaema). Il fantasma si pre-
senta
necessariamente come un opposto più
determinato appunto perchè
è
opposto, ma è un opposto tuttora
empirico.
d)
Rappresentazione immanente. — K la
rappresentazione sem-
plice che
si fissa (Memoria empirica: Betentiva).
Ella perciò richiede un
fantasma
indeterminato, e quindi segna un primo
grrado dì vera oppo-
sizione, la
quale ha luogo fra il soggetto e
V oggetto. Appresso il fan-
tasma,
assumendo forma generale e comune, importa
la necessità d*un
eegno
atto a fissarne le proprietà {Immaginazione
rintegratrice).
e)
Rappresentazione riproduttrice. — Riproduce e
trasforma il
prodotto
della facoltà anteriore. È un grrado
di memoria, ma superiore
alla
semplice retentiva, e però abbisogna del
linguaggio. {Tmmaginaxione
volontaria
— Immaginanone riproduttrice).
II. /)
Immaginazione). (Immaginazione eombinatriee.
Fantaeia),— L'og-
getto è
già divenuto vera immagine ( Univereah
poetico). Necessità quindi
della
parola propriamente detta {verbo).
L'Immaginazione
è funzione essenzialmente mobile,
contraddittoria.
Il suo
oggetto è insieme determinato e
indeterminato, particolare e
universale,
ideale e reale. Se dunque la sua
natura sta nell' opposizione,
ella
non può non costituire il passaggio
necessario ad un 2° gruppo di
facoltà
conoscitive, che comprendiamo nella parola
Lttendimento.
g)
Intendimento. •— L' obbietto è il
fantasma, ma divenuto con-
eetto:
perciò è davvero posto, perchè opposto {objeetum
propriamente detto).
h)
GiODizio. — £ di sua natura una
dualità, e quindi importa dop-
pio elemento
( Vero e Fatto), Questa dualità, a
cominciare dal Senso fino
Ciascun
gruppo di funzioni conoscitive forma an-
ch' egli
un processo ; e anche in questo
le facoltà psichiche
somigliano
alle funzioni organiche, perchè come queste
non s'
intenderebbero, ove si prescindesse dal
concorso di
tutte,
eh' è dire dal concetto della
cospircunone organica.
Ogni
grado, perciò, ogni forma in che
viene a specifi-
carsi
ciascuna funzione, è com'un apparecchio
della
facoltà
che le tien dietro, al modo istesso
che questa
è
complemento della prima. Tutte fra loro
stan così
come
la materia alla forma, come la
potenza all' atto,
e
propriamente come 1' » vre^sx"» e 1'
s\épystei aristotelica.
Or
tale apparecchio e complemento scambievole,
pro-
gressivo e
sempre piiì ascendente, sarebbe impossibile
senza
una serie di leggi d'ordine meccanico
e natu-
rale. Queste
leggi costituiscon quel determinismo che
la
psicologia non potrebbe oggi disconoscere,
senza ne-
gare le
occulte attinenze eh' eli' ha con la
fisiologia.
Leggi
meccaniche, come in fisiologia, si
verificano altresì
nel
regno dello spirito, nella storia, nella
psicologia. E
non è
certamente errore il parlare d'una statica
e di
una
meccanica psicologica, come fa la scuola
Herbar-
tiana
che nella interpretazione de' fenomeni
psichici ha
preteso
introdurre il calcolo; ma errore parmi
il non
vedere
come, accanto alla statica e alla
meccanica, ci
sia
pure una dinamica: dinamica d'ordine
superiore, a
spiegar
la quale non v' è calcoli né
leggi d' equilibrio
che
valgano. Se di tal distinzione avesse
tenuto conto
r
Herbart, non sarebbe venuto alla nota
quanto erronea
sentenza,
che ragione e libertà non abbian
niente di
air
Immaginazione, va sogrgretta ad un processo
-sempre più evidente. Nel
giudizio
i termini della dualità stanno di
fronte, irresoluti; e perciò V op-
posizione
segna la necessità e quindi *1
momento della risoluzione.
i)
Sommi generi di gtddizi ( Induttivo^
Deduttivo, EduUivo). — Co-
stituiscono
anch' essi fia loro un processo.
Nella sua terza forma il giu-
dizio non
è altrimenti giudizio e opposizione, ma
converriont de* due ter-
mini, e
quindi passaggio necessario alla funzione
raziocinativa.
III.
k) Ragione. -— L' oggetto è il
concetto divenuto nozione, la no-
zione
divenuta idea, e quindi metodo e
scienza. Tre forme di metodo:
tre
sfere di scienze. (Vedi p. 230 e scgg.)
primitiYG,
ma sieno entrambe un fatto psicologico
risul-
tante da
cagioni precedenti, che vuol dire
estrinseche.*
Noi
riconosciamo leggi di statica e leggi
di mecca-
nica nel
processo psicologico. Riconosciamo un mecca-
nismo e
un determinismo onde la psicologia per
intimi
vincoli
riesce ad allearsi con la biologia, e
condanniamo
quello
spiritualismo che, campato a mezz' aria,
sdegna
qualunque
parentela od attinenza col regno delle
leggi
biologiche.
Ma di là dal meccanismo sarà pur d'
uopo
riconoscere
un dinamismo : un dinamismo puro,
indipen-
dente da
ogni dato fisico e materiale, perchè
pensiamo
che se
condizioni d' indole meccanica debbono aver
luogo
fra le potenze componenti un dato
gruppo di
facoltà,
fra gruppo e gruppo, invece, è da
supporre V esi-
stenza di
leggi e condizioni d' indole dinamica. Come
dimostrare
tutto ciò? mi si chiederà. —
Quant'alla ne-
cessità
delle leggi meccaniche nel processo
psicologico,
io
rispondo, ninno oggi vorrà dubitare. La
fisiologia e
la
zoopsicologia se ne rendon mallevadrici.'
Quanto poi
all'esistenza
delle condizioni puramente dinamiche, una
dimostrazione
diretta e sperimentale è impresa vana.
Solamente
se ne potrebbe indurre la necessità,
come
vedremo,
indagando la relazione esistente fra il
pro-
cesso
psicologico, e il processo cosmologico ;
eh' è dire
fra la
genesi dello spirito, e quella della
natura. Qui
dobbiamo
notare che, ove un occulto dinamismo
non
esistesse
nel processo psicolosfico, tornerebbe davvero
impossibile
dar ragione di certi fenomeni psicologici,
massime
di quelli risguardanti le facoltà
superiori.
Chi
dirà che bastino le legaci meccaniche
a spiegare,
per
esempio, il passaggio dal senso all'ultimo
grado
*
Dici, des Scienc. Phil. — WiLsr. ffUt. cit., voi. lY.
• Dopo
gli ultimi studi sul cervello ninno
dubita osrjrimai della ne-
cessità
delle varie parti cerebrali nelle funzioni
psicbicbe. Cfr. Flourkns,
De la
Pkrénologief 60. ; Pgjfeol. comparhy 1865.
— H. Tainb, 7>e V Intel-
ligenee^
voi. II, llb. I, cap. III. —
Lauoel, Probi, de V Atne, — Litthé,
Revue
de Phil. Potit., settembre 1868. —
Consulta anche le op. «it. di
VuLPiAN
e di Lhuts.
dell'
immaginazione, cioè all' intendimento, nonché
il
passaggio
dall'intendimento alla ragione? Fra il ter-
mine sensato
dell' intuizione e '1 fantasma e' è
un abisso.
Un
abisso tra il fantasma^ tra il
fantasma anche salito
ad
universale poetico^ ed il concetto. Un
abisso ancora
fra
il- concetto, e la nozione, l' idea,
V universale pro-
priamente
detto. Bisogna credere, perciò, che dall'
un
gruppo
all'altro di funzioni psichiche non esista
con-
tinuità, ma
transito ; non passaggio immediato, ma
in-
tervallo. Or
bene, come, altro che per miracolo, l'
una
facoltà
potrebbe trasformarsi nell'altra? Non è
dunque
la
facoltà che si trasforma e diventa ;
ma è lo spi-
rito che
si forma, che si determina nel
multiplo e me-
diante il
multiplo delle facoltà. Laonde attraverso e
al
disotto
a questa multiplicità di funzioni, è
mestieri sup-
porre una
facoltà madre che, come facoltà deUe
facoltà
compia
i diversi passaggi e intervalli, e
sia come il
principio
dinamico dell'organismo psicologico. Ma di
questo
faremo parola nel prossimo capitolo dove
ricer-
cheremo la
genesi del processo psicologico. Seguitiamo.
Quel
che s'è dettò del processo conoscitivo,
dicasi
pure
del processo operativo e pratico dell'
organisriio psi-
cologico.
Una medesima legge governa tanto la
genesi
del
conoscere, quanto quella dell'operare. I
diversi
gradi
e momenti del processo operativo rispondono
a' di-
versi gradi
e momenti del processo conoscitivo.
L'operare
infatti
è determinato dal conoscere per necessità
tutta
psicologica.
Come dunque potrebbe non riprodurre la
medesima
legge? *
* Il
processo pratico suppone il teoretico,
stantechò la funzione yo-
litiva,
alla quale si riferisce ogn' altra facoltà
d'ordine operativo, sia
funzione
essenzialmente secondaria. Accenneremo qui i
diversi passag^
di
questo processo secondo i tre gruppi
(no««ey oeU«,^oMe) additatici dal
Vico;
ma ci ristringeremo a notarne i
difTerenti gradi seguendo l'ordine
ascensi vo,
tuituraU e, per cosi dire, cronologico.
L a)
Istinto fisiolooigo. — Risponde alla
Sensazione; anzi è la
sensazione
stessa, ma sotto l'aspetto riflesso,
attivo, comecché inco-
sciente. In
esso quindi si ripeton le medesime
condizioni, non altro essendo
fuorché
unità incosciente e confusa fra Vagente
e'I motivo dell'azione.
Additato
così con fuggevoli tocchi il doppio
aspetto
onde
risulta il processo psicologico, potremo
intendere
ormai
quella dottrina del nostro filosofo a
cui più di
una
volta venimmo alludendo nelP abbozzar la
storia
della
Scienza Nuova: dico la dottrina del
Vero e del
Certo,
che ha riscontro con V altra della
Bagione e dd-
VAidorità,
11 vero è produzione di Ragione; il
certo è
produzione
d^ Autorità,^ Ma come nelP ordine conosci-
b)
Istinto uitano (il poste del Vico nel
sao primo grado empi-
rico). —
Si ripeton le condizioni della Percezione
sensata. I due termini
qui
cominciano a distingaersi ; ma VigUnto
non è por anche desiderio.
L'istinto
anche qui è immohile, è cieco, e
pnr nonostante è umano. Ed
è
umano principalmente perchò non può
rimanere istinto^ ma dehb* esser
superato
dal desiderio, dee diventar desiderio.
e)
Dbsidebio. ~ Risponde alla Rappresentazione,
e n' è T attività.
Il
motivo dell* azione è determinato,
particolare. Quindi fra questo motivo
e r
agente havvi necessità empirica, immediatezza.
d) Passignk.
— Risponde ai primi gradi
deirimmaginazione, e, come
questa,
è mobile e varia; e perciò è
meno indeterminata che non sia il
desiderio.
Il Desiderio è uno,' la Passione ha
più forme. L'obbietto che
la
determina non è il particolare, e
neanche il generale. Appartiene al-
r
individuo considerato non come individuo,
ma com' elemento di società.
Segna
dunque un passaggio ; il passaggio
dal desiderio al libero arbitrio.
II. e)
LiBRRo ARBITRIO. — L* obbietto è generale,
astratto ; perciò è
più
mobile della Passione, e quindi costituisce
il passaggio dalla necessità
empirica
alla necessità razionale (libertà volgarmente
intesa). Risponde
alla
Immaginazione imitatrice e riproduttiice eh*
è tuttora schiava della
natura;
al modo istesso che il libero
arbitrio è dominato da un motivo
tuttora
eteronomo.
/)
Dbtkrminazionk (passaggio del libero arbitrio
alla Libertà). —
Risponde,
più che all'Immaginazione (combinatrice), alle
varie forme del-
l'
Intendimento. Varietà d* obbietti.
g) SuK
DIVBRSR POBMB {contrarietàf contraddizione j
dezione). —
Anche
qui ha luogo un processo come neU*
Intendimento. L* elezion ra-
zionale non
ò più libero arbitrio, ma Libertà.
III.
h) Libertà. — È determinata dalla
Ragione : perciò importa la
necessità
razionale. Libertà quindi è dovere appunto
perchè è ragione.
Ma può
tornare ad una delle tre forme
d'arbitrio, stantechè la neces-
sità, ond'è
signoreggiata, sia necessità morale.
»)
Personalità. — È T Autorità che si
converte con la Ragione. È
il
risultato del processo psicologico, e rappresenta
il circolo delle facoltà
perchò
le suppone tutte, e le contiene in
atto. 1& dunque la circonfe-
renza, cioè
rio pienOf attuale. Qual n*è il
centro? (Vedi nel Gap. seg.)
* n
concetto à^ÀtUorità è una delle idee
cardinali dell'opera sul
Piritto
UniversaJle. Noi' qui ne parliamo
per incidenza; perchè questa
tivo è
mestieri che il vero si converta col
fatto, così nel-
r
ordine pratico il certo fa d'uopo che
si converta col
vero.
In altre parole, se il processo
teoretico guardato
psicologicamente
è una conversione del vero col fatto;
il
processo operativo, al contrario, guardato
storica-
mente, è
una conversione del certo col vero.
La rela-
zione che
il Vico pone tra il Vero e '1
Certo, somiglia
quella
che nell'Aristotelismo tiene la forma verso
la ma-
teria, ma
considerata nel processo isterico. Risponde
altresì
alla relazione eh' egli medesimo scorge
tra la
filologia
e la filosofia. La filologia porge i
placiti del-
l' umano
arbitrio (placita humani arbitri) ; la
filosofia
indaga
i principii necessari di natura (necessaria
na-
turcey
Perciò][aiferma : « La Filosofia contempla
la Ra-
gione onde
viene la Scienza del Vero: la
Filologia
osserva
V Autorità deW umano Arbitrio onde
vien la
Coscienza
del Certo.^n Or la Ragione, producendo
il
dottrina
dovendo esser considerata principalmente sotto T
aspetto istorico
(nel
che sta tutto il suo pregio e
la sua norità), dovrà quindi formare
oggetto d'
interpretazione e dì studio nella
Sociologia. Qui dobbiamo
avvertire
solamente che, quantunque i siguiiìcati
della parola Autorità
pel
Vico sian diversi (Autorità polìtica,
religiosa, monastica, incononiica,
civile
e simili) nullameno tutte le specie
d'autorità, chi interpreti bene
la sua
mente, hanno d' aver per fondamento
originario queir An^ontò alla
quale,
propter rerum novitateìn^ ei volle dare
un titolo nuovo, e V appellò
AUCTOttlTAS
NATURALIS, ACCTOEITAS ì>tATURMj[De Univ.
Jur.,
XCI). PerciÒ
la
definisce: Humana: natura: proprietae (Ib.
XC). Perciò non dubita
chiamarla
divina. Perciò la designa come T
unità vivente delle tre fun-
zioni
costituenti l' ordine pratico psicologico: noBsCf
velie, posse (Ib. XCU).
Perciò,
finalmente, la dice Suitas; e la
Suitas nell'uomo vale, per lui,
ciò
che in Dio VAseitas (Ib. XCUI).
Vedremo altrove esser questa una
dottrina
originale onde l'autore della Scienza Nuova
prevenne la moderna
filosofia
del Diritto. Del che niuno de'
critici di cui parlammo ha avuto
sentore,
tranne il Carmignani e l'Amari; ma
l'uno, come dicemmo, ne
parla
superficialmente, e l'altro in senso tutto
cattolico e tradizionale.
*
De Constantia Jurispr., Proem., 4.
*
Sec. Se.
Nuova, lib. I, p. 98, X. — Si
noti qui, a maggiore schiari-
mento del
metodo vichiano, che la Filosofia è
quella che contempla, e
la
Filologia quella che ossa-va. Secondo il
nostro linguaggio, quella de-
duce, e
questa induce. Or la Scienza Nuova
non fa propriamente l'una
cosa,
né l' altra. Essa pone in opera
entrambe cotoste funzioni, e le
couipenctra
in una terza che dicemmo essere il
ma),àstoro eduttivo.
vero^
costituisce il processo della coscienza ;
in mentre
che r
Autorità, producendo il certo e
legittimandosi
nella
ragione, forma il processo dell'autocoscienza,
e
partorisce
il concetto della personalità (Proprietas
sui;
Suikis).
Sotto l'aspetto isterico, perciò, l'Autorità
è il
libero
arbitrio che diventa libertà, e quindi
Ragione:
sotto l'aspetto
psicologico è lo stesso libero arbitrio
già
divenuto ragione. Ond' è che come il
certo non è
il
vero ma una parte del vero^ così
V Autorità non è
Ragione,
ma è partecipe di ragione.* — Che
cosa è da
concludere
da tutto ciò ? Che il processo
pratico, riguar-
dato
psicologicamente, comincia là ove finisce
il teore-
tico.
Questo, infatti, s' inaugura col senso, e,
sempre più
ascendendo,
si risolve nella ragione. Quello, invece,
move
dalla
ragione avvisata come semplice colioscere,
e, tran-
sitando pel
volere, finisce nel potere; ma nel
potere
divenuto
già attività concreta, piena, reale,
vivente,
stantechè
il libero volere importi la ragione.
Che se
tra
conoscere ed operare, fra coscienza e
autocoscienza,
0 (per
usare il linguaggio del nostro filosofo)
tra Ra-
gione e
Autorità, fra il Vero e il Certo
e tra filosofia
e
filologia havvi un processo; è necessaria,
è inevitabile
una
conversione fra' due termini. Dunque 1'
Autorità
devesi
poter elevare a dignità di Ragione;
al modo
istesso
che la ragione operativa debbe aver
coscienza
di sé
medesima anche come ragion conoscitiva. Or
che
è ella
mai cotest' Autorità convertitasi in
ragione se
non
l'autocoscienza? E non è appunto
quest'Autorità
autocoscente
quella che, assolvendo l' uno e l' altro
pro-
' Ut
autem VBRUM constai RATiONE, ita criltuu
nititur auotoritate,
vd
noHra $en»uum quat dicitur aUTO^i'a, vel
aìtorum dicti», qua in tpeei^e
dicitur
AUOTORlTAS, cx quorum alterutra naicitur
PRRSCASIO. Sed ipta aucto-
RITA8
e«t ^ar» ^rwofrfam RATiONis. {De Univ.
Jur.y Proloq., 7.) Vedi le di-
verse
applicazioni del Vero e del Certo:
(Ibi, LXXXII, LXXXJII, OLII, 5.)
Il
primo scolare del Vico. Emanuele Dani,
come arrertimmo, fin dal se-
colo passato
colse giusto in questa dottrina del
suo maestro, massime
quant*
al valore e alla relazione de'
suddetti concetti. (Tedi Saggio di
Oiuriprndenza
Unirrr^aU, ed. cit., p. CVIII).
cesso, costituisce
l'essere veramente umano (universale)?
E che
cos' è l' ente umano, che cos' è
VHumaniiaSj per
cui
l'individuo è davvero individuo, subbietto
verace-
mente
universale, fuorché la personalità? E che
cos'è
la persona
se non queir unità vivente e operante
del
triphce
diritto originario (tutèla^ dominio e
libertà) nella
quale s'
incarna e s' impersona la triplice funzione
del
Potere,
del Volere e del Conoscere?*
Col
concetto su la relazione fra il
processo conosci-
tivo e
'1 processo operativo dell'organismo psicologico
il
Vico non solo previene l' esigenza Kantiana
del dop-
pio ordine
di ragione, ma, che più monta, la
supera.
La
previene distinguendo la Ragion pura
(Batio) dalla
Ragion
pratica (Autoritas). E dovea distinguerla,
per-
chè i
due processi conoscitivo e pratico,
tuttoché for-
manti unico
organismo, hanno, come s' è visto, origine,
natura,
e andamento diverso. La supera poi,
in quanto
che
scorge la conversione (ripetiamolo) non pur
fra
l'una
e l'altra ragione, ma eziandio nell'una
e nell'altra
guardate
ciascuna in sé stessa. Come processo
conosci-
tivo la
Ragione dee convertirsi con sé stessa;
e non
potrebbe,
ove non divenisse anche Autorità. Come
pro-
cesso
pratico l'Autorità non potrebbe neanch' ella
con-
vertirsi con
sé medesima, s' ella stessa non
divenisse
Ragione.
Li altre parole: il conoscere non potrebb'
es-
ser vero
conoscere, ove non fosse un processo,
una con-
versione de'
tre gruppi di funzioni teoretiche innanzi
discorse.
L'operare non sarebbe vero operare, se
an-
ch'egli
non fosse una conversione de' tre
gruppi delle
funzioni
operative. Finalmente il processo conoscitivo
*
De Univ. Jur. LXXXVl, XC, XCII.— Di qui nasce il
concetto del
gitu e
della libertà secondo le dottrino Yichiane,
come altrove mostre-
remo. Ma
già i lettori prevedono qnal uso noi
saremo per fare di cotesta
dottrina
nelle questioni polìtiche, giuridiche, religiose
e pedagogiche.
Posto
il concetto àdV Auctoritcu naturalU^ e
dell* Autorità in generale
come
particeptf RaHonUy cioè come facoltà che
devesi convertire con la
Ragione,
ognuno saprà argomentare qual valore
giuridico abbian per
noi r
autorità politica e 1* autorità religiosa
nelle teoriche sociologiche.
e '1
processo operativo non sarebbero tali, ove
non fos-
sero essi
stessi una conversione tra se medesimi.
Così il
circolo
è compiuto; e così rimane sbandita
ogni maniera
di
dualismo e di formalismo nel regno
della psicologia.
Or la
mancanza di processo è precisamente il
tarlo
che
rode le dottrine del Kant. Posto il
noumeno come
un'incognita,
posta la conoscenza com'una specie di
combaciamento
meccanico anziché come processo dina-
mico del
fatto con l'idea e della materia con
la forma;
non
poteva non chiudersi ogni via per
intendere il fe-
nomeno, e
salvarsi dal cadere in quella specie
di scetti-
cismo
metafisico del quale altrove toccammo (p.
238).
Senza
esempio nella storia della filosofia egli
dimostra
la
necessità di certe condizioni superiori
all' esperienza
nel
fatto del conoscere. Ecco la massima
sua gloria. Ma
non
perviene a spiegar cotesto fatto, perchè
non giunge
a
risolvere il dualismo tra la sensibilità
e l' intelletto
col
discoprirne il germe comune eh' egli
stesso )ion du-
bita
chiamare sconosciuto.^ D'altra parte, dal
disegno
della
Critica della Ragion Pura egli trae
quello della
Critica
della Ragiofi Pratica, Nell'una move dal
senso,
e,
attraverso l' intendimento, giugne alla ragione.
Nel-
r
altra tiene un cammino opposto, perchè
dal concetto
di
libertà scende nelle facoltà inferiori. Or
1' errore
non
istà, certo, in questo cammino, in
questo circolo ;
ma
piuttosto nell' aver interrotto cotesto
circolo. Donde
avrebbe
dovuto partire nell' organar 1' edifizio
della
Ragion
Pratica ? Precisamente da quel punto
ove' pon
termine
la Ragion Pura, Egli invece fa un
salto; salto
mortale;
perchè voltando le spalle alla ragion
pura (né
poteva
altrimenti), si basa nel concetto di
libera cau-
salità.* Ov'
è dunque il processo fra l' un ordine
e l' al-
tro? Ov'
è r unità, r organismo del circolo
psicologico?
Nella
distinzione Kantiana e' è del vero.
Ed è che
la
Ragion Pura è facoltà passiva in
quanto ha per
*
Kant, Orit, de la Raiaon Aire, p.
57, terza ed., Tissot.
>
Idem, Crit. de la Maieon Pratique^ p.
98, 220,
termine
il fenomeno, tuttoché s' addimostri attiva
nel
concepire
e disporre e costruir questo fenomeno
me-
diante
quella mirabile tela delle categorie.* La
Ragion
pratica,
al contrario, è profondamente attiva,
stante-
che
con r atto del puro volere ella
ponga il noumeno^
Se non
che il grand' uomo non vide che
né la Ragion
pratica
è assolutamente attiva, né la Ragion
pura è
assolutamente
passiva. Il conoscere, certo, serba carat-
tere di
passività ; non altrimenti che V
operare ha ca-
rattere d'
attività. Ma sono tali in modo
relativo. Sono
tali,
cioè, in quanto T ordine pratico
sopravviene a
compiere
il teoretico, non già nel senso che
nel se-
condo
abbiasi a conseguire ciò eh' è riescito
impossibile
nel
primo, vo'dir la* posizione del noumeno.
Che cos'è
infatti
cotesto noumeno nell'ordine pratico? Perchè
la
Ragion
pratica s' ha da porre qual puro
volere, cioè
com'un
fatto a priori? Insomma, che cos'è
questo ro-
lere
che vuole sé stesso?
A tal
grave quesito il Criticismo non risponde,
checché
ne
abbia detto poco fa uno della scuola
della Morale In-
dipendente
che in ciò crede poter ormeggiare il
filosofo
prussiano.
Che anzi, se la legge morale procede
dalla li-
bertà come
volontà indipendente e superiore a qualsi-
voglia
motivo, cioè come autonomia che trascenda
ogni
eteronomia;
è da confessare che un principio
siffatto è
condizione
ni tutto subbiettiva, e quindi sorgente
mu-
tabile
appunto perchè assolutamente libera. Un
atto
assofuto
di volere,- il volere come volere, io
non l'in-
tendo. Non
intendo il voglio perchè voglio^ giusto
perchè
non
capisco un atto che sia razionale e
insieme scisso
e
quasi staccato dalla ragion pura.
Brevemente: non
intendo
una Ragion pratica che non sappia né
possa
convertirsi
con la Ragion teoretica.'' Se la
radice del
*
Kant, Orìt, de la liaison Pure, ed.
cit., p. 158 e segg.
*
Idem, Orit, de la Raiaon Pratique,
cap. II, p. 325.
*
Secondo il Kant la Ragion pura, oltr'
esser fornita dell* uao tpe-
culiiivoy
ha eziandio un tntereaae pratico ; il
quale consiste semplicemente
dovere
sta nel sapere; la volontà di sua
natura sarà
sempre
una funzione secondaria, non mai primaria
: si
che,
ove nel processo istorico si svolga
da sé, in tal caso
ella
si determina non già come libertà, ma
come potere,
come
desiderio, come passione, come libero
arbitrio.
Laonde
se il filosofo prussiano sente la
necessità d' un
reale
nel suo formalismo critico, cotesta
necessità per lui
non
può racchiudere il vero concetto del
dovere, perchè
importa
una tendenza cieca. Non è dunque un
atto etico
veramente
detto, ma un bisogno assolutamente
empirico.
Dal
che si vede agevolmente non essere al
tutto vero ciò
che
aflFermano due serie di critici rispetto
alla natura
de'
due ordini di ragioni poste dal
Criticismo. Alcuni
credono
esserci contradizione perchè, mentre Ja
Ragion
pura è
indirizzata solamente (tuttoché con artifizio
for-
male) a
regolare V esperiènza, la Ragion pratica,
invece,
è
destinata a ricostruire, a costituire; e
costruisce mercè
la
posizione del noumeno, del libero volere,
reintegrando
siffattamente
i postulati distrutti nell'ordine teoretico.
Altri
pensano, fra* quali Spaventa,* che la
contraddi-
zione non
istia già fra le due Ragioni, ma
in ciascuna
d'esse.
Per noi è vera l'una e l'altra
sentenza, ma in
questo
senso; che la contraddizione del Criticismo
non
istà,
come abbiam detto, nel porre due
sfere diverse di
ragioni;
due ordini di processi psicologici, ma
si nel
non
aver risoluto nessun de' due. La
contraddizione
esiste
non pure in ciascuna delle due sfere,
ma anche
tra
l'una e l'altra ad un tempo; con
la differenza, che
nell'
un caso eli' è essenziale, dovechè
nell'altro è secon-
daria.
Togliete quella, e avrete insieme levato
questa.
Togliete
il dualismo e '1 formalismo nella
Ragion pura,
avrete
parimente riparato al formalismo e al
dualismo
della Ragion
pratica. Perciò sommettete a processo
nel
determinaref non già ne) eogtituire la
Ragion pratica. (Ibi, p. 825.)
La
Ragion pura pratica »i eoHituiace da
«2. Ecco il grave difetto del
Kantismo
nell* ordine morale.
«
FU, di Kant e «uà relaxione
coUa FU, /tal., Torino, 1860, p.
67.
Puna e
1' altra, e avrete schivata la
contraddizione; e
invece
delle Idee sulla Storia Universale^ idee
che paion
come
disorganate, avrete l'organismo della Scienza
Nuova.^
Or la contraddizione, che per tre
divers^e ma-
niere
offende il Criticismo, potrà essere tolta
unicamente
quando
dalla dualità, onde non si potè
liberare il Kant,
sappiasi
risalire all' unità sua. Qual sia
questa radicale
unità
da cui move, ed alla quale ritoma
il processo
psicologico,
diremo fra poco. Torniamo al Vico.
La
Ragion pratica, l'Autorità, VAuctorUas naturalis^
che
per lui costituisce la base del
processo pratico in
tutt'e
tre i momenti in che questo si
svolge, non è già
un
primo staccato da un altro primo al
tutto formale,
ma è
un secondo che si converte con un
primo^ e per
tale
conversione formano entrambi, anziché dualità
ir-
resoluta,
unidualUà, Per l'Autore della Scienza Nuova
la
ragione,
in quanto ragione, è una non due,^
Non due
perciò
le sorgive onde rampollano i ragionamenti
; bensì
* Il
significato della storia pel Kant si
riduce a questo. Come gli
uomini
si son costituiti in società per
ischivar la guerra, cosi tutt* i
popoli
tendono a stabilirsi in federazione
universale {Idée de eeque pour-
rait
ètre Vhiètoire universelle dana le» vuee
d^n eitoyen du monde, 1784).
La P
sentenza è un errore degno degli
Hobbesiaui: la 2" è un'utopia
la
quale partorisce 1* altra della Pctce
universnlcf e V altra ancora d* una
Chiena
filoeofica il cui fine dovrebb' esser
quello di sorvegliare alla mo-
rale del
genere umano (Vedi nella Relig, dana
lee lim. de la raiwn). Sennon-
ché è
impossibile spiegar la stona col porne
V origino in una condizione
accidentale,
in una necessità euipirica qual' è
appunto la guerra. II fatto
isterico
può essere spiegato col risalire alle
leggi psicologiche, e scoprirne
il
processo. Or poteva egli, il Kant,
prefiggersi tal fine s* ei non seppe
levare
il dissidio fra le due Ragioni e
mostrarne la conversione V Da ciò
anche
dipende quel proporre, air attuazione del
progresso, mezzi affatto
artiflziali
com'è la federazione universale, la chiesa
filosofica, e simili.
* «
Con lo apiegarai delle umane idee^ i
fatti, i diritti e le cose umane
si
andaron sempre più dirozzando, prima dalla
acrupoloaità delle auperatì-
zioni,
poi dalla aolennità degli atti legittimi
e dalle angustie delle parole,
finalmente
da ogni eorpìdenxa; per ridursi al
loro puro e vero principio
che è
loro propria aoatanza. * Or qual è
questa aoatanza propria, qual è
questo
principio vero e puro àe^ fatti e de'
diritti umani^ eh' è dire del-
l' ordine
pratico? È la aoatanza umana, la
noatra volontà determinata
dalla
noatra mente con la Forza del Vrbo
che ai chiama Coscienza.
{Prima
Se. Nuova, lib. II, p, 44-5.)
due le
maniere del ragionare. Di fatto, se
lo spirito in
quant'
è conoscere (Batio) produce il vero e
dà la scienza ;
e in
quant' è operare (Auctoritds) produce il
certo e cosi
esplica
e conferma la prima, ovvero la
prenunzia e Y an-
ticipa ;
ne viene che tra Y ordine teoretico
e Y ordine
pratico
una conversione è necessaria. In che
risiede
r
intima natura della volontà? Intelletto e
volontà, nel-
r
ordine psicologico spontaneo, hanno radice
comune:
per
cui se r atto del volere non è
propriamente atto
d'
intendere, e nondimeno lo sforzo d'
intendere : è lo
stesso
conoscere, ma in quanto si realizza
come Ragione
universale,
come operare umano, autonomo, razionale.
La
ragione dunque è facoltà di conversione
per eccellen-
za ; e
quindi lo spirito dee conformarsi al
naturale ordin
delle
cose. E che è mai il naturale
ordin delle cose? È
la
Datura, l'essenza, il valore, l' essere
stesso delle cose.*
Ora,
conformarsi all'essere delle cose, non vuol
dire
convertirsi
con lui, diventar lui? Col concetto d'
ordine
adunque
il Vico determina la natura non del
solo co-
noscere ne
del solo operare, ma la natura d'
entrambi;
cioè
della Ragione vivente e concreta; della
Ragione co-
mune,
universale, imiana. La quale, supponendo
già il
concetto
d'ordine, cioè dire supponendo il processo
Qpnoscitivo,
importa anche il processo operativo come
risultato
necessario dell' essenza umana.*
*
Con/ormatìo eum ipso ordine rerum e$t
et dicitur batio. {De Univ,
Jur.^
Proem.j 7.) Questa con/ormatio mentis
suppone già il processo cono-
scitÌTO,
e quindi il criterio della Convernone
del vero col fatto. Ella dunque
è
risultamento delle funzioni teoretiche, e
insieme principio delle fun-
zioni
pratiche. È la sostanza umana determinata
con la Forza del Vero.
* Il
Rosmini nella FU. del Diritto (voi.
I, sez. II, X) fa la critica
del
concetto d* ordine com' è inteso dal
Vico. Il Finetti area fatto lo
stesso
fin dal secolo scorso nelle sue
polemiche col Dnni e col Concinna.
{De
Prineip. Jur. ec, tom. II, cap. VI.) Ma né
V uno nò 1* altro s*è accorto
come
la facoltà, che per Vico dee
conformarsi air ordine naturale, non sia
il
puro conoscere e neanche il solo
operare; cioè non la Ratio e nemmanco
VAuetoritas,
ma la Ragione per eccellenza, la
Ragione in quant' è risultato
finale
e quindi princìpio del doppio processo
psicologico. £ la ragione, in-
somma, in
quanto è conversione essenziale con la
natura, con la storia,
con lo
Stato, col supremo suo fine, e della
quale il Duni dice che dove
Concludiamo
quant' al processo pratico. La ragion
pratica
non contraddice alla teoretica. Intanto eli'
è
pratica,
in quanto è comando ; ma è
comando della ra-
gione
fondata nel concetto del fine razionale,
che vuol
dire d'
un fine il quale iraponesi come
legge, e perciò
come
imperativo. Cotesto fine imperante, manifestato
o
imposto
dalla ragione (e tutto ciò per noi
è ragion
pratica),
inevitabilmente importa la necessità etica,
il
cui
soggetto è la volontà: ond' è che
tra la volontà e il
suo
fine, eh' è appunto il bene morale,
òorre una sin-
tesi
necessaria. Che se l' imperativo per Kant
è la stessa
volontà
in quanto è libera da ogni movente
particolare
e
d'ogni particolare interesse; anche per noi
cotesto im-
perativo è
il volere libero da ogni qualunque
motivo,
meno
da quello che scende dalla ragione, o
per mezzo
della
ragione; ma di quella ragione pura o
conoscitiva
la
quale, essendo il vero convertentesi col
fatto, intende
e
legittima il fenomeno. Fra lei e '1
noumeno non esiste
un
abisso, com' è pur troppo pel
Criticismo. E in questo
senso
non ha torto Hegel d'affermare che
libertà è
ragione,
e ragione è libertà. Il motivo dell'
azione, in-
fatti, è
intrinsecato con la ragione; scaturisce non
già
dall'
estemo, come incontra nelle azioni di
natura mec-
canica, ma
dall' intemo. L'agente dunque è razional-
mente
libero; e però è liberamente necessario.
Il per-
chè se
una sintesi necessaria annoda il volere
col suo
fine,
è pur mestieri che la volontà si
converta con la
ragione,
e produca la virtù. Così nella sfera
pratica,
non
diversamente che nella teoretica, il
criterio è
sempre
il medesimo : la conversione del vero
col fatto,
eh' è
dire della legge con la volontà. E
poiché la legge
neir
ordine etico partorisce il dovere, e
la volontà nel-
r
ordine giuridico produce il diritto; perciò
accade che
la
Morale, nella dottrina del nostro filosofo,
deve stare
al Diritto
cosi come il vero sta al fatto,
come la Ra-
non
c'^ uniformaziont,, non e'? ragione, (Vedi
noi Saggio di Giuritprw
denzn
Umvermle^ ediz, cit.: voi. cit.
Gap. VI.>
gione
air Autorità. Sono due sfere di fatti
diversi; due
ordini
di scienze differenti per origine, e
per applica-
zione. Il
Diritto non iscaturisce dalla Morale, ne
tam-
poco la
Morale potrà emerger dal Diritto. Se
cosi fosse,
l'una
di queste scienze annullerebbe l'altra,
assor-
bendola.
Esse dunque non s'identificano, ma si
con-
vertono.*
Tal si
è, come rapidamente l'abbiamo descritto,
l'or-
ganismo
psicologico ne' suoi elementi e nella
sua natura.
Ma
quest' organismo può e debb' esser
considerato ri-
guardo a
due soggetti, che sono l'individuo e
la specie,
cioè
dire psicologicamente e storicamente.
Nell'individuo
ci è
dato studiarlo, come chi dicesse, nella
condizione
statica,
cioè nel suo equilibrio, nella sua
compiutezza,
a
cagione delle mutue relazioni onde i
due processi ri-
chiamansi
a vicenda. Psicologicamente, infatti, il
pen-
siero
inaugura, determina e compie il processo
pratico.
Lo
inaugura come senso in quanto eccita
il potere: lo
determina
come rappresentazione, immaginazione, in-
tendimento
che sveglia e sprona il volere: lo
compie,
finalmente,
come ragione, la quale costituisce
l'essenza
stessa
della libertà. La Ragione dunque è
l'atto, la
forma
dell'Autorità; come l'Autorità è la potenza
e la
materia
della Ragione.* Io voglio ed opero
perchè cono-
sco :
né per altro potrò conoscere se non
perchè debbo
operare.
La ragion del volere pone sua radice
nel cono-
scere ;
come la ragione e '1 fine del
conoscere altro po-
trebb'
esser che Y operare. Chi vuol
conoscere per cono-
scere è
un mezz' uomo. E la scienza per
la scienza è
frase
ch'io non intendo, come non la
intendeva nem-
meno
Aristotele.^ I due processi, adunque, ne'
quali si
sdoppia
e determina l' organismo psicologico nell'
indi-
viduo, s'
importano a vicenda, e tutt' insieme
compon-
•
Sotto il rapporto psicolosrico può dirsi,
come più d*una volta ar-
verte
il nostro filosofo, che ex Rottone
Auctontas ipm orta ett. (De
Univ.
Jur.,
XCIV.)
*
Rayaisson, Em, 9ur la Mitaph. ec. T.
I, 1. T, cap. II.
gono
un sol circolo. In questo circolo per
1' appunto sta
l'autogenesi
dello spirito.
Al
contrario nella storia, che vuol dire
nella specie
avvisata
come un individuo attraverso il tempo,
l'orga-
nismo
psicologico ci è dato considerarlo quasi
in via
di
formazione, cioè sotto il rapporto
dinamico, e perciò
nelle
condizioni del movimento. Avviene infatti'
in que-
st'ordin
di cose quel che la scuola di
Lamarck pen-
sava del
regno zoologico. Nell'organismo compiuto, nel
mammifero,
ci è tutta la scala zoologica, ma
in atto;
al
modo istesso che nelle differenti specie
d'organismi
inferiori
abbiamo l'organismo perfetto, ma come squa-
dernato
nella successione seriale de' diversi
momenti
del
suo sviluppo. Se questa dottrina,
secondochè al-
trove
diremo, non è al tutto vera in
ordine alla storia
naturale,
è verissima nella storia umana. La
condi-
zione
statica non può verificarsi nell' ordine
de' fatti,
massime de'
fatti storici. Nel regno della realtà,
anziché
quiete
ed equilibrio, tutto è moto incessante,
sviluppo,
attrito,
disequilibrio perpetuo: onde la Statica
sociale
de'
Sociologisti non è che un' astrazione
del pensiero. Il
processo
psicologico adunque, avvisato staticamente, è
tipo,
è realtà compiuta, alla quale c'innalziamo
scru-
tando la
natura dell'individuo, investigando le leggi
della
psicologia.
Un processo psicologico in via di
formazione
non è
altrimenti Statica, ma Dinamica. Ora il processo
psicologico
è r atto, il tipo del processo
isterico; e quindi
vana
impresa è il pretendere d' imprimer ÌForma
di
scienza
alla storia, senza porvi a fondamento
imme-
diato la
psicologia. La storia non fa che
ripeter la
psicologia;
ma al modo che la circonferenza
ripete il
centro.
Che è mai la circonferenza fuorché lo
stesso
centro
considerato, direbbe il Gioberti, fuori di
sé? Tal
è la
specie rispetto aU' individuo ; tal
si é pure la storia
di
fronte alla psicologia.* Ciò che nell'
una si compie
* Vedi
le belle riflessioni del Noubisson in
proposito. (La nature
humainef
Ess. de Fsycol. appliquée, Paris 1865,
p. 431 e se^g.)
attaraverso
lunghi secoli, nell' altra, cioè nell'
individuo,
s' assolve
attraverso una serie d' anni e di
differenti età.
E ciò
che sono i secoli per la storia
e gli anni e le
diverse
età per l' individuo, sono per la
coscienza at-
tuale que'
diversi momenti necessari aftinché ella
possa
recare
in atto la doppia fimzione del
conoscere e del-
l' operare.
Ma per
quante sian le differenze, la legge è
sempre
una;
non essendo possibile che le note
essenziali alla
specie
manchino ai membri, manchino agli elementi
di
essa,
ciò è dire agP individui.* Perciò
nella storia tanto il
processo
teoretico quanto il processo pratico
s'inau-
gura cod
come nell' individuo. U senso, lo
vedremo in
altro
luogo, sale a ragione attraverso le
funzioni in-
termedie
dell'immaginazione e dell'intendimento. Il
potere,
l'istinto (il che verificheremo nella
sociologia)
assume
valore di Ubertà mercè la successione
delle
moltiplici
forme cui soggiaccion le passioni e
le deter-
minazioni
del libero arbitrio, e siffattamente crea
il
Diritto
e lo Stato. Così la storia è
una correzione lenta
ma
incessante, ma progressiva di due forze
che mai
non
posano, Autorità e Rag^ne.* La molla
occulta del-
* Ce
qui 9e paage dan» Vévolvtion 4e
Vindividu est la tacine de ce qui
se
passe dans VévoìuHon de Vétte eoUectii*. (Littbé,
PatoUs de Phil. Posit.
2*
ed.) Ognan vede che questo principio
non è, come ci dicono i Po-
sitivisti di
Francia, una loro invenzione peregrina. È
uno de* con-
cetti
fondamentali della Scienza Nuova; ed è
insieme la correzione
del
Comtismo, per la ragione più volte
rammentata che la psicologia
pel
Vico non iscatnrìsce dalla storia, ma
è anzi la storia, cioè la scienza
istorica
quella che dee tórre a modello, a
criterio la psicologia.
*
Tutte le opere del Vico sono una
dimostrazione continua di
quésto
concetto. Lasciando delle facoltà d* ordine
conoscitivo, basta
meditare
le diverse forme attraverso cui procede
VAutotità, per vedere
come
davvero ella sia potenzialmente ragione. Vi
è progresso, per dime
un
esempio, fra le tre forme d* autorità
monasHcOf economica e eivUe (De
Univ.
Jut. LXXIII e segg.) ; e vi ò
progresso nella storia dell* autorità
considerata
nelle diverso maniere del reggimento
politico {Ptima Se, Nuova,
p. IH
e segg. —Sec. Se. Nuova, p. 236,
342 e segg., 471,611 e segg.)
Scoprire
la conversione dell' Autotità con la
Ragione, è una delle sue
principali
esigenze, e quindi uno de' precipui
aspetti della Scienza Nuova.
r
umano progredire, infatti, sta nella
faticosa conver-
sione d'
entrambe. Perchè sé la storia è la
vita del ge-
nere umano,*
il processo di questa vita, lo
svolgimento di
quest'organismo
altro non potrà essere fuorché il
ridursi
di
quella dualità a valore d' unità. Il
processo istorico
adunque
non fa che ripetere, ma sotto forme
sempre
diverse,
il processo psicologico : talché se
la psicologia,
come
ha detto il Michelet, é quasi la
storia in miniatura,
cioè
la storia come raccolta, adunata e
quasi concen-
trata in
un sol punto; la storia alla sua
volta, secondo
l'osservazione
altrove accennata del Cattaneo, altro non
sarà
che la psicologia stessa in più vaste
proporzioni, e
sotto
aspetti molteplici e svariatissimi. Ma quel
punto,
quel
centro (ripetiamo la figura), vai tutta
la circonfe-
renza; vai
più che la circonferenza. Se la
psicologia
infatti
nasce dalla storia, chi vorrà dire
che la prima
non
possa essere altro fuorché una semplice
appendice
della
seconda? La psicologia è superiore alla
storia,
come
il presente è superiore al passato. E
le leggi
psichiche
sono anteriori a quelle del fatto
istorico, al
modo
istesso che il criterio e la norma,
in generale,
sono
anteriori alla materia interpretata e
giudicata.'
Perciò
dice che il suo libro è anche
nn». JUotoJia deW autorità {Sec. Se.
Nuova^
p. 148, 171) atta a ridurre a
leggi certe V umano arbitrio di ma
natura
incertÌ9»imo (p. 174).
* Vita
generila humani Hiètoria est, [De Univ.
Jur. XCXIX.)
* Il
Taine dice benissimo dove osserva che
la pttyeologìt «« à ehaque
départentent
de Vhintoire humaine ce que l^i
physiologie generai^ e»t h la
phyaiologie
partictdiire. de ehaque esplce ou doAèe
animale. {De Vlntelli-
gence,
t. I, Pref. p. 7.) Che oggi la
psicolog^ia debba esser condizione
essenziale
alla scienza del fatto storico, ninno
è che ne dubiti. Ma la
questióne
ò ben altra, e di ben altro
valore che non crede il Taine.
Come s'
ha da considerar la psicologia rispetto
alla storia, e perciò
r individuo rispetto
alla specie'? Ecco il punto! Predicarci
la necessità
della
psicologia nella indagine del fatto storico
è un bel nulla, se innanzi
tratto
non si stabilisca qual relazione corra
fra le due scienze. Mi spiego
subito.
Se Io svolgersi delle concezioni religiose,
delle creazioni artistiche
e
letterarie e delle scoperte scientifiche in
un dato periodo istorico e
presso
un dato popolo non sono in realtà
altro che un' applicazione, un
caso
particolare di quelle medesime leggi che
in ogn' istante regolano lo
svolgimento
psicologico di ciascun nomo ; brevemente,
se il fatto storico
H
nostro filosofo non pure colse, ma
dimostrò la re-
lazione tra
r uno e V altro ordin di fatti,
e fece quel
che
non giunsero a fare i nostri
platonici e aristotelici
del
Rinascimento; ciò che non fece tutto
il Cartesia-
nismo; ciò
che dopo di lui non seppe fare
il Critici-
smo in
ordine alla storia; ciò che non han
fatto, né
sanno
fare i Positivisti e gli Idealisti
assoluti; i quali
trascendono
il positivo perchè disconoscono la
difficile
arte
de' confini nella scienza del mondo e
della storia.
Alla
sua mente lampeggiò il vero concetto
dell' ente
umano:
il concetìo àeW individuo universale
vivente,
concreto,
reale; e sotto doppia forma venne
applicando
il suo
massimo criterio della conversione del vero
col
foHo
nel conoscere, e del certo col vero
nell' operare.
Recò
in atto quindi non una, ma due
grandi leve, la
psicologia
da una parte, e la critica de'
fatti storici dal-
l'altra;
la filosofia e la filologia; e perciò
un a priori di
natura
puramente psicologica, e un a posteriori
indagato
pazientemente
con oculata osservazione: e così gettando
le
basi del vero metodo storico razionalmente
positivo,
riesci
a comporre la scienza dello spirito.
Però Storia
e
Psicologia non sono due cose, ma una.
Esse formano
la
vera scienza dello spirito, quando sian
portate ad un
fiato,
com' egli dice con significantissima frase.
Ecco il
grande
valore della Sdensfa Nuova, per quanti
possano
essere
i suoi difetti nella forma, n^l
disegno, nelle con-
clusioni,
nelle applicazioni. Lo dichiara egli stesso
: « il
mio libro
è wrxR filosofia deW umanità. » Perchè
filosofia?
non è
che un'applicazione delle lejrgi psicologiche:
ne viene che nella
psicologìa
solamente possiamo ritrovare il criterio,
il principio, la teorica
da
applicare nella intorpretaziono del fatto
isterico. Dnnqne? Danque
(mi
par chiaro) la psicologia è anteriore,
e superiore alla storia. Or io
non so
davvero come siffatta conseguenza possa
accordarsi co'princìpii
del
Taine, specie con quello ond'ei ci
dichiara, che il fatto della co-
scienza non
è altro che vm fantamna metajinco! Il
problema storico è
problema
psicologico: lo sappiamo anche noi da
un secolo e mezzo a
questa
parte. Quel che non sappiamo è il
modo col quale il valoroso
estetico
francese potrà giugnere a risolvere cotesto
problema col suo
Positivismo.
perchè
ne inve^iga le coffionV Or le cagioni
imme-
diate e
positive del processo istorico, non s'hann'
a ra-
dicar tutte
nel processo psicologico, eh' è, dire
nella na-
tura umana
? * Volere investigar le ragioni
della storia
nonché
i principii della sociologia invocando la
dicdeUica
immanente
détta Idea come fan gli Hegeliani,
ovvero
r
opera della Provvidenza immediata come
fanno Onto-
logisti
e Teologisti ; è uscir dalla Storia,
dalla natura
umana,
dalla psicologia ; ed è rendere il
processo storico
un
processo affatto meccanico e arbitrario. Un
principio
estrinseco
e superiore che non emerga dalle
viscere
stesse
della storia, ma che alla storia si
sovrapponga e
s'imponga,
che cosa dee produrre? Da una parte,
mec-
canismo, e
arbitrio dall'altra. Ed è anche un
uscir dalla
storia,
dalla psicologia e dalla natura umana,
queir in-
vocare i
soU fatti siccome leggi empiriche
riferendole a
cagioni
tutte estrinseche, tutte mutabiU tutte
acdden-
taU,
come sono il clima, la razza,
l'educazione e cento
e
mille condizioni esteriori e secondarie di
cui ci par-
lano i
positivisti e i filosofi dett* avvenire.
Il
fondamento razionale positivo del processo
istorico
dunque
è l'organismo psicologico, ma ravvisato
come
processo.
Questa precisamente è l' esigenza più
legitti-
ma, la
condizione più salda del metodo istorico
che sca-
turisca
dalle opere, dalle dottrine, dalla mente
del Vico.
Metodo
isterico è anch'esso metodo genetico,
metodo
eduttivo.
E metodo genetico vuol dir metodo
essenzial-
mente
psicologico. Ne segue perciò che la
legge isterica
delle
tre età {Divina, Eroica, Umana), pone
sua ra-
* Ved.
Prim, Se Nuav.y p. 248.
* Le
tre/any o stati del PositÌTismo francese
non sono che un fatto,
una
legge empirica, non la ragione, non
il principio delia storia. Lo con-
fessa lo
stesso Littré; il quale perciò avendo
visto la necessità di correg-
gere e
compiere anche in questo il maestro,
alle tre fasi del Comte sosti-
toisce
le cinque forme di civiltà calcate
sopra altrettante facoltà psi-
cologiche.
(Vedi A. Comte et la Phil, Pont.)
Cosi il Littré ritoma al
Vico,
cioè al concetto psicologico, quantunque
sbagli nella scelta della
strada.
dice
non già in un fatto parHccHare quale
sarebbe il na-
scere, il
crescere ed il perire dell'individuo, come
ve-
demmo
pretendere il Vera (p. 128), ma sì
neljo stesso
organismo,
nello stesso circolo delle funzioni
psicolo-
giche. Ciò
che dunque è processo teoretico e
pratico
deUe
facoltà e quindi conversione del vero
col fatto e del
certo
col vero nell' individuo ; nella
specie, nella comu-
nanza
civile, assume forma e valore d' organismo
e di
processo
isterico. Ecco perchè nello svolgimento
della
storia
e delle diverse civiltà, lo stato, la
fase, o (secondo
il
linguaggio del Vico) V età divina
ritrova sua ragione
intima,
immediata, nel predominio ed esplicazione
deUe
due
funzioni elementari, empiriche e naturali,
che sono
il
Senso ed il Potere. La fase eroica^
per contrario, è
V
incarnazione del Volere e dell'
Immaginazione. E, final-
mente la
fase umana è V attuazione e quindi
il trionfo
e la
signoria della Ragione spiegata, la quale
neU' or-
dine della
vita civile, politica e sociale si
traduce nel
trionfo
della libertà. La storia dunque è un
organismo
come
la psicologia; e quindi le leggi
psicologiche sono
il
criterio interpretativo principale del fatto
isterico.
Questo
è il vero concetto della VoUcer
Psycólogie per
VA.
della Scienza Nuova. Dove sta il
difficile? Ap-
punto nel far
cotesti interpretazione; appunto nel-
r
applicare le leggi psicologiche alla
storia. In tale
applicazione
occorre schivare (come vedremo in So-
ciologia)
que' due gravissimi errori ne' quali
rompono
Hegeliani
e Positivisti: cioè l'universalismo nel
com-
porre la
filosofia della civiltà, e il
particolarismo e '1
determinismo
nel fissarne le leggi. Due perciò
sono le
condizioni
razionali per la scienza della storia:
V appli-
care al
fatto isterico le leggi psicologiche ;
ma applicar-
le, non
già all' umanità, come fanno i
seguaci di Hegel,
bensì
a' popoli, alle schiatte, alle tradizioni
: 2** tener
conto
delle mille cagioni estrinseche ed
irraziouaU che
in
modi infinitamente diversi e molteplici
turbano lo
svolgimento
della storia; ond' emerge la necessità,
ripe*
tiamolo,
della psicologia e della crìtica storica
nello
stabilire
i principii deUa filosofia dello spirito.
Or
cotesto metodo, oltreché nelle dottrine
metafisi-
che, anche
nelle teorie storiche e sociologiche
risulta
logicamente,
come vedremo, dallMndirizzo medio del-
l'Aristotelismo
rappresentatoci, ne' tempi moderni, dalla
Sdenta
Nuova. Nella Sdenta Nuova, e perciò
nel me-
todo
isterico e psicologico del Vico, abbiamo
la con-
danna più
severa e la confutazione di fatto
degli estremi
indirizzi
aristotelici rinnovatisi in questo secolo
per
opera
dell' Hegelianismo e del Positivismo nel
regno
degli
studi storici e sociologici.
Ma
qual è la genesi e quindi la
teleologia del pro-
cesso
psicologico? That is the question!
Capitolo
Sesto.
genesi
e teleologia psicologica.
Lo
spirito ha le sue leggi come la
natura; ed è
anch'
egli un organismo come la natura.
Perciò dap-
prima è
Sintesi iniziale, come si disse, poi
Analisi, poi
Sintesi
finale. Spencer direbbe che l' organismo
psicolo-
gico procede
dall' omogeneo indeterminato, all' etero-
geneo; e
dall'eterogeneo (avrebbe dovuto aggiungere;, fa
ritomo
all' omogeneo, ma all' omogeneo determinato
e
universale.
— Fin qui abbiamo studiato la
psicologia nel
fatto.
Movendo da una dualità empirica, cioè
dal senso
che
iniziando il processo teoretico s' eleva a
dignità d'in-
telletto, e
A^X potere che preludendo al processo
pratico
assume
valore di libera volontà, abbiamo sorpreso
l'orga-
nismo
psicologico nel momento stesso dello
sviluppo,
dell'analisi,
dell'eterogeneità, della diflFerenza e moltipli-
cità
delle sue funzioni. Or è d' uopo
rimontare all'ori-
gine
psicologica. È d' uopo ricercar la
cellula madre di
quest'organismo.
È d'uopo investigare il centro di
questo
cìroolo,
la sintesi origìiiaxia di quest'analisi che
a noi
porge
la coscienza.
La
genesi dello spirito vuol esser guardata
in tre
modi,
sotto tre forme, per tre fini diversi
: psicologi-
camente,
logicamente, ideologicamente. La Psicologia
studia
lo spirito, ma in quanto è un
multiplo di funzioni,
d*
operazioni, di facoltà. La Logica studia
lo spirito, ne
ricerca
le funzioni psicologiche, ma in quanto
producono,
generano,
partoriscono. L' Ideologia, finalmente, studia
anch'
essa lo spirito, ne indaga le
funzioni psicologiche,
ma
guardandole ne' lor prodotti generali La
Logica dun-
que siede
in mezzo all' una e all' altra
scienza. Ella studia
non
altro che relazioni : studia le
relazioni fra la causa
e
l'effetto, le attinenze tra la forza
e le sue produzioni,
e
quindi raccoglie leggi universali, attinenze
necessarie,
poiché
se lo spirito si differenzia appo
gl'individui per
attività
ed energia di potenza e per
moltiplicità di risul-
tati, non
differisce menomamente per le leggi alle
quali
dee
soggiacere ciascun individuo. La Logica è
universale,
obbiettiva;
e quindi indipendente dal soggetto, non
al-
trimenti che
la matematica. Or queste tre scienze
che
r
analisi immoderata delle scuole ha ridotto
a frantumi,
non
sono che tre aspetti d'un medesimo
subbietto: d'un
subbietto,
cioè, avvisato P come forza e
potenza: 2** come
atto e
risultato ; 3** finalmente come potenza
in quanto
diventa
atto, e però come relazione dell' un
termine
verso
l'altro. Psicologia, dunque. Logica e
Ideologia
dovranno
condurci ad una medesima conseguenza nel
problema
su la gencHi psicologica.
Nel
processo psicologico dicemmo esserci un
primo
ed un
ultimo atto. Questo primo e quest'ultimo
atto,
anziché
facoltà, come pretendon gU Spiritualisti,
anzi-
ché semplici
condizioni psicologiche riducibili alla fin
fine
alle funzioni biologiche, come ci predicano
i Posi-
tivisti,*
sono invece facoltà delle facoltà. E
son tali per-
* Per
esempio Sr. Mill {La PhU, de
Hamilton, trad. CazeUes 1869,
e.
Vili, p. 188). — H. Taink (2>«
VintelUgence, T. II. 1. 1, e. II, § VIII).
che
runa d' esse è originaria, e V altra
è complementare ;
perchè
la prima è potenza, e la seconda
è atto : perchè, in
somma,
quella è T Io in quant' è
coscienza primitiva, e
questa
è V Io in quant' è pienezza di
personalità, auto-
coscienza.
Or è mestieri ammettere che la
coscienza, in
quant' è
facoltà détte facoltà, esista dapprima come
potenza
originaria; preesista com' energia irreducibile;
preceda
come atto che sia tutto, e nulla;
e vaglia quindi
a
costituir la natura stessa di quell'ente
che nella scala
zoologica
diciamo ente umano, E innanzi tratto,
s'egli è
vero
che le fimzioni psicologiche convengon
tutte nell'es-
sere un
conato di natura essenzialmente teleologica,
è
d'uopo
che, attraverso a tutte e in fondo
a ciascuna, si
occulti
un atto rudimentale, radicale, comune,
essenzial-
mente
generatore, contenente universale e indeterminato
del
doppio processo psicologico teoretico e
pratico. D' al-
tra parte,
se il fatto ci addita una dualità
empirica,
concreta
ed elementare, cioè il senso e il
potere ; ne viene
che
queste due facoltà, sia che le si
guardino nel loro
obbietto
e natura, sia che nel fine cui
sono indirizzate,
ci
rappresentino due opposti, ci esprimon due
contrari;
e,
come tali, abbisognano d'un soggetto comune
in cui
(secondo
l'esigenza dell'Aristotelismo) elle sussistano
originariamente.
La duaUtà empirica e, per così dirla,
sensata,
ci rimena infatti $ui una dualità
superiore e
trascendente,
la quale a sua volta non può
non essere
altresì
unità, unità confusa, unidualità anteriore,
e della
quale
possiamo dire ciò che Aristotele afferma
delle
parti
avvisate in riguardo al tutto. Se la
parte poten-
zialmente e
cronologicamente precede il tutto; attual-
mente e
logicamente il tutto dee preceder la
parte.*
^Xou
xai >f uX>i TT^c ouVtac" Jtar' «vT«Xj;^tiav
5' u^7«/oov 5«a-
XxtBivroi-
y(/.p x«t* £vTi>JX«*av «(T']at. (Met.
V.) Ecco la ragiono
(sia
detto di passata) onde la Psicologia
differisce in immenso dalla
Zoopsicologia,
checché ne dicano il Darwin, V
Agassiz, il Vogt ed altret-
tali. Neir
ordino zoopsicologico la dualità empirica
del »etuo e dell' i»Hnto
esiste;
ed è unità confusa, è unidualità: ma
riman sempre tale, sempre
Questo
tutto originario, quest' unità la quale
anche
come
primigenia è numero, cioè unìdualità e
però facoltà
déHe
facóUà, è ciò che con antica ma
significativa pa-
rola il
Vico suole appellar mente, mens.^
Alla
medesima conseguenza ci conduce la logica
e
r
ideologia. Rammentiamoci della dottrina su
la cono-
scenza. Se
neir ordine del conoscere il fatto è
il dato, il
fenomeno,
ciò eh' è posto, la cieca percezione;
insomma,
ciò
che non può esser conosciuto di per
sé stesso: il
vero,
per conta'ario, è V elemento ideale,
astratto, vuoto,
formale,
a priori ; ma a priori in
quant' origina imme-
diate dal
seno stesso del pensiero. In che sta,
dunque, il
nello
stato potenziale: mentre neir ordine psicologico,
cioè umano, ella
diventa
atto, numero, e quindi il Senso e
il Potere vi assumono anche
valore
di sentimento e di coscienza. Se
dunque è così, chi vorrà credere
che
quella dualità sia puramente animale come
nella Zoopsìcologia ? Se
fosse
tale, non dovrehhe restar sempre la
medesima, come incontra nel soar-
getto
zoopsicologico? Dunque (la conseguenza parmi
chiara) quella dualità
neir
ente umano deve importare qual cos'altro
che non sia puro Senso,
né
puro Istinto.
* Quel
che latinamente egli chiama men« cmimi
è essenzialmente pen-
siero; e
pensare per lui è manifestare sé a
sé medesimo: Mens cogitando
se
extbet {De AsUiqHÌ9., Cap. VI). Or la
mente è principio unico di tutte
le
facoltà: principium unum Men»; e I*
occhio di lei é appunto la ragione:
eujw
oculua Ratio {De Univ. Proem., 4).
Dunque ciò eh' è di là e dentro
e
dietro a quest' occhio eh' é la
Ragione, é appunto la MenU; la quale
perciò
è anteriore a tutti i gradi, a
tutti i momenti del processo cono-
scitivo. Se
non che lo spirito, in quant'ò menUf
vede anch'essa; altrimenti
come
si farebbe a dirla mente? Ma allora
soltanto ella disceme, allora
soltanto
é oechiof e perciò era visione,
quando diventa ragione epiegata, e
quindi
processo teoretico. — Per intender meglio
il significato della mente,
ricordiamoci
del »ene%u intemtu, del eennu eui,
della eoecienta, cwn-eeientia,
di cui
egli parla in più luoghi delle sue
scritture. In ispecie è da riflet-
tere quando
afferma, la coscienza essere insieme
univereale e pai-ticolare ;
e il
senso intimo, individuaUt e insieme comune,
fi da riflettere dove
accenna
ad una facoltà naturale e epontanea
ond' é fornita la eomuiune
natura
degli uomini. È da riflettere, finalmente,
e specialmente, ove
parla
di certi giudizi istintivi eh' egli
chiama giudizi fatti sknza bifles-
8I0NK.
(Vedi Prim. e See. Se Nuow% passim.)
Or di sotto a questo lin-
guaggio esce
chiara una conseguenza; la necessità, cioè,
di riconoscere
come,
attraverso a tutte le diiferenti forme
psicologiche, esista un punto
centrale
onde s' irradiano e dove si riconducon
tutte le funzioni dello spi-
rito.
Quest'esigenza psicologica nel Vico parmi
evidente per ciò che s* è
detto,
e per ciò che ancora diremo.
conoscere?
Nella conversione de' due elementi. Intendere
è
legere; e legere è cdligere dementa
rei, cioè coUigere il
vario
sensato, il fatto. Questo fatto dunque
vien raccolto
e
innalzato a dignità di vero e quindi
ad unità, appunto
quando
la mente, generando sé stessa, conosca
insieme la
guisa
onéPtma cosa è fatta. Or in cotesta
genesi hawi un
intimo
vincolo per cui V eiFetto è anche
causa, e la causa
eflFetto;
ed è questa quella tal funzione
eduttiva onde
la
ragione, annodando cause con cause, e
però conver-
tendo il
vero col fatto e viceversa, rintraccia
il medio
termine,
e fa la scienza (pag. 242-3). Se
intanto il co-
noscere è
un atto di sintesi ond'il vero è
forma, predi-
cato,
categoria, ma non per anche attributo
e però
cognizione,
mentre il fatto è materia e parvenza
feno-
menale; ne
segue, esser davvero una grande scoperta
della
moderna psicologia quella fatta dal Kant
e le-
gittimata in
gran parte dal Rosmini, ma presentita
dal
nostro
filosofo; che, cioè, pensare sia
essenzialmente
giudicare.*
Che cos' è infatti il giudizio
fuorché il pre-
dicato
assumente forma evalore d'attributo? Dunque,
anziché
nel cogliere il puro vero, o nell'
apprendere il
puro
fatto^ il giudizio risiede nel concetto.
Ma che è
egli
mai il concetto salvochè la conversione
del vero
col
fatto, considerati questi com' elementi
essenziali
nella
sfera dell'intendimento? * Ora, tornando al
pro-
posito,
comecché il vero e '1 fatto,
convertendosi, gene-
rino il
concetto e quindi il giudizio, e col
giudizio fac-
*
Kant, Orit. de la Raùon Pure. Log,
Tra»cend., L. 1. — BosMiin,
Nuo,
Sagg, voi. II, Sez. V, e. I.
* L'
atto del conoscere ò m'rtò di vedere
il tutto di eitueheduna omo,
e dì
vederlo tutto ineieme^ ehi tanto
propriamente tuona intblliobri, e allora
veramente
ueiam Tintblletto. (Vedi Lett. al Sotta,
p. 12.) È agevole scor-
gere, por
tutto ciò che abbiamo detto qui e
altrove (p. 241, 275 e segg.),
quanto
nel Vico sia chiara Tesigeriza kantiana
deirunirà eintetica detTapper-
eezione,
non che quella della percezione
intellettiva Rosminiana, e meglio
ancora
(per qaèl che diremo), V altra del
Sentimento fondamentale. Ma in
grazia
del suo criterio, al solito, si può
riuscire a schivare il tubbietti-
viemo
e il formaliemo dell'uno e delPaltro
filosofo adoperando il metodo
deduttivo.
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OAP.
VI.]
6BNB8I X TBLEOLOQIA PSIGOLOOIGA. 347
cian
possibile ad un tempo la coscienza e
l'esperienza;
nuUamanco,
a somiglianza delle funzioni ond' essi
ram-
pollano,
restan sempre una dualità, ma dualità
origina-
ria;
stantechè non potendo T uno emerger
dalP altro,
né r
altro dalF uno, debbano coesistere entrambi
nella
coscienza.
Se non che, una dualità originaria
non è forse
un
assurdo? Senza dubbio, un assurdo. Dunque
è ne-
cessaria
certa unità iniziale, intima, primigenia,
appo
cui 1
vero e il fatto sussistano germinalmente
come
in
grembo ad una sintesi confusa.
Alla
medesima conclusione potrebbe giugnere chi
pigliasse
a guardar Y intero processo logico,
cioè le fun-
zioni
teoretiche tanto nel lor movimento, quanto
ne' lor
risultati.
Percezione, Giudizio e Sillogismo son tre
gradi,
tre
momenti, tre forme distinte d'una medesima
funzione
eh' è
la Mente.^ Nella percezione la Mente
si manifesta
come
unità immediata appo cui oggetto e
soggetto sian
tuttora
confasi. Nel giudizio, invece, predomina
l'analisi,
la
differenza; perchè i termini standovi fra
loro di fronte
l'un r
altro e quasi irresoluti, avviene che
la mente deb-
basi
palesare come dualità. Ma poiché il
giudizio im-
porta necessariamente
un ritorno sopra sé stesso, e
questo
ritomo appunto costituisce il sillogismo ;
accade
che in
questo ritomo, nel sillogismo, la mente
si palesi
come
unità e dualità in atto, come
triplicità attuale,
come
mente spiegai'a. Or se T organismo
logico e l'ideo-
logico son
anch'essi un processo non altrimenti che
l'organismo
psicologico; se il risultato finale di
cotesto
processo,
la funzione terminativa di cotest' organismo
è
•
€ Tre» mentit operationes: Pkroiptio,
JUDIOIDM, Batiooinatio. Tri-
bua
artilM diriguntvr: Topica, Critioa, Mbthooo.
{De AntiquUe.<, e. VII,
§ IV.)
La pereeptio qui non debb* essere
tolta, a dir proprio, secondo il
valore
che a questa parola danno gli
Scozzesi. (Vedi Jouffbot, (Euvr,
compi,
de T. Eeid, Tol. I, Préface,
p. CCXVIII),
nottampoco poi nel senso
Tolgare
ed empirico, altrimenti contraddirebbe airintera
dottrina psicolo-
gica del
nostro filosofo. II percbò se il
fatto della percezione pel Vico ò
primitiro
nel rispetto cronologico, non è tale
sotto il rispetto logico. Ella
importa
necessariamente un fatto anteriore; il
fatto originario della Mente,
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348
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lTB. U,
mente
spiegata e quindi ritorno del giudizio
e però sil-
logismo; ne
segue che il principio originario, rispon-
dente al
risultato finale, ha da esser la
mente, ma la
inente
non {spiegata, bensì la mente potenziale,
rudi-
mentale,
incoata. In altre parole, debb' essere un
giu-
dizio; ma
un giudistio fatto senea riflessione.
Laonde la
percezione,
comecché paia la più semplice ed
elemen-
tare fra
tutte le facoltà, non pertanto è anch'
ella di
natura
complessa. È tale, cioè, che importa
inevitabil-
mente un
giudizio primitivo, giust' appunto perchè
tro-
vasi anch'
ella, non già fuòri, anzi dentro al
circolo psi-
cologico.
Cosi dunque, giova ripeterlo, le tre
discipline
che
studian k) spirito sotto i tre
possibili aspetti, cioè,
!•
come facoltà, forza, causalità; 2« come
prodotto, ef-
fetto,
risultato; 3« come relazione, e perciò
come sub-
bietto
di leggi necessarie, formali, universali :
tutt' e
tre
queste discipline, diciamo, convergono ad
una me-
desima
conclusione; la necessità, cioè, d'ammettere
un
centro
comune, originario, indipendente e superiore
alla
biologia,
nel quale risalga non pur l'origine
delle fa-
coltà
psicologiche, ma la primordiale sorgiva
altrem
delle
produzioni del pensiero in generale.
Ciò
posto, qual' è la natura della mente?
Qual' è la
costituzione
intima di quella cellula madre (ripetiamo
il
paragone)
entro cui sta il gran segreto del
problema psi-
cologico, e
perciò di tutte quante le morali
discipline ? '
Se la
mente è giudizio fatto senea riflessione,
la sua
natura debb'
esser quella d'intuizione, d'appercezione,
di
visione immediata, di conoscenza diretta e
spontanea,
la
quale, determinandosi nella riflessione,
s'incarni e
s'attui
come processo psicologico, logico, ideologico.
Dunque
è il giudizio fatto senea riflessione
quello che poi
*
Neanche ai Positivisti può sfuggire la
grande importanza del pro-
blema in
discorso. Con Fusata penetrazione St. Mill afferma:
« Quando
noi
tappiamo ciò che un filosofo considera
come rivelato neUa Goecienza^
noi
già abbiami) la chiave della sua
metafinca. » — {La PhUosophie de
Hamilton,
trad. Cazellen, 1869, p. 127.)
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GAP.
VI.]
0BNB8I E TBLBOLOGIA MICOLOGICA. 349
diventa
scienza: è la Mente queUa che diventa
Magione
spiegata:
è il i^oùc potenziale che diventa
NoJc attuale
e
riflesso. Ecco il valore, il significato
che noi porgiamo
alla
dottrina aristotelica del doppio intelletto.
Al qual
proposito
ci sia permessa un' osservazione storica.
Ci
guarderemo bene dall' entrare nelle
interminabili
dispute
su r intelletto, e voler ponderare le
svariate sen-
tenze degli
Aristotelici che per si lunghi secoli
hann' af-
faticato la
mente d' infinito numero di critici, di
storici
e
d'interpreti. La dottrina più duttile, più
ambigua, fra
tutte
quelle dello Stagirita, dicemmo esser la
dottrina
psicologica.
Non v' è stato interprete il quale
non l' abbia
tirata
a sé mettendo fuori, com' è noto,
buon gruzzolo
di
testi a proprio favore. GÌ'
iperpsicologisti, per esem-
pio,
attaccandosi alla celebre frase della mente
ventUa
di
fuora, la traggono al Neoplatonismo, all'
Alessandri-
nismo,
all'Averroismo.* Gli empirici, al contrario,
a
cagione
della famosa tavola rasa, lo tirano
al materia-
lismo, e
al sensismo più o men grossolano.*
Contesti
dunque
si concluderà ben poco. Anche noi,
per esempio,
saremmo
pronti a metterne fuori parecchi, e
volgerli
ai
nostri sensi. Ma la quistione qui non
è d'esegesi.
' Il
pensiero d' Aristotele, a tal proposito, è
por troppo chiaro : Nel-
Vuotno
V irUeUigenaa, il f^où^, viene ad
aggiugnern al $en%o come dal di/uora
ed è
divino: ).g«7rtTat $i tÓv voùv /iao'vov
5v^a5«v inttvtévw xa«
^stov
eivae /xovov. (De Oener. An., II, 8.) Nondimeno
può essere in-
terpretato
benignamente. £ benignamente possiamo interpretare,
per es., la
sua
mente in potenza che contiene tutte
le specie (xaì Swafiei tocovtov.
De
Anim., Ili, 4). Benignamente altresì la
dottrina del suo Senso generale :
Ev
éxdvrrì '^oip tov ovtoc xoLTviyopia. ivri
rò avoéXo^ov, »j
SJJQv
èv fjirìy,ei^ outcj^ ev o^aTSC rò
ófia.'kòv^ t(T^i fiv dptBfità
to'
ae/oiTTo'v, sv $s XP°? "^^ Xevxóv. (ifttopA.,
XIV.) Quanto al Not?^
venuto
di fuora veggasi V interpretazione cui
accenneremo più in giù.
*
Anche qui è chiara la celebre
sentenza aristotelica nel De An. Ili,
4.
Ma
anche qui si può e si deve
interpretarlo benignamente ; perchè se la
tavola
rcua d* Aristotele fosse né più né
meno che la etatua condillachiana,
con
quella sentenza lo Stagirita avrebbe
apertamente contraddetto ad altre
aifermazioni
che ci dicon tutt* altro. (Gfr.
De An. 111,4, b. — Anal. poeL^
I.
2,8. — JIfótapA. I, VII, 4.) Vedi
pure le sentenze raccolte dal Rosmini
in
proposito. {Nmo, Sagg,^ lib. I e II.
— Ariet. c«p. ed eeam^ lib. I.)
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350
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
bensì
di correzione. Bisogna correggere
nell'Aristoteli-
smo i
due estremi e contrari indirizzi mercè l'
indirizzo
che
appellammo medio, 11 primo difetto degli
Aristo-
telici,
quant'alla ricerca psicologica, non istà
nell'avere
spartito
r intelligenza in due ; ma sì
nel tion aver ap-
plicato
anche in ciò la dottrina della forma
e deUa ma-
teria. Il
Noùf passivo, nell'organismo psicologico, ha
ragion
di materia^ essendo di sua natura
indeterminato
e
confuso. Il Nov; attivo, invece, ha
natura di forma^
essendo
un atto, o meglio, una potenza che s'
attua.
Non è
egli dunque un medesimo soggetto, comecché
sia
guardato
in due momenti diversi?* Altro difetto
è quel
porre
il voù; potenziale come comunicante col
senso, e
renderne
affatto indipendente il vovc riflesso. Ora,
piii
che
all'uno o all' altro intelletto, il
senso a noi sembra
necessario
al passaggio dal primo al secondo:
talché,
implicato
nel processo psicologico non in quanto
oggetto
né in
quanto soggetto ma qual semplice mezzo,
é lecito
considerarlo
com' estraneo al Noù? potenziale, e
quasi a
lui
sopravvenuto.*
* A
questo medesimo difetto tiene qnell* altro
d* attribuire qualità
essenziali
diverse ai due intelletti (\pv;^ììc 7SV0;
ff t5/oov, De An. II, 8),
e
talora anche origine diversa (//*., 1.
Ili, 5).
* Si
vede perciò come per noi cotesto Nou?
possibile faccia ogni cota
in
quant* ò condizione universale, principio
immediato e fondamento del-
J*
intero organismo psicologico, logico e
ideologico : mentre il NotJc attuale
*t fa
ogni eotay in quanto che, producendo
idee e concotti, fa e produce
so
stesso, fa e riproduce la natnra, e,
mediante la scienza, fa e riproduce
perfino
TAssoluto rendendo così a Dio la
parigliay per dirla con una delle
potenti
frasi del Gioberti. Però V intelletto
potenziale ò pattivo; passivo nel
senso
che non è facoltà, nel senso che
non si fa, ma che è fatto,
fatto dalla
natura,
corno diremo fra poco. L* intelletto
agente, per contrario, è attivo
perchè
si fa; perchè, a dir proprio, è
facoltà. E poiché non può farsi e
deter-
minarsi ed
attuarsi tranne che specificandosi, perciò
il Nove attivo non può
non
esser necessariamente numero, multiplicità,
varietà di facoltà, e quindi
essenzialmenteprocesso.—
Macome il NotJ; potennale diventerà attuale
f
Non è
necessaria la luce difuora che lo
determini? — Non è necessaria. Al
ripiegarsi
della Mente, al geminarsi del Noù?
potenziale, bastano due con-
dizioni; una
intima allo spirito, e però efficiente;
Taltra t^teriore e materiale.
È
necessario, cioè, 1° un conato novello
dello stesso spirito ; il che è
possibile
essendo
egli per propria essenza un'attività
incessante, intrinseca, sponta-
nea :
2<* un snssidio, il sussidio del
senso, della percezione empirica, del-
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GAP.
TI.] GBNBSI
E TBLVOLOOIA P8I00L00I0A. 351
Pertanto
il Noù; potenziale presenta due caratteri
fra
loro
opposti e contrari. È indeterminato
rispetto al Noù;
attuale;
ma è altresì determinato, in quanto
che possiede
un
oggetto. Qual'è quest'oggetto? Quello che
il Vico
appella
luce meta/isica, vero metafisico: sonanti
frasi che
non
dovrebbero far paura a' nostri lettori,
perchè quan-
tunque
cotesta luce metafisica di cui parliamo
sia l'og-
getto
primitivo del j^ensiero, non ci ha
che vedere con
gli a
priori del Neoplatonismo. Ella serba la
mede-
sima natura
del pensièro, perchè è lo stesso
pensiero,
ma
colto nella sua indeterminatezza. Perciò è
forma
formarum,
somigliante alla luce fisica di cui possiamo
aver
notizia solo mediante un mezzo opaco
e formato
che
valga a rifletterlo.*
r
esperienza. Il ìiovi attuale quindi non
fa che travagliarsi perpetuamente
attorno
air una e ali* altra condizione, e produrre
la scienza. Si travaglia
intomo
alla prima, perchè la mente, affermazione
per eccellenza, è il germe
vivent-e
della scienza e del principio di
contraddizione eh' è fondamento
d'ogni
dimostrazione e d'ogni assioma (fvVsi yàp
àpx^ *^^ ^wv
aXXov
cc^cu/xaruv auT>? aavT6)v, Met. 1. III).
E s'aggira poi attorno
alla
seconda, cioè al senso e all'
esperienza, perchè dee verificar la prima,
cioè
dove inverare il principio, o, eh' è
il medesimo, dee convertire il vero
col
fatto^ il voù; potenziale con l'esperienza.
Perciò il voù; attuale è la
conversione
per antonomasia, massime quando assuma
valore di Ragione,
Perciò
stesso la scienza, diciamolo anche una
volta, non può essere un
magistero
deduttivo, nettampoco un artifizio meramente
induttivo.
* e
Metaphtfatei enim claritat eadem eat numero
ae illa lueÌ9 quam non
nin
per opaca cogno»eimu». Si enim in
clathratam fenestram qua lucem in
aedee
tuimittitf intente ac diu intueari» ;
deinde in eorpue omnino opacum
aciem
oculorum eonpertae; non lucem «ed lucida
ckuhra tibi videre videaria.
Ad hoc
imitar metaphtfeieum verum illustre c«(,
nullo fink ooNOL0Drr(TR,
NTTLLA
FORMA disorrnitur; quia est infìnitìim
omnium formorum principium :
phy9Ìea
mtnt opaca, nempe formata et finita
in quibu» metaphyeid veri lu-
men
videmue. {De Antiquie, c. Ili, § 8.) Come si
vede, anche in ciò il Vico
non fa
che inverare l' Aristotelismo. Che in
Aristotele infatti ci sia il con-
cetto del
Noùc potenziale come noi l' intendiamo, e
però anziché passivo,
come
parrebbe, sia fornito anch' egli d'
attività stantechò possieda un
oggetto
somigliante alla luce che fa essere
in atto i colori, si può vedere
dalla
seguente sentenza: xa< c;iv 6 fiìv
toioùto^ voùc, tm Travra
yiyvtiBony
6 aev, tm TravToe Ttocsèv, w; i^ic
tcc, oiov to ftc^'
TjOoVov
yàp Tcv« xai tÒ ^oSc noist ra
^uvaucc ovra j^^ow/xara
syspystoe,
;^pw^aTa. {De An. III. e. V.) Ma il
carattere di tale obbietto
anche
per Aristotele è sempre quello d'essere indeterminato:
cv^ov ìttcv
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352
DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [UB. n.
Or
donde viene e dave va cotesta luce?
Come sus-
siste nel
pensiero?
Bispondiamo
rapidamente e senza molto imboscarci
in
arzigogoli ideologici e scolastici. Per noi
la mente è
intùito;
e l'intùito, è, per così dirlo,
l'ultimo atto, o la po-
tenza finale
di natura, del senso, della vita.
Adunandosi
e
quasi raccogliendosi nell' organismo le naturali
effi-
cienze
generano l'individuo. È dunque necessario
che
l'atto
finale di cotesta genesi, il momento
estremo di
siffatto
processo onde rampolla l' individuo come
tale, sia
luce
metafisica, intuito : un atto, cioè,
la cui potenza sia
la
stessa natura, ma la natura unificata,
la natura fiotta
una.
Ecco perchè pensiero e natura, giusta
la bella sen-
tenza del
vecchio filosofo, son come l' analisi e
la sin-
tesi
procedenti in senso contrario; * onde
il fine dell'una
non
può non esser principio dell' altra.'
Ma se la na-
tura è
forza, cioè soggetto essenzialmente dinamico,
non
è
mestieri che anch'olla sia intelligibile? '
— Se non che
iytpytice.
twv ovtuv npiv voeoSv {Metaph., VI,
7.) Ed è indeterminato
non
essendo altro che \& tpecìe in poteruta
{^SvvifAtt ra ttiri)^ a luogo
della
tpeeie (tÓttov c(^(Cv) Ibi»
*
Aribt. MeUpb. VU, IX.
•
Oa^vsrai to' ia/^axov «v r^p oèvaXuo'cc
tsptirov ecvat tv
TTf?
'VffvcVci. Eth. Nie. III.
'
Prendiamo la parola irUdUgibiU nel
significato aristotelico, cioè
come
essere dello cose, come essere determinato
(tò t< iv ccvac)i ma
spoglio
di materia tuttoché non isfornito di
potenza, secondo la nota
distinzione
deirAquinate. Non è quindi intelligibile in
qaant*è puramente
ideale,
possibile e insussistente, secondo che ama
interpretarlo il Bosmini;
mainquanVèideale
e reale insieme, sussistenza; anzi la
sussistenza del
reale
per eccellenza, e però propriamente
intelligibile: ^iy^ Si ouViav
aveu
uXy}c, to ti ivt (voci. (IfetopA.,
VI, 7). Perciò la dottrina compiuta
dell'intuito
parmi debba farsi consistere neir accordare
due cose ; !<> la mente
in
potenua d'Aristotele, 2** V ettere ideale
del Bosmini; ma levando 1 difetti
che
certo non mancano nelle loro dottrine.
Difetto d'Aristotele, come avver-
timmo, ò
la mente che vien difuora. Difetto
del Bosmini, poi, è V immobilità
originarla
e la presenza non legittimata del suo
Ente poetibile dinanzi alla
mente.
Anche per noi la mente vien di
fuori ; ma questo di fuori è la
natura
in
generale. È un di fuori nel senso
eh' ella serba intimi vincoli con la
natura
e col sensibile, e sorge per virtù
propria, ma col mezzo del sen-
sibile. Tal
si è l'interpretazione che potremmo dare
a questa celebre frase
aristotelica,
nò ci mancherebbero testi in proposito
per confermarla; tanto
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OAP.
TI.] OENJESI
K TELEOLOGIA PSIOOLOOIOA. 953
la
natura non può essere intelligibile in quant'
ò sem-
plice
realtà, ma in quant' è potenza attuosa,
conato,
processo,
divenire. Or in che maniera potrebb' esser
tutte
queste cose ove non includesse una
legge, un ritmo,
una
misura, una forma di moto, un moto
ordinato? Che
s'ella
è per sé stessa intelligibile in
quanto che espli-
candosi
mostra sé medesima e si fa intendere
; eviden-
temente non
potrebbe fai-si intendere ove non impor-
tasse tre
condizioni, ciò è dire un principio,
un mezzo,
ed un
fine. Se dunque la natura è potenza
attuosa e
quindi
per sé stessa intelligibile, ha da
essere altresì
))otenzialmente
intelligente. E sarà intelligente attuale
ove
quelle tre condizioni siano insieme
compenetrate
in
unità: quando, cioè, il principio sia
soggetto, il fine
oggetto,
il mezzo relazione.
Che
cos'è dunque lo spirito nell'atto suo
radicale,
nel
suo momento originario?
È
soggetto, oggetto e relazione: pensante,
pensato
e
pensiero. Però l' intima sua struttura è
insieme dua-
lità e
unità, difi'erenza e medesimezza, e quindi,
come
si
disse, triplicità; ma triplicità sotto
forma di sintesi
iniziale
e confusa. Ne segue perciò che l'
intuito, la
mente,
il NoJ; potenziale altro non possa
essere, per
noi,
fuorché il momento istesso in che la
natura di-
venta
pensiero; il momento per cui l'anima
attinge
forma
e sostanza d'intelletto. Ora il primo
pensiero
non
potrebb' esser triplicità, non potrebb'
esser sintesi
primitiva,
quando non fosse V intelligibile divenuto
al-
tresì
intelligente. Dunque la Mente è la
natura in-
carnatasi
come individuo; l'intuito è l'individuo
che,
trascendendo
sé medesimo, assume valore di coscienza.
più
che interpretazione somigliante ne dettero
alcuni aristotelici del Rina-
scimento,
fra cai meritano d* esser menzionati
il Porzio e lo Zabarella
come
quelli che considoramno la luce
intelligibile quasi di8»eminata tuHle
/arme
materiali^ e Dio come influente sa V
irUdletto potnbihf non in
quanto
intéUigente, ma solo in quanto
intelligibile. (Vedi Kosmini, Peieol,,
voi. I
— Ddle Sentenze de' FU ec, XX.
— Rinnooam. h. II, LUI.)
SlCILURI.
9.3
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354
BELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
Possiamo
dire perciò che cotesto Noù? potenziale
ci
renda
immagine della testa di Giano. Con
una delle sue
facce
ccrtesto Giano guarda al processo della
sostanza;
guarda
alla natura in quanto piglia valore
d'individuo:
dovechè
con l'altra inaugura, geminandosi, il
processo
psicologico,
del quale son due forme essenziali il
processo
sociologico,
e il processo storico. Se non che,
lasciando
per
ora del processo della storia e della
sociologia, im-
porta notare
come dalla costituzione primitiva del pen-
siero,
secondochè noi l'abbiamo designata, emergano,
fra le
altre, alcune conseguenze risguardanti l'essere
individuale,
l'origine e'I fine dell'anima. lUfacciamoci
dalla
prima.
La
triplicità originaria, o, eh' è il
medesimo, il se-
creto
vincolo fra oggetto e soggetto, costituisce
la ra-
dice prima
della individualità, e però il fondamento
cardinale
della libera determinazione. Se infatti il
N^uc
potenziale
è due cose e non una, cioè
mente e luce, ne
segue
che in quant'è niente è soggetto; e
come soggetto
non
può-non esser reale, moltiplioe, diverso,
individuale:
in
quant'è luce, poi, è oggetto; e come
oggetto deve ser-
bar
carattere indeterminato, comune, universale. Ora
il
concetto
di persona risale appunto al connubio
di que-
sti due
elementi primitivi. E invero, come mai l'
in-
dividuo potrebb'
esser in-dividuo se non fosse ogget-
to, fornito
perciò della nota d'universalità? E come,
d'altra
parte, potrebb' esser davvero universale ove
non
fosse nello stesso tempo un soggetto
concreto, vi-
vente,
particolare? Il particolare è il fatto;
e al pari
del
fatto e' sarà vero, quando assuma
valore universale,
non
ismettendo d'esser particolare. Similmente l'uni-
versale è
il vero; e al pari del vero
sarà un fatto,
quando
rivesta, anche come universale, natura di
par-
ticolare. La
conversione del particolare e del generale
non
può farsi che nell'origine stessa del
pensiero. Or
se
tutto ciò è indubitato, come potranno
salvarsi dal-
l'errore più
esiziale all'umano consorzio, eh' è l'annui-
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GAP.
TI.] GBNS8I
E TELEOLOOIA PSIOOLOGIOA. 355
lamento
del vero concetto di persona, tutte
quelle di-
verse
famiglie di filosofi che altrove riducemmo
ai due
indirizzi
estremi del? Aristotelismo? Gli aristotelici
em-
pirici e
naturalisti e positivisti, infatti, distruggon
la per-
sonalità
perchè negano il Nou; potenziale come
diverso
dal
senso; perchè lo riducono al senso.
Ma la distrug-
gono altred
gP iperpsicologisti antichi e moderni, cioè
gli
Averroisti e gli Hegeliani: i primi
perchè separando
i due
elementi credono il soggetto abbia a
partecipare
deir
oggetto posto fuori e sopra dell'individuo
; i secondi
perchè
fanno assorbir l'individuo entro a
quell'oceano
immobile
e sconfinato, ch'essi addimandano Spirito
Uni-
versale. La
quale affinità di risultati non avrebbe
a
recar
meraviglia, chiunque sappia come la
dottrina del-
l'in^eZZ^^
agente, e l'altra non meno speciosa
dello
Spirito
Vniversàlej rappresentino, sotto forme diverse
di
speculazione, T Ipeppsicologismo aristotelico.
Da
questa prima conseguenza poi nasce una
seconda di
massimo
rilievo. Posto il Noù; potenziale non
già come
passivo,
anzi come fornito originariamente d'attività
spontanea
in quanto che nella sua nativa
indetermina-
tezza è
pur determinato da un oggetto; si
riesce a schivare
così
quell'errore supremo a cui rompono, per
vie diverse,
i
suddetti filosofi seguaci de' due opposti
indirizzi aristo-
telici, e
che riflette i destini dell'anima e
dell'umana per-
sonalità. Se
infatti nella mente, nel NoJc potenziale
ri-
siede la
ragione della individualità e quindi la
radice
prima
della personalità, ne segue che lo
spirito, essendo
coscienza
originaria e quindi soggetto superiore
all'orga-
nismo, non
può, tuttoché sgorgato dall'organismo, finire
così
come finisce la funzione organica. Se
l'organismo,
come
dicemmo, è numero che diventa unità,
o meglio,
unione
d'indole dinamica (p. 316), è chiaro
com'ei non
possa
altrimenti finire, salvo che disgregandosi
e trasfor-
mandosi. Il
suo fine è semplice ritomo; è ritomo
pro-
priamente
detto : il suo progresso è regresso
nel signifi-
cato di
monotono rifacimento. Per contrario lo
spìrito
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366
' DKLLA DOTTRINA FILOSOFICA.
[lIB. II.
è
unità e numero sin dal momento ìstesso
eh' egli è
pensiero.
Dunque non può altrimenti finire fuorché
attuandosi
vie piii e compiendosi come individuo,
come
coscienza,
anziché annullandosi come tale per vivere
in
grembo
all' universale d' una vita che non é
vita. Il suo
finire
non significa ritornare, ma persistere. 11
suo pro-
gredire non
è regredire, ma incessante determinarsi.
Non
è
insomma un monotono rifarsi, un ripetersi
come la
specie:
é uà perpetuo farsi: un perpetuo
rinnovellarsi
dell'
individuo in sé, e per sé medesimo.
Che sia così,
ce ne
fa capaci T essenza stessa del
finito, delle forze,
della
natura. Perché, davvero, se la natura
é conato
essenziale,
non verrebbe evidentemente a contraddire a
sé
medesima ov' ella non superasse il
senso e, trascen-
dendo il
fantasma, non se ne distaccasse
rendendosene
indipendente?^
* A
questa maniera di prora intende accennare
Platone dove afferma
che r
immortalità non è nò un eato di
cui saremmo felici ore ci toccasse,
nò una
aperanM della quale è pur bollo
lusio^^are noi medesimi: x3c).oV
7a/9
o' xtv'Tuvoc, X3tì jr^vj rà roiavra
tò^mp ffTroé^scv eaurù.
{Fed.^
ed. Stallbanm, p. 42.) Che se altri
ci chiedesse notizia su la pecnliàr
forma
della nostra esistenza sovramondana e sul
modo con che il NoJ;
attuale
sarà unito con T Assoluto, noi
risponderemmo francamente di
non ne
saper nulla. WpoaithOfW razionalmente poA/etVo,
in siffatta quistione
in che
consiste? Consiste in ciò; che il
Noù; attuale, in quanto pienezza
di
coscienza e di personalità, finisco di
necessità neir Assoluto, cioò
finisce
col non finire; e quindi il soggetto
j>of<>«»ùifmeiUe tn/ìntro, qual si
è
appunto lo spirito, non può finire
come finiscon gli altri soggetti finiti,
i
quali
finiscono appunto perchò non sono propriamente
aoggeui. Orda cotesto
pentivo
si dipartono tanto coloro che nella
soluzione di siffatto problema ci
vogliono
dar troppo, quanto quegli altri che
finiscono col non darci nulla
addirittura.
Escon dal positivo razionale o fecondo,
per cadere nel dom-
matico
tradizionale, i Teologistt col loro
inferno, paradiso, purgatorio,
eternità
delle pene, e che so io. Escon
parimenti da questo positivo, per
cadere
neira priorinno dommatico e sistematico .e
nel Nullismo, gli
Hegeliani
con la teoria dell* individuo accidentef
fenomenico e pataeggiero,
£d
escono finalmente dal positivo gli stessi
Positivisti per cadere nel ne-
gativo, sia
che dicano col Littré esser davvero
impossibile indovinar nulla
intomo
a siffatto problema, sia che affehnìno
col Feuerback di saperne
ogni
cosa quando sia risoluto co* principii
dello schietto materialismo.
31a
sopra questo tema ci rifaremo altrove.
Qui ci basti d'aver accennato
ad una
maniera non troppo usata di provare
la immanenza necessaria
della
personalità come coscienza individuale.
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CAP.
VI.] GENESI
E TELEOLOGIA PSICOLOGICA. 357
Questo
quant'al destino dell'anima umana. Che cosa
potrà
dir la filosofia positiva nuant' all' origine
sua?
Tutto
nell'ordine psicologico move dal senso; ma
nulla
non può nascere per ragion del senso.
Se lo spi-
rito è
essenzialmente pensare e giudicare, e
quindi,
come s'
è detto, luce metafisica, intuito, mente
e però
triplicità;
ne conseguita ch'ei nasce a sé
stesso, ch'ei
genera
sé stesso come pensiero. Ecco il vero
significato
dell'
innatismo, dell' idee innate, dell' innate
facoltà.
Questa
conclusione, circa l' origine psicologica,
contrad-
dice, al
solito, tanto al Materialismo che non
sa ele-
varsi più
oltre delle pure leggi meccaniche, quanto
a
quell'astratto
e nebuloso Spiritualismo che, incapace di
scendere
nel regno de' fatti, non sa penetrare
nell' espe-
rienza, ed
alimentarsene. Però la filosofia positiva,
nel
problema
su l' origine del soggetto psicologico, non
vuole,
non
può accettare il principio della
trasformazione
della
materia come pretendon gli aristotelici
empirici
rappresentati
oggidì dagli Hegeliani di parte sinistra
; e
non
può del pari accettare il principio
(pur ridotto a
forma
squisitamente razionale e metafisica) d'una
crea-
zione
estrinseca, immediata, superiore, secondoché sti-
mano, il
tomista, il teologist^, l' averroista, il
neoplato-
nico, r
ontologista. Dottrine ipotetiche entrambe, elle
non
sanno reggere al martello della critica.
La prima
riesce
insufficiente a spiegare il fatto del
penciero: la
seconda
torna inutile a legittimarne la natura.
Tra il
senso e V intelligenza ci ha intimo
nesso ; ma
ci ha
da essere pure indipendenza e diversità.
Anche
qui si
verifica ciò che ha luogo attraverso
a tutti i dif-
ferenti
gradi della scala de' sommi generi cui
si riducon
le
forze di natura: si verifica, vo'dire,
quella doppia
legge
che altrove appellammo della continuità
ideale^ o
degl'
intervalli reali, Havvi continuità perchè,
posto il
senso,
posta la natura, è possibile, anzi è
necessario
l'intelletto:
si che può dirsi che dall'uno
scaturisca
l'altro.
Ma ci è pure intervalli, perocché se
l'intelletto
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358
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [UB. n.
germina
dal senso, o meglio nel senso, non
per questo
potrà
esser lecito confonderlo col senso. Ci
spieghe-
remo
brevemente.
Dicemmo
come l'esigenza massima, il principio che
qualifica
V Aristotelismo sia quello che si
riferisce alla
relazione
tra la potenza e Tatto. Gli
Aristotelici empirici
(per
esempio gli Hegeliani di parte sinistra),
ci dicon
che la
potenza diventa atto; e, applicando
siffatto pnn-
cipio
alla psicologia col fine di determinare l'
attinenza
fra
l'anima e '1 corpo, affermano che
l'anima debba
rampollare
dal corpo in forza della leggQ del
diventare.
Che
cos' è per essi il diventare? È
il to 7$ vo? tolto in
significato
al tutto empìrico e sperimentale; il
quale
perciò
vuol dire trasformazione, generazione,
ripetizione
e
quindi passaggio incessante (attraverso infinito
nu-
mero di
forme) d'un soggetto identico, d'un
fondamento
universale
ma concreto e sensato, qual è appunto
la
Materia.^
Gli
Aristotelici iperpsicologisti poi (fra' quali
sono
d'annoverarsi
gli Hegeliani di destra), ci dicono
an-
' È
questa la teorica propugnata, come altrove
toccammo, da* moderni
Materialisti
tedeschi. Essa, com' è noto, è
rappresentata dal Feuerbach, è
divulgata
e sostenuta con incredìbile superficialità
dal Di' BUchner (Foror
ei
Matth-e, trad. Gamper, Leipzig 1868. Science
et Nature etc trad. De-
landre,
Paris, 1866), ed è applicata dal
Moleschott alle scienze fisiologiche.
Ho
appellato Arùtoteliei empirici questi moderni
materialisti usciti dal
fianco
sinistro doirHegelianismo, perchè davvero
considerati st>orlcamente
e* non
fanno che svolgere V indirizzo naturale
deirAristotelismo. Bel qual
fatto
hanno coscienza essi medesimi, segnatamente
il Moleschott, il più
ingegnoso
fra tutti, quando afferma che Vunion
de laphilosophie et de la
acience
ne e^eH rialieée qu'une foie don»
ArÌ9tote, {La Oirculation de la
Vie,
Paris 1866, t.I,p. 10.) Ora s'intende
agevolmente comò pel Moleschott
questo
connubio della Filosofia con la Scienza
nella mente dello Staglrita
si
compiesse tutto a scapito della metafisica.
Aristotele, egli dice, è co-
noscitore
delle .opere d* arte, degli uomini e
degli animali [Ibi). Eviden-
temente il
dotto fisiologo riconosce in Aristotele
l'autore d'una Bettorica,
d' una
Storia degli animali, e degli otto
libri su la Politica. Ma perchè
dimenticar
r autore della Ptieologia, della
iSi'HoywKca, dell' £Wea e segna-
tamente
della Metafisica t Non è vero dunque
che T Aristotelismo de' Po-
sitivisti,
do' Materialisti e degli Hegeliani di
sinistra è addirittura falso,
erroneo,
mutilato storicamente o teoreticamente V
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OAP.
TI.] OEMESI
B TELEOLOGIA. PSIGOLOGIOA. 359
ch'essi
che ìsl potenza diventa atto; ma il
loro diventai^e,
anziché
grossolana ed empirica trasformazione, è,
per
cosi
dire, un' addizione ideale, cioè posizione
e contrappo-
sizione,
determinazione, individuazione progressiva, ma
d' un
soggetto unico, universale, intimo, trascendente,
assoluto,
eh' è appunto l' Idea.^ Ora il soggetto
del di-
ventare,
tanto per l'empirismo quanto per
l'iperpsico-'
logismo
aristotelico, cioè tanto per la sinistra
quanto
per la
destra hegeliana, è sempre uno, sempre
iden-
tico a
sé stesso, chiamisi Idea, chiamisi Materia.
Ecco
dunque
la ragione per cui ne' risultati,
massime nella
soluzione
del problema psicologico, le due scuole s'
ac-
cordano a
meraviglia. Di fatto, l'anima' per gli
uni
na^e
dalla materia, è materia, e finisce
nella materia:
per
gli altri nasce in virtù dell' idea,
è l' idea, e finisce
nell'Idea.
Qual è dunque il fine supremo
dell'anima? Non
altro
che un ritomo, un estinguersi nell'
Idea, o nella
Materia:
ecco tutto. L'intima parentela tra il
Positivi-
smo e
r Hegelianismo non potrebb' esser più
evidente I
Seguaci
dell' indirizzo medio dell' Aristotelismo,
a noi
pare
che l' interpretazione legittima della sentenza
ari-
stotelica in
discorso non sia questa, che cioè la potenza
diventi
atto; ma quest' altra, che la potenza
passi ad
essere
atto. Se non fosse così, tutto
affogherebbe sotto
il
pesante domma dell'identità assoluta, né vi
sarebbe
differenza
di contenuto fra le cose in generale,
e nem-
manco
fra il senso e l'intelletto in
particolare. Or se
questo
fosse, anziché progresso avremmo processo;
e
' La
materia e la forma, la pot&Ma e
V atto, la forma e il contenuto,
non
ooetitHÌacono altro che due momenti
deWIdea, (Hbgsl, Log., Tol. I,
§ XUI
e segg. Vedi anche neir Introd. del
Vera, Cap. XII, XIII.) L* Idea
perciò
s* occulta eeaenxialmenu in entrambo i
momenti ; con questo sem-
plice
divario, che nell* atto essa è piìi
determinata, più individuata, più
enudeata
(direbbe con parola significantissima Vittorio.
Imbriaui) di quel
che
non sia nella materia e nella
potenza. Dunque, io concludo, la difTe-
renia
non istà nel quali, ma nel qoaktvm
; e perciò diventare non altro
Tale,
a dir proprio, che traeformanL Ecco
il punto di coincidenza de* due
estremi
indirizzi aristotelici; ed è pur quello
nel quale per logica necessità
debbono
consentire (checché se ne dica) la
destra e la sinistra Hegeliana.
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360
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lTB. II.
quindi
monotonia, eterno e indefinito cangiamento
di
forme.
Tutto quindi si ridurrebbe ad un meccanismo
materiale,
ovvero ad un meccanismo ideale; e
leggo
universale
del mondo sarebbe o la necessità
empirica e
fisiologica,
ovvero la necessità dialettica : fatalismo
cieco
nell'
un caso come nelF altro. Invece l'
essenza del pro-
cesso
cosmico per noi, come vedremo, sta
nel canato
secondo
eh' è inteso dal Vico. Ma come
il conato po-
trebb' esser
conato ove non includesse l' intervallo, la
diversità
vera, cioè la diversità di contenuto?
Conato
è
passaggio nello stretto senso della parola
(irjìpytx
otTf)>?;);
è transito, non trasformazione; eduzione
(edu*
dio
entis ad a4ium) ma eduzione intrinseca,
e quindi
conversione
del fatto ìid vero, cioè dire
conversione
della
potenza nelP atto , creazione intima ,
creazione
spontanea.
La potenza dunque recasi ad atto non
in
quant'
è potenza , ma in quanto cessa d'
esser po-
tenza, e
passa ad esser atto; cioè in quanVè
potenza
feconda.
E come potrebb' esser feconda (tò ^warov),
ove
non
fosse privajsfione («rrf/jvjTc;)?» Or tutto
ciò, come
sarebb'
egli possibile senza la doppia condizione
della
continuità
ideale e dell'intervallo reale?
Torniamo
all' assunto. L' intelletto nasce dal senso
:
è
vero. Ma forse che nascere vài
risultare? Se così fosse,
r
intelletto non essendo altro che un
risultato, starebbe
rispetto
al senso così oomQ precisamente nella
storta
del chimico
sta un sale rispetto agli elementi
onde
risulta,
cioè all' acido e alla base. Or
questo (chi noi
'
Questo è il senso che noi diamo
al principio aristotelico della pn-
«astone.
{Metaph., l.IX.) Anziché principio negativo^
la pr«ea«i<m«ò principio
essenzialmente
affermativo; e così la interpretarono gli
Alessandrini, se-
gnatamente
Proclo e Plotino, come osserva il
Michelet. (Kxam, ec.,
p.
298.) Ed è affermativo in quanto
include necessariamente il diverto;
il
diverso come tale, non già il diverso
come semplicemente oppoHo
secondo
che vorrebbe lo storiografo hegeliano.
[Ibi, p. 258.) Se in altro
senso
si volesse interpretare la privtmone, non
so come si potrebbe ri-
spondere
alle serie difflcoltà cho a questo
proposito affaccia il Rosmini
contro
lo stesso Aristotele. {ArÌ9t. e«p.
ec, p. 404.)
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OAP.
VI.] GENESI E TELEOLOGIA PSIOOLOGIOA. 361
vede?)
è pretto sensismo. Vorranno accettare tal
con-
clusione gli
Hegeliani, maestri in Aristotelismo ammo-
dernato? E,
accettandola, in che mai si distingueranno
da'
Positivisti? Tra V Hegelianisrao e '1
Positivismo è un
breve
passo! L' abbiam detto, e lo ripeteremo
a sazietà.*
Dunque
non è il senso che come senso
trasformasi
in
pensiero. E non è la Idea che,
quasi immergendosi
nel
sensibile e straniandosi, ami celarsi nel senso,
nella
natura,
e farsene un mezzo attraverso cui,
passando,
giunge
da ultimo a rimirar sé medesima
specchiata nella
pienezza
del proprio splendore e chiarità. Il
senso è forza
che
s'attua; è conato che transita; è
natura che, sa-
lendo,
assume valore di pensiero : ma non
è Idea-Natura
che
diventi coscienza.* Piii chiaramente:
Videa per
' E
questo passo brevissimo gli Hegeliani lo
daranno, io ne son sicuro:
che
anzi non manca fra noi chi l'abbia
già beli' e dato. Il mio collega
professor
Fiorentino, per esempio, non dubita
scrivere con tutta se-
rietà, che
il «eiwo diventa riJUtnone in virth
della riprtizionb (frase di
schiettissimo
conio condillachiano) ; e che poi o(d
ripeterei si fieea^ ei deter-
mina, ti
epecchia.,., e in cotesto fieearù e««o
«« trae/orma, e la luce, inith
leniva^
impromieaj balena allo epirito. Ma, se
col ripetere »i tran/orma^
non è
proprio inatile qualunque /tK» improvvisa e
qual si voglia balenio f
Nascere
improwieof balenare^ e trat/ormarei, a me
pare contradizione. Del
resto
non potendoci intrattenere su ciò, noi
ci permettoremo di rammen*
tare
all'amico nostro le tanto belle e
tanto gravi e severe analisi del
Rosmini
in
proposito, massime quelle che si leggono
nella Psicolotfia (Voi. Il, od. No-
vara, LXXX);
e solamente per nostro conto poi
facciamo riflettere che, a
guardare,
con la speranza di qualche baleno, e
contemplare e ripetere per
secoli
0 secoli il senso per indi volerlo
trae/ormare e cavarne la specie, ù
tempo
sprecato addirittura. Il più perfetto
quadrumane, per esempio, ripete
U
tento infinito nnmero di volte. Or
bene, qual balenìo di luce ha mai
potuto
lampeggiare
agli occhi suoi? Perchè dunque il
senso, ripetendoti^ non si
tratforma
anche in lui? E se non si trat/orma,
non vuol dire che nel
senso
del quadrumane manchi qualcosa che devesi
celare necessaria-
mente e
primitivamente nel bimane? — Le riflessioni
che altrove abbiamo
fatto
contro il Littró a questo medesimo
proposito (p. 813 e segg.)
8'
attagliano benissimo anche agli Hegeliani
che con armi e bagaglio
passano
oggi nel campo de* Feuerbach e do'
Bilchner.
•
Netta tfera della «entibilità (dice Hegel)
»' incontra, eia come con-
tenuto,
eia come determinabilitàf tutti i momenti
pivi profondi dello spirito.
(Phil,
de V Esprit, t. I,p. 19, trad. del
Vera). E altrove: V Idea etema è
immanente
neUa natura, o, eh* è lo ttesso,
lo tpirito rieiede e agisce virtual-
mente in
lei. (Ibi, p. 87.)
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362
DSLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
noi
non riappare, bensì appare. Non è
potenza che
quasi
attergata allo spirito per dialettica
necessità in-
cessantemente
si sforzi, si determini, diventi; ma
è lo
stesso
conato di natura che si determina,
che procede,
che s'
avanza, e che per efficacia e yirtù
propria si fa
e
s'aderge a dignità di ragione. Però
non è vero che
r anima
sensitiva trasformandosi diventi intellettiva e
la
generi; ma è vero che questa,
nascendo nella prima,
la
supera, la trascende, la signoreggia. E
neanco è vero
che il
conoscere cominci dal senso, col senso,
per il
senso;
ma è vero che lo spirito in
quanto è NoJ? po-
tenziale.
Intuito, Mente, cominci come senso, che
cioè
dapprima
si palesi come senso, appunto perchè
questo,
necessario
termine di mediazione, è dentro al
processo
psicologico,
e ne costituisce V inizio. E
finalmente, se è
vero
che il conoscere senza Y opera de'
fantasmi è im-
possibile; è
verissimo, d'altra parte, che tal
necessità,
anziché
al processo, è relativa all'origine della
cono-
scenza ;
per la solita ragione che, ove così
non fosse, lo
spirito
non sarebbe conato essenziale, né il
pensiero
sarebbe
attuosità vivace, intrinseca, spontanea. Il
pen-
sare non
sarebbe giudicare^
* Noi
non abbiam potato nò voluto intrattenerci
intomo a questo
punto
che ba importanza vitale nella moderna
psicologia, perchè ci sem-
l>ra
posto oggimai nella sua massima evidenza
sopratutto dal Rosmini. A
niuuo
è lecito dubitare della necessità d*una
forma oggettiva originaria
nella
sfera de* fatti psicologici. Con salde
ragioni il Kant ha dimostra-
to,
contr*ogni maniera d'empirismo psicologico, che
lo spirito intanto
pensa
in quanto giudica; e più ancora il
Rosmini ha posto in chiaro
che lo
spirito giudica appunto perchè è toggeito
e oggetto insiememente.
(Vedi
Nuo. Saggio passim. — Rinnowm,^ L. Ili,
e. XLVII. — Psicologia,
voi.
I, e. IX, X. — Introd, alla FU,
p. 74.) I difetti della teorica Bo-
sminiana
li accenneremo in quest'altro capitolo. Qui
osserviamo che in
tale
dottrina il filosofo italiano si ricollega
con san Tommaso, e, chi
volesse
andare più in su, anche con
Alessandro Afrodiséo, e quindi con
Aristotele.
Nello Stagirita infatti ò chiaro questo
principio: NotjtvÌ ^i
in
iTÌpcK. <j\fvroix,i(x. xad' awri^iV xac
radxvii in oucrta aptirn,
{Metaph,
XII.) Se
ciò nonostante il sensista, il positivista,
il materialista,
r
Hegeliano ainiairo, o come altrimenti
voglia chiamarsi, pretenda tuttavia
di
venir fuori con la solita macchinetta
del senso che ripetendosi e trat-
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OAP.
TI.] 0ENE8I
K TBLEOLOaiA PdIOOLOaiOA. 363
Dalle
cose discorse è agevole trarre una
conseguenza.
L' anima
non è creata di getto, come
pretendono vec-
chi e
nuovi platonici e certi aristotelici
iperpsicologisti;
ma
neanche si può dir eh' ella sia
pullulata per gradi,
quasi
a forza di pompa o di lambicco,
dal grembo stesso
della
materia, come pretendon i vecchi e
nuovi Ari-
stotelici
seguaci deir indirizzo empirico. L' anima è
for-
mata di
getto, è vero : se fosse altrimenti
non potrebbe
esser
pensiero per nessun miracolo al moi>do.
Ma nem-
manco
è presupposta al corpo, come dice lo
stesso Pla-
tone, 0
piovutagli addosso dal di fuori e
dall'alto in certo
mese e
in certo momento della vita intrauterina,
come
affermano
tomisti e teologi, senza dirci ne
come né
perchè:
e tanto meno potrebb* esser venuta fuora
e ve-
nir fuora
qual risultamento di leggi meccaniche e
fisio-
logiche.
L'anima è creata; o, per dir meglio,
l'anima
crea
sé medesima per una legge profondamente
dina-
mica che
si confonde e compenetra con l' essenza
stessa
della
natura e del finito. Perciò alla
domanda, se fra
l'anima
e '1 corpo come fra il sentire
e l'intendere oi
è
salti ed abissi, rispondiamo subito che
sì; ma tosto
aggiungiamo,
che, a colmare cotesti abissi e
varcare
cotesti
salti, né la psicologia positiva ha
punto biso-
gno d'
invocar V atto immediato d' un deus
ex machina,
né r
ideobgia ha mestieri d' un a priori
che, dardeg-
giando all'
anima il raggio dell' intelligibile
sovramon-
dano,
svegli ed ecciti in essa la virtù
dell' intelletto.
Questo,
e solamente questo, noi potevamo dire
'quan-
t' alla
genesi e quant' alla teleologia dell'
anima umana,
puntellandoci
unicamente (come s' é visto) su la
na-
tura dell'
atto essenziale, dell' atto radicale onde
vuol
esser
costituito il pensiero. La psicologia non
sarebbe
famMndoèi
bel bello diventa miracolosamente intelletto,
ignorando cosi o
facendo
le Tlste d'ignorare gli studi profondi
e le parti accettabili deUa
psicologia Bosminiana;
sì serva pure: noi non istaremo a
perderci
ranno
e sapone. Ma non sarà certamente
villania il dover dire di lui
con
Aristotele: ^uoeo; yixp f^fw o toiowtoc
y, toéoùtoc 'A^ril
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364
DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. II.
davvero
positiva, non sarebbe razionalmente positiva,
quand'
ella presumesse di risolvere diffinitivamente,
doni-
maticamente,
sistematicamente questi due problemi, che
non
senza ragione il Leibnitz appellò
terribili. Ella, ripe-
tiamo, deve
saper contraddire a due estremi opposti
e
contrari.
Da una parte dee contraddire allo
Spiritua-
lismo e
al Materialismo; dall'altra al Positivismo.
Dee
contraddire
al volgare spiritualista e al materialista,
perchè
entrambi pretendono, tuttoché per vie e
risul-
tati assai
diversi, d'aver risoluto in maniera
invincibile
cotesto
doppio problema, mentre nel fatto l'un
d'essi
disconosce
il valore intimo, l'autonomìa dell'anima, e
l'altro
finisce per impugnanie perfino l'esistenza.
Deve
poi
contraddire al Positivismo, perchè questo,
al solito,
non
volendo sapere di siffatti problemi, ne
dichiara im-
possibile
tal soluzione, e quindi inutile il
parlarne. Il
filosofo
seriamente positivo può fare qualcosa di
più
che
non sappia il Positivista. Ma confessa
di non saper
giugnere
fin dove, con volo icario e fatale,
sanno spin-
gersi materialisti
e spiritualisti, empirici e tradiziona-
listi,
hegeliani di destra ed hegeliani di
sinistra, mistici
e
ontologisti. I principìi della psicologia
positiva che
abbiamo
interpretato nell' autore della Sdenza
Nuova
ci
possono far capaci di determinare
siffattamente la
genesi
e la teleologia dello spìrito, da
chiuder l'adito
allo
scetticismo e al nullismo. Il che non
dovrebb' esser
poco,
anzi dovrebb' essere moltissimo, agli occhi
almeno
di
coloro che modestamente sanno e voglion
ricono-
scere i
confini del pensiero umano.
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365
Capitolo
Settimo.
DEL
CONOSCERE METAFISICO.
{Critica de'
moderni Neoplatonici)
Abbiam
visto come la genesi del processo
psicologico
sia
essenzialmente genesi teleologica. Ella dunque
ci vieta
d'essere
scettici per sistema, ci vieta d'esser
nuUisti circa
il
sapere metafisico. Se il mondo della
natura e quello
dello
spirito, come altrove toccammo, sono
processo e
conversione,
stantechè il primo sia numero che
volge
ad
unità e il secondo unità che, in
sé medesima attuan-
dosi, divien
numero ; anche 1' assoluto, serbando
mede-
simezza di
legge, ha da esser non altro che
conversione,
processo,
mediazione. È dunque possibile che la
mente
penetri
in qualche maniera nel regno delle
realtà me-
tafisiche.
Ma se la legge è comune, sarà
pur tale il con-
tenuto? Agli
occhi del modesto indagatore del vero
la
metafisica
è la scienza de' confini. Or questi
confini ap-
punto
ignorano tanto i Neoplatonici quanto i
Neoari-
stotelici
per opposite ragioni.
Di
fatto anche qui, e sopratutto qui,
navighiamo fra
Scilla
e Gariddi: siamo fra que'due soliti
estremi, come
si
disse, in che travagliasi '1 pensiero
filosofico fino
da' tempi
in cui sovraneggiarono i due grsmà''
istitutorì
déW
uman genere, come il vivente filosofo
berlinese non
dubita
chiamare Platone ed Aristotele.' Qual è,
in ge-
nerale,
l'esigenza e quindi '1 distintivo de'
Platonici e
del
Neoplatonismo di tutte l'età nell'afifermar
l'assoluto?
È il
propugnare la conoscenza immediata e
primitiva
dell'
obbietto metafisico, qualunque ne sia 1'
ampiezza,
il
grado, il valore dell'intùito. Qual è,
invece, l'esi-
genza degli
Aristotelici e del Neoaristotelismo? È il
*
1|I0HIL«T, Metaph, d'ArUL, ed. cit,
p. 243.
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366
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
mantenere
la mediatezza del conoscere metafisico, ov-
vero
menomarla cosi da renderla inefficace, e
talora
persino
affatto negativa.'
I
metodi de' Neoplatonici nelP attinger l'assoluto
' In
armonia con le idee accennate già nel
Gap. Ili di questo secondo
libro
sa la storia generalo del pensiero
filosofico, noi togliamo in sig^nificato
largo
le parole Neoplatonismo e Neoaristotelismo.
In esse comprendiamo
più e
differenti scuole di filosoft. E quindi
non sono soltanto filosofi Neo-
platonici
gli Alestandrini o quelli àeXht scuola
Toscana del secolo XY« od
altri
simili tra' filosofi cristiani massime
appartenenti a* secoli XIIl e XIV.
Filosofo
neoplatonico è chi, pur modificando il
Platonismo, ne sorbi, come
notammo,
due esigenze, di cui 1* una ò
p9Ìeologtea e 1* altra è tnetaJUica.
La
prima consiste nel porre un* attinenza
primitiTa, e quindi una connes-
sione
originaria Tra la mente e l'obbietto
metafisico. Secondo tal criterio,
fra*
neoplatonici andrebbero annoverati parecchi
filosofi arabeggianti, av-
vegnaché per
ragione isterica ei risalgano, come
toccammo, allo Stagirita.
(p.
287, e segg.) La seconda esigenza poi
risiede nel riguardar le idee
siccome
entità aottanxialmente eaemplatrici; il che
costituisce davvero il
distintivo
del Platonismo in generale (p. 280).
Or le diverse famiglie o
varietà
di platonici e di neoplatonici possono
esser coordinate, nella storia
della
filosofia, secondochè queste due posizioni
si presentano più o meno
modificate.
Per iVeoameoCetùn poi intendiamo qne'filosofi
che contraddicono,
in
generale, ali* anzidetta esigenza psicologica
e metafisica. E poiché il
Platonismo,
come dicemmo e come avverte il
Barthélemy Saint-Hilaire
{Phif9.
d*ÀrÌ9t., Pref. p. XX), si riproduco e
si trasforma in Aristotele non
pure
quanto alla filosofia ma eziandio quanto
ad ogni altra sfera di scibile,
cosi
noli' Aristotelismo è d* uopo saper
rintracciare i germi del triplice
indirizzo
speculativo da noi altrove accennato,
massime deirindirìzzo mediof
nel
quale unicamente è possibile rinvenir la
correzione del Platonismo e
dell*
Aristotelismo. Ripetiamolo anche qui :
tutta la storia del pensiero
filosofico
occidentale consiste nelJo svolgimento fecondo
e svariatissimo
di
questi tre indirizzi; ciò ò dire
nella lotta perenne delle due estreme
posizioni,
e nel trionfo lento e faticoso, ma immancabile,
della posizione
mediana.
Se questo è vero, ne segue (almeno
per chi serbi alcuna fiducia
nel
progresso della ragion filosofica) che se
nessun filosofo oggi può dirsi
od
essere un puro platonico od un puro
aristotelico, tutti invece dobbiamo
essere
e dirci neoplatonici, o neoarìstotelici,
ovvero seguaci del terzo in-
dirizzo; il
quale, sia storicamente, sia teoricamente,
vien fuora tostochè
sian
dati i due primi. Noi non possiamo
intrattenerci sopra questa ma-
teria e
corredar di prove isteriche tale assunto,
essondo ben altro il
compito
del nostro lavoro. Ma riteniamo per
sicuro che una storia par-
ticolare 0
generale della nostra scienza, la quale
non sia condotta con
silEatti
criteri, altro alla fin fine non
potrà esser che un lavoro d* in-
tarsio, come
tanti se ne vedono, ovvero un
arbitrio sistematico, dom-
matico
e fftntastico dairnn capo ali* altro. (Vedi
tutto ciò che abbiamo
discorso
a tal proposito ne* Gap. III e
IV di questo Lib. II.) (
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OAP.
VII.] DEL 0ONO80EBB METAFISICO. 367
potranno
differir nella forma più o manoo
arbitraria
con
che ci è data la dottrina delP
immediatezza. Ma
tutti
ci palesan lo stesso difetto: l'esser
dommatici, Tesser
sistematici;
poiché tutti trascendon T esigenza d'un po-
sitivo e
fecondo psicologismo. L' esagerazione di cotesto
indirizzo
è rappresentato da chi presume conseguir
la
notizia
dell' assoluto con la ragione, ma con
la ragione
che si
lasci guidar dalla fede, e sorreggere
dal senti-
mento. Con
siffatta maniera di speculazione noi non
ci
abbiamo
che vedere. Essa ci rappresenta quella
posi-
zione
metafisica che altrove appellammo DommcUismo
empirico
(p. 251). Dobbiamo dunque rifiutarla. E
dob-
biamo
rifiutarla, sia perchè in sostanza ella
riesce a
negar
la speculazione trascendente, ùa perchè
s'oppone
alle
condizioni più elementari della scienza,
(p. 213.) —
Le
altre forme di Neoplatonismo afferman
l'immediatezza
dell'
oggetto metafisico ponendo l' intùito, ma l' intùito
che
legittima sé stesso in quanto che,
assumendo virtù
riflessa,
diventa ragione. Secondo tale indirizzo
appunto
è
venuta svolgendosi la speculazione italiana
nel moderno
periodo
della nostra filosofia. Talché noi dovendo,
come
richiede
l'indole stessa del nostro lavoro, tener
conto non
pur
della ragion teoretica, ma eziandio della
ragione
isterica,
verremo accennando alla dottrina del
Rosmini,
del
Gioberti e del Mamiani, che ne sono
i più legittimi
rappresentanti.
Rifacciamoci dal primo come quegli che
per
ragion cronologica e per valore di
speculazione va
innanzi
a tutti.
Al
Rosmini s' é voluto dar titolo d'
idealista piato-
nico.
* Con egual ragione altri potrebbe
dargli titolo di
realista
aristotelico. Il Roveretano corregge davvero
il
neoplatonismo
nella ricerca psicologica ; ma v' è
un punto
vitale
nel quale, come si vedrà, ei si
palesa più che ne-
* È
un titolo in gran parte sbagliato.
Quelle eh' ei dice propriamente
idee
per lui sono eeemplari delV eetenxa
inteUigibiUf non' già eeemplatrici
per «è
medeeime, {ArieU E«p. ed eeam,, Pref.)
Come dunque ò idealista
platonico
?
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368
DILLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
platonico.
Con ingegno potentemente analitico, temprata
alla
severa speculazione d' Aristotele e deH'
Aquinate *
egli
ha dimostrato ciò che in modo assai
vago eran
venuti
affermando gli aristotelici su la necessità
d^ una
forma
oggettiva nella mente. Ma egli non si
contenta
dell'essere
in quanto essere: lo dichiara altresì
immo-
bile,
immutabile, obbiettivo, inalterabile, se^nplice,
uno,
immescibile,
infinito^ necessario, insussistente, ideale} Ecco
il
puntello ond' egli s' augura di spiccare
il volo inverso
ali
Assoluto. Ma innanzi tutto guardiamo tale
dottrina
sotto
il rispetto psicologico eh' è appuntò il
tema pre-
cipuo del
presente capitolo.
Col
porre l'Essere come oggetto primitivo della
mente,
e col
dichiararlo fornito del carattere d'
universalità, il
Rosmini
taglia i nervi, come dicemmo, ad ogni
maniera
di
sensismo, e nel medesimo tempo corregge
il Critici-
smo: lo
corregge non già mondandolo (com' ei
si vanta)
della
magagna della subbiettività di cui non
sa neppur
liberare
sé medesimo, bensì dimostrando quant*
inutile
fardello
sia quella moltitudine di categorie
originarie
ond' il
Kantismo si distingue fra' moderni sistemi
di
filosofia.
Ecco ciò che forma l'onore della
psicologia
rosminiana.
* Ma qual è il suo difetto? È
il non aver
indagato
fino alla più fonda radice quel eh'
egli stesso
appella
il minimum della cognizione; e quindi
l'aver
fatto
pesare su l'obbietto originario un ingombro
di
note e
d'attributi cotanto copioso, da fargli
smarrire
affatto
il carattere dell' originarietà. E, davvero,
cotest' og-
getto è
egli ideale? Dunque è già beli' e
determinato.
Ór
come un obbietto determinato potrà
esercitare fun-
* Il
prof. Paganini ha mostrato 1* affinità
fra il Rosmini o san Tom-
maso
quant'alla teorica del lume intellettivo.
{Sagg. 9opra «an Tomm,
éC
Aquino e t7 Roeminif Pisa 1857.)
« Vedi
Rinnovam., LUI, e. XXXìX,— Ptieologia, Tol.
I, XI, XXIIi,
ed.
cit. — Nuo. Sagg.^ voi. II, Sez.
II.
* Il
prof. Spaventa ha pasto in sodo
questo gran merito del filosofo
italiano
di fronte al Criticismo nel prezioso
opuscolo altrove citato so la
'
FUo9ofia di Kant e la tua relazione
con la FUotoJia Italiana, Torino 1860.
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OAP.
yn.] DEL
OONOSCSBB MSTAflSIOO. 369
2Ìoni
di Primo psicologico? Non verremmo cosi
a tur-
bare e
confonder l'ordine primitivo della conoscenza
col riflesso?
Dunque Y essere ideale nell'organismo della
psiche,
anziché Primo psicologico, sarà il Primo
logico.*
Quanto
poi air attributo della infinità, egli
ha ragione
dove
aflerma con san Tommaso, la natura
del soggetto
dover
partecipare a quella dell'oggetto: e quindi
se a
questo
appartiene il carattere della infinità, non
si vede
perchè
non debba appartenere anche a quello.
Or s' egli
è
cosi, è dunque infinito il pensiero?
Lasciamo agli hege-
hani
cotesta innocua pretensione finché non ce
n' abbiau
dato
valide e serie dimostrazioni."
Se,
inoltre, cotal forma innata è immobile,
immuta-
bile,
immescibUe e inalteràbile, perciò non le
sarà dato
moversi
di per sé stessa. Ella si move
bensì, ella diventa,
ma in
virtù d' una determinazione, in forza d'
un' op-
pliccunone.
Chi recherà ad atto cotest' applicazione?
La
* Lo
Spaventa ha ragione : « V errore
del Roamini non ì il fare
ddV
eteere come eeeere il primo eeientijico
o logico, ma di fame jil primo
peiedogieo:
non U primo pensabile, ma il primo
eonoeeibUe, » (Le prime
categorie
della Log, di Hegel, p. 130, negli
Aui dtUa B, Accad, di Nap.,
voi.
I, 1864.)
' Il
Rosmini stesso prevede questa grave
difficoltà, e tenta rispondere
in più
modi riparando al solito arsenale delle
distinzioni ; ma questa volta
con
assai poca fortuna. {Peieologia, voi. I,
e. XI, ed. cit) In altre opere,
e
anche nel Nuo, Sag., avea chiamato
infinito il pensiero, non però eotto
tuui
gli aepeUi. Ma un inAnito di cotesta
foggia chi vorrà accettarlo?
La
creduta infinità dell* oggetto primitivo
non ò infinità, ma indetermi-
natezza, E
di fatto la nota epeeijicante della
Ittee metaJUiea^ secondo la
sentenza
del Vico altrove riferita (p. 851) è
appunto la indeterminatezza,
la
potenzialità, ma la potenzialità non vuota
e subbiettiva de* Tomisti e
de*
Peripatetici, bensì piena, feconda, oggettiva,
essendo nella sua essenza
un
eonato. Or se questo ò il carattere
dell* oggetto, e se la natura del
soggetto
ha da rispondere a quella della sua
forma, ne seguita che al-
reggette
indeterminato dee far riscontro una facoltà
d*indol6 somigliante.
Ma che
cos*ò un pensiero indeterminato nel suo
oggetto salvo che un
essere
potenzialmente infinito, un subbietto che
tendit ad infinitum, come lo
deRnisce
lo stesso Vico? Dunque 1* indeterminatezza
è il carattere pre-
cipuo della
luce metafieiea, tuttoché in so stessa
ella sia determinata In
quanto
che non cessa, ripetiamo, d* essere
un oggetto; mentre che la
potenzialità
feconda è il carattere del pensiero
inteso come soggetto.
Siciliani.
2Ì
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370
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. U.
ragione.
* Or bene, la ragione non vi
potrebb' essere
mossa
tranne che da sé stessa, ovvero dal
senso. Dal
senso,
no ; che saremmo sempre impigliati in
una forma
più 0
meno schietta di sensismo, dal quale
indirizzo il
filosofo
di Rovereto rifugge ad ogni patto.
Dunque da
sé
stessa. Ma, si può chiedere: muovesi
ella da sé in
quant'
è soggetto, ovvero in quant' é
oggetto? In quant' è
soggetto,
no. Un soggetto spoglio di forma è
una pò*
tenza
vuota; è la pura potentia, la
purafaeultas degli
scolastici:
e come tale riesce incapace d'esercitar
fun-
zione di
Primo psicologico. Movesi dunque siccome
og-
getto;
movesi in quant' è luce fnetafisica. Or
come si potrà
movere s'
ella é immobile, immutabile, immescibUe,
iikiZ-
terabile? —
Da ultimo, il difetto che in tale
indagine egli
ha
comune con parecchi altri aristotelici, e
pel quale vuol
esser
segnalato come neoplatonico, risguarda l' origine
di
cotesta forma ideale. Donde mai cotal
luce? Piove
dall'
alto, 0 piuttosto rampolla dal basso?
Non dall'alto,
non dall'
assoluto in maniera diretta, egli risponde;
net-
tampoco
dal basso, cioè dall'esperienza. Il Rosmini
qui
ha
ragione: nessuno, crediamo, vorrà fargliene
carico.
Donde
e come, dunque, ella viene? '
• Vedi
Antropologia, cap. VITI. — Sistema
FUotofieo, p. 82.
'
Bisogna confessare che nel punto più
vitale delle sae dottrine,
eh* è
Torigine dell* obbietto primitiro della
monte, questo filosofo fu sempre
titubante
anche ne* suoi lavori postumi. In
alcune opere evidentemente
8*
accosta a san Tommaso, dove dice, per
esempio, che Tessere ideale è
un
cotal raggio ddla divinità, il quale
noi tftdremmo in modo ineffabile
identijì
earai con etaa quando ci si potesse
disvelare la divina e$»enMa. (Atto.
Sagg.,
vol. II.) Altrove ritiene che la
forma intellettiva non ci abbia che
vedere
con Dio ; e • dove pur ci
fosse un* attinenza, difficilmente (egli
sogin»?"®)
ci salveremmo dal panteismo. {FU. dd
Diritto, voi. II, p. 195.)
E con
tutfaO questo el non dubita alTermare,
additando la nota scap-
patoia della
distinzione tra forma reale e forma
idecUe, che Dio si co-
munica al
pensiero idealmeìUe, non già realmente !
Ma che cosa ò mai,
e come
avviene cotesta eomunieagione ideale f Che
8*ella è possibile, come,
in tal
caso, potrete salvarvi dal panteismo
ideale? Il Rosmini parla
chiaro
(Teoeojia, voi. Ili, nel cap. su la
Partecipazione del divino nella
inteUigmza)
ove dice che 1* essere iniziale della
mente e 1* estere divino
sono
addirittura identici. Dunque non v* è
scampo : o egli non riesce a
salvarsi
dal panteismo, ovvero deve attribuire all'
obbietto della mente la
.
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OAP.
yn.] DEL
OONOSOEBB METAFISICO. 371
11
Rosmini crede potere attinger la notizia
dell' as-
soluto
ponendo in opera alcuni espedienti, per
esempio
il
processo d' dimincunone, d' intcgrcmone e slmili.
Ma
sopra
qual fondamento si basano cotesti processi?
Ap-
punto sul
concetto dell'Essere ideale. Da cotesto
con-
cetto egli
stima possibile trar gli elementi a
comporre
quello
dell' obbietto metafisico. Perciò dagli
attributi
dell'
ente ideale vuol concludere a quelli
dell' essere in
sé:
perciò dal simile vuol procedere al
simile. Or co-
testo è
un processo senza processo: è un
processo ap-
parente,
illusorio, perchè dal simile non si
procede al
simile,
ma si è nel simile. D' altra parte,
per isquisiti
che si
voglian supporre i metodi eh' egli
adopera a tal
proposito,
mai non avverrà che gli attributi
dell' ente
ideale
possano porgere quelli del reale. In
che ma-
niera convertir
le note d'assolutezza, d'universalità
e
d'infinità, che son proprie dell'uno, con
quelle del-
l'altro? E
dove e come poi andare a ripescar
l'attri-
buto della
realtà? Checché se ne dica, a tale
domanda
ei non
risponde, o ricasca nel ginepraio delle
viete ar-
gomentazioni
scolastiche. E mentre crede compiere o
correggere
il celebrato argomento di sant'Anselmo, non
s' accorge
il grand' uomo come restino tuttora
incrolla-
bili le
gravi difficoltà affacciate dal Criticismo.
Pur non
ostante
egli reputa negativa l' idea di Dio.
Or come ne-
gativa se
ci avete saputo disasconder tante
peregrinità
a
questo riguardo? E s'ella é davvero
negativa, non
siamo già
nel Positivismo? E se non é
assolutamente
negativa,
perchè non è tale? perché non può
esser tale?
nota
della realtà alla maniera del Gioberti.
In altra opera postuma
{Ari9t,
Etp, ed etam,, 1. II) le titubanze
non iscemano; perchò quan-
tunque
modifichi in alcune parti la sua
dottrina* V Kssere nondimeno ^W
si
prosenta sempre come ideale^ e crede
confermar la propria sentenza
con r
autorità d'Aristotele. Dalla prima ali* ultima
opera del Rosmini,
dunque,
il problema su la conoscenza s*
aggira sempre nelP equivoco tra
il
Primo pticologieo 6 il Primo logico ;
ne qnindi crediamo che T Ideali-
smo
Rosminiano siasi di mano in mano
accostato air Ontologismo del
Gioberti,
come pensa il eh. prof.
Ferri {Est. tur VHist. de la Phil. en
Italie,
t. I,
e. IV, p. 489.)
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372
DKLLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. n.
La
guisa ond^ il Boveretano crede poter
penetrare
nel
mondo metafisico non sarebbe, a parlar
proprio, un
processo,
una mediazione. Nessuna conversione sarà
mai
possibile
fra due termini simili appunto perchè
fra questi,
ripetiamo,
non è possibile un intervallo. £ dato
ci sia
cotesto
intervallo, è poi necessaria una continuità
ideale;
la
quale, unzichè per comunicazione dell'
oggetto, co-
m' egli
pensa, avviene per eduzione per parte
del sog-
getto. Né
è maraviglia eh' ei non abbia visto
tali ne-
cessità,
chiunque pensi come la filosofia del
Rosmini
partecipa
a quel difetto che, come altrove
notammo, è il
verme
pia micidiale che roda il Kantismo.
Tutto in lui
sembra
immobile, freddo, sterile come il suo
ente ideale.
Psicologia,
ideologia, cosmologia, storia, diritto, politica
e
religione, nel loro insieme, paion quasi
altrettanti
organi,
anziché un organismo, perocché uiun soffio
vitale
imprima forza e movimento a tutte
queste membra.
A lui,
in somma, fa difetto V esigenza del
processo.* —
Eppure
air A. del Nuovo Saggio non sarebbe
mancato
il
fondamento positivo sopra cui avrebbe
potuto in-
nalzar r
edifizio della psicologia, e apparecchiare
cori
la
soluzione d'alcuni problemi cosmologici. Avrebbe
avuto
una gran chiave nella sua teorica sai
Sentimento
fondametìicde,
intomo a cui nessuno, dopo Aristotele,
ha
saputo
discorrere con eguale acume e accuratezza,
come
saggiamente
osserva il Ferri.^ Ma neanche in
questo ei
potè
pervenire a disascondere quel secreto
vincolo che
in
seno all'unità primigenia del Noù;
potenziale annoda
* Però
il Oioberti non a torto rassomigliò
ad uno ttaUauUe il si-
stema
Rosminiano. La forma stessa del suo
iugesrno mostra cotal difetto.
Kcco
perchè non gli fa dato cogliere, come
accennammo (p. 99, 841, 248)
il
valore del metodo Tichiano. Ecco perchè
altra lllosoila della storia
agli
occhi suoi non dovrebb* esser possìbile,
fuorché quella d* Agostino,
del
Bossuet, dello Schlegel, del De Maistre.
Non altro concetto sociolo-
gico, salro
che quello della società divina naitirale.
Non altra cosmolo-
gia che
quella del Tomismo. Non altra fisiologia
e patologia, tranne che
quella
de* Tocchi vitalisti.
« Op. cit.,
t, I, p. 190.
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CAP.
VII.J DBL OONOSCBRB METAFISICO. 373
la
visione ideale, la percezione empirica,
nonché il sen-
timento
fondamentale.'
I
difetti del Rosmini prese a correggere
il Gioberti;
ma die
neir esagerazione. In maniera invitta egli
mostrò
la
fallacia della posizione dell' ente ideale,
ma cadde nel-
r arbitrario
anche lui quando ingolfossi nel mare
magno
del
suo intùito. Se infatti havvi dottrina
psicologica la
quale
più spiccatamente contraddica al criterio della
conversione,
e quindi all' esigenza metodica
aristotelica
della
Sdema Nuova, è appunto quella del
Neoplatonismo
che
con entusiasmo senza pari, con ingegno
mirabile e
con
vena fecondissma di speculazione egli prese
ad inno-
vare fra
noi con anima italianamente generosa. A
nes-
sun italiano
oggi potrebb' esser lecito disconoscere i
grandi
meriti del filosofo subalpino : a
nessuno i bene-
fizi
grandissimi che in età assai triste
sepp' egli operar
nella
mente e nell'animo di tutti con le
sue scritture.
' fi
noto come pel Rosmini sia U
tentimeruo intimo e perfettamente
uno
che uniece la eeneitività e V
intelletto. {Nuov. Sagg., Bez. V, e.
I ;
Ariet.
eep. ed eaam.^ L. I, e XXXTl).
Ma in che maniera poi accordare
questa
sentenza con quel! * altra ove dice,
la ragione eeeer quella che
unieee
il eentibile e V intelligibile f
{Pncologia, Tol. I, p. 124, ed.
cit.).
L*
anità de* due elementi qui sarebbe
posteriore, mentre sarebbe ante^
riore
la dualità, e quindi, come dualità
primitiva, inconcepibile. Il che
ci è
confermato da lui stesso dove afferma,
la vitione ideale non aver
relazione
di torta con la percezione empirica,
{Antropologiaf C. VILI). Ora
a me
pare che il Sentimento fondamentale avrebbe
potuto porgrersi a lui
come
base d* una dottrina psicologica
razionalmente positiva, quando
avesse
pigliato a considerarla come unità
Iniziale, come sintesi origina-
ria del
doppio elemento della conoscenza : il
che non apparisce in alcun
luogo
delle sue scritture. Che cos*è, infatti,
il Sentimento fondamentale f
te V
atto onde V anima vivifica il corpo,
{Antropohf L. 2, Sez. 2, C VII),
Or
bene, checché se ne possa dire,
cotesta evidentemente è psicologia
neoplatonica,
e però tutt' altro che positiva. Invece
per noi il Seneo
fondamentale
ha natura di conato, e quindi
rappresenta, anzi incarna il
momento
in che la vita, la ^uvauc; biologica,
superando so medesima,
passa
ad assumere anche valore di pensiero.
In altre parole: l'anima
pel
Rosmini è energia primordiale, ò una
originariamente (Ibi, e. IX) ;
ma è
una come* anima, non già come anima
e corpo, come vita e pen-
siero. E
con questo difetto, eh* egli ha
comune co' platonici e con san-
t'Agostino
come v^emmo (pag. 800 e segg.),
contraddice evidentemente
all'indirizzo
medio arittoulico secondochè noi lo
intendiamo.
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374
DELLA DOTTBIKA FILOSOFICA. [lIB. n.
Ma chi
è oggimai che vorrà propugnare sul
serio la
sua
teorica psicologica tuttoché sia da
accogliere e svol-
gere non
pochi principii della sua Protologia? ^
Fra le
molte e gravi obbiezioni mosse contro
V on-
tologismo
giobertiano, noi ci restringeremo a
ripetere
quella
semplicissima affacciata poco fa contro il
Ro-
smini, e
che con assai più ragione s' attaglia
al Gioberti.
Come
oggetto primitivo del pensiero, la formula
del-
l' Etite
creante è un oggetto determinato, sia
che si tolga
a
considerar la natura de' suoi membri,
sia che la spe-
cie di
relazione che li rannoda in organismo.
In che
maniera
dunque può essere inizio, principio della
genesi
psicologica?
Anziché il minimum del pensabile, qui
s' avrebbe
il maximum del conoscibile. Or s'
egli é così,
la
scienza, io chiedo, sarà ella generazione,
conversione,
eduzione,
o non più veramente copia, imitazione,
ri-
tratto d' un
vero che non ci appartiene? La
posizione
dell'Intuito
giobertiano è dunque arbitraria, ipotetica,
oscurissima,
come primo d' ogn' altri ebbe a
mostrare
lo
stesso Rosmini.* Perciò la Formula non
può essere
riguardata,
secondochè pretendon gli ontologisti, come
sorgente
d' ogni scienza, criterio d' ogni
scibile, fonda-
mento d'
ogni dimostrazione, come Primo ed Ultimo
del
pensiero.'
Il Nov; degli ontologisti italiani è
la vecchia
dottrina
dell' Intelleito agente^ ma passata
attraversò la
scolastica,
e ricorretta dal pensiero filosofico
cristiano.
È r
IntelligibiHtà, la VerUà di sant'Agostino,
ma deter-
minata,
concreta, reale. È la Reminiscenza
platonica,
ma
fatta viva, presente, parlante al pensiero.
Egli dun-
* Ved.
il nostro opusc. Introduzione allo ttttdio
delle acìenxe naturali
e
ttoriche, Firenze, Celi ini, 1861, e
IV.
■ Ved.
Vincenzo Gioberti e il Panteismo, Lucca,
1858, 3" ed., p. 42.
' Dopo
il Gioberti del prof. Spaventa è
impossibile difendere V intuito
del
filosofo di Torino: se ne persuadano
gli ontologisti. Noi accettiamo la
sua
critica: ma chi ?orrà accettar le
conseguenze eh* «i ne trae, o la
relazioni
eh' egli pone fra Io Ctisiologismo,
in generale, o V Idealismo
assoluto?
Anche qnant*al concetto creativo della /Vo(o/o^
fra Tuno e
r
altro sbtema, come avvertimmo, corre un
abisso. ' «
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OAP.
VII.]
DEL CONOSOERB METAFISICO. 375
que è
r esagerazione del Platonismo. È un
iperpsicologi-
smo
avente il suo primo puntello nel
catechismo, né può
quindi
essere accettata dalla ragion filosofica
positiva.*
Sennonché
gli ontologisti si fan forti, come
accen-
nammo, della
celebre sentenza vichiana su la rispon-
denza fra
r ordine logico e Y ordine
ontologico."
Il
nostro filosofo non parla d' ordine logico
e ontolo-
gico, ma
sì d' un Primo logico, e d' un Primo
Vero Me-
* Qui
abbiamo inteso accenDare alla dottrina deir
Intuito come ci
è data
nelle prime opere del Gioberti. Ognuno
sa che nelle scritture pò-
stnme
egli Tiene talora a modificarla sì
che s* accosta al Rosmini, o me-
glio, a
san Tommaso. Per esempio, dice: <
V intiiUo ci dà V Estere eem-
plicemente,
la rijleenone ci dà V Ente
intelligibile e intelligente, » {Protologiaf
voi.
II, p. 419, ed. cit.) E alladendo
al processo psicologico altrove af-
ferma
arditamente: • Eeietenxa^ pensiero, eoedenza i
tuti* uno, Ivariittatif
gradi,
prooeaei della realtà non eono altro
che quelli della coteimua. Questo
paicologitmo
traeeendente i il vero ontologismo,* (Voi.
cit., p. 825.) Si può
dare
contraddizione più spiccata con le prime
opere? Ma, si badi, cotesto
contraddizioni
non sono già di quelle cui alludon
gl'Idealisti assoluti,
quando
fregandosi g^ianieute le mani ammiccano air
agognato e vantato
voltafaccia
del filosofo subalpino!
* Il
Vico dice : « Deum primum verum
tum in essendo, ttim in co-
gnoseendo.
> {De Univ, Jur., I, (a) ).
Da questo lemma è agevole argomen-
tare che
Dio è Primo, sia che tu lo
consideri come essente, sia che come
conoscente.
Qui non v* ha luogo ad
interpretazioni. Ma vi è il lemma VII
che
dice: « Itaque Primum Verum Methaphysieum
et Primum Verum Lo '
gicum,
unum idemque esse. Qui la critica
interpretativa è necessaria,
perchè
qui la contraddizione con l' insieme delle
altre sue dottrine è
pur
troppo evidente. Se la rispondenza cai
allude il Nostro fosse da
interpretarsi
come pretendono ontologisti e nooplatonici,
olla contrad-
direbbe alla
dottrina del conoscere e del metodo ;
la quale in siffatte
ambiguità
dee prevalere nel pensiero del critico,
come quella che costi-
tuisce
propriamente T originalità del Vico. Se
dunque in forza del suo
criterio
la scienza debb* esser frutto d* uno
s?olgimonto riflesso e di ri-
cerca e
di critica essenzialmente eduttiva, parmi
evidente come il rap-
porto fra
r ordine delle cose e quello delle
idee, anziché di corrispondenza
originaria
e di parallelismo primitivo, abbia da
essere invece di rispon-
denza
derivata, e di parallelismo riflesso. In
una parola: cotesto paral-
lelismo,
cotesta equazione, non è un principio,
è un risultato. Nel che
11
fliosofo di Napoli, com* era da
sospettare, interpreta ed invera il benin-
teso
Aristotelismo, perchè è lo stesso
Aristotele quegli che osserva come
la
radice di tutti gli errori de' Platonici
sia per l'appunto la confusione
dell'ordine
logico con l'ordine dell'essere, e però
delle causo reali del-
l'essere,
con lo cause formali della scienza:
KW ou TtdvroL o€a tu
\6yù»
zjporepoiy xaì tVì oÙTc'a vipÓTspx^
{Metaph,, XIII).
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376
DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. IU
tafisico,
considerandoli entrambi come unum idemque.
Siamo
dunque nel panteismo? ovvero in una
dottrina
neoplatonica?
Intendiamoci. Qual debba essere per lui
il
Primo psicologico, s' è visto neir
antecedente capi-
tolo. Or
quali han da essere, in armonia con
le sue
dottrine
psicologiche, il Primo logico e '1
Primo ontolo-
gico? Il
Primo logico sarà, né vi cape dubbio,
un princi-
pio mediato,
risultante, secondario, cioè posteriore al
Primo
psicologico. Se infatti il processo della
psiche
s'
attua ingradandosi in pili gruppi di
facoltà compo-
nenti fra
loro un organismo (p. 321); e se
il processo
conoscitivo
importa una serio di leggi atte a
governare
le
diveree funzioni, che vuol dire le
facoltà stesse avvi-
sate in
relazione co' loro prodotti (rappresentazioni,
fan-
tasmi,
concetti, nozioni, idee, giudizi ec.) ;
avviene che
come,
data una funzione, è già beli' e
dato logicamente
il suo
prodotto e quinci una serie di leggi
che ne regga
lo^'svolgimento;
così, posto il Primo psicologico, non
po-
trebbe a
verun patto mancare il Primo logico.
Ora se
il
Primo psicologico è V essere indeterminato,
eh' è dire
il
Nov; potenziale, in quant' è luce
metafisica; quale sarà
il
Primo logico? Non altro che V essere
nella sua prima
determinazione
riflessa: l'essere in quanto ideale; il
quale
perciò suppone, sotto il riguardo
cronologico, il
sensato
reale, il fatto ; stantechè il senso,
come toccam-
mo, resti
incluso nel circolo psicologico. L'ente
ideale
adunque
è un primo: qui ha ragione il
Rosmini. Ma è
anche
un ultimo; uUimo psicologico, e primo
logico.
Al
qual proposito giova notare che ove
il Roveretano
avesse
riguardato a questa maniera 1' Ente
possibile,
non
sarebbe caduto nell'aperta contraddizione di
con-
siderar
l'essere come ideale^ e come immobile
ad un
tempo
; stantechè se in quanto è luce
metafisica, cioè in
quanto
originario ei non può non essere
indeterminato,
come
ideale invece è mobilissimo, essendo già
beli' e de-
terminato, e
come tale ci esprime lo stesso moto
della
facoltà,
la facoltà in quanto è funzione.
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GAP.
TU.] DKL
G0N080EBB MBTAFI8T00. 377
Quale
sarà intanto il Primum Verum Metaphysicum?
Posto
il Primo logico e quindi '1 processo
della logica
e r
orditura de' concetti, il lavoro
speculativo della
mente
non può ad altro pervenire fuorché ad
uno di
questi
due risultati: o air essere indeterminato
riflesso
qual
è, per esempio, V Indeterminato secondo
eh' è po-
sto dair
Hegelianismo quasi chiave di volta dell'
edifì-
rio
dialettico ; * ovvero all' essere
determinato mercè Tar-
tifizio
del metodo compositivo sintetico, d'
integrcurìone;
voglio
dire, all'essere pieno, all'essere fornito
delle note
più
eminenti o delle primalità cui sappia
poggiare il
pensiero
speculativo soccorso dall'esperienza. Ora il
Primo
vero metafisico al quale accenna il
Vico non può
esser l'
ente indeterminato inteso come luce
metafisica,
perchè
questa, essendo essenzialmente indeterminata,
cioè
indeterminata
per necessità di natura in quant'è
oggetto
primitivo
della mente, è quindi un Primo
psicologico an-
richè
metafisico. Non può esser neanco l'
Indeterminato
così
detto dialettico al quale, come voglion
gli Hegeliani,
per
un' assclida e subitaifiea astrandone si
levi la mente
e vi
si estingua, e in grazia di siffatta
estinzione
scoppi
la prima scintilla dialettica. E non
può essere,
sia
perchè cotesto Indeterminato contraddirebbe al
con*
cetto
che il Vico ci porge dell' Assoluto,
sia perchè,
frutto
d'un lavoro onninamente astrattivo, manca
ne-
cessariamente
d'ogni condizione d'obbiettiva e metafi-
sica
sussistenza. Se dunque non è l'
indeterminato né
come
luce metafisica né come posto dall'
astrazione,
che
eoe' altro sarà fuorché l' ente concepito
come de-
terminato
nelle sue primalità essenziali, 1' ente
trascen-
dente, il
Nosse-Velle-Posse infinUum? — Sennonché, per
metafisico
che sia cotesto essere, ninno vorrà
dirlo reale.
Donde
trarre siffatta determinazione? Forse da un
in-
tuito
primigenio? Ipotesi! Dal regno de' fatti
e della
' Il
Primo Hegeliano, dice Spaventa, ò queUo
che non ha altra deno^
minanione
che di non averne alcuna, {Ddle prime
Categ. della Log. di Hegti,
•d.
cit, p. 141. ^ Hbqil, Log.y toI.
II, lxxxtii, trad. del Vera.)
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378
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
esperienza?
Impresa vana! Dalle viscere dello stesso
pensiero
per astrazione assolila e subitanea?
Illusione!
D' altra
parte, tuttoché entità ideale, non per
questo
sarà
lecito credere che il Primo metatìsico
abbia da
essere
assolutamente astratto, poiché come determinato,
cioè
come concepito e costruito dalla mente,
è pur
mestieri
eh' e' risponda ad una realtà. Egli
dunque è
metafisico^
ma non per questo può cessare
d'essere
identico
al Primo logico. Perchè? Perchè da
questo
appunto
lo trae la virtù speculativa. Il Vico
dunque
ha
ragione : il Primum Veruni Metaphysicum
è unum
idemque
col Primum Logicum, giusto perchè il
pen-
siero vien
costruendo l'uno mediante l'altro. Breve-
mente: egli
è metafisico, perchè ha valore obbiettivo;
ed è
poi unum idemque con l' essere logico
e però col
Primo
psicologico, perchè non è, a dir
proprio, una
realtà,
quantunque per necessità metafisica abbia
un
riferimento
alla realtà. Ma qui si può chiedere
: dunque
il
Primo metafisico non sarà egli né
assolutamente
reale,
né assolutamente ideale, né obbiettivo, né
sub-
biettivo?
Precisamente così. Non è l'una cosa
né l'altra,
ma è
r una e l' altra insieme, stantechè
sia potenzial-
mente
infinito. E poiché come infinito potenziale
non
è
perfetta conversione di sé con sé
medesimo, però fugge,
quasi
diremmo, sé stesso. EgU è, in somma,
un essen-
zial
conato ; e come tale non può
non riferirsi necessa-
riamente ad
una realtà, e in questo senso
possiede na-
tura
metafisica. Dico necessaria tale oggettività,
perchè
il Primo
metafisico, quando sia determinato dal pen-
siero
speculativo, non è altro che la
stessa triplicità
psicologica,
ma riguardata nella sua universalità. Che
cos'è
mai cotesta triplicità universale? È
mentalità in
sé, è
dialettica in sé, è oggettività in
sé. Ella dunque
non
può esser considerata nell' individuo, ma
fuori del-
l'
individuo, in un soggetto appo cui le
primalità del-
l' essere
si convertano e compenetrino: il che
è davvero
impossibile
nell' individuo, come quello che non
è il
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OAP.
VII.J DEL CONOSOEBB METAFISICO. 379
pensiero
(voùc) ma la facoltà del pensiero
(vouc ^wa^ust)
secondo
la sentenza aristotelica.* Se il P^imo
metafi-
sico,
inoltre, fosse indeterminato, non avrebbe
alcun
opposto,
quantunque serbasse distinzione come oggetto
di
pensiero. Al contrario éoncepito come
determinato,
e'
tosto diventa obbiettivo ; e così da
Primo vero metafi-
sico assume
virtù di Principio metafisico. Or che
cos' è
questo
principio metafisico? Che cos'è la realtà
alla
quale
ei si riferisce? È l'Assoluto: ma
l'Assoluto che è
davvero
assoluto, come appresso mostreremo.*
'
ÀR1ST., De An.t li, iv. Cfr. anche la Metaph.,
Vili.
'
Secondo l'interpretazione che noi qui
abbiam dato alla sentenza
del
Vico 8i può dire che il Primo
Meta/uico, essendo il vero in attinenza
col
realtf sia il Fatto, cioè il fatto
del pensiero speculativo, il fatto della
scienza
che convertesi col Vero assoluto, il
quale, come vedremo, è il Primo
fatto
per eccellenza. Accade perciò che il
Primum Verum Metaphysicum
debba
riguardarsi come anello di congiunzione fra
la Logica e la Me-
tafisica;
ond'ò che fra queste due scienze,
anziché esserci quella me-
diazione
Hegeliana la quale in sostanza ò una
compenetrazione asso-
luta, ci
è invece conversione; e la conversione
esprime non già identità
nella
difTerenza, ma identità e insieme
differenza. Vi è, in altro parole,
medesimezza
di legge, di forma, e qnìndi
continuità ideale; ma ci è pure
differenza,
differenza essenziale, differenza di contenuto,
e però intervallo
retde.
Ecco perchè il Vico, svecchiando un
principio aristotelico, afferma:
«
Qìullo eh* è metafisico in quanto
contempla le co»e per tutti i generi
del-
V
eteere, la steesa è la logica in
qwanto considera le cose jìer tutti i
generi
di
eignificarle. » Questa relazione fra la
Logica e la Metafisica fu dal no-
stro
filosofo incarnata sotto forma simbolica
nella IHpiniura ; e nell' Iv^ro-
duzione
alla Scienza Nuova la venne determinando
nel concetto del M(»ndo
DILLE
Menti r di Dio. Menti pensiero
spirito, e perciò Psicologìa Lo-
gica e
Ideologia, come vedemmo, formano tutt*un
processo. Un processo
ha da
essere anche V Assoluto. Ma le Menti
e Dio formano anch' essi
un
processo, un organismo, un Mondo: in
quanto che fra que'duo
termini
ci ha da essere conversione. Questo
tutto organico lo dicemmo
proceeto ideale
per parte del primo termine, cioè
delle Menti, nel senso
che ha
da essere mediazione razionale, conoscitiva.
Perciò Primo vero
metafineo
e Principio metafinco. Logica e Metafisica,
Menti e Dio, com-
pongono un Mondo;
un Mondo superiore a quello della
Natura nonché a
quello
dello Spirito, inteso questo come sviluppo
isterico, come storia
che è
Vita Humani Qeneri», Dal tutt' insieme
quindi si vede come il
suo
Primo Vero metafineo non sia nient'
affatto una vuotaggine, un* en-
tità formale
e puramente astratta. È la sua luce
metafieica^ non già
indeterminata,
anzi determinata mediante sé stessa;
determinata me-
diante il
processo eduttlTO. È il risultato
estremo del Noùc attuale e
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380
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
Veniamo
al vivente rappresentante del Neoplatoni-
smo in
Italia. L' illustre Mamiani ha visto la
necessità
d'imprimere
novella forma e rigor logico alla
dot-
trina
platonica della conoscenza, modificando la
teorica
del
Gioberti, e correggendo quella del Rosmim'.
A spie-
gare perciò
l'elemento universale del pensiero ei si
raccomanda
alla solita àncora di salvezza, l'Intuito
del
l'Assoluto,
ma con V interposmone delle idee; le
quali per
lui
somiglierebbero quasi ad altrettanti spiragli
ond'alla
mente
lampeggia la Divinità. Tutto ciò, del
resto, non
toglie
eh' egli abbia da ammettere doppio
ordin di co- '
noscenze,
percezioni e intellezioni, assai diverse
fra loro
e pur
fra loro collegate per via di
rappresentansia. Ma
non
potendo intrattenerci a riassumer le
ragioni sopra
cui si
regge cotal dottrina, ci ristringiamo a
far poche
osservazioni
guardandola segnatamente sotto l'aspetto
psicologico.
Due ne sembrano i difetti principali: T
in-
vocare
l'intuito dell'Assoluto nello spiegar l'elemento
universale
della conoscenza; 2** non dimostrare per
che
mai
ragioni l' ordine delle percezioni abbia a
rispondere
a
quello delle intellezioni.
Se ne
l'intellezione, come vuole il Mamiani, può
rampollare
in modo alcuno dalla percezione, uè
questa
ci ha
che vedere con quella tuttoché entrambe
devano
esser
congiunte in armonia; la dottrina
psicologica del
rifleASo;
epilogo della scienza psicolo^^ica, e però
Defìnwione e Principio
della
Metafisica. Or la luce in quant* è
oggetto del Noù; potenziale no!
la
dicemmo metafitioa perchè, quantunque superiore
al sensOf è nondi-
meno po9ta
da natura, ò originaria, e quindi
essenzialmente obbiettiva.
La
conclusione dunque parmi chiara : Primo
pticologico, Primo logico' e
Primo
vero metaJUioo non sono tre entità
ruote e formali, giuochetti
d'astrazione,
indovinelli da algthritiij come direbbe lo
stesso Vico, ma
sono
tre anelli d* una medesima catena,
tre momenti dinamici d* una
medesima
energia essenzialmente obbiettiva. Questa (per
concludere contro
i
Neoplatonici ontologisti) parmi V interpretazione
più acconcia del rap-
porto che
il filosofo di Napoli pone fra il
/Vìnto logico e *1 Primo vero
meta/uieo,
e quindi fra T ordine logico e
T ordine ontologico. Ogn' altra
non
riescirebbe a salvarlo dalle contraddizioni
col proprio metodo, e tanto
meno
poi dalle incongruenze con la ragion
filosofica positiva.
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GAP.
Yll.] DBL
OONOSOSBB MBTAFI8I00. 381
Pesarese
parrebbe, come ad altri è parsa, una
specie
d'alcliimia.
Per quanto diverse, le percezioni e
le intelle-
zioni hann'a
convergere si da appuntarsi quasi due
raggi
in un
centro comune, cKè V unità sostaiìzUàe
dello spirito.^
Or non
è questo precisamente ciò che da
ventidue se-
coli va
chiedendo il pensiero filosofico: come mai,
cioè,
se
diverse, elle compongono fra loro unità?
Abbiamo
un
intùito di qua, e un intùito di
là: la percezione che av-
vertendo un
termine estriìiseco lo apprende siccome
forza,
e la
visione, l'intùito ideale^ che con T
interposizione
delle
idee coglie l' Assoluto. Non siamo già
in una for-
ma di
dualismo psicologico che fu ed è
sempre la pie-
tra
d^nciampo d'ogni fatta platonici? Non
abbiamo
qui
sott' occhio Y etemo e gravissimo difetto
del Neo-
platonismo,
la mancanza di processo? Oltre Talchi-
mia
(col dovuto rispetto al grand' uomo)
qui veggiamo
una
macchina a doppio retaggio: senso e
concetti,
esperienza
e luce divina, fatti e Assoluto
splendente
cui lo
spirito inerisce con marginale adesione, e
per via
di
contatto spiìituale. Chi fa tutto ciò?
Come avviene
tutto
ciò? L'illustre di Pesaro ci dice e
ripete a sa-
zietà, che
fra l'ordine delle intellezioni e quello
delle
percezioni
ci ha corrdaeione ordinata e continua,
ri-
spondenza
puntualissima^ squisitissima armonia.* E sta
bene :
chi non è scettico sistematico non
penerà gran
fatto
a riconoscere e sentire cotesta e ben
altre armo-
nie. Ma
quel che ignoriamo, e pur vorremmo
sapere,
è
appunto il motivo di cotesta squisita
rispondenza. Or
questo
motivo, non ci è, o almeno è
impresa non molto
agevole
rinvenirla nelle Confessioni d*un metafisico^
Pe-
rocché s'io
ho da coglier l'Assoluto mercè l'idee,
o,
meglio,
se è r Assoluto quegli che ha
da comunicarmele
*
Mamiaki, Con/ftioni d'un mttaJUieOf voi. I, p.
158, § IT.
*
Idem, eo<L, p. 158.
*
VeggAsi qual debole ragione, per esempio,
egli apponga al quesiÌK>:
€ come
avvenga che ad una data pereenone
rieponda una daUx idea? »
Voi.
cit., pag. 163, § 2^.
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382
DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. II.
non
già graziosamente, anzi inevitabilmente, quale
ne
sarà
la conseguenza? Sarà che la ragione
onde questa
0
cotesta percezione ha da rispondere a
quella o quel-
l' altra
intellezione, in altro non si potrà
occultare
fuorché
in un vieto occasionalismo, od in una
vieta e
grossolana
armonia prestabilita. Non v'è scampo.*
' No'
parecchi cangiamenti cai è andata sogrgetta
la mente del Ma-
miani,
sol una dottrina è rimasta immutata
nelle sue scrìttnre, e della
quale
ei si loda più d* una volta. È
la dottrina su la percezione, che il
nostro
egregio amico prof. Ferri dichiara
bellissima. Bellissima sarà:
ma è
altrettanto salda? Forse che Ano dal
1837 il Rosmini con
r
acuta lama della sua crìtica non la
ridusse a polvere nel suo Rinnova-
mento f
Intendiamoci bene. La percezione del
Mamiani non è senso, e
nemmanco,
a dir proprio, giudizio. Che cos*ò
dunque? È e im intuire
V atto
involto nella 8en9axione die congiugne in
uno due termini^ oggetto
eentiio
e avvertito come fortOy e soggetto
tentenìe. » {Oonfeasionif voi. cìt,
pag.
68-64; Meditazioni Carte»., e. VII). Or
bene, che è egli mai co-
testo
intuire? Quar è la natura intima di
quest'atto? È difficile
averne
risposta ben determinata. L'animn, dice il
Mamiani più d*una
volta,
è dotata d^una veduta it^eriore di ti
medeaimaj e questa interior
veduta
è quasi occhio mentalcf pupilla spirituale,
anteriore al fatto
della
percezione. Che cos* è, di grazia,
cotest* oeeAio, cotesta pupilla,
cotesta
veduta interiore f È forse un
giudizio? No, risponde: che alla
funziono
giudicativa devq andare innanzi la
percezione. {Confeenoni,
voi.
cit, p. 150). Che cos*ò dunque? Per
quanto altri voglia andar ri-
cercando no'
copiosi volumi di questo Neoplatonico, mai
non gli verrà
fatto
ripescarne risposta. Ora a noi pare
che tal veduta interiore di si
altro
non possa essere tranne che un
ritorcersi, un geminarsi primitivo,
e
perciò un insieme d'oggetto e di
soggetto, una triplicità iniziale, uu
giudizio.
Sarà giudizio sui generis; sarà giudino
fcUto stnxa riflessione
come
direbbe il Vico; ma, in sostanza, ò
giudizio. Se dunque è tale, non
importa
un oggetto? Or quale sarà l'oggetto dell'
infmor veduta, cioò la
luce
di queir occhio, dì quella pupilla t
V Ente possibile no, certo : e
il
Mamiani
con dialettica stringente e per quattro
differenti capi s' accinge
a far
minare dalle fondamenta la teorica
rosminiana, e in parte vi
riesce.
(Ibi, L. II, e. V). Che cosa
dunque sarà? A quel che ne pare,
neanche
qui egli risponde. E, checché possa
dirne, certa cosa è che so
l'anima
è davvero dotata d'una interna veduta
(la quale perciò è logi-
camente
anteriore alla percezione), a spiegar
questa non si può prescin-
dere da
quella. Se la cosa infatti non
procedesse così, in che maniera
la
percezione verrebbe capace di trascendere i
limiti del puro sensato ?
Brevemente
: l' Io non percepisce, V Io non
avverte un termine esteriore
siccome
/orsa, senza eh' e' /)ereept«ca e avverta
so medesimo. Or che
cos' ò
il percepire sé stesso, tranne che un
atto giudicativo ? Dunque
anteriormente
al fatto della percezione
(com' ei la intende), ci ha da
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OAP.
Vn.] DEL
CONOSOERB HXTAFISIOO. 388
Se non
che, la più fresca novità delle
Confessioni
è r
intuizione dell' Assoluto ; quindi la
invitta prova
che ne
scende, secondo il Mamiani, su l'esistenza
di
Dio ;
quindi la salda costituzione a priori
della Meta-
fisica.
Innanzi tutto: se cotesta intuizione non
è altro
fuorché
una semplice contiguità, un' adesion
marginale
del
pensiero con l'Assoluto, non è chi in
essa non sap-
pia
ravvisare quel toccamento spirituale de*
Yecchi Neo-
platonici,
dottrina rinverdita, quindici anni avanti
'1 Pe-
sarese,
dall'illustre neoplatonico Pomari.* Vero è
che
la
sentenza la quale a tal proposito
risulterebbe dal-
l'insieme
delle sue dottrine potrebb' esser questa:
che
il suo
intùito non sia già un atto
originario, potenziale,
essenziale,
bensì tutt' un ordine d' intuizioni per
quante
potrann'
esser le idee attraverso alle quali
avvien che
traspaia l'
Assoluto. Or s' egli è così (né
sappiamo dir
davvero s'
e' sia così), perché aflFermare più
d'una volta,
esser necessaria,
inevitabile uxìl intuizione perenne e im-
mediata délV
Etite sortitaci da natura e dalla
essenza dd
nostro
spirito? * Se l' intuizione dell'Assoluto é
un atto
essenziale,
come potrebbe non esser primitivo? E s'
egli
é
primitivo, non è a reputarsi anteriore
logicamente
alla
percezione? In sostanza, se T'Assoluto é
quegli che
^presenta
al pensiero, e' s'ha a mostrare fino
dal primo
atto
della mente; la quale perciò sarà
mente, sarà pen-
essere
qualcos'altro che ne sìa la vital
condizione. Evidentemente
r
acuta pupilla speculativa del Pesarese non
s* è profondata nolla na-
tura di
siffatta condizione. E puro con quest*
alchimia e' non dubita cre-
dere d*
avere una buona volta composto in
armonia 1* antica lotta fra
Platonismo
ed Aristotelismo !
' Il
Hamiani dice : « balena con evidenza
V intuito cT una poeitiva,
immota
ed universale realtà^,, indeterminata e
inqualiJiiMta e perciò oeeura
e non
deecrivibile, > {Meditaz, Carte»., p.
229.) Non è egli cotesto V oh-
biette
intelligibile colto dall* intùito, nulla
interpoeita creatura, di che
parlano,
per esempio, i seguaci di sant*
Agostino, e, fra questi, il For-
narì?
(Ved. VelV Armonia Univ., p. 74, 75,
ed. cit.).
*
Meditai, Cartee,, p. 234, 294. Questa
sentenza, come ò chiaro, è
in
aperta contraddizione con quell'altra onde
il Mamiani afferma e ri-
pete, nulla
non v'esser nolla sua dottrina d'innato,
nulla di primitivo.
Vedi
Riep, al eig, dott, Akt», Brentazzoli,
Bologna, 1866.
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384
DELLA DOTTBINà FILOSOFICA. [lIB. IL
siero,
solo in grazia di chi le sta
dinanzi. Ora se il yero,
metafisico
o no che sia, non è fatto dalla
mente, ma da
essa
ricevuto, evidentemente il Neoplatonismo del
Ma-
miani
viene a contraddire alla dottrina
psicologica del
Vico,
rompe contro alle severe obbiezioni mosse
al Gio-
berti, e
massimamente soggiace a quella grave
difficoltà
che
Aristotele oppose al suo gran maestro
circa la inu*
tilità
deir esperienza e de' fatti e delle
percezioni, posto
che il
vero e l'universale, in che risiede
propriamente la
scienza,
debba ne' suoi principii derivarci dall'alto
e
dal di
fuori, meglio che dal didentro/
Se non
che, ingegno elegantissimo e ricco di
vena poe-
tica, questo
filosofo spesso indovina. Talora infatti
sem-
bra non
esser l'Assoluto quegli che determina e
significa
se
medesimo nelle idee; bensì la mente
stessa la quale,
generando
cotesto idee, determina idealmente, esprime
e
significa l' Assoluto : tanto che non
sarebbe altrimenti
lo
splendor divino che penetrando quasi
attraverso gli
esilissimi
spiragli delle idee ne promoverebbe
l'intùito,
ma la
stessa virtù riflessa ne verrebbe
argomentando
r
esistenza e la natura per necessità
eduttiva.* Ora solo
*
AbisTm M«iaph.y 1. 1. —II Mamianì
potrebbe dire: il mio intiiito
sta in
ciò, che ogn* idea, avendo a
significare per propria natura un obbietto,
debba
importare un' enistenza etema, ed una
$peciaU determinazione ddVente
aMolìtto
e infinito. — Accettiamo anche questa
posizione. Che cosa ne
Terrà?
Poiché gli obbietti tignijiecuiei dallo
idee non potranno esser al-
tro salvo
cho determinazioni ad intra o
determinazioni ad extra del-
r
assoluto, sorge la necessità di spiegare
se 1* intuito s* appunterà verso
le
une, meglio che verso le altre.
Stando alla dottrina della maboinalb
ADS8I0NR
e del toecawtento epirituale, V intuito,
non essendo un atto pene-
trativo,
coglierebbe le seconde anzi che le
prime: e quindi, innanzi ogni
altra
determinazione dell* assoluto, dovrebbe afferrar
quella dell* atto
creativo.
Or se questo è vero, parmi evidente
come la dottrina del
Mamiani
su la conoscenza non si discosti
neppur d*un apice, quanValla
sostanza,
dalla dottrina del Gioberti, il quale
non ha mai preteso che il
suo
intùito abbia da essere un atto
penetrativo. — Ma il termine esterno,
il
sensato (egli dirà) si ha per via
di percenone, — Ad un acuto Qio-
bortiano
qui non tornerebbe guari difAcile cogliere
V autore delle Oon-
fe99ioni
in aperta contradizione con so medesimo.
*
Nelle Con/e99Ìoni è sempre T Assoluto
quegli che s'affaccia ed
eccita
e promovo lo spirito al pensiero, e
solo in qualche luogo (per
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OAP.
VII.] DEL
OONOSGSRE 1IBTAFI8I0O. 385
per
cotesta via egli avrebbe potuto correggere
il Gioberti,
e
riconoscere insieme la parte di vero
che è pur nelle
dottrine
Rosminiane. Solo per cotesta via
avrebb'egli
inverato
il Platonismo, e dischiuso fra noi un
periodo
novello
di speculazione feconda, razionale, positiva
e,
che
più rileva, conseguente alla storia della
scienza.
E solo
per cotesta via non sarebbe incappato
nella in-
coerenza di
porre l'Assoluto come uiroOt^tc, e in
un'ora
medesima
dichiararlo oggetto d'intùito. Perocché se
con
l'analisi
delle idee ci è dato risalire per
logica neces-
sità fino
a cotesta uttotsjc;, a me pare che
una dottrina
psicologica
0 ideologica, la quale invochi '1
sussidio d'un
intuito,
sia un fuor d'opera addirittura. —
Con ciò stesso
avrebbe
corretto il valor rappresentativo delle
idee,
eh' è
r altra originalità cui pretende il Neoplatonismo
del
Mamiani. Quale attinenza è mai fra
l'idea e l'ideato?
Non
quella di somiglianza come han creduto
balorda-
mente i
Malebranchiani, egli risponde; ma si quella
d'una
vera e propria significazione. Eccolo
dunque anche
qui,
senza addarsene, alla famigerata wa/jo^ix
platonica
tanto
invocata dal Gioberti nella sua prima
maniera di
filosofare.
Nel che il Pesarese, anziché progredire,
è ri-
masto molto
indietro all' autore della Protólogia nella
quale,
com' é noto, il concetto della
piOiSi; rivelasi im-
prontato
d'una forma novella, e, fino a certo
segno, origi-
nale. Ma
lasciando stare del regresso e dello
scadimento
notevolissimo
che nella specuhizione italiana ci segnano
le
Confessioni d' un Metafisico ove si ponga
a riscontro
lo
dottrine del Mamiani con V ultima
forma cui s' era
levato
r ingegno potentissimo del Gioberti, è
bene qui
accennare
un'ultima osservazione su l' attinenza che
il
Pesarese
pone fra le intellezioni e il loro
obbietto.
68. a
p. 95 e seg., voi. cit.) fa
trasparire la nuora tendenza cni allo-
diamo.
Ma noU* opuscolo dì risposta ni
Bonatelli (Bologna, 1868, p. 49)
questa
tendenza è pid chiara, tuttoché manifestata
foggevolmente e
forse
Inconsapevolmente. Dico inconsapevolmente perchè
nelle Medita-
zioni
rinnovate e* ricasca nella solita
presenaialità, nella tolita marginale
ndenone^
come ci attestano le sentenze qna
dietro riferite.
SlCIUAM.
S6
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by VjOOQ IC
386
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. Il
Le
idee importano il divino, egli dice;
poiché non
sono
fuorché altrettanti simboli, altrettante
significa-
zioni dell'
Assoluto. Se questo è vero ne segue
che, in
quanto
simboli e segni, elle non avran
valore infino a
che
cotesti simboli non siano intesi e
interpretati. Ma
come
la mente potrà giugnere ad intendere
e inter-
pretare
siffatti segni? Mercé l'ordine delle
percezioni.
Or
bene, se l' idea non basta a
significar sé medesima
né a
farsi intendere da sé, evidentemente per
noi
ell'é
come un chiaror confuso, vago,
indeterminato,
insignificante,
e quindi al tutto inutile alla
scienza.
D' altra
parte, se l' ordin delle percezioni é
di sua na-
tura
cosiffattamente limitato da essere incapace
a darci
r
universale, non potrà non riescire anch'
egli d'ingom-
bro inutile
alla mente. Si dirà di poter superare
il fe-
nomeno e
attinger la scienza mercé il connubio
dell'or-
dine
percettivo con l'intellettivo? Questo é per
l'appuntò
ciò
che pretende il Mamiani. Ma, se eoa
fosse, non ved-
remmo ad
assomigliare il regno della scienza e
delle idee
a
quello di natura e delle fisiche
efficienze, ove se a
due
cavalli non vien fatto di tirarsi
dietro un carro vi
potranno
benissimo riescir quattro? Il Mamiani
afferma
non
dimostra la platonica 7ra/)0Tc«: afferma,
non dimostra
la
platonica xotvwvèa. E per tutta
dimostrazione ci an-
nuns^ia
che l'idea é significativa, perché? perché
havvi
un
obbietto nel quale debb' ella
necessariamente termi-
nare. Or
in che modo legittima egli cotesto
obbietto?
Lo
legittima, come s' é visto, dichiarandolo
presente^ po-
nendolo
presente! Questo é proprio il nocciolo
maga-
gnato del
Neoplatonismo. La preserunalUà dell'Assoluto
è
un'ipotesi, un'affermazione arbitraria: ecco
tutto.*
*
Corte dottrine del Mamiani ci ricacciano
addirittura fra i Plotino,
i
Proclo e gli Ammonio, appo cai facilmente
troverebbe riscontro il sno
concetto
del Bene. E chi pigliasse poi a
rovistare attentamente nelle
antiche
scuole, per esempio nel vecchio e
anonimo autore della Teologia
(Rayaibson,'
op. cit., t. II, p. 542), potrebbe
ritrovar più che un germe
della
dottrina sn \*influxu$ divintu che neir
Arabismo e anche nella Sco-
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CAP.
VII.] DEL
CONOSORBB METAnSIOO. 387
Concludiamo.
Noi abbiam dovuto fare una critica
rapidissima
del Neoplatonismo italiano considerandolo
segnatamente
sotto l'aspetto psicologico, perchè i tre
filosofi
di cui abbiamo toccato ci rappresentano
le posi-
zioni più
serie, le forme principali ond'il
Platonismo
crede
attinger l'obbietto metafisico. Rosmini è
il meno
dommatico,
il meno arbitrario, il piii positivo
e quindi
il
meno platonico fra tutt' i platonici.
Egli pecca nel
porre l'
essere della mente come ideale; e lo
sbaglio di
siffatta
posizione vale a spiegarci le
contraddizioni in cui
spesso
ha inciampato nella psicologia, nonché le
gravi
manchevolezze
nel suo disegno ontologico su le tre
forme
dell'
Essere. Assai piii del Rosmini pecca
il Gioberti nella
dottrina
psicologica affermando l'essere come reale
e,
che
più monta, come recde determinato. Non
meno del
Gioberti
e del Rosmini pecca il Mamiani
ponendo co-
testo reale
come infinito in se, e come presente
al pen-
siero mercè
l' interposizione delle idee. Si direbbe
dunque
che il
Neoplatonismo italiano, in questi tre
filosofi, abbia
progredito
su la via dell' a priorismo e
dell' iperpsico-
logismo.
Essi han dato tre passi, ma
indietreggiando
sempre
più; perchè con l'esagerare l'esigenza
platonica
han
trascurato l' esigenza aristotelica, tuttoché
ciascun
d'
essi abbia creduto d' aver impresso oggimai
un ac-
cordo
definitivo fra' sistemi de' due vecchi
filosofi. L'ul-
timo
segnatamente, il Mamiani, mostra d'aver
progredito
assai
più del Rosmini e del Gioberti in
questa via. Sotto
certi
rispetti, infatti, il Neoplatonismo del
Pesarese par
che
confini col Teologismo: talora anzi vi
si confonde,
chiunque
ripensi a quelle cinque differenti maniere
(oltre
la
sesta della comunione ideale ond' abbiamo
parlato)
mercè
cui egli stima debbansi attuare gV
influssi divini. E
Dio
che crea l' anima, e la fa esistere.
Ma è anche Dio
che le
fa intendere presentandosi a lei attraverso
le idee.
È Dio
che le fa ammirare il bello, e
incarnarlo. È Dio che
lastica
tien luogo del processut. — (Vedi lo
stesso Rayaisson , voi. cit., p. 552
—
Vachebot, Hi8t, critique de VÉcole
d'^Alexandrie, T. II, iv.)
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383
DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
le fa
operare il bene e la virtù. Che
più altro? È Dio per-
fino che,
disponendola ineffabilmente, la eccita, la
trae
all'adorazione.
È proprio il regno di Dio su
questa nostra
terra
1 E Y illustre Mamiani potrebbe oggi
ripetere le
pietose
e calde parole del Malebranche: 0
Dieu! exaucez
ma
prière, après que vous Vaurez formée
en mai!
Capitolo
Ottavo,
continua
lo stesso argomento.
{Critica
del NeoarigtoteUsmo),
Notammo
come il principio del conoscere metafisico
immediato
ponga radice, per dirla con le parole
di He-
gel, nel
rapporto d' un nesso primitivo ed
essenziale fra
il
pensiero e T Assoluto, fra il soggetto
e T oggetto/ Àb-
biam
visto come il Neoplatonismo italiano
moderno
propugni
questa connessione sotto tre forme più
o manco
razionali;
e come abbia quindi a tornare assai
difficile
al
Rosmini, e molto più al Gioberti e
al Mamiani, li
potersi
difender dair accusa di panteismo ideale.
Gli
estremi
si toccano anche qui. Con la teorica
dell' intui-
zione e
deir immediatezza i nostri Neoplatonici
riescono,
checché
se ne dica, a' risultati cui perviene
la dottrina
della
mediazimie propugnata dagli altri nostri
viventi
filosofi,
seguaci caldissimi dell'Idealismo germanico.
Dicemmo
qual sia la doppia esigenza onde il
Neo-
platonismo
si divaria dal Neoaristotelismo quant'al
co-
noscere
metafisico (pag. 365). Per la natura
istessa di
questa
doppia esigenza avviene che, come nel
primo,
cosi
pure nel secondo indirizzo sono possibili
più forme,
più
maniere, più metodi, sia che si tolga
di mira il
modo
con che si crede poter attinger
l'assoluto, sia
che il
risultato ultimo a cui si potrà
giugnere. Non
«
Hegel, Log., yol. I, p. 384, §
LXIX.
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OAP.
ym.]
DSL 0OVO80BBS lOSTAFIBIOO. 389
volendo
tener conto di quella vieta e volgar
maniera
di
mediatezza che, quantunque sotto aspetti
differenti,
fa
sempre un salto mortale quando presuma
levarsi
dall'effetto
alla causa e dal dato alla condizione
del
dato;
possiamo ridurre a due le forme più
generali e
comprensive
di tal mediazione. Esse, al solito,
risal-
gono a
que' due estremi in che dicemmo
sdoppiarsi
r
Aristotelismo: perchè anche nella quistione
metafisica
il
primo di cotest' indirizzi ci è oggi
rappresentato dal
Positivismo
e dal Materialismo; l'uno affermando, nulla
mai
non potersi conoscer di metafisico, e
l'altro innal-
zando a
dignità d' assoluto la stessa materia,
senza
legittimarne
menomamente il concetto. Il secondo poi
vuol
essei^e anch' egli avvisato sotto doppio
rispetto,
potendo
assumere due forme che, per due
differenti
ragioni,
rivestano entrambe carattere iperpsicologico.
Si può
infatti mantener la posizione d' un.
immediato
irradiamento
per virtù d'un principio superiore, gene-
rale e
comune^ e s' ha uq indirizzo averroistico
; il quale,
benché
storicamente sìa come un virgulto sbocciato
nel
giardino
dell'Aristotelismo, può siffattamente svolgersi e
grandeggiare,
come nel fatto è avvenuto, da
toccarsi e
talora
confondersi col Neoplatonismo. Ma, d'altra
parte,
può
assumere forma squisita di scienza, e s'
ha, come
ne'
tempi moderni, una delle tre maniere
dell'Idealismo
germanico
appellate subbiettiva, obbiettiva, assoluta.
Sennonché
è da notare come fra tutt' i
sistemi quello
dell'assoluta
identità serbi '1 distintivo d'esser
natura-
lismo e
ipei-psicologismo insieme, e racchiudere, co'
molti
pregi,
i moltissimi difetti dell'uno e dell'altro
indirizzo.
In
metafisica l'Hegeliano è iperpsicologista.
Perocché
quantunque
non attinga l' assoluto per opera d' un
in-
tuito e
d'un'immediata visione più o meno
spiccatamente
neoplatonica,
dice e crede mostrare di poterlo
cogliere
quasi
d'assalto, come toccammo, cioè per
stibitanea ed
assoluta
astraeione dd pensiero puro. Dice e
crede mo-
strare di
poter dedurre a tìl di logica la
dialettica che
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390
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
per
lui costituisce la chiave di volta d'
ogni scibile e
d' ogni
ordine di realtà.. Anch' egli dunque
trascende; e
però anch'
egli vizia l'esigenza d'un positivo e
severo
psicologismo.
Ma, oltreché iperpsicologista, l'Hegeliano
è
anche naturalista. Checche se ne dica,
la sua logica
obbiettiva,
la dialettica intrinsecata e compenetrata
con
la
stessa metafisica, non è altro alla
fin delle fini che
imitazione
e ripetizione della stessa natura, delle
stesse
leggi
di natura, tuttoché ridotte al grado
più univer-
sale e
squisito di trasparenza ideale, pura,
assoluta, per
cui la
forma costituisce lo stesso contenuto, e
viceversa.
Il
perché se l'Idealismo assoluto, come
altrove notammo,
è
stato detto con felice espressione esser
V àlgebra dd
naturalisino,
con altrettanta verità può dirsi essere
un'
algebra della psicologia, del pensiero e
delle idee ;
tanto
che ci sarà lecito designar come
indovinello d'alge-
bristi
(direbbe il Vico) quell'assoluto che gli
Hegeliani
con
miracolo non mai visto fanno venir
fuora dalle neb-
biose alture
della dialettica. Possiamo dunque affermare
che
Positivisti e Idealisti assoluti oggi
rappresentino gli
estremi
indirizzi dell' Aristotelismo. E queste due
forme
neoaristoteliche,
tuttoché fra Joro si differenzino toto
cedo
nel metodo e nel concetto della
scienza, nuUameno
si
toccano ne' risultati, massime in quello
risguardante
il
valore e '1 destino dell' umana
personalità.*
* Chi
tien conto della necessità d* ìndole
tutta fisiologica ed empi-
rica
secondochò è intesa da' positivisti e
da* niaterìalisti, e della necessità
tntta
dialettica ideale assoluta com'è concepita
dagli Hegeliani, tosto
8*
accorgerà d' un* altr* attinenza fra queste
due tendenze della moderna
speculazione.
Il dinamismo noli* essere, nelle cose,
nella scienza e nella
storia,
sparisce cosi per 1* una come pet
1* altra dottrina. Meccanismo
ideale,
come dicemmo, e meccanismo fisiologico e
materiale: necessità
logica
e formale, e necessità empirica e
meccanica; ecco tutto. Oggi
dunque
potremmo affermare dell'una e dell'altra
scuola ciò che Aristo-
tele diceva
de' pittagorìci e de' platonici: 'A).Xa yiyovi
roì fiscBri-
fixrcx.
To?c vvv >j ^tXoao^ia {Metaph, I.) Cosi Hegeliani e
Positivisti,
come
avvertimmo nella Introduxione, tuttoché movano
da due punti Uh
loro
interamente diversi ed opposti, riescono
pur nullamanco fid una me-
desima legge.
E come al Platonismo primitivo tenne
dietro la scuola di
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GAP.
Vm.] DSL G0N08C£BB METAFISIOO.
391
Rifacciamoci
da' Positivisti, i quali, ove discoiTono
intorno
al problema del conoscere metafisico, non
mo-
strano
quella serietà scientifica della quale non
pertanto
vanno
lodati quando parlano de' principi!
metodici da ap-
plicarsi
alle scienze. Quant' al problema d'una
realtà
metafisica
e' non sofirono d'esser messi in un
fascio con
gli
scettici sistematici e co' nullisti ;
e, davvero, non han
torto.
I Positivisti infatti ci parlano d'
un Inconoscibile.
Dunque
essi confessano V esistenza d' un obbietto
trascen-
dente. Ma
come legittimano cotest' obbietto? Come ne
determinano
l'idea tosto che ne parlano? I
Positivisti
francesi
ne discorrono, ci piace ripetere anche
qui la
frase,
come d' un oceano immenso^ doni la
daire vision
est
amsi salutaire que formidable.* I
Positivisti inglesi
poi ci
porgono un concetto più determinato di
cotesto
Deus
àbsconditus, àicenàoìo potenza, forzc^ di
cui V uni-
verso è
simbolo e manifestazione}
Il
positivista francese qui, com' è evidente,
s' addi-
mostra pili
positivo, 0 meglio, più negativo
dell'inglese,
e
quindi più timido, più
circospetto, più scettico di
di
Speusippu cbe radiò addirittara il numero
ideale (yortroc, sc^yjtcxo;)
sostitueodoTì
il nunioro sensibile appunto perchè queir
idea come astratta
e
generale parevale cosa inutile (Arist.
Metaph,, XIII. Rataibbon, i!^>eu-
9ippe);
parimente oggi Positivisti e Materialisti,
in luogo dell* /iea, pon-
gono' II
Fatto e la Materia; e cosi mentre
negano V Idealismo assoluto,
mostrano
d'arer con osso doppia ed intima
relazione, una storica e l'altra
teoretica.
La storia del pensiero filosofico
progredisce, non v'ha dubbio:
ma
anche nel progredire si ripete. Ecco
qua -una prova, chi vuol vederla.
* E.
LiTTBi, A, Comte et la Phil. Poeit.,
2« ed., p. 529. Per quanto
negativo,
nullameno questo concetto del Littré su
V Assoluto è una cor-
rezione deir
idea del Orand' Eetere intorno alla
quale con tanta vuotag-
gine avea
finito per arzigogolare il Comte.
* H.
Spencer, Firft Prìnci^ee^ ed. cit., e.
I. Alcune idee di questo
scrittore
su V obbietto metafisico superano quelle
di St. Hill. L* Autore
del
Sietema di Logica parla del soprannaturale,
come notammo in altro
luogo,
da schietto formalista, senza poterlo
quindi legittimare in altra
guisa
che per empirica credenza. (Ved. A,
Comte et Le Potitivitme, p. 15.)
La
relatività del eonoecere per lui non
è, a dir proprio, quella di Spencer,
e
neanche quella de* Positivisti francesi.
Vedi il novero eh* egli stesso
fa de*
diversi modi con che può intendersi
la relatività della conoscenza
nella
PhiL de Hamilton, ed. cit.
e. I.
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392
DSLLA DOTTIUNA FILOSOFICA. [lIB. H.
fronte
alla scienza : ma le contraddizioni
in che restano
entrambi avviluppati
son le medesime. Anch' essi in-
fatti, i
Positivisti, obbediscono e rendono omaggio
al
bisogno
speculativo che punge ed eccita continuo
il pen-
siero
filosofico, stantgchè non solo riconoscono
la realtà
d' un
oggetto trascendente, ma lo determinano, lo
pon-
gono, lo
specificano in qualche modo. Che cos'è,
per
esempio,
l'Inconoscibile onde ci parla l'illustre
Spencer?
È il
fondo occulto delle religioni, e insieme
l'estremo
termine
a cui riescono le scienze. Le
religioni pongono
tale
obbietto per virtù d'istinto: le scienze
lo subiscon
per
legge del proprio svolgimento. Tra fede
e ragione,
perciò,
non v'è antagonismo: l'Inconoscibile n'è l'
ob-
bietto
comune. Conciliarle dunque è possibile,
tosto che
s'abbia
diffinito le idee madri onde scienze
e religioni
sono
inviluppate. E poiché le une in
sostanza Aon fanno
che
riconoscere ciò che le altre contengono
ed espli-
cano
istintivamente, ne segue che lo spirito
umano'
per
mezzo della scienza perviene là ond'
egli stesso era
partito
con la fede, cioè all'Inconoscibile.
Il
pensiero del filosofo inglese è chiaro
e spiccato,
ma non
altrettanto vero. Innanzi tutto: perchè le
reli-
gioni e
molto più le scienze non potranno
pervenire a
render
conoscibile in alcun modo l' Inconoscibile
di cui
pur
confessate la realtà? Forse che tale
impossibilità,
ripetiamolo,
non contraddice apertamente all'attività
critica
del vostro pensiero speculativo, alla
stessa esi-
genza del
vostro metodo critico e positivo? Non
dubi-
tate
affermarlo esistente cotesto Inconoscibile.
Giungete
anzi a
determinarlo come forza di cui V
universo è ma-
nifestojsnone.
Or bene perchè non dare un altro
passo?
Perchè
non ispecificar l'attinenza eh' è tra
l'Incono-
scibile e
'1 conoscibile? In altre parole,
domandiamo:
col
porre i termini, non siete già nella
necessità logica
di
mostrarci in qualche maniera la relazione
di essi,
dirci
quale attinenza interceda per avventura tra
la
forjsfa
e la sua manifestazione, quale sia il
vincolo che
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OAP.
ym.] DKL
OONOSOERB HBTAV18IG0. 393
annoda
insieme la potenza e l'universo onde
quella
potenza
è simboleggiata? Brevemente: siete qui in
una
forma
di panteismo, o di teismo? Il
Positivista non
risponde;
e pur dovrebbe: dovrebbe se davvero
amasse
mostrarsi
ed esser positivo.
Inoltre,
l'Inconoscibile onde move la fede, e
Fin-
conoscibile
cui giugno la scienza, dice lo
Spencer, sono
una
cosa. Ma perchè? Perchè col prodotto
confondere
due
facoltà fra loro diverse? L'Inconoscibile
della fede
incontra
un limite invalicabile in questa o
cotesta intui-
zione
particolare in cui l'Assoluto è compreso
dal sen-
timento
religioso appo un dato popolo, e
presso una data
civiltà. L'
Inconoscibile delle scienze, invece, è l'
inco-
noscibile di
ragione; e, come tale, non può
restare per-
petuamente
indeterminato, pel solito motivo che, ove
rimanesse
cosi necessariamente, l' indagine positiva an-
nullerebbe
sé stossa; e annullerebbe sé stessa
perchè
r
esigenza critica non sarebbe altrimenti un'
esigenza
invitta,
naturale, un irresistibile e crescente
bisogno
speculativo.
Ora se il contenuto della fede è
condizio-
nato ad
una forma speciale; se per la natura
stessa
della
funzione psicologica ond' ei rampolla riman
chiuso
e
quasi cristallizzato nella particolarità d'un
senti-
mento:
perchè, domandiamo, voler condannare alla
medesima
sorte T Inconoscibile delle scienze? Perchè
così
inesorabilmente pretendere di segnare i
confini alla
ragione
ponendo limiti all' attività del pensiero
specu-
lativo, eh'
è pur la forza più libera
dell'universo? Non
è
anch' ella, cotesta, una forma di
dommatismo ? *
' 11
PositiTÌsto dirà: tosto che voi pigliate
a determinare Vlitco-
no9cihile,
siete già beli* e uscito dalla
scienaa^ e cadrete nella metafisica.
Verissimo:
questo accade, e questo appunto deve
accadere. Altrove mo-
strammo come
ciascuna scienza, come tutte le scienze,
riescano inef-
ftcaci
nel tentare la soluzione di certi
problemi, segnatamente nel de-
terminare il
concetto àeWAt^oluto (lib. II, cap.I). Il
Positivista che è tutto
scienza
e solamente scienza, da una parte ha
paura della speculazione,
mentre dall*
altra sente il bisogno di determinare
in qualche modo cotesto
assoluto,
e lo determina, per esempio, alla
maniera dello Spencer o del
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394
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [iJB. II.
Concludiamo
quant' a' Positivisti. Il Positivismo fran-
cese
rispetto al conoscere metafisico ci dà
un Immenso
indeterminato
; un Incondizionato reale, 11 Positivismo
in-
glese poi,
facendo un altro passo, determina vie
più cotesta
ignota
realtà, e giugne ad affermare che le
forze, la
materia,
il movimento, la vita e l'universo
non siano
fuorché
simboli e rappresentazioni.- Altre affermazioni
d'altre
maniere di Positivismo che pongano T
assoluto
senza
penetrar nel regno della metafisica^ io
non cono-
sco; ne,
a dir vero, sono possibili.*
Littré
con offesa apertissima della logica. Ora,
chi non voglia offendere
non
pur la logica ma neanche il hnon
senso, e insieme salvarsi dalla
contraddizione,
dove altro può penetrare, uscendo dal
regno delle «ctetue,
fuorché
in quello della tiietajUiea^ ma della
metafìsica intesa non già come
scienza
/>rtma, anzi ultimaf Determinare in
qualche modo la Potenza di cui
r
universo è manifestazione; specificaro questo
Immento formidàbile e pvr
•alutare
oltre cui non sa penetrar rocchio
dello Scienze ma della cai
realtà
nessuno che abbia mente sana potrà
dubitare; cotesta impresa,
diciamo,
non è né impossibile nò puerile,
altro che per gli animi volgari,
incuranti
e stupidi. La relatività nel conoscere
non ò muro di bronzo;
non è
oceano assolutamente sconftnato. Il conoscere
metafìsico è pos-
sibile ;
ma ò possibile come aesolato e come
relativo insiememente. È a«-
eolutOf
nel senso che salva il pensiero dal
nullismo metafìsico; ed è re-
lativoj
nel senso che non istringe la mente
entro la rigida catena d* una
formola
sistematica. Se intanto ò vero, come
dice Io Spencer, che tra V In-
conoscibile
delle religioni e V Inconoscibile delle
scienze non esiste antago-
nismOy
no viene che, fra gli altri fini,
la speculazione metafisica debba pre»
figgersi
anche questo: trasformare la fede,
interpretar la credenza, porre
a nodo
il germe delFidea che pure si s
voi ve attraverso le produzioni mi-
tiche,
superare il sentimento riducendo l'immaginazione
a ragione se-
condochò
richiede il processo psicologico (Ved. ciò
che abbiamo discorso
nel
cap. V, lib. Il), e siffattamente
porgere guarentigie sperimentali al-
l'inveramento
della scienza mercè le applicazioni
storiche in generale.
* In
questa rapida critica su la tendenza
metafisica del Positivismo
non
abbiamo tenuto conto dell' Umanismo di
Ausonio Franchi, e del
suo
Dio ddV Umanità che nega il Dio
detta Bibbia {Razionalismo del
popolo,
Ginevra, 1856), e neanche del Fatto
della vita, àeW Istinto ài cui
parla
il Ferrari {Filosofia della Hivol, voi.
11), perchè non ci paion con-
cetti scrii,
né degni di critica seria. Quando s'
è detto che il Dio Umanità^
che la
Vita della storia con tutte le sue
leggi non sono che due fatti
i
quali perciò abbisognan d'una spiegazione,
s'è detto tutto. Ora a co-
testa
qualsiasi spiegazione non sanno e non
vogliono accostarsi questi
due
arditissimi scrittori per paura della
metafisica; e però non sono
positivisti,
L' uno è critico, non Criticista, com'
egli pretenderebbe giac-
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OAP.
Vili.] DEL
OONOSOBBB MBTAPISIOO. 395
Or
bene, la filosofia positiva, la
speculazione razio-
nalmente
positiva, accetta, deve accettar l' una e
V altra
posizione
de' Positivisti inglesi e francesi, perchè
ci rap-
presentano
entrambe uno sforzo di metafisica, perchè
sono
entrambe un preludio alla metafisica. Se non
che
esse
sono una metafisica incosciente, una
metafisica ne-
gativa,
perchè sentono ma non soddisfano l'esigenza
speculativa.
Come dunque soddisfare all'esigenza dav-
vero
positiva nella speculazione trascendente? Eviden-
temente
bisognerà appagarla superando il negativo,
superando
quel sazievole non so, quel non mi
preme
sapere^
quel non si può sapere che ad
ogn' istante e con
incredibile
noia ci ripetono i Positivisti, ma
nel me-
desimo tempo
restare nel positivo. E qual è il
positivo
in
metafisica? Lo dicemmo già, e lo
ripetiamo: schivare
gli
estremi ; perocché il nemico mortale
della positività
metafisica
son le colonne d'Ercole del tutto
sapere, e
del
nulla sapere metafisico (cap. I, 1.
II). Se quindi la
vera
filosofia positiva ha da accettare quel
che il Posi-
tivismo ci
dà e nel medesimo tempo superarlo in
forza
dello
stesso metodo positivo, deve accogliere l'
esistenza
che il
crìticista, il vero Kantiano affinchè sia
tale, dehb' esser tutto d*un
pezzo,
dero accettare anche i sommi pronunziati
della Ragion Pratica,
Ausonio
dunque è un puro critico, un critico
sottile, è il doctor mbtilissimwi
de* dì
nostri, abile scaltri mai a trovare
il pel neir uovo neMibri altrui,
ma non
così nel dare una dottrina, una
teorica propria, fosse pur la teorica
del
giudizio. Il Ferrari invece è scettico
sistematico^ meravig^lioso nell* acca-
tastare
erudizione come nel distrugger sistemi, ma
nullista in metafisica
al
pari d* Ausonio. Costoro perciò son
fuori d* ogni forma di Platonismo
e
d'ogni forma d'Aristotelismo; e se ne vantano;
e se ne gloriano: e
si
sortano pure! Ma non sono fuori della
storia, chi sappia che cosa vo-
glia dire
storia della scienza e della filosofia.
Franchi e Ferrari hanno
esercitato
fra noi quella funzione, parte benefica
e parte malefica, che vie-
ne
esercitando lo scetticismo in certi dati
periodi storici; funzione al
tutto
negativa, ma necessaria (p. 207,e sog.).
Ma la storia dovrebbe insegnar
loro
due cose: che il l)Ì80gno speculativo
è uu gran fatto, e che la
possibiltà
d' una
metafisica positiva non è un sogno. A
questi critici e scettici, di cui
fra
noi oggi non è penuria, opponiamo un
dilemma invincibile do) prof. Ber-
tini
su la possibilità di rintracciare un
principio metafisico. (Ved. La\
FU,
Greca prima di Socrate, esposiz, storico-
critica, ed. cit. p. 13, 320.)
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396
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. TI,
d' un*
ignota realtà in quanto è Potenza e
virtù dell' uni-
verso, ma
legittimarla. Così il metodo positivo,
assumendo
valor
critico e razionale, non più sarà
l'esagerazione d'uno
de' due
estremi indirizzi dell'Aristotelismo, ne contrad-
dirà'altrimenti
alla sua posizione media, anzi varrà
a
confermarla,
ad inverarla, ad esplicarla sempre più.*
L'opposto
indirizzo del Neoaristotelismo dicemmo
esser
THegelianismo.* L'Hegeliano si oppone al
Neopla-
tonico, perchè
non accetta veruna sorta d' immediatezza
nel
conoscere metafisico. Si oppone al
Positivista e ad
ogni
maniera d' empirismo, perchè non può
accoglier la
nozione
d' un assoluto portoci dalla coscienza
volgare,
empirica
o dommatica ch'ella sia. Qui egli ha
piena-
mente
ragione. Ma qual è la sua via?
Qual è il suo
metodo?
Dov'egli mira? L'abbiamo detto: l'Hegeliano
riconosce l'
assoluto, ma lo riconosce ponendolo, facen-
dolo; e
lo legittima per necessità tutta
dialettica. Lo
pone e
lo fa non perchè ci è, anzi
perchè ci ha da
essere
; e per ciò nessuno potrà dire
eh' e' ci sia prima
che il
pensiero s'accinga a farlo. Di qui
una conclu-
sione
singolarissima: Tutto ciò che esiste, è
anteriore a
quello
per cui virtù solamente egU è
possibile e reale! Ma
non
anticipiamo. Che cos' è dunque l'Assoluto
per i neo-
aristotelici
iperpsicologisti? Là risposta non è sì
facile
per
noi quant' avrebbe da essere per
loro. L' Assoluto
è il
Tutto : è l' assoluta e immanente
relazione : è la
relazione
della relazione: lo Spirito.'
* E
così pure ?a in forno T affermazione
del Littbì: c qui e»t mitapKyn-
e»«n,
iCe»tpa9 po9ÌiivÌ9U; qui ett positiwtefn'ett
pa$ métaphyiieien, » (Princip,
de
Phil. Ponit. par A. Comte, Préf. d^un
ditdple^ p. 60.)
*Noa
senza ragione un nostro acutissimo
hegeliano (Dr Mris, Dopo la
r^aureOf
voi. I.) chiama Hegel V ArÌ9ioule
moderno. Ma qual ò proprio V Ari-
stotole
rappresentato dal filosofo di Stoccarda V
Ecco il punto! U nostro
valoroso
e carissimo professore, questo Oariholdi deW
Hegdianimno come al-
trove r
abbiamo chiamato, non ammette che un
solo Aristotele, il suo
Aristotele!
'L'assoluto,
dice un fodol ripetitore di Hegel,
non è questo o
quello,
r identità o la differenza, ma il
tutto nella differenza e neil' unità
tua, E
il conoscere assoluto poi sta nel
porre i termini, nel mostrar
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GAP.
YllI.J DEL 00N08CBBB MBTAl-ISIOO. 397
Sennonché,
in cotest' assoluta relazione, in cotesto
centro eh'
è anche circonferenza, è pur d'uopo
comin-
ciare. Da
qual parte rifarci? Qual è il Primo?
Eccoci
nel
cuore dell' Hegelianismo : nella più alta
e nascosa
fortezza
dove già da un pezzo la breccia
è stata ajierta
per
opera degli stessi tedeschi, massime dal
Trendelen-
burg.
All'assoluto, essi dicono, si perviene solo
per
medicunone.
Ma» cotesto lavoro di mediazione, come
s'inaugura
e perchè? A siffatto processo (ripetiamo
la
frase del medesimo Hegel citata nell'
altro capitolo)
va
innanzi un momento d' assóltUa e subitanea
astra-
zione} Col
subitaneo astrarre il puro pensiero pone.
Che
cosa? Pone Vinse, l'Essere, o meglio
l'Indeter-
minato.
L'indeterminato non è soggetto né oggetto;
non è
pensante né pensato : ma è qualcosa
oltre cui non
si può
andare, e senza cui nulla non sarà
mai possibile, e
mercè
cui tutto sarà attuabile : l' idea
assoluta, l' etema
nozione
{der ewige Begriff.y Ecco Vàbsólute Prius,
il
Vero
primo, e però il vero Fatto.*
La
prima osservazione che qui sorge spontanea
è la
seguente.
Cotesto Indeterminato è cosiffatto, che non
si
può
nemmanco pensare: perocché ove accanto a
lui fosse
come
s* oppongano fra loro, e come e
perchè, opposti, si concilino. (Vkba,
Introd,
alla Log. di ffegel^ voi. I, e.
XI, p. 97). ~ 1/ assoluto, dico un
altro
Hegeliano, non è Tldea, non la
Natura, non lo Spirito, ma è Vldea-
Natura-t^rito;
la rdoMÌone dtlla relaztotie; VindifferenMa
differenxiata
indifferentemente
(Spaventa, Le», di FU.) Il vero
abeolute Priue è 1* atti-
vità, il
pensiero, lo spirito: non TEnte che
come puro essere è Premp-
poHo
cominciamento ; ma il Ponente, vero
Principio, che ò lo Spirito.
{Idem,
FiL. di Gioberti, p. 512).
'
Spaventa ne chiarisce il pensiero cosi:
Io mi levo aU^eeeere per
una
riaoluMtone immediata f per un'auoluta
a$trazione. {Le Categ. della
Log,
di ffegd ed. cit., p. 129).
*
Hrgbl, Log, voi. I, Jntrod. e. Vili,
p. 145.
* L*
Indeterminato per lo Spaventa è il
< pemahile indeterminatOf in-
distinto,
non opposto a niente : non dietinto
in «è, ni opposto ad altro :
senta
relazione ni verso sì, né verso altro
che sia o si possa pensare prima
di
esso; rASSOLUTAMKNTR IRRAZIONALE. » (Op.
cìt., p, 129.) Ora se non v' ha
nulla,
come ci dicon gli stessi Hegeliani,
che non racchiuda almeno un
brìciolo,
un' ombra di razionalità, che cosa
mai sarà cotest* oggetto osso-
lutamente
irrazionale altro che il nulla veramente
dettoV •
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398
DELLA DOTTRINA PILOSOPIOA. [LIB. II.
chi Io
pensasse, per ciò solo non sarebbe
indeterminato,
non
sarebbe il Primo, non sarebbe assoluto/
Or come
da ciò
che non potete né dovete pensare
altro che
come
assolutamente indeterminato potrà dedursi tutto
ciò
che è determinato? Non è egli cotesto
il più mi-
racoloso de'
passaggi? Diranno: e' si può dedurre per
ragion
degli opposti, e per via di logica
necessità. Si
potrebbe,
io risi)ondo, ove T opposto valesse
il determi-
nato. Ma
la deduzione dell' opposto è possibile,
stante-
che
ponga radice nella natura stessa dell'idea,
né v'è
idea
che non abbia il suo opposto. Invece
la deduzione
del determinato
è impresa davvero impossibile, perchè
il
determinato è molto piii dell' opposto.' Forse
che la
natura,
per dire un esempio, è l'opposto
dell'idea?
V
altro del pensiero puro? La natura è
il determinato:
e come
tale è qualcosa di concreto, di
vivente, di reale,
di
esistente spaziale e temporaneo. Come
dunque de-
durla?
Qual sorta mai di necessità logica
potrà qui
colmare
1' abisso e far disparire l' intervallo
? Potrete
dedurla,
è vero ; ma solo come concetto d'
un subbietto
spaziale
e temporaneo anziché come realtà
sostanziale,
secondo
l'osservazione d'un dotto tedesco.'
Inoltre, l'
obbietto cui per moto istantaneo e
astrat-
tivo s'
aderge il pensier puro, non può non
essere, di-
cono,
essenzialmente indeterminato per le ragioni
qua
dietro
accennate. Dunque, io concludo, è
necessario un
»
Hbqbl, Log, voi. II, § LXXXVII.
* È
noto come 1* oppo$to nella dialettica
hegeliana è preso per lo
meno
in tre sensi diversi; come contraddittorio,
come contrario, e come
esemplare
semplicemente detto. In altrettanti significati
è presa anche
r
unità degli opposti. Questo linguaggio
singolarmente duttile dell' Hege-
lianismo
è stato notato e coutraddetto da
molti autori. (Cons. p. es. lo
Stahl,
Storia cUUa Filotojia del Diritto ^
il Rosmini, Teotojia, voi. I; il
GiOBBRTi
in più luoghi àeW Introduz. e della
Protologia; il Mamuni,
Confessioni^
voi. I, Meditati, Cartes.y e. VII.
Janbt, Vaohbrot, op. cit.)
Non
senza ragione il primo di questi
scrittori ha detto essere un cama-
leonte la
legge nella quale si fonda la logica
e quindi *1 ternario del-
l'Hcgelianismo.
?
Stahl, Storia della Filosofia del Diritto^
p. 600.
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OAP.
Vni.] DEL
00N080EIIB METAFISICO. 399
determinante.
Quale potrà esser mai cotesto determi-
nante, salvo
che il soggetto che gli sta di
contro? L'in-
determinato
quindi si determina, e si determina
solo
per
virtù del pensiero: di qui la
gerarchia organica
delle
idee; di qui il moto dialettico nei
suoi diffe-
renti gradi
; di qui lo sdoppiarsi dicotomico,
per dir così,
delle
determinazioni logiche. Or bene, io
domando: come
dirlo
oggettivo cotesto lavorio, come creder eh'
egli ab-
bia una
rispondenza oggettiva se il determinante è
tutto
subbiettivo e relativo e formale così
nel comincia-
mento
come nel processo? Non è dunque
un'ironia la
logica
obbiettiva dell' Hegelianismo? E non ha
avuto
ragione
il Trendelenburg se con la sua grande
autorità
ha
preso a mostrare come l' absolute Prìtts
della dia-
lettica
hegeliana non sia punto dialettico, per
la semplice
ragione
che, s'ei fosse tale, già sarebbe
atto a movera da
se? L'
assolutamente indeterminato, adunque, è
essenzial-
mente
immobile. Che se a moversi abbisogna
del soggetto,
perciò
solo e' non possiede natura d'oggetto, ed
è sfornito
d'ogni
valore obbiettivo; perciò è tutta una
tela di ragno
la
famigerata dialettica; e perciò il primo
momento della
logica
obbiettiva* è una bolla di sapone
indiscernibile e
vagante ne'
cieli della più recondita astrazione.*
* Sono
tre i momenti del pensiero assoluto :
oHrattOj dial^uico e 9pe-
eu^vo,
(Heorl, ZoCf cit. e III).
• €
Fi»»ando VEtaere^ io non mi distinguo
come pensiero dalVJStBere:
io mi
estinguo come pensiero neW Essere: io sono
V Essere. ^ (Spaventa, Le
Prime
Cnteg. ec., ed. cit., p. 133). Oh*
io m* abbia a distinguer dall'Essere
è
indubitato: e me ne distinguo perchè
penso I* Essere. Ma come ho a
fare
per estinguermi come pensiero nell'Essere?
Io voglio f si dice, io mi
risolvo.,..
Sta bene; ma forse perciò si può
dire che cotesto estinguermi
cesserà
d'esser nna faccenda supremamente subbiettiva
o formale? E in che
maniera
poi, dopo essermi estinto neW Essere^
potrò affermare eh' io dunque
non V
Essere? Io son 1' Essere, si risponde,
perchè mi pongo come tale. Ma
il
pormif il volermi porre^ è un atto
appartenente al processo psicologico
pratico
e operativo, non già al processo
conoscitivo e teoretico. Come
dunque
potrà egli esercitare flmzione dì primo
V — Non per nulla abbiam
detto
essere iperpsicologisti'gM Hegeliani. Essi da
una parte sconvolgono
l'organismo
psicologico, mentre poi da un'altra rendon
la logica infrut-
tuosa e
formale. E tutto dipende dal primo
passo! Quando io affermo:
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4CX)
BELLA DOTTBINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
D' altra
parte il Primo della dialettica hegeliana
non
può
serbar valore di Primo, perchè manca
d'una delle
condizioni
essenziali al processo, anzi ad ogni
processo,
le
quali costituiscon la gran legge così
del sapere come
dell'
essere. La dialettica hegeliana non
racchiude l' ele-
mento della
difiFerenza, che è per l'appunto un'altra
grave
difficoltà mossa contro all'Hegelianismo dal
Tren-
delenburg.
L'Essere è il Nulla, e il Nulla
è l'Essere:
perchè?
perchè cotesti obbietti (risponde acutamente
lo
Spaventa
in nome di tutti gli Hegeliani) sono
entrambi
indeterminati,
e, come tali, identici. Il principio
del-
l'identità
qui è un elemento essenziale, è
condizione
intrinseca,
originaiìa, cosi che costituisce la natura
dei
tennini
stessi. Or donde mai rampollerà egli il
divereo?
Nel
congegno dialettico la difiFerenza per gli
hegeliani
dovrebb'
essere anch'olla primitiva, anch' ella essenzia-
le, anch'
ella originaria, altrimenti ov'essa penetri
da
fuora
ed è, per dir la parola del
Trendelenburg, come
aggiunta^
avrà valore accidentale, secondario e
fenome-
nico lungo
tutto il processo; e però, scambio
d'un dina-
mismo
ideale, nella logica obbiettiva non avremo
altro
che un
idealismo meccanico e formale, un idealismo
fatto
a pezzi, un corpo aggiuntato meglio
che organato.*
V
iUBtre l il non-easerey io faccio un
griudizio, il cui predicato sarà ncgatiiro,
0
positivo. Se negatiro, eccoci alla vuota
identità: A=A. Se positivo,
allora
sarà una determinazione deir essere, ed
eccoci quindi nella ne-
cessità di
tpecificarìo. In entrambo i casi il
congegno dialettico hege-
liano so
n* è beir ito : perchè se nel
primo siamo nel vuoto d* una tau-
tologia, nel
secondo poi la ponzione e V
oppo$inione sono possibili
solamente
o fra termini coniracldittorij o fra
termini contrari. Ma, se con-
traddittori,
r opposizione potrà ella essere altro
che logica? L* organa-
mento della
logica potrà avere un valore metafisico,
lo so anch* io ; ma
ad un
sol patto; purché si giunga, cioè, a
dar ragione dell' una e del-
l'altra
maniera d' opposizione. Or questa ragione
nell'Idealismo assoluto
è
davvero impossibile, come s'è detto. Dunque
siamo sempre nell'etere
d' un
puro mondo formale. Se la vera
oppotixione nel regno della logrica
fosse
impresa possibile, già da ventidue secoli
addietro l' A. del Parme-
nide no
avrebbe dato splendida dimostrazione, né vi
saria stato mestieri
del
suo gran discepolo che mettesse a
nudo l' inefficacia del tentativo.
* V
Euere puro ì V Ettere; e come
taU importa U Non-etstre. lì
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OAP.
Tni.J DEL OOKOSOEBB lOETAllSIOO. 401
Lo
Spaventa in Italia, dopo il Trendelenburg
in
Germania,
avendo visto ove s' annida il verme
velenoso
Non-e$8ere
non i U nulla a98oliUo, ma è U
Non-egaere rfcH* Essere, Pari-
menti il
Ntm^Baere importa V Essere perchè non
è altro che il Non-essere
deW
Essere, Perciò 1* Essere e il Non
essere si pongono e 8* oppongono,
per
indi coneiliarsi nel divenire, (Hegel,
Log-^ voi. II, loc. cit.) Lo Spa-
venta non
ha torto nel dire che tutto ciò
ha Y aria d* uno scherzo, là
dove
parlando, col solito lingnagfirio netto e
incisivo circa la posizione
deir
Essere e del Non-essere, dice: « Eeeo
qui uno, lo stesso uno che non
ha
nome. Chiamiamolo Pietro e poi Paolo.
Dunque Pietro e Paolo sono lo
stesso,
qudlo stesso uno / > È proprio
uno scherzo, un indovinello da algebristi
!
Dunque,
mi si chiederà, nel ^an sistema è
egli ripudiato V elemento della
differenza?
Tutt* altro. 611 Hegeliani anzi in
ogni lor libro, in ciascuna
lor
pagina s* affannano a mostrare e
giustificar co* fatti cotesta legge
tanto
necessaria air organamento della dialettica.
Ma quanto i Gesuiti
non s*
arrapinano anch^essi a parlarci di libertà
di pensiero e di coscienza?
K pure
chi non sa come la libertà vera
per costoro sia la schiavitù al
Sillabo
e al Domma, per cui la ragione
è libera solo in quanto è as-
sorbita
dalla fede? Tal si è il diverso
per gli Hegeliani: un fuor d* opera.
E* ne
parlan sempre, ma alla fin delle fini
poi si trovano ingoiati nel-
r
identico. L'alterità che scorge Hegel nel
suo pensierpuro è (ripeto la
sua
frase) ineffabile e assolviamente vuota. Or
una differenza assoluta-
mente vuota
non è forse indifferenza, cioè non
differenza, identità, vuo-
taggine
addirittura? E dato ci sia cotesta
differenza, sarà ella di na-
tura
metafisica, o non piuttosto logica? E
una differenza non metafisica,
domanderò,
sarà ella vera differenza o non più
veramente semplice di-
stinzione?
Ecco la ragione per cui l'Idealismo
assoluto non può riescire
a
dimostrare l'oggettività della conoscenza, e
salvarsi dal pretto forma-
lismo ond'
è tutto magagnato. Che se poi la
gran pretensione sta nel
volerci
dare la scienza assoluta, e 'sarebbe
d'uopo, ripeto, che la logica,
proprio
come logica, fosse la metafisica; talché
col far l'una si fa-
rebbe anche
l' altra, e così potrebb' esser
risoluto l' arduo problema del-
l'
oggettività. Invece il più valoroso de'
nostri Hegeliani come rispon-
d'egli
a questo proposito? Se n'esce pel
rotto della cuffia dicendo:
« Tale
oggettività non d un problema logico:
la logica ami la presuppone, *
(Spaventa,
Op. cit. p. 165.) La presuppone? Mi
par di sognare! Se
dunque
è così, la conseguenza chiara come il
sole, almeno per noi im-
barbogiti
sempre più nella vecchia logica
aristotelica, sarà questa:
che la
logica, grande o piccola che sia,
subbiettiva od obbiettiva che si
voglia,
non sarà e mai non potrà esser
quella che ci si vuol dare ad
intendere,
la chiave, cioè, del grand' edlfizio,
il fondamento a priori del-
l'enciclopedia,
la vera metafisica del conoscere. Nò
qui vale invocar la
Fenomenologia
qual propedeutica atta a dimostrare 1*
oggettività, come
fa' lo
stesso Spaventa. Cotesta invocazione anzi è
una ragione di più per
dichiarar
la logica degli hegeliani una tela di
ragno. Perchè se la Fe-
nomonalogia
ha da esser la propedeutica necessaria
della Logica, il pro-
cesso a
priori e assoluto nel costruire la
scienza diventerà una parola
Siciliani.
3^
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402
DBLLA DOTTRINA FILOSOFTOA. [LIB. H.
della
nuova loj^ica, s' è provato a schiacciarlo.
Ci è rie-
scito?
— Un vizio magagna tutta la logica
hegeliana, dice
anch' egli;
ed è vizio d'origine, in quanto che
pone ra-
dice nelle
viscere stesse del momento astratto, e
pro-
priamente
nel concetto dell'Indeterminato. L'Indeter-
minato è
un equivalente comune dell' Essere e
del
Non-essere,
dell'Idea e del Pensiero, dell'Astratto e
del-
l'
Astraente. Di fatto, che cosa mai
sono cotesto Essere
e
cotesto Non-essere? Ei son cosa
indeterminata; ma
non
sono lo stesso Indeterminato. Se fossero,
la difiFe-
renza
tornerebbe davvero impossibile (difetto radicale
dell'Idealismo
obbiettivo dello Schelling), perchè avrebbe
a
sgorgare dall'identità. Che se non fossero
la stessa
cosa,
tornerebbe impossibile il contrario, cioè
l'iden-
tità. Essere
e Non-essere, dunque, sono un medesimo,
è
vero, ma solo in quanto indeterminati,
non già in
quanto
indifferenti. Essere e NuUa sono lo
stesso, ma
non
come Essere e NuUa.^
Una
prima osservazione potrebb' esser questa. Se
tra r
Essere e '1 Nulla havvi identità e
diiferenza; iden-
Yuota
di senso, an a priori che non è
a priori, e perciò un* ironia, come
dlcovamo
poco fa.. Ancora: se la Logica in
cotesto processo a priori ha
da
pretuppoire la Ffnomen^ogia, ne segrue che
Tuna di queste due
scienze
non potrà essere altro che imitazione,
ripetizione, copia, copia
anche
ridotta al grado supremo di trasparenza
ideale, ma sempre copia
deir altra;
e quindi s'intoppa nella solita
conseguenza, che cioè la
conge?natura
dialettica hegeliana, anziché una metafisica,
sarà un pretto
formalismo,
un assoluto soggettivismo. Che se la
Logica prewpponendo
necessariamente
la Fenomenologia non può non essere
altro che una co-
pia
trasparentissima di questa, non sappiamo
dir davvero che cosa gli
Hegeliani
avranno da opporre al metodo di certi
Teologisti i quali pi-
gliano a
discorrere della natura di Dio
appoggriandosi nelle leggi psico-
logiche,
ricopiandole, ripetendole e trasportando così
la psicologia nella
teologia.
Del resto, sul significato e sul-
fine e sul valore della Fenome-
nitlogiat
i seguaci di Hegel, com*è noto,
navigano pur troppo in opposte
correnti
neir interpretar la mente del maestro.
È d' nopo dunque che
innanzi
tutto e* s* accordino fra loro e
ci sappian dire se la Logica sia
davvero
la scienza madre, la scienza davvero
o priori, ovvero abbia da
presupporre
qualcos'altro dinanzi a sé. In entrambe
i casi le difficoltà
saranno
insormontabili.
*
Spatbmta, Le prime Categ, ecc. loc. cit.
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OAP.
TTn.]
DEL OONOSOBBI MSTAFISIOO. 403
tità
perchè entrambi indeterminaéi, e differenza
perchè
entrambi
indifferenti; io domando: cotesto indifferente
non è
già di per sé stesso un
indeterminato, cioè non
differente,
cioè non determinato? Dìinqne Isl
differenza
di
cotesto indifferente è una parola com' un'
altra; un
pio
desiderio: perocché, ripetiamolo, se l'
indifferente è
irrélativo,
sarà per sé stesso irrazionale, sarà
il nulla, sarà
il
nulla addirittura : quel nulla che,
come dice il Vico,
non
può cominciar nulla, e nulla terminare
: vuotaggi-
ne, e
voragginel * Ora piuttosto che dirlo
un absclide
Prius
cotesto Indeterminato, non vuol esser anzi
ritenuto
come
un vero capui mortuum, incapace a
costituir la
scienza
perchè incapace a far cominciare il
pensiero?"
Sennonché
il Professore di Napoli, nel corregger
V Hege-
lianismo,
par che voglia uccidere il verme
velenoso pro-
cacciando
mostrare che il diverso ponga radice
nel Nul-
la, ma
nel Nulla inteso non già com' essere
purissimo,
astrattissimo,
scioperato, bensì come astraente, come
NuHa-pensiero
il quale, perciò, non cessa né può
cessare
d' esser
pensiero. Or bene, l' illustre uomo così
non ri-
solve, ma
sposta la grave difficoltà del
Trendelenburg.
Egli
riesce a mettere un po' di calcina
alla breccia, è vero;
ma
senz' addarsene poi n' apre un' altra
non meno fatale
della
prima, perché l' intrusione del diverso è
sempre lì
duro a
chiedergli ragione di sé. Infatti, s'egli
considera
l'Essere
come un in sé, e considera come
un in se
anch' il
Non-essere; non v' è nessuna ragione
al mondo
perchè
non abbia da riguardare anche come un
in se
il
connubio de' due termini. Intanto che
cosa fa il dotto
filosofo
? Giusto nel momento che s' hann' a
decider le
sorti
della logica obbiettiva, giusto nell'
istante supremo
*
RÌ9p, al Oiom, de* Leti., T, IL.
* Si
dirà: è indeterminato anche il vostro
intelli^bile, la {«ce me-
tafisica del
vostro filosofo. Verissimo, io rispondo: ma
tra il nostro
indeterminato
e quello degli Hegeliani corre tanto
divario, quanto fra
un
oggetto posto da natura, e quello
colto d'oMatto; fra T oggetto ori-
ginario
intuito, e r oggetto afferrato por
risoluzione astrattiva. Veggasi
quel
che s*ò discorso nel Gap. V e
VI, di questo Lib. II.
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404
DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. n.
in cui
la logica dee poter rivestire natura
e valore di
metafisica,
egli cangia bruscamente posizione, e invoca
il
pensiero, invoca 1' astraente, invoca V
astrazione, e
cosi
dileguatasi a un tratto V obbiettività,
ci fa divagare
nel
mondo delle pure forme, ed eccoci di
bel nuovo
ricacciati
e ravviluppati per entro alle fitte
maglie della
tela
di ragno! Dunque (mi si chiederà) a
voler pene-
trare sul
serio nel regno metafisico, nel mondo
delle
Menti
e di Dio con metodo razionalmente
positivo, chg
cosa è
da fare? Il da fare è manifesto
: bisognerà che il
connubio
de' due termini, cioè il divenire,
sia quel me-
desimo che
sono cotesti suoi termini, dal cui
annoda-
mento esso
dee pullulare. In altre parole, bisogna
eh' e' sia
da sé,
che sia per sé, che sia mediante
se. Fa d' uopo, in-
somma, che
r Essere (ripetiamo volentieri la bella
frase
del
Trendelenburg) sia dialettico, ma dialettico
davvero,
non da
burla; dialettico nel verace significato
della paro-
la, e
quindi atto a moversi da sé medesimo,
anche senza
il
vostro pensare, anche fuori del vostro
pensare. Cosi gli
Hegeliani
potrebbero schivare qualvogliasi intrusione; e
così
(e solamente così) potrebbero conseguir
quella che
tanto
essi desiderano, la scienza assoluta. Ma
questo non
ha
fatto Hegel; e questo non ha fatto
Spaventa benché
con
tanto acume siasi adoperato a rammendar
lo strappo
micidiale
che con abilità di grande maestro ha
saputo
operare
il dottissimo Trendelenburg nella logica
hegelia-
na. E
perciò il sistema delF identità assoluta
è, e resterà
in
perpetuo, come é stato appellato nella
stessa Germa-
nia, il
monismo del pensiero (monismi^ des
Gedenkes).
Abbiam
detto che l' impossibilità di mostrare il
prin-
cipio della
difierenza nel regno della logica fa
sì che
il
passaggio al mondo della natura si
manifesti arbi-
trario,
illusorio, fallace. L'idea logica, dice
il Vera,
è la
Idea cieca, V Idea senza coscienza né
pensiero, la
nuda
possibilità: in somma é l'Idea, ma
non l'Idea
dell'
Idea. In cotesta imperfezione logica sta
proprio la
ragione
del passaggio alla natura, e quindi
la sua legge,
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GAP.
Yin.J DBL OONOSOERB METAFISICO. 405
e la
sua necessità.* Dunque, in altre parole,
perchè
r
inderminato è indeterminato, perciò diventa
determi-
nato ;
perchè è possibile, perciò diventa reale
; perchè è
privazione,
perciò h posizione. Eccoci alla tt-ostc?
aristo-
telica. Ma
dicemmo che la privazione non è
negazione,
non è
vaga e astratta indeterminatezza, non è
pretta
potenzialità,
ma energia, principio positivo, e potenza
feconda
(to' ^uvarov). Or Videa deìTIdea di
cui parla
il
Vera, è qualcosa d'assolutamente potenziale
e d'in-
determinato;
è una possibilità logica, il to'
ev^e^opevov,
non
già il tò ^uvktov, e quindi, meglio
che principio po-
sitivo, è
negazione d'ogni principio. Come dunque
prin-
cipia e
fa principiare? Come passa e fa
passare? In-,
somma,
com'è che diventa?*
*
Hegel, Log., voi. cit. Introd. e.
XIII, p. 145.
* *
n divenirey osserra il medesimo traduttore,
compie la a/era dd-
V
E98ere e del Non-esaerey e forma ti
passaggio alla sfera ptù concreta del-
l' Idea,
dove per novelle addizioni V Essere e
il Non-essere diventanoy o
meglio
son divenute {^) qualità, quantità,
essenza. » (Log.^ voi. cit., p. 127.)
Ma
come fatte, da chi Jhtte e perchè
fatte coteste novelle addizioni? Data
la
sfera dell* Essere, del Non-essere e
del Divenire, si passa tosto e
necessa-
riamente
alla sfera concreta del medesimo e
del diverso... Ma come si passa?
Chi vi
dà il diritto d'affermare cotal passaggio?
Torniamo a domandarlo:
siamo
qui fra* contraddittori, ovvero fra*
contrari? Siamo fra nn termine
posto
ed un altro opposto, o non più
veramente fra il puro pensiero e
il
soggetto determinatissimo e vivente che
dicesì naturai Per quanto si
faccia,
la sola relazione logica e la sola
necessità logica torneran sempre
inefficaci,
e però Hegel (secondo la severa
critica dello Stahl) non giunge
mai ad
un mondo reale. « Egli passa dal
puro pensiero alla Natura^ perchè?
Perchè
l'uno dee negare sé stesso ponendo
l'altro, l' opposto. Ora il ca-
rattere
dell'opposto, della Natura, non è la
realtà, la sostanzialità, la
causalità
(attribuiti già allo stesso pensiero puro),
ma è la negazione del-
l'essere
sostanziale, reale, causale. Che cosa
dunque rimane alla Natura?
La
semplice determinazione del tempo e dello
spazio (Ved. Enciclop.
§
247). Or per qual ragione si dovrà
ammettere che questa natura estesa
e
temporanea debba esistere attualmente, che,
cioè, sia reale e non sem-
plicemente
pensata come estesa e temporanea,
socondochè ci accade
ne' sogni?
L'opposto del pensiero puro è la
Natura solo come tempora-
nea ed
estesa : ma per aver 1' opposizione
forse che non basta pensarla
come
tale? « L^ Idealismo oggettivo di Hegel
(conclude lo Stahl) non è meno
di
quello soggettivo di Fichte un puro
mondo di sogni: Tunica differenza
ì che
vi manca ehi sogna, » {FU. del
Diritto, p. 503). — A. quest' ultimo
e
severo giudizio dello Stahl ci piace
qui aggiungere quello d' un altro
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406
DILLA DOTTBINA FILOSOFICA. [UB. H.
Parlando
dell'Idealismo assoluto non possiamo di-
spensarci dall'
accennar poche cose, quant' occorre al
nostro
proposito, sul suo organamento generale, e
su le
sue
relazioni storiche col Platonismo e con
V Aristoteli-
smo in
generale. Gli Hegeliani riconoscono che il
mondo
si
svolge per una legge interna anziché
per un caso o
per
necessità ineluttabile e geometrica, come
pensano gli
Spinozisti
ne' tempi moderni, e come pensavano gli
Epi-
curei in
antico. L' Hegelianismo racchiude una grande
idea;
l'idea del processo, che vuol dh-e
d'un fine da
conseguire
con pienezza di coscienza, di libertà,
di ra-
zionalità.
L'Idealismo assoluto, quindi, anziché cieco
meccanismo
e fatalismo ineluttabile, parrebbe un es-
senziale e
profondo e universale dinamismo. Ma eccoci
al
punto 1 Al di là della natura,
ci si dice, è l' Idea che per
ogni
conto è indeterminata e potenziale :
al di qua poi
ci é
lo Spirito, eh' é l' Idea dell' Idea.
Ora abbiam visto
come
la Natura non si possa movere per l'
Idea, perchè
ninno
potrà mai dare quel che non possiede.
Tanto meno
poi si
potrà movere per lo Spirito, perchè
lo Spirito vien
posteriore
alla natura, e le si sovrappone.
Ck)me dunque
movesi
cotesta Natura? Per necessità logica. E
quale è il
fine,
quale il motivo ond'é spinta, eccitata,
illuminata?
La
razionalità. Or non è ella cotesta
una forma di fata-
lismo cieco
e geometrico che, quant' a' risultati,
non si di-
varia né
pur d'un apice dallo Spinozismo? Qual
differen-
aotoreTole
scrittore su* difetti sostanziali deiridealismo
assoluto. « Non
9% pud
leggere Hegel tenxa chieder9Ì »* ei
ragioni ttd terio. Spesso cade
ntl
fatalismo y nella personificazione, e,
leggendolo, par d* assistere alla /or-
matone d*
una mitologia, alla genesi di un
mondo che somiglia qtuilo
degli
Gnostici, in cui avviene che le idee
piglino corpo, marcino^ e subi-
scano le
piti svariate vicende. >
(SoBRRERt M^langes rf* Histoire religieuse,
pag.
298). A proposito della Logica hegeliana
poi ci sembra notevole
questa
sent-enza d*ano che se ne intende, e
che per il solito è temperatis-
simo
ne* suoi giudizi: « Higd n*a pas
renouveU la seience, comme Venthow
situme
de ses disciples Va parfois prodanU;
il Va dénatwée, malgri les
avertissements
de Kant, et en la faisant la
premiare des seiences, ou pour
mieux
dire la seuU scienoe, U Va tuée,*
(I. Babthìlkmt
Saikt-Hilaibie
Logique
d^Arisiote, Tom. I, pag. GL, Pré&ce.)
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H
OAP. vm.]
DBL
00N060EB1 mTAJISIOO. 407
za,
infatti, fra la necessità dialettica e
la necessità mate-
matica, fra
lo Stoico V Epicureo lo Spinoziano e
V Idea-
lista
assoluto fuorché la coscienza, in quest'
ultimo, della
razionalità,
eh' è dir la coscienza e la
trasparente vi-
sione di
cotesta superiore, arcana, invincibile, inelut-
tabile
necessità?^
Quanto
poi alle sue relazioni storiche, notammo
già
come r
Hegelianismo distinguasi da ogni altro
sistema
per
la«pretensione di volerli tutti accordare e
tutti com-
piere e
tutti inverare. E poiché guardando al
modo
generale
onde si suol determinare il fondamento
asso-
luto delle
cose, tutte quante le soluzioni metafisiche
possono
esser rimenate ai due indirizzi del
Platonismo
e deir
Aristotelismo, così gV Idealisti assoluti,
con la
dottrina
delia Idea e quindi del metodo
dialettico, re-
putano
d'esser finalmente pervenuti ad accordare
l'esi-
* Nò
Tale che alcuni fra i più
intelligenti Hegeliani^ stimando dMnter-
pretar
meglio la mente del maestro, riguardino
i tre momenti del processo
assoluto,
nonché i tre termini del gran
sillogismo, come in un sol momeìUo^
cioè
nella loro immanenza, nell'attuale ed
assoluta relazione, vomire nella
immanenza
àeWIdea della Natura e dello Spirito-
dandoci così a cre-
dere che
cotesta non è altrimenti la metafisica
della Idea immobile e ir-
rigidita, e
neanche della Mente, e tanto meno poi
dell* Ente, ma si la
metafisica
Tera perchè metafinica dello Spirito. Con
Taggiugnere al con-
cetto del
processo e del reale divenire quello
dell* immanenza, panni che
le
difficoltà, anziché scemare, crescano. Fra
que*tre momenti e que*tre
termini,
infatti, una relazione caueale è
ineyitabile, essendo verità troppo
antica
ed altrettanto irrepugnabile, che la catua
ì per la tua e$9enta
avanti
V effetto (Twv yàp fiéd^v^ wv coriv
l5« xt etrj^oirov xae'
o/BOTfjOov,
ocva^xacov givat tÒ zrpórspoy airtov t«5v
/xct' auro.
Arist.,
Metapk.f 1. II). E questo principio
rlbadiscon oggi per Tia speri-
mentale
tutte le scienze naturali e fisiche,
mostrando ad evidenza come
la
natura fisica, nello svolgimento cosmico,
preceda alla comparsa del
regno
vegetale, il vegetale (secondo alcuni)
all'animale, e air animale
rumano.
Come dunque persistere a farci erodere aW
immanenza del ter-
nario f
Come scaldarsi tanto per darci ad
intendere che V Idea i insieme
Natura
e Spirito- e che la Natura è
insieme Idea e Spirito f È metafisica
positiva
cotesta? o non più veramente un abuso
di logica nonché un'in-
giuria ai pronunziati
più sicuri della moderna scienza di
natura? L'op-
posizione
più salda, più seria, più invitta
all' Idealismo assoluto la fanno
oggi
le discipline sperimentali. R pure gli
Hegeliani non se ne accor-
gono!
Felicissimi loro!
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408
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
genza
metafisica dell' uno, con quella dell'altro
sistema.
Or è
in questo preteso accordo eh' ei si
palesano iper-
psicologisti
per doppio rispetto. Osservammo come uno
de'
massimi concetti dell' Aristotelismo sia
quello del
moto;
fondamento e sintesi di tutte le
categorie, <xuvo).ov
concreto
di que' due poli (materia e forma)
ond' emerge
la
realtà individua sostanziale e vivente.* Se
non che
lo
Stagirita innanzi ogni cosa osserva il
movimento na-
turale e
spontaneo; osserva il mobile, che nella
sua
realtà
è oggetto d' esperienza.* E poiché cotesto
mobile è
un'attuahtà
imperfetta tendente perciò al proprio
fine;'
avviene
che, posto il moto naturale e
spontaneo, ei tro-
vasi in
grado di coglierne concetto.* Dunque è
1' espe-
rienza che
gli porge come fatto il divenire; ed
è il moto
concreto
e reale in cui egli sorprende insieme
annodate la
materia
e la forma, e nel quale vede
incentrarsi la po-
tenza e
r atto, al modo istesso che nell'
ordine logico il
medio
termine è il vincolo in che s'
appuntano e consi-
stono gli
estremi. In questo dato fondamentale, in
questo
faUo
ei ritrova la medesimezza e la
diiferenza, che poi col
magistero
eduttivo, come osservammo, converte col
vero
ne'
due pronunziati supremi del processo
logico, identità e
contraddizione
: talché in virtii di questo processo
transi-
tando da
atto in atto, salendo da perfezione
in perfezione
e
procedendo dall' indeterminato al sempre
più determi-
nato, poggia
da ultimo al supremo concetto dell'
Atto?
*
n^wTT? |xev fyoLp ov9Ìa. TJtoc éxàarw xf oux
\Jitàp^si a/.X'/i
tÒ Sì
xa9ó>ou xoivóv. Metaph., 1. VII.
* TóSe
yy.p rt tÒ f^soóiievov >? Si
xcvyjaiC} ov. Phys,, IV.
* Twv
a^à^ffwv Z"» e<Tri trspai, ou^fjxca
TfXoc, aXXà twv
vitpi
TO TfXoc. Metaph,j IX.
*
'Optàpiiv Sé y.xi (fx'jsp^q ovra rotaùra
a xtvsé «utx
««UT«.
Phy»., VIII.
'
Arist., Metaphf 1. XI. Perciò anche Aristotele
possiede la sua
dialettica,
ma, come osRervammo, dialettica di natura
eduttira, non già
assolutamente
deduttiva ed a priori com*ò quella
del Platonismo, o me-
glio, del
malinteso Platonismo. Ciò tiene al divario
esistente fra Videa pla-
tonica, e
Vuniverscde aristotelico. La costituzione dell*
una, inteso Platone
in on
certo senso, è logica e formale;
quella dell'altro, invece, è data
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GAP.
Ym.] DIL
OONOSOBBB MBTAFISIOO. 409
Or l'errore
d'Aristotele non si rivela tanto nel-
r ascendere
inverso l'Atto, quanto nel discender dal-
l'Atto e
passare alla natura. Perciocché tramezzando
fra
l'uno
e l'altro un intervallo davvero infinito,
il passaggio
riescirà
sempre impossibile ove nell'intima costruttura
del
Pensiero puro non si sappia scorgere
la possibilità
e
l'origine del mondo. Qui dunque lo
Stagirita vien
meno a
se stesso; ed è qui cl\e il
discepolo dee cederla
al
maestro. Ma di ciò nell' altro
capitolo, e torniamo
agli
Hegeliani. Che cosa fann'essi di cotesto
metodo?
GÌ'
Idealisti assoluti capovolgono il beninteso
metodo
aristotelico,*
movendo innanzi dalla Logica. Ma poi-
ché nella
Logica è impresa vana, come s' é
detto, poter
dalla
medesima natura, ma non per questo
cessa d* esser metafisicafneces-
•aria
e reale (Cons. Bonghi, Metaph. cT
Arìtt,^ trad., 1. Ili, e. Ili), essendo
il
processo della stessa natura, della
sostanza, come diceramn, ma co-
sciente,
trasfigurato: ò Tinduzione e la deduzione
com penetrate e diven-
tate
funzione eduttira (p. 126, eseg.) Se
così non fosse, Aristotele non
avrebbe
scorto una rispondenza fra la apeciUaMÙme
e il movimento in ge-
nerale, nò
detto che la natura è anch* ella
un sillogismo come il pen-
siero.
(Bataisson, op. cit., t. I, p. 488.)
Questo è il fondamento dell* ar-
monia fra
r ordine logico e T ontologico
riprodotta e inverata, come
osservammo
nell'antecedente capitolo, dal nostro- filosofo
(p. 878 e seg.)
Perciò
la costruzione delle categorie aristoteliche
non è faccenda mera-
mente
logica, secondochò venne intesa da' falsi
peripatetici del medio-
evo, ma
è costruzione scientifica, razionale, e
però essenzialmente ob-
biettiva in
maniera che si può agevolmente ricavare
dalla Metafisica
dello
Stagirita. Ne quindi alcuni moderni critici
tedeschi s' appongon
male
nel ritenere che il trattato delle
CaUgorie faccia parte della Me-
tafisica
meglio che della SiUogietica.
* 11
Michelet, per esempio, rifa a modo
suo cotesto metodo paren-
dogli
empirico e troppo eperimentale; il perchè
fu giustamente censurato
dal
Cousin. (Vedi il resoconto De la
Métaph. (T ArisU) Ma il Professore
di
Berlino non poteva col suo gran buon
senso non riconoscere come l'em-
pirismo
d'Aristotele non sia l'empirismo volgare,
bensì un empirismo
eh' ei
dice « totale, in quanto ohe non
comprende una tota faccia delV abbietto^
ma le
unisce e le accorda tutte con la
forza della sua dialettica.... V em-
pirismo
completo d la stessa speculazione:
Aristotele combina questi dtte me-
todi.*
(Exam. de la Metaph. d* Arìst., p.
116.) Or bene, perchè non legit-
timare
viemaggiormente o correggere qaesta combinazione?
Invece è pur
mestieri
confessare che il metodo puramente
dialettico e assolutamente
a
priori degli hegeliani, anziché una
correzione, è addirittura la nega-
zione del
vero metodo aristotelico.
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^
410
DKLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. IL
rintracciare
quella opposizione ond'essi abbisognano,
ne
segue che, venendo ad interpretar
l'attinenza tra la
materia
e la forma, tra la potenza e V
atto, e stabilir
quindi
la natura del divenire, sfugge loro
il concetto
»
legittimo del processo, e, sospinti dalla
necessità logica,
pongono
in trono l'identità assoluta (stantechè sia
sem-
pre l'Idea
quella che diventa Natura e poi
Spirito, e
così
elevano a dignità di legge suprema,
di legge es-
senziale, la
immanema del divenire. Essi dunque si
chiariscono
iperpsicologisti neoaristotelici, e però negano
il
beninteso Aristotelismo ; né badano esser
questo me-
desimo
beninteso Aristotehsmo che a sua volta
nega
loro,
nega l' Idealismo assoluto, perchè è lo
stesso Ari-
stotele
quegli che dichiara impossibile il fare
emergere
la
Natura dalla logica, il fatto dalla
nozione, il de-
terminato
dalle forme generali.*
Abbiamo
detto che i seguaci del filosofo di
Stoc-
carda vonn'
esser considerati come iperpsicologisti
anche
sotto un altro rispetto, anche riguardo
al Plato-
nismo. La
dottrina metafisica platonica può esser be-
nignamente
interpretata e corretta, come die segno
di
voler
fare più d'uno de' nostri vecchi
esegeti; e può
esser
intesa altresì in modo severo e in
gran parte er-
roneo, come
fa lo stesso Aristotele, e come fan
tutta-
via alcuni
valorosi espositori dello Stagirita ispirando-
si, più
che altro, alla critica di lui. * L'
interpretazione
e r
esposizione aristotelica della dottrina
metafisica pla-
tonica
riesce in alcuni punti falsa, come là
dove il nu-
mero
matematico vien confuso col numero ideale,
e in
altri
esagerata. Ella in generale si fonda
sul pregiudizio,
' Ec
5/ fAV}^ oo9sv (>) xévvjo'cc); oX>)
^%p ri zapi fVT£(ai
(TXSìpi? ÒLV^p7)T0Lt.
Melaph.y I. I.
' Tal
è, per esempio, il ciottissimo Felice
Raraisson, il quale, se-
gnatamente
nel 2** yolame dell* opera che noi
più Tolte abbiamo citato,
si
mostra critico assai poco benigno verso
le teoriche platoniche nel
porre
a riscontro la Dùdettiea e la
Metajitùsa, E di questo difetto è
stato
giustamente
ripreso dagli stessi francesi fra* quali
Janet. {ÉhuL
tur la
DialecHque
dant Platon et dans Hegel, Paris,
1861, p. 87.)
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GAP.
ym.] DEL CONOSOBBK METAFISICO. 411
come
nota lo Zeller, che le idee abbiano
da esser lo stesso
che i
sensibili; onde poi la conseguenza su
l'inutilità di
ciò
che Aristotele chiama sensibili etemi, la
facilità di
rilevare
T assurdo delle essente separate,^ il
rimprovero
su la
necessaria vacuità degli eterni parodigmi,
e la irrisa
e,
certo, ridevole mitologia delle idee come
reminiscenze
d' un'
altra vita.* Ora il Platonismo espostoci
da Aristo-
tele
arieggia, per più rispetti, al sistema
dell' assoluta
identità
: di guisa che ov' altri desiderasse
elementi
per
una severa confutazione della dottrina
hegeliana,
dovrebbe
intendere Platone così come lo intese
il suo ce-
lebre
discepolo e come lo stesso Platone si
rivela talvolta
nel
Parmenide e nel Sofista, e saperne
quindi ritrarre
gli
assurdi. Anche nel Platonismo passato per
la trafila
dello
Stagirita si può dire esser la logica
quella che
crea
il mondo, essendo la nozione, il
generale, Punita
indeterminata
che pone il multiplo. Fra il finito
e l'tw/ì-
nito,
fra l' Ente ed il Non-ente, fra 1'
Uno e V Altro
(rauToi,
5dÌ7spoy) nou ci ha chc uu rapporto
di natura
logica;
sia che si parli di fx^juviacc, sia
che di fisOf^ic,
ovvero
d'una relazione intima ed essenziale
emergente
*
"Ere Sol^iisv av aSiivarov ywpc'c
stvae tìj'v ouT^av xai
OH VI
o\J7iOL' wt7« ctw; «y ac cosai ovacat
t»v apxyfAOiTta'»
oZdOLi
X^P**"^ suv. Metaph,, 1. XIII.
'
Quanto al vaJore della critica Aristotelica
cons. lo Zbllkb {Eapo-
•inone
arittotelica ecc., ed. cit., p. 482).
— Vedi anche Tbendblbkbubq
come
intende i n^ùròc àpt^fAoi {PleUonU de
idei» et numerie doetrina
ex
Ariet. iUtutrata, Lipzia, 1826, p. 78
e seg.) — Stillbaum, Prolog, in
Parmenide,
p. 129, ove tocca dell* esposizione
aristotelica. — !. Simon,
Étnd.
tur la Théodieée de Platon et cT
Artet, p. 153 e seg. — Cuosiir,
note
al Tim., p. 860 dorè Platone è
difeso dall* accusa riguardante la
causa
finale. — Jacqitks, Thior. dee Idée*
réfutiee par Ariet, — Lkvbano,
De la
Critique et Ice Idéee Platonicienne» par
Ariat. au premier liv. de
la
Métaph. — Lrclf.bc, Penniee de Platon
preceduti da una Hist. abrégie
du
plaumieme, — Oggimai dunque le
interpretazioni e la difesa in favore
di
Platone sono tante e così evidenti,
che la crìtica aristotelica è ri-
dotta ai
suoi legittimi confini. Molte obbiezioni
Aristotele andò cercando
col
lumicino; ma alcune reggono e reggeranno
contro ogni forma di
Platonismo
come altrove toccammo, e come vedremo
meglio nel pros-
simo
capitolo.
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412
DBLLA DOTTBINA FILOSOFICA. [LIB. n.
dalla
natura stessa delle idee secondochè appare
nel
Parmenide.
Non è questo il luogo per dire
qual possa
essere
il significato sincero di questo celebre
dialogo e
quale
il metodo più acconcio onde vuol
essere inter-
pretata la
mente di Platone. Ripetiamo che per
lo Sta-
girita,
come per alcuni critici francesi, sembra
che il
filosofo
Ateniese rimonti all' assoluto mercè gli
artifizi
dell'
astrazione, dispogliando le cose de' lor
caratteri
individuali,
risalendo gradatamente a' rispettivi proto-
tipi, e
giugnendo così al minimo della realtà,
cioè al
generale
che per sé stesso è cosa
indeterminata e vuo-
ta.* Ora,
dare al Platonismo cotesto valore tornava
comodo
al discepolo per meglio combattere il
maestro ;
ed era
altresì naturale, atteso che il metodo
adoperato
da
Aristotele, anziché iperpsicologico ed astratto,
come
dicevamo,
si palesa essenzialmente psicologico, speri-
mentale,
induttivo nell'ampio significato di questa
pa-
rola, per
cui la sua metafisica riesciva al
massimo delle
realtà eh'
è l'Atto puro. Così ciò che per
questi in-
terpreti è
il minimum pel malinteso Platonismo, è
il
maximum
pel beninteso Aristotelismo.
Questo
fa oggi l'Idealismo assoluto, ma il
fa con
quella
ricchezza d'espedienti, come giustamente osserva
r
illustre traduttore di Hegel, e con
quella possente
vena
di speculazione, che sanno dar venti
e più secoli
di
storia e di profonda attività filosofica.'
L' Hegeliano
condanna
il metodo aristotelico, lo dice empirico,
e si
studia
invece di seguire e compiere il
metodo dialettico
dell'autore
del Parm^enide; ma nel fatto non fa
che per-
petuare la
vuota posizione del Sofista^ in quanto
che col
TÒ ov
di questo dialogo, che è precisamente
il suo In-
determinato,
e' si riman sempre nelle secche della
logica.'
'
Rayaisson, op. cit., t. II, p. 14.
■
Vera, V Hegelianifime tt la PhUoBopkie, p.
Iò8 e seg.
• Ma
è poi davvero Y Indeterminato la posizione
del Sofista? È egli tale
forse
r«»«er« che ì realmente e aaeolvUamejUe :
rw travre^wc ovt«?
{Soph.,
p. 249)
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CAP.
Vra.]
DEL 0ONO8CBBB MBTAllSIOO. 413
L' Idealista
assoluto non riesce al minimum platonico,
è vero
: ma comincia dal minimum dell'
essere, perchè
salendo
di slancio, come dicemmo, air
Indeterminato,
coglie
immediatamente (es egreift) l'In -sé {dans
ansich)
che è
Nulla ed Essere, e poi con metodo
dialettico e ge-
nerativo
egli viene sgomitolando, a così dire,
ogni cosa
con
ritmo costante, immutabile, invincibile,
matematico,
monotono,
per indi riuscire al medesimo punto
onde
era
mosso per l' innanzi. E con ciò pensa
d'aver con-
seguito il
vantato accordo fra T Aristotelismo e
il Pla-
tonismo,
mentre in realtà ad altro non riesce
che ad
una
forzata compenetrazione e meschianza del
melenso
e
indiscerniljile tò cv con quel Noùc
immobile, solitario e
tutto
chiuso entro sé stesso di cui
Aristotele parla
nel
XII libro della Metafisica. L' Hegeliano
quindi é
iperpsicologista
per doppio conto. Egli incarna, esplica
logicamente
e compie mirabilmente uno de' due
indirizzi
estremi
dell' Aristotelismo, e insieme interpreta
il Pla-
tonismo con
una critica che somiglia non poco a
quella
d'
Aristotile.
Concludiamo.
Abbiam visto come la forma di me-
diazione
onde i Positivisti mostrano d'aver
coscienza
dell'
Assoluto sia contraddittoria. Essi protestano
di non
saper
nulla, di non poter nulla sapere di
metafisico ; ma
nel
fatto confessano un nescio quid, la
realtà d' un ob-
bietto
trascendente. Lo confessano in maniera
empirica,
e si
contraddicono anche qui, perché, dichiai'andolo
In-
conoscibile,
negano così l' esigenza più vivace della
ricer-
. ca,
negano il metodo positivo, negano la
critica severa e
feconda.
Positivisti, Critici, Scettici o com'
altrimenti si
chiamino
cotesti filosofi déW avvenire, non hanno
e non
vogliono
aver fede nell' indagine d' un sapere
metafisico.
Essi
dunque condannano sé medesimi, il proprio
metodo,
la
ragione e la storia della scienza,
poiché non fanno
che
perpetuare un aristotelismo fiacco, empirico,
unila-
terale,
impotente, negativo. — Ad un opposto
resultato
riesce
il neoaristotelico iperpsicolggista. L'idealista
as-
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414
DILLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
Bolnto
dice di conoscer l'Assoluto, d'intenderlo
nel senso
più
stretto di questa parola, perchè lo
fa solo in pen-
sandolo, e
ripensandolo il rende a sé stesso
traspa-
rente. Chi
conosce Bram è già Bram, dice il
filosofo in-
diano.* Chi
giugne a pensar Dio, l'infinito, ci
dicon
gl'Hegeliani,
egli è già Dio, è già l'infinito.
Ma il modo
con
che pervengono a pensarlo, il processo
di mediazione,
non è
processo, non procede, non cammina, ma
sé in sé
rigira,
direbbe l'Alighieri, poiché riman sempre
nel
mondo
del più puro pensiero, del subbiettivismo,
in quel
letto
di Procuste appellato formalismo logico,
come del-
l'
Hegelianismo dice un illustre scrittore
vivente di Ger-
mania.' Cotesto
processo quindi é una mediazione bu-
giarda,
perchè non é vera e legittima
conversione.
Quell'ombra,
dunque, di dottrina metafisica, quel
vano
conato di conoscenza trascendente che ci
porgono i
Positivisti
col confessare la realtà d'unDews
absconditus
ci
rappresenta una delle forme costituenti la
prima |)0-
sùnone
speculativa; la quale perciò, chi guardi
alla legge
istorica
aristotelica secondo cui si svolve il
pensiero
filosofico
(pag. 272 e segg.), s'addimostra tutt'
altro che
positivo,
in quanto che ci rappresenta l'esagerazione
del
Dommciismo empirico. La dottrina hegeliana
poi
neir
attingere a modo suo l' Assoluto e
nel determinarlo,
ci
rappresenta invece la seconda posizione
speculativa,
ed è
l'esagerazione del processo deduttivo, in
quanto
é
Dommatismo sistematico assoluto; e neanche
questo
merita
nome di positivo. I Neoaristetelici
moderni, dun-
que, sia
che per necessità di sentimento e d'
opinione e
d'istinto
pongano l' Inconoscibile, sia che a furia
di spe-
culazione
trascendentale pongano l'Indeterminato come
un
absdute Prius, partono dall'ignoto; partono
dal-
l'
impensabile. Essi movono dal buio, o
riescono al
buio :
talché rassomigliano a que' filosofi di
cui parla Ari-
stotele, i
quali fanno nascer tutte cose dalla
notte : ol
*
CoLEBBOOKE, PhiL dea HindotUf 2. ed.,
Ess. II.
*
Gbbvihub, Hìh, du IHx*Neuviéme SihUe, Tom.
XIX. Paris, 1 868, p. 86.
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GAP.
Vm.] DBL GONOSGSBB lODTAFISKX). 415
fx
vuxTo'c 7fvvo3vTic. Perciò i Neoaristotelici, s'
appellinQ
Hegeliani
o Positivisti, meritano, comecché per
ragioni
diflFerenti,
il titolo di filosofi della notte ;
mentre i Neo-
platonici
con le vantate visioni, intuizioni,
splendori,
irradiamenti
e influssi divini, ben ci figurano i
filosofi
del
giorno e della luce.
Il
positivo nel conoscere metafisico non istà
nella
immediatezza
de' Neoplatonici, e neanche nella media-
zione de'
Neoaristotelici. In che dunque vuol farsi
con-
sistere?
Capitolo
Nono.
su LA
RICERCA DELL'ASSOLUTO
SECONDO
LA RAGION FILOSOFICA POSITIVA.
Altrove
notammo come V Essere s' incarni e
sostan-
zii ne'
tre processi, ideale^ naturale,
istoricO'Sociologko:
e come
il Vico, a significare l'indipendenza di
ciascuno
e insieme
la comune legislazione, siasi ben apposto
nel
chiamarli
a Mondo delie Menti e di Dio^
Mondo della
Natura^
Mondo dello Spirito » (p. 257).
Avvertimmo al-
tresì che
le scienze le quali studiano lo
spirito in sé
stesso
indipendentemente dallo svolgimento isterico, si
adunan
tutte nelle tre discipline fra loro
distinte eppur
connesse
in unico organismo, i cui tre
momenti, per
così
esprimerci, sono il Primo psicologico, il
Primo lo-
gico e
'1 Primo vero metafisico (p. 375 e
seg.)
Ora il
Processo ideale è la dialettica; la
quale vo-
lendo essere
avvisata sotto doppio rispetto, ideologico
e
metafisico, è davvero, come l' han sempre
designata i
Platonici
ed i Neo platonici, una scala; ma una
scala a
doppio
congegno; una scala ascensiva e discensiva,
come
direbbero
certi viventi critici francesi nell' interpretare
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416
DELLA DOTTBINA FILOSOnOA. [LIB. II.
il
Parmenide di Platone,' In qnanto ascensiva,
è ideo-
►
logia ; e V ideologia, se non
avesse alcun valore dialet-
tico, altro
non sarebbe che una serie di norme
logiche
e un
cumulo di leggi e d'attinenze onninamente
for-
mali. Essa
dunque rappresenta il processo eduttivo.
Questo
processo muove dal Primo logico, e
riesce al
Primo
vero metafisico; e vi riesce col
mezzo delle
idee
(ntpi iSé(av) che sono il medio per
eccellenza, lo
strumento
pili acconcio, più legittimo, e perciò
la prova
razionalmente
positiva per potere attinger la notizia
del-
l'Assoluto.*
In quanto poi la dialettica è
discensiva, è
metafisica;
ed è metafisica perchè, giunti, come
accen-
nammo, al
sommo della scala, il Primo vero
meta-
fisico
assume valore di Principio metafisico che
è an-
ch'egli
.processo e conversione con sé e col
fuori di
sé.
Nel Vico é abbastanza chiara l'esigenza
di que-
sto doppio
rispetto della dialettica laddove, nella
sim-
bolica
Dipintura della Scienza Nuova, pone il
pen-
siero e
l'essere come formanti un organismo, un
sol
mondo,
il Mondo delle Menti e di Dio^
secondo che ci
venne
fatto d'avvertire nell'altro capitolo (p.
379).'
* Vedi
per es. Jankt, Étude »ur la
Dicdectìque ecc., ed. cit. p. 2'28,
—
Vaoherot, HÌ9t. critique de VÉcole (TAlex.^
t. I, p. 64. — NoCTRlsSOir,
Expo8Ìtion
de la Théorie pUUonieienne de$ idée»,
PftHs, 1862, p. 65. ~
Simon,
HìH. de VÉcole d'Alex,, t. I, L
II, e. II.
*
Perchè le idee tornino fruttuose han d'
avere un valore dialettico.
Cons.
a questo proposito Plat., De Rep.,
VII: Sop}i.\ p. 253, ed. cit. —
Abist.,
Metaph., 1, 6. — Proclo, Comm, in
Parm., t. IV, 1. 1. Il metodo dia-
lettico
beninteso risale, secondochò notammo, a
Socrate, come quegli che
trasferi
tale parola dagli usi della vita
(^ta'kéyt'jBxL^ eonvereare), agli
usi
della scienza. Però dialettica, nel suo
razionale significato, indica la con-
venione
della mente, vuoi con sé medesima,
vuoi con altro. Il Vico intende
a
meraviglia tale origino istorica, nonché
Tapplicazione speculativa alla
scienza,
laddove afferma : V ordine delle
umane cote i d* ouervare le cote
SIMILI,
prima per ISPIROASSI, dipoi per provabr
; e ciò prima con V ESKM-
PLO
che ti contenta d* una coea^
finalmente con V INDUZIONE che ne ha
hi'
eogno
di piò: onde Socrate, padre di tutte
le eitte de*filo9ofi, introdueee
la
Dialettica con V Induzione che poi
compiè Aristotele col eillogiemo
eJte
rum regge senza un universale, {Se,
Nuo, 1. II.) Veggasi quel che ab-
biamo
discorso quant* al metodo, p. 246 e
seg. ; 275 e seg.
*
Ricordiamoci che per noi la metafisica
non ò sdema aeedlmUi, bensì
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GAP.
IX.] SU
LA BIOBBOA DILL' ASSOLUTO. 417
Il
nodo gordiano della filosofia, e però
la chiave
della
metafisica, son le idee. Se il
lettore ha badato al
processo
e alla genesi psicologica che assai
fuggevol-
mente
venimmo tratteggiando, avrà potuto indurre
qual
sia e
qual debba essere, secondo V esigenza
del filoso-
fare
positivo, r origine e la natura delle
idee. Coteste
idee
non sono entità puramente formali, né
puri concetti
dello
spirito. Non sono essente sparate, almeno
quelle
intomo
alle quali (come usava dire il
Galilei) possiamo
*
discorrer noi umanamente; e però non
sono sostanze
esteriori,
come Aristotele interpreta i napaStiyyiotrx
del
filosofo
Ateniese. Non sono concetti innalzati ad
univer-
salita
determinata ne^ quali col chiudersi il
circolo del-
l' essere
si esauriscano ed assolvano le ragioni
delle cose,
com' è
per gl'Idealisti assoluti. Non sono, a
dir proprio,
le
cose stesse nelle assolute lor qualità.
E, finalmente,
non
sono quasi altrettanti simboli, o spiragli
attraverso
cui si
affaccia al pensiero l'Assoluto. Le idee
costituì-,
scono
il prodotto del processo psicologico. Elle
dunque
sono
una fattura di nostra mente: son la
mente stessa,
direbbe
il Vico, ma la mente in quanto
è Magione spie-
gata. Ecco
le idee umane, sul cui svolgimento
s'imba&a
tutto
l'edifizio e tutto il valore della
Scienza Nuova.*
Mcienxa
ddP à»9oIìUo in quanto è Critica del
Vero. Però accettiamo anche
qui la
sentenza che costituisce, diremmo, la
chiave dell* indiriuMo medio
dell*
Aristotelismo. Per Aristotele la Metafisica
è «ciennadeU^AatolìUo; e
questa
scienza dell'Assoluto è anche logica,
logica in «2, logica in quanto
considera
l'essere »n «è, realmente : to' sgw
ov xai x^/^'^l^v.
{Metaph.,
XI): il che consuona con la sentenza
del Vico riferita altrove:
Quello
che è metafiaica in quanto contempla
le cote per tutti i generi delV
e»-
aere,
lo tteseo è la logica in quanto
considera le coee per ttUti i generi
di
Bignifienrle.
Col pensiero d'Aristotele poi rinverga il
concetto del suo mae-
stro.
Platone, come ò noto, appella filosofi
quelli a* quali ò dato asseguir la
notizia
di ciò che è costante e assoluto
(^cXóaoooc jiasv oc toù àcc
xxT«
rauToè wc«i»tw; e;^ovTo; 5«và^«ovi SfxnrtfrOxt.
Bep.y
VI,
484, A.)
* A
prima giunta parrebbe che nella dottrina
delle idee il Vico fosse
un
filosofo arciplatonico, ma non è. La
dialettica platonica, intesa in un certo
senso,
non può menomamente prescindere, come
osserva il Simon, dalla dot-
trina della
reminiscenza: La euppreseion de la
remini»cenee en peycologie
ut la
négation de la dialectique et de la
tkéorie de» idée» (Op. cit., t, 1,
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418
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. U,
Ma se
le idee sono il moto stesso e
lo stesso esul-
tato della
energia psichica, e, come tali, chiudono
il cir-
colo della
natura e dello spirito, non però
chiudon sé
stesse,
anzi dischiudonsi, e col dischiudersi ci
mostrano
di lor
natura un intimo riferimento all' Assoluto.
Se
r
uomo, lo spirito, secondo la nozione
del nostro filo-
sofo, non
è, a dir proprio, Y infinito attuale
e nemmanco
r
attuale finito, ma una potenzialità
infinita, una po-
tenza che
tendU ad infinitum, ne seguita che
anche,
le
idee, sue determinazioni, voglion esser
fomite del
doppio
carattere della finità e della infinità,
sia che le
si
considerino nelle intime lor attinenze
organiche, sia
che
nella lor solitaria immanenza. Dunque
l'idea è
genm,
è forma metaphysica, e, come tale,
somiglia alla
forma
del plasticatore, anziché a quella del
seme.* Ma
anche
come genere, anche come forma metafisica l'
idea
è
finita e infinita: finita in ampiezza
e universalità; infi-
nita in
perfezione.' Però tiene del finito, in
quanto che
un'
idea non è l'altra; e tiene poi
dell'infinito, perchè è
p.
241). Or la dottrina psicologica del
Vico, secondo che noi siamo
Tennti
interpretandola, contraddice ad ogni platonica
reminiscenza, ad
ogni
maniera d* intùito iperpsicologico ; anzi
non mancano luoghi ne^qaali
egli
condanni questa dottrina. (De Univ.j'ur.^
e. 1, 1.) Quanto alla Scienza
e alla
Virtù, dice esser cose che hisogna
edurle dalla mente e dairanimo
come
fa T ostetrico (De Coruu PhiL, e.
I). Non è poi nniraffatto plato-
nica nò
quant*alla natura, né quant* all' origine
delle idee, perchè le idre,
per
lui, non sono gli eterni veri
(essenze separate ed esemplatriei)^ ma sono
entità
che significano l'Assoluto in quanto si
riferiscono a ]uì [De Univ.,
e. y,
1). Non sono quindi appreso direttamente,
ma fatte. Vedi, per es.,
quel
che dice sul generarsi de* generi e
delle forme metafisicke, le quali
a
nostris pueris primulum bua spontk
«xpZtcantur (Ibi, e. XII, ili, 5). E
ciò
non pertanto gli hegeliani V han
battezzato o seguitano a battezzarlo
per
platonico sviscerato ! Neil' altro capitolo
vedremo fino a qnal segno
e per
qual ragione egli possa meritarsi questo
titolo.
*
Forma» intelligo metaphysioas (pice a
physieis ita diversce sunti «*
forma
plaatm a forma seminis. Plastce mim
forma dum ad eam quid fer-
matur,
manet idem et semper formato perfeetlor
; forma seminis, dum quo-
tidie
se esplicai, demutixtur ae perjicitur
magie: ita ut formfn pkysicct sint
ex
formis metaphysieis formatw {De Antiq., c. Il, § 2). Vedremo fra
poco
qual
valore abbia quest'ultima sentenza.
*
Genera esse formas, non amplitudine, sed
perfezione injìnitas (Op. cit.
C. U,
1).
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OAP.
IX.] SI7 LA BIOEBOA DSLL' ASSOLUTO.
419
l'altra
e, sotto certo rispetto, tutte le
altre. La legge dia-
lettica,
dunque, è la stessa legge universale
dell' essere;
legge
di conversione; legge d'alterità e di
medesimezza.
Sennonché
cotesta conversione ideale non è semplice
opposizione,
e neanche compenetrazione, conciossiachè
la
ragione dell'un termine non istia solamente
nell'altro.
Il
dialettismo si radica, non già nelle
idee come opposte
fra
loro o come generate, ma, innanzi
tutto, nel soggetto
che le
genera. Un'idea non è universale perchè
perfetta,
ne
perfetta perchè universale. E non è
finita perchè
infinita,
né infinita perchè finita. Questo è
l'errore delle
dialettiche
a priori che, levando a principio l'
opposi-
zione per
r opposizione, riescono ad un pretto
mecca-
nismo
ideale. Un' idea è infinita, o
finita, principalmente
per
sé, e anche per l' àUra. Se dunque
la lor conversione
non è
equazione, né semplice opposizione, ne
consegui-
tano due
cose: V ch'elle non chiudono il
circolo;
2*"
eh' esse importano l' ideato nella pienezza
di sua real-
tà. Si
vorrà supporre che anche cotesto ideato
sia
un'idea?
un'idea madre? E allora avrà luogo il
mede-
simo
discorso, e saremo sempre daccapo. Si
vorrà giu-
gnere
all'idea dell'essere mercè i soliti
lambicchi de' raf-
finamenti e
assottigliamenti astrattivi? E avremo la
nuvola,
non Giunone ! Certo, l' idea dell'
essere non è
come
le altre, finita nell'ampiezza, bensì
infinita, uni-
versale; ma
è vuota, è vacua, né altro è
capace di dare
fuorché
yffi'kÒLi evvoiaf. Ella comprende tutto, ma
non rac-
chiude nulla
: è un Primo logico, non già un
Primo vero
metafisico.
Dunque vuol esser determinata; stanteché
debba
cessar d' essere infinita per universalità,
e assu-
mer valore
d'idea infinita per perfezione. L' ascensione
dialettica
perciò è incalzata dallo stesso principio
della
conversione;
e la mente deve posare in
quell'ideato
che, a
dir proprio, sia un ideato dialettico,
ciò è dire
conversione
piena, assoluta, vivente, reale.*
* 1
Generi f dice il Vico, aono non per
univer»alità, ma per perfezione
inJiniH:
e questo eeeere U brieve e vero
9en§o del lungo e intricalo F€tnn&'
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420
DILLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. II.
Se r
idea è infinita non per ampiegm ma
per_per-
fmone, perciò
non va confusa col concetto; al modo
nide
di Platone; e questo intendimento doverti
dare alla famosa Scala
ddle
Idee onde i Platonici pervengono alle
perfeUianime ed eteme (Bisp. I,
al
Oiom. de* Lett., II). Quanto al
brieve e vero senso del Parmenide
toc-
cheremo più
giù. Dove poi il Vico dice: Genera
esse formasy non amj^itu-
dinef
sed ptr/ectione injinitas^ tosto SOggiugne
: et quia injinitas^ in uno
Deo
esse.... Come va intesa questa sentenza?
In quanto le idee possie-
don
carattere dMnfinità e d* assoluta
perfezione, elle sono in Dio; e
sono
in lui perchè forman tutte assoluta
unità, e assoluta totalità: uni-
totalità.
Lo avea detto Galileo che non era
un metafisico : Le idee, perchè
inJinitCf
sono una sola ndV essenza loro e
nella mente divina (Op., ed. Al-
bóri, 1. 1,
Dial. de* Mass. Sist,, p. 116). Ha
in quanto possiedon Tubo e
r
altro carattere, elle si producono e
rìseggon nello spirito, nel pensiero ;
sono
il pensiero; e sono finite e infinite
perchè tale è, ripetiamo, la natura
stessa
dello spirito, cioè potenzialità infinita.
Ne viene perciò che, ove le
idee
fossero infinite in atto, non potrebbero
essere altresì finite. E dove
fossero
solamente finite e puramente universali,
sarebbero forme vuote e
astratte,
e però, contraddicendo air intera dottrina
psicologica del nostro
filosofo,
cadremmo nel pretto sensismo. Or le
idee, le nostre idee, non sono
infinite
e perfette perchè siano lo stesso Dio
o pertinenze di Dio, ovvero
spiragli
ond*ei s* afikccia al pensiero, come
dice il Mamiani col suo lin-
guaggio
tinto di certo color poetico; ma son
tali perchè tale per T ap-
punto è
il soggetto che le partorisce; il
quale perciò, mediando sé stesso
come
potenziale infinito, deve per necessità
eduttiva concludere alla no-
tizia deir
Assoluto. Di qui nasce che le idee
non possono essere infinite
di
fatto, e ce *1 dice egli stesso
: enim vero ista genera nomine tenue
infinita,
homo
enim ncque nikil est, ncque omnia.
Quare nee de nihilo nisi per ali-
quid
negatum, neo de infinito, nisi per
negata finita cogitare potest. Ai
enim
omnis triangulus habet angulos cequales
duobus rectis. Ita bene: sed
non
id miìU infinitum verum, sed quia
habeo trianguli formam in mentGot
imprcssam,
cujus hanc nosco proprietatem, et cu
mihi est archetypus cete-
roruh
(Op. cit., e. Il, § 16, 17).
Fatta dunque Videa, tosto in essa io
riconosco,
non già V infinito, ma il carattere
della infinità: hanc proprie-
totem
nosco. Per questa proprietà essa diventa
un archetipo, diventa
una
misura {archetypus ceterorum); e come
archetipo e misura ella, per
me, è
un assoluto; e così è vero, che
Vuom tende a farsi regola deW uni-
verso, che
vuol dire tende a farsi assoluto. E
qui toma acconcio il ri-
confermare
quella relazione che tra le opere del
Vico altrove procac-
ciammo
chiarire. Nella Scienza Nuova Tuomo è
regola e misura in tre
maniere,
secondo i tre momenti dello svolgimento
isterico ; 1° nella fase
0
stato divino, per credenza e per
sentimento; 2« nella fase eroica, per
arbitrio,
forza, potere, volere ; 3<> nella
fase umana, per magistero logico
e
scienziale, cioè per la ragione
spiegata,^eT le idee {idee umane). Ecco
dunque
una prova novella che ci mostra come
la Scienza Nuova, anziché
contraddire
al Libro metafisico, lo esplichi e lo
legittimi sempreppiù, al
modo
istesso che questo riassume le ragioni
metafisiche di quella.
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OAP.
IX.] SU
LA BIOSBOÀ DELL' ASSOLUTO. 421
istesso
che l'intendimento, secondochè mostrammo, non
è da
confondersi con la ragione. Tanto Videa
quanto
il
concetto sono una dualità, perchè T una
e l'altro sono
conversione,
giudizio, e però medesimezza e distinzione.
Ma la
dualità dell' idea è l' universalità e
\2l perfezione;
dovechè
quella del concetto è l' estensione e
la compren-
sione. Nel
concetto^ come vedemmo, ci è sempre
un'orma
del
fantasma (p. 321); e nell' idea v'
è sempi-e un' orma
del
concetto^ cioè il comune, l'universale. Or
chi dirà
che il
concetto abbia carattere d'infinità solo
perchè sia
comune
e universale?* Il circolo, a mo'
d'esempio, in
quanto
è universale, è concetto; ma in
qijanto racchiude
la
nota essenziale ond' e' si discerne
da ogn' altra no-
zione, è
quello che è ; è perfettissimo ;
è infinito ; e così
lo
pensa Dio come l'uomo.*
' Si
vero id contendane etse injinitum gentu
(cioè che i tre angoli
d*aii
triangolo rettilineo siano eguali a due
retti, eh' è l'esempio rife-
rito poco
fa dallo stesso Vico), quia ad eum
trianguli archettfputn accom-
modari
innumeri trianguli po«8unt, id tibi habeant
per me licet; nam
vocabulum
iÌ9 lubens condono, dum ipti de re
mecum eentiant. Sed enim per-
peram
loquuntur, qui decempedam dixerint injinitam,
quod omne extenaum
ad eam
normam metiri poannt, > {De Antiq.^
C. II, 17.)
'
Galileo nota stupendamente questo privilegio
del pensiero là dove
distingue
V intendere extensive dair intendere
intensivCf confermando così
la
dottrina del Vico. Vintenèive del filosofo
pisano è il perfettamente^
com*
egli stesso dichiara. Ora v* ha
cognizioni, egli dice, le quali, guar-
date sotto
il rispetto della inteneìtà e della
perfezione, agguagliano le di-
rine
neUa certezza obbiettiva^ perchè con essa
arriviamo a comprenderne
la
nec€99Ìtà sopra la quale non par che
posta essere sicurezza maggiore,
{Dial.
de' Mass. Sist,j loc. cit.) Gli esempi co'
quali Galileo procaccia chia-
rire tale
idea, son tolti dalla matematica; e
la matematica, anche per
lui, è
una fattura della mente; e però la
certezza e la necessità ond'ei
parla
scaturisce immediatamente dalle leggi stesse
della psicologia. So
che il
Neoplatonico neanche qui si darà pace,
ed opporrà la solita in-
Titta
necessità di certi yeri che, vada o
Tenga il pensiero, sono e saran
sempre
quello che sono. A questa difficoltà
ahhiamo già risposto (p. 243 e
seg.)
U due e due fan quattro (direbbe
un neoplatonico alla Maminni)
gli è
un yero assoluto e necessario, né io
posso pensare il contrario;
dunque
T*ha in lui qualcosa che non m'
appartiene ; e però,o è Dio, o
è
pertinenza
di Dio. Nient' affatto! Io non posso
pensare il contrario; ed
è
yerissimo: ma perchè non posso pensarlo?
Perchè non posso contrad-
dirmi; ecco
la ragione immediata. Il regno della
logica non è il regno
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422
DKLLA DOTTRINA ITLOSOFIOA. [lIB. H.
Or se
tale è V organismo delle idee, è
impossibile
che il
pensiero partorisca e generi un'idea la-
quale
sia
infinita così nelF ampiezza come nella
perfezione.
Se
potesse, e' già sarebbe V infinito in
atto. Se potesse,
egli,
col farsi, già sarebbe un fatto. Ma
così non si con-
traddirebbe?
Non annullerebbe sé stesso anche qui?
La
conseguenza, dunque, parmi chiara: il
pensiero, que-
sto nostro
pensiero con tutto il suo ^contenuto,
non
possiede l'
essere, non è l'essere, non si
compenetra con
r
essere. Questa invincibile manchevolezza d'
essere,
questa
insuperabile impotenza d' essere, come ci
si ri-
vela? quand'
è che ci si rivela? Precisamente
nella stessa
impossibilità
d'afferrare e fermare il pensiero
nell'o/to.
Ed è
impossibile poter cogliere e fermare
quest'atto,
appunto
perchè lo spirito, pensando, è già un
atto, è
già
faUo (actum). Or se non è atto,
non ci ha da esser
r atto
? Io penso l'essere; io son l'essere:
eppure non
sono
la realtà dell'essere! Dunque la stessa
impossibilità
a
dedurlo come tale, mi dà il diritto
a concluderne la
realtà.
Il che accade per una ragione detta
e ridetta,
che, cioè.
Essere e Pensiero non sono l' uno in
due (come
direbbe
lo Spaventa), non sono l' identico nel
diverso,
ma
sono il due in wwo, sono piuttosto
il diverso nel-
r identico.
— E qui ci è dato scorgere sempre
più netta-
mente V
errore degV intuitisti e ie^ mediatisti.
Cotestoro,
come
vedemmo, voglion rintracciare la ragion
dell'as-
soluto e
dell' infinito nel pensiero, e ricorrono
ad espe-
dienti
opposti e contrari. Gli uni ci dicon
che la mente
colga
immediate 1' Assoluto ; gli altri,
che lo faccia. Ora
chi
dice di vederlo, per me, sogna ad
occhi aperti; e
senz'
addarsene resta impaniato nel panteismo.
Chi poi
dice
di farlo, sogna anche lui e, per
di più, diverte la
doli*
arbitrio. E perchè poi non posso
contraddirmi? Giusto perchò lo
stesso
pensiero è quello die nel due e
due fan quattro pone gli elementi
e le
condizioni del giudizio: le quali io
non potrei negare, senza distrug-
gere il
mio stesso pensiero. Se potessi, ne
verrebbe che io farei, e non
farei: cioè
/arci il nulla t
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GAP.
ne.] su
LA BIOEBOÀ DELL* ASSOLUTO. 423
gente
con indovineUi da algebrista, e finisce
per immer-
gersi nel
nulla : talché anniillando cotesto
assoluto, la sua
deduzione
riesce davvero ad \m3i bestemmia.^ 11
Neoplato-
nico s'
affida ad un intùito ; e così
esagera V impotenza
in cui
è il pensiero d' esser V essere. 11
Neoaristotelico
hegeliano,
al contrario, s'affida a sé stesso; e
così esa-
gera la
potenza del suo pensiero adequandolo all'
essere.
Entrambi
dunque deducono; ma l'uno appoggiandosi
neh'
obbietto intuito, o neW Ideato presente
al pensie-
ro; r
altro, movendo dsàV Indeterminato cólto o
posto
per
astrazione immediata e subitanea. Illusione l'
imme-
diatezza dell'
uno ! illusione e arzigogolo logico
la me-
diatezza
dell' al trol Non intùiti, ne posizioni a
priori:
non
immediatezza, né mediatezza, ma conversione,
ma
processo
del pensiero con l'essere. Le idee
non sono
r
Assoluto significativo, l' ente in quanto
sigtii/ica, in
quanto
presenta sé stesso al pensiero:' ma é
lo stesso
pensiero
quello che per sé medesimo é
significativo del-
l'Assoluto,
in quanto é Bagione spiegata. Brevemente:
se r
idea è mezzo, eli' è il pensiero,
ma è il pensiero
in
quanto rappresenta l'Ideato, non già
l'Ideato in
quanto s'
affaccia al pensiero. Or qui si
compie nella
sua
vera forma la funzione eduttiva.
Parlando
della genesi e classificazione delle varie
di-
scipline
dicemmo, le scienze eduttive ridursi ad
una sola,
ed
esser la filosofia (p. 232). La
filosofia s' intrinseca con
tutte
le scienze; e però é anch'olla
induttiva e deduttiva
la sua
parte. Ma anch'essa é autonoma, anch'essa
è
trascendente,
e come tale è di natura eduttiva
; poiché
non
cessando d'alimentarsi de' tesori adunati
dalle altre
discipline,
nondimeno sa e può trovare alimento
in sé
stessa,
e per sua propria virtù. Se le
idee infatti hanno
lor
fondamento in natura, nessuna funzione
basterebbe
* Hine
adeo impiat euriontatit notandi, qui Deum
Optimum Maximum
a
priori probare ttudeiU: nam tantundem
ettet, quantum Dei Deum «e /a-
oere,
et Deum negare, quem quixrunt. (Vico»
De Antiq., C. Ili, S.)
*
Màmiani, Lett. al DoU. BrentoMMoUf p.
55.
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424
DILLA DOTTBiNA ulosoiioa. [lib. n.
a
scioglierle da' viluppi delle sensate
apparenze, ove la
stessa
mente non sapesse pai*torirle. Tra il
fantasma
e
l'idea, tra la forma metafisica e la
fisica^ c\ è quel me-
desimo
intervallo esistente fra il senso e
la ragione. Or
tuttoché
le idee pongan radice nella natura e
si muo-
vano in
questa, nondimeno con lieve soccorso del
senso
elle
possono esser generate dalla mente, poiché
a conce-
pir r
idea del circolo, o meglio, a fissare
il concetto
del
circolo nella nota che costituisce la
sua perfezione
e
trasformarla in idea o forma metafisica,
non v' ha
mestieri
di prolungati lavori d'astrazioni e di
generaliz-
zazioni. La
mente perciò nel concepirle fa altrettanti
giudizi
eduttivi.* Il giudizio eduttivo è diverso,
così
nella
forma come nel contenuto, dal giudizio
induttivo,
e dal
deduttivo. Il suo carattere specificante
dicemmo
radicarsi
innanzi tutto nella relazione de' suoi
termini,
e
quindi nell' origine dell' attributo. L'
attributo non è
dato
dal fatto; e però non è sintetico
a posteriori. Non
è
ricavato dal soggetto e applicato al
soggetto stesso
come
parte del suo contenuto; e quindi non
è di na-
tura
analitica. Non è ripetizione del medesimo
soggetto ;
e
quindi non è identico. Il giudizio
eduttivo serba in-
' Se
pensare, come altrove mostrammo, è
giudicare, e giudicare è
un
atto di conversione in quanto che
convertire è scorger la medesimezza
e la
differenza ad un tempo; ne viene che
il giudizio è la sintesi di due
elementi,
convertione del vero col fattOf sintesi
della medesimezza gene-
rica [vero)
e della diversità specifica (fatto). Ora
guardando alla funzione
speciale
onde la mente forma concetti e
giudizi, ricavammo esser tre
i
sommi generi a cui essi potranno
rimonarsi, e li appellammo induttivi,
deduttivi,
eduttivi. Questa divisione è essenziale, perchò
si fonda prin-
cipalmente
nella differenza del contenuto de* giudizi,
e perchò dà origine
alle
tre funzioni metodiche. Si fonda dunque
su la dottrina della cono-
scenza e
della scienza, e perciò è razionale e
cpmpiuta. L'atto del giu-
dicare,
Infatti, ò sempre identico nella sua
forma logica, poiché è sempre
una
conversione al pari del concetto ond'
emerge; ma differisce nel con-
tenuto, ed
ecco r origine delle tre differenze di
giudizi. Tutte quelle in-
numerevoli
distinzioni e classi e divisioni e
suddivisioni di atti giudi-
cativi fatte
da Aristotele sino al Kant e al
Rosmini, sono spartizioni
secondarie,
le quali riguardano l' estensione, la
quantità, la relazione, la
forma
e l'indole de' giudizi; ma riescon tutte
incompiute.
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GAP.
IX.] SU
LA BIOXBOA DELL* ASSOLUTO 425
dole
essenzialmente sintetica, e però sgorga
dallo stesso
pensiero
per virtù e necessità eduttiva. Ma
qual sorta
di
sintesi è cotesta ? Non è sintesi
a priori nel senso
de'
Neoplatonici, perocché l'obbietto non è
dato da
nessun
intùito o visione trascendentale. Non è
sintesi
nel
senso dell' Idealismo assoluto e del
Criticismo, per-
chè r
obbietto non è posto per mera legge
dialettica,
e
neanco per non so qual cieca
necessità subbiettiva. *
H
giudizio eduttivo è un vero atto
sintetico, un atto
sintetico
trascendentale per eccellenza perchè l'attri-
buto non
è nel soggetto, e nondimeno è posto
dal
soggetto.*
Qual è
l'oggetto di questa sintesi trascendentale?
È
appunto ciò che le forme metafisiche
possiedon di co-
mune. È
ciò che nel concetto e nelle
determinazioni
ideali
scopriamo d' infinito, non già nell'
ampiezza, ma
sì
nella perfezione. La funzione eduttiva
dunque è fun-
zione
dialettica, dialettica ascensiva. Perciò eduzione
delle
idee non vuol dir la pura e
semplice generalizza-
zione delle
qualità dell'essere: vuol dire accrescimento
dell'
essere ; vuol dire concentramento dell'
essere nella
* I
griudizi iintetici a priori di Kant
non sono propriamente apriori,
ma si
riducono a giudizi analitici.
* Il
processo conoscitivo è, per dir così,
nna catena, gli estremi
della
quale sono due sintesi, e però due
forme di conversione ; V una di
esse è
originaHay e l'altra finale. Quella
precede, come si disse, ogni
riflessione,
e costituisce il Primo psicologico, Y
unidualità primitiva ; la
quale,
facendo possibile la formazione de'
concetti mercè il processo
psicologico,
toglie queir apparente petizion di
principio tra la necessità
per
cui ogni giudizio deve importare il
concetto, e la necessità ondMl
concetto
debb' essere un atto giudicativo. La
sintesi finale poi riesce al
Primo
vero metafieico^i] quale devesi convertire
col Principio metafisico.
Avviene
perciò che la sintesi originaria sia
costituita dal pensiero e dal
suo
obbietto che è Tessere in quanto
indeterminato; e però è sintesi
naturale
essendo posta dalla stessa natura (p.
848 e seg.). La sintesi
finale^
per contrario, ha per oggetto 1*
essere determinato ideale, e de-
terminabile
in quanto reale ; e )»er ciò è
sintesi superiore alla natura
essendo
prodotta dallo stesso pensiero. Queste due
sintesi dunque sono
due
giudizi d'indole sintetica, ma diversissimo
n'è il contenuto ; per la
ragione
che, se nel primo d'essi l'obbietto è
posto da natura, nel se-
condo è
posto dalla stessa mente.
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426
DBLLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. IL
sua
idealità. Or se tale è la natura
di questa fun-
zione^
accade che il principio ond' ella è
governata
non
possa esser quello d' identità, di
repugnanza, di
causa
e simili ; stantechè qui non si
tratti di logica for-
male la
cui materia è costituita, in generale, da'
giu-
dizi
deduttivi, ne di logica induttiva, i
cui giudizi ri-
posano sul
principio di causalità e di sostanza
empiri-
camente
intesi. Se il fine della logica
formale sta nel
fissar
le norme del ben pensare, e il
fine della logica
induttiva
nel porgere i criteri a fruttuosamente
spe-
rimentare; è
chiaro esser necessaria una logica la
quale
sappia
ritrovare il vero facendolo, se pure s'
ammette
che la
metafisica abbia da essere una Critica
del vero.
Ed è
chiaro altresì esser necessario un
principio che
sappia
guidarci nel processo di siffatta critica,
il qual
principio
è appunto, come altrove toccammo, quello
della
Conversione (p. 250).
Or
questa funzione eduttiva, di natura
essenzial-
mente
dialettica, non va dall'effetto alla causa,
né dalla
causa
all' effetto : non va dalla sostanza
alla determina-
zione, né
dalla determinazione alla sostanza. Le idee
non
sono
effetti, non sono risultati, né
determinazioni dell'As-
soluto. Se
così fosse, come sarebbe possibile il
transito
dialettico?
Il passaggio dialettico (nopsisi) è
solamente
possibile
dov'è possibile medesimezza e differenza;
do-
v'è
possibile intervallo e continuità; dov'è
possibile,
insomma,
conversione di termini. I termini in
quest' or-
dine di
cose, da una parte, sono le idea,
la Eagiotie
spiegata
; dall' altra sono le stesse idee,
le stesse forme
metafisiche,
ma in quanto concludono nel loro
ideato,
neir
ideato come Principio e Mente reale,
nell' ideato
che
basti a sé stesso (ro^izavov), nell'ideato
che nulla
suppone,
ma che si pone (ro ocvuttoOstov).
Intanto la ra-
gione,
tuttoché secondo le leggi altrove notate
del pro-
cesso psicologibo
debba mover dalla natura e dal senso,
nondimeno,
come tale, è caussa sui (suitas) ;
e l' effetto di
tal
cagione è la scienza, le idee, le
quali, in quanto forme
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GAP.
IZ.] SU
LA RIOBBOA DELL* ASSOLUTO. 427
metafisiche,
si riferiscono all'Assoluto. E cotesto
Asso-
luto alla
sua volta è Caussa sui (Aseitas), ma
è anche
cagione
del mondo in quanto è Mente; e
l'effetto di
tal
cagione è lo spirito, non già come
Ragione spiegata,
come
Nove, come attualità, ma come virtualità,
po-
tenza,
materia, natura, conato. Ora questa
evidente-
mente è
conversione, e quindi è sintesi eduttiva.
Ed
è tale
in quanto procede da causa a causa,
in quanto
concatenando
caussas caussis (p. 275) le annoda e
di-
stingue ad
un tempo, perchè in realtà le
s'immedesimano
e si
distinguono anche fra loro. 11 perchè,
se da una
parte
qui abbiamo le idee, le forme
metafisiche, la ragioìie
spiegata,
la coscienza, il Vero; mentre dall'altra
abbiamo
r
Assoluto, r Assoluto in quanto è
mente, in quanto
è la
Mente, in quanto è il Fatto per
eccellenza; in una
parola,
se da una parte abbiamo quel che
il Vico direbbe
le
Menti, e dall'altra Dio: ne viene che
in questo Motido
delle
Menti e di Dio, in quest' organismo
del pensiero
con r
essere, il passaggio dall' un termine
all' altro non
è
processo deduttivo, né tampoco induttivo,
ma è pro-
cesso
essenzialmente eduttivo, perchè anche qui
ha luogo
la
conversione del vero col fatto, cioè
la conversione delle
Menti
con Dio, della logica con V
ontologia, dell' ideo-
logia con
la metafisica. Sarà un' alchimia anche
questa ?
Potrebbe
stare. Ma chi ben la consideri,
anziché un'al-
chimia,
scorgerà in essa il fondamento della
prova le-
gittima,
vera, positiva intorno all'Assoluto.*
* Le
tre ordinarie maniere d* argomentare resistenza
di Dio furon
ben
cento volte dimostrate deboli, incompiute,
fallaci, per la solita ra-
gione che,
non racchiudendo processo, mancano perciò
di valore propria-
mente
dimottratico. Il cosi detto argomento
ontoìogicOf per es., qaalanque
ne sia
la forma datagli da Anselmo, Cartesio,
Malebranche, Fénelon, Leib-
nitz,
Gerdil, Rosmini, Gioberti, Mamiani e
simili, non può concludere alla
realtà
assoluta, perchè, comunque e' si squadri,
ha sempre nn valore dedut-
tivo. Gli
argomenti poi dettiyì«ico, moralcf ootmologieOf
sono sfomiti d* ogni
rigor
di prova razionale, in quanto che si
riducono alla forma induttiva,
la
quale, in tal caso, racchiude nna
petizion di principio. Laonde se la
deduzione
move da un /ntùtto, siamo nella ipotesi; e
la scienza non può
accettar
le ipotesi come principi], tnttochò se
ne possa e debba giovare
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428
DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [LIB. H.
È
dunque vero, è verissimo che l' uomo
da sé e con
la
propria mente faccia Dio. E lo fa
dapprima col senso,
poi
con r immaginazione, da ultimo con la
ragione. Col
senso
lo vede immediatamente nella natura, lo
sente nella
natura.
Con l'immaginazione lo vede attraverso alla
natura,
ma lo sente in sé medesimo. Con
la ragione
lungo
il suo processo come d'altrettanti mezzi.
Se poi muove da un Indeter-
minato f
siamo nel formalismo psicologico, nell*
arbitrio logico, e però si riesce
agi*
indovintUi da algebristi, V una forma
di deduzione perciò non dimostra,
cbè
anzi invoca appunto l'Assoluto per
dimostrare: T altra invece dimostra
troppo,
e perciò non dimostra nulla. Dunque V
argomento eduttivo o della
eonveraionef
che noi contrapponiamo a qualunque forma
di deduzione e
d*
induzi one, è prova legittima, stantechè
racchiuda il vero termine medio,
il
vero m«szo tra il mondo e T
Assoluto. U solo Trendelenburg ha parlato
d' una
forma di prova eh* ei chiama
argomento logico, il quale potrebbe
avere
alcun riscontro col nostro. Ma non
poche sarebbero le difficoltà
nelle
quali intoppa il dotto tedesco, chi
guardi al concetto del moto eh* ei
pone a
capo delle categorie. Neil* ordine
psicologico noi moviamo dal
Vero
che per necessità eduttiva si converte
col Fatto : e ne ricaviamo che
cotesto
FaUo non è già moto, anzi pensiero
per eccellenza, mentalità
assoluta.
Or bene s* e* fosse moto, corno
saria possibile una conversione f
E
mancando la possibilità della conversione,
come farà, 1* illustre autore
delle
Bioerche Logiche, a salvarsi dal pericolo
d* un vuoto formalismo ?
Giova
qui rispondere ad un'obbiezione. Si dirà:
cotesto vostro pe-
regrino
argomento, in somma delle somme, si
riduce ad una forma d* in-
duzione. Dall'
effetto, andate alla causa; dal
particolare, al generale;
dalla
determinazione, alla sostanza; dal finito,
all'infinito. Brevemente,
dal
mondo salite a Dio, sia che
consideriate la natura, sia che lo
spi-
rito, ovvero
le idee.
Rispondo:
induzione pura o semplice, 'no; ma
processo induttivo:
il
quale, compiendosi nel processo eduttivo,
assume quindi valore d'ar-
gomento
razionalmente positivo. Dio, a parlar
proprio, non è pura so-
stanza,
causa, essere infinito solitario ; nò
il mondo è pura qualità e
determinazione,
puro effetto, puro finito posto
dall'infinito. Se Dio fosse
cagione
semplicemente presa, il mondo (l'effetto)
ne sarebbe l'atto. Se
fosse
sostanza, il mondo ne sarebbe la
modificazione. Chi ci salverebbe
dal
panteismo ? Se poi fosse infinito ut
«ie, perchè, domanderò io, se basta
a so
stesso ha da porre il finito ? Dio
è tutte queste cose, infinito, causa,
sostanza
e simili, ma è tale, perchò
principalmente è idea, pensiero, men-
talità. Or
non è anch' egli mente e pensiero l'
Universo ? L* argomento
della
conversione, dunque, non va dal mondo
a Dio, non procede dal-
i*
effetto alla causa (ohe non procederebbe
davvero), ma va, ma procede
da
causa a causa annodandole insieme. E
le annoda, perchò serbano me-
desimezza e
diversità; le annoda, perchè adopra il
mezzo delle idee; le
annoda,
perchò educe le idee, e perchò queste
idee converte con 1* ideato.
— Un*
ultima osservazione che avrei dovuto fare
già in altro luogo: me-
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GAP.
IX.] SU
LA BIOEBOA DBLL' ASSOLUTO. 429
Io
vede nelle sue stesse idee, perchè lo
fa come idea ;
e così
r uomo (ripeto la ^bella frase del
Gioberti) giunge
a
rendere a Dio la pariglia. L'idea
dell'Assoluto ha an-
ch' egli
i suoi annali ne' diversi momenti
della storia e
del
processo psicologico. Ma nel far
cotest'idea, e pro-
prio quando
l'abbiam fatta, noi somigliamo a
quell'arte-
fice che
s'affatica e suda e si travaglia nell'
incarnare
il
tipo che gli splende dinanzi alla
fantasia, mentre
la
stessa natura potrebbe offrirglielo vivo e
palpitante
nella
infinita ricchezza delle sue creazioni.
Novello e
arditissimo
Prometeo, il pensiero del filosofo non
abbi-
sogna d'
alcuna scintilla : la scintilla della
vita s' agita
già
vivissima nell'opera stessa delle sue mani.
Perocché
quando
il pensiero abbia prodotto l'idea
dell'Assoluto,
e' tosto
s'accorge d'aver prodotto quello che già
e' era,
quello
che è il Fatto per eccellenza, e
che non può esser
fatto
perchè di sua essenza è il Fare,
E così pure ci accor-
giamo di
far Dio con la scienza e con l'
attività riflessa,
solo
perchè è egli innanzi tutto che fa
noi come potenza,
perchè
siamo potenza, perchè siamo termine del
suo atto. *
glio
tardi che mai. Il Gioberti accenna
una sola volta (quant* io sappia)
al
metodo eduttivo, e lo fa consistere
nell* andare dal particolare al par-
ticolare,
dal generale al generale (Protei, voi. I,
p. 159). £ precisamente
la
funzione deduttiva come la intende, per
esempio, Stuart Miìl. La edu-
zione del
Gioberti f com* ò eTìdente, non ci ha
t;he vedere con la nostra.
'
Questa precisamente è la facoltà della
quale, come dice Cartesio,
ci ha
saputo fornire la stessa natura, e
con la quale noi, produeendo
Videa
di Dio, conosciamo Dio. (2V<nn^m.
Object., X, Rep.) A questo pro-
posito giova
notare come il senso unicamente vero
onde TA. delle Me-
dìtaxioni
chiamava innata V idea di Dio e
da Dio stesso dicevala im-
pr€$aa
neUa mente {Medit. Ili e V), stia
in ciò; che cotesta idea non
può
esser finta o supposta o immaginata,
ma ha da essere posta, cioè
tratta
necessariamente, razionalmente dal pensiero come
ogni altra idea
che
racchiuda necessità obbiettiva e metafisica.
Chi a questa maniera
non
voglia intendere il filosofo francese, non
giugnerà mai a salvarlo
dalle
aperte contraddizioni nelle quali inciampa
senza rimedio tanto chi
voglia
interpretare 1* idea cartesiana dell*
infinito ad ueum Delphini co-
me fanno
gì' intuitisti, gli spiritualisti e i
teologisti, quanto chi si piace
d'
interpretarlo, come fanno gli hegeliani,
con la solita critica ad libitum^
secondochè
altrove dicemmo a questo medesimo proposito
(p. 176). L'idea
di Dio
vien fnora mercè queW analin divina
de'penneri %anani (ripetia-
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430
DILLA DOTTRINA FIL080FIOA. [LIB. H.
Qui
pervenuti, nasce spontanea una considerazione
storica."
Posta la natui^a e T origine delle
idee secondo
che vonn'
essere interpretate nell'autore della Scienza
Nuova,
è agevole scorgere cpm' egli solo ne'
tempi mo-
derni abbia
accennato ad un accordo verace,
diffinitivo,
in
siffatta quistione, fra il Platonismo e l'
Aristotelismo.
Egli
consegue cotesto accordo non già operando
una me-
schianza
od una specie di combinazione meccanica
fra i
due
sistemi come tanti sono riusciti a
fare, ovvero ne-
gando l'uno
in grazia dell'altro; ma negandoli e
correg-
gendoli
entrambi, e rispettando e inverando nel
mede-
simo tempo
tanto l'esigenza peculiare dell'uno, quanto
quella
dell' altro indirizzo speculativo. E tutto
ciò egli
ottiene
a due patti :
I.
Accetta dal Platonismo le idee come
infinit(By
non
amplitudine^ sed perfectione; ma le accetta
non
come
poste ci di là dello spirito, anzi
come fatte,
come
prodotte dallo stesso spirito. Accetta
insomma
le
idee, e da divine le fa umane.
Le accetta uma-
nandole.
Perciò india l'uomo; fa l'uomo naturalmente
divino;
pone il divino anche nel mondo, ma
senza
che
questa sua NOVELLA METAFISICA INNALZATA SU
LE
IDEE UMANE, come vedremo, neghi menomamente
l'esigenza
platonica d'un Assoluto presente al mondo.
IL
Accetta dair Aristotelismo il gran principio
che
l' essenza
e la ragion precipua ed efficiente
delle cose
risegga
nelle stesse cose, non fuori; che
insomma le idee
siano
anche nelle cose; che costituiscano tutta
la vita,
tutta
r energia e la profonda attività
della stessa na-
tura;
l'essere stesso della storia e del
mondo. Ma nel
medesimo
tempo nega risolutamente gli Universalia
aristotelica
; * e H nega perchè inutili,
anzi perchè esi-
mo anche
qui le belle parole del nostro
filosofo), la quale guidandoci JU
filo
entro i ciechi laberirUi del cuor
delV uomOf saprà darci non già gV
»«-
dovinelli
degli algebristi^ ma la certexxa quant*
i lecito umanamentCj nel co-
noscere
metafisico. {Lett. al Solla^ p. 14).
*
Vico, De Antiquisa. Gap. II.
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OAP.
IX.] SU
LA BIOEBOA DELL'ASSOLUTO. 431
ziali
alla scienza, all'oratoria, all'arte,
all'educazione
della
mente e del cuore, alla politica,
alla religione,
alla
pratica della vita, alla società, ponendo
invece la
forma metafisica
piena, il genere che di sua natura
è
realtà
piena, realtà salda, realtà comprensiva.
Or se
tutto questo è vero, non ha egli
avuto cento e
mille
ragioni il Mamiani di sentenziare :
il Vico essere il
vero e
ardito innovatore della teorica delle idee?
Ma co-
teste
parole son parole d' oro per noi, non
per chi le ha
cosi
felicemente scritte. Pel Mamiani e per
qualsiasi pla-
tonico e
neoplatonico, invece, le son parole di
ferro, parole
di
piombo, e anche peggio. Perchè se il
Vico avesse rin-
novato la
dottrina delle idee nel senso del
Neoplatoni-
smo, in
lui, in cotesta sua teorica, non vi
sarebbe né
verità,
né ardimento di sorta. Avrebbe svecchiato
e ri-
cantato,
anche una volta, cose già vecchie e
stantie!*
* Per
queste ragioni, e per quelle dette
innanzi, può rodersi come
il
Vico intenda benignamente e corno
accortamente corregga la dialet-
tica
platonica, In ispecie nella sua parto
ascensira, contraddicendo perciò <
agi*
indirizzi estremi dell* Aristotelismo, e
legrittimandone sempre più
r
indirizzo mediano. Abbiamo detto che,
secondo il metodo dialettico del
nostro
filosofo, la realtà d* un essere
cresce in ragion diretta della sua
generalità,
ma della sua generalità ideale, non
già concettuale. Por chi
intenda
severamente la dialettica platonica, per
esempio pel Ravaisson,
Tessere
in lei va scemando in ragione che
procede e sale dal meno
generale
al pih generale Or bene, la prima
guisa d* ascensione dialettica,
eh* è
la vera platonica secondochò la intende
il Vico (Vedi le sue parole
citate avantt),
non s'oppone ali* esigenza del beninteso
Aristotelismo
che
an;i lo Stagi ri ta dere accettarla
in forza del suo stesso metodo.
Andare
da individuo ad individuo, salire da
una forma inferiore ad una
forma
superiore, da un atto ad un altro
atto come fa Aristotele, è pro-
cedere dal
meno perfetto al più perfetto ; che
vuol dire, dalla nota «pe-
ci/icatue
d* un essere, ad un grado superiore
della sua stessa idealità. Si può
dunque
affermare che una secreta parentela esista
fra il processo ideologico
del
Platonismo, e quello dell'Aristotelismo; e
che perciò VuntverBale aristo-
telico,
inteso bene, non contraddica all'ic/ea
platonica ove però sia interpre-
tata come
/orma metajìsìca. Se questo è vero,
non è niente improbabile che
Aristotele
aveste tratportato ne* »uoi libri il
metodo che Platone praticava
neW
integnamentOf secondochè congettura il Simon
{Theod, de Platon et ,
d'Arist.f
p. 27. — Ved. anche Janet, Sur
la Dialcctique dans Platon etc., '
p.
282. — NoURlSSÓN, Exposition de Ut
Théorie platonicienne dea idée^
ed.
cit. II. — RiTTEB, HÌ9t. de la
PhU, ancienne, t. 2, 1. Vili. Anche
il
Rosmini
accenna a questo ponto tanto nella
Teoeojia quanto nel suo Ari-
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432
DELLA DOTTRINA FIL080FI0A. [lIB. n.
Hoteh),
— Rigrnarclo poi al valore della
dialettica di Platone, panni che il
modo
onde il Vico dà segno di veleria
intendere, sia accettevole. Chi consi-
deri con
qualche diligenza segnatamente il Parmenide
e il Sofìgta, dì leggieri
8*
accorgerà che il metodo dialettico
platonico è tale, perchè serba indole
piuttosto
eduttiva, anziché deduttiva. Questo metodo,
a dir vero, non ista-
rebbe
molto in armonia con la dottrina
dell* avoc^vrìTt^ che è capitale
in
altri dialoghi : ma perciò appunto
sarebbe un progresso e una corre-
zione ohe
Platone avrebbe fatto a sé medesimo.
Sennonché lasciando di
ciò,
la posizione speciale del problema
metafisico pel filosofo Ateniese
risguarda
precipuamente la relazione o principio di
medesimezza e d* al-
terità, per
cui. ribatte le due soluzioni egualmente
erronee che ne det-
tero le
due grandi scuole d' Eraclito e di
Parmenide. Questa, direbbe
Hegel,
è la funzione ùtoriea di Platone
considerato come JUoao/o greco
rispetto
alle filosofie anteriori. L' C7no in
sé riesce inconcepibile; ma non
è tale
anche V Altro in sé? La conclusione
perciò non era difficile; ed è
che
nel medenmo ci ha da essere anche
il diverso, e nel diver$Of come
tale,
anche il medenmo. Ma forse che Vuno,
come uno, diventa anche
V
altro f Ecco precisamente T inganno
de* panteisti d*ogn! colore in ge-
nerale, e,
in particolare, Terrore de* critici che interpretano
hegeliana-
mente il
filosofo greco. Lasciando stare questo o
quel passo di questo o
cotesto
dialogo, in lui è chiaro un principio
che basta per tutti: Nesaun con^
trarlo
può mai divenire il suo proprio
contrario. Con tutto ciò non è
altret-
tanto chiara
in esso 1' attinenza che ci ha
da essere fra* contrari, ed
ecco
perché Platone andava saggiando or la
ftcfAWcrt; ed or la ftediicc.
Nondimeno
chi non si volesse attaccare al solo
Parmenide e al Sojuta,
come
fanno gli Hegeliani, ma porgere debita
ragione anche agli altri
dialoghi
e però ali* insieme delle dottrine
platoniche, vedrebbe che 1* esi-
genza del
principio della Conversione in lui è
presentita. Dico 1* esigenza
non il
principio stesso, e tanto meno la
dimostrazione del medesimo.
Secondo
tale esigenza, della quale non sarebbe
difficile rintracciare i germi
nel
Parmenidef Platone accorda i contrari, non
già compenetrando il
medesimo
col diverso, ma convertendoli. Col che
io non intendo affermare
che
nel maestro d* Aristotele non sia
facile scorgere una tendenza talora
assai
spiccante verso l' Idealismo trascendentale. Se
cosi non fosse,
l*
esposizione del suo discepolo sarebbe da
ritenersi come al tutto infe-
dele e
bugiarda; il che non fu mai detto,
né pensato da nessuno* storico
e da
nessun critico. Gli Hegeliani anzi co
ne porgono oggi splendida
prova,
come avvertimmo, segnatamente il Vera, il
qnale ha creduto d'aver
già
beli* e dimostrato come la dialettica
platonica, tuttoché incompiuta,
sia
proprio quella di Hegel, né più nò
meno. Or la. critica seria e non
parziale,
massime quando si tratti de' Dialoghi
platonici, dee farsi con-
sistere
innanzi tutto nell* accordare Platone con
sé stesso, per indi ac-
cordarlo, se
è possibile, col sistema che ci
frulla nel capo. Ma non tutti
fanno
così! Quando 1* hegeliano afferma, per es.,
che il to <(aéfvv;c
del
Parmenide sia proprio il divenire^ il
TO iv Veesere, e *1 TO ov il
tum-
essere;
CO testa sarà crìtica sottile, acuta,
maravigliosa. ma non sarà
altrettanto
vera né come critica interpretativa, e
tasto meno poi come
critica
filosofica. Diranno ; questa nostra crìtica
rìsulta a fil di sillogi-
smo
dall'analisi del Parmenide, Ma forse che
tutto il Platonismo è nel
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CAP.
IX.] SU
L\ BIOEBOA DELL* AMOLUTO. 433
Parmenide
f Certo, soggrinngeranno ; il Parmenide
è svolgimento o com-
plemento
necessario di tutti gli altri dialoghi,
e rappresenta perciò la
forma
schietta, vera, consegaente della teoria
platonica. Ecco precisa-
mentOf
dirò io, un'interpretazione parziale fatta
a proprio comodo ! Inten-
diamoci: nel
Platonismo, nella mente di Platone, anche
noi scorgiamo
due
forme, due periodi, o, se si Tuole,
due momenti di speculazione:
quello
in che prevale il sentimento, V
immaginazione e però il mito e
la
tradizione ; e V altro in cui
predomina e signoreggia nella nudità sua
la
ragione, e la coscienza speculativa.
Svolgimento e processo fra Tuna
e r
altra forma ci è, e ci ha da
essere ; e ufRcio della critica
positiva ò
il far
vedere che se fra, questa due forme
vi è contraddizioni e contro-
sensi,
cotesto contraddizioni non sono cotanto
grossolane quanto sareb-
bero, se
fosse vera la critica di certi
critici passionati. Tra la Repvhbiiea
e le
Leggif si dice, hawi un* aperta
contradizione nell* ordine delle ideo
politiche:
sogni nelFuna, e sodezza e positività
nelle altre; e cosi pure
fra il
Dio del P<xrmenide, e il Dio degli
altri dialoghi. Invece a noi pare
che
come le Leggi, per dire un esempio,
non sono altro che la Jiepub-
bliea
guardata nella sua opportunità e
possibilità, parimenti il Parmenide
non
sia che il Timeo, il Teeteto, il
Sofista ecc., ma considerati come uno
sforzo
di potente speculazione per ligittimare e
correggere il medesimo
principio
metafisico. Ebbene, a questo medesimo
indirizzo, che traspare
dair
insieme delle dottrine platoniche, dovrebbe
sapersi ispirare la cri-
tica che
volesse esser feconda; perchè Platone, come
ogni grande ingegno,
"è
d* uopo compierlo, correggerlo, ma non
distruggerlo. Or questo pre-
cisamente
fanno gli Hegeliani con Platone; lo
distruggono. E lo di-
struggono
per la semplice ragione che nelle lor
mani lo svolgimento e
il
processo del pensiero di questo filosofo,
non è altrimenti svolgimento
ma
cangiamento, ma contraddizione, ma negazione.
Interpretate infatti
la
dialettica del Parmenide commessi fanno:
accade che questo dialogo
starà
in aperta contraddizione col principio nel
quale si cardinano il YI
0 M
VII della Repubblica (Trad. Cousin, t.
10, p. 50), con quello delle
Leggi
(X Lib., id.), con qnello del Fedro
(t. C, p. 49), con quello del
Fedone
(t. 1, p. 274) e, in gran
parte, con quello del IVWo, intendendo
quest*
ultimo ben altrimenti che non abbia
fatto il Martin fra* moderni.
E cosi
il Parmenide, girato e rigirato e
rimpastato dalla lor critica,
dovrà
evidentemente, anziché inverare e correggere,
contraddire il con-
cetto
deirÀssoluto, secondo che ci è descritto
nel Dialogo ultimo citato:
nv.Tvip,
y.at rotvjTvi?, xat Srii^iovpyò^ tow
xó-t/iaou (IVm., 29, E.)
Ora è
egli possibile questo voltafaccia nella
niente del gran figliuolo
d*Àristone
massime neir età prQvetta e grave
nella quale probabilmente
scrisse
il Parmenide f Non somiglierebbe, se cosi
fosse, a certi filosoft
de*
nostri giorni che con incredibile
disinvoltura sacrificano oggi a Cristo
e s*
inginocchiano domani al diavolo, o
viceversa? Kd è questa la critica
seria,
coscienziosa, onesta in filosofia? È egli
onesto e serio e coscien-
zioso il
dire e lo scrivere, per esempio, che
TAssoluto dell* Idealismo
assoluto
sia precisamente quello dell* Idealismo
platonico? Oh i miracoli
do*
riscontri storici !
SlCILlAM.
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434 DILLA
DOTTBIKA FIL080FI0A. [lIB. II.
Capitolo
Decimo,
del
principio metafisico.
Abbiamo
detto che la dialettica ascensìva poggia
al
Primo
vero metafisico mercè la virtù eduttiva
del pen-
siero; e
ch'ella stessa poi diventa discensiva, dove
quel
Primo
vero assuma valore e natura di
Principio meta-
fisico. La
intema costmttura di cotesto principio
costi-
tuisce quel
che noi diciamo processo ideale. Ma
innanzi
tratto
intendiamoci con gli avversari d' ogni
qualunque
metafisica,
ai quali probabilmente non saranno bastate
le
cose dette sin qui.
La
Natura, abbiamo afiermato più d'una volta,
è
un
processo ; ed è tale perchè è
numero che Tolge ad
unità:
il che ci è confermato oggi
splendidamente dalle
scienze
fisiche e naturali. D'altra parte lo
Spirito, sia
che si
consideri nella genesi psicologica, sia che
nella
genesi
storica e sociologica, è anch' egli un
processo, ma
in
quanto è unità che, in sé medesima
attuandosi, di-
venta
numero. Or s'egli è vero che sì
la natura come
lo
spirito debbono aver di sé medesimi
una ragione
tanto
rispetto all'essere quanto all'operare, cotesta
ragione, perchè
serbi legittimità di principio, non può
esser
numero che volga ad unità, e nemmanco
unità che
diventi
numero, se pur vogliamo salvarci dalle
strette
d' un
circolo vizioso. Dunque non v' è
scampo ; il nescio
quid
innanzi a cui ammutoliscono il materialista
e il
fenomenista,
il ro «vurroOsTov di cui ha tanta
sete lo scet-
tico
sistematico, V Inconoscibile la cui realtà
è pur con-
fessata dal
positivista, e, in somma, il Deus
absconditus
de'
filosofi deW avvenire, altra natura non
potrà avere
fuorché
quella d'esser nel medesimo tempo numero
diventato
unità, e unità diventata numero. Così,
e sola-
mente cod,
cotesto jravTc^wc 3v attomo a cui si
travaglia
il
pensiero e la storia, potrà rivestire
dignità di prin-
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GAP.
X.] DRL PRINCIPIO METAFISICO. 435
cipio,
assumendo insieme valore essenzialmente dinamico
e
dialettico. Perciocché ov' ei non racchiudesse
le me-
desime
condizioni anzidette, non solo non potremmo
sperare
di conoscerlo in verun modo, né egli
ci appar-
terrebbe per
nessun titolo, ma, ciò che più monta,
e' sa-
rebbe di
per sé stesso impossibile addirittura. Che
se
poi
quelle due condizioni fossero in lui
così come sono
per
eptro alla natura e al mondo dello
spirito, non
potrebbe
non riuscire onninamente inutile tanto alle
cose
quanto alla scienza. Col solo raddoppiare
i mede-
simi
elementi non soltanto egli non
ispiegherebbe nulla
di
nulla, ma avrebbe d'uopo d'essere spiegato
egli
stesso
innanzi tutto.*
Se
dunque V Inconoscibile non é un puro
fiato di
voce
ma è una realtà, e' debb' essere insieme,
a dir così,
natura
e spirito, cioè Forza e Pensiero. Di
fatto se la
natura
è numero volgentesi ad unità e quindi
conato
energia
che transita ad atto, si può chiedere
: dond' ella
viene,
e com'è ch'essa incomincia? Comincerà da
sé
medesima?
Dunque dee cominciar come potenza, e
quindi
come sintesi confusa e indeterminata. Or
non é
egli
cotesto un cominciamento assurdo e
grossolano?
Avrà
seco qualche idea, si può rispondere
: può esser de-
terminata in
qualche modo. Ma, se è com, tale
idea o é
*
Tanto nel processo ideale quanto nel
processo cosmicOf tanto nel
Mondo
quanto neir Assoluto, gli elementi (direbbe
il Vico) sono i medesi-
mi; ma
diversa è la relazione dì essi, e
quinci diverso il contenuto che
ne
risulta. L' unità e la moltiplicità,
il medesimo e M divertOf riseggono
così
nel sensibile come nell' idea ; ma
il diverso dell'uno non è quello del-
r
altra. Ecco il profondo dissidio metafìsico
fra il Platonismo e l'Aristo-
telismo ;
ed ecco il precìpuo difetto dell'
esposizione delle idee platoniche
fatta
da Aristotele, e la parte non vera
della sua critica. {Metaph., I, 6).
Nel
Platonismo il diverso, checché ne dicano
certi critici, serba doppio
valore
(to' sts/dov, to' aX^o) al quale ci
ha badato segnatamente lo Stal-
Ibaum
{Prcleg. in Parm., I. I, V). Però
tutta la confusione d' Aristotele,
secondo
che ha osservato lo Zeller, sta nell'
aver egli trasandato il di-
vario che
corre fra la moltiplicità in qìtanto
è materia delle idee, e la
molliplicità
in quanto i fondamento del mondo
materiale {0^, cit., p. 482).
Vedremo
come anche qui il nostro filosofo,
pur legittimando 11 Platonismo,
corregga
col suo concetto metafisico l'Aristotelismo.
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436
DELLA DOTTRIKA FILOSOFICA. [UB. H.
dentro,
o è fuori di quella potenza. Se
dentro, dunque
non è
potenza: se fuori, eccoci al di là
della natura.
D' altra
parte, se lo spirito è un atto
di fronte alla na-
tura, non
per questo ei potrà cogliere e
fermare co-
test'
atto e afiferrar sé medesimo come
atto, poiché pen-
sandosi,
come dicemmo, egli di già é un
atto, è fatto
(actuni)
; e perciò, come la natura non
può cominciare
da sé,
parimenti lo spirito non potrà finire
in sé. Non
è
dunque necessario un atto? Or
l'Inconoscibile, il nesdo
quid de'
filosofi dell'avvenire che ha da essere
Forza
e
Pensiero, é per V appunto cotesto
atto; é l'Atto della
natura,
in quanto la natura è potenza; ed
é l'Atto dello
spirito,
in quanto lo spirito é adus in
adu, e perciò
infinita
potenzialità. Ma un atto che dee
contenere la
natura
e lo spirito, e che quindi ha
da essere Pensiero
e
Forza, non è per ciò stesso un
Primo e nel medesimo
tempo
un Ultimo? Non sarà quel primo e
quell'ul-
timo anello
a cui, per dirla con Aristotele,
tutto è so-
speso, €
al quale tutto s' indirizza. *
Se non
che, comunque si voglia riguardare il
con-
cetto del
multiplo e quello dell' unità, la
relazione che
vi si
occulta tien sempre del quantitativo,
dell'estrin-
seco, del
matematico, del puramente logico. La ragion
metafisica
positiva può andare un po' piiì in
là, potendo
volger
r occhio a qualcosa di piii riposto,
di più intimo,
di più
affine alla nostra natura. Ella dee
muovere dal-
l' uomo
stesso, dallo spirito, dalla psicologia,
dalle idee,
come
abbiam visto nell' altro capitolo ; e
però movere
altresì
da im immediato, da un certo eh'
é anche un vero,
dal
concetto della triplicità psicologica. La
quale essendo
soggetto
oggetto e relazione, importa la legge
della
medesimezza
e della difl'erenza con sé medesima,
e con
la
natura: importa una sintesi iniziale e
originaria che sia
TÒv
avw s;i^ovToc ckpy^rtv, {Metaph., II). In
altro laogo dice che terra
e
cielo sono sospes al suo principio
immobile {Td., VII, 12). Ma couie
Ti
stan sospesi? Ecco nno degli errori
metafisici dell' Aristotelismo.
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CAP.
X.] DEL PRINCIPIO METAFISICO. 437
insieme
unità e dualità. Or cotesta triplicità
psicologica
rudimentale,
che incarnandosi nel gemino processo teore-
tico e
pratico della psiche umana attinge dignità
d' au-
tocoscienza
e di Ragione spiegata, noi possiamo
innal-
zarla a
valore non già quantitativo, ma essenziale,
ciò
è dire
non a valore puramente concettuale, ma
ideale.
Ella
quindi ci si presenterà determinata nella
pienezza
delle
tre somme primalità che sono il
conoscere, il vo-
lere^
il potere. Di queste tre somme
primalità appunto
dee
potersi essenziare (come osservò prima del
Vico il
Campanella)
il to' awroQsrov, affinchè egli possa
aver na-
tura di
Principio metafisico.* Laonde avviene che
se co-
testa
triplicità, psicologicamente avvisata, è processo
e
moto e
conato, metafisicamente è anche un
processo,
ma è
un processo già risoluto; è anche un
moto, ma
è moto
del moto; è anche un conato, ma
conato che
è
atto. E a diventar tutto questo ella
non ha bisogno
di
passare dal to ao^io-TÒv al to
TcXetov, dall'omogeneo
e
indeterminato all' eterogeneo e determinato,
dalla sin-
tesi all'analisi,'
e però da una facoltà o funzione
in-
feriore ed
elementare, ad una facoltà superiore ed
at-
tuale. Ella
non ha bisogno di farsi, di
convertirsi con
seco
medesima invocando un sussidio dal di
fuori. Non
ha
bisogno di puntellarsi nel senso e di
mediarsi con
la
natura e d' alimentarsi ne' fatti e d'
arricchirsi del-
l'esperienza.
Essa non è intendimento, nettampoco
immaginazione.
Non è libero arbitrio, nettampoco pas-
sione. Ella
è piena libertà, libertà determinata, poi-
ché è
piena e determinata ragione. Ma non è
aitasi
' Non
si confonda V uso che noi qui
facciamo del concetto della
triplicità
pticologica nel chiarirci la nozione
dell'Assoluto, con l'abuso fat-
tosene in
passato appo certe scuole di filosofi.
No rammenta un solo esera-
pio.
Plotino e gli Alessandrini, por ìspie^rsi
la triplicità delle ipoatati in
Dio,
ricorsero alla psicolof^ìa (Vcd. A'«n., 5,
1. 1, e. 10, trad. del Boulliet),
e,
come k^ storici sanno, arzigogolarono
mirabilia su la Intelligenza su-
prema onde
rampollano gli ordini del sensibile e
quelli dell' intelligibile.
Ma,
com' è agevole vedere, tanto il loro
concetto della triplicità paicoloffiea
è
discosto dal nostro, quanto la lor
triplice ipostasi è lontana dal ter-
nario che
la ragion positiva, come vedremo, dee
riconoscere nell' Assolato.
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438
DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
un
processo tuttoché sia un processo già
risoluto?
Non
vuol esser dunque anche un organismo, eh'
è dire
un
processo teoretico e pratico, e perciò
determinazione
e
genesi interna ed estema? E ponendosi
come Atto,
non ne
segue che con sé stessa ella abbia
da porre
anche
V altro? E che é mai quest' oZ^ro
salvochè un
termine
estrinseco e diverso? Il Principio
metafisico,
dunque,
a cui ci rimanda il Primo vero
metafisico, non
può
non esser l' infinito aUiude, e però
V infinito Nasse
Vèlie
Passe; dinamismo intimo, intima ed
essenzial
generazione
e conversione di sé con sé stessa,
e col
fuori
di sé.*
* Il
criterio della conversione non avrebbe
valore di principio ove
nou
potesse applicarsi anche, e soprattutto
all'Assoluto, assumendo cosi
digrnità
di Principio Metafisico. £cco Del suo
linguaggio mezzo scolastico
il
pensiero del Vico : Primieramente
atabiliaco un Vero cìie ai converta
col
Fatto, e quindi raccolgo in Dio
essere V unico VERO percJtè in lui
eontiensi
tutto il Fatto. Però soggiunge : In
Dio il Vero « converte
AD
INTRA col Generato, ad extra col
Fatto: egli solo è la vera in-
telligenza
perchè egli solo conosce tutto : la
divina Sapienza è il per/ettis'
Simo
Verbo perche rappì'esenta tutto contenendo
dentro di si gli clementi
delle
cose tutte f e, conteucndolif ne dispone
le guif>e ossiano forme dell" in-
finito, e
disponendole le conosce, e in questa
sua cognizione le fa, e questa
cognizione
d' Iddio è tvMa la ragione della
quale V uomo /m una porzione
per la
sua parte, E poiché l'Ente è assoluta
conversione del Vero col
Fatto
interno (Generato) e col Fatto propriamente
detto (Mondo), ne
viene
che debb* essere altresì conversione come
pensiero e come forza,
come
Causa e Mente, appunto percJiì unica
causa ^ quella che per produrre
V
effetXo non% ha di altra bisogno ;
come quella la quale contiene dentro
di
sì gli
elementi delle cose che produce, e li
dispone, e sì ne forma e com-
prende
la guisa, e comprendendola manda fuori
V effetto, (Ved. liisp. al
Giom. de'
Leu., II).
Per
quanto questo lingruaggio possa sembrar
vieto e coperto di muffa
scolastica,
nullameno tornerà agevole all'accorto lettore
potervi scorgere
come
in germe la soluzione positiva del
problema metafisico. In queste
tre
usate e abusate parole. Vero, Generato
e FaUo, abbiamo, per così
dire,
i tre punti ne' quali s* imperna
e gira il processo idealo che, con-
siderato in
se proprio, costituisce la dialettica
discensiva. Qui è la so-
stanza, com'
è noto, e, sto per dire, il
nocciolo della teorica cristiana,
ma
^levata al supremo valor razionale e
speculativo oud'è capace: ed
è il
fine (chi ben consideri la storia
della filosofia cristiana e non cristiana,
ortodossa
ed eterodossa) a cui par che
convergano insieme e riescano il
Platonismo
e l'Aristotelismo nello differenti loro
forme isteriche. Sennonché
si
badi a non pigliar come ripetizioni
vano certe analogie e somiglianze di
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CAP.
X.] DEL PRIKOIPIO MSTAFISIOO. 439
H Vero
dunque è l'Essere; e cotesto Essere-Vero
non
sarebbe tale, ove, anziché identità sostanziale
dei-
Tessere
e del conoscere, anziché assoluta unità
e assoluto
monismo,
non fosse invece un' essenzial dualità
e ^nità,
essenzial
conversione del soggetto con V oggetto,
e quindi
medesimezza
e differenza attuale. Qui dunque, innanzi
tutto,
il nostro filosofo corregge Aristotele come
quegli il
quale
disconosce una condizione eh' è l'interna
necessità
della
stessa natura dell'Assoluto. Lo Stagirita
pronunzia:
ecTTtv
>j vó>?o"ec vovìtso; vó/jtc?. Ma
fo^c che l' eccellenza del
pensiero
starà nel pensar solamente sé come
sé, e non
anche
sé come altro? ^ Una Visione veggente
Sé stessa
non ^
un atto sterile e solitario? Vedere
non è anche
operare?
Pensare non è generare? Ov'è dunque
il gran
linguaggio,
che qui il Vico potrebbe aver con
altri filosofi. Mi spiego su-
bito. Per
sant'Agostino, per es., intelligibilità e
realtà si compenetrano
insieme,
e danno luogo alla natura assoluta
formando così il Vero-EnU
fVed.
SolU<^,, lib. II. De vera Relig.,
XXXVI. De Trìnitat., lib. V). Su per
giù si
può dir lo stesso d' altri filosofi
cristiani fino a san Tommaso, e
anche
fino al Rosmini {Nup. Sag., Sex. VI,
P. IL e. II). Ora la novità del
filosofo
napoletano sta nell* avere impresso a
cotesto concetto virtù d'uni-
versalità
superando la coscienza religiosa, come
vedremo fra poco, e nel-
r
averlo applicato a tutt« le sfere
della realtà, nonché a tutti gli
ordini del
sapere.
Questo almeno risulta dal modo con
che dobbiamo-interpretare ed
esplicare
con la ragion filosofica positiva il
suo pensiero. Per esempio, nella
progressione
degli enti, il filosofo cristiano non
iscorge ombra di processo;
ed è
un assurdo per lui tanto che la
sostanza vitale pulluli dalla corpo-
rea, quanto
che l' anima razionale sgorghi dall' irrazionale
(Auodst., De
An.
ec. I, II. De Civ. Dei, XII. De
Jmm. an., 24. Così pure il RosMiin,
PncoL,
ed. cit., v. I, XXIII ; Antropologia,
1. IV, e. V). Ora applicando il
principio
della Conversione noi abbiam fatto vedere
come e quanto egli
riesca
originale nella psicologia ; e nulla
diciamo quando poi si applicasse,
come
ha saputo fare lo stesso Vico, allo
svolgimento de* fatti storici, del
che la
Sdenta Nuova ò tutta una dimostrazione.
La stessa originalità nel-
r
applicarlo al problema metafisico, che vuol
dire alla costrnttura organica
e
catecrorìca dell' essere, come tosto
vedremo. Sicché vorrò concludere che
sotto
alla vecchia buccia qui si occulti un
pensiero metafisico spirante,
mi
pare, freschezza e originalità. Il
difficile, al solito, sta nel sapere
sce-
gliere il
punto di mira per guardarlo.
* Ecco
in che sta proprio tutta la magagna
della metafisica aristo-
telica: se
V Atto non fosse voyjVtc vo/Itso;,
cioè vo>?(T«oc proprio in sé,
e s'
avvilirebbe : Tò 9st6xarov Y.ot.1 to'
rifxtwTatov vote, xa/ ou
fAsra^aXXci
* «t; ;^«t/90v 7à/9 ^ /x£Ta6o>KÌ.
Metaph., 1. XII, 9.
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440
DELLA DOTTRINA FTL080FIOA. [lIB. n.
pensiero
aristotelico della facoltà che pone il
proprio
obbietto
e se ne distingue ? E perchè,
mai non applicarlo
anche all'
Atto, e soprattutto all'Atto?* U
Essere-Vero
dunque
è mestieri che sia anche Verbo, anche
Fatto
intemo,
anche Generato. Che cos'è il Generato?
Non è
luce
metafisica, non è oggetto indeterminato e
primigenio
posto
da natura, come nella genesi psicologica;
ma è luce
e
colori, è oggetto determinatissimo, perchè
è insieme
la
natura e ciò che è sopra alla
natura. È dunque il
diverso,
il diverso dell'identico; al modo istesso
che il
Vero è
l'identico del diverso. Perciò è
l'intelligibile
che,
mentre adequasi con l' intelligente, se ne
distingue.
Perciò
è il pensante che, convertendosi col
pensato, è
pensiero,
e quindi è in sé medesimo il
trinuno. Se dun-
que
l'Assoluto è generazione e dinamismo
interiore, per
ciò
stesso è Mente: prindpium unum, Mens.
Or come
potrebb'
esser mente senza esser cagione, attività,
ener-
gia, e
quindi idea, possibilità, relatività, infinità,
mol-
tiplicità
ideale?
Ma se
qui il nostro filosofo corregge
l'Aristotelismo,
invera
nel medesimo tempo il Platonismo. Il
Generato
del
Vico, in quanto è termine di
generazione ad intra,
è
appunto la benintesa idea platonica.
Cote$ta idea
platonica
non è assoluta Unità, né assoluta
Moltiplicità
* Ma,
si badi: il difetto metafisico dell*
Aristotelismo non è tale che
1*
annnlli e distrugga addirittara, ed è
appunto per questo che Aristotele
non
potrà esser mai in etemo, né un
idealista assoluto, nò un positivista,
anzi
così egli si presenta come una
confutazione parlante deir Hegella-
nismo,
e del Positivismo. Voglio dire in
sostanza che il principio metafisico
dello
Stagirita non è, propriamente parlando,
erroneo, ma incompiuto;
e però
è tale che corregge benissimo sé
stesso. In che modo? Se V Atto
ha da
esser davvero quello che dice Aristotele,
ne viene che, metafisica-
mente e
logicamente, è impossibile un Actu» pwru»
ab^olute. Gli Alessan-
drini se
ne accorsero; e questo è precisamente
e principalmente il lor
merito
di fronte air Aristotelismo. La verità
della Scuola d'Alessandria
e dell*
antico Neoplatonismo sta chiusa in questo
poche parole: [0,in ptaiix
JfiTai
Twv ci^wv xarà to tv caurw voitjtov
o' vou?. Vod. Proclo
in
Parm. 1. V, p. 152. Lo stesso
dicasi, come vedremo, del Platonismo; e
così
può affermarsi che Tesigenza della
correzione, nel concetto metafi-
sico deU'ano
o dell* altro sistema, sia reciproca.
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GAP.
X.] DBL PIONOIPIO HITAFISIOO. 441
in sè.
Non è l'identico, ne il diverso. Non
è il moto, ne
la
quiete. È dunque l'una e l'altra cosa
ad un tempo
istesso.
È dunque il tò E?a/yv>?; senza cui
ella riescirebbe
affatto
inintelligibile, e assurda ; e quindi
ci significa il
Momento*
nel quale è insieme numero, senza
cessare
d'esser
altresì unità essenziale: talché costituendosi
centro
e circonferenza ad un tempo, rende
siffattamente
possibile
l'accordo de' contrari.* E tale accordo
sarà pos-
sibile a
questo sol patto : che il Momento
sia non pur la
Nó»Ttc
vóvjTswc dello Stagirita, ma eziandio
Mente, e perciò
Mente
e Verbo, Vero e Generato, e quindi
fornito della
virtù
onde lo fa ricco il filosofo
Ateniese.' Così inter-
pretando il
to' E^otéipvvjc (senza confonderlo col
fjura^y.l'kety
che
sarebbe confonder la condizione col
condizionato, il
Generato
col Fatto), non verremo a contraddire
al con-
tenuto degli
altri dialoghi, massime al Sofista ove
la
natura
dell'Assoluto ci è determinata come
pensiero,^
come
mente, e perciò come pienezza di vita
e d' asso-
luta
realtà.'
* Il
Ficino traduce 1* 'E^ai^vvj^ per
Mom€ntumindimduum;mii in qae-
Bta
parola e* è qualcosa di più, esprimendoci
propriamente V istantaneo ; ed
ecco
perchè Platone lo dice di natura
mirabile e etrana: ^ tUTcc aroTróf tc^.
*
Partn., 155, E; 157, B.
* *AjO
ouv ìttì to' (xxoTTtìv TOUTO, sv w
tÓt' av ety?, ots fiSTa-
^dXktfj
Tò TToìov 5vi ; To' e^at^vyj?. rò
ydip i^at^vrjc Toeòv^j ti
Jfocxf
a^juatvecv wce? «xatvou ^«TaSaXXov sìq
ixoirspov, ov yxp
i'A ye
Tov io-Tavai sttùtoì in asTa^séXXst, ou5'«x
tkj; kiwitsoì?
xtvovfx«v>ic
«TI fj.tr OL^iWti' àW Tn i5at^v«c auT>j
fvtriz oironóz
Ttf
iyìndBrirat jExcTa^u tt^C xiv>jo'««c rt
y.olI «rTOCTEwc, iv XP^'*^}
orjSsvi
ouTa, xat te; TavTvjv 5vì xai e'x
TauT>JC to rs xtvov'jEXffvov
fjitra^oiWsi
ini tò éo-Tavai xa« tò écTOc «Vi
tÒ xivelo'dae.
Kcv^uvsùst.
Kat to ?v 5v7, etnsp «a"Tv?x/ Te
xat xivjÌTat, /xsTa-
6a^^oi
av if éy.drtpOL' fjLÓvwi ydp av outo?
àp^ÒTSjoa Trotot'y»*
/xeTa6a).>ov
5' sfat^vvjf /xsTaéai^ft, xac ot£.
/xsTa€a»e£, ev
ou^evt
XP'^'^V *^ ^^^'j ou5« xtvofT* av
tòts, ou5' àv ^rxirt.
(Parm.
156., d.)
*
Te 9: ; TO 7t7vwTXJCvì5 to
yiyvtàTìLsv^^ai fCt.TS noinuoc I
Tra^o;
:^ àfifòrspov; -^ to' asv 7ra3-/?aa
to' ^s 5aT£^ov; ì^ ttzv-
TCCTra^tv
ou5sTg/30v ouJiTfi^ov TOUTwv ^fTaXau/Savsev*
(Soph.,
p.
248, D.) ^
'
Té dai itpò% Atò;; wc a^>J'9'wc
x«vT7Ttv xat ^w>jv xat >/'vxiQv
xa*
^^óv>70'iv tJ paSi(ùi 7re£j3>jo"ò|txjOa
t« TravTsXw; «?vti /x>:
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442
DELLA DOTTBINA FIL080FI0A. [lIB. n.
Ma se
r Idea è il Generato, e quindi
rispetto al Vero
è il
diverso dell'identico (tò jts^oov), ciò
nondimeno rav-
visata in
sé medesima ella è un possibile ;
e, in quanto
possibile,
è anche il medesimo d' un altro
diveiso.
Poiché
se di sua natura eli' è possibile,
deve impor-
tare una
moltiplicità opposta, estrinseca, reale, deter-
minata; deve
necessariamente importare il diverso, il
quale
sia tale, non solo di fronte all'
ofóro, cioè rispetto
al
Generato, ma anche in sé stesso (tò
aXXo). E se non
includesse
cotesto diverso? Se non l' includesse,
finirebbe
d' esser
possibile, e negherebbe sé stesso.
Perciocché un
possibile,
il quale non si potesse mai recare
ad atto,
evidentemente
sarebbe un impossibile addirittura, o al
più un
possibile infecondo e fantastico. Laonde,
poiché
il
Generato é infinita idealità, e quindi
infinita possi-
bilità, però
devesi necessariamente convertire col Fatto
:
é si
converte in quanto lo fa; si converte
in quanto lo
pone.
Il Vico dunque ha detto giustissimo:
Il Vero si
converte
ad intra col Generato, e ad extra
cól Fatto.
Or che
cos' è mai cotesto Fatto? È anch'
egli il diverso
dell'
identico, il diverso del Generato ;
ma é il diverso in
sé
proprio (tò a).Xo), il mondo. Poiché
quantunque il Fatto
e il
Generato sieno moltiplicità, nonpertanto l'uno
é
,
moltiplicità reale, e 1' altro ideale
; talché se la prima si
7r«/oetvac,
innari K^v aiiro ^>j5s (ppovelv ùWoi
(rtfj.'^òv zat oiytov
voùv
oux <;^ov àxcvyjTov eoro^ stvat. (Id.
2t9.) Cosi pare verremo
a
correggrorOf come altrove toccammo^ il
concetto dell* assolato al modo
che ci
è dato nel Timeo come nxrrìpy come
ttocvjtvJc e come Jyj^toUjO-
70;
Toù y.oTfxou. E considerando nelP
Aristotelismo e nel Tlatonismo
il
concetto della provvidenza; si potrebbe
cosi accostar fra loro in
qualche
modo il Dio immobile e la pura
intelligenza dell* uno, col Dio
che è
intelligenza e forza e potenza e
sapienza dell' altro. In Aristotele
Dio
non prevede, nò provvede; e pure ha
da movere come causa finale.
Il Dio
di Platone, per contrario, vede, prevede,
sa tutto, e provvedo a
tutto.
Ora intendendo ri^ai^wj^ col concetto
Vichiano del Generato^
Iddio
vede bensì e anche provede, ma non
per questo provvede, come
diremo
più in là. — Finalmente osserviamo,
che, quant' al significato
razionale
dell'sHat^vvj;, lo stesso Aristotele ci
potrebbe forse illuminare
là
dove dice che per Platone 'Ile
ouVt'a? Ttvò; outt?; auTOÙ tou
svoc.
Metuph.f X, 2.
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GAP.
X.] DEL PBIKGIPIO METAFISICO. 443
converte
con T unità in quanto si fa
uno, la seconda poi si
converte
con T uno in quanto vi si
compenetra; e, com-
penetrandosi,
non è moltiplicità in sè^ ma è
tale in re-
lazione al
Fatto. Però la loro medesimezza,
ripetiamolo,
riguarda
gli elementi e la legge, essendo che
tanto il
Fatto,
quanto il Generato, sono una conversione
; mentre
la
differenza ne riflette il contenuto, V
essenza, la natura.
Se
intanto questo è vero, chi dirà che
fra l' un termine e
r
altro corra una semplice attinenza d'
opposizione an-
ziché di
conversione ! Non intopperemmo così negli
as-
surdi
dell'Idealismo assoluto? Dunque il Fatto è
pro-
cesso, e
quindi riproduce la medesima legge. Egli
dee
convertirsi
con se medesimo e diventar Vero, per
indi
convertirsi
col Generato sotto forma di scienza,
che è
il
grado supremo di conversione cui si
possa innalzare
il
finito. Perchè dunque il mondo è
Conversione del
Fatto
nd Vero? Appunto perchè l'Assoluto è
Conver-
sione del
Vero col Generato e col Fatto, La
prima di
queste
due affennazioni costituisce la Formala
cosmo-
logica del
Vico: la seconda racchiude la sua
Formala
metafisica.
Chi accetta l' una (e bisogna accettarla
per-
chè è
un fatto) non può ragionevolmente ripudiar
l'altra.'
* La
coDsegnienza che traesi da questo discorso
è facile; ed è che
non
potremo giugnere a spiegare il finito
né intender la sua natura e
determinare
in modo positivo il Tincolo che lo
annoda air Assoluto, figu-
randocelo
come simbolo, immagine, ritratto, similitudine,
imitazione,
partecipazione
del Vero, e simili. Il Fatto è
il Vero, sta bene : ma è il
Vero
come Fatto ; e però è un Dio
contratto perchè è Infinita potenzia-
lità. La
metessi, la crecmone, com' è intesa
dagli ontologisti, non dice nulla,
0
pochissimo. Creare è cavar dal nulla:
ma che cos'è questo cavar dal
nulla
t Tutto ciò è ragionare sopra vuote
astrazioni, e lavorar di meta-
fore
poetiche come giustamente diceva Aristotele
contro i Platonici :
TovTO
siri ìtevoloystv y.ocl pera^o^à^ \i'yit^
TrocyjTCxa;. Somi-
glianza e
partecipazione son relazioni entrambe
insufficienti, anzi erronee
in
quanto che l'una pecca per difetto, e
1* altra per eccesso. La prima
non
importa nessun vincolo causale ; e
quindi lascia il tempo che trova.
La
seconda poi dovrebbe esprimerci qualcosa di
più, se pur non vogliamo
dire
con Aristotele ch'ella sia la stessa
|xi/xgTcc pi^orìca battezzata
con
titolo nuovo. Nel V della Rep. si
dice : aura //f v Iv i
xao'Toy
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444
DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lTB. H.
Gol
concetto metafisico che siamo venuti sin
qui
rapidamente
lumeggiando, il Vico ci fa capaci d'
inter-
etvac
T>f §e twv 7r/)afg&)v xa^' coìpidrMv
xac à.'k'kri'Koìv xotvwvta
navrot^^v
yavTa^ópsva no'kXd yatvff^at Ixa^Tov. Qui
pare che
r idea
8i divida, si rompa, si spezzi nella
moltiplicità fenomenalef e co-
stituisca il
positivo del fenomoDO, ma nella forma
inadoquatadeir esten-
sione: e
siamo quasi all'idea hegeliana che passa
ad tsaer natura, che
si
contrappone nella natura, che jiiventa
natura. Perciò la metessi de* pla-
tonici
mostra sempre un carattere di passività
anzichò di attività, ap-
punto perchè
viene di su, mentre dovrebbe partire
di gii, ed estrinsecarsi
per
opera e virtù del Fatto in quanto
è infinita potenzialità. Questo ca-
rattere
passivo della metessi platonica si scorge
anche, e non dovrebbe,
nel
Parmenide: tÒ elvat ^Wo 7t eTTtv ri
p.:'0s5'C ouTicz; ^era
^povoìj
70Ù Tra/oovTOff (151, E). La metessi
dunque spiegherebbe troppo;
perchè
il nesso tra l'idea e la cosa
verrebbe ad esser cotanto immediato,
da non
farci discernere fra 1' una e l'altra
nessun divario essenziale; e
così
avremmo V identità come essenziale, e
la diversità come fenomenale.
Or se
l'Assolato, perchè davvero sia tale, ha
da ossero innanzi tutto una
conversione
di sé con sé stesso, deve risultare
indivisibile e imparabile
nella
sua stessa moltiplicità infinita: e se
il mondo ha da essere anche lui
una
conversione di so con sé, ne segue
ch'egli debb' essere essenziale
moltij^icità,
moltiplicità in sé, diversità in sé;
tanto che l'unità pro-
gressiva,
che in lui si agita e vive e
spicca sempre più ne' diversi gradi
della
realtà cosmica, sia ben altra cosa
dell'unità che dimora in seno
all'
Assoluto. Dunque il Vero che si
converte col Fatto, cioè (per parlare
il
linguaggio degli ontologisti) l' infinito che
pone il finito è anche finito,
ma non
si confonde per vorun modo con lui.
E non può, per queste duo
semplicissime
ragioni: 1* perchè, se cosi fosse,
ne' due termini avremmo
una
ripetizione sostanziale inutile, e quindi
potremmo cancellar l'uno o
l'altro
addirittura, e così finirebbe per aver
ragione il panteista; 2® perchè
un
infinito avrebbe a partorire-, produrre o
porre un altro infinito, e cosi
negherebbe
sé medesimo. D'altra parte, se il
Fatto devesi convertire
con sé
medesimo facendosi Vero, cioè facendosi infinito
essendo poten-
Mialità
in/inUaf non per questo si potrà
credere eh' ei si possa identificar
con
lui, per le due ragioni detto poco
fa. Dunque stiamo contenti al quia !
né
identità oMolutaf nò aseotuta diversità, ma
conversione. E però le idee
platoniche
non sono da intendersi né come
7ra/9a^u7/xaTa, né come
vov}^KTa,
secondo che vogliono due schiere
d'interpreti. Se fosse così ne
verrebbe,
nel primo caso, che Vid^a dovrobb'
esser presente alla cosa in
maniera,
che questa, tanto nella sostanza, quanto
nel movimento, tanto nella
materia,
quanto nella forma, dipenderebbe onninamente
dalla prima, ed altro
non
sarebbe fuorché una semplice sua copia;
e^allora non avremmo bisogno
d'un
Dio artefice, non del SnfAioxjp'yoi del
Timeo, non del deus ex macchina
dall'ontologista,
né della magna Idea degli Hegeliani.
Nel secondo caso
poi r
idea sarebbe un termine del soggetto,
ma un termine, dirò così,
meramente
soggettivo: somiglierebbe quindi, anzi
8areb))e addirittura
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OAP.
X.] DEL PRINCIPIO inCTAFISIOO. 445
pretare
in modo razionale e positivo l' intuizione
reli-
giosa del
Ternario cristiano.
La
cognizione immediata e divinativa, in
questo e
in
ogn' altr' ordine di conoscenze, previene,
come V om-
bra la
persona, i portati della speculazione
metafisica.
Così
prima ancora che la Scuola d'
Alessandria si pro-
fondasse
nelle ardite e vaporose elucubrazioni su
la
triplice
ipostasi Plotiniana, il mistero della
Trinità al-
bergava di
già nella coscienza popolare siccome
oggetto
d'
intuizione, e cominciava a rivestir forma
e valore
dommatico
* mercè la Riflessione teologica. L'
Assoluto
è uno
e trino; è trinuno: e noi ormai
lo sappiamo.*
Ma è
egli un trino ipostatico? E qual n'è
l'essenza?
L'assoluto
importa tre ipostasi: ecco il mistero,
ed
ecco
la fede.^ Quanto a determinarne l' essenza,
la spe-
culazione
occidentale, anche sotto forma di
speculazione
teologica,
non poteva non interpretare le divinazioni
altrettanto
spontanee quanto ricche e feconde della
coscienza
orientale essenzialmente religiosa, con l'in-
V
inteìligìbUe del Dio aristotelico, con 1*
intelllgrente formerebbe identità
essenziale;
e allora le idee non sarebbero
essenzialmente relative quali
appunto
sono richieste dall' economia del sistema
platonico, e T esigenza
vera e
giusta della metafisica platonica sparirebbe.
Dunque cotesto idee
plaioniche
come s'hanno da intendere? Le idee
platoniche sono T'Egac^v;?
stesso,
ma concepito come essenzialmente relativo
&\VaUro, ma iiValtro non
già
come tò trspoif puro, assoluto, bensì
come 70 ìrspov in quanto abbia
un
riferimento necessario al rò àWo, A
questa maniera non è altri-
menti vero
che, accettando le idee platoniche, debbasi
accettare altresì
la
dottrina dell' avajtzvYiTcCt come han detto
certi critici moderni: e
neanche
si è costretti ad accettarla> nelle
forme nuove ond' è stata
presentata
da' moderni neoplatonici, dal Malebranche
fino al Mamiani.
«
SiMOX, ffitt. de VEcole d'Alex., v.
1, lib. I; lib. II, e. IV.
' Il
tre è il numero che assolve tutte
le condizioni della perfeziono,
ed è
perciò che tutto è definito del tre:
to' Tràv y.(xt to Travra rof;
TùtTiTt
(fìptfTTat (Arist. De Coelo, I). Vedi
le belle riflessioni del Gio-
BRRTi
su la Trinità considerata razionalmente
{FU, della Rivelaz.., XVIII)
e di
Tommaso Rossi {Regno di Dio naturale,
ecc. li Studi di Giordano
Zocehif
ed. cit.)
'
Prendiamo la parola tpostcm nel
significato:' istiano non già nel
senso
neoplatonico e alessandrino.
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446
DKLLA DOTTRTKA MLOSOFIOA. [lTB. H.
dirizzo,
al solito, dell' Aristotelismo e del
Platonismo.
Il
peripatetico nominalista ripone la divina
realtà ed
essenza
nelle triplicità di persone, e riguarda l'
unità
come
un puro nome. Tre sostanze indipendenti
e sepa-
rate, ma
congiunte in unità mentale. Perchè
congiunte?
Perchè
fomite d' egual potere, d' egual volere, d'
egual
conoscere.
Il realista platonico, per contrario, vuol
far
consistere
l'essenza divina nella realtà in quanto
è
unità
determinantesi nella triplicità di persone.
Agli
occhi
del primo, dunque, l' Assoluto è il
tre in uno : agli
occhi
del secondo è Vuno in tre: ecco
la lotta interna
della
riflessione teologica del medioevo. Ora
giusto perchè
questa
riflessione è di natura teologica e
dommatica,
avviene
eh' ella non supera, non può superare
il senti-
mento, né
trascender l'intuizione, né solvere il
mistero,
né
disimpacciarsi dall'aperta contraddizione. Laonde
Nominalisti
e Realisti vecchi nuovi, avvegnaché
discordi
nella
maniera di determinare l' essenza del
Ternario
cristiano,
non sanno rimuoversi d'una linea dall'inse-
gnamento
dommatico su l' unità assoluta nella
separa-
eione
delle tre persone.
Se il
ternario cristiano, in quanto germina
dall'in-
tuizione
rehgiosa, è come l'immagine anticipata
della
ragione,
in esso deve acchiudersi un vero che
la ragion
filosofica
dee saper disvelare, correggere e
legittimare.
Questo
vero non risguarda già l'unità nella
triplicità
ipostatica:
riguarda il trinuno assoluto, l'assoluta
tri-
plicità
considerata, come abbiamo toccato, nella
mede-
simezza di
subbietto. Perocché l' unità di sostanza
mai
non
tornerà conciliabile con la pluralità di
persone ; e
se
così non fosse, il panteista avrebbe
già trionfato nel
regno
della scienza, né io davvero so dirmi
che cosa
mai potrà
rispondere il sottile teologo all' arguto
hege-
liano, il
quale pretende precisamente questo: che la
di-
versità
delle persone non dimostri nuli' affatto
la plu-
ralità delle
sostanze. Il perché pigliando alla lettera
il
domma della Trinità, la teologia
cattolica non si
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OAP.
X.] ML PBn?CI?IO MBTAIT8I0O. 447
salva
dal precipitare nel tenebroso vuoto dell'
assoluta
identità.*
Il
contenuto del ternario cristiano adunque ci
signi-
fica le
tre primalità del conoscere, del volere
e del
potere,
ma nella relazione del Vero che,
convertendosi
con sé
medesimo, diventa Generato, e, come
Generato,
come
Verbo, è infinita idealità e possibilità
del Fatto.
Interpretandolo
così accade che l'intuizione religiosa,
generatasi
per leggi inerenti allo stesso processo
psi-
cologico,
rinverghi col concetto metafisico a cui
può
elevarsi
la ragion filosofica positiva; e quindi
può dirsi
che,
come la religione è il preludio
naturale e neces-
sario alla
filosofia, di pari modo la speculazione
meta-
fisica sia
la interpretazione critica e Tinveramento
delle
intuizioni
spontanee e comuni della coscienza
religiosa.
11
cristianesimo è la religion razionale per
eccellenza, e
con
essa oggi- chiudesi il corso e
ricorso delle creazioni
propriamente
mitologiche e delle grandi rivelazioni e
divinazioni
religiose. Ed è razionale perchè è in
sé me-
desima
processo, e svolgimento. Che se anch'
ella come
tutte
le manifestazioni della storia é un
processo, é
mestieri
applicare ad essa la universal legge
storica e
sociologica
della Scienza. Guardata infatti nella sua
storia
ideale, anche la religione é innanzi
tutto divinay
indi
eroica, appresso umana. E giugne ad
essere umana
quando
la forma siasi potuta elevare a cotal
grado di
trasparenza,
che il simbolo palesi da sé medesimo
l'idea,
e il mito siasi venuto elaborando
così che rac-
* Non
poco 8* illudono perciò quo' filosofi ohe,
come il Cusano fra gli
antichi
e il Rosmini fra i moderni, si
sforzano d'applicare a Dio il concetto
delle
categorie col fine di spiegarsi in
qualche maniera il mistero della
Trinità.
Io potrò intendere il Cardinal di
Cusa dove mi dice che Unitcu,
Iditas
e Identità» siano quasi i tre momenti
dialettici interiori dell* asso-
lato. R
potrei forse intendere il Roto retano
quand'ersi studia mostrarmi
che
Realtìk^ Jdeaìità e Moralità sieno le
tre forme in che si determina
l'essere.
Ma come intenderli quando il primo
d'essi afferma che Vvnità
è il
Padre, VegtiaglianMa il Figlio e la
connessione lo Spirito, e quando
il
secondo applica alle tre persone quelle
sue tre sparute /orm« ontologiche f
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448
DELLA DOTTBTVA PILOSOFIOA. [lIB. n.
chiuda
un vero metafisi(X) o morale che sia.
Or se è
tale
il valore del sentimento religioso nello
svolgimento
isterico
della civil società, perchè dirlo morbo
della
mente,
fiacchezza della coscienza volgare, abberrazione
della
fantasia? Se dunque la ragion filosofica
vorrà
attingere
anche qui forma razionalmente positiva,
ella
vi
potrà giugnere a questo sol patto;
che il concetto
metafisico
ond' è capace, non abbia a
contraddire in
modo
assoluto ai portati della coscienza
religiosa. £ se
la
religione dal canto suo vorrà essere
anch' ella po-
sitiva e
razionale e perciò rispettabile e santa,
potrà
essere
tale a questo sol patto; che sappia
porgersi alla
ragion
filosofica siccome riprova e guarentigia,
tuttoché
di
natura istintiva ed empirica, ai
pronunziati della
speculazione
metafisica. Anche qui regna la gran
legge
del concorso
di forze combinate, e del loro
corrispon-
dersi tanto
necessario alla eccellenza del risultato. E
in
tal
caso religione e filosofia, serbando
entrambe valor
positivo
e medesimezza di contenuto, formeranno un
criterio
al cui lume potrà esser giudicata ogn'
altra
filosofia
e religione. Una critica religiosa che
si diparta
da
questo principio, sarà critica infeconda ed
erudita,
com' è
quella de' Teologisti cattolici, ovvero
critica esi-
ziale e
sistematica com' è quella de' mitologi
hegeliani.
Tal si
è precisamente il nostro concetto
metafisico
rispetto
al ternario cristiano, che è il
mistero piii com-
prensivo cui
abbia saputo elevarsi la coscienza
religiosa.
L'uno
è correzione dell'altro, al modo istesso
che questo
è, per
così dire, guarentigia sperimentale del
primo.'
* Qui
abbiamo dovuto accennare solamente al
simbolo della Trinità,
ma
nella Sociologia mostreremo di proposito
come la dottrina del Vico
su la
natura ed origine del mito in
generale, sia fondata anch'ella nelle
leggri
del
processo psicologico, e quindi racchiuda il
concetto e la necessità della
interpretazione
morale nell'ordine delle intuizioni religiose,
e mitologiche;
deHa
qual necessità il Kant, dopo il Vico,
ebbe assai chiara coscienza
{Rdig,
daiu le» lini, de In raiton). Ora
ciò che qui preme osservare
questo:
s^ col concetto metafisico del nostro
filosofo si può acconcia-
mente
interpretare il simbolo del ternario
cristiano, ne scendono due
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OAP.
X.] DSL PBINOIPIO METAFISICO. 44^
Concludiamo.
Se è vero che la metafisica è
scienza
non
assoluta ma dall' assoluto, stantechè sia
possibile
attinger
notizia razionalmente positiva circa il
fonda-
conseguenze:
P che il Libro Metafisico f nel quale
troviamo depositato
il
germe del concetto riguardante il procesto
ideale, sia intimamente col-
legato con
la Seiema Nuova, appo cui la teorica
sul mito (superiore
sotto
più riguardi, come vedremo, a quella
de* mitologi e filologi Tiventi),
non è
che un' applicazione della sua dottrina
psicologica, della quale noi
ahbiamo
svolto i tratti principali: 2° che
interpretando col suo concetto
metafisico
il simbolo cristiano, in generale, e,
in particolare, quello del
ternario,
si viene a contraddire in modo serio
e positivo al panteismo.
Anche
per gli Hegeliani il mistero della
Trinità, come ogn' altro mistero,
shnboleggia
una verità filosofica. (Heobl, Phil. de
VEaprit, t. I, ItUrod.
del
Vera); nel che siamo perfettamente
d'accordo. Ma l'interpretazione
alla
quale costoro sottopongon la simbolica
religiosa, anziché legittimare
in
qualche maniera la credenza elevandola a
significato filosofico, l'annul-
lano
addirittura, perchè la rendono assai più
inintelligìbile e parados-
sastica
ch'ella stessa non sia come credenza.
Idea, Natura e Spirito:
Padre,
Figlio e Spirito Santo! Ma che cosa
ci ha che veder la Natura?
Non è
egli questo precisamente ìl vecchio
concetto degli Alessandrini, di
Plotino,
che pretendeva ritrovare nel Parmenide le
tre famigerate ipo-
stasi dell'
Unità, del Multiplo, e dell*
Unità-multiplo, riponendo quest'ultimo
appunto
nell'anima e nella natura V {Enn. lib.
I, e. 8, trad. Boulliet).
L'
interpretazione davvero potitiva e non già
fantastica del contenuto
religioso,
non deve e non può contraddire al
simbolo (almeno per quel
tanto
che esso contiene di filosofico), perchè
contraddirebbe alla stessa
ragione.
Or quest' elemento di verità, contenuto
germinalmente nel sim-
bolo
cristiano, riguarda per appunto il ternario
considerato in sé; ri-
guarda il
ternario assoluto, il ternario com'è
richiesto dall'esigenza
metafisica
positiva, e non già il ternario
trasport-ato anche nel processo
della
natura, e nello svolgimento della storia.
Questa enorme confusione
fanno
i Teologi, e la fanno anche gli
Hegeliani con la lor teorica e cri-
tica della
simbolica cristiana. Che cos' è il
Dio che eeende nella natura?
Che
cos'è il Figlio che si parte dal
Padre per umanar»if Che cosa mai
sono
il popolo eletto, i profeti, gl'ispirati,
il mondo latino-cristiano? E
che
cos' è la Idea che dall' astratta
mansione dialettica scende anch' ella
e
passa mediandosi nella natura e penetra
nella storia? Che cosa sono
\6
funzioni storiche speciali de' popoli
privilegiati, àQ* privilegiati perso-
naggiy
del mondo cristiano-germanico? L' Hegolianismo è
davvero una
contraffazione
del più grossolano Cattolicismo! ò una
mitologia anche
lui !
E quanti punti di contatto anche in
questo, e specialmente in que-
sto, con
la dottrina sociologica dei Comtiani! Il
Vera ha detto bene:
il
Positivismo i una contraffazione delV
Heyelianismo. E noi alla nostra
volta
crediamo dir benissimo (col permesso dell'
illustre traduttore) che
r
Hegolianismo è una contraffazione evidente
del Cattolicismo. Ma di ciò
basti:
ce ne rifnrorao altrove più riposatamente.
SiciLiAni.
99
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450
DBLLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. II.
mento
e la ragion delle cose; se è
vero, d'altra parte,
che il
significato esteriore della storia della
filosofia
occidentale
sta nella lotta fra il Platonismo e
TAri-
stotelismo,
mentre il significato interno ed essenziale
di
essi
risiede nella correzione vicendevole de'
due estremi
indirizzi
aristotelici in quanto concorrono al
trionfo del-
l'indirizzo
medio: ne viene che nel concetto del
Pro-
cesso ideale
e nella relazione de' tre termini
costituenti
la
dialettica discensiva che abbiamo sin qui
rapida-
mente
interpretata nel nostro filosofo, trovasi
non pure
il
risultato e insieme l' inveramento delle
tre posizioni
unicamente
possibili in metafisica delle quali altrove
toccammo
(pag. 444), ma l' inveramento altresì della
doppia
esigenza deU'ùZga platonica e della
categoria
aristotelica.
Trovasi la correzione, come ci sarà
dato
meglio
vedere fra poco, del Dio platonico
previdente e
provvidente,
e dell' immobile Dio aristotelico che
nulla
vede,
nulla prevede e niente provvede nel
mondo. E per
tutto
ciò troviamo l'accordo fra il principio
della me-
desimezza
che prevale nel padre della Dialettica,
e'I
principio
della diversità che predomina nel padre
della
Metafisica.
Cìotesto accordo per noi è vero
accordo, è
vera
conciliazione, appunto perchè, come dicemmo,
è
vera
correzione: correzione dell'Idea, dell'essenza
che,
pur
sparata, dovrebb' esser l' essenza della
cosa: cor-
rezione dell'
Ji^o il quale, non ostante l'assoluta
immo-
bilità sua,
dee muovere il mondo come causa
finale.
Quest'accordo
e questa correzione trovano lor saldo
fondamento
nel criterio della Conversione, elevato a
dignità
di Pilicipio metafisico.
E
questo medesimo principio metafisico può e
deve
assumer
natura, come si disse, di principio
speculativo,
di
norma, di criterio essenzialmente isterico,
universale
e
comprensivo, a poter saggiare e
acconciamente pon-
derare la
verità delle soluzioni che intomo al
problema
metafisico
han dato le diverse scuole, e le
differenti
filosofie.
Se ci fosse dato fermarci in siffatti
riscontri
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CAP.
X.] DEL PBINOIPIO MBTAFIBIOO. 461
storici,
non sarebbe guari difficile mostrare come
in
esso
trovi correzione, per dir qualche esempio,
1' Ales-
sandrinismo;
il cui rappresentante, Plotino, interpre-
tando
erroneamente il metodo dialettico del
Parmmide
e
abusando dell' Unità parmenidea, non potè
coglier la
ragione
del vincolo che insieme annoda i suoi
diffe-
renti generi
del sensibile, co' suoi generi dell'intelligi-
bile, e
siffattamente sfumò nell'iperpsicologismo plato-
nico pur
credendo d' inverare l' Aristotelismo.* Questo
vincolo
e questo passaggio non potè scorgere
l'ingegno
profondo
d'Erigena con l'ardito concetto della yuVic
e
con le
quattro diverse maniere onde per lui
s'attua
la
Natura; poiché giunto all'assoluta essenza,
com'è
noto,
ei se ne ritrasse invocando in
sussidio la teologia
rivelata.*
Né il Cusano, per citare un esempio
del Ri-
nascimento,
tuttoché con mirabile acume giugnesse a
cogliere
il concetto àéìT alteritcLS e delle
determinazioni
dell'Assoluto,
bastò a dedurre acconciamente e neces-
sariamente
l'attinenza verace onde il mondo è a
Dio
congiunto,'
e anche lui finì con intender l'atto
crea-
tivo al
modo che è posto dalla coscienza
religiosa. Tanto
meno
l'arditissimo Bruno potè imbroccare nel
segno, con
la
dottrina de' tre intelletti, quant' all'attinenza
tra l'in-
telletto
divino e l'intelletto che tutto fa; *
e quindi
sfumò
in quel suo naturalismo che potrebbe
dirsi un
aristotelismo
cui manchi il concetto dell'Atto in
sé. Né
il
Campanella giunse ad applicare in maniera
dialettica
le sue
tre primajità psicologiche all' Assoluto,'
come il
Vanini
non superò guari la dottrina della
natura e
della
forma de' peripatetici. Nello Spinoza poi,
meglio
che
dialettica, ci è meccanica e geometria;
poiché il
concetto
della sostanza unica' è negazione della
tripli-
*
Simon, BUt. cit lib. U, e IV. V e VIL
*
Haubiau, PhU. Sool., ed. cit., t. I.
' Nio.
DB Cuba, DicU. cU Pot§e9t.
*
Bbono, Dial. II, De Prine.j oc.
*
Camparblla, MetapKt lib. I, e. Ili,
8.
*
SpurosA, £th.t I, n. U, 7.
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452
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
cita e
d' ogni processo intimo e dinamico nelP
Assoluto ;
onde
il pensiero, che è uno de' due modi
universali
della
sostanza, riesce, con evidente assurdo,
molto piii
che
non sia la medesima sostanza. In
opposizione alla
sostanza
spinoziana sta la monade del Leibnitz.
Ma se
nel
concetto monadologico del filosofo di
Lipsia vi è
una
divinazione originale che la scienza
moderna è ve-
nuta
semprepiii confermando, voglio dire il concetto
di-
namico, niun
vincolo razionale e dialettico esiste tra
la
gran
Monade e T universo delle monadi,
come altrove
dicemmo.'
E per toccare finalmente de' moderni,
niuno,
tranne
gli adepti, vorrà creder sul serio
che Hegel col
suo
ternario assoluto ci abbia dato un
concetto meta-
fisico
positivo. Egli anzi ha cancellato aftatto
il concetto
della
conversione ad intra^ riducendo siffattamente
il
dinamismo
ideale ad un ideale meccanismo; talché
il
processo
geometrico della Sostanza spinoziana avrebbe
più d' un'
attinenza col processo formale e dialettico
dell'Idea
hegeliana. Alla vera nozione del Processo
ideale
non sono pervenuti poi né il
Gioberti, né il Ro-
smini. Il
principio ctisologico del primo è senza
dubbio
un
processo, come vedremo fra poco : ma,
appunto perchè
processo,
non dovrà supporre forse un altro
processo ante-
riore, e
superiore? La dialettica giobertiana é Una
dialet-
tica a
metà; e il creatore del filosofo
subalpino è troppo
accosto
al suo concreatore, alla sua iitBì^ic^
al suo Intel-
ligihile
relativo che, coni' egli dice, è l'
Idea redw^ata,
V Idea
per soìiificata;^ talché potendovisi facilmente
con-
fondere, non
poteva àgli hegeliani riescir guari
difficile
tirarlo
all' Idealismo assoluto.' Il Rosmini
finalmente,
col
concetto dell' ente iniziale e comunissimo
determi-
* Vedi
ciò che abbiamo discorso del Leibnitz
nel lib. I, p. 180 e se^.
■
Gioberti, FU, ddla Rivdaz., p. 805.
' Al
Gioberti manca e deve mancare, come
vedremo fra poco, il vero
concetto
della dialettica; e Io confessa egli
medesimo là dove si prova
a
distinguere una dialettica interiore, ed
una dialettica esterna, (Protologia,
V.
I., p. 629, ed. cit.)
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CAP.
X.] DEL PBIXCIPIO METAFISICO. 463
nantesi
nelle tre forme dialettiche, non è
giunto, e non
poteva
giugnere neanch' egli a sciogliere e
poi rilegare
il
vero nodo dialettico.' Com'è possibile un
processo
fra
quelle sue tre forme? Com'è possibile
la distinzione
categorica
reale del suo essere?
Capitolo
Decimoprimo.
SUL
MODERNO CONCETTO DELLA CREAZIONE.
Le
cose discorse ci menano a due
conclusioni quanto
chiare,
altrettanto irrepugnabili: P L'Assoluto è il
Vero
che si
converte ad intra col Generato , e ad
extra col
Fatto:
dunque la posizione del Fatto è
razionalmente,
liberamente
necessaria : 2** U Fatto è V
aUrOj è il di-
verso: ed
è tale per doppio rispetto; come termine
^05^0,
cioè
come Fatto semplicemente detto, e come
Fatto che
si fa
; come sostanza e come causa :
dunque il Fatto è
estemo
al Generato, è indipendente da lui,
non come
termine
posto, bensì come Fatto che s'invera,
come
Fatto
che si converte con sé stesso e
perciò nel Vero ;
insomma
come sorgente perenne d'attività. Diciamolo
in
altre parole. Dio crea il mondo in
quanto lo pone ;
e il
mondo, in quanto è posto come fatto,
si crea. 11
mondo,
adunque, appunto perchè ha natura di Fatto
,
appunto
perchè ha natura di altro sotto
gemino aspetto,
è
insieme posizione e creazione. È posizione,
in quanto
è
termine di conversione con 1' altro,
ciò è dire con Dio :
ed è creazione,
in quanto è subbietto di conversione
con
sé e
per sé medesimo. Perciò se il Fatto
non è creato
ma è
postOy ne viene eh' egli ha da
essere il vero pò-
nente,
il vero creante sé medesimo.*
*
Rosmini, Teotojia, toL I.
' La
parola ponzione è brutta, io Io
veggo; ma qui non saprei come
dire
dÌTersamento per non restare avviluppato
negli equivoci ed esage*
razioDi
in che sono caduti gli ontologisti
con V uso ed abaso deUa parolA
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454
DELLA DOTTBTKA FILOSOFIOA. [lIB. n.
Il
mondo nel processo cosmico ci si
presenta sotto tre
aspetti.
Riguardato come Fatto, egli è in Dio.
Riguar-
dato qual
Fatto che s'invera e converte con sé
stesso,
è
fuori di Dio. E, finalmente, considerato
qual Fatto che
si
converte col vero nel regno della
storia e della psico-
logia, non
si può dir propriamente eh' e' sia
fuori di Dio
né in
Dio, ma Dio è in lui: é in
lui nel senso che il
mondo
è pensiero, scienza. Ragione spiegata. Ecco
la cor-
rezione e
insieme l'accordo del Dualismo e del
Panteismo.
Non vi
é unica ed assoluta sostanza: né vi
sono due
sostanze
poste empiricamente. Vi è bensì una
dualità
formante
unità: vi é due sostanze formanti
organismo.
ertaMÌ4me.
Nel g^reco non ini pare ci sia
una voce che possa rendere il con-
cetto: anzi
non ci può essere^ chi consideri come
al pensiero ellenico manchi
r idea
alla quale accenniamo. Tra VAtto puro
e la dateria prima deir Ari-
stotelismo
non ci è vincolo nel signifioato di
potìnofu; ma t* è solamente
relazione
di finalità, perchò VAtto non pone,
ma attrae ; e attrae la materia
in
quanto essa è jiotoiua, cioò in
quanto è opi^i^ ; e però in
quanto nelle
cose
Tiene inserito il deeiderio con perpetua
in/ueion% che è 1* interpre-
tazione
erronea de* vecchi aristotelici e
antiaristotelici (Rjlvaisbok, Me-
taph,
ec , T. II, pag. 552). Neanche nel
Platonismo ci è V idea della po-
sizione, e
quindi nò pur la parola che vi
risponda ; essendo noto come pel
filosofo
d* Atene la materia sia anche eterna
e al tutto indipendente dal-
l'ùlea,
cioè un'assoluta recettività, iimeno intendendo
Platone come si fa
d'ordinario:
nò poi la fii9t^i^ e la yLl^junii^^
come toccammo, bastano ad
esprimerci
il concetto della conversione. Il pensiero
ellenico dunque non
pervenne
a determinar nettamente l'attinenza (originaria,
non finale)
tra
l'indeterminato e l'Idea, tra V infinito e
il finito, tra la forma e
l'Atto;
e quindi non riusd, com'ò noto, a
superare il Dualismo. Ora
trascendere
il Dualismo è uno degli aspetti e
però uno de' fini della lotta
fra il
Platonismo e 1' Aristotelismo. L'
Alessandrinismo tentò superarlo,
ma
evaporò nel concetto dell' identità
assoluta : e però neanche presso gli
Alessandrini
sarebbe facile trovare nò il concetto,
nò la parola che si-
gnifichi '1
vincolo originario tra il mondo e
Dio. Gli Hegeliani usano
anch'essi,
fra le altre non meno brutte, la
parola poeizione, che anzi
costituisce
il lor pane quotidiano. Ma per l'
Hegelianismo poeizione vale
determinazione,
medùizione, compenetrazione; e perciò, checché
ne dicano,
esprime
un rapporto di natura, per cosi dire,
meccanica e formale. La no-
stra
posizione è diversa dalle loro quanto
il nostro Generato dalla loro Idea;
quanto
la nostra convereione dalla loro
contrappoeizione^ negazione, me-
d̀tzione
e che so io. fe inutile avvertire
che le parole bara, asa, vasàb
della
letteratura ebraica, esprimon tutt' altro
concetto di quello che noi
intendiamo
significare con la parola poeizione.
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GAP.
XI.] MODERNO
OOKOITTO DILLA OBIAZIONI. 455
Quest'organismo
è vita, non è morte fqueet' organismo
è
profondo dinamismo, non è meccanismo. Ed
è vita e
-dinamismo,
perchè non è monismo assoluto; non è
mo-
nismo
inintelligibile, assurdo, esiziale alla scienza
come
alla
civil società.
E qui
ci corre il debito di rendere
giustizia alla
mente
straordinaria del Gioberti, e correggere
nel me-
desimo tempo
la sua formola ctisologica. Anch' egli è
tal
pasta d' ingegno che si svolge e s'
allarga e s' in-
vera e
si corregge; ma non per questo si
contraddice.
La
novità della Protólogia non istà nel
concetto del
creare
inteso come divenire, secondochè vorrebbe
lo Spa-
venta. Se
così fosse, egli, in verità, non
avrebbe detto
nulla
di nuovo; come nulla di nuovo disse
nella Introdu'
jrìone
col rinverdire la vecchia idea della
creazione. La
novità
.vera, la nuova esigenza del filosofo
subalpino sta
nel
concetto della concreojgione, com' ei suol
dire ; della
cancrecunone
intesa non già come fxsOf5«; dell'Idea
verso
il
mondo e rispetto al mondo, ma si
del mondo verso
r Idea,
e rispetto all'Idea. Perciò l'Ontologismo
giober-
tiano
va corretto ; va fatto più
conseguente con sé stes-
so :
e, scambio della celebre formola dell'
Ente creante
l'
Esistentey è forza porre la formola
metafisica del Vico
nella
quale è racchiuso quel vero e
compiuto dialettismo
che r
ardente scrittore del Primato andò sempre
cer-
cando con
ansia febbrile, e non trovò mai :
cioè il Vero
che,
convertendosi ad intra ed Generato^ si
converte anche
ad
extra col Fatto. La sua formola
teleologica, poi, vuol
essere anch'
ella corretta; e invece d'aflFermare che
V esi-
stente
ritoma alV ente (prima maniera), o
che V esistente
concrea
Venie concreando se stesso j è d'uopo
dire che il
Fatto
si converte nel Vero e col Vero,
e perciò si crea,
e
perciò si fa divino. '
* Il
concetto ctisolo^'oo del Gioberti della
prima maniera (e dico
marnerà
per dir forma nello stiluppo, non già
diversità di contenuto nella
sua
dottrina, come Terrebbero gli Hegeliani),
sta nel presentar V atto crea-
tiro
siccome prodaconte T esistenza in quanto
la individua. Nella Intro-
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456
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
Mi si
chiederà : la seconda forinola, la
formola cos-
mologica
esprimente il vero concetto della
creazione,
cioè
il Fatto che si converte nel Vero,
esiste ella nel Vico ? '
Esiste,
io rispondo, per chi la sappia
ritrovare, e dedurre ;
e
dedurla e trovarla è negozio agevolissimo.
Come la si
deduce?
Considerando con accuratezza la sua formola
metafisica.
Quando egli pone il Fatto siccome
termine di
duzione
il creare suona, a dir proprio,
individuare. Che cosa in£atti ò
r
individuo ? È V Idea pasMta dalla
potenza alTaUo (t. II, ed. cit. p.
195).
Qui
t;* ò dol neoplatonismo, e anche
buona doso di panteismo. Della prima
maniera
altresì è queir afTermare con tanta
sazietà che T uno crea ti mi«l-
tiplof
e che ii tntdtiplo ritoma aU^tmo:
concetti yaghi, indeterminati ed
erronei
che ci fanno pensare a Proclo e
a Plotino. Se il Gioberti fosse
rimasto
qui, non sarebbe stato ingegno potente
ed essenzialmente cor-
rettivo di
sé medesimo. Non sarebbe stato ingegno
progressivo, fecondo
ed
esplicativo. Ma se nella Protologia fosse
giunto al concetto del divenire,
più
che esplicarsi e* si sarebbe data la
zappa su' piedi; si sarebbe cod-
tradetto:
sarebbe passato dal bianco al nero,
dal no al sì, da Dio alla Idea,
e
siffattamente sarebbesi mostrato ingegno
leggiero, pensatore sghengo e
anche
un pò* vanesio. Era egli tale T
ingegno del Gioberti? Lo dica chi
può !
Dunque l' A. della Protologia, se per
nostro conforto fosse vissuto,
non
sarebbe divenuto Hegeliano; anzi -avrebbe
inaugurato novello periodo
filosofico
in Italia conforme all'indole di nostra
mente; ciò che non ha
fatto,
e non poteva faro il Mamiani. II
Ferri ha detto benissimo: la
teconda
JUoaofia del Gioberti {che racchiude non
già un nuovo 9Ì9tema, eib-
bene
uno epirito nuovo)^ inaugura un altro
periodo, la cui aorte i rieeronta
al
futuro (Hist. cit., voi. II, p. 204).
E davvero, se fosse vissuto, ci
avrebbe
dato
un Btnnovn mento filosofico, al modo stesso
che ci dìo il RinnovametUo
civile
col quale Inaugurò la nuova Italia, e
del quale Cavour, dovremmo es-
serne ormai
convinti, non fece che attuare il
programma. Ciò non pertanto
anche
nella Protologia si scopre l'uomo vecchio,
VintuitUta, e però il neopla-
tonico
schietto. Non dubita affermare, per
esempio, che Videa pone il finito,
e 8i
COMUNICA fv. 1, p. 4S4): che le
idee formino in Dio una gela, la
quale
9Ì
«quaderna e pa^aa dalV as9oluto ed
relativo merde V atto della creazione
(Id.,
p. 147): che V infinito attuale e
V infinito potenziale, anziché due cote,
formino
una sol cosa, ma sotto doppio aspetto
(p. 440 e seg., special-
mente 159):
e che l'infinito potenziale non è né
il finito né 1* infinito,
ma la
sintesi di essi (p. 427), non
{scorgendo il grand' uomo come finitò,
e
infinità
potenziale non siano già due cose, ma
due aspetti d*un medesimo
subbit'tto,
ciò è dire il Fatto in quanto è
alterità verso il Generato, e
verso
se st-csso. Or le contraddizioni da
cui bisogna salvare il Gioberti
nella
sua seconda maniera di filosofare sono
queste, non quelle che ci
veggon
gli Hegeliani. E bisogna salvamelo appunto,
per liberarlo dalle
tracce d*
iperpsicologismo, di neoplatonismo, di
alessandrinismo, d'ara-
bismo e d'
hegelianismo che pure contiene.
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CAP.
XI.] MODERNO
OONOBTTO DELLA CEEAZIONB. 457
conversione
col Generato, cioè il Fatto come
Fatto, come
posto;
con ciò stesso ei ci dà questo
Fatto come sub-
bietto
che essenzialmente si converte con sé
medesimo ;
cioè
come creante sé, come autogenito, come
conato, E
come
poi ritrovarla cotesta formola? La ritrova
chi
abbia
occhi in fronte ; cioè leggendo la
Scienza Nuova. La
quale
è per l'appunto un'applicazione di essa,
ma è un'ap-
plicazione
al mondo de' fatti umani, eh' è dire
d'ima
parte,
d'un genere, del sommo genere del
Fatto. Che
cos'è
il Certo che diventa Vero? Che cos'è
V Autorità
che a
grado a grado assume forma e valore
di Ragione?
Che
cos' è la Filologia che diventa
Filosofia? Che cos'è
la
storia, l' uomo, lo spirito che dalla
fase divina passa
alla
fase eroica, e dall'eroica all'wwana.^ Che
cos'è il
pensiero,
la Mente che è Senso^ poi
Immaginaeione e
poi
Ragione?^ Taluno potrebbe dire: di cotesta
for-
mola il
Vico non fece applicazione al mondo
della na-
tura.
Neanche questo è vero. E non vero,
i)erchè non
solamente
quest' applicazione ci è dato dedurla,
al solito,
dal
suo principio metafisico, ma, che più
rileva, ei n' ha
lasciate
tracce visibilissime, germi assai fecondi
ne' suoi
principii
cosmologici, come vedremo appresso. Torniamo
al
proposito.
Dato
alla creazione il significato e il
valore che noi
diciamo,
ne vengon fuora parecchie conseguenze le
quali
verremo
accennando man mano. La creazione non
è, per
parte
di Dio, né una deduzione, per dir
così, né un' in-
duzione. Per
dedurre il mondo, egli dovrebbe cavarlo
da sé
: assurdo grossolano. Per indurlo, poi,
dovrebbe
cavarlo
da una materia preesistente, ovvero dal
nulla.
Una
materia preesistente senz' alcuna idea, un
ricetta-
colo
indeterminato, come lo concepisce il
Platonismo,
riesce
inintelligibile, e ci lascerebbe in pieno
dualismo.
Dal
nulla come tale, nel che sta il
concetto balordo dal
pietoso
credente, tanto meno. Si dirà esserci
la potenza
* Vedi
a qaesto proposito quel ohe abbiamo
discorso nel Cap. V
del
Ub. U.
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458
DILLA DOTTBIVA FILOSOTIOA. [lIB. n.
infinita
attuale? Benissimo : quest'Atto ha da
esser Oene-
rato;
e, in quanto è Generato, pone il
fatto, educe il fatto
per
necessità razionale, e quindi per legge
di conversione.
Se
dunque lo educe per necessità intima
e razionale, veg-.
giamo
scaturire una seconda conseguenza, ed à
che un
mondo
particolare, contingente e d' ogni parte
finito e
mutabile
e scorrevole, senz' altra necessità fuorché
quella
d' un
beneplacito divino, contraddice apertamente alla
ragion
filosofica positiva, nonché ai risultati
sicuri della
moderna
scienza fisica, geologica, cosmologica, astrono-
mica. Se
il mondo, anche in sé medesimo, é
una conver-
sione di
sé con sé stesso, non può non
esser necessario
nella
sua esplicazione e nelle sue leggi,
appunto perché
essendo
termine di conversione d'una causa eh'
é men-
te, debb'
essere anche lui causa, mente, razionalità.
U
mondo,
in somma, é posto razionalmente. Dunque
Tatto
col
quale Dio pone cotesto mondo é
liberamente neces-
sario, e
necessariamente libero.*
*
Dicemmo qual relazione corra fra libertà
e ragioue (Gap. V, Lib. II).
Se
Tatto volitivo guardato nella sna radice,
secondo la legge del processo
psicologico,
non è altro in generale che uno
«/orso (Tintenderef cotesto
sforzo,
che in noi ò impedito perchè
essenzial conato, nelP Assolato non può
aver
luogo, e quindi è speditissimo. £cco
il fondamento della necessità
della
creazione. Ma la sapienza infinita !
si dirà: chi ne misura gli abissi?
Lasciamo
gli abissi: qui la faccenda è chiara,
perchè ce ne porge gua-
rentigia la
psicologia : gli abissi ci sono, pur
troppo, ma non qui ; e qui
ci
sono, perchè ce Than messi T
ignoranza, il pregiudizio e T immagina-
zione. Nò
si creda che togliendo a Dio la
libertà (anche quella a n«oem(ate
natura),
ella rimanga distrutta altresì nelPuomo.
Innanzi tutto non è vero
che si
tolga a Dio U libertà; anzi gli
si dà la libertà vera, dal momento
ohe
si
concepisce come vera e compiuta ragione. L*
uomo è ^rt»eep«ro<»oiiù:
dunque
non è assoluta libertà. Ma Tuomo è
ragionevole: dunque può
esser
libero; e come tale, direbbe St.
Mill, può creare d earaUere, eh* è
la
creazione davvero umana, tutta nostra,
tutta individuale. — Eccoci
dunque
(si replicherà) nel destino : eccoci
nel fato, ovvero neir equazione
tra
libertà e razionalità : non se n*
esce ! Destino e fato no, davvero,
per-
chè qui
siamo nel regno della mentalità; e
mentalità è anche la natura,
come
diceva Aristotele, appunto perchè è natura.
Quant* alla famigerata
equazione,
poi, è un'altra faccenda. Per Hegel
siffatta equanone o com-
penetrcutione
deve nascere ultima, in quanto che
suppone il processo della
Nahiray
e perciò suppone anche la Idea; ed
ecco perchè egli invoca e
deve
invocare, come ultimo sostegno, la
necessità dialettica che risale
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GAP.
ZI.] MODSBNO
OONOBTTO DSLLA OBIAZIONB. 459
Data
al mondo Y attività creatrice, rimane
profon-
damente
modificato, trasfigurato, il concetto della
prov-
videnza. Se
il Vero convertendosi col Generato si
con-
verte
altresì col Fatto in quanto lo pone,
accade che
l'Assoluto
rispetto al mondo debba esser principio
e
mente
che vede e prevede, ma non per
questo prov-
vede. Se
come Generato egli è visione lucentissima,
ne
viene
che cotesto vedere, che cotesto conoscere,
sia an-
che fare,
in quanto pone il mondo come fatto.
Ma
questo
medesimo vedere è anche un prevedere,
in quanto
la
visione penetra nella possibilità del fatto
; in quanto
penetra
nel processo, nella conversione stessa del
fatto :
ma non
può essere un provvedere, perchè ove
così fosse
ei noi
porrebbe cotesto mondo, cioè non si
converti-
rebbe con
lui, bensì lo creerebbe addirittura; per
cui,
novello
^t^«ou/)70f, porrebbe il fatto non solo
come
r
altro da sé (tò itì/)ov), ma eziandio
come un altro
in sé
(to aUo), e perciò si compenetrerebbe
con lui;
perciò
sarebbe anche lui. Che cosa quindi ne
segui-
rebbe?
Precisamente questo: ch'ei farebbe quel che
non
può fare; ch'ei sarebbe quel che non
può es-
sere; e
cod, essendo ad un medesimo tempo
Generato
e
Fatto, Dio e Mondo, e non già
conversione dell'uno
con
l'altro, non sarebbe né l'una cosa né
l'altra, e
s'annullerebbe
senza rimedio: contraddizione che soia-
air
Idea. Anche per noi tal necessità è
dialettica; ma è dialettica in
quanto
è razionale altresì nella sua origine.
Ed è razionale e reggente
e non
meccanica e non logica e non
astratta, per la semplicissima
ragione
ch'ella ritrota la sua propria sorgita
non già in nna Tuotaldea,
anzi
in ona mente piena, pienissima, nella
Menu. Nel qaal senso il Brano
non
ebbe torto d* affermare, che la
necessità in Dio non sia cosa ditersa
dalla
libertà, e ch'egli operi per neee»9ità
di $ua natura: « Infinita vir-
tutf
8Ì ncque a teipta ySnthir, nee ab
alio, tunc neeetntate 9ua naturcB
agit.
Non agU neeeentate naturcB alia a te
et eua voluntate^ in eorummo-
rem
quce neceeeitati eubeunt ; eed ipea
ett {ut ecepe dieimu») neceetitae. Agit
ergo n^xentatef
qua neque ab intrineeco et per te,
neque ab cxtrineeco et
per
aliud fruttrari poteet. Non primo, quia
non poteai aliud eeee atque
aliudj
non tecundo^ quia ieta necettitaa rdiquorum
omnium lex eet. {De
Imm.
et Innwmerab. lib. I ; e. XII.)
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460
DILLA DOTTMKA FILOSOFICA. [lTB. H.
mente
fi^li Hegeliani hanno la singoiar fortuna
di ca-
pire :
felicissimi loro ! *
• Ma
un Dio non provvidente (si dirà) non
è egli un Dio impotente?
Precisamente
il contrario. Egli davvero sarebbe
impotente ove fesse
provvidente.
E sarebbe impotente, percbè gli toccherebbe
a far la con-
traddizione,
il nulla. Se V atto umano ò
libero in quanto può essere e
può
non essere (libertà (T elezionef libero
arbitrio, eh* è la libertà propria
dell'animale
particepg rationi«)^ ne verrebbe che Dio,
prevedendolo, cono-
scerebbe ciò
che può essere e può anche non essere:
il che vuol dire,
eh* ei
conoscerebbe il nulla. In quest'ordine di
cose Dio può provvedere,
e
provvedere sul serio, ma ad un sol
patto; che, cioè, provveda col non
provvedere.
Provvedere è procacciare il bene; è
procacciare il bene con
tutt*
i mezzi,* per tutte le vie, con
tutta la possibile energia. Ma 8*ei
facesse
tutto questo, il libero arbìtrio non
{sfumerebbe addirittura? Certo,
Dio
vede l'atto umano: ma come Io vede?
Lo vede in quanto è razio-
nalmente
libero; e perciò lo vede in quanto
è liberamente necessario.
Dunque
lo vede nella sua razionalità, nella
sua idealità, nella sua per-
fezione: che
vuol dire lo vede in so medesimo,
non già nell'uomo. An-
cora: se
Dio prevedesse le azioni umane, ne
verrebbe questo; che pre-
vedendo
Tatto immorale, egli, che è infinitamente
buono, dovrebbe non
volerlo.
Dunque non dovrebbe creare, ne porre
il mondo. Ma non abbiamo
detto
che s'egli ha da esser davvero
l'Assoluto, vero principio dialet-
tico, è
d'uopo eh* e* si converta col Generato, e,
convertendosi col Gene-
rato, dee
convertirsi necessariamente anche con un
fuori di sèV Perciò
una
delle due: Dio è egli provvidente?
Dunque è impotente. È egli pre-
vidente
delle azioni pro))rìamente libere? Dunque
annulla la libertà umana,
che
vuol dire distrugge l'ente umano. — Da
ultimo si dirà: ma un Dio
che
non provvede, non è egli un Dio
immutabile, immobile^ seduto ««7 trono
deserto d'
un^ eternità eilenzioea e vuota f
Anzi egli è perenne sorgente di
moto!
Egli è il vero moto dd moto,h
l'assoluto Moto, e però l'assoluta
Quiete;
il vero Motore ImmobiU. II quale non
potrebb' esser tale, ove
non
fosse ad un'ora istessa conversione con
sé, e con Y altro; talché col
solo
porre il mondo, egli è già presente
al mondo, egli è già col mondo,
ma non
è, e non può esser nel mondo.
Non ci è dunque un mondo di
qua, e
un Dio di là. Non ci è un
infinito di su, e un finito di
giù. Non
ci è
una cagione dall'alto e un effetto
nel basso. Ci è il Vero e il
Fatto,
ripetiamolo,
formanti insieme un organismo. Ci è
una dualità in unità;
e però
differenza e medesimezza. Brevemente: Dio
pone il mondo non
già
con un atto, ma lo pone per ciò
solo che egli è; per ciò solo
che
esiste.
Egli è atto, è l'atto per eccellenza;
e però è Vero e Generato
insieme:
dunque, come tale, non può non creare
l'universo. Ora se lo
crea
in quanto è, e non già con un
atto, ne seguita che il mondo ha
da
esser posto come potenziale anziché come
attuale.
Da
questo nostro discorso può vedersi come
sia mestieri correggere
la
causa efficiente e la causa finale
tanto dell' Aristotelismo, quanto dei
Platonismo.
Videa platonica, come dicemmo, non
solamente produce la
cosa,
ma la fa, ma la scorge nella
sua generazione; e quindi lucidando
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GAP.
XI.] M0DEB170
OONGETTO DELLA CBEAZIONE. 461
Se
dunque il mondo è Conversione del
Fatto nel
Vero,
e quindi creazione intima, attività
essenziale, per
ciò
stesso è Provvidenza. E poiché i
Sommi Generi delle
cose,
come vedremo, son tre, ne viene che
la provvi-
denza ha
da esser naturale e tìsica, organica
e fisio-
logica,
umana e storica. Con la dottrina del
Vico si
toglie
a Dio la provvidenza ; e così,
mentre si assicura
all'
uomo la libertà, gli si lascia
intera, assoluta la re-
sponsabilità
delle proprie azioni. Teologisti, Hegeliani
e
Positivisti
riconoscon nell' uomo la responsabilità ;
ma
nel
fatto la disconoscono. Il teologista la
disconosce, la
nega
per doppio modo: la nega col concetto
della grazia;
la
nega col concetto della colpa originaria
che trasmet-
tesi
di padre in figlio. L' Hegeliano poi,
tuttoché presenti
cotesto
problema adomo delle solite lustre
squisitamente
razionali,
in sostanza disconosce, nega, distrugge la
li-
bertà,
stantechè per lui tutto sia necessità
dialettica,
logica,
formale. Il positivista, finalmente, com'era
d'aspet-
tarsi, r
annulla in maniera grossolana e con
assai poca
grazia,
in quanto che vi sostituisce la
necessità biologica
e
meccanica. Nella Scienza Nuova la libertà
è razionale
e
naturale. La sua frase consacrata, che
vai tutto un
in
questa, per così dire, un disegno già
fatto, accade ch^ ella deMa es-
sere
essenzialmente esemplare. Per T Aristotelismo,
invece, cotesto dise-
gno non
TÌen fatto in quanto è guardato^ ma
lo si guarda facendolo.
Ecco
la grande idea d* Aristotele. La
natura per lui è un principio essen-
zialmente
dinamico. È un principio avente in sé
la propria determina-
zione, e
quindi racchiudo in sé germinalmente tutte
le forme successive.
e
perciò la natura è principalmente forma,
{Metaf.f trad. Bonghi, e IV,
pag.
2:35.) Sennonché tale concetto dell*
Aristotelismo vien guasto dalla
esagerazione
ond'è concepita la causa finale; in
quanto che To^osHc^,
come
osservammo di sopra, è infuso^ è
determinato dal fine, non già deter-
minantesi
di per sé stesso. Ora la correzione
della eansa efjiciente e della
causa finale
y tanto nel Platonismo quanto neir
Aristotelismo, sta nella
doppia
formola del Vico. Laonde per chi
accetta questa doppia formola,
sono
un controsenso tanto il concetto d*
un Dio solitario assolutamente
Imprevidente
e improwidente, quanto quello d'un Dio
padre, generatore
e
artefice del mondo che sia veggente,
previdente e provvidente in modo
assoluto. V
indirizzo mediof e perciò l'indirizzo
davvero positivo della
speculazione
sul problema otisologico, sta proprio qui.
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.462
DILLA BOmtlHA FILOBOFIOA. [lIB. n.
sistema,
è questa: rèbus ipsis didantS>us.*^ Non
v'è dun-
que destino
: il destino è la natura e la
ragione ; e ap-
punto perchè
il destino è natura, perciò è lungi
d'esser
cieca
necessità.- Tutto quindi è provvidenza
nella mente
del
Vico, perchè tutto è creazione, attività
intima, pro-
fonda,
spontanea si nel mondo fisico, e rì
nel morale;
né
senza ragione volle metterla in cima
alle sue discor
verter
La provvidenza agli occhi suoi apre e
chiude
il
circolo della scienza, non meno che
il processo della
Storia.
Ella perciò è innanzi tutto naturale
e divina,
appresso
eroica , da ultimo umana. La provvidenza
umana
è la stessa ragione, la quale non
può non essere
libertà:
essa dunque importa pienezza di responsabi-
lità. La
provvidenza è il primo de' tre grandi
princi-
pii, 0
sensi comuni ddV umanità: ed è altresì
l'ultimo
corollario
della mente del filosofo. La Provvidenza
dun-
que è
principio e fine della storia umana,
al modo
istesso
eh' è dedica e conclusione della
Scienza Nuova.*
* E
anche quest* altra : ab ipta rerum
humatuxrum natura. (De Oon$t,
Philel
e. XL)
* Il
coDCotto del Vico è concetto aristotelico;
e così infatti 1* Afro-
dìsio
interpretava la neceasìtà Jinea e naturale
d'Aristotele. (Ved. Noo-
BI8S0N,
De la UberU et du Haaard, E$8a%
sur Alexandre d'Aphrodina» ec.
Paris
1870, p. 43, 98.)
* Ved.
Tavola delle Diteoverte nella Prima Seien»a
Nuowu
*
Perciò chiama il soo libro una
teologia civile e ragionata déUa
Prowedema
divina (Sec. Se. Nao., lib. I) ;
e più d' ana volta si dà Tanto
d'aver
prodotto una nuova dimostrazione, una
dimostrazione di fatto
ittorieo
circa V esistenza di Dio. Che cor'
ò questa dimoetratione di fatto
ietoricot
t! la provvidenza in quanto è Fatto,
in quanto è creazione. &
il
Fatto che si converte con so stesso,
e mostra quel che è, quel che
contiene,
quel che debb' essere; e così, mostrando
sé stesso, mostra anche
Dio.
Perciò la provvidenza non ò Dio che
si mostra, Dio che interviene ;
ma ò
il mondo delle nazioni che attuandosi,
che creandosi e edébrando
così
la propria ìvatwra, si mostra sensatamente,
e si manifesta come ter-
mine di
conversione. Indi è che la provvidenza
per lui non può essere
un
argomento induttivo dimostrante l'esistenza di
Dio, appunto perchè
ella
nel mondo, anziché effetto, ò una
causa. Questa sua dimostra-
zione di
/atto ietorico, dunque, è una forma
dì eduzione, non già di sem-
plice
induzione : col che confermiamo anche
una volta la natura del
metodo
vichiano. Ora se questo è il
significato (significato davvero nuovo
e
originale) del concetto della Prowidenaa
n^U' A. della Scienza Nuova,
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OAP.
XI.] MODSBNO OOKOBTTO DELLA OBIAZIONB. 463
n
concetto ctisologìco inteso al modo che
noi lo in-
terpretiamo
nel nostro filosofo, si presenta come
il ri-
saltato del
mondo moderno. È la vita stessa della
scienza
moderna:
è il gran secreto della filosofia
positiva: ed
è
l'esigenza massima della Sdenea Nuova. Chi
non
Faccetta,
deve negare il presente, dee dare una
smentita
alla
storia; e sarà condannato a indietreggiare
sino al
medio
evo, per non dir già sino alla
Grecia. La formola
cosmologica
del nostro filosofo corregge e trascende,
anche
in
questo, il Neoplatonismo italiano moderno,
ponendo
non è
a merarigliare s*egli in ciò sia
stato franteso e interpretato assai
male,
come vedemmo, da certi saoi critici.
Notammo già come lo Jan-
nelli
fosse il primo ad osserrare, che
nella Seiefìxa Nuova tale concetto
può
intendersi in dne sensi ; e V
acato archeologo napoletano non s' in-
gannata.
Talora infatti sembra che la Provvidenza,
pel Vico, abbia a
consistere
solamente nelP azione di Dio. È la
Provvidenza, per dirne
un
esempio, che eccita Atejo Capitone e
Lahtone; il primo nella gdoèa e
tenace
cuttodia de^ vecchi diritti, e il
secondo nel propugnare interprc
tOMioni
tempre nuove affindii la romana
ffiurieprudenMa potetèc evtdgerai.
{De
Univ, Jur,, VII, CGXII). La provvidenza egli invoca
per iepiegare
la
rapida e univereale comporta del
Cristianesimo merco la civiltà ro-
mana; la
quale perciò altro scopo non avrebbe
avuto nel mondo, fuor-
ché quello
di schiuder la via ali* idea
cristiana. (Ibi, OCX VIII). Or tutto
ciò
contraddice ali* esigenza del suo metodo,
ed è in aperta opposizione
con la
sua dottrina metafisica. Lo stesso
religiosissimo Jannelli, il quale
del
resto non avea nò punto né poco
subodorato il valore della filosofia del
suo
maestro, non dubita affermare, che se
per prowidenxa neUa Scienza
Nuova
•»* vuole intendere eolo V axione di
Dio eugli uomini, Mora non pare
che n
faccia altro che una lemone di
teologia poco neeeeearia ai Cattolici,
ami ai
Crietiani e a tutti gli eneeri
ragionevoli. (Op. cit., p. 161.) Provvi-
denza
dunque, pel Vico, vuol dire natura.
Provvedere è fare, è creare, ò
attuare
; dunque è incessante e vivace
conversione del Fatto nel Vero. Per
lui
quindi è Prowidenxa T itetnto, laddove,
parlando dell* origine della pa-
rola 2ex,
dice che gli uccelli nidificano pretto
le fonti. {De Vniv. Jur., p. 142
nella
nota.) ^ provvidenza il pudore, onde
procede la frugalità, la tem-
peranza, la
giuttÌMia, e simili {De Contt. Juritpr.,
I[I).*È provvidenza la
storia
della poesia, e le false religioni.
(Ibi, XIII). & provvidenza la forma
monosillabica
delle lingue (XII). È provvidenza lo
teoppiar de* primi tu-
multi deUe
plebi nella terza età del Tempo
Oteuro (XXII). È per provvi-
denza {rebut
iptit dietantibut) che le religioni
cominciano a venire in dis-
pregio
(XXVIII). È prorvìdenn {rebut iptit
dietantibut), 1* origine dell* arte
della
guerra e della pace (XXX). fe
provvidenza che le Centi Minori
apprendano
dalle Centi Maggiori; ed è provvidenza
la templieità e na-
turalcMM
Oud*ò condotto U corto ddC umanità
(Sec Se. Nuo., p. 882).
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464
DILLA DOTTRINA FTL0S07I0A. [lIB. IL ,
a nudo
le magagne del concetto creativo del
Teologismo,
nonché dell'
Hegelianiamo e del Positivismo: che vuol
dire,
al solito, corregge i due estremi del
filosofare, iperpsi-
cologismo
ed empirismo. Di fatto che cos' è
per l' Hege-
liano la
creazione? È V identico in guanto si
differendo.
Dunque
non è vera creazione, svolgimento,
processo;
ma
ripetizione ritmica e, come dire,
inquadrata sovra
un
medesimo fondo che è la Idea. Pel
Positivista il
moto,
la vita e l' essere delle cose non
è che trasfor-
mazione di
forze, o di materia; trasformazione fisica,
meccanica,
biologica; determinismo affatto meccanico,
affatto
accidentale, affatto cieco. Dunque anche
per
lui la
creazione è ripetizione monotona d'un
identico
subietto.
Con la
formola cosmologica del nostro filosofo,
inol-
tre, si
giugne a conciliare le esigenze legittime
del Tei-
smo e
del Panteismo su la natura del mondo.
Nel Pan-
teismo vi
è un'affermazione giusta e ragionevole; ma
vi
è pure
una negazione iriragionevole, erronea ed
esiziale.
L'
affermazione risguarda lo svolgimento d' un
principio
interno
e divino nel mondo, e nella natura.
La nega-
zione poi
riguarda un'efficienza sovramondana, che come
intelletto
amore e potenza ponga il mondo e
la natura,
e sia
presente al mondo e alla natura. U
Teismo gros-
solano e
volgare contraddice al Panteismo col porre
l'ef-
ficienza
sovramondana ; ma non sa intendere
per nulla
il
divino della natura; non capisce il
divino anche nel
mondo.
L'affermazione del Panteismo è l'esigenza
del-
l'Oriente,
e, in parte, dell'Occidente; della scuole
jonica,
eleatica,
pitagorea, stoica, alessandrina ; poi delle
grandi
intelligenze
d'.Erigena, del Bruno, dello Spinoza; ed
è
anche l'
esigenza dell' Hegelianismo. L' affermazione poi
del
Teismo beninteso, è principalmente un
portato della
speculazione
occidentale, perchè è 1' esigenza profonda
della
metafisica platonica, e della metafisica
aristotelica.
Panteismo
e Teismo, dunque, oggi sono di
fronte; perchè
essendo
pervenuti entrambi al più alto grado
di specu-
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OAP.
XI.] MODVBNO
CONCETTO DRLLA CIUEAZIONK. 465
lazione,
ci porgono due forinole nette, chiare, spiccate:
V Essere,
il Non-Essere e il Divenire, da una
parte : D
Vero,
il Generato e il Fatto, dall' altra.
Or V afferma-
zione, r
esigenza ragionevole del Panteismo è
inclusa
nella
formula cosmologica del Vico, e, che
più importa,
vi è
anche corretta. L'affermazione e l'esigenza
ragio-
nevole del
Teismo, poi, trova correzione e inveramento
nella
formola metafisica dello stesso filosofo.
Quant' alla
parte
negativa, cotesti sistemi sono da
ripudiarsi en-
trambi. Se
il Teismo ignora il vero concetto di
natura
e però
disconosce il divino e perciò stesso
disconosce la
creazione
autonoma del mondo; il Panteismo, alla
sua
volta,
disconosce la vera natura di Dio, e
perciò disco-
nosce la
vera natura dell' uomo, e cosi viene
a distruggere
la
grandezza e l' eccellenza dell' umana
personalità.^
Se
intanto la creazione è un processo,
cioè dire il
Fatto
che si converte nel Vero, si può
domandare : in che
maniera s'
attua cotesto processo? In altre parole:
come
avviene
che la creazione diventa provvidenza?
Il
modo con che s' attua la creazione
potrà dircelo
solamente
1' esperienza: ce lo potran dire le
scienze di
natura,
e le discipline istoriche in generale.
Ma anche
nella
soluzione del problema cosmologica sbagliano,
tanto
quelli
che tutto vogliono indurre, quanto quegli
altri che
tutto
pretendono dedurre. Oggi non è permessa
una dot-
trina
cosmologica empirica; e tanto meno è
permessa
una
cosmologia che, fabbricata a priori, si
rimane cam-
pata a
mezz'aria. La filosofia cosmologica potrà
attinger
valore
positivo e razionale ad un sol patto;
che, cioè, il
pronunziato
generale ch'ella potrà fornire alle scienze
le
quali si travagliano intorno alla ricerca
delle leggi
da
Stuart Mill appellate empiriche, sia del
pari, o possa
essere,
il risultato complessivo e finale delle
scienze stes-
*
Giastissime qaiodi le parole d*aii valoroso
sorltlore moderno:
«
(Tttt ùonire le panthéitme que tou»
eeux qui retUM ^i>rit de la vrai
grandéur
de Vhomme doivent »e riunir et
eombattre, > (Tooqukvillk, De la
VemoeraHe
en Amerique, Paris, 1850, 18* ed., T.
Il, P. I, o. VIL)
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by VjOOQIC
466
DELLA DOTTBINA FILOSOFICA^ [UB. II.
se. La
metafisica positiva altro non sa darci,
salvo che
la
legge della conversione come principio
della essenzial
costituzione
del Fatto. Quant' al modo poi, ella
non sa,
ella
non può assegnar né regole ritmiche,
né tricotomie
a
priori di nessuna sorta. Che se anche
qui per avven-
tura è
possibile un accordo e una rispondenza
tra la
speculazione
del filosofo e V osservazione induttiva
e de-
duttiva
dello scienziato, in verità non si
cerca di me-
glio. In
cosiiFatto accordo si avrà la guarentigia
più
sicura
dell' ottimo indirizzo cosi dell' una
come dell' al-
tra sfera
di scibile.
Se il
Fatto à il diverso, non solo
considerato qual
termine
di conversione col Generato, ma anche
avvisato
in sé
stesso, avviene che, nel convertirsi con
sé mede-
simo, e'
debba manifestare varietà di momenti e
pas-
saggi e
transiti, e quindi intervalli e tjontinuità
nel-
r
esplicazione delle sue forze. Vuol essere
insomma, ri-
petiamolo,
un vero processo, che è dire
svolgimento,
conversione,
creazione, anziché una serie di semplici
trasformazioni
e d' increscevoli rimutamenti di forma.
Vuol
esser quindi un passaggio incessante ed
essenzial-
mente
dinamico dalla potenza all'atto, dall'omogeneo
all'eterogeneo,
per usare anche qui la frase dello
Spencer,
dall'indeterminato
al determinato, e però dal genere
alla
specie,
e dalla specie all' individuo, per
finire nell' indi-
viduo capace
d'essere o di rappresentare insieme nella
sua
virtù il genere e la specie. Tre
sono i Sommi Gre-
neri
del Processo cosmico; e altrettante le
fermate o,
per
così dire, i momenti dell'attività
creatrice. Tre
sono
dunque i processi speciali e differenti
attraverso a
cui il
Fatto si fa, e che potremo appellare
Fisico, Orgor
nicOf
e Storico-sociologico od umano; e tre
sono quindi gli
anelli
della gran catena; Forza, Vita e Pensiero.
Fra
questi
tre processi ci ha differenza e
medesimezza, e
però
intervalli e continuità: ma né questa
continuità è
di
natura materiale, né quell' intervallo é
un semphce
passaggio
alla maniera che lo intendevano e lo
inten-
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OAP.
XI.] MODBBNO
CONOBTTO DELLA OBEAZIONI. 467
dono,
come notammo, gli aristotelici empirici, ed
i mo-
derni
materialisti (p. 359). Fra il processo
Fisico e il
processo
Organico, per esempio, ci è continuità
ideale,
e
quindi intervallo reale ; stantechè non
sia la Forza
che
diventi Vita, né la Vita che diventi
Pensiero, ma
è la
forza che passa ad esser vita, e
la vita pensiero. E
nel
pensiero compenetrandosi non già sovrapponendosi
od
assomandosi le prime, abbiamo nel medesimo
tempo
r
attuazione della forza, e della vita.
Il passaggio quindi,
come
accennammo, non è semplice trasformazione,
ma
è
transito, è passaggio nello stretto senso
della parola
(iyipyetò:
aTi>>i;), eduzione (eductio entìs ad
actum)y e
perciò
creazione. Se intanto nel passaggio vi
ha inter-
vallo,
cotesto intervallo non è egli davvero
un salto che
fa la natura?
L'intervallo superato dalla stessa natura
è
precisamente la conversione del Fatto nel
Vero; è
r
energia creativa; è il vero passaggio
dal nulla all' es-
sere, dalla
potenza all' atto: ed ecco il
significato della
creazione
ex nihUo. Dunque l' intervallo per noi
non è
(come
altrove toccammo) quel che per gli
antichi era i)
diastema
e il cenon; negazione, vuoto, nuUa. È
anzi
pienezza
d'essere, attuosità vivace, conato (to
Juvarov),
perocché
ci rappresenta il momento in cui la
continuità
ideale
tende a diventar reale. Ai due capi
della catena
poi
vedemmo esserci due intervalli ;
psicologico l' uno,
e
metafisico l' altro. U primo dicemmo
potersi superare
mercé
la dialettica ascensiva, poiché qui il
Fatto, già
convertitosi
con sé medesimo e perciò divenuto
forza
vita e
pensiero, si converte quinci col Vero,
eh' é dire
col
Primum Verum metaphysicum : mentre il
secondo
é
superato dall'essere stesso con la
dialettica discensiva,
secondochè
ci addimostrano la formola metafisica e
la
formola
cosmologica del Vico.
Queste
sono le due leggi universali, o
meglio, le due
condizioni
dell'attività creatrice di natura. In virtù
di
esse é
possibile una scienza cosmologica razionalmente
positiva,
poiché in esse sta il nodo di
que' dibattati
dby
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b
468
DELLA DOTTRINA FTLOSOFIOA. [LIB. H.
e YÌtali
problemi su la generazione, su la
genesi spon-
tanea, su
l'origine delle specie. Né il Platonismo,
né
r
Aristotelismo, né alcuna dottrina che
risalga a queste
due
sorgenti, ci potranno dar mai questa
doppia legge.
Nell'uno
fa difetto il concetto del processo;
nell'altro
questo
processo, ripetiamolo, è passaggio empirico>
mec-
canico,
generativo, ovvero logico e formale.'
Ammessa
quindi la legge dell' intervallo nell'
atti-
vità
creativa di natura, verremo capaci di
correggere
il
vieto concetto cosmogonico del teologismo e
dell'em-
pirismo. Il
vecchio naturalista contro il teologista
pro-
nunzia, che
natura non fadt saltum. A salvare il
Deus
machina
il teologo risponde, che natura fadt
sattum;
e
questi salti per lui sono altrettanti
atti immediati
del
Demiurgo. Ora la verità non istà
dall' una, né
dall'
altra parte. Naturalisti, sperimentalisti,
determi-
nisti,
positivisti hanno ragione a non credere
ai salti;
ma non
ha torto il teologo se dice che
la natura pro-
cede per
creazioni ed atti creativi diversi. Il
positivo
qui
dove sta? Neil' accettar l' una e l'
altra afferma-
zione, e
correggerle entrambe. La natura, certo, non
fa
salti; non v' essendo ragione perché
ella non pro-
ceda
continua nella ricchezza e fecondità delle
sue pro-
duzioni Ma
eccoci al punto 1 Questa continuità
(conti-
nuità materiale,
fisica, sensata) ha luogo entro la
sfera
* Ma
anche in questa dottrina Aristotele
potrebb* essere difeso,
chi lo
interpretasse benignamente. Se pel Platonismo
11 divenire e il
generarsi,
ha luogo per 1* essenza, per l' idea
che attua la cosa e la scorge
e la
determina; per Aristotele, al contrarlo, 1*
indeterminato procede al
tUterminato
qucdUativo per sua propria energia. Fra
i molti passi che
potrei
addurre mi contento di questo che si
legge nel Lib. VII della
Metaph.:
Uòrtpov ouv iv^i tic (Ttfatpa uxpot.
raqSi Xf oixiu vK^pct
TOtc
oXcvdouC} i 01» J* av aoTf iytyvexoy
ti ovtwc tJv, róSt ri;
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tÒ Toióv^c vrifjLaivtiy róSt Sé xai
(upurixivov oux tf(r7(v,
àWà
trotcì xac' 7evvà ex totJ^s rotov^s •
xat orav 7«vv>30i7, Ìt^i
ro$t
rotòvBt. È nna prova di più, come
si vede, della possibilità di
rintracciare
e dimostrare nell'Aristotelismo, anche in
siflbtta ricerca,
r
indirizzo medio della speculazione filosofica
contro gì* interpreti empirici
e
contro gì* iperpsicologisti che il
generarsi delle cose in Aristotele trag-
gono
in due e contrarie sentenze opposite.
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OAP.
XTT.] PRO0S8SO
OOSBIIOO. 469
d'una
specie, d'un genere, d'un ordine, anziché
nel
passaggio
dall'uno all'altro. Se così non fosse,
la na-
tura non
sarebbe guari natura, non sarebbe
creazione,
sibbene ripetizione
sazievolmente monotona d' individui.
E non
meno ragione ha il teologo o il
neoplatonico che
sia,
nel pretender che la natura proceda a
salti; ma
non ha
niente ragione a predicarci essere il
Demiurgo,
proprio
lui, quegli che la fa saltare. È
ella stessa, è la
stessa
potente e feconda natura che si
muove. E si
muove
per qualcosa che non sopraggiugne dal
di fuora,
anzi
sgorga dal di dentro.
Cosi,
e solamente così, è possibile l' autogenesi
del
mondo.
Chi non sia disposto ad accettarla,
romperà
senza
rimedio contro Scilla, o Cariddi; che
vuol dire
contro
uno de' due soliti estremi.
Come
intanto s'inaugura, come si svolge e
come si
assolve
egli il Processo cosmico?
Capitolo
Decimosecondo.
delu
attività creativa
ne'
diversi momenti del processo cosmico.
Abbiamo
detto che se 1' attività creatrice di
natura
è una
Conversione del FaUo nel Vero, ella
non può
esplicarsi
altrimenti che per gradi, per momenti
diversi,
e
quindi per intervalli e per continuità
ideale. Il Pro-
cesso
cosmico, dunque, è universale. Ed è
universale prin-
cipalmente
perchè, secondo la frase del Bruno,
racchiude
in sé,
quasi circolo più ampio altri piccoli
circoH, il tri-
plice
processo Fisico, Organico e Sociologico.
Così la
legge
che governa il tutto come le parti
è sempre la
stessa:
è la gran legge del trasformarsi e
del rinte-
grarsi
perpetuo, progressivo, incessante delle forze
uni-
versali e
comuni di natura. Perciò è il numero
che
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470
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
sempre
più volge ad unità; è T
indeterminato, T omo-
geneo,
l'indefinito (tò uopiiTòv) che procede al
deter-
minato, all'
eterogeneo, al perfetto (tò TsXitov).* Se
tale
dunque
è la natura di quest' universal
movimento che
dispiegasi
nel tempo, in che maniera potrebb'
esser un
incessante
cangiar di forme e di fenomeni? Se
cosi
fosse,
quest' universo sarebb' egli un cosmos^
o non più
veramente
un increscevole ed eterna monotonia d'ap-
parenze
fenomenali, ovvero un caos? La legge
del Pro-
cesso
cosmico dunque è legge di creazione;
è legge di
coixyersione,
anziché di semplice trasformazione. Gol
Processo
fisico si genera la forza ; e
la forza è subbietto
omogeneo,
sintesi confusa, numero e unità generale,
uni-
totalità
vaga e indeterminata. Cotesto Processo
fisico
si
sdoppia nel Processo organico nel quale
si genera la
vita;
e la vita è numero, eterogeneità
essenziale, essen-
zial
dualità (vegetale e zoologica). Nel
Processo istorico-
sociologico,
finalmente, si genera lo spirito, il
pensiero;
ed è
un ritomo all' unità, ma come
triplicità. La forza
quindi
si converte nella vita, come la vita
si converte nel
pensiero.
Unità, dualità, dualunità: Forza, Vita e
Pen-
siero. Ecco
il Processo cosmico, ed è sempre il
Fatto che
si
converte nel Vero, perocché è sempre
il conato, il me-
desimo, che
si fa diverso per intervallo. Come
intanto
* È
il vecchio principio per cui si
distingue V indirizzo medio ari-
stotelico
nella dottrina su le forze fisiche,
organiche e organizzate:
*H $i
fxJffi^ ffivyet tÒ aTrci^ov * to fiiv
yoip anstpov otTtlsq, -^
Si «vece
«s( K^Ttt TsXoc (I>e (7en. an.,
I). E più chiaramente ancora:
'Aft
yàp €v Tw efslivii vppxst xo upOTspov
{De An., II, ii). La
scienza
moderna non ha fatto e non fa
che confermare questo principio
aristotelico;
ed è quel medesimo pronunziato che lo
Spencer considera sic-
come chiave
del processo cosmico. Ma avvertimmo già
1* aspetta man-
chevole
delle dottrine del r illustre scrittore
inglese; che, cioè, se il Pro-
cesso
cosmico è davvero una creazione, è
forza che nella sua natura
altro
non possa essere che uua teleologia,
un processo essenzialmente
teleologico,
a partire dall'etere, dalla materia
nebulare indeterminata,
e
scendere giù giù fino all'atto estremo,
alla forza che diciamo pen-
siero.
Questo dato vitalissimo manca allo Spencer
nonché ai Positivisti
e,
come vedremo, a' naturalisti Darwiniani. E
pure, chi ben rifletta, è
un
concetto essenzialmente poeitioo^ perchè è
un fatto.
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GAP.
Xn.J PB0CBS80 OOSMIOO. 471
rivelasi
la prima conversione del Fatto? In
altre pa-
role :
in qual modo s' inaugura l' attuosità
creativa del-
l'universo?
La natura comincia con Tesser conato.*
Ella
dunque
comincia come sintesi iniziale e confusa:
ella
s' inaugura
come materia metafisica.*
' <
Natiwa eonando oapit exUtert, > (YiCO,
De Antiqui^., III).
* La
nuiteria tnetaJUica alla qaale più voite
accenna confasimente
il
Vico e che il Rosmini, come toccammo,
non interpreta convenevol-
mente, ò
neir ordine cosmico e naturale ciò
che nell' ordine psicologico
ò la
luce tnetaJUica. Nel passaggio, nell*
intervallo^ in generale, ha luogo
nn
novello conato, eh' è il momento creativo,
il parto {a/orno impedito)
della
natura; e quindi racchiude qualcosa d'
intimo, d* universale, di
metafisico,
d'iperfisico, di scprassensibile. Ecco perchè
talora nel Vico
non v'
ha divario nelle parole conato, momentOf
t/orto impedito, luce meta/i»
nea^mcUeria
metaJÌ9Ìca,virtue^vi», dvvxfJLi^y «vT«).ffXJeav, e
simili. Però
è
facile incontrarvi qualche sentenza di questo
tenore : Lux metaphyeica
§eu
eduetio virtutum in actue conatu gignitur.
(Op. cit., C IV). Perciò se
si
vuole interpretare a dovere la sua
mente, il valore della parola co-
nato, nella
quale pone radice la novità della
cosmologia Vichiana e Leib-
niziana,
è questo : che il conato per
lui sia il principio concreto, reale,
vivente
della natura: che sia perciò relazione
la qual comprenda e annodi
in
organismo vivente i tre processi, e
per cui risulti come la molla secreta
deir
intero Proceeeo eoemólogico, È la relazione
concreta, e reale del Fatto
col
Vero; cioè del Fatto che, in quanto
divereo in sé, diventa Vero. In
una
parola, è la eoetanxa della natura,
come fra poco vedremo, e perciò è
Vdpx^
xivKj Tcwc d'Aristotele (AfetopA , 1, 1, 8)
ma corretto profondamen-
te, e
però trasfigurato e legittimato, stantechè
non sia altrimenti un prin-
cipio di
movimento ipercosmìco, ma nn principio
essenzialmente eoemico,
essenzialmente
naturale ; e perciò è lo stesso
movimento che, in quant' è
motOf
si rivela come autogenito. Il Gioberti
che aveva un senso isterico
divinativo
tutto suo nel saper cogliere in certe
sentenze l'aspetto origi-
nale d*
una dottrina, non dubitò scrivere che
la teorica de' punti e del i
eoncUo
del Vico ì il perno del tuo
eietema; aggiungendo che per questa
parte
egli è arietotelico e platonico ad un
tempo. {Protol., v. I, p. 259). Che
la
dottrina del conato sia il perno
della sua cosmologia, nessun dubbio;
ma la
cosmologia non è la sua metafisica. È
dunque il perno, è la molla
della
sua formola eoemoloffica, non già della
sua formola metaJUica: il
perno
di questa seconda è ben altro, come
s'è visto ne' tre ultimi ca-
pitoli. Che
poi in questo egli sia aristotelico e
platonico insieme, è
vero;
ma è tale in quanto corregge,
trasforma e compie i due vecchi
filosofi,
e perciò in quanto li accorda. Nel
Platonismo il concetto del
conato,
al modo che è inteso dal Vico,
non ci è, e non ci può essere,
come
si può ricavare da tutti que' luoghi
ne' quali siamo venuti accen-
nando
rapidamente a quel sistema. Può esserci,
e vi è di fatto in Ari-
stotele, ma
confuso e indeterminato cosi che non
si lascia riconoscere
facilmente.
Al qual proposito mi sia qui lecita
nn* osservazione isterica.
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472
DILLA DOTTRINA FILOSOITOA. [lTB. n.
Ma se
la natura comincia con V esser
conato, appunto
perchè
conato ella dev' esser riguardata sotto
doppio
QualcQDo
potrebbe confondere questo conato del
filosofo napoletano
con la
monade leibniziana, o, pegfifio, con 1*
?pe$(? aristotelica. Lascia-
mo della
prima perchò ne dicemmo qualcosa in
altro luog^o. Qnant'al
secondo
osserro che tra Voptl^ii dello Stagirita
e il conato àe\ nostro
filosofo,
ci è profondo divario. Accennammo già
qualcosa riguardo al-
r aspetto
esagerato della «aiMo y!iMi2« d'Aristotele.
L'ó^e^cc certamente
è
designato da lui qual moto 9pontaneo;
e basti per tutti questo passo:
Kcvftrac
yoLp to' xivouufvov t? òpiysrat^ xat
17 xévTio'c; rtc
opsl^ti
^ t»spytia. {De Xn,^ III)! Ma ò
poi veramente tale, voglio
dire
essenzialmente spontaneo cotest* opegi^
d'Aristotele? Non sa-
rebbe più
tosto un residuo del maestro passato
nella mente dello sco-
lare ?
Aristotele, avvertimmo, rompe la terie
predara in due modi ; con
1'
intdllgibUe venuto di /uorOf BvpstOiv, e
con la canea Jinale, cioè, col
dender€tb%le
[70 òptxTÒv xat to' voutÓv). Luce per
ribtelligenza, dun-
que, e
calore per la volontà vengon d'altronde;
e però chi determina tanto
. il
peneiero, quanto la tendenna, è il
pensiero divino. {Eih, Eud.^ VII, U).
Ora
dunque 1* opeHc'c per Aristotele non
può esser davvero spontaneo,
se no
si contraddice. E tant*è vero che la
natura per lui non ò pro-
priamente
attiva per so, che non mancò, fk'a'
vecchi aristotelici, chi pi-
gliasse a
dimostrare come in Aristotele, in forza
del suo medesimo si-
stema, debba
aver luogo la eau«a efficiente. Se
Dio infatti ò canea finale^
per
ciò stesso ha da essere anche canea
efficiente ; tanto pareva ad Am-
monio (il
primo a dare tale interpretazione) che
Aristotele dovesse met-
tersi in
accordo con Platone. (Yed.
Rayaisson, Op. cit., T. II, p. 539).
Dunque
V ops^i^ noir Aristotelismo ò ?^e^cc
non per essenza propria,
ma in
grazia d* un determinante estrinseco, d*
un* infiuenza eeteriore ; la
quale
influenza non essendo stata chiarita
nettamente nella sua natura
dal
filosofo di Stagira, ha fatto e fa
si che molti i quali si studiano
d*
interpretarlo benignamente, credano d'aver buono
in mano per assumerne
le
difese, e fino a certo punto riescono
ad aver ragione. Sennonché il vero
concetto
dell'o^sHcc, che in parte risponda al
conato del Vico e rap-
presenti
perciò r indirixMo medio in siffatta
quistione, sarebbe da riporre
piuttosto
nella nozione di svipyna aTf>>i:, la
quale è appunto attiva
per
sé, ò attiva per virtù propria,
essendo ciò che esiste in potenza, ma
in
quanto s'avvia all'atto; e s'avvia per
sé medesima, non per un al-
tro; s'avvia
e procede per propria essenza: 'O^óc
ttQ ouTiav {Me-
taph,f
lY.) In altre parole è ciò che,
imperfetto, non ha il fine in so
stesso,
e quindi lo cerca. E lo corca
non perchè ne sia attratto (plato-
nismo 0
aristotelismo platonico), ma k1 perchè ne
ha bisogno. E se lo
cerca
e ne abbisogna, vuol dire che questo
fine non potrà essere un'il-
lusione
addirittura. Perciò Aristotele determina il
concetto del moto
cosi:
Twv apy.^£Mv eiv «tt/ taipoc^^ ov^sjMca
tjXoc, àWà t«v
tapi
To TsXo;. {Metapk., IX). — Ci slam voluti
intrattenere un mo-
mento su
questo particolare non solo per chiarire
il concetto del Vico
sul
conato^ ma anche por mostrare 1*
attinenza ch'esso ha col concetto del
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GAP.
Xn.] PB0aS880
OOSMIOO. 473
rispetto.
Anche del Primo cosmologico possiamo dire
qael
che
dicemmo del Primo psicologico: egli è
una testa di
Giano;
ha due facce. Il conato adunque è
due cose, non
una: è
punto e momento^ (cf«7ft*i^ ^^v) materia
e moto,
estensione
e forza: ma e punto e momento
di natura
metafisica^
che vuol dir di natura potenziale,
virtuale,
soprassensibile,
semplice, indivisa, universale. In altre
parole,
il conato e attuosità concreta e
reale; ma non
è, a
dir proprio, né moto, né estensione,
bensì virtii di
moversi,
e d'estendersi: e come virtù, come
potenziaUtà,
esso
in generale é un soggetto identico:
Punctum et
MoYnentum
unum sunt, e quindi é nel medesimo
tempo
numero
e unità, dualità e unità, polarità
originaria, e
perciò
é unitotalità originaria, concreta, universale.
Ora
il
conato in quanto é punto, materia,
cioè in quant' é
soggetto
potenziale, recettivo, indeterminato, omogeneo,
indefinito
e indefinibile, é il ro Ssrspov; è
la ^wa/xcc come
pura
capacità; in somma é il Fatto
semplicemente detto ;
il
Fatto in quanto è termine di
conversione dialettica coi
Grenerato.
Al contrario, in quanto é momento,
ciò é
dire
materia e moto, estensione e forza,
to' Strtpov e
to'
notilo e però to ^warov, é il
Fatto in quanto è ter-
mine di
conversione cosmologica; è il Fatto in
quanto é
conversione
di sé con sé stesso; e quindi é
sostanza
semplice,
sostanza universale, sostanza indivisibile in
sé, ma
divisa nelle cose che sostiene. Brevemente:
il
conato,
guardato come puro Fatto, cioè come
termine
posto,
é potenza in potenza, come direbbe
Aristotele
(^uvfltfii;
^uvot^n); guardato invece come termine che
si
pone,
come soggetto che si fa, egli, per
dirla con le
significantissime
parole del Vico, é for/pa che si
fa dentro
moto
aristotelico, il quale, inteso a doTere,
nono tale quale d* ordinario
Tiene
interpretato dagli hegeliani. £ ci siamo
trattenuti anche perchè
quest'ultimi
non abbiano a pigliare il concetto
del conato per Vopt^i^
giacché
nel conato del nostro filosofo non ci
è necessità dialettiche, nò
relaiioui
di finalità come neiriperpsicologismo
aristotelico fecchio e
nuOTo.
Il conato del Vico non è propriamente
VEatcre, nettampoco il
NoH-ctnrc;
dunque non sarà nemmanco U Divenire:
ecco tetto.
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474
DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. U,
di sè
medesima: perchè? precisamente perchè SFOR-
ZARSI È
UN CONVERTIRSI IN SÈ STESSO; 0 perciò
è
sostanza che si sforsa a mandar fuori
le cose. *
* Che
il ùonato nel concetto vlchiano sìa
la sostanza delle cose e
costituisca
perciò il nerbo della sna formola
cosmologica, si pnò rìca-
Yare
agevolmente da queste sentenze. Che cos*è
la sostanza? Sattanza,
in
genertf d ciò eke »ta 9otto e
90$tiene la eoaa; indivitibile in «^
divisa
nelle
cote eh* ella fottiene, e $oUo le
dìvite cote, quantunqtu disuguali, vi
§ta
egualmente, (Risp. al Giom. de* Lett,,
p. 179). Questa deflnizione non
ha che
vedere con la definizione Spinoziana :
id quod existit a te et per
«e.
Sono entrambe definizioni nominali, e però
vere o falso flnchò non
se ne
faccia applicazione. Dal modo con che
applicolla Spinoza, venne
fuora
il suo panteismo acosmico geometrizzato,
con quella lunga sequela
d*
assurdi che ognuna conosce. Il Vico
1* applica al Fatto in quanto si
fa
Vero, non già al Vero che si
converte col Generato; e perciò riesce
a
schivare ogni maniera di panteismo. Infatti
egli dice: Quello che i
moto
ne* corpi particolari, neiVunivereo moto
non è; perchè V universo non
ha con
ehi altro possa mutar vicinanze,,... Dunque
è una forza OHB fa
DRNTBO
DI sà MBDESiifo : questo in s^
stesso sforzarsi, ì uno in sa strsso
convertirsi.
Ciò non pud eseere del corpo, perchè
ciascuna parte del corpo
avrebbe
a rivoltarsi contro di sè medesima.
Onde questo sarebbe tanto, quanto
le
parti dd corpo si replicassero. Dunque,
dico io, U CONATO non è dd
OORPO,
ma deU* UNI Visse del corpo (Ibi).
Tutto ciò è chiarito e confer-
mato da
quest' altra sentenza ; Virtus est
extensi, e perciò prior extenso est,
soUicet
inextensa. {De Antiq., IV). E spiegando altrove il
valore di quest* ul-
timo
concetto, dice: Io mi servo eie* vocaboli
di virth e di potetaa appunto
come
se ne servono i meeeaniei, appo i
quali sono voci oelebratissime : con
questo
perciò di vario; cA' essi (parla de*
Cartesiani seguaci detta dottrina
meccanica)
V attaccano ai corpi particolari, ed
io dico esser dote propria e
sola
dell* universo. (Risp. al Oiom. de*
LeU.), E tornando al suo concetto
gradito
del conato, dice plh aperto : Nel
mondo vero e reale vi ha un
che
invisibile che produce tutte le cose.
(Ibi, p. 165). Ancora: Uno è lo
sforzo
delC universo, prrob2 dell* univrrbo :
ed è l* indivisibile centro cui
non è
lecito trovare neU* universo (esteso), e
cAe dentro le linee deUa sua
direzione
tutti i disuguali pesi sostenendo con
egual forza, tutte le partieo'
lari
cose sostiene insiememente ed aggira.
Questa è la sostanza che si SFORZA
mandar
fuori le cose. (Ibi, 151).
È
impossibile commentare queste sentenze. Ci
vorrebbe un capitolo
per
parola ; e alla fin fine poi
non riesciremmo che ad una freddura,
ad
una
ripetizione fiacca e sbiadita. Bisogna
dunque farle soggetto di medi-
tazione severa,
tramutarsele in sangue, e col loro
sussidio interrogare!
fenomeni
e le leggi del mondo sensibile. Posti
intanto questi principi!
cosmologici,
ecco alcune norme metodiche per la
filosofia della natura e
delle
scienze naturali : In fisica si
trattano le cose per termini di eorpo
t
di
moto; in m^afisioa trcUtar si debbono
per qudli di sostanza e di co-
nato, E
come U moto non è altro realmente
che eorpo, cosi il conato altro
realmsnU
non sia che sostanza, (Ibi,
178). L* altro domma metodico ri-
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OAP.
Xn.J PROCESSO COSMICO. 475
Se
questo è il cardine della cosmologia
del nostro filo-
sofo, le
conseguenze e le applicazioni che se
ne traggono
riescono
supremamente feconde, positive, originali in
tutte
quante le sfere delle scienze di
natura, dalP astro-
nomia alla
fisiologia, dalla meccanica celeste alla
zoologia
e alla
zoopsicologia. Noi non possiamo intrattenerci
in
queste
applicazioni, e ce ne duole. Ci
ristringeremo ad ac-
cennarne
qualcuna, e rilevarne V aspetto originale;
e in-
nanzi tutto
quella risguardante la dottrina del
Cronotopo.
Se la
sostanza cosmica è una, indivisibile e
divisa
nelle
cose a cui sta sotto egualmente per
diseguali che
queste
siano, i modi essenziali e primigenii
in che ella
si
determina, sono lo spazio e il tempo
puri : punto e
momentOj
virtus extendendi e virtus movendi.
Sennonché
la
virtii d' estendersi, logicamente, va innanzi
alla virtù
del
moversi, al contrario di ciò che
pensa il Gioberti;
poiché,
al solito, se il Fatto come diverso
in sé vuol es-
sere un
processo autonomo, avviene che la prima
forma
di
conversione, la prima individuazione cosmica,
deb-
b'
essere il punto che divien momento; debb'
esser la
virtù
d'estendersi che si gemina, e assume
valore di
virtù
motrice. Perciò la sostanza in quant'
è virtus exten-
dendi,
inquant'é pura capacità, è V altro, è
il diverso,
è il
Fatto come posto, e però è lo
spazio infinito, la cui
prima
determinazione è ciò che domandasi etere
da' mo-
derni.* In
quanto poi è virtus movendi, cioè
atto, diverso
gniardante
lo stadio delle leggi fisiche ò
questo : L* unica ipoteti (cioè fin-
zione
speculativa) per la qwd dalla MetaJUica
ndla Fisica discenda giam-
mai ti
po99a, netto le matematiche; e che il
punto geometrico eia una SOMI-
OLIANZA
del metafieicOf dot della sostanza ;
e eh* ella aia coea che vera-
mente t,
ed i indivisibile; che ci dà e
sostiene distesi uguali con egual
/orza
: perche per le dimostnxzioni del
Galilei ed altre piene di meraviglittf
le
disuguaglianze quanto si vogliono grandi,
ritirandoci al lor principio in-
divisibile,
cioì ai puntiy tutte si perdono e
si confondono. (Ibi, 174), ti ap-
pena bisogno
d* avvertire che con la sua dottrina
cosmologica ei non fa
che
interpretare ed elevare ad altezza
metafisica positiva V esigenza del
metodo
Galileiano. Nelle lor relazioni ideali
Galileo e Vico si richiamano
a
vicenda. (Ved. il nostro Disc. DanU,
Galileo e Vico, Firenze, Celliul, 1865).
*
L'esistenza déìVetere od abaro (come con
ragione vuol chiamarlo
il
nostro valoroso e valente Colonnello
Pozzolinì) che per i fisici è una
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476
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. H.
in $èj
0 Fatto ohe si fa, la sostanza
è il cominciamento
originario,
autogenito della natura, e perciò indipen-
dente da
Dio. Ed è affatto indipendente da Dio
nel
suo
svolgimento, e però nelle sue leg{2p,
appunto per-
chè, come
fu mostrato, Dio pone il mondo non
già come
attuale,
anzi come potenziale. Perchè dunque il
punto
diventa
momento? Per necessità della propria
essenza:
vo'
dire perchè è diverso in se; perchè
è sformarsi che
è uno
in sé stesso convertirsi. Se adunque
come mate-
ria il
conato è confusione, impenetrabilità, pura
ca-
pacità; come
virtù di moversi, invece, è cominciamento
d' ordine,
inizio di cosmos finteli' atomo, nelP
esteso me-
tafisico il
quale, essendo medesimezza e differenza in
atto,
rappresenta perciò la prima dualità in
cui forza
e
materia formano un medesimo subbietto.*
ipoteti
della quale non possono in yenin modo
prescindere, nella fonnola
cosmologica
del Vico, invece, assume valore di
teti. Essi non sanno dir
che
cosa sia quest'eeere. Noi sanno oggi^
e noi potranno saper mai:
perchè?
Per la semplice ragione ch*ei trascende
la mente: e la tra-
scende in
quanto che riguarda un* attinenza della
sostanza come potta,
non
già della sostanza come causa, come
forza. Perciò riguardando il dato
della
creazione, ne Tiene che, por intendere
questo dato in qualche maniera,
bisognerà
filosofare; e per filosofare in modo
serio e positivo e razio-
nale bisogna
ricorrere alla formoUi cotmologica del
nostro filosofo. Non
V* è
scampo: o questa formola, oppure il concetto
inintelligibile, gros-
solano e
balordo d*una materia concepita qual
ricettacolo assoluto e
generativo
d* ogni cosa : eh' è propriamente
(chiedo perdono a tutti i
materialisti
e meccanicisti vecchi e nuovi) un
concetto da cretini!
*
Dunque il cronotopo non è, come
pretendono i Leibniziani, la succes-
sione e
coesistenza di punti e di momenti;
teorica al tutto empirica
la
quale non ispiega nulla di nulla,
perchè non addita la ragione
della
coesistenza. Non si può dir nemmeno
pertinenza deir Assoluto in
quanto
ì V Idea ad extr(h Videa come
potnbUità infinita (GiOBRBTi, ProtoU,
Sagg.
Ili); ì° perchè non s'intende che
cosa mai sia codest'Idea ad
extra;
2^ perchè s*ella è pottihilità infinita, come
tale appartiene al Fatto,
il
quale in quanto conato è precisamente
un' infinita po$9ÌbilitiL Non è
poi
relazione tra U finito e V infinito
(FoRNABi, DeW Arm. Univ.^ DiaL I)
perchè,
se così fosse, dovendo i termini
partecipare alla natura della
relazione,
ci avrebbe a essere spazio e tempo
anche nell' infinito! Final-
mente non
è la prima e immediata esistenza
detta Idea (Spaventa, Mem,
mi
Tempo e tulio Spazio, negli Atti
dell' Accad. di Nap.), perchè 1* Idea
è
incapace di rivestire spazialità e
temporalità per le ragioni altrove ac-
cennate.
Dunque che cos'è cotesto cronotopo? È
precisamente il conato;
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GAP.
Xn.] PBOOISSO COSMICO. 477
Abbiamo
detto che V atomo è l' esteso
metafisico.
Esso
dunque è la compenetrazione del punto,
e del mo-
mento :
è il punto divenuto momento ; è
la virtù d' esten-
dersi che s'
estende in quanto si move. Neil'
atomo per-
ciò, neir
esteso metafisico, trova pienissima applicazione
il
pronunziato del Vico: ptmctum et mofnentum
unum
sunt
In altre parole: che cos' è V
atomo? È V estrema
realtà
(non astrazione) cui possa poggiar la
mente.
Dunque
è la prima realtà onde move la
natura. Anche
in
seno all'atomo quindi si dee verificare
ciò che i fisici
oggi
riconoscono in molti fenomeni; il principio
della
polarità.
L'esteso metafisico è un'essenzial dualità;
è
forza
e materia in atto; è la determmazione
originaria,
autonoma
della doppia virtii estensiva e motrice.
Dun-
que è
la prima conversione del Fatto, in
quanto il
Fatto
è un subbietto diverso in sé. Perciò
è il primo
momento
della creazione propriamente detta: il mo-
mento
solenne in cui la forza, nascendo
nella materia
(non
dalla materia), si crea.'
ma il
conato in qnanto ò polarità essenziale,
essenzial dualità. È la
sostanza
stessa del mondo in quanto ha una
doppia faccia: estensione
e
forza; wirhu extendendif e virtù» movendi.
Ora se il conato è un su-
bietto
essenzialmente duplo^ essenzialmente polare, ì
moderni fisici non
possono,
non debbono menomamente ripudiarne il
concetto, che anzi
accettandolo,
giungerebbero a spiegare più d' una
loro ipotesi.
* Chi
dunque dice fona, dice ereazione: ecco
il rero dinamismo, il
dinamismo
positi?o. Perciò erra tanto il materialista
grossolano quando
afferma
ch/D la forza naaea dalla materia, o
ne sia una pura e semplice
determinazione
; qnanto il dinamista puro (Hibn,
Cotuiquence» phil. et
mHaph.
de la Thirmodinamique, Paris, 1868) che
pretende concepire la
fona
anteriore alla materia! La forza Don
nasce dalla materia, o per la
materia.
La forza si pone, e perciò si
crea nella materia. Il suo nascere
è
creare nel Tero senso della parola; è
uscire ex nihilo, E qual è il
nulla f
Il
nulla del filosofo cattolico, no: cotesto
nuUa ò impossibile, perchè ò
inconcepibile.
Dunque è la materia, ma la materia
considerata come puro
Fatto,
come pura capaciti, come possibilità.
Platone la diceya ricetta-
colo, e
diceva benissimo. Dov'errava? Errava gravemente
nel determinare
il
modo con che nel contenente sorga il
contenuto. È precisamente Ter-
rore del
materialista moderno. La forza, dice
questi, suppone la materia.
Certamente!
ma non ò pnra e semplice
trae/ormanane o modiJicoMione o
qualità
di materia. La materia in qnanto
diventa forza è conato : e perciò
(ripetiamolo)
ò intervallo già superato; ò atto
propriamente detto, e
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478
DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. |lIB. n.
Se
intanto l'atomo è an'essenzial dualità, in
esso è
l'esigenza
dell'altro atomo, delle molecole, del
corpo, del-
l'organismo
atomico. Ma ecco tosto nn dilemma: o
l'atomo
è
semplice, o è composto. È egli
semplice? Dunque
non
può dare il composto. È egli
composto? Dunque
richiede
il semplice. Dilemma seriissimo, davvero.
L'atomo
non è l'una cosa ne l'altra; o,
più ve-
ramente,, è
r una cosa e l' altra insieme. Se
l'atomo, è
conato,
momento in cui la materia e la
forza si com-
penetrano;
come dirlo semplice? come dirlo composto?
Pertanto
se l' atomo è conato, perciò racchiude l'
esi-
genza degli
altri atomi. Dunque? dunque l'atomo non
ha
figura
in quanto è un esteso metafisico, ma
ha figura in
quanto
si marita e si converte con altro
atomo: la figura
è un
risultato. Or se l' atomo è virtii d'
estensione che si
attudij
avviene che, come tale, e' debba essere
attrazione:
e
s'egli è virtii di moversi in atto,
avviene altre» che,
come
tale, e'debb'esser moto essenzialmente rotatorio}
Se
dunque 1' atomo in quanto conato è
insieme iden-
tico e
diverso, perciò è in sé, e fuori
di se; è per sé,
e
anche per V altro; abbisogna dell'
altro. Per questa
comune proprietà
gli atomi ci rendon quasi immagine
delle
idee platoniche, la cui vita sta
nell' essere essen-
qaindi
è atto naovo, atto creatÌTo. — Eccoci
al miracolo! sento grridarmi.
Precisamente
al miracolo : ma gli è nn
miracolo essensialmente naturale,
unlversaie,
necessario; e per consegnenza non ò
miracolo. Se dunoue VeaUto
metafinco
è la forza in quanto si genera
nella mcUeriiif ne viene cne VaUnno
ha da
essere tutt* altro che inerte. Anzi è
la materia, è V etere, è Y abaro,
è
quel
quid nebulare primitivo che, da unità
indeterminata, passa ad essere
anche
forza, profonda energìa in cui e per
cui sMnaugura il Prooeeeo
fieieo.
Se così non fosse, io domando, come
farebbe il chimico ad inten-
der le
leggi deir affinità? E se così non
fosse, la moderna dottrina del-
Tatonicità
non andrebbe in fumo?
'
Questo è il moro etemo e continuo
dell* Aristotelismo, cagione d'ogni
moto,
il quale perciò non può non ettere
un moto circolare nello epaxio
{Phye,,
Vili, ix), e come tale è moto
naturale d'un elemento eempliee du
non ha
contrari, {De Cod., I, li). Al Motore
motto bisogna sostituire il
Conato
; e il moto circolare non avente
contrari bisogna darlo all' essenza
stessa
deir atomo, dell* eeteeo metafieieo. Ecco
una delle correzioni vitali
della
cosmologia aristotelica richieste logicamente
daU' indirimco medio.
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GAP.
Xn.l PBOGESSO OOSMIOO. 479
zialmente
relative. L' atomo qaiadì, in quanto è
mede-
simezza, è
attrazione; in quanto è medesimezza e
di-
versità, è
rotazione e circolarità. Dunque può dare
ori-
gine al
moto per induzione e rivoluzione, che
à moto
secondario
e derivato. Or questa legge si
verifica in una
lunga
serie di fenomeni; luce, elettrico,
calorico, magne-
tico.' Si
verifica ne' grandi coi*pi dell' universo.
Perchè
non
dovrà verificarsi altresì, e principalmente,
in seno
alla
stessa vita intima degli atomi ?
Attrazione e rota-
zione,
dunque, riduconsi ad un sol fatto
primitivo, uni-
versale,
assoluto. Il conato è moto essenzialmente
ro-
tatorio ;
e quindi è la sorgente prima d' ogni
e qualun-
que forma
di moto. La legge di rotazione perciò
è legge
universale;
ed è la sostanza stessa cosi delle
grandi,
come
delle piccole masse: Questo in se
stesso sforearsiy
è uno
in se stesso convertirsi.*
Le
conseguenze di questa dottrina cosmologica
sono
evidenti,
originali, modernissime.
n
vuoto è un assurdo; perchè è un
assurdo il nulla.'
Esiste dunque
V universo infinito ; ed è tale
non come
mondi,
ben^i come conato, come sostanza universale
determìnantesi
ne' due attributi essenziali della spazia-
lità e
temporaneità pure. È un assurdo il
moto comu-
nicato,
perchè è un assurdo che la forza
si rompa, si
scinda,
si divida: senza dir già che, se
è vero che la forza
debb'essere
anche materia, la comuniccmone del moto
im-
porterebbe
la compenetrazione e insieme la inerzia
degli
atomi,
ciò che costituisce un doppio assurdo.
— È uYi
' Ved.
a questo proposito la bella Mem. del
Poxzolini {Indumone
delU
forte finche, Bologna, 18^8), il
Baudrimoni, Atomologie (1861) e le
tre
Memorie eu la atrtUtura cUi* Corpi.
(Bordeaux 1864.)
* Ved.
la Mem. su la Legge univeraale di
rotazione del nostro amico
prof.
Bàrbera, della quale accettiamo in gran
parte la dottrina perchè
ci
sembra un'applicazione rigorosa de*principii
cosmologici del Vico. Del
Bàrbera
merita esser letto il discorso stupendo
sul Newton e la Filoeofia
Naturale
(Napoli, 1870). La Memoria poco fa
citata del Pozzolini, come que-
sti due
scritti del Bàrbera, sono i primi
segui d' una riforma seria delle
scienze
astronomiche e della filosofia naturale in
Italia.
■
Abibt., PAy«., IV, Tiii.
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480
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. TL
assurdo
che il moto universale cominci e
finisca, poiché
è un
assurdo che il mondo, che è pur
egli necessario
come
termine di conversione dialettica^ abbia
principio
e
fine. È un assurdo un impulso
primitivo impresso da
Dio
alla materia, ciò che è V esigenza
illegittima del
fiacco
Peripatetismo, dell'Aristotelismo platoneggiante:
perciò
assurda e gratuitamente ipotetica la base
nella
quale
s'appoggia la teorica Newtoniana su T
origine del
moto.
— È un assurdo che la materia
diventata forza,
ciò è
dire V atomo, tomi ad esser pura
materia; perciò
assurdo
che la forza cessi d'esser quella che
è nella sua
essenza,
e che si sperda, che decresca, o
si menomi in
qual
si voglia modo. Sono dunque un
assurdo, sono in-
dovinelli da
algebrisH quei conti e racconti di
certi
facili
calcolatori matematici che, come il
teologista e il
millenario,
segnano già ne' secoli futuri la fine
e lo spe-
gnimento
della terra. Ne' loro problemi essi
dimenticano
che la
forza è creazione: e dimenticano troppo
facil-
mente, che
creare vuol non dire annullamento.
U
conato adunque, è il vero motore
immobile e mo-
bilissimo
dell'universo; è l'universo stesso in
quanto è
infinita
potenzialità; è V àpxrì xcv)i<rs6>c
intrinsecato, es-
senziato
con l'universo stesso.' Come tale
l'universo
procede
di numero in numero (secondo la frase
del
Bruno)
svolgendosi come mondi nelle successioni, e
perciò
è infinito nel tempo; e come tale
anche l'uni-
verso, come
il pensiero nel formarsi il concetto
dell'As-
soluto,
rende a Dio la pariglia.^ Cosi il
principio cosmo-
'
LìtìQUB, Le premier moteur et la
nature dame le tyetòme tTArietote
Paris
1852. V. a qoesto proposito con che
assennatezza crìtica il
Barthélemy
Saint-HUaire dÌMOm su la Cosmologia
aristotelica (PAyttgiM
trad,
en /rangaie et aceompagnie dCune paraphraee
et de note» perpetueUe»,
Paris
1862, Introd. V. L)
* Cosi
resta lesrittimato il concetto su V
Universo e su lo Spaaio del
filosofo
Nolano. Egli pone Io spazio come
infinito e però infinito anche
r
universo che è nello spazio [DeW
Infinito Univereo e Mondi, DinL I.)
L*
uniTerso certamente ò inAnito, ma,
ripetiamo, ò tale in quanto è eo-
naio ;
e così pure lo spazio. Perciò Mondo,
Univerto, Spazio ec., sono in-
finiti nella
successione, che tuoI dire nella lor
potenzialità.
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OAP.
XII.] PROCESSO
COSMICO. 481
logico,
o meglio, il Primo cosmologico del
Vico, in men-
tre che
corregge la vecchia cosmologia de'
Platonici e
degli
Aristotelici, condanna ad un tempo quella
de' neo-
aristotelici
empirici e degl' iperpsicologisti, legittimando
r
esigenza de' meccanici e de' dinamisti,
de' Cartesiani e
de'Leibniziani,
che vuol dire della materia e della
forza.*
I
moderni cosmologi avran fatto moltissimo
quando
avranno
ridotto ogni fenomeno ad un ultimo
fenomeno.*
Essi
così dimostreranno, o meglio, verificheranno
la
vecchia
divinazione aristotelica. Ma si dovrà arrestar
qui la
Cosmologia razionalmente positiva? No, certo.
U
suo
grande problema sta nel dimostrare (e
dimostrare
non
vai mostrare) come quest'ultimo e
irreducibile e
universal
fenomeno, sia precisamente la sostanza
stessa
delle
cose, la vita stessa degli esseri, la
vita dell'uni-
verso che
il Vico rassomiglia ad una fiumana
onde
sgorga
acqua sempre nuova e perenne: H(BC
est vita
rerum,
fluminis nempe istar quod idem videtur,
et sem-
per
alia atque alia aqua profluit}
Se il
Processo fisico s' inaugura col conato in
quanto
è un
esteso metafisico e risolvesi con
l'estrinsecazione
della
forza nel seno stesso della materia;
ne viene che
tal
debba essere altresì il corpo nella
sua sostanza;
* È
inutile mostrare come il concetto del
nostro filosofo sul Conato sia
una
correzione del conato leibniziano. Mostrammo
già raffiniti tra il Leib-
nltz e
il Vico. Con la dottrina del conato
questi filosofi ci rappresentano en-
trambi r
indirizzo medio dell* Aristotelismo negli
studi cosmologici.
(P.
183.) Ma il Nostro supera quel di
Lipsia, perchè il suo conato è essen-
zialmente un
e«(e«o reale, metafisico, non già
fenomenico, ed apparente.
Questo
concetto manca assolutamente nella Monadologia,
*
Gens, il LoYR {E§9ai 9ur Videntité
de» agentt qui produigent ec.,
Paris
1861.) Obovr {Correlation de» force»
phi/9Ìque§, trad. Moigno, 1856).
E.
Saiqry {E8»ai»nrVunité de» phenomène» nature!»,
Patìs 1867.) A. Sroohi
{Unità
ddle forze fiticke ec. Roma 1864), Dr
BoocHRPORif [Du principe
generale
de la PhU. naturale, Paris 1858). A.
Obuyrb {Principe de PhU,
Phyeiqtte
ec.)
"
De Antiqui»»., p. 109. Gom* è
evidente, è il concotto fisico dell*
indi-
rizzo medio
aristotelico: La vita universale della
natura non conosce riposo,
nò
morte: Kac toOto flèOxvarov xac an'auTrov
xinapytt roi^ ouTtv^
otov
^a)>j Ttc ouffa toì; fxivtt ^uvio-tùtc
notvtv. Phy»., Vili, i.
Siciliani.
8f
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482
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
forza
attuata; monodinafnia ; e però sorgente
perenne di
forze
fisiche, meccaniche, chimiche, dinamiche. L'atomo
è
sfornito di centro, perchè è centro
egli stesso. Il corpo
lo
possiede cotesto centro ; ma è di
natura ideale, e perciò
rende
immagine dell' universo stellare nel quale
il cen-
tro non
è in alcun luogo, e pure è
dappertutto, il moto
nel
corpo è monotono ; è un' etema
produzione di forza ;
e
questa forza non è, a dir proprio,
la vita. Però è un
conato
onde V analisi delle forze omogenee e
de' comuni
agenti
di natura tende ad elevarsi alla
sintesi; ed è (ri-
petiamo) lo
sforzo del numero che volge ad unità.
Or la
necessità
di questo conato non importa egli un
altro
intervallo?
Il centro dunque si manifesta nel
vegetabile,
e s'
inaugura il mondo degli organismi. Posto
il Processo
fisico,
la forza, nata già nella materia, qui
nasce in sé
stessa,
qui rinasce, qui si rinnova, e qui
è vita. Ma neanche
il
vegetabile, a dir giusto, possiede un
centro reale. Dun-
que il
vegetabile non è vita, bensì passaggio,
e quindi
strumento
di vita. 11 Processo fisico perciò
trae seco il
processo
geologico; e la genesi della forza
importa la
genesi
della terra. Il processo geogenico alla
sua volta
importa
il Processo organico (vegetale e animale)
e
quindi
il Processo paleontologico, entro cui si
vengono
accumulando
e sovrapponendosi cento e mille faune
e
flore.
Dalla roccia cristallina non istratificata
e non
fossilifera
alle più recenti produzioni geologiche; dal
jeriodo
antizoico al post-pliocene e all' attuale,
rivelasi
tutto
un processo di forza. È il Fatto
che si fa come
forza,
ma in quanto è altresì conato alla
vita.'
* DaU*
epoca eotoica nella qaale a* annunzia
la prima aara vitale, e
molto
più dair epoca paleozoica alla oenozoiea
e da questa ali* età poti-
Urxtarifi
(quaternaria), accade che col processo
fisico e g^logico si marita il
processo
paleontologico, e così ci si manifesta
la continuità della vita at-
traverso
le forme organiche passate o presenti.
Or se tutto ò processo
e
conversione e perciò successione costante
di fatti regrolati da lejrgi
necessarie
ed immutabili, ne viene che i
cataclismi, riferiti a cagioni
ipercosmiche,
contraddicono evidentemente alla ragion
filosofica positiva,
nò V*
ha interpretazione benigna ed ingegnosa
della critica teologica che
sappia
legittimare la cronologia mosaica ed
il racconto biblico. Ma a
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CAP.
XII.] PB0CX880 COSMICO. 483
Ma
come avviene egli il passaggio del
Processo fisico
air
organico, e quindi U passaggio della
forza alla vita?
Avviene
per legge di conversione ; la quale
perciò, sup-
ponendo r
intervallo, importa la differenza. S'invocano,
al
solito, anelli intermedi nel r^no
vegetabile. Ma forse
che il
vegetabile rappresenta il transito eflFettivo
tra il
minerale
e l' animale? SMnvocf no analogie esteriori
fra
certi
minerali e certe piante. Ma forse che
accanto alle
analogie
non sorgono diflFerenze profonde? * S'
invoca la
eterogenesi,
e se ne traggono disparate illazioni
secondo
il
sistema che si vuol propugnare, come
se la genera-
zione
spontanea possa soggiacere a dimostrazione.*
noi
non ci ò permesso intrattenerci intomo
a questa particolarità.
Solamente
ci preme d* aTfertire che il concetto
del procetio^ nella Geo-
logia e
nella Storia naturale, forma oggi V
onore del Lyell e del Darwin.
Ma se
la Sdenta Nuova ò la dimostrazione,
o, per lo meno, 1* esigenza
del
processo isterico, in essa è racchiusa
la verità della moderna geo-
logia e
zoologia. Quando il Vico dice che i fllosoA
prima di lui avefaii
ricercato
Dio, la scienza, il divino nel mondo
della natura e non per
ancho
in quello della storia, ei s' ingannava.
La vera scienza di natura,
in
generale, sta nel conoscere principalmente
due cose: i^ il doppio
processo
geogenico e organico (paleo-zoologico), in
modo affatto spe-
rimentale;
2* neir annodarli entrambi in guisa
razionale col processo
isterico.
Or la scienza di natura condotta a
questa maniera è posteriore
a lui,
essendo nata e cresciuta principalmente
sotto gli occhi de' due
dotti
inglesi poco fa mentovati, mentr' ei
non faceva che inaugurarla pre-
venendone i
grandi risultati. E questi insigni
risultati preveniva non
già
producendo scoperte geologiche, zoologiche e
paleontologiche, ma
incarnando
i^el processo de* fatti umani V
esigenza del metodo isterico,
e
gettando i germi d* una dottrina
cosmologica nella quale, come s* ò
visto,
è racchiusa la necessità del processo
universale, e, iu questo, la
necessità
del triplice svolgimento fisico, organico e
storico.
* I
vecchi naturalisti pretendevano rintracciare
argomenti in favore
della
continuità reale fra questi due processi,
notando la struttura mirabUe
e
squisita, per es., deirArragonite cotanto
affine a quella d*uno de* più
elementari
vegetabili; come se nel cristallo la
composizione semplice, uni-
forme,
immobile cosi nel tutto come nelle
parti e senza centri ne* suoi nuclei
ed
elementi, avesse che vedere col composto
organico più rudimentale !
* Il
fatto della eterogenesi è tuttora un*
ipoUsi, e probabilmente re-
sterà sempre
tale nel campo della osservazione, ma
è ten nella mente
del
filosofo. Gli eterogenisti s'affaticano a
dimostrare coi fatto ciò che
già di
per so stesso ò fatto ! La
genesi spontanea, appunto perchè tale,
non è
un fenomeno di trasformazione d* indole
meccanica della /orna
alla
vita: essa importa già un transito, e
quindi un intervallo. Come
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484
DELLA DOTTRINA TILOSOFIOA. ^
[lIB. IL
Per la
medesima legge avviene il passaggio dal
ve-
getabile air
animale. È vecchio il pregiudizio per
cui
si è
creduto che Tun ordine d'esseri si
congiunga al-
l' altro
col digradarsi del processo superiore, e
col per-
fezionarsi
deU' inferiore. Il pesce si congiugne
con l' an-
fibio ;
gli anelli zoologici inferiori s' annodano
co' vege-
tabili
superiori, e simili immaginazioni. Oggimai
è d' uopo
raccomandarci
alla paleontologia, e alla geologia. Queste
scienze
ci additano un processo quasi parallelo
ne' due
ordini
in che viene sdoppiandosi la vita sin
dalle sue
origini
primitive.* Il Processo organico dunque non
può
danque
potrà esser possibile in tal caso una
prova sperimentale seria
e
irrepugnabile? Ti sono parecchi sperimenti,
io lo so. Ma come fatti?
Quante
e quali cautele sono state adoperate
? La questione della genesi
spontanea
ò mal posta. E poiché il naturalista
non ò in grado di porla
diversamente
di quel che fa, sarà quindi
necessario abbandonarne la so-
luzione ad
altro metodo, ad altra maniera d*
investigazione. In somma
è una
questione essenzialmente filosofica: si diano
pace i travagliati
seguaci
del Pasteur e del Poullet!
* Neir
epoca j9aZ«oltKeaapparÌ8con le grittogame
superiori : indi, nel-
l' epoca
nuéoUtica^ le piante conifere : appresso,
nell* età oenoUtica^ le fa-
nerogame ;
e, finalmente, nelP età antropolUica, o
meglio pott-terxiarta, si
manifesta
la flora attuale. Ecco qui un
processo nella flora primitiva. Il
medesimo
reggiamo nello svolgimento della fauna. Co*
più modesti tipi
vegetabili
s* accompagnano i più bassi tipi
zoologici negli strati inferiori
che ci
rappresentano l'età originaria; e, nella
medesima epoca negli strati
superiori
veggiamo lu prime forme di pesci,
accanto alle quali appariscon
le
grittogame. Con le conifere appaiono i
rettili ; e negli strati superiori
additatici
dal periodo eenolitico, appariscon gli
uccelli. Ai rettili ed agli
uccelli,
dappresso alle fanerogame teugon dietro e
si manif^tano le forme
inferiori
de* mammiferi ; e negli strati
superiori del perìodo terziario si
rivelano
le primo tracce del regno umano. Alla
flora attuale poi s* ac-
compagrna T
attuale fauna; il processo riesce evidente
anche qui, e il ri-
scontro
ne'caratteri generali, nella flsonomia e
nell* insieme delle rela-
zioni
geografiche e biologiche, toma evidentissimo.
Vegetabile e Animale,
dunque,
sono due correnti, per cosi dirle,
che movon da una medesima
sorgente.
Elle si rassomiglian nella semplicità ed
omogeneità delle for-
me primitive
; e tal riscontro è più spiccato
in ragione che il panteolo-
gista
ascende verso il centro comune. Sennonché
il processo nella serie
zoologica
è assai più compatto e variato; lo
svolgersi è più rapido, e l'at-
tuarsi di
questo svolgimento è più intricato quanto
più ci accostiamo alle
recenti
formazioni. Tal è, per es., lo
sviluppo che ci palesano gli arti-
colati e
i vertebrati, a differenza del modo
con che si vanno svolgendo
le
classi de* vermi, de* molluschi, de*
celenterati, degli echinodermt
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CAP.
XII.] PROCESSO
COSMICO. 486
non
esser di natura essenzialmente polare. Il
vegetabile
e r
animale ci rappresentano incarnata la legge
univer-
sale della
dualità; la quale movendo dalF unità
sintetica
iniziale
e confusa e passando per V analisi,
riesce ad una
sintesi
concreta, determinata, analizzata. La vita
è vita in
quanto
si diversifica: è vita in quanto si
etereogenizecu^
Ma
dov'è la radice primitiva ond'emerge questa
dop-
pia scala
in cui e per cui la forza,
incarnandosi, diventa
vita?
Non si discerne cotesta radice: non
si verifica; né
si può
verificare. Fin negli strati primigeni
dell' età ar-
cheolitica
vi è tracce di vita animale e
vegetale. Dunque
il
fatto, r osservazione, ci pone sott'
occhio una dualità.
Ma una
dualità originaria, ripetiamolo anche qui,
non è
un
assurdo? Dunque l'analisi, il fatto,
suppone già una
sintesi
rudimentale, in cui sia germinalmente
contenuta la
doppia
forma di vita vegetale ed animale. Or
questo co-
mune
stipite, che con felice espressione un
illustre vivente
naturalista
ha chiamato unità astratta,'^ o non
esiste come
realtà
sensata, ovvero, esistendo, non può essere,
a dir
proprio,
ne vegetabile, né animale, ma l'una
cosa e l'al-
tra insieme.
S' ella é una realtà, è destinata a
scomparire
dal
regno della vita, appunto perché non
é forza né vita.
S'ella
é una realtà, sarà un soggetto di
natura indeter-
minata,
fisica e organica ad un tempo. In
essa la forza
diventa
vita; e quindi, più che anello di
continuità reale,
ci
rappresenta una continuità ideale ; e
perciò con l' in-
tervallo
reale ci significa la virtù e
l'efficacia del conato,*
*
Ved. H. SpBircRR, E$$ay$ $ei€ntifìe,
polUicalf (md 9peeulativef ed. cit.
Veramente
ingegnosa è V analisi che quest*
autore fa circa il modo con
che
avviene il procetso zoologico il quale
egli talora chiama |7roee««o di di/-
/erenziafzione
: e non meno ingegnosa è quella
sul processo geologico, etno-
logico e
paleontologico. Jl difetto sta neir
applicare la sua legge al pro-
cesso
èoeiologieOf dov* egli evidentemente abusa
delle analogie estrinseche
col.
mondo zoologico. Si vegga, per dirne
una, come considera il fatto
de*
fili telegrafici che abcompagnauo sempre le
vie ferrate, in relazione a
certe
leggi biologiche degli organismi zoologici
inferiori.
*
VoQT, Le<;on9 tur VEommCf »a place
dant la criation ec., Paris, 1865.
' Sarà
egli il regno de* Protiati cotesto
comune stipite? .\mmettia-
molo
pure. Ma tosto sorgo la domanda :
in che maniera il proti%ta, che
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486
DELLA DOTTRINI FILOSOFICA. [lIB. H.
Sennonché
nel doppio processo attraverso cui rive-
lasi la
vita, veggiamo verificai la medesima legge
ond' è
governato il processo tìsico : uno
de' termini
della
dualità supera V altro. Come nel
punio si genera
il
momento, e come nella materia si
produce la forza,
di
pari modo la vita vegetabile ed
animale, secondochè
ci
attestano gli strati superiori dell' epoca
archeolitica,
non si
può dir che succedano per legge di
fUiousione e
di
successione, ma neanche procedono in
maniera pa-
rallela e
quasi di fronte. Primo a determinarsi
è il vege-
tabile; ma
egli procede sempre un passo indietro
rispetto
all'
ente zoologico. Il valore e il grado
organico vitale
de'
tipi vegetali si sviluppa siflFattamente,
che ci addita
una
relazione costante con la esplicazione
delle prime
tracce
di vita animale palesateci dagli strati
inferiori
paleontologici
Sennonché tosto 1' attività zoologica si
mostra
piii gagliarda; ed ecco appariscono i
pesci. Vi é
dunque
un processo fra i pesci e le
forme vegetabili pri-
mitive degli
strati inferiori. Nell'epoca paleolitica il
pa-
rallelismo
par che si voglia ristabilire. Prosegue
la pro-
duzione de'
pesci; ma vi ha predominio di
grittogamo
superiori
(felci). Tosto il parallelismo si rompe
: e dove
ne'
profondi strati dell' età mesolitica ci
é predominio
de' rettili
e piante conifere, negli strati superiori
già
compariscono
gli uccelli. Il parallelismo si rompe
an-
cora; si
dispaia vie più; ed ecco che nell'epoca
cenolitica,
tuttoché
col predominio delle fanerogame si palesino
le
forme
inferiori de' mammiferi (fra cui il
piccolo mar-
supiale è
il più antico), negli strati superiori
tralucono
già le
prime tracce del processo animale-umano. 11
pa-
di per
sé stesso ^ò cotanto semplice, debole,
molle ed omogeneo si sdop-
pierà?Come
I* omogeneo s* individua, si differenzia
senza nn interrallo?
Come,
senza il concetto del conato, questa iniziale
unità, questa unith
astratta
e indoterminata passerà a determinarsi
nella dualità del vegeta-
bile e
deir animale? Nella Storia Naturale il
protùta ci rappresenta ciò
che
nella Cosmogonia è la materia nebulare:
ipoteti perciò Tuna T al-
tra cosa
agli occhi del fisico e del
naturalista, ma che con la nostra
formola
cosmologica potranno assumere valore di
teti.
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CAP.
XII.] PROCESSO
COSMICO.. 487
rallelismo
è già beli' e scomparso nell' età
quaterneria
(periodo
postpliocene).*
Vita
vegetativa, dunque, vita animale e vita
dello
spirito
non assomigliano già, come ordinariamente
si
dice,
ad una vasta piramide di cui la
prima d'esse raf-
figuri la
base, k seconda rappresenti la parte
mediana, e
la
terza poi simboleggi '1 culmine e
quasi ne sia il corona-
mento.
Cotesto piramidi e scale e sovrapposizioni
e gra-
dazioni
ascensive ritmiche sono tricotomie fatte a'
gusti
degli
Hegeliani; e ci rammentano le tre
anime de' vec-
chi
scolastici e de' vecchi peripatetici. Ma
nò le tricoto-
mie seriali,
né le sovrapposizioni peripatetiche varranno
a
significarci mai la natura intima delle
cose e la legge
della
vita e del pensiero che è legge
di creazione. Esse al
più ci
potranno significare un fatto : cioè,
o un processo
di
trasformcunane fenomenale, ovvero un intervento
del
solito
JDeus machina, chiamisi Dio creante,
chiamisi Idea
reali^BantesL
Son elle dunque frutto d' osservazione ed
esperienza
grossolana, ovvero parto di fantasia e
di lo-
gica abusata
e sistematica. Il processo organico zoolo-
* L*
UD de* tormini deUa dualità organica
(vegetale e animale), su-
pera dunque
P altro; e siffattamente può dirsi che
il regno zoologico si
elevi
sul regno vegetabile, e vi s* adagi.
Il vegetabile quindi nasce pri-
mo, e
primo si ferma : poiché mentre V
ente zoologico assolve il processo
organico
attingendo perciò 1* unità vitale, il
processo dell* ente vegeta-
bile non
si risolve, ma s* arresta. lia vita
vegetativa dunque non è ca-
gione, non
è principio, non è sorgente, bensì
mezzo, strumento, condi-
zione
preposta dalla natura stessa acciò sia
fatto possibile il processo zoo-
logico. E
che la vita animale sorga nétta vita
vegetativa, n* è conferma
sperimentale
V impossibilità eh* ella esista senza
il* soccorso del vegeta-
bile. In
una sfera superiore, in una superiore
dualità, i termini appari-
scono assai
più indipendenti : r ente umano può
non aver bisogno d'una
delle
due forme di vita vegetale e animale.
Vegetabile ed Animale, dunque,
ci
rappresentano una dualità essenziale: una
dualità in cui, col geminarsi
del
Processo Fisico, vien fuora il regno
della vita. La forza non si con-
verte seco
stessa per assumer valore vitale, tranne
che sdoppiandosi ne* due
regni
dell* organismo vegetabile ed animale.
Siffatta dualità quindi ci ò
figurata,
per così esprìmerci, da due linee
che, movendo da un centro
comune
e originario, divergano e s* allarghino
sempre più, e col divergere
convergano,
e con l'allargarsi s'accostino e s'annodino
fra loro per atti-
nenze
molteplici nutritive, chimiche, fisiche,
meccaniche o dinamiche.
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488
DELLA DOTTRINA FILOSOriOA. [lIB. H.
gico
che s'incarna e si concreta ne' Molluschi,
ne' Rag-
giati, negli
Articolati, ne' Vermi e negl' Infusorii,
noa
ostante
gli sforzi pazienti, efficaci e nobilissimi
de' na-
turalisti,
ci presenta pur sempre forme originarie
di-
yerse,
irreducibili. A che dunque immaginarle,
come
per il
solito costumano fare i moderni
iperpsicologisti
aristotelici,
quasi fossero uno svolgimento serrato,
fitto
e
compatto d' una forma primitiva ? *
Ora se
il regno organico non può non esser
nume-
ro, dualità;
vuol dire eh' ei non si risolve
in sé mede-
simo; vuol
dire ch'ei non chiude il circolo; e
vuol
dire
perciò che nella vita è pur mestieri
che sorga no-
vella vita,
e in seno al processo zoologico
rampolli 1
processo
iperzoologico. Non chiude il circolo,
abbiamo
detto
; perchè? Non solo perchè è un'
essenzial dualità
e
quindi come tale irreducibile, ma anche
perchè l' un
' Lo
stesso Darwin (per non parlare delKAgassiz)
riconosce quattro
0
cìnqae tipi irreducibili nel regno della
Zoologia, e altrettanti in quello
della
Botanica (De VOrigine det etpècet, trad.
frane, p. 669.) Or eia-
senno
di questi tipi fondamentoli costituisce anch'
egli un processo; ri-
pete anch*
egli nel proprio svolgimento la medesima
leggo universale che
sopravveglia
al Processo cosmogonico. Però oggi la
teorica Darwiniana,
chi
ben la comprenda, non faclie confermare,
nel mondo della vita organica,
la
nostra formola cosmologica. La quale viene
altresì confermata in
maniera
invitta dalla Paleontologia, dair Embriogenià,
dalla Tassonomia,
dalla
Morfologia, così nel tempo come nello
spazio geologico ed attuale.
A
questo proposito potremmo dire che
rafn/7Aioa»(«,peresempio, sia come
il
simbolo per eccellenza di questa legge.
Quel che in lui è permanente,
in
tutt* i vertebrati è passeggiero e
progressivo. Perciò il valor della vita
nel
processo zoologico cresce, non altrimenti
che la legge di gravità,
col
farsi vieppiù complesse e complessive e
diverse le relazioni biologi-
che,
anatomiche e geografiche. 1 tipi
fondamentali adunque attuano la
vita,
ma non succedendosi, non isvolgendosi ^Qt
JUiaxìone, direbbero TAgas-
siz e
lo Spencer, sibbene movendosi quasi di fronte
anch* essi, e in modo,
per si
esprimerci, parallelo. Però il Darwin e
THoeckel fan benissimo a
paragonare
V esplicazione del mondo organico al
crescere e diramarsi d'un
albero
: ma il difficile pel Darwinismo ove
sta ? Sta nel darci ragione della
radice
prima, delle barbe estreme di cotest*
albero, nonché dell* estreme
produzioni
degli ultimi suoi rami. A tal duplice
bisogno i Darwiniani
non
soddisfano; ed ecco perchè riescono ad
una dottrina incompiuta di
storia
naturale, anzi erronea, tuttoché paia
positiva, positivissima agli
occhi
loro, come vedremo fra poco. (Ved.
Aqassiz, De Vetpéce et de la
da$»,
en Zoologie^ trad. Vogoli, 1869.)
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OAP.
Xn.] PROCESSO
COSMICO. 489
de' due
termini di questa dualità zoofitologica
lasciasi
indietro
il suo compagno; di maniera che
restandoselo,
e' non
più chiudere, anzi per ciò ha da
schiudere il cir-
colo. Or
nella gran legge del processo universale,
schiu-
dere il
circolo non vuol dir già rifare il
già fatto. Vuol
dir fare:
'vuol dire far di nuovo, andare più
in su, "rom-
pere sempre
più i limiti e rendere spedito lo
sforeo im*
pedito
e allontanarsi e uscire sempre più
dal nulla: in-
somma vuol
dir creare. Dunque il processo
iperzoologico,
il
processo isterico, non potendo sgorgare in
veruna
maniera
da un qualche punto in che possano
per av-
ventura
coincider le due linee sovra cui s'è
andata svol-
gendo la
doppia forma di vita animale e
vegetativa,
debb'
emerger necessariamente dal seno istesso
d'una
delle
due serie; da quella serie la quale,
superando
l'altra,
si prolunghi e lascisi indietro la
prima. Qui il
moto,
la vita è senso, e il senso è
moto. Qui il centro
si
sdoppia, ed è pur visibile. La vita
muove dal cuore,
per
esempio, e, rincirculando, vi fa ritomo.
Sgorga an-
che dal
cervello, e, per intime riflessioni
moltiplican-
dosi e
rincirculando anche qui, va a rifondei-si
nel me-
desimo foco
; talché cotesto foco è centro, e
nel mede-
simo tempo circonferenza.
Sennonché, l'unità che qui
è
visibile e tangibile, é ella altrettanto
intelligìbile?
Se
fosse davvero intelligibile, non sarebbe
altresì intel-
ligente? Che
cosa dunque le manca?...
La
dualità qui non solamente rivelasi
nell'orga-
nismo,
nell'organismo perfetto del mammifero: ella
ri-
velasi anche
lungo tutta la serie, in ispecie al
sommo
della
serie degli organismi zoologici considerati,
per
dirla
col Lamarck, siccome formanti unico
organismo.
Di
fatto il processo zoologico, il mondo
animale, la Vita,
finisce
col produrre anch' ella una dualità: la
dualità
del
quadrumane e del bimane. Eccoci all'
estremo con-
fine del
mondo animale; all'ultimo sdoppiamento del
processo
zoolop;ico. Qui dunque é inevitabile un
novello
conato,
uno sforso impedito e superato, il
conato su-
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49J
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
premo
della vita. Nella vita insomma si
genera il pen-
siero; ed
eccoci alla creazione d'un nuovo genere,
d'un
Sommo
genere, del Sommo Genere: Humanum Genus.
Questo
genere umano è egli un ordine
zoologico?
Senza
dubbio; è un ordine zoologico. Ma non
è altresì
un
régno? È un ordine quant' alle
analogie fisiche, bio-
logiche,
anatomiche eh' ei serba rispetto alle
altre fa-
miglie di
bimani : è un ordine perchè qui
havvi conti-
nuità (to'
avvi^ù), continuità materiale, sensata, reale.
Ma non
è anche un genere? anzi'l Genere
sommo? Certo
è tale
; ed è tale per una ragione
assai semplice e chiara,
meno
pel materialista e pel positivista
Darwiniano. Nel
Processo
fisico la specie è nel genere, e
vi si confonde ;
poiché
in esso tutto è omogeneità, tutto
monotonia,
tutto
immobilità nello stesso moto interno del
mondo
degli
atomi e della materia fnetafisica. Nel
Processo or-
ganico
vegetativo, per contrario, le specie si
moltipli-
cano; e
in esse incarnasi '1 principio
dell'eterogeneità,
dell'analisi.
Nel Processo zoologico le si moltiplicano
an-
cora, ma
si moltiplicano limitando sé stesse; poiché
il
generale
qui si compie nella cotnplessità. Solamente
nel
Processo
isterico e sociologico l'individuo è vero
indivi-
duo, poiché
é genere e specie ad un tempo
istesso. Che
cos' é
la specie? È il genere in quanto
genera sé mede-
simo : é
lo stesso genere che si moltiplica, e
si differenzia.
Dunque
la specie compie il genere. E lo
compie non solo
perchè
lo sustanzia, lo concreta e lo
individua, ma an-
che perché
si porge a lui qual mezzo, strumento,
anello,
onde
un genere procede all'esplicazione d'un
genere
novello.
Inutili dunque gì' intervalli fra gli
anelli d' un
genere.
Qui è il regno della trasformazione e
della reale
continuità,
e la natura non vi procede a
salti. Qui il
passaggio
riesce insensibile, e può essere studiato
in ma-
niera
sperimentalmente positiva: ecco l' onore, il
grande
onore
del Darwinismo. Or la specie umana
non è anello,
non è
mezzo, non è strumento fra due
generi. L' ente
umano
è specie e genere in sé, poiché
in sé stesso^
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GAP
XII.] PROCESSO
COSMICO. 491
personalità.
Ed è personalità perchè è pensiero:
ed è
pensiero
perchè è triplicità ori,jinaria. Egli
dunque, u
dir
proprio, conchiude, compendia e chiude il
circolo
del
processo cosmico. L' origine sua è
modestissima : egli
emerge
dal mondo zoologico, e per questo
anche lui è un
ente
zoologico. Ma non è egli forse Y
Animai politico
(Uov
TTo^tTtxov) d'Aristotile? Non è egli forse
Y Animai
religioso
(Cwv puexTcxov) di Platone? Anch'egli
dunque è
un
mezzo; ma è mezzo a sé medesimo:
ed è mezzo a
sé
stesso appunto perchè è il fine delle
cose. I modernis-
simi
Individualisti quindi hanno ragione a
predicarci
una
verità vecchissima : il regno umano
essere umano
appunto
perchè in esso quot sunt individua
tot suni
species.
Qui dunque la specie è genere perchè
è vero
individuo,
ed è vero individuo perchè è genere.
Olii
è in
grado infatti di pensare e pronunziare
Y ineflFabile
lo
entro cui s' aduna tutto il valore
dell' universo,
in
lui, individuo, vive l'universale; in lui,
individuo, è
l'altro
individuo, e pur se ne distingue.
Alla
vita succede il pensiero; o meglio,
nella vita
sorge
il pensiero. L'essenza di esso è l'
universalità e in-
sieme l'individuazione,
medesimezza e diversità, con-
versione in
atto; è la conversione che s'attua
sempre più
nel
tempo e nello spazio. Ed è sempre
il punctum e '1
moìnentum,
è sempre la suprema dualità del mondo
cosmico,
è sempre il conato, lo sformo
impedito che qui
non si
ripete, ma riappare trasfigurato nella
rappre-
sentazione,
nel sentimento, nel fantasma, nella co-
scienza. E
qui davvero il punto e '1 momento
unum
idemque
sunt, poiché il cronotopo torna ad
esser puro,
ma
traendo seco ben diverso contenuto. Il
cronotopo
è già
divenuto coscienza, presenzialità, riflessione,
tras-
parenza
della stessa natura.... Qua! è dunque
la con-
seguenza?
Conseguenza chiara, inevitabile: un gemre
superiore
all' umano è impossibile, è assurdo,
per la
stessa
necessità di natura: rebus ipsis
didantibus. Le
idee,
le idee umane qui sono per sé
stesse idee divine,
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492
DELLA DOTTEINA FILOSOFICA. [lIB. n.
naturcdmente
divine. Ecco perciò ud altro mondo,
un
altro
cielo, un altro aere! Ecco perciò un
altro pro-
cesso, un
altro circolo sconiSnato ! La legge è
pur sem-
pre la
stessa: ma il conato già divenuto
coscienza, cioè
la
materia metafisica già divenuta luce
metafisica crea la
società.
Il conato qui è sentimento, e crea
la Religione.
Il
conato è fantasia, e, come tale, crea
l'Arte. Il conato
è
libertà, auctorUas naturaliSy e crea lo
Stato e la Scuola.
Il
conato è ragione, e crea la Scienza.
Eccoci
dunque tornati in seno al processo e
al cir-
colo
psicologico, in seno alla genesi e
alla teleologia psi-
cologica. Se
dunque il conato qui è Ragione
spiegata,
ne
viene che cotesto ente iperzoologico,
cotesto ente
umanoj
surto nel grembo stesso della natura
ej per
opera
e attività profonda di natura, ha da
essere il Re
e '1
Sacerdote di se stesso.
Capitolo
Decimoterzo.
darwinismo,
scienza nuova e sociologia.
Ma
torniamo ancora al Darwinismo, alla grande
dot-
trina del
mondo moderno. Il processo zoologico pel
Dar-
win è
quasi un albero; immagine, dicemmo,
felicissima.
Egli
ci mostra come si dispieghino e
crescano e perdu-
rino i
rami divem di quest'albero; ma la sua
dottrina
non va
al di là della radice, né giugne
al di qua de' ra-
mi. Non
vede né come la radice sia unità
confusa con-
tenente una
dualità, né come gli ultimi rami,
adunan-
dosi e
raccogliendosi in due fasci, siano anch'
essi una
dualità,
ma una dualità spiegata, la quale
perciò rac-
chiude r
esigenza dell' unità. La ipotesi, come
altrove
dicemmo,
é quasi lo strascico che accompagna
sempre
la
mente del naturalista e del severo
sperimentalista.
La
ipotesi xwowisoria su la pangenesi (come
il Darwin
la chiama
nella seconda sua opera), é un lampo
di
speculazione
fisosofica; ma lampo incerto, debole, fuga-
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GAP.
XIII.] DABWINISMO,
SCIENZA MUOVA, SOCIOLOGIA. 493
Gissimo,
il quale ci addimostra più aperto il
difetto della
dottrina
Darwiniana.*
Ma
nelle intenzioni del Darwin, e più de'
Darwi-
niani, la
nuova dottrina zoologica, anziché una
teleo-
logia degli
enti zoologici, è una teorica onninamente
meccanica
del mondo animale, e, ciò che più
duole,
empirica.
I Darwiniani oggi sono i Positivisti
della Sto-
ria
Naturale; e, come i Positivisti,
rappresentano an-
ch'essi
l'indirizzo empirico dell'Aristotelismo. Che se
r
antica Storia degli animali è anche
per essi un capo-
lavoro, non
sarebbe tale ov' ei pensassero come
questo
* Il
Darwinismo, chi ben Io intenda, è nna
splendida pagina di te-
leologia
applicata al mondo degli organismi. Ma
non tutti i naturalisti ^
Jian
saputo cogliere quest* aspetto originale,
che anzi non è mancato chi
come
il KOllicher e 1* Hoeckel, abbia
accusato il Darwinismo di favorire
la
teleologia, in Italia, al solito, chi
leva alle stelle il Darwin, e chi
lo
ripudia
e lo ricaccia giù nel letamaio senza
guari capirlo. Chi Io innalza
alle
stelle, gli fa più male che bene
; e questi sono i malati di
tcimmio-
mania.
Chi poi lo caccia nel letamàio fa
male a so stesso, perchè dà
segno
d* intendersene assai poco. E neanche
gì* Iddii superiori del nostro
olimpo
filosofico e letterario, quali sono il
Tommaseo ed il Mamiani, ci
porgono
segno d* averne ponderato V importanza.
Il Mamiani chiamerebbe
il
Darwinismo nna teleologia utilitaria ; per
cui nella dottrina del natura-
lista
inglese J* A. delle Confezioni ha
visto radicato non so che di Ben-
tbamismo.
Veramente non ha tutti i torti T illustre
Neoplatonico se in
mezzo
a tanta e sì accanita lotta p€r
Vetittenxa ha scorto incarnato
r
Utilitarismo. Anche Carlo Darwin è nn
anglo-sassone! Ma ecco quel che
noi
osserviamo circa 1* accusa d* UtiHtariamo
lanciata contro alla dottrina
Darwiniana.
Se ci ha ordin di fatti ne*
quali si possa e debbasi invocare
il
Bentham, il processo zoologico è quel
desso. Quivi regna sovrano
r
istinto, e vi impera la forza. Perciò
il domma della naturale elezione è
proprio
il principio deir«a»2€, e non dell*
e^ruo-ÒMono. Sennohchò qui co-
mincia a
regnare il principio deir«h7e, e qui
ha da finire. Il Wallace,
che ad
ingegno potente deve certamente accoppiare
anima bella e gene-
rosa, se
n* ò già accorto, quantunque anche
lui di schiatta inglese e,
per
giunta. Darwiniano. Darwiniano infatti prima
del Darwin, egli dice
che il
principio deU*e{«nof» natunde eeaea il
giorno in che appare nelV uo-
mo il
tento della eooialità. (Ved.
Sur Vorigine dee raeet humainee et
Van-
iiquité
de VHomme, déduitee de la thiorie de
la téleetion naturelUf Gap. IV.)
Questa
sentenza dell* illustre Wallace è nna risposta
molto acconcia ed
efficace
ai Darwiniani sistematici d* ogni paese,
che con tanto fanatismo
ed
esagerazione parlano oggi delia naturai
teienùme, fra* quali, per es., il
Lubbock,
anima d* inglese davvero. (Ved.
VHomme avant VHiet. ec, trad.
Barbier,
Paris 1867, pag. 492.)
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494
DILLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. II.
libro
del yecchio di Stagira compiasi in
tutte le altre
sue
scritture, massime nel concetto de' tre
ordini di
vita,
e neir idea di natura cui egli
seppe levarsi. Chec-
ché ne
sia, la legge onde l'albero darwiniano
si sviluppa
e
cresce e sdoppiasi ed estende nei
suoi rami, è legge di
pura
trasformazione, nel che sta proprio, giova
ripeterlo,
l'indirizzo
naturale ed empirico dell'Aristotelismo in
cotest'
ordin di cose. Ecco perchè il
naturalista inglese
non
riesce a spiegare né còme e donde
mai sorga la ra-
dice del
suo grand' albero zoofitologico, né come e
dove
abbiano
a terminarsi le estreme sue ramificazioni.
Ai
Dai'winiani
dunque manca il vero concetto teleologico
naturale,
perchè ad essi manca, tuttoché ricchi d'
in-
dagini
minute e di preziosissime induzioni
particolari,
il
moderno concetto della creazione.'
* Che
il Darwinismo come dottrina di storia
naturale sia incompinta
e,
sotto alcuni riguardi, anche fallace, T
attesta quella moltitudine di
principii
eh* esso invoca per imprimerò a so
medesimo un yalore scien-
tifico 0
razionale. Egli inroca il principio della
Coneorrenaa vitale, e della
lotta
per V etUtenxa, Invoca il principio
de* Mutui rapporti fra gli orga-
nimi. Chiama
in sussidio la legge ùeW Atfivitno, e
àeìV Adattainento,
Invoca
la legge della Divergenza de^ caratteri
zoologici; e, Analmente,
quella
che parrebbe comprendere ogn* altra della
Slexion naturale. Or
tutti
questi non sono principii ; sono
condizioni, sono concanse del gran
fatto
della DUcendenna modificata. Ciascuna di
tali condizioni potrà be-
nissimo
spiegarci questo o cotesto fatto; ma
non è poi necessaria una
ragione
superiore atta a spiegarci esse stesse?
Il Darwin, ripotiamolo,
è
capace di mostrare come le specie si
modifichino e conservino, ma non
addita
1* origine di esse, nò la ragion
filosofica della scelta; laonde, il titolo
del
suo primo libro, come altri ebbe ad
osservare è un titolo sbagliato addi-
rittura.
(Ved. LAgoKL, Révue dee Deux Mondee,
!• marzo 1S68, e nel suo
libro
5!c»ence et Philo9ophie,"PAT% 1868, p.
289.) Vero è che i Mutui rap-
porti fra
gli organismi avrebbero valore e fisonomia
di principio superiore,
il
quale perciò sarebbe anteriore al fatto
della ikelta e della Coneorrema
vitale.
Questo anzi ò precisamente il concetto
originale onde il Darwin
ha
superato la Scuola del Lamarck. Ma 1*
idea del mutuo rapporto orga-
nico, non
racchiude forse quelle del mezzo e
del fine ? E s* egli ò cosi
non
siamo già nel campo di quella
teleologia che fa tanta paura ai
Darwiniani
e della quale ei non vonno sentir
neanche fiatare? Inoltre,
che la
dottrina Darwiniana riesca essenzialmente
empirica, ce *1 dimo-
stra r
impossibilità di dedurre la necessità della
Diecendenta modificata.
Quattro
sono le condizioni per la comparsa d*
una nuova specie : !• ap-
parizione d*
un nuovo carattere ; 2o suo
determinarsi, e diffondersi; per
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CAP.
XIII.] DARWINISMO,
SaENZA NUOVA, SOCIOLOGIA. 495
Ma se
il Darwinismo è dottrina per sé
stessa man-
chevole in
quanto non riesce a spiegare in verun
modo
le
origini delle specie, non meno manchevole
s' addi-
mostra ove
procacci spiegar V origine dell' uomo
con-
siderato
come subbietto di storia naturale. I
Darwi-
niani si
studiano rintracciare un vincolo naturale
fra il
processo
zoologico e il processo isterico,
applicando il
principio
della Bivergenga Aé caratteri, e della
Discen-
denega
modificata. Ma, senza dir già che gli
stessi zoo-
logisti (fra
i quali il Watson) contraddicono a
siffatte
pretensioni,
alla ragion filosofica positiva riesce
evidente
come
il principio darwiniano, tanto felicemente
appli-
cato dal
Darwin alle manifestazioni successive del
pro-
cesso
organico e della vita sia naturali
sia domestiche,
tomi
insufficiente, anzi erroneo, quando in modo
asso-
luto si
voglia applicare al regno umano. Tale
applica-
zione è
stata fatta con ricchezza di notizie
particolari e
con
vedute ingegnosissime e affascinanti dal
valoroso
professor
Vogt. Egli ha visto la necessità di
compiere il
principio
della Divergenza con V altro della
Conver-
genza de'
caratteri zoologici. Questo è il concetto
nuo-
vo,
bellissimo, ch'egli, fra i naturalisti, ha
introdotto
nella
Storia naturale ; e l' antico maestro
della Historia
Animalium,
se oggi tornasse a vivere, glie ne
rende-
rebbe
giustizia. Uno per lui è il tipo
de' quadrumani il
la
qaal diffusione solamente è resa possibile
la varietà; 8* ampliarsi»
perfezionarsi
e fissarsi di questo carattere ; 4*
predominio della nuova
razza
so le altre. Or come e perchè
si fissa eg^li cotesto carattere ini-
ziale? Non
potrebbe non apparire neanche? Ecco dunque
svanita ogni
necessità
razionale della DUeendenxa modificata. Essa
non e legge, per-
chè non
racchiude nò pur l'ombra d'universalità, di
necessità, di ra*
zionalità.
Una specie poteva non sorgere: perchè?
perchè poteva non
apparire,
né fissarsi il fortunato carattere
iniziale. E cosi pure poteva
non
sorgere il processo zoologico accanto al
processo vegetativo. Poteva,
non
sorgere il processo vegetativo-zoologico in
grembo al processo fisico.
£ di
questo passo poteva altresì non essere
il mondo totto, e cosi re-
stare
eternamente possibile (che vuol dire
impossibile) il gran fatto delia-
creazione.
Non è questa la conseguenza ultima
alla quale mona la Storia.
Naturale
al modo che ci è data da' moderni
aristotelici empirici e dai
positivisti
Darwiniani?
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496
DELLA DOTTRINA FILOSÒllOA. [lIB. H.
quale,
sdoppiandosi per leg^e di divergenza ne'
due rami
principali
delle scìmmie del mondo nuovo e del
mondo
vecchio,
dà luogo siflFattamente alle tre note
famiglie
scimmiane.
Or qui alla divergenza dee soccorrere
la con-
vergenza ;
che, in fatti, dalle tre famiglie di
scimmie sor-
gon le
antropoidi, le quali sono fornite di
caratteri co-
muni. I
due principii dunque s'incontrano, diremmo,
su
gli
estremi confini del mondo zoologico, e
così chiudono
il
circolo del processo animale.*
Il
concetto del Vogt su la necessità
della Conver'
* Chi
volesse abosare, protraeodo ancora oltre i
confini della yita
animale,
il principio della ditfergenza, giagnerebbe
a questo risultato:
che,
cioè, il circolo zoologico non dovrebbe
chiudersi mai, e il processo
della
vita dovrebV esser costituito da una
serie infinita di termini.
Oltr'a
ciò contradirebbe, nel medesimo tempo,
all'esperienza e alla
nostra
formola cosmologica; che vuol diro farebbe
contro al fatto, e
alla
ragione. Il fatto è assai semplice.
Il regno umano, qualunque ne
sia la
specie, palesa identità ne' caratteri fisici
piìi specificanti; per es.
estremità
atte all'incesso eretto, apparato
dentario-mascellare inenne
e
simili : e palesa identità eziandio
ne' caratteri morali e»9enMÌali, non
essendo
vero oggi mai che tra il bianco
e il negro corra differenza spe-
cifica
essenziale, meno (s'intende) agli occhi
lincei degli Hegeliani, i
quali
hanno assoluto bisogno di questo divario
essennale ed immanenUf
se no
la gran legge dialèttica se n'andrebbe
in fumo! Col che essi non
solo
(sia detto di passata) fanno ingiuria
ai fatti in quanto che il fatto
oggi
mostra che il povero negro non è
poi tanto irreducibile quant'essi
vannosi
immaginando, ma, che più monta, insultano
l'umanità stessa
oltraggiando
così quella disgraziata schiatta a cui
siamo legati per
natura.
Aristotele certo non andò tant' oltre
col suo concetto su la ne-
cessità
della schiavitù! La sua necess'itkertk
naturale, empirica, di /atto;
non
già dialettica, non già assoluta. Son
proprio dommatici cotestoro! son
proprio
aristotelici iperpsicologisti fino al midollo
delle ossa! Dunque,
tornando
a noi, attesa la doppia identità di
caratteri, il circolo zoologico
si
chiude; ed è un fatto. Ma abbiamo
detto che l'applicazione assoluta
del
principio della divergenza contraddice anche
alla ragione: porchò?
Perchè,
se cosi fosse, il numero sf
rimarrebbe numero, l'eterogeneo re-
sterebbe
eterogeneo, l'analisi resterebbe analisi, il
diverso diverso, e cosi
tutto
sarebbe negazione di scienza, e cadremmo
nel nullismo. Le origini
del
processo isterico sono, e debbon essere
multiple. Ma, io chiederò,
dove
non si uscisse dalla differenza •pecijica,
non rimarremmo chiusi in
perpetuo
nel regno zoologico? Non faremmo contro
all'essenza stessa
della
forza, della natura, della materia, del
conato e della vita dell'uni-
verso? In
una parola: col perpetuare il processo
zoologico, non verremmo
a
negare evidentemente il progresso?
genea
ne^ confini del processo zoologico è
preziosissimo :
esso
costituisce Y esigenza vitale della
filosofia della na-
tura e
della storia. Ma, eccoci al guaio!
Egli esagera in
maniera
cotesto principio, che non si salva
dal precipitare
nell'errore
opposto a quello cui riescirebbe il
Darwin
ove
questi presumesse d'applicar la legge della
Diver-
genza anche
al di qua del regno zoologico. Egli
esagera
siffattamente
la legge della Divergenza, da credere
che
le tre
famiglie scimmiane, fra loro diverse per
condi-
zioni
biologiche e geografiche, vadano convergendo
così
ne'
lor caratteri, che tosto giungano ad
assumere forma
simile,
relativa all'umana. Or questo egli non
ha di-
mostrato; e,
per fortuna^ mai non potrà giugnere a
dimosti-arlo.
E non può dimostrarlo, giusto, perchè
d'un
principio
vero e fecondo egli ha fatto un'
applicazione
addirittura
erronea. Le famiglie scimmiane sono e
man-
tengonsi
multiple nelle origini loro. Delle
antropomorfe
già
contiamo due generi ; e fra esse
le distanze si pa-
lesano più
spiccate che non paion fra esse
medesime
e la
specie umana. Or quest' fwmanum Genus è
uno,
come
s'è detto, perchè le differenze specifiche
in lui
sono
immaginazioni de' cervelli dialettici e
svolazzato!
educati
al trascendentalismo hegeliano. Qui, dunque,
su
gli
estremi confini del regno della vita
è necessario, è
inevitabile
un intervallo assai più netto e
spiccato. È
necessario,
è inevitabile un ^alto, un salto di
Leucade,
perocché
debb' esser superato dall' ultimo e
supremo
conato
di natura; al modo istesso che in
una sfera su-
periore,
nella sfera del pensiero filosofico, la
virtù edut-
tiva
ci rappresenta il conato estremo della
speculazione
metafisica.*
* II
Vogt perciò neUa flne del processo
zoologico trovasi in qoene
stesse
condizioni in che si ritroTa il
Darwin sul comindaniento ed ori-
gine delle
specie: si perdono entrambi nelle ipotesi.
Ma il Vogt diri:
il mio
metodo è sapremamente comprensivo, logico,
legittimo, compitis-
almo.
Da una parte, tre famiglie scimmiane
che sempre più conrergono
neMor
caratteri: dall* altra, guardando la storia
de* popoli, tre schiatte
umane.
Quelle ascendono Tieppiù conyergendo fra
loro : queste poi, quanto
SlCILIAM.
31
Le
leggi dunque della divergenza e della
conver-
genaa
di cui ci parlano i Darwiniani, sono
entrambe
necessarie
alla teorica positiva della storia
naturale; ma
vogliono
esser congiunte e legittimate mercè un
con-
cetto
cosmologico rcunonalmenie posUivo. Innalzando
r una
d' esse ad assolutezza, avremmo, ripetiamolo,
una
divisione
e un disperdimento sempre più dicotomo
del
processo
zoologico. Elevando l' altra a dignità
assoluta,
ci
troveremmo in presenza d' un vero miracolo.
Fac-
ciamoli pur
fare, io dico, i miracoli alla natura
: noi
Siam
qui ammiratori silenziosi e contenti della
ricca
fecondità
di quest'antica e veneranda madre. Ma
non
dobbiamo
legittimarne almeno la possibilità?
Uomo e
animale certamente costituiscono un regno
convergente,
come il vegetabile e l'animale. Ma s'
egli è
possibile
rintracciare un protista fitozoa nel quale
con-
vergano le
due serie del processo orgamco ascendendo
verso
le origini loro, assai difficile tornerà
il trovare un
protista
antropoide che sia nel medesimo tempo
uomo
e
bestia, e dal quale sia potuto
venir fuora 1' ente
più
salgono e s* accostano alle origini,
ascendono dirergendo sempre pi ii
fra
loro. V* ha dunque rispondenza squisita
di qua, e di là ; e quindi
o^ni
intervallo
è colmato, nò altro vi esiste fuorché
reale e perfetta conti-
nuità. —
La rispondenza davvero sarebbe maravigliosa,
ove non fosse al
tutto
artiflziale. Il valoroso Vogt piglia il
piede al gorilla, chiede la mano
al
chimpansé, toglie il cervello airorang-outang,
chiama in sussidio lo
scheletro
delio sciamang, chiede in prestito la
testa del cebo, degli ovi-
stiti
0 d*una specie affine, e a
rintracciar la facoltà della favella, po-
trebbe, da
buon positivista, chieder aiuto al
pappagallo, segnatamente
al
ptittaoM eritkcnu. E così pellegrinando su*
lidi Affricani e poi in Ame-
rica, a
Borneo, a Sumatra, a lako, e
raccogliendovi le sparte membra,
egli
compone l'Adamo, ansigli Adami, sicché,
novello Michelangelo col
suo
Mosò, 0 meglio, novello Prometeo col
suo nomo di creta, ci assicura
di
trar fuori Tonte umano, la storia, il
pensiero, la civiltà! Ma applichi,
di
grazia, con più rigor logico il suo
stesso principio: che cosa ne verrà?
Ne
verrà che la stirpe etiopica dovrebb'
esser nata dall' orang-outang,
anziché
dal gorilla o dal chimpansé. Giacché
ov'ella provenisse da que-
sti, appo
cui le estremità sono perfette
relativamente a quelle dell* orang-
outang,
io potrò domandare: in che maniera 1*
etiopico avrebbe estre-
mità
superiori così mostruosamente lunghe, ed
estremità inferiori così
meschinamente
carnose di fronte alle altre schiatte?
umano.
Un essere che non sia uomo né
scimmia, non s' è
trovato;
né forse può ritrovarsi, per quanto
l'aifannosa
attività
del naturalista andrà razzolando per entro
alle
antiche
caverne africane. L'uomo forma un regno
con-
vergente non
già con l'animale in genere, bensì
con
r animale
che assume l'ultima forma zoologica, ciò
è
dire
col quadrumane. Esso dunque devesi
concentrare
in una
delle due serie, in un de' termini
della dualità
superando
V altra. Or questa trascendenza é
impossìbile
senza
un intervallo ; e però l' uomo è
nel medesimo
tempo,
come s' è detto, un ordine ed un
regno rispetto
ai
quadrumani. Dunque, né immediata provenienza
dalle
scìmmie, né discendenza diretta da un
primate
che
sia stipite comune. All' una cosa e
all' altra si op-
pone
evidentemente la diversità di caratteri
esistente
fra r
uomo e la scimmia.'
Ma,
inoltre, vi s' oppongono altre ragioni che
ci é
lecito
desumer dalle scienze affini, massime
chiamando
in
sussidio la geologia e la fisiologia.
Poiché la famì-
glia delle
scimmie appartiene ai quadrumani, ne viene
che, a
cagione dell'incesso eretto, elle deggiono
aver
trasformato
in piede la mano delle estremità
poste-
riori. Ora
il tempo richiesto a tal trasformazione,
non
avrebbe
a esser lunghissimo? piii lungo, certo,
che noi
richiederebbe
la trasformazione del piede in mano?
Uno
de' risultati geologici e paleontologici
più sicuri
intanto
é questo: che bimani e quadrumani
contano
presso
che la medesima antichità.* Dunque
il tempo
che
fisiologicamente é lunghissimo, geologicamente
do-
vrebb' esser
brevissimo. Geologìa e Fisiologia quindi sì
contraddirebbero.
Ma com'è possibile una contraddizione
*
svolgimento maggiore de* lobi cerebrali
anteriori e delle circonvo-
luzioni ;
straordinaria prevalenza del cranio cerebrale
sai facciale ; con-
tinuità
della serie dentaria; differenza nelle
estremità e simili: ecco le
differenze
enormi, che sono altrettanti fatti positivi
riconoscinti da tatti
gli
zoologisti, fra Taomo e la scimmia.
■
C. LTBI.L, Principta of Qtólogy etc.,
voi. II.
— PiOTiT, Manuel de
Pai
tautologie.
in due
fatti d' egual valore, d'eguale importanza
spe-
rimentale?
In tal caso non è lecito dubitare de'
risul-
tati
geologici, i quali escludono con sicurezza
di giu-
dicio
cotesto tempo lunghissimo. Tanto meno ci
potrà
esser
lecito contraddire alle leggi di sviluppo
biologico
e
della capacità organica che la fisiologia
sperimentale
insegna
richiedersi alla suddetta trasformazione. Quale
sarà
dunque la conseguenza? In ragione de' fatti
e in nome
di due
scienze essenzialmente positive, la conseguenza
è
che il
fatto non sia potuto accadere cosi
come preten-
don
gli scimmiomani seguaci segnatamente del
Vogt.
Quale
altra ipotesi ci rimane ? Ve ne
sarebbe un'al-
tra, secondo
alcuni: supporre la discendenza, tanto dei
bimani
quanto de' quadrumani, da uno stipite
comune,
da un
pkcentario superiore, da un Primate il
quale,
serbando
in se stesso un valore come di
specie originaria,
abbia
dato luogo, per legge di divergenza,
al gemino
ordine
anzidetto: nel che tanto più parrebbe
doversi
consentire,
in quanto che vi sarebbe una
continuità reale
e
concreta favorevole all'ipotesi, eh' è dire
la trasforma-
zione pili
agevole del piede in mano. Or se
questa ipotesi
è
ingegnosa, non però cessa d'essere ipotesi.
Vero
o non
vero
tutto ciò, siamo sempre alla medesima
difficoltà:
dov'è
egli cotesto anello intermedio? Si è
perduto
perchè
debole, risponde il Darwiniano: si è
perduto
perchè
ristrettissimo il numero de' suoi individui.
Ra-
gioni di
stoppa, cotesto, che certo non meritano
l'onore
della
discussione! Il filosofo, o meglio la
filosofia posi-
tiva, può,
nel dimostrar la provenienza del regno
umano
dal
mondo zoologico, prescindere da cotesti
intermedi:
ella
non ne ha di bisogno, anzi li
nega. Ma può non
averne
bisogno una dottrina che presume d'esser
supre-
mamente
sperimentale qual è il Darw^inismo? I
Darwi-
niani hanno
assoluto bisogno dell'anello, dell'intermedio;
e r
invenzione di cotesto anello per essi
dovrebb' esser
davvero
Y experimentum crucis di Bacone. Sinché
dun-
que non
r avran trovato, ei saran sempre nel
vago d' una
ipotesi.
Vorremo fare il caso che gli
scimmiomani sieno
tanto
fortunati da ritrovar cotesto anello ?
Facciamolo.
Che
cos'avranno ottenuto? Otterranno, certo, di
spie-
gar le
somiglianze fra V uomo e la scimmia,
di cui
ninno
è, del resto, che voglia dubitare. Ma
non resterà
sempre
a dar ragione delle difiFerenze che
anch'essi ap-
pellano
indispidabUi? Diran forse che cotesto
anello non
sia
uomo ne scimmia, bensì l' una e V
altra cosa ad
un
tempo? Ma tal meschina supposizione non
risolve
menomamente
il problema, sibbene lo sposta, e
saremo
sempre
daccapo.*
Che
cosa è da concludere quant' all'
unità di ceppo,
all'unità
originaria dell'umana specie? Qui non c'è
fatti
storici, né jpaleontologici, né geologici,
né fisiolo-
* I
crani rintracciati nelle più yetnste caTeme
con la lor forma
piatta
0 allangrata, mi paion anch* essi nn
argomento di pan molle. Quanto
a'
resti umani poi del periodo untiario^
e' son sempre umani ; perchè lo
strumento
più grossolano e più semplice di
pietra, attesta sempre 1* orma
del
pensiero, e però è necessario T intervallo
fra Tonte umano dell* età
della
pietra, e la scimmia. L* argomento
del microcefalo gioverà tanto
meno :
egli ò un* eccezione che conferma la
regola, se pur non si voglia
ritenere
per affvzione patologica. Il microcefalo ò
idiota per accidente, o
non
può quindi formare una specie. D*
altra parte esiste una differenza
spiccata
fra lui e la scimmia. Non v*ò
scimmia che sia potuta, o possa
dovent-ar
uomo. Chi potrà dir lo stesso
dell'idiota per nascita? Nel mi-
crocefalo ò
dimostrabile il tipo umano ; che anzi
lo ha dimostrato, fra
gli
altri, il Wagner. Im sviluppo in lui
s'arresta, non indietreggia; e
perciò
ha carattere di fatto patologico, anxichò
di fatto biologico e na-
turale com'ò
nella scimmia. Giunta la scimmia a
certo stadio di sua
vita,
indietreggia inevitabilmente: lo dimostrò per
via di fatto il Cuvier,
e i
moderni Than confermato, e però qui
non siamo in patologia, ma
in
piena fisiologia. Come dunque si può
elevare a legge il fatto del mi-
crocefalo? —
Qualcuno ha creduto che il Negro
rappresenti, anzi sia ad-
dirittura
l'anello di cui si parla. Certo, le
somiglianze sono innegabili:
ma chi
potrà dubitare delle profonde differenze?
Se il Negro fosse V in-
termedio fra
l'uomo bianco e la scimmia, evidentemente
dovrebbe aver
qualcosa
di comune. Ora gli stessi naturalisti
ci dicono il contrario, fra
i
quali il Vogt, perocché v' ò sempre
un abisso fra il Negro e la
scim-
mia.
Ripetiamolo: non è dimostrata, e non
si può dimostrare la imme-
diata
provenienza dell'uomo dalle scimmie. Non è
dimostrata, né si potrà
mai
dimostrare la discendenza diretta da nn
primate che ne sia stipite
comune.
La legge di pura o semplice
trasformazione è un assurdo anche
qui, e
sopratutto qui.
gici,
né filologici che bastino. Tutti i
risultati di queste
scienze
tendono anzi a dimostrare il contrario;
e però
non
senza ragione il Wallace, tuttoché
monogenista,
dichiara
la soluzione di tal problema favorevole
ai po-
ligenisti.
T ha una relazione costante fra la
distribu-
zione
geografica, e quella della vita animale
e vege-
tativa.* £
la paleontologia dal canto suo dimostra
le
differenze
originarie delle specie vissute in altre
età.'
Altrove
mostreremo a quali risultati possano
giungere
la
filologia e la linguistica. Ma se non
si perviene, e
non si
può pervenire a dimostrare l'unità di
ceppo,
è pure
un fatto, un gran fatto V unità
specifica. Ed è
un
fatto necessario per ragione intrinseca
dello stesso
processo
cosmico in generale, e del processo
zoologico in
particolare.
Il regno umano sorge nel regno
zoologico.
Dunque
non può esser costituito da una
moltiplicità
essenziale
di specie, ma debb' essere, come dicemmo,
un
genere specificato. Sia pur uìio, siano
più, siano molti
gli
Adami: che monta? Forse che per
questo risulterà
meno irrepugnabile
e men certa la comunanza di na-
tura? Sarà
men certa e meno irrepugnabile Y
univer-
salità e
unicità di fine e di destinazione cui
ci condu-
con
logicamente le leggi del Processo cosmico?
Tra
l'uomo
nero e il bianco tal comunanza va
sempre più
rendendosi
evidente col progredire della civiltà. Dun-
que le
differenze di specie in essi non sono
essenziali,
ma
accidentali. E sono accidentali appunto,
perchè
scompaiono
man mano, e dovranno scomparire per
la
stessa
natura, per la stessa legge del
processo cosmico.
Le
differenze nel regno umano, in somma,
son pri-
mitive:
dunque non riguardano il contenuto, bensì
la
forma.
Invece là medesimezza, la communis natura
è
un
risultato progressivo, perché tiene al
fine, perchè
tiene
al processo, istorico sociologico : dunque
ella è dote
*
AoASSiz, De Vetphie, ed. cit., cap. I, iz.
•
VoOT, Op. cit. — LuBBOCK, Op. cit., p. 492. —
PiOTBT, Manuel cit. —
Ltbll,
Prino. of Qeology etc.
essenziale,
non accidentale: è dote di tutti e
di ciascuno
■
individuo del regno umano.
Ma qui
giova ribadire una conseguenza accennata
qua
dietro.
Se la genesi e '1 processo,
sociologico vanno anch'essi
dal
numero all'unità, dall'analisi alla sintesi,
ne viene che
ciò
che per l'Hegeliano è un diverso
essenjsude (come la
pretesa
differenza essetmcde tra il bianco e
il negro), per
noi,
al contrario, debb'esser onninamente accidentale.
La
dialettica
hegeliana perciò nega e deve logicamente
ne-
gare il
progresso nella eguaglianza naturale delle
stirpi;
e
afferma e deve logicamente affermare le
differenze
essemiàli
e però costanti fra il negro e
il bianco. In-
vece la
nostra formola cosmologica, che non pecca
d' a
priorismo
dommatico e sistematico, legittima il gran
domma
della comunione di natura, e ne
mostra la ne-
cessità.
Diranno che tutto ciò che è
originario e primitivo
debba
essere essenziale e universale? (Cotesto è
linguag-
gio da
teologisti ; il quale del resto non
ci meraviglia, sa-
pendo come
l'Hegelianismo, anche in ciò, sia una
contraf'
fazione
del Cattolicismo. II povero Negro dovrà
piangere
eternamente,
in ossequio alla dura legge dialettica,
qual-
che peccato
originale : dovrà scontare qualche colpa
na-
turale di
cui non ha pur Y ombra di
consapevolezza I Di
grazia,
chi vorrà accettare oggidì simili
conseguenze?
La
filosofia positiva, dunque, è e debb' esser
polige-
nista quant'
air origine : a questo ci spingono
i risul-
tati della
scienza moderna. Ma è la medesima
scienza
moderna,
è la medesima filosofia razionalmente posi-
tiva che
e' impone, fatto un passo di qua
dalle ori-
gini,
d'esser necessariamente monogenisti nel senso
te-
leologico.
Giova ripeterlo : l' uman genere è
Humanum
GenuSj
è un sol genere, non per comunanza
di ceppo
originario,
sì per comunione e medesimezza di
natura.
Ed
ecco precisamente l'aspetto più originale
della
Scienza
Nuova, di cui ci è dato ormai
comprendere il
significato
razionale.
Che
cos' è la Scienza Nuova? È la
filosofia della
storia,
hanno risposto a coro filosofi d' ogni
colore : è
una
scienza che T autore indirizzava a
divinare e ri-
velare il
futuro. Precisamente il contrario! La
Scienza
Nuova
è davvero nuova principalmente perchè pre-
tende
rivelare, anziché il futuro, il passato.
Ella è
nuova
appunto perchè è la scienza positiva
del vecchio,
dell'antico,
del primitivo, dell'originario, cioè del natu*
rde,
indagato e scrutato e ricercato col
doppio strumen-
to, come
accennammo, della psicologia e della
filologia
largamente
intese.* E poiché è scienza del
passato,
^
Questo doppio strumento, queste due forme
di dimostrazione, come
altrove
toccammo, ci son addato dallo stesso
Vico. L* una d* esse è pro-
priamente di
natura a potteriori, Taltra è psicologica
a priori; ed entrambe
costituiscono
II metodo eduttivo della scienza. La
prima è chiarissima
nella
Scienza Nuora, e si compone di fatti
filologici, mitologici, storici,
statistici,
religiosi, giuridici, politici, economici. Un
esempio singolare
di
questa maniera di prora induttiva io
troviamo nel £<> lib. del Diritto
Univertale,
e segnatamente nella Storia delle cinque
età del Tempo Oscuro;
dalla
quale storia risulta la legge storica
e sociologica che, portata a
pii^
largo sviluppo, costituisce la Seìenxa
Nuova. Noi consacreremo appo-
sito
capitolo intorno a questa teorica del
Tempo Oécuro^ perchè in essa
troveremo
il fondamento legittimo della sociologia
davvero filosofica e
positiva.
L* altro strumento poi che il Vico
avea fra mano e sapeva
maneggiare
in guisa che non ci ò dato nò
pur sospettare alla lontana,
costituisce
propriamente la parto geniale, originalissima
del suo metodo
isterico;
ed ò quella che noi dicemmo di
natura psicologica, e che di
fironte
alla prima serba indole a priori; ma
è un a priori positivo, positi-
vissimo,
perchè di natura psicologica. Ella in
somma cojitltuisce, se cosi
potessi
esprimermi, un lavoro mentale da geologo,
da paleontologo. Se in- '
fatti
lo spirito dell' uomo in una data
epoca istorìca somiglia, vorre* dire,
* ad
una caverna ossifera, bisognerà studiarlo
analizzandolo, anatomizzan-
dolo,
decomponendolo. Perciò è necessario dimenticar
noi stossi, e lavo-
rare attorno
ad esso in modo tutto ideale
dÌ8cendendo da questa no$tra
umana
ingentilita naturaf a queUe affatto fiere
ed immani, U quali oi ^ affatto
negato
d^ immaginare, e eolamente a gran
pena ci i permeeeo cT intendere,
(Sec.
Se. Nuo., p. 141.) Breremento: bisogna
aver presenti noi stossi, ma
nel
medesimo tempo dimenticarci : bisogna
etordire ogni eeneo «T uwtanità
(sono
sue parole) e ridurei in uno etato
di eomma ignoranjta di tutta
V umana
e divina erudizione, (ibi.) Questo, come
notammo (p. 833 e seg.),
è
precisamente ciò eh* egli dice portare
ad un fiato il vero e il eerto,
la
fiioeofia
e la filologia. Questo è il metodo
isterico davvero positivo, che
è
propriamente metodo di natura eduttiva. E
questo dovrebbero mediterò
ed
applicare i nostri sazievolissimi predicatori
di certi metodi storici e
critici
che al postutto riduconsi ad un
meschino empirismo I
perciò
medesimo è scienza del presente, scienza
del-
V
oggi, e, fino a certo segno, anche
del domani. Ma
senza
quella filosofia che non le è
incorporata ma ch'ella
presuppone
necessariamente, cotesta Scienza Nuova non
sarebbe
niente di tutto ciò. Posta infatti la
doppia for-
mola
metafisica e cosmologica, i cui germi
giaccion nel
Libro Metafisico;
posta segnatamente la gran legge del
Processo
cosmico, ella è davvero un poema, è
un gran
poema,
un poema sul serio, ma un poema
sui generis.
Perchè?
Per questa ragione principalmente: perchè è
una
Storia naturale della umanità nell'uomo:
perchè
in lei si scruta l'originaria formazione
dell' ultimo
Sommo
Genere ; perchè eli' è la
celebrazione solenne dello
Spirito
che si crea nel regno stesso della
vita ; perchè è
la
creazione parlante, vivente, reale del
pensiero ch'esce
dal
caos delle forze brute fisiche, meccaniche,
biologi-
che ;
perchè, insomma, rivela il Fatto che,
convertitosi
con sé
stesso come forza e come vita, ora
convertesi col
Vero
come pensiero. Ecco l'originalità vera del
pen-
siero
Vichiano. È un pensiero d'una grandezza
e d'una
potenza,
sto per dire, titanica ! un pensiero
nuovo, nuo-
vissimo,
anche dopo due secoli I
La
Scienza Nuova, dunque, rappresentandoci la
ge-
nesi del
processo storico e sociologico, fra le
altre cose
pronunzia,
legittima, compie e insieme corregge il
Darwi-
nismo. Una
delle Degnila su le quali è innalzato
il suo
gi*andioso
edifizio è lo stato ferino dell'Umanità;
cagione
certamente
non puerile delle dispute e delle
sètte de' Fe-
rini e
degli Antiferini surte fra noi, come
toccammo, sotto
gli
occhi del Papa e de' cardinali nel
bel mezzo del secolo
passato
(p. 39 e seg.). Il suo problema
dunque è il gran
problema
ond' è agitata e mossa la scienza
odierna. È lo
stesso
problema che, con significato assai pili
compren-
sivo, assai
più razionale, assai più sintetico e
profonda-
mente
sintetico, agita e muove sotto gli
occhi nostri la
filologia,
la zoologia, la geologia, la paleontologia,
l'an-
tropologia,
la sociologia, la filosofia e la
storia del Di-
ritto,
la filosofia e la* storia delle arti,
la filosofia eia
storia
delle religioni, come saggiamente ha detto
il De
Fèrron
(p. 149 e seg.) Il suo problema
quindi si collega
con
quello stesso di Lamarck, di Couvier,
di Geoffroy
de
Saint-Hilaire, di Herbert, di Mathew, d'
Omalius,
d' Halloy,
di Rafinesque, di Schaaffausen, di Hooker,
de'
viventi naturalisti, de' viventi filologi,
de' viventi mi-
tologi, e
degli storici d' ogni maniera.
Nella
Scienza Nuova infatti il processo
storico-so-
ciologico
nasce, sorge o si produce nel
processo zoologico;
ma
nasce, sorge o si produce creandosi.
Dunque il 6e-
stione,
r uomo ferino, per quanto ferino e
bestione vo-
gliasi
immaginare, importa già un intervallo.*
Come ci
si
rivela egli cotesto intervallo? In altre
parole: com'è
che
s'inaugura il processo isterico? Com'è che
s'inizia
il
regno dell' umanità ? Al solito
s'inaugura con la gi*an
legge
delle polarità, ma nel medesimo individuo:
s'inizia
con la
legge della dualità, ma nella coscienza
stessa del-
l'
individuo. Ciò che nell' ordine psicologico
è senso e
intelligenza,
potere e volere. Autorità e Ragione ;
qui,
nell'ordine
sociologico e storico, è Libertà e
Pudore:
ecco i
due Principii éC Umanità; principii
essenzial-
mente
sociologici.*
* Lo
st-ato ferino pel Vico è an fatto
accidentale, ed è accidentale
perchè
non è universale ; ma questa dicemmo
essere un* aporta contrad-
dizione in
che cadde tanto lui, quanto il suo
discepolo Duni. Ed ò con-
traddizione,
perchè fa contro non solo ai suoi
principii cosmologici, ma
anche
ali* esigenza stessa del suo metodo,
fe-una delle contraddizioni duo-
que
dalla quale ei pì libera da so
medesimo.
*
Nessuno prima del Vico aTcva impresso
valore ed importanza
isterica
a questi due iftm o prineipìi
d^umnnità. Grozio, per citare
un
esempio, parla anch* egli- del pudore; ma
non sospetta nò la neces-
sità
sociologica e istorìca di questo fatto,
nò il significato psicologico
di
questa tondenza, e però non ne fa
uso di sorta'. (Ved. Dt Jwr. M. et
paeitf
"2. 19, 3, «10.) Disse la
libertà madrt di qualsivoglia diritto
civile
(id.
2, e. 5, § 17) ; ma perchè
madre ? — Citiamone un altro esempio.
Anche
Platone
parla de* due beni. Pudore e
OiuetÌMÌ€L, che Giove impartì agli
uomini
[Protag., ed. Cousin, T. Ili, p.
110): ma pel filosofo greco tale
tendenza
ò partecipata, è comunicata, mentre pel
Vico è affiatto naturale.
Per
Platone riiman»tà si manifesta nella
CVttèt, nella iSepubò^tca; dovecbè
Qual
valore, infatti, qual significato hanno
queste due
parole
nella mente del nostro filosofo?
Considerate sotto
il
rispetto storico e sociologico, PudoreLibertas
non sono
idee,
concetti, nozioni, astrazioni; sono bensì
condizioni
efficienti
originarie, intime, spontanee, istintive di
nostra
natura.
Sono i due prificipii che principian
V umanità
nell'uomo;
principii ch'ei pone quasi geni tutelari
alle
porte
ddla storia e delle cose umane. Sono
facoltà, ma
facoltà
involute, potenziali; stantechè Tobbietto di
esse
non
sia per anche fatto, noh sia per
anche elaborato.
Perciò
sono giudizi, ma, al solito, giudm
sentUij come
direbbe
egli stesso; giudm fatti senza riflessione.
Sono
dunque
tendenze primigenie, sono esigenze autogenite;
e
però
ci rappresentano anch'elle ima sintesi
confusa, entro
cui si
racchiude infinita virtù esplicativa. Qual
è infatti il
principio
d'ogni socialità? Qual è la radice
della socia-
lità? £
il concetto stesso d' umanità.* £ come
si deter-
mina, come
si esplica dapprima questa tendenza innata
e
originaria ad umanarci? Appunto col gemino
senti-
mento del
pudore e della libertà^ Questa originaria
dualità costituisce
la natura stessa dell'uomo, giacché
r ente
umano intanto è animale umano, in
quanto non
è una
cosa, ma due: (ùov fiU7Ttxoy, e (wov
ttoXctcxov. £d
egli è
tale fin dalla sua prima origine,
questa essendo per
l'appunto
la invitta necessità del processo
iperzoolo-
pel
Vico ò originaria, tanto cho si
manifesta anche nello stato di natura:
il
quale
perciò, come altrove accennammo, non ò
quello do' giusnaturalìsti
del
secolo passato. Fra la ReptMdiea del
filosofo ateniese, quindi, e la SeienMa
Nuova,
anche per questo rispetto t* è un
abisso, checche ne abbiano
detto
0 possano dime certi Hegeliani. Per
questa medesima ragione
non ò
da confonder menomamente V uomo ferino
della Seitnua Nuova,
con
gli nomini selvaggi di cui parlavano
tanto spesso gli antichi, se-
gnatamente r
A. della RepubUica, Aristotele, Cicerone e
simili. ^ una
posizione
affatto diversa, a cui bisogna por
mente.
'
HumaniUu ett hominU hominum juvandi
affedio, {De Conti, JurU-
prudenHt,
0. II, l.)
* Sed
ex latiori genere Humanitatie heie a
nobU aoupta a duobue
prineijnù
ootMtal, Pudori et Libebtatk. {Id, eod,,
II, 2.)
gico,
e della legge di conversione: rèbus
ipsis didantì"
bus.^
Or qual è la relazione che stringe
insieme i due
Principii
d'umanità? È quella medesima che, posto
il
processo
isterico e sociale, congiugne in armonia
la so-
cietà di
ragione (Societas Veri), e la società
dell'utile
(Societas
^qui boni).* È appunto la relazione
che corre
fra il
certo e il vero, tra la forma e
la materia.*
Ma se
questa dualità di principii inauguratori
del-
l'umanità
nell'uomo è originaria, accade che, appunto
perchè
originaria, debba rivestir forma d'unitotalità
e
d'incosciente
unità. Or come potrebb' essere unità ove,
al
solito, non serbasse natura di conato?
Pudore e Li-
bertà quindi
sono un conato ; sono dualità e
unità in-
sieme ;
sono perciò triplicità. Se non che,
questa tripli-
cità non
è inaugurazione del processo psicologico
teore-
tico, bensì
pratico; non del processo conoscitivo,
bensì
operativo.
E dunque una triplicità originaria di
natura
pratica,
empirica, istintiva, e dee quindi serbare,
nel
medesimo
tempo, valore psicologico e sociologico.
L'ente
umano
adunque è di sua natura un soggetto
essenzial-
mente
relativo. Egli è in un' ora medesima
in sé stesso, e
anche
nell'oZ^ro: è sé stesso, e insieme
debb'essere anche
l'altro.
Egli insomma, ripetiamolo, non è una,
ma due cose
in sé
stesso: uomo e cittadino. E dovendo
esser tale fin
^ Qai
risiede, come Tedremo, la condanna della
dottrina sociologica
del
Positivismo, e della confusione eh* ella
fa tra la storia e la socio-
logia, tra
la sociologia e la psicologia, tra la
psicologia e la biologia,
nonché
1* erroneo concetto della Statica toeiale
de* Positivisti francesi.
* De
Univ. Jwriè PrineiptOj LX.
* Ex
vi ip$iu9 humanct natura de duobu$
hit HumanitcUit prineipii»
di«8eramìt$f
^orutn unum, ceu forma, erit Pudor,
alterum, vduti matebia.
erit
LiherUtf, {De CoMt, Jur., II, 8.) Trasportando questo concetto
dall'or-
dine
sociologico a quello delle idee e
della scienza, possiamo affermare che
in tal
modo il Vico abbia posto nella stessa
coscienza, nello stesso indi-
viduo, la
distinzione, oggi vitalissima, tra la
Morale e *1 Diritto, salvando
così r
autonomia d'entrambe queste discipline. Perciò
nò la Morale può
dedursi
dal Diritto, come farine i giusnaturalisti
hegeliani e positivisti,
nò il
Diritto dalla Morale, come usan fare
i teologisti e, in generale, i
filosoft
neoplatonici. Di queste cose discorreremo
nella Sociofogicu
dall'
origine sua, fin da che apparve
naturale, sdvaggio,
ferino^ bestione;
perciò in lui il Pudore è conato,
stan-
techè
col conato incofninciò in esso a
spuntare la virtù
deW
animo,^ Per la stessa ragione è tale
anche la Li-
bertà, la
quale è conato proprio degli agenti
liberi,,,,
onde
que' Giganti si ristettero dal veezo
cT andar vagando
per la
gran sélva della terra, e s*
aweisearono ad un
costume
ttdto contrario,* Ma se la relazione
che annoda
i
termini di questa originaria dualità è
quella che corre
tra la
forma e la materia in generale,
avviene che il
Pudore
sia logicamente anteriore alla Libertà, e
la Li-
bertà, alla
sua volta, sia cronologicamente, empirica-
mente
anteriore al Pudore.'
* See,
Seitiua Nuova, p. 248.
*
Idtmf eod, p. 178.
*
Perciò dice ohe il Pudore l U
primo antiehitnmo principio d^ uma-
nità. (Sec.
Se, Nuova^ e VI.) E gaardADdo agli
effetti di qoesto senti-
mento,
osserva ohe il Pudore arreeta la vaga
venere^ origina la eocictà
matrimoǹi!e,
donde emerge la eoeietà (Prim. Se.
Nuova, o. VI); e come
inizia
la società, così pure inventa la
religione : Pudor inventar religionie.
{De
Conti. Jur., LXX.) Additando poi la
priorità logica del Pudore di
fronte
alla Libertà, dice: Pudor euetoe jurie
naturalie {De Univ. Jur,y
LI,
7); «Tura a Pudore oria, ad Pudorem
redeunt, et a eontemplatione nata,
in
eontemplatione poetremo deeinunt (Ihi, OC
Vili) : Pudor omnie divini
kumanique
Jurie parene (Ihi, GIV, 4): Pudor
Jurie naturalie /one {e. Ili):
Pudor
exoitator virtutie (id., § 8). Il
senso di libertà, poi, assume dap-
prima nna
forma affatto empirica e naturale; assume
forma di potere
{poeee)^
di volere sfornito di ragione, d'arbitrio,
di passione; e, come
tale,
riesce cronologicamente anteriore al Pudore^
nò potrebb* esser diversa-
mente
ammessa la relazione intima fra il
processo zoologico e il processo
isterico.
L' anello vero perciò fra questi due
processi, I* anello reale fra i
due
mondi, òr «OMO stesso; ma Tuomo
considerato come un poro poeee^
potenza,
potestà naturale. Sennonchò cotesto ò un
momento indiscernibile ;
è un
intervallo che tosto ò superato, e il
potere già diventa voUre^ e
il
volere diventa oonoeeere sempre per la
solita legge del rehue ipeie dio-
tantUnu,
àéìVipea rerum natura. Libertà e Pudore
quindi son come le
due
facce del conato umano: Tuna ò
intima, secreta, individuale; Taltra
ò
sensata, estrinseca, e perciò di natura
essenzialmente sociologica. Or
come
tale la libertà ò il primo punto
di tutu le eoee umane (Sec. Se.
Nuova^
p. 1 72) ; e perciò ex libertate
eommereiay ex eommereiie humanitae
excuUa,
{De Conet, Jur,, c. FV, 2.) E poichò ò
una condizione primitiva,
perciò
la dice dote proprissima dell* uomo: NihU
hcmini magie proprium
quam
oo2imto« (Ibi., c. V, 19); ed essendo
proprissima proj>rM(<i d'umana
Queste
due facoltà originarie ci rappresentano
dun-
que il momento
primo della genesi storica e sociolo-
gica. Esse
costituiscon la natura stessa dell' uomo,
e
rappresentano
il potere ed il volere che diventano
li-
bertà e
ragione. Guardate nella coscienza individuale
costituiscono
il fondamento della Statica, della vera
Statica
sociale perchè sono doti immutabili,
condizioni
d' umanità
universali e necessarie per ogni età
e per
ogni
spazio. Guardate poi nel loro movimento
e nel
loro
successivo determinarsi in mezzo alle
crescenti re-
lazioni degP
individui, costituiscono invece il fondamento
della
Dinamica, della vera Dinamica sociale.
Momento
statico,
perciò, e momento dinamico nel processo
iper-
natura^
non può etwre tolta nemmeno da Dio,
Or che C08* ò questa natora
umana?
J^ autorità umana, libero uao della
inidonea. (Ibi., p. 127.) L*aonio
danqoe
ò Suitat originaria; e da questa
Suita» originaria, da questa
Auetoritaa
naturali» rampolla V Autorità del Diritto
Naturale, donde Tori^ne
detta
famiglia, delle Genti Maggiori, della
Oivitae e però delle Oenti Minori,
Che
questa sia precisamente la relazione fra
le due tendenze origi-
narie costituenti
i prineipii d*wnanità neW uomn mercè
cui il processo
zoologico
si collega con le origini del
procosso storico-sociologico, ce lo
Tengon
oggidì confermando la Paleontologia e la
Filologia comparata.
Nella
seconda età della pietra tagliata, per
esempio, in alcune abitazioni
lacustri
troTÌamo resti e utensili da caccia,
da pesca, da guerra; ma non
un
segno di culto e d' adorazione, neanche
nell* età del bronzo. È noto
poi
come la filologia comparata sappia rilevare
negli antichi popoli,
segnatamente
nel yecchio ceppo indo-europeo, la
relazione fra il marito
e la
moglie, fra il padre e la famiglia,
fra sacerdote e padre, ma non
quella
fra un ceto ieratico speciale ed il
popolo. — A questo proposito
gioTa
ossenrare, che ore il Vico pone
Tagricnltura come prima appari-
zione 0
primo segno d* umanità, non è
propriamente caduto in errore
come
si potrebbe supporre, e come diceva
il Romagnosi. Il Vico analiz-
zava parole
non primitivo, ma relativamente secondarie,
e quindi non
intendeva
parlare dello stato propriamente originario
della società. Ora
la
paleontologia ha mostrato che nell* età
della pietra tagliata e anche
ripolita,
non v* è segni d* agricoltura ;
e la filologia fa indurre come la
pastorizia
segnasse il primo grado di sviluppo
ne' popoli aborigeni mo-
strandoci i
nomi degli animali domestici. Bove, cane,
pecora, cavallo e
simili,
sono posteriori alle parole indicanti la
caccia e la pesca, ma an-
I
teriori a quelle indicanti propriamente uno
stato agricolo. Se e* è voca-
boli
generali d* agricultura, Tapplicazione di
essi ò posteriore. (Moicmbbn.
Storia
di Roma, v. I, lib. I, Mil„
1868.) A. Pictet, Le» originee indo-
européennee,
Paris, 1868.
zoologico
non han che vedere con la biologia,
non
han
che vedere con le leggi fisiologiche.
La storia
e la
sociologia ripeton le biologia precisamente
come
il
processo umano ripete il processo zoologico
; ma tal
ripetizione
risgaarda la forma, non già il
contenuto;
risguarda
il meccanismo, non già il dinamismo
del mondo
umano.
Or chi voglia sapere che cosa siano
i due prin-
eipii
él^ umanità posti a fondamento della
Storia naturcHe
dell'uomo,
si faccia a guardarli nel loro
movimento, stu-
diarli
nel loro processo, considerarli nello
svolgersi della
storia,
e nell' organarsi della civil società.
Nel corso della
storia
due grandi scienze essenzialmente pratiche
si ele-
vano sopra
tutte ; il Diritto e la Morale.
Due grandi poteri
si
dividono il regno delle leggi ;
politico e religioso, civile
e
morale. Due grandi forze mantengonsi vive
e lottano e
lotteran
sempre sotto forme diverse; la Chiesa
e lo Stato.
£ la
lotta cresce là dove ciascuno di
questi due grandi
poteri
pretende signoreggiar V altro, e vantare
sconfi-
nati
privilegi segnatamente nel magistero dell'
educa-
zione. E
cresce altresì quando un terzo potere s'
innalza
sovr'essi
e vuol vincerli, vuol dominarli, vuol
gover-
narli; ed
è il supremo de' poteri, il potere
de' poteri,
il
potere àéllsi Sderusa. Or l'Autore della
Scienza Nuova
intravede
questa lotta nella sua stessa radice;
scopre
questa
dualità nella sua stessa fonte originaria;
sor-
prende
questa opposizione, che è pur la
molla vitale
che
muove l' organismo della storia e delle
società, nel
momento
istesso nel quale il processo zoologico
supera
e
trascende se medesimo; e con la
filologia, con la mi-
tologia, con
la legislazione comparata si sforza, come
può,
di porgerne dimostrazione storica, dimostrazione
di
fatto.
Egli in somma vede cotesta opposizione
(ripetia-
molo) nel
fondo stesso della coscienza, appunto
perchè
ella
costituisce la natura stessa della
coscienza, appunto
perchè
è la stessa coscienza, la vita stessa
dello spirito
e del
mondo delle nazioni. È dunque vera,
per quanto
arditissima,
quella sua nota sentenza: L* umano arbitrio
regolato
dalla Sapienza Volgare (comun senso,
giudìzio
sentilo)
è il Fabbro del mondo delle nazioni/
Se
tutto ciò è vero, nella Scienza Nuova
noi trove-
remo i
principii, il metodo, i criteri bastevoli
.per co-
stituire una
sociologia razionalmente positiva. Questo
. sarà
r oggetto del nostro secondo lavoro
che intimamente
'
collegasi col presente libro. Giova intanto
schiuderci la
la vìa
determinando più nettamente il fine che
in esso
vorremo
conseguire.
Che
cos' è questa cosi detta Sociologia?
Che cosa ci
esprime
e dev'esprimerci questa brutta ma
significan-
tissima
parola che con arguta frase Stuart
Mili, come
accennammo,
ha chiamato harharismo comodo?
La
Sociologia, la vera Sociologia, il cui
fondamento
più
legittimo è nella Scienza Nuova e
solamente nella
Scienza
Nuova, ci esprime innanzi tutto la
negazione
d'
ogni qualunque filosofia della storia
fabbricata a
priori;
la negazione d' ogni qualunque vantata
filosofia
deW
umanità che pretenda indovinare il futuro
po-
nendo, anche
neir ordine de' fatti e della realtà,
le fa-
migerate
colonne d' Ercole, vuoi con una formola
teologica
e
religiosa, vuoi con una formola
dommaticamente siste-
matica.
Squarciare T impenetrabile velo del futuro
è
impresa
vana: la scienza deve sapersi alimentare
prin-
cipalmente
del passato, e del presente; e col
sussidio
del
presente e del passato può indurre,
può sospettare
anche
il futuro, ma non certo incatcuarlo e
stringerlo
nelle
rigide maglie d'una formola logica e
metafisica. La
Sociologia
è la ricerca razionale e scientifica
del mondo
umano;
ed è razionale e scientifica perchè
fondata so-
prattutto
nelle leggi del processo psicologico,
nonché in
quelle
del processo isterico. Essa dunque sarà
la con-
ferma (non
la deduzione) della nostra formola cosmolo-
gica applicata
al regno dello spirito e de' fatti
umani:
la
Conversione dd Fatto nd Vero^ e col
Vero. Formola
*
Prim. Scùnua Atioro, Lib. II,
cap. Ili, p. 42.
semplicissima,
come ognun vede, la quale per la
sua
stessa
natura e costituzione lascia libero lo
svolgimento
de'
fatti umani, libero il corso della
storia.; non tricoto-
mia
dialettica che somigli e sia un duro
letto di Procuste
com' è
quella degli Hegeliani, né tricotomia
puramente
storica
e biologica siccom' è quella de'
Positivisti.
Quali
poi saranno i massimi problemi della
Socio-
logia?
Innanzi tutto questi: se sia possibile
una legge
istorica
che nel medesimo tempo serbi valore
psico-
logico, e
sociologico: in che maniera co testa
legge produca
i
tanto sfatati e derisi Corsi e
Ricorsi storici del Vico; pa-
role che
per noi (sia detto di passata)
esprimendo il Mec-
canismo e
'1 Dinamismo della storia, cioè le
condizioni
statiche
e le condizioni dinamiche della
costituzione e
dell'
organismo della civil società,^ racchiudon
ben altro
significato
che non danno ad esse gli odierni
sociologisti
inglesi
e francesi. Inoltre la Sociologia deve
indagar le
ragioni
per cui si forma e per cui vive
l'organismo di
questa
società : ridurre a due principalmente
tutti quanti
i suoi
poteri (politico e religioso), applicando
la legge
isterica
alla genesi e svolgimento dell'uno e
dell'altro,
indagando
qual possa esser per avventura il
significato
razionale
della perenne lotta a cui sono e
saranno im-
pegnate
queste due possenti forze senza cui
svanirebbe
la
vita della storia e della società :
vedere come sorga,
come
proceda e come signoreggi il potere
supremo della
Scienza,
e determinare qual soluzione possa ricevere
r
arduo problema pedagogico, i cui dati
debbono esi-
stere nella
storia, e nella psicologia.
L' esigenza
finale, occulta e vivace della Scienza
Nuova
è
appunto la vitalissima quistione pedagogica;
e fu il
primo
bisogno che sentì la mente del Vico
nella sua
Ragion
degli studii. La scienza dell'educazione
pubblica
e
privata; la scienza de' limiti ne' poteri
pedagogici dello
Stato
e della Famiglia, della Religione e
della Società ri-
spetto
all'Individuo; la scienza del carattere
individuale
e del
carattere nazionale; insomma il gran
problema
SiciLrANt.
33
etologico,
direbbe Stuart Mill, scaturisce, come
vedremo,
dalla
dottrina del nostro filosofo, e potrà
esser risoluto
con
metodo razionalmente positivo, contraddicendo eoa
nel
medesimo tempo alle dottrine sociologiche
estreme
dell'
Hegelianismo, del Teologismo e del
Positivismo.
Se la
storia dell'umanità è l'educazione dell'uma-
nità neir
uomo e ne* popoli ; ella debb^
essere insieme
I il
fondamento positivo della educazione nell' individuo,
e
nella specie. La prima esigenza è
chiara nella Scienza
Nuova:
la seconda n' è l'immediata conseguenza,
n'è il
risultamento
finale e necessario.
Questi
saranno i problemi capitali che noi
tratteremo
nella
Sociologia. La quale perciò non sarà
altro che
r
applicazione del presente nostro libro, e,
nel medesimo
tempo,
l'esplicazione de' sommi principii sociologici
della
Scienza
Nuova. Perictdoste plenum opus cdete I
La
conclusione d'un buon libro, dice un
acutissimo
crìtico
moderno, ha da esser la coscienza
stessa della
sua
introduzione.*
Nella
Introduzione mostrammo come i due generali
indirizzi
ne' quali si raccoglie il pensiero moderno,
i due
poli
(come altri ha detto) ne' quali
sdoppiasi la moderna
speculazione,
sieno il Positivismo e l'Idealismo
assoluto;
una
forma, cioè, di Scetticismo, e una
forma di Dom-
matismo;
ma scetticismo e dommatismo coscienti,
siste-
matici, n
primo d' essi, quantunque sotto forme
diverse,
domina
in Francia co' Comtiani, signoreggia in
Inghil-
terra co'
seguaci d'Hamilton, di J. Mill, di
Stuart Mill,
*
SAiKT-Bsim, Cau$erie9 du Lundi, Tom. Prem.,
8* ed., 811, 3f. Ouitoi.
d' Herbert
Spencer, d' Alessandro Bain e di Tommaso
Buckle;
e trionfa in Alemagna col novello materialismo
uscito da'
fianchi deir Hegelianismo. Il secondo poi
ha
trionfato
anch' esso in Germaenia per trent'
anni, e oggi
conta
seguaci più o men fedeli, piii o
men sinceri an-
che in
Italia. Qual è la ragione di loro
comparsa nel
mondo
moderno? Vi è egli una ragione? Ci
ha da es-
sere. La
storia è anch'essa natura, e come la
natura ha
i suoi
disegni : la storia è provvidente
come la natura.
Per
quanto diversi nel metodo e diversissimi
nel fine
cui s'
indirizzano, cotesti due estremi a' quali
riesce il
moderno
filosofare si toccano, dicemmo, nelle
conse-
guenze d'
ordine segnatamente storico, politico e
reli-
gioso, al
modo istesso che si confondono altresì ne'
risul-
tati
risguardanti V essenza e la destinazione
dell' umana
personalità.
Or questi estremi che oggi si
presentano
così
divisi e che pur si toccano fra
loro e confondono
in pia
punti, risalgono, quando siano considerati
stori-
camente, ad
una medesima sorgiva. Questa grande e
perenne
sorgente, nella quale s'occulta come in
germe
non
pur l'odierna speculativa, ma l' intero
sviluppo
della
filosofia occidentale e in parte
dell'orientale, è
l'Aristotelismo.
In Aristotile mostrammo riprodursi Pla-
tone con
tutt' i suoi pregi, e con tutt'
i suoi difetti. Ma
se nel
discepolo v' è il maestro, vi è
pur la correzione
e
l'inveramento del maestro, massime quant'al
concetto
del
mondo. L' uno dunque non intende negare,
non in-
tende
annullar l'altro; non intende sostìtuirvisij
come si
piacciono
dirci gli Hegeliani, ma intende
correggerlo,
svolgerlo, inverarlo.
Tal si è la mente vera d'Aristotele
:
e tale
è il significato schietto e sincero
della sua Me-
tafisica
rispetto all' autore del Parmenide.
Se non
che in cotest' opera di correzione e
d'inve-
ramento,
in cotesto lavoro di ripetizione e di
creazione,
la
novella esigenza rivelasi anche qui come
una sintesi
confusa,
indigesta, contraddittoria nelle sue diverse
teo-
riche,
equivoca nelle sue diverse dottrine.
Inevitabile
dunque
nello Stagirìta una feconda moltìplicità d'
indi-
rizzi. Tre
sono, e tre doveano esser cotesti
indirizzi
formanti,
a eoa dire, il sustrato sul quale
corre e ri-
corre
la storia del pensiero filosofico. Mostrare
ih che
maniera
cotal triplice indirizzo abbia saputo
alimentare
venti
e più secoli di ardita speculazione
filosofica, non
potevamo,
non essendo questo l' intento del nostro
la-
voro. E
per lo stesso motivo non ci fu
dato far vedere
come,
sotto forme sempre diverse, il naturalismo
e V iper-
psicologismo
siensi di mano in mano rinnovellati
attra-
verso i
differenti periodi della filosofia occidentale.
Sia-
mo venuti
bensì accennando, a piii riprese, in
che mai
risegga
V indiriziso medio nel quale sta la
correzione e
l'accordo
deir Aristotelismo col Platonismo; come sia
possibile rintracciarne
i germi nel medesimo Aristotele;
e come
al lento, ma immancabile trionfo di
siffatto in-
dirizzo,
abbian preso e prendano e prenderan
parte
tanto
le forme che dicemmo j>o^va del
filosofare, quanto
le
forme negative. Ogni maniera di
speculazione soccorre
al
progresso e alla ricostruzione della
metafisica, a con-
tare dalla
piiì grossolana affermazione dommatica, alla
negazione
del più volgare ed em])irico pirronista;
dalla
più
ardita formola sistematica, al più sottile
sofisma
dello
scetticismo sistematico. Ma neanche qui ci
poteva
esser
concesso dimostrare, senza trascendere i
confini del
nostro
disegno, il modo con che in mezzo
allo svolgersi
de'
due estremi indirizzi siasi venuto
incarnando e pi-
gliando
quasi persona l' indirizzo medio. Mostrare
in-
somma come
le forme positive della metafisica siansi
venute
svolgendo, sarebbe stato lavoro di storia,
e di
crìtica:
al modo istesso che sarebbe stato
lavoro di
esposizione
far vedere la monotonia con che si
sono
succedute
le forme negative del filosofare.
Solamente
ci fu mestieri accennare come nell'età
moderna,
dopo le divisioni del Cartesianismo nel
quale
ripetesi,
con elementi di novella speculazione, la
vec-
chia sintesi
aristotelica, l' indirizzo medio ci sia
rap--
presentato
dal Leibnitz in Germania, e, più
spiccata-
mente, dal
Vico in Italia; e come ne' tempi a
noi piii
vicini
siansi ripetuti gli estremi, e si
ripetan tuttora
sotto
novelle forme, così nell'uno come
nell'altro paese.
È
iperpsicologismo il neoplatonismo italiano
moderno:
ma
forse che sarà meno iperpsicologismo il
sistema
jdeir
assoluta identità ? È empirismo e
nullismo meta-
fisico il
positivismo di Francia ed il materialismo
di
Germania:
ma sarà meno empirismo lo scetticismo
siste-
matico del
Ferrari e certa ibrida forma di
criticismo del
Franchi
e il nullismo metafisico de' nostri
filosofi del-
P
avvenire ? *
* Vedi
qael che altrove abbiamo discorso circa
le forme negative e
le
forme po»Uìve del filosofare e circa
la storia della filosofia in generale
(Gap.
III. lib. II.) Lo scetticismo non è
da pigliarsi a gabbo, come par
che
facciano tutto giorno dommatici e sistematici.
La sua funzione isto-
rica
ha grande importanza, essendo quasi la
molla efficace, tuttoché
negativa,
del progresso in filosofia, né y*,ha
periodo storico in cui lo scet-
ticismo non
accompagni sempre lo STolgrersi del
dommatismo. Il dom-
matismo
è syariatissimo nelle sue forme, e
quindi possiede una storia.
Lo
scetticismo invece è immobile, è
immutabile; e questo è insieme il
suo
pregio, e la sua condanna. Perciò lo
scetticismo non ha né può
avere
una storia, appunto perchè non importa
un processo; e non è
processo
appunto perchè è negazione. L* arma
dello scettico infatti è
sempre
identica a sé stessa. Nel nostro
Ausonio rivive Enesidemo, e nel
nostro
Ferrari vi è tutto Sesto Empirico.
Chi si voglia quindi provare o
siasi
provato, come il Bissolati (Ved. Tntrod.
alle fgtituxioni Pirroniane^
Imola
1870), a fare una storia dello
scetticismo, altro non fa, altro non
potrà
mai fare, salvochè una rassegna, un
racconto monotono e sazievole
d'argomenti
identici. L'esigenza scettica, il metodo
teettieOf potrà be-
nissimo
cangiare i punti di m«(a, come
fann'oggi gli schietti positivisti,
ma la
sostanza rimane e rimarrà sempre la
stessa. Invece 1* esigenza
dommatica
è un fatto al pari dell' esigenza
scettica: ma ò un fatto che
si
muove; è un fatto che sì fa.
Hegel ripete Platone, e ripete Erigena;
ma non
è nò Platone, né Erigena. Rosmini
ripete Aristotele o San Tom-
maso, ma
non è né Aristotele, né San Tommaso.
Gioberti ripete Male-
branche, ma
non è nient'affatto Malebranche. 11 Ferrari
anch'egli ripete;
ripete
Sesto Empirico. Ma come lo ripete?
Facendone la fotografia! Ora
se il
dommatismo conta una storia essendo un
processo isterico, e lo scet-
ticismo n'é
al tutto sfornito, com'è possibile che
il trionfo stia pel se-
condo
anziché pel primo ? La funzione
isterica dello scetticismo dunque
è
necessaria, essendo »na ruota della
macchina; ma badisi a non con-
fonder la
macchina con la ruota,, ciò che
costituisce appunto l'errore--
di chi
spera (vana speranza!) nel trionfo
definitivo del Pirronismo.
Se non
che, lasciando del Leibnitz e del
moto filo-
sofico d'
Alemagna, peculiar proposito del nostro
libro '
era
quello d' additare la correzione e V
inveramento
delle
due estreme tendenze (scettica e dommatica)
che
nascono e rinascon parennemente nella
storia,
e che
oggi, assunta forma pia conseguente e
razio-
nale,
s^addimandano Positivismo e Idealismo assoluto.
D
fondamento di tal correzione e '1
criterio di sif-
fatto
inveramento, per ciò che spetta al
nostro paese,
pone
radice nelle dottrine del filosofo
napoletano, in-
terpretate e
ricercate con metodo critico rintegrativo.
Ma, a
far questo, che cosa era d' uopo
mostrare in-
nanzi tutto?
Era d'uopo mostrare la possibilità di
rin-
venire in
lui cotal fondamento. In altre parole,
era
d'uopo
mostrare se in lui per avventura
fosse alcuna
originalità
di speculazione razionalmente positiva: il
che ci
parve opportuno innanzi tutto far vedere
in ma-
niera
indiretta e per via storica, abbozzando
una storia
de' critici
e degli espositori delle dottrine vichiane.
Che
poi
davvero esistano in lui germi d'originalità
metafi-
sica, r
abbiam chiarito nel secondo libro di
quest' opera,
interpretando
le sue teoriche con una forma di
critica
che
scaturisce logicamente dalla stessa triplice
paiii-
zione de'
periodi ne' quali abbiam diviso quel nostro
saggio
istorico.
Se
pertanto un rinnovamento del pensiero
filosofico
italiano
è necessario e inevitabile perchè richiesto
dalla
ragion
filosofica positiva, perchè domandato dall'
esi-
genza del
sapere moderno, e perchè imposto dalle
rinno-
vate
condizioni politiche, civili, religiose del
nostro
paese
; si domanda : come innovarci ?
introducendo
forse
il Positivismo, o perdurando nello
Scetticismo?
Evidentemente
contraddiremmo all'indomabile istinto
verso
la scienza: contraddiremmo al bisogno
sempre
più
acuto e profondo di nostra ragione:
negheremmo
la
ragione. Vorremo innovarci seguitando a
dirci ed es-
sere
iperpsicologisti? In tal caso dovremo
accettare due
condizioni:
costruire la scienza con la ipotesi,
con Va
priorismo;
e disconoscere i limiti del pensiero
e della
scienza
stessa, dando così alla ragione un
valore dom-
matico,
sistematico, assoluto, anziché critico e
positivo.
Chi
vorrà oggimai accettare siffatte condizioni?
Dunque
Positivismo
e Idealismo assoluto, negazione assoluta di
sistema
e assoluto sistematismOy son le colonne
d^ Ercole
che la
moderna Francia e la moderna Germania
ci vo-
gliono
imporre: esse non ci appartengono, e
a noi sarà
lecito
abbatterle, non per vana horia nazionale,
ma si
per
necessità di ragione. Forse che un
rinnovamento
in
senso hegeliano non ha ormai fatto
fra noi le sue
prove
per quindici anni, per vent'anni? Non è
stato fa-
vorito con
ogni guarentigia di libertà? Non è
stato e
non è
rappresentato così nel privato come nel
pubblico
insegnamento?
E pure T Idealismo assoluto, almeno
quant^alla
peculiare esigenza che lo distingue, cioè
come
Sistema delP identità assolata^ non ci
è passato
in
sangue, ne poteva ; e nonostante gli
sforzi nobilissimi
di
egregi scrittori, egli è rimasto ne' libri,
e rimarrà
ne' libri.
— Altrettanto impossibile riesce un
rinnova-
mento dsL
positivisti. Piii deir Hegelianismo il
Positivismo
è
stato accarezzato, favorito per ogni verso,
predicato
privatamente,
talora persino officialmente. Ma gF ingegni
severi
vi han reagito, vi reagiscono ; e
T infinita moltitu-
dine di que'
filosofanti che han su le labbra
cotesto nome
pomposo
e bugiardo, è lungi dall' averne ponderato
il
valore,
le conseguenze, le applicazioni. Binnovamenti
di
cotal
genere, dunque, sono impossibili fra noi:
e' non
sarebbero
legittimi, coscieuti, naturali, autonomi,
efficaci,
intimi,
storici. —Vogliamo finalmente ritentare un
rin-
novamento
d'iperpsicologismo da ontologisti neoplato-
nici?
Resteremmo quel che pur troppo siamo
stati, e
siamo:
non andremmo avanti; torneremmo indietro.
Se
dunque la necessità del nostro innovamento
filoso-
fico deve
poter germinare dalla passata speculazione,
noi
dobbiamo
rintracciarne gli elementi nelle opere e
nella
mente
di chi è capace di rappresentare non
pure il pas-
sato, ma,
più ancora, il presente e T avvenire.
È d'uopo
attingere
ispirazione nelle opere e nella mente
di chi può
soddisfare
V esigenza positiva e V esigenza
ideale del sa-
pere, ma
correggendole entrambe. È d' uopo invocare
gli
auspici
di chi, incarnando il medio indirizzo
della specula-
zione, valga
a rannodarci con la nostra tradizione
scien-
tifica, e
con lo svolgimento dell'intera storia della
filosofia.
Chi
potrebb' esser questi, fra noi, salvo
che V Autore deUa
Scienza
Nuova? Ecco l'addentellato piii sicuro e
tutto
nostro,
dal quale è mestieri s' inauguri il
presente rinno-
vamento
filosofico italiano. Ma, nell'invocame gli
auspicii,
noi
dobbiamo interpretarlo con la coscienza del
sapere
moderno
: noi dobbiamo correggere anche lui ;
e correg-
gendo, lui
correggeremo poi stessi, e gli altri:
correg-
geremo il
neoplatonismo, l' hegelianismo, il positivismo.
Brevemente:
se rinnovarci è suprema necessità, di
tal
necessità
è d'uopo aver pienezza di sentimento
e di
coscienza
storica. Abbiamo dunque bisogno d' una base
per
muoverci, d' un punto a cui mirare, d'
un segno per
orientarci,
d' una guida tutta nostra in cui la
nostra
mente
riconosca sé medesima. Chi potrebbe
risponder
meglio
a cosiffatta esigenza tranne colui che
seppe con-
cepire il
sublime per quanto rozzo e incompiuto
disegno
d'una
Scienza Nuova?
11
nostro quesito adunque era semplice e
chiaro;
ed è
questo : Come penserebbe il nostro
filosofo ov' ei
tornasse
a vivere in mezzo a noi, nelle
nuove condi-
zioni
politiche, sociali, religiose, co' nostri
nuovi bisogni,
con le
nostre nuove tendenze? In altre parole:
come
farebb'
egli a risolvere oggi, col suo stesso
metodo, i
grandi
problemi della scienza? La risposta
riguardante
i
problemi speculativi, è nella seconda parte
del presente
libro.
La risposta poi che concerne i
problemi d' ordine
storico,
politico, religioso e pedagogico, la daremo
nella
Sociologia.
È che sia questa per l' appunto l'
esigenza
del
suo pensiero ; che sia questa la
necessità del nostro
RinnoTamento,
ce ne porge guarentigia e conferma la
.
storia, e U modo con che s'è
venuto attuando e svolgendo
il
nostro pensiero filosofico. Noi non
possiamo intrat-
tenerci a
lumeggiare in qualche maniera cotesto
svolgi-
mento. Non
possiamo rilevarne i caratteri, ritrarne la
necessità
ne' passaggi, e dichiararne il progresso ne'
diffe-
renti
periodi, dando così forma determinata e
compiuta
al
nostro assunto. Questo faremo quando che
sia con ap-
posito
lavoro, di cui abbiamo già in pronto
la materia.
Ma
accennare di volo al risultamento del
nostro pensiero
senza
por tempo in mezzo, è cosa che
possiamo fare
anche
ora; tanto piii, che tal risultamento,
chi ben
guardi,
traesi facilmente dalle cose discorse in
piii luoghi
del
nostro libro.
La
storia della filosofia italiana, dunque, a
noi sem-
bra doversi
dividere in tre difiFerenti periodi, de'
quali
stringiamo
in pochissimo i caratteri e le
tendenze pe-
culiari:
Primo
Periodo {Scolast%c(hteologico), S'inaugura con
Boezio Severino (Marciano Capella,
Cassiodoro
ec), e finisce con San Tommaso
(Tomisti e
Scotisti inclusive).*
* Vi
è chi col Gioberti divide la storia
della filosoRa italiana in
cinque
epoche (Ved. Prìmnto, ed. 2\ 1845, P.
II, pag. 278); e v'è chi la
divide
in quattro età, cominciando dal VI
sec avanti Cristo (Babtolom- I
M
RS, Dici, den teienc philot.) Divisioni di cotal fatta
evidentemente pec-
cano
d'eccesso, in quanto che abbracciano più
e diverse civiltà, e però non
riescono
ad imprimere valor razionale e forma
omo^renea allo svolgimento
del
nostro pensiero fllosoftco. La storia della
filosofia italiana s* inaugura
quando
il popolo di Roma, cessando, secondo
il detto di Hegel, d* essere
essenzialmente
umanitario e univertale, comincia ad essere
italiano. Il
suo
cominciamento <^indi ci è additato da
un nuovo elemento che sorge
in
me^zo ai vecchi, e vi si sovrappone.
Quost* elemento nuovo e Tidea
cristiana;
i vecchi poi sono il Platonismo e
T Aristotelismo nello diverse
lor
forme. Perciò se il 1* periodo della
nostra filosofia è una stracca ripe-
tizione
del pensiero greco e romano, è anche
spontaneità, è anche attività,
quantunque
Tobbietto di cotesta attività sia un
contenuto di natura
Suo
carattere precipuo è quello d' essere
una rifles^
sione
teologica, una speculazioìie sul domina; e
quindi ci
rappresenta
T assorbimento della Ragione nell'Autorità.
Il
contrasto s' accende fra Nominalisti, Realisti
e Con-
cettualisti;
con le quali tre scuole si riproduce
il vec-
chio
triplice indirizzo aristotelico, ma sotto
novella forma
essendoci
il nuovo contenuto dell' idea cristiana.
Questo
primo
periodo infatti si dischiude modestamente
per
opera d'
un Nominalista, ultimo de^ Romani ^
primo degli
Scolastici
: egli imprime forma al pensiero
commentando
una
parte dell' Organo aristotelico, e ponendo
la qui-
stione
degh Universiili eh' ei per altro non
s' attenta di
risolvere,
parendogli oggetto d'ofóiom phUosophÙB. Si
chiude
poi con l'Aquinate, il quale perciò è
tutt' altro
che
nominalista. L'autore della Somma anzi
rappresenta
una
forma severa di Concettualismo; e però
ci esprime
r
indirizzo medio del filosofare in que'
modi e in quelle
condizioni
ch'eran permesse alla Riflessione teologica.
La
ragione
per lui è un' ancella, ma è
anche una guida; e di
fatto
in pili cose egli riesce a correggere
i due filosofi
greci.
Egli in somma dimostra; almeno si
sforza di di-
mostrare. E,
più ancora, dopo il suo maestro
Alberto
Magno
egli trasferisce la questione degli
Universali dal
puro
mondo della logica nelle altre sfere
della scienza,
'
collegandosi cosi col Rinascimento.
Un
progresso dunque nella Scolastica italiana
è evi-
dente,
chiunque ripensi quanto e qual divario
esista fra
il
punto ond'ella si parte, e '1 punto
ove arriva. Se non
che
questo progresso è omogeneo, uniforme,
monotono, e
però
non è vero processo. È anzi una
giostra intellettuale
in
campo chiuso; né quindi sono da
accettarsi le divisioni
onninamente
religiosa. Ecco perchè il ricorto medioetaU
pel Vico non è
un
ricorto nel significato d* una ripetizione
para e semplice come i più
intendono
la dottrina vichiana de*cor«i e rieorti
ttoriei, ma ò insieme
ripetizione
e innovazione. Questo dimostreremo con
argomenti d'ordine
storico
nella Sociologia tanto rispetto alla
fllosofla, qaanto alle altre
manifestazioni
della civiltà.
a
perìodi che della Scolastica han fatto
il Tennemann, il i
Brucker,
il Cousin, THaureau, il Poli. Platonico
nella so-
stanza,
questo primo periodo è aristotelico nella
forma:
che,
davvero, ragion teologica, essenzialmente domma-
tica,
non si poteva proporre siccome fine
speculativo il
problema
su l'organismo del pensiero e dell'essere,
cioè
il sistema, bensì quello del metodo.
Nominalisti,
Concettualisti
e Realisti, infatti, discutevan su' generi
e su
le specie; discutevan su le idee
considerate non
già in
sé stesse e nella loro etema
immanenza ed esem-
plarità (nel
che eran tutti cattolici e platonici
almeno
in
Italia), ma su le idee considerate
siccome oggetto
della
meììte. Però l'esigenza più vivace di
questo primo
periodo
è un' esigenza prevalentemente ideologica,
stan-
techè
si cercasse la natura e s' indagasse l'
origine del-
l'
universale.
Ma un
periodo storico è sempre un organismo
: un
organismo
in cui v'è cospirazione d'atti, omogeneità
d'
indirizzo, corrispondenza di funzioni. Alla
forma e
al
contenuto del periodo Scolastico-teologico,
dunque,
rispondono
e debbono risponder tutti gli elementi
della
civiltà.
Quant' al govei-no del mondo, per
esempio, la
Provvidenza
pel medioevo sta nell' immediata azione
di Dìo
su la natura, e su la storia. Quant'
alla costi-
tuzione
politica, il potere civile è sommesso
al potere
spirituale
come il corpo soggiace all'anima, come
la
terra
al cielo, come il diritto alla
morale, come il cit-
tadino al
sacerdote, come, in somma, la Ragione
al-
V Autorità,
A questo primo periodo, nella storia
civile,
rispondono
le cinque invasioni barbariche. Ecco,
direbbe
il
Vico, Vetà divina del nostro pensiero
filosofico. Lo
spirito
vive fuori di sé : vive tutto
in Dio, nel Papa, nel
Secondo
Periodo {Scolastico ' filosofico), S' inaugura
col Petrarca,* e più con Leonardo da Vinci,
e finisce col Galilei, col Bruno e
col Campanella inclusive. Suo principal
carattere è la negazione della Sco- lastica,
che vuol dire della Riflessione teologica
e dom- mcUica. Non più omogeneità,
monotonia, giostra in
campo
chiuso; ma varietà, eterogeneità d'indirizzi,
lotta
in campo aperto. Non più la Ragione
ancella
dell'Autorità,
ma la Ragione e l'Autorità congiunte
fra
I
loro, appajate, accostate, e quasi
accoppiate in maniera
tutta
meccanica ed estrinseca. Indi le
contraddizioni in
quasi
tutt'i suoi filosofi; i quali in
mentre che protestano
obbedienza
e devozione alla Chiesa, compiono la
riforma
filosofica
più radicale e solenne che porga la
storia, prima
ancora
che in Germania si fosse risvegliato
lo spirito
luterano.
La libertà di ragione in Italia
prevenne il
\
sentimento della libei*tà di coscienza
surto in mezzo
alle
genti teutoniche.
In
questo secondo periodo predomina l'esigenza
ari-
stotelica.
Vi è r indirizzo empirico co'
materialisti di
Bologna;
vi è l'indirizzo ipersicologico con gli
arabeg-
gianti
di Padova e co' platonici toscani; e
già traspare
r
indirùiizo medio in que' filosofi che
procacciano d'ac-
cordare il
Plat(rnismo con l' Aristotelismo : così
riprodu-
consi
ma con ben altro contenuto, le tre
posizioni sco-
* Il
Petrarca rappresenta la prima negazione
della scolastica; la
qual
tendenza in Ini è eTidonte, assai più
che. nell' Alighieri. Dante ha
un'attinenza
ideale con San Tommaso: egli trasferisce
la nuda idea
cattolica
nel regno della fantasia, e sta al
W Aquino così come Y im-
maginazione
alla ragione dommatica. L* Alighieri dunque
ci rappresenta
r
attività della ragione che fa un
primo passo al di là del domma,
ma
senza
ombra di coscienza speculativa. Il Petrarca
invece, considerato
come
filosofo, ci esprìme un primo grado
di questa coscienza. — Ved. il no-
stro Disc,
avanti citato, DanU Galileo e Vico,
Firenze, 1865.
lastico teologiche
del primo periodo. L' esigenza specula-
tiva infatti
non è altrimenti ideologica, ma
psicologica.
Non
pili il problema de' generi e delle
specie; non più
r
universale come oggetto del pensiero, ma
lo stesso
pensiero:
la natura, l'origine e '1 fine
dell'anima. Pre-
valendo
l'Aristotelismo, vi prevale anche l'astrologia,
conseguenza
logica della cosmologia aristotelica erro-
neamente
interpretata, e della dottrina su le
dieci sfere
onde
risulta composto il mondo. Pur nuUameno
cotesta
esigenza
astrologica del Rinascimento, chi ben la
guardi,
ci
esprime già una prima negazione; ci
rappresenta una'
limitazione
del concetto degl' influssi divini diretti^
e della
immediata
influenza di Dio sul mondo. Non si
nega
per
anche la provvidenza, è vero ; ma
la si considera
com' un'
azione mediata. Inaugurazione quindi e svi-
luppo delle
scienze di natura: elemento nuovissimo,
esi-
genza allora
tutta italiana. — Ora in tanta
eterogeneità'
e
disparità di pensiero; in cod viva
lotta di tendenze
contrarie;
in tanta energia di vita politica,
artistica,
scientifica,
religiosa, commerciale, industriale e poetica;
questo
glorioso periodo isterico è, e debb'
essere an-
ch' esso
un organismo : tutto vi corrisponde,
tutto ar-
monizza, e
il suo peculiar contrassegno sta nell'
esser
r età
eroica del nostro pensiero filosofico,
politico, nazio- j
naie.
Si scoprono perciò mondi novelli su
la terra, e nel
cielo.
Si fa riviver la Grecia e Roma
nel regno dell' arte.
La
vita politica fermenta rigogliosa nel
municipio. Alla
Morale
che assorbiva il Diritto èuccede il
Diritto che
assorbe
la Morale. Alla scienza giuridica, alla
creduta
scienza
giuridica, l' arte politica; a San Tommaso,
Ma-
chiavelli. £
la religione? La religione allora si
presenta
qual
semplice mezzo, qual semplice strumento
nelle
mani de'
potenti e de' reggitori de' popoli, giusto
perchè
si
reputa un artifizio, un ritrovato
artifizioso dell'uomo.
Il
pensiero dunque nel Risorgimento non vive
fuori di
sé;
vive in sé, vive anzi troppo d'
accosto a sé. Manca
perciò
il concetto della morale e della
religione, ma vi è
.
il
sentimento etico e religioso. Manca il
vero concetto del
I
gitis, ma ve n' è il senso, la
coscienza, la forza. Manca
il
concetto della scienza, ma vi è la
febbre della ri-
cerca, la
grande erudizione, la divinazione istorica.
Se non
che, quant' al secondo periodo storico
della
nostra
filosofia, giova intenderci meglio, poiché
nel
Rinascimento
pongon radice le ragioni complesse del
no-
stro moderno
Risorgimento, a spiegarci il quale, perciò,
non
occorre uscire dal nostro paese. Il
Rinascimento è
I
davvero il nodo gordiano degli storici
spiccioli, degli
amminicolatori,
de' cosi detti specialisti, de' monogra-
fisti.
Costoro pretendono cogliere il razionai
significato
di quella
grand' età delineando quadretti di questo o
quel
filosofo,
0 scuola di filosofi; tessendo monografie
di questo
o quel
politico, o scuola di politici; scrivendo
memorie
di
questo o quell'artista, poeta, storico,
pontefice che
sia.
Ma la parte, l'elemento, il quadretto
resterà sem-
pre parte,
elemento, quadretto assai poco intelligibile:
perchè?
perchè al quadretto manca, dire' quasi, l'
aria,
manca
la luce, manca la vita che può
solamente sca-
turire dalle
intime relazioni col passato, e col
futuro.
Ristringiamoci
al tema. Come intendere il Ficino e
la
sua
scuola, per esempio, studiandolo in sé
stesso al
modo
che s'è fatto fra noi in questi
ultimi anni? Uome
intendere
la scuola del Cimento co' lavori
monogra-
fici? Lo
studio monografico tornerà profittevole, quando
abbia
carattere essenzialmente particolare. La mono-
grafia debb'
essere un'esposizione scrupolosa, un ritratto
fedele
d'un filosofo e d*' una scuola, e
però ha da essere
uno
studio critico obbiettivo. Ma tutto ciò
non è scienza
del
fatto; non è filosofia della storia;
non è critica
filosofica.
Or se la monografia vorrà, come
monografia,
assumer
valore critico generale, non risica di
riescir
sistematica,
erronea e fallace nelle conseguenze?'
* Gli
studi p. es. del Puccinotti, del
Galeotti e del Conti sul Ficino
potranno
essere, e certo, 8ono bellissimi :
ma, a guardarci bene, in simili
monografie
▼! ò già tutt' un sistema ; vi
ò un criterio sistematico col quale
L' età
del Rinascimento vuol esser considerata nella
I
sua
sintesi, e perciò va studiata in
relazione al primo I
perìodo
della nostra filosofia, eh' è la
Scolastica. Allora
la
suastragrande varietà di scuole, di
tendenze e d' indi-
rizzi è
beli' e spiegata in modo razionale, perchè
ci rap-
presenta
l'eterogeneità in atto, per così dire,
succeduta
alla
omogeneità della inflessione teologica. Gli
estremi
del
pensiero filosofico qui sono e debbon
esser davvero
estremi,
cioè fra loro contrari ed opposti. E
tale sarà pure
l' indirizzo
medio, cioè svariatissimo, per necessità
tutta
storica
e psicologica. Cotesto indirizzo medio, per
esem-
pio,
comincia ad essere attuato da' così detti Umanisti,
che
noi chiameremmo metodisti, fra' quali citiamo
il Ni- '
zolio,
Alessandro Piccolomini, l' Erizzo, l'Aconzio, ed
altri
di
simil fatta. Accanto a questi il Da
Vinci, il Telesio e
tutta
la scuola Telesiana; e dopo questi la
grande Scuola
Galileiana,
o del Cimento. Contro gli estremi
indirizzi
del
Neoplatonismo e del Naturalismo e
dell'Arabismo
tutti
costoro non fanno che inc>amare il
concetto del me-
todo, cioè
la industria induttiva, ma ne' fatti
d'ordine
fisico
sensato, e in parte filologico ed
erudito. L'indirizzo
medio
perciò s'inaugura con ricercare e
determinare il
metodo,
non già con l'edificare un sistema.
Questo è
il lor
merito comune ; e questo è anche
il loro difetto,
stantechè
manchi ad essi la nozione compiuta
del me-
si pretende
imprimere ralore a tutta la storia,
quando s* interpreta, cosi
com*es8Ì
fanno, la scuola platonica toscana, e
le si vuol dare quel valore
ch*ei
le danno. Un altro esempio sono gli
studi dello Spaventa sul Bruno
e sul
Campanella: studi bellissimi e pieni di
vedute profonde dalVun capo
air
altro, e come monografie noi H
accettiamo, e ne caviamo il nostra
prò:
ma com* elemento di storia generale,
la Agnra e la Asonomia del
Bruno,
per esempio, ò delineata siffattamente, che
quando siamo al si-
gniAcato
della storia generale della Alosofla, si
toccan con mano lo
Gonsognense
sistematiche e parziali della critica
monografica. In una
parola
io; voglio dir qoesto: la monograAa ò
boli* e buona, ò suprema-
mente utile,
ma è sommamente pericolosa; perchò se
come studio mo-
nografico
ella può esser vera, come parte, com*
elemento di storia pu^
riescire
falsissima. Altrove noi proveremo largamente
e con esempi no-
strani tale
assunto.
todo
com'è applicato oggidì da^ metafisici. Se non
che
l'indirizzo
medio nel Rinascimento ci può esser
più con-
venevolmente
rappresentato da que' filosofi che, trava-
gliandosi
attorno alla quistione delP anima intesa
come
problema
puramente psicologico, fanno ad un tempo
ogni
sforzo
per interpretare con benigna critica la
dottrina
déiV
intdletto possibile e deìVinteUetto agente^
e fra questi,
come
altrove notammo, van rammentati il Nifo,
il Porzio '
(il
quale non è nient' affatto un seguace
del Pomponazzi,
come
pretenderebbe il nostro collega Fiorentino),
lo
IZabarella,
il Castellani ed altri di simil
valore. Costoro
sorpassano
i confini del senso; trascendono in
parte la
modesta
indagine psicologica introducendo la ricerca
co-
smologica, e
rannodano così il problema dell'anima
intel-
ligente con
r altro della natura intelligibile. Nessuno
ha
I
pensato a rilevar nettamente questo
aspetto, e segnalare
questa
tendenza tanto evidente in parecchi
filosofi
di
quell'età. E pur ci sarebbe tanta
mèsse da mietere,
i
quando non fossimo signoreggiati dalle
prevenzioni siste-
matiche del
Neoplatonismo, o dell' Hegelianismo 1
Ma r
eterogeneità, il contrasto, V opposizione
cresce
sempre
più. Da una parte ella si esagera,
per esempio, con
lo
Zimara, col Cesalpini, col Vanini e
simili; i quali
'
rappresentando, diremmo quasi, una mischianza
di na-
turalismo e
d' iperpsicologismo, palesano la. fiacchezza
del
vecchio aristotelismo : dall' altra poi
si esagera con
que'
filosofi che presumon d'interpretare convenevol-
mente
Aristotele e Platone, mentre arabeggiano la
lor
parie
; e tali» per esempio, sono il
Lagalla, il Liceto ed I
altri
di simil fatta. È il Platonismo
toscano, è il Na-
turalismo
del Pomponazzi, è l'Arabismo padovano che
si
prolungano pur sempre svigoriti e
indeterminati.
Bruno
e Campanella rappresentano anch' essi
debol-
mente r
Aristotelismo e '1 Platonismo, ma per
una ra-
gione assai
diversa. L'esigenza psicologica, propria del
Rinascimento,
nei due arditissimi frati assume ben
al-
tro valore,
e si allarga a sistema; e così
vediamo i due
estremi
modificarsi di guisa, che Bruno e
Campanella ci
paion
quasi filosofi moderni, e modernissimo il
Galilei
rappresentante
dell' indirizzo medio nella scienza fisica,
in
quanto
ci esprime assai vivacemente l'esigenza
induttiva
nelle
discipline sperimentali. Bruno, Campanella e
Galileo,
infatti,
non ripetono Aristotele e Platone, e
neanche in-
tendono ad
accordarli : essi piuttosto tendono a
correg-
gerli, e
credono correggerli, come altrove mostreremo,
in
tre
diverse maniere. Perciò non a torto
il filosofo Nolano è
riguardato
oggi siccome antecedente isterico di
Spinoza;
il
filosofo di Stilo è ritenuto come
antecedente di Car-
tesio; e
il Galilei viene invocato da' Positivisti
come uno
ùe'padri
del Positivismo, secondo che ci han
fatto grazia
dirci
il Comte ed il Littré.
Or
tutto questo sarà vero; sarà vera
cotesta novità
ne'
tre filosofi: ma sarà vera nel senso
che a tutti e tre
manchi
qualcosa. Essi ci rappresentano, vorre'
dire, tre*
esigenze
solitarie, esclusive e quasi inorganiche.
Nel Cam-
panella, per
esempio, vi è il concetto della
coscienza e
della
storia; ma non vi è quello dello
spirito come sto-
ria. Nel
Bruno vi è il gran concetto della
ìiatura; ma
è un
concetto sifl'attamente annebbiato e
indeterminato
che
riesce affatto irrelativo, e nulla non
ha né dietro,
né
avanti a sé: talché con l'avere
affermato che la prima
causa
debba essere insieme efficiente, formale e
finale, e' si
chiarisce
seguace, non già d'Aristotele, come
vorrebbe il
Michelet,*
ma dell'indirizzo naturale dell'Aristotelismo. Il
metodo
del Galilei, finalmente, é quello che
debb'essere;
un
processo induttivo e critico, ma solamente
applicato
allo
studio delle leggi fisiche. D'altro canto
il filosofo
pisano
ha grandissimo valore quando si pensi
com'egli,
riducendo
le leggi di natura fisica o meccanica
a feno-
meni piÌL
0 manco generali, giugnesse a scacciare
dal
regno
degli agenti naturali ogni fantasia
astrologica del
falso
Aristotehsmo: ma chi dirà eh' e' pervenne a
darei
*
Métaph, <r Ari8t., ed. cìt. p.
268.
SlClLlAKI.
una
dottrina cosmologica? Se dunque i tre
filosofi, che
sopra
gli altri di quell' età come aquile
volano, ci si pi-e-
sentano
in sé stessi manchevoli, incompiuti e
quasi fra
loro
inorganici; la conclusione sarà questa, che
in ciascun
d' essi
havvi un' esigenza non soddisfatta. Il
concetto"^
del
Bruno su la natura vuol esser
corretto : vuol esser
compiuto
il concetto psicologico del Campanella; e
dal
regno
de' fatti fisici il metodo galileiano
è d' uopo tra-
sferirlo in
quello de' fatti morali e della storia.
Ecco
la
triplice esigenza speculativa nella quale
si raccoglie,
per
così dire, tutto il significato speculativo
del Rina-4
scimento.
A tale esigenza soddisfa il secolo
XVIII con
lo
dottrine del Vico. Una relazione ideale,
dunque, fra
il
secondo- e '1 terzo periodo della
nostra filosofia, è
evidente,
razionale, necessaria. PfiBioDO Tbbzo. (Filosofico-positivo
e critico.)
Il
terzo periodo della nostra filosofia
s'inaugura col
Vico
avversando e insieme inverando il
Cartesianismo, e
finisce
con l' iperpsicologismo da una parte, e con
l' empir
rismo
dall' altra: l'un de' quali è rappresentato
dal Neo-
platonismo de'
nostri ultimi filosofi, e dall' Idealismo
asso-
luto
importatoci dalla Germania; l'altro, dallo
Scetti-
cismo, dal
Materialismo, dal Positivismo.
Peculiar
distintivo di questo terzo periodo non
è la
Ragione
assorbita dall'Autorità, ne l'Autorità e la
Ra-
gione
irresolute; ma l'Autorità risoluta nella
Ragione;
cioè
la Ragione che diventa Autorità, coscienza
di sé
medesima.
Il pensiero filosofico non vi è mosso
altrimenti
da
un'esigenza puramente ideologica^ né puramente
psi-
cologica; ma
ideologica e psicologica intrinsecate nella
storia
(processo istorico-psicologico). Non più il
problema
dell'universale
e del particolare, cioè dell'individuazione,
ma
quello della lor conversione. Non più
il problema
dell'
anima e dell' individuo, ma quello
della storia e
della
società (Scienea Nuova.) Non più il
mondo come
piedistallo
d'un Dio solitario; un mondo divino
sol
perchè
esistente in Dio, creato da Dio,
tendente a Dio:
ma un
Dio presente al mondo, e un mondo creante
sé
stesso,
e però divino in sé stesso, divino
per sé stesso. Non
più la
Trinità tedoffica, ma il Triauno filosofico
e razio-
nale uscente
dal seno istesso del simbolo religioso,
del
sentimento,
della coscienza, dell'immaginazione. Non più
la
formola disdogica e la formola teleologica
del cate-
chismo,
bensì la formola metafisica del Processo
ideàley
e la
formola cosmologica del Processo cosmico e
della
Vita
Universale. Non più la scienza data,
ma la scienza
fatta;
e fatta non già come assoluta, a
priori e tutta
d'un
pezzo, ma come produzione assoluta del
pensiero,
e
della storia. Non più filosofia della
storia a priori,
condotta
vuoi con metodo tradizionale e teologico,
vuoi
con
metodo sistematico e assoluto; ma benintesa
so-
ciologia,
beninteso metodo storico e psicologico. Non
più il
diritto derivato dalla morale, né la
morale dal
diritto;
ma entrambe queste discipline emergenti
dal-
l' azione
combinata del pensiero con la storia,
delle idee
col
fatto, della ragione con l'esperienza. Però
la politica
si
palesa alla mente non più come
ispirazione, comando,
suggerimento
teocratico, e tanto meno come arte dd
riuscire y
ma come scienza, come scienza del
Diritto, come
Diritto
applicato {Diritto Universale). Però le
forme
del
reggimento politico si presentano non più
come
istituzioni
immobili, immutabili, intangibili; ma come
altrettanti
organismi, e quindi come altrettanti
processi.
Però
la religione non è più intesa com'
effetto d' origine
divina,
e neanche come semplice mezzo, come
artifizio,
come
ritrovato umano; bensì come processo anch'
ella,
come
produzione psicologica necessaria nello svolgersi
della
storia. Però non più provvidenza immediata,
né
astrologia;
non più influssi immediati, né mediati;
ma
provvidenza
naturale, provvidenza storica, provvidenza
umana:
rd>us ipsis dictantibus. Però non più
individui
predestinati;
non- più famiglie, né razze privilegiate;
non
più
popoli eletti : ma privilegio dell'
intelligenza, ma trionfo
della
libertà in ogni senso e sotto
qualunque forma, nella
Famiglia,
nello Stato, nella Chiesa, nella Scuola,
nella
Società.
Dunque, formola suprema della vita e
della
storia,
deUa natura e della speculazione, de'
fatti e delle
scienze
e di Dio stesso : la Conversione
del Vero cól Fatto, e del Fatto
col Vero. Il terzo periodo della
nostra filosofia ci rappresenta V età
umana: rappresenta l'età delle idee, l'età
della Bagione spiegata. Quale sarà dunque
la conclusione? La conclusione è
chiarissima. Questo terzo periodo importa l'
esigenza, la necessità d' un Rinnovamento: racchiude
l'esigenza e la necessità d'una filosofia
razio- nalmente positiva. La sintesi confusa
del primo periodo si ripete anche nel
terzo; ed ecco le contraddizioni evi- denti,
manifeste, grossolane, talvolta puerili del
Vico. La medesima sintesi veggiamo ripetersi
ne' nostri ultimi filo-
sofi
neoplatonici; ed ecco le contraddizioni del
Rosmini, ecco i controsensi del Gioberti,
ecco le incongruenze del neoplatonismo del
Mamiani. Ma cotesta sintesi tien dietro
ad un'analisi, tien dietro all'analisi del
Rina-
scimento.
Dunque, tuttoché erronea, ella già segna
un progresso. Perciò le contraddizioni dei
nostri filosofi si risolvono di per sé
medesime; si risolvono e correggono per
necessità storica : le risolve e
corregge la storia ella
stessa;
rebt4S ipsis dictantibus. In altre parole,
il terzo periodo è un ricorso, direbbe
1' Autore della Scienza Nuova; è un
ricorso d'uà corso, cioè un ricorso
del primo periodo. Ma cotesto ricorrere
non è già un sem- plice ripetersi,
bensì é un ripetersi che si rinnova
neces- sariamente, ciò è dir razionalmente :
ecco la ragione del suo verace
progredire. Quale é dunque il problema
che la storia del nostro pensiero
filosofico tende a risolvere? È sempre
l'antico, l' antichissimo problema, or divenuto novissimo:
la correzione e l' accordo della doppia
e vec- chia esigenza naturale e
iperpsicologica, empirica ed a priori,
positiva e ideale. Quale n' è poi il
risulta- mento? È il trionfo dell'indirizzo
medio; è Finvera- mento successivo,
progressivo e razionalmente neces- sario di
tale indirizzo; ed è quella perennis
phUosophia
del
Leibnitz la quale non è fatta, ma
si fa, e sempre più si farà. Abbiam
detto che in questa terza età la
Ragione sommette l'Autorità, trionfa dell'
Autorità, e la riduce ne' suoi giusti
confini. Or nell' ordine de' fatti
che cosa veggiamo? Ci è dato osservare
(noi fortunati 1) la mede- sima legge.
Il grande spirito nazionale trionfa di
Roma ; riduce a ragione l'Autorità; la
fa ragionevole. E questo gran fatto
accade anch' egli per necessità e
provvidenza storica: rebus ipsis didantìbus.
Accade senz'av vedercene; accade senza grandi
rumori; accade senza grandi stre- piti guerreschi
; accade senza i temuti fiumi di
sangue. Evidentemente il pensiero filosofico
italiano è provvi- denziale I Egli è
già penetrato nella gloriosa ma altret- tanto
ardua, altrettanto spinosa e travagliosissima
età umana! La legge de' tre periodi,
che noi abbiamo a fugge- volissimi tocchi
tratteggiato ne' suoi caratteri essen- ziali
e differenziali, non è, al solito,
una legge dia- lettica, non è legge a
priori, non è legge sistematicaj non è
legge organica nel significato che
vorrebbero darle gli HegeUani. È una
legge, ripetiamolo, essen- zialmente storica e
psicologica: e la necessità a cui
ella è
informata, anziché dialettica, è anch'essa
di natura storica e psicologica. Non è
dunque una trico- tomia ideale, dialettica,
logica e trascendentale applicata alla
genesi del nostro pensiero filosofico; ma
è una di-
visione
risultante dal fatto stesso della storia,
e qì è confermata dalla genesi deUe
funzioni psicologiche. Interpretando così la
storia della filosofia italiana, il nostro
Binnovamento speculativo non pur si presen- terà
come un' esigenza della Ragion teoretica,
ma come un profondo bisogno altresì
della Ragione storica, I fini perciò
a' quali potrà e dovrà pervenire lo
storico della nostra filosofia saranno
questi: 1" Egli così avrà dato
forma razionale al movi- mento filosofico
del pensiero italiano, a contare dalle sue
proprie origini fino ai dì nostri: 2**
Avrà legittimato la Scolastica e la
Biflessione teologica^ facendole servire entrambe
allo svolgimento isterico del nostro
pensiero filosofico: 3* Avrà schivato le
pretensioni esclusive, le inter- pretazioni
erronee, infedeli e parziali degli
storiografi hegeliani che altro non veggono,
sì nella nostra come nella universale
storia della filosofia, fuorché il trionfo d'un
Aristotelismo o d'un Platonismo interpretati,
ri- maneggiatie rimpastati a tutto lor
comodo e favore: 4* Potrà giustificare
la rinnovata Filosofia Positiva Italiana
correggendo l'Arabismo vecchio e nuovo, correggendoil
vecchio e '1 nuovo Positivismo,
legittimando la vera esigenza platonica e
la vera esigenza aristote- lica,e
dimostrando col fatto il progresso nel
corso del nostro pensiero filosofico mercè
il trionfo dell'indi- rizzo medio: 5*
Finalmente potrà porger modo alla storia
po- litica, alla storia civile e alla
storia letteraria del nostro paese d'
attingere significato razionale e razionalmente positivo,
elevandole a dignità filosofica legittima.
Fuori di questi principii è impresa
vana pretendere d' impri- mervalore scientifico
alla storia del popolo italiano. INDICE
DEGLI AUTORI GHB DI
PBOPOSITO 0 PER
INCIDENTE TRATTANO DELLE DOTTRINE DEL
VIOO (dal 1711 AL 1870).» Giornale de*
Letterati oT Italia, Osserrazioni al
primo libro De Antiqttig' eima Italomm
Sapìentia, T. V, art. VI, t. VIII,
art. X. Venezia, 1711. G. Clbbioo,
JBihl anL e mod. Voi. XVIII, p.
Il», art. Vili, 1722. Concinna, Originia
futidamenta et capiUi prima JurÌ9 Naturalie.
Pado- Ta, 1734. Damiano Romano, Difeta
storica delle Leggi Oreche venute a
Roma contro V opinione moderna del
signor Vico, Napoli, 1 736. — Quattordici
Lettere evi terno principio della Scienza
Nuota ec. Napoli, 1749. Ganassoni, Memoria
in difesa dd principio dd Vico
tu V origine delle XJI Tatcle. Opasc.
del Galogerà. *RoOADEl, Saggio del Diritto
pubblico o politico del Regno di
Napoli, DdV antico Stato de* popoli d*
Italia Cistiberina. Vedi anche Colan- OELO,
Biblioteca analitica ec. 1 Diamo qui
tale indice tanto in servigio e
compimento della storia e della critica
fatta nel primo libro sn gli
scrittori che han parlato del Vico,
quanto per ehi amasse di ripetere i
medesimi studi, e far le medesimo
ricerche da noi fatte. Di alcuni di
questi autori, come aTrertìmmo, non ahhiam
creduto prezzo deir opera far cenno; d'altri
poi non abbiam potuto, segnatamente d*
alcuni venuti alla luce quando la
prima parte del nostro layoro era già
in eorso di stampa, come per esempio
del Qalatio, del D§ luca, del Sarchi
(traduz. del Libro ì Mstafisieo), del
Laurent e di qualcun altro. Tutti gli
abbiam letti o consultati 0 studiati
secondo ohe richiedeva non solo il
proposito di questa nostra opera, ma
piti ancora quello della seconda che
pubblicheremo intorno ai Prineipii della Sociologia.
Non abbiam potuto. leggere gli articoli del
Wotf e dell' Or««t, la Prefatiom del
Wsbsr alla trad. della Sdenta Nuovuy
ì Fogli $parsi del QOichet e gli
scritti di C. B. MUller e del
Cauer ; ma ne abbiam dato giudizio
traendone notizia da fonti sicure.
Disporremo qnest' indice, quant' ò
possibile, secondo Vordine cronologico, affinchè
sia fatto più chiaro il pensiero a
cui è informata la 1* Parte del
presente lavoro. G. Laui, Novelle
Letterarie, Firenze, 1740. Vedi pure nelle
note al Meursio. FlKETTi, De PrineipiU Jurx$
Naturce et Oentiam adver$tu
Bòbbeatum, Pu/endorjium, Woljium et alio». Venetiis, Bettinellus, 1777. Sommario
delle opposizioni del Sistema Ferino di
Vieo alla Sacra Scrittura. — La faUità
dello Stato ferino: Appendice al
Diritto di Natura e delle OentU E.
DuNi, Op., edi?. completa per cura
del Gennarellì. Roma, 1845. (Scienza del
Coetume. — Saggio sulla Giurisprudenza
Universale. — Origine e progressi del
Cittadino di Roma, 1763.) A. BuoNAFEDR,
Istoria critica del moderno diritto di
Natura e delle Genti (stampato la
prima volta nel 1766: la 2« ediz.
fu fatta a Perugia in sa lo
scorcio del secolo passato). I. Stbllini,
Opera omnia. Padova, 1788 (specialmente
nell'Opera, Do Ortu et Progressu morum). M.
Delfico, Ricerche sul vero carattere della
Giurisprudenza Romana • de* suoi euUori.
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1887. (I Saggi PoliHei furon pubblicati
in Na- poli neir ultimo decennio del
secolo passato.) V. Cuoco, Platone in
Italia. Milano, 1804 (idem). G. FiLAKGiBBl,
Scienza della Legislazione. Firenze, 1865
(idem). V. Monti, Prolusione agli ttudii
ddV Università di Pavia. Milano, 1804. U.
Foscolo, Discorso deW origine e deW
ufficio della letteratura, 1805. Vedi nelle
Lezioni d'Eloquenza, ediz. di Napoli, 1838. WoLP,
nel Museum der Alterthumwissenschafi. Berlino,
1807. 6. Orblli, Vico e Niehuhr. Museo
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Sulla natura e necessità della Scienza
delle cose e delle Storie umane.
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Gottinga. 1819. COLANOELO, Saggio di alcune
considerazioni suUa Scienza Nuova del Vico. Napoli,
1821. G. RoifAGKOSi, Osservazioni sulla
Scienza Nuova. 1821. G. Weber, traduzione
della Scienza Nuova. Lipsia, 1822. G.
Db Cbsarb, Sommario delle dottrine dd
Vico, compilato sulla 8" ediz. della
Scienza Nuova fatta dallo stesso Vico
nel 1744, e pubblicata nelPcdiz. dello
stesso libro del 1826 in Napoli. -S.
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di G. B. Vico, prima edizione pubblicata
dall'Autore il 1725 riprodotta e annotata.
Napoli, 18*26. CHE TBATTANO DEL VICO.
537 Michelet, Prineìpca de la PkiloBophic
de VHUtoìre, traduits de la Scienza Nuova,
Paris, 1827; ripubblicata con
le altre opere a Bmzelles nel
1889. G. Ricci, néìV Antoloffia del
Vleussenx, Firenze, nei fascicoli N» 88,
92 del 1828 (stadio critico su la
tradazione fatta dal Michelet). lìivitta
Enciclopedica f Fascicolo d'aprile 1828 (art.
sa la tradazione del Michelet). LBBXiinEB,
Initoduction generale à VBittoire du Vroit.
Paris, 1829.
Bietoire
de la Philotophie du Droit. Bruxelles,
1830 (nel Tom. II). Ballanchb, Opere. Paris,
1830, voi. IH e IV. T. JouFFBOY,
Mélangea Philo$opMqu€$. Bruxelles, 1831. V.
CousiK, Oaurs ec, 2« serio, tom. II.
Paris, 1831. Introductxon b. VHieioire de la Phil.f
Lea, II, T. Maviani, Rinnovamento della
Filonofia antica italiana, Pari^, 188i. L.
T. (LniQi Tonti), Saggio aopra la
Scienza Xuova di 0, B, Vico, Lu- gano,
1835. '*'. PREDABI, Op. del Vico con
traduzioni e commonti. Milano, Bravet- te,
1836. G. Febbabi, Op. del Vico
ordinate ed illustrate coW analisi détta
MenU del Vico ec. Milano, Società
Tipografica, 1835-37. Édit. compllte dee
oeuvre* de Vico, en six voi. Paris,
1885-37. Vico et r Italie. Paris, 1839. -
— Eeeai sur le principe et le$
limites de la Philoeophie de VBittoirt Paris,
Joubert, 1843. Vico et VItcdie (nella
Recue dee Deux ^fond€9, 1888), C.
Cattaneo, Vico e V Italia (nel
Politeniico, voi. II). St. MrLL, Sifithne
de Logique, 1» ediz. (nel voi. II). A.
RosviNT, Il Rinnovamento della Filosofia in
Italia propoeto dal Conte Terenzio Mamiani
della Rovere, Milano, 1886. (Vedi pure
nella Filo- •ofìa del Diritto, voi.
II, e nella Filosofia politica.) G98CHEL,
Zerstreute Bldtter, nella Rivista
Giuridico-filosofica. Schlous- Singen, 1887. A.
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e sulla filosofia della Storia, letto
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nel 184!. T. Maviani, LrUere intomo
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filosofici, MDCCCXL, Venezia, voi. II. BonCHEZ,
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Vico, trad. par Tautear de Tessa! sur la
formation da Dogme Catholiqae. Paris, 1844. Della
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ossia Santo della Seiema Nuova di Q.
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1844. G. La Farina, Storia (T Italia,
narrata al popolo italiano. Firenze, Poligrafia
italiana, 1846, yoI. I, Prefazione. S.
Centofakti, Una Fortixola logica della
filosofici della storia, Pisa, 1845. N.
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Silvestri nel 1848. F. CARyiGNANl, jStona
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Giambattista Vico al cospetto dd secolo
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VicoOleine
^c^/ten Neuhrandehurg. 1854. F. BouLLiKR,
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II). B. Poli, Manuale della Storia
della Filosofia del Tenncmann, voi. IV, Milano,
1855. A.
De Carlo, Istituzione filosofica secondo %
principii di G, B, Vico, divisa in
quattro volumi. Napoli, 1855 (1<>
volarne). C. Giani, DeW unico principio
e deW unico fine dell* universo
Diritto. Oper.a di G. B. Vico tradotta
e commentata coir aggiunte di appendici relative
alla materia dell* opera stessa. Milano,
1855. — — Della eguàU autorità e
naturale amicizia di tutte le scienze. Milano,
1870. Caubr, nel Museo tedesco, 1857. E.
Amari, Critica d* una Scienza dille
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Sordo-Muti, 1857. V. FoRNARi, DéW Armonia
Universale, 1* ediz. Napoli; 2« ediz. Firenze,
1863. E. Faonani, Ddla neeessità e ddT
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e sue pratiche conseguenze, Napoli, 1867. —
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a Gian Battista Vico. Cremona, 1868. •A.
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Battista Vico^ pubblicate da nn Codice
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Sapienza antichissima degV Italiani. Siracusa,
1869. G. Jaoobt, Cantoni Hher Vico,
rivista pel giornale La Psicologia de'po- poli.
Berlino, 1869. A. Vera, Introduzione alla
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LuOHiNl, Critica della pena, e svolgimento
di alcuni principii intomo al Diritto
di punire. Firenze, 1869. H. DeFbrron,
Théorie du ProgrU. Paris, 1869 (nel
voi. I). Vacherot, Science et Consdence,
Paris, 1870. 540 INDICE DEGLI ÀUTOBI
CHE TRATTANO DEL TIGO. F. DeLuoa,
Saggio ontologico sulle dottrine delVAquinate
e del Vico. Napoli, 1870. F.
Laurent, Op., Études sur VHistoire de
Vhumanité^ tom. XVIII. Porìs, 1870. C. Sarchi,
DelC AiUica Sapienza degV Italiani riposta
nelle Origini ddla lingua latina, col
testo a fronte e Prefazione, Milano,
1870. C. Cantù, nella Storia Universale,
e nella Storia degV Italiani, MlCHAUD,
Biographie universdle, lett. V. PotfBA,
Enciclopedia, lett, V. Frane, Bictionnaire
dea Sciences Phil, (J. B. Vico). Bartholmess,
Dietionnaire dee Sciences PkU., voi. VI. A Terenzio Mamiani
della Rovere Pag. v Avvertenza vii Iktroduzione.
— Positivismp, Idealismo aseoluto e Filo- sofìa
Positiva Italiana 1 STORIA DELLA SCIENZA
NUOVA e critica de' critici, dejl'
interpreti e degli espositori delle dottrine
del Vico. Preambolo 33 Capitolo I. Periodo
degl' imitatori e degli oppositori .
36 > IL Periodo de' critici e
degli eruditi 53 > III. Continua il
periodo de' critici e degli eruditi.
81 » , IV. Periodo degl*
interpreti filosofi 95 » V. Continua il
periodo degV interpreti filosofi. 131 >
VI. Conclusione. (Conseguenze. Forma
della mente, e carattere delle opere
del Vico. Valore della nostra critica.) 155 >
VII. Vico, Leibnitz e il Cartesianismo 174 »
VIIL Delle due moderne filosofie,
Germanica e Italiana i . 188 INTERPRETAZIONE
DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. Preambolo ' 210 Capitolo
I. Dottrina della scienza e del
criterio .... 216 » IL
Del criterio e del metodo nella
scienza . . 239 Òtà INDICE DELLE
MATERIE. Capìtolo III. Posizione e critica
del Principio specula- tivo Pag. 250 »
IV. n Platonismo e V AHstotelismo nel
pro- blema psicologico 278 > V. Organismo
e processo psicologico. {Fon- damento razionale
del processo {storico.) 311 » VL Genesi
e teleologia psicologica. 342 » VII. Del
conoscere metafisico. (Critica de^ mo- derni
Neoplatonici.) 365 > Vin. Continua lo
stesso argomento. {Critica del
Neoaristotelismo : Positivismo ed He- gélianismo,)
388 » IX. Su la ricerca dell* Assoluto
secondo la Ra- gion filosofica positiva 415 »
X. Del Principio metafisico 434 » XL
Sul moderno concetto della Creazione e della
Provvidenza 453 » Xn. Deir
attività creativa ne* diversi momenti del
Processo cosmico 469 » XnL
Darwinismo, Scienza Nuova e Sociologia.
492. » XIV. Conclusione dell' Opera, e
idea su la Sto- ria della Filosofia Italiana
514 Indice degli Autori che di
proposito o per incidente trattano delle
dottrine del Vico 535 ERRATA. Pag. 7, T.
4. operazione immediata, per operazione
mediata, — Pag. 28, T. 9 e^non
potrebbe non rieecire, per e* non potrebbe
rietcire, — Pag. 57, T. 6. quel eerto
Jiloeofoy per certo, quelfloeofo. — Pag.
98, v. 12. tuo*dirc, per vo^ dire. —
Pag. 113, v. 18. Crieto quel centro
maeeimo, por Cristo, qvidl centro massimo,
— Pag. 203, ?. 12. jUosofia
fisiologica, per Jìlosofia etisologica, — Pag.
212, T. 16. assommano la ragione, per
assommano le ragioni, — T&g. 221, v.
29. Firtz, per iVr««. — Pag. 222,
v. 13. degVim-, ponderabili suW esistenza,
per degV imponderabili e deW esistenza. — Pag.
232, V. 89. Sft^rji vrr(xpx,tt to, per
fyi?:?? V7ra^;^«e
to'. — Pag. 288, 7. 7. Sovsifiit, per
juva/xee. — Pag. 288, v. 9. tovto,
per toùto. — Pag.247,v.84.x— Jiaviafjperxat —
Jtavoiat;. — Pag.253,T.80,7rauTt, per Travri. —
Pag. 269, t. 88. affermazione promessa,
per affermazione promossa, — Pag. 280, T.
37. ù^iirpòi, per wc irpò^. — Pag.
290, V. 19. x**^' auTvJv, per xar'
auTvjy. — Pag. 292. t. 29.
Avto7s tv, per Auto yt to. — Pag.
292, v. 40. Sovo^iisi Zwki'v s^'^V^^' ^®^
SvvdfjLii ^w>7v ?yovTOf. — Pag. 294,
v.3l. rsOo^tov, per fAi9óptoy. — Pag. 295,
T. 8. tfivafjicf, per Svvafiig, —
Pag. 297.
t. 4. TdJ ^9vzx 7tvgG'5a, per to'
nuvroc yiviaOxAi. — Pag. 335, v. 2S.
altro potrebb* es* sere, per altro non potrtbV
essere. — Pag. 845, T. 80. e
perciò era visione, per e perciò visione.^
Pag. 351, v. 20. aXXov «^eu/xaTOtiv,
per aXXwv a?to/iaTwv. — Pag. 862, v.
87. tololtyi?, per Tuvxng. — Pag. 385,
T. 2gL Tra/DOff ta, p«r Tra^ou^ca. —
Pag. 387, v. 34. che le fa iìUendere,
per che la fa intendere. — Pag.
408, y. 18. di coglierne concetto, per
di coglierne il concetto. — Pag.
418, t. 4. es egreift, per es
ergreift, — Pag. 413, V. 4. dans an
sich, per das an sich. — Pag. 417, v. 35.
Jtvoljixffovt, per ^vva/X8VG(. — P&S* 489, v.
41. e s^ avvilirebbe, ^r e* s* avvilirebbe. —
Pag. 441, V. 22. ytuVe?, per f^J7t(.
— Pag. 442. v.25. /*v?5>j, per
iit$è. — Pag. 444, y. 4. ^a£va-5ae,
por yaevjo'^'at. — Pag. 444, v. 87.
rxpoi^vy' |xaTa, per 7ra^a?£t7fAaTa. ^ Pag.
445, y..20. del Dio aristotelico, con; per
del Dio aristotelico che con, — Pag.
468, y. 40, in due e cantra- rie
sentenze apposite, per in due apposite
e contrarie sentenze — Pag. 470, y.
29. yjppxsi ro,v^r vnapxst to. —Pag. 478,
y. 17. to (^trepov, per TO 5«UTe/)0v. -- Pag. 478, y. 22.
to' rra^Xo, per tÒ oiWo, — Pag. 478,
V. 83. delV atonicità, per déV atomicità,
— Pag. 480, y. 19. creare vuol non
dire, per creare non vuol dire. ^
Pag. 504, y. 12. ci son addate, por
ci son additate. — Pag. 520. y.
15. e correggendo, lui; per e correggendo
lui. — Pag. 528, y. 4. chi,
davvero, ragion teologica; per che, davvero,
la ragion teologica.
Pietro
Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia di Vico, ateneo felsineo, l’unita
organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii
metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The
Swimming-Pool Library.
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