SUL RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA POSITIVA IN ITALIA PBOrESBOBB DI FILOSOFIA NELLA R. UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA, QlX PB0FES80BE NEL B. LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G. BARBÈRA, EDITORE. PRINTBD IN ITALY^^^^^^ -,^ ,^ . i ,;atana Quest'opera è stata depositata al Ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio
per godere i diritti accordati dalla logge sulla proprietà letteraria. G. BarbI'.ra.
!', (rcnuitifi TERENZIO MAMIANI DELLA ROVERE. Mio SiQsoR Conte. Ella fu primo tra i moderni italiani a tentare un rinnovamento della filosofia ^ e a Lei pure spetta il vanto d' aver continuMa e compiuta la nobile tradizione de' OaUuppi^ de Bosmini e de' Oióbertij della quale per fermo rimarranno durevoli tracce nella storia dd pensiero nazionale. A chi dunque meglio che dUa, S. V. potrei intitolare questo mio saggio j il quale mira al fine medesimo cui Ella indirizzava il suo primo lavoro? Che se talora^ per quella libertà di giudizio alla quale Ella stessa educò le nostre menti con le sue dotte scritture^ troverà contbaittUi in queste pagine akuni jprincijpii da Lei propugnati ^ non vorfà perciò reputare scemato qud senso di schietta riverenza chcy come ai pochi sommi onde si onora U paese nostro, le professano tutt^ i cid tori degli studi severi. Anzi novella prova di questa larga tolleranza io m* èbbi testé, quando, con la squisita gentilezza che in Lei è natura, Le piacque accettare V offerta di questa mia fatica. La quale io spero vorrà giudicare benignamente: al che mi conforta pure il ricordo di certe argute parole ch^ Ella dicevami ima volta chiudendo un lungo conversare circa le gravi divergenze delle diverse scuole filosofiche: «porro unum necessarium ! coscienza e fervore nel lavoro: il resto verrà da sé. » Suo deditissimo P. Siciliani. BiTiglìano presso Monte Senario In questo salutare innovamento politico d'Italia cui assistiamo trepidanti, un libro di rinnovamento filosofico dovrebbe giugnere opportuno e gradito. Perocché se tutti oggi andiamo ripetendo l'arguta frase d’AZEGLIO — fatta ormai V Italia, Insogna far gV Italiani^— parmi sia d'uopo cercare di rifarci innanzi tutto nell'intimo di nostra coscienza, nella radice, nella sorgente stessa d' ogni umano e civil progresso, eh' è dire il pensiero filosofico. Andare a Roma, grazie agli eventi fortunati e al nostro buon diritto nazionale, non è stato guari difficile, né sarà difficile, speriamo, potervi restare. Ma vi staremo senza dubbio materialmente, se Roma, la vecchia Roma, il pensiero cattolico non si verrà anch'esso riformando e svecchiando. La qual cosa certo conseguiremo per gradi e con le arti che dovrebbe saperci dare la sapienza politica, civile e amministrativa ; ma gioverà non dimenticar mai come l' espediente più d' ogn' altro efficace e sicuro ad opera siffatta, sia per appunto una rinnovata filosofia n bisogno di restaurar la filosofia surse di buon'ora neir animo degV Italiani ; il* che parrebb' essere un d^' caratteri speciali della storia della nostra speculazione, sino da quando gli scrittori del Rinascimento, scosso il giogo della scolastica, mandavan fuori i lor libri col titolo De PhilosophÙB renovatione. Né quindi è a meravigliare se cotal necessità sia venuta crescendo sempre più nelP animo e nella mente nostra col succedersi degli anni, tanto che a siffatta impresa nobilissima abbiam visto provarsi gV ingegni più illuminati e fecondi: primo fra tutti, in questo secolo, il Mamiani col Binnovamento della Filosofia antica Ualiana^ e, poco appresso, il Rosmini col Binnovamento della Filosofia in Italia; indi il Gioberti con la Introduzione aUo studio dèlia Filosofia, con la quale mirava anch' egli ad una restaurazione filosofica nel nostro paese; e, per ultimo, il professore Spaventa ha procacciato volgere anch' egli al medesimo intento le sue dotte scritture, in ispecie quella su la Filosofia dd Gioberti. Se non che rinnovare, pel filosofo di Pesaro, altro non voleva dire se non restaurare certi principi! e richiamare in vigore alcune industrie metodiche de' filosofi appartenenti, la massima parte, all'età gloriosa del nostro Risorgimento. Talché, quando il Rosmini gli fece toccar con mano i pericoli ne' quali s' era messo mostrandogli come il Binnovamento proposto da lui conducesse diritto ad una maniera di sensismo, e' venne modificando siffattamente le dottrine propugnate nel suo primo libro, che dopo trenta e più anni s' é studiato nelle Confessioni d'un Metafisico d'inaugurare un novello Platonismo, siccome forma di filosofare acconcia air indole della mente italiana. H Roveretano poi non solo mirò a restaurar cose vecchie, ma volle produrre altresì qualcosa di nuovo. E pur nullameno, chi guardi ben addentro ne' copiosi e disameni volumi che seppe darci quella mente potentissima, tranne il • problema psicologico eh' ei giunse ad illustrare in guisa davvero originale, ogn' altra cosa in lui parrebbe invecchiata e quasi stantia. Della stessa menda riesce offesa la Introduzione del Gioberti. Che V ardente e generoso autore del Primo^ intendeva svecchiare (come diceva, gloriandosene, egli stesso) le idee cardinali di quattro o cinque filosofi cristiani, il cui sussidio e autorità invocava quasi ad ogni voltar di pagina. Non parlo qui del rinnovamento eh' e' veniva meditando nella Protologia: nella quale senza dubbio avremmo avuto germi fecondissimi di vera e solida ristorazione filosofica, se a queir ingegno privilegiato e supremamente italiano fosse stato pur conceduto imprimere valore diffinitivo, forma netta e coerente, alle diverse dottrine che con ansia febbrile andava saggiando e trasmutandosele in sangue. Per contrario SPAVENTA, del quale abbiamo in grandissimo pregio l'ingegno e l'amicizia, intese dare anch' egli nuovo indirizzo al pensiero italiano, ma battendo ben altra via; la via del- l'Idealismo assoluto. E studiossi d'inserirci nell'animo e nella mente i principii dell' Hegelianismo, per due ragioni: sì perchè egli pensa esser questo il vero e compiuto sistema di speculazione, almeno secondo che viene interpretato da lui ; e sì perchè gli è parso d'averne rintracciato i germi in certi nostri filosofi a cominciare dal Telesio, per esempio, fino al Gioberti. Fer noi rinnovare non vuol dir solamente richiamare, instaurare, svegliar dalP antico, né solamente importare dal di fiiora; che sì nelF un caso come nelr altro il rinnovamento, anziché naturale, spontaneo, autonomo, storico, riescirebbe artifiziale, imposto, incosciente e, dirò quasi, meccanico. Vuol dire bensì far da noi: far da noi con elementi che ci appartengano, ma tali che serbino (ciò che più monta) ^virtù d' originalità e di verace modernità. Vuol dire » insomma esplicare; né si può esplicare senza correggere, compiere, inverare. Avremo sbagliato strada anche noi? Potrebb' essere! Non saremmo i primi, e, certo, neanche gli ultimi. In qualunque modo . ci sembra che, pure sbagliando, noi non resteremo troppo indietro fra le mummie, né avremo corso tropp' oltre col pericolo di fiac- \ card '1 collo. So ben io che i Positivisti fan presto ; ad innovar la filosofia radiandola addirittura da' libri ^ e dandole il ben servito dalle nostre scuole grandi e mezzane, quasi fosse un trattato di teologia dommatica. Ma costoro avrebber fatto i conti senza Toste. £ r oste in tal caso é lo stesso pensiero, anzi la mente stessa, dalla quale per nostra fortuna mai non riesciranno a sradicare il profondo e sempre più acuto bisogno del filosofare : senza dir già che, s' ei riescissero ne' loro intenti, scambio di sciogliere V intricato nodo, altro non avrebber fatto che tagliarlo di netto ; e che potessero giugnere a tagliarlo con sicurezza ninno il crederà, pensando come la spada eh' e' ci brandiscon sul viso non par che somigli quella del gran discepolo d'Aristotele! Accennato il carattere generale ed il proposito del mio saggio, toccherò della sua forma e del suo disegno. Mi si potrà chiedere : È egli cotesto vostro saggio un lavoro di genere critico, storico, monografico, ovvero dommatico? A parlar proprio non è nulla di tutto questo. Un lavoro d' indole dommatica, per solito, dee racchiuder l'esigenza d'un sistema nuovo, d'una dottrina ori- ginale, se pur non voglia esser vana ripetizione ed increscevole imitazione del passato. Ora un novello) sistema filosofico oggi sarebbe impresa da muovere a riso, od a pietà. Sono ormai ventidue secoli, e noi, tardi nepoti, ci andiamo pur sempre aggirando, ivi sostanza, fra il Platonismo, e l' Aristotelismo. La qual cosa non recherà maraviglia a chi consideri bene la storia del pensiero filosofico, nella quale, volta e gira, non si può esser che con l' uno o con l' altro sistema, ovvero fra l' uno e l' altro, e però con tutt' e due, se pur non vogliamo smarrirci inevitabilmente e miseramente in una forma di scetticismo, o di nullismo. Ai di nostri, dunque, un nuovo sistema filosofico p^rmi utopia, sogno e, stavo per dire, ciarlatanismo. L' ingegno filosofico oggi deve assumer valore di funzione critica rintegrativa, nella quale si faccia luogo alla concorde attività di due forze, la storia e '1 pensiero, che vuol dire il fatto e '1 da fare. La monografia poi, o è d'indole semplicemente storica e obbiettiva, ovvero d' indole critica. Se storica obbiettiva, ella avrebbe a essere, dirò così, un fedel ritratto, una perfetta immagine della mente d'un filosofo, 0 di tutta una scuola di filosofi. Or cotesto immagini e ritratti, se da una parte tornano inutili e infruttuosi stantechè non facciano che ripeter sot- t' altra forma cose che potremmo leggere nella stessa lor fonte, dalP altra mi paion quasi impossibili, perchè è impossibile penetrar davvero nelle intime viscere del pensiero altrui, e farai dentro alle occulte pieghe della mente d' un filosofo. H notissimo detto di Kant si può e devesi applicare anche qui: quidqtUd recipUur, ad modum recipietUis recipitur. Che se poi la monografia è di genere critico, ella riesce assai pericolosa; perchè trattandosi d'interpretare, è pur facilissimo affibbiare agli altri quel che invece frulla
nel capo nostro ; nel qual vizio intoppano, com' è
^ noto, gli Hegeliani, sì per la natura stessa del loro
metodo, e sì per le secreto esigenze del loro sistema.
Da ultimo, un lavoro di genere puramente istorico
oggi non dovrebb' essere impresa molto ardua fra
tanti libri storici che ci piovon da tutte le parti.
Basterà sposare un sistema, una dottrina da farla
servire qual criterio giudicativo; basterà un po' d' acu-
me critico, un po' di tedesco per le citazioni obbligate
a pie di pagina, e poi molta e molta dose di pazienza
e di sgobbo per raccogliere e adunar notizie e teo-
riche da farle servire al criterio giudicativo che ci
torna comodo.
Per me l'ideale d'un buon libro, l'ideale d'un libro
serio, coscenzioso e positivo di genere filosofico, oggi
dovrebb' essere, diciamo così, una sintesi di tutt' e
quattro cotesti aspetti o condizioni le quali, guar-
date disgiuntamente e solitariamente, si palesan man-
chevoli tutte e difettose. Ha da essere perciò, nel
medesimo tempo, monografico, isterico, critico, e anche
dommatico sino a certo segno. Cotesto ideale (negozio
non molto agevole, come sanno coloro che se ne inten-
dono e che possiedono quel che dicesi gusto de^ lavori
filosofici), non può essere un ricamo sovra una stoffa
altrui, e neanche un parto assoluto del nostro cervello ;
sibbene ha da essere il risultamento di due forze com-
binate, come dicevo poco fa ; ciò è dire della mente
di chi scrive, e di chi per avventura possa più spic-
catamente rappresentare il corso tradizionale della
scienza. A questo sol patto sarà dato pervenire al
connubio fra la teorica e '1 fatto, tra la scienza e la
storia della scienza, portandole entrambe ad un fiato^
come direbbe il filosofo nel quale io amo attingere
ispirazioni. Laonde chi volesse oggi filosofare con co-
scienza , dovrebbe saper costruire, come dicon gli
Hegeliani (e qui dicon benissimo) ; ma dovrebbe co- ^
struire senza tradire, che è per V appunto il gran
guaio della critica hegeliana.
•
Questa grave difficoltà parmi d' averla superata,
s' io molto non m' illudo, E mi pare d' averla supe-
rata, perchè il mio libro è come la sintesi e vorre'
dir la fusione razionale e organica de' quattro aspetti
quassù rammentati ; e tal sarebbe la novità Cquant' al
disegno e alla forma del lavoro) alla quale vorrei
pretendere, se avessi coscienza d' aver raggiunto lo
scopo. Cotesto scopo, lo veggo da me, io non ho
potuto raggiugnerlo, perchè ho dovuto costringere
e rannicchiare il mio pensiero entro un dato numero
di pagine, affogando in nota molte e molte cose alle
quali avre' voluto pur dare ben altro svolgimento e
fisonomia. Però chiedo un po' di compatimento quant'al
modo col quale ho incarnato il disegno, ma domando
severità di giudizio quant' alle idee. Le quali, medi-
tate da me per tempo non breve, sento di poter
difendere contro chi vorrà farmi V onore d' una cri-
tica non leggiera, non velenosa, non da scuola, né
da sacristia (alla quale non saprei rispondere, né
risponderò), ma d'una critica seria, onesta, profit-
tevole. Il Gioberti scrisse che il critico onesto e co-
I scienzioso deve durar la metà della fatica spesa dal-
l' autore nel meditare e scrivere un' opera di scienza.
|Leibnitz andava molto più in là, e richiedeva da'lettori
quasi '1 medesimo lavoro sostenuto dallo scrittore. Io
non pretendo, né davvero posso pretender l' una cosa,
né r altra : ma certo potrò desiderare che, chi voglia
giudicarmi con qualche serietà, debba leggere e (se
oggi non fosse troppo) meditare un po' le cose ch'io
dico. 11 che ho voluto qui avvertire, perché, se può
dubitarsi che in politica esistano le cosi dette con-
sorterie, certo é che tra' filosofi cominciano a far
capolino certe fratellanze le quali giudicano d' un la-
voro a priori, guardando solo al titolo e al nome del-
l'autore. Dio ci liberi dalle fratellanze filosofiche!
Esse per me, a dirla schietta, sono altrettante Com-
pagnie di Gesù negli ordini del pensiero e della li-
bera speculazione metafisica.
Questo mio libro, e l' altro che terrà dietro
su' principi della Sociologia^ non é l' espressione di
nessun partito, di nessuna setta, di nessuna scuola.
Non é frutto di speculazioni e ricerche passionate, per-
che io non mi sento schiavo di nessuna scuola, servo
di nessun nome, né milito sotto nessuna bandiera
più 0 meno germanica, italica o francese che sia.
\Baiùmem, quo ea me cumgue ducete sequar: ecco
tutto. Neanche sarebbe una di quelle novità sba-
lorditole alle quali siamo avvezzi da dieci anni a
questa parte. Esso anzi è la più modesta cosa del
mondo: che per quanto il titolo paia ardito, non sarà
tale per chi ripensi, come la sostanza delle dottrine
eh' io propugno non mi appartenga in modo assoluto.
S'altri mi darà dell' ecclettico, risponderò d'esser
tale precisamente, ma nel profondo significato che
costumava dare il Leibnitz a questa usata e abusata pa-
rola. E se qualcuno poi trovasse, che questa o cotesta
dottrina alla quale verrò accennando non sia propria-
mente dell' autore eh' io dico d' ormeggiare nel metodo
e Dell'indirizzo filosofico, tanto meglio per me. Ri-
sponderò come in un caso simile rispose egli medesimo
a certi suoi avversari : « Che se finalmente non volete
» ricevere questa sentenza come di Zcìione^ mi dispiace
» di darlavi come mia; ma pur la vi darò sola, e
B non assistita da nomi grandi. »
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SUL RINNOVAMENTO
FILOSOFIA POSITIVA IN ITALIA.
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INTRODUZIONE.
POSITIVISMO — IDEALISMO ASSOLUTO
E FILOSOFIA POSITIVA ITALIANA.
€ Le cose fuori del loro stato naturale
non dnrano né s' adagiano. » — Vico.
Non intendo scrivere la storia, e tanto meno far la
crìtica minuta del Positivismo; indirizzo che, come ognun
sa, non senza buon§ e diverse ragioni invade oggi e per-
vadeTa mente di molti filosofi, di scienziati, di storici e
scrittori d'ogni maniera. Altra volta m'avvenne d'accen-
nare alla parte debole di cotesto, diciamolo pure, sistema
filosofico. E allora parvemi, fra 1' altro, di provar que-
sto: che il Positivismo, secondo il concetto che se ne
sono formati segnatamente i Francesi, non pur mancava
di storia, ma non può averne avuta di nessuna sorta.*
Oggi poi dovrò intrattenermi a ragionare su le dir.
verse forme che il Positivismo ha preso e può prendere
in avvenire, giacché ormai comincia ad avere anch'egli
una storia, per brevissima che sia, da raccontare; e
[quindi rilevare certa parentela ch'egli ha con l'Hege-
'lianismo. Nel quale riscontro probabilmente meriterò
anch' io, dall' alto giudicatorio su cui siedon gli Hege-
liani, la solita commiserevole sentenza che, com'è pur
* Vedi Critica del Positivismo, Bologna, Tip. Monti, 1868.
5ICILUM. 1
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troppo noto, suona così: Pover'uomo, non ne capisce
niente di niente; non Im dramma di potenza speculativa, ^
ne briciolo di nerbo dialettico! Mostrerò, da ultimo, se .
una vera forma di Positivismo, ch'io chiamerò Filo- i
sofia Positiva italiana, sia per avventura i)ossibile; e]
in qual maniera si possa, mercè sua, pervenire a cor-
regger r uno e compiere V altro de' due sistemi suddetti,
accogliendo quelle parti veramente pregevoli che in
essi certamente non mancano.
Comecché il Positivismo non sia ne voglia essere un
sistema, pure quant' all' origine psicologica, per così dirla,
non mi sembra eh' e' s'abbia a distinguere gran fatto
dagli altri sistemi filosofici. La ragione immediata del suo
apparire parmi risegga nell' esigenza di contrapporsi ad
una forma contraria di filosofare creduta affatto erronea ;
e questo filosofare in tal caso è il dommatismo metafi-
sico. (IJom' è chiaro, cotesta in sostanza è l'origine stessa
dello scetticismo, secondo che c'insegna tutta una storia
di ventidue secoli, ne' quali affermazioni risolute souosi
contrapposte a risolute e persistenti negazioni. Il Posi-j
tivista, infatti, reputa inconcludente ogni speculazione!
trascendentale. Positivismo quindi vuol dire esigenza!
della prova, esigenza, bisogno della dimostrazione; maC
della prova di fatto, della dimostrazione sperimentale.
Se non che, a guardarci bene, lo stesso Positivismo ma-
nifesta già senz'addarsene un bisogno filosofico, una ten-
denza speculativa, un'attività trascendente là dove, per
dirne una, procaccia di raggiungere la così detta comples-
sità crescente nel coordinamento de' fatti, e nel volere
imprimere forma gerarchica all'insieme delle particolari
discipline. Col che non intendo dire che il Positivismo
sìa già una metafisica ; ma è per lo meno una metafisica
incosciente, come un illustre scrittore francese, non senza
cert' aria di meritato rimprovero, ha detto al Littré.
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INTBODUZIONK. 3
Per la qual cosa paimi, che il Positivista contraddica*^
apertamente a sé stesso quando vien su gonfio e petto-
ruto a dichiarar guerra sino all' ultimo sangue contro
a ogni maniera d'indagini metafisiche; tanto che la
tendenza de' Positivisti a filosofare, tendenza del resto
naturalissima e necessaria, diventerebbe atto, facoltà,
vo'dire diventerebbe metafisica vera, quando potesse
avverarsi una condizione. Mi spiego subito. Io non credo
offendere anima viva osservando che fra' Positivisti
irancesi sia un bel po' difficile trovare un solo che ab-
bia studiato con amore, per esempio, la Ragion Fura di
Kant, segnatamente la Critica dd giudizio: difficilissimo
poi ritrovare uno solo, fra' Positivisti italiani militanti ^
sotto le bandiere del Gomte o meglio del Littré, che con
pari amore e spassionatezza d' animo abbia letto, per
esempio, il Nuovo Saggio del Rosmini. Prescindendo dalle
mende svariate di che non va esente il Criticismo e
nemmanco il metodo psicologico rosminiano, io non so
persuadermi come, dopo aver letto e inteso a dovere lei
due scritture mentovate, si possa essere o dirsi Positivi
vista, secondo il concetto volgare che di questa parola
ci ha dato e ci dà oggi chi piti ne parla.
Se non che nessuno immagini eh' io qui intenda far \
un fascio del Positivismo Francese, del Positivismo In- \
glese e, se vogliamo, anche del Positivismo Germanico; 1
benché quest'ultimo, assumendo sempre più forma di
schietto e nuovo e ardito materialismo, mostri esser già
un sistema beli' e buono, checché se ne sia detto o vo-
glia dirsene in contrario. Ma di questo, fra poco. Quan-
t' all' altre due forme di Positivismo, ninno sarà che '
ignori le polemiche tanto gravi, pacate, esemplarmente '
serene fra Stuart Mill e Littré avvenute or fa un anno. \
E molti conosceranno le obbiezioni che quel robusto
ingegno di Herbert Spencer ha saputo muover contro
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4 IKTBODUZIONE.
certe dottrine del Comte. Chi abbia vaghezza poi di
sapere qual sia il carattere e il resultato di queste due
maniere di Positivismo, potrà innanzi tutto guardare alla
forma, al fine, persino al titolo delle opere nelle quali
tale dottrina è insegnata e propugnata. Così, mentre
Stuart Min ha fatto una logica, o, a dir meglio, un ft
Sistema di Logica, che potrebbe riguardarsi addirittura \
come un contr' altare al sistema della logica hegeliana; ;
il Comte, almeno nei primi volumi delle sue opere, ci
ha lasciato (chiedo perdono a tutti gV iddii della Senna)
una specie di rassegna, ma di rassegna ragionata, giu-
diziosa e, dicasi pure, ingegnosa, delle particolari disci-
pliiie, massime di quelle che a lui tormivan più familiari.
Ho detto nei primi volumi, perchè nelle opere poste-
riori, com' è noto, desiderando compier V edifizio, egli
ammannì un sistema di politica, un sistema di religione
e d' educazione, un sistema di morale positiva, e financo
d'igiene: morale senza principio, se pur non vogliamo
appellare così certa regola di condotta eh' egli espresse
con quella brutta parola d' Altruismo : religione senza
Dio, se pur non vogliamo piegare il ginocchio e dar in-
censo a quella divinità chiamata il Grand*Essere; intomo
alla quale, com'è noto, il fondatore del Positivismo fran-
cese finì per fantasticare alla maniera de' neoplatonici
Alessandrini e del Ficino. Checche ne sia, può dirsi
ch'egli predicasse bene quant'a metodo, ma razzolasse
male quant'a sistema, perchè affermava, anzi esagerava
nella pratica ciò che sdegnava e risolutamente negava
nella teoria e nell'ordine speculativo; intendo il con-
cetto dell' unità o Sistematismo nd sapere, secondo il
suo linguaggio.
Da questo primo riscontro, che diremo esteriore
perchè riflette la forma generale delle opere e un
po' anche il valore del metodo ne' due filosofi, si può
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INTBODUZIOMB. 5
ai^omentare che il Mill guardi la scienza sotto l'aspetto ^
subbiettivo, cioè come una serie di concetti, mostrando
così d' aver piena fiducia in una logipit che sia atta a
risolvere un problema distinto sì cJaT problemi e sì dal
soggetto in che versano le speciali discipline/ Esiste
infatti, egli dice, una conoscerla scientifica déWuomo in
quanfè un essere intéUettude, morale e sodale, e quindi
una dottrina delie cognidom détta coscienza umana.*
Agli occhi del Comte, per contrario, non esiste logica
tranne che intrinsecata con la natura stessa di ciascuna
scienza. Se volete conoscere, per esempio, la logica della
chimica (egli dice), studiate la chimica. Ecco la scienza
sotto r aspetto puramente ed empiricamente obbietti-
vo; in quanto che considera le cose in sé, e solamente
come oggetti. Tal difiFerenza, com' è evidente, non è
lieve, massime quando tengasi conto de' risultati. Il ri-
sultato cui giugno il Positivismo inglese è questo : la}
metafisica esser possibile, ma solo come ricerca logica,!
come investigazione e analisi di concetti. Il che, s' è|
pregio nella logica del Mill per la fede eh' e' ripone
nelle forze del pensiero, è auche il suo difetto massimo,
stante che siffattamente ei chiudesi tutto nel formalismo **
logico, secondo che altrove mostrai.'
So che il Mill se ne vuol difendere, facendo vedere
qual divario corra fra la logica formale e quella eh' e' dice
logica della verità. Ma la pecca di nominalista in lui
è chiara. Ed è chiara per chi abbia convenevolmente
considerato quelle quattro teoriche, nelle quali il filosofo
inglese vuol darsi addirittura per innovatore: intendo '
le dottrine della dimostrazione, della definizione, degli
assiomi e della induzione. In tutto questo egli è per-
* Vedi Stuart Mill, A. Comte et U Pontivitme, Paris, trad. pag. 60.
" Op. cit. pag. 57.
• Vedi la Ont, del Po9ÌHv. innanzi citata, VI, pag. 19.
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IKTBODUZIONI.
fetto Baconiano, checché ne dica egli stesso. Perocché,
se la inente ne' suoi concetti, secondo questo filosofo, è
superiore ai fatti; non però cessa d'essere un artifizio,
logico, un artifizio psicologico, un intreccio a cui nulla ;
d' obbiettivo potrà mai rispondere. E di qua proviene i
poi un' altra conseguenza, eh' è questa. Se nella logica
la posizione del Mill riesce evidentemente unilaterale e
subbiettiva, è pur d' uopo eh' ella si manifesti impotente
anche nella scienza storica, eh' è dire nell'organamento ^
razionale de' fatti storici. Ora se il metodo positivo
giunge a legittimar 1' analisi de' concetti e la critica
delle idee, non bisognerà dire che, come esigenza cri-
tica, ei contraddica a sé medesimo quando dichiara di
non potere in alcun modo studiare idee e concetti nel-
l'obbiettivo lor significato? E donde questa impotenza?
Dalla natura stessa della mente, si può rispondere. Ma,
s'egli è così, la possibilità della scienza si traduce in
impossibilità vera. Che poi questo non sia e non possa
essere, ne porge guarentigia sicura il processo istorioo
delle scienze tutte, e l' incessante progresso ond' elle ci
dan prove luminose. La ricerca in senso obbiettivo, adun-?
que, è possibile; dove che per il Mill è addirittura im-*
possibile. Questa è la parte debole del Positivismo inglese. ;
L' errore opposto è il Jifetto del Positivismo fran-
cese. Se per il Mill psicologia e logica sono scienze che
s' alimentano di sé medesime; per il positivista francese,
al contrario, elle non sono che appendici della biologia,
al modo stesso che la sociologia é come un allargamento
della storia, ciò é dire una generalizzazione del fatto
istorico, ma del fatto verificato mercè la deduzione delle
leggi della natura umana. Qui, ripetiamo, la differenza
è profonda. La scienza della civil società, secondo il'
Positivismo inglese, pone radice nella così detta Etolo-
gia, li' Etologia è la vera scienza dell'uomo, egli dice. .
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INTRODUZIONE. 7
Essa è una generalizzazione non già verificata, ma
sì primiti/vamente suggerita dalla deduzione détte leggi
della natura umana.^ Ora la funzione deduttiva, nel
Positivismo inglese, non è operazione immediata, non è
operazione secondaria alla induzione, com' è nel Positi-
vismo francese, ma è funzione a priori, è funzione i
cui risultati vonn' esser giustificati con T osservazione,
e con la scrupolosa ricerca delle leggi empiriche.
Brevemente, dunque: pregio singolare del Positivismo
inglase è il metodo deduttivo-concreto (per usar la frase
del Mill) applicato alle scienze morali in generale. Que-
sto metodo è costituito di due processi che si svolgono,
per così dire, di fronte ; non già di due parti d' un me-
desimo processo, V una delle quali sia conseguente al-
l' altra, com' è per i Francesi positivisti. Per tal prero-
gativa massimamente parmi che il Positivismo del Mill
mostri accostarsi all' indole della filosofia nostrana, e
molto allontanarsi dal Baconianismo alla maniera che
questo metodo s'intende da' più.* Carattere e pregio
poi del Positivismo francese, parmi stia nel credere alla
j)ossibilità d'una filosofia come risultato di tutto quanto
il sapere umano, e quindi nel porre come inevitabile o
sua condizione la necessità della storia. L'indagine
storica, il metodo di filiazione: ecco il distintivo del
Comtismo, eh' è anco il massimo suo pregio.'
Contro il Comtismo è facile muovere la medesima
difficoltà, quantunque in senso contrario , mossa te-
sté contro il Mill. Se infatti è possibile una ricerca e
una critica storica; perchè non sarà possibile una ri-
cerca logica, una critica dei concetti, come tali? Per-
chè dunque negare una logica e una psicologia supe-
f
* Vedi Stuart Mill, Sy^time de Logique, Voi. H, pagr. 491.
« Vedi Op. cit. Voi. cit., pag. 461.
• Vedi CoMTB, Pha. Pontive. Voi. V, Lez. 48".
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8 INTEODUZIOKB.
riore alla storia? Se non che delle due maniere di
Positivismo, quella de' Francesi va piii facilmente sog-
getta a contradizione; la qual cosa tiene alla doppia
origine storica per cui si distingue cotesto sistema. Pa-
recchi scrittori francesi infatti hanno avvertito, che
ove il Comte parla di natura e di scienze fisiche, è
decisamente sensista, materialista e nominalista ; men-
tre che ove parla di filosofia politica e storica si mo-
stra panteista, ma senza dar prova di quella specula-
zione ingegnosa, di quella mirabile unità razionale, cui
sanno poggiare, bene o male che sia, i Panteisti moder-
ni.' Donde tal contraddizione? Dall'essere il Comte, }
per una parte, figlio del Sensismo francese ; dall' altra ì
poi figlio del Sansimonismo, che, com' è noto, è forma j
grossolana di panteismo. Per questa doppia tendenza |
i Positivisti di Francia non possono salvarsi dal cadere j
nelle conseguenze d' uno de' due sistemi : materialismo,
0 panteismo. So eh' e' fan presto a difendersi dall'una
taccia come dall' altra. Ma la logica vale qualcosa più
delle parole e delle calde proteste. E veramente chec-
ché se ne possa dire, uno degli scrittori poco fa citati
ha fatto toccar con mano al Littré, che inevitabile re-
sultato del Positivismo è il materialismo.* E d'altra
parte sappiamo, come tutti i Positivisti oggi, e propria- '
mente i Gomtisti, faccian causa comune con que' della \
sinistra hegeliana, co' quali hanno intimo legame, se-l
condo che mostreremo. '
Ho detto come per ragion d' origine al Positivismo
francese tomi più facile inciampar nelle contraddi-
zioni. Ne poi^o qualche esempio. Non si vuol sapere
nulla di cause finali! Ma non è forse il medesimo Lit-
* Vedi Rbkocttibb, Annuairephìl 1867 Q nell^altro del 1868. — Vaohb-
BOT, Metaphi9iq\w potive. Tom. Ili; Trattenim. 14. — Jakbt, Onte phiL
* Vedi Janbt, Op. cit. pa^. 116 e seg.
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INTBODUZIONB. 9
tré quegli che, mentre grida contro il principio della
finalità, lo afferma là ove dice, per esempio, l'essenza
stessa della materia oi^anizzata esser la causa prima
della finalità? Eccoci in pieno materialismo, e in pieno
sistema; tutto che i Positivisti non vogliano esser detti
né materialisti, né sistematici. Ancora, io domando: se per
domma del metodo positivo nulla è da accettare che non #
sia guarentito immediatamente o mediatamente da' fatti;
perchè, al di là de^ fenomeni e dell' esperienza e delle
leggi che se ne traggono, voler credere in un obbietto
il quale, per inconoscibile che sia, é sempre un' afferma-
zione della ragione? Domando: è egli atto di metodo
positivo, di critica, di ricerca, il parlare di certo grande
oceano qui vieni battre notre rive, et pour lequd nous
n'avons ni barque, ni voiles, mais doni la dcdre vision
est aussi sahUaire que formUàble? È egli atto di Posh
tivismo e di ricerca che sdegni qualunque spiraglio di
soprassensibile e di soprannaturale, parlarci così d'un
Infinito, comecché non se ne riconoscano tutti quelli air
tributi che il fanno tale? E se ponete la possibilità di
conoscere cotesto vostro inconoscibile per il quale dite
di non aver barca né vele che bastino, ma la cui cMaroi
visione é pur tanto sàkiiare al pensiero; in che maniera
non accorgervi come tutta la storia della filosofia non
altro sia stata per tutt'i secoli scorsi fuorché una serie
di risposte, per così dire, a cotesta medesima domanda
che neanche voi dite illegittima, né strana? Sarann'elle
erronee tali risposte: ne potrò convenire. Ma saran tutte
errori da farne proprio tavola rasa?
Da siffatte considerazioni ci é dato trarre una con-
seguenza. Nel Positivismo oggi avverasi una legge;
quella legge che accompagna sempre ogni novello indi-
rizzo nella filosofia, eh' é dire l' opposizione nel seno %
stesso del sistema. Ecco una ragione di più per dichia-
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lo INTRODUZIONE.
rare, che dunque il Positivismo è un sistema come tutti ,
gli altri ! La cagione profonda, dice il Littré, che divide /
il Comte dal Mill, è il punto di vista psicologico e logico
nel quale s'è messo il filosofo inglese, e la definizione
reale, obbiettiva, non già formale né psicologica, con che
si presenta la scienza nel filosofo francese.^ Ora se il Po-
sitivismo inglese è principalmente un formalismo logico, ,
e il Positivismo francese è essenzialmente un empirismo !
storico; ne viene di conseguenza che, in virtiì della
stessa critica positiva, noi dobbiamo riconoscer legit-^
tima una terza forma di Positivismo, la quale sappia sebi- <
vare i difetti proprii dell'una e dell'altra maniera esclu-
siva di Positivismo, e insieme serbarne tutti i pregi.
Tale appunto sembra a noi la filosofia positiva
italiana inaugurata dal Vico nel campo delle scienze
morali, e, prima di lui, fondata già dal nostro Galilei
con ogni splendore di sapere nel regno delle scienze
naturali e fisiche. Di quest'ultimo non parleremo. E
non ne parleremo, à perchè non possiamo entrare in
fisica, e sì perchè ne abbiamo altra volta discorso.* Bi-
sogna dunque far capo dal Vico, giusto perchè nel con-
cetto della scienza che ci è dato trarre dal tutt' insieme
delle sue dottrine, la ricerca storica e la ricerca psico-
logica e logica includono già la esigenza d'una conci-
liazione, d'una compenetrazione in un tutto, per così
dire, organico e compatto. Nel Comtismo, come s'è
detto, queste due ricerche scompaiono, e si riducono
ad una sola. Nel Positivismo inglese elle sono distinte,
anzi diciam pure separate da ogni altra, né si sa
come annodarle insieme.' La ricerca, dunque, che
serbi carattere veramente scientifico e positivo non
* Vedi «Situare MiU et la PhU, PotUive. Paris, 1867, pag. 11.
" Vedi Della Filoeojia Pontiva di Galileo Oalilei, Bologna, 1868.
' Vedi Syttòme de Logiqw, Tom. II, pag. 436.
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IKTRODUZTONB. U
può essere, né assolutamente storica, né assolutamente ^
logica e subbiettiva. Concetto e Fenomeno, Vero e ^
Fatto, (direbbe il Vico) s' hanno a convertire perché
SODO due strumenti indirizzati ad unico fine, e come
tali potranno generar la scienza. Vera filosofia positiva,
dunque, vero metodo positivo sarà e dovrà essere, non
quello che esclude, sì quello che include tanto la ricerca j
in senso storico e sperimentale proprio del Positivismo \
francese, quanto la ricerca logica, la critica de' concetti, (
secondo V esigenza del Positivismo inglese. Ora solo nel '
filosofo italiano é la correzione, il compimento e il con-
nubio legittimo de' due contrari indirizzi, come vedremo.
Ho detto che il Positivismo inglese per alcuni riguardi
avrebbe più immediata relazione con la filosofia del Vico.
Tal relazione sta nel modo col quale si considera la
natura del metodo in generale. E chiedo permesso d' in-
sistere ancora un momento sopra cotesto particolare.
Stuart Mill pone un domma metodico che noi accettiamo
di gran cuore. Nella scienza morale, nella scienza del-
l'uomo, egli crede necessario un metodo costituito d'un
doppio processo; in quanto che la verificatone a poste-
riori deve procedere PARI PASSU con la dedtmone a
priori. * Perciò osserva: « il fondamento della nostra •
confidenza in una scienza deduttiva concreta non è U ra-
ffionamento a priori stesso, ma V accordo de suoi resul-
tati con quelli déW osservazione a posteriori.* »
Queste per noi son parole veramente d'oro. È pensie-
ro fecondo pieno di verità che troviamo applicato e legit-
timato nelle indagini, in tutte le indagini fatte dal nostro
Vico.Dov' é proprio il difetto del filosofo inglese? Anche
lui come il Comte, benché sott' altro rispetto, predica
bene, ma razzola male. U grave diietto dell' illustre
* Vedi .S^. éU Log. Voi II, pag. 4C2.
* JUd. Pag. 490.
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12 INTBODUZIONB.
Stuart Mill sta nel non avere un concetto compiuto
della storia. Il suo Positivismo anzi manca affatto del
senso della storicità. Quel suo a posteriori, o non è pro-
cesso, 0 al più è un processo tutto formale, e tutto sub-
biettivo. Come dunque può salvarsi dal formalismo? Bi-
sognerà quindi confessare, come il Positivista inglese non
possa riescire ad applicare storicamente la sua verissima
e bellissima sentenza metodica poco fa rammentata.
Ma se por questo rispetto ci allontaniamo dal Mill,
per questo medesimo ci accostiamo al Comte. Perocché
quantunque il pensiero in questo filosofo non faccia
che raccogliere, adunare, disporre e indurre; non per-
tanto in lui troviamo il concetto della storicità benché
in maniera affatto empirica. Nel Positivismo francese
sono confuse in un tutto logica, psicologia, sociologia,
storia, biologia e simili. Mi spiego. Il Comte è o si
dice inventore d'una teoria storica applicata allo svol-
gimento della scienza e della società. La parte nuova,
r originalità di tale dottrina (se si vuole) starebbe in
questo; che fira la legge storica e il fine o risultato
della scienza, c'è compenetrazione, equazione. E vera-
mente, in che consiste la scienza secondo questo filo-
sofo? Consiste nel resultato complessivo totale delle
diverse discipline. E qual'è lo stato ultimo, il terzo
periodo dello svolgimento storico? È lo stato positivo; che
vuol dire, l'esclusione assoluta del teologismo, del dom-
matismo e della metafisica in generale.^ In tutto que-
sto c'è un pregio; ma e' è pure un grave difetto. Non
trattasi d' un vizio di formalismo logico, come nel Mill;
trattasi proprio d' un difetto, d' una manchevolezza la
quale consiste non soltanto nel formular quella legge
storica, ma anche nel modo ond' ella viene applicata,
* Vedi CoMTB, Principi» de PUH. Potitive, Paris, 1868, Première
Lc^on, e gli scritti del Littró sopra citati.
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INTBODUZIONE. 13
vo'dire nell'uso che se ne fa. Se il terzo periodo del
sapere è uno stato assolutamente positivo; la filosofia
non altro sarà fuorché il puro efietto della scienza ogget-
tivamente considerata, e così tra scienza e filosofia non
avremmo ombra di diiFerenza. E in tal caso quale sarà la^
conclusione? Questa a punto: essere impossibile una me-
tafisica. Né solo impossibile come scienza assoluta, come
scienza a priori, sì pure come scienza fondata su la psico-
logia, ma avente un fine diverso e superiore a quello delle
altre discipline : ed eccoci nel nullismo ! Inoltre ci è da
osservar questo. I Positivisti francesi dicon che tutte
quante le scienze passano per tre fasi: teologica, meta-
fisica, positiva. A tal proposito Stuart Mill ha chiesto :
quando mai la matematica, per esempio, s' é trovata nello '
stato teologico? Quando mai s' è creduto che se le due
parallele non s'incontrano, non possano incontrarsi salvo
che per volontà di Dio? *
CJotesta legge storica, dunque, se dall' una parte è
essenzialmente empirica, dall'altra é male applicata.
Né poi col dichiarar cotanto impotente la ragione,
com'essi fanno, potran salvarsi dal contraddire ad
un principio, eh' io credo verissimo, e che non appar-
tiene esclusivamente alla loro scuola. Chi consideri^'l
principio ond' è guidata la classazione e la disposi-
zione delle scienze secondo i Positivisti, può agevol-
mente accorgersi come in essa il processo sia que-
sto: un andare dal di fuori, per così esprimermi, al
di dentro; dall'astratto indeterminato, dal vago ge-
nerale, all'universale concreto, determinato, specicde;
in somma, un andare dal semplice al complesso. Tale
è il processo nel corso, sia logico, sia storico, delle
sei scienze, a contar dalla semplicissima scienza de'nu-
* Vedi Stuart Mill, A. Comte et U PotitivUme, Paris, 1868, pag. 51.
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]4 INTRODUZIONE.
meri, che di nessun' altra abbisogna, lino alla Socio-
logia eh' è tanto complessa da supporre la Biologia,
la Chimica, nonché la Fisica con le sue altre cinque
suddivisioni, l'Astronomia, e la Matematica con le sue
tre sottospecie, e via discorrendo.' Or io domando : se cia-
scuna scienza, se tutte le scienze procedono secondo la
suddetta legge, perchè mai giunti al pensiero debb'ella
cessare? Perchè, dic^, non protrarre la ricerca e quindi
imprimerle forma davvero filosofica? La filosofia^ essi
dicono, è scienza ultima. Ma appunto perchè ultima,
io rispondo, ella potrà esercitare funzioni di prima!
Ripeto, adunque, se al Positivismo inglese fa difetto il
senso della storicità, cioè la viva realtà storica in quanto
processo; al Positivismo francese manca il senso della
psicologia come scienza immediata, come immediata
condizione della storia. Vero metodo, e quindi vera filo-
sofia positiva, sta nel porre e nel sapere organai^e in una
sola funzione tanto il processo storico, quanto il processo
psicologico. Questa è la posizione originale del metodo
filosofico davvero positivo. E questa è la posizione del
Vico, della Scienza Nuova, e però della buona filosofia
italiana.
Nessun Positivista che sappia e voglia rispettar la
logica vorrà dubitare, come certe pretensioni delle loro
dottrine contraddicano apertamente all'esigenza stessa
del Positivismo. È egli un processo positivo, o non più
tosto essenzialmente negativo l'escludere, per esempio, o
l'arrestare in qual si voglia mo^o la ricerca? Tornando
dunque al pronunziato fondamentale del Positivismo
francese, io dico che se ci è una legge nella storia come
nel pensiero, cotesta legge non è, non può esser pro-
priamente quella dataci dai Positivisti francesi. 11 pe-
* Vedi A. CoMTB, Syttime de Politique Ponthe. Tom. II, e nella Phil.
Po9Ìtive, Première Le9on.
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INTRODUZIONE. 15
riodo 0 stato positivo non deve risultare negativo, come
in sostanza accade nel Positivismo. Vuol essere anzi^
realmente positivo, cioè razionale, filosofico, non teolo- ,,
gico, né metafisico. Ed è la filosofia positiva italiana
che sola può correggere il concetto storico del Comti-
smo; perchè scoprendo ne' fatti la vera legge storica, o
sociologica che voglia dirsi, e liberandolo dall'empi-
rismo, la storia non sarà, com' è pur troppo pel Comte,
un duro letto di Procuste secondo che ci dicon gli stessi
francesi.
E veramente, quant' alle applicazioni storiche, in
generale, a me pare che la Filosofia positiva italiana
superi di gran lunga il Positivismo. I Francesi aspet- T"
tan tutto dalla storia. Essi riguardano l' uomo princi-
palmente come essere morale e sociale: nel che, com'è
noto, rasentano il socialismo, e in questo ci conferme-
rebbero tanto gh studii del Comte, quanto, e più an-
cora, r influsso del Sansimonismo sopra di lui, dal quale
invano il Littré s' è sforzato difendere il maestro.* Il
fatto sociale, secondo una vecchia idea tutta francese,
presentasi a questi filosofi come un organismo compatto
e simmetrico; in una parola, com' una gerarchia. Di
qui la necessità d'un potere morale: di qui una reli-
gione, una morale, un' educazione pubblica, e simili. Il
Positivista inglese poi, conformandosi anch' egli al vec-
chio genio e all'indole del suo popolo, romperebbe
neir estremo opposto, se volesse esser conseguente a sé
stesso, e se il gran buon senso di Stuart Mill non trion-
fasse talora delle sistematiche dottrine. Considerar la
scienza come produzione soggettiva e logica; porre ad
oggetto di' essa innanzi tutto l'uomo, non come essere
sociale, storico, essenzialmente relativo, bensì come
uomo, come individuo, come soggetto: tutto ciò fa pre-
* Vedi LiTTEÉ, X. Comte et la PhU, Potitive, Pag. 118 e seg.
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16 INTBODUZIONE.
cipitare logicamente nell' Individualismo; in tma specie
di disgregamento sociale, eh' è appunto la negazione
del Socialismo.* Nel Positivismo francese la società è di-
namismo esagerato; nell' inglese, per contrario, è esage-
rato meccanismo. Or anche qui la Filosofia positivaj
italiana, per esser davvero positiva, è chiamata a porrei
in armonia l' Individualismo e '1 Socialismo, mercè uns
nuovo concetto antropologico; voglio dire mediante ilj
concetto della Psicologia storica, i cui principii troviamo!
solamente nella Scienza Nuova.
Da questi brevi riscontri emerge sempre pia chiara
una conseguenza. Dove nel Positivismo inglese non è pos-
sibile una filosofia o scienza della storia; nel Positivismo
francese cotesta scienza è possibile, ma unicamente nel
senso empirico. Quante filosofie storiche in Francia dal
BossuetalGomtel Ma se in Inghilterra abbiamo discorsi
storici e monografie storiche e ricerche e critiche e rac-
conti storici che si potrebbero paragonare, come s'è fatto,
a que' di Machiavelli e di Tacito; filosofie e scienze della
storia, sono titoli ignoti ne' lor libri. Tommaso Buckle,
che pur volle provarcisi ne' cinque capitoli della introdu-
zione alla sua storia dell' incivilimento in Inghilterra,
ad altro non riuscì che alla negazione della filosofia
della storia, checché ne dicano i Positivisti inglesi.
.\bbiamo notato come nelle due forme di Positivi-»
smo ci sia differenza, e quindi esclusività anco nel con- .
cetto della Sociologia. Se infatti nel Positivismo francese ;
la psicologia è essenzialmente storica, e quasi una pagina
aggiunta alla Sociologia; movendo da un tutto empirico,
cioè A2\ fatto della comunanza sociale, giugno air uomo.
* Nella stirpe Sassone prevale il sentimento della iDdividualità. L'at-
tività inglese In rapporto air universale si appoggia sempre sopra so
medesima, come ha osservato Hegel: An 9ich teWer feathcUtenden Indi-
vidualiUtì,
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IMTBODCZIOIfE. 17
e trova Y uoma ad essa congiunto per intimo legame.
Sociologia, dunque, è psicologia; perchè uomo vai società
innanzi tutto. Nella Sociologia v'è lo stato o il momento
statico j e v'è lo stato o il momento dinamico. U mo-
mento statico non è altro che biologia ; per cui gli uo-
mini son fra loro quello che le formiche e i castori, e
quindi la biologia, s' altro non vi fosse, servirebbe a spie-
gare la società. Ma la società è altresì storia. DaUa storia
sorge immediatamente, essenzialmente, la psicologia.
Se dunque la Sociologia, come stato statico, rampolla
dalla Biologia ; come stato dinamico emerge dalla Sto-
ria, e però dalla Psicologia.* Al contrario nel Positivi-
smo inglese la psicologia è indipendente, troppo indi-
pendente forse dalla storia ; però ne seguita che la
Sociologia altro non possa essere fuorché una semplice ap-
plicazione meccanica, e quasi una sovrapposizione di essa.*
Di qua gli errori sociologici delle due contrarie posizioni.
Nell'una abbiamo logicamente un potere pubblico che
non conosce limiti; e quindi una gerarchia sociale.^
Neil' altra abbiamo la teorica dell' Individualismo so-
ciale, ma temperata, ripeto, dall'ingegno temperatissimo
del Mill. Or qui l' accordo, vo' dire il positivo, in che
deve consistere? Deve consistere, al solito, nel negare il
concetto della sociologia tanto come semplice applica-
zione della nuda psicologia, quanto come appendice del
semplice fatto storico. E siffattamente nell' ordine delle
dottrine storiche e sociali potremo liberare la scienza
tanto dall' arbitrio individuale e tutto relativo, quanto
dalla necessità empirica e tutta fisiologica della storia
com'è intesa dal Socialismo in generale.
Rispetto poi al problema del sapere filosofico, abbia-
mo notato che nel Positivismo inglese la filosofia toma
* Vedi CoiiTB, Politique PotUivé^ IT. Littbì nella risposta al MiU.
• Stuart Mill, A. Comtt et la PhU. Po$itive, pag. 97.
Siciliani. 2
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18 INTBODUZIONB.
possibile sol quando la logica siasi potuta elevare a si-
stema ; parola che per il Mill suona ordine di concetti :
mentre nel Positivismo francese eli' è reputata possi-
bile unicamente laddove tale ordinamento possa im-
mediatamente rampollare dalla scienza stessa. Di qua
proviene che la condizione di ciascuna e di tutte le di-
scipline, per i positivisti inglesi, sia la logica; stante
che tutte le discipline sono sommesse air autorità della
logica : IHrar consegtienee è U grand' affare della vita.* Pel
filosofo francese, in vece, le scienze procedono indipen-
denti così, che non son esse che abbian bisogno della lo-
gica, ma è anzi la logica che abbisogna delle scienze.
In altre parole: il soggetto abbisogna dell'oggetto, e le
idee abbisognano dei fatti e dell'esperienza, di cui
non sono altro che la riproduzione fedele.' Che cosa dun-
que è da concludere? E da concludere questo: che dove
il criterio del vero nella prima posizione è bensì nel
soggetto ma a maniera d' aggiunta, cioè come dote for-
male, estrinseca, acquisita (logica) ; nella seconda posi-
zione, al contrario, tale criterio risiede nelle stesse
scienze, in quanto elle vannosi organando sotto V im-
perio d' una legge storica, e consiste nel modo onde i
fatti fisici, chimici, fisiologici, sociologici si succedono e
aggruppan fra loro con iscambievoli relazioni.'
Posto così il criterio del conoscere filosofico, accade
questo. Nel Positivismo inglese la funzione conoscitiva
che inaugura la scienza, è l'induzione: la quale appresso
rimane quasi fosse un mezzo, un istrumento in quanto
viene associata alla deduzione, eh' è facoltà nuova, ma'
sempre di natura formale. Nel Positivismo francese, i
per contrario, la funzione conoscitiva è sempre una;
* Stoabt Mill, Sy^tème de Logique, Tom. I, pag. 9, § 5.
* LiTTRé, Risp. al Mill, pag. 10.
* CoifTK, Pkitol. Positive. Deuxième Le9on.
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mmoDuzioNB. 19
sempre la stessa nella sua essenza. Comincia induzione
e finisce induzione. E se pur veste forma deduttiva, ella
v' inganna; stantechè la sostanza è, e dovrà esser sempre
di natura induttiva. È, in somma, una deduzione essen-
zialmente induttiva, se cosi posso esprimermi.' Talché
il Comte, non essendosi in questo mostrato sempre con-
seguente a se stesso, è stato corretto dal Littré, come
quegli eh' è venuto imprimendo valore strettamente po-
sitivo al metodo che il maestro appellò stibbiettivo,^
Or anche qui è necessaria una terza posizione cri-
tica. Il positivo non istà nel negare la logica in grazia
delle scienze, o nel ridur V una a meschino anello delle
altre. Saremmo, al solito, nell' esclusivo, e nel negativo.
Sta bensì nel mostrare come né la prima né le seconde,
di per sé medesime e separatamente, possano esser
filosofia. 11 monismo, sentenza che avremo a ripetere
a sazietà, non dà che monismo. Al solo dualismo è con-
ceduto uscir dall'identico vuoto, dal monotono, e por-
gere scienza verace e positiva. ^
Da ultimo, altra differenza vitale tra il Positivismo
francese e il Positivismo inglese abbiamo detto essere il
modo ond' è considerato il punto di vista positivo. Pel
Positivista francese lo stato metafisico nega lo stato teo-
logico ; e V uno e l' altro sono addirittura e necessaria-
mente negati dallo stato positivo. Al sorgere dell' uno,
* Vedi LiTTRÉ, A. Comte et la Phil. Ponit., pag. 532.
* Nel Comte si manifesta chiara la tendenza alia Filosofia. Lo di-
mostra, per citare un esempio, il bisogno eh' e' sentiva di congiungere
al metodo obbiettivo il metodo sufobiettivo: Notre cfnutUution logique ne
gnurait ètre compia et durahle que d* aprle une intime combinaieon dee
deux mithodee. {Politique Ponitivc^ pag. 444*1.) Per il Littré cotesto domma
del sno maestro è peccato assai grave. (Vedi A, Comte et la Phil. Poeitive,
pag. 532. e seg.) Per noi sarebbe stato pregio singolarissimo, se il Comte
fosse giunto a combinare in modo razionale i due metodi. Co.munque sia, bi-
sogna tener conto di qnesta tendenza metafisica ch'egli manifesta nel porre
la necessità d'un doppio metodo in Sociologia.— Vedi Op. Voi. IV, Lez. 48'.
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20 INTBODUZIONB.
in somma, deve sparir l'altro. Questo è il concetto origi-
nale del Gomtismo. Ora tal concetto.è risolutamente repu«
diato dal Mill. « Il modo positivo di pensare, egli afferma,
non è necessariamente una negazione dd sopranaiuràle....^
Se Vuniverso ha avido un cominciamento, U suo comwi'
ciamento per le condizioni stesse dd fatto è stato sopra-
naturale} r^ Qui non v' è compromessi, né concessioni che
bastino. L' opposizione è troppo aperta perchè non
risalti agli occhi di tutti. Il Comte nel suo terzo periodo
non fa che negare la filosofia; e il Mill risponde molto
a proposito quando dice che il modo positivo dipemare
non istà nel negare, bensì neir affermare. Ma, come
affermare? Ecco un altro difetto del Mill. Egli afferma,
è vero, il soprannaturale ; ma evidentemente V afferma
in maniera tutta empirica. Non potremmo dunque ri-
torcere contro di lui le sue stesse parole dicendo, che
it modo positivo di pensare non istà néW affermare em-
piricamente, cotesto sopranaturale, nelP affermarlo, cioè,
col buon senso inglese, ma si nell' affermarlo, s' è pos-
sibile, in guisa razionale e cosciente? Vedremo entro
quai limiti sia questa appunto la posizione del Vico.
Or che abbiamo notato analogie e differenze fra le
due forme di Positivismo che oggi si coltivano, e ar-
gomentatane, in forza del medesimo principio positivo,
la necessità d' una terza forma di filosofia veramente
positiva; giova far poche osservazioni rispetto a .certi
positivisti i quali fan le viste di non voler essere pro-
priamente, né inglesi, né francesi. E veramente a tutta
prima non parrebbero tali, perché non ardiscon du-
bitare della possibilità d'un sapere metafisico; ma a
guardarli bene in viso, riescono anch'essi ad un misto
dell'una cosa e dell'altra, che vuol dire son sempre
* Stuart Mill, A, OomU et le Pontivieme^ pag. 15.
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INTRODUZIONE. 21
positivisti. Di questi in Italia ne abbiamo a josa. E ne ab-
biamo a josa tanto più, quanto che aman chiamarsi ora
critici, ora scettici prudenti, ora storici-filosofi e che so
io; ma non soffrono per nulla d'esser detti metafisici, filo-
sofi, e nemmanco veri e propri positivisti. Costoro dun-
que vonn' esser battezzati col titolo che si meritano: del
qual titolo non si potranno menomamente lamentare e
tenercene broncio, perchè li designa per quel che sono,
e per quel che valgono. Appelliamoli dunque filosofi dd-
V avvenire. Essi hanno fede nell'attività profonda, inces-
sante dello spirito, della storia; hanno fede nel presente
progredire delle scienze: però hanno fede in una filo-
sofia; ma in una filosofia eh' è di là da venire, perchè
di cotesto lor filosofare positivo altro non ci han sa-
puto dire fin qui ne' loro opuscoli e ne' loro articoli da
giornale, se non eh' egli verrà, e verrà di sicuro 1
Cotesto non è linguaggio seno. Non è linguaggio
d'uomini che dicono d'aver fede nelle forze di ra-
gione. La filosofia è scienza, ma è altresì una religione,
per chi voglia intenderla sul serio. Com' è naturale, dun-
que, alla contraddizione essi aggiungono, senz'accorgersi,
r equivoco. Perocché cotesta attività dello spirito, cote-
sto vantato concorso di forze e divisione del lavoro, non
ha egli pure i suoi confini? Le scienze speciali (si dice) _
non possono uscire dalla loro sfera speciale per elevarsi
àUa ricerca delle r dazioni generali^ senz'annullarsi. Ora,
io domando : se nessuna scienza in particolare può avere
cotesta pretensione; pò trann' averla tutte insieme? Ecca
il problema che i neopositivisti, checché ne dicano, non
hanno peranco risoluto. D' altra parte i filosofi (essi
soggiungono) col continuo divagare nel mondo delle
ipotesi e dell' a priori, non son capaci neanch'essi a
darci buona e positiva filosofia. Dunque, io concludo
(e badino alla conclusione cotesti fibsofi dell' avvenire)
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22 INTBODUZIONB.
che né per opera delle scienze, né per opera dei me- •
tafisici potrà nascere mai il vero filosofare. Non può.)
nascere dalle prime, come farfalla dal suo bozzolo,
perché, ripeto, ciascuna scienza, secondo che ci dicono i
neopositivisti, annullerebbe sé stessa nel momento stesso
che presumesse trapassare i propri confini. Tanto meno
poi nascerà per opera de' filosofi metafisici, essendo or-
mai un fatto innegabile la loro impotenza, attraverso
ventidue e più secoli di speculazione, come ci ricantano
da un pezzo essi stessi gli Avveniristi in filosofia!
La conseguenza, al solito, è a bastanza chiara: la
filosofia essere d' ogni parte impossibile ! Oh perché
dunque baloccarci con le vantate forze di ragione, con
questa gonfiata attività del pensiero e della storia? Non
è dunque vero che contraddicendovi miseramente non
potrete dirvi nemmanco filosofi dell'avvenire, ma scet-
tici d'un presente che sdegnate e d'un futuro che igno-
rate? Per esser davvero positivi, é d' uopo cominciare a
render attuale quel che si crede possibile. Cominciatela I
a fare, dunque, co testa benedetta filosofia s' egli é veroj
che avete fiducia nella sua possibilità! Un possibile che
non si raggiunga mai, domando, non é per ciò stesso
un impossibile addirittura?
Ma noi (soggiungono) non amiamo trastullarci con
le ipotesi su'principii e su' fini delie cose! E qui i
filosofi dell'avvenire mi rendono immagine di chi, pur
volendo ad ogni costo imparare il nuoto, a nessun patto
vuol piegarsi ad entrare nell' acqua per paura d' an-
dare a fondo! Ora a me pare che l' operosità veramente
critica e positiva, non istia già nel guardar con le mani
in mano chi é nell'acqua e si sforza al nuoto, ma nel
buttarsi giù e lottare con l' acqua, e con sé medesimo.
In altre parole, non istà nel lasciar fare alle scienze e
alla storia, ma nel fare noi stessi qualche cosa; nel
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INTBODUZIONB. 23
far pronto, energico, fiducioso, in bella compagnia con #
la storia, e con le scienze.
Se non che, rammentando una vecchia sentenza, ci ri-
petono: la filosofia non può elevarsi cdle relazioni gen&rcili
sema ilfondamerUo d^ particolari, ^eperò si richiedono a
vicenda. Precisamente questo 1 io rispondo. È appunto co-
testo richiedersi a vicenda che costituisce la condanna
de' filosofi dell' avvenire. Se le scienze, come s' è detto,
non possono esser filosofia senz' annullare sé stesse ; la
filosofia non può a sua volta assumer carattere posi-
tivo, senza l'aiuto efficace delle scienze. Dunque? dun-
(ine non è per nulla vero (badisi alla conclusione) che
la filosofia abbia a nascere^ che abbia a germogliare
propriamente dalle scienze. È vero bensì che queste
varranno ad eccitarla, a determinarla, a sempre più
fecondarla, anche a correggerla, ma non costituirla.
Persuadiamoci: per nessun miracolo al mondo, e in
verun ordine di cose, il numero è valso mai e mai
non varrà, come numero, a darci l'unità. Fu e sarà
sempre pazzia il pretendere che dal meno s'abbia a
cavare il più. Mi spiego brevemente.
In tal questione abbiamo, per così dire, due poli;
scienze di là, e filosofia di qua: quelle inefficaci, e
questa impotente. Donde ha da partire lo scoppio della
scintilla? I Positivisti dicono, dal primo polo: i Me-
tafisici, e a prioristi assoluti, dal secondo. La filosofia
positiva risponde : né dall' uno, né dall' altro. La scin-
tilla scoppierà dall'incontro, cioè dal contrapporsi di '*
essi. S' egli è così, la conseguenza chiara, evidente che
ne scende, è questa: La filosofia non è una specie di
appendice o di giunta alle scienze, come pretendono i
Francesi. Non è un formalismo logico vuoto, come si
pensano i nepoti di Francesco Bacone. E nemmanco
una costruzione tutta a priori, assoluta e indipendente
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24 INTBODUZIONK.
dalle scienze, come pretendono gli Hegeliani. I nepoti
del Galilei e del Vico, per contrario, credono che l'in- '
gegno filosofico valga qualcosa anco per sé stesso. Cre-
dono eh' ei sappia in qualche maniera alimentarsi e vi-
vere anche da sé, e in sé medesimo. Se da una parte I
r ajpriorismo assoluto è vuotaggine (e qui siamo co' po-
sitivisti); credere, dall'altra, che la filosofia abbia a ri-
sultar tutta quant' è dalle scienze alla maniera d' una
formula chimica' dalle sole analisi ed esperimenti chi-
mici, più che vuotaggine cotesta per me é ignoranza.
Così la scienza, ripeto, sarebbe non più che un aggre-
gato meccanico, un aggregato inorganico e senza signifi-
cato razionale. Porre fondamento, adunque, non vuol
dir nascere o risultare: non vuol dire che l'una cosa
sia cagione e tutta la cagione deli' altra, la quale poi
ne sarebbe 1' effetto. Vuol dire benà che la prima è
tanto necessaria alla seconda, quanto la condizione al
condizionato. È la carrozza, sono i cavalli che mi por-
tano in giro. Ma se i cavalli mi portano, son io che vado,
son io che cammino, son io che corro, son io che go-
verno la quadriga. La ragione, la sola ragione è l'auriga ì
di quel cocchio di cui parla Platone nel suo Fedro. 1
I Positivisti, inoltre, stimano che tra scienza e filo-
sofia corra quella medesima parentela eh' é tra '1 tutto e
le sue parti. Questo dico e credo anch'io, senz'essere
positivista francese, inglese o americano. Ma cotesto tutto,
domando, è egli superiore, o inferiore, è anteriore ovvero
resultante? Anteriore, dicono i Dommatici. Resultante,!
affermano i Positivisti. Né l'uno, né l'altro, rispond' io. *
Se resultante, mostrateci come saprete schivare il pe-
ricolo di darci un' enciclopedia, un ordinamento, anche
ingegnoso com' é la distribuzione delle scienze fatta dal
Comte, ma eh' è sempre ordinamento empirico; stante-
che il tutto non é vero tutto, ma é tutto in quanto é
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INTRODUZIONI. 25
parti, e però queste parti non sono elementi organici di
quello. Brevemente: la vostra gerarchia sarà sempre un
accozzo, non già un organismo attuale e nemmeno possi-
bile: per la semplice ragione che nella parti, o, per
cosi dire, nelle cellule ond' ei deve resultare, non e' è
vita, non metodo d'alcuna sorta.
Finalmente i filosofi dell' avvenire consentono che la
filosofia, più die una raccolta e un dizionario, abbia da
essere una critica, cioè una continuazione del lavoro delle
scienze, elevatesi ad una sintesi, ad un concetto superiore.
Ma, ecco la difficoltà: come, senza un criterio, elevare a
critica r attività filosofica? Non è ella cotesta un' altra
condanna del Positivismo? Questo criterio noi potrete
ricavare dalle scienze, sia che le consideriate numerica-
mente, sia che complessivamente. Esse noi contengono
numericamente, che altrimenti sarebbero già filosofia.
Noi conterranno neanco nel loro insieme, perchè baste-
rebbe, se così fosse, accozzarle, basterebbe accostarle in-
sieme, acciò potessero comporre un organismo ; nel modo
istesso che T organismo della civil società, secondo la
grossolana dottrina dei giusnaturalisti francesi del secolo
passato, generavasi dall' accozzo delle volontà, non si
sa perchè né come, ond' essi caddero nel meccanismo
sociale del Rousseau. Senza un criterio non v'è crìtica:
è precetto elementare dì logicar, per non dire già dì
buon senso. Così pure la filosofia non può esser consì^
derata come corUintumone del lavoro détte scienze^ senza
cadere nel difetto di ripetizione inutile, infruttuosa. Il
concetto superiore a cui sperate levarvi, non è sintesi
vera, bensì ripetizione d' analisi sotto mentite sembianze
di sintesi. Il concetto superiore, in sostanza, è sempre
inferiore, posteriore e quindi resultante. Dunque la fa-
coltà critica de' filosofi dell' avvenire non è veramente
critica, perchè non è veramente originaria, ma derivata.
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26 IITTBODUZIONK.
Qui pervenuti, qualcuno ci chiederà: Qual relazione ;
corre tra Positivismo ed Hegelianisrao? C è egli una re- ;
lazione?
Che una relazione vi sia ce lo dicono gli stessi odierni
hegeliani. E se noi dicessero, basterebbe pensare a che mai |
siasi ridotta la loro estrema sinistra per andarne con-
vinti. So che a' Positivisti non piace chiamar Positi-
vismo quel nuovo Materialismo di Grermania uscito
da' fianchi dell'Idealismo assoluto. Tal confusione ad
essi non piace, perchè mentre il primo è di per sé
stesso una fiera protesta contr'ogni sorta sistemi, il
secondo (come di sopra toccammo) è un sistema beli' e
buono. Ma non son io che faccio coteste confusioni: è
la logica stessa. Dato che tra Feuerbach e Littré, per
esempio, sia differenza di metodo e di principii (e il
divario certamente è infinito), io chieggo: dov'è poi
la differenza ne' resultati? Io veggo negazione dall' una
parte, e negazione dall' altra : ecco tutto. 11 nuovo mate-
rialismo, dunque, cotesto virgulto nato e cresciuto nel .
giardino dell' Idealismo assoluto, è l' anello che pone una
relazione fra il positivismo e 1' hegelianismo. Tra' quali
perciò, se profonda è la differenza nel metodo, evidente
e grande è la concordia ne' resultati e nelle conseguenze
ultime. Così che non ci reca nessuna maraviglia il ve-
dere oggi alcuni hegeliani scaldarsi tanto per mostrare
a fil di logica come i positivisti debbano ormai consa-
crarsi hegeliani, perocché l' hegelianismo altro non fac-
cia che compiere il positivismo: e positivisti, di ri-
mando, arrapinarsi fuor di maniera per convincere gli
hegeliani, che, a voler rispettare la logica, non già il
positivista in hegeliano, ma sì l'hegeliano abbiasi a
trasformare in positivista.*
* Il Prof. Vera, VApotioìus Gentium dell' hegelianisrao, come lo ap-
pella un sao scolare, chiama il positivismo una contrafazione dell' bege-
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INTBODUZIONB. 27
A me qui non importa, punto vedere quale delle
due onorate e onorande schiere abbia ragione. Solo
mi giova far notare come gli hegeliani ragionino e
sappiano ragionare, quando segnatamente siano usciti
dal nascoso mondo del pensiero puro, dove per me (e
vo' credere anco per loro stessi) concentrasi tutto il
buio della dialettica. Importa altresì notare ch'essi
sanno intendere la storia, almeno in gran parte; che •
nella storia hanno gran fede, appunto perchè non;
l'hanno perduta in sé medesimi: e, finalmente, che non '■
solo mostrano, ma dimostrano la legge del progresso. .
Di queste cose i positivisti, né sanno, né vogliono far
nulla. E in ciò l' intervallo che li separa dagli hege-
liani é davvero infinito. Ma quant'a resultati e a con-
seguenze, ripeto, ei s' assomigliano come due gocciole
d'acqua. Per qual ragione? C'è una ragione? Ci deb-
b' essere. Gli uni distruggono col negare, col non fare;
gli altri distruggono con l' affermare sciorinando quella
compatta e fittissima rete dialettica nella quale si ri-
sica di restare impaniati, se ali robuste non ci soccor-
rano. Non credo, infatti, che sia per mera accidenta-
lità storica se quasi in un medesimo tempo, con la
difi'erenza di pochi lustri, abbiano cominciato a regnare
questi due sistemi, o metodi, o indirizzi di filosofare
che si voglian dire. I positivisti anzi ci assicurano come
una delle cagioni del sorgere del positivismo fosse ap-
punto la stanchezza, la noia dello spirito moderno verso
le annebbiate speculazioni germaniche: nella quale sen-
tenza ci confermerebbero quegli hegeliani divenuti oggi
lianìsmo. (Vedi Phil. de VÉsprit. Introd, pag. LXIX.) Ai Comtisti certo
non piacerà questa parola del Vera, perchè si rammentanq della sentenza
del loro maestro: L* hegelianismo è nn fitichUme généraliU et gyttematUé,
enveloppé d*un appareil doetoral propre à donner le ohange au vulgaire.
— Vedi CoMTK, dmr» de Phtl Pont, Voi. V, Lez. 52% pag. 4'2.
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20 INTBODUZIOKI.
schietti positivisti. Ma, lasciando delle relazioni storiche,
non è difficile ritrovare un' attinenza ideale fra i due si*
sterni. Altra volta vennemi detto, adoperando una figura,
la quale non dispiacque, che l'Hegeliano, a ben guardarlo,
non è altro che un Positivista in guanti gialli: nel modo
ìstesso che il Positivista è un Hegeliano vestito da con-
tadino. £ veramente, se il positivismo giugnesse ad
aver coscienza di sé e diventare filosofia, pensiero me-
tafisico, speculazione; e' non potrebbe non riescire ad
altro che all' hegelianismo. So che questo discorso non
andrà a' versi di certi positivisti cui troppo ripugna
sentire affermare (come infatti affermava poco fa un
Hegeliano) che il positivista, pur non volendo, prima o
poi ha da cascare nell'idealismo assoluto, e molti vi sono
di già cascati.
Né é da meravigliarsene ; perché, ripeto, se il posi-
tivista si risolverà a farla da filosofo, recando ia atto
quella filosofia che alcuni di loro credono pur possi-
bile ; r unica porta eh' e' si troveranno dischiusa di-
nanzi agU occhi, altra non potrà essere salvo che
quella che mena all'Idealismo assoluto. Se da una
parte, infatti, si reputa possibile cotesta filosofia, e dal-
l' altra la si desidera di tal forma e di tanta perfezione
e certezza da non invidiar punto l' eccellenza della geo-
metria; qual edifizio più stupendo e più saldo e più
geometricamente ordinato e compatto della dialettica
hegeliana? Qual' orditura più razionale e tale che, al
pregio inestimabile della universalità e della compren-
sione, sappia congiungere una mirabile semplicità e
faccia insieme conseguire una soluzione compiuta in
ogni problema che agiti la mente umana?
Ma e' é di più. A chi ben consideri, l' Idea degli
hegeliani è il Fatto stesso dei positivisti ; ma il Fatto guar-
dato in sé, il fatto considerato fuori le condizioni del
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INTBODIJZIONE. 29
tempo e dello spazio, cioè come legge. Al contrario,
il Fatto de' positivisti è V Idea hegeliana, ma Videa
considerata fuori di sé, V Idea come tempo e come
spazio, come natura e come storia, come fenomeno,
0 al più, come fenomeno determinato in una legge,
ma legge sempre fenomenale, perchè intrinsecata pur
sempre col tempo e con lo spazio. Brevemente: il
fatto, che il positivismo corona e mitria come assoluto
signore della scienza, è V idea in quanto è legge a sé
stessa, in quanto è legge in sé. La formula del Positi-
vismo (fatto e legge del fatto\ che con tanta sazietà ci è
stata predicata e ci si predicherà ancora per un pezzo,
non è se non Tldea guardata nella sua superficie sen-
sata. La legge dd fenomeno^ ha detto Hegel, è la cosa
in se, in quanto è apparsa neW esistema. Depuratelo
cotesto fatto; studiatevi di mirarlo in se stesso, in tutta
la sua nudità; poi rivestitelo, rimpolpatelo, fatelo cam-
minare, fatelo procedere, consideratelo a traverso le
diflFerenti sue stazioni, rilevandone sempre la legge iden-
tica, necessaria, universale, fatale : e così avrete,-siatene
certi, una forma d' Idealismo assoluto, la quale, se non
è quella di Hegel, poco ci mancherà. La differenza,
dunque, tra l'uno e l'altro indirizzo, è questa: dove
il Positivista dice : Tutto è Fatto e l^ge del Fatto ;
l'Hegeliano risponde: Tutto alla fin fine è Idea e legge
dell'Idea. Però il secondo ha più coraggio del primo,
e dice: «Non vi spaurite 1 la mia Idea è precisamente
quello che nelle vostre mani diventa Fatto : voi la guar-
date con gli occhi della fronte, e la ricercate col micro-
scopio, col telescopio, con le bilance, co' reagenti, perchè
ne studiate l' aspetto più grossolano ed estemo, la fac-
cia: noi la guardiamo in vece con gli occhi della mente,
col pensiero puro, in se stessa, nell' astratta mansione
dialettica, perchè ne vogliamo indagar l'ultimo fondo, t»
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3J INTBODUZIOMK.
Tra schietto Positivismo, dunque, e schietto Hege-
lianismo ci ha intimo legame. Per questo, ripeto, i
settatori dell' una come delP altra scuola, fan di tutto
per trascinarsi a vicenda. Per questo la sinistra hege-
liana si viene sempre più alleando col Positivismo fran- 1
cese. £ per questo, finalmente, gli uni e gli altri con-
sentono in un risultato finale, sia che co' primi s^ abbia
a credere d' aver tutto spiegato, sia che co' secondi si
pretenda che nulla si possa mai capire de' problemi ve-
ramente metafisici del sapere umano. Le colonne d' Er-
cole, comecché in senso diverso, sono il termine d' en-
trambi. E può dirsi che lo stesso Hegel ne consacrasse
il ben auspicato connubio con quel famigerato principio
che i Positivisti potrebbero ormai accettare ad occhi
chiusi: Was veniunftig ist, das ist toirldich; und was
wirklich ist, dctó ist verniinftig,
E ora, concludendo, dobbiamo ripetere, rispetto a
questi due indirizzi, quel medesimo che qua dietro siam
venuti osservando riguardo alle due forme di Positivismo.
I Positivisti han ragione quando dicono a' filosofi: Siate}
positivi. Ma han torto marcio quand' e' gridano : Smet- ^
tete d' essere metafisici 1 L' esser positivi, e poi piantare j
siccome principio il non dover mai sorpassare la rela-
tività; ciò vuol dire esser negativi; vuol dire contrad-
dizione. Il pregio dell' Hegelianismo l' abbiamo accen-
nato; è il concetto della scienza e del processo. Ora
l'esigenza nuova qual è? È questa: combinare le due
tendenze, combinarle escludendo insieme il negativo
dell'uno, e il dommatico dell'altro. E bisogna esclu-
der r una e l' altra cosa, giust' appunto per conseguire
davvero il positivo. Desidenamo dunque essere del no-!
stro tempo? Se ciò desideriamo, non potremo rinunziare,
né alla tendenza positiva, e tanto meno allo spirito filo-
sofico che all'età moderna é venuto imprimendo l'Hege-
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INTRODUZIOMB. 31
lìanìsmo. Hegelianismo per me vai più che Hegel, e vai
più che i suoi creduti apostoli; non altrimenti che il
cristianesimo è assai più che cattolicismo, assai più che
r immobile schiera de^suoi pontefici. Hegeliani oggi dpb-
biaiP^ eg^y tntti; come tutto il mondo non può non
eeaere cristiano. Se dunque Hegelianismo e Positivismo
sono due sistemi, due poli (come altri ha detto) della <^
presente speculazione europea, ci ha da essere una via
di mezzo; una via di mezzo nella quale cotesti estremi
non siano estremi. CI ha da essere una via di mezzo
in cui ridèa sia anche il fatto, e il fatto idea per legge ,.
di conversione, non di compenetrazione o d' identità as-
tuta, ne d'empirica differenza. £ questa per Tap-
))unto è la nostra via: via, come ognun vede, assai
larga; via regia; in su la quale ci sarà facile incon-
trarci con tutti, e da buoni amici darci una cordiale '^'^
stretta di mano. E a percorrere cotesta via abbiamo
invocato 1* autorità d' un gran nome italiano; abbiamo
invocato la scorta del nostro Vico.
Che e' entra ora egli il povero Vico ! ci dirà con
una smorfia di sprezzo qualche bell'umore hegeliano o
positivista. Perchè andarlo a svegliare dopo due secoli !
E' c'entra per due semplicissime ragioni; e le dico
subito. Fra tutti gli scrittori dell' Italia moderna, il solo
Vico rappresenta, per così dire, l' uomo vecchio e l' uomo
nuovo; il medioevo e il secolo decimonono. Egli solo
dunque rappresenta la contraddizione; ma, intendia-
moci bene, la contraddizione che per intima necessità
si risolve da se stessa. Nella mente infatti, e però nelle
scritture di lui, la tendenza a sciogliere^ tal contrad-
dizione è evidente, energica. In lui dobbiamo studiare
noi stessi, se pur vogliamo rigenerarci nella scienza.
Ma, più che nella scienza, dobbiamo rigenerarci nel
metodo in generale, eh' è la seconda ragione per cui
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32 IHTBODUZIOirE.
è d'uopo rifarci da questo filosofo. Quanti altri filo-
sofi non abbiamo avuto in Italia, d'ingegno forse più
vasto e più comprensiTO e certo più analitico del suo?
Eppure nessuno meglio di lui ebbe coscienza del vero |
metodo nel sapere. Stuart Mill, com' ho avvertito, dice
die il grande affare della vita gli è il tirar conseguen-
ze. Da buon inglese e' non poteva smentire sé stesso
dicendo diversamente. L'italiano, chiamisi Vico o Ga-
lileo, Tizio 0 Sempronio, pare che, prima di questo, vo-
glia sapere qualcos' altro. Come s' ha a fare per tirar
conseguenze ?
Gran problema della scienza è il me^o. Qui ap-
punto sta principalmente l' originalità del Vico; qualun-
que possa essere la serie di errori in cui egli sia caduto.
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Libro Primo.
STORIA DELU SCIENZA NUOVA
E OBITIOA DR* CRITICI, DJSQL* INTRRPBETI E DEQLI ESPOSITORI
DELLE DOTTRINE DEL TICO.
Preàmbolo.
Se qualche ingegno erudito e severo prendesse ad
c^qporre criticamente i giudizi e le interpretazioni che
tanti e tanti scrittori son venuti facendo delle opere
del Vico, massime della Scienza Nuova in cui si rac-
chiudono e piglian quasi persona tutte le sue dottrine,
probabilmente si troverebbe d'aver imbastito una sto-
ria degU studii filosofici e storici e anco giuridici in
Italia, a contare dal 1750, se non pure dal 1725, insino
al dì d' oggi. E sarebbe certamente lavoro desiderevolisr
Simo, potendo così presentare tutte le produzioni scien-
tifiche del nostro paese come aggruppate attorno a un
centro luminoso, qual' è appunto l' opera maggiore del
filosofo napoletano. Perocché il moderno pensiero filo-
sofico italiano, e potremmo dir anche la nuova Italia, me-
glio che con altri libri s' inaugura, per così esprimerci,
con la Sdenta Nuova, La quale se da una parte, per
chi l'abbia meditata con amore, è tale da onorarci in-
finitamente a cagione delle divinazioni originali ne' nuovi
studii filosofici e storici ; dall' altra, s' io non m' illudo,
ai palesa come il libro più acconcio, per tutto il corso
storico del nostro pensiero filosofico, a più fedelmente
rappresentare la forma nativa e ritrarre l' indole vera
dell'ingegno italiano.
StltlLIAKt. 3
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34 STOMA DELLA SCIENZA KUOVA. [lIB. l]
Siccome io qui non presumo di far tale istoria, ho
Toluto nondimeno apporre tal titolo a questo primo
libro, affinchè altri, eccitato per avventura dalla trat-
tazione d'un tanto profittevole soggetto, ne tolga il
carico ; mentr' io vo' ristringermi a far una critica delle
principali sentenze e delle interpretazioni emesse intomo
alle dottrine vichiane dai numerosi critici ed espositori
italiani e stranieri. Il che non solo tornerà utile anzi
necessario al disegno del mio lavoro, ma* acconcio al-
tresì a rendere omaggio a tutti coloro che nello studio
del Vico m' han preceduto. Così pure avrò il destro
d' accennare alle dottrine filosofiche de' nostri ultimi
scrittori ; imperciocché, bene o male che sia, un periodo
filosofico s'è oggimai compiuto in Italia; e, bene o male
clie sia, se ne sono scritte e se ne scrivono più storie:
talché parmi tempo di giudicare con ispirito di mode-
stia, ma con altra tanta franchezza, anche la mente
de' nostri maestri, traendo profitto dalle verità e dagli
errori in che per avventura sian essi caduti.
In fin del libro i lettori troveranno un elenco, che
a me sembra compiuto, di tutte le opere nelle quali,
sia di proposito sia di passaggio, parlasi del Vico. Quan-
tunque abbia dovuto leggerle tutte coteste opere, e al-
cune anche meditare, non di tutte potrò discorrere con
egual misura. Di quelle pochissime non potute leggere
darò anche notizia, e avrò cura di citarne la sorgente.
Di cert' altri autori poi non ho creduto far neanco
menzione; del Poli, per esempio, che ne' SupplemenH
al Tennemann ha fatto un' esposizione cotanto empirica
e pesante e senz'ombra di critica delle dottrine vi-
chiane, da non potermene giovare in verun conto.*
Non parlerò del libro del Marini, autore traboccante
d' entusiasmo cattolico verso il filosofo napoletano, ma
certamente ingegnoso, erudito e sempre pieno di fede
* Comincia dal chiamarlo tommo fra gli eclettici italiani del seco-
lo XVIII!— Vedi Manuale deUa 5i. delln FU. di Tbnnemkahn. MUano,
1855, Tol. 4, pag. 662 e seg.
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[lIB. I.] PREÀMBOLO. 35
nel vero. Nemmanco terrò parola de' copiosi volumi del |
Rocco, e del Fagnani. L' un de' quali, pieno anche lui di
vnoto e smaccato entusiasmo verso l'autore della Scienza
Nuova, non sa vedere briciol d' errore, ma tutto verità
elettissima, tutto armonia, tutto profumo di sapienza nel
suo filosofo : r altro poi, non meno ingegnoso del primq,
confesso di non averlo potuto capire. Che se intendere il
Vico è impresa, come ci dicon tutti, non molto agevole;
pensate quando V espositore od interprete, nello svolgerne
ed applicarne le dottrine, usi linguaggio indeterminato, e
finisca per intrigarsi in un viluppo d' idee vaghe e con-
fuse, com' appunto il Fagnani con la sua scienza della
Divinazione. Né il Rocco, dunque, né il Fagnani, né altri'
di simil fatta potevano darmi appiglio a critica di sorta.
Da ultimo avverto, com' io non intenda propriamente
far un' intiera esposizione, e tanto meno procedere ad
una critica compiuta degli autori su' quali terrò parola.
Noterò quello che potrà giovare al mio scopo, accen-
nando quelle cose che potrò accogliere, e fermandomi
un po' sopra quelle dottrine in cui mi sarà parso eh' e' sì
discostino dal vero nel combattere le teoriche del Vico,
o che ben s'appongano nell' interpretarle, o che ab-
bian colto giusto nel correggerle od esplicarle.
A voler disporre con qualche ordine logico i diversi
autori che dal quarto lustro del secolo scorso fino a' dì
nostri sonosi occupati delle dottrine vichiane, gioverà
distinguerli in tre diverse categorie:
r degV imitatori ed oppositori;
2* degli eruditi e critici propriamente detti;
3* degT interpreti filosofi.
Gotesta divisione non é capricciosa, ne immaginata a
priori. Essa risponde davvero a tre differenti periodi
di tempo, nel primo de' quali prevalgono appunto gl'imi-
tatori e gli oppositori delle suddette dottrine, e dura
sino a' primi anni del secolo che corre. Nel secondo pre-
dominano gli eruditi e i critici; e questo finirebbe verso 1
il 1840. Nel terzo finalmente primeggiano gì' interpreti
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36 STOBU DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
filosofi, i quali ad ogni patto vogliono interpretai'e il
Vico secondo che detta loro il proprio sistema. Cote-
st' ordine e cotesto progressivo moltiplicarsi d'inter-
preti, di critici e d' espositori, ci farà toccar con mano
un fatto assai consolante àgli occhi di tutti noi; e que-
sto fatto è che gli studii sul Vico sono venuti sempre più
progredendo nell' analisi critica col succedersi degli anni,
e viemaggiormente crescendo nell'animo degl'italiani
e degli stranieri Y amore verso il nostro filosofo. D vero
concetto e il valore della Scienza Nuova è andato così
generandosi e maturando col tempo nella mente e nel-
l'animo di tutti; e potremo quindi persuaderci una volta
più di quella verità avvertita fino dal primo discepolo
del Vico, Emmanuele Duni, che la Sdenta Nuova, opera
prematura pel tempo in eh' ella comparve, non fosse
intesa nel suo verace significato, o intesa assai male.
Lb, Scienza Nuova dunque, se da una parte è il libro vera-
mente italiano, libro italiano per eccellenza; dall'altra!
è da ritenevi come opera essenzialmente moderna. E
se cosi non fosse, non si capirebbe per qual ragione i
lavori critici sul nostro filosofo sian venuti sempre più
accumulandosi, massime nel terzo periodo che abbiamo
designato col titolo degli autori critici e interpreti filosofi.
Capitolo Primo,
periodo degl' imitatori e degli oppositorl
Non parlo della censura né degli elogi fatti alle
dottrine del Vico mentr'e'visse: per esempio, della let-
tera di Giovanni Clerico sul Diritto Universale; della
critica del Giornale de* Ldferati cP Italia a proposito del
Libro Metafisico, nella qual critica alcune obbiezioni]
non può dirsi che manchino d'acume e verità; e final-
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CAP. I.] IMITATORI E OPPOSITORI. 37
mente dell' articolo del giornale di Lipsia cui il Vico
rispose acerbamente quando fu biasimato d'aver fattoi
servire al Cattolicismo le proprie dottrine. Ma ciò che
innanzi tutto giova notare è questo; che comparsa
appena la Scienza Nuova, parecchi levaronsi contro
dichiarandola avversa alla religione; e, fra' molti, sarò
contento rammentarne due: Damiano Romano, autore |
d'alcuni lavori non affatto spregevoli, e il Finetti,
professore a Padova, mente sottile più che acuta, in-
gegno largo più che profondo, scrittore mezzanamente
erudito ma poco efficace, autore d'un lodato Corso dii
Diritto di Natura e déUe Gentì, nel quale si legge
tutt' un capitolo contro il Vico. Il Romano die fuori,
fra le altre, due scritture che si collegano IVa loro in-
timamente per lo scopo a cui le indirizzava. Nel-
l'una difende contro il Vico l'origine tutta greca delle
leggi delle XII Tavole ; ' nell' altra piglia a confutare
il principio della Scienj^a Nuova riguardante l' ori-
gine del linguaggio, e a mostrare contrario addirittura
alla religione cristiana tutto il sistema del filosofo na-
poletano.* E- a vedere infatti se le dottrine giuridiche
del Vico racchiudessero germi di vera e propria rivo-
luzione scientifica, basti dire che nel 1768 il Romano
pubblicava il suo libro su YOrigine della Società dedicato a
Maria Teresa d'Austria, nel quale può scorgersi com' egli, \
oltre Rousseau e tutt'i Naturalisti, intenda confutare
anche l' autore della Scienza Nuova. E giova notare lo
spirito con che scriveva quest'accanito oppositore del
Vico. Nella dedica all'Augustissima Maria egli dice:
« Se vi degnate per poco di sventolare il mio Prodotto,
questi stessi sentimenti vostri vi troverete inculcati ed
espressi. Sostengo in esso la indipendenza dell' autorità
monarchica da qualsivoglia giudizio umano...;. e la di-
fendo dagl'insulti de' Naturalisti, che si sono sforzati
* Vedi Damiano Romano, Difesa storica delle Leggi Oreche venute a
JRoma contro V opinione moderna del signor Vico, Napoli, 1786.
* Quattordici Lettere std terzo principio della Scienza N^uova ec. 1749.
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38 STOMA DELLA 8CIBÌ?ZA NUOVA. [lIB. I.
e si sforzano di richiamare il genere umano allo stato
della natura. » Di sotto a queste parole ignobilmente
servili del povero filosofo piaggiatore, escon due conse-
guenze; la prima, che il Romano avesse tanto acume
da scorgere ov' il diavolo tien la coda; la seconda,
che fra le dottrine del Vico s' ascondessero idee e prin-
cipii non comuni, né poco avversi agli Augustissimi piag-
giati dal Romano. In ogn' altra sua scrittura, per esempio
' nella Scienza del Diritù) Fubhlico^ e meglio in quella su
lo Stato naturale insujf^iente per la sicurezza delVuomo
dopo la prevaricazione délVuomo, egli è in un indirizzo
affatto contrario a quello del Vico. Basti citare infatti
alcune parole del primo capitolo dell'opera su V Origine
della Sociefày le quali accennano ad un pensiero dia-
metralmente opposto ai principii e al metodo del Vico:
« L'uomo non è naturalmente portato alla società civile;
e in conseguenza non ebbe la società civile la sua origine
immediata o mediata dalla natura.* » Dopo ciò il let-
tore capirà qual valore possano avere le due* scritture
del Romano poco fa citate, specie le quattordici lettere
sul terzo principio della Scienza Nuova.
Non parlo di Giovanni Lami, scrittore toscano assai
fecondo ma non men loquace e borioso, storico erudi-
tissimo, filosofo assai leggiero, teologo di gran nome,
collaboratore infaticabile nelle Novelle Letterarie e
degno traduttore del Meursio; nelle cui note, toc-
cando del Vico, lo condanna nella questione su le
XII Tavole, e poi non so quali e quante empietà sai
scorgere nelle altre sue dottrine. Tanto meno vo' in-
trattenermi a parlare di Appiano Buonafede, il quale
credendo encomiare V autore della Scienza NuovOj con
tutta boria nazionale il contrappone ai Grozio, ai Sel-
denio, agli Hobbes, agli Spinoza, ai Montesquieu e ad
altri parecchi i quali, egli dice, annullano la ragione
col distrugger la religione. Il Vico, agli occhi del Buo-
Vedi pag. 81.
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OAP. I.] IMITATORI K OPPOSITOBI. 39
nafede, non fece che innalzare nn edifizio stupenda
in favore della rivelazione, e scrivere unicamente per
condannare gli errori del suo tempo. In una parola,
altro in lui non seppe vedere tranne che il senso della
religiosità elevata a speculazione.*
Più vivo interesse ha per noi l'opposizione mossa
dal Finetti, che non quella del Lami, del Romano, od
altri che sia. Ma non si può rammentare il Finetti
senza che il suo nome risvegli quello di Emiiianuele
Duni col quale scese in lizza e battagliò fieramente. Na-
poletano d'origine, il Duni professò nella Sapienza di
Roma verso la metà del secolo passato. Fu scrittore,
se non molto profondo, assai pregevole (checché ne
dica il Ferrari) per lucidezza singolare d'idee, grande
chiarezza e facilità di dettato. Fino dal bel principio
si mostrò seguace caldissimo e pieno d' entusiasmo delle
dottrine del Vico, tanto che nel dedicare al Ministro
Tanucci il suo Saggio suUa Giurisprudenza Univer-
sale, fa la sua profession di fede con queste parole:
« In mezzo ad un tempestoso mare di scritti, co;ifesso
il vero di non aver trovato altro ricovero, che di sal-
varmi nel porto della sapienza dell'incomparabile, e
(dicasi pur francamente) del gran filosofo, filologo e
giureconsulto Giambattista Vico, gloria eterna della
nostra napoletana nazione e maestro di quanti mai fu-
rono ingegni più scórti e illuminati.' »
Se il Duni non apportò alcuna interpretazione ar-
dita nelle tante applicazioni eh' egli fece delle dottrine
del suo maestro, ne fu nullamanco imitatore sempre facile,
chiaro, disinvolto, massime ne' suoi studii sul Diritto 1
Romano. Talora si mostra superficiale, come là dove
* Vedi Appiano Bconafedb, Istoria critica cUl moderno diritto di '
fiatura e ddU genti, libro stampato la prima Tolta dopo il 1766 senza*
data DÒ luogo, e poi riprodotta a Perugia negli ultimi anni del secolo
scorso.
* Vedi r ediz. completa in dao grossi Tolumi delle opero del Duni '
&tta dal Gonnarelli in Roma nel 1845.
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40 STORIA DELIA SOIBITZA NUOVA. [UB. I^
non gli riesce di cogliere la vera teorica della conoscenza
secondo il Vico, avvegnaché ne parii piii volte, e più
volte la difenda dagli attacchi del Finetti.' Ma spesso
è acuto, come quando parla delle due fonti del Diritto
' Universale (vero e certo, ragione e autorità) tuttoché non
sappia vedere qual relazione corra fra questi termini.
Ciò nullameno intende a maraviglia questo punto : che
VAidorità pel Vico altro non sia che la stessa Bagionef
ma la ragione più o meno ingannata, la quale è madre
del diritto delle Genti e civile ossia volontario ;doYecchè la
ragione (Ratio) è in quella vece il pensiero puro e indipen-
dente da' fatti.* Ma ciò che poi sveglierà più vivo inte-
resse é la dottrina onde questo dotto storico giusnaturali-
sta difese il Vico, e per la quale vuol esser rammentato
a preferenza di tutti i critici e seguaci del filosofo na-
poletano; dico la dottrma risguardante l'origine del-
l'uomo. Egli merita elogi per aver sostenuto in Italia
con parola coraggiosa e libera, una lotta accanita con-
tro Teologi e Tradizionalisti in nome della Sdenea
Nuova. Il suo avversario fu appunto il Finetti. Sotto
gli occhi del Papa e dei cardinali, adunque, nella Sa-
piìinza di Roma, nel bel mezzo del secolo XVIII, sur-
sero due sette chiamate dei Ferini e degli Antiferini;
l'una delle quali propugnava l'orìgine ferina dell'uomo,
dovechè l' altra, con la Bibbia alla mano, oppugnavala
gagliardamente. Era senza dubbio l' esigenza del Darwi-.
nismo che affacciavasi allora sotto forma astratta,
speculativa e quasi divinativa, per opera della Scienza
Nuova, Se non che occorre notare sin da questo mo-
mento una delle contraddizioni, anzi la massima con-r
traddizione del Vico, cioè la nota distinzione tra popolo
eletto e popoli imbestiati dopo il diluvio. Contraddizione
palese, com'è evidente; perocché la legge storica su
la quale si cardina la Scienza Nuova, con tale odiosa
distinzione non è altrimenti una legge, appunto perchè
* Vedi Seiefua del Co»tume^ pag. 97.
* Vedi Saggio $uUa Qiurisprudtnua untvtnaltt p. 64.
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CAP. I."| IMITATOBl'K OPPOSITOBI. 41
manca del carattere d'universalità. Di tali contraddi-
zioni nel Vico troveremo più d' una. Ma i primi cri-
tici e seguaci delle sue dottrine non erano atti a risol-
verle, e depurare il vero dalla mischianza di certe idee
assai poco omogenee fra loro.^
Ora questa medesima contraddizione passa nella
mente del suo discepolo Duni; il quale perciò difen-
dendosi dagli attacchi del Finetti, dice : a Io già mi di-
chiarai nel mio Saggio, e qui ripeto lo stesso, che non
intendo di ragionare dell' origine e creazione del mondo,
e molto meno della nazione ebrea; ma soltanto del-
l' origine delle nazioni gentili* »
Il Finetti poi nel contraddire al Duni e quindi al Vico
quant' all' origine dell' uomo, presentavasi armato di tutte
quelle svariate pruove che sanno dare la Bibbia e la
costante tradizione degli scrittori'cattolici. Contraddiceva
alle affermazioni sia de' poeti sia degli storici antichi ai
quali, dietro l'esempio del suo maestro, affidavasi il
Duni; e chiamava i primi indegni di fede, mentre di- ,
chiarava i secondi ignoranti e grossi d' ingegno. Però
negava risolutamente quelle tre note circostanze onde
accompagnasi lo stato ferino siccom'è concepito dal
Vico: vita affatto solitaria, mancanza di linguaggio,
uso di venere vaga. 11 Duni invocava anch' egli l'au-
torità degli oratori, degli storici e dei filosofi più illu-
stri dell'antichità, massime di Platone, d'Aristotile, di
Cicerone; e più che altro faceva rilevare il fatto dei'
popoli ferini contemporanei. Ma le scienze naturali non
avean peranche cominciato a spandere alcun raggio di
luce in proposito, ne poi l'ingegno del Duni avea tan-
t* ala da elevarsi a comprendere que' germi di principii
* Nelle lettere, per esemplo, del di Gheminghen a Tommaso Alfano,
in eoi si discorre sol Talore del programma pubblicato dal Vico avanti
il 1720 al sao Diritto Universale, leggiamo queste parole: e Son curioso
di Tederò come- 1* Aatore, trattando della ragione amana corrotta, la •
possa connettere con la moral cristiana, e far quella principio di que-
sta l > Vedi Op. di Vico, ediz. Predar!, pag. 762.
* Vedi Op. cit. Risposta al Finetti, pag. 40.
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43 8T0BIA DKLLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
cosmologici sparsi nel LS}ro Metafisico, e in questi at-
tingere forza a meglio interpretare e propugnare le ap-
plicazioni fatte dal Vico nella Sdenisa Nuova. La con-
traddizione, dunque, passata dal maestro al discepolo *
e il non aver saputo cogliere il principio cosmologico
del Vico, fece sì che tale polemica, nel modo ch'era
sostenuta dal Duni, apparisse inefficace e manchevole.
Debole e manchevole infatti ci sembra questa ma-
niera di ragionare : « Voi vorreste che i primi fondatori
delle nazioni fossero stati dotati d' innocenza di costumi.
Ma, caro signor censore, come potete voi spiegare le
origini dell' idolatria, la barbarie, l' immanità negli usi
delle orride loro religioni piene di duro materialismo?
Come l'immanità delie loro leggi e costumi, le cui re-
ligioni si sono per lungo tempo conservate finanche nei
tempi della maggior loro cultura, per qui tacere le ori-
gini delle lingue, delle poesie, della frode e cose simili?
Come finalmente i progressi di tali nazioni di cui ne
abbiamo le memorie troppo sicure, e non soggette alla
minime dubbiezze? Ma, giacché i monumenti e la sto-
ria degli antichissimi e de' presenti barbari popoli sono
per voi sogni, favole e delirii, perchè non ci dite con
quali altri principii, origini e progressi di cose umane
debbasi ragionare di questo mondo, degli uomini, deUe
nazioni, delle tante umane istituzioni, delle origini e
progressi delle umane industrie nelle colture delle co-
gnizioni, alle tante maravigliose invenzioni, nei governi
e polizia de' popoli ed in tante altre maraviglie che os-
serviamo nel gran teatro di questo mondo degli uomini?
Come non sapete che i costumi e le leggi umane deb-
bano necessariamente trarre loro origine e progressi
daUe idee degli stessi uomini? Come potete negare il
vario corso di tali costumi, che di grado in grado spo-
gliandosi del materialismo, li troviamo di fatto più puri
nell' età avanzata che nella fanciullezza di tutte le na-
zioni.* » — Io non dico che tutto ciò non sia vero: dico
* Vedi Risp. al Finetti, pag. 41.
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GAP. l] IMITATOBI E OPPOSITOBI. 43
che il Duni, a difendere invittamente la sentenza del
suo maestro, avrebbe dovuto movere dai principii co-
smologici e psicologici, i cui germi non mancano cer-
tamente nelle opere del Vico.
Gasuista acutissimo, quanto insolente, il Finetti sor-
rideva a sentir elogiare e difendere questa dottrina
della Scienza Nuova; e tutto pieno d'entusiasmo reli-
gioso rispondeva con XXIII obbiezioni cavate dai libri
santi.' Quindi esclamava: « Dottrine veramente altissime !
religiosissimi e ammirevoli pensamenti ! Tra le varie cose
onde pretende il Vico di far grandemente spiccare la
divina Provvidenza, una è quel capriccioso di lui corso
delle nazioni sulle regole, diciam così, del trel II Duni
andrà in estasi a tal pensamento ; e pure a me è sog-
getto da ridere, spezialmente quando si pretende con
à costante ternario di far spiccare la divina Provvi-
denza ; essendo chiaro eh' ella rìsplende nella grandezza
ed importanza de' fini e nella idoneità e giusta propor-
zione dei mezzi, e non già nel far correre le nazioni
pe' numeri di tre o quattro. Un tale giuoco non sembra
certamente degno dell' infinita sapienza di Dio.* » E al-
trove, allargando la sua critica, aggiunge : « La maniera
di filosofare inventata dal Vico è tale, che può porgere
delle armi per oppugnare la Religione.... e non poco
corredo a chi voglia farne uso per impugnare e met-
tere in dubbio la Sacra Scrittura e la divina rivela-
zione....; » tanto che paragonandolo al Boulanger, uno.
degl'increduli de suoi tempi (com' egli stesso nota), non
dubita porre a riscontro le dottrine dell'uno con quelle
dell'altro per otto diflferenti capi.
Com' è chiaro, il Finetti non ebbe tutt' i torti se gli
venne in grave sospetto la Scienza Nuova. Avea torto
bensì nel confondere, come il Romano, tale dottrina del
Vico difesa dal Duni, con quella de' filosofi francesi
' Vedi Sommario delle oppoeizioni del Sietema Ferino di Vico alla
Sacra SeriUura, p. XI, XII.
* Op. clt pag. IX.
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44 STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
de' suoi tempi. Ed è a confessare che questo mede-
simo torto hann' avuto di poi parecchi altri critici, an-
che viventi, laddove parlano della dottrina su lo stato
ferino propugnata nella Sdeiiza Nuova» Avvertiamo una
volta per sempre che lo stato di natura del Vico noa
ci ha che vedere con quello de' giusnaturalisti vis-
suti nella seconda metà del secolo XVII, e nella prima
del XVIII. E tornando al Finetti, a meglio capire la
maniera della sua critica, nonché il carattere delle sue
opposizioni, giova qui rammentare certe parole, da lui
stesso riferite con aria di trionfo, d'un personaggio"^
napoletano. Il quale, stato già scolare per più anni del
Vico, raccontava come il suo maestro in Napoli fosse
ritenuto per uomo veramente dotto, ma che poi fosse
stimato pwsfjso a cagione delle sue stravaganti opinionL
Il Finetti si degna dirci d' aver chiesto a quel gentiluomo
partenopeo se quando il Vico scrisse la Scienjsa Nuova
fosse dotto, 0 non più veramente pazzo. <i Oh allora
era divenuto affatto pazzo!» dice rispondesse costui. j
Concludendo : questa polemica tra un filosofo teologo
e un discepolo del Vico, dietro a' quali senza dubbio
v'erano due schiere, due scuole e due partiti, ci mo-
stra come nella Scieììza Nuova ci dovesse essere qual-
cosa d'originale, e come fin d'allora scrittori di filo-
sofia e di storia e di diritto se n' accorgessero tosto. E
che cotesta polemica non fosse molto pacata e serena,
ce lo dicono le due sètte de' Ferini e degli Antiferi-
niy nelle quali si divisero i propugnatori delle due dot-
trine. Talché può dirsi in generale che le dottrine del
Vico fin di principio siano state parte accolte e studiate,
parte accanitamente discusse e avversate da uomini ìn-
' Ho Toloto accennare a tal particolare per un altro motivo. Uno degli
ultimi critici del Vico, il Cantoni, come vedremo, pensa che la seconda
Seiemm Nuova segni appunto il decadimento dell* ingegno del Vico. So
ciò che il Finetti racconta è vero, il Cantoni potrà avere una ragiono
di più a credere che le opere latine fossero state scritte dal Vico men-
tr* era dotto^ e poi da pauzo scrivesse la Sdenta Nuova, segnatamente
la seconda, stantechè la pazzia naturalmente andò progredendo!
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CAP. I.] IMITATORI E OPPOSITOBI. 45
gegnosi e iUustri professori di Università, coin' erano
il Dani e il Finetti. Nel qual giudizio ci conferma inoltre
il sapere come le dottrino del filosofo napoletano ve-
nissero accolte, interpretate e insegnate altresì dal Con-
cini^ nella Università veneta,' e come nel medesimo
giro d'anni facessero lo stesso con le loro pubblica-
zioni il Ganassoni, il Rogadei, il Gaglio, il Bisso, e ili
Natale.* E dopo questo movimento scientifico inaugu-
rato dalle dottrine del Vico nella mente di molti sia
per averle questi accettate e difese ciecamente, sia
per averle respinte assolutamente, meglio che opposi-
zioni dirette incontriamo ripetizioni più o manco in-
gegnose, come per esempio nello Stellini, nel Cuoco,
nel Pagano.
Comecché noi citi, è impossibile che Iacopo Stellini
abbia ignorato aiFatto le opere del Vico; egli amicis-
simo del veneto Conti, e questi amico e ammiratore
profondo del Vico. Ma sebbene imitatore, non riuscì a
far progredire d'un passo le dottrine della Scienza
Nuova. Nella quale non essendo difficile argomentare
il concetto, per esempio, della morale considerata se-
gnatamente sotto l'aspetto di processo storico, egli
avrebbe potuto comporre la scienza del bene e del-
l'onesto con disegno ben diverso da quello eh' e' me-
desimo adoperò in quel suo sconfinato corso di morale.
Al tutto subbiettiva infatti è per lui la morale. E
se nello studio delle facoltà psicologiche vuol darsi
a credere seguace dell'esperienza e dell'osservazione
storica, nullameno, a guardarci bene addentro, della
psicologia e' non seppe sul serio fare alcun uso sto-
rico, tanto che pose come sorgente della morale e
* Vodi C^CInJ^a, Origini» fundamenta et capita prima Jurit Xaturali*.
Padora, 1784.
' Pel Ganassoni Tod. Oposo. del Calogerà, la Memoria in difesa del
principio del Vico so T origine delle XII T&xoìq. — "RoGAD^h Saggio dd
diritto pulbìico e politico del Regno di Napoli: e specialmente DdV an-'
tico Stato de' popoli d' Italia CÌ9tiberina. ~ Vedi anche nel Colangblo,
BiìAioteca analitica ec •
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46 STOBIA DELLA SCIENZA KUOYA. [lIB^ I.
de' costumi il contrasto e l'accordo delle facoltà. Ma
in che mai risiede la vita, l'organismo di esse? Lo
IStellini non sospetta neanche la possibilità di questo
problema. Copia bensì la legge del Vico nel disegnare
U corso storico onde la barbarie procede a civiltà;
ma, piii che legittimarla con pruove storiche, non fa
che illustrarla con vaghe affermazioni psicologiche. Così
pure, se con tutta facilità copia i corsi e i ricorsi storici
della Scienza Nuova, spesso gì' intende materialmente, e
I talora persino in significato intieramente contrario al-
l'insieme delle dottrine vichiane, come quando ci dice
e ci assicura che il primo stadio dell'umanità fosse stato
una specie d'età dell'oro, età d'innocenza, età di nes-
sun bisogno fisico né morale.*
In verità bisogna confessare che lo Stellini somi-
glia la scimmia la quale pur pretende ritrarre la pa-
tente virtii e le fiere e sublimi bellezze del leone :
barbogio Chinese, che mentre vuol imitare l'Europeo,
pili che rifarlo, non riesce che a contraffarlo ! Né questo
mio linguaggio rechi maraviglia ad alcuno. Come infatti
maravigliarsene, se i poemi omerici per lui non rappre-
' sentavano che una medesima età ? se degl' istinti po-
polari, per quanto volesse parlarne, mai rfon pervenne
a comprendere il gran valore e la vital funzione nel-
r opera della storia? se nelle morali disciphne me-
' todo unicamente accomodato disse quello delle scienze
fisiche? Fiacco imitatore, lo Stellini volle nonpertanto
dissimularne gli artifizi, ma non ebbe virtii a produrre
sol un concetto originale, e nessuna dottrina della
Scienza Nuova vantaggiare d'alcuna ingegnosa inter-
pretazione. E pure il Bomagnosi ebbe cuore a dichia-
! rarlo superiore al Vico: gli stranieri traevano in folla a
visitarlo, e finì per aver titolo di Socrate novello!
Ma seguace piii amoroso del Vico e assai più intel-
' Chi non roglia ricorrere a11*edÌ2. di Padova delle opere dello
Stellini, può leggere queste idee nel VolgarinMamento fatto dal Valbbiaxi
dell* Origine e pr agretto de* coetumi^ 4> ediz. Siena, 1829.
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CAP. I.] IMITATOSI E OPPOSITOBI. 47
ligente fu, al pari del Duni, il Pagano, di cui il solo
nome è ricordo pietoso ad ogni anima gentile e aperta
ai sensi di libertà. Come nel Duni, così pure nel Pa-
gano le idee vichiane leggiamo esposte con chiarezza e
facilità, ma anche con troppa imitazione; che anzi è
da confessare come in lui faccian difetto alcuni pregi
del Dunf, per esempio là dove pone questi principii :
— che lo stato della primitiva barbarie non fosse gene-
rale ; che la gelosia, piuttosto che un certo vago senso
religioso, spingesse T uomo al matrimonio ; e che tra la
barbarie originaria e la barbarie medievale il Vico
non iscorgesse divario di sorta: — il che, come vedre-1
mo, a noi non sembra punto vero. Ma grave errore
del Pagano è quello di volere interpretare la storia in
un senso troppo fisiologico; e questo tiene alla efficacia
che nella sua, mente esercitò la filosofia francese di
quell'età. E alla stessa cagione forse è da riferire
s' ei non seppe vedere come il processo storico non sia .
né possa essere unilaterale, ma complesso, organico,
dovendo abbracciar tutte le manifestazioni e tutti gli
elementi d' una data storia e civiltà. Per le quali cose
non possiamo accettare la sentenza ond' altri ha pro-
nunziato, che i Saggi del Pagano siano la interpretp,-
zione più fedele della Sciema Nuova: tanto piii che
il Pagano, intendendo in maniera grossolana al pari
dello Stellini la dottrina del corso e ricorso, non dubita
sostenere che le nazioni tutte a per lo stesso movimento
onde son rimenate alla luce della cultura, ricadono
nelle tenebre della natia barbarie. » Nel che non s'ac-
corge quel nobile e sventurato ingegno come il ricorso
del Vico sia anche progresso, e come il suo svolgimento
abbia luogo in età diflFerente da quella in che accade t
il corso della civiltà; mentre al contrario in un medesimo
popolo , per esempio nel greco, egli vede insieme un |
eorso e un ricorso storico.* Il Pagano dunque non iscorge
* Vedi Mario Pagano, Op. edlz. Capolagro, Gap. VI. Saggio VI,
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48 STORIA DELLA SCISKZA NUOTA. [lIB. !•
il modo con che il suo maestro intese coordinare i diversi
momenti de' grandi periodi della storia eh' ei disse corsi
e ricorsi storici. Non riesce a salvam dall'errore, nel
quale intoppò lo Stellini, d'ammettere una prima età
storica non ferina, ma innocente. Non sa vedere l' er-
rore del Vico, oggi assai grave, delle catastrofi e dei ca-
taclismi fisici onde gli uomini furon da prima scossi e
menati a civiltà. Finalmente, come origine assoluta delle
famighe ponendo il ratto delle donne per opera degli
uomini forti, non s' avvede che nelle dottrine del mae-
stro, più che- cagione, cotesta era semplice occasione,
non altrimenti che le suddette catastrofi e cataclismi
di natura. Ma è da notare che fra tanti errori egli
talora sorpassa il maestro, non che i mitologi suoi con-
temporanei, quando sostiene, per esempio, che i Greci,
\ quant' a mitologia, non facevano che vestir poetica-
mente racconti d' origine primitivamente orientale.*
Né a quel tempo erasi ancor difi'usa quella febbre,
che tutti oggi invade, dell' orientalismo indiano. E Vin-
cenzo Cuoco, benché seguisse il Vico nelle esagerate
, interpretazioni del suo Platone in Italia, romanzo fatto
sul gusto délVAnacarsi del Barthélemy; ne divina ta-
lora qualche idea originale come quando pone, a dirne
solo quest'esempio, un'origine spontanea anzi che co-
municata e artificiale alle manifestazioni storiche, reli-
giose, mitologiche, poetiche e poUtiche. Così mercé il
Pagano e il Cuoco, entrambi ingegnosi discepoli del
Vico, temperavasi quella dottrina del maestro che, come
vedremo in altro luogo, potrebb'essere interpretata con
opposti e contrari significati. E vuoisi che il Cuoco
meditasse e anche scrivesse un lavoro sulla Sdenta
\ Nuova, ma che da sé medesimo avesse poi distrutto,
forse per que' motivi politici che sì crudelmente gli fu-
nestaron l'animo, il quale, non meno del Pagano, egli
ebbe pieno di carità patria. Del Cuoco in sostanza
* Op. cit. Saggio I, Gap. XXIII.
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OAP. I.] IMITATOSI E OPPOSITOBI. 49
non abbiamo ne interpretazioni, né esplicazioni del
pensiero che informava la Sdenta Nuova, degne d'esser
rammentiite. È bene anzi avvertire com' egli ne acco-
gliesse alcune idee al tutto erronee: quella, per esem-
pio, d' un' antichissima sapienza italica, anteriore alla
romana e alla greca per cui riteneva che gli Etruschi,
sparsi un tempo per tutte le terre italiane, avessero
costituito un popolo solo. Non pertanto il Cuojo dà
s^ni evidenti d'avere studiato la Scienza Nuova ed
essersene giovato, chi consideri quanto egli imitasse e
ripetesse le idee del Vico, ma sempre in modo inge-
gnoso, acuto, geniale, sul corso della civiltà, su la co-l
stituzione di Roma e su la legislazione in universale.
Chi dovea più d' ogn' altro valersi del Vico in fatto I
di principii legislativi fa il Filangieri. Il quale, se stu-
• diasse le opere del nostro filosofo, e se in grande ve-
nerazione avesse alcuni principii di lui, ce lo atte- .
sta, da una parte, una lettera del Goethe scritta da
Napoli nel 1787,* e dall'altra le citazioni ch'egli
stesso £a e le dottrine eh' e' non di rado toglie dalla
Sdenta Nuova. Dalle opere del Vico infatti esce lumi-
nosa la prova dell' esistenza d' un elemento universale
e assoluto nelle leggi guardate lungo il processo isto-
rico, e per cui la legislazione nella storia non è altro
che la incarnazione dell'idea del Diritto; della quafe
egli aveva additato, come vedremo, il principio -nel-
r opera sul Diritto Universale. Perciò nella Scienza
Nuova avverte che la filosofia del Diritto considera
Vuomo guai ddb' essere mentre la legislazione censi- '
dera V uomo quale è per farne buoni usi neW umana
società} Ora appunto la seconda parte di questa sen-
tenza tolse a studiare il Filangieri, e però diciamo che la .
scienza della legislazione altro non sia, chi ben guardi, '
che un' applicazione di questo concetto vichiano. E vera-
mente, se ad applicare ottime leggi al civile consorzio
* Vedi nel Cintohi, Studi oritiei, ec. pag. 276.
• Vedi Degnità VI, VU.
SlCILIAIfl. ^ 1
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50 STOMA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
è necessaria l'esperienza; e se l'arte dello sperimento
non è possibile in siflFatt' ordin di cose tranne che me-
diante la storia; perocché se la storia elevata a filo-
sofia è atta a mostrare che i fatti legislativi, guardati
nella loro idea e nelle attinenze con altri fatti pos-
8on essere considerati come altrettanti esperimenti che
la civiltà va seco medesima operando: se tutto ciò è
vero, .è da concludere che l' antecedente logico della
Scienea deUa LegislcusAone sia per l' appunto la Scienea
Nuova. Laonde non parmi che il Lerminier s' apponga,
dicendo il Filangieri seguace del Montesquieu,* per la
semplice ragione che il medesimo Filangieri ebbe co-
scienza di non dover battere le vie già con tanta gloria
calcate dal filosofo francese, com'egli stesso ci assicura.
Filangieri non intese a ricercar leggi, né a descriver |
costumi : volle anzi levarsi alla teorica dei costumi e •
delle leggi. Ora cotesta teorica, come vedremo, è inutile
cercarla nel Montesquieu ; ed è inutile cercarvela anche
per confessione degli stessi Francesi. Ripeto quindi che
la Scienza della Legislazione, chi la guardi nella origi- 1
nalità del suo disegno, è di fattura tutta italiana, e
possiamo designarla perciò come una pagina (splendida
pagina in vero!) della Scienza Nuova.
Ciò non pertanto è da confessare come il Filangieri
talvolta s'accosti, forse anche troppo, al fare del Ro-j
magnosi, il cui pensiero mostra d' avere tanta affinità
con la filosofia francese. In gran parte meccanica e
artificiale riesce infatti la sua dottrina storica, alla
quale si riferisce la legge ch'egli espone su le Religieni
e eh' è pure una debole imitazione attinta nel Vico ; 1
ma è tal legge, ch'io starei per dirla disorganata.
Filangieri è da lodare per piil conti, massime per aver
I saputo cogliere il vero di quel principio vichiano sulla
incomunicabiUtà originaria dei miti presso popoli dif-
ferenti: * col che mostra d' aver attinenze sempre piiì
' ItUroduction generai eo. Gap. XV, pag. 188.
* Vedi Scienxa ddla Legialanone, Gap. VI.
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CAP. I.] IMITATOBI E OPPOSITOW. 51
apffini con gli altri seguaci e imitatori d' un comune
maestro e d' un ispiratore comune, quali abbiam visto
essere stati per differenti guise il Duni, il Cuoco, il
Pagano.
Se non che, come la tendenza alla pura imitazione
eccita spesso la critica, parimenti la critica efficace!
e produttiva viene più spesso eccitata dalla critica
infeconda e negativa. Così Melchiorre Delfico quan-
tunque più volte citi '1 Vico e ne accetti perfino al- )
cune dottrine su la Giurisprudenza romana, si pre-
senta come negazione dì lui quando si pensi che il
Vico fu primo interprete critico del Diritto Romano, e
dicasi pure della Storia romana. Il dubbio critico e fe-
condo dell'uno su le origini di Roma e delle XII Ta-
vole, diventò dubbio scettico nell' altro. Egli infatti
giunse a dire che la comune opinione sulla grandezza
romana devesi ridurre al solo ingrandimento de' con-
fini, ottenuto spesso con mezzi rei ed infami.* E se
il Gravina appoggiandosi all' autorità di Cicerone fin
da' primordi del secolo XVIII appella Diritto per ec-
cellenza il Diritto Romano; il Delfico, in su lo scorcio 1
dello stesso secolo, non teme affermare che Roma,
tuttora barbara e ignorante, avea già veduto a' suoi
fianchi gli Etruschi, i Sabini, gli Umbri, celebri già
per leggi e per giustizia, gli Equi e gli Equicoli,
così appellati perchè giusti. Che cosa ne fecero i Ro-
mani se non distruggerli, piuttosto che imitarli?' Le
grandi lodi poi fatte in ogni tempo ai frammenti
delle XII Tavole, egli chiamava letterario fanatismo.
Il tanto encomiato Diritto Civile riguardava come ri-
saltato delle interpretazioni dei Giurisprudenti e delle
dispute forensi. Incertezza, arbitrio, volontà di conser-
vare r aristocratico dispotismo diceva essere il carat-
tere proprio del Diritto Romano. Che se Roma cadde,
* Vedi Riocrehe nU vero earattere della Oiurttprudenxa Romana e dei \
9uoi cultori. Firenze, 2" ediz. 1796, Introd. pag. 27.
• Op. cit. pag. 46.
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52 STOBIA DELLA SCIENZA NUOTA. [LIB. I.
non cadde perchè oppressa dal pondo dell' estrema sua
grandezza, ma per mancanza di base e difetto di solida
architettura nell'edifizio. E conchiudendo poi la prima
parte del suo libro, afferma che : (c la giustizia di Roma
fu in principio quale può essere neUa barbarie; d'indi|
quale dev' essere nell' anarchia, nella confusione delle
leggi, e nella generale corruzione.* » Talché in ogni età
al pensiero del Delfico Roma si presenta in antitesi con
la ragione e con la umanità: la giurisprudenza per lui
è il fatale retaggio eh' ella ci lasciò, e i secoli ne hanno
moltiplicato le specie.*
Vedremo altrove, che se il Vico fu primo a studiare
con riservatezza guardinga e saviamente scettica la sto-
ria del popolo e del Diritto Romano assai cose distrug-
gendo accolte già e sanzionate dall' autorità di molti
secoli; non però cadde in quell' aperto e desolante scetti-
cismo che, uccidendo i fatti nella storia, spegne ad un
tempo la fede nell' animo di chi ne interpreta il signi-
ficato, com'è appunto il caso del Delfico. Il Vico anzi
pervenne a dimostrare, come vedremo, una legge d' in-
timo progresso nelle successive manifestazioni storiche '
del Diritto Romano. E questo evidentemente contrad-
dice al dubbio scettico del Delfico.
Così può dirsi chiuso il primo periodo degli scrit-
tori che han discorso di questa o quella dottrina del
nostro filosofo. Nel qual periodo, ciò che ha molto valore |
per noi, è la polemica fra il Duni e il Finetti: il resto è
lavoro d'imitazione piii o meno fedele che solamente nel
Filangieri comincia ad assumere forma d' esplicazione '
originale. E questa tendenza imitativa, che finisce con lo
scetticismo giuridico e storico del Delfico, ci mostra poi
quanto sia vera quell'osservazione fatta da parecchi sto-
rici nostrani, che la snervata filosofia firancese principal-
mente scemasse originalità agli scrittori italiani d' allora,
• Op. cit. pagr. 116.
■ Pag. 162, 167.
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CAP. n.] CMTICI BD BEUDITI. 53
togliendo loro il poter discemere qual novità di principi!
avesse introdotto il Vico nel regno della scienza e della
storia umana.
Capitolo Secondo,
periodo de' critici e degli eruditi.
Tra il secolo XVIII e il secolo XIX possiamo dire
che corra un abisso. Nell'ordine puramente speculativo
ci è di mezzo il Criticismo; e nell'ordine delle idee stori- 1
che e giuridiche, come in quello de' fatti politici, abbiamo
i filosofi giusnaturalisti francesi, e la grande Rivoluzio-
ne. Con la Scienza Nuova noi avevamo già prevenuto
l'esigenza critica, dal puro mondo dell'attività psicolo-
gica trasferendola e compiendola nel regno dell' attività
storica; e nell'ordine delle idee avevamo sorpassato al-
tresì la Rivoluzione, perchè, ammesso il processo istorico
al quale, secondo la Scienza Nuova, deon soggiacere tutti
i fatti e tutte le idee, non v'è pagina in questo libro dove
non si senta la necessità, e non si tocchi con mano, per
così dire, lo scoppio d'un radicale innovamento negli or-
dini del consorzio civile, politico e sociale.* Brevemente:
nei tempi moderni veggiamo accadere nel nostro pen-
siero quello stesso che venne verificandosi nell' età del
Risorgimento. Co' nostri vecchi filosofi noi avevamo ardi-
tamente sorpassato la Riforma, nel modo stesso che con
le nostre scuole politiche (sempre nell' ordine dell'idee)
* Nella Sociologia mostreremo che co*principii del suo Diritto C7ni-1
vende il nostro filosofo Compie la dottrina della Socialità di Orozio,
corregge i prìncipii e quindi le consegoonze der Naturalimno speculativo e
wteta/meo di Spinoza, inrera il Natwali«mo empirico di Hobbes, contraddice
al TeoeraiÌ9wu> della scuola di Bossuet, alio Scetticismo giuridico di Bayle,
di Pascal e di Montaigne, e previene le idee principali di Montesquieaj
e di Rousseau legittimandole nel suo concetto istorico.
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54 STOBIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
avevamo già sorpassato le tendenze nonché i bisogni
politici di quell'età.*
Col primo schiudersi del nuovo secolo, adunque, non
può non ischiudersi un periodo novello di studi assai
più severi circa le dottrine del Vico ; talché V abisso
fra' due secoli poco fa accennato per noi non esiste, e
in ogni modo la Scienza Nuova avrebbe trionfato nel-
r animo nostro come nelle nostre menti: avrebbe trion-
fato nella nostra storia civile come nel nostro pensiero
filosofico, quand' anche il gran fatto della Eivoluzione
non ci avesse scosso. Ci saremmo arrivati da per noi J
forse più lenti, ma certo più securi. D segnale dunque
de' nuovi studi s'inaugura cqu coscienza più chiara sul
valore delle dottrine vicinane, e tal segnale ci è dato in-
nanzi tutto da im poeta assai splendido nella forma quale
fu Vincenzo Monti, e da un poeta assai potente e insieme
potentissimo prosatore quale si fu Ugo Foscolo. Nel 1803
in una delle nostre più illustri Università, il Monti
pronunziava quella beUissima sentenza che poi tutti hsìn
ripetuto e ripetono parlando del Vico: La Scienza
Nuova è come la montagna di Golfonday irta di scogli
e gravida di diamanti. E quindi soggiungeva: Chi
amasse di chiamare a rivista le idee generatrici e pro-
fonde delle quali si è fatto saccheggio nel Fico, tesse-
rebbe lungo catalogo, e nuderebbe a moUe riputa^zioni.*
Ma il Monti sente la verità e grandezza delle idee
vichiane com' un poeta. Il Foscolo dà un nuovo passo
e va molto più innanzi allora che nel 1805, nel celebrato
discorso d'apertura all'insegnamento letterario nella
stessa Università Pavese, piglia a trattare con l' usata '
maschiezza d'ingegno il vasto soggetto dell' origine e
dell' ufficio della letteratura; nel quale prova insieme
quant' avesse studiato le opere del nostro filosofo, e
come sotto novelle forme si possa applicarne le dot-
* Ferbari, Cforto augii aeriUori Politiei italiani^ pag. 846.
* V. Monti, Proluaùme agli atudi delV Univeraità di Pavia, MUa-
no, 1804. Pag. 58 e 59.
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OAP. n.] OBinOI ED EBUOITL 55
trine anche nei temi letterari. Ugo Foscolo avea colto
il valore d'alcune sentenze psicologiche sparse nei lihri
del filosofo napoletano ; e da queste appunto ei seppe
trarre il concetto posto come principio fondamentale
del suo ragionamento. Egli, infatti, ricorre ai bisogni
dell'uomo nel rintracciar Torigine delle lettere; e quindi
reputa necessario investigarne la natura psicologica
studiando le facoltà stesse dell' uomo.' Che poi avesse
meditato e inteso le altre dottrine del filosofo, lo mostra
il modo, per dire un esempio, con che egli discorre \
ea l'origine e su la natura della parola; la quale, tra-
ducendo quasi lo stesso linguaggio del Vico, dice essere
ingenita in noi e contemporanea dia formazione dei
sensi estemi e delle potente mentali. Seguace del nostro
filosofo anche si palesa quand' accenna fuggevolmente
a certe idee (per esempio a quelle del diritto e del
dovere) le quali, manifestandosi dapprima idoleggiate
con simboli ed immagini, si snodano poscia e parlan
quasi da sé stesse nella nuda verità di ragione. Seguace
altresì quando tocca delle origini del consorzio sociale
e dell'imperio civile: del che poi egli stesso ci assi-
cura dove, accennando a' poeti filosofi, dice che delie
verità sui principii di tutte le nazioni vedute dal VicOy
egli s' è studiato dimostrare e applicare le conseguenze
alla storia dei nostri tempi} Dottrine del Vico, finalmen-
te, applica nel discorso su le De^cazioni nella Chioma '
di Berenice, secondo che confessa da sé medesimo.
Ma alla Scienza Nuova volge tosto gli occhi con ben
altro acume di critica il napoletano Cataldo lannelli;
la qual critica, come vedremo, esagerandosi nel Roma-
gnosi, finisce per esser perdutamente scettica nel Fer-
rari. Di tutte le opere o studi fatti su la Scienza Nuova
quella che più d'ogn' altra merita d'esser letta e me- !
ditata è appunto l' opera del modesto impiegato della
• Vedi Ditearto delV origine e deW ufficio detta LettercUura^ nel vo-
lume deUe Lesioni <r Eloquenza, edizione di Napoli 1888, pftg. 28.
* Vedi op. cit., paf . 89.
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56 STOBIA DELLA. SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
Biblioteca Borbonica sa la natura e necessità della
scienza delle cose e della storia umana. Il Michelet lo
ha chiamato discepolo legittimo del Vico; e il Roma-
gnosi, credendo correggere la frase dello scrittore fran-
cese, ha voluto designarlo come legittimo giudice dei
Vico, Lo lannelli, per noi, è giudice e discepolo insie*
memente.
Se la Sdenea Nuova, come ci dicon tutti, è una sin-
tesi prematura pel secolo in che apparve; il libro detto
lannelli ne sembra, per così dire, l'analisi. Per esempio,
la bella dottrina de' nessi^ specie quelU di successione ■
e di comunicamene sociale, non è altxo che l'esplicazione
di quella del Vico su lo svolgimento originario e spon-
taneo delle diverse civiltà. Or quest'analisi dello lannelli
era logicamente necessaria; che anzi tutte le odierne
ricerche filologiche paleografiche paleontologiche mito-^ ,
logiche e storiche, a ben guardarle, non sono che l'ana-
lisi più minuta e più accurata di quella sintesi primitiva
e possente cui seppe levarsi il pensiero nella Sdenea
Nuova. Sicché tanto il Vico con la sintesi, quanto lo
lannelli con l' analisi, può dirsi abbiano anticipato quel-
r attività prodigiosa e fervente cui ci è dato assistere
oggidì nel regno della scienza e della storia.
Ma lo lannelli è anche giudice legittimo del suo
maestro. Se l'analisi infatti è svolgimento della sin-
tesi, n'è pur la correzione; e ben s' appose il Roma-
gnosi nel dichiarare lo lannelli maestro di logica sto-l
fica, segnalando l'opera di lui come organo scientifico
degli studi storici: il che quanto sia vero può vedersi
nel Gap. IV, dove non è scoperta fatta, accennata o
divinata nella Scienza Nuova, ch'ei non accolga o in-l
terpreti con sa»io giudicio, né v' ha principio storico, filo-
logico, politico, legislativo e mitologico eh' ei non accetti.
Se non che, accettare per questo scrittore non vuol
dire già imitare. Egli imita, ma imita interpretando e
giustificando; accetta, ma accetta correggendo ed espli-
cando. E tal si è pure, come vedremo, il carattere della
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GAP. il] CBmOI ED ERUDITI. 57
critica di presso che tutti gli scrittori di questo se-
condo periodo.
Lo lannelli invero distingue la filosofia della storia
dalla critica de^ fatti storici ; e afferma che se dell' una '
troviamo i prindpii nel Vico, dell'altra, che pur n'esce
oom' una conseguenza, quel certo filosofo non si potè oc- '
cupare gran fatto. Quest'osservazione è verissima; ma
non men vera dovrà sembrare la considerazione che ne
possiamo trarre. E questa considerazione è la seguente:
se la scienza storica moderna come ricerca analitica che
informa di se tutto il sapere de' dì nostri fii prevenuta,
già mezzo secolo addietro, da un seguace e dal piiì
acuto fra' seguaci del Vico ; è pur mestieri che (come
suole accadere in ogni periodo storico) dall' analisi
oggi si possa e debbasi risalire alla sintesi^ col fine di
sempre più legittimarla, e svolgerla. Questa sintesi à
appunto la Sciema Nuova; alla quale perciò dobbiamo
r^alire, ma risalirvi con tutta la ricchezza del pen-
siero moderno, dell'analisi moderna, inverandola in ciò
che merita, e dimenticandone quelle parti che sono
in evidente contraddizione con la scienza d' oggidì. Ora
seguitiamo.
Quel che lannelli appella Istoriosofia (scienza delle
cose umane) non è altro, a guardarla bene, se non
l'esigenza massima della Scienza Nuova. Di che cosa
ella s'occupa fuorché di giudm, di ricerche, à^ analisi?
Il nome stesso d^ Istoriosofia ci addita il fine che propo-
nevasi l' autore in siffatta scienza : non filosofia, bensì
amore di ricerca, di testimonio (e^Tw». Ora tal ma-
niera dì scienza cosi unita e si intimamente congiunta e
legata cotta Scienza dd Vico, ci manca: come dunque
si potevan intendere i suoi principii? * lannelli, com' è
evidente, ha ragione. Se la Scierusa Nuova e la Isto-
riosofia assomigliano, com' egli dice, alla fisica e alla
matematica, ne viene che questa, separata da quella,
■ Vedi Iaknelli, Sulla natura e neee99ità ec Napoli, 1817, Gap. II, § 1. '.
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58 STOBIA DELLA SOIENZA NUOVA. [lIB. I»
debba riuscire al tutto vuota e superficiale; al modo
stesso che la seconda, scompagnata dalla prima, si mo-
stra umile, oscura e affatto incerta. Unitele, perciò, ed
elle sapranno operare i prodigi dell'ingegno umano.
Così la Istoriografia e la Scienza Nuova amicate in-
sieme, sapranno comporre una disciplina profonda e
degna della virilità ad genere untano. — Tutto ciò è vero,
e'ci conferma nel giudicio espresso poco fa sul carattere
di questo critico valoroso: egli è vero scolare, e vero
giudice del suo maestro. Se il Vico è sintesi, cioè filo-
sofia della storia, abbisogna, per così dire, dello lannelli,
abbisogna dell' analisi, della critica. Insomma la Sdenea
Nuova ha d'uopo della Scienza dei fatti, ieWistoriograficL
Nel primo scrittore quindi è l'esigenza del secondo, come
in questo v'è altresì il bisogno di quello, e però si com-
piono a vicenda. Se tale dunque è la critica dell' acuto
lannelli, ognun vede quant' erroneo fosse il giudizio
ond'al Komagnosi piacque chiudere i suoi Cenni sopra
quest'autore, dichiarando troppo spectdativo il disegno
storico del suo libro. Ma perchè troppo speculativo s'ei
non esclude minimamente, né il poteva, quelle indagini
di che r autore della dottrina su' Fattori dell' incivili-
mento dei popoli pensava di poter fare tavola rasa?
Gli appunti che lannelli muove alla Scienza Nuova
riduconsi a questi: non esser ella intiera e perfetta
come scienza, bensì disordinata, confusa, indigesta; né
tutte vere, esatte e provate quelle massifne elementari
sovra cui è fondata; alcune di queste anzi essere addi-
rittura false, altre oscure ed ambigue. Oscuro e ambi-
guo, per esempio, il significato della Provvidenza, come
quello che talora par che racchiuda V azione reale diDio\
su '1 mondo, tal' altra la persuasione negli uomini circa
tale azione.^ Questa difficoltà che primo d'ogn' altro
egli mosse contro la Scienza Nuova, e che ci mostra
in lui sempre più chiara l' esigenza critica, è grave assai;
* Op. cit, pag. 161.
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CAP. n.] GBITIGI ED EBUDITI. 59
ma appunto perchè grave, ella non può esser risoluta
fuorché interpretando la mente del Vico mercè un
<TÌterio filosofico tratto dalle viscere stesse d'alcuni
supremi principii i cui germi giacciono incolti nel libro '
De Antiquissima Itàlorum Sqpimtia. Questo non fece
lo lannelli. £i non curò, come non han curato presso che
tutti gli altri critici, di scoprire nel Vico le fondamenta '
d'una dottrina metafisica, e costruirvi su una filosofia.
Crede inoltre confusa, nel Vico, l'origine degli Dei;
per cui gli pare che egli stia or con Lattanzio, ora
con Platone. Imperfette quindi e arbitrarie la teogonia
e la cronologia teogonica, e tali da doverle rifare on-
ninamente da capo : che non sempre Giove sarà il primo
Dio a formarsi, né sempre Nettuno sarà l'ultimo; non
sempre Mercurio sarà il portatore di leggi agrarie
ai famoli ammutinati, né Diana emergerà sempre
da' fonti, né Apollo dalle bellezze civili dei popoli, né
Vesta guarderà sempre le biade, né Ercole diboscherà
la gran selva per seminarvi, e nemmanco Satiimo
presiederà costantemente all'arata e seminata campa-
gna. Osserva come il suo maestro parli poco e male
del Tartaro, degli Elisi, degl'Iddii Inferi e dell'altra
vita ; e lo corregge su la natura d'una costante e pro-
fonda persuasione d'una vita avvenire. Non tutte pre-
cise ed esatte reputa le idee su l' origine e formazione
della lingua; né la lingua per lui procede sempre pari
passo con la scrittura, perché l' una non dipende da' biso-
gni onde l'altra è originata. Mostra da ultimo d'inten-
dere acconciamente il maestro quando parla dell'ante-
riorità del linguaggio poetico (non già delle forme poe-
tiche e del verso) rispetto al linguaggio prosaico.
Questi i pregi dello lannelli come seguace e come
giudice del Vico. Ma in lui non mancano i difetti. Se
di fronte al suo maestro egli ci rappresenta 1' analisi;
come analisi ei non può non riuscir manchevole e in-
compiuto. E che sia così, basti rammentare qual con-
cetto mostri egli d' avere della scienza delle cose
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00 STOBIA DELLA SGIE2TZÀ NUOVA. [lTB. I.
timane che definisce per V esatta conosceva del nesso
e subordincusdone détte umane cose fra loro,^ e qual fine
si possa con lei conseguire, fine che ha da consistere
nel saper come le cose succedono e come e quando coe-
sistano: parole tutte queste che parrebber dettate da
un positivista de' nostri giorni 1 Quando poi stabilisce
che la scienza del Nesso deva raccogliersi in quattro
capi 0 nessi (d' origine, di coesistenza, di successione :
e di comunicazione) rispondenti mirabilmente, secondo
lui, alle quattro parti della Storia ideale etema del Vico,
la quale perciò debb' esser la stessa Scienjsa delle cose
umane storicamente e non già scientificamente conside-
rate;* in tutto questo ei ci mostra che se il discepolo
compie il maestro, vuol esser compiuto egli stesso, e
in gran parte rifatto. A lannelli, d'altro canto, non
fu dato cogliere quel concetto originale del Vico sul
cominciamento della storia eh' ei dice romanzesco e
strano, non sapendosi a verun patto capacitare dell'ab-
brutimento primitivo della schiatta umana: col che dà
segno d' essere inferiore al Duni. Scherza poi e sorride,
come fan volentieri pressoché tutti gli altri interpreti,
su lo scoppiar del fulmine a cui più d'una volta accenna
il filosofo napoletano; né s'avvede come nella Sdenta
Nuova cotesta non sia vera cagione, bensì occasione
svegliatrice d^unuinità nell'uomo imbestiato: e nean-
eh' egli riesce a salvarsi dalla, contradizione in che in-
cagliarono il Vico e '1 Duni rispetto all' origine del
popolo eletto. Finalmente non intende la lingua di-
vinai perchè non sa cogUere il valore di quell'altra
idea che le nazioni vìvessero per lunga pezza mute,
e solo parlassero per gesti e cenni: il che si oppone
(egli dice) al fatto, e al diritto; al fatto, perché non
v'è popolo senza lingua; al diritto, perchè a vivere in
società condizione imprescindibile é la parola. Qui,
»0p. cit. pag. 173.
• Pag. 175.
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GAP. n.] CRITICI BD EBITDITI. ^
com' è evidente, il discepolo è molto più indie^
maestro.
Ma quest' acuto è benemerito seguace del Y\
un altro pregio che noi dobbiamo segnalare
stri lettori. Esplicando alcune dottrine della Scienza
Ntwva, e' prevenne i Positivisti nel rilevare una legge
nello svolgimento storico delle scienze; e, ciò che pili
monta, li prevenne correggendoli. Il processo isterico
del conoscere per lui è quello del Vico, ma considerato,
al solito, in maniera analitica. Egli pone cinque età
nel corso e nella evoluzione della Scienza; le quali,
chi ben guardi, ci ricordano le tre età storiche del
maestro, e si modellano su lo svolgimento naturale delle
tre facoltà conoscitive : Senso, Immaginazione e Ragione.
Or r ultima età, che per i Positivisti è negativa tutto
che la battezzino per positiva, in lui riesce davvero po-
sitiva. Nell'età della vecchiezza e della ragione, infatti,
egli vede nascere la Telosofia, Scienza dei fini; e vede
sorgere Y Etiólogia, Scienza delle cagioni.* Questi due
concetti, massime il secondo, ci son oggi ripetuti tal \^
quali da Stuart Hill, e da lui stesso posti a fonda-
mento della Sociologia. H Positivismo francese poi, con
la tricotomia positiva de' suoi tre stati, non volendo
saper nulla, com' è noto, nò dell' una ne dell' altra cosa
(ciò è dire né di finalità né di causalità) si contraddice
evidentemente, e col fatto si palesa negativo e nullo
nel momento stesso che presume d' esser profondamente
positivo. E' miflomigliano a Stenterello che si dà l'aria di
padrone, giusto quando senz' addarsene è assai più in
giù dell'ultimo servo di casal II vero positivo sta nella
quinta età di cui parla lannelli.
Ma la critica su la dottrina del Vico, che con tanto
senno avea saputo 'inaugurare quest' egregio scrittore,
scade a un tratto nel Romagnosi. Ognuno infatti si
maraviglierà nel leggere che cosa pensasse del nostro
« Vedi Gap. Vili, 4.
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62 8T0BIA DBLLÀ SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
filosofo egli, l'autore dell'opera su V indole e s\x^ fattori
délV incivilimento, nelle sue Osservazioni suUa Scienza
Nuova. * Io non so maravigliarmene punto , specie
quando considero che il concetto cardinale sopra cui
si sostiene l'opera dianzi citata del Komagnosi, è la
negazione assoluta del principio in che tutta si regge
la Scienza Nuova. L' incivilimento per lui essendo sempre
I dativo non mai naiivo,^ lo trascina alla dottrina, o a dir
meglio, all'ipotesi del così detto popolo Auto-civile,
L'esistenza d'un popolo siffatto, chi ben rifletta, con-
traddice al suo stesso principio; perocché se l'incivili-
mento è nativo nel popolo Auto-civile, non si capisce
perchè non possa esser tale anco negli altri, negli altri
considerati almeno quant' alla loro esistenza originaria.
Né qui parlo del modo con che nelle Vedute eminenti
SfdV incivilimento riguarda il genere umano, figurandoselo
come xxnHndividua personalità. Or queste dottrine con-
traddicono al Vico, distruggon la Scienza Nuova, annul-
lano il vero e il grande significato di questo libro. Ecco
dunque perchè il Komagnosi non poteva avere in molta
stima il metodo, nettampoco i principii di lui. Quant' alle
critiche speciali poi, non mi paion cosa molto seria,
come si potrà giudicare da queste che verrò accen-
nando così per semplice saggio.
Discutere su le favole antiche pel Romagnosi è im-
presa fnwtife, inopportuna e stravagante; però conclude
che il Vico, avendo preso la strada delle favole e dèlie
teogonie per giungere alla storia, ha preso la via pii^
disperata da non cavarne costrutto alcuno. Ma quale
altra via men disperata di questa saprebb'egli addi-
tarci per avventura ! Quant' allo stato ferino dell' uma-
nità, domanda: ma perchè figurar V uomo primitivamente
bestione, ferino, girovago? Se Vico in ciò (soggiunge
anche luì come il Finetti con una smorfia di sprezzo)
* Vedi Oputeoli ani vari argomenH di Diritto JUoeoJleo, Prato, 183o,
Le Oètervaxioni 9tdla Scieruta Nuova furono scritte nel 1821.
■ Vedi DtW Indole e dei Fattori delV incivilimeutOt § IX.
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GAP. n.l ORITIGI ED ERUDITI. 63
fu cmtesignano di Bousseau, gli rimane una cattiva glo-
ria!* Crede poi falso il circolo similare nel corso mo-
rale e politico dei popoli, e dà prova di non averne
colto l'intimo significato quand'afferma: « Se «que-
sto circolo può all' ingrosso verificarsi nella forma dei
governi, non si verifica punto nello stato reale delle
popolazioni, nelle quali la decadenza e il risorgimento
non sono una morte ed un rinascimento morale e
politico, ma piuttosto metamorfosi simili a quelle che
reggiamo nei bruchi. Insomma non si ricomincia a6
ovo; ma à. ricomincia da un nòcciolo superstite e mo-
dificato dalle circostanze antecedenti e conseguenti,
le quali avendo distrutto ciò che era incompatibile,
formano un tipo fondamentale d' un altro genere di
vita^ i>
Queste osservazioni hann' anch' elle un aspetto di
verità ; ma se il Romagnosi avesse meditato la Sdevusa
Nuova con più amore e men disprezzo e meno boria a lui,
del resto, tanto naturale, avrebbe visto che il Vico altro
non intese dire, come vedremo, se non quello precisa-
mente eh' egli stesso ha detto qui assai male e senz' al-
cun metodo filosofico. E perchè poi reputa impossibile la
similarità de' circoli storici? Perchè intese anch' egli,
in modo volgare, come parecchi altri, il valore di cosi
fatta legge. Ei non poteva persuadersi come nella sto-
ria ci sia ritorni e ripetizione di forma (meccanismo);
ma non s'avvide che se pel Vico nella storia ci è ri-
petizioni, cotesto ripetizioni non sono possibili senza
veraci innovazioni (dinamismo).
Io non so capacitarmi come l' ingegno potentissimo
del Romagnosi non penetrasse nell' intimo della Scienza
Nuova. Non so capacitarmi com'ei facesse una critica
* Certo U Romafirnosi non TÌde che se il Vico prevenne Roasseau e
tutti qnei giasnataralisti del secolo XVIII i quali sì volentieri ciarlavano
sa lo ttato di natura, li prevenne correggendoli, cioè legittimando ra-
zionalmente cotesto stato natarale, col porre in opera ben altri prin-
eipii di psicologia e di storia cho non eran quelli de' saddetti filosofi.
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64 STORIA DBLLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
debole e scucita cosi che gira sempre attorno senza
mai coglier la sostanza delle dottrine del Vico. U che
senza dubbio terrà alla forma della sua filosofia, della
quale il Rosmini pose in evidenza i molti e sostanziali i
difetti, e, nonostante le calde e lunghe difese del Nova,
i giudizi del Roveretano restano pur oggi intatti e verL
Il Romagnosi, in ima parola, non poteva pregiar la
Scienza Nuovii, perchè le sue dottrine putiscon di mecca-
nismo. Artificiale e meccanica è in lui la dottrina sul
governo dello stato, ch'ei paragona al cervello dell'ani-
male. Artificiale e meccanica la dottrina dei Tesmo-
fori in politica e in religione ; le quali per lui sono
bensì strumenti benefici al popolo, ma nelle mani dello
stato. E dottrina presso che meccanica quella de' suoi
Fattori dell' incivilimento. * Perfino la terminologia
eh' egli adopera ne palesa l' indole della mente e delle
idee: storia naturale dei popoli, fisiologia degli stati,
funzioni meccaniche e dinamiche della società, dina-
mica e meccanica morale, e simiU. *
Come passaggio della critica empirica e negativa
del Romagnosi alla critica scettica del Ferrari, si pre-
senta la traduzione e l' anaUsi che della Sdenjsa Nuova
die alla Francia 6 alla eulta Europa l' illustre Miche-
let. Agli occhi degl'Italiani questo scrittore ha due
grandi meriti: d' aver fatto conoscere il nostro filosofo
isin dal 1827 fuori d'Italia, e, che più monta, d'averlo
fatto capire nella sua verità mercè quell' arte facile,
disinvolta e con quel fare schietto e rapido con cui, tra-
ducendola, seppe imprimere alla Scienga Nuova forma
netta e fedele. Se non che, per quanto il Michelet non
sia crìtico interprete (né egli vi pretende) ma critico
espositore, non pertanto i suoi giudizi son tutti co-
* Si yegga la definizione che ne dà nello Leggi dtlV ineivUimento, § 43.
* Il Ferrari ha rilevato con molta esattezza la differenza tra Vico
e Bomagnosi nel lihro La menu di Romagnoti. E noE a torto poi il
chiarissimo professor Ferri pone il Romagnosi come primo ponHvi^ta
In Italia. — Ved. RÌ9t. de la PhU. lud., Tom. 1«% Paris 1869.
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CAP. n.] CRITICI KD EBUPITI. 65
scienziosi e pressoché tutti pieni di verità. Eccone un
saggio. Ci ha due Scienze Nuove, egli dice; ma se le
Scienze Nuove son due, la prima d' esse è insieme I
r ultima parola dell' autore ; ultima quant' alla sostanza
delle idee. Un'altra osservazione è questa: carattere
e intento supremo di codesta Scienza Nuova è quello
d'essere una filosofia, e nel medesimo tempo una storia
dell'umanità. E un'altra riflessione che merita sia
ricordata, è la seguente: il concetto d'una perfezione
stazionaria accennata dal Vico nella Scienza Nuova e
riprodottasi poscia in tanti libri, non riappare altrimenti
nella seconda Scienza Nuova. Mi giova notare con ispe-
dalità quest' ultimo pensiero del Michelet, per correg-
ger la sentenza di tutti quegl' interpreti i quali per
d lungo tempo ci han detto e ridetto che dei corsi e
ricorsi entro cui il Vico chiuse V umanità (per dir la
parola consacrata), ei non abbia parlato fuorché nella
seconda Scienza Nuova. Non ne ha parlato mai, in nes-
sun libro, in veruna pagina de' suoi libri I La staziona-
rietà (sia detto unU buona volta per tutte) non è con-
cetto vichiano. Io noi trovo esplicito, né implicito in
lui ; e non iscaturisce in verun modo dall' insieme delle
sue dottrine. Il concetto del corso e ricorso storico,
adunque, alla maniera volgare ch'é inteso da' più, è
concetto che assolutamente ripugna al pensiero e alle
scritture del nostro filosofo.
Ma non tutti i giudizi del Michelet ci paiono ugual-
mente giusti. Ei non giugno a spiegar convenevol-
mente, per esempio, il concetto storico del nostro filo- 1
sofo su la forma del governo monarchico; tanto meno
que'due principii accennati piii d'una volta nella iScien^^a
Nuova e nel DvrìUo Universale su la necessità in che
può ritrovarsi un popolo di consentire a lasciarsi gover-
nare ov' ei non sappia governarsi, e su l' affidar l' im-
pero del mondo alla solerte prudenza dei migUorì. Il Mi-
chelet seppe delle opere del Duni, ma forse non potè
leggerle: così parrebbe almeno dal modo con che lo
SrnuAiii. ff
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66 STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [LIB. I.
cita fiiggevolmente solo una volta. Se quindi avesse cono-
l scinto il Duni, avrebbe dato al Jus Gentium del Vico il
suo proprio valore. E s'inganna poi quand' aflFerma, che
il Libro Metafisico sia la sola scrittura, le cui dottrine
non fossero state trasportate nella Scienza Nuova, del
che lo riprende giustamente il Predari. Ma il Miche-
let ci compensa di cotesti erronei giudizi laddove con
acume non ordinario confessa di riconoscere nel Vico U
metafisico sottile ,e profondo. E poi ci dà prova sicura
d'animo spassionato e libero da ogni boria nazionale,
quando, egli francese, francamente dichiara essere il
Vico r antagonista per eccdlenaa del CartesianismOy
l'avversario più illuminato e più eloquente dello spi-
rito del secolo XVIII.' Anche quest'osservazione è
d'ogni parte vera e luminosa; perocché se carattere di
quel secolo, come giustamente si crede, fu la negazione
assoluta, la negazione in tutto e di tutti, distintivo, al
contrario, delle dottrine del Vico si fu quello di tutto
restaurare, e tutto affermare mercè l'opera del me-
todo isterico.*
E poiché siamo a parlare de' Francesi, occorre far
menzione degli altri che in quel paese, nell'epoca di
che trattiamo, non reputarono tempo perso volger la
mente al nostro filosofo. E primo fira tutti il Lerminier,
* Vedi Prtncipet de la PhU. de VHiat, traduite de la Scietua Nuova
de J. B. Vieoy BruxeUes 1839, pag. lxxi. — La prima Ediz. è del 1827.
* La ridazione fatta dal Michelet détte occasioce iu Italia ad una
critica del Kicci pubblicata nolV Antologia del Vieusseax (Anno 1838» 1
N. 88, e 92). Il Ricci mostra come lo storico francese altro non desse
alla Francia che ì frantumi della Scienza Nuova, e per cinque diversi
capi ne rileva la incompiutezza. Oltre a questo pregio, negli articoli del
Btcci re n' è un altro ; Taver posto in chiaro, meglio forse che non facess^i
il Dani, il significato della parola Autorità^ che ne* libri del nostro filo-
sofo non è di lieve momento, e mostra che talora egli assume questa
parola nel senso del Gius Komano come sorgiva de* diritti pubblici e
privati; talora com*effotto del consenso d* una nazione in un dato prin-
cipio; tal* altra come potestà, come potere ch*ò negazione di ragione e
di coscienza speculativa. Notiamo altresì come il Ricci è quegli, fra* cri-
tici, che più insiste su l* ufficio del Seneualiemo nelle idee storiche delj
Vico. Ved. Art. I, pag. 85.
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CAP. n.] OBITIOI ED BBUDITI. 67
come quegli che nelle due principali sue scritture ne
discorre sempre con entusiasmo, con amore e grande ve-
nerazione. Ben s' appone a designar la Sciema Nuova
come il monumento sublime e hieearro^ in cui è viva la
impronta delle fofrme e dei colori dd medio evo, e che
gittato in meeeo ed secolo XVIIlj fa del Vico centro
dette antiche tradizioni, e insieme precursore déUa Scienza
Nuova: * talché non a torto fino dal 1829 lo considerò
come il vero predecessore de' Wolf, de' Niebuhr, e degli
Hegeliani. Se non che non sempre questo dotto e simpa-
tico scrittore dà nel vero, come quando lo dichiara padre
dell' JEfcfewswto moderno,^ o come laddove osserva che
nella storia del mondo egli trasportasse quella di Roma.
Lerminier non vide che di questa seconda istoria ei gio-
V06SÌ a meglio intender la natura della prima, alle storie
tutte e perfino alla storia universale trasferendo gli ele-
menti essenziali, originari, universali costituenti la na-
tura umana. Assai meglio avrebbe detto d'aver egli tras-
ferito la psicologia nella storia, anzi che la storia di
questo 0 quel popolo alla storia di altri, ovvero a quella
di tutt'i popoli in universale. Né, d'altra parte, il Vico
intese applicare una legge alla storia in generale; er-
rore, come vedremo, dei Teologisti e degli Hegeliani:
intese bensì applicarla ai popoli considerati nelle indi-
viduali lor tradizioni e civiltà. Tanto meno poi é lecito
creder eh' egli ponesse identità fra' tempi eroici primi-
tivi e' '1 medio evo: bensì è vero eh' e' vi discemesse un
moto perenne di ripetizione essenzialmente progressiva.
Altrove il Lerminier, parlando del Machiavelli, os-
serva come r autore* della Scienza Nuova correggesse
lo spirito storico del Segretario fiorentino, mercé una
pciitica ideale e platonica. ' Questa sentenza in parte
è vera; e dico in parte, poiché si può chiedere se
co' suoi principii applicabili alla politica, il Vico abbia
• Vedi Introd. gin. à VHitioire du Droit, cap. Xm.
*0p. cit. pag. 167.
• Vedi JKrt. de la Phtl, du Droit, Tom. U, pag. 102.
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68 STOMA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
corretto, o non piuttosto compiuto ciò che nel Machia-
velli è solamente arte politica. Tutt' insieme dunque può
dirsi, che se la critica del Lerminier non è molto acuta
né molto sicura in alcuni giudizi, ella riesce nondimeno
a cogliere con lucidezza tutta francese la natura e '1
fine della mente e deUe opere del nostro filosofo.'
Su' giudizi del Lerminier riguardanti le idee giurì-
diche e politiche del Vico torneremo in altra occasio-
ne. Qui giova notare come in Francia, quasi nel mede-
simo tempo in che gli scrittori di cui abbiamo accennato
facevan conoscere il nostro filosofo, altri presero a par-
lame come il Gousin, Teodoro Jouffroy, il Ballanche.
Tutti ripeton le usate lodi, e qualche giudizio del Gou-
sin, al solito, a volerlo sottilmente esaminare, non riesce
molto esatto. Quando vuol fard credere, per esempio,
che il Vico, benché combattesse Gartesio ne seguiva
nuUameno la filosofia generale^* ognuno capisce com'ei si
studi attaccare al gran carro del cartesianismo perfino
il Vico; quasi che, anco a detta del francese Miche-
let, non ne fosse stato anzi V avversario piii terribile.
E va lungi dal vero quand' osserva, che tutto ciò che
è nel Bossuet e nel Vico trovasi in Herder; ' quasi che
si possa ignorare che Fautore della Metacritìca contro
il Kant non fosse altro che un buon sensista, il quale
' perciò non dubitava credere che dall' organismo pul-
lulasse ogni nostro pensiero e facoltà:^ nella quale
sentenza ci conferma il suo traduttore francese il Qui-
net. U Gousin poi dice il vero laddove pone l'Herder
' come compimento del Vico quant' al concetto della na-
tura e della efficacia che la natura dispiega sulla storia.
Ma avrebbe dovuto avvertire che s'egli è compimento
* Eccone, per esempio, una prora nella seguente arguta osserraxione:
< Quand n<nu voyont Vioo rentier nevi au iorrent du dix-teptième et du,
dix'huiHhne aiècU paur enfomttr U dix-neuvihnef nouB pouwma à coup •ùr
lui décemer le nom dt genie originai, Pag. 168. Tom. cit.
* Vedi CoiTBiK, down eie,, 2* Serie Tom. II, p. 882.
* HiH. gin. de la phtl. le^ XI.
^ Vedi HiBOBB, mst. Ub. I, Cap. II.
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CAP. n.] GBITIOI SD BBUDITI. 69
del Vico, Herder stesso vuol esser compiuto col Vico
quant' al modo razionalmente organico ond^ il filosofo
italiano usa guardare i fatti storici. Quel medesimo con-
cetto che forma tutto l' onore di Herder, costituisce la
sua condanna. Con V idea della natura, infatti, Herder
non poteva rintracciar le fila del vero progresso della
storia, appunto perchè il processo di natura non è pro-
gresso. E se con tanto entusiasmo ei discorre sul princi-
pio della tradizione umana che per lui costituisce Tin-
tdUUo dd genere umano; a tal principio egli stesso
contraddice quando, per' esempio, esce in quella nota
apostrofe a' popoli orientali, nella quale ha pur cuore
di rallegrarsi della loro immobiUtàl Se dunque è vero
che Herder per un verso compie il Vico, è verissimo che
per un altro il secondo, non solo compie, ma corregge
il primo.
Molto più vero del Cousin ci sembra V acuto Joufiroy
nell' ingegnoso riscontro eh' ei fa tra Bossuet, Vico ed
Herder, quando rassomiglia il nostro filosofo ad una gran
hice, che in mezzo a fosca nube diffondesi a larghi sprazzi.
E parlando del Montesquieu coglie il vero dove afferma,
che se questi cerca lo spirito delle istituzioni, il filosofo '
italiano vi si profonda tanto da scrutarne le leggi : leggi
non solo delle istituzioni, ma di tutto ciò che può espri-
mer r umano pensiero ; leggi dello stesso pensiero entro
cui ed in cui le altre tutte di natura sì compendiano
e consistono.* Non basterebbe tale osservazione a pro-
var come Jouffroy penetrasse a meraviglia nel midollo
della Scienza Nuova? Gloria del Vico (afferma poco piii
giù) è r aver concepito come lo svolgersi e '1 vivere del-
l' umanità soggiaccia ad una legge ; e questa legge è
d'uopo indagar nella storia. Osserva ancora che nella
Scienza Nuova ha luogo una lotta, una lotta continua^
fra '1 metodo geometrico e il metodo induttivo; ed è
cotesta lotta che ne turba ad ogni passo V andamento
« Vedi JoUFFBOT, MOangt» phUoeaph., Bruxelles, 1881, pag. 65.
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70 STOBIA DELLA SOIBNZA. NUOVA. [lIB. I.
e la composizione. E anche questo è vero ; ma non sa-
rebbe vero dove se ne volesse concludere che dunque
coiai lotta non si risolva a nulla, stantechè il metodo del
Vico non sia propriamente metodo geometrico, né metodo
pOramente induttivo ; il che certo avrebbe visto quel dotto
filosofo, se dello scrittore napoletano non avesse cono-
sciuto altro che la Scienza Nuova, come noi sospettiamo.
Verissima, finalmente, è V osservazione con cui Joufifroy
chiude il suo studio critico su le tre grandi opere da
lui esaminate, dicendo che T opera del Vico è, senza
contraddizione, la plt^ historique et la plus nud faUe
delle altre due.
Del Ballanche diremo solo eh' ei mostrossi lodatore e
fanatico ammiratore del Vico di guisa che volle imitarlo
vestendone i pensieri poeticamente. Ma il nostro filosofo
a lui piaceva massimamente per la importanza e va-
lore ch'ei porge al senso religioso : piacevagU, insomma,
pel carattere ortodosso che ne informa le scritture.
Come poteva dunque risparmiare il biasimo all'autore
della Scienza Nuova d' aver posto fuori del processo tra-
dizionale quello della civiltà, e dato a questo un' origine
affatto naturale e spontanea? ^
Ed ora tornando in Italia, ci è dato assistere ad un
movimento, diremo, febbrile nello studiare, nell' inter-
* Vedi Ballanohe, Opere, Parigi, 1880 nel Voi. III. — Notiamo qui di
passaggio e per ragion cronologica, come prima ancora che in Fran-
cia si divulgasse la fama del Vico, in Germania era apparsa una tra-
dazione della Scienza Nuova fotta da G. E. Weber. La prefazione che
ir*ò premessa non è molto faroroTole al Vico, ed è scritta con passione.^
Ha ai passionati giudizi del traduttore tedesco vennero poscia ripa-
rando dapprima il GOscbel, profondo ammiratore delle dottrine del no-
stro lilosofo eh* egli contrapponeva ad Hegel, e poi il Moller, ed il Cauer.
Il modo col quale il G{)sobel parla del Vico, nonchò le difese del Mailer 1
contro gli attacchi d*un anonimo scrittore, sono molto rilevanti. Singo-
lare il giudizio d'alcuni Tedeschi sulla Dipintura che il Vico premise
alla seconda Scienza Nuova. Agli occhi di Weber cotesta dipintura parve
sciocchezza; a quelli del G<tochel,per contrario, è sembrata mirabil cosa,
e quasi compendio delle dottrine storiche fondamentali del nostro Alosofo.
— Vedi i giudizi del Cantoni sopra questi tre autori ne' suoi ShuU critiei !
t eomparativit cap. XVIII.
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GAP. n.] CRITICI ED ERUDITI. 71
pretare e svolgere le dottrine del Vico. Gli studi critici
e r edizioni crescono e s'incalzano dal 1835 in giù. Primo
fra tutti è da ricordare il dotto toscano L. T. (Luigi \
Tonti) che fuori d^ Italia pubblicava un libro di critica
su la Scienza Nuova. Ei non conobbe gli studi del Fer-
rari che, giusto quell'anno, con ardimento giovanile po-
neva mano alla grande edizione milanese delle opere
del Vico. Il Tommaseo lodò il libro del Tonti otto anni
avanti eh' egli stesso pubblicasse i suoi Studi Critici sul
medesimo autore ; ma se il Tonti avesse conosciuto i la-
vori del Ferrari nonché quelli dello lannelli, l'opera sua
certamente sarebbe riuscita più feconda nei particolari.
Suo merito è d' aver saputo esporre le più astratte e
confuse dottrine della Scienza Nuova in forma chiara,
semplice, schietta e senza pretensioni: e ad ingegno to-
scano, rapito troppo presto ai severi studi, tale arte non
potea far difetto. Versato nella erudizione storica e giu-
ridica egli ha cura di rilevar le attinenze fra il Ma- 1
chiavelli e '1 Vico, tra il Vico e il Gravina, e tra '1 Vico
e i giusnaturalisti di poco anteriori a lui. Le pruove filo-
logiche e filosofiche riguardanti la dottrina mitologica
della Sdenea Nuova sa coglier giusto e nettamente di-
chiarare.* Ma nella terza parte del suo libro, eh' è ap-
punto la parte critica, dice ritrovar nel filosofo napole-
tano due difetti, su' quali discorre a lungo: 1* d'aver egli
dato all'umanità le leggi stesse dell'individuo, poco ol
punto considerando quelle che risultano dal consorzio
civile (difetto oggi, come vedremo, apposto al Vico anche
dal Mamiani): 2* d'essere stato incerto su l'ultima de-
stinazione dell'umanità.'
Quant' al primo appunto, a noi non sembra vero che
il filosofo di Napoli abbia ragguagliato l'individuo al-
Yumanitàf bensì ai popoU, alle nazioni : non al genere,
bensì alla specie. Di fatto, anzi che di genere umano,
e' ci parla di tradizioni, di popoli, di nazioni e civiltà che
* Vedi Saggio 9opra la Seienna Nuova. Lugano, lSd5, pag. 47.
*0p. cit. pag. 200.
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72 STOBIA BELLA SOIENZA KUOYA. [lIB. I.
sorgono e dechinano ; e fu lo lannelli, e più ancora i so-
I cialisti francesi che intesero la cosa a tal modo, non già
r autore della Sdenea Nuova. Così pure è da rispondere
alla seconda difficoltà. Come autore della Scienza Nuova
non può dirsi eh' e' fosse certo, ne incerto sul destino del
mondo, perchè cotesto scopo trascendeva i confini del
soggetto su cui versava la sua mente. La Scienza Nuova
è scienza della storia : è, innanzi tutto, scienza dei fatti
umani; ma de' fatti umani passati, non già futuri. Or
la filosofia della storia indaga il passato, il quale a no*
stro bell'agio possiamo ricercar ne' suoi modi, nelle sue
leggi, nelle sue relazioni di tempo e di spazio, ma non
può, non dee spinger T occhio nell'avvenire, che solo ci è
dato a mala pena indovinare. La destinazione del mon-
do, adunque, è soggetto di ben altra scienza. Che se il
Vico giugno a mostrare, come vedremo, una legge anche
nel futuro; i modi speciali e le speciali forme di essa
ci riescon assolutamente ignote; e però il Ubro, come il
metodo di lui, riveste indole meditativa, indagativa, non
già speculativa, dialettica, a priori^ ontologica e che so
io. Il perchè non ci fa maraviglia se anche il Tonti parla
come d' un grand' errore dove accenna alla dottrina
de' corsi e ricorsi storici del Vico.
Questo lavoro, del resto, è scritto in modo che in-
voglia a leggerlo d' un fiato. Sotto quelle parole appa-
rentemente calme, serene, spesso anche fredde, ma
sempre chiare e talora eleganti, sentesi certo calor
vitale che manifesta la fede nelle dottrine intomo a
cui medita lo scrittore. Belle senza dubbio le conside-'^
razioni sul movimento civile e scientifico in Francia
ed in Germania verso la seconda metà del secolo XVIII;
pieno di verità il riscontro tra i filosofi francesi e'I
Vico : e quello tra Vico ed Herder segnatamente mostra
com'egli intendesse appieno la distanza che separa^
Hegel dal Vico nel concetto storico in generale.*
* n Tonti fa il primo ad accorgersi che il Gans nella sua Storia
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GAP. n.] CBITIOI ED SRUDITI. 78
Ma r amore e V interesse degli studi sul Vico va
sempre più crescendo, e due edizioni di tutte le sue
opere s'imprendono dal Ferrari e dal Predari nel
medesimo anno e nella medesima città. ' Il Predari
sperava di riuscir meglio nella nobile impresa; ma
arrestossi ad im primo volume entro cui raccolse tutte
le scritture latine, e vi adunò note e schiarimenti I
infiniti che non mancano di pregi. Per esempio, egli pone
in chiaro i legami esistenti fra V Orazione su la Bagùm \
degli stujii, il Diritto Universale e il Libro Metafisico;^
nel che ha spiegato tanta accuratezza, che nessun cri-
tico posteriore ci è parso T abbia saputo superare.* In-
gegnosa r osservazione su lo scritto De mente heroica^ \
eh' ei dice potersi considerare com' esordio oratorio a
tutte le opere del nostro filosofo. La verità di questcT giu-
dizio si farebbe chiara, se la Mente eroica del Vico non
aspettasse pur sempre la pietà d'un traduttore, e pili an-
cora d'un interprete fedele, essendo libro di molto valore,^
stante che ritragga la natura ddla mente rivelatrice e la
virtù dell' ingegno inventivo per eccellenza. Egli inoltre
vede giusto dove chiama erronea, come sopra avver-
timmo, queir asserzione del Michelet riguardante il
Libro Metafisico; al qual proposito nota felicemente che
la maggior parte delle idee di quesf opera circolano^ a\
eoA dire, per tutte le parti vitali détte successive sue
scritture. Vere anche quelle riflessioni su l'analisi e
su la sintesi; le quali, com'è noto, il Vico piglia in.
ben altro senso che non facessero Cartesio, Spinoza
e Leibnitz. E parmi poi che questo dotto commenta-
tore sia riuscito anche a sciogliere certo nodo in che
delle saccessioni applica il sistema del Vico nella Storia del diritto pri- 3
Tato delle famiglie. Op. cit., pag. 198.
* Vedi Op. del Vico con tradozioni e commenti di Franoksoo Fri- \
DAU. Milano, Braretta, 1885. — Op. del Vico ordinate ed illastrate col-
r analisi storica della mente di Vico in relazione alla Scienza della ci-
viltà da OnnsiPPK Fbrbart. Milano, Società Tipografica, 1885-87.— Edi-
tion complète des oKiTres de Vico en six toI. Paris, 1885-87.
* Vedi Op. cit, pag. 410.
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74 STOMA. DELLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
abbiam visto intrigarsi tutti quelli che han parlato del
metodo del Vico. Si sa quant' egli condannasse il me-
todo geometrico nelle scienze morali. Ma forse che con
ciò intese condannare quello stretto ardine geometrico che
troviamo commendato segnatamente nel Diritto Uni'
versale? No, certo. Con vari argomenti il Predari mo-
stra come il Vico abbia celatamente avversato la sintesi
; cartesiana; quella sintesi che nel linguaggio de^ primi
cartesiani suonava propriamente analisi. Non s'ha dun-
que a confondere col metodo propriamente matema-
tico la dimostrazione geometrica da lui tanto celebrata
e creduta necessaria anco nelle scienze morali: non
\methodum geometrìcam, sed demonstrationem ipsam inh
jportandam. Non il metodo, ma sì l'efficacia del metodo
geometrico vuol esser trasferita nelle scienze morali.
Siffattamente il Predari ha chiarito assai meglio del
Ferrari cotesto punto. Col metodo geometrico la mente
del matematico s' ìsola, si astrae, si chiude in sé me-
desima, e lavora componendo. Ecco la sintesi di Car-
tesio, almeno come la intendeva il Vico. Ora questa
sintesi in sostanza è l'analisi di cui egli parla, e ch'egli
stesso condanna, appunto perchè non vuol già isolare
il pensiero nello stesso pensiero, ma diffonderlo nella
etoria.*
Ed ora eccoci al Ferrari. Nel Ferrari veggiamo rac-
colti tutt' i meriti e tutt' i difetti dei critici, degP inter-
preti, de' seguaci, degli espositori e degli oppositori del
Vico passati, presenti e fors' anco futuri. Di lui tocche-
remo anche in altro luogo. Qui diremo solamente quanto
basti per apprezzar la critica fatta al suo maestro^
com'ei chiama il Vico. Innanzi tutto notiamo questo:
chi vuole studiar le opere del nostro filosofo non può
' Dobbiamo lamentare che il Predari non abbia mandato a compi-
mento (a quel che noi sappiamo) la sua edizione, che certo sarebbe stata
migliore dell* altra del Ferrari, del quale ei mostra le moltissime e ta-
lora incredibili mende. Nò poco pregoToli ci sembrano poi le molto
correzioni storiche, filologiche, e cronologiche allo stesso Vico, nonchò'
gli emendamenti alle citazioni di lui
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CAP. n.] CBITICI ED ERUDITI. 75
fare a meno dell'edizione del Ferrari; ma chi desideri
intenderlo, si guardi bene dal leggere anche per isvago
l'analisi della mente eh' egli ne fa, prima d' avere stu-
diato il Vico. Il gran merito del Ferrari, e perciò la
parte piii profittevole della sua grande edizione, è quel
riscontro continuo ed esatto delle note comparative, delle 1
illustrazioni, de'ravvicinamenti ond'ella è piena, massime
neUe due Scienze Nuove. La parte positiva, paziente,
fruttuosissima de' suoi studi è appunto questa. Nessuno
ha potuto far altrettanto, e tutti dobbiamo essergli
grati per averci messo in grado di potere studiare age-
volmente questo filosofo. Altro suo merito è quello d' aver
sorpreso il Vico in più contraddizioni : massime in quella, 1
in lui evidentissima, tra l'uomo credente e il filosofo
della storia. Merito, da ultimo, l'aver saputo eccitare
nell' animo di tutti ammirazione ed entusiasmo per l' in-
gegno e gli studi del filosofo napoletano; e stupenda per
verità e per calore singolare è TanaUsi a cui sottopone
la mente di lui. La Mente del Vico del Ferrari è una
monografia unica nel suo genere: acuta, ingegnosa, ani-
mata, afiascinante dall' un capo all'altro. Nelle sue mani
il pensiero del Vico rende immagine sto per dire d' un
organo che l' anatomista riduce in frammenti, in cel-
lule, ed in ciascun frammento, in ciascuna cellula va
rintracciando l'aura vitale. £ il Ferrari supera se stesso,
ripeto, quando descrive e con vivacissimi colori piglia a
pennelleggiare nello stesso pensiero del suo filosofo l'in-
tima lotta, il segreto contrasto fra l' uomo vecchio e '
l'uomo nuovo.*
Tutto questo è vero. Ma il Ferrari è scettico, scet-
tico sistematico, scettico tutto d'un pezzo I Una prima
* Carlo Cattaneo arrerte cotesto pregio del Ferrari. H Ferrari, egli
dice, tmmagind un nuovo ramo d* ideologia ; loiciate le aeiranoni deW uomo
generico, prete a studiare il pensiero epedjioo nelle menti grandi e origi'
noli. Egli ama ^[uaei studiare V architettura ne* monumenti di Boma e
é^ Egitto^la vegetazione neUe selve tropicali f le roeeie nelle Mpi o ntXP Etna;
la guerra nelle marcie di Cesare o di Napoleone, — Vedi Vico e V Italia,
nel Poliucnieo, Voi. II, pag. 257.
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76 STOEIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
domanda perciò potrebb' esser questa : poteva egli in-
tendere la fede profonda del suo maestro nella filosofia,
nella vita della storia umana e nella perenne e progres-
siva attività del pensiero? No: nella mente del Vico ei
dovea scorgere specchiata la forma del proprio ingegno,
la immagine propria, 1' arruffio singolare delle proprie
idee, le contraddizioni palpabili, i paradossi evidenti,
scintillanti onde porgono spettacolo ingegnoso e pur
gradito le sue scritture. Dovea ritrovarci l' agitazione
furiosa del proprio sentire. Dovea scorgervi un fatalismo,
una forza cieca, estranea e quasi attergata che spinge
la mente del Vico ad estrinsecarsi, per esempio, in
quattro, nò più né meno di quattro periodi.* Così agli
occhi di questo -critico il nostro filosofo non è che
una lunga serie di contraddizioni; sicché riesce im-
potente nella speculazione filosofica e povero d' ogni
vigor metafisico, appunto perché incapace a sciogliersi^
dal dubbio, e conseguir la scienza. Trentanni di lavoro
ignorato partorirono la Scienza Nuova, egli dice. Or bene,
sopra cotest' amplissima tela di trent' anni il Ferrari si
accinge a far le sue prime prove. Vi lavora con entu-
siasmo febbrile ; ma in sostanza non riesce a far altro che
anatomia, perocché in ultimo costrutto non sa darci
che ossa spolpate, nervi nudi e distratti, muscoli spo-
stati e lacerati, visceri frantumati, cranio spaccato, cer-
vello polverizzato. Ecco precisamente il Vico del Fer-
rari. Chi saprà riconoscerlo? Io no, certo; e ne porgo
qualche esempio che prendo a caso. Quanto alla psUxh
logia^ egli dice, Vuomo pd Vico rimane sempre nel-
* Che il Ferrari abbia riflettuto sé stesso nel Vico, si può credere che
lo confessi egli medesimo con aria d* ingenuità da fargli onoro, quando,
rispondendo a certa crìtica acerba mossagli contro da Guglielmo Librì, si
loda d* essere stato il primo a giovarsi delle varianti e delle ritratta- i
zioni del Vico per designare lo svolgimento storico delle suo proprie '
dottrine. U Vico, egli dice, mi offriva ufC occanone unica, peréhì U 9ue opere
non tono che una lunga nerie di varianti. Variante pel Ferrari suona con-
traddizione. Vedi nella II* Lett. ai Redattori del Journal dea Savana in '
risposta alle censuro del Libri.
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CAP. n.] CRITICI ED ERUDITI. 77
r attitudine in cui era stato coUocato da Platone e da
Cicerone : sempre le idee divine che si svegliano óJX oc-
casione delle sensazioni: sempre quella doppia natura
di spirito e di materia e la stessa esitazione di Carte-
siOy Malébranchej Leibnitz a colmare V abisso che le 56»'
para: sempre V induzione che si avanza oMa scoperta, e
la ragione che dà V ordine e la riprova: sempre infine
con^astate le usurpaziofii geometriche del metodo car-
tesiano.^
Chi non direbbe che il Ferrari abbia assai ben poco
Dieditato il Libro Metafisico e, più che il libro, la mente
del suo autore? Queste parole basterebbero a mostrar
chiaro il modo con che quest'uomo tanto ingegnoso
conduce la sua critica.* A veder poi con qual' esattezza
parli di storia della filosofia, basti quest' afiermazione :
aver il Vico studiato il Leibnitz, dal Leibnitz essere stato
condotto a ricostruire le tradizioni italiane nel Libro '
Metafisico, d'avere accolta la sua Monadologia, e simili.
Or dove son le pruove di tutto ciò? Il Ferrari non è un
pedante, non è uno scolastico : egli non ha bisogno di
provare 1 Fatto sta che il Vico non cita mai né opere,
né dottrine, né sentenze di Leibnitz, di cui rammenta ap-
pena il nome, il solo nome due volte; e vedremo quando,
dove e perchè lo rammenti. Vera bensì è l' osservazione
che gli scritti latini del Vico racchiudano il suo sistema
metafisico, da lui sempre supposto e non mai esposto.*
Ma non possiamo indirizzare allo stesso Ferrari que-
sto medesimo rimprovero? Perchè lo avete sempre
supposto cotesto sistema, e non indagato e giustificato
e corretto mai ne' vostri lunghi commenti? * Dice che il
« Vodi La Mente dd Vico. Ediz. Mil. Voi I, pag. 112.
' n mede«Ìmo tenore di critica egli segue nei Proemi al Diritto <
UnivenaU e al Libro Me^JUieo, voi. II e III.
' Vedi Prefaz. alla Mente dd Vico, pag. 9.
* n Ferrari ayrebbe avuto grand* attitudine, se lo scetticismo non
avesse ridotto in polvere fosforica il suo ingegno, a comprendere ed
esplicare la dottrina metafisica del suo maestro. Talvolta ne dà segni
evidenti, per esempio laddove afferma che V intima unione tra la finoa
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\
78 STOBIA DELLA SCIENZA NtJOVA. [lIB, I.
Vico, avendo isolato nelle fasce della sua metafisica il
corso delle nazioni, andò a rovinare contro le vaste fé-
derajnoni della civiltà moderna. D critico e V interprete
qui vien meno, e in quella vece abbiamo il politico
federalista che ad un suo preconcetto si studia subordi-
nare un principio del maestro. E quando afferma che
col circolo similare questi rovescia perpetuamente le nor
eioni dalla Monarchia aUa barbarie, sarà lecito chiedere
al Ferrari, se questo principio possa esser rigorosamente
dedotto dall' insieme delle dottrine del Vico, o se più ve-
ramente non esista una splendida legge di progresso, un
processo in quel suo ternario storico e nella successione
delle forme politiche come ei le considera? Ma eccola
contraddirsi quando afferma che il Vico arresta U corso
delle nazioni alle grandi monarchie. Questo à vero : ma
perchè dimenticare che la grande monarchia pel Vico
è la Monarchia civile; quel reggimento politico nel
quale il mondo moderno (dopo il ricorso storico) si
ferma e devesi fermare, appunto perchè è il governo,
r impero della ragione spiegata? Nella seconda Scienza
Nuova, egli dice, il Vico giunge a distruggere Omero.
Ma non Tavea già beli' e distrutto nella Prima, per
non dire anche nel De Constantia PhUologia dove
il dubbio traspare evidentissimo? Per un' anomalia U
genio del Vico profetizzò le verità dd secolo XIX. Be-
nissimo: oh perchè dunque non avete spiegato, com-!
mentato, fecondato, ravvivato cotesto verità? Perchè
non ci avete presentato V uomo nuovo svestendolo delle
vecchie ciarpe? Sono forse il dubbio e lo scetticismo
sistematico le verità del secolo XIX ?
L'esagerazione del Ferrari passa il segno là dove
afferma che nella Scienza Nuova il suo maestro siasi
inalzato a creare geometricamente la storia deU'umanUàf
a farla con la meditagione, a farne una storia ideologica^
e la metaJUica eo9t%tui»eé tutta la forza e la grandetta dd 9%Hema di Vico,
Op. cit., pag. 118.
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€AP. H.] CRITICI ED BRUDITI. TV
e quasi una geometria umanitaria. Io stimo V ingegno
potente, vivacissimo del Ferrari, e leggo e leggerò sempre
con trasporto i suoi libri. Ma c'è egli una ragione di
cotesta critica che comincia col caos e finisce nel caos?
La ragione e' è, ed è tutta nei suoi principii filosofici.
Tutto ciò che v'è di fisiologico, di fisico, di naturale,
d'istintivo, di meccanico nelle dottrine vichiane, tutto
questo egli ha saputo organare a sistema, e con ardire e
con ingegno senza esempio nella storia. Questo, vedremo*,
è!il suo sistema storico, eh' è in sostanza T espressione
più esagerata del Positivismo applicato nella storia.
Suo principio è la contraddizione: non la contraddir
zione già risoluta razionalmente com' è, per esempio^
nella mente degU Hegeliani; bensì la contraddizione
empirica, la contraddizione intesa come fatto, la con"
traddizione immanente. Per questo suo principio il Fer-
rari dovrà occupare un luogo distinto nella storia della
filosofia contemporanea, appunto perchè nella forma
oom'ei lo presenta è un principio originale. Ed egli
se ne tiene, se ne gloria. Giorno di festa fii per lui
quando alla mente gU apparve chiara V applicazione
di tale idea alle dottrine poUtiche degli Stati considerati
nelle loro scambievoli opposizioni e ne'lor contrasti.
La mia gloria (diceva un giorno) si fonda appunto su
la scoperta di questa legge. E questa legge egli è venuto
applicando, com' è noto, in tutte le sue scritture, dalla
Mente del Vico alla Storia detta China. Ora io domandò
con questa filosofia poteva egli penetrar davvero nella
mente del suo maestro? *
* NeU*£WMt $ur U principe et lee limite» de la Ph*L de VBieL (Paris^
Joobert 1848) il Ferrari rìdaoo a quattro i difetti cardinali del Vico :
l** Il Vico, egli dice, ha trafportato nella vita deUe naziom V armonia pre-
9tabilita di Leibnitz, Sarà vero in certo senso: in che senso? in che'
maniera? 2<* Ha foOto delia Scienza Nuova una generalizz€tzione della Storia
nomano. Ma, come se lo stesso Vico chiamò la istoria n^mana tenuieeimo
Saggio della storia universale? Z^ Ha coneiderato U eieiema eoeiale solo nel
patriziato, e però i plebei non eesere altro che bimani eenza matrimonio nd
rdigioni. Ma perchè non fate che la vostra critica penetri in quo* due
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STOBIA DELLA SOUNZA NUOTA. [UB. I.
io il Ferrari è bene far menzione del Cattaneo,
/e a proposito d'un altro libro dello stesso Fer-
^risse un articolo pieno di serietìi e dottrina, come
re usava quel forte e versatile ingegno.* Psicologo
K> w/tico più che scettico, con la sua critica egli comin-
cia a riprender V andamento pacato e sereno dello
. lannelli. Il Cattaneo è come Y anello fra il Ferrari e
'il Tommaseo. Noi non possiamo, egli dice, studiare
con profitto lo spirito umano in sé, nella sua essen-
za, bensì nelle sue elaborazioni storiche, e nelle situa-
zioni più numerose e diverse che si possa. Però biso-
gna studiare il poliedro ideologico nel fluissimo numero
di sue faccey e da questo terreno tutto storico e speri-
metitàle dovrà sorgere la vera cognizione dell'uomo; la
quale indarno si cerca nei nascondigli della coscienza.
Lo studio dell' individuo nella società, V ideologia so-
dale: ecco una sentenza piena di verità per cui il Cat-
taneo si chiarisce assennato seguace del Vico. E che
egli abbia inteso il pensiero del filosofo napoletano lo
pruova l'altra osservazione su le successive trasforma-
zioni storiche del diritto, per cui nella Scienza Nuova
a troviamo fusa la dottrina d^l' interessi come cam-
peggia nel Machiavello con la dottrina della ragione
i esposta da Grozio, togliendo eoa la contraddizione
che divideva la storia dalla filosofia.' » Che se anche
il Cattaneo s' addolora al pensiero dei Circoli fatali^
che il Vico ebbe in comune, secondo lui, col Machia-
mipremi principii d'umanità, PuDOR e Libbrtas, che sono il cardine della '
Scienza Nuova, e per cui anch* il servo, anch* il bimane un bel giorno
diventa uomo, personalità ? é'* Cade col Machiavelli nd »iHema delU dué
fati, V ima harharay V altra eivtU, No, introduce nn nuovo sistems nelle
due differenti fasi, Tuna tpantanea e raltrart^faMo; e questo non è cir-
colo fatale, identico, ma progressivo. Dice poi che il Vico eroit que la
vdonU peut eorrompre Vceuvre de la roMon (pag. 105). Qui evidente-
mente il Ferrari non ha saputo, né poteva col suo scetticismo, intender*
e comporre in organismo i principii psicologici del suo maestro.
* Firbàri, Vieo et VltaUe. Paris 1889.
* CiTTRinBO, nel Politeonieo. Voi. II, 257.
* Vedi Periodico oit pag. 264.
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CAP. in.] CBITIOI BD BBUDITI. 81
velli e col Campanella, una consonanza mirabile però sa
trovare fra i più recenti sistemi umanitari e quello del
Vico, agli occhi del quale la Provvidenza, con V occa-
sione degV interessi delle inique passioni, trae la giustizia
effettuandola gradatamente nel mondo delle nazioni.
Laonde osserva come prima di Fichte, segnatamente
prima di Schelling, a lui fosse dato riguardar la ragione '
qual facoltà che occasionalmente si sveglia nell'uman
genere.'
Capitolo Terzo.
•CONTINUA IL PERIODO DE' CRITICI E DEGLI ERUDITI.
Co' suoi Studi Critici V illustre Tommaseo segna il
passaggio al terzo periodo, e quindi ad una terza classe
di scrittori che si sono occupati del Vico. Critico e filosofo,
infatti, egli stabilisce V anello fra i puri critici e gì' in-
terpreti filosofi negli studi riguardanti il nostro autore:
Imitazione e riproduzione, come negli scrittori del primo
periodo, non era possibile nell'ingegno versatile, dut-
tile, acuto ed elegante del Tommaseo; e tanto meno
possibile in lui una critica scettica alla maniera del
Ferrari. Piena la mente e l'anima di fede e di pro-
fondo sentire, questo scrittore è anche filosofo, e vi
pretende. Egli ha scritto libri di filosofia; ha inter-
pretato, e non di rado con sottigliezza scolastica ha
difeso il princìpio speculativo del Rosmini, e propu-
gnatolo con ardore giovanile. Nessuno dunque può ne-
gare a quest'ingegno artistico e severo buona dose
di virtù speculativa. Sarà filosofo scologizzante, sarà
filosofo più che rosminiano, ma è filosofo, oltre che
critico de' più sottili: è filosofo e critico, e, senza con-
Nel PoUteenico cit., pag. 276.
SlCILIAM.
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82 STORIA DBLLA SCIENZA NUOVA. [lIB.I.
trasto, quant' a proprietà di linguaggio occupa oggi 1
primo seggio fra i viventi scrittori del nostro paese.
Nessuno meglio di lui poteva farsi a rilevar le bellezze
nella parte letteraria ed estetica delle idee del no-
stro filosofo. E, facile a spigolare ne' campi altrui, an-
che in questo egli è andato scegliendo fior da fiore, e
ne presenta cotal mazzo che lascia scorgere l'arte di chi
n' ha fatto la scelta. Chi, prima di lui, avea saputo ritrar
r indole, per esempio, di certe composizioni poetiche del
Vico, additar la possente originalità nello stile, la sel-
vaggia lobustezza della parola, la forma singolare del-
l' ingegno, e segnatamente l' animo e tutto il carattere
morale dell'uomo? Una delle più notevoli pagine della
prosa italiana, egli osserva, è la nobile immagine di
donna egregia lodata dal Vico : ed è verissimo ; e vere ed
argute non meno ci paion quelle considerazioni su la
storia del Caraffa, nella quale spesso questi è dipinto
non qncd era ma guai doveva essere, per meritare le lodi
del Vico. La dignità del lodatore si vendica per tal modo
della indegnità del lodato j e la lode diventa condaivna.^
Ma il Tommaseo, ho detto, è anche ingegno specula-
tivo, e spesso è felice nell'intravedere il vero di certe idee
filosofiche del Vico. Ecco un'acuta riflessione: Fólibio e
gli antichi deducono osscì-va^ioni generali da* fottio U Mct-
chiavelli trae consiglif il Vico determina leggi. Ma le SUE
LEGGI NON PANNO FORZA ALLA PRATICA, anzi egli
dice cìie l'uomo dee nelle teorie r attenersi come cavallo
aìiimosoy per poi nelle pratiche cose correr di maggior
lena} Altra bella osservazione è quando nota come da
Platone egli traesse non l'idea, sì la ispirazione della
sua storia ideale. Il che mi piace avvertire col Tommaseo
contro chi pretende rimontare sino al filosofo ateniese
a ripescarvi un antecedente alla Scienza Nuova! Veris-
simo altresì che le due Scienze Nuove paiono entrambe
due grandi edifici secondo la medesima idea architettati :
* Tommaseo, Studi Critici. Venezia, 1843 Voi. I, pag. 89.
* Id., eod.. Voi. I, pag. 95.
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€AP. lU.] OBITIOI XD BBUDITI. 88
6 questo avverta chi ha creduto vedere nella seconda
di esse non so che stravaganze, follie o puerilità. Con
salde ragioni poi contro parecchi critici del Vico egli
dimostra come nelle opere di lui si manifesti potente,
vera, chiara l'idea del progresso; perchè se aUe cose
umane vide un corso e ricorso in orbita fissa, non disse
che V orbita non si potesse più e più sempre cól volger
de' tempi allargare^ E non meno della critica che
riguarda per diretto il Vico, preziose paionmi anche
quelle undici appendici indirizzate ad illuminare il testo
dove il filosofo napoletano sorge principal figura: dico
le appendici sopra lo Stellini, il Grozio, il Romagnosi, il
Foscolo, sul gius sacro e sul gius Romano, su le origini
sociali, su gli Sciti, Illirici, Slavi, sul Niebuhr ed altri.
Il Tommaseo vuol esser rammentato ed encomiato
eziandio per un altro lavoro speciale sul Diritto Univer- 1
sale,^ È un esame critico, al solito, assai condensato
e sparso di riflessioni ingegnose, d'opportuni e fedeli
riscontri e di felici divinazioni nel penetrare le idee del
filosofo. Ma è pur d'uopo confessare che se come cri-
tico nessuno può entrargli innanzi per sobrietà e giu-
stezza di giudizi, come filosofo non tutti sapranno accet-
tarne ogni sentenza. Molte interpretazioni e parecchie
confutazioni eh' ei move al Vico noi non potremmo acco-
gUere: quella per esempio dove, accennando alla luce
metafisica del nostro filosofo, si studia vederci non pili
che Tessere ideale del Rosmini,' e T altra onde presume
che dal concetto della Trinità egli traesse l' ordinamento
delle facoltà umane, e nel medesimo concetto scorgesse
radicarsi la metafisica, la morale e fin la giurispruden-
• Op. cit., pag. 125. fe anche del Tommaseo quesV altra bellissima
osseryazionc : Dalle proprie averUure il Vico dedusse H mondo invecchiato :
ma ^gìi medesimo ci vieta di crederlOf egli che pronunziò: mundus enim
jaTenescit adhuc; interpretazione luminosa deUa sua /rantesa dottrina delh*
legje de ricorsi, e risposta sufficiente a dà lo accusa di negare al genere
umano ogni forza (T avatuamenfo. — Dizionario Estetico» Voi. I, pag. 398.
• ^kudi Filosofici, Voi. II. Venezia mdoooxl, pag. 118 o segg.
l« Stwli OrUici, Voi. I, pag. 30.
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84 STOBIA DSLLA SCIENZA NUOTA. [UB. I.
za.* Sbaglio grave, dice, Taver negato la trasmigrazione
I delle civiltà da popolo in popolo innalzandovi mura
di bronzo.* Errore gravissimo poi da restame scan-
dalizzati, più che uno, mille Tommasèi, gli par la sen-
tenza, che dopo il diluvio gli uomini si disumanas-
sero 1 * E qui r illustre critico si fa forte delle censure
^ del Lami, del Romano e del Finetti e di tutti gli opposi-
tori del primo periodo, co' quali dopo un secolo e mezzo
par ch'ei si trovi in pieno accordo. Il Tommaseo non po-
teva penetrare nelle dottrine speculative del Vico, e da
quéste trarre, più che dai due o tre passi d'autori lettini
o dagli urli dell'uomo bestiale assordante l'aria e le
selve, nuove dottrine e vere su le origini dell' umanità,
non discordanti oggi co' risultati delle scienze naturali.
Come si vede, con una critica sempre acuta nelle
sue osservazioni tuttoché non sempre vera ne' suoi giu-
dizi, il Tommaseo è stato il primo fra noi ad espri-
merci '1 bisogno d' interpretare in maniera filosofica le
dottrine del nostro filosofo ; ma non vi giugne, né il
poteva, perchè non gliel permettevan né le esigenze
della fede tanto salda e vigorosa nell' animo suo, né la
filosofia schiettamente Kosminiana nella quale è uso at-
tingere i principii filosofici e i criteri metodici. Usciamo
ora un'altra volta dal nostro paese, e vediamo se nel
giro degli anni di che parUamo gli studi, i giudizi e la
stima circa il nostro filosofo sian venuti sempreppiù
progredendo anche presso altra letteratura come presso
di noi.
L'illustre Renouvier avrebbe stimato manchevole
la sua storia della filosofia moderna ove anch' egli non
avesse accennato all'autore della Scienza Nuova. 11
Vico, egli dice ripetendo un'aflFermazionedel Michelet,
• ToMMAsio, Studi Filotojiciy Voi. cit., pag, 129.
• Studi Gritici, Voi. cit. pag. 78.
• Due o tre pa$9Ì d* autori latini e H troppo reU^oto rispetto di tutu
torta tradizioni in tali togni tmarrirono tale ingegno. — Vedi Op. cit.
Voi. cit. pag. 8S.
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OAP. in.] •oamoi bd eruditi. 85
del CDUsin, del Lerminier, dello JoufiFroy e d'altri fran-
cesi, ha fatto alla scienza una rivelazione nuova creando
la filosofia della storia; talché dopo la morte de' due
martki suoi compatrioti Bruno e Campanella, ei ci si
presenta davvero qual rivelatore d'un mondo nuovo.*
Un' altra osservazione, di cui è bene prender nota, è
quella dov' egli afferma che, quant' a Cartesio, il Vico
ebbe pieno diritto a biasimarne l'incompiutezza del
metodo, egli che, considerando come scienze la poesia,
^ la storia e la filologia, potè gettar -le basi d'un
metodo novello supremamente sperimentale, storico e
comprensivo. Ma quali sono propriamente i principii
filosofici del Vico? Ha egli una serie di principii meta-
fisici? Il Renouvier non risponde a questa domanda, e si
tiene contento nell' affermare solamente eh' egli ama/va
la metafisica di Descartes.
Sarebbe questo il luogo di rammentare il Bouchez; *
ma, fra tutt' i francesi, questi è l' unico scrittore che
del Nostro abbia parlato in guisa assai meschina, tanto
che a veder come lo cita e come n' espone le idee, fa-
rebbe sospettare di non averlo letto, o che ne abbia
solamente discorso per sentita dire.«£ noi non avremmo
tirato fuori il nome di questo debolissimo filosofo della
storia e tenutone conto, se nel suo libro non si vedesse
confermata certa notizia della quale giova prender nota.
Citando un vecchio periodico di Francia, il Bouchez dice
come le opere del Vico fossero quivi note già sino dai
primi lustri del secolo passato. I francesi dunque molto
probabilmente non ignoravano il primo libro del Diritto \
Universale e, che più monta, neanche il secondo nel '
quale è racchiusa, com' è noto, la sostanza della Scienza
Ifuova. La qual cosa abbiam voluto qui avvertire col
fine di rinfiancare vie piii la sentenza d'alcuni critici
su l'origine delle molte affinità fra alcune idee del Vico,
* RBiroinriBB,Jfaraii««Z de PhUot. moderne ; Paris et Uipsig 1 842 pag. 368.
' BouoHBZ, Inltrod. è la Scietkce de VHiet, ec. Paris, 1814.
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86 STORIA DELLA SOIKNZA NUOTA. [lIB. I.
e quelle di certi filosofi e storici francesi anteriori alla
rivoluzione, massime del Tm^ot e del Condorcet.
Nel tempo di cui parliamo (1844) novella traduzione
comparve in Francia per opera dell' autrice anonima del
Saggio sulla formaeUme dd damma eaftólico. E anche
qui e' è progresso; perchè se la traduzione det Michelet,
come si disse, è una riduzione non molto fedele e man-
cante di critica, la traduzione di che discorriamo, oltre
d'esser propriamente traduzione, è poi fornita d'un
lungo lavoro su le opere e su le dottrine del Vico, pre-
gevole soprattutto per V analisi cui è sottoposto il pen-
siero del nostro filosofo.* L' autore di questa prefazione
s' accorge subito ov'è il nodo delle dottrine e del metodo
vichiano. Cotesto nodo, evidentemente, è nella distin-
zione e insieme nella relazione tra il vero e il certo, tra
la ragioìie e Vautoritcu^ E innanzi tutto osserva come la
parola autorità pel Vico voglia dir volontà, coscienza,
1 voce interiore, sorgente di quel conoscere ond' all'uomo
non riesce additar le ragioni scientifiche e universali.
Brevemente; la coscienza è autorità anzi la piìi grave
delle autorità. La ragione poi è facoltà che giugno a
dimostrar la cosa scientificamente, e quindi produce il
vero. E poiché tutto ciò che 1' uomo dimostra è fatto
da lui e però ha natura finita, ne segue che il vero
debb' essere inferiore al certo. V è pertanto differenza tra
il vero metafisico e '1 vero matematico: questo è nostra
fattura, e quindi è vero; quello, in vece, non ci appar-
tiene come nostro effetto, e in conseguenza riguardo a
noi è solamente un certo. Ora siccome conoscere vuol
dire scomporre ed astrarre per cavarne gli elementi;
così di Dio non potremo aver nozione vera, ma certa,
stantechè non ne sia dato scomporre ciò eh' è essenzial-
mente uno, né ritrovar cause di ciò che è causa per sé.
È necessario adunque un modo nuovo di conoscere Dio;
* La lunga ed elaborata prefazione a coi alludiamo si vaole scrìtta
da un celebre storico firancese (A. M.) amico della traduttrice.
* La Seience NouveUe, trad. etc., Paris, 1844, pag. ltii.
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OAP. m.J oBinoi SD sbuditi. 87
e però necessaria una nuova facoltà. Questa facoltà è ap-
punto il volere, che si rivela col mezzo della coscienza.
La nozione di Dio quindi è un fatto di coscienza e di au-
torità, perchè autorità e coscienza tornano il medesimo.
Ho voluto accennar brevemente queste osservazioni
non solo a mostrare che la prefazione di cui parliamo
non è da annoverarsi fra le solite ampolle messe in fronte
alle traduzioni delle opere di grandi autori, ma a far
Tederò altresì come in essa racchiudansi interpretazioni
davvero ingegnose. Il traduttore poi avverte la confu-
sione fatta dal Vico tra Zenone lo stoico al quale è
attribuita la dottrina del punto metafisico, e quel Ze-I
none à^Elea che riguardava i corpi siccome aggregati
d'infinito numero d^ atomi o di punti. Nota essere esclu-
rivo del Vico quel concetto per cui si considera il corpo
siccome |?wn^o metaifisico esteso. Osserva (e qui prego gli
altri critici H tener conto di tale osservazione) che il
Vico non volle né poteva respinger l' idea del progresso,
attesoché avrebbe contraddetto alla propria metafisica:
le$ cercle4 doni il entoure Vhutnanité doit nécessairement
marcher en avant.^ La qual sentenza, che cioè nel padre
della scienza storica rifulga chiarissima, chi sappia di-
scemerla, l'idea del progresso, è sostenuta in modo
splendido da un altro francese vivente, dal De Ferron
come appresso vedremo.
Fra le idee originali del Vico il traduttore pone
anche questa : V uniformità originaria di civiltà appo
differenti popoli più come eftetto della comune natura e
dell' unità di fine che ne presiede allo svolgimento, anzi
che come resultato di comunicazioni dirette avvenute
fira popoli diversi.' Riferisce al Vico la scoperta de' tipi
fantastici di differenti classi d'uomini contro chi non
vi sapeva scorgere altro fiiorchè personificazione di forze
naturali. À lui medesimo riferisce l' aver dimostrato sto-
ricamente il processo delle tre forme politiche generali,
* La Science Nouvdle, pag. OVli.
* Idem pag. oiz.
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88 STORIA DBLLA 801ENZA NUOVA. [lIB. I.
aristocrazia, democrazia, monarchia ; V aver avuto co-
scienza come né T eloquio né la civiltà latina fossero
provenute di Grecia; e, anziché divinato (come vorreb-
bero alcuni tedeschi), aver egli dimostrato in gran parte
i suoi principii storici, né solamente dato impulso alla
presente filosofia della storia, ma avere concorso pro-
priamente a svolgerla, a costituirla: al qual proposito
notiamo come il traduttore giustamente rivendichi al
Vico il merito attribuito a Champollion, d' aver inter-
I pretato e svolto le conseguenze del celebre passo di San
Clemente Alessandrino. Fa vedere poi come in pili cose
ei mirasse più giusto e più sicuro dei suoi successori
quant' alla storia del Diritto; per esempio, su la tanto
vitale distinzione fra popolo e plebe, non veduta da
! Livio, e comprovata dopo il Vico dal Beaufort e dal
Niebuhr. Mostra quindi essere assolutamente nuovo il
modo con che V autore della Scienza Nuova considera
e risolve la questione circa l'origine delle XII Tavole;
nel che lodiamo la forza e la maniera ingegnosa on-
d' anch' egli sa difenderne la verità. Verissimo, final-
mente, quel giudizio su la dottrina risguardante Omero
e i poemi omerici, accorgendosi come il Vico non in-
tendesse con tal dottrina negare un Omero personale che
'impresse forma esteriore ai suddetti poemi, ma negare
bensì, nel che egli ebbe ed ha ragione, un Omero che
fosse creatore de' medesimi, come vedremo a suo luogo.
Tali sono i pregi di quest'assennato lavoro critico
che va innanzi alla seconda traduzione della Scienza
Nuova. Ma non vi mancano difetti ; e ne cito qualche
esempio. Come non iscorger l' attinenza fra il vero e
il certo del Vico? Come non veder che 1' autorità altro
non è che la stessa ragione considerata quale obbietto
che propone sé a sé medesima, essendo due termini co-
testi che, come altrove diremo, van soggetti anch'essi
alla legge di conversione? Se questo avesse inteso il
traduttore, non avrebbe affermato che dell' assoluto non
si possa aver nozione, ma sentimento. Nella Ragione e
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€AP. m.] CRITICI BD BBUPITI. 89
jìeW Autorità del Vico egli forse ha voluto scorgere qual-
cosa della Ragion pura e della Ragion pratica del Kant, '
G certo non s' è intieramente ingannato. Ma non s' in-
canna egli quando si piace di scendere a conclusioni cosi
immediate col Criticismo? Che poi tanto in metafisica
quanto in geometria il punto sìsl principio d^ estensione;
che però la matematica, sia come dire, copia materiale
atta a farci conoscere il tipo immateriale eh' è appunto la <
metafisica; e che tutto ciò stabilisca un rapporto nuovo e
mai non visto prima del Vico fra il conoscere metafisico ed 1
il matematico; le son cose alle quah non è lecito, per no-
stro avviso, mover dubbi. Or come in tutto questo e' entra
^li il panteismo? Il punto vai forse la circonferenza?
Certo, punto metafisico è lo sforzo, l' anima del mondo :
od è anche un modo dell'Assoluto. Ma che natura di
modo è egli mai cotesto? Anch' il Vico definisce tal
modo come disposizione dell' assoluto (dispositio Dei) :
ma qnal genere disposizione è ella cotesta? Sarà de-
terminazione intrinseca? Eccoci al panteismo! £ quando
siamo al panteismo, io confesso di non intender più
nulla del Vico, né delle sue dottrine, e nemmanco di
questa scrittura del traduttore francese. Non parmi
dunque giusto affermare che la filosofia del Nostro ad
altro non possa riuscire salvo che ad una forma di pan-
teismo. Forse che tutto al mondo si può ridurre a tre
modi, come vorrebbe il critico, della sostanza divina?
Intendo come quelle tre note idee del Vico, Quiete^ Co-
nato e Moto, ove formino soggetto unico, semplice, immu-
tabile, possano facilmente condurre all'assoluta identità.
Ma ecco dov'appunto è necessaria la crìtica; una critica
mercè cui, chi ne voglia interpretar con sincerità di giu-
dicio le dottrine, è in obbUgo di porre in accordo la
teorìa in discorso con altra serie d' idee evidenti, si-
cure, né soggette a dubbie interpretazioni, che pur tro-
viamo sparse nelle opere del nostro filosofo.
Un altro appunto potrebb' esser questo. L' anonimo
traduttore accenna al metodo educativo ond'il Vico
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90 8T0BIA DILLA SCIENZA MUOVA. [LIB. 1.
gettò qualche barlume nel libro sulla Ragion degli skidi.
Diremo appresso perchè la sentenza pedagogica che il
Vico pone a fondamento di questo libro tomi d'ogni parte
erronea: ma forse per questo potrà esser lecito al critico
di fermarsi al primo uscio che gli vien fatto incontrare?
Più che dell' orazione De nostri temporis studiorwm
rixHone, non avrebb'egli potuto e dovuto ricavare i
I principii pedagogici del filosofo dalle sue stesse dottrine
di psicologia e di diritto, che certo non gli sarebbe man-
cata stoffa bastevole al fatto suo? Finalmente, quanto
all'appunto su la monarchia, è vero esser questa l'ul-
tima forma politica che apparisca nel processo storico
I dello Stato secondo il Vico ; ma non è la più perfetta
1 né in sé stessa, ne secondo i principii della Scienza
Nuova, come abbiamo avvertito parlando del Ferrari.
£ qui poiché siamo tra' Francesi, giova dire quale
stima facesse Augusto Gomte del massimo libro del
nostro filosofo. Come si rileva dalla corrispondenza epi-
stolare col Mill, il padre del Positivismo francese studiò
il Vico nell'ottobre del 1844; e prima di tutto si chiama
contento per non averlo letto innanzi, che altrimenti
sarebbe stato entravo ou dérmigé mofnentanémeni! Af-
ferma poi che il suo giudizio sul Vico è quel medesimo
ch'egli stesso formulò riguardo al Montesquieu e al Con-
dorcet : * il che basterebbe a mostrare con qual disposi-
zione d'animo ei pigliasse a leggere la Scienza Nuova.*
Vedremo altrove qual differenza corra tra l' opera su
lo Spirito deUe Leggi, e la Scienza Nuova: quant'al
libro del Condorcet fin d'ora diciamo nulla o pochis-
simo aver che vedere le intuizioni, del resto felicissime,
di questo filosofo con le indagini storiche particolari,
positive e analitiche del Nostro. E ancora, chi vogUa un
altro segno del modo come il Gomte leggesse il nostro
filosofo e qual frutto ne traesse, osservi questo, che alcune
Degnità del filosofo napoletano a lui parvero indicare
* A. Gomte, Op., Voi. IV.
* LiTTRii, Augutte Cùmte, pag. 460.
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CAP. in.] OBITIOI «D XBUDm.
un primo passo verso U sentimento detta vera i
eione sociale. Non era naturale che il Comte si feri)
li a que' generali assiomi delle Degnità ove pare'
intravedere il germe della evoluzione sociale? Ma ttjr-
marsi a cotesti germi, e non accorgersi qual fecondo svol-
gimento abbian essi ricevuto dal medesimo autore, è
lo stesso che accorgersi del seme e non veder l'al-
bero! £ come poi non iscorgere la sua stessa legge dei
tre stati ad ogni pagina della Scienza Nuova? E come
aver cuore, ciò che più monta, di proclamarsene inven- ^
tore? Giunto appena alle Degnità^ chiude gli occhi
per non vedere; e non vuol vedere ciò che l'italiano
avea già visto molto più profondo di lui, e prima di lui !
Sennonché egli stesso ne riconosce i meriti, me-j
riti ch'ei crede superiori a quelli del Montesquieu, e
conclude annunziando che la dottrina del Vico potrà
deciderlo, in una seconda edizione dell'opera sua, a
consacrare une ou deux pages à Pappréciation de Vico.
Manco male che principal inerito effettivo del filosofo
italiano gli sembra esser quella maniera profonda con
la quale nella Scienza Nuova è intesa la filosofia storica |
del linguaggio ! Ma chi per poco abbia studiato il nostro
filosofo, non saprà dubitare che per l'appunto questa dot-
trina particolare in lui si collega intimamente con altre
di maggior valore, stantechè una filosofia storica del lin-
guaggio importi già una filosofia della storia, e quindi
una scienza dei fatti storici: Or se nell'una ci è meriti
eflFettivi, non sarann'anco nell'altra cotesti meriti? Ecco
il positivista fi*ancese che, pur non volendo, viene a rico-
noscer la gloria (gloria ch'egli sperò d'aver tutta sfron-
data nella lettera al Mill) di chi un secolo avanti a lui
e con ogni splendore di scienza, inaugurava tra noi la
rerace filosofia positiva.
E qui è anche il caso d' accennare all' illustre Stuart
Mill, il quale, un anno prima che il Comte gli desse no-
tizia de' suoi studi sul Vico, pubblicava il Sistema di Logi-
ca, e accennava al filosofo napoletano là dove stabilisce i
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92 STORIA DILLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
principii del metodo dedtdHvo^nverso, o metodo storico.
L' azione reciproca, egli dice, delle circostanze che ge-
nerano i caratteri degli esseri umani, e degli esseri
umani che modificano quelle circostanze o esterne con-
dizioni, induce necessariamente un circolo di moto, od
un progresso. Quantunque nel mondo astronomico le
posizioni successive de' corpi celesti producano cangia-
menti variabili, questi cangiamenti sono ricondotti nelle
condizioni ordinarie e nell'ordinaria monotonia, in virtù
del sistema solare. Il moto de' corpi celesti, insomma, è
essenzialmente orbitale. Ma non è anco possibile un
moto, una linea che non rientri in se medesima? È
possibile. Ora il moto della storia a quale di questi due
tipi è a riferirsi? « Uno degli autori (egli dice) che per
i primi hanno considerato la successione degli avveni-
menti storici come sommessi a leggi fisse ed han cer-
cato scuoprire queste leggi mercè un esame analitico
della storia, il Vico, il celebre autore della Scienza
Nuova, ha adottato la prima di queste alternative. Egli
ha concepito i fenomeni dell' umana società come pro-
cedenti nella stessa orbita, passando periodicamente per
la medesima serie di cangiamenti. Quantunque tal ma-
niera di vedere non manchi di verosimiglianza, non
potrebbe sostenere un esame serio : e quelli che al Vico
sono succeduti in tale ordine di speculazione, hanno
generalmente accettato l'idea di progressione traiettoria
invece di un' orbita o d' un ciclo.* *
Come si vede, è il solito appunto ond' il Vico fu ed è
anc'oggi accusato da molti. Ma, come il Comte, cosi pure
il Min probabilmente lesso, o meglio sfiorò una sola delle
opere del filosofo italiano; perocché non sarebbe difficile
mostrare, se qui fosse luogo, com' il moto storico del
Vico, nel giro de' fatti storici, sia precisamente quello
che il positivista inglese addimanda progressività; e
sarebbe facile poi far vedere com'egli non sia caduto
* Stuart Mill, Sy9t dt Logique, Voi. Il, cap. 8.
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GAP. in.| CRITICI BD ERUDITI. * 93
in quel doppio difetto non .saputo schivare dal Mill:
dico il difetto d' un vero concetto storico, e quello
di credere che, ammessa pure una progressività negli
affari umani (per dir com' egli dice), questa non abbia
a costituire questione di metodo nella Scienza Sociale,
bensì un teorema della scienza stessa. Ora a me pare che,
ritenuto innegabile un cangiamento progressivo nella
schiatta umana, l'oggetto della scienza non può riuscire
identico a sé stesso, non è immobile, né immutabile;
per cui, ammesso che la natura del metodo tiene alla
natura dell'oggetto, non siamo altrimenti in una que-'
stione teorematica, ma di metodo altresì. Il concetto
adunque della Scienza Sociale corre i destini del concetto
della scienza storica. Questa, come sarà megUo veduto,
è una delle pecche del Positivismo inglese.
Ma nel Mill e' è tal pregio, come altrove accennam-
mo, che il diresti seguace addirittura del nostro Vico, i
tantoché il VI libro della sua Logica si potrebbe credere I
un'applicazione d'alcuni sommi pronunziati della Scienza
Nuova. Parla anch' egli di legge storica; d' una legge di
trasformazioni successive, d' una progressione nelle con-
vinzioni intellettuali dell'umanità. Più ancora : la possibi-
lità d'una vera Scienza Sociale e' non sa farla consistere
in altro salvo che in queste due condizioni: 1» nel deter-
minare cotesta legge, ma in maniera empirica, cioè come
resultato di pura osservazione ed esperienza storica;
2*' nel saper convertire poi cotesta medesima legge in
teorema scientifico, deducendola a priori dai principii di
nostra natura.* Orchi non vede come qui l'illustre in-
glese avrebbe potuto confessare che a tali quesiti erasi
già risposto in Italia un secolo e piii avanti che in In-
ghilterra fosse pubbUcato il Sistema di Logica? Chi non
vede quanto ingiustamente abbia egli prodigato al Comte
tutti gli onori del metodo storico? Qua dietro abbiamo
sospettato che né il Mill né il Comté si ebbero per av-
Stuabt Hill, Syti. de Logique. Voi. IT, p&g. 580.
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^ STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [UB. I.
ventura notizia diretta o almeno accurata delle opere del
Vico. Se così non fosse, né questi avrebbe fatto tanto
rumore della sua legge sociologica e menatone vanto
come di peregrina scoperta, ne quegli, fatta la cerna an-
che lui dei meriti del positivista francese, avrebbe oggi
affermato che proprio al Comte s' appartenga V onore
di questo concetto: che ciascuna classe distinta di
coficepimerUi umani passi per tre stadi, teologico, meta"
fisico e positivo.^ Avrebbe visto, insomma, che la legge
storica del filosofo italiano è, come dire, un organismo
vivente, tutt' un sistema, di guisa che nessun elemento
di civiltà può rimanerne inori ; e sarebbesi accorto per-
ciò che la parte o l'aspetto vero della legge sociologica
la quale egli accetta e celebra, s' appartiene al nostro
filosofo italiano, dovechè la parte erronea ch'egli stesso
ripudia, potrà, quando se n'abbia gusto, formar la glo-
ria della presente filosofia francese.*
Ed ora lasciando inglesi e francesi torniamo in Italia,
dove ci si presenteranno scrittori ne' quali, fatte le de-
bite eccezioni, piii che la critica erudita e storica e
letteraria, predomina il senso della interpretazione spe-
culativa, e sentesi l' esigenza filosofica nello studio delle
dottrine vichiane. Si comincia a capire che nelle opere
del Vico e' è pure i getmi d'una filosofia da svecchiare
e da fecondare. Si comincia a vedere che, oltre la
. Scienza Nuova, c'è pure il Diritto Universale; e che
oltre il Diritto Universale c'è anche il libricciolo su
r antichissima sapienza degl' italiani.
' Stcart Mill, à. Comte et le Po8Ìtim«me, pag, 13.
' Che Staart Mill nel pronunziare siffatti giudizi non aresse cogni-
zione esatta del filosofo italiano, si può sospettare anche dal linguaggio
pieno di maraTiglia eh* egli usa noir ultima edizione della sua Logica
ove, parlando della Storia deW Tncivilimento del Buckle, dice un gran mu-
tamento rgnt>r»i avverato dopo la pubUicaiione di tale storia, aTcndo que-
sto scrittore poeto il gran princìpio per cui la storia è aommesea {dVim-
pero di leggi univeraali. Ma non è questa per 1* appunto la grande sco-
perta della Scienza Nuova almeno quant*al suo principio? E tutte le
leggi su la costanza de* fatti sociali trovate dal Buckle e più dal Que-
tulut, non sono forse altrettante applicazioni sociali di quel princìpio?
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OAP. lY.] INTXBPBXTI FILOSOFI. 95
Ma prima di procedere innanzi giova rispondere ad
mia difficoltà non diffìcile, a nascer nella mente di qual-
che pedante. Si domanderà: perchè insieme co' puri cri-
tici ed eruditi in questo secondo periodo avete messo filo-
sofi di gran nome? La risposta è facile e chiara: primo,
perchè tale è l'ordine cronologico di cotesti filosofi;
secondo, perchè costoro han parlato o accennato alle
dottrine del Vico, adoperando una critica più presto
erudita e storica che filosofica. Qui non potevamo
disporre e coordinare gli autori in ragione delle opere
scritte e per gli studi eh' essi han coltivato e per la
forma del loro ingegno, bensì pel valore della critica
ch'essi hanno esercitato su le dottrine del nostro filo-
sofo. Nessuno ha dato segno d'elevarsi ai veri prin-
dpii di queste dottrine, non perchè non sapessero, ma
sia perchè alcuni di essi non ebbero tal fine parlando
del Vico, sia perchè non han creduto ad una filosofia '
di quest'autore. Nondimeno a contar dai primi fino
agli ultimi scrittori appartenenti a questo secondo pe-
riodo, dallo Jannelli, per esempio, al secondo traduttore
francese della Sdenta Nuova, è evidente un progresso
mercè cui la critica sul nostro filosofo, da erudita e sto- \
rica e filologica, viene assumendo gradatamente valore
sempre più filosofico; di modo che T ordine logico, in
questo nostro saggio di storia sulla Scienza Nuova,
risponde perfettamente all' ordine cronologico.
La critica nel senso d' interpretazione filosofica sarà
quind' innanzi il carattere per cui si distingueranno gli
autori a' quali verremo accennando nel seguente capitolo.
Capitolo Quarto,
periodo degl' interpreti filosofi.
Il terzo periodo degli studi sul filosofo napoletano,
se è vero che ha da risolversi logicamente, come s'è
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96 * STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
detto, in una critica filosofica, doveva esser dischiuso
propriamente da' filosofi come quelli i quali, più che fer-
marsi alle applicazioni, costumano anzi risalire ai prin-
cipii e alle ragioni di esse. Or le ragioni e i principi!
( della Scienza Nuova giacciono sparsi, quasi germi fe-
condi, nelle opere latine del nostro filosofo ; e a queste
vediamo accennare più spesso, e ad esse volgersi più
che ad altro la mente degli scrittori che noi verremo
adunando ed esaminando in questo terzo periodo.
Primo di tutti, infatti, al Libro Metafisico ricorre
r illustre Terenzio Mamiani ; e, trovatovi il criterio del
vero e del fatto che è come il nodo vitale di tutte le
teoriche vichiane, nel Binnovamento dell' antica filosofia
I italiana viene applicandolo a quella dottrina ch'ei disse
della hvtuijsione. Sennonché, un criterio qual è questo
di valore essenzialmente universale, come vedremo, un
criterio che nelle più elevate questioni di metafisica
assume qualità e forma di principio; nelle mani del filo-
sofo pesarese invece piglia natura e proporzioni, per
cosi dire, di norma psicologica, o ideologica che sia:
né quindi ebbe torto il Rosmini se in cosiffatto innesto
operato dal Mamiani vide annidarsi difetti non pochi,
né lievi magagne, confessate oggi tacitamente e nobil-
mente dall' autore delle Confessioni d* un metafisico.
Vedremo a suo luogo se quando il Vico propose quel
criterio, non intendesse né punto né poco uscir da' ter-
mini della Intuizione, come allora pensavasi '1 Ma-
miani.* Il quale, ove oggi tornasse a parlarne, certo
ne discorrerebbe in ben altri sensi e co' riguardi di buon
platonico, più che di filosofo naturale seguace della
filosofia del comun senso, al modo che con sì acceso
entusiasmo prese a fare trentacinque anni addietro.* Del
• Vedi Del Rinnovamento della FU. antica Itah, Parijri. 1884, pag. 474.
* Difatto nelle Con/esnoni (voi. I, pag. 597) il ManiiaDi designa il
filosofo napoletano come il vero e ardito rinnovatore della teorica delle
idee, ma non dice come, non dice perchè, e non giustifica in alcun luogo
ed in vernn modo tale affermazione. Nò Teramente il poterà, stantechè
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CAF. nr.] INTERPRETI FILOSOFI. 97
rimanente il merito a cui egli può e dee pretendere
panni questo. Primo d' ogni altro ei richiamò alla
mente degl'italiani non pur la dottrina su l'anzidetto
criterio, ma eziandio alcune teorie cosmologiche sparse
nel libro De Antiquissima Itàlorum sapientia. Tale si è
quella de' punti metafisici come generatori di solidi, in
quanto ci significano una forza unica che in ciascun
corpo meditiamo sotto la concezione d' un punto: tale
queir altra su la continuità che questa forza infonde a
tutte cose: * tale anco la idea del conato motore iden-
tico per tutto: tale il concetto della incomunicabilità
del moto onde ogni particola materiale si può dir che
possieda in proprio il principio motivo già ricevuto da
tutto il subbietto, talché il moto sia da ritenere per al
tutto spontaneo:' tale, finalmente, l'idea della impos-
sibilità del vuoto assoluto, e 1' altra che il divisibile
accusi r indivisibile, l' indefinito e l' immutabile in seno
alle fenomeniche e divise realtà.'
Ognun vede quant'il Mumiani del Rinnovamento
cogliesse giusto in queste idee cosmologiche del Vico.
Dopo trenta e piii anni però egli è ritornato a parlarne,
ma troppe cose nella nuova cosmologia scordandosi della
vecchia. Ristringendoci infatti, per ora, al concetto isto-
rico, se dell' antico maestro invocato sei lustri innanzi
ei pur si rammenta, se ne rammenta sol per addolorarsi
anch' egli che il Vico fosse stato l' autore della dottrina
^ Corsi e ricorsi storici (malaugurata dottrina!) né sa
darsi pace pensando come mai nella mente di quel
sommo tal gravissimo errore fosse potuto capire. Al con-
trario oggi egli stima d'aver gettato le basi alla filosofia
storica, mercè l' idea dell' finità organica del mondo
isterico. Ma, diciamolo con buona pace dell'illustre
U sua teorica neopIatoDìca delle idee sia diametralmente opposta a
quella che, come redremo, scaturisce dall* insieme delle dottrine richiane.
* Dd Rinnovamento^ ec pai|^. 297.
* Op. cit. pag. 455.
* Idem pag. 458 e seg.
SUIII.IAM. 7
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98 STORIA DBLLA SCIENZA NUOTA. [UB. I.
nomo, cotesto a noi sembra ed è un concetto assolutar
mente vìchiano. Per tre fattori, infatti, dice il Mamiani,
il mondo de' popoli forma unità organica; e sono questi:
1* natura comune e perpetua negli uomini; 2<' diversità
di schiatte; 3« diversità di luoghi abitati.* Trascurando
il terzo fattore, perocché il concetto etnografico tragga
seco r altro del clima e de' luoghi abitati, è chiaro che
medesimezza e differenza abbian da essere, in ultimo
costrutto, i fattori dell' unità organica nella storia. Or
ciò che a me pare facesse il Vico, e che il Mamiani
forse non giugno nemmanco a sospettare, è appunto
r aver dimostrato per via di fatto, vuo' dire filologica-
mente e storicamente, esser queste precisamente le
universali ragioni del processo isterico e del verace
progredire della civiltà. Ma il Pesarese non ha torto
se reputa freschissime intuizioni del suo cervello cose
viete e stantie, massime oggi che, buttatasi dietro
le spalle la sua vecchia e modesta filosofia naturale,
ha voluto levarsi tant' alto da produrre non so che ar-
gomenti ontologici e metafisici a dimostrar l' iiidefinUo
e immancabile progredimento nel regno de' fatti umani.
Se la novella filosofia platonica abbialo d*àvvero
dilungato dal Vico, può vedersi da questo. Havvi nella
Scienza Nuova un'idea vera, infinitamente conforte-
vole, ed è che un popolo decaduto possa da sé medesimo I
rilevarsi a vita novella: e il può, stante che nella mente
dell'autore l'uomo è attività profonda, attività essen-
zialmente spontanea. L' autore delle Confessioni intanto
respinge risolutamente cotesto principio ; e lo respinge
perchè crede che cotesto popolo non possa risorgere
salvo die per altrui virtù. * Or io, col dovuto rispetto al
grand' uomo, vorre' chiedere: qual progresso è egli più
naturale, quello della vecchia Scienza Nuova, o puro
quello del nuovo filosofo delle Confessioni? Non dico
* Mamiani, Con/ei9Ìon% <f un metaJUico. Firenze, 1865, toI. II, libro V,
Aforismo Vili, 458.
* Idem, eodem, paragr. 224.
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CAP. IV.] HITKEPBBTI FILOSOFL 99
poi quanto facciano contro alle esigenze storiche poste
dalla Scienza Nuova nonché al concetto della naturai
provvidenza che ne scaturisce, que' cotal influssi divini
ormai famigerati del Mamiani, quelle funzioni storiche
di certi popoli, quelle preordinazioni storiche e civili I
di certi altri, e quelle quattro età nelle quali e' si piace
divider la storia non solamente passata, ma benanco
avvenire!
Al Mamiani tien dietro il Rosmini, V acutissimo
fra' moderni pensatori d' Italia, e al Rinnovamento del
pesarese contrapponendo un altro ^innovamento, coglie
il destro d'intrattenersi anch' egli su le dottrine del Vico.*
Con vigor dialettico irresistibile, difendendo sé stesso
da certa critica mossagli contro dal Mamiani, questi egli
colpisce a morte e lo conquide in tutte quelle dottrine
mezzo sensistiche cui nella seconda parte del suo Rin-
novamento accenna il pesarese. Or in mezzo a tal cri-
tica accade che il Rosmini faccia parola del Vico, e lo
difende dall'interpretazione di sensismo e d'empirismo 1
ch'altri volesse dargli.* Questo, secondo noi, é il merito
del Rosmini rispetto al Vico. Avrebbe potuto averne
anche un altro , se in senso puramente conoscitivo |
e psicologico non avesse interpretato il criterio della
conversione del vero col fatto, al quale consacra note
lunghe e in gran parte noiose. Ma se cotesta interpre-
tazione possa accordarsi con l'insieme delle dottrine
del nostro filosofo, vedremo in altro Capitolo. Qui é
d'uopo solamente notare, che se in questa polemica
r un de' due filosofi interpretò cotal criterio , come
• Giova osservare come neUe sue prime scritture il Rosmini non abbia
citato U nome, nò mai rammentato alcuna dottrina del Vico. Lo cita
bensì nella Filoaojia Politica e nella Filosofìa del Diritto dove segnata-
mente cbiarisoe ♦» rnol ribattere il concetto ù* ordine a cni accenna
Fautore del Diritto Univeraaìe; mentre poi nel Binnoramentoy libro an- |
tenore ai due menzionati, b' intrattiene a lungo sul nostro filosofo. Si può
dire perciò che il Roveretano conobbe e lesse le opere del Vico un
pò* tardi, e solo eccitatovi dal Mamiani. Ecco una ragione della critica
«pesso stiracchiata con la quale crede tirar dalla sua il nostro filosofo.
' RoBXiNi, Jl Rinnovamento^ etc., libro III, cap. XXXV, pag. 406.
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100 STOBIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. L
s'è detto, neJ significato di regola psicologica, l'altra
giunse ad interpretarlo siffattamente da fargli pren-
der fisonomia tutta teologica, astratta, scolastica. Né
questo solamente fa il Rosmini. Con una critica sot-
tilissima, al solito, ei tien dietro lentamente a tutti i
passi del Mamiani, e discorrendo anch' egli delle dot-
trine cosmologiche sparse nel Libro Metafisico, ado-
pera ogni sforzo a dimostrare come, anziché le inter-
pretazioni date a tal proposito dal suo avversario, sian
le sue proprie interpretazioni quelle che tornano più
vere e legittime alla mente del Vico, e eoa lo riduce
I al panteismo, al dualismo, al materialismo, al fata-
lismo, all'ateismo e che so io.* Il che non poteva riuscir
gran fatto difficile al Rosmini, stante certa confusione
ond'il Mamiani espone quella dottrina cosmologica in
favor della quale invocava l' autorità del Vico ; ma ap-
punto col Vico alla mano il Roveretano attacca il Pesa-
rese, e se ne libera di leggieri.
Se il Rosmini in molte cose ha ragione di riprendere
e correggere V avversario, non molta ragione parmi egli
abbia nel modo con che egli stesso interpreta il filo-
sofo napoletano. L'autore del Nuovo Saggio confessa
di non cai)ire che cosa mai vogha significare quella
materia metrifisica a cui il Vico attribuisce il conato. Che
cos'è, donv^nda, cotesta materia metafisica? È forse
alcun che di reale e sussistente, cioè la sostanza de*
corpi, ovvero è una mera astrazione della mente? Egli
s' attiene a questa seconda interpretazione, e afferma
che la materia metafisica, il mondo metafisico del Vico
è mondo d' idee, mondo di cose ottime, mondo di virtù
indivisibili: nel che gode poterlo dichiarare non solo-
platonico, ma eziandio malebranchiano ! ' Poi, tirando-
l' acqua al proprio mulino, non dubita affermare come
cotesta materiu metafìsica del Napoletano altro non sia
fuorché la materia comune intelligibile di san Tommaso,,
' Rosmini, Op. cit. pagr. 448 o sey.
* Op. cit., pag. 14o, nota 4.
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'OAP. IV.] INTBRPBJCTl FILOSOFA . Ì^Ì
che per lui, com' è noto, vuol dire VEnte possibile, C!osi
che (egli conclude) quanflo il Vico dice, quella sua ma-
teria metafisica essere sostanjsa de^ corpi, con ciò egli
intende, e noi dobbiamo intender con. lui, la idea della
sostanza de' corpi. Eccolo dunqne il povero Vico non pur
dichiarato malebranchiano, ma seguace devoto altresì
della scolastica! Si può dar di peggio? Giova poi notar
qui un altro punto di discussione sopra cui torneremo
altrove. Si sa qual divario ponga il Rosmini tra so-
stanza ed essenza : Y una delle quali per lui essendo
r attività e T altra intelligibilità dell' essere, ne segue
che le sostanze sian da considerarsi come create, e
come eterne le essenze, perchè queste non sono che le
cose in quanto logicamente possibili. Or la confusione,
egli osserva, delle due parole d'essenza e di sostanza,
è quella che rende oscurissime le dottrine del Vico : la
qual confusione potrà cessare solamente quando il co-
nato di cui ragiona quel filosofo, sia tolto in significato
d' essenza, meglio che di sostanza.^ Sopra questo punto
noi ci rifaremo in altro luogo: basti qui l'aver mostrato
in poche parole come il Rosmini interpretasse alcune
dottrine del Nostro.
Ammiratore sviscerato del Vico fu Vincenzo Gio-
berti, si che mai non gli accade rammentarne il nome
senza metterlo accanto a quelli d'Agostino, di Malebran-
che, di Leibnitz. Non meno del Rosmini interpreta an-
ch' egli a suo modo la relazione tra l' ordine ontologico,
e r ordine logico. Crede verissimo il criterio del fare il
vero, ma solamente applicato a Dio; perocché il vero
umano non essendo un fatto, un parto umano, bensì un
fatto, un parto divino, seguita che la ccniversime del
Vero ed Fatto è quella déW ideale col reale. Ora la me-
desimezza ddV ideale col reale si verifica nd giro deh
VEnte e non in quello ddV Esistenza.^ È qui, come ve-
dremo, l'esagerazione dell'ontologismo giobertiano, per-
' RosinKi, Rinnovamento, pag. 455 e seg.
* GiOBiBTi, Inirod. aUo Hudio ec. Losanna. 1848, tom. I, pag. 269.
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:ìffi .*••-.' ': : &TaiH& della scienza nuova. [lib. i.
che qui pone radice quella ipotesi (me 1 perdonino tutti
i Giobertiani della bassa e della media Italia) su l' ori-
gine delle idee. Merito del Gioberti pertanto è l'aver
primo e meglio d' ogn' altri avvertito quella distinzione
messa in chiaro dal Vico nello studiare il vecchio idioma
latino fra essere ed esistere; l'essersene poi servito,
com'è noto, nella confutazione del panteismo; e, ciò
che più monta notare, all'uso improprio fattone da
Cartesio contrapporre costantemente anco nelle opere
postume, checché ne abbian sognato e vadan sognando
certi nostri hegeliani, l' uso proprio e il senso in che
quelle due voci furon dapprima adoperate dal Vico.
Ma i tre filosofi de' quali abbiam toccato sin qui,
parlando e discutendo intorno al Vico non accennarono
a veruna dottrina storica di lui. Ad essi quindi tien
dietro Silvestro Centofanti; il quale, comecché, nella
|sua I ormala logica della filosofia deUa storia non citi
il Vico, nullameno fin dalle prime pagine i lettori pos-
sono facilmente accorgersi quant' abbia studiato in
queir autore e fattene proprie le dottrine storiche po-
nendole sotto nuovo punto di lume. Il libro del Cen-
tofanti sarebbe, a dir proprio, un saggio di metafisica
storica. Mente maschia, scrittore di genio, a fondamento
della scienza storica egli pone tale un' idea che ha fiso-
nomia tutta vichiana. Considerando infatti la realtà sto-
rica nella sua genesi ideale, nella sua relazione causale,
la storia al Centofanti appar com' un processo ascensivo
dall'idea empirica all'idea filosofica, e però un legame
universale stringe tutt' i fatti umani così nel tempo come
nello spazio.* Laonde al modo istesso che nell'ordin
de' fatti risulta necessaria l' idea d' una società che com-
ponga ima famiglia civile ; parimenti nell'ordin de' con-
cetti la scienza non fa altro che contemplar la vita gene-
rale del mondo, la vita di questa famiglia sociale univer-
sale. E poiché il fatto è di tre nature, psicologico, sociale
* Centofanti, Una /ormala logica ec, Pisa, 1845, pag. 63.
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CAP. IV.] INTBEPBBTI FILOSOFI. 103
e coBmico ; ne seguita che nel primo d' essi è la potenza
del secondo, e però così Y umanità è nell'individuo, come
r individuo compiesi nell' umanità. Il Centofanti , da
ultiino, si chiarisce seguace del Vico anco là dove osserva
che le genti sparse per la terra e dapprima ignote V una
all'altra, per necessità psicologica e quindi sociale en-
trano appresso nelle relazioni d'un viver comune.
Parlando di questo scrittore v'è da osservare un'altra
ooBa. Poiché il fatto sociale per lui si rannoda col fatto
cosmico e per necessità teleologica si compie in questo ;
ne segue che la formola proposta dal filosofo pisano è
formola essenzialmente teleologica. Così veramente che,
non essendo ella in sostanza se non la dottrina dei Nessi
dello Jannelli guardata nell'ordine ideale, si può dire
che per questo rispetto il Centofanti compia in certo 1
modo il Vico e lo Jannelli insiememente. Sennonché
nel suo libro hawi un difetto ; intendo l' abuso d' una
formola puramente speculativa, per la quale poco in-
telligibili ne risultan le dottrine. Che cosa vuol dire,
per esempio, qneìY innaUare il fatto istorico a grado di
passibilità filosofica? E un altro difetto della sua for-
inola parmi questo : il non aver determinato nettamente '
il suo concetto teleologico; rispetto a cui forse non pochi
dubbi potrebbe sollevare la filosofia positiva.
Ma se il Centofanti amò guardare il concetto isto-
rico nella sua nudità ideale, un altro toscano suo col-
lega nella stessa Università pisana, il Carmignani, da
erudito e dotto giureconsulto prese a considerarne la
parte giuridica, la nozione del giure nella sua Storia
déUa Filosofia del Diritto, Comecché non molto pro-
fondo, pure fra tutti gU scrittori italiani di materie giu-
ridiche il Carmignani ha questo merito: d'essere stato
il primo a far avvertire il valore delle dottrine giuri- }
diche razionali sparse a larga mano nel Diritto Uni-
versale del Vico, e dimostrarne l'anteriorità e superio-
rità rispetto a quelle della Scuola Storica di Germania.
Altrove ci verrà fatto citare qualche bella sentenza di
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104 STORIA DKLLA SOIBNZA MUOVA. [lIB. !•
questo scrittore: qui ci piace prender nota solamente
delle bellissime parole con le quali egli chiude la sua
storia : Carne la filosofia rajdonale degli antichi nacque in
Italia, così la filosofia dd Diritto col suo vero criterio per
opera del Vico vi nacque: che il 5wo vero punto di par-
tenza è nell'opera di questo illustre italiano, e si può dire
agV Italiani.,., rivolgete tutte le forze del vostro ingegno
a scrutare profondamente nella filosofia del Diritto del
Vico; ad afferrarne lo spirito; ad impossessarvi de^ brevi
e fuggitivi lampi di luce che vi s'incontrano e convertirli
in principii necessari a dare alla società umana le isti-
tuzioni più acconce a favorire i progressi della perfet-
tibilità e della ragione.^
Ma più che del Carmignani, d'un altro giurecon-
sulto e anche filosofo è mestieri tener conto; del dottis-
simo Emerico Amari. Questi è il critico più giudizioso
che abbia saputo discorrere con chiara veggenza su le
I dottrine giuridiche della Scienza Nuova sotto l'aspetto
filosofico. Quel suo copioso volume, in ciascuna pagina
del quale egli invoca l' autorità del Vico e con larghezza
di niente ne svolge le diverse teorie, dovrebb' esser fatto
oggetto di studio da chi ami penetrar davvero nel pen-
siero del filosofo.* È uno de' libri più gravi che siano stati
pubblicati fra noi in quest' ultimi anni. Non v' è pensiero
nelle opere del nostro filosofo, né sentenza circa le costi-
tuzioni civili e il Diritto in generale, ch'ei non abbia av-
valorato, chiarito, applicato. Ma non potendo qui rile-
var tutt' i pregi di quest' opera, come pur vorremmo, ci
ristringiamo ad accennarne alcuni, e, primo d' ogni altro,
questo. Egli dimostra in più luoghi e in più maniere,
che la scienza della legislazione comparata è tutta rac-
* Cabmionami, Storia deUe orioni e de'progrean ddla FUofofia dd Di-
ritto, voi. II. —Altrove dice: La JUo$ofia del DiriUo non ti era elevata
mai prima del Vico aW altezza razionale a cui egli con la originalità dd
»uo genio la tpinte, Lib. VI, cap. IV, p. 39
* K. Amari, Critica d^ una eeienna dette legidamoni comparate Ge-
nova, 1857.
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CAP. IV.] INTBRPRKTI FILOSOFI. 105
chiusa come in germe nelle opere del Vico, segnatamente •
nella Scienza Nuova. Sicché a voler determinare conve-
nevolmente il carattere per cui l'opera delF Amari si
disceme da ogn' altra in cui si discorra del nostro filo-
sofo, si potrebbe affermare che il suo libro sìa, per
cosi dire, una specie di commento esplicativo e interpre- .
tativo di quelle dottrine vichiane risguardanti la parte
filosofica e storica della legislazione comparata. Che se
ai lettori paresse men che vero cotal- nostro giudizio, noi
gr inviteremmo a leggere e meditare il libro veramente
ingegnoso dell'Amari, nel quale poi troverebbero un al-
tro merito, ed è questo. A preferenza di molti critici del
Vico egli ha veduto come, le opere di lui, nonostante
la diversità de' titoli, sian tutte informate dalla virtìi
d'unico e fecondo principio, sì che sembrino elementi
d' un tutto, parti d' una scienza sola.* Il che abbiam
voluto ricordare contro coloro che le opere e le dot-
trine del filosofo napoletano credono fatte a pezzi. !
Ma anche l' Amari, com' è naturale, ha i suoi difet-
ti! Suo principal difetto è il non aver interpretato in
modo veramente filosofico alcune dottrine del maestro,
d'averlo spesso inteso alla lettera, come nel concetto
della provvidenza, e di ntjn esser giunto a coglierne
talora la parte originale mettendo da banda certe sen-
tenze erronee come qualcuna riguardante, per esempio,
la questione delle XII Tavole: su la quale noi ci rifa^
remo in altro lavoro dove mostreremo la debolezza de- 1
gli argomenti co' quali cred' egli d' aver invalidato tale
dottrina del Vico. Difetto ci sembra altresì il non ac-
cettare quel principio, eh' è uno de' cardini della Scienza
Nuova: non doversi credere, cioè, che il Diritto sia
uscito da Ufia prima nazione^ da cui le altre lo abbiano
ricevuto; per cui nessun valore potrà spiegare agli
occhi suoi quella ragione accettata dal Vico a tal pro-
posito, ed è che, dove tal diritto fosse comunicato e non
E. Amari, Op. cit. pag. 259, 537 nella Dota 3.
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106 STOBIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
* piuttosto originano e intrinsecato negli nmaui costami,
la natura comune degli uomini non procederebbe se-
condo leggi naturali/ E di qua proviene poi se V Ama-
ri, intendendo im po' grossolanamente il concetto di
provvidenza, vien trascinato a riconoscer nella storia
e nella civil società uomini e popoli eletti, destinati a
I compiere grandi e speciali funzioni storiche: il che dav-
1 vero, più che altro, sembraci contrario, come vedremo,
iJlo spirito della Scienza Nuova.
Per quest'ultime ragioni, dunque, considerato l'Amari
come critico filosofo, noi dovremo annoverarlo fra' com-
mentatori che han lasciato il Vico qual era, cioè mezzo
filosofo e mezzo teologo quant'a filosofia della storia.
Cattolico sviscerato, con lenti da teologo ei s' è fatto a
guardare certe dottrine della Scienza Nuova ; e col teolo-
gismo interpreta infatti la teorica de' Corsi e Ricorsi,
e perciò quella sul progresso. Debole critico per ciò
medesimo e' ci pare quando su l' origine del linguaggio
afferma, il Vico sembrargli infinitamente ardito perchè,
interissimo cristiano^ giugne là dove il pagano Platone
non giunse, dove non osò spingersi Rousseau, né seria-
mente precipitarsi Mqndeville o Lametrie} Noi vedremo
questo esser anzi un concetto propriamente originale
del filosofo napoletano e pieno di verità.
Essendomi avvenuto qui d'accennare ai giurecon-
sulti che in questo 3» periodo han discorso del Vico, è
da avvertire che, prima già del Carmignani e dell' Ama-
|ri, il Mancini e'I Mamiani accennaron più volte ai
' principii giuridici del Nostro nella polemica eh' ei ten-
nero su la Filosofia del Diritto.* Su l'interpretazione
ch'essi danno al concetto del diritto posto dal Vico
ritorneremo altrove, e la mostreremo sbagliata da cima
1 a fondo non tanto nel Mancini quanto nel Mamiani. Qui
ad onore del primo dobbiamo osservare come fra tutti
* Vico, Seconda Scienza Nuova, DegDÌtà, CV.
• Amibi, Op. cit. pag. 829.
-* Mancini e Mamiani, Lett, tuUa FU. dd Diritto, Napoli, 1S41.
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CAP. IV.] IKTBBPBBTI FILOBOn. 107
gli scrittori giureconsulti italiani egli abbia un merito
singolare rispetto al Vico. Fin dal prim'anno di questa
seconda metà del secolo ei s'avvide come dalle opere
del nostro filosofo si possa trarre un gran concetto, il*
concetto delle nazionalità.* Il Vico non parlò mai di na-
zionalità com'oggi la intendiamo, e tanto meno di na-
zionalità italiana; e pure ella scaturisce a fil di logicai
dalla sua dottrina sul Tempo Oscuro. Il Mancini osserva
com'il Vico una volta sola ardisca lodare se stesso
neir Autobiografia là ove rammentando il novello prin-
cipio del Diritto naturale delle genti fondato su la na-
tara comune delle Nazioni, non dubitò scrivere di sé
medesimo queste memorabili parole : Per questo suo tro-
vato 5' intende Vico esser nato per la gloria della patria ;
e in conseguenza ddVItcdia. Sennonché il Mancini a tal
proposito ha discorso, com' era da prevedersi, in modo
ampolloso e poco preciso, contentandosi di cogliere il
concetto della Nazionalità nelle opere del filosofo col
guardar solamente alle estrinseche attinenze, per esera-
pio al titolo della prima edizione della Scienza Nuova,
a qualche sentenza sparsa qua e là nel Diritto Univer- 1
sale, e ad altro siffatto. Egli dunque non risalì ai prin-
cipii e alla filosofia storica di questo filosofo a potervi |
rintracciare l'origine ideale, per così chiamarla, del
principio della nazionalità.
Dal tutt' insieme degli scrittori giureconsulti di que-
sto periodo scorgerà chiaro il lettore quant' ei superino,
nello interpretar le dottrine giuridiche del Vico, gli
autori di questo medesimo genere a cui abbiamo ac-
cennato nel primo e anche nel secondo periodo. Tutto-
ché non filosofi, pure questi giusnaturalisti manifestano
tendenza filosofica nella lor critica; e però segnano
anch' essi un progresso in siffatfordine di studi.'
' S. Hakoini, Intorno alla Nazionalità come fondamento dd Diritto
ddU gentiy Prelezione ec, Tonno, 1851.
' Il D* Ondbs Reggio accenna anch' egli al Tico più d'una rolta nella
■oa Jntrodwt, ai prineipii deUe umane eooietà, e talora pretende correg-
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108 STORIA DKLLA SOISNZA NUOVA. [lIB. I.
Innanzi di passare a discorrere de' filosofi, ultimi in-
terpreti del Vico, facciamo notare come l' illustre Vau-
I nuoci con V usato impareggiabile suo stile in parecchie
pagine dell' antica storia di Roma si è intrattenuto sul
Vico, dimostrando com'egli precorresse francesi e in-
glesi nel far rovinare quel fantastico edificio fabbricato
da tanti e per sì lunghi secoli su le origini e su la
storia di Roma, e facendo altresì vedere che se il Vico fu
precorso da alcuno, questi fu un italiano.* Crede an-
ch' egli che, agitando questioni fino allora intentate, quel
filosofo cominciasse una grande rivclueime d^idee, e
compiesse da sé sólo V opera di più generazioni d* ingegni.
Rileva nettamente, il modo col quale spiegò le diffi-
coltà e le contraddizioni degli antichi racconti in ge-
nerale, notando com'egli ponesse le fondamenta alla
vera filosofia della storia romana, appoggiandosi in
ispecie sul corso delle leggi romane, sul significato del
patriziato e della plebe, e sul modo con che questa
diventò popolo. In tutte le indagini su Roma lo dice
sublime, ispirato. '
Anch' egli si duole che il Vico, nel condurre i primi
mortali dallo stato di natura alle istituzioni romane,
^erlo come quando vuol mostrare, contro la sentenza del Vico, che i
. selvaggi hann' avuto benissimo Videa di proprietà, mentre la propria
de beni nella Scienza Nuova non è annoverata fra i prìncipH primi99imi
d'umanità al pari del matrimonio, delle sepolture e simili (pap. 57). Ma
il selvaggio, domandiamo, ha egli idee, o non più veramente istinti?
Per avere idee non è necessario un processo, e quindi la storia, la so-
cietà, la civiltà? 1 principii veri d'umanità, come vedremo, pel Vico
sono due principalmente; tutti gli altri non sono che mezzi e condizioni
d' nmanità. Ma nel cervello del cattolicissimo D'Ondes cotesto cose diffi-
cilmente entreranno. Nondimeno egli è da lodare qnando mostra che il
principio del Diritto pel filosofo napoletano è V utile inalzato alV idea dd '
giu&to. Anche il Carmignani e TAmari e specialmente il Mancini accen-
nano a tal concetto vichiano.
* È noto come fin dal 1677 il Lancbllotti, ne* suoi Farfalloni degli
' antichi ttorieif prevenisse il Vico in questa maniera di critica. Curioso
che dopo un secolo il libro suo fosse stato tradotto in francese e stampato
A Londra nel 1770.— Vedi Vankucci, St. antica d'Italia, voi. I, pag. 884.
• Atto Vaknucoi, Op. cit., voi. I, pag. 886.
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GAP. IV.] INTEBPBBTI FILOSOFI. lU9
cadesse in romanzi. Ma qui il Vannucci, com* è chiaro,
pone due estremi fra' quali c'è davvero un abisso: stato
di natura di qua, e civiltà romana di là. Chi vorrà
dunque maravigliaci se anche a lui certe idee del Vico
fossero parse non altro che romanzi? Checché ne sia,
questo valentuomo ha poi il merito d' aver tenuto conto
del Duni, e d'aver saputo apprezzare degnamente il va-
lore de' suoi studii. Di fatto, ritiene anch' egli (come
noi stessi notammo) che tutte le opere del Duni, specie
quelle su l' origine e su' progressi del cittadino e del
governo di Roma, altro non siano che un commento^
un'applicazione e un'esplicazione delle idee del filosofo
napoletano : Il Duni non ha un' idea che non sia dd
Vico; e nota com'egli abbia reso grandissimo servigio
al suo maestro applicandone i fecondi principii a tutte
le quistioni del Diritto e a tutt'i fatti d'ordine poli-
tico e civile. Osserva poi come i Sansimonisti (e noi di-
ciamo anco i Positivisti odierni), imparassero dal Vico]
a divider la storia in grandi periodi sociali coordinan-
done i fatti sotto le idee madri onde sono prodotti. Nota
finalmente, come il Niebhur trovasse nel nostro filosofo
l'occasione, l'impulso, la chiave a novelle invenzioni, e
crede tesi difficile a sostenersi che il celebre storico igno-
rasse il Vico. Le reminiscemse della Sciema Nuova (egh
conclude) s'incontrano ad ogni momento nella storia ro-s
mana del dotto tedesco.* Veniamo ora ai filosofi pro-
priamente detti.
Ne' prim' anni di questa seconda metà del secolo il
Boullier s'è intrattenuto del nostro Giosefo nella sua sto-
ria sul Cartesianismo, e aflerma innanzi tutto com' egli,
non altrimenti che Huet, esagerasse la povertà dell'eru-
dizione di Cartesio e il disprezzo di lui per la storia. Un
altro francese, l' acuto Renouvier come vedemmo, osserva
in vece eh' egli ne avea tutto il diritto nel produrre
tal giudizio; e noi stiamo col Renouvier. Né vale che il
Boullier si scateni tanto contro il filosofo di Napoli, che
' Atto Vaskucci, Op. cit., toI. 1, pag. 894.
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110 STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [UB. I.
pel Vico non è quistione di maggiore o minor pre-
valenza d' erudizione, ma è quistione principalmente
di metodo. Il metodo positivo è il metodo psicologico
e storico ; è la psicologia intesa storicamente, e quindi
la storia intesa psicologicamente. Ora il metodo Car-
tesiano è assolutamente psicologico: ecco dunque una
delle ragioni per cui il Vico levossi contr'al Carte-
sianismo. Il BouUier crede anch' egli, la metafisica del
Nostro essere uìie esquisse d^une méthaphysiqm dont les
traits principaux sonò empruntés à Pythagorcs à Platon
et aussi à Leibnitz,^ Ma dove son le ragioni? Certo, in
qualsia moderno sistema toma facile rivedere più o men
chiaro il concetto del numero Pitagorico, la monade
Leibniziana, l' idea Platonica, la categoria Aristotelica e
simili. Il difficile sta nel mostrare in che maniera quelle
che diconsi rimembranze siano insieme arganate, cioè
in che guisa compongano fra loro un vero organismo.
Il modo col quale il Boullier interpreta la metafi-
sica del Vico è leggiero e talora grossolano. Il suo
metodo," egli dice, è metodo ontologico, non diverso da
quello liei suo compatriota Giordano Bruno, perchè con
esso ci trasporta immediate in seno all'essere primo.
E qui vorremo chiedere al Boullier: con qual locomotiva
avvien egli, di grazia, cotesto immediato trasferimen-
to? Un'altra enormità tutta francese poi è questa: il
principio del sistema Vichiano esser Videntité du vrai
et du fait oti du vrai et de Vétre: voUà le premier prin-
cipe de son système} Non basterebbe tale affermazione
per giudicare la critica di quest'autore? Ma c'è ancora
qualche altra enormità ; per esempio, che il Vico s' ac-
cordò co' Cartesiani ^owr faire de Dieu Vunique cause de
tous les mouvements de Vàme et du corps, e che al pari
de' Cartesiani egli riduca gli animali a puro meccani-
smo ! ^ Circa la teoria sn^ punti metafisici poi dice sia la
* BouLLiBR, Hi9t. de la PhU. Oartitiennet Paris, 1854, voi. II, pag. 528.
* Idem, eod., pag. 530.
* Ibi. pag. 581.
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CJkVm lY.] IKTESPEBTI FILOSOFI. Ili
parte più notevole della metafisica vichiana, ma vuole
che r esteso, quando tu il ravvisi nella sua essenza, ri-
8^ga in Dio, non però in Dio considerato nel suo atto. Col
che, com' è evidente, il Boullier toglie alla dottrina del
nostro filosofo ogni originalità, riducendola al cosmo-
logismo Cartesiano. Che s' egli nondimeno giudica con
assennatezza il valore della Scienza Nuova, ci fa poi
cascar la penna di mano ove pretende che tra questa
e le MeditaeUmi di Renato non sia opposizione di sorta,
salvo che di metodo. Sicché mentre il Michelet dichiara
essere il Vico l'avversario piii terribile del Cartesiani-
smo, il Boullier vuole eh' egli, pur combattendolo, resti
nnllamanco suo fedelissimo seguace ! * Di tutt' i francesi
solo questo scrittore, fatta però eccezione del Bouchez, è
quegli che non sa penetrare più in là della buccia nelle
idee del nostro filosofo. E pur dà segno d'averlo stu-
diato e meditato con amore grande; ma certo non senza
grande passione.
Veniamo ora agli ultimi scrittori italiani che sonosi
dati cura del nostro filosofo, e che nella storia della
Scienza Nuova spiegano per noi interesse maggiore. Son
quasi tutti filosofi, come avvertimmo già; e ne parlere-
mo brevemente, al solito, secondo l' ordine cronologico.
Innanzi a tutti ci si presentano i Giobertiani; e l'esage-
razione della interpretazione giobertiana e cattolica ce
r addita da prima Alfonso De Carlo ne' suoi quattro i
volumi di filosofia secondo i principii del Vico, de' quali
volumi è a nostra notizia unicamente il primo dove si
discorre di Protologia. Uomo sinceramente cattolico,
sinceramente liberale e passionato seguace del filosofo
subalpino, il De Carlo volle servirsi del nome del Vico
perchè gli fosse consentito insegnar le dottrine giober-
iiane quando nel vecchio Keame faceasi più tristo e in-
solente il dispotismo de' Borboni. Questa ci sembra
r orìgine del suo libro, o meglio del titolo vistoso e falso
• BouLURB, Op. cit., Tol. cit. psg. 584.
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112 STORIA DELLA SGIBNZA NUOTA. [lIB. I.
di cotesto SUO libro. Perocché non sapremmo altrimenti
spiegarci come nelle 600 pagine d'un' opera che s'in-
titola dal Vico, si parli e si propugni dall' un capo all'al-
tro le dottrine del Gioberti, anzi che quelle proprie del
filosofo napoletano.
Ma più che altri merita qui d'esser menzionato l'illn-
( stre Fornari, come quegli che fin da' primi anni di que-
sta seconda metà del secolo ha mostrato neUe sue dot-
trine quanto siasi dovuto ispirare al Vico, benché di
rado gli faccia l'onore di citarlo. Il Fornari oggi fra
noi è il filosofo artista per eccellenza. Quanta efficacia
di stile! Quanta eleganza di parola nelle sue pagine 1
Speculare sottilmente ei non sa, o meglio, non vuole.
Nella sua mente l'idea nasce viva, nasce sempre incor-
porata in una forma, incarnata in una figura. Il che non
ci reca maraviglia in lui, autore delia stupenda opera su
I r Arte del dire, né ci sorprende il magistero dello scri-
vere veramente sovrano. Come scrittore, il Fornari
segna un progresso nelle sue stesse opere. Ne' Dialoghi
su l'Armonia universale, per esempio, predomina il tono
classico, e nell' Arte del dire v' è qua e là non so che
di leccato che stanca. Ma l' arte vera, quell' arte che
sa far tutto e tutto nascondere, si palesa mirabile nel
suo libro in corso di stampa su la vita di Cristo : tal-
ché non senza ragione il Tommaseo pensa che, quanto
a fattura e a stile, cotesta opera del Fornari sia il primo
libro del secolo. Col Fornari si può dissentire; e noi
pur troppo dissentiamo da lui per moltissimi conti. Ma
chi non vorrà ammirarne l' ingegno poderoso e non di
rado originale checché ne predichino certi hegeliani?
Sennonché, lasciando deljFornari scrittore, conside-
riamolo come filosofo rispetto al Vico. In fondo egli é un
Giobertiano; ma il Giobertismo in lui é modificato sì
che altri penerebbe a riconoscerlo. Però noi diremmo
seguace, poiché quando il Gioberti scriveva, la mente del
Fornari erasi già formata. Egli é anche cattolico, es-
senzialmente cattolico; ma dubito forte se i Gresuiti vor-
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CAP. IV.] INTEBPRITI FILOSOFI. 113
ranno stargli in compagnia.' Nella sua mente l'idea
cristiana è, per cosi dire, ciò che il mito indiano di-
venta nella fantasia greca. Però noi crediamo che uno
stndio lungo e amoroso delle dottrine vichiane ch'egli
celatamente ormeggia, ha dovuto spiegar molta effica-
cia su la forma singolare del suo pensiero. La Vita
di Cristo^ a quel che parrebbe, è tutt' un disegno di filo-
sofia storica; ma di filosofia storica nel senso cristiano.
È, in sostanza, il concetto del Bossuet, ma affatto in-
novato e trasfigurato; perchè nel Bossuet, vuo'dire nel
vecchio concetto cattx)lico, è quasi ombra ciò che nel
Fomari è corpo, corpo vivente, vivente organismo. Da
sincero cattolico egli dunque ha studiato il Vico, in lui
s' è ispirato, e alla luce d' alcuni suoi principii ha in-
terpretata la stoiìa. In modo ingegnoso ei rannoda (vero
o non vero che sia è un' altra quistione) i due grandi
fatti dell' universo, creazione e redenzione, considerando
Cristo quel centro massimo inverso a cui s' accolgono
e da cui partono tutt' i raggi d' ogni qualunque civiltà,
d'ogni qualunque religione. Qui nel fondo, com' è chiaro,
e' è il Bossuet, e nella forma e' è qualcosa del Vico. E
che il Fornari arieggi alla Scienza Nuova, il dimostra
quella legge delle sei giornate, passim stcunwd di civiltà,
per le quali ei vede passare i popoli e le famiglie
umane a cominciar da Babilonia fin a Roma. E che
poi la imiti in senso tutto cattolico ce '1 dimostra un
principio ch'egU vi attinge e che nel tempo stesso
crede correggere. <i Fu deUo gravido di sderusa, (egli
dice) gravido di tutta una scienza nuova il detto di Criam-
battista Vico, Che Vuomo ignorante fa sé medesimo cen-
tro e misura delle cose. E forse la filosofia della storia
sard)be stata piik intiera infino dalla nascitay se U filo-
* Queste parole noi scrivoramo dieci mesi addietro, ed ora abbiam
listò col fatto come darrero i Gesuiti non vogliano saperne dell* ultimo
libro del Fornari. IWilarcheo della CivUtà CaUolica lo ha ripudiato fa-
cendone una critica veramente puerile; ma il prof. Acri con una difesa
dotta elegante e gentile lo ha fatto invece ben volere ed ammirare a chi
meno n'era disposto. Filarcheo ha reso nn buon servigio al Fomari.
SiciLuni. 8
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114 STOBIA DELLA SCIENZA KUOYA. [lIB. I.
sofo avesse conceputa intiera quella verità; dicendo^ che
la mente ddPuomOy chiusa in sé dal peccato, ritiene
chiudo in sé medesima l'universo} » Ecco un'interpre-
tazione tutta cattolica, essenzialmente cattolica, d'un
principio fondamentale della Scienza Nuova: equi co-
ni' è naturale, siamo davvero agli antipodi con l'illustre
abate napoleta-no. Che poi il Vico abbia lasciato certa
salda impronta nella mente del Fomari, anche per ciò
che risguarda i principii di cosmologia, ce lo fa sospet-
tare la sua dottrina sul tempo e su lo spazio come in
altro luogo diremo: e lo stesso ci mostra l'aver egli
creduto compiere e correggere il nostro filosofo nella
definizione che questi ha dato su la natura delle fa-
coltà: * nelle quali correzioni ov'il Fornari fosse riuscito,
io non saprei scorgere davvero in che mai s'abbia
a far consistere l' originalità del Vico. Ciò che dunque
v'ha di vigorosamente speculativo e direi quasi d'ar-
chitettonico nel Fomari, mostra una certa impronta
vichiana :• tutto il resto rimane estraneo alle dottrine
speculative del nostro filosofo secondochè noi le in-
tendiamo.
E oltre che al Vico, egli sembra essersi ispirato al-
tresì a Tommaso Rossi che il Vico non dubitò appel-
lare mente divina; tanto che al Fomari dobbiamo se
oggi alcuni giovani napoletani son venuti richiaman-
doci alla memoria le ignorate dottrine di questo filosofo,
fra' quali notiamo l' egregio signor Giordano-2iOCchi.
Ne' suoi studi sul Rossi egli per primo ha rilevato accu-
ratamente alcune attinenze fra la metafisica di questo
filosofo e quella del Vico, dimostrando come in su' pri-
mordi del secolo XVIII l'uno compiesse l'altro, segnata-
mente nelle dottrine cosmologiche, come l'altro inte-
grasse l'uno col concetto storico, e com' entrambi si fos-
sero opposti non pure aUa filosofia spinoziana e lockiana
allora in gran voga, ma anche in gran parte al metodo
* FoRNART, Della Vita di Critto. Firenze, 1869, cap. V, pag. 325w
* Idem, DeW Armonia Univertale, 2'* ediz. Firenze, 1863, pag. 74.
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CiUP. IV.] INTBBPBBTI FILOSOFI. 115
cartesiano.' Un altro scrittore poi, il Galasso, accenna
più volte con acume ed opportunità alle idee metafisiche
del Vico nella sua critica all' Hegelianismo ; e piii chiaro
e più di proposito ne parla nell'altro suo lavoro sul
metodo storico dello stesso filosofo.* Ma non sempre in
lui la chiarezza e la semplicità nel concepire e nel-
l'esporre le idee eguagliano i molti pregi dello stile in
guisa che i lettori ne possano trarre tutto il valore.
Non ultimi si presentano gli Hegeliani ad invocare
le dottrine del Vico, e proclamarsene seguaci. L' illu-
stre B. Spaventa lo appella suo cavai di battagUa; e
non ha torto. Altrove io dissi quanto la presente filo-
sofia italiana debba a quest' ingegno acuto e vigoroso.'
Da quindici anni a questa parte egli è stato il primo
ad accorgersi come nelle opere del filosofo napoletano !
s'asconda un pensiero filosofico profondo e originale.
Che se altri prima di lui ha detto lo stesso, egli solo
però ha mostrato come davvero l'autore della Scienza
Nuova debba meritar titolo di filosofo, anzi di metafi-
* sico. Del che dobbiamo essergli grati, massime pensando
com' altri della medesima scuola abbia avuto ed abbia
cuore d'appellare il Vico una mediocrità filosofica!
L'Hegelianismo è tal sistema il quale, guardato sotto
certo punto di lume, ti par davvero non altro che un
espUcamento della Scienza Nuova : sicché agli Hegelia-
ni, abili s'altri mai nel cogliere anco i più fuggevoli
riscontri storici, non dovea riesch: difficile ritrovare nel
Vico tutt' i germi dell' Idealismo assoluto. Di fatto, il
vero pregio, il valore massimo di lui (osserva il pro-
fessore Spaventa) sta nel porre lo spirito siccome l^ero
sviluppo di $è stesso. Ecco il nodo, egli dice, tutto il
nodo della Scienza Nuova.
Qui Spaventa ha ragione. Dov'è che comincia il
* GlORDANO-ZoccHi, Studi aopra Tommaso Robbì^ Napoli 1865.
• Galasso, Dd nstema Hegdiano^ Napoli 1867. Del metodo Btorìeo i
del Vico nella Rivitta Boiogneae, 1868, Fase, del giugno.
' Vedi la nostra Memoria, Oli Hegeliani in Italia, Bologna, 1868. t
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IIG STORIA. D£LLA. SOIBNZA NUOTA. [lIB. T.
SUO torto ? Laddove pretende interpretare a metà il
pensiero del filosofo. Tutto ciò che si piglia da Hegel
e si trasferisce nel Vico ci sta a maraviglia : a maravi-
glia insino a che non si trascende la storia, e il finito.
Di là dalla storia comincia quella intricata speculazione
dialettica assoluta di cui nel Vico non ce n'è ombra,
almeno intesa nel senso hegeliano. La storicità; ecco il
gran pregio, l'onore del Vico: e quest' è pure uno
de' pregi dell' Hegelianismo. Ma qui proprio è l' abisso.
Ciò che pel Vico infatti è idea umanoj nell' Hegelia-
nismo è pensiero considerato nella sua assolutezza.*
Mondo naturale e mondo umano, provvidenza naturale
e provvidenza umana, che cosa sono pel Vico? Non
sdtro che la differenea reale ddV assòluta indifferenza^
£ che cos'è mai cotesta indifferenza assoluta? Si sa:
è la Idea. Ma e' è egli nel filosofo napoletano cotesta
vostra Idea? Sì, certo: è V unità dello spirito che in-
forma e dà vita a quésto mondo di Nazioni} Addio
dunque concetto dell'Assoluto nel Vico ! Addio concetto
del Vero eh' è l'Essere, e dell' Essere- Vero ; dell'asso-
luta Causa e dell' assoluta Potenza! Qui mi sparisce
dagli occhi la modesta persona del nostro Don Giam-
battista, e in sua vece levasi la gran figura di Giorgio
Federigo Hegel di Stoccarda. Non s' ha piii la Scienza
Nuova, bensì la Logica obbiettiva: non più il metodo
i psicologico-storico, ma il dialettico : non piiì un modesto
speculare, bensì un sapere trascendentale: non più una
scienza dell'Assoluto, ma la scienza Assoluta addirittura.
E qui, com' è naturale, non e' è accordi che tengano.
Il solo Spaventa inoltre, non pur fra gli Hegeliani,
ma fra tutti quelli che hanno preso a parlare ex-professo
I del Vico, ha intraveduto V originalità della psicologia vi-
' chiana. Ha visto come il concetto di sviluppo in luì sia
uno schema sotto tre diverse forme: !• Come schema lo-
* B. Spaventa, Sul caraiUre e sviluppo della FU, Italicma, pag. 31.
* Idem, Lezioni di FUosoJia, Napoli, 1862, pag. 85.
* Idem, Prohu, cit. pagr. 27.
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OAP. !▼.] INTEBPBBTI FILOSOFI. 117
gico; 2» Come schema psicologico, o individuale ; 3* Come
schema della psiche concreta e vivente si nei popoli e
sì nell' umanità.* Tutto questo è vero. È vero nella sto-
ria, nella psicologia e nel pensiero, cioè nella logica; e
dobbiamo rallegrarcene vivamente con V illustre profes-
sore napoletano. Ma che cotesto medesimo schema ab-
bia da essere pel Vico lo schema altresì della totalità del
reale e di THo stesso (com' è certo per Hegel), questo è
per r appunto ciò che a me non pare, né secondo ragio-
ne, e nemmanco secondo l'autore. ìì concetto dell' Unità
dello Spirito nelle due filosofie hegeliana e vichiana si
assomiglia certo quant'al processo: nel che siamo He-
geliani anche noi e piii Hegeliani dello stesso Hegel, se
pur fosse possibile. Ma cotesta grande Unità dello Spi-
rito che pel filosofo di Stoccarda è un Ultimo, pel Vico
è un Penultimo ; e perciò stesso non può essere neanche
un Primo. E qui pure, com' è evidente, parmi opera persa
ogn' invocazione d'accordi, e vano qual si voglia dialet-
tico almanacchio. E di qua proviene come non di rado
il prof. Spaventa creda imperfezione ed errore nel Vico
ciò che davvero è imperfezione ed errore nell'Idealismo
assoluto, precisamente come gli accade, per dirne una, là
dove pretende scorger le così dette età storiche anco nel-
r umanità, considerata come tale, meglio che nei popoli,
ai quaU solamente vuol esser applicata cotesta legge se-
condo il vero senso datole dal Vico: il che osserviamo
tanto più volentieri, in quanto che egU stesso biasima gli
Hegeliani per aver esagerato oltre misura cotesto prin-
cipio.' Da ultimo è da notare, ad onore del valoroso
prof, di Napoli, com'ei sia de' pochissimi che col Tom- '
maséo, col traduttore anonimo francese, col De Ferron e
qualche altro, abbia inteso a dovere e pienamente le-
gittimata la dottrina de' Corsi e ricorsi storici.'
n nostro eh. collega ed amico professor Fiorentino
* B. SPAYBifTA, Legioni di Filo9ofia ec. pag. 94 e seg.
* Idem, eodem, pag. 99.
* Idem, eod., pag. 100.
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118 STORIA. DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. V
ha parlato anch' egli del Vico ; e ormeggiando lo Spa-
venta, ne ha parlato da schietto e fedele hegeliano co-
in' era da prevedere, in una serie di lettere indirizzate
alla egregia e compianta Marchesa Florenzi. Consen-
tiamo con lui quando irrompe contro gli eterni enco-
miatori del Vico ; che d' alcuni di cotesti lodatori a buon
prezzo, impotenti inneggiatori al genio di lui, a bella
posta non abbiamo voluto far parola, e ne avremmo
avuto larga mèsse da mietere. E battiamo le mani altresì
air amico nostro in tutto quant' egli acutamente viene
osservando su la dottrina del Vico risguardante l'origine
e la natura delle religioni, e in ciò ch'ei dice sopra
certe grossolane contraddizioni proprie del nostro au-
tore, perchè crediamo anche noi con lui, col Ferrari, con
lo Spaventa ed altri, che nel filosofo napoletano e' è, a
1 dir così, due uomini, il vecchio e'I nuovo. Non meno
vere, finalmente, ci paion quelle sue considerazioni sul
. modo con che il nostro filosofo riguardava il Diritto
Romano, e belle, se non tutte vere, quelle altre sul
processo psicologico delle facoltà inteso alla maniera
del Vico. Ma non sapremmo convenire in parecchie al-
tre cose, alle quali con l'usata franchezza e brevità
verremo accennando.
Come ogni fedele hegeliano anche l'amico nostro
vuol ritrovare, al solito, gli antecedenti del Vico; e lo
rimonta, nullameno, sino alla Repubblica di Platone!
Avrebbe potuto ricacciarlo anco fino agli Egizi, ove forse
avrebbe ripescato qualcosa di più, come confessa lo stesso
Vico quando si prova a rintracciar le origini storiche
del suo storico ternario. In Platone, dice il Fiorentino, ci
era Vico, ma non tutto, né sviluppato; ci erano i semi che
fecondati germinarono, e dMa ReptÀblica fecero baiUar
fuori la Scienza Nuova. Fra gli hegehani il Fiorentino
è quegli che meno degli altri intoppa nel difetto di far
la storia a furia di riscontri storici; i quali per inge-
gnosi che paiano non riescono sempre positivamente
veri. E non più che ingegnoso ci sembra questo di cui
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CAP. IV.] IKTEBPBETI FILOSOFI. 119
si parla. Noi crediamo che ciò che veramente distìngue
r ingegno e le dottrine del Vico non sia un indirizzo I
platonico, anzi piuttosto aristotelico: il che risulta da
tatto r insieme delle sue dottrine, meglio che da questo
o quel passo isolato e stralciato dagli altri a tutto pro-
prio comodo e servigio. Ma perchè s^ha a risalire alla
Repubblica di Platone massime quando si parla della
Scienza Nuova? Per affermar questo l'amico nostro
s' appoggia principalmente nelle forme del reggimento
politico, le quali pel Vico sono tante quante le facoltà
dello spirito : sentenza, com' è noto, propria di Platone
e poi di tutti quant' i politici, e che ritroviamo sco-
pertamente ormeggiata nel nostro filosofo. Ora che un
divario profondo per valore e significato razionale sia
da scorgere, come vedremo, tanto nel concetto psicolo-
gico quanto nel concetto dello stato del filosofo ateniese
rispetto a quello del Vico, ninno il saprà negare che
abbia meditato il principio storico sopra cui tutta è
fondata la Scienza Nuova. Io dunque non so capacitar-
mi, e mi son maravigliato meco stesso, come mai il no-
stro collega sia potuto venire in questa sentenza, che
la Bepubblica e la Sdema Ntwva si fondano sopra un
disegno comune. Ma, di grazia, dove son le ragioni? E
dato ci siano cotesto ragioni, come non accorgersi che
il processo psicologico secondo la mente del povero pe-
dagogo di VatoUa è diametralmente opposto a quello
proprio del gran figliuolo di Aristone; e quindi diffe-
rente la genesi delle forme politiche dello Stato nei due
filosofi? E che cosa ci ha che vedere il concetto plato-
nico della Oittà con quello della Cittàj deUe Genti Minori
che scaturisce dal processo isterico della Scienza Nuova?
Eppoi, per accennar qui ad un altro ordin di cose, quanto
r immobilità delle idee platoniche non si discosta dal-
l'attuosità profonda, intima, vivace che il Vico attri-
buisce al suo Ente-Vero? D' altra parte, non è lo stesso
Fiorentino che avverte come il Vico medesimo facesse
una breve critica alla Bepubblica stantechè in essa
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120 STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
ruomo sia considerato, non qual è, anzi qual dovreb-
b' essere? 0 perchè, dunque, chiamar comune il disegno
delle due opere? In altra sua scrittura, parlando del
Parmenide e della dialettica platonica, il Fiorentino
dice che il Vico vi attinse lo schema della Scienza Nuo-
va. Anche qui la interpetrazione critica dà in fallo. Si
sa oggimai (e dirlo al Fiorentino sarebbe come portar
nottole ad Atene) che nel Parmenide e nella Bepub-
I blica tanto il carattere generale quanto il processo tor-
nino fra loro assai diversi. Come va dunque che il dise-
gno della Scienza Nuova, eh' è comune con quello della
RepubbUca, è anche lo schema della dialettica esposta
nel Parmenide? In somma, io non dubito che una rela-
zione esista fra Vico e Platone: non dubito che riscontri
se ne possan fare in infinito. Ma prima di tutto biso-
) gnerebbe stabilire a qual Platone s' assomigli il Vico,
j a quello del Sofista, del Timeo o all'altro della Repub-
' blica, del Fedro, ovvero a quello del Parmenide? Per^
quanto mgegnosi, dunque, cotesti riscontri sono sempre
estrinseci, analogie secondarie, esteriori, e quindi spesso
fallaci con cui gli hegeliani abbarbagliano d ma la-
sciano sempre il buio che trovano.
In fine della prima lettera poi egli afferma che la
metafisica per Vico versa nel vero e non ha processo.
Non ha processo? Or come, s' egU stesso, lo stesso Vico,
primo fra tutt' i filosofi dell' evo moderno e mezzo se-
colo avant' il Kant appose alla metafisica questa me-
morabile definizione: Critica dd vero? E se la critica
vichiana non è processo, o per lo meno esigenza di esso»
che cos' è mai^ Senonchè nella seconda lettera, com'era
naturale, col suo retto senso il Fiorentino contraddice
apertamente alla prima quando mostra come il princi-
pio sopra cui '1 Vico fondò l' opera sua, riesca differente
dal principio di Platone. Di cotesto disdirsi non ci
doliamo: ci rallegriamo anzi. E ce ne ^rallegriamo per-
chè, s'egli è co^, il comune disegno della Repubblica
e della Scienza Nuova, eh' e' vagheggia nella prima
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GAP. IT.] ÌNTBRPEBTI FILOSOFI. 121
lettera, sfuma del tutto o per lo manco è ridotto a
termini 'convenienti. E molto men vera poi ci sembra
quest' altra sentenza: Che l'autore della Scienza Nuova,
avvistosi della inconvenienza d'ammettere una Mente
Sovrana, facesse capo ad una psiche vivente e defini-
ta. Ma la psiche vivente di cui parla il nostro amico
non contraddice nà punto ne poco alla realtà di quella
Mente, anzi ne legittima vie più la necessità. Il Vico
dunque non vide mai cotesta inconvenienec^ né poteva
mai vederla: ne vide per contrario la massima conve-
nienza; convenienza dettata non pur dalla ragione, ma
anche dal fatto; e cotesta convenienza di fatto esce
laminosa, come risultato finale, dall'intiera Scienza
Nuova, cioè dire dalla natura intima del processo isto-
rico. E neanche sembraci al tutto vero l'affermare che
rispetto a questa Mente infinita il Vico ricopi il celebre
argomento di Cartesio e d'Anselmo, o il concetto del
^Bene di Platone. Nel Vico c'è qualcosa di piii. C'è
tale un' idea dell' Ente che non è quella del vecchio '
monoteismo. E perchè e' è questa, v' è altresì un con-
cetto originale su la natura del finito.
Verissimo poi dove osserva (3* Lettera) che nel
libro Metafisico il nostro filosofo volle dar l'aria d'una
veneranda antichità a concetti nuovi ed in gran parte
da lui la prima volta proposti. Ma non è per nuUa^esatto
il dire ch'egli desistè dallo scrivere la seconda e la
terza parte del suddetto libro a cagione della critica
mossagli contro dal Giornale de' Letterati. Le altre due
parti ch'egli andava meditando e su le quali usava
talora intrattenersi col suo Paolo Doria, non erano
e non potevan esser che applicazione e svolgimento
della prima. Era precisamente il Diritto Universale che
poi venne a luce dopo dieci anni; ed era la Scienza
Nuova che comparve dopo tre lustri. A noi dunque
non pare che il Vico si riconsigliasse con seco medesimo
dopo le critiche dei Letterati, nel senso che avesse can-
giato indirizzo. La qual cosa tanto più crediamo, quanto
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122 STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
che la seconda e la terza opera dianzi rammentate,
non si discostano né pur d' un minimo dalla sostanza
(dico dalla sostanza) del Libro Metafisico. Giambattista
Vico fa tutto d'un pezzo, sempre; nò la sua mente
ebbe uggia d'un vero oggi per correr dietro ad un
altro domani, come il palato e la lingua fanno dei cibi.
Certo il suo pensiero fu un processo ; processo conti-
nuo, svolgimento incessante; ma sempre d'un colore,
sempre d' una fisonomia, sempre d' una indole. Percioc-
ché la mente del vero filosofo debba progredire, ma
progredire non già contraddicendosi, bensì conciliando
sé con sé stesso e con le cose e con le idee, co' fatti,
con la storia, con la coscienza e perfino col senso co-
mune. Prima del Fiorentino il Ferrari avea detto lo
stesso; ma neanch'egli in ciò seppe coglier nel vero
come dicemmo a suo luogo.
Fra tante belle riflessioni l'amico nostro non sa
fare a meno talvolta delle ormai grinzose tricotomie
hegeliane ; com' é, per esempio, là ove parlando del
genio della civiltà latina, la pone a riscontro con la
greca, e pretende anch' egli ritrovar legami dialettici
necessari, ideali, con una civiltà anteriore (divina) e
con una civiltà posteriore (umana), stantechè il mondo
latino rappresenti per sé stesso l'età eroica. Coteste
dialettiche storiche hanno già fatto lor tempo: e ci
vuol ben altro che analogie ritmiche cosi inquadrate
e geometrizzate come quelle degli hegeliani a ritrarre
il positivo de' fatti storici. Al qual proposito da ultimo
notiamo, come anch' egli abbia talora prestato facile
orecchio a certe conclusioni dei filologi moderni, quando,
per esempio, vuol circoscrivere troppo in sé stesso il
popolo di Roma. Certo il Vico non vide, né potea ve-
'dere le attinenze fra latino, greco ed ariano. Ma quant'a
ciò egli non fa quistione d' originarietà, bensì di svolgi-
mento autonomo di civiltà. E qui ha torto il Fioren-
tino; e non meno avrebbe torto il Mommsen se questi
anzi, come vedremo, non rassodasse e vie più confer-
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CAP. lY.] INTEBPBETI FILOSOFI. 123
masse la sentenza del Vico a tal proposito. Il nostro
filosofo ebbe coscienza chiara, per esempio, di questo
fatto, che V idioma latino non è potuto uscire dal greco ;
del che vedemmo essersi accorto, fra gli altri, il tradut-
tore anonimo francese della Scienza Nuova. Ne vor-
reste più da un uomo vissuto due secoli fa?
Concludendo, quant'al Fiorentino, noi abbiamo in
pregio grandissimo V ingegno e gli studi del nostro va-
loroso collega, e ne abbiam dato prova altra volta: ma
qui non è questione d' ingegno e d' erudizione isterica,
bensì di critica, d'interpretazione. Chi vorrà. accettare
i risultati d^una critica parziale, unilaterale e non di
rado infedele qual si è quella dei critici hegeliani in
generale? Anche nel suo Pomponaeeij come nel lavoro
sul Vico di che parliamo, tirando V acqua al proprio mu-
lino egli cade nel solito difetto (come altrove notammo
e come è stato mostrato dal Frank e dal Fontana)!
sia con lo studiarsi di porre sotto acconcio punto di
lame questa o cotesta dottrina d' un autore, sia col de-
bilitare e spregiare quella d' un altro ove per avventura
non faccia comodo. Non così nel suo Bnmo, il piii bel
lavoro dell'amico nostro considerato (già s'intende) come
lavoro di critica; perchè in esso l'apprezzamento critico
ci sembra men passionato e meglio condotto. Dal qual
fatto altri forse potrebbe concludere che, nell'indirizzo
della critica, il Giobertismo non dà in quelle esagera-
zioni cui di solito riesce l'Idealismo assoluto.
E qui chiedo poter interrompere un istante l' ordine
cronologico impostomi sino da principio per far men-
zione d'un altro valoroso hegeliano, ultimo venuto a
parlare del Vico. È questi il professor Vera, il bene-
merito volgarizzatore dell' Hegelianismo, e delle scrit-
ture hegeliane. £ innanzi tratto osservo che le relazioni
ch'egli scorge fra Vico, Herder e Bossuet ci paion tutte
▼ere, ma non certo nuove, perchè fatte già da altri,
come s'è visto, sin dai primi lustri del secolo. Delle altre
osservazioni quella che piii lodiamo, essendoci parsa toc-
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124 STORIA DELLA SOIBNZA NUOVA. [UB. L
cata con fedeltà e maggior dirittura di giudizio, è la
interpretazione circa il concetto del Diritto Universale,
in cui ha saputo accennare altresì con verità al triplice
elemento del diritto, dominio, libertà e tutela.* Lodiamo
non meno l' illustrazione a proposito della dottrina del
vero e del certo, la giusta relazione veduta fra questi
due termini, e segnatamente lodiamo T aver chiarito la
natura vera del processo psicologico secondo il Vico.
Le quali cose, del resto, dovean tornare agevolissime
ad un hegeliano, in virtù di certa affinità che alcune
dottrine del nostro filosofo mostrano avere,* come di-
cemmo, con quelle dell'Idealismo assoluto. Ma ecco su-
bito, per esempio, una sentenza che respingiamo (come
abbiam fatto col Fiorentino), su la relazione tra Vico
e Platone, perchè generata dalla solita febbre degU
antecedenti e dei riscontri storici che ci fa travedere e
spesso anco vaneggiare I Gli estremi si toccano anche qui
secondo il motto volgare. Perocché non è stato scrittore
cattolico 0 teologizzante il quale, parlando del Vico, non
fosse risalito al divino^ al cristianeggiante Platone per
ripescarvi annidata qualche Degnità o alcun che di luce
intelligibile di cui, per vero dire, non è difetto neanche
nel Vico. E vedemmo, per esempio, il Tommaseo, in ciò
temperatissimo, contentarsi d' aifermare solamente che
il Vico s' ispirasse nel filosofo ateniese. Ora il Vera
vien fuori anch' egli a dirci lo stesso, anzi più dello
stesso, ma certo con intendimento assai diverso, affer-
mando addirittura che il Vico potè giugnere alle sue
scoperte solo seguitando le dottrine di Platone stìi-,
diando la teorica platonica delle idee, comprendendo
V importanza e la funzione deWidea deW universo. Ch'ei
r abbia studiato e fino a certo segno se ne sia ispirato,
come vuole il Tommaseo, ne potrò convenire: che
r abbia ^^tto poi ne dubito assai; e in ispecie dubito
. * Vsiu, ItUroih aOa Ftlo9ofia deUa Storia. Firenze, 1869, pag. 70.
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CAP. nr.] INTERPRETI FILOSOFI. 125
che abbia voluto seguirlo pel fine che dice il Vera, il
quale è noto qual valore porga alle idee platoniche, e
come queste idee egli pretenda legare al carro della
Idea del maestro.* Che cos'è infatti cotesta idea rispetto
all'universo? È il principio della storia ; perocché ella
sia che governa tanto la vita delle nazioni, quanto la
vita dell' organismo animale. E che cosa poi vuol dire
tutto ciò? E' vuol dire che c'è una storia ideale delle
nazioni,' e che quindi da Platone al Vico non v'ha che
un breve passo. Può darsi che questo sia hegelianismo,
idealismo assoluto, fatalismo ideale, o come altrimenti
piacerà chiamarlo; ma filosofia del Vico che nasca sin-
cera dalla Scienza Nuova, no davvero, a II mondo ha
una storia ideale, perchè l' idea è principio della storia :
e la storia in tanto è ideale pel Vico, in quanto l'idea
(la Idea) rivela e scuopre se medesima nella storia. »
Prima d'ogni altro ci sarebbe da chiedere al valoroso
hegeliano : In qual senso cotesta Idea può esser prin-
cipio della storia? E intesici sopra cotal punto (e pro-
babilmente non giugneremmo ad intenderci mai) ci
sarebbe da pretendere poi un' altra risposta: Che è mai
l'Idea per l'autore della Scienza Nuova?
Se non che, quand'egli aflFerma che il Vico seguita
le teoriche di Platone, dimentica che più d' una volta
lo stesso Vico dice e confessa d' essersi allontanato da I
Platone. Al Fiorentino abbiamo ricordato la immobi-
lità delle idee platoniche e '1 concetto che dell' Essere
ci porge il nostro filosofo: lo stesso rammentiamo al
Vera. Si dirà che il Vico da sé medesimo invochi Platone
e lo annoveri fra i quattro suoi maestri? Verissimo;
ma è vero altresì che fra' quattro maestri e' è anche
Tacito, il quale per ben due volte egli dice di voler
seguire, meglio che Platone, quant' al considerar l'uomo
nella sua realtà. Ci è anche Grozio che a dignità di
vera scienza, come tutti sanno, cominciò ad innalzare il
* Vbra, Introd. à la Phtl, de Hegel, cap. IV.
* Idem, Introd, alla FU. deUa Storia, pag. 68.
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126 8T0RIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
concetto del Diritto naturale. E e' è finalmente, e sopra
tutto, Bacone. Quale sarebbe, di grazia, la Idea di Ba-
cone, di Tacito e di Grozio? Tornando a noi, dunque,
il Vico seguendo le dottrine di Fiatone non avrebbe a
essere che un metafisico platonico ; nel modo stesso che
il Vera, seguendo le dottrine di Hegel, è un metafisico
hegeliano. Ma nulla di tutto ciò. Il professor Vera fa qui
una grande scoperta, e intoppa in una grande contrad-
dizione. Egli scuopre che nel Vico non ci ha ombra di
metafisica ; spiega in che maniera quel povero maestro
di rettorica non ne intendesse neppure il nome (sic), e
come anzi avesse confuso la metafisica con la lingua (sic).^
Or la conclusione più legittima che altri potrebbe facil-
mente cavare da cotesto discorso tutt' altro che serio,
sarebbe questa: che come il Vico tuttoché seguace di
Platone non è nient' affatto un metafisico ; parimente il
traduttor Vera, benché seguace svisceratissimo di Hegel,
non meriti neanche lui né pur per ombra titolo di meta-
fisico. Non so se tal maniera di ragionamento regga al
martello di sublime e riposta dialettica: ma regge di
certo alla logica del comun senso, e mi basta. Per gU
hegeliani, e' si sa, la metafisica s' incentra e s' impernia
tutta nella Idea: e chi agli occhi loro non sia cotanto
fortunato da giungere a contemplare le risplendenti
fattezze di questa Dea, può andarsi a riporre e mai non
isperi di meritar nome di metafisico. È questione di
titolo 0 meglio di saluto. Padroni a darlo e a renderlo
il saluto: ma, datolo una volta, non siete altrimenti
liberi di non riceverne uno anco voi. Non sarebbe pro-
prio il caso di rammentare agli hegeliani e a tutti quelli
che negano al Vico il titolo di metafisico, V arguta ri-
sposta del vecchio contadino al cameriere in giubba
e guanti bianchi?
Come ognun vede, in questo il Vera è in aperta oppo-
sizione con gli altri hegeliani. È in opposizione special-
* Vira, Introd, alla FU. della Storia, pag. 77.
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CAP. IV. J ENTEBPBETI FILOSOFI. 127
mente con lo Spaventa che, com' è noto, non è cosi
tenacemente agganciato al maestro da confondere asso-
latamente Hegel con hegelianismo (due cose che molti
hegeliani oggi distinguono) e nuli' altro scorger nella
filosofia italiana che sottigliumi teologici innestati a
meschine vuotaggini scolastiche. Ingegno acuto e insie-
me largo egli ha studiato con grande amore non pure
i nostri filosofi del Risorgimento, ma quelli altresì
dell'età moderna; e non gli ha mai battezzati teologi,
né dato loro titolo di mediocrità filosofica. Égli è cri-
tico severo, interprete dell'idealismo assoluto superiore
À qualunque più sviscerato seguace di Hegel giust' ap-
punto perchè non si è cristallizzato e quasi mummifi-
cato, come fa il Vera, col suo maestro. Ed ecco la ra-
gione per cui lo Spaventa non isdegna scrivo-e che il
Vico è anche un metafisico, che nelle sue scritture e' è
pure una metafisica, né va quindi a cercare col fiiscel-
lino certi meschini argomenti per negargli un valore
speculativo com'è appunto quello del Vera là dove
^li, attaccandosi quasi a'rasoj, pronunzia: È certo. che
aprendo i libri di Vico e quelli di Fiatone e di Aristotele
e raffrotUando le loro ricerche sulle idee, Vico rimane al
paragone di molto inferiore. Certo, Vico non é, né Ari-
stotele, né Platone ; ma forse che gli otto libri politici
dell' uno e la Repubblica dell'altro sono la Scienza Nuo-
va? Che cosa pensereste di chi pigliasse a biasimar Ga-
lileo per non avere scoperto nel sole i metalli che oggi
sappiamo? La questione è se i germi d'una metafisica
in lui per avventura ci siano: lo svolgimento viene da
sé ; ed é opera della critica rintegratrice. Ora il Vera
non ha creduto far né l'una cosa né l'altra; né svolgere
né interpretarne i principii, anzi negare ogni loro im-
portanza, e di qui ognuno può argomentare qual va-
lore possa avere la sua critica.
Pronunziata dunque la sentenza, che il Vico non
pervenga né punto né poco al concetto della metafisi-
ca; passando alle questioni storiche il Vera ne trae
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128 STORIA DELLA. SCIENZA. NUOTA. [UB. I.
lunga serie di conseguenze che, secondo lui, sono altret-
tanti errori, e perciò altrettanti biasimi al Vico. Qui
non possiamo indugiare a mostrar che cosa accettiamo
e che respingiamo di questa critica. Gioverà intanto
assommarla ne' seguenti capi, a' quali verremo man
mano rispondendo in luoghi opportuni. 11 eh. traduttore
di Hegel dunque dice:
!• La storia ideale del Vico non è vera costruzione
ideale della storia, e però non è vera filosofia della
storia; bensì una generaUzzazione d'alcuni fatti parti-
colari, e quindi insufficienti, come per esempio quello
del nascere, crescere e morire, dall'individuo trasportato
alla storia.
2^" Egli non vide come accanto alle analogie sorgan
le diflferenze; e come queste la vincano sopra quelle.
S"" La sua legge storica non tocca minimamente il
contenuto, la sostanza, bensì la superficie, la forma dello
Stato ; e però non riesce ad un resultamento scientifico.
4"* Non seppe levarsi all'idea d' umanità, né a quella
di progresso; negò anzi implicitamente il progresso.
5* Perciò il concetto de^ corsi e ricorsi è concetto
assolutamente antistorico, e distrugge la storia.
6* Per esser conseguente a sé stesso egli avrebbe
dovuto far correre e ricorrere nel corso storico anche
la vita selvaggia.
T"" Lascia fuori della storia buona metà della storia
medesima, e però del genere umano.
8' La dottrina vichiana del Diritto non racchiude
lo svolgimento sempre progressivo della idea del giure,
la quale per lui è tutta rannicchiata nel Diritto romano.
§• La storia universale, il medio evo non sono agli
occhi suoi altro che copia e riproduzione della civiltà.
IO» La Scienza Nuova esclude dalla storia e però
non ispiega il cristianesimo, nettampoco la Riforma.
!!• Il Vico, insomma, non comprese in che modo
V idea possa essere neUa storia.
La critica che ne fa il chiarissimo traduttore, di-
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OAP. IV.] niTBBPBBTI FILOSOFI. 129
ciamolo pure, non è molto seria, e^ per più rispetti
riesce incompiuta. Scambio di liberare quel filosofo
dalle contraddizioni, dai controsensi, dagli equivoci, '
dai vecchiumi, e poi studiarsi di ricostruirne il pen- ,
siero e compierlo imprimendogli vita e gagliardia no-
vella; e' ce riia distrutto addirittura, o meglio ha
creduto distruggerlo. E lo ha distrutto riportando ad
Hegel quel po' di buono che neanch'egli ha saputo e
voluto negargli. Poniamo infatti che sian tutte legittime
le accennate difficoltà: che cosa ci rimarrebbe della
Scienza Nuova? Nulla; nulla precisamente. S'egli dun-
que è così, non si capisce come cotesto filosofo hegeUano
abbia voluto sciupar venticinque lunghe pagine di stam-
pato pel gusto puerile eli ripresentare agli occhi nostri
lo agl'adito spettacolo d'un cadavere! Altra volta egli
inneggiò al filosofo napoletano : inneggiò segnalandolo
all' Europa come fondatore della filosofia della storia,
ddla critica filosofica delle lingue, ed altro simile. E que-
sto scrisse nel 1856 a Londra, e credo abbia ripetuto
anche a Milano pochi anni addietro. Oggi poi, come s'è
visto, il Vico per lui sembra esser poco più che un
umanista del secolo XIV! Dunque è da dire che una
delle due volte almeno egli abbia dovuto leggere il nostro
filosofo armandosi d' occhiali color fumo, ma solo resta
a sapere se cotesti occhiali abbia egli adoperato nella
prima, ovvero nella seconda volta. Avvertiamo pertanto
che il decimo appunto fatto dal Vera è giustissimo:
era stato affacciato da altri critici prima di lui, e l' ac-
cennammo anco noi stessi fino dal bel principio. La
Scienza Nuova non ispiega il cristianesimo: ecco una
delle manchevolezze o contraddizioni da cui bisogna
salvare questo libro, ma senza fargli perdere il va-
lore e, per così dire, la fisonomia nativa end' è rive-
stito. Senonchè qui ci sarebbe da chiedere: forse che
il cristianesimo, questo gran fatto della civiltà umana,
è stato meglio inteso e spiegato dagli hegeliani? A me
pare che a tal proposito il nostro filosofo siasi voluto
SlCILIARI 9
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]30 STORIA DELLA SOIICKZA NUOVA. [lIB. I.
governare precisamente al modo che oggi fanno i po-
sitivisti circa questo o quel problema metafisico, la-
sciandolo in disparte. Egli era fervente cattolico, cat-
tolico di buona fede. Ma, per cattolicissimo ch'ei fosse,
fra le sue dottrine ha lasciato cotal serie di criterii^
da mettere in grado chi voglia e sappia leggerlo, d' in-
j t^rpretare il cristianesimo in significato non pura-
mente cattolico ed assolutamente soprannaturale, e
neanche in senso meramente hegeliano e al tutto
mitico da pareggiarlo addirittura ad un' invenzione af-
fatto fantastica o favolosa. Al qual proposito mi piace
aggiungere un'altra osseiTazione. Oggi appunto un
esperto hegeliano ed un espertissimo cattolico, fra noi,
si studiano imprimere al concetto isterico due significati
al tutto opposti e contrari : il Vera col suo ultimo libro,
il quale al postutto è una ripetizione della filosofia sto-
rica di Hegel, e il Pomari con la sua Vita di Cristo,
che, come sopra toccammo, è una filosofia della storia
levata alla sintesi più alta ed elegante cui sappia pog-
giare la mente d' un acuto pensatore cattolico. Sono
due estremi cotesti, che in parecchie conseguenze si toc-
cano, come vedremo. Or fra questi estremi non ci ha
da essere anche qui una via di mezzo?
Ma basti degli Hegeliani; e veniamo a toccare de-
gli ultimi scrittori i quali, comechè non tutti filosofi,
secondo lo stretto significato di questa parola, nulla-
meno si distinguono pel carattere ond' abbiamo desi-
gnato il 3» periodo dì questo nostro abbozzo isterico,
ciò è dire pel carattere della interpretazione filosofica
nel discorrere eh' essi han fatto, sia di proposito sia pur
di passaggio, intomo alle dottrine del Vico.
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131
Capitolo Quinto,
continua il periodo degl' interpreti filosofi.
Innanzi tutto occorre accennare a quattro altri vi-
venti scrittori assai diversi fra loro per dottrine e forma
d'ingegno, cioè al Bertini, al Conti, al Franchi, al Maz-
zarella; poi all'egregio Cantoni, critico ed erudito; ap-
presso all'illustre storico vivente della medicina; per
indi concludere con una rassegna d' alcuni dotti fran-
cesi che in quest'ultimi anni volsero la mente al
nostro filosofo. L'illustre prof. Bertini ha toccato rapi-
damente del Vico in un suo scritto su le prove metafìsicfie
éTuna realtà sovrasensihile,^ Con l'usata castigatezza
di forma e severità d' ingegno egli accenna ad un sol
punto; del quale non pertanto ci piace prender nota,
8Ì perchè tra' viventi filosofi italiani di grande autorità
ci paion le sue parole, si ancora perchè l' idea cui egli
accenna racchiude un valore speciale per la nostra isto-
ria filosofica del secolo passato. Parlando delle dottrine
della conoscenza del Kant, egli dice: « questa dot-
» trina kantiana fece tornare alla memoria de' tede-
» schi, e in particolare del Jacobi, ciò che già avea
» scritto poco prima il Vico nel suo libro De Antiquis-
» sima Itàlorum sapientia: che cioè il vero è il fatto,
» e che non si ha vera e piena conoscenza se non delle
» cose di cui noi siamo gli autori. Anche, il Vico trat-
n teggiava un ideale di scienza divina e assoluta che |
» ha molta analogia colla intuizione intellettuale desi-
» derata e descritta da Kant, e con questo paragonava
» la scienza umana, la quale, secondo il Vico, anziché
» scienza, si dovrebbe chiamare cogitcUio, ossia uno stu-
» dio di andar raccogliendo quei pochi elementi delle
» cose che è dato a noi dì conoscere. i> È una relazione
* Vedi negli Atti ddV Accademia di Torino, Maggio, 1866.
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132 STORIA DELLA 80IBNZA NUOVA. [lIB. !•
celesta, tra Kant e Vico, della quale giova tejier conto; e
abbiam voluto farlo citando le parole del valoroso Bertini.
Augusto Conti, pensatore profondamente cattolico
e altrettanto onesto e sincero nelle sue convinzioni, ha
voluto consacrare intera una lezione alle dottrine del
I nostro filosofo nel suo Specchio della storia generale della
filosofia. Chi conosce i principi! filosofici dell' illustre ed
elegante scrittore toscano saprà indovinar subito quale
esposizione egli faccia del Vico, e sospettare in che senso
ne interpreti le dottrine. Può dirsi eh' e' sia il rovescio
degli hegeliani; perchè si studia di tirar tutto dalla
sua parte l' A. della Scienza Nuova, segnalandolo natu-
ralmente com' uno de' tanti anelli della sua filosofia pe-
renne. Io non istarò qui a negare ne che il Vico sia
cattolico, né che la critica del prof, pisano sia fatta
male. Sarà anzi critica savia e coerente: ma è tutto
il Vico della prima maniera quello eh' ei ci dà, perocché
niente vi sappia discemere che non si ritrovi più o
men palesemente in Agostino, in Tommaso, in Anselmo
e simili. Però nel Vico nulla ci é di nuovo, nel senso
del filosofo samminiatese, salvo che il concetto d'una
filosofia civile. Né potrebb' esser diversamente, ammessa
la maniera con che suol procedere in tale esposizione cri-
tica appoggiandosi per lo pili in certe aflFermazioni gene-
rali e duttilissime del nostro filosofo, qual è, per esempio,
questa: Dio, com'è U principio ddV essere, così è anche
del conoscere. Quante mai conseguenze non si potreb-
bero far rampollare da cosifiatto principio ! Un giober-
tiano, per esempio, vi mostrerebbe com' ei si sgomitoli
tutto nelle note formolo e cicli creativi e concrea-
tivi assoluti e relativi di cui al solito egli ha piena la
bocca; dovechè un hegeliano non mancherebbe darvi
pruova di tal destrezza, da sciorinarvi sotto gli occhi
a fil di logica tutta la rete delle sue leggi dialettiche.
Nel Vico c'è parecchie di cpsi fatte sentenze; né al
Conti poteva riuscir difficile tirarle alla sua filosofia
comprensiva. Ma egli dice benissimo dove osserva che i
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OAP. T.] INTBBPBBTI FILOSOFI. 133
prìncipii del Vico, anzi che condurre al panteismo, lo
combattono; e in ciò noi conyeniamo pienamente. Or
non sarebbe stato mestieri dimostrar come non vi con-
dncano e conte lo possan combattere? Consentiamo
altresì col dotto scrittore in tutte quelle saggio rifles-
sioni eh' e' sa fare su l'indole comprensiva e storica
del metodo vichiano. Ma non sapremmo concedergli
che la dottrina dei corsi e ricorsi apparisca solo nella
seconda Scienza Nuova. È quistione di fatto eh' ei po-
trà risolvere col ridar un' occhiata al sommario della
1* Scienza Nuova. Farà male anche a lui cotesta dibat-
tuta e combattuta dottrina; ed è forse per questo ch'egli
procaccia di trovar modo a scusarne l'autore: ma, più
che scusarlo, avrebbe dovuto e potuto difenderlo. Crede
anch' egli poi, erroneamente, come il Ferrari, che il
Vico s'ispirasse alla teorica delle monadi di Leibnitz;*
ma contro il Ferrari mostra, e fa benissimo, quanto il
Vico fosse lungi dal confonder la causalità con l' iden- (
tità ideale. Finalmente osserviamo che i principii ond' il
Vico resiste al Cartesianismo e che il Conti riduce a tre,
sono da lui debitamente interpretati, meno T ultimo
poco fa menzionato; che Dio, cioè, essendo principio
dell' essere, è anche principio del conoscere. Accettando
questa sentenza accetta anco l' altra tanto familiare al
Vico, per cui la metafisica, la matematica e l'etica siano
da Dio.' Anche cotesta è afi'ermazione generale, onde
nnlla può concluderai finché non si giùnga a mostrare
come precisamente accada che quelle scienze rampol-
lino da Dio. Per ciò medesimo accoglie e ripete quel-
r altro pensiero che il sommo della certezza risegga
nella metafisica; contraddicendo cosi a ciò eh' egli stesso
ana pagina innanzi aveva accettato dal Vico : la cer-
tezza somma potersi l'aggiugnere unicamente con le
matematiche. — Bisogna pur confessare che con la sua
critica il Conti ha lasciato il Vico dove appunto l' avean
* A. CoNTf, Storia della Filotofich Firenze 1864, Lez. XX,pag. 405.
' Id«m, eod. pag. 420.
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134 STORIA DBLLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
condotto, per esempio, il Duni, Tlannelli, il Tommaseo,
r Amari, il Rosmini e tutti gl'interpreti filosofi catto-
lici. E noi non sapremmo fargliene carico: con la sua
maniera di filosofare non poteva far diversamente.
Anche l'illustre Franchi, scettico ingegnoso, one-
stissimo, sincero, e critico furibondo, pare talora siasi
data la pena di leggere qualche libro del Vico; e ne parla
I in due luoghi neUe sue Letture sulla storia della filosofia
moderna. È noto come il Vico più volte accenni a Ba-
cone, nella Scienza Nuova, nel Libro Metafisico, nel-
^ r Orojsiotie sugli studi, e fin nelle sue Vindicue contro
gli Atti degli eruditi di Lipsia. Lo rammenta sempre
con parole amorose e riverenti, annoverandolo, com'è
noto, fra' suoi maestri. Il valoroso Ausonio reputa esa-
gerati cotesti elogi, massime, die' egli, quando si pensi
a Gralileo. Non possiamo qui intrattenerci sul valore
speculativo di Bacone: il divario e le somiglianze fra lui
e il nostro Galilei accennammo altrove.* Ma gli elogi del
Vico al filosofo che primo ebbe coscienza della teoria
sperimentale (dico della teoria) non dovrebbero parere
esagerati a nessuno: il Franchi anzi avrebbe dovuto
chiamarsene contento, se avesse badato all'indirizzo sto-
rico e però sperimentale cui è tutta volta la Scienza
Nuova. Né qui giova gran fatto invocar l'autorità di
Cartesio, dicendo ch'ei fece appena menzione di Ba-
cone; del Newton che noi nominò mai; del Locke che
lo citò solo una volta, non come filosofo, bensì come
storico. Questa anzi è una ragione di più per apprez-
zare gli elogi che ne fa il Vico. Qual è il motivo princi-
pale onde r autore della Scienza Nuova encomia tanto
spesso r autore del Nuovo Organo? Questo, parmi; l'esi-
genza in Bacone a dimostrar con esperimenti la verità
già concepita, e quasi preveduta col pensiero.* La ra-
gione dunque ond' al Vico piaceva Bacone, ci mostra
com' egli sapesse intendere e pregiare la mente del filo-
* Vedi la nostra memorìa su Galileo. Bologna. 1868.
* Vico, Vindìeke^ nve NoUb in Ada erudiUìrvm lAptitnna, § 9.
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-GAP. T.J IDTEBPIUCTI FILOSOFI. 135
sofo inglese. E dico intendere e pregiare, perciocché
-egli non iscorgeva nel Nìmvo Organo quel rachitico
sperimentalismo che ci san vedere i positivisti, e per cui
solamente e con tanto calore costoro invocano a maestro
il conte di Sant'Alban. Di che proviene poi un'altra ri-
flessione ; ed è che dalla citazione del Vico testé riferita
è manifesto, come gli sperimenti non sieno la sorgiva,
bensì la riproduzione, la conferma di ciò che in qualche '
maniera si è innanzi concepito ; e per cui i diritti dello
spiritò restano salvi di fronte a qualsiasi forma d'empi-
rismo. D'altra parte, poiché senza sperimenti ciò che s'è
speculato riesce al tutto sterile e vuoto, ne segue che non
senza buone ragioni nella Scienza Nuova il metodo di
iilosofare del Nuovo Organo è detto essere il metodo
più accertato. Avea dunque torto il Vico nel profondere
•encomii al Gran Cancelliere? Esagerazione é il dire,
nell' Autobiografia, essere stata grande fortuna per lui
aver avuto notizia del libro del Signor di Verolamio?
Ma e' é di pili. Il Franchi reputa Bacone padre di quella
storia che l' autore del nuovo Organo disse letteraria, e
senza cui la storia del mondo pare vagli come la statua*
di PoUfemo priva dell' occhio. Or come va che l' acutis-
simo critico non s' è accorto esser la Scienza Nuova pre-
cisamente cotest' occhio dato dal Vico al Polifemo di
Bacone? E non é ella cotesta un'altra relazione fra' due
filosofi? E non è in questa relazione appunto il motivo
degli encomii esagerati? — Il Franchi parla del Vico
anche a proposito del Cogito di Cartesio. È noto come
l' autore della Scieìiea Nuova, ragionando di questo cri-
terio, facesse menzione altresì del detto di Sosia: quum
cogito, equidem certe idem sum qui semper fui. Ne parla
€ome fatto inconcusso inverso a cui le lance dello Scet-
ticismo, per acutissime che paiano, rimangono spuntate
appunto perchè il dubbio, essendo anche pensiero e
quindi importando identità personale, racchiude cer-
tezza. Il Franchi domanda (e nel domandare, dà segno
di stupire in che maniei'a la penna d'un Vico abbia
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136 STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I»
potuto scrivere tali enormezzel): che cosa mai ci ha
che vedere il motto volgare di Plauto col principio
filosofico di Cartesio? Ma, buonissimo e valoroso Au-
sonio, trattasi per T appunto di questo I La posizione
Cartesiana è ella davvero un principio, o no? È egli
un vero, o non piuttosto un certo?
Tra i filosofi vi è anche il Mazzarella, che in que-
st' nltim' anni ha parlato del Vico nella sua Storia
della Critica, e ne ha considerato l'ingegno critico in
relazione alla critica anteriore e posteriore all'autore
della Scienza Nuova. Con la solita chiarezza e sempli-
cità e dirittura di pensiero egli ha saputo mostrar che
cosa rappresenti il filosofo di Napoli nella Storia della
Critica : !• il disprezzo della critica meramente erudita:
2<' la necessità di congiungere insieme filologia e filo-
sofia; 3- la critica non di libri né di fatti, sì delle idee
della mente umana, col fine di rintracciar la storia
anteriore alla storia scritta, e porre così il vero fonda-
mento al metodo critico con l'analisi delle idee umane.^
11 Mazzarella inoltre sa rilevar nettamente alcune at-
tinenze, che a noi paion vere e ingegnose, tra Cartesio
e Vico, tra il metodo dell'uno e quello dell'altro. Né
manco ingegnosi ci sembrano que' riscontri tra il Vico
risguardato come filosofo delia storia, e Bossuet, Schlegel,
Herder ed Hegel.* Ma anch' egli, al solito, vuol con-
dannarlo a motivo de' suoi bestioni e del rombo dei ful-
mini e dell' idea del progresso cui l' autore della Sdema
Nuova (egli dice) non seppe levarsi!
Uno degli ultimi lavori sul Vico è quello dell' egre-
gio nostro amico prof. Cantoni. Nel quale se i pregi
non mancano, non mancano pure i difetti; difetti so-
stanziali che tengono, anziché all'ingegno dell'autore,
all'affrettata composizione del Ubro, secondo che con-
fessa egli medesimo, e fors'anco all'affrettata medita-
zione di esso. Ne facciamo qui menzione solo per ra-
* Mazzarella, Storia defla Oritiea, GeDora, 1866-68, Voi. I, Oap. XV.
• Id. eod. Gap. XX.
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OAP. ▼.] nmcBPBXTi FiLosori. 137
gion cronologica, perchè davvero, considerato il fine e
l'indole della critica cui egli è venuto informando il
suo libro, avremmo dovuto annoverarlo, non meno che il
Mazzarella, fra gli autori del secondo più che del terzo
periodo. Nei suoi Studi critici e, cofnparatìvi il Cantoni
non vuol farla da filosofo; e veramente ad altro in so-
stanza ei non mira, salvo che a rilevar le differenze delle
dottrine, giudicandole, più che altro, da' resultati. Ora
il vero giudizio crìtico nelle quistìoni filosofiche non istà
forse nel conti^apporre dottrine a dottrine, rifacendo e
ricomponendo e quasi ricreando nel proprio cervello il
pensiero di cui si piglia a far un' esposizione critica? Ci è
gran confusione nel metodo del Vicol dice il Cantoni; e
dice verissimo. Ma la vostra critica appunto avrebbe do-
vuto chiarircela. C è malintesi ad ogni capitolo ! Vero an-
che questo: ma voi avreste dovuto studiarvi d'intenderli.
C'è contraddizioni ad ogni pagina! Sì, certo: ma avreste
dovuto risolverne alcune, ripudiarne altre, e poi accor-
dare l'autore con sé medesimo: ecco quale sarebbe
stata la critica feconda e non solamente scettica e va-
gliatrice. Ma io vo' farla da semplice espositore, sog-
giungerà il Cantoni. Bene: s'egli dunque è così, il vostro
lavoro è un fuor d' opera, un fuor di tempo. Di cen-
sure ed esposizioni alla maniera di lannelli, del Roma-
gnosi, del Ferrari, del Tommaseo ne abbiamo assai.
Perchè una di più?
A quel che mi pare il bravo Cantoni, pigliando a
scrivere il suo libro, non guardò bene al fine* cui era
in obbligo d' indirizzare il suo studio. Oggi non è lecito,
panni, scrivere un lavoro critico prefiggendosi un fine
a piacere. Dato un autore, dato un filosofo, il fine dee
palesarsi già da sé medesimo; deve scaturire principal-
mente dall'esigenza critica e dalle relazioni storiche,
logiche, 0 ideali in che può trovarsi la dottrina, il sistema,
la filosofia, in somma lo scrittore che si piglia a studia-
re. E il Cantoni forse non ebbe seriamente considerato
un altro punto; ed è che fino dal 1712 cominciarono len-
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138 STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
tamente gli studi critici su le dottrine del Vico; cioè fino
da quand' egli rispose alle benevole censure fattegli da
un amico sopra una certa sua orazione, per non parlare
delle critiche mossegli contro dal Giornale di LcUeraU.
E tali studi critici, come s' è visto, sono andati man
mano accumulandosi fino ad oggi, crescendo sempre di
numero e d'importanza. Or che cosa avrebbe dovuto fare
il Cantoni ? Avrebbe dovuto trarre motivo al suo libro
anche dall' esigenza di tutta intiera la critica fatta sul
suo autore. A questo modo il libro sarebbe tornato
profittevole, compiuto, e forse non isfornito di qualche
originalità nel disegno. — L'opera del nostro amico, ripe-
to, ha molti pregi. 11 Capitolo, per esempio, che agli oc-
chi nostri varrebbe tutto il libro, è quello dove l'autore
pone a riscontro le idee del Vico su la storia e sul Di-
ritto romano, con quelle della Scuola Storica tedesca. Ma
neanche in questo ci è parso eh' e' sia riuscito ad interpre-
tare certi concetti del filosofo napoletano in guisa da de-
durne tutto ciò che di vero han detto oggi i tedeschi : il
che s'egli avesse fatto, non avrebbe sostenuto, per esem-
pio, che quant' à leggi agrarie il nostro filosofo siasi im-
hrogliato! Lodevoli anco ci sembrano alcune confutazioni
al Ferrari; l'aver per esempio osservato (ma non dimo-
strato) che libertà e necessità nel Vico non si contraddi-
cono. Vero poi che in questo filosofo manchi la coscienza
del proprio metodo ; e verissimo che la psicologia è di
suprema necessità alla filologia; canone, com'egli dice, dis-
prezzato dai più degli odierni filologi di Germania, Vero
altresì che il metodo del Vico sia sperimentale, ma non
però assolutamente sperimentale; e verissimo, finalmen-
te, che il concetto d'una Volker Psycólogiey di che i tede-
schi menan vanto, trovasi tale e quale nelle opere del no-
stro filosofo, non già come vaga esigenza, ma come viva
applicazione. Al Cantoni poi dobbiamo esser grati di
averci fatto sapere i giudizi che sul Vico han dato i
tedeschi, segnatamente quelli del Goschel nei suoi Fogli
sparsi: giudizi dati col fine di contraddire, come no-
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oàp. t.] iktsrpbxti filosofi. 139
tammo, all'hegelìanismo: giudìzi assennati e molto di-
versi da quelli datici dal pedante E. Weber nel preludio
alia sua traduzione della Scienza Nuova.
Ma il pensiero originale, originalissimo in tutto il libro
del Cantoni, è il modo col quale è giudicata la seconda
Sdenta Nuova. Con questa Scienza Nuova, egli dice,
il Vico rimtegava e distruggeva V opera propria. Ho detto
pensiero originale, perchè da due secoli in qua non è
surto in mente ad alcuno. Ma, di grazia, che è mai cote-
sta decadenza deiringegno del Vico nella seconda Scienza
Nuova? Sarà follia, come ripeteva il teologo Finetti
ne* suoi sproloqui contro il filosofo napoletano? Ovvero
sarà indietreggiamento cretino, allucinazione, sogno? La
seconda Scienza Nuova è un apriorismo, un sistema-
tismo! Ecco tutto il peccato, il gran peccato del Vico,
secondo il Cantoni.
Che nella prima Scienza Nuova prevalgano V indu-
zione e l'analisi comparativa, non è a dubitare. Ma
for^ che predominio d' un indirizzo metodico vorrà si-
gnificare diversità di principii? È bene che il Cantoni
ascolti dalla bocca stessa del Vico, giudice unicamente
legittimo in questo proposito, la risposta alle afl'rettate
censure. Ecco le sue parole: Nella Scienza Ntwva
prima se non nella materia errammo certamente neU
Vordine^ perchè trattammo de principii delle Idee divi-
samente da' principii delle Lingue; che erano per natura
tra loro uniti; e pur divisamente dagli uni e dagli altri
ragionammo dd metodo con cui si conducessero le ma-
terie di queste Scienza: le quali con altro metodo dove-
vano fil filo uscire da entrambi i detti Principii.... Tutto
ciò si è in questi libri emendato. *
Udiste? In queste poche parole non pur ci sono ac-
cennati i caratteri essenziali del metodo vichiano (eh' è
induzione e deduzione compenetrate in unità di processo,
come vedremo), ma ci è detto chiaro altresì come tutto
< Vigo, Framm. di Prof. aUa 8' ed. della Seienna Nuova. Voi. V.
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140 STORIA DBLLA SOIENZA NUOTA. [lIB. I.
tutto il divario fra le due Scienze Nuove in altro non istia
fuorché in una maggiore accuratezza metodica della
seconda rispetto alla prima. È questione dunque d' or-
dinamento razionale, questione di metodo, di conte-
nuto no. Or s'egli è vero che nel metodo, nella for-
ma risiede innanzi tutto la sdeneoy ne viene che nella
seconda Scienza Nuova, con la perfezione del metodo,
s' ha d' avere altresì maggior compiutezza e perfezione
anco nelle dottrine. E pure il Cantoni non ha visto ne
runa cosa, né l'altra! E con la esplicita confessione
del Vico stesso, poco fa rammentata, gli è anche sfug-
gita la intrinseca ed essenziale armonia che insieme
congiugne ed assorella le due Scienze Nuove.
L'altra sentenza non meno originale, che nessuno
invidierà al Cantoni, risguarda il modo col quale ei
considera il Libro Metafisico. Questo libro agli occhi
suoi non ha capo né coda; é un cumulo di fantastiche-
rie; un romanzo da non far punto onore all'autore del
De Constanlia Jurisprudeniis ; libercolo, in somma, il
cui valore al postutto non é che un solenne pregiudizio
di certi italiani che hanno ingegno losco e mente an-
nebbiata. Sarà pur vero cotesto: ma se, da una parte,
il primo libro dei filosofo napoletano non é che una
vera anomalia, e l' ultimo, dall' altra, ci segna la vera
decadenza del suo pensiero; domando, che cosa ne resta?
Non altro, in fede mia, che l'empirismo; una serie
d'incoscienti divinazioni e d'osservazioni empiriche, a
raccor le quali non facea mestieri certamente d' un inge-
gno superlativo : e, s'egli é così, non s'intende in che ma-
niera tanti insigni scrittori abbiangli tributato gloria
infinita, né perché questo nostro secol de' lumi abbia
voluto porgergli titolo di genio.
Entrar ne' particolari del libro del Cantoni ci è
davvero impossibile: sarebbe il caso di rifarlo da cima
a fondo, almeno per ciò che riguarda lo dottrine filo-
sofiche. Ci ristringiamo ad accennar di volo qualche
giudizio che prendiamo a caso. Egli afferma risoluto
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OAP. Y.] INTERPRETI FILOSOFI. 141
che il Vico fa un fascio della Morale e del Diritto. Que-
sto han detto altri, e questo diremmo anche noi se
con occhio superficiale e grossolano guardassimo tutte
le sue dottrine. Mi spiego tosto. Il motivo di questa
confusione operata dal Vico, dice il Cantoni, risiede
nell'aver egli fatto dipendere le due scienze poco fa
rammentate da un concetto unico, cioè dal pudore (Pu-
dore Or come non vedere che in tutt'e quattro le
opere del filosofo napoletano accanto all' idea del Pu-
dore sorge costantemente l'altra della Libertà? E non
è precisamente in quest'originario dualismo psicologico
e morale della natura umana (Pudor e Lxberias) eh' è
d'uopo saper rintracciare la distinzione fra la scienza
del diritto e quella dell'obbligazione etica, anziché fer-
marsi in certe sentenze mezzo scolastiche ed ascetiche
sparse sopratutto in su '1 principio del 2* lib. del Diritto
Universale? — Il Vico appella Dio il giusto, il buono, il
vero, il santo. Errore! esclama il Cantoni; coteste essendo
idee di relazione, dovechè Dio è un essere in sé e per sé.*
Ma forse che cotesto essere in sé e per sé lo appellereste
ingiusto, non vero, non buono, né santo? E poi, se un hege-
liano pigliasse a dimostrarvi che Dio altro non é salvo
che relazione, la relazione per eccellenza, che cos' avreste
a rispondergli? — Quant' all' origine dell'umanità il Can-
toni fa un mazzo dell' Hobhes del Puffendorf del Rous-
seau e del Vico, appellando romanzo la dottrina su lo
stato di natura, precisamente come fin dal secolo scorso
vennero battezzandola il Romano, il Finetti, il Buona-
fede, e poi lo lannelli, il Romagnosi, il Tommaseo : ro-
manzo però (egli aggiunge) da cui l'autore della Scienza
Nuova ha tratto eonseguenze del tutto diverse. Starà
bene, io rispondo: ma se coteste conseguenze sono di-
verse, non vuol esser tale anch' il principio ond' elle
rampollano? il quale perciò in apparenza solamente
potrebb' esser confuso con quello eh' è proprio de' gius-
« Cahtohi, Q, B. Vico, Studi critici e comparativi. Torino, 1867,
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142 8T0BIA DELLA SCIENZA NUOTA. [LIB. U
naturalisti del secolo scorso? — Parlando della libertà
che pel nostro filosofo, come s' è detto, costituisce uno
de' due principii'd' umanità^ il Cantoni avverte accon-
ciamente ch'ella pel Vico si manifesta come proprietà
e come difesa. Ma queste due parti od aspetti del Di-
ritto, egli soggiunge, sono evidentemente piuttosto conse-
guenze che fondamcfito della Società. Errore grave, come
ognun vede ; errore massiccio, massime di fronte ai lumi
e alle conclusioni cui è pervenuta oggi la scienza giuri-
dica; perocché i diritti originari pel Vico, secondochè
lo intenderebbe, il Cantoni, sarebbero dati graziosa-
mente dalla società, sarebbero compartiti dallo Stato
meglio che inseriti nell'animo per opera della stessa na-
tura. — Né poi lo intende meglio dove afferma che que-
sto filosofo riguardava i popoli come originari del luogo
dove abitano.^ La sentenza adottata dal Vico a tal pro-
posito è precisamente l' opposta. Buon credente, catto-
lico di buona fede, egli accettava la dispersione falegica;
e il fatto dello stato ferino quindi reputava come pro-
dotto per ragione della colpa originaria (ragione al
tutto accidentale e secondaria) non già per ragion tm-
turale e necessaria come appunto avrebbe dovuto ri-
guardarlo se fosse stato conseguente ai suoi medesimi
criteri metodici, nonché ai suoi principii filosofici, se-
condochè altrove mostreremo. Tale affermazione del
Vico, adunque, è erronea ; é evidentemente contraditto-
ria. Ora non solo il Cantoni non ha levato di mezzo
tal contraddizione pur accordando la mente del filosofo
con sé stessa, ma non ne ha visto nemmanco la pos-
sibilità. Altri forse potrebbe sospettare ch'egli abbia
confuso, nell'autore della Scienza Nuova, il concetto
dell' autoctonicità con l' idea di svolgimento autonomo
de' popoli primitivi.
Qual è la ragione, chiederà qualcuno, di questa cri-
tica tanto affrettata e superficiale in un libro non man-
* Cantoni, O. B. Vico, Studi critici e comparativi, Torino, 1807.
pag. 881.
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OAP. Y.] INTERPRETI FILOSOFI. 143
canto di pregi, in un libro scritto e meditato a bella po-
sta su le dottrine del Vico ? La ragione è tutta subbietti-
va, e si radica nell' indirizzo stesso della mente e delle
idee di questo critico. A giudicare dal presente lavoro, bi-
sogna pur dire che il Cantoni non ha fede in una filo-
sofia. Pili che critico egli è un positivista; non sapen-
domi persuadere come il vero critico possa fare a meno
d'una filosofia, senza cui ogni critica, anche giudiziosa,
parrai <lebba riuscire ad un artifizio puramente anali-
tico. Come dunque poteva egli aver in pregio le dot-
trine filosofiche del nostro scrittore quand' anco avesse
voluto e saputo rintracciarle con amore, interpretarle
con giudicio, svolgerle debitamente secondo i veraci
bisogni della scienza moderna? Come pregiarne il si-
steniatismo (ripetiamo la sua parola) del Libro Meta-
fisico e della seconda Scienza Nuova? Come scemere
un'attinenza vitale fra l' una e l'altra opera? Ma basti
del Cantoni.
In quest' ultimi anni l'illustre Puccinotti ha felice-
mente compiuto la sua storia della medicina che altri
ha meritamente appellato monumentale. Chi pigliasse
a meditar nelle opere di quest' insigne e venerando
scrittore che ad anima nobile e incorrotta congiugne
severità e robustezza di mente, s' accorgerebbe di leg-
gieri come, per quanti possan essere i difetti, un filo
segreto ne annodi le parti e stringa insieme le dottrine
così che ne risulti un vero e compiuto sistema di me-
dicina e di storia.* La Patologia Induttiva, entro cui i
medici e i naturalisti avvenire sapran ritrovare i germi
d'una restaurazione della patologia sinceramente ita-
liana in quanto che non contraddice ma compie la no-
vella dottrina cellulare e organica che oggi fa tanto
rumore, si presenta come una patologia essenzialmente
storica e fisiologica. Chi di fatto sia disposto ad acco-
glier la teorica del Puccinotti sul morbo, non potrà
* Vedi il nostro opuscolo Intorno alla Storia della Mtdieinn di Fran-
w«eo Pueeinott». liOttera al prof. A. C. De Heis. Firenze, Barbòra, 1864.
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144 8T0BIA DILLA SCIENZA KUOYA. (lIB. I.
logicamente ripudiare i suoi principii fisiologici tera-
peutici igienici e, che più monta, il suo disegno storico;
<lel che porgeremmo dimostrazione se questo fosse il
luogo. Tutto in lui è un organismo; ed ecco perchè la
tìua Storia è propriamente una filosofia ddVidea détla
salute fra gli uomini, attraverso le differenti età della sto-
ria. Nel profondo concetto di questo scrittore, adunque,
la patologia dee riprodurre la fisiologia nelle essenziali
sue condizioni ; al modo istesso che il disegno d' entrambe
queste discipline ha da rispondere al loro processo iste-
rico, riprodurlo, compierlo, inverarlo. Si può dissentire
dal Puccinotti ; dissentire in parecchi punti anco essen-
ziali delle sue dottrine: ma ninno dubiterà ch'egli sia
' stato il primo a gettar le fondamenta d' una storia
filosofica della medicina; la quale non potrebV esser
davvero filosofica, ove non rispondesse ad una patologia
e ad una fisiologia egualmente filosofiche. La Patologia
Analitica del Bufalini è incapace, per la stessa intima
costruttura del suo organismo, di partorire un concetto
storico; e ninno infatti degli organicisti italiani, e neanche
lo stesso Bufalini, ci han saputo dare sin qui, e non pote-
vano darci, una storia secondo le esigenze del mistioni-
smo, come quello che di per se medesimo si presenta
esclusivo, empirico, negativo. In che maniera dunque ci
è arrivato egli il Puccinotti? Ci è potuto arrivare per
due motivi; primo, perchè tale è l'esigenza stessa della
sua Patologia induttiva; secondo, perchè nel rintrac-
ciare lo svolgimento, il processo isterico dell' idea igie-
nica e patologica, egli seppe attingere ispirazioni e
lumi nella Scienza Ntiova, da questa trasportando nel
regno della medicina la legge isterica universale rin-
tracciata dal filosofo napoletano. Brevemente: il Puc-
cinotti nella sua Storia non ha fatto altro che appli-
care il concetto cardiiiale della Scienza Nuova ad
uno de' rami dell' umana enciclopedia ; allo svolgi-
mento della idea della salute fisica dell'uomo. Ecco
precisamente ciò che forma l'onore e il merito di questo
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OAP. T.] INTBBPSBTI FILOSOFI. -^
valentuomo quando sia considerato come stoi\
medicina.^ \^
Ora ci 'Converrà di bel nuovo uscir d'Italia
dare in Francia, donde questa volta ritorne^-emo \
più contenti che altri non penserebbe. Rendiamo ^
stizia ai Francesi: in quest' ultimi anni essi han discoK*o
del nostro filosofo meglio che per tutto questo secolo
non facessero il Michelet, il Lerminier, il Gousin, lo
JouflFroy, il Bouchez, il Comte, il Renouvier, il tradut-
tore anonimo della Sciema Nuova^ ed altri. Il progresso
della critica su le dottrine del Vico, da tre anni a questa
parte, è assai più notevole in Francia che in Italia. Ce
ne dan prova il Franck, il De Ferron, il Vacherot.
Il Diritto Universale non era stato mai preso in
esame accurato e coscienzioso dai Francesi, ne dagF Ita-
liani. Questo ha fatto il Franck; e lo ha fatto in modo'
che noi avremo a lodarcene pienamente.*
* Il chiarissimo professor Ferri, nella sua pregevole storia su la filo-
sofia moderna italiana, ha chiamato filosofia del numero la filosofia del
Puccinotti. Questa frase è vera, e felicemente trovata; ma fino a un certo
segno. Il concetto del numero, quant* a noi sembra, non ò tolto pro-
priamente come principio dal Puccinotti, bensì come criterio, come espe-
diente, come il massimo espediente metodico sperimentale, avvisato nella
sua forma astratta. Equivale, insomma, a ciò che lo stesso Puccinotti
suole appellar metodo della squadra e del compatto. Diremo che questo
per avventura sia schietto pitagorismo? Diciamolo, se cosi piace: mail
nmmero per lui non sembra esser Tarchetipo assoluto, Tassoluto mo-
dello per Imitazione del quale sian fatte le cose, e nemmanco la sostanza,
il vero essere della realtà: sentenze, com* è noto, in cui si dividono gli an-
tichi e i moderni storici e critici neirinterpretare il primitivo pitagorismo.
(BKwnm^LaFil Greca prima di Socrate, p. 176) Ora il Puccinotti non
potrebbe segrnire in modo esclusivo Puna o Paltra sentenza, attesoché si
contradirebbe in due differenti maniere. In biologia egli è dinaniista;
qnantanque il suo dinamismo non abbia che vedere con quello dei no-
«tri vecchi medici di mez^o secolo addietro: in filosofia poi, a dir tutto
in una parola, egli è un buon credente cattolico, un filosofo essenzial-
mente cristiano. Ma ove abbracciasse il concetto del numero in uno
de' dae suddetti significati, non cadrebbe evidentemente nel meccanismo
da una parte, e nell'ateismo o in una forma di dualismo ontologico
daU'altra? K siffatte conseguenze non ripugnano troppo tanto all' insieme
delle dottrine quanto alla coscienza di questo scrittore?
* Altro buon segno del progresso de' nostri studi sul Vico son le
induzioni del Diritto VnivertaU pubblicate fra noi in quest' ultimi anni
SlClLUIfl. 10
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Mt} STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [MB; T.
L' opera sul Diritto Universale, dice il Frank, mostra
il genio dd Vico che crea una filosofia del diritto su la
quale edificherà più tardi la Sciensa Nuova. Che questo
libro racchiudesse i germi d' una filosofia del diritto, Io-
sapevamo già, e il nostro Carmignani ce ne avea posto
su r avviso : ma siamo contenti che oggi venga a ridir-
celo un dotto francese, tanto più che un altro fran-
cese, Paolo Janet, non ne ha voluto tener conto neUa
sua storia, e nessun conto ha creduto fame altresì
lo Stahl nella bellissima Storia su la filosofia del
diritto. Il Franck dunque coglie giusto ove dimostra
come quest' opera sia fondata su la relazione in che si
annodano insieme filosofia e filologia, metodo essenzial-
mente vichiano, come lo chiama egli stesso. Indovina
poi ed espone con chiarezza l'origine al tutto psico-
logica a cui il nostro filosofo fa risalire il triplice
diritto originario (libertà, dominio, tutela) e per cui ^li
merita, dice il Franck, d' esser segnalato a preferenza
di tutti i giusnaturalisti suoi contemporanei od a lui
per opera del (ìianif del Pomodoro e del Sarchi; T ultima delle quali die
occasiono al Franck di scrìvere il suo lavoro critico pubblicato nel Jonmal
Idea S.xvnnt9j 1866-67. La traduzione del Giani è proprio affogata in infi-
niti commenti cho il medesimo traduttore oggi forse non accetterebbe
se rivesse, avend* egli inteso quest^opera coni* avrebbe potuto inten-
derla uno scolastico. Non manca di pregi la traduzione del Pomodoro, e
vince le altro per esser compinta. Il Sarchi si è contentato di tradurre
il primo libro; ma vi ha premesso un'introduzione che il Franck ha lo-
dato. Il concetto precipuo del Sarchi è questo: la filosofia politica fra noi
essere stata fondata dal Machiavelli mercè il concetto di libertà, e dal
Vico mediante quello di provvidenza. Ma, come accordare libertà e prov-
videnza? Kcco il nodo a cui il Sarchi non ha badato, né punto, nò
poco. — \i giusto qui avvertire come, prima del Carmignani e deirAmarì,
il Mamiani ed il Mancini accennassero qua e colà ai principi! giuridici del
Vico [Utt, intomo alla FU. del Diritto, Napoli, 1841). Dopo le trada>
zioni poco fa rammentato, niun altro fra noi ha parlato del Diritto Uni-
vermle^ tranne roi:rregio prof. Luchini nella sua Critica della penalità^
condotta secondo i principii del filosofo napoletano. Egli ha messo a ri-
scontro ia dottrina del Nostro con le teoriche di Kant, del Bentham, del
Romagnosi, del Rossi e della Scuola toscana, e se ne dichiara seguace.
Vedremo nella «Socto^ofTtd s'egli siasi apposto nello mterpretar la teorica
della penalità dell* autore del Diritto Univtrtale,
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OAP. Y.] INTSBPBBTI FILOSOn. 147
anteriori. Di fatto, porre a fondamento della società un
doppio bisogno materiale e morale, eh' è dire l'istinto al
bene essenzialmente morale e all'utile tolto nel significato
di equo-buono; dimostrar Funo anteriore logicamente
all' altro e questo mostrar co' fatti anteriore a quello
per sola ragion cronologica; trame quindi il principio
giuridico ed etico d' una doppia società (soci^as veri e
sodetas (squi-boni) ; far consistere la natura d'entrambe
in uno scambio di beni materiali e morali fra gì' indi-
vidui; porre il concetto di giustizia come proporzione
onde questi beni vonn' esser distribuiti, ri che quan-
d' anco non esistesse un bene di genere morale ma solo *
beni materiali ci avrebbe a essere ciò nullamanco una
misura secondo la quale siffatti beni devano andar ripar-
titi, e quindi la necessità del medesimo concetto di
giustizia anche nelle attinenze puramente materiali fra
gli uomini: presentare siffattamente la scienza del di-
ritto, dice il Franck, vuol dire creare addirittiu*a la filo- '
sofia delie relimoni civili e sociali, la benintesa Sociologia.
Due sono perciò le regole fondamentali dell'umana
condotta che scaturiscono da'principii del Vico: ope-
rare di buona fede rispettando la verità in tutto, ed
esser utile ai propri simili. — ("onvien confessare, di-
ciamolo di passata, che ove il Franck avesse tenuto
conto principalmente di questi criterii, non avrebbe
speso molte parole a biasimare il Vico a proposito del-
l'esagerato concetto che questi ebbe intorno alla carità,
la quale talora, com'è noto, egli confonde con la giustizia.
Altro pregio insigne di questo scrittore è l'aver sa-
puto cogliere i veri principii del Diritto punitivo del '
nostro filosofo, mostrando com' egli, col tener d' occhio
nella sua dottrina non pure il colpevole ma anche i
diritti e gì' interessi della società, compia nel medesimo
tempo le due opposte teoriche penali; quella, cioè, dei
sistematici platoneggianti che nel comminar la pena
mirano soltanto all' ammenda del colpevole, e l' altra
degli ntilitarii e positivisti che della parte morale non ^
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148 STORIA DBLLA 80ISNZA NUOTA. [lIB. I.
sanno tener conto, ne punto, ne poco. Ma sopra tale
argomento ci rifaremo altrove di proposito. Seguitando
intanto, parmi che il pregio massimo della crìtica di
questo scrittore stia nel modo col quale considera i pria-
•cipiì delia politica; prìncipii che, quantunque nello
stato di germe, possiamo rintracciare nel Diritto Um-
versale. La politica del Vico, egli osserva giustamente,
è tutta fondata sul Diritto, ma in armonia con la storia.
Sentenza verissima e feconda, che il Franck avrebbe
dovuto rifletter meglio dove censura il Nostro per al-
cune applicazioni eh' ei venne facendo alla storia. Lad-
dove il Vico, egli dice, s' accinge ad applicare il me-
todo allo studio del Diritto, urta evidentemente ad un
doppio scoglio ; da una parte, quand' egli chiede soc-
corso alla sola ragione, risica di confondere e spesso
confonde il dominio della giurisprudenza con quello
della metafisica; dall'altra poi, quando chiede aiuto
alla storia, altro non fa che aggirarsi in mezzo alle
istituzioni e ai destini del popolo romano, quasiché la
storia di questo popolo fosse la storia universale. In
altre parole il Franck dice così : il Vico da una parte ,
svapora nell'a priorismo e dà nelle astrazioni; mentre
poi dall' altra intoppa nell' empirismo.
Il Franck dice benissimo. Nel filosofo napoletano
questa doppia tendenza è manifesta. Ma anziché difetto
cotesto, perché non dirlo pregio? Non é egli stesso, in-
fatti, che non rifinisce d'incelare il metodo vichiano
appunto perché consiste nel connubio della filosofia con
la filologia, della metafisica con la giurisprudenza, della
ragione con l'autorità? Or l'esigenza d'un doppio or-
gano, d' un doppio strumento nel metodo, non é la con-
dizione legittima, e propriamente la parte vitale d' una
dottrina, doveché gli errori d' appUcazione hanno valore
Affatto secondario? Il non aver poi riflettuto a questo
ha fatto sì che il Franck giugnesse ad una conseguenza
non vera, dicendo che il Montesquieu, quant'al metodo,
vinca e superi il filosofo italiano. Paragoni, somiglianze,
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V
OAP. V.] IIITIBRPBETI FILOSOFI. 14^
analogie, riscontri fra questi due scrittori non sono
possibili. Montesquieu non ebbe neanche sentore àeV n
metodo vichiano; ed ecco perchè l'opera su lo Spirito
ddle leggi non è una filosofia della storia, non è la Scienza
Nuova, né quindi credo che lo scrittore francese siasi
ispirato né punto né poco neir italiano, come inchine-
rebbero a supporre il Lerminier, il Carraignani, l'Amari
ed altri. Il senso delle storicità, come primo fra tutti
osservò il Ferrari, manca affatto nel Montesquieu; e
manca in lui, come tutti oggimai ritengono, il compi-
mento razionale filosofico; vi mancano insomma i prin-
cipii, 0, per dir la parola che usano gli stessi Francesi
a tal proposito, vi manca il carattere détta raziofialità.^j
L' ultimo libro nel quale si parli cou serietà scien-
tifica del nostro filosofo, è quello del De Ferron, inge-
gnoso e abilissimo scrittore. Nessun francese meglio dì 1
lui ha saputo cogliere il significato razionale della Scienza I
Nuova, comprenderne il metodo isterico, e pome l'autora
in quel seggio che gli spetta fra i pensatori dell' evo
moderno. Tracciata la storia dell'idea del progresso,^'
egli entra a discorrer su la scienza de' fatti storici
qual' era concepita prima del Vico, sul Diritto Romana
rispetto alle dottrine di lui, su la Scienza Nuova di
fronte alla critica moderna, e con erudizione eletta,
acconcia, sobria e non affollata, prende a trattare la
' Il Canuignani dice benissimo dove affernia che il metodo del Mon- )
tesqaien rassomiglia al microscopio, in mentre che quello del Vico rende
imagine del telescopio. (Storia della FU, del Diritto^ lib. III.) Che poi il
difetto di razionalità costituisca la parte debole deiropora del filosofa
francese, è cosa ormai detta e ridetta e provata fino dal secolo passato,
e confermata sempreppifi dai moderni. Non potendo trattenerci in questi
particolari, rimandiamo i lettori al giudizio che in proposito danno i
seguenti scrittori, e che torna conforme al nostro espresso poco fa: Duxi,
Saggio mila Giuritpr. univ., pag. 57. — FlLAKOlRRI, Se. della Legialaz.^
lotrod. — MaCKINTOSH, Vige, nur Vétude du Droit de la nature, ec. pag. 22,-t
— RoTTBSKAg, Emil, 1. V. — Fra i moderni poi cons. Lebminirr, Biat,^
ginér, oc, pag. 1 75. — Barkt, Hiwf. dea idéen morale» et politiquea en
France en XVI JI Siede. — Jakrt, Hiat. ec. yol. II, pag. 516. — DaFAO,^;
De la méth. d*olaervation aux aciencea mor. et poi.,, pag. 860, nota XL.
Qneit* ultimo anzi dice mancare affatto nel Montesquìon una teorica.
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150 STORIA DELLA SCIENZA HUOYA. [lIB. I«
quistione su Tetà dell'oro, e l'altra su T orìgine e sul
valore de' poemi Omerici. Il buon senso del De Ferron
nel saper rilevare in siffatte quistioni il merito del no-
stro filosofo a me sembra davvero mirabile. Con dirit-
tura di giudicio intende la relazione fra il diritto civile
e '1 diritto filosofico ; e con tal chiave nelle mani riesce
ad interpretar debitamente la storia ideale che l' autore
della Scienza Nuova seppe cogliere nello svolgimento del
gius romano. Uno per lui è il sistema del Vico; onde le
due Scienze Nuove non sono da riguardarsi altrimenti
che come detix rédadions éCun ménte sujet: al che do-
vrebbe por mente il nostro Cantoni. Ritiene egli pure
che lo Champollion non discoprisse, bensì confermasse
pienamente la dottrina del Vico su la storia della scrit-
tura, tale essendo infatti la triplice scrittura egiziana
geroglifica, jeratica e demotica. Dimostra ch'egli prima
d'ogn' altri ritrovò e compose in armonia parecchie
dottrine accettate oggi e rassodate difinitivamente dalla
scienza, quali sono, per citarne qualcuna, la formazione
del dramma satirico riguardato come sorgente d'ogni
poesia drammatica, l'anteriorità del linguaggio poetico
al linguaggio prosaico, e simili. Da ultimo fa rilevare
come, non contento d' avere scoperto la legge secondo
cui si vanno svolgendo nel corso isterico le grandi ci-
viltà nonché le forme semplici del reggimento politico,
profondasse la mente nel ricercare e determinare il
carattere d' un' epoca anteriore alla città ed alle ari-
stocrazie feudali, epoca che costituisce appunto l'età
divina. La quale osservazione, fatta da un francese,
dovrebbero oggimai spassionatamente meditare i posi-
tivisti francesi che non rifiniscon di celebrare la sco-
pei'ta della legge sociologica del loro maestro!
Ma nel De Ferron incontriamo riflessioni che non
ci è venuto fatto ritrovare in verun critico. Base della
città, die' egli, fondamento del formarsi delle nazioni
per r A. della Scienza Nuova non è Y istinto della so-
ciabilità, come credevano i giusnatnralisti suoi contem-
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CAP. y.] INTERPRETI FILOSOFI. 151
poranei. Se tale istinto può aver creato la iaiiiiglia e
le tribiì, non però basta a fondar la città , non riesce
a condurre un popolo ad una data costituzione poli-
tica. È necessaria dunque una l'orza estrinseca, senza
cui r uomo rimarrebbesi nello stato pastorale. Ora co-
tal forza estrinseca e tutta naturale consiste nel fatto
del successivo migrare delle tribù da alcuni centri; nel
loro successivo aggrupparsi in dati luoghi; nel fissare
lor sedi, ond' è resa possibile l'agricùltura; e finalmente)
nel fatto delle conquiste, le quali hanno virtù di creare
e rendere sempre più stabili e quasi organiche le na-
zioni sedentarie. Tutto questo, dice benissimo il De Fer-
ron, scaturisce a fil di logica dalle dottrine del Vico.
Diciamolo ora con parole nostre: T organismo sociale,"'
la società, è da natura; è nella natura: l'organisiifo dello
Stato, in vece, è sottoposto a processo ; questo processo
tiene ad arte; ma quest' arte è fondata aqch'ella in na-
tura. La relazione storica, dunque, ecco il concetto del
Vico che il De Ferron ha interpretato a meraviglia.* ,
Altra osservazione assai notevole parmi questa. Non
v'è stato né v' è, die' egli, chi i;on abbia celebrato il
filosofo di Napoli qual padre della filosofia della sto-
ria; mais on se garde d'exposer sa méthode historique,
aristoteliemie, i cui principii son oggi venuti applicando ,
in diverse ricerche storiche il Macaulay, il Michelet, il
Guizot.' Con queste parole il De Ferron mostra d' aver
pienamente compreso il metodo della Scienza Nuova;
metodo essenzialmente aristotelico, checché ne abbian'
detto e si piaccian dire certi hegeliani. Ed ecco per-
ché egli s' allontana da parecchi altri critici nell* ap-
prezzare il concetto vichiano sul progresso ; rispetto al
quale consente con Y anonimo traduttore francese, col
Tommaseo, con lo Spaventa e con altri, per citare qui
' È uno de' principii su' quali è fondata la Sociologia del Comte e
ch'eglif spesso appella contenBo, cospirazione {Coum de PhiU posity voi. V).
Sarà anche questa una scoperta del Positivista francese?
* Db Ferron, Op. cit. Voi. I, pag. 137, 107.
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152 STOBIA DELLA SCIENZA NUOTA. [UB. L
tre nomi che, quantunque discordanti nel resto, con-
vengono ciò nondimanco nel credere che nel Vico esista
r idea del progresso. E a chi neghi o dubiti che cote-
sto concetto ritrovasi nella Scienza Nuova, il De Fer-
ron è pronto a rispondere: cela parati impassible a
PRIORI, car le progrès décovUe de son sy stèrne; mais
en otUre U le prodame formellemeYU} Si dirà che il
Vico non vide 1' elemento, la molla principalissima del
progresso, cioè la trasformazione dei rapporti econo- <
mici fra i popoli? Ma lo scadimento, il ritorno della
barbarie, sopra cui tanto insiste il nostro filosofo e per
cui rendesi necessaria un' invasione, non sono forse (ri-
sponde quest' egregio critico) altrettanti mezzi, altret-
tante condizioni di progresso? Come si vede, tutt'i giu-
dizi del De Ferron riescono assennati, opportuni, pieni
di verità, e e' invoglia ad accennarne qualcun altro.
Egli paragona il Vico al Cuvier, e la Scienza Nuova
par che gli renda immagine della geologia; per cui non
dubita affermare, che la critica moderna sia stata creata i
dal filosofo italiano. Perocché cotesta critica è quella che
debb' essere ; cioè non assolutamente obbiettiva, ma sub-
biettiva altresì, stantechè ad apprendere il passato e
comprender la vita della storia non solo sia mestieri
d' investigarla, ma di sentirla eziandio. Or s' egli è così,
l'ingegno critico e storico non deve assumer necessa-
riamente una forma artistica?* Discorrendo inoltre del-
l' età dell' oro, la quale col metodo inaugurato dal Vico
non è altrimenti possibile immaginarla dietro ma in-
nanzi a noi, conclude con questa notevole sentenza:
* Voi. cit. pag. 138. Questo infatti proclama il Vicopiìie piti volte;
o basti leggere, per esempio, il titolo doir ultimo Oap. della Seienta
Nuova^ VAAMtoma F/, e la Concloiione, in principio della quale egli accenna
alla quarta specie di Repubblica cui allude Platone.
* E tale è yeramon te l'ingegno del Vico, come hanno osservato se-
gnatamente il Tommaseo e il Lcrminier con tratti pieni di verità e di
1 eloquenza. {Introd. gin. à VUUt. du DroU. Bmxelles 1830, pag. 278.) No-
tevolissime poi le parole colle quali il Manzoni scolpisce T indole dello
ingegno Vichiano {Due, tuW Adelchi^ 213), nonché i giudizi del Parma e*^
del Canal. — Vedi nel Tommaseo, Studi CWa'ei, p. 117.
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OAP. y.] INTIBPRBTI FIL08011. I5S
« Se àUro servigio non avesse egli reso tranne quello di
liberarci daW argomento che serve di base e di pretesto \
ci socicdisìno utopista e al Cesarismo (eh' è ttM uno)t
per questo sólo bisognerebbe riguardarlo cmne uno de' più
grandi benefattori deh' umanità.^ » Notiamo finahnente
la risposta eh' egli indirizza a coloro i quali rimpro-
verano il Vico d' avere spogliato la storia della sua
poesia, e allontanatala dall'ammirazione verso le grandi
cose e gli uomini grandi. Il Vico fu il primo a spiegare
la storia mercè l' attività di tutti gli-^uomini, delle mol-
titudini, del senso comune. Come i vecchi poeti su la
scena tragica, così i vecchi storici su la scena del mondo
altro non sapevano presentarci fuorché principi e im-*
peratori: ma il Vico è il grande introduttore de' popoli
su la scena della storia; egli ha scoperto la dottrina che
sóla può fondare la democrazia, mostrando i suoi giusti
diritti nel governo dd mondo} Di quest' ultima e bellis-
sima interpretazione noi terremo conto nella Sociologia.
La critica del De Ferron su la dottrina del Vico
riguardante Omero e i poemi Omerici, non è men vera
e, per le conseguenze che ne sa trarre, invincibile. Le
. analisi e le notizie intomo agli studi fatti sopra tale
argomento dal 1780 ad oggi, per quanto brevi, sono al-
trettanto piene ed esatte. Fra le altre cose chiarisce
molto acconciamente questo punto; che il Wolf non co-
nobbe altro che una parte della grande quistione su Tori- .
gine de' poemi Omerici, appunto perchè volle trattarla
sotto l'aspetto esclusivo della letteratura greca.' Non
sono i critici seguaci del Vico (egli osserva acutamente)
che oggi debbono dimostrare la impersonalità d'Omero;
sono per contrario i seguaci d' un Omero individuale che
han da farci vedere come mai sia possibile cotesto Omero
di fronte alle epopee nazionali ed essenzialmente popo-
lari scoperte e analizzate in questo secolo. Ma il critico
• Db Fbbron; Théor, du prog, VoL cit. pag. 198.
• Idem, eod. Pag. 229.
• Pag. 209.
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154 STORIA DBLLA 80IBNZA NUOVA. [lIIU I.
francese non avv.erte un' altra ragione ond' al Wolf non
riesci comprendere tutto il valore della dottrina del Vico
sopra Omero, la quale noi additeremo in altro capitolo.
Tutte queste ed altre cose detteci oggi con tanto giu-
dizio dal De Ferron, in Italia sapevamo già. Dei grandi
meriti del nostro filosofo mai non v'è stato fra noi chi ne
abbia dubitato, tranne qualche losco hegeliano, come ve-
demmo. Non pertanto abbiam voluto riferirle perchè,
rammentate da un illustre e vivente scrittore francese nel
quale il buon senso è pari all' erudizione e alla dottrina,
a noi torneranno piii gradite, e certo men dure e piii vere
agli orecchi de^li stranieri.
Il Vacherot è stato 1' ultimo francese che abbia ac-
cennato al Vico, e lo ha fatto con quella nettezza ed
eleganza di linguaggio eh' egli sa adoperare in tutte le
sue scritture. La Scienza Nuova; ecco il titolo (egli
dice) che davvero si conviene all' opera del Vico. Il fine
segreto a cui egli mira è quello di ritrovar V immuta-
I bile 'nel variabile, V unità nella diversità, la legge nel
fatto. L^idea fissa del Vico, in altre parole, è quella pre-
cisamente di rinvenire negli annali del mondo questa
legge; onde poi da una parte scaturisce la necessità del
metodo comparativo, e dall' altra, cQme risultato, la legge
delle tre età.^ Senonchè il Vacherot vuol che il filosofo
italiano abbia a dividere la sua gloria col Montesquieu,
perocché entrambi questi filosofi a lui sembrano seguaci
dello stesso metodo, dell'osservazione. Innanzi tutto qui
è da notare un progresso tra il Franck e il Vacherot;
• perchè se l'uno, come s'è visto, dichiara superiore il
'Montesquieu al Vico, 1' altro si ristringe a metterli alla
pari. Ma l'autore del libro su lo Spirito delle Leggi
non ha forse ben altri titoli a cui possa pretendere? E
d'altra parte il metodo dell'uno è egli tale da confon-
dersi con quello dell'altro, come dianzi abbiamo detto
parlando del Franck?
* Vaohibot, Seienee et Cotueienee. Paris, 1870.
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I
€AP. yi.1 CONCLUSIONE.
Ci piace conchiudere con una sentenza del De Ferron,
della quale brameremmo che i lettori prendessero nota
per quando verremo a trattare il problema sociologico.
La Scienjsa Nuova^ egli dice, è una rivelcusione nella poli- *
tìca, ndla filosofia^ nella storia, nelle arti^ Ed è veris-
simo. Questo libro, che dicemmo rappresentar la vera
forma dell' ingegno italiano ed esser tutto cosa nostrana,
è, per cosi dire, un poema: è il poema della storia.
Cosi abbiamo creduto sempre e sempre ripetuto noi altri
italiani, a cominciare da Vincenzo Cuoco che primo di
tutti con tal nome ebbe a designare la Sciefusia Nuova,
fìno a Giuseppe Giusti che in un sonetto ne ritrasse \
r intimo significato profondamente poetico. Ma è un
poema di fatto; è un poema che si fa: poesia vivente
nella quale ci è dato assistere al trionfo del pensiero,
al trionfo della personalità così degl' individui come I
delle nazioni. Potrebb' esser dunque tutto un empirismo
cotesto libro? E il metodo col quale è condotto, potreb-
b' esser un metodo puramente positivo e grettamente
storico al modo che questa parola vien intesa oggi
da' più? Dove sono e quali sono, dunque, i suoi principii?
Capitolo Sesto.
CONCLUSIONE.
Disegnata così a fuggevoli tocchi la storia della
Scienza Nuova, e fatta rapidamente la critica degli
scrittori che, sia di proposito, sia per incidenza hanno
parlato intorno alle dottrine del nostro filosofo, veniamo
alle conclusioni. Dissi già che di tutti non avrei potuto
né voluto discorrere, perocché non tutti ne valevan la
pena, né tutti importavano al mio disegno; e poi non
mancai d' avvertire che neanche di ciascuno avrei fatto
* Db Frrkox, Op. cit., voi. cit., p. 232
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i 8T0BIA DELLA SOIENZA NUOTA. [LIB. I.
la compiata esposizione, stantechè mi premesse toccar
diamente di certe sentenze e di certe interpretazioni
/ conclusioni atte a farmi rilevare il significato e il
valore e la continuità della critica circa il Vico, facen-
dola servire perciò ai fiiù. del mio libro.Jfea questi fini
non era ultimo quello d* accennare con siffatto spediente
alle dottrine del filosofo napoletano. Al qual proposito
mi sia permesso ripetere anche qui, che uno studio
monografico ed espositivo circa tale autore, a me, come
ad altri, sarebbe riuscito non più che una pedanteria,
sia considerando l'infinito novero di sì fatti lavori crì-
tici espositivi, monografici, sia guardando alla natura
stessa delle opere, all' indole delle dottrine, nonché alla
,rforma speciale della mente di lui. Le sue teoriche filo-
; sofiche non costituiscon di per sé stesse, a dir proprio,
un sistema; formano bensì un corpo di dottrine, non
però svolte, determinate, organate in unità ra/àonale,
ma frammiste ad elementi eterogenei. Infruttuosa, dun-
que, e al tutto inutile sarebbe stata una trattazione
monografica di esse. Ma, d' altra parte, se è vero che
elle son venute assumendo, come s' è visto, certo valor
sistematico nella mente e nelle scritture de' suoi seguaci,
imitatori, oppositori, critici ed interpreti; panni che
l'aspetto più profittevole, il modo più utile, positivo e
fors'anco nuovo d'esporre i concepimenti originali del
filosofo napoletano, fosse quello appunto di guardar le
dottrine, la mente di lui, nel suo reflesso; guardarla,
^er così dire, attraverso il pensiero altrui, attraverso le
differenti esplicazioni de'^ critici: di guisa che maritando
la nostra critica con quella degli altri, potessimo venir
capaci di ripensarle in noi medesimi, e con le nostre
proprie ispirazioni ricreare e quasi rinverdire e compier
nella nostra mente le originali sue divinazioni, mo-
strando, come tosto faremo, in che maniera egli avrebbe
pensato con la sua mente, e in qual modo avrebbe
adoperato le sue medesime industrie metodiche se
oggi vivesse. Ecco giustificata, non. pur la necessità,
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CAF, VI.] 00H0LU8IONI. 157
ma la forma altresi di questa prima parte del nostro
lavoro.
Or che cosa è da argomentare da questa rapida
storia e da questa breve critica fatta sin qui? Due cose,
panni : 1* il valore e Y importanza dimostrata sempre ,.
più chiara nelle dottrine di questo filosofo ; 2« la posi-
zione speciale della nostra critica rispetto a quella degli
altri, e di fronte alle dottrine stesse del Vico.
Le ti'e differenti classi di scrittori che abbiam visto
succedersi e occuparsi del nostro filosofo nei tre diversi
periodi sin qua discorsi, ci mostrano come per ispazio
dintorno a un secolo e mezzo, tanto in Italia quanto
fuori, non pur la stima e V amore, ma, che più rileva,
il senso critico e i risultamenti della critica sien venuti
crescendo vie più nell'animo e nella mente di tutti.
Filosofi d'ogni scuola ne han pariate: razionalisti e
cattolici, materialisti e spiritualisti, sperimentalisti e
idealisti, teologi ed hegeliani. Molti han creduto poterlo
invocare interprete, chiamarlo auspice del proprio siste-
ma ; molti segnalarlo come inauguratore d' un peculiare
indirizzo speculativo. Abbiam visto poi scrittori d'ogni
genere e d' ogni valore encomiarlo vivamente ; e letterati I
€ giuristi, naturalisti e storici, stranieri e nostrani salu-
tarlo pensatore potentemente originale. Tutti se ne sono
occupati ; se ne occupano ; si che neanc' oggi la critica cessa
di ricercare nel profondo pensiero novelli aspetti, lumi
nuovi, e nuove e peregrine divinazioni. Ci sarà dunque
lecito chiedere (uè tale domanda parrà vana e puerile,
né superba) se possa per avventura sembrare effetto
di meschina boria nazionale il segnalare oggi l' autore
della Scienza Nuova come il nostro Cartesio, il nostro
Kant, il nostro Socrate, caposcuola della scienza e della .
moderna filosofia italiana ? Non ce ne porgon diritto gli '
studii critici che abbiam vista succedersi e incalzarsi
pel non breve spazio di cencinquant' anni ? Questo
quant' alla prima considerazione. Veniamo alla seconda.
Ne' tre periodi ne' quali abbiam diviso la storia della
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158 STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. T*
crìtica su le dottrine del Vico, non pur ci sembra occul-
tarsi un legame logico, ma esser evidente altresì una
successione progressiva, rispondente air ordine cronolo-
gico secondo cui son apparsi gli scrittori de' quali s' è
parlato. E invero, nel primo periodo predomina T imita-
zione, nel secondo prevale la critica erudita, in mentre
che nel terzo primeggia l'interpretazione filosofica. Que-
• sta progressione è generale, in quanto che risgufirda
;non pur le idee storiche o giuridiche od etiche del no-
'stro filosofo, ma le dottrine metafisiche altresì. 11 Duni
e il Franck, per dime una, toccano entrambi de' suoi
principii giuridici. Ma quanto non è diversa la stima
eh' e' ne fanno? Qual progresso fra la critica del Tonti
e quella del traduttore anonimo francese della Scienza
Nuova? fra il Pagano e '1 De Ferron? tra le interpre-
tazioni del Filangieri e quelle dell'Amari? fra le censure
dell' lannelli e quelle del Ferrari, od uno dei filosofi
del terzo periodo? La medesima differenza progressiva
scorgiamo fra gli oppositori. Il Finetti e il Romano,
per esempio, son gli oppositori nel primo periodo; op-
positore anche il Romagnosi, appartenente al secondo
massime nelle sue Osservazioni alla Scienea Nuova;
oppositore altresì '1 Vera che appartiene al terzo. Ma
l'esigenza della loro opposizione è infinitamente di-
^ vei*sa. Nei primi è al tutto empirica e grossolana, ed è
j sostenuta dalla fede e dal principio d'autorità; nel se-
1 condo s' eleva sì che assume certa forma razionale o,
se vuoisi, di buon senso ; nel terzo, finalmente, cotesta
opposizione attinge valore di speculazione propriamente
filosofica, tanto da negare al Vico una metafisica. La
stessa diflerenza poi fra gli autori di un medesimo
periodo. Ci è divario, per esempio, fra la imitazione
dello Stellini, e quella del Duni ; molto piii fra la imi-
tazione del Pagano, e quella del Filangieri nel primo
periodo. Che se il Foscolo accenna ad un risveglio della
coscienza critica circa le dottrine del Vico schiuden-
done perciò il secondo periodo, eli' è come V ombra
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OAP. yi.J OONOLUSIONS. 159
che precede la persona, in quanto che tale critica si
allarga sempre più per opera di lannelli, del Ferrari,
del Predari, del Tommaseo, e via segui. Finalmente il
modo col quale nel terzo periodo ne tratta, per esem-
pio, il Mamiani del Rinnovamento, non è quello del
Rosmini; né la maniera con che ne parla il Roveretano
potrà mai esser confusa con quella onde ne discorre
lo Spaventa.
Un certo vincolo, adunque, ed un progresso in questi
autori parmi evidente; e tal progressione è racchiusa
nelle tre parole che siam venuti adoperando nel desi-
gnare il carattere de' tre periodi; esigenza d' imitazione,'
di critica semplicemente detta, e d'interpretazione o-
critica filosofica. Ecco le tre fasi cui è andato soggetto i
il pensiero del nostro filosofo. Col che non si pretende/
già che tutto sia imitazione nel primo periodo, e tutto
critica nel secondo, e pura interpretazione nel terzo.
Coteste tricotomie così rigide, misurate e geometrica-
mente disposte, noi volentieri lasceremo agli hegeliani
che tanto ne abusano. Si pretende bensì che uno di
questi caratteri prevalga in ciascun periodo; nel terzo
de' quali Y imitazione e la critica rìveston significato
propriamente filosofico. Or quale sarà la conseguenza
legittima che dovremo traiTe da questo discorso?
La conseguenza mi par facile e chiara. Se è vero
che il pensiero, storicamente considerato, non è opera
vana, sterile e quasi un lavoro penelopeo; se è vero
che la storia, comunque la si riguardi, è un processo
onde la mente nostra non si può stralciare né in modo
alcuno prescindere, stanteché il presente si rannodi col
passato e ne scaturisca; se è vero, da ultimo, che in tanto
la critica riesce feconda e la scienza mostrasi progressivn,
in quanto sappiano entrambe giovarsi del passato, vuoi
raccogliendo i buoni frutti di chi ci ha preceduto nel-
r indagine del vero, vuoi legittimando e compiendo i
risultamenti cui si è pervenuti, od anche schivando gli
errori ai quali per avventura siasi inciampato: ne se-
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160 STORIA DBLLA 80I8KZA «UOVA. [UB. !•
guita che, per necessità logica e storica, la forma
ideila nostra critica ha da rivestir carattere e natura
^filosofica, diventando critica razionale, critica vagliatrice,
interpretazione liberamente metafisica. Se non che, le
maniere onde può esser condotta cotesta interpretazione
posson esser divei*se, e perfino opposte fra loro. Filosofi
cattolici, infatti, ontologisti, psicologisti, hegeliani, po-
sitivisti, come vedemmo, credono interpretare con di-
rittura e sincerità il pensiero del Vico, dovecchè in
sostanza non riescono ad altro che al teologismo, al
tradizionalismo, all'idealismo assoluto, all'empirismo,
al nullismo, tanto in filosofia quanto nelle applicazioni
di essa, adoperando un magistero critico non di rado
esiziale, spesso erroneo, sempre infedele verso V autore
che studiano. Fate d' interpretare, a mo' d' esempio, i
sommi pronunziati di questo filosofo co' criteri del Gio-
berti, del Rosmini, del Tommaseo, dell'Amari, del CJonti,
del Fornari, e simili : egli perderà tosto l'originalità che
lo distingue; sì che vi avrete dinanzi l'uomo vecchio,
vi avrete lo scrittore, tuttoché ingegnoso, delia tradi-
zione cattolica; e la Scienza Nuova altro per voi non
sarà, che una filosofia in senso teologista, ortodosso, cat-
tolico, secondo ch'ebbe a dire quel cardinale cui il po-
vero Vico umiUò (disgraziato!) il suo libro. Studiatevi
d' interpretarlo co' criteri dell' Idealismo assoluto, come
fan gli hegeliani; e ne avrete sformato, anzi radiato ad-
1 dirittura ogni nativa fisonomia, sì che la Scienza Nuova
agli occhi vostri assumerà forma assolutamente specula-
tiva; sarà una filosofia dello spirito fabbricata a ^^^iorì;
sarà una scienza della storia condotta a furia di metodo
^.dialettico. In entrambo i casi, io domando, che cosa di-
venterà nelle vostre mani la mente del filosofo napole-
tano? Una delle due: ella diverrà schiava del Teologismo,
ovvero ancella dell'Idealismo assoluto; nell'un caso vi
si presenterà povera d'ogni originalità; nel secondo man-
cante di verità. Interpretatelo, invece, con una critica
puramente erudita, mezzo storica e mezzo speculativa.
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OAP. VI.] CONCLUSIONI^ ^ 161
com'è quella di lannelli, o del Romagnosi: ne saprete
rilevare così molti pregi, ne scoprirete molte magagne,
ne porrete a nudo molte manchevolezze; ma certo non
giugnerete ad imprimere forma razionale ai principii
su'quali si regge la Scienza Nuova. Che se, finalmente,;
vorrete provarvi d'interpretarlo con le norme d'una-
critica fiacca e slombata e puramente analitica, cioè-
co'criterii del positivismo, come avrebbe inteso di farei
il Cantoni, o peggio ancora con le ispirazioni d' uno scet-l
ticismo sistematico secondo che ha fatto il Ferrari o fa-
rebbe il Franchi, avrete annullato medesimamente il
pensiero di questo filosofo. Il quale perciò si presenterà
com' una follia per i contemporanei, com' errore per i
posteri, come anomalia per lo storico, come ingegno de-
caduto pel critico, come contraddisnone puerile pel posi-
tivista, mentre agli occhi di tutti non sarebbe altro che
anacronismo vivente, energia senaa scopo, genio sema
popolo, come precisamente ha detto il Ferrari.
Col Teologismo perciò tale interpretazione critica rie- ,
scirà inevitabilmente dommatica, tradizionale, eunuca, in-
feconda e cieca. Con TldeaUsmo assoluto risulterà anche
dommatica, e di più unilaterale, esclusiva, infedele, e, ;
quant' ai resultati, vi getterà nell'abisso d'un meccanismo
ideale, nel buio desolante d'un ideale fatalismo. Final-
mente con lo Scetticismo, qualunque ne sia la forma e la
natura e la gradazione (critica pura, metodo critico, posi-
tivismo), siffatta interpretazione tornerà povera, sterile,
inconcludente, negativa, assolutamente nulla. Dunque
nessuna di queste tre maniere di critica può elevarsi
a valore davvero positivo, e positivamente razionale.
Le son misure e strettoie incomportabili, in mezzo a
cui la mente del nostro filosofo restando, a dir così,
affogata e strozzata, non può non ribellarsi, e non isfug-
gire ad ogni magistero di critica che non sia efficace,
comprensiva, feconda, seriamente filosofica, e mode-
stamente metafisica. £ dove non fosse così, che cosa
avremmo nell'autore della Scienza Nuova fuorché un
MCILIAM. H
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162 STOBI A DBLLA SGIKNZA NUOVA. [UB. I.
fiacco hegeliano, od un positivista meschino, ovvero un
ontologista vaporoso , o , peggio ancora , un teista
grossolano?
Stringiamo, dunque: a tre patti, e solamente a que-
sti tre patti, sembra a noi che la interpretazione cri-
tica del nostro filosofo possa attingere un valore legit-
timo, ed un significato razionalmente positivo:
!• Interpretando le sue dottrine così ch'elle non si
abbiano a contraddire e distruggere a vicenda formando
fra loro quasi una massa inorganica ed eterogenea, come
abbiam visto accadere ai teologisti, agli ontologisti, ai
filosofi cattolici in generale:
T Interpretarle rì fattamente, che non si giunga
a disformare in guisa il pensiero di questo filosofo, da
trasfigurarne o scancellarne ogni naturale e propria fiso-
nomia, come incontra pur troppo agli hegeliani;
3» Finalmente guardarci dall' interpretarle in guisa
al tutto empirica; nel qual caso verremmo a negar loro
ogni valore di speculazione metafisica, come per l'ap-
punto avviene ai critici puri, agli scettici, ai positivisti.
f Brevemente: cotesta interpretazione non può esser
! ne assolutamente dommatica, né assolutamente scettica ;
j ma scettica e dommatica insiememente. Vuol esser cri-
1 tica rintegratrice, critica organica, e tale che sappia in
un medesimo tempo conseguire tre cose: districar l'au-
tore da' viluppi di certe grossolane contraddizioni la più
parte religiose; liberarlo dalle pretensioni esclusive e
dommatiche d'una speculazione campata a mezz' aria; e,
finalmente, salvarlo dallo spirito negativo d' una critica
puramente erudita, o d'una critica da positivisti. La
necessità di queste tre condizioni a me sembra evidente.
Ella non pure sgorga legittima da tutta la storia sin
qui tracciata della Scienza Nuova, ma ci è poi guaren-
tita dalla ragione stessa, come in uno de' prossimi ca-
pitoli vedremo. Intanto facciamo di dare un primo passo,
presentando con brevità e come in una sintesi la spe-
culazione del nostro filosofo.
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OAP. Yl.\ CONCLUSIONE. 163
Tutte le idee del Vico parmi si possano assommare
in due concetti originali; il primo de' quali costituisce
il sustrato, il cardine della Scienza Nuova, mentre il
secondo forma la sostanza delle opere latine, segnata-
mente del Libro Metafisico. Questi concetti originali
sono:
!• r aver mostrato una legge conlbrme cui procede
il corso de' fatti umani e storici, ponendo in opera il
metodo non puramente isterico, ma storico-psicologico:
2*' l'aver dimostrato cotesta medesima legge; cioè
mostratala razionalmente, idealmente, avvalorando così
la prova istorìca mercè la speculazione filosofica sul
processo e costituzione dell'essere in universale.
In una parola: l'aver mostrato un fatto, e T averne
dimostrato Videa; che vuol dire, aver saputo scorge^f
l'idea nel fatto, schivando gli errori del teologism^
e dell' idealismo assoluto : ecco per l' appunto la novità
del filosofo napoletano. Molti scrittori di cui s' è discorso
han veduto più o meno esattamente l'importanza del
primo concetto ; e, facendo giustizia al filosofo di Napoli,
non han dubitato attribuirgli l'onore della scoperta,
checché ne dicano i GomtianL Ma nessuno, quant' io
sappia, ha' pur sospettato com' in lui esista anch' il
secondo, dal quale rampolla propriamente la vera di-
mostrazione che rinfianca, rassoda e legittima il primo.
Spieghiamoci in altre parole. La Scienza Nuova rac-
chiude il processo della storia; e propriamente parlando
ella contiene lo svolgimento della storia naturale del-
V umanità. Ma, a guardarlo con occhio superficiale,
cotesto processo parrebbe difettoso ne' suoi estremi, cioè
nel suo principio e nella sua fine. Intendo dire che la
Scienza Nuova appar manchevole nell' indagar l'origine,
e nel determinare il fine del genere umano. Se non che,
a guardarci bene addentro, e' son difetti codesti affatto
apparenti; difetti, se vogliamo, deUa Scienza Nuova
considerata qual libro d'applicazione d'una teorica, non
già nella mente di chi la concepì e di chi la scrisse.
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164 STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [UB. L
Nella mente e nelle altre scritture di questo filosofo
può rintracciarsi la risposta tanto all' uno, quant' al-
l' altro quesito : e noi potremo e dovremo tramela per
necessità logica. La Scienza Nuova quindi abbisogna delle \
opere latine, non essendo ella altro se non l'esplicazione
empirica, sperimentale, concreta, storica del secondo
de' due concetti rammentati poco fa. Il quale perciò è
presupposto sempre dalla prima all'ultima pagina di
quel libro, e quindi sarà mestieri saperlo speculare nel-
r insieme delle sue dottrine, divinarlo, ricostruirlo, rior-
ganarlo e vivificarlo a quel modo che nel regno zoolo-
gico farebbe un moderno Cuvier col soccorso d' una tibia,
d' un femore, d' una mascella, d' un cranio. E innanzi
tutto gioverà qui toccar rapidamente del carattere pro-
prio dell'ingegno e delle opere del Vico, per indi ac-
cennare, nei capitoli che seguiranno, alle relazioni che
pur esiston tra lui e la filosofia del suo secolo nonché
quella de' nostri giorni.
Considerare la genesi della mente del Vico in quattro
fasi, in tre periodi, in tre o due momenti, come abbiam
I visto fare da alcuni critici, non solo ò metodo artifi-
ziale, ma inutile e anch' erroneo. Per una simile divi-
sione il Ferrari giugne quasi a vedere nel pensiero di
lui fatalismo e cieca necessità: e forse di cotesto fata-
lismo e di cotesta necessità avrà egli scòrto qualche
traccia fin nelle lettere al padre Solla e al monaco Giac-
chi ! Una divisione a periodi, per esempio quella del Can-
toni, è altrettanto artifiziale quanto erronea. Di fatto,
nell' ultimo perìodo, come dicemmo, altro egli non sa
vedere tranne che un decadimento di quell' ingegno so-
vrano ; decadimento quando per l' appunto ei concepisce,
rintegrandolo, il disegno della seconda Scienza Nuova 1
Ma se decade nella seconda, non è già beli' e decaduto
anche nella prima, ammesso che, come vedemmo, con
r autorità del medesimo Vico, nessun divario essenziale
di principii corra fra l'una e l'altra? Regola generale:
se cotesto divisioni fosser vere, ciascuna fase dovrebbe
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OAÌ». YI.] CONCLUSIONE. 165
mostrare un carattere speciale, ciascun periodo do-
vrebb' esser determinato da una forma peculiare. Or
questo appunto nel Vico non si verifica in modo al-
cuno. Nel Libro Metafisico son evidenti i germi del
Diritto Universale; come nel secondo libro del Din^o(
Universale, massime nel capitolo XII, abbiamo intera,
benché in germe anch' essa, la Scienza Nuova : al modo
istesso che nell' orazione su la Ragion degli studi ci è I
i segni d'un novello metodo della giurisprudenza, il
quale poi assume significato più complesso, e valore
essenzialmente comparativo nel De Constantia jurispru- »
dentiSj come fra gli altri ha saputo rilevare V Amari.^
Non fasi, dunque, non periodi, non momenti nello
svolgersi del suo pensiero; e quindi non fatalismo nella
sua mente, né diversità essenziale di principii nelle sue
diverse opere. Ripetiamolo anche una volta: l'ingegno
del Vico è processo, é svolgimento; ma processo con- \^
seguente a sé stesso, svolgimento che s'allarga bensì e
riveste forma vie meglio determinata, ma senza negarsi
e contraddirsi e annullarsi nei pronunziati filosofici fon-
damentali della sua metafisica. Niuno quindi può aver
diritto d' affermare eh' ei cangiasse nelle sue dottrine ;
ma tutti abbiamo ragione di pensare ch'ei si cor-
reggesse e compiesse per propria virtii. Chi é che potrà
aver buono in mano per credere eh' ei negasse addi-
rittura tutt' un ordin d' idee per abbracciare un altro
affatt' opposto e contrario? Nella febbrile e profonda
ed ignorata agitazione del suo pensiero egli corresse e
compiè se medesimo depurando le proprie idee da certe
forme eterogenee, estrinseche, accidentali, secondarie ; le
quali se ciò non pertanto accompagnaron sempre la sua
coscienza cattolica, non rispondevano certamente né al-
l'insieme deUe sue dottrine, né all'esigenza vivace del
suo metodo, né al bisogno acutissimo in lui deUa stori-
cità. Solo in questi limiti ha luogo lo svolgimento, e, se si
vuole, il cangiamento del suo pensiero. Sbaglia grossa-
mente perciò chi ha detto che, ove quel filosofo tor-
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166 STORIA DILLA SCIENZA IXVOYA. [lIB. I.
nasse a vivere oggi in pieno secolo decimonono, e' sa-
rebbe uno schietto e fervido hegeliano, come pur troppo
s' è detto e si ripete del povero abate Gioberti. Cotesti
critici a quattro quattrin la calata, cotesti facili mani-
polatori delle convinzioni altrui e dell' altrui coscienze,
non han riflettuto, non riflettono, come tra la necessità
(evidentissima nel Vico) di superar la coscienza religiosa
rompendo e trascendendo i legami d' una cieca fede, e
r indossar la cappa magna d' Idealista assoluto, ci corra
davvero un abisso! AgU occhi di costoro par che non
esista per nulla al mondo questo salutare principio:
che se Y onestà è necessaria in politica e in religione,
altrettanto necessaria ella ha da essere anch' in filosofia.
Talché quell'andazzo di certuni, oggi tanto corrivi e
inchinevoU a vedere in altrui quel che sono stati o
sono essi medesimi distinguendo in un filosofo un primo,
un secondo e un terz' uomo (ciò eh' ei dicon maniere di
filosofare, quasi che si trattasse di pittura o di musica!),
senza fallo dee farci argomentare una di queste due
cose: 0 leggerezza di speculazione, o disonestà. Questo
non ha luogo nel Vico. In filosofia ei non fu né debole
e cangiante come i colori dell' iride, né disonesto. Non
fu una giubba rivolta, per usar qui la frase del Giusti.
E dopo questa tirata da moralisti, torniamo in via.
Ogn' ingegno inventivo è mosso da un peculiar bi-
sogno. L' esigenza della mente del Vico è un' acuta esi-
genza storica e giuridica insieme : questo é il carattere
sincero delle sue scritture ; e questo è pure il criterio
a convenevolmente interpretare la natura, il fine, il
significato di esse. La Ragion degli studi é una specie
; d' introduzione, di propedeutica nella quale il pensiero
dell' autore comincia a far le sue prove. * Due sono le
* Singolare che la monte di questo filosofo si cominciasse a stoI-
gere col problema pedagogico sa V edacazione nnÌTersale, mostrando cosi
fino dal bel principio una tendenza seriamente pratica e positiva di
speculazione. La DiMerUutione mi metodo degli 9tudii (die' egli stesso)
ì un ahbotzo dcU* opera, ohe poi lavorò, De Univerei Jurie Uno Principio,
di cui ì cqtpendiee V altra De Conetantia Jurieprudentie. (Vedi Autobio-
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CAP. VI.] 00N0LU8I0NE. 167
idee principali di questo libro: metodo negli studi, e
metodo nella giurisprudenza. Neil' una come nell' altra
cosa è manifesto il concetto, il bisogno della storicità.
Senonchè V esigenza istorica eh' ei palesa là dove parla
del rinnovamento degli studi in generale, è un' esigenza
fittizia che scaturisce dalla tradizione, dall' autorità sto-
rica, meglio che dalla i*agione storica, secondo che questa
vuol essere intesa nelle opere posteriori. Egli in buon
conto pretende rinnovare il metodo degli studi mo-
vendo, più che da' suoi medesimi grincipii psicologici e 1
giuridici, come dovrebbe, da un' idea tutt' affatto plato-
nica. Vorrebbe vedere in sostanza una repubblica pla-
tonica nelle Università. Vorrebbe sottoporre l' insegna-
mento ad unità di metodo e di prìncipii. Ora questo
concetto pedagogico evidentemente contraddice alla sua
stessa filosofia, ed è uno de' suoi errori più gravi (errore
creduto altissima verità da alcuni suoi critici cattolici,
segnatamente dal Tommaseo) perchè non ci addita svol-
gimento, ma indietreggiamento di pensiero, e quindi pa-
lesa difetto di progresso, di rigor logico nella speculazione,
appunto perchè con questo concetto ei s'oppone ad un'al-
tra serie di dottrine assai chiare in lui, dottrine segnata-
mente d' ordine psicologico. Ohe cosa dunque è chiamato
a far qui il critico, l'interprete filosofo? Evidentemente
è chiamato a levar di mezzo tale contraddizione; non
solo perchè la s' oppone ad altre sue dottrine, com' ho^
detto, nm perchè fa contro alla ragione stessa, al sa-
pere moderno, ai moderni principii, ai nuovi bisogni cui
oggi deve informarsi la costituzione della civil società e
della pubblica e privata educazione ed istruzione. Ecco
qua uno de' molti esempi ne' quali, depurata e corretta
una dottrina del nostro filosofo, nuUameno resta intera
la fisonomia, il carattere della sua mente. Un cattolico,
per esempio il Tommaseo che loda e accetta nel Vico
il principio in discorso non s'accorgendo della contrad-
grafia, pag. 359.) Ecco anche qui ana proTa della continuità, e quindi
d'un processo nei suo pensiero.
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168 STORIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
dizione, ed un positivista che appoggiandosi ne' criteri
psicologici e giuridici di questo filosofo lo traesse ad
un polo opposto, cioè alla dottrina dell' Individucdismo
nel problema pedagogico, 1% falserebbero ad un' ora me-
desima, e per due opposte ragioni ; tanto che, scambio
di rinnovare e legittimar la sua mente, la distruggereb-
bero addirittura. — Quanto poi al metodo della giuri-
sprudenza, il Vico pone un concetto nuovo, in virtù del
quale il libro in discorso ha relazione intima coì'DiriUo
Universale» Egli accenna ad una cert' analisi informata
a nuova critica; e quest' analisi è il metodo isterico che
appresso applica splendidamente allo studio del Diritto
Romano.
Vera introduzione alle sue scritture è il Libro Me-
tafisico. Qui l'esigenza isterica si tocca con mano, tut-
toché sbagliata nell'applicazione; ma non è meno
evidente il bisogno filosofico e speculativo. Il Libro Me-
tafisico è stato, a così dire, una specie d' indovinello
agli occhi de' suoi critici ed espositori. Chi ci ha scòrto
davvero tutta l' antica, 1' antichissima sapienza della
gran madre Italia; e chi non ha saputo vederci nulla
addirittura, se non forse una serie d' incongruenze da
cima a fondo. Però non s'è abbastanza avvertito, esser
l'autore stesso quegli che c'istruisce in tomo al vero
carattere e significato di questo libro. Più volte ei lo
cita appellandolo il Libro Metafisico; e più d' una volta
avverte i lettori, in esso star chiusa la sua metafisica:
metaphysicam complectitur,^ E chi pensi che le occa-
sioni a scriverlo furon due, il Cratilo di Platone (come
avverte egli medesimo) e la lotta ingaggiata contro il me-
todo cartesiano (il che agevolmente si lascia scorgere dal-
l'insieme del libro nonché dal bisogno istorico che spinge
la sua mente, contrapponendosi così al cartesianismo)
non penerà a capacitarsi, che con esso egli studiavasi mo-
strare per via di fatto come guardando filosoficamente
* Vico, De Univ. jwr. Uno Prino. e te, Proloq. § 7.
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CAP. VI-l CONCLUSIONE. 169
una lingua se ne possa trarre qualche germe di meta-
fisica, procacciando così d' attingere dal fatto isterico il
concetto filosofico. Illusione ! si dirà. E io ne convengo.
Ma forse che anche cotesta illusione non vale a mo-
strarci l'indirizzo originale della sua mente ? Nullamanco
non è a credere che tanto egli errasse ne' principii
quanto illudevasi certamente nel fatto speciale, cioè
nella materia filologica in che accaddegli applicare la
sua dottrina ; la qual materia fu, com' è noto, la favella
latina. Perocché s'egli è vero che nelle parole origina-
rie riman quasi improntata l' immagine del pensiero ;
qual mezzo più sicuro por cogliere qualche spiraglio di
cotesto pensiero salvo l'analisi della parola? Ciò che il
Vico tentava col latino due secoli addietro, oggi si è I
tentato, per esempio, col proto-ariano. Nella coscienza
Ariana, per dime una, conoscimento vai nascimento;
perchè di fatto lo spirito nasce conoscendo, e nascendo
non può non conoscere ; dovecchè pel selvaggio pensare
suona parlarsi nel ventre. Ricordare è innovare il pen-
siero, e quindi importa la virtù del riflettere; non al-
trimenti che Tatto del volere è atto d'amare, atto di
scegliere, e quindi racchiude il concetto di libertà.*
Tutto ciò è intuizione, è pensiero spontaneo iniziale
originario, e non pertanto riesce mirabile nell' esattezza
e verità dell'idea per cui tanto va innanzi all'altre
la coscienza proto-ariana.
Or se la parola è l' espediente più efficace, il mezzo
più fedele per conoscer la forma sotto cui si presenta
il pensiero quaranta secoli addietro, e fino a certo se-
gno è atta a rivelarci la storia e la cultura intellet-
tuale primitiva d'un popolo; ninno dirà che il Vico,
facendo tale applicazione al latino, siasi ingannato nel
metodo, come pur troppo errava nel soggetto di sifiatta
applicazione. Al qual proposito è da avvertire che il
professor Vera, biasimando cotesto metodo che primo
PlOTET, Origini indo'ewropee. BuRKOUF, Saggio aul Veda,
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170 STORIA DELLA SOIKNZA NUOVA. [lIB. I.
d'ogn' altri '1 filosofo napoletano creò recandolo in atto
nel suo Libro Metafisico, giugne a negarne persino la
possibilità nonché l'utilità, contraddicendo così eviden-
temente ai risultati più sicuri e meglio accettabili della
moderna filologia.* Non il principio, giova ripeterlo, né
il metodo del Vico danno in fallo : sono fallaci bensì le
applicazioni di esso, quelle in ispecie fatte nel Libro Me-
tafisico. Che se la sua mente privilegiata avesse avuto
il benché menomo sentore del sanscrito, non avrebb'egli
fatto miracoli meglio che gli odierni filologi non fan-
n'oggi? Egli era precisamente su la medesima via; ma,
di più, era fornito di ben altri e più saldi e più ric-
chi strumenti.
Il Libro Metafisico fu severamente giudicato dal
Qiomale de? Letterati. Dico severamente non tanto per
le difficoltà particolari affacciategli, quanto per l'ob-
biezione riguardante il disegno, la condotta stessa del-
l'opera, e quindi '1 fine al quale mirava l' autore. Quan-
t'alle critiche particolari que' valorosi eruditi non avevan
tutt'i torti: la storia del pensiero filosofico condotta
solamente con l'analisi delle parole, massime dov'elle
rappresentino rozze civiltà, è impresa inefficace e vana.
Obbiezione, come si vede, assai grave ed acuta, alla
quale il Vico, checché ne dicesse, non ebbe che rispon-
dere sul serio. Torto essi ebbero bensì nell'attaccar la
condotta dell' opera, per le ragioni poco fa riferite : nel
che meritano scusa, non sapendo a che mai dovesse
andare a parare la mente di quel sommo. Ma qual
compatimento meritano certi critici odierni che dalla
Scienza Nuova potrebl)ero e dovrebbero torre misura
per ponderare il valore del Libro Metafisico anche a
guardarlo solo come un semplice tentativo?
Godiamo qui nel dichiarare come l' illustre Spaventa,
fra tutti, abbia saputo imbroccar giusto nel determinare il
significato del Libro Metafisico. Biasimando egli piace-
* Ykra, Introduzione alla FU. della Sl, Pireoze 1869, pag. 66.
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CAP. TI.] OONOLUSIOKK. 171
volmente, al suo solito, certi nostri Bramani italiani che
in questo libricciolo sanno subodorar non so quanti e
quali profumi di sapienza pitagorica etnisca ed egizia,
con Fusate acume osserva, che cotest' antica sapienza
in esso racchiusa altro a dir proprio non sia, che la
metafisica stessa che agitavasi nel pensiero del Vico.*
Noi accettiamo pienamente e in generale questo giudizio;
ma neghiamo che siffatta metafisica abbia da esser
proprio quella ch'ei suppone di poterne cavare. Il Vico,
egli dice, ha una metafisica; ma incorporata colla
Sdenea Nuova, Voler comprendere Vico colla sua vec-
chia metafisica (Italorum Sapientia) è non capir niente.
Quindi V oscurità.* Col professore di Napoli noi credia-
mo che il Vico abbia una metafisica; checché si piac-
cia affermare il suo collega professor Vera: ma diciamo
che il difetto di quell'autore, se pur è difetto, risiede
non già nell'averla incorporata, anzi nel non averla
incorporata, cioè nell'averla supposta, presupposta, co-
me toccammo; e quindi, se è tale, bisognerà pur rin-
tracciarla giacché c'è. In secondo luogo crediamo, che
non si possa giugnere a capir di lui niente davvero
senza qualche lume di questa così detta sua vecchia me-
tafisica, fuor della quale senza dubbio la Scienza Nuova
parrebbe, come qui potrebbe dire il Ferrari, una sdoc-
chcBea napoletana. Il Vico dunque é oscuro, oscurìssimo :
r han detto, e lo dicon tutti ; ma é tale ùon per la sua
vecchia metafisica, ma perchè con essa non si vuol in-
terpretare la Scienza Nuova. In una parola, se vi fosse
incorporata, non potrebb' essere oscuro, anzi trasparente
e chiaro, per usar qui un'altra frase dello Spaventa.
A chi ha detto poi che con siffatto libro il Vico in-
tendesse scrìvere una specie di storia della filosofia, si
può far riflettere che, dov'egli avesse mirato a tal fine,
non gU sarebbe venuto meno l'ingegno, né l'erudizione.
Di certo avrebbe fatto assai meglio che non fece Appiano
• Spayekta, Lenoni di FiL, ec. Napoli, 1868, pag. 48.
* ì<iem, eod,^ pag. 154.
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172 STORTA DRLLA SOTENZA NUOVA. [lIB. I.
Buonafede o GioTan Maria Lampredi circa la filosofia
degli Etruschi. In sostanza io voglio dir questo : il Vico
cercava, anche in filosofia, un altro sentiero; e nel cer-
care cotesto nuovo sentiero filosofava. Ma, nel filoso-
fare, dapprima credè eh' altri avesse filosofato al pari
di lui; del che poi si ridisse compiutamente. D Libro
MetafisicOy dunque, va considerato non già come una
storia della filosofia, bensì come un tentativo, come
una specie di saggio di filosofia, ma saggio di filosofia
condotto con metodo isterico, mercè cui quel filosofo
pretendeva risalire ai germi primitivi racchiusi nelle
primitive parole, non già con metodo dialettico, a priori,
assolutamente razionale, o puramente psicologico. Per
questo principalmente egli è F antagonista per eccetterusa
del Cartesianismo, come han detto gli stessi francesi.
K per questo può dirsi che il suo Libro Metafisico sia
com' un'introduzione alle opere posteriori.*
Poiché dunque in siftatto libro vi è, come s' è detto,
un doppio carattere, storico e filosofico, però è possibile
rintracciarvi i germi d'una filosofia che serbi natura iste-
rica, indole positiva, carattere essenzialmente compren-
sivo. Quattro sono i concetti ne' quali possiamo tutta
assommare la sua metafisica:
a) Il concetto del sapere, non come sdenta asso-
luta, bensì come prodtmone assoluta del pensiero; e quindi
un criterio il (Juale, assumendo forma e valore universale,
possa diventar principio, il principio stesso del sapere.
b) Un fondamento positivo alla psicologia riposto
nel concetto di sviluppo, di generazione delle funzioni
psicologiche ; e però le condizioni a risolvere in maniera
positiva la dibattuta quistione su l'origine delle idee,
nonché quella risguardante le produzióni storiche, filolo-
giche, mitologiche e religiose delle diverse civiltà:
* Che sia piccol di mole non importo, non essendo fatto ad
DdpKini. Al qnal proposito glorerebbe meditare ciò ohe TA. medesimo
seppe rispondere al Oior, de* Leti, quando fa accasato appnnto del di-
fetto di brevità nel delinear il disegno della sna metoflsiea. Risp. 2*, § 2.
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CAP. TI.] G0N0LU8I0NB. 173
c) Il concetto d' un fondamento assoluto delle
cose, non già nel significato ontologico scolastico e teo-
logico, sì nel senso d' un Assoluto inteso com' attività
essenziale, Mente e Causa, Spirito, Atto assoluto e asso- |
luto centro al mondo presente, ma senza che col mondo j
s'abbia a confondere e intrinsecare, schivando così da
una parte un volgare ontologismo, dall'altra un as-^
sur do panteismo:
d) Finalmente un nuovo concetto della sostanza
cosmica, e però dello spazio e del tempo, della storia
naturale e della storia umana; nel quale resti salva
tanto r esigenza della dottrina meccanica, quanto quella
della dottrina dinamica.*
Tutto ciò vedremo poco per volta. Qui frattanto gio-
verà toccare d'alcune relazioni tra la filosofia del Vico, e
quelle che tenevano il campo all'età sua; acciò che non
s'abbia a ripetere che anche in metafisica egli fosse
stato una cometa solitaria nel cielo della scienza, un inge-
gno senz' antecedenti, com' han preteso e pretendono
certi suoi critici. Co' quali elogi, com' è chiaro, dandogli
essi tutta la vena della spontanea divinazione, gli tol-
gon perciò ogni coscienza riflessa, ogni attività consape-
volmente indagatrice, e se lo immaginano e ce '1 dipin-
gono come il sonnambulo che passeggia solitario e non .
visto in mez7:o alla numerosa falange de' matematici,
de' naturalisti, de' fisici e de'sensisti del secolo XVIIl.
* In qoeste quattro idee sono i germi d* un sistema; ma d* un sistema
filosofico non assoluto, nò donimatico, bensì d*un sistema, o, a dir prò- «
prie, d'una dottrinala quale mentre che lascia molte questioni aperte, corno |
direbbe Stuart Mìll, chiude nondimeno il rarco allo scetticismo. Questo av- 1
rerte lo stesso Vico nella Conclusione dell* opera indirizzata a Paolo Doria:
Habetf $apientis9Ìme PauUc Doria, Metaphyneam humana imbeeillUate dignam,
qua homini neque omnia vera permittat, neque omnia negatf 9ed aliqua. E che
tali dottrine ciò nondimeno abbiano una forma e compongano fra loro
unità organica, egli medesimo ce lo avverte laddove mostra, la sua me-
tafinea etter compita topra iìMa la «va «dea, avente porciò capo, orga-
nismo e sangue. Vedi nella Risp. 1" al Giornale de^ Letterati,
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174 8T0BIA DELLA SCIENZA VUOTA. [lIB. I.
Capitolo Settimo.
VICO, LEIBNITZ E IL CARTESIANISMO.
U Vico nacque e visse in mezzo al Cartesianismo,
e segnatamente in sul finire di quel giro d' anni in cui
tal sistema lottando con sé medesimo sdoppiavasi, per
cosi dire, in quelle molteplici direzioni filosofiche for-
manti, giusta la frase d^ un illustre critico, un cammino
eccentrico, * il cui risultamento reggiamo rappresentato
nelle scuole di Malebranche, di Geulingc, di Berkeley,
di Spinoza, di Locke, di Leibnitz.' Non guardando per
ora al postulato cartesiano tolto siccome inizio del filo-
sofare, è noto che gli errori cui detter luogo i sistemi
ne' quali sdoppiossi tale indirizzo filosofico, ponn' essere
assommati negl' infrascritti : l' aver posto, in generale"^
il concetto dell' Assoluto non già come fine, anzi come
principio del sapere: l' aver troppo diffidato della realtà,
de' fatti, dell'esperienza, della storia: aver annullato o
dispregiato lo studio delle cagioni finali, tutto som-
mettendo alla causa efficiente, e le leggi della natura
spirituale spiegando con quelle della natura corporea:
aver ridotto ad assoluto meccanismo il mondo fisico,
donde le dottrino dell'occasionalismo, dell'incomuni-
cabilità di sostanze e dell' armonia prestabilita intesa^
alla maniera volgare de' Wolfiani." In una parola, il
* Bitter, Hìh, de la PhU. mod., voi. I, pag. 416.
* Per Cartenanitmo intendo, com'è facile capire, quelle diverse di-
rezioni (non meno di quattro) le quali, parte svolgono e compiono, parte
trasformano, e parte impugnano, yìh che T indirizzo del filosofo francese,
le sue dottrine cosmologiche, ontologiche e teologiche.
' In questa critica si può dir che consentano, in generale, i principali
storiografi moderni.— Vedi Rittrr, op. cit., voi. cit— Cousin, Fragm, de 2a
Phil. CarténennCf pag. 160 e segg. Coure ec, 2* serie, t. I, lez. XI, p. 244.
— Rbnouvikb, Man, de Phil mod,, liv. II.— Boullieb, HììU de la Phil.
Carte»,, t. IL — Sohmidt, St, della FU., pag. 177 e segg. — Saibset, Orit,
et hùt. de la PA»l., pag. 130 e segg. — Fouoheb de Carbil, Lettre» ««r-
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TAP. vn.] VICO, LsiBirrrz ■ il cabtbsiamumo. 175
Cartesianismo, per grandissimo che possa essere il me-
rito di chi l'inaugurò e di chi vennelo attuando ne' suoi
diversi indirizzi, non pervenne al vero concetto dell' as-
soluto, della costituzione del mondo, e della natura dello >
spirito. Uno de' suoi pregi, come s' è detto, è la posi-
zione del pensiero qual inizio di scienza indipendente
da ogni qualunque autorità : ma di ciò, com' è noto,
Cartesio non può vantarsi d' essere stato primo divul-
gatore e sostenitore nel regno della scienza.'
Vero pregio, pregio massimo dell'autore delle Me-
ditazioni sta neir aver considerato come originaria
virtù dell'anima l'attività stessa del pensiero; aver
posto r anima come il pensiero stesso, e però come sog-
getto e obbietto.' Senonchè il pensiero per lui non era
altro che rappresentazione, e, come tale, unione a dir
cosi meccanica, incosciente, immediata di due oppositi
elementi, dell'universale e del particolare, dell'infinito e
del finito. Come dunque potev' egli riuscire al vei'o or-
ganamento del sapere filosofico, posto un fatto empirico,
Dt$c et le Cartinanimne, Introd. — Franchi, St. detta FiL mod., Tol. 1,
letlnrs 9, 10, 11. — Jaitbt, (Euw, phiL de LeibnitZj ToL I., Introd. —Trn-
mtiiAinf, Su ddla FU,, voi. II, p. 84.
' La riforma cartesiana, cosa arvertita presso che da tutti gli sto-
riografi, non giunse nuova fra noi, tanto clie la si riguardi come rinno-
ramento filosofico, quanto che come reazione scolastica. ATevamo avnto
già il Petrarca, poi il Da Vinci, la scuola Telesiana, poi la scuola Gali-
leiana. (Vedi Libri, HUt. de» •eienc, math., t. III. ~ PncoiiroTTi, Sl della
Med,^ voi. ult.) Potremmo dire altresì che TAconzio, come osserva giusta- ,
mente il Franck [Diet, de» »eiene. phiL) fosse stato in Italia il devander \
del metodo cartesiano. Avevamo avuto anche il Bruno; e segnatamente
il Campanella, le cui opere non dovettero esser del tutto ignote a Cartesio,
come nota il Bitter {Hi»t. de la phU. mod., voi. I, pag. 14, 85). Ma anche
qui, al solito, s* inciampica neir esagerazione quando si vuol risalire fino
a sant'Agostino a ripescar 1* antecedente del pronunziato Cartesiano ! Nò
io mi ci vo' opporre, sapendo che in quel Santo Padre e' è pur troppo
r esigenza cartesiana (Vedi per es.: De Lib. Arò., lib. II, cap. 8; e spe-
cialmente De Civii. Dei, lib. XI, cap. 26). Ma il valore della posizione è
tanto diversa ne* due filosofi, quanto diversi i tempi in ch*ei vissero,
trattandosi ben più che di certezza d'esistenza. Il Cousin poi, com'è
noto, va fino al No»ee te ipeum di Socrate ! Contentiamoci di questo, che
non è poeo: un eclettico ne potrebbe far di peggio.
• DiBOARTBS, Médit. 2, art. 7. Lettre», U II, U». Obi. répotue», I, 4.
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176 8T0BIA DELLA. SOIBNZA NUOVA. [lIB. I
posta una dualità empìrica? E in che maniera spiegare
nel pensiero l'unione del finito con l'infinito? Ma che
davvero l' idea di Dio sia innata e a priori nella nostra
mente com' egli stesso afferma, * al modo eh' è innata,
non nata, cmmcUa l' idea di noi medesimi (ciò eh' è pro-
prio la novità di Cartesio) è ancor cosa da dimostrare.
È ella possibile nel nostro pensiero l'idea dell'infinito
veramente detto? L'essere adegua il conoscere, dicono
certi interpreti hegeliani; e poiché nel conoscere v'è
r infinito, il pensiero è dunque infinito : ecco la novità
vera di Cartesio, su la quale s' imbasa propriamente la
filosofia moderna. — Ma il pensiero è egli propriamente
l'essere, come si vorrebbe darci ad intendere? Non
potrebbe stare che cotesta fosse un'affermazione arbi-
traria di Cartesio, fatta legittima, più che altro, dal
desiderio, nonché dall' artifiziosa interpretazione che gli
hegeliani porgono all'entimema cartesiano? .Diranno
non ci essere artifizio di sorta in questa loro inter-
pretazione. Ma non è forse egli stesso, Cartesio, il quale
a chiare note ci dice in che senso parli d'innatismo,
afiermando, la natura stessa averci fornito d'una facoltà
mercé cui produceìido queUPidea possiamo conoscere
Dio?* Checché ne sia, era d'uopo rivedere, chiarire e
correggere in gran parte la posizione cartesiana del
pensiero. Questo quant' al Descartes, come iniziatore del
novello indirizzo. Quanto poi agli esplicatori del Carte-
sianismo, in generale, era d' uopo restituire alla scienza''
il concetto delle cause finali invocando segnatamente
lo studio della storia; porre l'assoluto come obbietto
• Descartes, Médit. 8«.
■ Vedi nella Troinhn. oljection9f Z" Rép, : e nella Rép. à M. Begiut.
Non ignoro che nella Meditaz. 3^ e 5" egli dice apei-tamente, Tidea
di Dio essere innata in quanto ci ^ imprenta da lui medesimo. E qoi è
chiara la contraddizione tra ciò eh* egli afferma in queste Meditazioni,
e le illustrazioni eh* egli stesso ne dà nelle Risp. alle obbiezioni poco fa
indicate. Bisogna dunque levarla di mezzo tale contraddizione; è fuori
dubbio. Ma perchè pretendere di leTarla con T identificare Dio e pen-
siero, facendo contro cosi a tutte lo esigenze della metafisica cartesiana ?
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CAP. VII.] VICO, LBIBNITZ B IL OABTB8IANI8MO. 177
anziché come principio di ricerca; accomunare in un
subbietto dinamico universale tanto la costituzione del
mondo fisico, quanto quella del mondo morale ; e quindi
statuir le norme d'un metodo non geometrico, non
puramente psicologico, né assolutamente a priori nella,
costruttura della Scienza Prima.
Questo per V appunto presero a fare il Leibnitz in
Germania e, poco appresso, il Vico in Italia.' Non vorrei
che i lettori stimassero inconcludente il ravvicinamento
di questi due nomi, e inutile e vuoto un riscontro delle
loro dottrine. Non è cotesto, intendiamoci, uno de' soliti
riscontri onde rigurgitano certi libri odierni appo cui
non di rado si dà per concreta, storica, reale un'atti-
nenza meramente logica, o ideale che sia. Il riscontro tra
il filosofo di Napoli e il filosofo di Lipsia è tutto ideale ;
ma la ragione di esso pone radice, meglio che in qual-
che riposta e fatai legge dialettica, in queste due ragioni
principalmente: !• nella forma e natura stessa di lor
mente : 2* nelle condizioni della filosofia del secolo XVII.
E innanzi tratto ricordo anche qui, non esser possibile
dimostrare che il filosofo italiano siasi ispirato nel filosofo )
di Lipsia ormeggiandone metodi e dottrine, com' altri
hann' affermato.' Nullamanco l'affinità fra alcune dot-
* Il Vico ebbe coscienza della propria posizione specalativa, e sciente-
mente opponevasi alP esagerazioni ed errori cui ruppero le diverse dire-
zioni e scuole nate dair indirizzo cartesiano. £gli conobbe lo opere di Spi-
no}^, di Locke, di Malebranche, e Tisi oppose. Quant'a Spinoza, cfr. Op.
voi. Ili, 12, 80, 221 ; V, 49, 138, 573 ; VI, 99. -- QnanV a Locke, IV, 40,
U40; VI, 5. — Quant'al Malebranche, II, 95, 96, 149, 161; VI, 107, 113;
lU, 232. Non è dunque niente vero ciò che è stato affermato da un
hegeliano che il Vico, posto eh* abbia speculato, speculasse incoscia-
mente e senz" alcuna relazione alla storia della scienza.
* In tutte le suo scritture ne rammenta il nome appena appena due
volte a proposito, non già di qualche dottrina filosofica, ma delle con-
troversie fra Newton e Ldbuìtz. Una di queste citazioni è nella seconda
S<-ieruM Xuova; T altra in una lettera al Gaeta scritta nel 1737. Egli
dunque rammenta il nome di Leibnitz sette anni prima di morire, e, che
più rileva, lo rammenta dopo che vennero alla luce il Libro Metafìnco,
il Diritto Univeraale, e la prima Scienza Nuova. Ne ricorda perciò il solo
nome quando la sua mente erasi già rafferma e assodata in un sistema.
Come dunque potò imitarlo V Come essersene ispirato?
Siciliani. 12
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178 STORIA DBLLA SOIifiNZA NUOVA. [lIB. I.
trine dell'uno e alcune teoriche dell'altro filosofo è pure
un fatto evidente. Come spiegarla? Cotest' affinità per
me è al tutto originaria ; e tiene, ripeto, parte alla forma
e alle esigenze del loro ingegno, parte all'opposizione che"^
le diverse direzioni Cartesiane venivan risvegliando nella
lor mente, massime il metodo geometrico e la cosmo-
logia meccanica di Cartesio, il concetto psicologico del.
sensismo inglese, il concetto della sostanza Spìnoziana,
ilTeosofismo e l'Occasionalismo di Malebranche. Io so
che alcuni storiografi, segnatamente francesi, attaccano
al gran carro del Cartesianismo anche questi due filosofi.
Ma checché se ne sia detto e se ne dica, essi a me paion
oppositori, oppositori veraci delle diverse scuole che
venner pullulando dal famigerato entimema. Quant'al
Leibnitz, infatti, basti rammentare il concetto della
monade fornita del suo doppio carattere di rappresen-
tazione originaria e riflessa, tuttoché cotal dottrina per
piii conti dia in errore.* Quant' al Vico poi, vedemmo
come gli stessi francesi non dubitino segnalarlo come
antagonista per eccellenza del Cartesianismo. Però ninno
creda che con questo noi pretendiamo stralciare addi-
rittura ogni attinenza fra questi filosofi e il movimento
Cartesiano, che sarebbe ignoranza grossolana. Vogliamo
anzi stabilirvi una relazione piii intima, più vera, con-
siderandoli non già come puri esplicatori e tanto meno
come seguaci, ma piuttosto, ripetiamo, come oppositori
e correttori di esso. Perocché se tutto il mondo mo-
derno filosofico è Cartesiano, è Cartesiano nello spirito,
nella tendenza. Cartesiano nell' esigenza psicologica an-
ziché nelle dottrine metafisiche: al modo stesso che
se vogliam oggi con tutta serietà applicar la mente
alla ricerca filosofica, dobbiamo esser hegeliani, ma
senza metterci su gli omeri l'edificio pesante, comec-
ché splendido, di quel sistema, nonché della lunga serie
delle sue applicazioni alle scienze speciali: al modo
* Appartiene al Leibnitz, com* è noto, qnesta sentenza : che m ciò
che ha di buono il Cartenanitmo non è che V anticamera dé,la Jiloeofio,
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GAP. Vn.] VICO, LJflIBNITZ K IL CARTESIANISMO. 179
ìstesso, finalmente, che, a contar dalla scuola alessan-
drina e dalla scuola stoica, tutt'i periodi filosofici e
tutt' i filosofi, pel corso di venti e più secoli, si mostrano
platonici e aristotelici quant'al concetto della scienza
e del sapere filosofico consistente nell'universale, non
tutti però innalzando un piedistallo, né all'idea piato*
nica, né alla categoria aristotelica. '
Mentre che dunque dura, frastagliatosi in più di-
rezioni, il moto Cartesiano, con metodo più vasto e com-
prensivo due filosofi prolungano il novello indirizzo, e
si presentano come veri inauguratori e innovatori della
filosofia moderna. Leibnitz e Vico, incominciando a cor-
' Il Cartesianismo, come avvenne anche del Platonismo e dell' Ari-
stotelismo in antico, e come delPHegelianisnio ne* tempi nostri, influì
sa la mente di, tntf* i filosofi del sec. XYII, e quindi anche su quella
del Vico; ma v'influì al modo stesso che la scintilla fa rispetto a ben
disposta materia. Nel Vico troviamo la correzione de* diversi indirizzi
Cartesiani, ma senza eh* ei ve n* escludesse nulla d' accettabile e di vero.
Giovanni Locke, tnttochò nato da Cartesio, combatte Cartesio, ma ri-
mane esclusivo, schietto sensista. Gassendi lo combatte, ma rimane em-
pirico ed erudito. Mo^re e Poiret lo combattono, ma rimangon mistici.
Lo combatte Bayle, lo combatte Pascal, ma per diventare scettici. Lo
combatte Spinoza, a riesce ad una forma assurda di panteismo natu-
rale. 11 Vico anch*egli combatte Cartesio direttamente, qua e là nelle
sue scritture, e indirettamente sempre, in ogni pagina della Scienza
Nuova, mercè il vietodo Utorico in filosofia; ma non riesce a nulla di tutto
questo. Il metodo isterico del Vico, perciò, è una reazione energica contro
il metodo puramente psicologico, matematico e geometrico de* Cartesiani.
E con questa gran leva nelle mani, chi non vede com* e* dovesse riuscire
V antagonÌ9ta più spiccato e il più potente correttore della filosofia del
secolo XVII? Nel secolo XYIII, per contrario, veggiamo ripudiare i quat-1
tro risultati del Cartesianismo; ontologismo, panteismo, idealismo e mo-
nadismo volgarmente inteso. Veggiamo ripudiare ogni sintesi, e adorare,
unico Dio, r analisi (Condilacchiani, Scozzesi ec). Anche cotesta è rea-
zione; ma reazione affatto negativa. Il Vico è in mezzo alla prima e alla
seconda tendenza, senz* esser l* una cosa, nò 1* altra. Ecco la sua posizione
storica come filosofo, rispetto alla filosofia cartesiana. Che se tra 1* affer-
mazione e la negazione dee sorgere necessariamente Fattività critica,
questa s* ha da palesar prima sotto forma isterica, e poi sotto forma
speculativa e psicologica. Ed ecco un legame intimo , comecché ideale, fra
il Vico e il Kant. Storicamente, il secondo suppone il primo ; logicamente
poi, r uno suppone 1* altro: e nel Vico infatti troveremo tanto che basti ^
a gìQstiflcare tale esigenza critica e psicologica.
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180 * STORTA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
rreggere il postulato cartesiano, impugnano ad un tempo
il concetto della sostanza Spinoziana, la dottrina mec-
canica di Cartesio, il materialismo di Gassendi, l' idea-
lismo e r occasionalismo di Malebranche, il sensismo di
j^Locke e però lo scetticismo di David Hume. *
Non vogliamo, né il potremmo, entrar ne' partico-
lari di queste dottrine; le quali, del resto, sono a tutti
note per le dotte e svariate ricerche storiche fatte oggi
in proposito. Solo avvertiamo che se tale è l'importanza
dei due filosofi, gioverà prender nota d'alcune loro atti-
nenze, tanto pili che un riscontro fra essi, quant'io mi
sappia, non è stato mai fatto. Dobbiamo contentarci
di pochi cenni, bastevoli al nostro intento.
Quanto vasta e splendida l' intelligenza del Leibnitz.
tanto è profondo, ma oscuro, esitante il pensiero del
Vico. Dell'uno fu detto poter egli solo rappresentar
tutta un' accademia di scienze ; mentre dell' altro, sem-
plice umanista al cospetto del pubblico, fu sovente ri-
pensata con meraviglia l'erudizione parca dapprima,
affollata poi, né molto sicura, tuttoché illuminata sempre
dallo splendore d'inattesi principii.' Il Leibnitz, mate-
matico acutissimo e scopritore del calcolo differenziale
in un tempo che il Newton scoprivalo anch' egli : il Vico
non andò più in là della quinta proposizione d' Euclide !
Quegli, conoscitore di lingue; questi, infelice scrittore,
* Il piti chiaro e puro,, e in pari tempo il piti semplice tipo deUa
nuova jUoBoJia ì. Leibnitz, In esso si ved-e riunitOf come in un JiorCf eid che
ri ha <V essenziale nelle due serie di sistemi da Cartesio sino a Spinota^ e di
Herbert e di Locke. (Schmidt, op. cit., pap. 208. Vedi anche Jaitkt, Op. di
fAnbnitx, ?ol. I, Intr.) È noto come fin da' primordi del nostro secolo il De
Biran in Francia ponesse in chiaro il valore della novità del Leibnitz/
nonché della polemica di questo filosofo contr* al Cartesianismo : ma
della confutazione che sgorga anche dalle dottrine del filosofo di Napoli i
contr'al medesimo sistema, nessuno si è mal brigato far motto. In ciò
pure, come vedremo, il Leibnitz è stato assai piìi fortunato del Vico.
* Il Giornale de* Letterati, giudice non sospetto, affermò che in ogni
linea delle opere del Vico è chiuso un concetto. Il Tommaseo, fra le tant<e
acute osservazioni in proposito, come vedemmo, fa anche questa: non
esser pagina in questo filosofo^ dove non arda qualche splendore insolito
d'idea e di parola. Studi Critici, vol. I, pag. 119.
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GAP. Vn.] VICO, LB1BNITZ E IL CARTESIANISMO. 181
avverso perfino all'idioma francese che non volle im-
parar mai. L' uno cercato da' grandi sin nella sua vec-
cliiaia: ricco, onorato, cortigiano e corteggiato, fondatore
d' accademie, cultore e favoreggiatore delle arti belle,
conoscitore d'arti utili, teologo, legista, politico, diplo-
matico, viaggiatore in tutte parti d'Europa. L'altro, nulla
di tutto ciò : si credè poeta, e fu pedagogo ; sperò di-
ventar professore di Diritto, e fu maestro di rettorica
per tutta la vita; e mai non uscì dal paese natale, se
non per andare a Vatolla, e vivervi oscuro e ignorato
per nove anni. Storiografi entrambi, ma l' uno di fatto,
l' altro titolato. L' ingegno del primo si manifestava in
date occasioni : contro Bayle indirizzava la Teodicea,
e contro Locke i Nuovi Saggi su l' intendimento umano.
L'ingegno del secondo procedeva, come dicemmo, per
interno impulso, ne fece buona prova nelle controversie,
come incontrògli nelle Risposte al Giornale de' Letterati.
L'uno scrivea di filosofia alla sfuggita, meno i lavori
di storia;* e bastavagli qualunque occasione per ap-
prender tutto, e tutto assimilare con facilità sorpren-
dente: il pensiero dell'altro svolgevasi con lentezza fati-
cosa; tardo nel concepire, impicciato nel correggere,
noioso e ritondante nel ritoccare. Ecco la forma della
mente; ed ecco le esteriori condizioni della vita cotanto
diversa ne' due filosofi. Chi potrebbe pur sospettare
nell'intimo de' lor pensieri un barlume d'affinità? E
pure un' affinità è manifesta.
La novità del Leibnitz, come s' è detto, è il con-
cetto della monade ; quella del Vico è il concetto d'una
legge isterica : quindi l' idea fondamentale comune alla
Scienza Nuova e alla Monadologia risiede in un in-
temo principio di vita, d'attuosità, di divino, esistente
nella storia e nel mondo. La natura dello spirito, per
entrambi, è quella d' un essere finito eh' è ad un' ora
stessa potenzialmente infinito: si che l'uno dalla natura
* Vedi KiTTER, Hint. de ìa Phil. mod., voi. II, pag. 230.
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182 STOWIA DELLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
deli^uomo e 1^ altro dall'osservazione istorica traggon la
legge universale del progredire.* Entrambi scorgono
grand' affinità fra la teologia e la giurisprudenza ; * e
nel nome complesso di giurisprudenza discoprono altri
rami di sapere, ne sentono il bisogno di studi compara-
tivi, di che il Vico die bellissimi saggi nel Diritto Uni-
versale, mentre il Leibnitz sperò di scrivere un ThecUrum
{legale col fine di rintracciare il parallelismo delle le-
gislazioni; ond'ebbe a dire che la giurisprudenza, in
ispecie il diritto che n'è quasi l'anima, più che scienza
speculativa, sia disciplina isterica.* Talché se quant' al
Diritto Romano altri afferma che il Leibnitz ne giudicò
meglio de' moderni Y originalità e le speciali qualità, il
Vico siffatta originalità non pur la giudicò, ma la di-
mostrò, come altrove ci sarà dato vedere. Ancora : se
Tun dei due filosofi inaugura la scienza linguistica e
r altro crea la critica filologica, amendue col possente
pensiero salgono alla possibilità d'un vocabolario men-
tale universale : amendue reputano la filologia e l' eti-
mologia strumenti necessari, mercè cui la mente si
possa levare a qualche sentenza universale.* Leibnitz
primo d' ogni altro presentì la necessità di porgere no-
vella forma all'Etica, ponendo una difierenza fra la
Morale e il Diritto; difierenza che poscia a maggior
perfezione condussero i seguaci del Tommasio : il Vico
presentì anch' egli tale indipendenza, ma inoltre sentì
chiara la necessità d' investigare 1' universal ragione
del diritto in maniera storica; talché se per l' uno fine
massimo del giure è il perfezionamento in generale,' per
l'altro questo grandioso concetto del diritto forma quasi
* Leibnitz» Op. VI, l,pag. 332. Dut. — Vico, Scienza Nuova, passim.
' Vico, De CormU Juri9., Parte I.— Leibnitz, Nox>a meth,, ec, pag. 180.
■ Leibnitz, Meth, nova ditte, dpcend. juritpr,, P. II, § 29. Amendne
si presentano al pubblico con questioni di metodo; ricerca degl* ingegni
veramente grandi, anziché da filosofi pedanti e scolastici, come si crede.
' Nella Ragion degli Hudi v' ha i criteri per lo studio della ginrisprndenza.
* Vedi quant' al Leibnitz Mimoire» de VAeadfmie de Berlin^ voi. I,art. 1.
' Leibnitz, Xouv. Et», I, pag. 277.
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OAP. yn.] VIGO, LIIBNITZ S IL 0ABTR8IAKISM0. 183
il sustrato della Scienza Nuova, si che vede svolgersi
cotale idea anche attraverso gli antichi poemi.
Quant' alla fisica poi, alla res extensa di Cartesio,
agli atomi fisici del Gassendi, contrappongon gli (domi
di sostanza, gli atomi metafisici,^ i punti, i momenti me-
tafisici e lo sforzo impedito nell'essenza stessa dell'uni-
verso.' Per questa medesima ragione entrambi parlano
linguaggio somigliante circa la natura delle matemati-i
che. Di fatti contro Cartesiani e Hobbesiani il Leibnitz
mostra la inefficacia di siffatte scienze nelle indagini
propriamente filosofiche, e al di là del calcolo aritmetico
e geometrico crede esserci luogo ad un altro e più
rilevante calcolo che tiene all' analisi delle idee; stan-
techè nella sostanza, die' egli, ci abbia sempre qualcosa
d' infinito.' La medesima insufficienza del metodo geo-
metrico scorge anche il Vico in più luoghi delle sue scrit-
ture; e lo reputa difficile, anzi impossibile alla mente
del metafisico.^ Col che essi anticipano alcune idee di
Kant in proposito.
* Lbibnits!, %ff. noìit;. etc, tomo II, pag. 126.
* Vico, Risp. 1« al GiomaU de' Letterati, L* affinità de*dne filosofi,
come si vede, è mirabile anche nel linguaggio: punti metaJUici, conato
(«VTf^i'X^'av) tramezzante la potenza e Tatto (Lbibkitz, Op. II, 1,
pag. 19), 0, come direbbe il Vico, la Quiete e il Moto; per cai la matte-
ria, anziché passiva, ò per entrambi una forza viva (Op. cit, pag. 817).
Anche i punti matematici per entrambi non sono che simboli de* metaji-
tici; e i punti jieiei per tutt'e due riescono indivisibili, ma solo in appa-
renza. La ragione poi ond*essì adoperano la parola punto è la idede-
sima; ed è, che il punto racchiude infinito numero di relazioni. Finalmente
si potrebbe dir propria anche del Vico la nota sentenza del Leibnitz:
eonatue e*t ad motum, ut punctum ad epatium, (Id. eod. II, 2, pag. 8; e
pel Vico vedi nelle Risposte al Oior. de* Lett.)
* In omnibu» èubetantiis aliquid eet infiniti; unde fit ut a nobie per-
/ecte intelligi potint sciite notionee incompUtfr, qualee eunt numeromm,
figurarumj aliorumque hujuemodi modorum a rebus animo abstractorum.
Lkibxitz, Op., ediz. cit., V, pag. 143.
* Vedi neW Autobiografia, AìtroY e dice che la matematica è la più certa
di tutte le scienze, perchè prova per cause [De Antiq, Ital., cap. I, 1),
ma il metodo di essa riesce esiziale, sterile e pericoloso quando si voglia
adoperare nelle altre discipline (Risp, al Gaeta, pag. 99), disastroso poi
nella fisica, neir educazione degT ingegni (/&»', passim), utile solamente
neir ordinare anziché nello scoprire (De Antiq., Ital. cap. VII, § 4).
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184 STOMA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. 1,
Entrambi poi riconoscono in Dio le stesse primalità:
potenza, volontà, intelligenza;* e se nell'uno troviamo
il principio che Dio creando non possa produrre altro
che il migliore e il più perfetto de' mondi,* nel Vico
tale dottrina si lascia argomentare, come vedremo, dal-
l' insieme delle sue dottrine. Quant' alla storia, V un
d' essi riconosce un progredire continuo nel tutto, e la
possibilità del regresso nelle parti;' dovechè l'altro,
meglio determinando e dimostrando cotal concetto, pone
la dottrina dé*c(/rsi e ricorsi storici, in cui sono rac-
chiuse le idee di progresso e regresso, governati da una
medesima legge. Che se è stato detto esser d'uopo
risalire, meglio che al celebre Discorso del Bossuet, alla
metafisica del Leibnitz per ritrovare un concetto spe-
! culativo che fosse come il vero antecedente della filosofia
della storia, s'è detto giusto; atteso che veramente il
filosofo di Lipsia, col sommettere al principio della ragion
sufficiente l' ordine delle cose fisiche e morali, dischiuse
la via alla dottrina del Determinismo universale, pe-
rocché tutto per lui si annodi nel mondo, tutto si cor-
risponda, tutto armonizzi. Nel Vico veggiamo questa
medesima esigenza ; ma nello stesso tempo ne troviamo
la correzione. Perciocché se anche per lui il passato è
gravido del presente, al modo stesso che il presente
partorisce il futuro; non tutto però nel mondo delle
nazioni é avvinto a leggi fatali e cieche, perché nel
regno dello spirito vi è agli occhi suoi la ragione, v' è
pur la libertà, sicché tutto il processo isterico per
l'Autore della Scienza Nuova non é altro, in sostanza,
j che la soluzione del problema della libertà, sia che tu la
consideri negl' individui, sia che negli Stati. Dinanzi alla
mente d'entrambi, dunque, risplende chiara la legge
della continuità nel giro de' fatti umani e storici.
Né si creda che l' affinità fra ^ i due filosofi non si
* Lribnitz, MonaU., Op., ediz. Erd., pag. 705.— Vico» De Univ. Jur,
* Idem, Theod., 8.
* Idoin, eod., 8.
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GAP. VII.] VICO, LEIBNITZ B IL CARTESIANISMO. 185
lasci scorgere altresì nelle contraddizioni e non di rado
anche nelle strettoie fra cui gi resta impigliata la co-
scienza religiosa. Ei cominciano a scrivere innanzi d'aver
fissato, determinato e organato le proprie idee ; di modo
che, se l' uno fin quasi ai quarant' anni, fino alla com-
parsa delle Meditazioni,* va fluttuando non libero da
incongruenze, T altro va tentennando fino alla terza ^
edizione della Scienza Nuova. Onde non è a meravi-
gliare se tutt' e due si contraddicano quant' al concetto
di creazione ; perchè, se V uno ponendo la moltiplicità
delle monadi come primitiva ed esistente per necessità
metafisica, dice nullamanco esser Dio quegli che sceglie
r ottimo fra i mondi, e immagina delle monadi create
par des fidgurcUiotis continudles dalla divinità;* l'altro
poi, stabihto il criterio della conversione in senso me-
tafisico, non dubita parlarci del miracolo della creazione,
e dell'annullamento del mondo! — Quanto aiprincipii,
in generale, si palesano entrambi eclettici ; ma è d' uopo
intenderci nell' applicar loro cotesto nome. Sono eclet-
tici appunto nel significato e nel valore che lo stesso
Leibnitz dav' a tal voce; nel qual valore ci conferme-
rebbero molte sentenze del Vico. Sono eclettici, io dico,
non perchè raccolgano in un tutto ciò che si presenta
come vero squadernato ne' differenti sistemi, eh' è pre-
cisamente il fiacco e volgare eclettismo sfornito d' ogni
originalità; ma sì perchè, aggiugnendo anch'essi qual-
che altra cosa di proprio, riescono a comunicare novello
impulso a tutti gli ordini delle scienze.' — Rispetto
alle fonti del conoscere, o fondamenti del sapere, alla
doppia sorgente vichiana del vero e del certo risponde
' Meditationea de cognitionet veritate et ideiti f 1684.
* Lribnitz, Monad,f ediz. cit., pagr. 708.
' Vedi questa sentenza del Leibnitz nelle Lettre* à Rémond de Mont-
mort, edlz. Erd., pag. 701. e ne* Nouv, £»»., Hb. I. Nel Vico poi troviamo
molte affermazioni del tenore seguente: Chi ai trae fuori da questi prin-
eipii, guardi clC ei non traggati fuori deìV umanità, E eh* egli poi sia
eolettico in questo senso, anziché nel significato voluto dal Cousin, dal <
Lerminier, dal Michelet, dal Romngnosi, dal Ferrari e dal Poli, apparirà
meglio dal complesso o dalle tendenze delie suo dottrine.
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186 STOMA DBLLA SCIENZA NUOVA. [lIB. I.
la doppia serie di prìncipii razionali e sperimentali
ammessa dal Leibnitz; agli occhi del quale le verità del
prim' ordine riposando sul principio d' identità, e quelle
del secondo su la coscienza, non patiscono quinci di-
mostrazione, appunto perchè immediate ; immediazione
^ a priori, e immediamoìte a posteriori.^ Quanto poi al
metodo, ripetiamo, essi accettano il postulato carte-
siano, ma l'accettano nel significato d'inizio anziché
di principio essenziale e costitutivo della scienza, non
essendo al postutto che l'espressione d'un fatto.*
Ma non senza ragione l' autore della Scienza Nuova
è venuto dopo 1' autore della Monadologia; come non
senza ragione al secolo XVII è succeduto il secolo XVIII.
Per più riguardi '1 Vico si lascia indietro Leibnitz; e
questo è un terzo motivo per non credere ch'ei l'or-
meggiasse. Egli infatti giugno a salvarsi, chi ne penetri
convenevolmente il pensiero, da' seguenti difetti: 1*» Se
il Leibnitz si oppose nel medesimo tempo all'innatismo
cartesiano e al nulla innato di Locke, non perciò riesci
a stabilire la dottrina della conoscenza, tuttoché si
studiasse mettersi in mezzo a questi due sistemi. Rico-
nobbe certe primitive inclinazioni, certe predisposizioni,
certe idee virtuali, non propriamente beli' e formate.
Ma che cosa mai sono cotesto idee virtuali? Lo spirito,
in altre parole, è innato a sé stesso: ecco la novità
leibniziana, quant' al problema del conoscere. Ma come
è innato a sé stesso ? Una risposta più soddisfacente a
* Lribnitz, Nouv. £«9., IV, 9, 2, pag. 400 e segg., ediz. cit.
' C*est une propotition de fati fondée par une expèriemce imme-
diate^ et ce n'ett pas une propotitton nécestatre. (Lkibkitz, Nouv. Eu.,
IV, 2, 1, pag. 881.) — Il Vico poi osserva che il postalato cartesiano c<m-
/onde la eoacienza con la tcienxa (De Antiq. Ital. cap. I, § 2), riesce im-
potente contro gli teettici (Ibi.), Iwnuga la vanità, è metodo individuale
inettOf e ae pud eswr buono a rinvenire i certi »egni e indubitati del mio
€9»cref non può eaner buono a ritrovarne le cagioni (Risp. II. al Oior,
de* Lett.f § 4). Questo criterio dunque ha solamente valore come di
norma direttiva de* fatti immediati, tanto per V uno quanto per V altro
filosofo. Sono pregevoli le osservazioni del Bitter in proposito. Hit, dt
la Phil. mod. voi. cit., pag, 9Ì.
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OAP. VII.] VICO, LKIBNITZ B IL CARTESIANISMO. 187
tal quesito la troveremo nel Vico. 2* Si salva dall' idea
volgare dell'atto creativo ammessa dal Leibnitz. Gol
che non intendo affermare che nel filosofo di Napoli
non vi sia pure cotesto concetto volgare della creazione:
dico solo che, riguardo a tale dottrina, la coscienza reli-
giosa in lui è vinta dalla coscienza speculativa meglio
che nel Leibnitz. 3" Corregge il doppio carattere della
facoltà rappresentativa della monade; insudiciente, tanto
che si consideri come originaria quanto che come riflessa,
a spiegare segnatamente la conoscenza. 4» Non cade
nel concetto della indipendenza, della incomunicabilità
e moltiplicità inconcepibile degli enti semplici. 5» Si
salva dalla dottrina d' un' armonia prestabilita intesa
in maniera estrinseca, passiva, accidentale, cioè posta
immediatamente dal divino arbitrio, per cui ella riesce
affine, sotto alcuni rispetti, con la teorica dell' Occa-
sionalismo.' 6» Finalmente il filosofo italiano supera il
tedesco pel gran concetto della storicità inteso in tre
modi: a) come fondamento d'una scienza nuova su le
origini e sul progresso de' popoli ; 6) come fondamento
e insieme compimento vitale del sapere metafisico ; e) da
ultimo, come centro attorno a cui s' accolgano e si rin-
tegrino a vicenda, attingendo siffattamente un valor
razionale, tutte quelle scienze che risguardan la vita
dello spirito considerato storicamente, e il cui risultato
è racchiuso appunto in quella disciplina che con bar-
barismo comodo, secondo l'arguta frase di St. Mill,
oggi appelliamo Sociologia.
In una parola, si può affermare che tanto la Scienza
* Giova osservare, secondo il giudizio d* alcuni critici segnatamente
del Ritter, che a simile conseguenza conduce direttamente il concetto
volgare, il concetto Wolfiano deir armonia prestabilita anziché quello
che si potrebbe trarre dalla monadologia leibnizicna quando fosse in-
terpretata con animo benigno. Fra le monadi esiste intima relazione,
ciascuna d*esse rappresentando tutte le altre. La monade è unità, e
come tale ra innanzi alla dualità. Dunque V armonia ù prestabilita perchè^
è intima ed essenziale alle cose, non perche posta, o sovrapposta per
immediata opera di Dio. Il volgare concetto WoUiano dell' armonia presta-
bilita non è sinceramente leibniziano ; e tanto meno appartiene al Vico.
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188 STOBIA DELLA SOISNZA NUOTA. [lTB. L
Nuova quanto la Monadologia esplichino, inverino e
correggano il Cartesianismo. Ma può aifermarsi non
meno che la prima di queste due scritture corregga a
sua volta la, seconda, e la compia.
Sin qui abbiamo considerato i due filosofi sotto
doppio riguardo ; in sé medesimi, e in relazione al Car-
tesianismo. Ci sarà permesso ora considerarli di fronte
al moto filosofico moderno, segnatamente rispetto a
quelle due forme di filosofia che la speculazione è ve-
nuta assumendo ne' due paesi d' Europa i quali sem-
brano meglio disposti a tal maniera d'indagini.
Capitolo Ottavo,
delle due moderne filosofie.
Abbiamo detto come per due ragioni, l' una subbiet-
tiva e r altra istorica, il Vico e il Leibnitz, tuttoché
ignoti r un r altro e diversi per luogo, tempo e condi-
zioni di vita e d' ingegno, ci palesino cert' affinità di
indirizzo speculativo. Ciò che molti hanno affermato
del filosofo di Lipsia, di non mostrar carattere spic-
catamente germanico ma europeo, potrebbe dirsi pari-
menti, ^ forse con più ragione, del filosofo napoletano
rispetto all'Italia. Ingegni universali e supremamente
comprensivi, ci rappresentano entrambi 1' universalità
nel concetto filosofico, massime quand' e' siano avvisati
riguardo al tempo in che vissero, e di fronte al Car-
tesianismo che presero a correggere ed innovare. Pos-
siamo dir quindi che nelle loro dottrine essi ci esprimano
com' una sintesi vasta tuttoché confusa, e dischiudan
così due diversi periodi filosofici ne' due paesi che
nella eulta Europa sembrano più acconci alla profonda
speculazione; dico il periodo filosofico germanico, e
r italiano. Quant' al Leibnitz, tale sentenza invero non
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CAP. Vni.] DELLE DUE MODERNE FILOSOFIE. 189
troverebbe molte opposizioni,* se non forse per parte
d' alcuni hegeliani, i quali, com' è noto, non credono di
scoprir terra salvo che nel Kant, e propriamente nella
dottrina su' giudizi sintetici a priori e su 1' attività ori-
ginaria del pensiero come sorgente delle categorie.
Quanto poi alla moderna filosofia italiana, io per me
non saprei risalire piii in là del Vico, per tre ragioni
principalmente: la prima, che in lui ritrovo elementi
metafisici originali ad una riforma filosofica, più che
in altri filosofi antichi o più recenti di lui: la seconda
che a lui, meglio che ad altri, s' accosta la forma e
r indole e la natura dell' ingegno italiano, come quella
che mostra di non essere molto inchinevole a sbale-
strare troppo in su, o affogar troppo in giù, almeno
per quanto riguarda la speculazione metafisica: la terza
poi è questa, che solamente rimontando a lui sarà pos-
sibile ricondurre come in un centro, per così dire, ideale
que' diversi indirizzi a cui è riescito nel presente secolo
il nostro pensiero filosofico. Ci è il Bruno, mi si dirà
subito. Ed io lo so: ma so pure esser egli una cometa,
com' ebbe a cliiamarlo Hegel ; una cometa assai più
solitaria che non sia stato il Vico. E poi '1 frate Nolano
è panteista, checché ne dica il Ritter ed uno de' suoi bio-
grafi di Francia; e il panteismo, qual che ne sia la forma
anche passata per la sottil trafila de' nostri hegeliani,
non par cibo pel nostro stomaco, né soddisfa all' esi-
genza modesta di nostra mente, appunto perchè pecca
d' eccesso. Che se noi vogliamo dir panteista, ad ogni
modo parmi non si possa accettare come rappresentante
del pensiero nazionale, stantechè la forma della specu-
* Più d'una volta il Willin osserva che la filosofia germanica data
dal Uibnitz. (ITiat. de la Phil. Allem.y t. I, Introa. p. 18.) Della mede-
sima sentenza sembrano lo Schmidt, di cui abbiamo riferito neir antece-
dente capitolo un giudizio a questo proposito, il Cousin e lo Janet nelle
opere innanzi citate, il Rcmusat [De la Phil. Allem.), e specialmente lo
storiografo Barchou de Pcnhotìn, il quale inoltre, quant' alla nniversa-
lità dell' ingegno, chiama Leibnitz il filosofo conciliatore per eccellenza, —
I Vedi Hit. ds la PhU. depuU leibnitzjiuqu'a Hegel; Voi. 2. p. 181 , Paris 1836.
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190 8T0&IA OKLLA 80IJENZA NUOVA. TlIB. I.
lozione in lui non s'addimostri pienamente determinata.
Il Bruno rappresenta T indole stessa del Rinascimento:
la lotta, r opposizione, T aiFermazione di più cose con-
trarie, e, in somma, l'eterogeneità del pensiero: talché
nel leggerlo e meditarlo non sai dire se 1' assoluto in
lui sia la natura, ovvero un quid superiore alla natura.
Ci è anche il Campanella, altri soggiugnerà. Ma, a non
imboscarci qui in troppe sottigliezze, basti notare come
I nel frate di Stilo faccia difetto l'aspetto istorico, manchi
I il concetto e quindi '1 bisogno della storicità, eh' è per
l'appunto la febbre del secol nostro, e il pregio mas-
simo del Vico. E poi quel senso universale, eh' è proprio
la novità del filosofo calabrese, è concepito in maniera
quasi meccanica, nel che conviene lo stesso Spaventa.
Finalmente il Campanella è un filosofo ddia restaura^
zione cattolica, secondo che con verità ha saputo desi-
gnarlo il medesimo Spaventa; e tanto meno quindi potrà
servire ad un disegno istorico di filosofia. — Vi è pure il
Pomponazzi. Ma l'originalità del filosofo mantovano è
doppia; e riguarda il gran valore ch'egli (a preferenza
r di tutt' i filosofi del Rinascimento) dà al concetto della
vita pratica, secondo l' osservazione del Ritter ; e l' esser
egli poi uno schietto materialista, come credono i più.
Ora un concetto pratico della vita senz'un concetto
teoretico rispondente, non istà; né, d'altra parte, il
materialismo ci sembra dottrina che possa scorgere i
passi del critico nella storia del pensiero italiano. Il
Pomponazzi schietto materialista é una cometa, non
meno del Bruno panteista. — Citiamo ancora un altro
nome: il gran Galileo. Ma, comecché egli giugnesse ad
accordare mirabilmente una canna di quell'organo che a
lui parve scordato, ninno dirà che il massimo restaura-
tore della scienze fisiche fosse un metafisico. — Vogliamo
invocare san Tommaso? Dapovolgeremmo la storia;
come precisamente incontr' agli odierni tomisti e scola-
gizzanti. — Ci è, finalmente, il Cusano, che potrebb' es-
ser davvero segnalato come l'antecedente della nostra
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GAP. Vili.] DfiLLB DUE MODBBNX FILOSOFIE. 191
moderna filosofia, massime considerando que' due prin-
cipii ond'ei si disceme da ogn' altro filosofo: cioè il
concetto negativo, ma altrettanto necessario in filo-
sofia, della dotta ignoranza; e il concetto positivo del-
l'Alterità opposta all'Unità, nonché della connessione
intima (coinplicatio) di tutto nel tutto. Ma Niccolò di
Cusa, non ci appartiene.
Chi volesse quindi rimontare più in su del Vico, non
potrebbe fermarsi a questo piìi che a cotesto filosofo
del Rinascimento; sia perchè la filosofia d' alcuni d'essi
non racchiude in sé tutte le esigenze del moderno pen-
siero italiano; sia perchè certi altri evidentemente danno
in errori, e però, scambio d'illuminare, ci abbuierebbero
il cammino; sia finalmente (ciò che più monta) perchè
l'impossibilità di risalirvi si radica sopratutto nel ca-
rattere stesso, nella stessa natura di quel periodo filo^
sofico e della speculazione di que' filosofi. Mi spiego.
Nella storia del nostro pensiero filosofico l' età del Ri-
nascimento ci rappresenta, come dire, il conato vivace,
l'energia profonda e la forza per quanto rigogliosa della
speculazione, altrettanto indisciplinata e intemperante.
Or chi pigliasse a risalirvi, sarebbe costretto guardar
que' filosofi nel loro insieme, avvisarli nel significato
complessivo delle svariate ed opposte loro tendenze, e
queste venir ragunando, integrandole e compiendole nel
Vico. U che quando potessimo qui fare, non mancherebbe
neanche a noi modo a riempiere più capitoli di riscon-
tri ideali fra lui e il Vanini, il Campanella, il Bruno,
e, più in su, il Ficino, il Pomponaccio, l'Achillini, il
Nifo, lo ilabarella, il Cesalpino, il Porzio, e simili. Ma
che cosa avremmo concluso di po&itivo con le facili
architetture de' riscontri ideali? Un vincolo ideale tra
il Vico e il Rinascimento si può forse più agevolmente
I rinvenire considerando i suoi principii psicologici; ma,
quant'a metafisica, ei si collega direttamente, come
s' è detto, col Cartesianismo. — A chi poi talentasse mo-
vere da qualche filosofo posteriore al Vico, e sia per
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192 8T0BIA DELLA 80IBNZA NUOVA. [lIB. I.
esempio il Galluppi, evidentemente comincerebbe senza
antecedenti nostrani, e, a spiegarselo, dovrebbe riferirsi
alla scuola Scozzese, al Locke, al Criticismo e che so io.
Vogliamo dunque ritrovare un centro, sia pur ideale,
a cui riferirci nello studiare con intendimento critico il
nostro moderno periodo filosofico? Non e' è altra via che
questa: far capo dall'Autore della Sdenta Nuova. Chi
sapesse o potesse additarcene altra più acconcia, gliene
sapremmo grado. Torniamo intanto al nostro proposito.
Anche sotto un altro rispetto il Leibnitz appare più
fortunato del Vico: egli esercitò efficacia grandissima
su la Germania e su T Europa. Checché infatti ne dica
il Ritter a tal riguardo, è noto come dal concetto mo-
nadologico partisse quella doppia direzione in clie poi
s' è venuto svolgendo il pensiero filosofico tedesco. *
• Si può dire che Wolflo, Reimarus, Baumcarten, Bilfinger, Meyer,
e potremmo anche citare i nomi di Mendelssonn, Winckelmann, Lessine,
Herder, Hamann Ano ad Eberhard e al Platner, svolgessero un aspetto del
concetto leibniziano ueirarte, nella religione, nella filosofia, nella storia, in
parte esagerandolo, opponendosi a vicenda, e a vicenda compiendosi. Kant
poi, che non manca d'aver attinenza col Lambert e col Tetens, i quali a
lor volta per mezzo del Wolfianismo si ricollegano col Leibnitz, ne ri-
piglia r altro aspetto, e genera siifattamente un indirizzo assai più ori-
ginale e più rigoglioso; il quale movendo dalla posizione del Criticismo
e passando pel Subbiettivismo Fichtiano, giugne all'Idealismo obbiettivo
di Schelling, chiudendo il proprio circolo nell' Idealismo obbiettivo e as-
soluto di Hegel. Il Gioberti fra noi s'avvide d'una relaziono tra Leibnitz
e Kant laddove osservò che quel filosofo, attribuendo ad ogni monade
creata la prerogativa delia monade increata^ spianti la strada alla Jtlo-
Hojìa critica donde u»ci poi il panteismo. {Errori FU. fip. 443.) La ragione
data qui dal Gioberti non sarà molto accettabile; ad ogni modo egli s'ac-
corse deir esistenza e della necessità d' un legame fra i due filosofi. Anche
Spaventa ha osservato che il Leibnitz prevenne il Kantismo in maniera o/V>-
ristica e popolare col suo concetto della monade. (La FU. di Oiohertif p. 103.)
Più chiaro e più accoucio di tutti sembraci il modo col quale il Chalibosus
pone relazione fra' successori di Leibnitz. Kant, egli osserva, col con-
cetto della cosa in s?, col noumeno, nega Leibnitz; la scuola di Jacobi
con r ide& d* un contenuto razionale accessibile solo al sentimento, s' op-
pone all'idealismo critico di Kant, e nel medesimo tempo all'idealismo
subiettivo di Fichte; mentre la scuola di Herbart col realismo delle mo-
nadi e col realismo psicologico, si oppone all'idealismo obbiettivo e as-
luto di Schelling e di HegeL (Willm, Op. cit., p. 87.) Questi due gruppi
rappresentano un doppio svolgimento del pari esclusivo del concetto mo-
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OAP. ym.] DILLE DUE MODSBMB FILOSOnE. 198
Men fortunato del Leibnitz il Vico non ispiegò gran-
d' efficacia in Italia, nettampoco in Europa, per le ra-
gioni ormai dette e ridette da' suoi critici ed espositori.
Ma anche in questo gioverebbe guardarci dal cadere in
esagerazioni. Posta la storia della Scienza Nuova da noi
tracciata, nessuno, crediamo, vorrà più oltre dubitare che
l'azione del filosofo italiano fosse stata nulla, così ne' suoi
contemporanei, come ne' suoi seguaci. Legami intimi,
vincoli speculativi necessari, storici, nou vi sono ; e quindi
è inutile cercarvi continuità e processo veramente detto.
Il Genovesi e '1 Galluppi, per dire un esempio, tutto-
ché non ignorassero, in ispecie il primo, le opere di lui,
scrissero non pertanto come s' egli non fosse esistito al
mondo mai. Verso il sesto lustro del presente secolo, in
quella che co' seguaci di Hegel comincia a declinare il
moto filosofico originale di Germania, e in Francia come
in Inghilterra odonsi i primi rumori del Positivismo,
vedemmo come anche fra noi si cominciasse a sentir
più acuto il bisogno al filosofare. E cosi il Mamiani
(il Mamiani del Rinnovamento), e quasi nel medesimo
anno il Rosmini, si provano a rannodar gli anelli della
nostra tradizione filosofica, ma con efficacia assai lieve.
E dico lieve, perchè, quantunque ella ingagliardisse vie
più col crescer degU anni e col succedersi de' nostri filo-
sofi, non pertanto pretendere di stabilire in essa tradi-
zione un vero processo ed una continuità logicamente
progressiva, a me sembra vana impresa e, fino a certo
punto, anche infruttuosa. Giova ripeterlo: a voler rin-
tracciare alcun filo di cotesta tradizione in maniera posi-
tiva, ciò è dire storica, né soltanto ideale, io per me non
iscorgo altra via tranne quella che noi abbiamo, anziché
percorsa, additata; intendo la via che dal Vico ci mena
ai nostri ultimi filosofi, ma per mezzo de' giusnatu-
oadologico; ma vi ò certamente un progresso fra 1 rappresentanti del
primo e qaelli del secondo. Vedi per le notizie particolari di questo
periodo fllotollco tedesco il Barohoc dr Ponhoem, Hìh, de la Phil. depuU
UibnitK juMqu'à Hegel. — BuuLE, Hi9t. de la PhU,, voi. Vili.
SICILIAKI. 13
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194 STORIA DELLA SGISNZA NUOTA. [lIB. I.
ralisti, de'sociologisti, de'critici e degli storici attraverso
i tre differenti periodi già discorsi. Altre vie ci saranno,
io lo so; ma tutte artifiziali, tutte pericolose, tutte vuote
0 rigonfie de' soliti riscontri ideali che agli occhi dello
storico e del critico positivo valgono fin' a certo segno.
Con la qual cosa non è a credere che noi pretendiamo
dare alla filosofia italiana caratteri e prerogative eh' ella
non ha, né può avere di fronte a quella di Grermania.
Il professore Spaventa osserva, che la filosofia italiana
non costituisce processo, né assomiglia, per così dire, ad
un filo che si sgomitoli necessariamente e razionalmen-
te, com' é quello che in organismo vivente e palpitante
annoda l' Idealismo critico con l' Idealismo assoluto,
mercé l'Idealismo subbiettivo di Fickte e l'Idealismo
obbiettivo di Schelling: non é, in somma, unevolturìone
strettamente logica, un dispiegamento serrato, compatto,
e come chi dicesse inquadrato e chiuso tutto in sé me-
desimo com' una severa dimostrazione geometrica. Il
professore di Napoli dice benissimo. Questo oggi dicon
tutti; e questo medesimo ripetiamo anche noi. Sola-
mente chiederemmo: non potrebbe stare che cotesto
filar compatto e processuale; che coteste filiamoni se-
riali, com' ha detto lo Spencer ai Positivisti francesi;
che, in somma, coteste annodature organiche, conside-
rate (già s'intende) nell'ordine istorico, fossero per
avventura altrettante immaginazioni del nostro cervello,
meglio che relazioni di fatto a cui ci spinga la ragione,
meglio che attinen/ie concrete in cui ci confermi la
storia? Annodamenti, giunture, articolazioni intime for-
mano di certo il pregio massimo della Scienza; costi-
tuiscono r essenzial condizione del sistema ; sono la vita
della ragione, avvisata come funzione filosofica e meta-
fisica. Ma si vorrà dire che tutto ciò sia anche pregio
e condizione vitale ove dall'ordine astratto e teore-
tico e individuale si discenda in quello delle applica-
zioni e della storia, per esempio ad un periodo storico
nel quale ci sia dato assistere all'opera svariata di
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GAP. vm.] DELLE DTTB MODERNE FILOSOFIE. 195
molti ingegni, al lavoro molteplice di più menti fra loro
diverse per infinito numero di condizioni, condizioni
differenti per luogo, tempo, educazione, carattere indi-
viduale, e civiltà? È egli pregio, di grazia, o non più ve-
ramente difetto il prendere un dirizzone e andare sino
in fondo diritto come fil di spada? E dov'è, dunque,
la necessaria moltiplicità di direzioni, e quella ricchezza
d'aspetti differenti, e quella varietà di vedute e di metodi
e dottrine in cui risiede, a dir proprio, il moto e l' essere
e la vita feconda della storia? I quattro filosofi di Ger-
mania costituiscono, come dire, una mente sola, un sol
pensiero; formano quasi un sol uomo che svolga e deter-
mini la propria attività: e, in effetti, come un sol uomo
essi hanno saputo filar sillogismi e tesser la scienza
cosi da comporre, sto per dire, una catena salda e com-
patta di soli quattro anelli.* Per contrario la filosofia
italiana non ci pone sott' occhio nulla di simile. Ella non
è un processo, o al più è un processo distratto, rotto,
saltellante, fatt'a pezzi e a bocconi, Qual relazione
mai tra Vico e il Galluppi? tra Galluppi, Rosmini e
Gioberti? tra Gioberti e lo scettico Ferrari? fra Ausonio
critico radicalissimo, e il cattohcissimo Conti? fra il neo-
platonico Mamiani e il severo storico Bertini ? fra' nostri
Hegeliani e i nostri redivivi Tomisti?
Riconosciamo francamente i pregi del periodo filo-
sofico germanico; e non meno francamente riconosciamo
i difetti della nostra moderna filosofia considerata sotto
r aspetto storico. Ma ci si permetta una confessione, ed è
che noi saremmo tentati a scegliere più presto questi di-
fetti, anziché que'pregi ; per la semplice ragione accennata
poco fa, che gli uni, nella mancanza d'unità e d'un'euriti-
mia stecchita e geometrica, ci presentano il fecondo moto
* Ecco come il Remnsat riduce quasi a forma geometrica V anda-
mento progressivo del pensiero germanico, o meglio, de* quattro filosofi
in discorso : L* idea^ dice Kant, non prova che «d «fe««a : V idea^ ripigìiè
Firkte^ produce Veuere: Videa, soggiunte Schelling^ riproduce V e«itcrc : V idf^,
eondwe Hegel,, > Vetsere. (De la Phil. ÀUem,, p. 45.)
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196 STOBIA DELLA 80IINZA NUOTA. [lIB. I.
del fatto istorico, dovecchè gli altri, nell' evoluzione
serrata e compassata di loro speculazioni, ci traggono e
e' incatenano allo spirito dommatico, esclusivo, unilate-
rale del filosofare, e perciò medesimo racchiudon la morte
del pensiero appunto perchè presumon di chiudere il
circolo dello stesso pensiero. Non dimentichino gli ama-
tori de' periodi storici filati e serrati, come la storia
della scienza e delle grandi età, presso cui rifulse più
splendido il pensiero filosofico, stia tutta contro di loro.
Si rammentino che nell' età gloriosa del Rinascimento in
Italia cotesto filar sottile di speculazione, cotesto fitto an-
nodarsi di più scuole e stringersi e allacciarsi di più filo-
sofi impersonandosi quasi in un sol filosofo, non ebbe
luogo. Non ebbe luogo, checché se ne dica, nel più celebrato
periodo che ci presenti la storia del pensiero umano, il
periodo della filosofia greca, né prima né dopo Socrate;
ma in esso il critico vede una moltiplicità sempre più
crescente e feconda da' primi Ionici agli ultimi Stoici, agli
ultimi Scettici, agU ultimi Neoplatonici, tuttoché quelle
scuole così differenti si fossero succeduta sotto l' impero
d'una legge universale, storica e psicologica insieme.^
* Questa legge conforme alla quale si venne svolgendo il pensiero spe-
culativo nelle scuole greche, possiamo trovarla accennata dal Laerzio
(come hanno osservato il Brandis e il Ritter) là dov^egli afferma che
presso quei popolo la filosofia sMniziò con la nozione d*una pluralità^ indi
venne progredendo con quella d* un' assoluta um'rà, e appresso cercò di
stabilire una relazione fra' due concetti. E questi caratteri, in generale,
ci additano veramente la scuola ionica e pitagorea, la scuola eleatica
e poi quelle d'Anassagora e d'Empedocle; ma sempre in maniera esclu-
siva, grossolana, oggettiva e naturale. La comparsa di Socrate segna
un ricorto della medesima legge, ma con ben altro significato e indirizzo
razionale. Accanto a lui vediamo sorgere la Sofistica: il che vuol dire che,
oome in ogni ritorno istorico, nel 2fi periodo della filosofia greca ha luogo
un doppio lavoro di demolizione e di ricostruzione; l'uno rappresentato
da' Sofisti» l'altro da' Socratici. Ond'è che la sofistica né vuol esser avuta
in dispregio, come' fanno alcuni fra'quali il Ritter, e nemmanco esage-
rarne il valore e l'importanza isterica secondochò fanno altri, per esem-
pio l'Hermann, col porre i Sofisti a capo d'un periodo novello di filoso-
fare. Nella storia del pensiero greco (passaggio al 2o periodo), tanto
vale un Sofista, quanto un Socratico; appunto perchè se la negazione del
primo non è annullamento di speculazione, l'affermazione del secondo non
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OAP. THI.] DBLLK DUI MODKRNI FIL080FIK. 197
Un vincolo storico, reale, positivo, cosciente, lo tro-
viamo fra Platone e Aristotele. Al di qua e molto più
al di là de' due luminari non ci ha che relazioni ideali,
gran numero delle quali è, piò che altro, l'effetto
della critica armeggiona di certi storiografi; essendo
già note le spostature a comodo che son venute muli-
nando certe fantasie hegeliane dietro l'esempio del
maestro, ponendo, per dime una, dopo la scuola Zeno-
niana d' Elea quella d' Eraclito, con aperta smentita
della storia, de' fatti, della cronologia e de' dati storici
più sicuri, e considerando Socrate, per dirne un'altra,
come logicamente posteriore ai Sofisti, mentre è noto
.come il gran figliuolo dell'umile Fenareta fosse loro
contemporaneo! Rammentiamoci che cotesti lambicchi
e distillatoi, cui si pretende sottoporre la storia, non
ti può dir neanche posizione sistematica, ovvero esplicazione organica d'nn
dato ordln d' idee. Ma la ricostmzione rappresentata da Socrate è essen-
zialmente psicologica ed etica, non più naturale, empirica ed estrinseca ;
stantechè in loi, come incontra in ogni ricorto ttoricOf ripetesi il ca-
rattere della pluralità oggettiva (però come eoncetH, i quali importano
la coscienza), e quindi in Platone ed Aristotele si ripetono, ma trasfl-
gorati, gli altri due caratteri. Platone infatti pone V unità assoluta in
8Ò, mentre che Aristotele si studia ritracciare una relazione fra quel-
la mmo e il moluplieet sforzandosi di levare il dissidio fra 1* immanenza
deU*a8ffoInto nel mondo, e la permanenza del mondo neir assoluto avvi-
sato in sé stesso. Dopo il *i<* periodo, al solito, un altro ricorto^ ma di-
verso da' due primi; essendo che ben altre e assai più complesse e più
disparate cagioni promossero la filosofia greca, neoplatonica e giudaica.
1! prof. Bertini nel suo ultimo lavoro ha accennato con verità a' tre ca-
ratteri per cai si distinguono i tre periodi, o meglio i tre ricorsi del
perìodo filosofico del pensiero greco: nel ì" delquali predomina il natura-
lismo; nel 2« primeggia la dialettica e T antropologia; nel 3" finalmente
prevale il tradizionalismo e il misticismo. Quel che importa notare è
questo; ohe cotesta legg«, sia che la s'intenda nella forma datale dal
Bertini, o in quella da noi rapidamente accennata seguendo V idea di Dio-
gene Laerzio, non è legge dialettica^ a priori^ oMoluta e neanche orga-
nica, nel senso che pretendono gli storiografi Hegeliani. È una legge a
cui soggiacciono, come vedremo, tutte quante le scienze ; ma è di natura
essenzialmente psicologica, perchè ritrova nella psicologia ogni suo fon-
damento, precisamente come la gran Ugge tetoriea del Vico, della quale
essa non è altro, com'è facile capire, che un'applicazione allo svolgi-
mento del pensiero filosofico greco.
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198 STORIA DELLA SGUNZA NUOVA. [lIB. I.
ebber luogo nel periodo della Scolastica, appo cui No-
minalisti e Realisti, Tomisti e interpreti aristotelici
arabi, greci, latini e italiani, comecché avvinti al giogo
della fede, compieron ciò nullamanco tale un lavoro di
riflessione teologica svariata, senza cui sarebbe stata im-
presa vana ogni risorgimento nel secolo XV e XVI; il
perchè un dotto critico non dubita segnalare il risultato
generale del periodo scolastico come la prima insur-
rezione dello spirito moderno contro V autorità.^ E ri-
cordiamoci, finalmente, che cotesta vagheggiata e acca-
rezzata maniera di processo non ha avuto luogo nel
periodo supremamente ricco e rigoglioso del Cartesia-
nismo nel secolo XVII.*
Se adunque tali sviluppi compatti e serrati, e questo
considerare più scuole come una sola scuola, e più menti
com'una mente, e più sistemi come un sistema, non
ha potuto aver luogo in veruno de' più segnalati periodi
storici della filosofia, non è da concludere che, se pur
nei tempi moderni ciò ha potuto verificarsi in Germania
dal 1760 al 1830, non altro sia stato che una bella ec-
cezione? Ora un'eccezione non vale a confermarci nella
regola? 0 presumeremmo forse d'elevare a dignità di
legge un'eccezione? Se non che, cotesto innalzare a leggi
le eccezioni non ci arreca punto maraviglia. La preten-
sione di chi celebra la misurata compattezza della specu-
lazione germanica è una conseguenza che pullula im-
prescindibilmente dalle viscere del sistema nel quale,
per la necessità di una stessa legge, il concetto dell' in-
dividualità sfiima, assorbita dal generale, e riducesi ad
apparenza, a fenomeno, ad accidente, così nell'ordine
ideale e speculativo, come nell' ordine civile, politico e
sociale. — Ma dunque (mi si chiederà qui) vorreste voi
* Barthblkmy Saint-Hilairb, i>0 la Log, d^Ari»U^ T. U, 19^.
' n Barchou de Penho^ln dice anche lui non di rado, come il Boul-
lier, qualche enormità tutta francese. Per esempio questa, che Cartesio,
Spinoza e Malebranche formino una mrd4>nlmn icuofa^ e una ntf^itm dot'
trino/ — Vedi Op. cit., p. 101.
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GAP. Yin.] DELLE DUE MODSBKE FILOSOflB. 199
discredere ad ogni processo istorico nel pensiero filoso-
fico? Tutt' altro! L'esigenza del processo, in tutto, non è
meno salda e men vivace nella nostra, che nella vostra
mente. In noi non sistematici assoluti eli' è piii vera,
più legittima, più pratica, positiva : ecco la nostra pre-
tensione. Sarà puerile o troppo ardita cotesta pTeten-
sione : ma, fra tante pretensioni che c'è al mondo, e delle
quali si mostrano cotanto ricchi gli annali della filo-
sofia, non ci potrà capir anche questa? Un processo nel
pensiero filosofico, tanto nella storia universale come
ne' suoi differenti periodi e sin nelle diverse scuole d'un
sol periodo, ci ha da essere; e ci ha da essere appunto
perchè la storia, anche agli occhi nostri, è sempre
l'opera d'un disegno. Ma poiché l'incarnazione di co-
testo disegno non è soltanto effetto di pensiero inco-
sciente, ma è la risultante di condizioni molte, svariate,
complesse per numero e complicate per natura, fra cui
signoreggiano le intuizioni, prevalgono i sentimenti, pri-
meggiano le tendenze istintive; ne seguita che il pro-
cesso non può manifestare, come si pretenderebbe, una
forma squisitamente organica e seriale, Ei debb' essere
incompiuto, com' avviene d' ogn' altro fatto storico. Or
s'egli è incompiuto, non bisognerà pur compierlo? E chi
potrà compierlo, chi potrà integrarlo fuorché il pensiero
che lo studia e sommette alla propria speculazione?
Un processo dunque ci ha da essere; ma ha da
essere insieme obbiettivo e subbiettivo, storico e specu-
lativo, essendo l' opera combinata non già dalla nostra
fantasia, com' è vezzo di certi storiografi che annodano,
per esempio, Cartesio e Kant co' fili ch'ei sanno mae-
strevolmente rimaneggiare a tutto lor profitto, bensì
r opera combinata fra il pensiero che fa, e il pensiero
che, facendo, vede, scopre e progredisce e sale sempre
più in su. Spieghiamoci meglio. Non si tratta di com-
binare fra loro le diverse menti de' filosofi d'un dato
periodo: si tratta di combinar tutto il periodo, o, per
lo meno, i risultati di tutta la speculazione d' un dato
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200 STORIA DELLA 80I1NZA NUOVA. [UB. I.
periodo filosofico, con noi medesimi, cioè con la nostra
mente, co' bisogni della presente speculazione. Nel primo
caso, plasmando a nostra immagine e simiglianza una
data serie di dottrine e di filosofi, la storia sarebbe
fatta da noi : nel secondo, invece, ella sarebbe fatta mercè
una doppia forza, in virtù d'una doppia leva; cioè da
sé stessa, e anche da noi. Non è quindi la storia, la
storia come storia, quella che possa e deva render com-
patto organando appuntino il processo; il quale perciò
non può esser costituito nella sua forma organica da più
scuole e da più menti considerate queste alla maniera
d'una scuola od' una mente; bensì dev'esser fatto tale
da chi, venendo dopo, è deputato a raccoglierne l'ere-
dità. Se non fosse così che cosa ne seguirebbe? Ne
seguirebbe che per nessun miracolo al mondo sapremmo
salvarci da questa conseguenza: che, cioè, la storia
della scienza s' identificherebbe, si compenetrerebbe con
la scienza stessa;* e quindi per inevitabil necessità do-
vremmo giungere ad uno di questi due corollari: cre-
dere, cioè, 0 che il sapore filosofico 1' avremmo oggi
beli' e conseguito, o che noi conseguiremmo giammai,
essendo indefiniti i limiti della storia. Dimodoché do-
vremmo, com'è evidente, imbrancarci o con gli Hege-
liani, ovvero co' Positivisti. E, se co' primi, non avremmo
torto dijicantar su tutt'i tuoni d'aver già piantato le
colonne d'Ercole; né, se co' secondi, c'inganneremmo
menomamente nel predicare illusorie le speranze d' un
sapere propriamente scientifico e metafisico.
La condizione dunque del processo istorico del pen-
siero filosofico non istà nell'esserci fUicusione e continuità
ne' suoi rappresentanti: basterà che ci sia svolgimento
e progresso, e quindi vincoli ideali ove sieno impossi-
bili gli storici; i quali non di rado è impresa ben vana
il cercare, non potendo esistere, o, pur esistendo, non
* È questo, coni* è noto, ano de* dommi supremi deU* Hegeliauismo,
(Tedi Hrocl, Logique^ Introd, § XIII) e del Positivismo, tuttoché il si-
gnificato ne sia diverso. —-Vedi CoirrB e Littbì nelle Op. innanzi citate.
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GAP. Tm.] DILLE DUI MODBBOTB FILOSOFIE. 301
sarebbero che eccezioni. Anche noi quindi crediamo che
nella storia della filosofia c'è attinenze; ma aggiungiamo
che c'è anche salti: e se c'è attinenze e salti, la conse-
guenza (conseguenza buona solamente per noi, anziché
per gli aggomitolatori e sgomitolatori de' periodi storici)
è questa, che una critica è necessaria; necessaria una
critica filosofica atta a scoprire le une, e colmare gli
altri. Tornando ora al proposito, nella storia della filo-
sofia italian«r ci è salti, per esempio, fra Bruno e il
Vico, fra il Vico e il Galluppi, fra il Galluppi e il
Rosmini e il Gioberti: ma non ce ne maraviglieremo
per ciò, sapendo che se questo non è pregio, non può dirsi
nemmanco difetto. Poiché il punto, ad ogni modo, sta
nel vedere se tomi possibile scoprirvi una progressione
ideale; e questa per appunto debb' esser l'opera con-
corde de' viventi filosofi, e il frutto d' una storia savia-
mente critica.
Nulla infatti è inutile nella storia della scienza, e
tantp meno in quella della filosofia. Agli occhi dello
storico spiegano egual valore tanto il moto speculativo
attuatosi dal Leibnitz ad Hegel, quanto quello che, pur
con varietà d'indirizzi, è venuto effettuandosi fra noi dal
Vico al Gioberti. Nello svolgersi di*questi due periodi
filosofici potremo verificare una gran legge; la legge
medesima che presiede alla storia generale del pensiero
filosofico. Mi spiego subito e in brevi termini, anticipando
un' idea che altrove giustificherò. Platonismo e Aristote-
lismo sono due parole di significato altamente compren-
sivo per la storia della filosofia occidentale. Non sola-
mente elle racchiudono una legge che ritrae la natura
del processo isterico della filosofia,* ma cotesta lor legge
è anche principio, un principio d'indole teoretica. Non
v' è infatti, né v' è stato filosofo, il quale non si possa
dir seguace dell' uno o dell' altro indirizzo, ovvero
d'entrambi, ma accordati e accostati insieme in uno
* Tedi la nota di qaesto medesimo Cap. a pa^. 196.
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202 STORIA DELLA SCIENZA NUOTA. [lIB. I.
de' tanti modi tentati e ritentati già fino da antico, a
contare da Cicerone a Boezio, da Boezio a Bessarione,
e dagli altri molti che nel Rinascimento si provarono
in simili accordi, fino al Rosmini. D'altra parte chi
pigli per poco a filosofare con serietà scientifica an-
ziché da burla, come par che vogliano fare oggi critici e
positivisti, non può a meno di non riconoscer nelle cose
un fondamento assoluto. Ora tal fondamento assoluto non
può esser posto tranne che in uno di questi tre modi: o
nel senso dell' idea platonica, o nel significato della cate-
goria aristotelica, ovvero in una terza maniera nella quale
tomi possibile un accordo fra l'esigenza dell'uno, e quella
dell' altro indirizzo. Qual debba esser la natura di tale
accordo e come porlo in opera, diremo altrove. Qui giova
avvertire che siffatta legge non solo racchiude il nodo,
per così dire, della storia della filosofia, tanto guai-data
neir insieme del suo svolgimento universale quanto nei
suoi particolari periodi, ma costituisce ad un tempo la
vera scienza della storia del pensiero speculativo, appunto
perchè forma il triplice aspetto sotto cui può esser con-
siderata in sé medesima la mente del filosofo nella so-
luzione del problema metafisico. Si dirà per avventura
che cotesta maniera di considerare la storia del pensiero
filosofico sia merce hegeliana? Può darsi che in appa-
renza la si dimostri tale. Ma fin d'ora avvertiamo che
cosiffatto principio è superiore all' hegelianismo stesso,
in quanto costituisce il criterio col quale potrà esser
giudicato il valore speculativo di quel sistema.
Tornando al proposito, posto il Cartesianismo, Leib-
nitz e Vico non potevan essei-e, e nel fatto non sono,
né puri platonici, né puri aristotelici. Essi bensì ci espri-
mono il conato verso un accostamento scambievoli dei
due indirizzi; tale essendo il valore della loro universa-
lità, e di quella sintesi confusa ond' inaugurano, come
avvertimmo, i due periodi moderni della filosofia te-
desca e italiana: i quali perciò, rappresentando l'ana-
lisi, costituiscono il lavoro a cui necessariamente con-
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GAP. Vin.] DELLE DUE MODERNE FILOSOFIE. 203
duce quella sintesi. Invero dopo Leibnitz in Germania
e dopo il Vico in Italia, la filosofia assume, tanto nel-
l'uno quanto nell'altro paese, il vecchio contenuto, ma
sotto novelle forme: da una parte, la filosofia fondata
nel sentimento, e l'idealismo assoluto; dall'altra, lo
psicologismo scolastico, e l'ontologismo: indirizzi più
0 meno esagerati del platonismo e dell' aristotelismo.
E lasciando qui de' due aspetti vieti della filosofia ger-
manica e dell'italiana, le due forme che in esse ad-
dimostrano più spiccata originalità rassomigliano quasi
a due correnti che riescono a due punti fra loro op-
posti e contrari, e sono la filosofia ctisiologica, e quella
dell'assoluta identità. Se nella prima vi è, come s'è
detto, processo e continuità di sviluppo ; nella seconda
non manca già un carattere comune tra i suoi propu-
gnatori, n Teismo fra noi è venuto assumendo evi-
dentemente forma sempre più netta, meno impaccia-
ta, men grossolana; perchè se il concetto religioso,
per dime un esempio, agli -occhi del Galluppi e del
Rosmini e del Gioberti costituisce un elemento essen-
ziale nell'organamento del loro sistema, la rdigion civile
di cui ci parla il Mamiani, è una parola com' un' altra;
una parola che non dice nulla, o pochissimo; e pure
ha fatto e fa tanto comodo all' autore ! Questo processo
e questo risultato della filosofia itaUana è come una
risultante di più forze: fra cui è da notare innanzi
tutto r educazione storica tradizionale e cattolica, la
forma e natura speciale dell'ingegno italiano non così
facile, come dissi, a dar negli estremi, e segnatamente
gl'influssi della stessa filosofia germanica. Queste ed
altre cagioni partoriscono il movimento filosofico in
Italia nel nostro secolo. Il pensiero filosofico nostrano
(e qui han ragione gli Hegeliani) è venuto promosso,
eccitato dal pensiero germanico ; a quel modo, potremmo
dire, che le diverse forme di filosofia nel XV e XVI
del nostro Risorgimento vennero eccitate dal sùbito
risvegliarsi della filosofia greca e platonica; da' com-
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/ STORIA DELLA 80IKNZA IfUOTA. [lIB. I.
Aatori arabi e aristotelici delle scuole di Padova,
/bologna, di Firenze. Il Criticismo esercita grande
Zone sili GaJluppi; e le tre forme dell'Idealismo ger-
n/anico, subbiettivo obbiettivo ed assoluto, spiegano
alla lor volta influssi potenti, immediati sul Gioberti e
sul Rosmini, come ci dimostrano la Protologia del primo
e Ja Teosofia del secondo, e anche in gran parte sul
Msaniani. Ma se è vero, com' è verissimo, che i nostri
filosofi han procacciato d'ormeggiare i Tedeschi, e questi
sono valsi ad eccitare in quelli piìi gagliarda la virtù
speculativa; è altrettanto vero che gì' Italiani mai non
cessaron di combattere le pretensioni sistematiche as-
solute del Germanismo; e questo è un altro carattere
comune che li distingue. Si può dire, in somma, che
il pensiero italiano sia venuto affilando le armi nella
fucina dello stesso avversario: ecco tutto.
Di chi sarà il trionfo? Chi canterà gl'inni della
vittoria ?
Parliamoci tondo e netto. Il trionfo dell' Ontologi-
smo e del Neoplatonismo, come ci è dato da' nostri filo-
sofi, è un' illusione ; ma non sarà meno illusione il
trionfo dell' Idealismo assoluto. Noi dunque non faremo
festa ne all' uno ne all' altro, né batteremo le mani alla
vittoria del Grermanismo né dell'Italianismo, per la
semplice ragione che in siffatt' ordin di cose le credute
vittorie ci paiono sogni di menti ammalate. Queste due
scuole, queste due filosofie (ci sia permesso stringerle
entrambe sotto due concetti o indirizzi distinti) ci rap-
presentano la speculazione ardita del nostro secolo; ma
per opposte ragioni si dilungano entrambe dalla casti-
gatezza della sintesi ontologica, discostandosi in pari
tempo dalla severità del metodo istorico e psicologico.
Sennoncthè, oggi segnatamente, chi ben le guardi, elle
cercano allearsi e compiersi a vicenda, giusto perchè
rappresentano e riproducono anch'esse l'antica lotta
fra r Aristotelismo e il Platonismo, tanto in sé stessa
e nel loro insieme, quanto nelle loro particolari divi-
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GAP. Vm.] DXLLK DUI MODSBNS FILOSOFIB. 205
sioni, esprìmendoci perciò il bisogno perenne e crescente
di quell'accordo sperato sempre, ma non attinto mai.
Questo panni, dunque, tutto il significato del loro svol-
gimento; e questo mi sembra il problema alla cui so-
luzione elle s' affaticano da un secolo e mezzo a questa
parte. Non è egli giusto quindi affermare che chi spera
nel trionfo assoluto dell'una su l'altra spera invano, e
chi s' affida in certi accordi e temperamenti in sostanza
esclusivi e unilaterali non ispera peggio? Citiamone un
esempio. Il Gioberti dello Spaventa, lavoro (checché se
ne dica dagli hegelianissimi) d'una potenza critica vera-
ramente singolare fra noi dopo i libri del Rosmini, nelle
intenzioni dell' autore dovrebb' essere un accordo tra la
filosofia italiana, e la così detta filosofia moderna Euro-
pea. Lasciando stare quel moderna e molto piii Y europea
(frase, la quale a me rammenta quella che han su la
punta della lingua i Pontefici di Roma quando costoro
menan vanto de' creduti e desiderati dugento milioni di
cattolici), io chiederei, se il fare assorbire à quel modo
eh' egli ha fatto il filosofo italiano dal filosofo tedesco,
sia da dirsi accordo, o non più veramente un solenne
trionfo del secondo sul primo, e quindi '1 trionfo asso-
luto del divenire sul creare? ¥* allora dov'è mai l'ac-
cordo fra le due filosofie?
Un accordo, come suona la parola, è necessario, ed
è razionale; che posta l'analisi, posto il lavoro anali-
tico di quel doppio indirizzo, una sintesi ne dovrà sgor-
gare di necessità. E il fatto stesso ce ne porge prova
e guarentigia. Il Mamiani, l'autore delle Confessioni^
ha pronunziato, fira le altre, questa gran verità: d'aver
egli concluso e chiuso, fra noi, un periodo filosofico nel
quale egli stesso, col Galluppi e col Rosmini e col Gio-
berti, è venuto cogliendo allori molti, e ben meritati.
L'À. delle Confessioni ha detto benissimo: ha chiuso dav-
vero un periodo ; ma solo ha dimenticato avvertirci che
in esso egU ha chiuso anche sé medesimo. Chi consi-
deri infatti il suo neoplatonismo, per quel tanto che
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206 STORIA DELLA SOIENZA NUOVA. [lTB. I.
contiene di correzione verso gli altri nostri filosofi,
l'illustre Pesarese ha merito grande; ma avvisato in
sé stesso cotesto neoplatonismo, specie quant' alla parte
psicologica, è già morto in sul nascere. E doveva esser
così, almeno per chi voglia ammettere che la storia
della filosofia non possa esser ripetizione inutile e in-
fruttuosa di teoriche trascendentali. D'altra parte l'He-
gelianismo, checché se ne voglia dire, ha oggimai esau-
rito la propria vitalità con lo scindersi nello tre note
scuole di destra, sinistra e centro. Oggi dunque non è
impossibile raccorre i frutti di così lungo, di così osti-
nato lavoro, e di lotte e contrasti e discussioni infinite
attuatesi nei due paesi, appo cui l' ingegno europeo
serba piii acconcia e vigorosa virtù speculativa. A tale
impresa hann' influito efficacemente i nostri hegeliani,
r opera dei quali riguardata stòiicamente, io non du-
biterei chiamarla provvidenziale. Nelle mani di questo
infaticabile artefice che appelliamo storia, i nostri he-
geliani sono, mi si lasci dir così, un istrumento, un
mezzo, acciocché nel possibile accordo delle due filo-
sofie abbia a trionfare il vero. Più che apostoli e messia
e predicatori della buona novella, com' essi medesimi si
piaccion segnalarsi, sia col tradurre le opere di Hegel,
come fa il Vera, sia col modificarne e interpretarne le
dottrine, come fa Spaventa, e' mi paion la condizione
imprescindibile, efficace, perché il pensiero filosofico
possa innovare sé stesso nella pienezza d' una coscienza
speculativa chiara, intima, vivace, sceverando dal vero
quel carattere arbitrario di costruzioni dommatiche il
quale accompagna i pronunziati dell' Idealismo assoluto.
L' Hegelianismo é cosa nostra: lo ha detto il profes-
sore Spaventa; ed é verissimo. Ma é cosa nostra in
quanto è anche un assoluto realismo; realismo obbiet-
tivo nel vero senso della parola, non già campato a
mezz'aria, com'è quello di Hegel, il quale perciò usurpa,
non legittima il significato della obbiettività.
Ripetiamolo: se la filosofia ha bisogno d'innovarsi
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esi- i
stro \
ica. i
OAP. ym.] DELLE DC7E MODERNE FILOSOFIE. 207
diventando positiva e razionalmente positiva, tale esi
genza del pensiero italiano e tedesco, pia che dal nostro
cervello, ha da scaturire dalla stessa ragione istorica
Osservando lo svolgersi di queste due forme del pen-
siero filosofico moderno, è facile accorgersi com'elle
assomiglino (ci si permetta un paragone) al cammino
di due linee le quali, partendo lontane fra loro, nondi-
meno si vadano accostando sempreppiù. L'una s'è mossa
prima dell' altra ; e assai più spedita e più rapida ne' suoi
passi e difilatamente ha percorso assai più lungo tratto
che non abbia guadagnato la seconda. Questa poi s' è
mossa dopo, e spesso è venuta sviando e svagando per
più e diverse ragioni; ma, non altrimenti che ne' feno-
meni elettrici d'induzione, passo passo ne ha sentito
gì' influssi, e le si è venuta più e più avvicinando. Un
punto di coincidenza, dunque, fra queste due linee con-
vergenti è necessario; ma la grave difficoltà sta nel
trovare cotesto punto. Usciamo di figura. Se i due pe-
riodi filosofici nel dischiudersi per opera del Leibnitz
e del Vico mostrano, come vedemmo, cert' affinità
spontanea e incosciente, è pur mestieri che cotest' affi-
nità s'abbia da palesare altresì nel loro chiudersi; ma
s' ha da palesare cosciente, riflessa, e quindi promossa,
eccitata, ricercata e partorita dalla stessa ragione come
funzione filosofica. E pensiero moderno debbe aver
coscienza di tale affinità: né può averla se non la
cerca; né può cercarla efficacemente se non la pone.'
* Ninno si meraTigli se fra* vari indirìzzi moderni della filosofia noi
qui non abbiamo tenuto conto altro cbe della speculazione tedesca, e
dell* italiana. L' ingregno inglese procede sempre a un modo, ne da due
secoli A questa parto ò mai uscito dalle orme segnategli dal suo Bacone,
e poi dal Locke, da Hume e dalla Scuola scozzese. Spencer e Mill ce *1
dicono chiaramente ; ne* quali filosofi è pur chiaro un progresso rispetto
ai loro antecessori, ma è un progresso monotono, omogeneo. L* ingegno
francese poi, dopo le grandi tracce lasciategli dal Cartesianismo, si è
svolto sempre fra 11 Sensismo eil un acquoso Spiritualismo ; né la scuola
eclettica, i cut ultimi rappresentanti oggi fan tanto onore alla Francia,
ha nulla di veramente originale. )£ una bella eccezione in quel paese la
scuola e gli studi iniziati dal Main^de Biran. Se dunque originalità di
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208 STORIA DELLA 80IBHZA NUOVA. [lIB. I.
Italia e Glermania, madri d'ogni grande filosofia e dìvi-
natrici delle più ardite concezioni metafisiche, per ne-
cessità isterica hann'a risalire alle loro primitive sor-
genti moderne, Leibnitz e Vico ; ma risalirvi (intendia-
moci) con tutta quell'opulenta ricchezza che a noi
porge il lavoro di specukzione compiutasi nello spazio
di due secoli. Il trionfo ha da esser comune, perchè
comune, quantunque diviso, è stato il lungo lavoro.
Se non fosse cosi, la conseguenza, per le menti che
con ansia febbrile e con ignorati e crudeli tormenti
ma con altrettanta fede si travagliano invittamente
nella ricerca d'ogni parte spinosa della verità, sa-
rebbe dura davvero, sarebbe sconfortevole. E la con-
seguenza è, che la storia sarebbe un' ingiustizia : ingiu-
stizia altrettanto manifesta e insopportabile, quanto
inesplicabile. Ancora : se questi due periodi, queste due
filosofie di cui si parla, non avessero quelle attinenze e
quel valore e quel fine che noi diciamo, elle assomiglie-
rebbero a due forze distratte, inconsapevoU, naturali,
sciolte da ogni legge, libere da ogni ragione; sì vera-
mente che le analogie e le differenze e l'intero loro
svolgimento sarebbero tutte cose accidentali, estrinseche,
meccaniche, fortuite, e perciò stesso empiriche, perciò
stesso inesplicabili, perciò stesso insignificanti, non al-
trimenti che que' riscontri ingegnosi ma vani, ma incon-
cludenti, che alcuni storici sanno scorgere fi-a la storia
d'un popolo, e quella d'un altro, fra la China, per esempio,
e l'Europa, tra Confucio e Pitagora, fra il Celeste Impero
e il Teocratismo papale, come fa il nostro Ferrari. Or noi
domandiamo alla coscienza di tutti gl'indefessi indagatori
del vero; domandiamo alla coscienza degli amici sinceri
e de' sinceri nemici della filosofia : È egli mai possibile
speculazione oggi è possibile, è d' uopo ricercarla, quantunque sotto
forme diverse e con risultato e valore differente, nell* ingegno tedesco e
italiano. So che gli Hegel ianissimi sorrideranno di gran cuore a queste
parole. Ma io qui vo* restringermi a chiedere, se da quarantanni a
questa parte fuori d* Italia ci sìa stato filosofo che possa reggere al para-
gone dell'ingegno del Rosmini, miracoloso per acutezxa speculativa.
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OAP. Vm.] DELLE DUE MODERNE FILOSOFIE. 2U9
che la storia, massime la storia del pensiero filosofico,
abbia da essere, o un' opera cotanto ingiusta, ovvero un
artifizio cotanto sterile, infruttuoso e meccanico?
Concludo per ciò che riguarda il nostro filosofo
nonché la seconda parte del nostro lavoro. Si è detto
e si dice che il Vico non ispiegò efficacia di sorta nel
soQ. secolo. E poi s' aggiunge che, quand' ei venne sco-
perto (e fu vera scoperta) noi già l' avevamo sorpassato.
Sarà vera V una cosa e l' altra. Ma gli uomini grandi
e ì grandi ingegni, se vogliamo stare all' osservazione
di Stuart Mill, i quali per difetto di favorevoli oc-
casioni non poteron lasciare traccia alcuna di sé nella
loro età, spesso sono stati di gran valore per i posteri.*
Tale per noi è il Vico; e tale si é pure la sua Scienza
Nuova. S'ei nulla valse pe' nostri padri (il che non è
vero), vale moltissimo per noi. Solamente in lui potremo
rannodar gli anelli della nostra tradizione scientifica:
in lui ricongiugnere il nostro Rinascimento col nostro
moderno Risorgimento. Per andare avanti debitamente,
come suona il motto volgare, è d' uopo dare un passo
indietro : Chi vuol salire, pigli V aire. Se questo é vero,
se questo é necessario in tutto; non sarà altrettanto
vero, altrettanto necessario in filosofia?
Con sifi'atti intendimenti noi prendiamo ad interpre-
tare il principio filosofico della Scienza Nuova. L' acuto
Littré lia detto benissimo: Tout annonce gu'on ne verrà
plus aucune grande éruption métaphysigue, comparàble
à celles qui otit signaU Vére moderne depuis Descartes,
et qui ont abouti à HegeV Ma la conseguenza vera non
è quella che ne trae il positivista francese, bensì quella
che ne ricaviamo noi : e tal conseguenza é la necessità
di critica, la necessità di ritomo critico su la feconda
speculazione degli ultimi grandi filosofi, e quindi la ne-
cessità d'un accordo fra essi.
' St. Mill. SytL de Log., toI. 2, pag. 545.
* LiTTRi, Princ de Phtl. Poeit., Pré/,, pag. 59, Paris, 1868,
Siciliani. 14
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Libro Secondo.
INTERPRETAZIONE DELLA DOnRtì^A FILOSOnCA.
Preambolo.
Il concetto della Scienza e '1 concetto del Criterio si
richiamano a vicenda, poiché non si può determinar l'uno
senza additare nel medesimo tempo il significato del-
l' altro. La prova più facile e megUo convincente di tale
affermazione ci è data dalla storia della filosofia; non
v'essendo sistema, non dottrina filosofica, nella quale
que' due concetti non rispondan fra loro per caratteri
comuni, e per note affini ed omogenee. E poiché applicare
il criterio vai come imprimere forma al conoscere, onde
poi risulta il metodo; è naturale che, tanto l' idea della
scienza, quanto quella del criterio, abbiano a racchiu-
dere altresì la nozione del metodo. Se non che, scienza
metodo e criterio sono tre concetti dipendenti dalla
soluzione d' un medesimo problema, del problema della
conoscenza: nel quale perciò si radica propriamente,
direbbe il Trendelemburg, l' ultima differenza de' siste-
mi. Sono dunque tre aspetti diversi, sono tre diverse
determinazioni d'un medesimo subbietto; le quali noi
non possiamo definire, ma espUcare, stanteché la defi-
nizione, secondo il detto di Campanella, sia come la
conclusione e quasi l' epilogo della scienza stessa. Nel
circolo della riflessione infatti la mente, ripiegandosi
in sé medesima si compie, si pone, si determina, cioè
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[lIB. II.] PR1AMB0L0. 211
si definisce; e si definisce perchè si è venuta esplicando;
e con r esplicarsi mostra col fatto che cos'è mai T in-
tendere, quali vie abbia percorso, e con che guarentigie
si possa pervenire ai risultamenti più sicuri del sapere.
Nondimeno ci è cose che noi potremo sapere fino
da ora ; voglio dire le condizioni del sapere. In che mai
dobbiamo fondare la scienza? In che porre i limiti del
sapere metafisico? I più de' filosofi, com' è noto, si fanno
tosto a rispondere: « su la natura e sul valore dell'uomo
stesso. » Ma il punto è precisamente questo: qual' è mai
la natura, qual è il valore dell' uomo ? La risposta più
seria e positiva a tale domanda, se non vogliamo per-
derci nelle solite ciance trascendentali, panni questa:
che l'uomo, l'uomo quale ci è dato da' fatti e dalla
storia, non l' uomo concepito sotto forma di spirito del
mondo {der WéUgeisf), non sia tutto, e nemmanco nulla : *
di che ci porgono guarentigia nel medesimo tempo la
coscienza, l'esperienza e la ragione. Ora se questo è vero,
due conseguenze n'emergono innegabili; la prima, che
la scienza, tolta nel significato di sapere metafisico,
non può esser né propriamente negativa, né propria-
mente assoluta; la seconda, che non si può esser siste-
matici e dommatici, non essendo noi tanto fortunati da
possedere una formola assoluta entro cui mostrar chiusa
la ragione ultima e propriamente essenziale delle cose.
Ma diremo perciò che il filosofare altro non possa essere
fuorché una pura e semplice ricerca sfornita di qual si
voglia risultamento metafisico che sia positivo, sicuro,
determinato?' Che se anche per noi filosofia suona ri-
' Homo quia neque nthU e«(, neqite omnia^ nee nihil percipit, nec in,'
Jinitum, — De sntiqaiss. Italoram sapientia, cap. Ili, 16.
* Filosofo dommatieo e filosofo nttematioo a$8oluto per noi suona il
medesimo, anche ammesso che un sistema possa esser costruito per sola
Tìrtù di ragione, e innalzato (se fosse possibile) ad evidenza matematica,
secondo che pretendon gli Hegeliani. Il dommatismo volgare, teologico,
fondandosi in un principio estrinseco alla ragione, è da ripudiarsi per
difetto; ne conveniamo. Ma il dommatismo sistematico de* metafisici as-
solati col pretender troppo, anzi tutto, non è da ripudiarsi per eccesso ?
Différiscon ne' mezzi infinitamente, io lo so ; ma il risultato è il mede-
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212 DELLA DOTTRnrA FIL080PICA. [lIB. U.]
cerca e amor di sapere, nondimeno è ricerca effettiva,
è ricerca non solo atta a raccogliere il fatto, ma tale che
sia un fare altresì ella medesima, cioè una funzione cri-
tica, ma efficace, positiva, attuale, come può e debb'es-
sere dopo il Kant; funzione quindi capace non già a ri-
mandarci al futuro, cioè ai risultati della storia, sibbene
a saperci dire qualcosa anc' oggi su' grandi e terribili
problemi di nostra esistenza, del mondo, della vita, della
società. Se la scienza è possibile, come alcuni, positivisti
cominciano a credere,* non vuol essere in qualche ma-
niera attuale? Poiché, giova bene ripeterlo anche qui,
un possibile che mai non esca dalla nuda possibilità, in
realtà non è alti*o che un impossibile!
È da dire perciò che tanto V idealista assoluto o
l'ontologista Giobertiano, i quali in una formola, tut-
toché diversissima, ti assommano la ragione d'ogni umano
e divino sapere, quanto il positivista e il puro critico
che ogni sapere metafisico dichiarano impossibile, escano
tutti dal positivo, perchè chiudon l'indagine, e spen-
gono siffattamente ogni bisogno critico nel pensiero. E
così neir uno come nell' altro caso, la mente si rimane
impigliata in un' affermazione supremamente domma-
tica: dommatica positiva (sistematica) nel primo, dom-
matica negativa (esclusione della metafisica) nel secondo.
Or la filosofia intanto può assumere forma e valore di
speculaziope positiva, in quanto riesce a schivare non
pure il donmiatismo (il sistema assòluto propriamente
detto), ma eziandio l'assoluto positivismo (scetticismo,
nullismo metafisico). Fra questi contrari il filosofo che
Simo, perchè Tano con la credenza e l'altro con la dimostrazione pre-
samono darci tutto il vero. Entrambi quindi negano 1* attività speculatÌTa;
il primo la nega dichiarando la ragione impotente, il secondo la nega
reputandola esauribile anzi esaurita e soddisfatta. Che nel]* insieme delle
dottrine del Vico non vi sia pretensione di gUtema propriamente detto,
Tabbiam visto riportando (pag. 173) alcune parole della Conchu. del
Libro MetaJUieot e meglio si può vedere laddov*egli accenna ai dom-
matici del suo tempo ch'erano i Cartesiani.— De Antiqui^, etc., Gap. I, § 2.
' Vedi la Conclus. dell'ultimo libro del Taine suìV Intelliyenza,
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[UB. II.l PREAMBOLO. 213
voglia esser davvero positivo, sa di non esser domma-
tico; ma poi sa qualche altra cosa. Egli sa di non po-
ter esser mai dommatico, non mai sistematico assoluto.
Sa di non saper tutto, e, che più monta, può giugnere
a conoscere la ragione per cui deve ignorare qualche
cosa. È il caso del sapere del non sapere, appunto per-
chè se ne ha coscienza. — E non è ignoranza cotesta?
mi si dirà. — Sì, certo, è ignoranza: ma è ignoranza
dotta, direbbe il Cusano.
Tre ci sembrano adunque le condizioni, tre i carat-
teri precipui del filosofare che voglia riescire seriamente
e razionalmente positivo; e sono questi:
A) La speculazione filosofica non può esser fon-
data sopra elementi che non siano sperimentali, ma di
esperienza intema ed esterna. Tutto è processo, genesi,
attività nel pensiero; stantechè tutto in lui sia generato,
tutto edotto mercè i dati sperimentali. Né questo vuol
dire sensismo, psicologismo grossolano, nettampoco ma-
terialismo ed empirismo, come potrebbe parere a tutta
prima; perocché non per nulla ne' ricchi annali della
moderna filosofia esistono, chi voglia meditarli sul serio,
i Nuovi Saggi del Leibnitz, la Critica della Ragion pura
e quella sul Giudizio di Kant, il Nuovo Saggio del Ros-
mini, e qualche altro libro di questo genere, ma non
certo d' egual valore. Fatti dunque (ripetiamo anche noi
co' Positivisti) e leggi de' fatti ; ma, aggiungiamo, la
ragione anche degli uni e dell'altre.
B) La filosofia non meriterà titolo di positiva, dove
pretenda procedere scompagnata dall' altre scienze, e
far da sé. Come nella soluzione de' grandi problemi que-
ste non bastano a sé stesse, parimenti non v' è ragione
a credere che anche quella da sola non abbia a soggia-
cere alla medesima condizione. Che se mossa da antico
orgoglio presuma d'essere scienza di tutto, per ciò ap-
punto eli' abbisogna di tutto; abbisogna di tutt'i fatti,
di tutta r esperienza, del concorso di tutte quante le
sfere e discipline dell' lunana enciclopedia. Il perchè non
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214 DELLA DOTTRINA FILOSOriCA. [lIB. U.]
si può dire in modo assoluto esser la metafisica quella che
generi le scienze; vecchia pretensione del teologismo
che ci ricaccerebbe nel più fitto medio evo: ma nean-
che si può aflFermare esser le scienze quelle che, come
altrove notammo, possano di per sé sole partorire la
filosofia. A due patti la funzione filosofica riesce posi-
tiva: quando sia generata dalle scienze, e quando, ge-
nerata che sia in qual si voglia modo, possa e sappia
come ogni produzione organica viver da sé, e far vi-
vere. Non è dunque vero che all'altre discipline ella
porga principii e dispensi metodi e partecipi criteri. Ri-
ceve anzi dal di fuori tutte queste cose; ma per legit-
timarle, organarle, ricrearle : il che non può esser rico-
nosciuto dal positivista conseguente a sé stesso, senza
ch'egli inciampichi in contraddizioni per quanto evidenti
altrettanto inevitabili.
C) Il terzo carattere, conseguenza da' due primi, è
questo; che concepita così la filosofia di fronte alle altre
scienze, ella riesce positiva, ma non però cessa di posse-
dere un valore metafisico. Diventa metafisica, non meta-
fisica teologica, né metafisica a priori e tutta d'un pezzo;
orditura dialettica ideale somigliante a rete d' acciaio che
stringa, affoghi e strozzi tutto ciò che tocca o ricopre.
Diventa bensì metafisica atta a costruire sé stessa, ma in
quanto costruisce anche le scienze; in quanto, in somma,
é attività filosofica d'un' attività anteriore, dell'attività
scientifica, sperimentale, molteplice, essenzialmente ana-
litica e particolare. Non é quindi lecito confondere,
né identificare queste due sorgenti d'attività, sia ridu-
cendo la prima alla seconda, sia facendo che questa
venga tutta assorbita in quella. Evidentemente con-
traddiremmo ad un fatto; contraddiremmo al bisogno
potente in ogni tempo, in ogni luogo per la specula-
zione. Perocché non è possibile (per dirla con le me-
morabili parole di Kant) che V uomo rinunei alla me-
tafisica, come non rinunzia cMa respiratone anche con
la paura di respirare uri aria malefica.
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[lIB. n.] PREAMBOLO. 215
Queste condizioni che noi poniamo alla ricerca filo-
sofica sono, quanto semplici, altrettanto positive. Non è
a dirsi eh' elle precludano e arrestino in modo alcuno la
funzione critica, secondo che incontra tanto ai nemici
d'ogni sistema, quant' ai sistematici assoluti. Nel deter-
minare infatti la natura e '1 fine della scienza, i primi
ci dicono: « non bisogna tentar V impossibile prefiggen-
doci '1 fine di conoscere VinconoscìbUe, Tassoluto. » Ecco
posta al sapere una condizione essenzialmente negativa,
perchè contraddice alla natura stessa del pensiero e del-
l' attività critica.* I secondi poi, cioè i sistematici, so-
stengono che la scienza non solo può e deve attingere
r assoluto, ma ha da ridurlo trasparente così da ade-
quarlo, da conoscerlo sicuti esty altrimenti vai come nulla
conoscere.* Ma se cotesto conoscere (metafisicamente)
il tutto, fosse un bel sogno; non ne verrebbe che nulla
* I poBitWisti credono anch* essi no fatto il bisogrno specalativo ; e
come fatto noi negano. Ma dopo aver distinto quel che in esso ?* ha di
permanente, cioè la presenza perpetua dell'infinito nollo spirito, da ciò
che è transeunte, eh' è dire 1* inutile sforzo a risolverò problemi per se
medesimi insolubili, sogrgiungono : e Se l'Assoluto è qualche cosa, non può
essere che una realtà. Ora og^ni realtà si conosce mercè l'esperienza, la
quale, del resto, non potendosi applicare all'Assoluto, ci fa piombare In
un circolo senza uscita. Dunque la metafisica e una fase tratmtorta dello
•pirito umano, » (Littré, Prineip. de Phtl. Posiu Prófac. p. 53, 1868.) In-
nanzi tutto domandiamo, se condizione permanente del fatto, che nel
caso nostro è il bisogno della speculazione, ò la presenza nel pensiero
d'un infinito, non sarà appunto per ciò possibile una ricerca metafisica?
Quant'all'inutile sforzo poi non approda fondarsi nella storia, non potendo
in siffatt' ordin di cose indurre legittimamente dal passato al futuro.
Finalmente, quant'al circolo senz'uscita, osserviamo che l'assoluto è reale,
realissimo, ma non di realtà sensata e tangibile ; e non è vero che ogni
realtà non si possa altrimenti conoscere se non per l'esperienza ; errore
capitale del Positivismo. Queste ed altre risposte han dato al Littré i
medesimi francesi, specialmente Janet, Caro, Vacherot, Rénouvier, Pillon,
Reville, Laugel. A noi piace rammentargli un'altra bella sentenza d'un
filosofo poco fa citato non certamente benevolo ai matefisici: Una me-
tajinca è tempre enttita e tempre eneterà nell* umanità^ perche etto ì ine-
rente alle invettigagioni della ragione umana che epecìda. — E. Kant, Critica
ddUi Ragion Pura^ noli' Introd. alla 2.* odiz. § 1.
" Niente ni conosce te tutto non ti conotce. — Spaventa, Lex. di FU.
p. 154. — Vrba, specialmente nell' /n<rod. à la PkU. d'Hegel.
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216 DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
davvero potremmo dir di conoscere appunto perchè non
conosciamo tutto? Ecco anche qui posta una condizione
al sapere affatto negativa, comecché paia essenzial-
mente e supremamente positiva. Certo è positiva; ma
è positiva solo nel desiderio, solo nelle intenzioni e
pretensioni de^ sistematici, non già nel fatto, non già
ne' risultati della scienza ch'ei ci ammanniscono.
Al contrario, condizioni positive del filosofare ci
sembran quelle da noi poco fa rammentate, massime
la prima ; nella quale, se non escludiamo la possibilità,
non ammettiamo né pur Timpossibilità, l'assoluto difetto
d'un conoscere metafisico. Escludiamo bensì l'autorità:
e dicendo autorità intendiamo dir tutto ciò che non sia
ragione; come dicendo ragione, intendiamo dire altresì
la storia, i fatti, la natura, la tradizione scientifica, ma
avvisate queste cose come altrettanti mezzi ond'ella si
manifesta e progredisce e riconosce sempre piii chiara
l'opera propria nel lungo e faticoso lavoro deUa storia.
Capitolo Primo,
dottrina della scienza e del criterio.
Si è detto e si dice che il sapere, le scienze, l'en-
ciclopedia, siano quel che sono le cose stesse: un orga-
nismo. E s'è detto benissimo. Ma che è egli mai l'or-
ganismo? Che cos' è la vita?
Se neanche per noi è vero che l' organismo, in ge-
nerale, abbia a rampollare dalla virtù d'un principio
vitale, come credevano i vecchi fisiologi dinamisti, nul-
lamanco è verissimo ch'egli ha da raccogliersi, per così
dire, in un principio, e integrarsi in una forma d' unità.
Se cosi non fosse, il concetto d' organismo tornerebbe
altrettanto inintelligibile nel pensiero quanto impossibile
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GAP. I,] SCIENZA E CRITBBIO. 217
nell'ordine della realtà. La vita è innanzi tutto unione
iniziale, concorso rudimentale delle comuni efficienze
di natura chimica, fisica e meccanica; appresso vuol
esser anche unità, unità resultante^ unità vera, stan-
techè vivere non sia che generazione incessante, in-
cessante attività, e quindi processo essenzialmente te-
leologico. Simigliantemente nella vita delle scienze,
condizione imprescindibile è un principio; e questo
principio ha da emei^ere dal loro medesimo seno, ma
non per sola virtù di esse. Perocché, dicemmo, non
più che in due modi e per due ragioni la filosofia po-
trebbe scaturir dalle scienze; o perchè racchiusa in
ciascuna d' esse, o perchè contenuta nel loro insieme :
non v'è scampo. Se vero il primo caso, ciascuna sarebbe
già filosofia, e basterebbe a sé medesima. Se vero il se-
condo, servirebbe conoscerle tutte per possedere altresì
la filosofia, e dirci filosofi; o, che torna il medesimo,
basterebbe accozzarle tutte, basterebbe possederle, per
aver l'organismo del sapere. Coteste supposizioni sono
entrambe erronee; e quindi sorgente unica e assoluta
del filosofare non possono esser le scienze, comunque
le si voghan considerare.
La conseguenza che vien fuori da questo nostro di-
scorso ci sembra assai logica e altrettanto chiara. La
Scienza, il sapere per via di scienza, non istà nello svol-
gimentó d^un principio (Gioberti e Rosmini). Non istà
nemmanco in un principio che legittimi sé stesso in quanto
si faccia sistema, si svolga, s'attui, si realizzi (Fichte,
Schelling, Hegel). Né, finalmente, consiste in un racco-
gliersi successivo, in un progressivo adunarsi verso un
principio di là da venire, ed emergente dalla virtù stessa
di cotesto successivo e progressivo adunamento di par-
ticolari (Positivisti). Nel primo caso il principio sarebbe
dato, vuoi per intuito, vuoi pel verbo della società, della
tradizione, dell'autorità; e così moveremmo sempre, o
da un a priori, ovvero da una condizione estrinseca e su-
periore al pensiero. Nel secondo sarebbe posto indipen-
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218 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
dentemente dall' esperienza, e riesciremmo ad una posi-
zione formale, arbitraria, relativa, subbiettiva. Nel terzo,
finalmente, dovrebb' essere indotto; e faremmo opera
vana, non potendo dal meno indurre il più. Nelle due
prime posizioni costringeremmo nelle catene d'un si-
stema e nelle strettoie d'una formola la vita libera, lo
svolgimento autonomo delle scienze: in mentre che
nella terza contraddiremmo, come s' è detto nel Pream-
bolo, all' esigenza speculativa e metafisica della ragio-
ne, eh' è dire ad un fatto; sì che dovremmo reputare
affezione morbosa, malattia, quel bisogno acuto, crescente
d'una scienza superiore intomo a cui si travaglian le
menti più robuste che ci presenti la storia del pensiero
umano da Platone a Leibnitz, da Aristotele a Kant.
Che cosa dunque ha da essere, o meglio, che cosa
può esser la scienza? Ha da essere bensì adunamento
successivo, induttivo, integrativo delle particolari disci-
pline; ma fatto per opera dell'attività organatrice, del-
l'energia eduttiva del pensiero. Ond' accade che se un
criterio a questa composizione organica è necessario,
cotesto criterio ha da sorgere innanzi tutto dalle viscere
stesse del processo isterico della scienza (Positivismo) ;
ma soltanto il pensiero, soltanto l'attività riflessa della
mente potrà imprimergli forma, valore e dignità di prin-
cipio (Hegelianismo). Poiché se è vero che il pensiero
nasce dalla storia, nondimeno la supera. S'è vero che
abbisogna assolutamente di fatti, U trascende. E s' è
vero eh' egli riesce impotente senza 1' esperienza, ciò
nullameno la compie. La chimica, 1' astronomia, nel
loro processo istorico, son venute progredendo a questo
o a quel modo, secondo questa o quella legge. Or in
cotesta legge appunto giace il criterio atto a farci pon-
derare con giusta misura il valor razionale della scienza
stessa. Ma a levare a dignità di principio siffatto cri-
terio non bastan le scienze stesse, ne basta la storia;
perchè noi permettono i confini entro cui ciascuna di
esse ha da svolgersi; noi consentono i metodi che eia-
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CAP. I.] SCIENZA K CWTBBIO. 219
scuna ha da porre in opera conforme la natura del
proprio obbietto; e noi concede l'indole del fine inverso
a cui ciascuna si va travagliando. Infatti un ordine di
cognizioni piglia forma di scienza, quando può assu-
mere valore d'individualità; ed è individualità, quando
riesca autonoma nel metodo, e indipendente nelle con-
clusioni. Or quest' autonomia e questa scambievole in-
dipendenza tengono alla peculiarità del fine cui cia-
scuna scienza studiasi di pervenire. Talché, dove una di
esse vahchi per avventura i propri confini, ella smar-
risce il segno cui mira, si confonde con le altre disci-
pline, e turbando l' ordine e le scambievoU dipendenze
delle diverse sfere di cognizioni, finisce per negare il
proprio obbietto, e per annullare sé medesima. E s'an-
nulla, perchè pretende diventar generale, in mentre che
per vivere, cioè per essere quella che è (scienza), ha
da mantenersi particolare, anzi rendersi vie più parti-
colare. S'annulla, perchè pretende assumer valore d'iji-
dagine metafisica, mentre vuole, mentre debb' esser ri-
cerca limitata e speciale. S'annulla, in somma, perchè
presume diventar filosofia, mentre vuole e debb' essere
scienz3..
Di questi medesimi diritti e di questi medesimi do-
veri ha da godere la così detta Scienza Prima. Anch' ella
è autonoma nel suo metodo, perchè anch'olla è indi-
pendente nel suo fine. E in vero, tutto il nodo della que-
stione riguardante le sorti della metafisica parmi con-
sista nel vedere, se di là da' fini peculiari attorno a cui
travagliansi le discipline speciali, sia possibile ricercare
un fine superiore, universale, e diverso dagli altri. L'im-
poesibiUtà a proporci cotalfine dovrebbe tenere all' ob-
bietto, ovvero al soggetto. Or né tutte le cose è dato
all'uomo scandagliare in tutt' i lor fini e sotto tutti gli
aspetti, né il pensiero è da reputarsi fonte esaurita o
esauribile mai d'attività indagatrice e speculativa. Un
sapere superiore adunque è possibile, prestandosi a ciò ,
tanto le condizioni del soggetto, quanto quelle dell'og-
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220 DELLA DOTTRINA FILOSOITIGA. [lIB. n.
getto, voglio dire del pensiero e dell'essere. Ed è quindi
possibile una scienza la quale, anziché rappresentare un
puro e semplice risultamento di tutte Y altre sfere di
cognizioni, assuma nel medesimo tempo natura di risul-
tamento e forma di principio. Solo in questo senso la
filosofia può esser detta a priori. E solo in questo si-
gnificato ella può esser la ricerca ddF assòluto nelle
cose, 0, eh' è il medesimo, la ricerca dell'unità nella
vita dell'essere e del pensiero. Di guisa che nel men-
tre riesce intimamente collegata con l' enciclopedia se-
condo l'attinenza che congiugne il condizionato alla
propria condizione, nullamanco se ne distingue essen-
zialmente in grazia del fine al quale è indirizzata.
Se dunque la filosofia è possibile al solo patto che
sia un' indagine del fine de' fini scrutati nelle differenti
materie dalle diverse discipline, vuol dire ch'ella è scienza
inferiore e insieme superiore alle altre, ma sotto aspetto
diverso. È inferiore, in quanto essa ha da conoscere i
lor fini; e col conoscerne i fini non è lecito che ne
ignori i mezzi, che vuol dire ha da conoscer le scienze
tutte, ha da presupporle come essenzial condizione di
processo : talché conoscendole nei lor mezzi e più nei lor
fini, accade che queste si presentino precisamente come
le virtù, cioè indimsibtli, secondo la bella osservazione
del nostro filosofo.* Ma é poi superiore; ed é superiore
perché, ripetiamo, dee possedere anch' ella un proprio
fine da scrutare. E così resterà pur sempre vera quella
vecchia sentenza cui seppe levarsi la speculazione del
pensiero greco circa l'obbietto dalla metafisica: rxvryiv
To3v nptùroìif a^j^wv xat atrt<av «cvac Ostapvjrtxriv,^ Nel che
com'è noto, consentirono i filosofi tutti, platonici o
aristotelici che fossero, e consente non meno chi non
sia scettico dichiarato; perocché senza l'universale la
' Vico: Scientìa namque eàdem natura aunt qua virtuUt. (De Mente
Heroica. Op. voi. VI, p. 119.)
' Abist., Afetaph. I, 2. Al medesimo concetto giunge Socrate, quan-
tunque per esclusione, nel Teeuto, vedi pref. del Consin al dettò dialogo.
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OAP. I.] SCIENZA E CRITERIO. 221
scienza è davvero impossibile. Che se anche i Positi-
visti ci parlano spesso e volentieri dell' universale, cote-
sta loro universalità, chi ben la guardi, è complessità,
cioè l'universale implicato nel particolare, non istac-
cato da esso, né ad esso superiore. Ond' avviene che il
sapere complesso di cui si vantano costoro non è l' as-
soluto sapere, o meglio, non è il sapere qualcosa d' as-
soluto ; poiché ristringendosi a voler conoscere non altro
che leggi, non pervengono aUa ragione di queste leggi,
né alla ragione de' fatti, stanteché le leggi non siano
altro che fatti.*
Ma se una scienza superiore alle altre é possibile in
quant'è possibile la ricerca d'un fine corrispondente, tal
superiorità riesce sempre essenzialmente relativa. Ond' è
che la boria de' metafisici e de' teologisti nel segnalarci
la filosofia col titolo di scientia scientiarum oggi vuol es-
sere attenuata e corretta. EU' é scienza delle sdenee non
perché, come dicemmo, possa imporre alle altre metodi
e principii; sì perché da queste debb'ella accoglier ciò
che dall' accertata lor induzione risulta sicuro, o con
sicurezza conghietturato, ovvero con esperimenti attivi
guarentito. A tal riguardo le scienze dominano la filo-
sofia; e la dominano sol perché possono, debbono imporle
i propri Insultati. E qui l' antica genitrice, anziché si-
gnora, debb'essere ancella: tanto che, se un Giorgio Hegel
pretenda per avventura sorpassare la virtù del calcolo
e la potenza del telescopio dell' astronomia, all' astro-
' L* illustre H. Spencer dice che la filosofia debb' esser la cogninont
eompletamente unificata (Firtz Principlet^ 2* ed. Londra 1867, Somm. e
Condas.). Altrove la chiama cognizione del più alto grado di generalità:
ù KnowUdge of the highett degree of genercdily (Ibi, p. 181). Altrove an-
cora osserva che la filosofia è costituita in guisa da levare a piCi alta
generalità le generalità delle scienze; e quel che le generalità d*una
scienza fanno rispetto ai particolari, lo stesso facciano le generalità filosofi-
che rispetto alle prime (Ibi, p. 134).— Siamo sempre al medesimo difetto.
Che cos* è quest' unijìccuione t Che cos* è V alto grado di generalità t £
pure lo Spencer, fra tutti i positivisti, è il più chiaro, il più lucido sì nel
concepire come nell* esporre la propria dottrina; ma nel fissare T oggetto
della filosofia, come si vede, è anch* bgli assai vago e indeterminato.
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222 DELLA DOTTRINA FILOSOFIGA. [lIB. H.
nomo sarà pur lecito sorriderne, e compatirlo. Semion-
chè r ipotesi, la parte opinabile, conghietturale, è pro-
pria delle discipline particolari, massime di quelle d'or-
dine fisico. L'ipotesi è, per dirla così, lo strascico che
aqcompagna sempre la mente dello scienziato : è l' om-
bra ishe tien dietro all'induzione, e spesso la precede.
E non potendo ella aver luogo in quelle notizie indut-
tive emergenti da un' esperienza immediata e stretta-
mente particolare, piglia forma generale, e rappresenta
ed esprime la ragione d'una data serie di fatti. Cosi
avviene che, non cessando d' essere ipotesi, han pure un
valore universale la dottrina, per esempio, degl'imponde-
rabili sull'esistenza dell' etere in fisica, la teorica del-
l'atomicità in chimica, della gravità in fisica, del prin-
cipio biologico in fisiologia. Or la filosofia è sdenea dette
scienze anche nel senso eh' ella è chiamata a raccogliere e
legittimare in guisa razionale e metafisica siffatti risultati
d'indole ipotetica che l'esperienza non può, o tarda a ve-
rificare. Ella dee compierli, deve integrarU ; e a tale scopo
si studia metterli in relazione al fine peculiare e supe-
riore ch'essa, come indagine metafisica),, procaccia di con-
seguire. In -questo caso la filosofia, anzi che ancella, è
signora di se : e dove qualche Buchner presumerà, tra-
passando i limiti segnatigli dall'esperienza, di trastullarsi
con quella famigerata astrazione d'un Dio materia eh' è
insieme forza, o d' un Assoluto forza eh' è insieme esten-
sione, il filosofo, non altrimenti che il suddetto astro-
nomo di Hegel, potrà, dovrà sorridere alle affrettate
conclusioni di lui. Che in tal caso cotesto Buchner qua-
lunque non è altrimenti un naturalista e sperimenta-
tore paziente e riservato con in mano la squadra e '1
compasso, la bilancia e '1 microscopio, ma è un siste-
matico fatto cieco, e tramenato anche lui dalla solita
boria de' metafisici e de' dommatici.
Di qua poi nasce che la filosofia davvero positiva
non sa, non vuol parlare d'alberi genealogici, ne d'en-
ciclopedia; non di piramidi nelle scienze alla maniera dei
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GAP. I.] SCIENZA E ORITEBIO. 223
sistematici assoluti, net^mpoco di scale, di coordina-
menti e sistemcufWfii e gerarchie nel sapere a mo' dei
Positivisti francesi. Tutte queste soompartizioni gerar-
chiche e genealogiche riescon sistematiche e artifiziali;
e sono quindi altrettante catene alla libera individualità
di ciascuna scienza: il perchè non diciamo che il sapere
umano somigli ad alberi, né a piramidi, ma piuttosto,
applicando qui un profondo concetto del Bruno, ad al-
trettanti circoli fra loro annodati, e quasi toccantisi per
la circonferenza. Il centro è comune a tutti, ma non ri-
siede in alcuno. Che se altri volesse servirsi d'una figura
meglio appropriata, potrebbe assomigliare V economia e
la costituzione delle scienze a quella porzione del sistema
nervoso che domandasi della vita organica, cioè al gran
simpatico; appo cui l'unità della vita pone radice per
entro ad una moltitudine di centri e di fochi vitali e di
gangli sparsi, difiusi per V organismo, indipendenti fra
loro, e pur collegatissimi nel fine della vita organica.
L'assolutismo nelle scienze partorisce il medesimo
efietto che nella vita sociale: rallenta e dissecca e spegne
addirittura l'attività individuale. Tiranna infatti è la
divisione enciclopedica del Gioberti; la cui tripUce scom-
partizione fondasi tutta ne' due membri della nota for-
mola ctisiologica, nonché nella relazione di essi.* Che
se nelle opere postume ei ci parla d'una scienza il cui
fine ha da esser V analisi del principio costiltdivo ddlo
spirito,^ cotesto, al solito, è a riguardarsi com'una di
quelle felici inconseguenze in che non di rado sdruc-
ciolò quella mente privilegiata. E se nelle opere postu-
me al concetto della Ontologia venne sostituendo quello
della Protologia; cotesto principio protologico, inteso
come fondamento e come criterio enciclopedico, non ap-
pare men dommatico del principio ontologico che neUe
prime opere egli poneva siccome base della distribuzione
organica delle scienze. La Protologia, egli dice, è la filo-
' GiOBBBTi, Introd, alla FU.^ voi. Ili, pag. 5 e segg., ed. cit.
■ Idem, ProUÀogìa, toI. 1. Saggio 1. De' Principii, p. 96.
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224 DELLA DOTTRINA Fn.OSOFICA. [mB. U.
sofia; e la filosofia è scienza di Dio e di tutte quante le
cose in quanto a Dio si riferiscano, e con lui si connet-
tono,* — Tiranna e dispotica non meno, anzi più, la divi-
sione enciclopedica di Hegel. Nella qyale poiché i tre mo-
menti della scienza devon esser quelli della stessa Idea,
avviene che il processo logico debba riescire identico al
processo reale, non altrimenti che la logica è sostanzial-
mente identica all'ontologia, e ciascuna scienza servire
alla legge dialettica qual riprova e conferma della for-
mola ideale assoluta. Se è vero, com' è verissimo, che
r Idealismo assoluto non è altro, a guardarlo bene, che
V algebra del naturalismo, come con espressione felicissima
fu designato da un filosofo francese,* dov' è piii possibile,
io chiederò, l' autonomia di ciascuna scienza? Non deve
anzi costringerle così e forzare i risultati ad obbedire al
supremo principio? Il processo di Hegel, ha detto un
critico eh' è insieme filosofo e naturalista di prima riga,
è essenzialmente suicida (essentiaUy suicidai); e quindi
la classificazione che ne scaturisce è senz' alcun fonda-
mento serio e positivo.'
E al modo che non sono da accettarsi gli alberi
genealogici de' metafisici dommatici, non è a far buon
viso neanche alle classificazioni gerarchiche onde ci par-
lano i positivisti. Perchè se gli uni riescono ad annul-
lare la individuale autonomia delle varie sfere dello sci-
bile col porre in cima alla piramide una scienza madre
ond' ogn' altr' abbia a rampollare, ad un risultato somi-
gliante riescon gli altri, laddove, scambio di porre in
principio cotesta scienza tiranna cui tutte le altre son
deputate a servire, la pongono in fine di tutte. Tal si è
per V appunto la Sociologia, com' è intesa da positivisti
* Il prof. Spaventa dice che il pregio della distribazione enciclope-
dica del Gioberti è V unità concreta della SeienMa cui perviene il JU080/0
subalpino (Introd. alle Lez. ec. p. 149). Cotesto ò precisamente il sao
difetto !
-* Saissbt, Gritique et Hitt. de la PAtf.,* Paris, 1866.
' H. Spemobb, E9%ay9 Scientifica Politicai, and Speculative^ Londra, 1868.
Voi. I., p. 128.
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OAP. I.] SCIENZA E CRITERIO. 225
francesi. Ma intorno a questa dottrina giova spendere
poche parole.
La genesi, e quindi T ordinamento delle umane disci-
pline, tiene al concetto stesso della scienza e a quello se-
gnatamente della filosofia; ond'il significato differente
di questo vale ad imprimere a quella diverso valore, non
che diversa estensione. La genesi delle scienze, per i
positivisti, riesce empirica. Perchè? perchè tale è il
concetto eh' ei ci danno della filosofia. Or una divisione
enciclopedica che torni razionalmente positiva può solo
conseguirsi quando soddisfi a questa condizione; ch'ella,
cioè, risulti ad un'ora dalla storia, e dalla psicologia;
0 meglio, che possa rispondere tanto al processo iste-
rico, quant' al processo psicologico. Ai Positivisti vien
meno tale condizione, tuttoché sia da riconoscere i molti
pregi del loro concetto enciclopedico. Fra essi, quelli
che meritino special menzione a tal proposito sono
due, il Comte e lo Spencer. Il primo considera la
genesi delle scienze in modo assolutamente obbiettivo
e storico: il secondo in maniera affatto subbiettiva,
psicologica, ideale. Ma tanto l'uno quanto l'altro, se-
gnatajnente il primo, sono lontani dall' aver determi-
nato il criterio del vero ordinamento, e della vera ge-
nesi razionale dell' enciclopedia. Nel positivista francese
primeggia, al solito, il principio della continuità, della
dipendenza assoluta, e d' un vincolo indissociabile e
strettamente gerarchico fra le discipline più semplici
ed elementari, e quelle piìi composte e complesse. Nel-
r inglese, al contrario, predomina il principio opposto;
quello dell' indipendenza, dell' autonomia, e dell' indivi-
dualismo nella differente costituzione delle divei*se sfere
di conoscenze. Di modo che, dove per l' uno il criterio
classificativo sgorga dalla natura e dall'ordine stesso
delle proprietà delle cose ; per l' altro consiste nel modo
come s'apprendono cotesto proprietà. Ristiingiamoci
per ora al Comte. La gerarchia del sapere, secoudo lui,
risulta di sei scienze, composte e disposte conforme
SlCILIAM.
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226 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H^
la legge della generalità decrescente, e della ci*escente
complessità. Però la matematica, disciplina più d^ ogni
altra semplice, universale e astratta, costituisce l'im-
prescindibile condizione di tutte le altre; talché com'è
la prima a nascere, così ha da esser la prima a for-
mare l'educazione della mente. La Fisica sociale poi
riesce la pia complessa fra tutte; ed è l'ultima a com-
parire sia nell' ordine logico, sia nell'ordine storico.*
I difetti della dottrina enciclopedica francese possiamo
ridurtì a' seguenti : 1* Il non aver impresso il verace ca-
^rattere ad alcune scienze; per esempio alla matematica, a
proposito della quale Stuart Mill domanda, come avver-
timmo, se per avventura ella sia da considerarsi come
teologica 0 metafisica, ammesso che anche storicamente
ella debba nascer prima delle altre. Ne poi è vero che la
scienza dell' astratta quantità numerica e spaziale nasca
pura (come dovrebbe, secondo il Comte), ma pura e insie-
me applicata, secondo che molto acconciamente osserva
in proposito lo Spencer. 2** Il considerar come un cou-
ronnement de Védifìce la Sociologia: ond' accade che la
scienza de' principii, non potendo essere altro che una
semplice appendice di essa e di tutte le altre discipline,
resta, non che falsato, annullato ogni concetto di filo-
sofia. 3*" Il segnalare alcune scienze come assolutamente
irreducibili, massime la matematica; la quale invece,
considerata come scienza, suppone le leggi del ragio-
namento e quindi la logica, secondo che in maniera
* CoMTK, Cour% de PhiU Po9Ìt.y 2« L09. — La Sociologia è la «ctence la
jAuB élevéCf et qui couronne V oeuvre, Littbì, Parole* de PhU, Pont,, 2« ed.,
1868, p. 70. — Lo stesso Littró afiferma, che /aire de ehaque eeience pctrti-
cidiire un menthre de la «cienee generale, eat une grande revolution epéctUa'
Uve, (Op. cit., pagr. 23.) Sarebbe stata davvero gran rivolazione cotesta
0T6 il Comte non fosso riascito anch^ egli ad affogar le scienze le une
nelle altre, annullando così V indipendenza di ciascuna. Del resto lo sforzo
della metafisica è stato sempre, chi ben guardi, quello d* informare ad
organismo le rarie discipline. Non vi ò riuscita appunto perchè, in tale
organamento, chi ha Toluto incatenarle troppo fra loro, e chi troppo spic-
ciolarle e renderle indipendenti, quasi edifizio a frammenti. U Comte rie-
sce ineritabilmente al primo difetto.
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o^p. I.] soixNZA K GRirnuo. 227
invitta ebbe a dimostrare fin dal secolo XVII il Leib-
nitz; mentrechè, come includente nozioni astratte (spazio,
quantità, grandezza) suppone l'ideologia, la psicologia
e la logica. 4* Finalmente, massimo difetto di questa
dottrina francese è quel sostenere a marcia forza che da
una scienza, o gruppo di scienze, abbia a ncisceme e quasi
pullularne un altro gruppo, e cosi via.
Di tale dottrina lo Spencer ha fatto una critica
quanto seria altrettanto severa; e ne ha avuto ben
donde, massime dove ci fa toccar con mano che la
legge regolatrice dello svolgimento storico del sapere
non sia nuli' affatto quella di filicmone secondo che pen-
sano i Gomtiani, come altrove accennammo. Se cosi
fosse, egli dice, ne seguirebbe che, dov' esiste un
dato gruppo di scienze, non sarebbe possibile un altro ;
mentre nel fatto in un primo gruppo o momento, ci son
tutte, e tutte in un secondo, e tutte in un terzo, svol-
gendosi come di fronte, anziché per successione seriale.
E la critica dello Spencer poi ci sembra ancor più so-
lida ove dimostra, che se il primo gruppo di scienze
può esser detto strumento e condizione del secondo, e
questo condizione del terzo, ninno potrà confonder la
condizione con la cagione véramente detta : sicché giunge
ad una conclusione affatto opposta a queUa cui rie-
scono i Gomtiani, ed è che la psicologia, per esempio,
non possa dirsi appendice della biologia, né la sociologia
semplice appendice della storia; nel che egli concorda
pienamente col MilL*
Ma se la genesi enciclopedica ne' positivisti francesi
è manchevole per più conti, non meno difettosa ci
sembra quella del medesimo Spencer.* Suo massimo
* Hbrbkrt Spknobb, The (ioMificatifm of the Scieneee, 2« ed., 1869,
p. 25. — St. Mill, ^»t. de Log., voi. II, p. 486.
". Egli distiogoe tre gruppi di gcienze : AetraUe, Attratto-conoreU e
Conerete, Le prime stodiano i fenomeni relativi a noi (Logica e Mate-
matica), e ci dan le leggi delle forme : forme. Le seconde ricercano i fe-
nomeni in sé (Meccanica, Fisica, Chimica ec.), e queste porgon le leggi
dt* fattori : /aetort. Le ultime, finalmente, ai travagliano intomo ai fe-
difetto è quello appunto ond' è magagnato, come av-
vertimmo, il Positivismo inglese; il formalismo. La sua
genesi enciclopedica, infatti, non mostra alcuna rispon-
denza ne col processo isterico, né col processo obbiet-
tivo delle cose stesse. Non diciamo, si badi bene, che co-
testo sia difetto essenziale nella dottrina dello Spencer. È
tal difetto che in forza di certi suoi principii egli potrebbe
schivare, massime quando si volesse tener conto della sua
bella teorica sul Progresso. Ma di questi principii ei non
ha fatto applicazione alla genesi delle scienze; e però
Stuart Mill ben a ragione gli ha mosso rimprovero di non
aver riconosciuto e distinto la fase empirica dalla fase
scientifica nello svolgersi d'una scienza.* Altro difetto
è che la filosofia, nella generazione enciclopedica dello
Spencer, non trova luogo, a meno che non vada confusa con
la logica, con la psicologia o con la sociologia; il che per
lui non dovrebb' essere. Perchè se l'oggetto delle nostre
conoscenze, com'ei dice, è doppio, cioè il conoscibile e l'tV
conoscibile, ne seguita che, dato l'obbietto, è già bell'e data
la possibilità di una scienza che gli si travagli attorno.
Ora, onde viene e dove riesce mai cotesta scienza il cui
obbietto, comecché inconoscibile, pur nullameno esiste?
Vien prima della logica, ovvero dopo la sociologia? Se
prima della logica, studierà anch'ella non altro che forme?
Se dopo la sociologia, non s'occuperà d' altro che di pro-
dotti ? E nell'un caso come nell' altro, io chiedo, non isfu-
merà l'indipendenza e l'autonomia e la superiorità della
filosofia rispetto alle altre discipline? La genesi dunque
delle scienze, nella dottrina del filosofo inglese, è una
genesi fatta per comodo; una genesi metodica anziché
scientifica, la quale non soddisfa alle esigenze del pen-
nomeni in sé, ma considerati nella loro totalità (Astronomia, Geologia,
Biologia, Psicologia, Sociologia), e danno le leggi de' prodotti : prodwst»,
(Ved. The Cla$$., loc. cìt.). Ora se il pensiero umano non istudia altro
che /orme, /attor» e prodotti, ne viene che alla filosofia non ò dato far altro
salvo che unificare complMamente qnesta materia già per gradi unificata
mercè T opera lenta e progressiva delle scienze. {Firet Prine., p. 181.)
' St. Hill, A. Comte et la Fil Poeit,, p. 50 e segg.
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GAP. I.] SCIENZA B OBITERIO. 22^
siero filosofico. — Massimo pregio dello Spencer, a tal ri-
guardo, è l'aver mostrato il consenso scambievole fra' di-
versi gruppi di scienze. Questo è anche il pregio della dot-
trina del Comte, io lo so : ma con la profonda differenza,
che dove il francese non sa vedere fra le discipline altro
che un nesso di causalità e filiaeione compatta; T inglese
in quella vece ne scorge, con più verità, un' attinenza
meno stretta, men rigorosa, più libera. Egli scorge il
vincolo che corre fra la condizione e '1 condizionato.
Come ognun vede, tanto la teorica del positivismo
francese circa la divisione delle diverse branche del sa-
pere, quanto l' altra del positivismo inglese, trascendono
il positivo, riescono entrambe esclusive, e perciò stesso
negative. La prima annulla addirittura la genesi psico-
logica delle scienze; la seconda ne trascura la genesi
obbiettiva e storica. Ora in che ha da consistere il
positivo in siffatta quistione ? Evidentemente nel serbar
tanto r uno, quanto l' altro aspetto. Giacché davvero le
genesi e quindi la divisione enciclopedica perchè riescano
positive, han da esser fondate nella storia, e nella psico-
logia. Che cosa infatti risguarda la genesi ideale del-
l'enciclopedia? Riguarda le scienze stesse avvisate sotto
doppio aspetto ; cioè in sé stesse, e nelle lor mutue re-
lazioni. Dunque, a distribuirle convenevolmente, vuoisi
tener V occhio innanzi tutto alle funzioni diverse ond'è
possibile la scienza; né v'ha quindi altro espediente fuor-
ché ricorrere al processo conoscitivo. A questa maniera
il fondamento più sicuro, immediato, e quindi il crite-
rio più razionale della genesi enciclopedica, é la genesi
stessa della cognizione. E s'egli è vero che la scienza
guardata nella sua forma non è altro che un esplica-
mento di concetti, d'idee e di giudizi, é naturale che
la genesi e la divisione dei vari ordini di sapere devano
radicarsi nella stessa genesi e divisione de' giudizi.'
' Non potendo qui entrare in minate ricerche d'ideolo^a, diciamo
solamente, tre nature di giudizi esser possibili; i quali, con linguaggio
men soggetto alle tante difficoltà solite a nascere a questo proposito.
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230 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
Quanto poi alla genesi storica delle scienze, poiché
la storia, il regno de' fatti umani non è che produzione
chiamiamo tnduuiviy dedtutivif edutHvi. Adoperando siffatto parole, non
solo intendiamo accennare alla natura della relazione che stringe ì ter-
mini del giudizio, né solamente ali* origine di essa, ma eziandio alle tre
funzioni o metodi che si adoperano ne* differenti ordini di scienze e di
cognizioni. Nel giudizio induttivo, per esempio, tal relazione è al tutto
empirica, e di fatto. Nel giudizio deduttivo è razionale ; stantechè il pre-
dicato, con artifizio d* analisi deduttiva, si tragga dal seno stesso del
soggetto. Nel giudizio ednttivo, finalmente, ha luogo tanto Tuna
quanto 1' altra operazione, cioè V induzione e la deduzione, ma compe-
netrate; e tal compenetrazione si radica nell'intima virtii dello stesso
pensiero, previo il processo psicologico. Questa è la funzione raziocina-
tiva; funzione essenzialmente eduttiva: la quale, se inevitabilmente sup-
pone le altre due funzioni, ne è però il compimento. £ tale in sostanza il
vero metodo aristotelico, comò noteremo più giù.
Or la genesi ideale, e quindi 1* organismo e la divisione delle scien-
ze, trova il suo fondamento e il suo criterio immediato nella, genesi stessa
delle funzioni psicologiche. Tre forme irreducibili, dunque, tre gradi, e
però tre gruppi distinti di scienze sono possibili:
Io SoiBNZR iNDCTTiYE {d^ oMervoxione), Ogni lor pregio e progrosso
sta nel poter divenire sempre più sperimentali, sempre più attive, col
riprodurre la natura, e som metterla ali* esperimento. Il lor carattere
quindi risiede nello sdoppiarsi, nel moltiplicarsi, nel suddividersi, e ren-
dersi sempre più particolari. Né, chiamandole induttive, intendiamo negar
ad esse il magistero deduttivo; che non è possibile discorso scientifico
al quale possa far difetto 1* artifizio della deduzione. Intendiamo, dire
che la deduzione di questo primo gruppo di scienze è sempre di natura
induttiva, perchè move dalla induzione e sopr* essa tutta si regge, fe,
in somma, la deduzione al modo che 1* intende, per esempio, il Littré
e in grran parte anche Bacone, e che non è nuli' affatto 1* induzione so-
cratica e aristotelica benintesa.
Il<» SoiRNZB DKDUTTivB {di tpeéulaxwne). Lor pregio e progresso
consisto nel potersi maritare di mano in mano col primo gruppo, e
nel trovare applicazione ai fatti, rendendo così vie più razionali le di-
scipline induttive. Lor carattere poi è quello d'essere in minor nu-
mero delle prime, rlducendosi infatti alle matematiche pure, e alle ma-
tematiche applicate a qnal si voglia ordine d* oggetti (per ciò che riguarda
la categorìa dello spazio e della quantità), nonché a quelle scienze d'ordine
morale alle quali si può applicare il metodo dedtoHvo-inverto di St. Mill.
Neanche a queste può mancar 1* artifizio induttivo; ma cotesta lor in-
duzione è sempre, diremmo, di natura deduttiva.
Ilio SoHNZi EDUTTlTi {d^ %ntegraxùm«f 0 tpeculaxiane tnueendentaU),
In queste si adunano i caratteri de' grruppi precedenti. Non sono molte,
né poche di numero, rìdacendosi in sostanza ad una soli^ ma svariata,
feconda, moltiplice nelle sue applicazioni. Suoi pr^gi sono: l^ il potersi
e il doversi vie più intrinsecare con le altre scienze ; o meglio, il poter
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OAP. I.] 80IBNZA B OBITIBIO. 231
>6 resultato d'azioni e reazioni fra il mondo fisico e
quello dello spirito, e quindi d' una doppia serie di
leggi, naturali e psicologiche, modificate dalle diverse
<^ndizioni di tempo e di luogo, secondo che ha mo-
strato, fra gli altri, il Buckle ; * ne viene che il processo
istorico ha da rispondere bensì al processo psicologico, e
la genesi storica delle scienze dee certamente ritrarre
la lor genesi ideale, ma non per questo sarà lecito
<ìonfonder F una cosa con V altra. Il Littré distingue
la costitujsione d'una scienza dalla sua evoluzione: e
trasferir queste in so medesima unificandcle completamente, come dice
benissimo Io Spencer: 2o non potendo moltiplicare so stessa, crescere
sempre più nell* ordine delle applicazioni. Tal si è per 1* appunto la filo-
sofia : nella quale deyon raccogliersi le altre scienze, ed esserne come vi-
vificate e indirizzate a novello fine.
Da questa nostra genesi e divisione encicl(^dica emergono più con-
segaenze, fra cui segnaliamo le principali. Se è vero che le diverse sfere
di cognizioni van sempre più rendendosi particolari, è anche verissimo
eh' elle nel medesimo tempo debbono andare assumendo carattere e va-
lore sempre più generale. V investigauione della natura (dice Io Spencer)
ci rivela un numero crescente di specialità; ma simultaneamente rivela più
e pitk le generalità entro le quali cadono queste specialità. {The Classi/, j
ed. cit., p. 11). — Inoltre, i diversi gruppi di scienze, secondo che emer-
gon dal nostro criterio psicologico, son fra loro connessi, ma nel medesimo
tempo autonomi e indipendenti. Son connessi, perchè il primo gruppo è
condizione, strumento e mezzo rispetto al secondo, e U secondo rispetto al
terzo; mentre il terzo è mezzo e fine ad un tempo. Sono indipendenti, poi,
perchè ciascun di essi è fornito di caratteri, qualità, fini e metodi propri.
— La nostra genesi enciclopedica, finalmente, porge la misura e M criterio
per definire i limiti, per giudicare il valore, e per assegnar la posizione di
dascuna disciplina nell* ordinamento dello scibile. Ponete, per esempio,
il 30 gruppo in luogo del 1<»; il l** in luogo del 2<*; 0 questo in luogo del l''
o del 8<>, attribuendogli caratteri e valore non propri: avrete falsato la
natura delle scienze ; le avrete confuse ; ne avrete guasta V ìndole, tur-
bando cosi tutta r economia razionale del sapere.
Questa dottrina, essenzialmente psicologica e quindi razionalmente
positiva, contraddice, com' è evidente, alla distribuzione enciclopedica
de* sistematici, per esempio a quella del Gioberti e di Beerei ; e nel men-
tre racchiude i pregi della classificazione de* Positivisti inglesi e fran-
cesi, ne corregge insieme i difetti. Ma i pregi e la verità d* un criterio
ordinativo non può vedersi altro che nelle sue diverse applicazioni, nelle
•quali non possiamo intrattenerci. Solo notiamo che tal dottrina ò un* in-
terpretazione de* principi! psicologici del nostro filosofo, come vedremo.
* T. BuCKLS, History of OivUiMation in England^ voi. I, cap. 2».
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232 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
fa benissimo. Ma nella sua dottrina cotal distinzione à
un'inconseguenza. La costituzione d'una scienza muove
dalla ragione : la evoltmone di essa, per contrario, è frutto
della storia. Or se F una cosa non è V altra, è da con-
cludere che la scienza è superiore alla storia. Perchè
dunque compenetrarvela? D'altra parte, non è punto vero
che, vuoi nella genesi ideale o psicologica delle scienze,
vuoi nella lor genesi storica, procedasi dalla parte al
tutto, dal semplice al composto, dal rudimentale e irre-
ducibile al complesso, come vogliono i Francesi. È vero
bensì che dal tutto si va al tutto, cioè dal tutto iniziale
al tutto attuale, o, come direbbe lo Spencer in suo lin-
guaggio, dall' omogeneo slVeferogeneo,^ La genesi storica
del sapere, infatti, rassomiglia quella della società stessa:
nella quale dapprima i poteri dello Stato, per esempio,
anziché distinguersi fra loro, formano un potei'e unico ;
e, anziché individui liberi, vi esiste un solo individuo.
Parimenti le scienze forman dapprima una scienza ; uno
le possiede, uno o pochi le insegnano, come uno è quegli
che comanda. Però diciamo che la genesi storica di esse
procede per tre momenti (vecchio concetto aristotelico)
cioè : Sintesi iniziale e confusa, poi Analisi, e poi Sintesi
finale. Nel primo di cotesti momenti non s' ha una data
serie di scienze, come dice il positivista francese. S' ha
bensì tutte le scienze, ma fomite d' un carattere comu-
ne ; il qual carattere sta nel comporre il sapere traen-
done le ragioni da tutt' altra fonte che non è Y intimità
stessa dello spirito. In questo primo momento, in somma,
* La legge secondo cui lo Spencer chiarisce la sua teorica del pro-
gresso con tanta sapienza ed erudizione da lasciar maravigliata la mente
d*ogni lettore, si potrebbe applicare benissimo alla genesi delle scienze
intesa storicamente. Egli, come 8*ò detto, non ha fatto quest'applicazione.
Ma ci è da sospettare che, facendola, rieacirebbe incompleta, com* è in-
completo il principio su cui è basata. Il procedere daW omogeneo alV ete-
rogeneo è davvero un processo : ma è processo che non risolve, mancan-
doci un terzo momento necessario a compiere il primo e *1 secondo. Oltre
questo difetto, il principio dello Spencer ha V altro di non esser nuovo,
anzi vecchissimo, perchè risale ad Aristotele : *Aft 70?^ sv tw iffS^C
\jncf.p^st To vfpÓTtpov, De An. II, m.
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GAP. I.] SCIENZA I ORITBSIO. 233
lo spirito è, come dire, fuori di sé, nella natura, nel-
r autorità, e quindi la scienza è quasi indotta; ma tale
induzione dapprima è affatto empirica, naturale, gros-
solana, divina, direbbe il Vico. Nel secondo momento
ci ha distinzione, analisi, astrazione : e qui la mente,
accostandosi a sé medesima, deduce. Nel terzo, final-
mente, il pensiero possiede sé stesso, perchè possiede
l'altro: egli é filosofia perchè è scienza; ed è scienza
vera perchè è filosofia. Ci è dunque rispondenza, ci è ar-
monia fra la genesi ideale e la genesi stòrica della scien-
za, non già compenetrazione, come vorrebbe il Comte.
Anche noi quindi crediamo in una legge di succes-
sione nell'attività del pensiero; né respingiamo una di-
sposizione gerarchica e genealogica del sapere. Ma né
r uua è assoluta filiazione, né 1' altra è composizione
organica e compatta sì che le scienze che seguono altro
non possan essere fuorché semplici appendici di quelle
che precedono. È vero: il pensiero nella storia as-
sume innanzi tutto forma teologica. £ quando accada
eh' egli abbia carattere metafisico, il suo contenuto sarà
sempre di natura mitologica, religiosa, tradizionale, ri-
velata, essendo sempre un prodotto d' autorità. Appresso
riveste forma naturale ; stanteché sorgano le scienze le
quali, svolgendosi com' elementi particolari del papere,
si vanno liberamente determinando con metodo appro-
priato a ciascuna di esse. In un terzo periodo, final-
mente, piglia forma complessa e insieme universale come
nel primo; toa non più sotto forma teologica, né me-
tafisica ed a priori, bensì filosofica; appunto perché è
deputato a raccoglier la ricca eredità accumulatasi negli
antecedenti periodi. Or se è vero, come dicemmo, che
il pensiero è superiore alla storia tuttoché emerga
dalla storia, non è men vero che la speculazione ri-
flessa trascende anch'olla le scienze, comecché dalle
scienze sia venuta germogliando. CJondanniamo dunque,
anche noi, la metafisica che si presenta com' elabora-
zione teologica riflessa. Condanniamo, per dirla col Lit-
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234 DILLA DOTTBINA llLOSOnOA. [lEB. n.
tré, quel punto di vista metafisico eh' è trasformaeiane
del punto di vista teologico. Ma potremmo condannare
quella metafisica eh' è insieme critica e inveramento
del punto di vista positivo? In altre parole, condan-
niamo rìsolutamente la metafisica fatta a priori; ma
non meno risolutamente neghiamo che la terza fase^ il
terzo stato della scienza, abbia da esser positivo nel
senso che i Francesi tolgon questa parola. Lo staio
positivo de' Gomtiani, afferma un giudice non sospetto,
non è che un'ignoranza confessata della causa: an
avowed ignoring of cause àltogether^ Ed è veramente
così. L'attività riflessa della ragione intanto giugno ad
esser funzione critica feconda e profittevole, in quanto
riesce a superare il positivo mediante il positivo. Or è
tejnpo d' interrogare il nostro filosofo.
Che cosa ci lascia indurre il Vico tanto riguardo
al concettx) della scienza in generale, quanto rispetto
alla costituzione e coordinamento delle umane disci-
pline? Rifacciamoci da questo secondo punto.
Ei non parla di formolo dommatiche, né d'alberi
genealogici. Anzi ci avverte come in certo senso la
metafisica abbia da esser subordinata aUa fisica; la
quale dà per vero ciò che sperimentalmente possiamo
imitare} Sennonché qui è da far piìi osservazioni. Una
scienza è indipendente nel metodo e autonoma nel pro-
cesso. Questo è il nostro pensiero. Ma potrebb' esser
' Sprncrb, The daasif. of The Scienc,, 2* ed., p. 87.
* De Anttq. hai, Sap,^ nella Condunone, Si dirà che per lai la
scienza tovrana sìa la teologia: ed è t ero; ma è sovrana solo in quanto
è la piil oerta. Ora il eerto nelle sue dottrine non è il vero, ciò ò dire
un prodotto di ragione, bensì un effetto di persuasione, un prodotto
di natura empirica inseritoci nell* animo dall* autorità. Quanto egli poi
si mostri avverso alle scompartÌEioni sistematiche delle scienze, vuoi
nel senso pontivteta, vuoi nel senso metajUieo dommatico^ può vedersi là
dove con sottile ironia parla de' Cartesiani (dommatici del suo tempo)
i quali unum Metaphyeicam «Me docent qua notte indubium det verum^ et
ab eOf TAKQUiM a fontr teeunda in aUa» teientiae derivari.»,, quare me-
taphyeieam eeterie »eientu9 fundo»^ euique 9uum aatedere exietimant. Op.
oit, cap. I, § II, 1.
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<?AP. 1.] SCIENZA E CBITEBIO. 235
anche tale nelle sue ultime conclusioni? No, certo:
stantechè queste, essendo di natura universale, hann' a
dipendere dal lavoro, anziché d^una, di tutte quante
le umane discipline. Più ancora: potrebb'ella dirsi in-
dipendente rispetto alle condizioni logiche e formali?
Nettampoco: se così fosse, tornerebbe impossibile l'unità
della enciclopedia. Finalmente si potrebbe osservare,
con lo Spencer, che a sapere se i corpi esistano la
fisica non abbisogni nuli' affatto della metafisica. Ed
è vero. Ma evidentemente cotesta notizia, più che ra-
zionale, è notizia empirica. Or bene, quando il fisico
volesse darsi dimostrazion razionale del soggetto o
della materia eh' egli ha fra mano, e cod legittimare
il postulato onde move il suo pensiero, non diverrebbe
per ciò solo un filosofo? Diverrebbe, io credo. Nel
processo della scienza, dunque, v'ha un momento nel
quale il fisico, od altri che sia, non può far a meno
della speculazione metafisica. Se a tal esigenza egli
sappia e possa per avventura soddisfare da sé, tanto
meglio : vuol dire che, oltre d' esser fisico e fisiologo e
geologo e simili, egli è anche filosofo. Ma ov' egli non
senta questo bisogno, con che diritti e ragioni disco-
)ioscere ogni valore alla ricerca filosofica? Il vincolo
che tutte aduna e stringe le scienze son le norme logi-
che ; la necessità logica che scaturisce dall' intima costi-
tuzione dello stesso pensiero. Intesa quindi come logica,
la filosofia precede e accompagna le sfere diverse del
sapere; ma, in quant'è metafisica, ella tien dietro ad
esse, e ne é il risultato finale. E anche in ciò siamo
Aristotelici.*
* Mei., V. -- Tal si è pure la sentenza del Vico. In questo senso egli
afferma che ninna geienta bene incomineia »e dalia mektfieiea (logica) non
prenda i prineipii; perchè ella ì la eeienna che ripartieee alle altre i lor
propri eoggetti; e poichi non pud (in quanto metafisica) dare U 9W>, dà
loro immagini del euo. Onde la Geometria ne prende U punto e V dieegna ;
VArUmetiea V uno, e *l moltiplica ; la Meccanica il conato, e V attacca ai
corpi. (Risp. al Oiomale de^Lett.) In queste parole parmi chiaro T ufficio
della filosofia, in generale, rispetto alle altre scienze. Filosofia è logica.
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236 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. U.
Veniamo al concetto della scienza; ma gioverà fare
innanzi tratto un' osservazione storica. Dicemmo com' il
Vico sia tra Cartesio e KAnt, vuoi storicamente, vuoi
teoreticamente. Posizione puramente psicologica è quella
del primo; puramente logica e psicologica quella del
secondo, la cui dottrina perciò molto acconciamente è
stata detta Idealismo crìtico, o Criticismo ideale. Nella
posizione cartesiana, avvertimmo anche questo, il pensiero
non è altro che un fatto (pag. 185-86): la coscienza tras-
cendentale di Kant poi tiene doppio rispetto; è una e
molteplice, è diflferenza e medesimezza, in quanto importa
il doppio elemento formale e materiale nella cognizio-
ne. Ora, per quanto diverse, queste due posizioni han
comune un carattere; quello d'esser solitarie, astratte,
puramente suhbiettive, e quindi insufficienti ; nel che ci
confermerebbe, s'altro mancasse, il resultato puramente
speculativo cui pervennero le scuole diverse inaugurate
da que' due filosofi. L' analisi della Ragion pura alla fin
fine a che mai riesce ? A metterci in guardia dell'assoluto
di ragione, rilevandone i paralogismi e le antinomie, e
facendoci assistere scontenti e umiliati a quell'inutile
ideale che ci rende immagine, a dir cosi, dell' acqua di
Tantalo : per cui s'è detto che l'autore del Criticismo, sem-
pre per quell' esigenza d' un ideale rimastogli in tronco,
scambio di chiudere, apri anzi le porte ad una varietà
di scetticismo, come osserva il B. Saint-Hilaire : nel che
tutti convengono, perfino Hegel, il quale appunto con
l'idealismo obbiettivo e assoluto cercò soddisfare aU' in-
soddisfatto bisogno della Ragion pura.^ Cartesio poi dove
psicologia, metafisica e simili. Come logica eli* è scienza madre, in
quanto è universale condizione d* ogni disciplina. Che poi in senso di
metafisica debba riguardarsi come risultato finale, ci è avvertito dnl me-
desimo filosofo dove accenna alla relazione eh* ella ha, per esempio, cou
la geometria: Geometria e Metaphy$iea mum verum tMccipity et aecepttun
(e però elaborato) in iptam Metaphynctim refundit. De Antiq.y 101.
* Giusta quindi, per tal motivo, Taccusa fatta al Criticismo dallo stesso
B. Saint-Hilaire: Kant a voulu /aire une revolution} il na guère en/anté
qu'iine anarokie plue fatale. Log. d' Axist., Pref. p. CXLVUL
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OAP. I.] SCIENZA K OBITEBIO. 237
si riduce egli? Alla necessità d' invocare il solito Deus ex
machina, tornatogli insufficiente il criterio delPevidenza
e deir idea chiara e distinta ; * senza dir già eh' egli
medesimo annunziava il Cogito qual semplice ritrovato
atto a soddisfare il bisogno di sua mente, non già pel
fine d' insegnare agli altri un metodo a ben governare
il pensiero : seulement (son sue precise parole) de faire
voir en quelle sorte fai tàché de conduire la mienne.
Nella posizione del Vico, per contrario, è schivato
nel medesimo tempo tanto il fatto empirico di Carte-
sio, e quindi V indirizzo dell' ecclettismo e di quel timido
spiritualismo che da lui hann'oggi redato i Francesi,
quanto lo scetticismo al quale pur tiene aperto il fianco il
criticismo, nonché quella serie di posizioni che, nate dal
Kant, riescono all' Idealismo assoluto. Con qual mezzo?
Con un mezzo semplicissimo. Col criterio del vero e del
fatto ; ma elevato a dignità e valore di principio. L'osser-
vazione che il Vico fa a Cartesio è, quanto agevole, altret-
tanto efficace. Neanche gli scettici dubitano di pensare,
egli dice: essi aifermano solo che del pensiero non si
possa avere scienza, bensì cosdensa} Ora il pensiero car-
tesiano è un eerto, non già un vero; quindi ha natura di
segno, d'indizio certo (rsxfxyj/jtov), della cui certezza ninno
al mondo non ha mai saputo né voluto dubitare. Di qui
si vede come la sua posizione speculativa non istia già
nell'aflFermare una verità di fatto, sì nell' indagarne l'ori-
gine, la genesi, la guisa: cioè nel far la critica del vero
che appare alla coscienza, perché sdre est tenere genus
seu formam qua res fiat. E si vede come il criterio vi-
chiano del fare il vero acchiuda una dottrina schietta-
mente aristotelica, eh' è dire la ragion vitale di quel-
* Yed. le bello riflessioni del Rsnottvzkb in proposito. EnsaU de Ori-
tiqne generale^ toni. Il, part. 3.
' I difetti che nella posizione Cartesiana scorge il nostro filosofo gli
abbiamo già riferiti (p. 186). II Gioberti non s'ingannava nel dire che
Oarteno non ebbe il menomo sentore de* teeori che n acchiudono nel SUO
Cogito. (Protol. VOLTI, p. 250.)
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238 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. II.
l'artifizio logico secreto, naturale, onde la mente nel
discorso rinviene il medio termine. La mente sa perchè
fa: AtTtov Sort vójfjffef >? i^épytia} Or di cotesta attività
occulta, superiore ed essenzialmente eduttiva, sensisti,
scettici, empirici, positivisti non hanno coscienza. Essi
ignorano cogikdionis causs€e, seu quo poeto cogitalo fiai^
* ilTTff ff9.ittpòit OTt ra ?ov«p£i ovra tiQ ivspysiav àva-
'^òiJLstfx gUjOtcxerai. Airtov 5'ò?i vónii^ >j èvipynx. ÌItt' $5
ève py e loti >i Sxivafii^' xa< dtd tovto TrotoùvTéf ^e^vwo'xouo'ev.
Metaph, IX.
* Z>« Antiqui^. ItaLf cap. L § II. Anch' egli quindi è scettico la sua
parte: e debb' essere, in forza del suo medesimo criterio. Ritiene infatti
che, quantunque la mente conosca sé stossa, ignora nondimeno la pro-
pria genesi : Dutn «e mens cognoscttp non facit; et quia non /acit^ neacit
genvs quo «e cognoscit. (Ibi, § I, 17.) Con la qual sentenza potrebbe sem-
brare cb'ei cada in contraddizione con sé stesso; ma riflettendo che la
mente che «» conotce qui ya intesa non come facoltà, bensì come potenza
(della qual distinzione ragioneremo appresso), la contraddizione si dile-
gua. Così pure è da intendersi quell'altra sentenza ove dice che l'occhio
Tede le cose, e pur non vede sé stesso; che a veder so medesimo egli
abbisogna d'uno specchio; e però chiama insufficiente l'idea chiara e di-
stinta di Cartesio. Dal tutt' insieme quindi possiamo argomentare tre
conseguenze : 1° Che la posizione del Vico non è né dommatica nò scettica,
ma essenzialmente critica; e Critica del vero per eccellenza egli definisca,
ricordiamolo anche qui, la metafìsica : 2» Che a pervenire al sapere scien-
tifico non basti il eerto, il fatto, l'indizio, nò il criterio che il vero sia
il fatto; ma è d'uopo che cotesto criterio sia levato anche a principio:
3" Che a Ini non manca il nuovo pensiero, il nuovo Cogito reoo bum,
come vorrebbe Spaventa; anzi possiede chiara l'esigenza, per lo meno,
della critica psicologica, bastevole a prevenire il Kant. Dico esigenza,
perché il problema critico a lui si presenta sotto 1' aspetto isterico, ciò
che forma la sua novità ; e avvertimmo come V aspetto storico importi già
r esigenza psicologica. Se poi si vuol dire che a lui manchi il Cogit*»
nel significato di mediazione assoluta e però di perfetta trasparenza deWes-
aercf Spaventa ha ragione. Ma questo per noi, anziché difetto, é pregio
grandissimo. E qui il filosofo di Napoli é tanto dappresso a quel di
Kcenisberg, quant' altri non s' immagina. Dommatici e sistematici, hege-
liani e ontologisti cattolici, unisconsi ad una voce nel battezzare scet-
tico l'autore del Criticismo. Perciò gli Hegeliani credono compierlo di-
cendo, che la Ragion Pratica ò siffattamente collegata con la Ragion
Pura, che la prima in sostanza non sia altro che l' incarnazione, il com-
plemento della seconda, ma che questa di per sé stessa inevitabilmente
meni allo scetticismo. Io non vo' negar tutto questo. Osservo solo che
due sono i grandi concetti di Kant: 1* che non si possa giungere al
vero sistema, alla dottrina propriamente dommatica^ 2* che, ciò non
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239
Capitolo Secondo,
dia criterio e del metodo nella scienza.
Non si può ridire il mal governo che s' è fatto e se-
guita a farsi del criterio vichiano. In molti libri leg-
giamo: criterio del vero è il fatto; e da tutti è stato inteso •
0 in modo materiale ed empirico, ovvero in significato
trascendentale e assoluto. Se così fosse, quel filosofo
avrebbe consacrato, da una parte, ogni sorta d'empirismo
e di materialismo ; e dall' altra avrebbe fatto ragione ad
ogni maniera di panteismo. La formula vera, la vera po-
sizione della scienza e del pensiero, per lui, non è questa:
Criterio dd vero essere il fatto ; bensì quest' altra : La
conversione del vero col fatto. Fra la prima e la seconda
ci è un abisso addirittura. E per veder cotesto abisso
e ritrarsene, è mestieri penetrar Bell'insieme delle sue
dottrine con la luce del medesimo principio. La chiave di
volta d' ogni positiva speculazione, e quindi il vero Deus
intus adest della mente di questo filosofo, e però il bandolo
a strigar tanti nodi che avviluppano il suo pensiero, è ap-
punto cotesto criterio, secondo che noi lo interpretiamo.
11 criterio ha da esser egli un segno, un indizio del
vero, 0 piuttosto un primo vero? Ha da esprimerci un
dato, un fatto, o pur V essenza del vero, la condizione
originaria e trascendente del conoscere?
Intendendolo al primo modo, la scienza tornerà im-
possibile, e trionfa lo scetticismo ; perocché non ci sal-
veremo dal noto circolo eh' è questo: « per conoscer la
ostante, non si cada nollo scetticismo, appunto perchè egli non crede
che il non esser sistematici Teglia dire essere scettici addirittura.
(V. Critica dtUa Ragion Pura, 2* P., Gap. IV.) Per me la riyoluzione
operata dal filosofo prussiano nel regno della speculazione, cioè quan-
ta alla natura del sapere, sta tutta qui. Il Vico in ciò lo prevenne: almeno
era su la medesima strada. Quindi può dirsi che entrambi condannino
le due posizioni esclusiye del Si^temaH^mo e dello Soetticinno.
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240 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
verità è necessario il criterio; e per ayer il criterio è
necessaria la verità. » Pigliandolo poi nel secondo modo,
difficilmente schiveremo un sistema esclusivo e domma-
tico. Il vero criterio, dunque, ha da esser Tuna cosa e
l'altra; indizio e principio. Come indizio, come postu-
lato atto a conquider lo scetticismo e inaugurare la
scienza, e' consiste nel porre, come si è detto, il fatto qual
criterio del vero ; né e'' è altra via.* Come principio, sta
nel porre, dall'una parte, la conversione del vero cól
fatto, e dall'altra, come appresso mostreremo, la con-
versione del fatto nd vero, applicandolo all' essere e a
tutte le categorie dell'essere. Or in questa seconda
forma assume egli davvero natura di principio? Di
certo, l'assume; giusto perchè importa l'essenzial con-
dizione dell'essere stesso. Ma non anticipiamo.
Abbiam detto che di questa dottrina del Vico s' è
fatto mal governo. Mostrammo già come primo fra tutti
ne discorresse il Mamiani, e, poco appresso, il Rosmini.
Giova qui riassumer le ragioni della controversia fra' due
filosofi. Il Mamiani accogliendo questo criterio, come si
disse, osserva che con esso il Vico non intende pro-
por nulla che esca da' termini della intuinone (secon-
dochè allora diceva l'A. del Rimiovamento), ma conside-
rare in essa, oltr' a' caratteri universali, alcune doti
più particolari, col fine di proferire a un tempo mede-
simo il criterio della certezza, e '1 criterio della scienza.
In altre parole egli dice : col suo criterio il Vico intende
guardare non pure al formale della cognizione, ma ezian-
dio al materiale obbiettivo.* Tutto questo è vero ; ed è
verissimo che, tranne la natura fisica e quella degli atti
del mondo estemo, tutt' altro pel filosofo napoletano sia
produzione del pensiero, com'avviene dell'algebra e della
geometria. È fuori dubbio altresì che il criterio per lui
non pure ha da esser segno del vero, ma anche principio.
* « Nee ulla »ane alia patct via qua eeepticit re ipaa convelli poétit, niti
ut veri criterium 9Ìt id ip»um fecitte* t — De Antiquisi, Ttaì,, cap. 1, § III.
• ìiAìttAVif Rinnovdm, ec, p. 474.
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€AP. n.] OBITBBIO I METODO. 241
Sennonché FA. del Rinnovamento non vide allora ciò che
avria potuto e dovuto veder oggi V A. delle Confessioni.
Non vide che l'aspetto originale di tal dottrina non istà
nel riguardare il criterio vichiano qual semplice segno ed
inizio di scienza, ma qual principio, qual legge dell'es-
sere stesso in universale. Laonde non avendone còlto
altro che il significato psicologico, accadde che alla
possente lima del Rosmini non poteva tornar guari dif-
ficile ridurre in polvere cotesto criterio al modo che ma-
neggiavalo il Mamiani.'
Se non che è da confessare come neanche il Rosmini
dal canto suo valesse a cogUere né la dottrina in discorso
né quella parte di vero che, con altrettanta verità quanto
calore, propugnava il Pesarese. È noto che il criterio pel
Rosmini ha da essere un principio, e dev' esprimere la
verità prima, l'essenza della verità. Or qual è l'essenza
del vero? Eccotelo ricorrere al solito rifugio àeW Ente
idmle! Ma se cotesta potrà dirsi condizione di cono-
scenza, non però é principio di scienza, criterio del sa-
pere per via di scienza. Che cosa potrà insegnarci mai
con la sua vuotaggine l'essere possibile? l^ou è dunque
cotesto il criterio di cui parlava il Mamiani, e tanto
meno quello del Vico. — Non potendo indugiare in mi-
nute osservazioni sul modo con che il Rosmini interpreta
la dottrina di che parliamo, osserveremo solamente che
sapere il vero, pel filosofo di Napoli, non é solo un cono-
scere il vero, come vuole il Rosmini, ma è porre, è fare, é
creare il vero; altrimenti per nessun miracolo al mondo
giugneremmo ad averne notizia. Conoscere pel Vico non
* RosMiKT, Rinnovami, ddla FU. in Ttalia, Milano, 1836, cap. XXXV.
Gioverebbe Ieg(?ere in questo copioso volarne del Roveretano qnel lungo
capitolo e que* prolissi cementi nonché quelle sette conseguenze che la
invitta dialettica Rosminiana seppe cavare dal criterio secondochè in-
tendevalo il Mamiani. A lui bastò congegrnare, al solito, una di quelle
sue tavole sinottiche nelle quali ei dimostra di quanta e qual vena ana-
litica fosse ricca la sua mente, per metter Tavversario col suo criterio
accanto ad Elvesio, ad Epicuro e ad altrettali! Ved. Tav. Sinottica (WSitt.
FU.j intomo al criterio della cert&ma^ voi. cit., p. 318.
SltlLlAKl. 16
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2 12 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. IT.
è vedere, non è patire, non è semplicemente appren-
dere. È vedere, patire, apprendere, appunto perchè il
pensiero è essenzialmente un conoscere. In una parola,
se il vero non si conosce facendolo, non si conosce
nuU'aifatto; non s'intende.* Quand' è infatti che di-
ciamo di pensare? Giusto quand'abbiamo idee. Avere
idee importa cólligere dementa rei; ex quibus perfecHs-
sime exprimatur idea. Il vero è l' idea, ma l' idea in-
nanzi che sia tale: è l'idea germe, l'idea potenza, la
stesso spirito in potenza, il pensiero non per anche at-
tuatosi come tale: in una parola è il senso che si leva
a dignità d' intelletto. Raccolta l' idea, fatta l'idea, cioè
dispiegatasi la meìite, eccoti il vero-fatto. Mi si doman-
derà in che maniera il Vico chiami esterni gli elementi
onde risulta l'idea? Perchè, rispondo, l'eduzione del-
l'idea suppone la formazione del concetto; e il concetto
suppone una serie di atti induttivi che appresso deter-
mineremo. Tutto ciò è come estemo all'idea; è condi-
zione, non causa del suo processo.
Senonchè col raccorre gli elementi esterni la mente
pone qualcosa di proprio: pone se stessa come pensiero;
diventa ella stessa le cose ; diventa tutte le cose. Ond' è
agevole vedere come il criterio del Vico sia il princi-
pio del metodo geometrico, che per lui, ricordiamoci,,
suona genetico. Mi spiegherò con un esempio. Come
si hanno gli assiomi, le verità prime e necessarie, se-
condo i positivisti? Mercè 1' esperienza, risponderebbe
il Mill. L' assioma che due rette non cTiiudono spazio
* « Leggere è raccogliere gli elementi della tcriUura onde le parole tono
composte ; con V intendere è COLLIORBB elbmbnta RBI, KX QUIBUS PRRrBCTis-
31VA RXPRIMATOR IDRA. Donde è lecito conghietturare che gli antichi ittt-
liani conveniseero in queeto pensiero : Vbrum rssr ipsuv factum.» Qual è
cotesto fatto? È il pensiero, il vero-fatto: perchò ricevuto, indotto, rac-
colto, e anche edotto dalla mente. In tale questione il nostro filosofo,
contro il solito, non manca di chiarezza. Egli infatti dice: e AUora il vero
9Ì converte col /atto, quando trae il 9uo essere dalla mente d^ lo eonoece ;
HI QDOD YERUM 00GNO8CIT0R SUUM K8SR A MBNTB HABBAT QUOQaR A QOA
cooKosci'TOR.» De Antiqui^,, cap. I, De Origine et ventate Scientiaruni..
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OAP. n.J OBITBKIO E METODO. 243
Sgorga immediate dall'esperienza. Che se apparente-
mente si origina dal pensiero, cotesto pensiero in tal
caso non è altro salvochè una ripetizione dell'espe-
rienza : è r immaginazione che allarga i limiti del fatto.
Ma questa, evidentemente, se è una maniera di sapere,
non è il vero conoscere; perchè cotesto conoscere non
sarebbe una mia fattura, sibbene imitazione, copia del-
l'esperienza. Che cosa, invece, vi direbbe il Vico a tal
proposito? Direbbe: non istate a immaginarvi due rette
portevi già dall' esperienza e poi prolungate all'infinito:
fatevele da per voi medesimi coteste rette. Ma come farle ?
Generandole entro voi, per voi stessi, con elementi speri-
mentali; e così, più che l' immagine del fatto, avrete la
vera definizione, e però la genesi del fatto. Concepite
il punto come prolungato verso un altro punto : eccovi la
linea. Or se due rette hanno in comune due punti, po-
trann'elle chiudere spazio? Non potranno. Questo pre-
cisamente è il vero-fatto, il vero da me stesso fatto, da
me stesso prodotto, da me stesso generato.*
Per non chiamare il vero fattura di nostra mente,
il Roveretano si puntella nel solito argomento de' ca-
ratteri della verità: immutabilità, assolutezza, eternità,
necessità, università e simili. Ma ci sarà lecito chiedere :
* « Men« humana eontinet dementa verorum quce digerere et eomponere
poMt'ti et ex quibu$ dUpontU et compoeitie, exittit verum quod demoiutraiU
{teientice) ut demontiratio eadem ae operatio «i/, et verum idem ao faetum. >
Ve Antiq.f cap. Ili, 4. Né Yale che il RosmÌDi, chiamando in soccorso
lo stesso Vico, dica, questi elementi esser le idee e coteste idee crearti ed
eccitarti da Dio negli animi degli uomini. Per questa frase VA., della Scienza
iVuova è stato battezzato Malebranchiano ! Ma come non vedere che in
quel luogo il filosofo intende parlare del senso dato a questa dottrina da
coloro che eteogitarono tali locuzioni, le quali ei non accetta perchè non
sempre accetta il significato delle parole latine, come osserva lo stesso
Rosmini a proposito del Verum e del Faetumf Bastino queste parole: e Par,
igitur eet ut qui ha» loeutione* excogitarint, ideas in hominum animi* a
Deo oreari exeitarique eunt opinati, * Cap. VI, 2. Fa meraviglia che il Ro-
smini non siasi accorto come quattro righe più giù V autore contraddica
apertamente a Malebranche {Malebranckii doctrina arguitur^ ibi., § 4) :
e come, se fosse vera V interpretazione eh* ei ne dà, il Vico avrebbe sciu-
pato addirittura il senso verace e originalissimo del suo criterio.
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244 DELLA DOTTRINA TILOSOFIOA. [lIB. IL
una proposizione d' Euclide serba ella questi ed altret-
tali caratteri perchè ve li abbia inseriti la mente di
Euclide come tale, o non piuttosto il pensiero medesimo,
il pensiero in quanto è identico appo tutt' i pensanti,
identico nelle sue leggi essenziali, identico nelle condi-
zioni logiche originarie? Nella proposizione 4 -j- 4 = 8
havvi necessità. Perchè? Perchè lo stesso pensiero
ne ha messo gli elementi. Ma perchè vien fiiora 8 e
non 10? Precisamente perchè ci abbiam posto il 4 -h 4:
cangiate questo, e avrete cangiato anche quello. E
perchè serberà egli un valore universale tanto da non
parer fatto né d' ieri né d'oggi, né intuito solamente
in Francia o in Australia, nell' età della pietra ripolita
0 nel bel mezzo del secolo XIX? Appunto perchè il
pensiero è anch' egli necessario, universale nelle sue
native condizioni in ciascun individuo che in qual si
voglia tempo o luogo sia capace di pronunziar 4 -f- 4.
Le critiche dunque che altri potrebbe trarre dal Ro-
Hmini là dov' ei si studia d' interpretare a suo modo
la mente del Vico rispetto al problema del conoscere,
tornano tutte vane, tutte manchevoli.
Ma veniamo al più sodo. Il criterio del nostro filosofo
si porge altresì come il fondamento più saldo della
dottrina della prova. Nel conoscere per cause, egli dice .
seguendo lo schietto Aristotelismo, sta la vera scien-
za: il che si riduce al medesimo criterio della con-
versione del vero col fatto.* Che cos' è in sostanza il
provare per cause? Al solito è un raccoglier gli ele-
menti della cosa.* Provar dunque per cause, e con-
vertire il vero col fatto, suona il medesimo. Un esem-
pio. Il principe Alberto, dice St. Mill, morirà. Perchè?
Non perchè tutti gli uomini (egli risponde) sian mor-
tali ; si perchè tutti quelli a me noti e che son vissuti,
* « Probare per cauMaat e/Jhere eat, Effecttu eH verum quod eum facto
eonvertitur. * (De Antiq. Cap. Ili, 2). — < Chi aa per via di caute i U jnà
sapiente. » Akibt., Meta/. Trad. Bonghi^ Lib. I, Cap. II, 2.
* < Probare a eauwU rH elementa rei eolìigere. » Ibi.
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GAP. n.] GBITBBIO E METODO. 245
son già beli' e morti. — Or tutto ciò, io domando, signi-
fica egli provare, o non più veramente collegare un fe-
nomeno ad un altro fenomeno? £ s'egli è così, non
ne viene che l'esigenza della prova si riman sempre
insoddisfatta riguardo all'uno de' due fenomeni invo-
cato per ispiegar l'altro? Per contrario, alla domanda
se il principe Alberto morirà, come risponderebb'egli
il Vico? Risponderebbe invocando bensì un fatto, ma un
fatto eh' è insieme cagion vera, idea, concetto, principio,
cioè la natura stessa dell' uomo. Se intanto la prova legit-
tima si radica nella causa; se il vero sapere è sapere per
via di cause, è già beli' e dimostrata inefficace non pur la
teoria sillogistica del positivista che nella proposizione
particolare vuol rannicchiar la sorgente della prova,
ma eziandio l' altra degl' idealisti, formalisti e ìntuitisti
che la ripongon nella proposizione universale entro cui
giaccia racchiusa, come in bozzolo, l' idea bisognevole di
prova. La dottrina che a questo proposito è possibile
trarre dal nostro filosofo non solo ci dice perchè Tizio
morirà, ma, pili ancora, perchè sian morti i morti, e
perchè abbian da morire i morituri. Ella mostra come la
causa, il vero, l' idea, si convertano col fatto : come il
fatto provi la causa; come la causa generi il fatto.
Tal si è la legge del discorso scientifico. Il quale perciò
non è funzione deduttiva che dal generale scenda al parti-
colare, 0, come vorrebbe il Mill, dal generale proceda al
generale ; e nemmanco è funzione induttiva che dal par-
ticolare salga al generale, o che un fatto congiunga ad
un altro fatto. Le tre funzioni che accennammo parlando
della genesi delle scienze han tutte natura di sillogismo,
ma sotto tre forme, tre gradi, tre processi differenti. Il
processo sillogistico è monco nell' induzione ; è incompiuto
nella deduzione; ma è compiuto e perfetto solamente
nell' eduzione, nella quale troviamo i due elementi della
iK)noscenza compenetrati dalla stessa virtù nativa del
pensiero. Il sillogismo dunque è funzione essenzial-
mente edidliva. Esso importa già la posizione del faUo, e
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246 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II«
importa la determinazione del vera; però la mente scorge
la conversione d' entrambi, e compenetra in uno i due
processi per sé medesimi incompiuti, induzione e dedu-
zione. E qual è la relazione fra queste tre funzioni, tal si
è pure la relazione, come dicemmo, fra le scienze e la
filosofia. Se è vero che questa ha bisogno assoluto di
quelle, non sarà men vero eh' ella è indirizzata a com-
pierle, a trasformarle in proprio elemento. Talché una,
a dir proprio, è la scienza umana: uno sarà quindi il
metodo quantunque s' incarni sotto tre forme distinte.
D vero non può non esser che uno.*
* Dalle cose discorse fin qui risulta, e meglio risalterà in seguito,
una conseguenza che ci preme ribadire. 11 metodo che noi interpretiamo
nel Vico, a guardarlo in relazione alla storia della filosofia, è metodo
(chiodo perdono a tutt* i platonici) essenzialmente aristotelico. Il metodo
deUo Stagirita, quando si voglia intenderlo a dovere, non è nò induuivo^
nel senso che da* più si piglia questa parola, né 9ÌHogÌ9iico^ nel signifi-
cato degli scolastici. Pur troppo è stato inteso nel primo e nel secondo
modo per più secoli e presso parecchie generazioni di filosofi ; ;na ciò tiene,
come Tedremo in un prossimo capitolo, a que' due indirizzi contrari ed
erronei secondo cui è stato interpretato rAristotelismo. Bacone, per es.,
non cessava di credere e d* appellar «illogittieo il metodo dello Stagi ri ta ;
nel che tanto s* illuse quel grand' uomo, che a poco a poco giunse a
scrivere d'averla creata lui, proprio lui, la vera induzione! Oggimai
tutti sappiamo quanto valga cotesta sua induzione ; oggi che lo stesso
Macaulaj ne ha sfrondato i meriti (£«t. polU. etc. p. 212); ogg^i chele
stesso St. Hill ha creduto ripudiarla e correggerla (SysU de Log,^ voi. II,
p. 462); oggi eh* è noto come ne abbiano scritto il Liebig, Kuhno Viscer,
il Remusat, per non parlare del furibondo De Maistre. Anche Galileo
avversava a morte il metodo aristotelico: ma, com'è agevole accor-
gersi, egli intendeva parlare del metodo averroistico e scolastico (Ofr.
segnatamente Man. SUt., Giornata li, p. 120.— Lett. del 80 Die. 1610).
E più d* una volta anche il nostro Vico sbeffeggia le inutilità de* generi
oriHoteìici (De Antìquiee., Gap. Il, 5); ma anch*egli è nel medesimo caso
del Galilei. Si vorrà dire ch'ei non capisse Aristotele. Diciamolo pure:
il punto sostanziale è questo, che l'insieme delle sue dottrine lo dimostrano
assai più da presso ad Aristotele che ad altri non, parrebbe. Per citare
un altro nome, anche St. Mill parla contro il metodo sillogistico del
filosofo greco; ma non sarebbe difficile mostrare come il vero metodo
aristotelico sia, più che non paia, quello stesso metodo deduuivo^nverto
ond' il Mill crede aver superato antichi e moderni, e d* aver corretto
Bacone e Aristotele nella teorica della prova.
Io ho voluto chiamare e chiamo eduxione il processo razionale e
oosciente del pensiero, non per vano desiderio di parole nuove, sì perchè
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€AP. n.] OBITSBIO E METODO. 247
Ragionando su la natura del metodo, non possiamo
far a meno d' interpretare un'altra sentenza del Vico,
che costituirebbe difficoltà assai grave agli occhi de' teo-
logisti, e il Rosmini appunto ne ha cavato partito.
Il nostro filosofo parla anche d' una scienza divina
qual regola delP umana; e all'una riferisce le leggi ed
i processi dell' altra.* Senz' andarci assottigliando in
discussioni e distinzioni poco profittevoli, l' interpreta-
zione più acconcia ne sembra questa. Quando si parla
di scienza divina siccome norma dell'umana, è al tutto
arbitrario dar a creder che 1' uomo abbia da intuire
o coglier nulla del sapere divino : il tempo di codeste
trascendenti intuizioni ormai dovrebb' esser passato. Si
vorrà dir piuttosto che alla mente sia possibile conce-
pire in alcun modo un tipo, comporsi un'idea di scienza
non ne sia fatto un fiascio con la volgare induzione de' Positiyisti o con
la loro dedazione, eh* è sempre, come dissi, di natura induttiva (Lit-
TBé, A, Comte et la Phil. Potiti p. 532 e segg.), e tanto meno poi col
metodo sillogistico degli scolastici. Il metodo legittimo d'Aristotele,
ripeto, non è deduzione, nò induzione, bensì eduzione. Ce ne dan prora
tutte le sue scritture, massime i libri naturali; ed esempio splendido ne
porge fin la Sillogistica, dove il così detto metodo sillogistico dorrebbe
mostrarsi più spiccante che mai se darrero fosse il suo. Bellissimo esem-
pio anche abbiamo ne* due primi capitoU della Metafisica, dove niuno dirà
ch'egli specifichi il concetto della scienza, in generale, con industria indut-
tiva 0 deduttiva che sia. L'induzione aristotelica qui è induzione socratica,
giusta l'acuta osservazione del Bonghi (Meta/. (TAritt», Introd., p. XXXIX).
Perciò egli adopera l'induzione ordinaria sólo in quanto move da criteri
comuni su la natura della scienza; ma, giunto a'principii che han da
costituirla, nonchò alle somiglianze e differenze fra le varie discipline,
cotesta induzione da positivisti sparisce, o meglio, diventa processo
eduttlvo, diventa compenetrazione d' atti induttivi e deduttivi. Se non
fosse così, non avrebbe potuto stabilire il noto principio : Kac òlo^ Si
tràTa imvrìiJLVi 5tavo>}TCx>j, ri x fitriy^o^Tx ti ^caviac, ntpi
aiTcaec xxt ^px^i sVtiv, if o^xpi^ivripa^, -il dn'koìjvripaiy
{Mttaph.\,\),
Or questo precisamente ò U metodo che il Vico, certo in modo assai
confuso, esitante, arruffatissimo, adopera nelle sue ricerche; nò quindi
il De Ferron s' ò apposto male nel dichiararlo, come vedemmo, metodo
essenzialmente aristotelico.
* Dice anzi così: H mio criterio i in me aeeieurato daUa eeienga Hi
Dio, eiCl fonU e regalia dT ogni vero. (Risp. II al Oior. de^Lett.)
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24d DELLA DOTTBIKA FILOSOFICA. [lIB. H.
eh' ella non possiede, ma che pur va con infinito pro-
cesso e per gradi accostando sempre più. Talché quando
sentiamo il metafisico teologista e Tontologista affermare
la scienza divina essere norma e regola dell' umano sa-
pere, mostrando credere con ciò d'averne contezza vuoi
per virtù d'un rapido volo d'intuito, vuoi per notizia
chi sa come e da chi graziosamente rivelataci, e' non
dicon nulla di serio, nulla di positivo addirittura. Per
affermar tutto questo con tanta sicurezza, non do-
vremmo possederla cotesta scienza? Non dovremmo
anzi dominarla e rimaneggiarla a nostra posta così come
l'agrimensore fa del suo compasso?
Norma vera, norma che noi dominiamo davvero,
norma già nota al mondo prima d'ogni altra, semplice,
evidente, inconcussa, è per l'appunto la matematica.
Della quale l'A. della Scienza Nuova, non altrimenti
che Leibnitz, Galileo, Boezio, Cicerone, Aristotele, Pla-
tone, Pitagora, è grandemente innamorato, e sempre
ne parla, e sempre con passione viva ne esalta i pregi*
La contraddizione ch'altri vede nel porre ch'ei fa qual
modello del sapere or la scienza divina or la matematica,
è affatto apparente. Che nell'un caso parla, o intende
parlare, deìVidea massima della scienza, della scienza di-
vina, la quale altro non potrà essere salvo che la per-
fetta conversione del Vero col Fatto, la compenetrazione
assoluta dell'oggetto col soggetto. Nell'altro, invece, di-
scorre non già dell'idea massima, bensì d'un tipo, d'una
forma che, più d'ogni altra accostandosi alla prima, più
fedelmente la esprima e la rappresenti. Tal si è per ap-
punto la matematica. Tipo infatti del sapere squisita-
mente razionale per lui è la scienza dell'astratta quan-
tità; tant'è vero che Dio stesso, die' egli in suo lin-
guaggio, non altrimenti opera nel mondo delle forme
reali, di quel che faccia il matematico nel mondo delle
figure.* Questo parmi '1 significato più acconcio da dare
Ved. Risp. n al CHorn. de' LetU, § IV.
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GAP. n.] OBITERIO B MSTODO. 249
a tal sentenza del Vico se non vogliamo farlo cadere in
aperta contradizione con seco medesimo; non già che Dio
e la sua scienza abbian da esser davvero norma imme-
diata, origine e sorgente del sapere umano 1 È un para-
gone, è una figura e nulla più.
E poiché intende a questa maniera la scienza di-
vina, perciò riesce a salvarsi dagli estremi cui per vie
diverse rompon l' idealista assoluto e il teologista onto-
logo. Pel primo scienza umana e scienza divina son tut-
t'uno: pel secondo ce n' è tal divario quanto fra il finito
e V infinito. Se non che Rosmini e Gioberti nelle opere
postume, ormeggiando gli aprioristi, pongono anch'essi
medesimezza fra V una e Y altra scienza, distinguendo
solamente, specie il Rosmini, la materia dalla forma, e
questa reputando identica, e quella diversa nelle due
scienze.* Ma, s'egli è così, divario essenziale non ci è,
né ci può essere; stanteché l'essenziale nel conoscere,
più che nella materia, stia nella forma. Invece secondo
la dottrina del Vico può dirsi, che se tra l'una e l' altra
scienza non corra assoluta identità, non vi possa esser
nemmanco assoluta difi'erenza. Il pensiero divino co-
nosce, perché raccoglie gli elementi; e nel raccorli reci'
meivte li pone. Il pensiero umano va raccogliendoli an-
che lui, e nel raunarli idealmente li pone. E tale vera-
mente appare la sua sentenza là dove osserva che il
conoscere umano si discerne dal divino quanto il solido
dal piano, quanto 1' effige in rilievo dal monogramma.*
* Rosmini, Teosofia^ toI. I, cap. Vili. -- Gioberti, ProtoUy voi. II.
* Altra difficoltà, secondo alcuni critici, sarebbe questa. Se vero sapere
è il sapere per cagioni, se conoscere Tal produrre, se pensare è fare ; com* è
possibile arere scienza dell* assoluto senza farlo, senza produrlo? Cono-
scere Dìo a questa maniera non è un assurdo? anzi una bestemmia, a
detta del medesimo Vico? — Per tutta risposta io to* riferire alcune sue pa-
role le quali racchiudono, panni, il significato sincero di sua mente, chec-
ché ne possa dire in contrario egli stesso: < Volete {^o' Qf^W) insegnarmi
una verità ecientijiea t Assegnatemi la cagione che tutta si contenga dentro
di me, sicché io m* inltenda a mio modo un nome^ mi stahUisea un assio-
ma del rapporto ék' io faccia di due o p^ idee di cose astratte, e in con-
segueAa dentro di me contenute : partiamoci da un finto indivisibUe : fer-
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250 DBLLA DOTTRINA FIL080FI0A. [lIB, II.
Capitolo Terzo,
posizione e critica del principio speculativo.
Dalle cose discorse ci sarà dato cogliere il significato
universale del Criterio della Conversione, scandagliarne
il valor razionale, e vedere quant' ei riesca fecondo nel-
r applicazione. Perocché criterio del vero, criterio del
certo, criterio psicologico, criterio logico e simili, mai non
approderanno a nulla quando non possano risolversi nel
criterio della scienza, che vuol dire nel principio stesso
della scienza. Qual è cotesto principio? Qui dobbiamo
contentarci d'additare a fuggevoli tocchi il risultato spe-
culativo della nostra dottrina, applicandolo alla storia.
Conversione suona processo, e importa quindi molti-
plicità e varietà di momenti, d'intervalli, d'istanti. Im-
porta differenza di gradi, e diversità di termini; onde
vale a ritrarci la natura stessa, la stessa intima costrut-
tura delle cose. A questo modo il criterio, da semplice
norma psicologica, da semplice criterio, passa ad assu-
mere forma e valore di principio scientifico universale,
appunto perchè ritrae la natura stessa delle cose. Sen-
miamoci in un imaffinato inftnitOf e voi mi potrete dire : fa* del proposto
teorema una dimòetranone, che tant* i dire quanto : fa' véro ciò che tu vuoi
eonoacere; ed t'o, in eonoecere il vero che mi avete proporlo, il farò; talchi non
mi reeta in conto alcuno da dubitarne, perchè io §te»»o V hofaUo, » (Risp. II,
§ IV.) Ecco qui descrittaci con esattezza mirabile la funzione edattiT»
del pensiero ftlosofico positivo. Conoscer TAssoluto per via d*an intimo
lavoro di riflessione eduttira non è impresa impossibile, né assorda; e
conoscerne e provarne resistenza per via di causa non vuol dire crearlo,
come suppone il Vico. Vuol dire bensì che noi possiamo comporcene l'idea,
creandolo, educendolo come ideale per virtù del pensiero. Vuol dire, in som-
ma, esser necessario adoperare qudV analiei divina de*pen»ieri umani..,, la
quale guidandoci JU filo entro i ciechi laberinti del cuor deU^uomo^ ci potrà
dare non già gV indovinelli degli Algehrieti, ma la eertena quant^ è lecito
umanamente sul problema ftnale e sull'assoluto fondamento delle cose.
[Lett. al SoUa^ voi. VI, p. 14.) Che cosa sian cotesti indovindli da Al-
gebrieti, fatevele dire da' Teologi e dagli Hegeliani, che l' avrebbero a
sapere ! **
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CAP. in.] DBL PRINCIPIO SPECULATIVO. 251
nonché il concetto di conversione non potrebbe rivestir
forma di principio, ove con esso noi non potessimo
correggere altri due criteri che sono due estremi : l' as-
soluta identità, e l'assoluta diversità. Quando si tratti
d'investigar la natura e scrutar la costituzione essen-
ziale dell'essere considerato in sé stesso, a me non riesce
concepirla altrimenti salvo che sotto tre forme, o posi-
zioni che si voglian dire ; e son queste :
1* Che i termini della conversione ìestino essen-
zialmente diversi, opposti, non conciliati; o al più con-
ciliati in maniera empirica (Dommatismo empirico):
2» Che cotesti termini in sostanza siano essenzial-
mente identici (DommcUis^mo razionale e metafisico;
Sistema assoluto):
3** Che siano l'una e l'altra cosa insieme; diversi
in quanto identici, identici in quanto diversi (Dottrina
filosofica positiva).
So che i positivisti, poco benevoli a tal maniera di
speculazioni, sorrideranno a questo linguaggio per loro
poco men che sibillino. Ma non v' è riso che basti a di-
struggere i fatti, e la storia. Tutta la storia passata e
anco futura del pensiero speculativo s'è aggirata e
s' aggirerà in perpetuo sopra que' tre punti ; per cui chi
voglia in qual sia modo filosofare, non può non imbat-
tersi in una delle tre posizioni anzidette.
Nella prima d' esse i termini della conversione, as-
solutamente ed essenzialmente diversi, convertonsi; ma
in guisa aflFatto estrinseca, meccanica. De' due termini
l'uno é assolutamente fuori dell'altro; sì che paion
solamente fra loro congiunti, quasi attaccati, addossati
r un r altro non si sa come, non si sa perché. Dunque
alterità empirica, empirica diflFerenza: differenza reale
fra essi, non già svolgimento di forme, né di contenuto;
non diversità di momenti, d'atti, di funzioni, ma di
stato. Si direbbe che non ci sia altro che suoni acuti
di qua e suoni gravi di là, ma sempre fra loro scordanti,
non sapendosi ritrovar quella nota fondamentale e co-
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252 DILLA DOTTRINA riLOSOFICA. [lIB. U.
mune che, temprandoli insieme, Taglia a comporli in
armonia. Però qui non ci ha moto, non vita, ma realtà
fredda, immobile, stecchita. AèA;BèB;CèC;
r essere è T essere : ecco tutto.
Nella seconda i termini, come essenzialmente identici,
si convertono, ma solo in apparenza. Si convertono solo
per ripeter sé medesimi. Si convertono perciò in quanto
si compenetrano: il che non vuol dir conversione, ma
identità assoluta. Ciò svolgimento, processo, sviluppo,
varietà di momenti; ma è svolgimento formale, sviluppo
fenomenico, semplice varietà non diversità di momenti :
quindi ripetizione, monotonia, necessità meccanica ma-
teriale, 0 meccanismo ideale. Nulla di nuovo, fuorché il
fenomeno. Una la sostanza, ma infinitamente molteplici
le superfici. L' essere, l' essenza delle cose è identità con-
creta, identità sostanziale. Qui dunque e' è difetto di fe-
condità vera nell'essere; dimodoché la conversione è
compenetrazione di termini in una varietà infinita di
momenti reali e tutti fenomenici. A-=B; B-C; C-D:
l'Essere é il Diventare.
Nel terzo caso, finalmente, la prima e la seconda po-
sizione sono conciliate. Né tal conciliazione accade mercè
i soliti principii superiori, e i soliti terzi armonici, e i so-
liti dialettismi che, quanto piii voglion accordare, tanto
più facilmente scordano alterando, sciupando, guastando
la natura dei termini che intendono trarre ad armonia.
Sono bensì conciliate, perchè legittimate entrambe; né
potrebbon esser fatte legittime, ove ciascuna d' esse non
serbasse l' individuale esigenza che la distingue. Voglio
dire che fra' termini della terza posizione non v' è im' as-
soluta identità; e non v' essendo assoluta identità, e' sono
distinti; e distinto eziandio ne risulterà il processo.
Laonde, anziché compenetrazione, fra essi ci è conver-
sione ; anziché assorbimento dell' un nell' altro, rispon-
denza. Or come sarebb'ella possibile tal conversione ove
fra' termini non fosse opposizione? Essi perciò hanno un
limite in sé, e quindi un intervallo. E non ostante i li-
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OAP. nr.] DEL PRINCIPIO 8P1CULATIV0. 253
miti e gr intervalli e' pur si toccano, ma senza confon-
dersi: e non potranno confondersi perchè la lor diffe-
renza non è di forma, anzi di sostanza. Qui dunque non
v'è noiosa e monotona ripetizione: ci è vita vera, ori-
ginalità, novità, fecondità d'essere. A si converte con J?,
non perchè l'uno sia l'altro, non perchè siano identici,
ma sì perchè sono distinti. Or come potrebbero esser
distinti senza un fondamento comune ?
Per astratto che paia questo nostro linguaggio, non
potrà essere oscuro a chi abbia qualche dimestichezza
con ispeculazioni di cotal genere; né dubbia od oscura
tornerà la conseguenza che ne trarremo. Ed è che il
criterio della conversione, sia che Tobbietto di essa
vogliasi intendere come assorbimento o compenetra-
zione de' suoi termini, sia che come assoluta alterità;
riesce sempre infecondo, sterile, esclusivo, irrazionale, o
al pili apparentemente razionale. Dunque la posizione
metafisica piti legittima e positiva sarà la terza; ed è
quella appunto che si trae dalle dottrine del Vico. Spie-
ghiamoci pili netto, e confermiamo qui anc' una volta
il concetto della Scienza e del Criterio.
Nella prima posizione la scienza non è possibile a
verun patto. Ella pecca per difetto. Ella pecca per non
saper essere scienza metafisica in modo alcuno e sotto
nessuna forma: però essa è nulla perchè, metafisicamente,
è scienza del non sapere. Tale sembra voglia esser la
missione storica degli odierni positivisti: Far la scienza
del non sapere metafisico! In sostanza e' non fanno che
riprodurre la posizione di Sesto Empirico, modificandone
la forma: nxvri lòyra lóyo'j CTOv àvrcxcIo'Oae. E poichè
tal posizione è negazione dell' esigenza metafisica, però
cot^t' indirizzo deve assumere più forme, maniere di-
verse, metodi differenti, rappresentandoci così gli sforzi
inefficaci del pensiero, ed esprimendoci '1 conato infrut-
tuoso della mente. Ella quindi piglia forma di credenza,
la cui più alta e sistematica espressione è il credo quia
absurdum; e piglia forma altresì di senso comune, d' ana-
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251 DELLA DOTTBIKA FILOSOFICA. [lIB. II.
lisi, d'osservazione, di classificazione, d'indagine par-
ticolare, induttiva, sperimentale, psicologica. Tal si è
quella lunga serie di tentativi più o men razionali che
dal monoteismo informe, cui nella religione s'eleva il
pensiero attraverso un teologismo pia o men riflessivo
si va innalzando e negando se stesso, e vuol essere
scienza d'autorità, di fatti, di coscienza, d'istinto, di sen-
timento, d'esperienza. Quindi è Tradizionalismo, Psico-
logismo, Spiritualismo, Materialismo, Filosofia del senstis
naturce communis, Filosofia del sentimento, Scetticismo.
Tutte filosofie entro cui più o meno spiccatamente s'an-
nida il Positivismo, perocché tutte consentano nel co-
gliere il diverso, l' essere come diverso, alla guisa che
lo presenta il fatto. Però non sanno spiegarlo, non sanno
intenderlo. E quindi l'oggetto del sapere metafisico per
esse riman sempre tale, sempre diversità empirica.
Nella seconda posizione il concetto della scienza è
possibile: tanto possibile, tanto facile, che pecca per
eccesso ; pecca, come dicemmo, per voler essere scienza
ciSSoliUa, e quindi finisce per diventare scienza del nulla:
scienza dell' essere che s' annulla. Tal si è l' Idealismo
assoluto, e tali tutti que' sistemi che gli sono affini:
la teorica del tutto-idea, dell' idea-tutto, che pone il
contenuto dell'essere come assoluto, identico, univer-
sale. Il divenire è legge; legge essenziale, legge supre-
ma : per cui gli Hegeliani oggi non fanno che ricantar
sott' altra forma la posizione d'Eraclito: nàvra yj^pti
òifSiy psvsi: ripetizione monotona, monotono ritornello»
ond' agli occhi di costoro (secondo l' osservazione d' un
tedesco) tutto è vecchio, tutto è saputo, e nulla di
nuovo, nulla di spontaneo, nulla d'originale non sarà
mai possibile nell'essere stesso.* L'identico nel diverso,
ma nel diverso fenomenico, apparente : ecco la formola
dell' Idealismo assoluto quando l' Hegeliano voglia esser
conseguente a sé medesimo.'
' Stahl, St. dilla FiL dd Diritto^ voi. II» p. 300.
' Non mi facciano il viso dell* arme i miei buoni amici Hegeliani, se
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OAP. ni.] DBL PRINCIPIO SPKOrLATITO. 255
Nella terza posizione, finalmente, la scienza intesa
come sapere metafisico non è un nulla, dicemmo, e
neanche il tutto. Non è metafisica negativa, e nemmanco
scienza assoluta. La divisa dunque della vera filosofia
positiva è il gran principio Leibniziano, che troviamo
verificato anche nelle dottrine del Vico : Tutti i sistemi
esser veri in ciò che affermano; tutti essere falsi in ciò
che negano. Perciò il carattere che la distingue risiede e
spicca sopratutto nell'accettare quel che le posizioni con-
trarie ed opposte affermano, e nel negare precisamente
ciò ch'elle negano. Essa nega la loro esclusività, le
corregge, e le invera. Quindi riesce filosofia positiva, in
quanto è produzione de' fatti e del pensiero ; risultamento
d'un lavoro costante e combinato fra l'esperienza e le
idee, fra la natura e lo spirito, fra la storia e'I pensiero.
Più che sperienza, in lei tutto è sperimento : tutto con-
versione incessante, attuosa, e quindi fiducia profonda
nel reale come nell'ideale, fede vivace nella storia come
nella ragione. La filosofia positiva dunque è positiva non
perchè neghi la metafisica, come pretende il Positivista,
ma si perchè nega, dall' una parte, la metafisica dom-
matica, l' assoluto sapere, 1' assoluto a priori; mentre
dall' altra nega lo stesso Positivismo, eh' è in sostanza
il nullismo metafisico. Or se la funzione filosofica se-
riamente positiva non è quella che nega bensì quella
rol mio corto cervello non arrÌTando ad afferrare il secreto vìncolo dia-
lettico dello due parole, abbia qai considerato il divergo come efìOmero
ed accidentale rispetto a\V identico. Ma non son essi medesimi che pronun-
ziano, legge suprema esser V ikdifperbnza dippersnziata indifprrintr-
MEirrE? Or che ci dicon queste parole? Traducendole in linguagt^io un
po'più umano, 8*ò possibile, ci significano precisamente questo : /(Z«n(»efì
fatta diverta in modo identico. E che cosa Tuol dire identità fatta diverta
in modo identico f Vuol dire identità nella divereità^ nò più, nò meno.
Dunque T essenziale ò sempre T identico! Però non si sono ingannati
coloro che, nella stessa Germania, hanno rassomigliato il sistema di Hegel
ad un serpentone si morde la coda. (Ved. presso Lbrminirr, Bi$t.^ de
hi Phil, du Droitf Voi. II) Nò sonosi ingannati, nel medesimo paese, nel
dire che 1* Idealismo assoluto ci rammenta la eometta di MUnchhausen
la quale sonava da so ! (Staul, Op. c«(., voi. cit, p. 499).
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256 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
che afferma, ella nega appunto il puro astratto, nega
il puro concreto, e cosi afferma la vita e l'armonia
d' entrambi ricercandola. Non siamo dunque hegeliani
anche noi? non siamo anche noi positivisti? Noi affer-
miamo, infatti, quel ch'essi affermano; ma siam pronti
a negare la loro negazione. I primi afferman l'identità
com' essenza delle cose; e però, se voglion esser conse-
guenti, devon negare la differenza in quanto essenziale
ella medesima. I secondi affermano una relazione tutta
estrinseca e stavo per dir meccanica fra le cose; la iden-
tità astratta, la differenza reale, immediata e però sola-
mente empirica, data, mostrata dal fatto, ma non legit-
timata dalla ragione: perciò essi negan l'identità come
essenziale nell' essere, perchè non capiscon Y essere, né
loro importa guari capirlo. Or la filosofia è positiva,
Imperché afferma l'elemento positivo, voglio dire l'af-
fermazione d' etrarabe queste due posizioni ; 2» perchè
.negando l'elemento negativo contraddice alla negazione
di esse. L' ingegno filosofico positivo sarebbe un imper-
donabile e meschino anacronismo e contraddirebbe a sé
medesimo, ove non accettasse il positivo che è nell' una
e nell'altra di queste contrarie posizioni cui è giunta la
moderna filosofia europea. Ma se la nòstra posizione è
davvero moderna, non però cessa d' essere antica : ed è
antica senz' esser vecchia. Essa è la medesima esigenza
di quelle due grandi dottrine attorno a cui s'affatica
da venti secoli la speculazione occidentale. Aristotelismo
e Platonismo. Aristotele e Platone non si contraddi-
cono. Essi concordano, s' altro mancasse, nel concetto
della scienza; e gli opposti indirizzi ond' abbiamo parlato
sin qua in modo puramente astratto e teoretico, non ap-
partengono ad essi, ma di essi ci rappresentano appunto
r esagerazione. Dunque la correzione piii seria ed efficace
del Platonismo e dell' AristoteHsmo sta nella terza po-
sizione. La quale perciò, in mentre cha»giustifica la
storia della filosofia, la innalza ad unità razionale, e le
imprime una forma razionalmente positiva.
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CAP. ni.] DEI PRINCIPIO SPBCOLATITO. 257
In che veramente consiste tal forma razionale e po-
sitiva di speculazione metafisica?
Ella consiste nel porre tre ordini di realtà, ma si-
gnoreggiati da un medesimo principio. A questi tre
ordini di realtà il Vico, certo per significarne 1 indipen-
denza e la distinzione essenziale, die titolo di mondi:
Mondo delle Menti e di Dio (Processo ideale);
Mondo della Natura (Processo naturale);
Mondo delle Nazioni (Processo istorico),*
* Il concetto de' tre proce»9Ì è simboleggiato ne* Tre mondi della IH- .
pintura messa in fronte alla Scienza Nuova. Taluno potrà sorridere pen-
sando a questo schema simbolico; e sorrida a sua posta! Non è mancato
invece chi lo abbia preso sul serio come in (Jermania U GOoschel, il quale
ha saputo scorgervi un concetto metafisico originale, tantoché ne* suoi i
Fogli «parti ne ha parlato in opposizione ali* Hegelianismo (Ved. Cantoni,
St. Critici). Ma ci è una ragione seria per cui il Vico pone in fronte alla
Scienza Nuova cotesto suo schema? Ovvero ò una fantasia platonica e
mezzo teologica, uno scherzo da erudito, un giuoco da letterato, un va-
neggiamento d' un contemplatore solitario e fantasioso V Una ragione
e* è ; ed è quanto seria altrettanto chiara. Cotesto schema simboleggia
appunto la sua dottrina metafisica, i cui germi dicemmo trovarsi nelle ^
opere latine. Avvertimmo già che una metafisica nella Scienza Nuova
c'è, ma vi è supposta, vi è presupposta, non già incorporata con essa,
come crede il prof. Spaventa. Come fate a sapere (mi si chiederà) che
cotesta metafisica ci è, ma vi è supposta? Lo potrò sapere per più vie.
Lo so, perchò lo induco dair insieme delle dottrine spiegate in quel li-
bro. Lo so, perchò guardo alle attinenze infinite, tacite ed espresse, fra
la Scienza Nuova e le altre opere. Finalmente Io so, perchò V autore stesso
me lo dice e me lo fa intender chiaramente con la sua Dipintura, Che
cosa infatti vorrà significare mai cotesto schema simbolico? lì con-
cetto de* tre mondi racchiude in sostanza quello de* tre processi dell* es-
sere; col che il Holitario del secolo JF/// anticipava d* un secolo THege-
liauismo, ma nel medesimo tempo lo correggeva. Ora, chi applichi al tri-
plice processo il criterio della Convernone del vero col fatto,, nel mentre
può imprimer valore di principio a cotesto criterio, si avvede che pro-
prio in quella Dipintura giace nascosto il nòcciolo, per così dire, della
monte del Vico, e però la chiave maestra della sua dottrina metafisica.
Questo schema da una parte è come il risultato delle opere latine ridotto
a concretezza sensata, e presentato sotto forma simbolica ; mentre dal-
r altra e* si presenta come Tantecedente immediato della Scienza Nuova,
e figura quasi il perittero degli antichi edifizi. Che sia cosi non e* é
bisogno di perderci in istudìati arzigogoli. Il fine per cui egli prepone
al suo libro la Dipintura è detto nello stesso titolo: la Dipintura pro-
posta al frontispizio serve per T INTRODUZIONR delV Opera. Dunque, ridicia-
molo, in lui c'è una metafisica; e questa metafisica non ò incorporata
SlClLIAM. 17
, Digitizedby VjOOQIC
258 DBLLA DOTTRINA FILOSOriOA. [lIB. Il-
Or se tre sono gli ordini della realtà, in questi
per prima cosa, vuol esser fondata la genesi e V ordina-
mento delle difiPerenti parti che compongon la filosofia.
La prima di queste parti riguarda il processo ideale, il
processo in sé medesimo considerato, V essere attuale,
r infinito attuale. Ella è metafisica e logica, due cose in
una; ma senza che fra loro ci sia quella pretesa equa-
zione che a marcia forza ci voglion vedere gì' Idealisti
assoluti. Se è vero che la metafisica è anch' essa una lo-
gica, non è vero che la logica sia la metafisica. — La
seconda parte è la filosofia della natura, la quale versa
nel finito attuale senza che s'abbia da imporre alle
fisiche discipline. Ella non fa che applicare, in accordo
co' risultati sicuri dell' esperienza, il solito criterio della
conversione, per cui non potrebb' esser detta costru-
zione a priori, — La terza parte, finalmente, è la filo-
sofia dello spirito sotto tre forme, o processi: storico,
sociologico e psicologico. L' obbietto di essa non è il
finito, ne l' infinito, ma il finito che tende all' infinito,
Vinfiniio potenziale. Ora il problema di tutt'e tre queste
parti è quello stesso di ciascuna, ma sotto forma pe-
culiare. Esso consiste nel mostrar l' identico nel diverso
e viceversa; cioè nel mostrare la conversione del Vero
nella Scienza Nuova, ma è tutta in quello schema che 9ervc per intro-
duzione deW Opera. Perciò chi voglia intendere il suo libro, s' ha da stu-
I diare d* intendere innanzi tutto la Introduzione che vi è preposta. E pure
quanti sono che ci abbian badato ? Quanti sono anzi che non ci abbiano
riso V Ma che cotesto invece sia negozio da non pigliarsi a gabbo, ce lo
dice egli medesimo là dove rÌ9tringendo TI db a deW Opera inuna^omma
hrieviisima, accenna che cosa rappresenti in sostanza la sua figura. Che
poi intendesse racchiudervi una dottrina metafisica, lo avverte chiaro
nella lunga nota in su la fine della Spiegcutione^ dove per fare intendere
al lettore la heUezaa detta Divina Dipintura^ gli pone sotV occhio V or-
' rore e la bruttezza d* altre dottrine contrarie, per es. lo Spinozismo, il
■ Determinismo storico, lo Scetticismo, il Sensismo, V Epicureismo e simili.
Dunque (giova ribadirlo bene) di sotto a que* sìmboli, che a taluno son
parsi fantasia da poeti, la critica seria e indagatrice ha da scorgere due
; concetti: !« U concetto della Conversione} S*» il concetto de* tre /Voce»»».
Questo è il punto, e quello è la leva; e con quel punto e con questa
leva, chi no avesse la fona, potrebbe muovere terra e cielo.
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GAP. in.] DEL PRINCIPIO SPBOULATITO. 259
col Fatto, della forma con la materia, dapprima in sé
stessa, poi nella natura, poi nello spirito e nella storia.
Questa è precisamente la divisione razionale e po-
sitiva della filosofia. Ed è razionale e positiva perchè
mentre racchiude il vincolo secreto de' tre processi, nega
insieme la pretensione de' sistematici assoluti, agli occhi
de' quali la genesi del pensiero è identica a quella del-
l'essere. Per noi invece fra l'una e l'altra non v'è iden-
tità, ma conversione. Ed è questo, come vedremo, il
significato sincero della nota sentenza vichiana su la
relazione fra l'ordine logico e l'ordine ontologico.
A conclusione intanto di tutto ciò che siam venuti
discorrendo ne' precedenti capitoli su la scienza e sul
criterio della scienza, dobbiamo vedere in che modo il
criterio delle tre posizioni ond' abbiamo innanzi discorso
valga altresì a farci interpretare la storia della filoso-
fia, e intender la genesi e determinare la peculiar na-
tura de' differenti sistemi filosofici.
Non si può esser filosofo senza essere storico della
filosofia, e viceversa. Scienza e storia della scienza sono
due aspetti d'un medesimo subbietto; ma sotto diverso
punto di lume. Sono due aspetti che non si confondono
fra loro, ma si distinguono; e si distinguono appunto,
perchè s' hanno a compiere a vicenda. Questa è legge
universale di ciascuna scienza, ma segnatamente della
filosofia. La necessità della storia d' una scienza, infatti,
è in ragione inversa della sua compiutezza e costituzione.
La storia della matematica è una curiosità, un' erudi-
zione agli occhi del matematico. Erudizione e curiosità
la storia della chimica e della fisica pel chimico e pel
fisico puramente sperimentale. Ma potrebb' esser sem-
plice curiosità la storia delle scienze induttive quando
si pigli a considerarle nelle loro questioni generali come
ha fatto il Whevrell? Sarà semplice erudizione la storia
del Diritto pel giusnaturalista? Erudizione e curiosità
la storia del sentimento religioso studiato nelle differenti
civiltà? Tanto meno dunque la storia del pensiero filo-
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260 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. IL
sofico potrebb'esser pel filosofo una quistione di curiosità.
Una filosofia che divelta e stralciata dal suo passato
non sappia annodarglisi e continuarlo e correggerlo, piii
che filosofia è romanzo; più che speculazione seria, uto-
pia. Un agrimensore cui manchi il terreno da sottoporre
a misura; un pilota senza naviglio sopra cui possa ado-
perar lo scandaglio e la bussola: tale per me è il filo-
sofo senza la storia de' sistemi filosofici.
Sennonché, studiar questi sistemi nella storia per
noi non è, come per gli ecclettici, studiare la scienza
stessa. La storia è mezzo efficacissimo, strumento essen-
zialissimo, condizione vitale per la scienza, ma non ca-
gione. Ora perchè lo studio de' sistemi abbia valore di
strumento efficace, è d' uopo saperlo non pur maneg-
giare, ma indirizzarlo ad un fine altresì. Per l'una cosa e
l'altra un criterio è imprescindibile. Dond' emerge cote-
sto criterio? Dalla storia, dicono alcuni. Ma allora la sto-
ria sarebbe la scienza stessa! Dalla mente, risponde altri,
cioè dal sistema. Ma in tal caso la mente, il sistema sa-
rebbe la storia ! Né dall'una, dunque, né dall' altra sor-
gente in modo esclusivo può emergere il criterio, sibbene
da entrambe. In che maniera? Hoc opus, hic labor.
Perchè il criterio possa riescir davvero profittevole
dee metterci in grado d' interpretare in qualche modo la
storia. Dee farci comprendere il suo problema; dee farci
intendere il suo fine. Ora per interpretare la storia della
filosofia innanzi tutto è mestieri disporla, ordinarla; or-
dinarla secondo il fatto, più che secondo le ispirazioni
di nostra fantasia. Ma, daccapo, come disporre e ordi-
nare senza un criterio? Ecco la necessità della psico-
logia. La quale sedendo in mezzo, per così dire, alla
storia e alla filosofia, cioè in mezzo ai fatti, ai sistemi
che ci porge la storia e alla teorica che può darci il
pensiero, costituirà l' unica sorgente del criterio. E il
segno men fallace a ponderarne la verità e legittimità
è il vedere se ci ha rispondenza fra lui e l' ordine cro-
nologico nonché i caratteri presentatici dalla storia
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CAP. III.] DEL PBIN0U»IO SPECULATIVO. 261
delle diflFerenti dottrine. Tal rispondenza ci può fallire
in due modi, e per due ragioni; o perchè la materia
non si presti, ovvero perchè il principio tolto siccome
regola torni inapplicabile ed erroneo. Neil' un caso la
storia, come scienza, è fatta impossibile per sé stessa:
nell' altro è fatta impossibile da chi la studia per non
aver saputo imbroccar nella scelta del criterio. Di fatto,
per vedere se uno storico della filosofia erri lungi dal
vero, non e' è che guardare alla composizione del suo
disegno. Quand' ei prediliga alcune figure, e metta V una
anziché l'altra sotto certi punti di lume, e faccia risaltar
questa più che quella scuola, e rintani giù fra le ombre
un' altra, o tiri un velo sopra una terza, egli per noi è
storico da scuola, storico da gabinetto, storico a proprio
servigio, storico esclusivo, perchè esclusivo il criterio col
quale interpreta la materia eh' egli ha fra mano. Tutti
gli Hegeliani senza eccezione danno in questo difetto.
Senonchè la storia de^ sistemi, eh' è appunto la mate-
ria sopra cui lavora lo storico, può davvero prestarsi ad
uno studio che serbi valor razionale? — I fini dello storico
sono diversi. Principalissimo è quello di legittimare il
proprio sistema (giacché non si può prescindere da una
dottrina), ricostruendo così e ricomponendo gli anelli
della tradizione scientifica. Egli dunque innanzi tutto
è chiamato, giusta l'osservazione del Ritter, a determi-
nare i periodi della storia. Ma sono essi possibili cotesti
periodi? Sì, certo, risponde il medesimo Ritter; e ce ne
garantisce la vita e la natura stessa dell' individuo, che
vuol dir la psicologia.* Ma se è possibile determinare i
* « Noua pentùfiB que, camme dan» la tic de ehaque homme il jf a de»
période» dan» le» quelle» il a tantfìt più» tcmtót moin» eonjianee de lui-
mime {la vici»»itxule du eommeil et la veille en/oumit un exemple trh «en-
»ible)f de mime au»»i dan» la vie de Vhumanité enti^re, le développement
e»t «Olimi* à la periodieiti. Ceat pour VhahUe kietorien un probUme du più»
kaut intéra que de trouver le» périodee de ee diveloppement et «Te» déter-
miner le» caracth^e». > (Hist. rol. I, p. 28.) E altroTO, parlando del perìodo
della filosofia greca, dice il suo processo esser e eon/orme au déveloj^-
ment iiUelìeetuel de Vhofinne, don» Vindividu eomme dan» Veipèoe, ear la
civili»ation tend toujour» de la circonférence au oenlre, » {j>. ibi, 157.)
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262 DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
periodi storici perchè la materia si presta a tal fine,
come farebb'egli, il Ritter, a rilevare e ponderare ac-
conciamente i caratteri delle differenti scuole e sistemi
senza il sussidio d'una norma anteriore e superiore
alla storia? Eccoci ricascati nella solita necessità d'un
criterio che valga ad imprimere forma razionale alla
storia : senza di che lo storico potrà esser pregevole per
erudizione, prezioso per esattezza storica, saggio e con-
scienzioso per fedeltà critica, ma non per questo avrà
valicato i confini dell' empirismo. Tale è il Ritter fra gli
storici contemporanei della filosofia. Egli è critico sa-
vissimo, checché ne dica la scuola di Hegel. È interprete
coscienzioso, indipendente, scrupoloso, accuratissimo; ma
non è filosofo. A lui fa paura il dommatismo ; fa paura
il sistema nella interpretazione istorica : e non ha torto.
Ma non si può essere storico filosofo senz* esser dom-
matico e sistematico? Il gran pregio del Ritter sta nel
carattere d' indipendenza eh' ei dà alle differenti scuole.
Ma un principio sopra cui s'incardini la sua critica, e
gli porga ragione di tale indipendenza, a lui manca
assolutamente.
11 criterio mercè cui lo storico potrà render utile
lo studio della storia ed elevarla insieme a dignità scien-
tifica, sta neir interpretar la successione e la genesi e
le attinenze de' sistemi filosofici ponendo in opera il cri-
terio delle tre posizioni che noi abbiamo accennato.
Queste tre posizioni (e altre non sono possibili) invocate
a chiarirci nel magistero della critica e della interpre-
tazione della storia, non costituiscon già un criterio em-
pirico, né un criterio d' indole eclettica; tanto meno un
criterio dommatico, sistematico, ricostruttivo. Non è cri-
terio empirico, perchè non sono i fatti storici (e nel caso
nostro i fatti storici sono i sistemi filosofici) che lo par-
toriscano, 0 lo spieghino; ma egli stesso è che spiega
la comparsa delle^differenti scuole e dottrine filosofiche
nel regno della storia. Non è poi criterio eclettico per-
chè non iscaturisce dalla storia, né da' sistemi; anzi ci
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■OAP. in.] DEL PRINCIPIO SPECULATIVO. 263
fa capaci d' interpretar V una e giudicar gli altri senza
esser sistematici : sentenza che per taluno avrebbe faccia
di paradosso, ma non è.* Finalmente il nostro criterio
non è sistematico, perchè non isgorga dalle viscere stesse
di alta metafisica, né quindi importa ombra di necessità
dialettiche, a priori, metafisiche. Ma qui dobbiamo
intenderci con gli storici hegeliani.
Qual è il criterio storico di Hegel? È il principio
stesso cella sua filosofia; V identità assoluta. Una infatti
per lui è la filosofia, uno il sistema ; e le dottrine par-
ticolari non altro che forme diverse d' un medesimo
contenuto.* 11 dommatismo sistematico nella storia de' si-
* La H;nola del Cousin scimmiottando Hegel, com'è noto, Terrebbe
far germinare la filosofia dalla storia, o considera perciò come elementi
organici necessari, aempiici e irriducihili solo quattro sistemi; Sensismo,
Idealismo, Scetticismo, Misticismo. Da questi fa risultare la storia d'ogni
tempo e ln)go; o da essi medesimi vuol far germogliare la filosofia: La
teoria deve emergere dalla storia. [Court ec. Ber. 2* t. II, p. 109-353.) Or
80 la storia in ogni grand* età e in ogni periodo filosofico presenta
qne* soliti qiattro demetiti organieif ne segue che la teoria, dovendo pul-
lulare appuiÉo da essi, altro non potrà esser che un accozzo eterogeneo
e, meglio che un eclettismo, un sincretismo. Se gli elementi infatti sono
contraddittorìi ed eterogenei, non dovrà esser tale altrosì V insieme che
ne verrà fuom V Che se per tale accozzo è mestieri d* un criterio, eccoci
tosto fuori della storia; e allora non sarà altrimenti vero il gran domma
che la teoria abbia da emerger dalla stessa storia. — Altro difetto del
Cousin è, che iella sua divisione non trovan luogo parecchi sistemi, come
per es. il Critclsmo, e Y Idealismo assoluto: 1* uno perchè non è sistema,
e nemmanco icetticismo; l'altro perchè, sotto il riguardo psicologico,
sarebbe P unione di due sistemi, secondochè avverte egli stesso. Inoltre
non giunge a determinar nettamente la fiinzione dello Scetticismo nella
storia, e distinruerla dalla funziono che esercita il Misticismo, il quale
definisce, le eotf> ds désespoire de la raièon humaine: quasi che il secondo
fosse un atto legativo cosciente, com'è il primo, e non già positivo in
qnanto che imprta fede, contemplazione, sentimento e simili. Finalmente
chi non vorrà legare p^li Eclettici che il Misticismo, il Sensismo e lo
Scetticismo siaio da riguardarsi come altrettanti sistemi V — Ecco a che
mena un criteri) erroneo su la divisione e genesi de' sistemi filosofici.
Non s' intende h storia, e poi si precipita senza rimedio in una teoria
affatto sincretici e però assurda.
* * La storci della filosofia mani/estaf ne* vari sistemi che sono ap-
parsi, una sola i medesima filosofia che ha percorso diversi gradi, e prova
che i prineipii particolari di ciascun sittema non sono che parti d* un
solo e medesimo utto. > (Hbgel, Log. Introd. § XIII, trad. Vercu — Wilmx,
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264 DILLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. IL
stemi non potrebbe risaltare più evidente, più rigoroso,
più universale, più assoluto. Noi innanzi tutto neghiamo
risolutamente che le vario dottrine non possan essere
altro fuorché momenti diversi d* una filosofia. Dov'è iden-
tità di contenuto, a dirne un esempio, fra Idealismo e
Materialismo? Tra Teismo e Panteismo naturale o ideale
che sia? Ci vuol davvero la pupilla lincea degli hege-
liani a vedere, o meglio, a travedere siffatte ideatità di
contenuto ! D' altra parte, se posta la evoluzione della
idea 0 contenuto dello spirito ne seguita (come dicono)
che la filosofia ha da esser identica alla storia: non è
egli codesto un principio degno d' un eclettico francese?
Non è la negazione più aperta, più schietta del progresso
in filosofia, meno, s'intende, fino al ] 831, epoca memo-
randa in che con la sua bacchetta d'acciaio il gran
negi-omante del Nord ebbe diffinitivamente segnato e
chiuso in perpetuo il circolo della filosofia? S'egli è
così, la dottrina ^é* circoli e de' ricorsi storbi che il
Vera dice esser l' errore madornale della Sdenzii NuovOj
per me sarebbe anzi una conseguenza logica, imme-
diata, inevitabile dell' Hegelianisrao, almeno quant' al
pensiero speculativo.*
Hi9t., voi. IH, p. 439). La successione istorica de' sistemi perciò riesce
identica a quella delle determÌDazioui logiche della Idea: il perchè in
fondo a tuttM sistemi non si occulta altro che un medesioo oontenuto.
* Chi consideri bene le dottrine e applichi con acciiiatezza le esi-
genze del metodo vichiano alla storia de' sistemi, si accorgerà tosto corno
nella filosofia, guardata storicamente, ci abbia da esser moIiipUcità di mo-
menti, e, che più monta, diversità di contenuto; del che /a storia dt'Ila
filosofia greca, come accennammo (pa?. 19«, 197) porge splendido esem-
pio. Ma, si badi, ciò non toglie punto che ci abbia da esser», come di fatto
ci è, differenze di forma. Se i ritomi e i rieorgi «tarici nm importassero
anche in filosofia un contenuto nuovo pur occultato sotto vecchia forma,
che cos' altro sarebbe la storia del pensiero filosofico salvo che an' og-
;,Mo8a e sterile ripetizione d'un medosiuio uggiosissimo spettacolo'? Nella
storia de' sistemi, più che in altre, il moto e lo svolgim4Qto storico non
somiglia ad una linea retta, come dicono alcuni, e mmmanco ad un
circolo, come pretendono altri. La storia della filosofia 3 linea retta e
circolo insiememente. È linea retta, chi guardi al contenuto ; ed è poi
circolo, chi consideri la forma, cioè la parto meccanica do' fatti; giac-
che la storia, lo dicono e lo credon tutti, ò fornita alch'ella del suo
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GAP. ni.] DEL PBINOIFIO 8FBCULAT1V0. 265
Un' altra osservazione contro gli Hegeliani poiché
ci calza. Se V ingegno filosofico (quello, ben inteso, de-
gl' imperturbabili e severi negromanti in filosofia) rac-
chiude in sé tanta virtù e tal vena architettonica da
costruire con lavorio tutto a priori il sistema della
scienza dell'essere e del conoscere; la conseguenza parmi
chiara, irrepugnabile : ed é che la storia della filosofia
non potrà non riescire affatto inutile e insignificante.
A che sciupar tempo, a che sprecar la nostra attività
critica a studiar ne' bozzetti piii o manco smorti e me-
lensi e sconci e abortivi che ci presenta la storia, se
abbiamo già dinanzi agli occhi in marmo vivo e quasi
palpitante il Davide e '1 Mosè? — Dicono: « Noi invo-
chiamo la storia de' sistemi, é vero, ma per semplice gua-
rentigia del sistema: la invochiamo com' una riprova di
fatto, com' una conferma sperimentale.... » Conferma di
che? Della costruzione a priori,^ Dunque codesta vostra
costruzione è una congegnatura inefficace ! — D' altra
parte, se il sistema giace ascoso e beli' e apparecchiato
nella storia e non fa che germinare da essa, in questo
caso non sarà inutile la vostra costruttura ideale, a
priori? Brevemente, una delle due: La costruzione a
priori del sistema é ella assoluta? Dimque è faccenda
inutile la storia de' sistemi. Il sistema giace egli beli' e
apparecchiato nella storia? Dunque inutile ogni alma-
meccanismo. Ora dunque per noi il pensiero fllosofico ò daTvero pro-
gressivo; è progressivo sul serio; progressivo noi verace senso della
parola progresso, appunto perchè si svolge anche, e sopratutto, nel suo
contenuto. £ qui, com* è chiaro, noi rispetto agli Hegeliani siamo addirit-
tura a:rU antipodi; e non è altrimenti il nostro povero don Giam-
battista quegli che non ebbe la fortuna (sic) di scoprire la gran
Ugge dd progredire della utnanità, ma è proprio il loro Hegel cui toccò
la sventura (abbiano pazienza!) di non conoscerla, anzi di negarla co-
testa legge; o almeno, riconosciutala da Talete fino al 1831, Tha poi
negata a tutt*i secoli avvenire, condannandoli senza scam(H> a ruminare
eternamente la medesima formola metafisica! Il concetto del vero prò-
gre99o è concetto propriamente impossibile nella mente degli Hegeliani,
come vedremo nella Sociologia.
» MiOHKLiT, Exam, Crit, de la Mèi. d'Arisi., Paris, 1836, p. 305.
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266 DELLA DOTTBINÀ FILOSOFICA. [LIB. II.
nacchìo architettonico dialettico a priori. Nel primo
caso voi sarete altrettanti Dii; e noi non v'intendiamo,
perchè confessiamo di non esser capaci d' intendere un
linguaggio e un pensiero sovrumano. Nel secondo poi
sarete eclettici, o positivisti; e noi vi superiamo. Non v'è
scampo. Se la storia de' sistemi ha da servire di per sé
sola a darci la filosofia; se, d'altra parte, la congegna-
tura a priori ha da essere assoluta e tutta d'un pezzo:
come legittimarle entrambe? perchè invocar la neces-
sità d'entrambe? Intendo l'eclettico che, non sapendo
rinvenir filo d' energia speculativa ne' bisogni intimi del
suo pensiero, viene a chieder soccorso alla storia. Intendo
non meno il positivista che con le mani sotto le ascelle
tutto aspetta dalla storia appunto perchè non ha briciol
di fede nelle native forze della ragion filosofica, e sorride
agli sforzi ne' quali nobilmente altri si prova. Ma come
potrò intender gli hegeliani che invocan la storia nel
momento istesso che vantano la singoiar pretensione
di costruir l' edifizio scientifico a priori rifacendosi dal
tetto ?
Che cosa dunque è da concludere? Precisamente
r opposto di ciò eh' essi pretendono : che ne la storia
contiene il sistema, né la mente può costruirlo e de-
durlo a priori. Né induzione, al solito, né deduzione
neanch' in quest' ordin di cose. La possibilità d' una
dottrina metafisica può germinare dall' azione combi-
nata delle due forze; dalla storia de' sistemi interpretati
a dovere, e dalla energia intima del pensiero specula-
tivo. Or tutto ciò potrebb' egli esser possibile, se questo
pensiero non fosse ad un tempo e dentro e fuori della
storia?*
* Lo Schmidt divìde la storia de* sistemi filosofici morendo dal con-
cetto della filosofia elio per lui è teienza del fondamento ultimo del nottro
pentierOf e delV a$§oluto, E poiché cotest' obbietto si può concepire in tre
gaise, cioè obbiettivamente, sabbio ttiv amente e neirun modo e nell* altro
riconoscendoli entrambi come identici, però ne deduce 1* opposizione
de* sistemi, e la divisione della storia. La prima e più generale divisione
è questa; 1» filosofia grreca ; 2o filosofia nuova avanti Kant ; S*" filosofia
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OAP. in.] DEL PRINCIPIO SPECULATIVO. 267
Il nostro criterio non è niente di tutto questo. Non è
empirico, non è eclettico, non è sistematico, non è dom-
matico. E positivo, e razionalmente positivo. Ed è tale
perchè piglia di mira non già i sistemi propriamente
detti, anzi le posizioni ultime, più semplici, irreducibili
del filosofare, squadrandole sotto doppio rispetto ; sotto
il rispetto della scienza, e del suo oggetto. Le posizioni
possibili dell' ingegno filosofico, di fronte al sapere me-
tafisico, dicemmo esser tre: !• impossibilità della metafi-
sica (Scetticismo); 2» sua attualità (Sistema beir e com-
piuto); 3» sua possibilità (Critica). Anche tre, dicemmo,
le posizioni del suo oggetto, cioè le possibili soluzioni del
problema metafisico. Dunque tre han da essere i sommi
generi sotto cui la storia può venir adunando, disponen-
do, ordinando le dottrine, gì' indirizzi, i metodi, le esi-
genze speculative formanti le specie e sottospecie, le
recente dopo Kunt {St, della FU., p. 16). Innan^ù tutto questa è una di-
Tisione essenzialmente sistematica, e riesce alla filosofia dell* identità: il
che solo basterebbe a condannarla. Il concetto inoltre nel quale è fondata
• è superlativamente esclusivo; tanto cbe rimaui^on fuori del corso isterico
interi periodi di speculazione occidentale, per non parlare della filosofia
orientale. Così precisamente egli tratta, per esempio, la scolastica: la
quale, tuttoché non si possa dire speculazione metafisica, non però cessa
d'essere 8peéulazione,quantunque in servigio della teologia e del domma.
K poi, come mai dalla filosofia greca, con un salto più che mortale, si
piomba a Cartesio ? Dov* è qui, non dico la verità, ma la realtà del pro-
cesso storico della filosofia? Un'altra domanda. Lo Schmidt pone Videntìtà
come contrassegno del 8^ periodo della filosofia. Ma, con qual diritto, con
che verità qualificar tutt* i filosofi di cui egli parla nel suo S"* periodo col
carattere dell* identità ? Come si vede, lo Schmidt cade nel 1* a pr»art«mo
hegeliano, ma senza far pompa de* grandi pregi di Hegel. Tranne V op-
posizione fra' sistemi, nonché la triplice maniera onde in essi è concepito
l'assoluto, ei confessa dì non saper altro per via a priori di concreto, di
particolare circa la storia delle scuole e delle dottrine filosofiche: dovec-
cbò Hegel non pnr move dalla logica, come s'ò detto, e dalle alture
logiche procaccia dedurre i sistemi ed i momenti della storia, ma più an-
cora li costruisce; li costruisce indipendentemente dalla storia. Il metodo
dello Schmitd, quindi, avrebbe una parte accettabile, un aspetto vero;
che, cioè, r indagine storica, per lui, non riescirebbe un di più affatto
inutile, come in sostanza dovrebb' essere per Hegel. Se non che cotesto
bel pregio svanisce, tost<t che si pensi all' erroneità ed esclusività dom-
matica del principio onde move la sua speculazione. (Op. cit., p. 23.)
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268 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
divisioni e suddivisioni de' vari sistemi che ci presenta
il fatto istorico della filosofia. Non v' ha dottrina che no
resti fuori: né v'è sistema che il nostro criterio non in-
terpreti e legittimi. Esso racchiude una legge; anzi
guardato psicologicamente è legge egli medesimo: quindi
è processo, è ternario, è tricotomia, come direbbero gli
hegeliani, ma basata in un fatto, fondata in una neces-
sità psicologica. È legge ; ma è una legge, vorre' dire, li-
bera; libera nelF ordine delle applicazioni, È una trico-
tomia mobile, variabile, raoltiforme. È un ternario pro-
gressivo da applicarsi liberamente fin dove si può, senza
che neppur d'un minimo la storia abbia a restare for-
zata ne' suoi responsi, compulsata ne' suoi principii, vio-
lentata nelle sue conseguenze. Il nostro criterio, dun-
que, non è un letto di Procuste perchè non iscaturisce
dall' alto; anzi lascia dischiuso il corso istorico all' atti-
vità speculativa, sì che lo svolgimento de' sistemi, più
che un circolo, sia davvero quel che debb' essere; un
processo.
Si può egli applicare alla storia de' sistemi cotesto
criterio? Ovvero è atto solamente a significarci la ge-
nesi ideale delle posizioni del pensiero? È atto all' un :i
e all' altra funzione. Anche qui, come nella genesi en-
ciclopedica e nella distribuzione delle scienze, no n è
lecito confondere, ma neanche separare l' aspetto ideale
dall'aspetto istorico. Non è egli vero che, teoricamente
parlando, chi voglia filosofare non può imbattersi in altro
che in una delle tre soluzioni sopra indicate circa il pro-
blema metafisico? Or bene, il fatto istorico non ci mostra
sistema, non ci addita dottrina, che ad una di esse più
0 men direttamente non abbia a ridursi. Intanto ove il
nostro criterio non si potesse applicare alla storia, che
cosa ne verrebbe? Questo: che da una parte la filosofia
mancherebbe d'ogni valore scientifico, e la storia di essa,
dall' altra, non potrebbe assumere forma e significato ra-
zionale di sorta. Ma come applicarlo cotesto criterio? Qui
ffiace Nocco! diceva il buon padre Cesari. Poiché qui ap-
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OAP. in.] DEL PRINCIPIO SPECULATIVO. 269
punto è mestieri saper cansare due scogli del pari esiziali
e funesti: il fatalismo isterico degli hegeliani, e quel-
r accidentale, queir arbitrario, quel succedersi empirico
e arruffellato dei sistemi onde non sanno darsi conto
né ragione gli altri storici della filosofia.
I sistemi filosofici (Hegel qui ha ragione) non for-
mano già successione fortuita ; ma neanche compongono,
come altrove toccammo, organismo d'ogni parte ser-
rato e compatto. Nella storia della filosofia e quindi
fra' differenti suoi pei-iodi, ci è continuità, ma ci è pure
discontinuità; vi è intervalli fra' quali non sempre esi-
stono annodamenti e articolature, ma spesso giunture
e saldature esteriori ; né sempre scorgiamo connessioni,
ma successioni. Or in questi passaggi la storia ci pre-
senta le forme negative, le forme transitorie della me-
tafisica, le quali perciò non sono sistemi, non sono forme
positive come quelle dianzi accennate. Tali sono, per
noi, il misticismo e *'l sincretismo , l' eclettismo e lo
scetticismo, il criticismo e '1 positivismo, e qualunque
altra forma nella qual si racchiuda un' esigenza meta-
fisica non soddisfatta.* Or se la storia della filosofia
* Pongo in questa categoria 1* Eclettismo francese, non l' Eclettismo
secondo il concetto leibniziano altrove accennato. E pongo poi nel no-
Tero delle forme negative di metafisica anche il Criticismo, non per ciò
eh* egli contiene di positivo, per es. i risaltati su la critica del giu-
dizio, il principio della. Ragion pratica e simili, ma solo pel risultato
negativo cui pervenne il Kant rispetto al problema metafisico. Sotto
questo riguardo il Criticismo è il vero Positivismo; il quale perciò non
è che' una contraffazione grossolana del primo; nn Criticismo inco-
sciente. Entrambi infatti convengon nel dichiarare impossibile la me-
tafisica: ma nel primo indirizzo cotesto giudizio ò un risultato critico,
in mentre che nel secondo è una pura affermazione; affermazione pro-
messa, più che altro, dalla storia e dalle lotte inefficaci de' sistemi, come
dicono i Positivisti. Chiamando perciò forma negativa di metafisica
il Criticismo, intendo guardare questo sistema in attinenza con la solu-
zione fondamentale della scienza prima, con la scienza dell'assoluto,
rispetto a cui si sa a che cosa riescisse la Rngimi pura. E questo modo
col quale consideriamo il Kantismo è confortato dalla nota sentenza di
Schelling che noi crediamo verissima: La Critica dd Kant l un'opera
uniea perchè ì il fondametUo di tutti i tittemif ^enza eh' eìla eia per 9Ì
«tewa un nttcma. (Syst. de Pldéalìsme trascendantal. pag. HO.)
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270 DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
fosse per avventura quel che vorrebbe Hegel, io sfide-
rei tutti gli hegeliani a giustificare, ad intender coteste
forme negative nelle quali talora s'incarna T attività
speculativa del pensiero umano. Per essi la storia do-
vrebb' esser tutta uno svolgimento perpetuo, crescente
e mai non defettibile di forme positive. L' Idealismo as-
soluto, dunque, non ispiega coteste forme negative; non
ispiega gli errori in filosofia, al modo istesso che non
giugne a spiegare il male nell'ordine morale. Stando
anzi alla legge e alla necessità dialettica, non dovrebbe
avvenir tutto l'opposto? Al contrario movendo, come
vedremo, dalla psicologia, cioè dalla genesi psicologica, i
passaggi e gli intervalli nella storia della filosofia son
già beli' e spiegati, ed entro certi limiti anche giustifi-
cati; e così avremo spiegato e giustificato le forme
negative del pensiero metafisico considerandole come
strumenti e condizioni delle forme positive, appunto
perchè siffattamente non siamo spinti da una superna
necessità dialettica, ma guidati da una legge essenzial-
mente psicologica e storica.
Sennonché, se due son le serie delle posizioni nel
processo isterico della filosofia, una però è la legge che
le governa e per cui elle formano un sol organismo,
un sol processo. Vi è tra' viventi storici chi nella storia
della filosofia distingue due serie di sistemi, sistemi
erronei, e sistemi veri, ì quali ultimi per lui formano
la filosofia perenne. Quelli negano, separano, confon-
dono; questi affermano, distingtcono, accordano.* Ma
quali sono i veri? È egli possibile anzi, nella storia, un
sistema vero? E quali poi sono i sistemi erronei? Il
panteismo, il dualismo, lo scetticismo, ci si risponde. Ma
da quando in qua è diventato sistema lo scetticismo? '
Neppur quello di Sesto Empirico, portato alla forma
più squisita di negazione dal Ferrari, potrà meritare
cotesto titolo. Perchè fame dunque una famiglia con
* Tale, per esempio, è la dottrina, del prof. Conti. Ved. ^. <UUa
FU,, Tol. I, Introd,
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GAP. HI.] DEL PRINCIPIO SPECULATIVO. 271
gli altri due, rispetto a cui diflFerisce essenzialmente per
la funzione peculiare eh' egli esercita nella storia ?
E perchè poi appellar negativi il dualismo e il pan-
teismo? Forse che essi non racchiudon parte di vero?
Questione di parole! si dirà. No, davvero, quistione di
sostanza, io rispóndo. Dicendo sistema lo scetticismo,
e accomunandolo col panteismo e ch)1 dualismo, noi
avremo alterato profondamente la congegnatura de' si-
stemi, avremo travisato il valore della storia^ ne saremo
in grado di coglier alcun vincolo razionale, verun legame
organico fra sistemi veri e sistemi erronei.^
* Per la maniera con che questo valoroso scrittore considera le forme
positive e le forme negative del filosofare, avviene che il disegno, ond' è
architettata la sua storia, torna esclusivo, unilaterale, parziale, tuttoché
egli quasi ad ogni voltata di pagina si piaccia chiamarlo comprenaivo.
Noi intenderemmo il pensiero del Conti quand'egli, a spiegare e scriver
la storia della filosofia, avesse ormeggiato, per esempio, il Gioberti, il
Rosmini, e come questi avesse diviso tutta la storia e la filosofia in due
grandi scompartimenti; sistema ortodosso, e sistemi eterodossi; di qua
la verità, e di là V errore. A questo modo sarebbe stato conseguen-
tissimo alle idee cattoliche. E poiché T errore, secondo V osservazione
del Rosmini, non è, nò può esser sistema, nò quindi aver leggi, non
avrebbe chiamato aiatemi quelli eh* ei dice sistemi negativiy nò si sarebbe
aiikticato a mostrarli regolati da una leg?e. La quale pel Conti, chi ben
guardi, non è norma isterica, non ò criterio fecondo e profittevole nella
interpretazione de* sistemi, ma, al più, una veduta della mente esco-
gitata per comodo di studio. Qual vincolo, per dirne una, qual processo
fra panteismo e dualismo ? fra questi e lo scetticismo, siano qualunque
la forma? Non è vero, dunque, che ci sia una leggo la quale guidi Ter-
rore, ed un'altra che sopravvogli alla verità: come non è vero che
nella storia de* sistemi siano due correnti, Tuna che sbocca e perdesi
negli abissi dello scetticismo, e 1* altra che finisce e riposa tranquilla e
serena nella perenni» philotopMa guarentita e sorretta da* cinque eriterii.
La legge ò una, ma si applica in due modi: come una è la corrente che
procede sempre incanalata per entro a un medesimo alveo, ma che ta-
lora, straripando, allaga le campagne, e spianta dalle piìi fonde radici
le selve annose, e non di rado stagna e si corrompe e inverminisce,
e tal' altra precipita sì che trascina e inghiotte no' suoi gorghi le pic-
cole e fragili barchette delle menti umane. Ma è sempre la medesima
onda, sempre la medesima corrente che muove da un* identica sorgente ;
la natura umana. Al qual proposito giova osservare come nò filosofi hege-
liani, nò filosofi cattolici potranno intendere convenevolmente la storia
del pensiero filosofico e spiegare naturalmente le sue forme negative, per-
chò sì gli uni come gli altri trascurano la psicologia. I primi, come s* ò
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272 DELLA DOTTBINA FTLOSOFIOA. [lIB. IL
Il nostro criterio non ha nulla d' estraneo alla storia
e alla psicologia; nulla d'a priori nel senso domma-
tico, sistematico, religioso. È un a priori, se si vuole;
ma un a priori di natura essenzialmente psicologica.
Or che cosa con la psicologia potremo conoscer d' an-
ticipato su la genesi de' sistemi filosofici?
Anche qui, non altrimenti che nella dottrina su
l'ordinamento deUo scibile, come poco fa osservammo,
è d' uopo distinguer la genesi ideale e psicologica, dalla
genesi storica nelle dottrine filosofiche. La genesi ideale
de' sistemi si radica nella natura e sviluppo delle stesse
funzioni psicologiche considerate in sé medesime, cioè
neir individuo come ^)rocesso conoscitivo. La genesi isto-
rica poi tiene anch' ella al processo conoscitivo, ma
considerato nella specie, nella successione storica e
sociologica. Dall' una non può esser dedotta l' altra,
perchè nella seconda intervengono cagioni assai più com-
])lesse che non troviamo nella prima. Or dalla psico-
logia noi potremo conoscere anticipata la genesi ideale
dei sistemi, non mai la genesi storica. E in che consiste
ella cotesta notizia anticipata? Semplicemente in questo:
che nel determinare il fondamento assoluto delle cose,
il pensiero filosofico non giugno di tratto alla verità che
gli è consentita. Dapprima ei la comprende in maniera
empirica, e per virtii, come dire, estrinseca ; puntellan-
dosi, per esempio, nel senso, nella natura, nell'espe-
rienza, neir autorità e simili. Poi la concepisce in una
maniera affatto opposta, ponendo in opera tutta la ener-
gia della propria speculazione. Finalmente per una terza
guisa eh' è il connubio, l'accordo, l'inveramento delle
due prime.*
detto, movono da un ordine superiore, dalla dialettica; i secondi invo-
cano il deus ex machina della colpa originaria. Essi dunque restau fuori
della storia e della psicologia, perchè le trascurano entrambe.
* Questa legge per cui ricorre la storia della filosofia e che ò rac-
chiosa, come specie nel genere, nella legge storica del Vico, fu già divi-
nata da Aristotele, e da lui primamente applicata alla storia della filo-
sofia antisocratica e so-jratica L* A. della Scimxa Nuova non fa che
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OAP. in.] DBL PRINCIPIO SPECULATIVO. 273
Questa divisione risponde perfettamente alle tre po-
sizioni del problema metafisico; anzi è come il sustrato,
lo scheletro intemo e fondamentale delle tre forme po-
sitive del filosofare. Risponde altresì alla legge' dalla
quale, come vedemmo, è governata la genesi enciclope-
dica, nonché la distribuzione gerarchica delle scienze. La
filosofia, infatti, origina e progredisca come ogn' altra
disciplina. È primamente induttiva, e poi deduttiva; ma
giunta ad esser eduttiva, le supera tutte, le trasfigura,
applicare il medesimo principio a tutte le manifestazioni della ciriltà,
alla storia in generale : e perciò Io Stagirìta è il suo più legittimo ante-
cedente. Il Michelet ha detto che V esposizione migliore della filosofìa da
Talete a Platone sia qnella d'Aristotele (Exam, <rit. de la Métaph, d*Art«t.f
ediz. eit., p. 121). Lasciando stare se com' esposizione sia tale (e tale
non si può dir oggi, almeno per ciò che spetta al Platonismo), certo è
«:he Aristotele ci ha dato il vero modello del metodo col quale è da scri-
ver la storia della filosofia. Egli non va né terra terra come certi nostri
critici a cui fan paura le leggi nnirersali, nò svolazza attraverso le
nnvole come fan gli storiografi sistematici. Neil' interrogare la storia
dol pensiero filosofico egli ha con sé due cose: 1° un criterio logico; 2" un
irincipio' d' indole psicologica e storica. Il criterio col quale saggia il
valore delle differenti scuole, sta nelle quattro sue cagioni di là delie
quali non è possìbile immaginare altre. II principio poi è una legge
P'iramento psicologica, non dissimile da quella per esempio del Laerzio
da noi altrove accennata (p. 196). Per questa legge la filosofia move
innanzi tutto dall'unità, ma confusa ed estrinseca: poi tendendo all'uni-
versale, cade nell'arbitrario, ed è filosofia dell* opposizione : finalmente
ritorna all'unità, ma in grazia della moltiplicità. Va insomma dall'in-
dividuo particolare al generale, e dal generalo ali' individuo pieno e
uniTersale. Questo principio aristotelico ò stato messo in chiaro dal
Kavaisson {Metaph. ri' ArUu^ tom. I. lib. II, e. II, specialmente p. 845, 481).
Abbiamo detto esser cotesta una legge di natura puramente psicologica,
perchè nel processo delle facoltà il pensiero dapprima versa nell'unità
empirica, nella materia, nel sensibile; poi nelle opposizioni e astrazioni
dell' intendimento ; e da ultimo in una unità superiore , eh' è unità
di ragione. Altrove abbiamo additato la medesima legge sotto forma
astratta : SirUen iniziale e eonfu9ay Analiai^ e Sintesi finale fp. 282). Ma
il difetto d' Aristotele dove sta? Nel non aver avuto coscienza del vin-
colo secreto die dev'esistere fi-a il criterio logico, merce cui la mente
dello storico dee ponderare il valore de' differenti sistemi, e '1 princip-'o
di natura storica e psicologica eoi quale egli deve saper diaporre e or-
ganare la storia ne' suoi diversi periodi. E appena bisogno d' avvertire
che criterio e principio per noi, come s' è visto, son la stessa cosa, ma
guardata sotto doppio aspetto.
SiciLuni. 18
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274 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
le comprende e le trasforma in proprio nutrimento, in
proprio sangue, e però le innalza a filosofia.*
Sennonché quant' al succedersi de' sistemi filosofici,
al loro intrecciarsi, modificarsi, sdoppiarsi, ricomporsi e
riaffacciarsi sotto novelle forme, nulla non potremo sa-
pere con la psicologia. Nulla non sappiamo anticipata-
mente quant' alle forme negative del filosofare, che nel
processo isterico s' avviluppano svariatamente con le
forme positive : il quale avviluppamento s' affaccia così
molteplice e spesso impensato e strano, che molti appel-
lano confusione, caos e disordine, anziché processo orga-
nico e razionale, la storia della filosofia. Ecco la neces-
sità inevitabile dell' osservazione, de' fatti, della ricerca
storica e della distribuzione dei periodi nella storia
de' sistemi. Ed ecco la necessità di applicare ad essi i
lumi della psicologia.
Or questa divisione e questa genesi de' sistemi filosofici
di che abbiamo parlato, non é che un' applicazione, un
aspetto della gran legge storica e sociologica scoperta
dal Vico. Il quale infatti direbbe che l' ingegno specu-
lativo, procedendo per tre fasi, periodi, epoche, età o ri-
corsi, riveste dapprima foima naturale, carattere divino e
però accidentale, estrinseco, fantastico. Appresso riveste
carattere eroico, nel quale il conato e lo sforzo della
mente del filosofo col suo razionalismo dommatico rap-
presenta ciò che il primitivo eroe nella moltitudine; e
anche questo, tuttoché staccatosi dal divino, non cessa
d'esser passeggero, esclusivo, individuale. Finalmente
* Perciò se la Metafisica nel!' ordine logrico è \& prima fra le scienze,
come dice Aristotele, è V ultima nell'ordine cronologico (asrà-yvTcxà) per-
chè abbisogna di tutte, come altrove mostrammo (p. 221). Così la filosofia è
scienza generale, non percbò le rimanenti discipline altro non siano fuorché
altrettante coneeguenae di essa, ma nel senso ch*ella tiene il /^rimo poeto:
Kaì xa9o).ou outwc Jt' npoirrì. {Met., VI.) E tiene il primo poeto
sotto due sensi, e per due ragioni divecse ; come logica, cioè, e come spe-
culazione critica positiva. Come logica, dicemmo esser condizione univer-
sale d'ogni scibile ; come speculazione positiva, e posteriore alle altre
scienze, viene ultima, e, come ultima, ò anche prima: npùtrri f 1X0709(01.
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OAP. in.] DBL PRINCIPIO SPECULATIVO. 275
assume carattere umano; ed è umano, perchè rappre-
sentando la correzione de' due primi indirizzi, non può
non esser positivo nel senso che noi porgiamo a questa
parola.*
* Il Vico infatti accenna ad una Aorta naturale de* nttemi {De
Univ., CLXXXIII, 4) la quale poi nella sna mente assume forma di etoria
ideale della filosofia (Prima Seienna Nuova, e. XXI. Seconda Scienza Nuova,
lib. II : D* intomo aUa logica degli addottrinati^ p. 288). Ma tanto la storia
ch*ei dice naturale^ quanto l'altra chiamata t(iea?e, appartengono al do-
minio della psicologia, perchè ponno essere spiegate mercè una legge psi-
cologica. Così nella storia, egli dice, dapprima ha luogo l'indagine delle
ooM naturali^ poi delle morali, da ultimo delle razionali. Quindi Fisici,
Moralisti, Teologi: per esempio Empedocle, Socrate, Platone. La mente
parte dal simbolo, anzi vi nasce: indi trasporta il simbolo ad indicare il
vero Jieieo^ poi il vero tiu>raf«, appresso il vero metafinoo. Or questa genesi
a cui egli accenna, si applica evidentemente tanto al processo delle scienze,
quanto a quello della filosofia; e, di più, risponde appnntìno alla storia
e al processo ideale de' metodi. I metodi per lui sono ìtq ;V Induzione^ il
Sittogiemo, il Sorite. {De Antiquiee., e. VII, § IV, 14.) È bene avvertire
com'ecfli, discorrendo del Sorite^ sbagli nell'attnbuire a Socrate quella
forma. d'induzione cui allude nel Libro metafìtico; e non meno sbaglia,
come osservammo, quando chiama sillogistico il metodo aristotelico. Ma
questi, com' ò chiaro, sono sbagli di storia, inesattezze di fatto, non già
di dottrina. Ciò che importa è che sin nel Libro metaJUico egli sa
scorgere un vincolo, un processo, e quindi un progresso fra le tre posizioni
metodiche del pensiero: Induzione, Dedazione, Eduzione, rispondenti alla
storia delle scienze, come a quella della filosofia. Giova perciò intenderci
bene. L' Induzione, per lui, è un artifizio sintetico, ma d'indole empirica;
ondo la mente non facendo che raccogliere, adunare, procede dall'effetto
alla causa, e quindi è analisi, diremmo, sintetica. (Inductio, pioura àna-
lytica; Stllooismus, stntrtioa. Ved. De Conet, PhUologim, cap. IV.) Il
Sillogismo invece è un artifizio deduttivo, è ainteei analitica per cui la
mente procede dalla cagione all'effetto; ma è incerto nel euo procedi-
mento e però inetto a scoprire {De AntiquÌ9$., cap. II, VII, 4). Questo è
quel metodo eh* ei condanna ne' Cartesiani, ed è quel 9ÌUogi»mo debole
oÌ79iv'/ì^ i7uXXo7(7]txo; che Aristotele biasimava in Platone (>lna/. Poet.,!,)
Finalmente il Sorite, per lui, è tutt' altro di ciò che ne dice la logica or-
dinaria. II Sorite non è, a dir proprio, nò sintesi, né analisi. Non è ana-
lisi sintetica che dall'effetto ealga alla cagione, e nemmeno è sintesi
analitica che dalia causa eeenda all'effetto. Invece è funzione che oofuxi-
tena caute con caute: Qui utitcb borite gauss ab oaussis, ouiqur proxi-
MAif ATTBXIT. {De AntiquÌ89„ De certa /acultate eciendi, 15.) Perciò il Sorite
essendo la funzione sillogistica nella forma pid compiuta, presuppone e
racchiude in sé l'analisi e la sintesi, la deduzione e l'induzione, e di fronte
a queste debb* esser superiore e posteriore. Dunque la funzione discor-
siva che egli appella Sorite e che pone nel terzo momento della storia
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276 DELLA. DOTTRINA PILOSOFIOA. [lIB. TU
Se tutto questo che noi siamo venuti sin qua discor-
rendo è vero, quale ne sarà la conseguenza? Sarà che
tanto nella storia deUa filosofia, quanto nel succedersi
de' sistemi, il progresso non è, come ci predicano i posi-
tivisti, un' illusione de' filosofi di mente ammalata e
nebulosa, ma un fatto storico e psicologico ad un tempo ;
una storica e psicologica necessità. I diff'erenti sistemi, ci
dicono i filosofi deW avvenire^ possono conferire al pro-
gresso non come cagioni determinanti, ma come sem-
ideale de* metodi, non è altro che il processo ednttiro di cai altrove ab-
l)iaino discorso. Neir annodar cau»e con carne sta V invenzione del ter-
mine medio, e perciò la conversione dd vero col fatto (p. 215-46). Se non
che talora anche in ciò egli si contraddice ! ifferma, per es.*, che V analisi
(la qaale abbiam visto essere per lui posteriore alla sintesi, e però, come
artifizio deduttivo, posteriore ali* induttivo), sia il metodo puramente cri-
tico de* Cartesiani ; e non senza ragione lo condanna, perchè esclusivo e
solitario. Ma più volte poi dice esser tale anche il Sorite; cioè un ar-
tifizio puramente critico e analitico. {De AnUqxUss,^ e. VII, § IV. — Ds
Nos. Temp. Stud. Jiat,, Argum. — RUp, i* al Glor. de' Lett., § IV. -- /?«
Oonst. PhiloL, e. XIV. — Sec. Se. Nuo., p. 239.) Ma non abbiam vist )
com'egli medesimo ponga il Sorite dopo Vlnduzimie che è analisi-sinte-
tica, e dopo il SiUogismò che è sintesi-analitica? Come, dunque, se è po-
steriore e superiore, potrà esser non altro che pura critica e pura ana-
lisi, e perciò anteriore e inferiore? Non è contraddizione palpabile cotestaV
A levar di mezzo siffatti controsensi, bisognerà stare alla definizione
eh' ei medesimo ne porge del Sorite: funzione che concatena cause con
ca«we, non già effetti con causcy o eause con effetti. Ella compenetra, come
dicemmo, in un medesimo circolo l'analisi e la sintesi, l'artifizio indut-
tivo e '1 deduttivo (p. 245). fe insomma il nwtodo ch'egli sposso ap-
pella geometrico (2* Risp. al Oior. de' LcU., § IV). È, ripetiamo, il metodo
ednttivo, genetico, il quale non è geometrico in quanto debba essere
tolto cosi com' è dalla matematica, ma nel senso che dalla geometria
s'ha da pigliar la dimostrationCf cioè la guisa per far la scienza. Lo
dice egli stosso; non m^hodus geometrica^ sed demonsb'otio. E dopo ciò
auguriamoci che alcuni suoi crìtici non vorranno maravigliarsi più oltre
ch'egli abbia voluto appellar geometrico il metodo proprio della sua
Scienza Nuova! {i^ Se. JVuo., p. 140-50). Uno de' continovi lavori di questa
scienza d dimostrare FIL PILO.... lo spiegarsi delle idee umane (ih. p. 44).
Concludendo: Col porre la genesi psicologica de* metodi e '1 processo
isterico delle tre funzioni metodiche, il nostro filosofo ci ha dato in-
sieme la dottrina su la genesi positiva delle scienze, secondo l'inter-
pretazione che noi altrove abbiamo accennato (p. 230), e sopra questa
legge si modella eziandio la storia ideale della filosofia^ com'egli dice, o
la storia naturale de' sistemi JUoéoJtci. Sono germi cotesti, io lo veggo;
ma germi fecondissimi.
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GAP. in.] DSL PBINCIPIO 8PECULATIT0. 277
plici condizioni del progredire; cioè com' errori che si
combattano, e che nel combattersi a vicenda si correg-
gano. — La contraddizione qui è palpabile ; e non è la
prima né l'ultima nella quale intoppino i positivisti.
I sistemi filosofici non sono che errori, e pur si correg-
gono ! Ma, so correggonsi, in clie maniera saran tutti
un errore? È possibile correzione senz'una parte di vero?
Or se racchiudon parte di verità, certo non avrebbe a
parere impresa disperata poterli assommare; per la
semplice ragione che se la mente umana è quella che
ha potuto partorirli e poi di mano in mano correggerli,
ella medesima potrà venirli adunando in organismo, nel
che, come si disse, è necessario un criterio superiore/
Abbiamo detto esser triplice il processo delle cose
governato da un medesimo criterio, il quale perciò as-
sume valore di principio : la Conversione del vero col
fatto. Ora il primo processo a cui è d' uopo fare co-
testa applicazione è appunto la storia, perocché lo spi-
rito nasce nella storia, e la fa. E poiché nel medesimo
processo isterico é racchiuso il processo psicologico il
quale n' è il fondamento più immediato in quanto é la
* I sistemi si combattono, è vero: essi rappresentano il transito a
verità ; e anche questo è verissimo. Ma ciò fanno non tanto perchè sono
errori, non tanto perchè lottano, qaanto perchè racchiudono in sé mede-
simi un elemento di speculazione e perciò di verità metafisica. In una
parola, essi lottano, ma non per distruggersi a vicenda, sì per legittimarsi,
e compiersi. Giova ripeterlo anche qui: Positivismo e Idealismo asso-
luto mancano del vero concetto del progresso nella storia de' sistemi.
L* uno considerandoli come produzioni fantastiche della mente, crede
che poco alla volta essi finiscano per divorarsi a vicenda senza verun
incomodo degli spettatori; dovecchò l'altro, avvisandoli come organi e
vegetazioni d' una medesima pianta, nega loro ogni ulteriore progresso
giunto che sia a vedere sbocciato quel fiore nel quale sono contenuti
in atto rami, fronde, foglie, tronco e radici della pianta. Questo fiore,
si sa, non può essere altro che la filosofia dell'identità. Ora a me pare
che, se hegeliani e positivisti vorranno per poco tenersi conseguenti a sé
stessi, la storia della filosofia agli occhi loro non potrà essere altro
che un caput mortuum; sempre per la solita ragione, che gli uni hanno
intera fiducia nella costruzione ideale della metafisica, mentre gli altri
non ne hanno punto, anzi la negano. Caput mortuuml nò più, né meno.
La logica è inesoraWle.
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278 DKLLÀ DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
stessa nostra coscienza, perciò la prima applicazione
di quel principio riguarda la genesi psicologica. Ma,
innanzi tutto, che cosa ci dice la storia della psicologia
rispetto al problema psicologico?
Capitolo Quarto.
platonismo e aristotelismo
nel problema psicologico.
Il nodo al quale per ragioni più o manco immediate
si rappicca la soluzione de' piii vitali problemi delle
scienze morali, e stavo per dire anche quelli della me-
tafisica, è il problema psicologico, che un moderno filo-
sofo ha giustamente appellato problema generatore.^
La psicologia segue anch' ella una legge cui vediamo
soggiacere ogn' altra parte della filosofia. Pigliando a
considerare il problema psicologico sotto l' aspetto teo-
retico, ci accorgeremo tosto della possibilità d' una dop-
pia soluzione, che si riferisce a due sistemi fra loro
opposti e contrari: i quali sistemi, per quanto si voglian
fregiare di titoli vistosi e facciano pompa di nomi pili
0 meno appariscenti, ci rivelano sempre alla fin fine l'esi-
genza del materialismo, ovvero quella dello spirituali-
smo. Se pigliassimo poi a guardare il medesimo pro-
blema sotto r aspetto isterico, sarebbe agevole il vedere
come quelle due soluzioni mettan capo a' due maggiori
filosofi dell'antichità, Platone e Aristotele, ne' quali s'im-
batte sempre la mente dello storico quando meno se '1
crede. Che se oltr' ai due massimi filosofi di Grecia to-
gliessimo ad esame anche la teorica psicologica degl' in-
signi rappresentanti della sapienza cristiana. Agostino
e Tommaso, i quali non fanno che ormeggiare i due
Fichte, Doetrine de ki Seienetf trad. Grimbl^t, pag. 110.
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€AP. lY.] PLATONISMO £ ABISTOTBLISMO. 279
greci quanto le necessità del domma comportavano,
avremmo beli' e fissato l' obbietto e determinato i con-
fini della critica intorno alle principali soluzioni date
sul problema in discorso, e fors'anco avremmo tirato le
somme linee d' un intero disegno isterico della scienza
psicologica fino all' età del Rinascimento^ I quattro filo-
sofi menzionati comprendono in germe tutte le posi-
zioni psicologiche possibili, meno una; meno quella,
cioè, che, nulla serbando di filosofico e di psicologico,
si riduce tutta a negozio di biologia, come vorrebbero
certi moderni fisiologisti.
Nella storia della filosofia, infatti, avviene quel me-
desimo che in ogn' altr' ordin di cose morali : le prime
tracce dello sviluppo, i germi del processo, come germi,
s'annidan tutti nelle origini. Nelle origini la virtù spon-
tanea e divinatrice dell' ingegno emerge vigorosa e po-
tente così che basta ad alimentare i' attività analitica
di più secoli, ed eccitar 1' ansia e '1 bisogno speculativo
di più e più generazioni. Le origini . riflesse della spe-
culazione occidentale pongono lor prima radice nel pen-
siero greco ; massime in quel perìodo in cui Platone e
Aristotele rappresentando, per così dire, 1' analisi in
cui sdoppiossi e ingagliardì la sintesi socratica, giun-
gono a toccar l'apice della riflessione metafisica sotto
duo forme distinte; distinte nell'idea, diverse nella
forma e anco nello stile, ma atte ad integrarsi e com-
piersi a vicenda. Il vivente storico inglese della Grecia
ha detto che la speculazione europea, nonché gran
parte dell'orientale, altro non sia stata in sostanza
fuorché un commentario intricato e perpetuo de' due
massimi filosofi. A compiere il concetto avrebbe potuto
•e dovuto aggiugnere che in cotesto commentario, in
cotest' analisi, tanto più evidente appare il progresso,
quanto più intenso é lo svolgersi delle dottrine, e più
fitto e più variato il succedersi delle scuole. Chi dun-
que pigliasse a far la storia critica del Platonismo e
dell'Aristotelismo, e' sarebbe già in grado di far la sto-
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280 DILLA DOTTRINA FIL060FI0A. [lTB. IL
ria della filosofia: in cui lo scetticismo avrebbe quella
funzione e queir ufficio che gli spetta; ufficio senza fallo
assai rilevante, ma, come dicemmo, di semplice stru-
mento più che d' artefice; funzione di mezzo, d' espe-
diente, d'incentivo piii che d'elemento vitale della scien-
za. Se infatti v' ha cosa nella quale consentano appieno
i due massimi filosofi, è questa: che il concetto del sa-
pere, del sapere per via di scienza, debbasi appuntare
neir universale, stante che dall' universale possa emer-
gere unicamente la possibilità della metafisica (pag. 22 ))
Ecco perchè tale possibilità è già beli' e dimostrata,
s' altra prova mancasse, dal fatto storico, dalla storia
della filosofia. Ecco perchè lo scetticismo, siane qua-
lunque la forma, è distrutto, o meglio, è ridotto al suo
legittimo valore, dall'esistenza atessa e dallo svolgimento
cui son venuti soggiacendo il Platonismo e l'Aristotelismo.
Ed ecco perchè, ripetiamolo, questi due grandi sistemi
racchiudono un significato supremamente comprensiva
per due rispetti diversi, l'uno storico e l'altro teore-
tico, e per due diverse ragioni altrove accennate (p. 201).
Sul carattere precipuo del Platonismo ci sarebbe a
sperare che né critici, né storici qund' innanzi avessero
a discutere più oltre. Volumi in foglio scrissero antichi
e riscrissero moderni, sia per determinare il concetto
platonico del Bene, sia per isgroppare que' tanti viluppi
su la natura delle idee, sia per ispecificar l' attinenza
peculiare fra esse e Dio, o per lumeggiare il processo
della dialettica e chiarir la forma verace del metodo
filosofico platonico, o, finalmente, per additare il rap-
porto fra '1 pensiero e l' obbietto sovrassensibile di esso.
Pare che i più oggi consentano a ritenere, il distintivo
platonico star nella teorica dell' esemplarismo, e quindi
nella dottrina (vera o no che sia) delle idee avvisate
oom' eteme conoscibilità, e com^ eterne e assolute specie
delle cose, * 11 che tanto più avrebbe a parer vero, in
^Ytìov wjTTioòc To (zé^iov (iTxpct^ityt/y.) iS\tntv. Tm. — Cfr.
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GAP. IV,] PLATONISMO E ARISTOTELISMO. 281
quanto che il punto attorno a cui s'aggira la critica
dello Stagirita sta tutta qui: Videa non pure esser
Buperiore alle cose, ma tutta al di là e tutta al di fuori
delle cose. Né le tre scuole d' interpreti che hanno a
capo Herbart Hegel e Bitter, e che in Germania oggi
dividonsi '1 campo della critica sul significato essenziale
e speculativo de' dialoghi platonici, dissentono guari in-
torno a cotesto particolare, quantunque tutt' e tre rie-
scano a dissidii profondi nell' applicar la critica non
tanto erudita, quanto d'interpretazione filosofica.
Difficoltà pili gravi porge T Aristotelismo ; col qual
nome intendo abbracciare tanto Aristotele, quanto la
interminabile tratta de' suoi commentatori. Queste dif-
ficoltà senza fallo tengono all' indole stessa della dot-
trina aristotelica, all'esser eUa, per così dire, bifronte,
racchiudendo i germi di due contrarie ed opposte dire-
zioni speculative: cosa che, ove non fosse universalmente
riconosciuta, basterebbe a comprovarcela, s' altro man-
casse , la critica che neanc' oggi ha smesso e certo
mai non ismetterà la speranza di porre in accordo lo
Stagirita con sé medesimo. Eertanto, riconosciuta l' am-
biguità e r indeterminatezza del sistema aristotelico non-
ché il difetto d' impasto omogeneo in parecchie sue teo-
riche; considerato come Aristotele uscito del tirocinio
platonico dovea serbare, come serbò evidenti, alcune
tendenze già inseritegli nell' animo dalla viva e potente
e drammatica parola di chi seppe concepire e scrivere
il Protagora e '1 Filébo; tenuto conto sopratutto del-
l'opposizione gagliarda e severa ch'ei mosse contr'al
maestro ; e, finalmente, considerato lo svolgersi così va-
rio, così intricato, così opposto ne' suoi resultamenti
cui r Aristotelismo andò «oggetto attraverso civiltà di-
verse, tempi diversi, luoghi divedi : non avrebbe a parer
Stallbacm, ne* ProUgom, al Parmenide, I, Sez. 2. — Rosmini, Aritt. eep.
ed esam.f Introd. — Zkllbr, DeU^ espogiz. aritt, della fil, di PUxtone,
c. rV. — Tbbndelsnburo, Plut. de id., p. 60. — H. Mabtik, Éhui. mr le
Tim,, Tol. 1, Àrgom, — CousiN, Du vrai, du beau et du bien, loz. IV.
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282 DELLA DOTTEINA FILOSOFIOA. [UB. II.
troppo ardito T argomentare, come dal tatt' insieme delle
sue teoriche, in ispecie dalle tendenze molteplici degli
esegeti d'ogni età, cotest' indirizzi devan essere tre, me-
glio che due. De' quali indirizzi noi chiameremo il primo
ip&rpsicólogko; il secondo. Triturale oàempirico; e il terzo
medio, ovvero aristotelico-platonico propriamente detto.
Dal significato stesso di queste parole, ognuno s'accor-
gerà come il nostro criterio diflferenziale, e la divisione
riguardante gì' indirizzi della dottrina aristotelica non-
ché le diverse esegesi a cui elle conducono, sia per noi
principalmente di natura psicologica; e non può non
esser tale. Aristotele, infatti, non cessando d' essere
Aristotele, è anche mezzo platonico. Un criterio diflFe-
renziale, dunque, circa le dottrine de' due filosofi, non
potrebb' essere attinto in altra sorgente salvo che in
quella della psicologia, dove appunto riluce piii netto
il dissidio, checché ne dica il Ravaisson,* tra i due
filosofi della Grecia. D' altra parte cotesta nostra divi-
sione non solo si porge come criterio a discemere e
giudicar le diverse scuole aristoteUche, ma ci sommini-
stra modo altresì per valutare l' esplicazione storica del
Platonismo al lume di quel terzo indirizzo che noi pen-
satamente abbiamo appellato medio. 11 quale, se con gli
altri due l' abbiam detto aristotelico, non è meno plato-
nico perciò. Cotesto indirizzo medio, infatti, non è ori-
ginario, ma secondario. Non è nato fatto, ma capace
di farsi, di generarsi, d'assumere fattezze proprie e
fisonomia sempre più individuale e spiccata nel corso
della storia. Però più d'uno storico della filosofia ha
paragonato 1' Aristotelismo e '1 Platonismo a due fiumi
che risalgono verso due sorgenti diverse; e meglio
avrebber detto due correnti distinte d' un medesimo
fiume, le quali, scorrendo, sempre più si rimescolano
e conifondono per entro a un medesimo alveo. Nel-
r Aristotelismo quindi ci è il Platonismo, o meglio ci
* E9$ai de Ifitaph, d' ÀrUt, Tom. I, Introd. p. Y.
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OAP. TV.] PLATONISMO K ABISTOTSLISMO. 283
è germi di due maniere di Platonismo, legittimo e
spurio. Il Platonismo spurio in sostanza è Arabismo;
e la cagion prossima, X origine immediata di esso non
risale già alla dottrina platonica, come altri ha creduto
cogliendo a frullo qualche sentenza qua e là sparsa
ne' dialoghi del filosofo ateniese; ma risale al medesimo
Aristotele; e ciò per due diverse ragioni. La prima
delle quali, come ha osservato un illustre storiografo,*
si radica nell'opposizione che lo Stagirita ingaggiò con-
tro il maestro ; e questa, più che cagione, noi diremmo
sia stata occasione, incentivo alla dottrina averroistica.
La seconda poi vuoisi riferire, come toccammo, all'in-
determinatezza e ambiguità della stessa dottrina ari-
stotelica su l'intelletto; tant' è vero che Alessandro
d' Afrodisea, intendendolo in parte sotto l'aspetto em-
pirico, potrebbe aver fatto più sdrucciola, per parte sua,
la strada all'Averroismo.' Se dunque tale è l'Aristo-
telismo di fronte al Platonismo, si può dire che, ove altri
pigliasse a far una storia compiuta del primo conforme
al criterio che noi diciamo, farebbe anche la storia
del secondo, cioè del Platonismo vero, del Platonismo
legittimo, appunto perchè nell'uno e' è, anche 1' altro,
ma corretto, o a dir meglio, compiuto per più d'un
rispetto.'
Ora che i tre indirizzi non siano per avventura tre
fantasie del nostro cervello, potrebb' apparir manifesto
dalle sentenze diverse che noi potremmo agevolmente
venir adunando nel medesimo Aristotele, se potessimo,
anche a far bella mostra di peregrina ma non difficile
erudizione, ingolfarci in esami di esegesi minuta e par-
ticoleggiata, e se il Rosmini non avesse già, meglio che
* Renan, Averrhoé» et VAverr.^ pag. 42.
* Ravaisson, op. cit., toro. IT, p. 296 e segg.
* Il Bonghi parlando della metafisica d'Aristotele osserva, c^ tutti
qtianti % »Ì9temi fino a Carteno ei »% »ono tpecehiati dentro^ e ci hanno
jwù o meno riconoeciuto il proprio vieo, (Lett. al Rosm., Trad. della Me-
taf., p. Vili). Il Nourisson dice fino a Leibnitz. {Tabi, de» progrU, ec.,
2* ediz, 1S59 nella Condu$,) Perchè non dire fino ad Hegel addirittura?
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284 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
ogn' altri, posto in sodo con maniera davvero magistrale
r esistenza nello Stagirita de' due primi indirizzi. Ma
una prova più chiara potrebbe averla chi guardasse
al modo con che sonosi venute svolgendo e diramando
e poi intricando e vie più ravviluppando fra loro le va-
rie scuole aristoteUche non solo per tutte quelle dieci
età che il nostro Patrizi distingue nella storia degli
esegeti aristotelici, ma eziandio per tutto il periodo
che corre dall' epoca del Rinascimento fino agli ultimi
critici tedeschi hegeUani e non hegeliani, Michelet,
Franti, Zeller, Trendelenburg. Da Teofrasto, per esera-
pio, a Stratone di Lampsaco incomincia a prevalere
di già r indirizzo naturale, pigliando forma sempre più
empirica di guisa che si potrebbe dire non v'essere
stacco assoluto fra questo indirizzo aristotehco, e quelle
scuole che vi tenner dietro, segnatamente l'Epicurea
e la Stoica.* 11 Nominalismo del medioevo che il Ro-
smini più acconciamente appellerebbe Bealisfno ari-
stotelico, nonché il naturalismo d'alcuni peripatetici
del secolo XV e XVI, ci palesano anch' essi l' indirizzo
empirico. ' I Positivisti, finalmente, credono anch' essi
oggidì potersi agganciare allo Stagirita, ne in verità
avrebbero gran torto se troppo facilmente non dimen-
ticassero come accanto all'Aristotele positivista ci sia
un Aristotele filosofo anzi metafisico propriamente detto.
D'altra parte, il Neoplatonismo e più l'interminabile
serie dei commentatori arabi o arabeggianti che smar-
rivansi in quella grossolana forma di panteismo ])sico-
logico annidatasi nella dottrina dell'intelletto agente
così balordamente interpretata in Aristotele, non ci
palesano schiettissimo l'indirizzo iperpsicologico?
Fra questi estremi quanto evidente nella storia al-
* Ravaisson. Op. cit.» tom. II, p.* 4", lìb. 1, e. 1.
• RosMiivi, ArUu eiip. ed etam.y Introd. pagf. 46. — Roussblot, Étud^
tvr la Phil. dan» le moì/en àgef l» p.*, pa«r. 80. — Saint-RinÌ Taillak>
DntB» Seot Erigene et la Phil, Seolwtt., p. 101. - CousiN, Fragni, de PkiU
du fnoyen Age, p. 72.
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OAP. TV.] PLATONISMO E ABISTOTBLISHO. 285
trettanto necessaria in teoria è la posizione mediana.
Ella si studia porre nn accordo fra l'esigenza fondamen-
tale del Platonismo, e quella dell' Aristotelismo; fra l'uni-
Tersale in sé, e Y universale anche nel mondo. Se non
che è facile vedere come questa posizione abbia a ren-
dere immagine, diremmo quasi, del ferro magnetico il
quale senza posa oscilla fra mezzo al polo positivo e
al polo negativo. Tale davvero è l' indirizzo medio, un
ferro magnetico : per cui non è impresa agevole stabi-
lire, per esempio, se certi realisti e certi nominalisti
dell' evo medio, de' quali il Rosmini con l' usata pazien-
tissima industria andò scovando più e diverse famiglie,
sLin da dichiararsi aristotelici meglio che platonici.*
L' indirizzo medio nelle dottrine filosofiche, massime
parlando di Platonismo e d' Aristotelismo avvisati nel
loro svolgimento istorico, spicca per questo contrassegno:
d' esser la molla maestra, per così dire, del progresso
nello sviluppo del pensiero speculativo. Or s'egli è
tale, non debb' esser rappresentato da que' filosofi che
* Pretendono alcuni storici ctie il Nominalismo non dlfForìsca punto
dal Concettualismo (per es. il Cocsin, (Euvres cT Abelardo Introd., p. XCVI
in ciò confutato meritamente dal Rosmini, Atìm, ec. p. 22.) Meno a?7en-
tato degli altri il Roverotano si contenta designare il secondo com* una
gpecie del primo. E sia pure. Ma se fra Tun sistema e T altro non fosse
alcun diyario, dovremmo porre in un fascio, non diciamo con quanta ve-
rità, i nomi di Roscellino, di Guglielmo di Champeaux e d'Abelardo?
Per noi la differenza delle tre direzioni filosofiche medievali è precisa-
mente quella che esiste fra le tre posizioni dell' universale rispetto alle
cose : ante rem, in re, poH rem. Non dico già che tra Nominalismo e Con-
cettualismo corra quel medesimo divario che pur troppo intercede fra essi
presi insieme, e quella specie di Realismo per cui si distingue, 'per es.,
Anselmo d* Aosta. Ma la differenza è pur evidente, essendoci differenza,
parmi, tra V ammettere e 'I negare Vunivenalenel concetto. Checche se ne
dica, la scuola di Roscellino è nominale pura. Quella di Guglielmo di
Champeaux è schiettamente realista. Ma un barlume di vero progresso
nella scolastica traluce nel Concettualismo. Esso ci rappresenta, almeno
compera possibile in quell'età e in quelle condizioni della scienza, l'in-
dirizzo aristotelico medio. Il Concettualismo è tanto superiore al Nomi-
nalismo, quanto Io spirito all'esperienza, -le idee ai fatti, il senso al
pensiero. Il Rimuaat e il Nouritaon han saputo rilevare a meraviglia i
meriti di questo indirizzo nel periodo scolastico. (Abìlakd, Tom. 1,40,
II, 24. — Tahleaux de» progrì», ed. cit. p. 257.)
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286 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. H.
la critica non radamente finisce per battezzare con titoli
diversi e disparati e talvolta anche opposti, non altri-
menti che gli zoologisti adoperano riguardo a certe
specie zoologiche le quali, in via di formazione spe-
cifica, non possiedon per anche caratteri netti, spiccati
e ben determinati? Tal si è agli occhi nostri, per dire
un esempio, Alessandro Afrodisio; il quale, tuttoché
meritasse titolo di secondo Aristotele, ninno però vorrà
dichiarare schietto aristotelico. S'egli infatti, combatte
la dottrina atomistica degli Epicurei nonché quella
delle forme seminali degli Stoici, é questa una buona
ragione perché non sia detto seguace dell' indirizzo ari-
stotelico empirico. E, inoltre, se contro Avveroé piglia
a corregger la dottrina dell' intelletto possibile, ciò di-
mostra com' ei non sia nuli' afiatto un iperpsicologista,
e per la stessa ragione non é a confondersi co' puri
platonici. Che se, finalmente, opponendosi allo stesso
Aristotele procaccia dimostrare come la specie anziché
nell'individuo sia nel pensiero, con ciò si manifesta chia-
ramente seguace dell'indirizzo mediano. L' Afrodisio
dunque, se potessi designarlo così, sarebbe il concet-
tualista per eccellenza fra gli esegeti ellenici, e quindi
potrebbe rappresentarci l'antecedente ideale del Con-
cettualismo mediqevale. Egli per primo nella storia del-
l' Aristotelismo ci esprime il bisogno d' accordare le due
opposte direzioni aristoteliche, restando egli stesso ari-
stotelico, e però non arabo, né sensista. — Si potrebbe
facilmente dimostrare, se qui fosse luogo, che il mede-
simo indirizzo ci esprime e la medesima funzione eser-
cita san Tommaso nel medioevo; talché nell'età me-
dioevale il D' Aquino rappresenta ciò che l' Afrodisio
fra' primi commentatori greci.*
* Parlando di sau Tommaso il Bonghi dice: Quello che m'ha fatto
molto maravigliare, e di cui non mi $on reso cofUo pienamentef ^ come
•' accordi in tanti luoghi coW A/roditeo^ tema perft citarlo mai, ìé accordo
^ tale che non pud ewer casuale. (Op. cìt. LeU. al Rosm.« p. XUI.) È vero,
san Tommaso non conoscerà che di nome rAfrodisio. Lo conosceva per
mezzo d*A7erroé; eppure tanto spesso trovasi d'accordo con lui neir in-
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CAP. ivj PLÀTONfSMO B ARISTOTELISMO. 287
Altri esempi più spiccati potremmo averli nel Ri-
nascimento; esempi di filosofì che a tutta prima non
paiono stare né di qua ne di là. Tali per noi sono, a
dime questi, il Porzio, lo Zabarella, il Lagalla, il Castel-
lani; e non esiteremmo annoverarvi anche il Sessano,
come quegli che finì per combatter l'Averroismo e
dar molto da pensare a' seguaci dell' indirizzo empirico
fra' quali in cima a tutti siede il Pomponazzi * Che se il
Patrizzi e più il Ficino, fra gli altri, si palesano schietti
neoplatonici, cotesto lor platonismo non va certamente
confuso con l'Arabismo. Anche noi crediamo che certi
Platonici e certi Peripatetici arabeggino la lor parte,
e tanto s'assomiglino fra loro quanto due gocciole
d'acqua. Ma perchè pretendere porli in un mazzo?
La lor mente muove da sorgive diverse; così che, in-
terpretando a lor modo Aristotele e Platone, gli uni
spesso vaporano, come s' è detto, in una forma confusa
di panteismo psicologico, in mentre che gli altri svo-
lazzano sì da restare immersi e balordicci in mezzo
agli splendori d' un misticismo il quale se non è pan-
teismo poco ci corre. Arabismo quindi non è Plato-
nismo; 0, se si vuole, è i) fiacco, è il grossolano Plato-
nismo venuto fuori, come to^tommo, attraverso la critica
male interpretata d' Aristotele contro il suo maestro.
Se dunque la storia dell'Aristotelismo è lì pronta a
mostrarci incarnate nelle sue scuole tre diverse tendenze,
ciò vorrà dire più cose. Vuol dire che queste tre tendenze
debbono esistere, ma esistere come in germe nelle dot-
trine e nella mente stessa del Caposcuola. Vuol dire
terpretare il JUo$ofo, che davvero tale consenso non può esser ccituale.
Quale n' è, dunque, la ragione ? Il Bonghi non ne avrebbe fatto le mera-
viglie se avesse pensato eh* eran tutt' e due nel medesimo indirizzo, nel-
r indirizzo aristotelico mediOf per quante possano esser le differenze.
* Molti filosofi italiani, che d'ordinario sono mossi iu fascio col Pom-
ponazzi 0 con gli schietti averroisti ovvero co' puri platonici (come
appunto il Nife) a noi paion seguaci più o mono spiccati dell'indirizzo
medio, quando siano interpretati con benignità di giudizio, e senza le
traveggole d'una critica sistematica.
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288 DELLA DOTTRINA FILOSOPICA. [lIB. IL
ch'elle hann'a distinguersi e sdoppiarsi e correre il palio
del processo istorico. E vuol dire, perciò, che a questo
ior successivo distinguersi ha da presiedere una legge
di progresso che per passi lenti, ma sicuri, valga a ri-
condurre r analisi alla verità della sua sintesi primi-
tiva. Aristotelismo e Platonismo, ripetiamolo, non sono
a dir proprio due filosofie ; né sono due serie di filosofi
gli Aristotelici veri ed i veri Platonici.* Sono ben» due
filosofie que' due commenti così opposti fra loro e con-
trari, che, fondandosi in un concetto b empiricamente
naturale o esageratamente iperpsicologico del pensièro,
vennero fabbricandosi col succedersi de' secoli, con l'in-
calzarsi de' filosofi, e con 1' avvicendarsi delle scuole.
Non seguiremo perciò, a questo proposito, la sentenza
del Buhle, del Bitter, del Renan tb d' altri storici che
altro divario non sanno scorgere, fra' peripatetici del
Rinascimento, se non quello eh' è possibile riconoscere
fra' commentatori d' un medesimo caposcuola. Come
confonder l'Achillini col Porzio? e il Porzio col Nifo?
e il Nifo con lo Zabarella e col (3ontarini? e tutti
questi con lo Zimara e con altri di simil tenore?
Il criterio innanzi stabilito ci può far comprendere
perchè mai tutti quelli che han sempre sospirato un
accordo fra l' uno e l' altro sistema, risentano piii del-
l' indirizzo platonico anziché dell' aristotelico ; e perchè
accanto a Bessarione, al Mirandolano, al citato Gonta-
rini, al Mazzoni, e a tutti gli altri che credono toccar
col dito il vagheggiato accordo, non manchino i Donato,
i Folieta. i Buratella che reputino pazzia cosiflFatto
accordo. I primi ci dimostrandoci fatto che nell'Ari-
* Una prora estrinseca che fra il Platonismo e 1* Aristotelismo pri-
mitivi non V* è, masdme in certi ponti di metafisica, divario sostan-
ziale, potrebb* esser tolta dalla maniera ond' Aristotele conduce la crìtica
inverso alla fllosofia del sno maestro. Lo Scbleiermacher Tha chiamata
critica da maestro di scuola: e, per alcuni rispetti, non a torto. Lo Zeller
infatti ha mostrato ad evidenza come il discepolo stiracchi non di rado
il maestro per meglio abbatterlo. — Ved. Op. cìt. trad. dal Bonghi spe-
cialmente nel Cap. iV.
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OAP. IV.] PLATONISMO E ARISTOTELTSMO. 289
stotelismo c'è il Platonismo, e però l'indirizzo medio;
i secondi poi che nello Stagirita ci ha i germi delle altre
opposte e contrarie direzioni. Un accordo è possibile ;
ma non fatto a maniera ^meccanica e per sovrappo-
sizione, come si pensano certi viventi neoplatonici col
trasferire all'un filosofo ciò che si crede faccia difetto
all' altro, e dando per esempio ad Aristotele l' idea pla-
tonica, e a Platone il concetto della Juva^c? o della
ytvevii aristotelica. Il discepolo ha pur egli la sua idea,
cgme al maestro non manca la virtù del fatto e il valore
dell'esperienza. L'accordo quindi è opera della storia;
ed è r opera travagliosa della critica rintegratrice.
La quale, rotondando le sporgenze e ammorbidendo le
angolosità che pur troppo si lasciano scorger ne' due
filosofi, li modifica, li rimpasta, li trasfonde 1' uno nel-
r altro e li trasfigura siffattamente che ci scompaian
dagli occhi Aristotele e Platone, senza che perciò abbia
a scomparire ed estinguersi quell'eterna e vivace esi-
genza cui levossi il pensiero indoeuropeo fin da' primi
momenti della sua riflessione speculativa e metafisica.
Ripetiamolo anche qui. Il risultamento finale del-
l'Aristotelismo e del Platonismo non è già il trionfo
dell'uno su l'altro, od al contrario. È il trionfo d'en-
trambi, per una ragione altrove rammentata a proposito
delle due moderne filosofie. E que' critici che tanto
sudano e s' arrovellano a mettere in trono vuoi un
Aristotele passato attraverso i lambicchi d'una critica
infedele ed eunuca, vuoi un Platone rimpannucciato
co' cenci d'un troppo vieto tradizionalismo, negano,
senz' addarsene, la storia. Negano la storia, perchè
disconoscono gran parte del lavoro storico già com-
piutosi per opera degli esegeti ellenici, arabi, alessan-
drini, latini, italiani del Risorgimento.'
* Reca marayiglia davvero il pensare come in questa maniera di critica
incappino perfino, parlando d'Aristotele^ gli hegeliani più assennati quando
affermano, per esempio, che aìVidea topra le cose di PlaUme AnstoteU
SOSTITUÌ Videa delle coae^ o la forma. Basterebbe già la parola 909Htu\ a far
cangiare ftsonomia, non pure airAristotelismo e al Platonismo, ma a tutta
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29() DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. IL
Premesse queste considerazioni generali, veniamo
alla quistione psicologica. U problema psicologico al
quale si connette ogn' altro, è quello che risguarda la
relazione fra V anima e '1 corpo. Se cotesta relazione
interviene fra mosso e movente, per usare l' antico lin-
guaggio, s'ha l'indirizzo platonico; il quale j>wò trovar
riscontro con la posizione iperpsicologica della esegesi
de' commentatori averroisti. Se è relazione di potenza e
Aleuto, pigliando l' atto come determinazione o semplice
la storia della scienza. B tal si è infatti il linguaggio tenuto nella ìot
critica da Hegel, dal Michelet, dal Franti, dallo Zeller, ne' quali attingono
ispirazione i nostri hegeliani. Ma dicendo che Aristotele sostituì oc, non
sembra che lo Stagìrita abbia inteso di negare addirittura V idea plato-
nica? Giacché a poter sostituire bisogna innanzi negare; e per mettere
qualcosa, è d^uopo averne levato qualche altra. Ora il vero si è che Ari-
stotele, oltre la specie come predicabile, il che costituisce proprio la
novità sua di rimpetto a Platone, riconosce altresì la specie separata^ la
specie in sé, là forma in sé, spoglia di materia. La qual forma in sé
(s Zi poi aurvj x^-^' aur^fv vj uo^^tj) è altrettanto chiara in Aristo-
tele,'quanto la forma mista alla materia (ùtgjùti^jvvj (uterà rrì; vItiq). lì
divario fra* due ftlosoft perciò non risguarda la prima, vo* dir la specie
per eccellenza, ma si la seconda, cioè la cosa contenente la specie. Di che
si vede come per lo Stagirita, oltre l'insieme de' due elementi (to au voXov)
ci sia ben altro ancora. Al di là del to' slSoz sv fn uXv), infatti, vi
ha l'essere, vi ha la ragion delle cose, tÒ tìSo;, (Ved. Metaph. X, 2). In-
tanto, che cosa ti fanno i critici hegeliani ? Essi pigliano quel che loro
toma comodo. Pigliano il to' oùvoXov, e il resto considerano come un caput
mortnumj o sentenziano: Ècco qua il vero Aristotele! Che sia l'Aristotele
del loro cervello, è chiaro, né vi cape ombra di dubbio. Che sia l'Ari-
stotele che ci porge la storia, lo neghiamo risolutamente; né ci man-
cherebbe modo a darne dimostrazione, se questo fosse il luogo. Si dirà
che quel caput mortuum sia come il Deus ex machina dì Cartesio? una
contraddizione? Innanzi tutto potrebbe stare ch'ella non fosse tale: e tale
infatti non la reputarono i nostri vecchi critici del Rinascimento, né
tale è creduta oggi da' massimi e più severi interpreti moderni, qual è
Trendelenburg in Germania, Rosmini in Italia, Ravaisson e B. Saint-
Hilaire in Francia. Checché ne sia, la critica seria e feconda starebbe
appunto nel levar di mezzo la contraddizione, ma senza negare nò ra-
diare in Aristotele l'esigenza platonica; se no, risicheremo d'incespicare
nel solito scoglio, quello cioè di far la storia zoppicando, e far cammi-
nare la macchina con una sola ruota. Nessuno de' quattro critici poco
fa rammentati, fra' moderni, e neanche fra gli antichi il nostro Simone
Porzio per esempio, avrebbero detto, né dicono, sostituì. Avrebbero dette
aggiunse, a/mpìè, eon-ewT, iiirern, t' simili.
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CAP. IV.] PLATONISMO E ARISTOTELISMO. 291
modificazione della potenza, avrai la posizione empirica
dell'Aristotelismo, il cui rappresentante più logico, più
originale nell' età del risorgimento dicemmo essere il
Pomponaccio. Se cotest' attinenza, per ultimo, è quella di
forma e di matefia, ma intesa in maniera che la prima
tuttoché rampolli dalla seconda non però sia come assor-
bita da questa e ne dipenda in modo assoluto, ma anzi la
superi, la informi di sé e basti ad alimentarsi di sé me-
desima; in tal caso avremo una terza posizione, la cui esi-
genza é pur manifesta in Aristotele, e nella quale pone
radice la soluzione più acconcia del problema psicologico.
L' indirizzo iperpsicólogico, nome che d' ordinario
scambiasi con l'altro di platonico, ha natura dedut-
tiva, e costituisce il metodo degli spiritualisti di tutt' i
tempi : nelle cui mani la psicologia assorbe siifattamente
la fisiologia, da ridurla alle umili condizioni di sem-
.plice appendice della prima. L'indirizzo aristotelico
empirico ha natura puramente induttiva; ed é il me-
todo de'mateiialisti d'ogni età, nonché di certi moderni
biologisti e positivisti, agli occhi de' quali la scienza
dell' anima é com' un' ultima pagina, una modesta ap-
pendice della fisiologia, ovvero una specie d'enume-
razione, come direbbe Hegel, di ciò che é l'anima, di
ciò che in lei avviene, di ciò eh' ella opera. * L' indi-
rizzo medio, finalmente, facendo giusta parte e ragione
tanto alla psicologia quant' alla fisiologia, interpreta il
rapporto fra la potenza e l' atto col sussidio del me-
todo genetico ; e così giugno a salvare ad un' ora me-
desima i diritti dello spirito e quelli della materia.
A siffatto risultamento ci mena la critica e la sto-
ria delle differenti soluzioni date a quest' arduo pro-
blema. Rifacciamoci brevemente dal Platonismo.
Il concetto psicologico del gran figliuolo d' Aristone,
se é parso profondo a molti in quanto che mira, come
direbbe il Cousin, a congiugner la natura intelligibile
* Phil, de VEnprit, trad. del Vera, T. 1, 1868, p. 72.
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292 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [UB. n.
con la materiale maritando due mondi opposti nell'anima
razionale e sensitiva,* pur nullameno e' riesce manche-
volissimo chi pensi come anima e corpo al filosofo di
Atene s' affacciassero dislegati, scissi, e solamente ap-
paiati così fra loro com' il nocchiero col suo naviglio.*
Nessun vincolo secreto, adunque, nessun nodo, né om-
bra di processo nelle funzioni psicologiche pel padre del
Platonismo.' Di qua proviene che per lui la mente, vi-
vendo d' una vita superiore, non abbisogna, a dir pro-
prio, di pareli^; il pensiero essendo già per sé stesso
un discorso con sé medesimo : Sto^UyaSat^ Perciò stesso
una divisione razionale e organica degli atti psicologici
teoretici nella dottrina platonica è impossibile : ' laonde
quant' all' essenza propria e specificante l' anima, piut-
tosto che generarsi, si compone; o, come osserva accon-
ciamente un acuto scrittore, si raccozza, non si esplica.®
Il concetto psicologico dunque del primitivo Plato-
nismo é tanto incompiuto, quanto incompiuto si palesa
quello della sua cosmologia, nonché l' altro delle rela-
zioni fra il mondo e gli etemi paradigmi.
Il processo psicologico é assai meglio determinato
neir Aristotelismo. Ed é tale in grazia della dottrina
dell'entelechia,^ e della relazione fra la materia e la
*■ L' anima uriiana è formata alla stessa maniera dell* anima del
mondo. {Tim., trad. Coubin, voi. 12, p. 120 e specialmente 123 e segrg.)
È qualcosa d' intermedio fra il mondo sensibile e V idea. (Zeller, Eapo-
»tx. arìatotelica della jUoBofia platonica.^ p. 304.)
* Di qui la celebre definizione dell* uomo alla quale han fatto e fauno
buon viso tutti gli spiritualisti: Avro^f tu toO» (Tw^aro; OLpy^ov
(àjÀo'koyTntTafisv «vO^owttov govai etc. Ved. nel Primo Alcib.f 51.
• Chaigkbt, De la Paycologie de Platon^ Paris, 1862, p. 232 e segg.
* Ved. nel Soph,, trad. del Cousin, Tom. XI, p. 230.
' La classazione accennata nella Repub. (Lib. IV e IX) si riferisce
agli atti morali; e lo stesso può dirsi dell'altra simboleggiata nel mito
poetico del Fedro. Solo nel Teeteto havvi un principio di divisione teo-
retica delle funzioni psicologiche, ma anche questa manchevole.
• BONQHI, Storia del concetto deWAnipia neUe varie scuole antiche e
del medio-evot pag. 288, nei Saggi di FU, Civile^ Genova 1852.
■' Arist., 2)« i4»., II, e. I, § VI: W\j'/ri sanv «vtc>«x*** **^/'**'''*'
arà^y.roc yuTtprou Sovy.jjLH Zwvj'v j^^ovto?.
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GAP. IV.] PLATONISMO E ABI8T0TELTSM0. 293
forma. Tale anche dove si rifletta al valore che Aristotele
porge al senso come rappresentazione com' elemento
essenziale del pensiero,* nonché all'ufficio eh' egli attri-
buisce all'immaginazione (>3stxaT«a) come facoltà me-
diana fra senso e ragione;* anticipando così la dottrina
su la relazione che il Kant stabilì fra questa facoltà
e le altre due estreme funzioni dello spirito. Con que-
ste idee fondamentali, checche ne dicano coloro che col
B. Saint-Hilaire non rifiniscono d'incelare la psicologia
platonica," Aristotele creò la psicologia come scienza
indipendente dalla biologìa, gettando insieme le basi
della zoopsicologia che, nelle mani segnatamente del
Darwin e dell' Agassiz, oggi comincia ad assumere di-
gnità e significato razionale. Ecco dunque uno degli
esplicamenti , una delle correzioni dell'Aristotelismo
verso il Platonismo neU' àmbito delle ricerche psicolo-
giche. Nel Timeo Platone riguarda l'animo qual moto
originario e spontaneo fàuToxtv»Toc); Aristotele, meglio
avvisandosi, estende siffattamente cotal virtii da riferirla
altresì all' animale.^ E questo, senza dubbio, fu un passo
gigantesco.
Ma se nel filosofo di Stagira vi ha passi cCoro ad
ogni pie sospinto, non per questo vi manca la scòria.
La sua psicologia, come quella del suo maestro, è man-
chevole ; ed è manchevole, perchè riesce tale altresì la
costituzione della sua cosmologia. Il sistema dell'uni-
verso per lui è quasi una catena di cui gli anelli prin-
cipali ' rappresentati dalla forma e dalla materia, dalla
potenza e dall'atto (5uvx/:xtc ed ivtpyéia), si ripetono,
s' ingradano e moltiplicano viepiù col distendersi di essa.
* Akist., Ve An.f lib. I, cai). L ^
* Idem. Ta y.iv ovv e*trìvì rò vokjtcxov «v toìc (por.vróÌ9fia9t voti.
De An., III.
* B. SAnrr-HiLAiRK, Tmité de VAme^ Introd.
* Abist., Melaph. X.
* Intendiamo accennare a* due princìpii intemi che per Aristotele
costituiscon r essere e sono anzi Tessere; a differenza degli altri 4no
ntemi che ne costituiscono i Jimiti. (Meutph.f II, 5, 7*%*., II )
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204 DELIBA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
È una scala in cui per moto continuo, dallo stato di
sonno e di stupore, la potenza s'aderge al più alto
grado dell'attività pura.* In cotesta relazione trovasi
precisamente la materia corporea di fronte agli esseri
vegetabili e sensitivi ; il vegetabile e '1 sensitivo rimpetto
all'essere intellettivo; e T intellettivo inverso agi' intel-
ligibili.' Ma in che risied'egli cotal passaggio? Tutto
ciò che agisce non può non essere un ente in atto, cioè
la specie che operando sopra un ente potenziale vien
così traendolo dal nulla.' La forma dunque che ger-
moglia dalla materia è davvero il passo d^oro nella
cosmologia aristotelica; come il passaggio empirico e
al tutto materiale e puramente generativo dall' uno
all' altro, n' è la parte inaccettabile ed erronea. La
potenza non movesi da sé per intima energia, ma
solo in virtii del movente, della forma. Il potenziale,
in una parola, non giugne all'attualità, salvo che per
mozione d'un attuale.* Or com'è possibile che la po-
tènza riesca anteriore all'atto, se in realtà è sempre un
atto quello che ha da movere il termine correlativo ?
Che se l'atto è antecedente alla potenza e la precede
altresì di tempo ; ^ non è egli chiaro che cotesta po-
tenza abbia a riescire affatto vuota e sterile e infeconda,
posto eh' ella abbisogni sempre d' un atto che la tragga
ad atto?
• Ma c'è di più. Se l'originalità d'Aristotele risiede
neir aver visto l' elemento formale intrhisecarsi col ma-
teriale ; e la forma in quanto reale costituire perciò la
sostanza (ouVJa); e questa esser non altro che processo.
V? fuo-c;, wTTff rin trvvtyjia XavOoévscv to' TtsBóptov aur&ìv xat
tÒ ^ttjoy wOTi/Owv ««TTt'v. Hi»U Anim.f Vili.
* Arist., Metaph. Ili, 8.
* Idem, De Oenerat. Aninu, II, 1.
* "O ffTTÌv VI xcv)}(7(; «V Tw xtv>jTw, Stj'koy' i'»Ts\éyr^si<x, yoip eVre
TOUTOÙ uttÒ toù xcvy}tcxoù, xat vi Toù xcvvjTcxou évépytta. ovk
y.Xkvì è Tri. Metaph,, XI.
» Idem. Metaph. Vili, 8.
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GAP. IV.] PLATONISMO K ARISTOTELISMO. 295
atto immanente nelle cose (viv??*?) donde poi emerge
il doppio aspetto o doppia determinazione dell'indi-
viduo (7eveT^at aa>wc, 7ivj(T5a£ rt): la parte fiacca di
sua dottrina, invece sta nell'aver posto, com'ho toccato,
medesimezza di natura, fra le due supreme determina-
zioni degli enti nell'ordine delle sensate realtà, onde poi
accade che rimanga difettosa tutta la cosmologia. La
potenza avvisata in sé medesima è Sivafii^, In quanto
fluisce verso l'atto è tvspysia. In quant'è atto, stato,
riposo, stasi, è 5VT«>ex«ta. In quanto poi transigi ad
atto novello ripiglia valore d' Bvspyùv., e così di seguito.
Il moto (KlvYiTit:), il conato^ come direbbe il Leiljnitz,
il conato 0 lo sforzo, come direbbe il Vico, costituisce
l'essenza di tutti questi tennini diversi; in lui s'in-
centrano potenza ed atto;* il perchè formando fra loro
continuità, compongono un sol ente capace di passare
attraverso stati o momenti in sé stessi diversi per in-
trinseca eccellenza. La produzione si fa sempre nella
medesima specie, ed all' univoco. *
Or se cotest' appunto è la natura del passaggio,
non è egli chiaro che le cose devan liescire identiche
nella sostanza? Non é chiaro che, ov' elle progrediscano,
cotesto lor progresso altro non sarà che trasformazione,
ninno potendo affermare che trasformarsi vai progre-
dire ? E s' é così, a qual fine e con che ragioni mover
critica al maestro, nella cui dottrina il mondo non è
che parvenza, fenomeno, ombra vaniente e passeggera?
Nella dottrina cosmologica aristotelica, dunque, il prò-
cessus è al tutto apparente. Apparente e fallace la spon-
taneità e r intrinseca attuosità delle forze. Né san Tom-
maso ebbe torto d' affermare, contro gli arabeggianti
dell'età sua i quali così appunto interpretavano Aristo-
tele, che una forma sostanziale novella mai non appare,
* "iÌTxs \sins70n TO 'key^Biv slvxc xat ivépystav xat fivj
9* ecyae, Metaph,, XI.
* Mrtaph. XI, 3.
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296 DELLA DOTTRINA FILOSOFrCA. [lIB. II.
ove la vecchia non isparisca; e che la generazione,
concepita qual moto continuo e come incessabile tras-
formazione d' un subbietto identico, renda le forme no-
velle affatto accessorie e accidentali.' Se quindi il genie
possente d'Aristotele seppe scorgere e dimostrare una
delle grandi leggi della realtà, vo' dir la continuità tra
forma e materia (tò (ruv-^sf), la relazione intima fra la
^uvaj^xì; e r £VTf>èX5*«» ^ P^rò il profoudo concetto della
£V5/>7sia; non però giunse a vedere quell'altra condi-
zione, non meno imprescindibile della prima, la quale
seguendo una vecchia frase pitagorica potremmo ap-
pellar legge ddV intervallo {StitTTviiia),
I medesimi pregi e le stesse manchevolezze nella
sua psicologia. L' uomo è tu vo>ov : dunque è materia e
forma ad un'ora medesima. L'anima intellettiva, quindi,
è atto. E la potenza di quest'atto? È il senso.... La-
sciando le induzioni favorevoli che si potrebbero fare
circa tal dottrina d'Aristotele interpretando il concetto
del senso ch'ei chiama generale, si potrebbe domandare:
in che sta la relazione, e qual' è mai la natura del pas-
saggio fra' due -termini? Se ci è continuità, in che ma-
niera il senso può diventar ragione, l'esteso inesteso,
la materia pensiero? Se poi non v'.è continuità (né ci
può essere una volta eh' ei medesimo invoca la mente
dal di fuora^), com' è che alla fin fine si ritrovan, por
cosi dire, sovrapposte le tre anime che sono anch' elle
forma e materia, atto e potenza? — Trendelenburg e
Rosmini, fra gli altri, han messo a nudo, com' è noto
• Summay Pars I, LXXXVI, iv, e — fe bene arvertire come gli sto-
riografi hegeliani, imbattendosi in questa dottrina Aristotelica, credano
scoprir le Indie e vi s'aggancino tenacemente, senz'addarsene ch'ei s'ag-
ganciano, anziché al vero e genuino Aristotele, ad nn tronco arabo ! E' non
s'accorgono come già da sette secoli siano stati mlnerati da quel mo-
desto fraticello che, primo e meglio d' ogn' altri, mise a nudo le maga-
gne dell' Averroismo ove dimostra Averroè peripatetiofn philotopJUm de-
pravatore Ved. Opusc. Contra AverroytUy specialmente a pag. 225 o segg. ;
e nella Sommay q. LXXIX.
* Aribt., Or Gerterot, Anim., II, 3.
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OAP. IV.] PLATONISMO E ARISTOTELISMO. 297
questo sconcio aristotelico. L' un d' essi non capisce in
che maniera lo Stagirita interrompesse la serie pre-
clara, e però si studia correggerlo facendo che la mente
in potenza (tw Travra 7£vs<j5a) pulluli tutta dalle sotto-
poste facoltà sensate.* L' altro poi, non meno accorta-
mente del primo, reputa impossibile cotesta scaturi-
gine, attesoché il disprigionarsi dell' intelligenza dal
puro senso e dalla potenza, così com'è intesa dal padre
della Storia Naturale, terrebbe propriamente del mira-
coloso.* Anche qui, dunque, bisognerà dir che Aristo-
tele non riesce a vedere in che mai risegga l'intimità
del processo. Laonde se l' attività della natura per lui
pone radice nella specie come forma reale, e quella
dell'anima razionale risiede nella specie come idea o
mezzo del conoscere (nel che sta proprio l'originalità
psicologica aristotelica)^non perciò vennegli fatto d' im-
primer compattezza ed omogeneità in quella tela del
suo maestro che a lui pareva scucita e fatta a bran-
delli, 0, com' egli usa dire, composta d'episodi a mo' di
una cattiva tragedia.' Non chiarì acconciamente, in-
somma, come nell'ordin de' fatti la potenza non pur
vada innanzi all' atto e sia l' atto medesimo posto come
potenza, non altrimenti che la potenza è l'atto me-
desimo non per anche salito a questo valore; ma, piii
ancora, che la potenza abbia tale e cotanta efficacia,
che, posta una volta, per tutta sua propria virtii debba
transitare all'atto senza l'intervento d'altro subbietto
che sia atto. Se cosi non fosse, che cosa ne seguirebbe?
Questo, di sicuro: che la potenza non sarebbe altri-
menti potenza, ma impotenza.*
* Trkndelenburq, Ar%9t, in III, 5, De Anim.f 2.
* Rosmini, Àrvft. esp. ed emm. L. III, Gap. XVII.
' Oux ioty.in <y Yi (fvmq ènnvoSiM^Tni oJca ex t«wv ^atyof/E'v&iv
wTTTsp fjLO^Qripd T/9«7w5«a. Metaph.^ XIV.
^ Ci sia qui permessa un'osservazione su la quale ci rifaremo pid
riposatamente in altra occasione. Alcuni fra i più acuti filosofi aristote-
lici del Rinascimento, in ispecie quelli cfie non avevano interesse a ti<
rar lo Staijirlta A'orso il Platonismo come certi commentatori neoplatonici
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298 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
Poiché dunque lo Stagirita non imbroccò giusto,
e sott' ogni riguardo, nel concetto cosmologico della so-
stanza, vo' dire nel processo genetico dell' individuo ;
non poteva neanche coglier netto il processo psicolo-
gico della conoscenza, ne tampoco l'altro che dicemmo
istorico e sociologico. Laonde possiamo concludere che
il gran maestro d'Alessandro, quant'al problema psico-
logico, legò soprattutto alla nostra eredità una doppia
esigenza: V il concetto del metodo ch'egli, svolgendolo
e compiendolo, trasse da Socrate ; 2*" il concetto dell' in-
tima attività della natura in generale.* Col che, come
vedremo, Aristotele meglio che Platone sarebbe l' ante-
cedente ideale più legittimo del Vico.
Ma, lasciando de' due massimi filosofi di Grecia, ho
detto che avrebbe tirato le somme linee d' un compiuto
disegno storico della psicologia chi pigliasse a fecondare
e svolgere que' germi psicologici che a larga mano tro-
viamo sparsi ne' due massimi filosofi del mondo cri-
stiano, Agostino e Tommaso. Il padre de' padri sta cosi
al dottore de' dottori della Chiesa, come il filosofo di
Atene a quello di Stagira; con la giunta delle neices-
sità cui spignevali '1 domma cristiano. Se infatti può
0 tanto meno poi trarlo allo schietto materialismo, come non dubitavano
fare alcuni della scuola Bolo^ese e Padovana, ma si studiavano bensì
d* intenderlo benignamente e correggerlo alla guisa che per più riguardi
s'è studiato di fare il Rosmini; costoro, dico, s'accorsero dove per av-
ventura appiattavasi il tarlo che magagnava la dottrina psicologica del
vecchio maestro, o dissero V anima intellettiva esser atto bensì della
sensitiva, ma, più che atto, lo appellarono actw in actu: t6Ss d' un tó^j,
direbbe lo stesso Aristotile. Dissero l'anima intellettiva forma; forma
sostanziale uscente dalla sensitiva, identica a questa i ma insieme dì-
versa, e però autonoma e indipendente. Col che, mi pare, avrebbero at-
tinto il vero concetto della genesi psicologica, ove alla generazione ari-
stotelica avesser sostituito un'altra legge superiore alla prima, della quale
parleremo appresso. So che ad altri parrà indovinello questo actwi in actu :
ma allora non sarà meno indovinello la suddetta frase del medesimo Ari-
stotele, e r altra petuiero de\ pernierò; quella dolio Schelling e di Platone,
idea deW idea; quella di Hegel, /omia ddla forma; quella di Fichte, fo
delV Io; quella del Gioberti e del Cusano, moto del motOf e via discorrendo.
* KARTUt*, De la Pittfcoìntfie dWrittt,, p. 11*2. — C. Wa Din VGTOS, P*y-
co/. d'^Arint. Conclus.
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GAP. IV.j PLATONISMO K ARISTOTELISMO. 299
direi, come s' è mostrato, che i due filosofi greci furon
primi a chiarire, da una parte, la necessità di due op-
posti elementi psicologici in un tutto (esigenza psico-
logica platonica), e, dall'altra, la necessità d'un intimo
annodamento de' medesimi in una compiuta unità (esi*
genza aristotelica); con pari sicurezza può affermarsi
che al medesimo segno volsero gli occhi i due filosofi
cristiani. L' Aquinate, di più, si propone di rinvenire
in tale dottrina un accordo, e fino a certo segno vi
riesce, non pur fra' due greci filosofi, ma eziandio fra
sé medesimo e '1 suo maestro africano, tanto eh' egli
stesso talvolta s'accorge di tirarlo più del dovere ai
propri pensamenti, come del resto incontra ad ogni
critico che senta di poter fare da sé anco quand' abbia
le mani nella pasta altrui.
Qual era infatti l'esigenza cristiana di fronte alla
filosofia greca rispetto al problema psicologico? Era
la necessità di porre un fondamento razionale non solo
a que' dommi che come lor precipua condizione doman-
dano il concetto dell' anima nel senso di natura indivi-
duale piena, concreta, vivente e cosciente; ma eziandio
a quegli altri pronunziati cristiani che la natura del-
l' uomo deggion supporre spirituale in sé, ed immor-
tale. Or bene, i due filosofi cristiani, non senza profonda
ragione e necessità, si studiaron per l'appunto di ri-
trarre, ciascuno dal proprio maestro, il vero che i due
greci filosofi racchiudevano, e che soccorreva pur tanto
a viepiù legittimare i diversi insegnamenti dommatici
della fede. Così avvenne che Agostino, badando più
che altro a rassodar que' dommi che ove l' anima non
fosse di natura spirituale e dal corpo indipendente
parrebbero più che misteriosi e inintelligibili, teneva
l'occhio al concetto platonico: in mentre che l' Aqui-
nate, procacciando ritrovar salde basi ai dommi che
segnatamente importano il concetto d'una compiuta
individualità e personalità umana, guardava al con-
cetto aristotelico. A questa maniera (juelle menti pri-
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300 DKLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lXB. H.
vDegiate, traendo profitto dalla speculazione greca, si
pensavano d' accordar le necessità della fede co' bisogni
della ragione, levando così ogni dissidio fra le leggi
psicologiche, e^i fatti d'ordine superiore.
Se non che co' pregi essi redavan prure i difetti dei
loro maestri. Difetto in Agostino, checché ne dicano al-
cuni francesi, è quel medesimo che abbiam riscontrato nel
filosofo ateniese ; la mancanza di processo.* Col che non
dico già che non iscorgesse anch' egli uno svolgimento
nelle diverse funzioni psicologiche, essendo noti que' sette
gradi attraverso cui l' Ipponese vedeva esplicai'si l' ani-
ma,' nel che si vantaggia non poco sul suo maestro. Dico
bensì che sifi^atto processo in lui, non meno che nel suo
maestro, si palesa incompiuto e quasi inorganico, non
avend'egli scorto intimità di sorta fra'l senso e la ragione,
ponendovi anzi intervallo infinito alla maniera per l' ap-
punto di Platone. In altre parole : il processo per lui ha
luogo solamente nel mondo intellettivo, e non anche nel
sensato; sì che giugne a parlare, come oggi il Rosmini,
d' un senso intellettuale, E tanta efficacia spiegava agli
occhi suoi la virtii deduttiva e sì netta parevagli l'in-
. dipendenza della psicologia dalla biologia, che il sentire
per lui è anche un intendere, al modo istesso che l' in-
tendere è anche sentire, comecché nulla non ci abbia
che vedere col senso veramente detto.' Così il sensato
* Al nostro assunto non importa vedere qua' dialoghi di Platone co-
noscesse il filosofo d'Ippona. E neanche cMm porta stabilire s* ei sia se-
guace de* Neoplatonici meglio che de' Platonici, come vuole il Nourisson
[Phil, deSt. AugtutHny Paris 1865, voi. IT, pag. 101), ovvero degli Ales-
sandrini, segnatamente di Plotino, come crede aver dimostrato II Bonl-
liet col confronto de' testi {Trad. des Ennéadea, Tom. II). Noi ci acco-
stiamo alla sentenza del Saisset, il quale ha mostrato che Agostino co-
nobbe assai bene il filosofo Ateniese (Trad. de la Citi de Dmw, Introd.,
pag. XLI). Conobbe il Timeo: e tanto bastava a queir ingegno potente
e fecondo per cogliere l'intero disegno del Platonismo. Del resto, par-
lando di Agostino rispetto a Platone, più che della filosofia e delle teo-
riche, noi intendiamo parlare d' indirizzo generale, nel quale convengono
Platonici, Neoplatonici, Alessandrini e, non meno di questi, sant'Agostino,
* Agost., De quaiuU. Anim., pag, 77, ed. Mignc.
» Idem, eod,, XL.
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OAP. IV.] PLATONISMO E ARISTOTELISMO. 301
per Agostino è quello che per Platone: passione del
corpo come corpo (non del corpo animato) confuso
perciò con l'impressione eh' è affezione al tutto fisio-
logica: donde poi nella presenzialità, come Platone,
fa egli risiedere 1' attinenza fra l' anima e '1 corpo.*
Sennonché il filosofo cristiano si vantaggia sul greco
quant' al concetto stesso dell' anima razionale. Si van-
taggia non solo perchè col modificare profondamente
la dottrina della reminiscenza, mondandola un po' dal-
l' invogha mitica, ebbe cura di sostituirvi l' intuizione
onde la mente vien capace di cogliere, nuUa interpo-
sita creatura, il lume dell' etema ragione qual puro
lume, o intelligibilità pura;' ma, piii ancora, se '1
lascia dietro assai lungo spazio mercè il concetto d' un
atto intellettivo posto come originario, radicale, au-
tonomo, il quale, costituendo T assenza stessa del pen-
siero (mens), è capace di comporre una triplicità nel-
r unità della conoscenza. Quest' unotrino psicologico,
meglio che inerenza d'un soggetto, è anzi egli me-
desimo un soggetto, è il soggetto.' Dove così non fosse,
e l'anima non avesse notizia primigenia di se stessa,
come potrebb' ella conoscer le cose, posto che a cono-
scer le cose condizione imprescindibile è conoscere in-
nanzi tutto sé medesima? Or cotesta coscienza ori-
ginaria, netta, spiccata, autonoma, è per appunto la
grande novità ónde l' ardente africano vola sopra tutt' i
filosofi cristiani del medio-evo, e della quale il Rosmini
si è celatamente servito nella parte originale della sua
teorica su la conoscenza. Qui davvero Agostino si pre-
senta quale antecedente del postulato cartesiano,* ne' li-
miti che altrove accennammo (pag. 175). Ma è da con-
* RiTTER, Hùt, de la PhU. ChreU, voi. II.
« De Trinit. XII. — Conf^,, Vili.
* Vedi le belle rifleesioni del Bonghi a questo proposito nella Storia
del concetto ddV anima ec, e del Rosmini neir opera Deìle «entenite de* Fi-
losofi intomo alla natura ddl* anima, p. 101.
* Yed. segnatamente Dr Civit. Dei, lib. XI, cap. 26. — De Lih. Arh.
lib. II, cap. a.
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302 DKLLA DOTTRINA FILOSOFICA. |l1B. II.
fessare che, per benigni che fossero stati e sieno gì' in-
terpreti, specialmente i Francesi, che in questi ultimi
anni presero a chiarire la psicologia del vescovo di
Ipponà, la fimzione del senso pel gran padre della
Chiesa resta fuori il circolo della ragione. Veniamo al
D' Aquino.
Checché ne abbia detto il Gioberti, san Tommaso è
perfettamente aristotelico, massime nella dottrina psico-
logica, ma senza esser seguace, a parlar proprio, del-
l'indirizzo iperpsicologico, e tanto meno dell'indirizzo
empirico dell'Aristotelismo. Egli chiarisce, anzi cor-
regge la confusa ed ambigua dottrina aristotelica su
r intelletto agente e su T intelletto possibile, non sa-
pendo scorgere fra il primo e '1 secondo una distinzione
essenziale; col che abbatte d'un colpo quelle estreme
e contrarie tendenze aristoteliche, l'una delle quaH pone
troppo al di là e al di sopra di noi l'intelligenza,
mentre l'altra, ponendolo troppo al di sotto, lo iden-
tifica con l'intelletto possibile.* L'anima per lui è atto
del corpo; e così accetta pienamente la definizione
dello Stagirita, com'egli medesimo confessa: ed è al-
tresì peripatetico perfetto ove dichiara, l'uomo, an-
ziché spirito 0 corpo, esser ?uno e l'altro insieme-
mente.* Però si può dire che il Tomismo correggesse
la dottrina peripatetica su la sovrapposizione delle tre
anime non già che perpetuasse tale errore, com' è stato
detto da alcuni storici.' L'anima per l'Aquinate non
sente perchè razionale, com' é per Agostino; sente per-
chè é anche corpo e organismo. Intendere perciò non
* Summ,, q. LXXIX. Sicut in omnia riatura, ita et in anima ett ali'
quid, quod est omnia fitri, et (diquid quod est omnia facete, E parlando
delle due forme d* intelletto, avverte che nec tamen eeqtiitur quod eit du-
plex intelligere in homine; quia ad unum inteUigere oportet utraque ista-
rum nctionum eoneurrere. (Quceet.y DispìU, q. de An. art. 4.) Vedi anche
gli Opusc. DdV Intelletto e ddV Intelligibile, volgarizzati dal Rossi, 0pu9e
^Uoeofici $celti ec, Firenze, Le Monnier 1864, pag. 421 e segg.
* Snmm., Par. l, LXXV, LXXVI, art. 1.
' JouRDAiN, La Phil. de S. Tfiom. D'Aquin, tomo I, cap. V.
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OAP. IV.J PLATONISMO K ARISTOTELISMO. 303
vai sentire anche come intendere, ma è puro intendere:
così che s' egli è sentire, è tale innanzi tutto perchè è
corpo. L' anima razionale dunque vien su dalla potenza :
e la potenza è materia.' È egli materialismo cotesto?
No, certo. Se l'anima è atto del corpo, non vuol dir
già eh' ella sia rispetto all' organismo, come 1' eflFetto
alla sua cagione. Vuol dire bensì che il corpo non è
puro corpo. Vuol dire che la potenza non è pura ed
inerte potenza, come vedemmo richiedere uno de' due
indirizzi del suo maestro Stagirita. Vuol dire, in somma,
che, in quanto potenza, ella è forma iniziale, forma in-
coata, ma forma.*
Di che si vede come V Angelo delle scuole, pur
tenendosi fedele alle orme aristoteliche, non sia né
realista schietto, né tampoco nominalista, ma piuttosto
tragga al concettuahsmo ben inteso : nel qual metodo,
come toccammo, egli era stato prevenuto già, per non
parlare di Teofrasto e Temistio, dal più fecondo de' greci
commentatori, Alessandro Afrodisio, come quegli che
innanzi ogn' altri ebbe ad appellar l' anima non solo
atto e perfezionamento del corpo (T£>f cor*»;), ma anche
potenza del corpo (d^jv^im tow jw/xaro;).' E nello stesso
metodo fu poscia ormeggiato da parecchi filosoh del
Rinascimento : da quelli segnatamente che tra V anima
e '1 corpo introdussero un' attinenza di causalità reci-
proca, stante clie la natura partorisca la forma in quanto
é potenza anch' ella, ma potenza attuosa ; e la forma
(juinci rigeneri e ravvivi la materia in quanto la compie.
Se non che il Tomismo, scordando spesso l'ottimo
indirizzo d'Aristotele, tìgge gli occhi nella materia, e
in questa presume riporre talora la ragione e '1 principio
dell' individualità. Errore del quale secondo alcuni sto-
rici tornerà sempre vano il voler difendere il dottore
Angelico, quando si consideri che la materia, perchè si
' Idem, eoci., XG: educitur e potentia imtterice.
* Ib., LXXVI.
* Ved. ueirOp. cit. del RAyAiSHUN, T. II, p. 296 e sogg.
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304 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [liB II.
porga qual principio d'individuazione, ha pur bisogno
d'esser determinata, suggellata, segnata: or da che cosa
mai può esser ella improntata sadvo che dalla forma?
ciò che formava appunto il nòcciolo della opposizione
degli Scotisti.* Del buon indirizzo aristotelico inoltre si
dimentica san Tommaso dove, rasentando l'aristote-
lismo emJ)irico, si mostra così titubante su la verace
natura del senso, che la potenza per lui non è così
piena e così feconda come pur domanderebbe la pro-
duzione dell'atto; e quindi sente necessità di chieder
sussidio a un lume piovutoci addosso non sai dir come
* Io qui non intendo propugnare la teorica sa T indìvidnazione di
san Tommaso. Son anch' io del parere che gli Scotistl non aressero poi
tatt* i torti neir opporrisi, perchè davvero non mancano sentenze nel
Tomismo che debbano andar soggette ad una critica severa. Ma fa me-
raviglia il pensare come non tutti che ne han parlato siansi dati cura
d' interpretare con benignità siffatta dottrina; e più meraviglia il ve-
dere come r abbian trattata male anco i più versati nella filosofia sco-
lastica e nello studio deir Àquinate, qual* ò, per esempio, lo Jourdain
che tanto nel 1® quanto nel 2* voi. dell* opera poco fa citata, si mette
a sfatar V Angelico in modo poco serio per le contraddizioni nelle quali
secondo lui, cade 1* autore della Somma, e per V inanUà con che tratta
siffatta questione. Si dice e si scrive che il principio d* itulividwuione
per TAquinate stia nella materia; e se davvero fosse così, non s* avrebbe
torto a dargliene biasimo. Ha, a voler interpretare con dirittura di giu-
dizio la dottrina tomistica, non è proprio e sempre la materia quella
in cui è da riporsi tal principio, slbbene ciò che in un ente ha ragione
di primo subbietto. Ecco le parole deirAquinate: Ulud qntodtenet ratio-
nem primi tubieeti, est oausa individuationie et divieionin tpeciei in eup-
poeitis. E qual' è questo primo «ubbietto t Est id quod in alio recipi non
potesL Or le forme separate, per ciò che non ponno esser ricevute in
altro, hanno ragion di primo subbietto; però s'individuano; e però In
et« tot »unt epeeies, quot eunt individua, (Ved. De nat. materia, e 8.) Or
la materia è ella principio di distinzione? Si, certo: ma in quanto e sin
dove ha funzione di primo subbietto. Nella dottrina tomistica, dunque,
il principio d' individuazione non sarebbe nò la forma né la materia, ma
or l'una or l'altra secondo che quella o questa esercita funzione di
primo subbietto. So che i dubbi non per questo si diradano, né gli op-
positori cessano. Ma io, ripeto, non difendo in tutto tal dottrina, sib-
bene chiarisco la interpretazione da darsene, e la critica da fame. — Vedi
in proposito le lettere dell' egregrio Aless. Bbrntazzoli assai dotto nella
filosofia di san Tommaso: Di un ulteriore e definitivo esplicamenio ddla
FlIoHofin /tcnlasttra ec, Bolo^'na, ISCl.
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CAP. IV.] PLATONISMO B AIUSTOTELISMO. 305
né perchè,* invocando così un atto immediato di
creazione. Se l'anima è forma, atto puro, potrebbe
esser generata dal corpo? Non potrebbe, risponderà
Tommaso: ciò eh' è immateriale è impossibile che ram-
polli per via di generazione ; la quale non è altro, a dir
proprio, che trasformazione. Ma potrebb' esser fatta
della sostanza divina? Tanto meno; perchè questa non
è che un atto purissimo.' Eccotelo dunque anche lui
all' intervento del solito DetAS ex machina; alla neces-
sità d' un atto peculiare di creazione ex niMlo, Or non
vi sarebb'egli altra via al nascimento dell'anima fuori
di queste due, generazione o creazione estranea e divi-
na? — CJom'è evidente l'A. della Somma (non altrimenti
che l'A. della OUtà di Dio risguardo a Platone) eredita,
co' grandi pregi, anch' i difetti della dottrina aristotelica.
Il concetto della individuahtà è concetto capitale
nella storia della psicologia. È propriamente la radice
prima onde pullula, chi ben guardi, tutto il pensiero
moderno filosofico, politico, religioso. La teorica della
individuazione, perciò, è l' addentellato più acconcio per
cui, nella storia delle soluzioni riguardanti il problema
psicologico, il medioevo, segnatamente il Tomismo, si
congiugne con l' età e co' filosofi del Rinascimento. Non
ostante i pregi e i meriti grandi che l'Aquinate può
vantare verso l'Aristotelismo e più verso il Platonismo,
la sua dottrina doveva esser corretta mostrando che il
principio d' individuazione non istà, a dir proprio, nella
forma, né tampoco nella materia, ovvero nell'una o
nell'altra secondo la ragione del primo suòbietto. Meglio
ponendo il problema psicologico si dovea mostrare che
1' anima è individuale non perchè informi una materia,
ma sì perchè, materia ella medesima, diventa forma;
perchè l' anima si fa coscienza; perchè la coscienza em-
pirica attinge valore d'autocoscienza e di libero pen-
* Summa, !• 2», CXI, art. 2: impre9no divini luminii in noòw, re-
fidgentia divincB cIoritoiM in anima,
• Summa, P. I. LV, v; XC, ii.
StClLlAlll. SO
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306 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. H.
siero, nel cui regno non v' ha materia e organismo che
lo spirito non vinca e sorpassi, né fantasma o imma-
gine eh' ei non superi e sottoponga a sé stesso.
Ora produrre, o almeno compiere cotal dimostrazione
in maniera positiva ponendola sotto novelli punti di
luce, non era possibile senz' il concetto della storicità,
essendoché appunto in seno alla specie, in seno al co-
mune e alla moltiplicità appaia e si determini e spicchi
vie più la nota della differenza, tuttoché cotal differenza
germogli nelP individuo, e sempre per natia virtù del-
l' individuo. A tal' opera spiegarono grand' efficacia in-
nanzi tutto i nostri filosofi del Risorgimento. Altrove
mostreremo come in tal' epoca si riproduca il medesimo
triplice indirizzo della scolastica, ma con esigenza ben
diversa, perché la storia è tale artefice che mai non
ricopia sé stessa. Qui notiamo solamente che nel me-
dioevo le tre tendenze aristoteliche, le quali abbiamo
appellato iperpsicólogica, empirica e media, riproducono
nel Risorgimento l'esigenza del Realismo, del Nomi-
nalismo e del Concettualismo, ma trasformandola. Se
per queste tre scuole la ricerca filosofica versava su
la natura dell' universale dapprima, e poi, massime con
r Aquinate, su la natura del medesimo universale ma
in relazione col particolare (principio d' individuazione) ;
per i filosofi del Rinascimento, in vece, ella risguardava in
modo precfpuo la natura intellettiva dell'anima, nonché
il rapporto fra il pensiero e l'organismo. Essi modifi-
cano profondamente tanto il Platonismo quanto l' Ari-
stotelismo; così che alcuni, specie quelli che rappre-
sentano r indirizzo medio , non intendono ristringere
l'intelletto nel puro senso, ma lo allargano si che, 'ri-
collegando il problema psicologico al problema cosmo-
logico, si sforzano di rannodar l'anima in quanto in-
telligente con la natura in quanto intelligibile.*
* Noi avremmo buono in mano a dimostrare, se qai fosse luogo, che
r indirizzo medio aristotelico nel Rinascimento fa rappresentato, sebbene
in maniera incerta e assai confusa come portava il carattere di quel-
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^ GAP. TV,] PLATONISMO E ARISTOTELISMO. 307
Il Rinascimento apparecchiava la moderna psicolo-
gia, ma non la costituiva. E non la costituiva perchè
il problema psicologico non può ricevere acconcia solu-
zione quando sia troppo confinato nelle pure indagini
psicologiche. V'era, per esempio, chi studiavasi di pro-
* vare V immortalità dello spirito e chiarire le ragioni e
i modi ond' il pensiero nel suo operare s' addimostra
indipendente dal corpo. E v' era poi chi facevasi ad in-
vocare il sussidio de' soliti influssi divini come fanno
anc'oggi, a tre e quattro secoli di distanza, i nostri
neoplatonici. Or io non dirò che il problema su' destini
dello spirito possa esser risoluto così facilmente quan-
t' altri s' immagina. Dirò che alla psicologia potrà
dirivare qualche sprazzo di luce non già mostrando
(inutile tentativo!) che l'anima sia indipendente dal
corpo, ovvero che Dio faccia piovere il suo influsso su
r intelletto arzigogolando in che guisa lo irraggi, lo il-
^ lumini e lo riscaldi; ma procedendo per altra via; pro-
cedendo per una via men soggetta alle angustie del-
l'empirismo, 0 meno aperta alle facili speculazioni
dell' a priorismo. Se Dio influisce, comunque si voglia,
su l'anima, altro ei non potrà fare che modificarne
l'operazione: cangiarne la natura non può davvero.
Che se, d' altra parte, si giugno a dimostrare l' indi-
pendenza dal corpo, non per questo s' avrà dimostrato
ch'ella sia proprio immortale, se pure non vogliamo
r età, da parecchi filosofi ; fra' quali notiamo il Contarini, il Porzio, lo
Zabarella, il Gaetano (De Vio), il De Spina, lo Scaino fra gì' interpreti,
0 anche il Sessano. Il quale, nella forma ultima da lui data alla dottrina
8U r anima, si può dire che si rannodi col D'Aquino e perciò anche con
TAfrodisio; onde il Bonghi ha detto benissimo affermando che, nell' in-
terpretare Aristotile, il Sessano segue appunto il commontatore greco
{Meta/, rf'Arwt., Leti, ed Roam. p. XIII). Questi ed altri vecchi nostri filo-
sofi andrebbero studiati, interpretati, e naturalmente anche corretti se-
condo il criterio che abbiamo appellajto medio. Specialmente andrebbe
studiato il povero Nìfo cosi malconcio e sfatato dal nostro collega Fio-
rentino: al quale il Franck, del resto, ha saputo dire che il Sessano non
pure fu il piò, Maggio metafisico del suo tempo, ma, più ancora, che il
Pomponazzi trovò appunto nel Nifo un contraddittore imbarazzante, e
d'una grande autorità. — (Joum, dee Sav. Magg. 1869.)
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308 DELLA DOTTRINA FILOSÓFIOA. [lIB* TU
acconciarci alla celebre quanto inutile distinzione del
Pomponazzi dell'Io fisico e dell'Io intellettivo, e del-
l' anima propriamente mortale e impropriamente im-
mortale! Al pili potremmo giugnere a dir questo; che
r anima non finisca così come finisce il corpo, cioè
disgregandosi e trasformandosL. Ma cotesta soluzione
non è affatto negativa?
Tutt' insieme dunque la speculazione del Rinasci-
mento, per quanto riguarda il problema psicologico, era
piuttosto negazione anziché affermazione : negazione del
medioevo, e apparecchio a novelle affermazioni. Nean-
che il Pomponaccio, il più schietto seguace dell' indi-
rizzo aristoteUco naturale^ potrebb' esser detto materia-
lista nello stretto senso della parola. Il significato vero
del suo libro su la immortalità, diciamolo di passata, è
quello di porre sott' occhio, da una parte, le magagne
delle viete dimostrazioni su la natura, e sul fine e su
r origine dell' anima; e manifestare, dall' altra, il bi-
sogno di prove più salde, e però la necessità in cui
trovavasi il pensiero filosofico di tentare ben altre so-
luzioni, e schiudersi altre vie. Qual' era una di queste
vie? La durata dello spirito, come personalità, doveva
esser indagata nella medesima essenza e costituzione
intima del pensiero. £ a tal fine che cos' era neces-
sario? Era necessario lo studio del processo isterico;
appunto perchè l'intima costituzione del pensiero si
rivela da sé medesima nello svolgimento della vita
dello spirito; e la vita dello spirito è appunto la storia.
In altre parole : era necessario vedere per via di fatto,
cioè col processo storico, come l' essenza dello spirito
risegga tutta nelP esser egli un conato, un'attività pro-
fonda che sempre più si estrica da' viluppi di natura e
di sé stesso; che sempre più si determina in sé, e si
compenetra con la natura e con sé medesimo ; e come
per siffatta qualità egli sia capace di trascender la
natura, di sorpassare l'organismo, di superare anche
sé medesimo, pur rimanendo sempre una personalità.
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GAP. IT.] PLATONISMO E ABIST0TBLI8M0. 3(%
Ed eccoci pervenuti alia conclusione dove in questo
capitolo desideravamo giugnere, e per la quale abbiam
dovuto fare sì lungo giro da risalire fino alla doppia
sorgente storica del concetto psicologico. Se per più e
diverse ragioni ne il Platonismo né l'Aristotelismo pri-
mitivi non pervennero, in generale, a determinare il vero
concetto dello spirito quantunque ne apparecchiassero
gli elementi da secoli molti, il che non è poco ; se i due
massimi rappresentanti della filosofia cristiana, tuttoché
introducessero due nuovi concetti in siffatta questione,
non però giunsero a salvarsi da incongruenze manifeste ;
se, da ultimo, cop lo sdoppiarsi dell'Aristotelismo nel
Risorgimento fu messa a nudo la fallacia delle vec-
chie posizioni, l'insufficienza d'im argomentare fiacco
e barcollante esprimendoci così l'esigenza di prove
novelle in siffatte indagini: è chiaro come all'uscire
del medio evo importasse rannodare i quattro concetti
attorno a' quali vennero travagliandosi per sì lunghi
secoli co' lor proseliti i quattro filosofi cui siamo venuti
accennando, correggerli, esplicarli, compierli, e statuire
una dottrina positiva circa la genesi psicologica. In
altre parole: importava accettar l'esigenza psicologica
platonica risguardante il connubio del doppio mondo
sensato e razionale: ma occorreva anche correggerlo
mercé il concetto della triplicità intima, originaria cui
poggiò, primo fra tut^i. Agostino. Importava altresì ac-
cettar r esigenza aristotelica del processo psicologico, e
nel medesimo tempo modificare profondamente e trarre
a maggior compimento il concetto della generazione
psichica dello Stagirita mercè il concetto di creazione;
il che tentò fare, e lo fece da par suo, l' Aquinate : ma
più ancora importava correggere il concetto creativo
de' Tomisti e de' filosofi cristiani, in generale, cancel-
lando in esso queir immediatezza divina eh' è un dato di
fede anziché di ragione, avvisandolo invece com' essenzial
condizione dello spirito. Questo, possiamo dire, si stu-
diaron di fare tutt' insieme parecchi filosofi italiani de|
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810 DBLLA DOTTRINA FILOSOriGA. [lIB. II. È
Rinascimento, o per lo meno ne sentivano la necessità. ^
Nessuno vi riesci compiutamente, per la ragione qua ^
dietro accennata, d' aver voluto ristringer tale ricerca ^^
negli angusti confini della psicologia. Ad essi mancava
un altro grande concetto. Mancava un'altra posizione,
per cui si distingue infinitamente il Rinascimento dal
tempo moderno. Mancava l'esigenza di riguardare il
pensiero innanzi tutto come genesi psicologica, e questa
genesi psicologica poi considerare qual fondamento im-
mediato della genesi storica. Però non è da meravi-
gliare se alla scuola de' nostri politici facesse difetto
la vera nozione del diritto sopra cui si puntella uni-
camente la scienza politica, nonché il concetto vero
della individualità, senza cui non può sorgere né per-
petuarsi lo Stato libero. Né fa meraviglia se i teologi
assorbissero il gius nella morale, e se una riforma re-
ligiosa allora non potesse fra noi essere effettuata nel-
r ordine civile, comecché fosse già in gran parte pe-
netrata nella mente de' nostri filosofi.
Mostrammo come il Vico si colleghi col Cartesiani-
smo; e dicemmo che co' nostri filosofi del Risorgimento
ei si congiugne logicamente, più che per le quistioni
metafisiche, per la ricerca psicologica. In lui si compie
la posizione cartesiana, e si riproducono e ringiovani-
scono i vecchi principii improntati del sentimento della
viva realtà. Vi é dunque un' attinenza ideale, vi é un
legame logico tra la posizione del Vico, della Scienza
Nuova, e quella de' filosofi del Risorgimento. Alla ri-
cerca psicologica nuda, astratta, empirica e subbiettiva,
deve tener dietro necessariamente la ricerca informata
alla esigenza della storicità. Ecco perchè a ricostruire la
storia del pensiero italiano e rannodare il secolo XVIII
co' secoli anteriori, non avremmo guari bisogno né di
Cartesio né del Cartesianismo, se non fosse per alcune
questioni cosmologiche e ontologiche. Egli si ricongiugne
co' filosofi del Rinascimento in tre modi, come nel pros-
simo capitolo mostreremo; ma di più li trascende in-
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GAP. IV.] PLATONISMO E ARISTOTELISMO. 311
finitamente, perchè se è vero che nel medio evo il pen-
siero filosofico riponeva l'essenza dello spirito, a così
dire, furori di §è, mentre nel Rinascimento, attraverso
forme diverse, inchinava a riporlo sotto di se; è natu-
rale che, col sentire la necessità del processo istorico,
novello sentiero egli avesse a dischiudersi, rintracciando
quell'essenza nel seno stesso dello spirito siccome centro
e insieme processo della storia. Gli storici della filo-
sofia italiana, ripetiamolo anche qui, non potranno far
a meno, quando voglian discoprire un vincolo ideale
fra le due epoche, di questa relazione alla quale siamo
venuti accennando, e su la quale ci rifaremo più ri-
posatamente in luogo più acconcio.
Capitolo Quinto.
ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO.
{Fxmdamenio razionale del processo istorico.)
I punti sostanziali ne' quali possiamo stringer la
dottrina psicologica, seguendo le orme del nostro filo-
sofo, son questi:
!• Concepire in maniera compiuta e vera la natura
della facoltà psichica in generale.
2« Distinguere nelle funzioni psicologiche due pro-
cessi, conoscitivo e operativo, ma formanti unico orga-
nismo, unico circolo.
3* Riguardar gli atti psicologici come una molti-
plicità di funzioni distinte e per sé stesse irreducibili;
ma nondimeno determinate e recate in atto dalla virtù
d' unico principio originario.
4* Finalmente, porre siccome base razionale e im-
mediata del processo istorico lo stesso processo psico-
logico.
Col primo di questi concetti il nostro filosofo si col-
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312 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
lega dirittamente con Aristotele, e con gli Aristotelici
del Rinascimento seguaci dell' indirizzo medio; e nel
medesimo tempo corregge, in ordine alla psicologia, quel
vecchio domma del falso Aristotelismo e del malin-
teso Platonismo che suona così: niente moversi da sé,
che non sia mosso. Col secondo e col terzo imprime
forma razionale e organica alla scienza dello spirito
tanto contro Averroisti e Neoplatonici che troppo distac-
cano i due elementi onde risulta V ente umano, quanto
contro quegli Aristotelici empirici che, troppo affogando
r uno neir altro, finiscono per confonder la sfera della
psicologia con quella della biologia: ma, sì nel primo
come nel secondo caso, egli serba Y esigenza psicologica
platonica che dicemmo consistere nella distinzione dei
due elementi, nonché V esigenza aristotelica la quale
riguarda il processo nelle funzioni psicologiche. CJon gli
stessi concetti onde corregge nella quistione psicolo-
gica il Platonismo e l'Aristotelismo, previene l' esigenza
del Criticismo intomo al doppio ordine della Ragion teo-
retica e della Ragion pratica, e insieme la invera e la
compie. Col quarto concetto, finalmente, imprime signi-
ficato razionale e positivo al fatto storico, e crea la
Scienza Nuova.
Innanzi tratto intendiamoci sul metodo acconcio a
simili indagini.
Tommaso Buckle osserva che i filosofi, parlando
su la natura dell'anima, non sanno pigliar le mosse
altro che o dalle sensazioni, o dalle idee; riuscendo così,
nell'un modo e nell' altro, ad un metodo solitario, astratto,
inefficace, inconcludente.* Sennonché egli stesso, il Bu-
ckle, non giugno a salvarsi dal primo difetto. 11 suo me-
todo isterico, differente dal deduttivo inverso raccoman-
dato dal Mill, é addirittura un metodo empirico; onde
inciampa in quel sensismo ch'egli condannando vorrebbe
causare. Checché ne sia, l'osservazione é degna d'un
* HUtory of Civilization in England, voi. I, cap. Ili.
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GAP. Y.] 0BGANI8M0 E PB00K8S0 PSIOOLOOIGO. 313
positivista inglese ; e noi, pur correggendola, non dubi-
tiamo farla nostra. A schivare infatti tanto le conse-
guenze d'un gretto empirismo, quanto le arditezze d'un
magro e sfumante idealismo, è forza movere non dal fatto
della sensazione, eh' è cosa estrinseca e quasi soprav-
venuta allo spirito, e nemmanco dalle ideej le quali in
sostanza non sono, per noi, fiiorchè produzioni di lui;
ma da lui stesso ; dallo stesso spirito in quanto pensiero.
Bisogna movere, in somma, dal centro, anziché dalla
circonferenza; dalle facoltà, ma dalle facoltà concepite
quali sono in realtà, cioè come funzioni. A tal uopo è
necessario adoperare un metodo che non escluda, ma
che sappia includer le esigenze di tutt' i metodi; em-
pirico, naturale, sperimentale, psicologico astratto, fisio-
logico, e simili. In una parola, è necessario il metodo
genetico ; il quale, rispetto alla psicologia, è ciò che il
metodo eduttivo è rispetto all'ordine del conoscere.'
* Il metodo col qnale i Positiristi presamono di far la scienza psico-
losrica è al tutto empirico e artificiale; ma qui non intendo porre in nn
fascio psicologi positÌYisti inglesi e francesi, com*ha fatto il Vacherot.
{Betf. de» Deux MondeSf die. 1869.) Spencer, Mill ed Alessandro Bain stimano
(come notammo nell'Introd., p. 6) che la psicologia è superiore, indipendente
dalla biologia, precisamente come la deduzione è indipendent-e e superiore
air induzione pel Mill, e come la Sociologia è indipendente dalla storia
tanto pel Mill quanto per lo Spencer. I Francesi, al contrario, facendo
della Psicologia una semplice appendice della Biologia, non sanno con-
cepir r nna senza 1* altra. lì ri'y a point de p9yeolog%e en déhors de la
biologie. (LiTTRÉ, A. Oomte et St. Mill, p. 29 e segg.) Tale anche è per
essi la deduzione rispetto air induzione, la psicologia rispetto alla storia,
la Dinamica rispetto alla Statica Sociale. Sennonché, qualunque ne sia
la differenza, le due scuole intoppano in due errori diversi; nel formalismo
empirico Tuna, e nel materialismo Tal tra: e così entrambe rendono im-
possibile la scienza della psiche. Rifacciamoci brevemente dagP Inglesi.
Qual debb* essere, secondo St. Mill, il fine della psicologia? Non
altro che la ricerca diretta delle ntceeeeioni mentali, (Sjfét, de Log, tom. II,
p. 484.) E quaV è la legge più semplice, più generale cui si riducono i
fenomeni psichici? Quella àéiV anaoeiazione delle idee; la grran legge os-
serrata da Hume. [La PhU. de Hamilton^ cap. Vili.) Innanzi tratto si
può osservare: La legge dell* associazione è legge empirica, e quindi ò un
fatto: ma qual n'è la ragione? Senza questa ragione potreste uscire dal-
l'empirismo? st. Mill non ispiega cotesto fatto, ma 1* accetta dair espe-
rienza. — Altro difetto gravissimo, conseguenza del primo, è questo; che
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314 DKLLA DOTTBINA PILOSOPICA. [lIB. IL
Il metodo genetico applicato alla ricerca psicolo-
gica attinge valor positivo e insieme razionale, quando
la legge d* associazione nou racchiude necessità psicologica di sorta. È
una legge men che empirica, e può mancare. Dunque una notizia scien-
tifica circa la natura psicologica, per lui, è impossibile. — 'Più ancora: il
prodotto ddV anaociaziowi è un fatto «t* generi»: egli stesso ne conviene.
{DUaertation and DiicuMiona, III, 104.) Or bene, come spiegare cotesto
9ui generi» con la pura legge d* associazione ? Ci ò qui rispondenza, ci ò
proporzione tra V effetto e la causa? — Finalmente, come spiegare con la
semplice associazione il gran fatto della coscienza f Bisognerà dunque
concludere che la legge, la quale St. Mill dice esser la più semplice e ge-
nerale fra tutte quelle d' ordine psichico, importi qualche altro fatto ante-
riore, 0 irreducibile. La psicologia contemporanea inglese quindi cade nel
formalismo empirico. E se riesce a distinguer la psicologia dalla biologia
e dalla storia (eh* è il suo pregio), non riesce a trovare fra V una e le
altro vincolo di sorta. — Tocchiamo ora della scuola psicologica de* Posi-
tivisti francesi.
Il Littré riguarda la psicologia qual semplice appendice ed appli-
cazione della biologia; e vuol quindi trattarla con metodo analogo. Ma
fa una distinzione acuta e ingegnosa di cui giova tener conto, perchè
forma la sua stessa condanna. Egli pone un divario profondo tra la fa-
coltà e il suo prodotto. Logica, ideologia, psicologia (egli dice) non si
distinguon menomamente dalla biologia quando siano avvisato come
funzioni; ma, guardate nei lor prodotti, se ne differenziano in infinito.
Parimente il linguaggio, come facoltà, è faccenda biologica ; ed ha la sua
ragione in una delle circonvoluzioni anteriori del tessuto cerebrale, secon-
dochè ci assicuran oggi gli sperimenti fisiologici : ma, come grammatica,
se ne discosta per grand* intervallo, o nou ci ha che veder niente con la
biologia. — Che cosa rispondere ? Rispondiamo, troppo antica e troppo
vera esser oggimai la sentenza aristotelica, che tra la natura della causa
e quella dell' effetto non possa esserci divario essenxiaie. Or negli esempi
quassù arrecati il divario essenziale e* è: gli st>essi positivisti non- ar-
discono dubitarne. Come dunque spiegarlo cotesto divario? È egli pos-
sibile spiegarlo senza riconoscer la differenza fra le due scienze non
solo quant' a* prodotti psicologici, ma anche quant*alle facoltà? Como
funziono il linguaggio non appartiene egli anche al quadrumane? Ora in
forza di che cosa riesce tanto profondamente diverso il risultato nel bimane
che ha pur comune col quadrumane la funzione? Si dirà in forza del-
l' unione, del numero, dell* attrito nella specie, nella società? Ma non
vivono in società anche alcune famiglie di quadrumani? Eppure quella
funzione non ha dato, e mai non darà il risultato che pur dovrebbe! Àn-
cora: se il prodotto fosse tant^ diverso dalla facoltà solo per ragion del-
l' associazione e del contatto, che cosa ne verrebbe? Che 1* uomo sarebbe
fornito di qualità e doti essenziali non per so stesso, cioè non perchè
individuo, ma per altri e da altri, cioè perchè membro della società. Or
tutti sanno che la £eicoltà della parola, cosi intimamente annodata col pen-
siero, non e dote accidentale ìn& eÈsenzi<de dell'uomo; dell* uomo in quanto
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!
«
GAP. V.] 0K0ANI8M0 K PROCESSO PSICOLOGICO. 315
soddisfi al bisogno sperimeDtale. QuaP è V esperienza
vera nel campo della psicologia ? Un fatto : ma un
fatto che sia condizione logica di tutti gli altri fatti; il
fatto per eccellenza, il fatto de' fatti, il faUo che si foj
efletto e cagione ad un tempo istesso, la coscienza. La
coscienza è un fatto: ma chi presumerà spiegarlo con le
sole leggi fisiologiche? D' altra parte, dir coscienza, come
da un pezzo ci predicano gli spiritualisti francesi, desi-
gnandola come fatto per eccellenza, come il fatto più saldo
della psicologia, è dire un bel nulla ove non si pervenga
a risolvere questo doppio quesito: P Se la coscienza è
un fatto, conie si fa? 2» Perchè si fa? Il nocciolo della
psicologia, come scienza, sta tutto qui. E niuno potrà
sperare di scioglier cotesto nodo, se non giugno a ri-
spondere all'obbiezione che il Vico move contro al
Cogito caitesiano: la coscienza essere un fatto certo,
non un fatto vero. Or s'egli affaccia tale difficoltà, non è
da supporre eh' egli medesimo ne abbia in pronto la
risposta? In altro capitolo abbiamo già visto come ri-
ìndÌTÌduo, non già in quanto membro della società. Se dunque il prodotto
della facoltà non è accidentale ed estrìnseco ma intimo ed ossenzialo,
ne viene che quaFc la natura dell'uno, tal debV esser anche quella dell'al-
tra; e cosi la distinzione del Littré sfuma e dilegua. Inoltre, ore la natura
del prodotto fosse quella stessa della facoltà, e la facoltà fosse faccenda
al tutto biologica, ninno ci salverebbe da una schietta dottrina meccanica.
Ora i positivisti francesi (al contrario degV inglesi) affogan la psicologia
nella biologia, e perciò la negano; e col negarla precipitano logicamente
nel materialismo. Talché se la psicologia inglese, nelP ordine sociolo-
gico, mena alla dottrina dell' JndividualinnOf e quella de' francesi non si
salva dalla dottrina del Socìalitmo; è da concludere che il metodo psico-
logico de' Positivisti, sia nell' una scuola sia nell'altra, anziché positivo e
razionale, riesca affatto negativo ed erroneo, come vedremo in Sociologia.
Tale altresì (diciamolo di passata) è il metodo del Taine. Più formalista
ancora del Mill, ei vuol far rivivere lo schietto nominalismo nel regno
della psicologia. Quale snellezza, quanta eleganza nella forma e nello
stile di questo facile e simpatico scrittore ! ma quanta e qual super-
ficialità d'analisi e di ragionamento! Chi ne voglia una prova, legga,
por esempio, ciò eh' egli dice sul concetto della personalità e della co-
scienza, e vegga con che leggerezza confonda potenza e facoltà nella
ricerca psicologica. Il Taine è degno discendente dell'abate Condillac.
(Vedi De VlnuUigenee, Paris 1870, t. I, lib. IV, cap. UI, t. II, llb. I,
cap. II, § 8.)
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316 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
sponde (p. 186-236). Meglio il vedremo qui interpre-
tando e svolgendo il suo pensiero.
Io prego positivisti e fisiologi a non digrignarmi i
denti. La psicologia non è un'ultima pagina della neu-
rologia, come or non è molto ebbe a proclamarla un
fisiologo d'alta rinomanza; e pur nullameno non cessa
d' essere anch' ella una fisiologia. La psiche è anch'essa
un organismo, una generazione come la vita, perchè
una medesima legge di formazione ha da presiedere ad
entrambe. Ma solamente si pretende che, se comune è
il processo e quindi la legge, diversissimo abbia a ri-
sultarne il contenuto.
Che cos'.è, infatti, il processo fisiologico? Se i fisiologi
odierni ci riflettessero, s'accorgerebbero tosto d'esser
d' accordo col vecchio Aristotele. Il processo fisiologico
in sostanza non è che l' attuazione del numero nel-
r unità: le forze naturali e comuni trasformantisi in
efficienza dinamica vitale e risultante.* L' anima dunque
è la reàUà ultima dell'organismo.' — Che cos'è invece
il processo psicologico? È imita che si pone e s'attua in
sé medesima : unità che si realizza nel numero ; che si
fa numero. Però è anima, è principio vitale che diventa
* A BIST. De Pari, Ànim,, II.
* Aristotele ha ragione d* affermare, V anima non esser una potenza
di cui il corpo sia T attuazione, ma VaUo del corpo nel senso di realtà
ultima di Ini: Où to toì^ol «OTtv ivr s\i j^itof, ^u^^^» *^^' «ut»?
(TtàpLOtrò^ Tivof. {De An., II.) Perciò eUa non è actu» oorporis organici
nel significato di principio, cbè saremmo sempre nell* averroismo e nel
neoplatonismo ; bensì ò atto in quanto è il risultato estremo e, come tale,
è anche principio. Brevemente: V anima è principio del corpo, T anima
principia V organismo; ma non come attoy bensì come potenza feconda,
reale (to ^vvaTOv) tuttoché rudimentale. Chi non voglia interpretare
così il concetto dell' anima nelP Aristotelismo, cade senza rimedio nelle
contraddizioni in cui sMmpastojavano e s* impastojan tuttora i Tomisti,
non escluso il Rosmini. Il quale, diversamente dall'interpretazione che noi
diamo a questo concetto aristotelico, pone V anima non già come atto del
corpOf anzi come principio che produce quegli' atto {Psicologia^ Novara 1858,
voi. I, cap. IX, art. IV, § 223). Posto ciò, la conseguenza su 1* origine
dell'anima quale sarà? Sarà altrettanto arbitraria e ipotetica, quanto
inevitabile e chiara: cioè la necessità d'un atto d'immediata creazione.
(Op. cit., voi. cit., cap. XXIIIt — Antropologia^ lib. IV, cap. V.)
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OAP. T.] 0B0ANI8M0 B PROCESSO PSIOOLOGIOO. 317
spirito, è senso che diviene intelletto, è istinto che
sale a coscienza, è bisogno cieco, cieca tendenza che
assume valore di volontà morale, e di libera perso-
nalità.*
Come sta dunque la biologia alla psicologia? Come la
vita al pensiero; come la parte inferiore della pianta,
come le radici, alla parte superiore, al tronco, a' rami,
alle fronde, alle frutta, a' fiori. Ma fra Tuna e l'altra
di queste parti ci è un nodo; ci è il nodo vitale. Ap-
punto in questo nodo vitale s'immedesimano entrambe,
e si divariano. Ed è cotesto nodo che non sanno scorgere
e tanto meno sgroppare, per quanto facciano, materiali-
sti, positivisti e interpreti empirici del? Aristotelismo. In
questo nodo vitale si toccano, senza confondersi, due
sfere, due organismi, due vite, due contenuti. Questo
nodo vitale è insieme forma e materia, atto e potenza.
È forma d' un' anterior materia eh' è l' organismo, il
processo biologico; ed è materia d'una forma po-
steriore e superiore eh' è l' organismo delle facoltà, il
processo psicologico. Il processo di natura infatti si
assolve dal potenziale all' attuale, dall' indeterminato
al determinato, e partorisce l' individuo : il processo
psicologico si assolve dal potenziale aitu^jde^ àU'aUtude
determinato, cioè dall'individuo alla personalità, e cosi
genera la coscienza. Verissimo quindi l'altro concetto
aristotelico: il pensiero e la natura esser come l'analisi
e la sintesi che camminano in senso contrario, ma go-
vernati da una medesima legge.'
Or la scienza della psiche dee rintracciare il nodo in
cui si toccano i due processi, investigandone la genesi
< Sotto quest* altro aspetto Aristotele dice Terìssimo che I* anima,
anziché armonia di parti o risultanza di moti diversi, ò per sé stessa
attività, accordo, e qnindi capace a regolare ogni moto. Non ò numerp
ma unità; unità della forma e dell'atto: Tò yàp tv vìolÌ to etvae
ir>ffova;i^«i!l; \iytxaiy to xvpiov in fvTf>f;i^sta jctc. (Id. Eod.) —
È Vachu in aetu degli Aristotelici del Risorgimento segnaci deir indi-
rizzo medio, per esempio ^del Gontarini, come aTrertimmo.
* RàTAiBSOX, Métaplu d'Aritt., t. I, p. 483.
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318 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lTB. H.
psicologica. Lo spirito è essenzialmente processo, è ge-
nerazione, ma non trasformazione. Non va dalla parte
al tutto, come avviene delle combinazioni meccaniche;
ma dal tutto al tutto, dal tutto potenziale al tutto at-
tuale, dal di dentro al di fuori, da una sintesi origi-
naria e confusa, ad una sintesi analizzata.* Voglio dire
che il processo psicologico s'inaugura non già con que-
sta o cotesta facoltà, anzi con tutte le facoltà. Le quali
perciò non sono funzioni determinate e specificate sin
dalla loro origine, ma convengon tutte nell' essere al-
trettante potenze, e, come tali, formano unica potenza
originaria, eh' è conato essenziale, sforzo incessante.*
Che cosa sia questo conato, si vedrà nell' altro capi-
tolo. Qui dobbiamo considerar le facoltà psicologiche
come ce le presenta il fatto, cioè come una moltipli-
cità di funzioni.
Che cos'è la facoltà psicologica? È un passaggio
dalla potenza all' atto. Ella ci esprime la pronta ne-
cessità di fare, di determinarsi, d' attuarsi ; e quindi
vuol dire facilità, prontezza, solerzia, agevolezza di
fare.' Or la facoltà intanto significa pronta e spontcmea
solerzia di fare, in quanto fa il proprio obbietto; in
quanto si fa come funzione; in quanto si pone come
* Anche in ciò la psicologia somiglia alla fisiologia, ma non tì si
confonde. L* organogenia s' inaugura, meglio che con uno, con tutti gli or-
gani ad un tempo. Per esempio i centri primitiTi multipli del sistema
nervoso, che la microscopia ci pone sott* occhio, chiarisce e conferma
quest' assunto. Cfr. Vulpian, Physìologie gfn. et comp. du syaL nere. —
LhittS, SyH. New. cerebro-spinale. — Glkibbrrg, Intinto e Libero cwbitrio^
trad, del Langillotti, Nap. 1868.
* Oonatum uni menti attrihuimu»f quce libero arbitrio prcedita pottH
BUB8TARB.... eoque pacto potett motitm subsistrre et stare in conato [De
Univ. LXXV, 4). Ne* corpi e* è moto, secondo il concetto cosmologico
del Vico, ma nell* animo e* è moto e eoncUo: o meglio, il moto qui as-
sumendo natura di conato è moto del moto, e quindi è aetw in actu.
* Expedita seu expromtn f'iciendi solertia (De Antiquisn, TtaU Sap.^
cap. VII, 1). Facoltà suona anche proprietà, ma proprietà cosciente : di-
stinzione confermataci dal comun linguaggio che attribuisce la proprietà
alle cose, ma predica dell* nomo \h facoltà. Vedi le belle riflessioni dello
JouFPRoy in proposito {^filang. Phil., ed. Bruxelles, p. 267).
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OAP. V.] ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. 319
attività: FacuUaùes sunt eorum, quce fadmus. Ecco il con- 1
cetto psicologico piìi originale del Vico. Il germe di que-
sto concetto è schiettamente aristotelico; * ed è la chiave
ond' egli, anticipando la moderna psicologia, preveniva
il Fichte, e insieme ne correggeva V esagerazione.*
Dunque la facoltà posta come funzione psicologica
che fa sé stessa in quanto fa il proprio obbietto, è il '
passo d'oro del Libro Metafisico. Ad esso rispondono
altri due che troviamo nel Diritto Universale e nella
Scienza Nuova; e tutt'e tre riescono a comporre l'or-
ganismo del processo psicologico. Tale organismo, in-
fatti, parmi racchiuso in queste due sentenze: !• che
r uomo è innanzi tutto SensOy appresso Immaginazione
e quindi Ragione: 2*» che l'uomo è un Potere, un Volere
e un Conoscere potenzialmente infinito.^
• ÀRlST. De an.^ Ili, 4.
• DoTe stanno, a mo* d'esempio, i colori, i sapori, gli odori, il tatto?
Se il senso è facoltà, ne segue che tu in sostanza hai a far i colori nel
vedere, tu i sapori nel guastare, tu i suoni nelP udire, tn gli odori nel-
r annusare, tu stesso il freddo e '1 caldo \iel toccare. Nam si «enatu fa-
cultates sunt, videndo colore», sapores gustando, sono» nudiendo, tangendo
frigida et calida rerum facimua. {De Antiquisa, e. VII, 3.) Parimenti con
le immagini e con le rappresentazioni la yirtù fantastica partorisce il
proprio obbietto, e si fa; di modo che scegliendo il meglio di natura
ed elevandolo a valore di tipo, a questo vien conformando V opera d* arte.
De medio lectam {formam) ttupra fidem extoUunt, et ad eam auos heroaa
con/ormant. (Ibi, 2.) E la memoria, potenza che rifa e penetra so mede-
sima, non potrebbe rifarsi e penetrarsi ove innanzi non si fosse fatta;
ne quindi può esser quella magra e sterile ritentiva di che ci parlano
i sensisti. L' intelletto è facoltà anche lui, perchè col determinarsi viene
a geminarsi nel giudizio, e perciò vede ; e vede, perchè occhio dell' intel-
letto è il giudizio : Judicium eat oculus intellectu» ; né potrebbe intellet-
tivamente vedere, se non intendesse; nò intendere, ove anch'agli, al
solito, non facesse il proprio obbietto. Intellectus verna faeultaa est, quo
quum quid intelligimua, id verum facimua, (Ibi, 5). In tutto questo il
Vico ormeggia Aristotele. Per es. la visione, secondo lo Stagirita, è Vatto
dd colore; l'udito è V aUo del auono. (Ravaisson Metaph, d^ Ariat., t. I,
p. 427. — Aeist. De An. I.)
• Il primo di questi due principii è evidentemente aristotelico, per-
chè dall* ou^SvitTiq al voù^, com' è noto, ricorrono parecchi gradi e sfu-
mature componenti tutte un unico processo: ^ója, ^àvTacr|ua, s<xo3v,
f^pòvn^i^y tnuTTTniivì {Log. d^Ariat*, Barth. Saint-Hilairk, tomo II,
par. II, sez. XI.) Il secondo poi è anche aristotelico, e risponde all' in-
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320 DELLA DOTTBINA FILOSOFIOA. [lIB. U.
In quest'organismo psicologico abbiamo due serie
diverse di funzioni, e sei gruppi di facoltà; teoretiche
e conoscitive le une, operative e pratiche le altre. Sen-
SO; Immaginazione e Ragione formano il processo della
Ragion conosciHva: Conoscere, Volere e Potere compon-
gono il processo della Bagione operativa. Uno è il circolo
psicologico, ma incarnantesi attraverso gemina forma;
perocché lo spirito, come ogn' altra unità originaria,
si determina e si ostrica per dualità. Il Senso. da una
parte, e il Potere dall' altra, son facoltà rudimentali,
empiriche, sintetiche, ma di sintesi grossolana. Elle ci
esprimono, secondo il concetto aristotelico, un medesimo
principio, ma sotto due condizioni diverse, precisamente
come l'intendimento. e la volontà.* Il senso che solle-
vasi dapprima a valore di percezione empirica, poi di
rappresentazione, poi di concetto, poi di nozione e di
idea; e il potere naturale eh' è dapprima istinto fisio-
logico e poi istinto psicologico, poi desiderio e pas-
sione, poi arbitrio, quindi volontà e libertà; queste
due serie di funzioni, io dico, si vanno sempre pili
accostando fra loro, e somigliano (per usar la frase
dello Stagirita) alle due branche d'un angolo, e rie-
telletto teoretico e intelletto pratico; ma altri molti prima del Vico
n'aTean dato cenno, per esempio sant'Agostino (eh* egli stesso cita a que-
sto proposito), il Campanella {Metaph., lib. 1, cap. 8, art. 8), e potremmo
citare anche la triplice forma d'intelletto del Pomponaccio, nonché quella
del Bruno. Antecedenti, dunque, ce ne sarebbero a buon dato. Ma non
bisogna dimenticare che la novità psicologica del filosofo napoletano
risiede nell'uso ch'ei fa di questi due concetti; T applicazione storica
di essi, da una parte, e, dall' altra, il considerar le facoltà psicologiche
come altrettante funzioni d' unico principio. L' una cosa riesce evidente
a' più superficiali lettori della Scienza Nuova; l'altra s'induce dal
complesso delle sue dottrine. — Un' altra osservazione. Quando il Vico
nel Libro Metajieico riduce a tre le operazioni della mente {Percezione,
Giudizio e SiUogi»tno\ più che alle facoltà, evidentemente guarda a' pro-
dotti di esse; più che alla Psicologia, tien l'occhio alla Logica. Nella
Scienza Nuova poi considera le tre facoltà conoscitive (Senso, Immagi-
nazione, Ragione) in attinenza col processo isterico, nel quale fantasia e
immaginazione hanno grande importanza. Ma sia eh' egli consideri le
facoltà, sia che i loro prodotti, il processo ha sempre una medesima legge.
« Abtibt. De An, III, 7.
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CAP. V.] ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. 321
SCODO entrambe ad un termine superiore, eh' è il co-
noscere, ma al conoscere come Ragione; al conoscere
in cui le sottostanti facoltà diventan la stessa ragione,
in quanto che sono da essa legittimate.*
' Non potendo entrar nell* analisi particolareg^ata delle funzioni
teoretiche, ristrinsriamo qui In nota i diversi gradi e passaggri del pro-
cesso conoscitiTO secondo i tre grappi segnati i dal Vico: (Senso, Imma-
ginazione, Ragione: Percezione, Giadizio. Sillogismo):
I. a) Sensazione. — Importa la necessità d* un principio sensiente, e
d*on termine sentito; ma entrambi indistinti e formanti unità incon-
sciente e confusa. L*obbietto (il termine del sentire) non è poeto, ap-
punto perchè non ò appreso come oppoeto; ma è come sovrapposto e
sopravvenuto da fuori. Il eeneo dunque è il principio del conoscere, ma
principio iniziale, estrìnseco, occasionale, e come tale suppone un prin-
cipio intrinseco, ed essenziale: sicché quantunque paia estrinseco, è
nondimeno incluso nel circolo psicologico.
b) PRRCEZIONB EMPIRICA (Coeeìenza empirica), — Necessità d' un
principio percettivo, e d* un oggetto percepito ; ma percepito come puro
oggetto, cioè come oggetto indeterminato e oppoeto al soggetto che lo
percepisce sotto forma al tutine empirica (!<» carattere dell' «tUc umano).
e) Rappresentazione semplice. — Necessità d' un oggetto deter-
minatOf singolo, e però fornito di qualità {/antaema). Il fantasma si pre-
senta necessariamente come un opposto più determinato appunto perchè
è opposto, ma è un opposto tuttora empirico.
d) Rappresentazione immanente. — K la rappresentazione sem-
plice che si fissa (Memoria empirica: Betentiva). Ella perciò richiede un
fantasma indeterminato, e quindi segna un primo grrado dì vera oppo-
sizione, la quale ha luogo fra il soggetto e V oggetto. Appresso il fan-
tasma, assumendo forma generale e comune, importa la necessità d*un
eegno atto a fissarne le proprietà {Immaginazione rintegratrice).
e) Rappresentazione riproduttrice. — Riproduce e trasforma il
prodotto della facoltà anteriore. È un grrado di memoria, ma superiore
alla semplice retentiva, e però abbisogna del linguaggio. {Tmmaginaxione
volontaria — Immaginanone riproduttrice).
II. /) Immaginazione). (Immaginazione eombinatriee. Fantaeia),— L'og-
getto è già divenuto vera immagine ( Univereah poetico). Necessità quindi
della parola propriamente detta {verbo).
L'Immaginazione è funzione essenzialmente mobile, contraddittoria.
Il suo oggetto è insieme determinato e indeterminato, particolare e
universale, ideale e reale. Se dunque la sua natura sta nell' opposizione,
ella non può non costituire il passaggio necessario ad un 2° gruppo di
facoltà conoscitive, che comprendiamo nella parola Lttendimento.
g) Intendimento. •— L' obbietto è il fantasma, ma divenuto con-
eetto: perciò è davvero posto, perchè opposto {objeetum propriamente detto).
h) GiODizio. — £ di sua natura una dualità, e quindi importa dop-
pio elemento ( Vero e Fatto), Questa dualità, a cominciare dal Senso fino
SiciLiAM. r^^k^T^
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322 DELLA DOTTRINA PIL080FIOA. [lIB. H.
Ciascun gruppo di funzioni conoscitive forma an-
ch' egli un processo ; e anche in questo le facoltà psichiche
somigliano alle funzioni organiche, perchè come queste
non s' intenderebbero, ove si prescindesse dal concorso di
tutte, eh' è dire dal concetto della cospircunone organica.
Ogni grado, perciò, ogni forma in che viene a specifi-
carsi ciascuna funzione, è com'un apparecchio della
facoltà che le tien dietro, al modo istesso che questa
è complemento della prima. Tutte fra loro stan così
come la materia alla forma, come la potenza all' atto,
e propriamente come 1' » vre^sx"» e 1' s\épystei aristotelica.
Or tale apparecchio e complemento scambievole, pro-
gressivo e sempre piiì ascendente, sarebbe impossibile
senza una serie di leggi d'ordine meccanico e natu-
rale. Queste leggi costituiscon quel determinismo che
la psicologia non potrebbe oggi disconoscere, senza ne-
gare le occulte attinenze eh' eli' ha con la fisiologia.
Leggi meccaniche, come in fisiologia, si verificano altresì
nel regno dello spirito, nella storia, nella psicologia. E
non è certamente errore il parlare d'una statica e di
una meccanica psicologica, come fa la scuola Herbar-
tiana che nella interpretazione de' fenomeni psichici ha
preteso introdurre il calcolo; ma errore parmi il non
vedere come, accanto alla statica e alla meccanica, ci
sia pure una dinamica: dinamica d'ordine superiore, a
spiegar la quale non v' è calcoli né leggi d' equilibrio
che valgano. Se di tal distinzione avesse tenuto conto
r Herbart, non sarebbe venuto alla nota quanto erronea
sentenza, che ragione e libertà non abbian niente di
air Immaginazione, va sogrgretta ad un processo -sempre più evidente. Nel
giudizio i termini della dualità stanno di fronte, irresoluti; e perciò V op-
posizione segna la necessità e quindi *1 momento della risoluzione.
i) Sommi generi di gtddizi ( Induttivo^ Deduttivo, EduUivo). — Co-
stituiscono anch' essi fia loro un processo. Nella sua terza forma il giu-
dizio non è altrimenti giudizio e opposizione, ma converriont de* due ter-
mini, e quindi passaggio necessario alla funzione raziocinativa.
III. k) Ragione. -— L' oggetto è il concetto divenuto nozione, la no-
zione divenuta idea, e quindi metodo e scienza. Tre forme di metodo:
tre sfere di scienze. (Vedi p. 230 e scgg.)
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GAP. T.] ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. 323
primitiYG, ma sieno entrambe un fatto psicologico risul-
tante da cagioni precedenti, che vuol dire estrinseche.*
Noi riconosciamo leggi di statica e leggi di mecca-
nica nel processo psicologico. Riconosciamo un mecca-
nismo e un determinismo onde la psicologia per intimi
vincoli riesce ad allearsi con la biologia, e condanniamo
quello spiritualismo che, campato a mezz' aria, sdegna
qualunque parentela od attinenza col regno delle leggi
biologiche. Ma di là dal meccanismo sarà pur d' uopo
riconoscere un dinamismo : un dinamismo puro, indipen-
dente da ogni dato fisico e materiale, perchè pensiamo
che se condizioni d' indole meccanica debbono aver
luogo fra le potenze componenti un dato gruppo di
facoltà, fra gruppo e gruppo, invece, è da supporre V esi-
stenza di leggi e condizioni d' indole dinamica. Come
dimostrare tutto ciò? mi si chiederà. — Quant'alla ne-
cessità delle leggi meccaniche nel processo psicologico,
io rispondo, ninno oggi vorrà dubitare. La fisiologia e
la zoopsicologia se ne rendon mallevadrici.' Quanto poi
all'esistenza delle condizioni puramente dinamiche, una
dimostrazione diretta e sperimentale è impresa vana.
Solamente se ne potrebbe indurre la necessità, come
vedremo, indagando la relazione esistente fra il pro-
cesso psicologico, e il processo cosmologico ; eh' è dire
fra la genesi dello spirito, e quella della natura. Qui
dobbiamo notare che, ove un occulto dinamismo non
esistesse nel processo psicolosfico, tornerebbe davvero
impossibile dar ragione di certi fenomeni psicologici,
massime di quelli risguardanti le facoltà superiori.
Chi dirà che bastino le legaci meccaniche a spiegare,
per esempio, il passaggio dal senso all'ultimo grado
* Dici, des Scienc. Phil. — WiLsr. ffUt. cit., voi. lY.
• Dopo gli ultimi studi sul cervello ninno dubita osrjrimai della ne-
cessità delle varie parti cerebrali nelle funzioni psicbicbe. Cfr. Flourkns,
De la Pkrénologief 60. ; Pgjfeol. comparhy 1865. — H. Tainb, 7>e V Intel-
ligenee^ voi. II, llb. I, cap. III. — Lauoel, Probi, de V Atne, — Litthé,
Revue de Phil. Potit., settembre 1868. — Consulta anche le op. «it. di
VuLPiAN e di Lhuts.
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324 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
dell' immaginazione, cioè all' intendimento, nonché il
passaggio dall'intendimento alla ragione? Fra il ter-
mine sensato dell' intuizione e '1 fantasma e' è un abisso.
Un abisso tra il fantasma^ tra il fantasma anche salito
ad universale poetico^ ed il concetto. Un abisso ancora
fra il- concetto, e la nozione, l' idea, V universale pro-
priamente detto. Bisogna credere, perciò, che dall' un
gruppo all'altro di funzioni psichiche non esista con-
tinuità, ma transito ; non passaggio immediato, ma in-
tervallo. Or bene, come, altro che per miracolo, l' una
facoltà potrebbe trasformarsi nell'altra? Non è dunque
la facoltà che si trasforma e diventa ; ma è lo spi-
rito che si forma, che si determina nel multiplo e me-
diante il multiplo delle facoltà. Laonde attraverso e al
disotto a questa multiplicità di funzioni, è mestieri sup-
porre una facoltà madre che, come facoltà deUe facoltà
compia i diversi passaggi e intervalli, e sia come il
principio dinamico dell'organismo psicologico. Ma di
questo faremo parola nel prossimo capitolo dove ricer-
cheremo la genesi del processo psicologico. Seguitiamo.
Quel che s'è dettò del processo conoscitivo, dicasi
pure del processo operativo e pratico dell' organisriio psi-
cologico. Una medesima legge governa tanto la genesi
del conoscere, quanto quella dell'operare. I diversi
gradi e momenti del processo operativo rispondono a' di-
versi gradi e momenti del processo conoscitivo. L'operare
infatti è determinato dal conoscere per necessità tutta
psicologica. Come dunque potrebbe non riprodurre la
medesima legge? *
* Il processo pratico suppone il teoretico, stantechò la funzione yo-
litiva, alla quale si riferisce ogn' altra facoltà d'ordine operativo, sia
funzione essenzialmente secondaria. Accenneremo qui i diversi passag^
di questo processo secondo i tre gruppi (no««ey oeU«,^oMe) additatici dal
Vico; ma ci ristringeremo a notarne i difTerenti gradi seguendo l'ordine
ascensi vo, tuituraU e, per cosi dire, cronologico.
L a) Istinto fisiolooigo. — Risponde alla Sensazione; anzi è la
sensazione stessa, ma sotto l'aspetto riflesso, attivo, comecché inco-
sciente. In esso quindi si ripeton le medesime condizioni, non altro essendo
fuorché unità incosciente e confusa fra Vagente e'I motivo dell'azione.
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OAP. V.] ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. 325
Additato così con fuggevoli tocchi il doppio aspetto
onde risulta il processo psicologico, potremo intendere
ormai quella dottrina del nostro filosofo a cui più di
una volta venimmo alludendo nelP abbozzar la storia
della Scienza Nuova: dico la dottrina del Vero e del
Certo, che ha riscontro con V altra della Bagione e dd-
VAidorità, 11 vero è produzione di Ragione; il certo è
produzione d^ Autorità,^ Ma come nelP ordine conosci-
b) Istinto uitano (il poste del Vico nel sao primo grado empi-
rico). — Si ripeton le condizioni della Percezione sensata. I due termini
qui cominciano a distingaersi ; ma VigUnto non è por anche desiderio.
L'istinto anche qui è immohile, è cieco, e pnr nonostante è umano. Ed
è umano principalmente perchò non può rimanere istinto^ ma dehb* esser
superato dal desiderio, dee diventar desiderio.
e) Dbsidebio. ~ Risponde alla Rappresentazione, e n' è T attività.
Il motivo dell* azione è determinato, particolare. Quindi fra questo motivo
e r agente havvi necessità empirica, immediatezza.
d) Passignk. — Risponde ai primi gradi deirimmaginazione, e, come
questa, è mobile e varia; e perciò è meno indeterminata che non sia il
desiderio. Il Desiderio è uno,' la Passione ha più forme. L'obbietto che
la determina non è il particolare, e neanche il generale. Appartiene al-
r individuo considerato non come individuo, ma com' elemento di società.
Segna dunque un passaggio ; il passaggio dal desiderio al libero arbitrio.
II. e) LiBRRo ARBITRIO. — L* obbietto è generale, astratto ; perciò è
più mobile della Passione, e quindi costituisce il passaggio dalla necessità
empirica alla necessità razionale (libertà volgarmente intesa). Risponde
alla Immaginazione imitatrice e riproduttiice eh* è tuttora schiava della
natura; al modo istesso che il libero arbitrio è dominato da un motivo
tuttora eteronomo.
/) Dbtkrminazionk (passaggio del libero arbitrio alla Libertà). —
Risponde, più che all'Immaginazione (combinatrice), alle varie forme del-
l' Intendimento. Varietà d* obbietti.
g) SuK DIVBRSR POBMB {contrarietàf contraddizione j dezione). —
Anche qui ha luogo un processo come neU* Intendimento. L* elezion ra-
zionale non ò più libero arbitrio, ma Libertà.
III. h) Libertà. — È determinata dalla Ragione : perciò importa la
necessità razionale. Libertà quindi è dovere appunto perchè è ragione.
Ma può tornare ad una delle tre forme d'arbitrio, stantechè la neces-
sità, ond'è signoreggiata, sia necessità morale.
») Personalità. — È T Autorità che si converte con la Ragione. È
il risultato del processo psicologico, e rappresenta il circolo delle facoltà
perchò le suppone tutte, e le contiene in atto. 1& dunque la circonfe-
renza, cioè rio pienOf attuale. Qual n*è il centro? (Vedi nel Gap. seg.)
* n concetto à^ÀtUorità è una delle idee cardinali dell'opera sul
Piritto UniversaJle. Noi' qui ne parliamo per incidenza; perchè questa
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326 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
tivo è mestieri che il vero si converta col fatto, così nel-
r ordine pratico il certo fa d'uopo che si converta col
vero. In altre parole, se il processo teoretico guardato
psicologicamente è una conversione del vero col fatto;
il processo operativo, al contrario, guardato storica-
mente, è una conversione del certo col vero. La rela-
zione che il Vico pone tra il Vero e '1 Certo, somiglia
quella che nell'Aristotelismo tiene la forma verso la ma-
teria, ma considerata nel processo isterico. Risponde
altresì alla relazione eh' egli medesimo scorge tra la
filologia e la filosofia. La filologia porge i placiti del-
l' umano arbitrio (placita humani arbitri) ; la filosofia
indaga i principii necessari di natura (necessaria na-
turcey Perciò][aiferma : « La Filosofia contempla la Ra-
gione onde viene la Scienza del Vero: la Filologia
osserva V Autorità deW umano Arbitrio onde vien la
Coscienza del Certo.^n Or la Ragione, producendo il
dottrina dovendo esser considerata principalmente sotto T aspetto istorico
(nel che sta tutto il suo pregio e la sua norità), dovrà quindi formare
oggetto d' interpretazione e dì studio nella Sociologia. Qui dobbiamo
avvertire solamente che, quantunque i siguiiìcati della parola Autorità
pel Vico sian diversi (Autorità polìtica, religiosa, monastica, incononiica,
civile e simili) nullameno tutte le specie d'autorità, chi interpreti bene
la sua mente, hanno d' aver per fondamento originario queir An^ontò alla
quale, propter rerum novitateìn^ ei volle dare un titolo nuovo, e V appellò
AUCTOttlTAS NATURALIS, ACCTOEITAS ì>tATURMj[De Univ. Jur., XCI). PerciÒ
la definisce: Humana: natura: proprietae (Ib. XC). Perciò non dubita
chiamarla divina. Perciò la designa come T unità vivente delle tre fun-
zioni costituenti l' ordine pratico psicologico: noBsCf velie, posse (Ib. XCU).
Perciò, finalmente, la dice Suitas; e la Suitas nell'uomo vale, per lui,
ciò che in Dio VAseitas (Ib. XCUI). Vedremo altrove esser questa una
dottrina originale onde l'autore della Scienza Nuova prevenne la moderna
filosofia del Diritto. Del che niuno de' critici di cui parlammo ha avuto
sentore, tranne il Carmignani e l'Amari; ma l'uno, come dicemmo, ne
parla superficialmente, e l'altro in senso tutto cattolico e tradizionale.
* De Constantia Jurispr., Proem., 4.
* Sec. Se. Nuova, lib. I, p. 98, X. — Si noti qui, a maggiore schiari-
mento del metodo vichiano, che la Filosofia è quella che contempla, e
la Filologia quella che ossa-va. Secondo il nostro linguaggio, quella de-
duce, e questa induce. Or la Scienza Nuova non fa propriamente l'una
cosa, né l' altra. Essa pone in opera entrambe cotoste funzioni, e le
couipenctra in una terza che dicemmo essere il ma),àstoro eduttivo.
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CAP. V.] OKGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. 327
vero^ costituisce il processo della coscienza ; in mentre
che r Autorità, producendo il certo e legittimandosi
nella ragione, forma il processo dell'autocoscienza, e
partorisce il concetto della personalità (Proprietas sui;
Suikis). Sotto l'aspetto isterico, perciò, l'Autorità è il
libero arbitrio che diventa libertà, e quindi Ragione:
sotto l'aspetto psicologico è lo stesso libero arbitrio
già divenuto ragione. Ond' è che come il certo non è
il vero ma una parte del vero^ così V Autorità non è
Ragione, ma è partecipe di ragione.* — Che cosa è da
concludere da tutto ciò ? Che il processo pratico, riguar-
dato psicologicamente, comincia là ove finisce il teore-
tico. Questo, infatti, s' inaugura col senso, e, sempre più
ascendendo, si risolve nella ragione. Quello, invece, move
dalla ragione avvisata come semplice colioscere, e, tran-
sitando pel volere, finisce nel potere; ma nel potere
divenuto già attività concreta, piena, reale, vivente,
stantechè il libero volere importi la ragione. Che se
tra conoscere ed operare, fra coscienza e autocoscienza,
0 (per usare il linguaggio del nostro filosofo) tra Ra-
gione e Autorità, fra il Vero e il Certo e tra filosofia
e filologia havvi un processo; è necessaria, è inevitabile
una conversione fra' due termini. Dunque 1' Autorità
devesi poter elevare a dignità di Ragione; al modo
istesso che la ragione operativa debbe aver coscienza
di sé medesima anche come ragion conoscitiva. Or che
è ella mai cotest' Autorità convertitasi in ragione se
non l'autocoscienza? E non è appunto quest'Autorità
autocoscente quella che, assolvendo l' uno e l' altro pro-
' Ut autem VBRUM constai RATiONE, ita criltuu nititur auotoritate,
vd noHra $en»uum quat dicitur aUTO^i'a, vel aìtorum dicti», qua in tpeei^e
dicitur AUOTORlTAS, cx quorum alterutra naicitur PRRSCASIO. Sed ipta aucto-
RITA8 e«t ^ar» ^rwofrfam RATiONis. {De Univ. Jur.y Proloq., 7.) Vedi le di-
verse applicazioni del Vero e del Certo: (Ibi, LXXXII, LXXXJII, OLII, 5.)
Il primo scolare del Vico. Emanuele Dani, come arrertimmo, fin dal se-
colo passato colse giusto in questa dottrina del suo maestro, massime
quant* al valore e alla relazione de' suddetti concetti. (Tedi Saggio di
Oiuriprndenza Unirrr^aU, ed. cit., p. CVIII).
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328 DELLA J>OTTBINA FILOSOFIOA. [UB. II.
cesso, costituisce l'essere veramente umano (universale)?
E che cos' è l' ente umano, che cos' è VHumaniiaSj per
cui l'individuo è davvero individuo, subbietto verace-
mente universale, fuorché la personalità? E che cos'è
la persona se non queir unità vivente e operante del
triphce diritto originario (tutèla^ dominio e libertà) nella
quale s' incarna e s' impersona la triplice funzione del
Potere, del Volere e del Conoscere?*
Col concetto su la relazione fra il processo conosci-
tivo e '1 processo operativo dell'organismo psicologico
il Vico non solo previene l' esigenza Kantiana del dop-
pio ordine di ragione, ma, che più monta, la supera.
La previene distinguendo la Ragion pura (Batio) dalla
Ragion pratica (Autoritas). E dovea distinguerla, per-
chè i due processi conoscitivo e pratico, tuttoché for-
manti unico organismo, hanno, come s' è visto, origine,
natura, e andamento diverso. La supera poi, in quanto
che scorge la conversione (ripetiamolo) non pur fra
l'una e l'altra ragione, ma eziandio nell'una e nell'altra
guardate ciascuna in sé stessa. Come processo conosci-
tivo la Ragione dee convertirsi con sé stessa; e non
potrebbe, ove non divenisse anche Autorità. Come pro-
cesso pratico l'Autorità non potrebbe neanch' ella con-
vertirsi con sé medesima, s' ella stessa non divenisse
Ragione. Li altre parole: il conoscere non potrebb' es-
ser vero conoscere, ove non fosse un processo, una con-
versione de' tre gruppi di funzioni teoretiche innanzi
discorse. L'operare non sarebbe vero operare, se an-
ch'egli non fosse una conversione de' tre gruppi delle
funzioni operative. Finalmente il processo conoscitivo
* De Univ. Jur. LXXXVl, XC, XCII.— Di qui nasce il concetto del
gitu e della libertà secondo le dottrino Yichiane, come altrove mostre-
remo. Ma già i lettori prevedono qnal uso noi saremo per fare di cotesta
dottrina nelle questioni polìtiche, giuridiche, religiose e pedagogiche.
Posto il concetto àdV Auctoritcu naturalU^ e dell* Autorità in generale
come particeptf RaHonUy cioè come facoltà che devesi convertire con la
Ragione, ognuno saprà argomentare qual valore giuridico abbian per
noi r autorità politica e 1* autorità religiosa nelle teoriche sociologiche.
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OAP. y.] ORGANISMO B PROCESSO PSICOLOOICO. 329
e '1 processo operativo non sarebbero tali, ove non fos-
sero essi stessi una conversione tra se medesimi. Così il
circolo è compiuto; e così rimane sbandita ogni maniera
di dualismo e di formalismo nel regno della psicologia.
Or la mancanza di processo è precisamente il tarlo
che rode le dottrine del Kant. Posto il noumeno come
un'incognita, posta la conoscenza com'una specie di
combaciamento meccanico anziché come processo dina-
mico del fatto con l'idea e della materia con la forma;
non poteva non chiudersi ogni via per intendere il fe-
nomeno, e salvarsi dal cadere in quella specie di scetti-
cismo metafisico del quale altrove toccammo (p. 238).
Senza esempio nella storia della filosofia egli dimostra
la necessità di certe condizioni superiori all' esperienza
nel fatto del conoscere. Ecco la massima sua gloria. Ma
non perviene a spiegar cotesto fatto, perchè non giunge
a risolvere il dualismo tra la sensibilità e l' intelletto
col discoprirne il germe comune eh' egli stesso )ion du-
bita chiamare sconosciuto.^ D'altra parte, dal disegno
della Critica della Ragion Pura egli trae quello della
Critica della Ragiofi Pratica, Nell'una move dal senso,
e, attraverso l' intendimento, giugne alla ragione. Nel-
r altra tiene un cammino opposto, perchè dal concetto
di libertà scende nelle facoltà inferiori. Or 1' errore
non istà, certo, in questo cammino, in questo circolo ;
ma piuttosto nell' aver interrotto cotesto circolo. Donde
avrebbe dovuto partire nell' organar 1' edifizio della
Ragion Pratica ? Precisamente da quel punto ove' pon
termine la Ragion Pura, Egli invece fa un salto; salto
mortale; perchè voltando le spalle alla ragion pura (né
poteva altrimenti), si basa nel concetto di libera cau-
salità.* Ov' è dunque il processo fra l' un ordine e l' al-
tro? Ov' è r unità, r organismo del circolo psicologico?
Nella distinzione Kantiana e' è del vero. Ed è che
la Ragion Pura è facoltà passiva in quanto ha per
* Kant, Orit, de la Raiaon Aire, p. 57, terza ed., Tissot.
> Idem, Crit. de la Maieon Pratique^ p. 98, 220,
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330 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. H.
termine il fenomeno, tuttoché s' addimostri attiva nel
concepire e disporre e costruir questo fenomeno me-
diante quella mirabile tela delle categorie.* La Ragion
pratica, al contrario, è profondamente attiva, stante-
che con r atto del puro volere ella ponga il noumeno^
Se non che il grand' uomo non vide che né la Ragion
pratica è assolutamente attiva, né la Ragion pura è
assolutamente passiva. Il conoscere, certo, serba carat-
tere di passività ; non altrimenti che V operare ha ca-
rattere d' attività. Ma sono tali in modo relativo. Sono
tali, cioè, in quanto T ordine pratico sopravviene a
compiere il teoretico, non già nel senso che nel se-
condo abbiasi a conseguire ciò eh' è riescito impossibile
nel primo, vo'dir la* posizione del noumeno. Che cos'è
infatti cotesto noumeno nell'ordine pratico? Perchè la
Ragion pratica s' ha da porre qual puro volere, cioè
com'un fatto a priori? Insomma, che cos'è questo ro-
lere che vuole sé stesso?
A tal grave quesito il Criticismo non risponde, checché
ne abbia detto poco fa uno della scuola della Morale In-
dipendente che in ciò crede poter ormeggiare il filosofo
prussiano. Che anzi, se la legge morale procede dalla li-
bertà come volontà indipendente e superiore a qualsi-
voglia motivo, cioè come autonomia che trascenda ogni
eteronomia; è da confessare che un principio siffatto è
condizione ni tutto subbiettiva, e quindi sorgente mu-
tabile appunto perchè assolutamente libera. Un atto
assofuto di volere,- il volere come volere, io non l'in-
tendo. Non intendo il voglio perchè voglio^ giusto perchè
non capisco un atto che sia razionale e insieme scisso
e quasi staccato dalla ragion pura. Brevemente: non
intendo una Ragion pratica che non sappia né possa
convertirsi con la Ragion teoretica.'' Se la radice del
* Kant, Orìt, de la liaison Pure, ed. cit., p. 158 e segg.
* Idem, Orit, de la Raiaon Pratique, cap. II, p. 325.
* Secondo il Kant la Ragion pura, oltr' esser fornita dell* uao tpe-
culiiivoy ha eziandio un tntereaae pratico ; il quale consiste semplicemente
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OAP. V.] ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. 331
dovere sta nel sapere; la volontà di sua natura sarà
sempre una funzione secondaria, non mai primaria : si
che, ove nel processo istorico si svolga da sé, in tal caso
ella si determina non già come libertà, ma come potere,
come desiderio, come passione, come libero arbitrio.
Laonde se il filosofo prussiano sente la necessità d' un
reale nel suo formalismo critico, cotesta necessità per lui
non può racchiudere il vero concetto del dovere, perchè
importa una tendenza cieca. Non è dunque un atto etico
veramente detto, ma un bisogno assolutamente empirico.
Dal che si vede agevolmente non essere al tutto vero ciò
che aflFermano due serie di critici rispetto alla natura
de' due ordini di ragioni poste dal Criticismo. Alcuni
credono esserci contradizione perchè, mentre Ja Ragion
pura è indirizzata solamente (tuttoché con artifizio for-
male) a regolare V esperiènza, la Ragion pratica, invece,
è destinata a ricostruire, a costituire; e costruisce mercè
la posizione del noumeno, del libero volere, reintegrando
siffattamente i postulati distrutti nell'ordine teoretico.
Altri pensano, fra* quali Spaventa,* che la contraddi-
zione non istia già fra le due Ragioni, ma in ciascuna
d'esse. Per noi è vera l'una e l'altra sentenza, ma in
questo senso; che la contraddizione del Criticismo non
istà, come abbiam detto, nel porre due sfere diverse di
ragioni; due ordini di processi psicologici, ma si nel
non aver risoluto nessun de' due. La contraddizione
esiste non pure in ciascuna delle due sfere, ma anche
tra l'una e l'altra ad un tempo; con la differenza, che
nell' un caso eli' è essenziale, dovechè nell'altro è secon-
daria. Togliete quella, e avrete insieme levato questa.
Togliete il dualismo e '1 formalismo nella Ragion pura,
avrete parimente riparato al formalismo e al dualismo
della Ragion pratica. Perciò sommettete a processo
nel determinaref non già ne) eogtituire la Ragion pratica. (Ibi, p. 825.)
La Ragion pura pratica »i eoHituiace da «2. Ecco il grave difetto del
Kantismo nell* ordine morale.
« FU, di Kant e «uà relaxione coUa FU, /tal., Torino, 1860, p. 67.
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332 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [UB. U.
Puna e 1' altra, e avrete schivata la contraddizione; e
invece delle Idee sulla Storia Universale^ idee che paion
come disorganate, avrete l'organismo della Scienza
Nuova.^ Or la contraddizione, che per tre divers^e ma-
niere offende il Criticismo, potrà essere tolta unicamente
quando dalla dualità, onde non si potè liberare il Kant,
sappiasi risalire all' unità sua. Qual sia questa radicale
unità da cui move, ed alla quale ritoma il processo
psicologico, diremo fra poco. Torniamo al Vico.
La Ragion pratica, l'Autorità, VAuctorUas naturalis^
che per lui costituisce la base del processo pratico in
tutt'e tre i momenti in che questo si svolge, non è già
un primo staccato da un altro primo al tutto formale,
ma è un secondo che si converte con un primo^ e per
tale conversione formano entrambi, anziché dualità ir-
resoluta, unidualUà, Per l'Autore della Scienza Nuova la
ragione, in quanto ragione, è una non due,^ Non due
perciò le sorgive onde rampollano i ragionamenti ; bensì
* Il significato della storia pel Kant si riduce a questo. Come gli
uomini si son costituiti in società per ischivar la guerra, cosi tutt* i
popoli tendono a stabilirsi in federazione universale {Idée de eeque pour-
rait ètre Vhiètoire universelle dana le» vuee d^n eitoyen du monde, 1784).
La P sentenza è un errore degno degli Hobbesiaui: la 2" è un'utopia
la quale partorisce 1* altra della Pctce universnlcf e V altra ancora d* una
Chiena filoeofica il cui fine dovrebb' esser quello di sorvegliare alla mo-
rale del genere umano (Vedi nella Relig, dana lee lim. de la raiwn). Sennon-
ché è impossibile spiegar la stona col porne V origino in una condizione
accidentale, in una necessità euipirica qual' è appunto la guerra. II fatto
isterico può essere spiegato col risalire alle leggi psicologiche, e scoprirne
il processo. Or poteva egli, il Kant, prefiggersi tal fine s* ei non seppe
levare il dissidio fra le due Ragioni e mostrarne la conversione V Da ciò
anche dipende quel proporre, air attuazione del progresso, mezzi affatto
artiflziali com'è la federazione universale, la chiesa filosofica, e simili.
* « Con lo apiegarai delle umane idee^ i fatti, i diritti e le cose umane
si andaron sempre più dirozzando, prima dalla acrupoloaità delle auperatì-
zioni, poi dalla aolennità degli atti legittimi e dalle angustie delle parole,
finalmente da ogni eorpìdenxa; per ridursi al loro puro e vero principio
che è loro propria aoatanza. * Or qual è questa aoatanza propria, qual è
questo principio vero e puro àe^ fatti e de' diritti umani^ eh' è dire del-
l' ordine pratico? È la aoatanza umana, la noatra volontà determinata
dalla noatra mente con la Forza del Vrbo che ai chiama Coscienza.
{Prima Se. Nuova, lib. II, p, 44-5.)
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GAP. y.] OKQANISHO E PROCESSO PSICOLOOICO. 333
due le maniere del ragionare. Di fatto, se lo spirito in
quant' è conoscere (Batio) produce il vero e dà la scienza ;
e in quant' è operare (Auctoritds) produce il certo e cosi
esplica e conferma la prima, ovvero la prenunzia e Y an-
ticipa ; ne viene che tra Y ordine teoretico e Y ordine
pratico una conversione è necessaria. In che risiede
r intima natura della volontà? Intelletto e volontà, nel-
r ordine psicologico spontaneo, hanno radice comune:
per cui se r atto del volere non è propriamente atto
d' intendere, e nondimeno lo sforzo d' intendere : è lo
stesso conoscere, ma in quanto si realizza come Ragione
universale, come operare umano, autonomo, razionale.
La ragione dunque è facoltà di conversione per eccellen-
za ; e quindi lo spirito dee conformarsi al naturale ordin
delle cose. E che è mai il naturale ordin delle cose? È
la Datura, l'essenza, il valore, l' essere stesso delle cose.*
Ora, conformarsi all'essere delle cose, non vuol dire
convertirsi con lui, diventar lui? Col concetto d' ordine
adunque il Vico determina la natura non del solo co-
noscere ne del solo operare, ma la natura d' entrambi;
cioè della Ragione vivente e concreta; della Ragione co-
mune, universale, imiana. La quale, supponendo già il
concetto d'ordine, cioè dire supponendo il processo
Qpnoscitivo, importa anche il processo operativo come
risultato necessario dell' essenza umana.*
* Con/ormatìo eum ipso ordine rerum e$t et dicitur batio. {De Univ,
Jur.^ Proem.j 7.) Questa con/ormatio mentis suppone già il processo cono-
scitÌTO, e quindi il criterio della Convernone del vero col fatto. Ella dunque
è risultamento delle funzioni teoretiche, e insieme principio delle fun-
zioni pratiche. È la sostanza umana determinata con la Forza del Vero.
* Il Rosmini nella FU. del Diritto (voi. I, sez. II, X) fa la critica
del concetto d* ordine com' è inteso dal Vico. Il Finetti area fatto lo
stesso fin dal secolo scorso nelle sue polemiche col Dnni e col Concinna.
{De Prineip. Jur. ec, tom. II, cap. VI.) Ma né V uno nò 1* altro s*è accorto
come la facoltà, che per Vico dee conformarsi air ordine naturale, non sia
il puro conoscere e neanche il solo operare; cioè non la Ratio e nemmanco
VAuetoritas, ma la Ragione per eccellenza, la Ragione in quant' è risultato
finale e quindi princìpio del doppio processo psicologico. £ la ragione, in-
somma, in quanto è conversione essenziale con la natura, con la storia,
con lo Stato, col supremo suo fine, e della quale il Duni dice che dove
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334 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
Concludiamo quant' al processo pratico. La ragion
pratica non contraddice alla teoretica. Intanto eli' è
pratica, in quanto è comando ; ma è comando della ra-
gione fondata nel concetto del fine razionale, che vuol
dire d' un fine il quale iraponesi come legge, e perciò
come imperativo. Cotesto fine imperante, manifestato o
imposto dalla ragione (e tutto ciò per noi è ragion
pratica), inevitabilmente importa la necessità etica, il
cui soggetto è la volontà: ond' è che tra la volontà e il
suo fine, eh' è appunto il bene morale, òorre una sin-
tesi necessaria. Che se l' imperativo per Kant è la stessa
volontà in quanto è libera da ogni movente particolare
e d'ogni particolare interesse; anche per noi cotesto im-
perativo è il volere libero da ogni qualunque motivo,
meno da quello che scende dalla ragione, o per mezzo
della ragione; ma di quella ragione pura o conoscitiva
la quale, essendo il vero convertentesi col fatto, intende
e legittima il fenomeno. Fra lei e '1 noumeno non esiste
un abisso, com' è pur troppo pel Criticismo. E in questo
senso non ha torto Hegel d'affermare che libertà è
ragione, e ragione è libertà. Il motivo dell' azione, in-
fatti, è intrinsecato con la ragione; scaturisce non già
dall' estemo, come incontra nelle azioni di natura mec-
canica, ma dall' intemo. L'agente dunque è razional-
mente libero; e però è liberamente necessario. Il per-
chè se una sintesi necessaria annoda il volere col suo
fine, è pur mestieri che la volontà si converta con la
ragione, e produca la virtù. Così nella sfera pratica,
non diversamente che nella teoretica, il criterio è
sempre il medesimo : la conversione del vero col fatto,
eh' è dire della legge con la volontà. E poiché la legge
neir ordine etico partorisce il dovere, e la volontà nel-
r ordine giuridico produce il diritto; perciò accade che
la Morale, nella dottrina del nostro filosofo, deve stare
al Diritto cosi come il vero sta al fatto, come la Ra-
non c'^ uniformaziont,, non e'? ragione, (Vedi noi Saggio di Giuritprw
denzn Umvermle^ ediz, cit.: voi. cit. Gap. VI.>
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GAP. V.] ORGANISMO K PB0CE8S0 PSICOLOGICO. 336
gione air Autorità. Sono due sfere di fatti diversi; due
ordini di scienze differenti per origine, e per applica-
zione. Il Diritto non iscaturisce dalla Morale, ne tam-
poco la Morale potrà emerger dal Diritto. Se cosi fosse,
l'una di queste scienze annullerebbe l'altra, assor-
bendola. Esse dunque non s'identificano, ma si con-
vertono.*
Tal si è, come rapidamente l'abbiamo descritto, l'or-
ganismo psicologico ne' suoi elementi e nella sua natura.
Ma quest' organismo può e debb' esser considerato ri-
guardo a due soggetti, che sono l'individuo e la specie,
cioè dire psicologicamente e storicamente. Nell'individuo
ci è dato studiarlo, come chi dicesse, nella condizione
statica, cioè nel suo equilibrio, nella sua compiutezza,
a cagione delle mutue relazioni onde i due processi ri-
chiamansi a vicenda. Psicologicamente, infatti, il pen-
siero inaugura, determina e compie il processo pratico.
Lo inaugura come senso in quanto eccita il potere: lo
determina come rappresentazione, immaginazione, in-
tendimento che sveglia e sprona il volere: lo compie,
finalmente, come ragione, la quale costituisce l'essenza
stessa della libertà. La Ragione dunque è l'atto, la
forma dell'Autorità; come l'Autorità è la potenza e la
materia della Ragione.* Io voglio ed opero perchè cono-
sco : né per altro potrò conoscere se non perchè debbo
operare. La ragion del volere pone sua radice nel cono-
scere ; come la ragione e '1 fine del conoscere altro po-
trebb' esser che Y operare. Chi vuol conoscere per cono-
scere è un mezz' uomo. E la scienza per la scienza è
frase ch'io non intendo, come non la intendeva nem-
meno Aristotele.^ I due processi, adunque, ne' quali si
sdoppia e determina l' organismo psicologico nell' indi-
viduo, s' importano a vicenda, e tutt' insieme compon-
• Sotto il rapporto psicolosrico può dirsi, come più d*una volta ar-
verte il nostro filosofo, che ex Rottone Auctontas ipm orta ett. (De Univ.
Jur., XCIV.)
* Rayaisson, Em, 9ur la Mitaph. ec. T. I, 1. T, cap. II.
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336 DBLLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [LIB. n.
gono un sol circolo. In questo circolo per 1' appunto sta
l'autogenesi dello spirito.
Al contrario nella storia, che vuol dire nella specie
avvisata come un individuo attraverso il tempo, l'orga-
nismo psicologico ci è dato considerarlo quasi in via
di formazione, cioè sotto il rapporto dinamico, e perciò
nelle condizioni del movimento. Avviene infatti' in que-
st'ordin di cose quel che la scuola di Lamarck pen-
sava del regno zoologico. Nell'organismo compiuto, nel
mammifero, ci è tutta la scala zoologica, ma in atto;
al modo istesso che nelle differenti specie d'organismi
inferiori abbiamo l'organismo perfetto, ma come squa-
dernato nella successione seriale de' diversi momenti
del suo sviluppo. Se questa dottrina, secondochè al-
trove diremo, non è al tutto vera in ordine alla storia
naturale, è verissima nella storia umana. La condi-
zione statica non può verificarsi nell' ordine de' fatti,
massime de' fatti storici. Nel regno della realtà, anziché
quiete ed equilibrio, tutto è moto incessante, sviluppo,
attrito, disequilibrio perpetuo: onde la Statica sociale
de' Sociologisti non è che un' astrazione del pensiero. Il
processo psicologico adunque, avvisato staticamente, è
tipo, è realtà compiuta, alla quale c'innalziamo scru-
tando la natura dell'individuo, investigando le leggi della
psicologia. Un processo psicologico in via di formazione
non è altrimenti Statica, ma Dinamica. Ora il processo
psicologico è r atto, il tipo del processo isterico; e quindi
vana impresa è il pretendere d' imprimer ÌForma di
scienza alla storia, senza porvi a fondamento imme-
diato la psicologia. La storia non fa che ripeter la
psicologia; ma al modo che la circonferenza ripete il
centro. Che è mai la circonferenza fuorché lo stesso
centro considerato, direbbe il Gioberti, fuori di sé? Tal
è la specie rispetto aU' individuo ; tal si é pure la storia
di fronte alla psicologia.* Ciò che nell' una si compie
* Vedi le belle riflessioni del Noubisson in proposito. (La nature
humainef Ess. de Fsycol. appliquée, Paris 1865, p. 431 e se^g.)
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GAP. y.] 0B6ANT8M0 E PBOCSSSO PSICOLOGICO. 387
attaraverso lunghi secoli, nell' altra, cioè nell' individuo,
s' assolve attraverso una serie d' anni e di differenti età.
E ciò che sono i secoli per la storia e gli anni e le
diverse età per l' individuo, sono per la coscienza at-
tuale que' diversi momenti necessari aftinché ella possa
recare in atto la doppia fimzione del conoscere e del-
l' operare.
Ma per quante sian le differenze, la legge è sempre
una; non essendo possibile che le note essenziali alla
specie manchino ai membri, manchino agli elementi di
essa, ciò è dire agP individui.* Perciò nella storia tanto il
processo teoretico quanto il processo pratico s'inau-
gura cod come nell' individuo. U senso, lo vedremo in
altro luogo, sale a ragione attraverso le funzioni in-
termedie dell'immaginazione e dell'intendimento. Il
potere, l'istinto (il che verificheremo nella sociologia)
assume valore di Ubertà mercè la successione delle
moltiplici forme cui soggiaccion le passioni e le deter-
minazioni del libero arbitrio, e siffattamente crea il
Diritto e lo Stato. Così la storia è una correzione lenta
ma incessante, ma progressiva di due forze che mai
non posano, Autorità e Rag^ne.* La molla occulta del-
* Ce qui 9e paage dan» Vévolvtion 4e Vindividu est la tacine de ce qui
se passe dans VévoìuHon de Vétte eoUectii*. (Littbé, PatoUs de Phil. Posit.
2* ed.) Ognan vede che questo principio non è, come ci dicono i Po-
sitivisti di Francia, una loro invenzione peregrina. È uno de* con-
cetti fondamentali della Scienza Nuova; ed è insieme la correzione
del Comtismo, per la ragione più volte rammentata che la psicologia
pel Vico non iscatnrìsce dalla storia, ma è anzi la storia, cioè la scienza
istorica quella che dee tórre a modello, a criterio la psicologia.
* Tutte le opere del Vico sono una dimostrazione continua di
quésto concetto. Lasciando delle facoltà d* ordine conoscitivo, basta
meditare le diverse forme attraverso cui procede VAutotità, per vedere
come davvero ella sia potenzialmente ragione. Vi è progresso, per dime
un esempio, fra le tre forme d* autorità monasHcOf economica e eivUe (De
Univ. Jut. LXXIII e segg.) ; e vi ò progresso nella storia dell* autorità
considerata nelle diverso maniere del reggimento politico {Ptima Se, Nuova,
p. IH e segg. —Sec. Se. Nuova, p. 236, 342 e segg., 471,611 e segg.)
Scoprire la conversione dell' Autotità con la Ragione, è una delle sue
principali esigenze, e quindi uno de' precipui aspetti della Scienza Nuova.
SiciLuni. IO.
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338 DELLA DOTTBINA IILOSOFIGA. [UB. H.
r umano progredire, infatti, sta nella faticosa conver-
sione d' entrambe. Perchè sé la storia è la vita del ge-
nere umano,* il processo di questa vita, lo svolgimento di
quest'organismo altro non potrà essere fuorché il ridursi
di quella dualità a valore d' unità. Il processo istorico
adunque non fa che ripetere, ma sotto forme sempre
diverse, il processo psicologico : talché se la psicologia,
come ha detto il Michelet, é quasi la storia in miniatura,
cioè la storia come raccolta, adunata e quasi concen-
trata in un sol punto; la storia alla sua volta, secondo
l'osservazione altrove accennata del Cattaneo, altro non
sarà che la psicologia stessa in più vaste proporzioni, e
sotto aspetti molteplici e svariatissimi. Ma quel punto,
quel centro (ripetiamo la figura), vai tutta la circonfe-
renza; vai più che la circonferenza. Se la psicologia
infatti nasce dalla storia, chi vorrà dire che la prima
non possa essere altro fuorché una semplice appendice
della seconda? La psicologia è superiore alla storia,
come il presente è superiore al passato. E le leggi
psichiche sono anteriori a quelle del fatto istorico, al
modo istesso che il criterio e la norma, in generale,
sono anteriori alla materia interpretata e giudicata.'
Perciò dice che il suo libro è anche nn». JUotoJia deW autorità {Sec. Se.
Nuova^ p. 148, 171) atta a ridurre a leggi certe V umano arbitrio di ma
natura incertÌ9»imo (p. 174).
* Vita generila humani Hiètoria est, [De Univ. Jur. XCXIX.)
* Il Taine dice benissimo dove osserva che la pttyeologìt «« à ehaque
départentent de Vhintoire humaine ce que l^i physiologie generai^ e»t h la
phyaiologie partictdiire. de ehaque esplce ou doAèe animale. {De Vlntelli-
gence, t. I, Pref. p. 7.) Che oggi la psicolog^ia debba esser condizione
essenziale alla scienza del fatto storico, ninno è che ne dubiti. Ma la
questióne ò ben altra, e di ben altro valore che non crede il Taine.
Come s' ha da considerar la psicologia rispetto alla storia, e perciò
r individuo rispetto alla specie'? Ecco il punto! Predicarci la necessità
della psicologia nella indagine del fatto storico è un bel nulla, se innanzi
tratto non si stabilisca qual relazione corra fra le due scienze. Mi spiego
subito. Se Io svolgersi delle concezioni religiose, delle creazioni artistiche
e letterarie e delle scoperte scientifiche in un dato periodo istorico e
presso un dato popolo non sono in realtà altro che un' applicazione, un
caso particolare di quelle medesime leggi che in ogn' istante regolano lo
svolgimento psicologico di ciascun nomo ; brevemente, se il fatto storico
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OAP. V.] OBGANISMO E PBOOBSSO PSICOLOGICO. 339
H nostro filosofo non pure colse, ma dimostrò la re-
lazione tra r uno e V altro ordin di fatti, e fece quel
che non giunsero a fare i nostri platonici e aristotelici
del Rinascimento; ciò che non fece tutto il Cartesia-
nismo; ciò che dopo di lui non seppe fare il Critici-
smo in ordine alla storia; ciò che non han fatto, né
sanno fare i Positivisti e gli Idealisti assoluti; i quali
trascendono il positivo perchè disconoscono la difficile
arte de' confini nella scienza del mondo e della storia.
Alla sua mente lampeggiò il vero concetto dell' ente
umano: il concetìo àeW individuo universale vivente,
concreto, reale; e sotto doppia forma venne applicando
il suo massimo criterio della conversione del vero col
foHo nel conoscere, e del certo col vero nell' operare.
Recò in atto quindi non una, ma due grandi leve, la
psicologia da una parte, e la critica de' fatti storici dal-
l'altra; la filosofia e la filologia; e perciò un a priori di
natura puramente psicologica, e un a posteriori indagato
pazientemente con oculata osservazione: e così gettando
le basi del vero metodo storico razionalmente positivo,
riesci a comporre la scienza dello spirito. Però Storia
e Psicologia non sono due cose, ma una. Esse formano
la vera scienza dello spirito, quando sian portate ad un
fiato, com' egli dice con significantissima frase. Ecco il
grande valore della Sdensfa Nuova, per quanti possano
essere i suoi difetti nella forma, n^l disegno, nelle con-
clusioni, nelle applicazioni. Lo dichiara egli stesso : « il
mio libro è wrxR filosofia deW umanità. » Perchè filosofia?
non è che un'applicazione delle lejrgi psicologiche: ne viene che nella
psicologìa solamente possiamo ritrovare il criterio, il principio, la teorica
da applicare nella intorpretaziono del fatto isterico. Dnnqne? Danque
(mi par chiaro) la psicologia è anteriore, e superiore alla storia. Or io
non so davvero come siffatta conseguenza possa accordarsi co'princìpii
del Taine, specie con quello ond'ei ci dichiara, che il fatto della co-
scienza non è altro che vm fantamna metajinco! Il problema storico è
problema psicologico: lo sappiamo anche noi da un secolo e mezzo a
questa parte. Quel che non sappiamo è il modo col quale il valoroso
estetico francese potrà giugnere a risolvere cotesto problema col suo
Positivismo.
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340 DILLA DOTTRINA VILOSOFIOA. [LIB. n.
perchè ne inve^iga le coffionV Or le cagioni imme-
diate e positive del processo istorico, non s'hann' a ra-
dicar tutte nel processo psicologico, eh' è, dire nella na-
tura umana ? * Volere investigar le ragioni della storia
nonché i principii della sociologia invocando la dicdeUica
immanente détta Idea come fan gli Hegeliani, ovvero
r opera della Provvidenza immediata come fanno Onto-
logisti e Teologisti ; è uscir dalla Storia, dalla natura
umana, dalla psicologia ; ed è rendere il processo storico
un processo affatto meccanico e arbitrario. Un principio
estrinseco e superiore che non emerga dalle viscere
stesse della storia, ma che alla storia si sovrapponga e
s'imponga, che cosa dee produrre? Da una parte, mec-
canismo, e arbitrio dall'altra. Ed è anche un uscir dalla
storia, dalla psicologia e dalla natura umana, queir in-
vocare i soU fatti siccome leggi empiriche riferendole a
cagioni tutte estrinseche, tutte mutabiU tutte acdden-
taU, come sono il clima, la razza, l'educazione e cento
e mille condizioni esteriori e secondarie di cui ci par-
lano i positivisti e i filosofi dett* avvenire.
Il fondamento razionale positivo del processo istorico
dunque è l'organismo psicologico, ma ravvisato come
processo. Questa precisamente è l' esigenza più legitti-
ma, la condizione più salda del metodo istorico che sca-
turisca dalle opere, dalle dottrine, dalla mente del Vico.
Metodo isterico è anch'esso metodo genetico, metodo
eduttivo. E metodo genetico vuol dir metodo essenzial-
mente psicologico. Ne segue perciò che la legge isterica
delle tre età {Divina, Eroica, Umana), pone sua ra-
* Ved. Prim, Se Nuav.y p. 248.
* Le tre/any o stati del PositÌTismo francese non sono che un fatto,
una legge empirica, non la ragione, non il principio delia storia. Lo con-
fessa lo stesso Littré; il quale perciò avendo visto la necessità di correg-
gere e compiere anche in questo il maestro, alle tre fasi del Comte sosti-
toisce le cinque forme di civiltà calcate sopra altrettante facoltà psi-
cologiche. (Vedi A. Comte et la Phil, Pont.) Cosi il Littré ritoma al
Vico, cioè al concetto psicologico, quantunque sbagli nella scelta della
strada.
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CAP. V.J ORGANISMO E PROCESSO PSICOLOGICO. 341
dice non già in un fatto parHccHare quale sarebbe il na-
scere, il crescere ed il perire dell'individuo, come ve-
demmo pretendere il Vera (p. 128), ma sì neljo stesso
organismo, nello stesso circolo delle funzioni psicolo-
giche. Ciò che dunque è processo teoretico e pratico
deUe facoltà e quindi conversione del vero col fatto e del
certo col vero nell' individuo ; nella specie, nella comu-
nanza civile, assume forma e valore d' organismo e di
processo isterico. Ecco perchè nello svolgimento della
storia e delle diverse civiltà, lo stato, la fase, o (secondo
il linguaggio del Vico) V età divina ritrova sua ragione
intima, immediata, nel predominio ed esplicazione deUe
due funzioni elementari, empiriche e naturali, che sono
il Senso ed il Potere. La fase eroica^ per contrario, è
V incarnazione del Volere e dell' Immaginazione. E, final-
mente la fase umana è V attuazione e quindi il trionfo
e la signoria della Ragione spiegata, la quale neU' or-
dine della vita civile, politica e sociale si traduce nel
trionfo della libertà. La storia dunque è un organismo
come la psicologia; e quindi le leggi psicologiche sono
il criterio interpretativo principale del fatto isterico.
Questo è il vero concetto della VoUcer Psycólogie per
VA. della Scienza Nuova. Dove sta il difficile? Ap-
punto nel far cotesti interpretazione; appunto nel-
r applicare le leggi psicologiche alla storia. In tale
applicazione occorre schivare (come vedremo in So-
ciologia) que' due gravissimi errori ne' quali rompono
Hegeliani e Positivisti: cioè l'universalismo nel com-
porre la filosofia della civiltà, e il particolarismo e '1
determinismo nel fissarne le leggi. Due perciò sono le
condizioni razionali per la scienza della storia: V appli-
care al fatto isterico le leggi psicologiche ; ma applicar-
le, non già all' umanità, come fanno i seguaci di Hegel,
bensì a' popoli, alle schiatte, alle tradizioni : 2** tener
conto delle mille cagioni estrinseche ed irraziouaU che
in modi infinitamente diversi e molteplici turbano lo
svolgimento della storia; ond' emerge la necessità, ripe*
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342 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
tiamolo, della psicologia e della crìtica storica nello
stabilire i principii deUa filosofia dello spirito.
Or cotesto metodo, oltreché nelle dottrine metafisi-
che, anche nelle teorie storiche e sociologiche risulta
logicamente, come vedremo, dallMndirizzo medio del-
l'Aristotelismo rappresentatoci, ne' tempi moderni, dalla
Sdenta Nuova. Nella Sdenta Nuova, e perciò nel me-
todo isterico e psicologico del Vico, abbiamo la con-
danna più severa e la confutazione di fatto degli estremi
indirizzi aristotelici rinnovatisi in questo secolo per
opera dell' Hegelianismo e del Positivismo nel regno
degli studi storici e sociologici.
Ma qual è la genesi e quindi la teleologia del pro-
cesso psicologico? That is the question!
Capitolo Sesto.
genesi e teleologia psicologica.
Lo spirito ha le sue leggi come la natura; ed è
anch' egli un organismo come la natura. Perciò dap-
prima è Sintesi iniziale, come si disse, poi Analisi, poi
Sintesi finale. Spencer direbbe che l' organismo psicolo-
gico procede dall' omogeneo indeterminato, all' etero-
geneo; e dall'eterogeneo (avrebbe dovuto aggiungere;, fa
ritomo all' omogeneo, ma all' omogeneo determinato e
universale. — Fin qui abbiamo studiato la psicologia nel
fatto. Movendo da una dualità empirica, cioè dal senso
che iniziando il processo teoretico s' eleva a dignità d'in-
telletto, e A^X potere che preludendo al processo pratico
assume valore di libera volontà, abbiamo sorpreso l'orga-
nismo psicologico nel momento stesso dello sviluppo,
dell'analisi, dell'eterogeneità, della diflFerenza e moltipli-
cità delle sue funzioni. Or è d' uopo rimontare all'ori-
gine psicologica. È d' uopo ricercar la cellula madre di
quest'organismo. È d'uopo investigare il centro di questo
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OAP. TI.] GENESI E TELEOLOGIA PSIOOLOGIOA. 343
cìroolo, la sintesi origìiiaxia di quest'analisi che a noi
porge la coscienza.
La genesi dello spirito vuol esser guardata in tre
modi, sotto tre forme, per tre fini diversi : psicologi-
camente, logicamente, ideologicamente. La Psicologia
studia lo spirito, ma in quanto è un multiplo di funzioni,
d* operazioni, di facoltà. La Logica studia lo spirito, ne
ricerca le funzioni psicologiche, ma in quanto producono,
generano, partoriscono. L' Ideologia, finalmente, studia
anch' essa lo spirito, ne indaga le funzioni psicologiche,
ma guardandole ne' lor prodotti generali La Logica dun-
que siede in mezzo all' una e all' altra scienza. Ella studia
non altro che relazioni : studia le relazioni fra la causa
e l'effetto, le attinenze tra la forza e le sue produzioni,
e quindi raccoglie leggi universali, attinenze necessarie,
poiché se lo spirito si differenzia appo gl'individui per
attività ed energia di potenza e per moltiplicità di risul-
tati, non differisce menomamente per le leggi alle quali
dee soggiacere ciascun individuo. La Logica è universale,
obbiettiva; e quindi indipendente dal soggetto, non al-
trimenti che la matematica. Or queste tre scienze che
r analisi immoderata delle scuole ha ridotto a frantumi,
non sono che tre aspetti d'un medesimo subbietto: d'un
subbietto, cioè, avvisato P come forza e potenza: 2** come
atto e risultato ; 3** finalmente come potenza in quanto
diventa atto, e però come relazione dell' un termine
verso l'altro. Psicologia, dunque. Logica e Ideologia
dovranno condurci ad una medesima conseguenza nel
problema su la gencHi psicologica.
Nel processo psicologico dicemmo esserci un primo
ed un ultimo atto. Questo primo e quest'ultimo atto,
anziché facoltà, come pretendon gU Spiritualisti, anzi-
ché semplici condizioni psicologiche riducibili alla fin
fine alle funzioni biologiche, come ci predicano i Posi-
tivisti,* sono invece facoltà delle facoltà. E son tali per-
* Per esempio Sr. Mill {La PhU, de Hamilton, trad. CazeUes 1869,
e. Vili, p. 188). — H. Taink (2>« VintelUgence, T. II. 1. 1, e. II, § VIII).
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344 DELLA DOTTBINA FILOSOFIOA. |lTB. R.
che runa d' esse è originaria, e V altra è complementare ;
perchè la prima è potenza, e la seconda è atto : perchè, in
somma, quella è T Io in quant' è coscienza primitiva, e
questa è V Io in quant' è pienezza di personalità, auto-
coscienza. Or è mestieri ammettere che la coscienza, in
quant' è facoltà détte facoltà, esista dapprima come
potenza originaria; preesista com' energia irreducibile;
preceda come atto che sia tutto, e nulla; e vaglia quindi
a costituir la natura stessa di quell'ente che nella scala
zoologica diciamo ente umano, E innanzi tratto, s'egli è
vero che le fimzioni psicologiche convengon tutte nell'es-
sere un conato di natura essenzialmente teleologica, è
d'uopo che, attraverso a tutte e in fondo a ciascuna, si
occulti un atto rudimentale, radicale, comune, essenzial-
mente generatore, contenente universale e indeterminato
del doppio processo psicologico teoretico e pratico. D' al-
tra parte, se il fatto ci addita una dualità empirica,
concreta ed elementare, cioè il senso e il potere ; ne viene
che queste due facoltà, sia che le si guardino nel loro
obbietto e natura, sia che nel fine cui sono indirizzate,
ci rappresentino due opposti, ci esprimon due contrari;
e, come tali, abbisognano d'un soggetto comune in cui
(secondo l'esigenza dell'Aristotelismo) elle sussistano
originariamente. La duaUtà empirica e, per così dirla,
sensata, ci rimena infatti $ui una dualità superiore e
trascendente, la quale a sua volta non può non essere
altresì unità, unità confusa, unidualità anteriore, e della
quale possiamo dire ciò che Aristotele afferma delle
parti avvisate in riguardo al tutto. Se la parte poten-
zialmente e cronologicamente precede il tutto; attual-
mente e logicamente il tutto dee preceder la parte.*
^Xou xai >f uX>i TT^c ouVtac" Jtar' «vT«Xj;^tiav 5' u^7«/oov 5«a-
XxtBivroi- y(/.p x«t* £vTi>JX«*av «(T']at. (Met. V.) Ecco la ragiono
(sia detto di passata) onde la Psicologia differisce in immenso dalla
Zoopsicologia, checché ne dicano il Darwin, V Agassiz, il Vogt ed altret-
tali. Neir ordino zoopsicologico la dualità empirica del »etuo e dell' i»Hnto
esiste; ed è unità confusa, è unidualità: ma riman sempre tale, sempre
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OAP. VI.] OENBSI K TBUCULOGIA PSIOOLOGIOA. 345
Questo tutto originario, quest' unità la quale anche
come primigenia è numero, cioè unìdualità e però facoltà
déHe facóUà, è ciò che con antica ma significativa pa-
rola il Vico suole appellar mente, mens.^
Alla medesima conseguenza ci conduce la logica e
r ideologia. Rammentiamoci della dottrina su la cono-
scenza. Se neir ordine del conoscere il fatto è il dato, il
fenomeno, ciò eh' è posto, la cieca percezione; insomma,
ciò che non può esser conosciuto di per sé stesso: il
vero, per conta'ario, è V elemento ideale, astratto, vuoto,
formale, a priori ; ma a priori in quant' origina imme-
diate dal seno stesso del pensiero. In che sta, dunque, il
nello stato potenziale: mentre neir ordine psicologico, cioè umano, ella
diventa atto, numero, e quindi il Senso e il Potere vi assumono anche
valore di sentimento e di coscienza. Se dunque è così, chi vorrà credere
che quella dualità sia puramente animale come nella Zoopsìcologia ? Se
fosse tale, non dovrehhe restar sempre la medesima, come incontra nel soar-
getto zoopsicologico? Dunque (la conseguenza parmi chiara) quella dualità
neir ente umano deve importare qual cos'altro che non sia puro Senso,
né puro Istinto.
* Quel che latinamente egli chiama men« cmimi è essenzialmente pen-
siero; e pensare per lui è manifestare sé a sé medesimo: Mens cogitando
se extbet {De AsUiqHÌ9., Cap. VI). Or la mente è principio unico di tutte
le facoltà: principium unum Men»; e I* occhio di lei é appunto la ragione:
eujw oculua Ratio {De Univ. Proem., 4). Dunque ciò eh' è di là e dentro
e dietro a quest' occhio eh' é la Ragione, é appunto la MenU; la quale
perciò è anteriore a tutti i gradi, a tutti i momenti del processo cono-
scitivo. Se non che lo spirito, in quant'ò menUf vede anch'essa; altrimenti
come si farebbe a dirla mente? Ma allora soltanto ella disceme, allora
soltanto é oechiof e perciò era visione, quando diventa ragione epiegata, e
quindi processo teoretico. — Per intender meglio il significato della mente,
ricordiamoci del »ene%u intemtu, del eennu eui, della eoecienta, cwn-eeientia,
di cui egli parla in più luoghi delle sue scritture. In ispecie è da riflet-
tere quando afferma, la coscienza essere insieme univereale e pai-ticolare ;
e il senso intimo, individuaUt e insieme comune, fi da riflettere dove
accenna ad una facoltà naturale e epontanea ond' é fornita la eomuiune
natura degli uomini. È da riflettere, finalmente, e specialmente, ove
parla di certi giudizi istintivi eh' egli chiama giudizi fatti sknza bifles-
8I0NK. (Vedi Prim. e See. Se Nuow% passim.) Or di sotto a questo lin-
guaggio esce chiara una conseguenza; la necessità, cioè, di riconoscere
come, attraverso a tutte le diiferenti forme psicologiche, esista un punto
centrale onde s' irradiano e dove si riconducon tutte le funzioni dello spi-
rito. Quest'esigenza psicologica nel Vico parmi evidente per ciò che s* è
detto, e per ciò che ancora diremo.
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346 DELLA DOTTRINA FILOSOriOA. [UB. II.
conoscere? Nella conversione de' due elementi. Intendere
è legere; e legere è cdligere dementa rei, cioè coUigere il
vario sensato, il fatto. Questo fatto dunque vien raccolto
e innalzato a dignità di vero e quindi ad unità, appunto
quando la mente, generando sé stessa, conosca insieme la
guisa onéPtma cosa è fatta. Or in cotesta genesi hawi un
intimo vincolo per cui V eiFetto è anche causa, e la causa
eflFetto; ed è questa quella tal funzione eduttiva onde
la ragione, annodando cause con cause, e però conver-
tendo il vero col fatto e viceversa, rintraccia il medio
termine, e fa la scienza (pag. 242-3). Se intanto il co-
noscere è un atto di sintesi ond'il vero è forma, predi-
cato, categoria, ma non per anche attributo e però
cognizione, mentre il fatto è materia e parvenza feno-
menale; ne segue, esser davvero una grande scoperta
della moderna psicologia quella fatta dal Kant e le-
gittimata in gran parte dal Rosmini, ma presentita dal
nostro filosofo; che, cioè, pensare sia essenzialmente
giudicare.* Che cos' è infatti il giudizio fuorché il pre-
dicato assumente forma evalore d'attributo? Dunque,
anziché nel cogliere il puro vero, o nell' apprendere il
puro fatto^ il giudizio risiede nel concetto. Ma che è
egli mai il concetto salvochè la conversione del vero
col fatto, considerati questi com' elementi essenziali
nella sfera dell'intendimento? * Ora, tornando al pro-
posito, comecché il vero e '1 fatto, convertendosi, gene-
rino il concetto e quindi il giudizio, e col giudizio fac-
* Kant, Orit. de la Raùon Pure. Log, Tra»cend., L. 1. — BosMiin,
Nuo, Sagg, voi. II, Sez. V, e. I.
* L' atto del conoscere ò m'rtò di vedere il tutto di eitueheduna omo,
e dì vederlo tutto ineieme^ ehi tanto propriamente tuona intblliobri, e allora
veramente ueiam Tintblletto. (Vedi Lett. al Sotta, p. 12.) È agevole scor-
gere, por tutto ciò che abbiamo detto qui e altrove (p. 241, 275 e segg.),
quanto nel Vico sia chiara Tesigeriza kantiana deirunirà eintetica detTapper-
eezione, non che quella della percezione intellettiva Rosminiana, e meglio
ancora (per qaèl che diremo), V altra del Sentimento fondamentale. Ma in
grazia del suo criterio, al solito, si può riuscire a schivare il tubbietti-
viemo e il formaliemo dell'uno e delPaltro filosofo adoperando il metodo
deduttivo.
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OAP. VI.] 6BNB8I X TBLEOLOQIA PSIGOLOOIGA. 347
cian possibile ad un tempo la coscienza e l'esperienza;
nuUamanco, a somiglianza delle funzioni ond' essi ram-
pollano, restan sempre una dualità, ma dualità origina-
ria; stantechè non potendo T uno emerger dalP altro,
né r altro dalF uno, debbano coesistere entrambi nella
coscienza. Se non che, una dualità originaria non è forse
un assurdo? Senza dubbio, un assurdo. Dunque è ne-
cessaria certa unità iniziale, intima, primigenia, appo
cui 1 vero e il fatto sussistano germinalmente come
in grembo ad una sintesi confusa.
Alla medesima conclusione potrebbe giugnere chi
pigliasse a guardar Y intero processo logico, cioè le fun-
zioni teoretiche tanto nel lor movimento, quanto ne' lor
risultati. Percezione, Giudizio e Sillogismo son tre gradi,
tre momenti, tre forme distinte d'una medesima funzione
eh' è la Mente.^ Nella percezione la Mente si manifesta
come unità immediata appo cui oggetto e soggetto sian
tuttora confasi. Nel giudizio, invece, predomina l'analisi,
la differenza; perchè i termini standovi fra loro di fronte
l'un r altro e quasi irresoluti, avviene che la mente deb-
basi palesare come dualità. Ma poiché il giudizio im-
porta necessariamente un ritorno sopra sé stesso, e
questo ritomo appunto costituisce il sillogismo ; accade
che in questo ritomo, nel sillogismo, la mente si palesi
come unità e dualità in atto, come triplicità attuale,
come mente spiegai'a. Or se T organismo logico e l'ideo-
logico son anch'essi un processo non altrimenti che
l'organismo psicologico; se il risultato finale di cotesto
processo, la funzione terminativa di cotest' organismo è
• € Tre» mentit operationes: Pkroiptio, JUDIOIDM, Batiooinatio. Tri-
bua artilM diriguntvr: Topica, Critioa, Mbthooo. {De AntiquUe.<, e. VII,
§ IV.) La pereeptio qui non debb* essere tolta, a dir proprio, secondo il
valore che a questa parola danno gli Scozzesi. (Vedi Jouffbot, (Euvr,
compi, de T. Eeid, Tol. I, Préface, p. CCXVIII), nottampoco poi nel senso
Tolgare ed empirico, altrimenti contraddirebbe airintera dottrina psicolo-
gica del nostro filosofo. II percbò se il fatto della percezione pel Vico ò
primitiro nel rispetto cronologico, non è tale sotto il rispetto logico. Ella
importa necessariamente un fatto anteriore; il fatto originario della Mente,
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348 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lTB. U,
mente spiegata e quindi ritorno del giudizio e però sil-
logismo; ne segue che il principio originario, rispon-
dente al risultato finale, ha da esser la mente, ma la
inente non {spiegata, bensì la mente potenziale, rudi-
mentale, incoata. In altre parole, debb' essere un giu-
dizio; ma un giudistio fatto senea riflessione. Laonde la
percezione, comecché paia la più semplice ed elemen-
tare fra tutte le facoltà, non pertanto è anch' ella di
natura complessa. È tale, cioè, che importa inevitabil-
mente un giudizio primitivo, giust' appunto perchè tro-
vasi anch' ella, non già fuòri, anzi dentro al circolo psi-
cologico. Cosi dunque, giova ripeterlo, le tre discipline
che studian k) spirito sotto i tre possibili aspetti, cioè,
!• come facoltà, forza, causalità; 2« come prodotto, ef-
fetto, risultato; 3« come relazione, e perciò come sub-
bietto di leggi necessarie, formali, universali : tutt' e
tre queste discipline, diciamo, convergono ad una me-
desima conclusione; la necessità, cioè, d'ammettere un
centro comune, originario, indipendente e superiore alla
biologia, nel quale risalga non pur l'origine delle fa-
coltà psicologiche, ma la primordiale sorgiva altrem
delle produzioni del pensiero in generale.
Ciò posto, qual' è la natura della mente? Qual' è la
costituzione intima di quella cellula madre (ripetiamo il
paragone) entro cui sta il gran segreto del problema psi-
cologico, e perciò di tutte quante le morali discipline ? '
Se la mente è giudizio fatto senea riflessione, la sua
natura debb' esser quella d'intuizione, d'appercezione,
di visione immediata, di conoscenza diretta e spontanea,
la quale, determinandosi nella riflessione, s'incarni e
s'attui come processo psicologico, logico, ideologico.
Dunque è il giudizio fatto senea riflessione quello che poi
* Neanche ai Positivisti può sfuggire la grande importanza del pro-
blema in discorso. Con Fusata penetrazione St. Mill afferma: « Quando
noi tappiamo ciò che un filosofo considera come rivelato neUa Goecienza^
noi già abbiami) la chiave della sua metafinca. » — {La PhUosophie de
Hamilton, trad. Cazellen, 1869, p. 127.)
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GAP. VI.] 0BNB8I E TBLBOLOGIA MICOLOGICA. 349
diventa scienza: è la Mente queUa che diventa Magione
spiegata: è il i^oùc potenziale che diventa NoJc attuale
e riflesso. Ecco il valore, il significato che noi porgiamo
alla dottrina aristotelica del doppio intelletto. Al qual
proposito ci sia permessa un' osservazione storica.
Ci guarderemo bene dall' entrare nelle interminabili
dispute su r intelletto, e voler ponderare le svariate sen-
tenze degli Aristotelici che per si lunghi secoli hann' af-
faticato la mente d' infinito numero di critici, di storici
e d'interpreti. La dottrina più duttile, più ambigua, fra
tutte quelle dello Stagirita, dicemmo esser la dottrina
psicologica. Non v' è stato interprete il quale non l' abbia
tirata a sé mettendo fuori, com' è noto, buon gruzzolo
di testi a proprio favore. GÌ' iperpsicologisti, per esem-
pio, attaccandosi alla celebre frase della mente ventUa
di fuora, la traggono al Neoplatonismo, all' Alessandri-
nismo, all'Averroismo.* Gli empirici, al contrario, a
cagione della famosa tavola rasa, lo tirano al materia-
lismo, e al sensismo più o men grossolano.* Contesti
dunque si concluderà ben poco. Anche noi, per esempio,
saremmo pronti a metterne fuori parecchi, e volgerli
ai nostri sensi. Ma la quistione qui non è d'esegesi.
' Il pensiero d' Aristotele, a tal proposito, è por troppo chiaro : Nel-
Vuotno V irUeUigenaa, il f^où^, viene ad aggiugnern al $en%o come dal di/uora
ed è divino: ).g«7rtTat $i tÓv voùv /iao'vov 5v^a5«v inttvtévw xa«
^stov eivae /xovov. (De Oener. An., II, 8.) Nondimeno può essere in-
terpretato benignamente. £ benignamente possiamo interpretare, per es., la
sua mente in potenza che contiene tutte le specie (xaì Swafiei tocovtov.
De Anim., Ili, 4). Benignamente altresì la dottrina del suo Senso generale :
Ev éxdvrrì '^oip tov ovtoc xoLTviyopia. ivri rò avoéXo^ov, »j
SJJQv èv fjirìy,ei^ outcj^ ev o^aTSC rò ófia.'kòv^ t(T^i fiv dptBfità
to' ae/oiTTo'v, sv $s XP°? "^^ Xevxóv. (ifttopA., XIV.) Quanto al Not?^
venuto di fuora veggasi V interpretazione cui accenneremo più in giù.
* Anche qui è chiara la celebre sentenza aristotelica nel De An. Ili, 4.
Ma anche qui si può e si deve interpretarlo benignamente ; perchè se la
tavola rcua d* Aristotele fosse né più né meno che la etatua condillachiana,
con quella sentenza lo Stagirita avrebbe apertamente contraddetto ad altre
aifermazioni che ci dicon tutt* altro. (Gfr. De An. 111,4, b. — Anal. poeL^
I. 2,8. — JIfótapA. I, VII, 4.) Vedi pure le sentenze raccolte dal Rosmini
in proposito. {Nmo, Sagg,^ lib. I e II. — Ariet. c«p. ed eeam^ lib. I.)
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350 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
bensì di correzione. Bisogna correggere nell'Aristoteli-
smo i due estremi e contrari indirizzi mercè l' indirizzo
che appellammo medio, 11 primo difetto degli Aristo-
telici, quant'alla ricerca psicologica, non istà nell'avere
spartito r intelligenza in due ; ma sì nel tion aver ap-
plicato anche in ciò la dottrina della forma e deUa ma-
teria. Il Noùf passivo, nell'organismo psicologico, ha
ragion di materia^ essendo di sua natura indeterminato
e confuso. Il Nov; attivo, invece, ha natura di forma^
essendo un atto, o meglio, una potenza che s' attua.
Non è egli dunque un medesimo soggetto, comecché sia
guardato in due momenti diversi?* Altro difetto è quel
porre il voù; potenziale come comunicante col senso, e
renderne affatto indipendente il vovc riflesso. Ora, piii
che all'uno o all' altro intelletto, il senso a noi sembra
necessario al passaggio dal primo al secondo: talché,
implicato nel processo psicologico non in quanto oggetto
né in quanto soggetto ma qual semplice mezzo, é lecito
considerarlo com' estraneo al Noù? potenziale, e quasi a
lui sopravvenuto.*
* A questo medesimo difetto tiene qnell* altro d* attribuire qualità
essenziali diverse ai due intelletti (\pv;^ììc 7SV0; ff t5/oov, De An. II, 8),
e talora anche origine diversa (//*., 1. Ili, 5).
* Si vede perciò come per noi cotesto Nou? possibile faccia ogni cota
in quant* ò condizione universale, principio immediato e fondamento del-
J* intero organismo psicologico, logico e ideologico : mentre il NotJc attuale
*t fa ogni eotay in quanto che, producendo idee e concotti, fa e produce
so stesso, fa e riproduce la natnra, e, mediante la scienza, fa e riproduce
perfino TAssoluto rendendo così a Dio la parigliay per dirla con una delle
potenti frasi del Gioberti. Però V intelletto potenziale ò pattivo; passivo nel
senso che non è facoltà, nel senso che non si fa, ma che è fatto, fatto dalla
natura, corno diremo fra poco. L* intelletto agente, per contrario, è attivo
perchè si fa; perchè, a dir proprio, è facoltà. E poiché non può farsi e deter-
minarsi ed attuarsi tranne che specificandosi, perciò il Nove attivo non può
non esser necessariamente numero, multiplicità, varietà di facoltà, e quindi
essenzialmenteprocesso.— Macome il NotJ; potennale diventerà attuale f
Non è necessaria la luce difuora che lo determini? — Non è necessaria. Al
ripiegarsi della Mente, al geminarsi del Noù? potenziale, bastano due con-
dizioni; una intima allo spirito, e però efficiente; Taltra t^teriore e materiale.
È necessario, cioè, 1° un conato novello dello stesso spirito ; il che è possibile
essendo egli per propria essenza un'attività incessante, intrinseca, sponta-
nea : 2<* un snssidio, il sussidio del senso, della percezione empirica, del-
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GAP. TI.] GBNBSI E TBLVOLOOIA P8I00L00I0A. 351
Pertanto il Noù; potenziale presenta due caratteri fra
loro opposti e contrari. È indeterminato rispetto al Noù;
attuale; ma è altresì determinato, in quanto che possiede
un oggetto. Qual'è quest'oggetto? Quello che il Vico
appella luce meta/isica, vero metafisico: sonanti frasi che
non dovrebbero far paura a' nostri lettori, perchè quan-
tunque cotesta luce metafisica di cui parliamo sia l'og-
getto primitivo del j^ensiero, non ci ha che vedere con
gli a priori del Neoplatonismo. Ella serba la mede-
sima natura del pensièro, perchè è lo stesso pensiero,
ma colto nella sua indeterminatezza. Perciò è forma
formarum, somigliante alla luce fisica di cui possiamo
aver notizia solo mediante un mezzo opaco e formato
che valga a rifletterlo.*
r esperienza. Il ìiovi attuale quindi non fa che travagliarsi perpetuamente
attorno air una e ali* altra condizione, e produrre la scienza. Si travaglia
intomo alla prima, perchè la mente, affermazione per eccellenza, è il germe
vivent-e della scienza e del principio di contraddizione eh' è fondamento
d'ogni dimostrazione e d'ogni assioma (fvVsi yàp àpx^ *^^ ^wv
aXXov cc^cu/xaruv auT>? aavT6)v, Met. 1. III). E s'aggira poi attorno
alla seconda, cioè al senso e all' esperienza, perchè dee verificar la prima,
cioè dove inverare il principio, o, eh' è il medesimo, dee convertire il vero
col fatto^ il voù; potenziale con l'esperienza. Perciò il voù; attuale è la
conversione per antonomasia, massime quando assuma valore di Ragione,
Perciò stesso la scienza, diciamolo anche una volta, non può essere un
magistero deduttivo, nettampoco un artifizio meramente induttivo.
* e Metaphtfatei enim claritat eadem eat numero ae illa lueÌ9 quam non
nin per opaca cogno»eimu». Si enim in clathratam fenestram qua lucem in
aedee tuimittitf intente ac diu intueari» ; deinde in eorpue omnino opacum
aciem oculorum eonpertae; non lucem «ed lucida ckuhra tibi videre videaria.
Ad hoc imitar metaphtfeieum verum illustre c«(, nullo fink ooNOL0Drr(TR,
NTTLLA FORMA disorrnitur; quia est infìnitìim omnium formorum principium :
phy9Ìea mtnt opaca, nempe formata et finita in quibu» metaphyeid veri lu-
men videmue. {De Antiquie, c. Ili, § 8.) Come si vede, anche in ciò il Vico
non fa che inverare l' Aristotelismo. Che in Aristotele infatti ci sia il con-
cetto del Noùc potenziale come noi l' intendiamo, e però anziché passivo,
come parrebbe, sia fornito anch' egli d' attività stantechò possieda un
oggetto somigliante alla luce che fa essere in atto i colori, si può vedere
dalla seguente sentenza: xa< c;iv 6 fiìv toioùto^ voùc, tm Travra
yiyvtiBony 6 aev, tm TravToe Ttocsèv, w; i^ic tcc, oiov to ftc^'
TjOoVov yàp Tcv« xai tÒ ^oSc noist ra ^uvaucc ovra j^^ow/xara
syspystoe, ;^pw^aTa. {De An. III. e. V.) Ma il carattere di tale obbietto
anche per Aristotele è sempre quello d'essere indeterminato: cv^ov ìttcv
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352 DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [UB. n.
Or donde viene e dave va cotesta luce? Come sus-
siste nel pensiero?
Bispondiamo rapidamente e senza molto imboscarci
in arzigogoli ideologici e scolastici. Per noi la mente è
intùito; e l'intùito, è, per così dirlo, l'ultimo atto, o la po-
tenza finale di natura, del senso, della vita. Adunandosi
e quasi raccogliendosi nell' organismo le naturali effi-
cienze generano l'individuo. È dunque necessario che
l'atto finale di cotesta genesi, il momento estremo di
siffatto processo onde rampolla l' individuo come tale, sia
luce metafisica, intuito : un atto, cioè, la cui potenza sia
la stessa natura, ma la natura unificata, la natura fiotta
una. Ecco perchè pensiero e natura, giusta la bella sen-
tenza del vecchio filosofo, son come l' analisi e la sin-
tesi procedenti in senso contrario; * onde il fine dell'una
non può non esser principio dell' altra.' Ma se la na-
tura è forza, cioè soggetto essenzialmente dinamico, non
è mestieri che anch'olla sia intelligibile? ' — Se non che
iytpytice. twv ovtuv npiv voeoSv {Metaph., VI, 7.) Ed è indeterminato
non essendo altro che \& tpecìe in poteruta {^SvvifAtt ra ttiri)^ a luogo
della tpeeie (tÓttov c(^(Cv) Ibi»
* Aribt. MeUpb. VU, IX.
• Oa^vsrai to' ia/^axov «v r^p oèvaXuo'cc tsptirov ecvat tv
TTf? 'VffvcVci. Eth. Nie. III.
' Prendiamo la parola irUdUgibiU nel significato aristotelico, cioè
come essere dello cose, come essere determinato (tò t< iv ccvac)i ma
spoglio di materia tuttoché non isfornito di potenza, secondo la nota
distinzione deirAquinate. Non è quindi intelligibile in qaant*è puramente
ideale, possibile e insussistente, secondo che ama interpretarlo il Bosmini;
mainquanVèideale e reale insieme, sussistenza; anzi la sussistenza del
reale per eccellenza, e però propriamente intelligibile: ^iy^ Si ouViav
aveu uXy}c, to ti ivt (voci. (IfetopA., VI, 7). Perciò la dottrina compiuta
dell'intuito parmi debba farsi consistere neir accordare due cose ; !<> la mente
in potenua d'Aristotele, 2** V ettere ideale del Bosmini; ma levando 1 difetti
che certo non mancano nelle loro dottrine. Difetto d'Aristotele, come avver-
timmo, ò la mente che vien difuora. Difetto del Bosmini, poi, è V immobilità
originarla e la presenza non legittimata del suo Ente poetibile dinanzi alla
mente. Anche per noi la mente vien di fuori ; ma questo di fuori è la natura
in generale. È un di fuori nel senso eh' ella serba intimi vincoli con la
natura e col sensibile, e sorge per virtù propria, ma col mezzo del sen-
sibile. Tal si è l'interpretazione che potremmo dare a questa celebre frase
aristotelica, nò ci mancherebbero testi in proposito per confermarla; tanto
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OAP. TI.] OENJESI K TELEOLOGIA PSIOOLOOIOA. 953
la natura non può essere intelligibile in quant' ò sem-
plice realtà, ma in quant' è potenza attuosa, conato,
processo, divenire. Or in che maniera potrebb' esser
tutte queste cose ove non includesse una legge, un ritmo,
una misura, una forma di moto, un moto ordinato? Che
s'ella è per sé stessa intelligibile in quanto che espli-
candosi mostra sé medesima e si fa intendere ; eviden-
temente non potrebbe fai-si intendere ove non impor-
tasse tre condizioni, ciò è dire un principio, un mezzo,
ed un fine. Se dunque la natura è potenza attuosa e
quindi per sé stessa intelligibile, ha da essere altresì
))otenzialmente intelligente. E sarà intelligente attuale
ove quelle tre condizioni siano insieme compenetrate
in unità: quando, cioè, il principio sia soggetto, il fine
oggetto, il mezzo relazione.
Che cos'è dunque lo spirito nell'atto suo radicale,
nel suo momento originario?
È soggetto, oggetto e relazione: pensante, pensato
e pensiero. Però l' intima sua struttura è insieme dua-
lità e unità, difi'erenza e medesimezza, e quindi, come
si disse, triplicità; ma triplicità sotto forma di sintesi
iniziale e confusa. Ne segue perciò che l' intuito, la
mente, il NoJ; potenziale altro non possa essere, per
noi, fuorché il momento istesso in che la natura di-
venta pensiero; il momento per cui l'anima attinge
forma e sostanza d'intelletto. Ora il primo pensiero
non potrebb' esser triplicità, non potrebb' esser sintesi
primitiva, quando non fosse V intelligibile divenuto al-
tresì intelligente. Dunque la Mente è la natura in-
carnatasi come individuo; l'intuito è l'individuo che,
trascendendo sé medesimo, assume valore di coscienza.
più che interpretazione somigliante ne dettero alcuni aristotelici del Rina-
scimento, fra cai meritano d* esser menzionati il Porzio e lo Zabarella
come quelli che considoramno la luce intelligibile quasi di8»eminata tuHle
/arme materiali^ e Dio come influente sa V irUdletto potnbihf non in
quanto intéUigente, ma solo in quanto intelligibile. (Vedi Kosmini, Peieol,,
voi. I — Ddle Sentenze de' FU ec, XX. — Rinnooam. h. II, LUI.)
SlCILURI. 9.3
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354 BELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
Possiamo dire perciò che cotesto Noù? potenziale ci
renda immagine della testa di Giano. Con una delle sue
facce ccrtesto Giano guarda al processo della sostanza;
guarda alla natura in quanto piglia valore d'individuo:
dovechè con l'altra inaugura, geminandosi, il processo
psicologico, del quale son due forme essenziali il processo
sociologico, e il processo storico. Se non che, lasciando
per ora del processo della storia e della sociologia, im-
porta notare come dalla costituzione primitiva del pen-
siero, secondochè noi l'abbiamo designata, emergano,
fra le altre, alcune conseguenze risguardanti l'essere
individuale, l'origine e'I fine dell'anima. lUfacciamoci
dalla prima.
La triplicità originaria, o, eh' è il medesimo, il se-
creto vincolo fra oggetto e soggetto, costituisce la ra-
dice prima della individualità, e però il fondamento
cardinale della libera determinazione. Se infatti il N^uc
potenziale è due cose e non una, cioè mente e luce, ne
segue che in quant'è niente è soggetto; e come soggetto
non può-non esser reale, moltiplioe, diverso, individuale:
in quant'è luce, poi, è oggetto; e come oggetto deve ser-
bar carattere indeterminato, comune, universale. Ora il
concetto di persona risale appunto al connubio di que-
sti due elementi primitivi. E invero, come mai l' in-
dividuo potrebb' esser in-dividuo se non fosse ogget-
to, fornito perciò della nota d'universalità? E come,
d'altra parte, potrebb' esser davvero universale ove
non fosse nello stesso tempo un soggetto concreto, vi-
vente, particolare? Il particolare è il fatto; e al pari
del fatto e' sarà vero, quando assuma valore universale,
non ismettendo d'esser particolare. Similmente l'uni-
versale è il vero; e al pari del vero sarà un fatto,
quando rivesta, anche come universale, natura di par-
ticolare. La conversione del particolare e del generale
non può farsi che nell'origine stessa del pensiero. Or
se tutto ciò è indubitato, come potranno salvarsi dal-
l'errore più esiziale all'umano consorzio, eh' è l'annui-
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GAP. TI.] GBNS8I E TELEOLOOIA PSIOOLOGIOA. 355
lamento del vero concetto di persona, tutte quelle di-
verse famiglie di filosofi che altrove riducemmo ai due
indirizzi estremi del? Aristotelismo? Gli aristotelici em-
pirici e naturalisti e positivisti, infatti, distruggon la per-
sonalità perchè negano il Nou; potenziale come diverso
dal senso; perchè lo riducono al senso. Ma la distrug-
gono altred gP iperpsicologisti antichi e moderni, cioè
gli Averroisti e gli Hegeliani: i primi perchè separando
i due elementi credono il soggetto abbia a partecipare
deir oggetto posto fuori e sopra dell'individuo ; i secondi
perchè fanno assorbir l'individuo entro a quell'oceano
immobile e sconfinato, ch'essi addimandano Spirito Uni-
versale. La quale affinità di risultati non avrebbe a
recar meraviglia, chiunque sappia come la dottrina del-
l'in^eZZ^^ agente, e l'altra non meno speciosa dello
Spirito Vniversàlej rappresentino, sotto forme diverse
di speculazione, T Ipeppsicologismo aristotelico.
Da questa prima conseguenza poi nasce una seconda di
massimo rilievo. Posto il Noù; potenziale non già come
passivo, anzi come fornito originariamente d'attività
spontanea in quanto che nella sua nativa indetermina-
tezza è pur determinato da un oggetto; si riesce a schivare
così quell'errore supremo a cui rompono, per vie diverse,
i suddetti filosofi seguaci de' due opposti indirizzi aristo-
telici, e che riflette i destini dell'anima e dell'umana per-
sonalità. Se infatti nella mente, nel NoJc potenziale ri-
siede la ragione della individualità e quindi la radice
prima della personalità, ne segue che lo spirito, essendo
coscienza originaria e quindi soggetto superiore all'orga-
nismo, non può, tuttoché sgorgato dall'organismo, finire
così come finisce la funzione organica. Se l'organismo,
come dicemmo, è numero che diventa unità, o meglio,
unione d'indole dinamica (p. 316), è chiaro com'ei non
possa altrimenti finire, salvo che disgregandosi e trasfor-
mandosi. Il suo fine è semplice ritomo; è ritomo pro-
priamente detto : il suo progresso è regresso nel signifi-
cato di monotono rifacimento. Per contrario lo spìrito
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366 ' DKLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
è unità e numero sin dal momento ìstesso eh' egli è
pensiero. Dunque non può altrimenti finire fuorché
attuandosi vie piii e compiendosi come individuo, come
coscienza, anziché annullandosi come tale per vivere in
grembo all' universale d' una vita che non é vita. Il suo
finire non significa ritornare, ma persistere. 11 suo pro-
gredire non è regredire, ma incessante determinarsi. Non
è insomma un monotono rifarsi, un ripetersi come la
specie: é uà perpetuo farsi: un perpetuo rinnovellarsi
dell' individuo in sé, e per sé medesimo. Che sia così,
ce ne fa capaci T essenza stessa del finito, delle forze,
della natura. Perché, davvero, se la natura é conato
essenziale, non verrebbe evidentemente a contraddire a
sé medesima ov' ella non superasse il senso e, trascen-
dendo il fantasma, non se ne distaccasse rendendosene
indipendente?^
* A questa maniera di prora intende accennare Platone dove afferma
che r immortalità non è nò un eato di cui saremmo felici ore ci toccasse,
nò una aperanM della quale è pur bollo lusio^^are noi medesimi: x3c).oV
7a/9 o' xtv'Tuvoc, X3tì jr^vj rà roiavra tò^mp ffTroé^scv eaurù.
{Fed.^ ed. Stallbanm, p. 42.) Che se altri ci chiedesse notizia su la pecnliàr
forma della nostra esistenza sovramondana e sul modo con che il NoJ;
attuale sarà unito con T Assoluto, noi risponderemmo francamente di
non ne saper nulla. WpoaithOfW razionalmente poA/etVo, in siffatta quistione
in che consiste? Consiste in ciò; che il Noù; attuale, in quanto pienezza
di coscienza e di personalità, finisco di necessità neir Assoluto, cioò
finisce col non finire; e quindi il soggetto j>of<>«»ùifmeiUe tn/ìntro, qual si
è appunto lo spirito, non può finire come finiscon gli altri soggetti finiti, i
quali finiscono appunto perchò non sono propriamente aoggeui. Orda cotesto
pentivo si dipartono tanto coloro che nella soluzione di siffatto problema ci
vogliono dar troppo, quanto quegli altri che finiscono col non darci nulla
addirittura. Escon dal positivo razionale o fecondo, per cadere nel dom-
matico tradizionale, i Teologistt col loro inferno, paradiso, purgatorio,
eternità delle pene, e che so io. Escon parimenti da questo positivo, per
cadere neira priorinno dommatico e sistematico .e nel Nullismo, gli
Hegeliani con la teoria dell* individuo accidentef fenomenico e pataeggiero,
£d escono finalmente dal positivo gli stessi Positivisti per cadere nel ne-
gativo, sia che dicano col Littré esser davvero impossibile indovinar nulla
intomo a siffatto problema, sia che affehnìno col Feuerback di saperne
ogni cosa quando sia risoluto co* principii dello schietto materialismo.
31a sopra questo tema ci rifaremo altrove. Qui ci basti d'aver accennato
ad una maniera non troppo usata di provare la immanenza necessaria
della personalità come coscienza individuale.
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CAP. VI.] GENESI E TELEOLOGIA PSICOLOGICA. 357
Questo quant'al destino dell'anima umana. Che cosa
potrà dir la filosofia positiva nuant' all' origine sua?
Tutto nell'ordine psicologico move dal senso; ma
nulla non può nascere per ragion del senso. Se lo spi-
rito è essenzialmente pensare e giudicare, e quindi,
come s' è detto, luce metafisica, intuito, mente e però
triplicità; ne conseguita ch'ei nasce a sé stesso, ch'ei
genera sé stesso come pensiero. Ecco il vero significato
dell' innatismo, dell' idee innate, dell' innate facoltà.
Questa conclusione, circa l' origine psicologica, contrad-
dice, al solito, tanto al Materialismo che non sa ele-
varsi più oltre delle pure leggi meccaniche, quanto a
quell'astratto e nebuloso Spiritualismo che, incapace di
scendere nel regno de' fatti, non sa penetrare nell' espe-
rienza, ed alimentarsene. Però la filosofia positiva, nel
problema su l' origine del soggetto psicologico, non vuole,
non può accettare il principio della trasformazione
della materia come pretendon gli aristotelici empirici
rappresentati oggidì dagli Hegeliani di parte sinistra ; e
non può del pari accettare il principio (pur ridotto a
forma squisitamente razionale e metafisica) d'una crea-
zione estrinseca, immediata, superiore, secondoché sti-
mano, il tomista, il teologist^, l' averroista, il neoplato-
nico, r ontologista. Dottrine ipotetiche entrambe, elle
non sanno reggere al martello della critica. La prima
riesce insufficiente a spiegare il fatto del penciero: la
seconda torna inutile a legittimarne la natura.
Tra il senso e V intelligenza ci ha intimo nesso ; ma
ci ha da essere pure indipendenza e diversità. Anche
qui si verifica ciò che ha luogo attraverso a tutti i dif-
ferenti gradi della scala de' sommi generi cui si riducon
le forze di natura: si verifica, vo'dire, quella doppia
legge che altrove appellammo della continuità ideale^ o
degl' intervalli reali, Havvi continuità perchè, posto il
senso, posta la natura, è possibile, anzi è necessario
l'intelletto: si che può dirsi che dall'uno scaturisca
l'altro. Ma ci è pure intervalli, perocché se l'intelletto
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358 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [UB. n.
germina dal senso, o meglio nel senso, non per questo
potrà esser lecito confonderlo col senso. Ci spieghe-
remo brevemente.
Dicemmo come l'esigenza massima, il principio che
qualifica V Aristotelismo sia quello che si riferisce alla
relazione tra la potenza e Tatto. Gli Aristotelici empirici
(per esempio gli Hegeliani di parte sinistra), ci dicon
che la potenza diventa atto; e, applicando siffatto pnn-
cipio alla psicologia col fine di determinare l' attinenza
fra l'anima e '1 corpo, affermano che l'anima debba
rampollare dal corpo in forza della leggQ del diventare.
Che cos' è per essi il diventare? È il to 7$ vo? tolto in
significato al tutto empìrico e sperimentale; il quale
perciò vuol dire trasformazione, generazione, ripetizione
e quindi passaggio incessante (attraverso infinito nu-
mero di forme) d'un soggetto identico, d'un fondamento
universale ma concreto e sensato, qual è appunto la
Materia.^
Gli Aristotelici iperpsicologisti poi (fra' quali sono
d'annoverarsi gli Hegeliani di destra), ci dicono an-
' È questa la teorica propugnata, come altrove toccammo, da* moderni
Materialisti tedeschi. Essa, com' è noto, è rappresentata dal Feuerbach, è
divulgata e sostenuta con incredìbile superficialità dal Di' BUchner (Foror
ei Matth-e, trad. Gamper, Leipzig 1868. Science et Nature etc trad. De-
landre, Paris, 1866), ed è applicata dal Moleschott alle scienze fisiologiche.
Ho appellato Arùtoteliei empirici questi moderni materialisti usciti dal
fianco sinistro doirHegelianismo, perchè davvero considerati st>orlcamente
e* non fanno che svolgere V indirizzo naturale deirAristotelismo. Bel qual
fatto hanno coscienza essi medesimi, segnatamente il Moleschott, il più
ingegnoso fra tutti, quando afferma che Vunion de laphilosophie et de la
acience ne e^eH rialieée qu'une foie don» ArÌ9tote, {La Oirculation de la
Vie, Paris 1866, t.I,p. 10.) Ora s'intende agevolmente comò pel Moleschott
questo connubio della Filosofia con la Scienza nella mente dello Staglrita
si compiesse tutto a scapito della metafisica. Aristotele, egli dice, è co-
noscitore delle .opere d* arte, degli uomini e degli animali [Ibi). Eviden-
temente il dotto fisiologo riconosce in Aristotele l'autore d'una Bettorica,
d' una Storia degli animali, e degli otto libri su la Politica. Ma perchè
dimenticar r autore della Ptieologia, della iSi'HoywKca, dell' £Wea e segna-
tamente della Metafisica t Non è vero dunque che T Aristotelismo de' Po-
sitivisti, do' Materialisti e degli Hegeliani di sinistra è addirittura falso,
erroneo, mutilato storicamente o teoreticamente V
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OAP. TI.] OEMESI B TELEOLOGIA. PSIGOLOGIOA. 359
ch'essi che ìsl potenza diventa atto; ma il loro diventai^e,
anziché grossolana ed empirica trasformazione, è, per
cosi dire, un' addizione ideale, cioè posizione e contrappo-
sizione, determinazione, individuazione progressiva, ma
d' un soggetto unico, universale, intimo, trascendente,
assoluto, eh' è appunto l' Idea.^ Ora il soggetto del di-
ventare, tanto per l'empirismo quanto per l'iperpsico-'
logismo aristotelico, cioè tanto per la sinistra quanto
per la destra hegeliana, è sempre uno, sempre iden-
tico a sé stesso, chiamisi Idea, chiamisi Materia. Ecco
dunque la ragione per cui ne' risultati, massime nella
soluzione del problema psicologico, le due scuole s' ac-
cordano a meraviglia. Di fatto, l'anima' per gli uni
na^e dalla materia, è materia, e finisce nella materia:
per gli altri nasce in virtù dell' idea, è l' idea, e finisce
nell'Idea. Qual è dunque il fine supremo dell'anima? Non
altro che un ritomo, un estinguersi nell' Idea, o nella
Materia: ecco tutto. L'intima parentela tra il Positivi-
smo e r Hegelianismo non potrebb' esser più evidente I
Seguaci dell' indirizzo medio dell' Aristotelismo, a noi
pare che l' interpretazione legittima della sentenza ari-
stotelica in discorso non sia questa, che cioè la potenza
diventi atto; ma quest' altra, che la potenza passi ad
essere atto. Se non fosse così, tutto affogherebbe sotto
il pesante domma dell'identità assoluta, né vi sarebbe
differenza di contenuto fra le cose in generale, e nem-
manco fra il senso e l'intelletto in particolare. Or se
questo fosse, anziché progresso avremmo processo; e
' La materia e la forma, la pot&Ma e V atto, la forma e il contenuto,
non ooetitHÌacono altro che due momenti deWIdea, (Hbgsl, Log., Tol. I,
§ XUI e segg. Vedi anche neir Introd. del Vera, Cap. XII, XIII.) L* Idea
perciò s* occulta eeaenxialmenu in entrambo i momenti ; con questo sem-
plice divario, che nell* atto essa è piìi determinata, più individuata, più
enudeata (direbbe con parola significantissima Vittorio. Imbriaui) di quel
che non sia nella materia e nella potenza. Dunque, io concludo, la difTe-
renia non istà nel quali, ma nel qoaktvm ; e perciò diventare non altro
Tale, a dir proprio, che traeformanL Ecco il punto di coincidenza de* due
estremi indirizzi aristotelici; ed è pur quello nel quale per logica necessità
debbono consentire (checché se ne dica) la destra e la sinistra Hegeliana.
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360 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lTB. II.
quindi monotonia, eterno e indefinito cangiamento di
forme. Tutto quindi si ridurrebbe ad un meccanismo
materiale, ovvero ad un meccanismo ideale; e leggo
universale del mondo sarebbe o la necessità empirica e
fisiologica, ovvero la necessità dialettica : fatalismo cieco
nell' un caso come nelF altro. Invece l' essenza del pro-
cesso cosmico per noi, come vedremo, sta nel canato
secondo eh' è inteso dal Vico. Ma come il conato po-
trebb' esser conato ove non includesse l' intervallo, la
diversità vera, cioè la diversità di contenuto? Conato
è passaggio nello stretto senso della parola (irjìpytx
otTf)>?;); è transito, non trasformazione; eduzione (edu*
dio entis ad a4ium) ma eduzione intrinseca, e quindi
conversione del fatto ìid vero, cioè dire conversione
della potenza nelP atto , creazione intima , creazione
spontanea. La potenza dunque recasi ad atto non in
quant' è potenza , ma in quanto cessa d' esser po-
tenza, e passa ad esser atto; cioè in quanVè potenza
feconda. E come potrebb' esser feconda (tò ^warov), ove
non fosse privajsfione («rrf/jvjTc;)?» Or tutto ciò, come
sarebb' egli possibile senza la doppia condizione della
continuità ideale e dell'intervallo reale?
Torniamo all' assunto. L' intelletto nasce dal senso :
è vero. Ma forse che nascere vài risultare? Se così fosse,
r intelletto non essendo altro che un risultato, starebbe
rispetto al senso così oomQ precisamente nella storta
del chimico sta un sale rispetto agli elementi onde
risulta, cioè all' acido e alla base. Or questo (chi noi
' Questo è il senso che noi diamo al principio aristotelico della pn-
«astone. {Metaph., l.IX.) Anziché principio negativo^ la pr«ea«i<m«ò principio
essenzialmente affermativo; e così la interpretarono gli Alessandrini, se-
gnatamente Proclo e Plotino, come osserva il Michelet. (Kxam, ec.,
p. 298.) Ed è affermativo in quanto include necessariamente il diverto;
il diverso come tale, non già il diverso come semplicemente oppoHo
secondo che vorrebbe lo storiografo hegeliano. [Ibi, p. 258.) Se in altro
senso si volesse interpretare la privtmone, non so come si potrebbe ri-
spondere alle serie difflcoltà cho a questo proposito affaccia il Rosmini
contro lo stesso Aristotele. {ArÌ9t. e«p. ec, p. 404.)
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OAP. VI.] GENESI E TELEOLOGIA PSIOOLOGIOA. 361
vede?) è pretto sensismo. Vorranno accettare tal con-
clusione gli Hegeliani, maestri in Aristotelismo ammo-
dernato? E, accettandola, in che mai si distingueranno
da' Positivisti? Tra V Hegelianisrao e '1 Positivismo è un
breve passo! L' abbiam detto, e lo ripeteremo a sazietà.*
Dunque non è il senso che come senso trasformasi
in pensiero. E non è la Idea che, quasi immergendosi
nel sensibile e straniandosi, ami celarsi nel senso, nella
natura, e farsene un mezzo attraverso cui, passando,
giunge da ultimo a rimirar sé medesima specchiata nella
pienezza del proprio splendore e chiarità. Il senso è forza
che s'attua; è conato che transita; è natura che, sa-
lendo, assume valore di pensiero : ma non è Idea-Natura
che diventi coscienza.* Piii chiaramente: Videa per
' E questo passo brevissimo gli Hegeliani lo daranno, io ne son sicuro:
che anzi non manca fra noi chi l'abbia già beli' e dato. Il mio collega
professor Fiorentino, per esempio, non dubita scrivere con tutta se-
rietà, che il «eiwo diventa riJUtnone in virth della riprtizionb (frase di
schiettissimo conio condillachiano) ; e che poi o(d ripeterei si fieea^ ei deter-
mina, ti epecchia.,., e in cotesto fieearù e««o «« trae/orma, e la luce, inith
leniva^ impromieaj balena allo epirito. Ma, se col ripetere »i tran/orma^
non è proprio inatile qualunque /tK» improvvisa e qual si voglia balenio f
Nascere improwieof balenare^ e trat/ormarei, a me pare contradizione. Del
resto non potendoci intrattenere su ciò, noi ci permettoremo di rammen*
tare all'amico nostro le tanto belle e tanto gravi e severe analisi del Rosmini
in proposito, massime quelle che si leggono nella Psicolotfia (Voi. Il, od. No-
vara, LXXX); e solamente per nostro conto poi facciamo riflettere che, a
guardare, con la speranza di qualche baleno, e contemplare e ripetere per
secoli 0 secoli il senso per indi volerlo trae/ormare e cavarne la specie, ù
tempo sprecato addirittura. Il più perfetto quadrumane, per esempio, ripete
U tento infinito nnmero di volte. Or bene, qual balenìo di luce ha mai potuto
lampeggiare agli occhi suoi? Perchè dunque il senso, ripetendoti^ non si
tratforma anche in lui? E se non si trat/orma, non vuol dire che nel
senso del quadrumane manchi qualcosa che devesi celare necessaria-
mente e primitivamente nel bimane? — Le riflessioni che altrove abbiamo
fatto contro il Littró a questo medesimo proposito (p. 813 e segg.)
8' attagliano benissimo anche agli Hegeliani che con armi e bagaglio
passano oggi nel campo de* Feuerbach e do' Bilchner.
• Netta tfera della «entibilità (dice Hegel) »' incontra, eia come con-
tenuto, eia come determinabilitàf tutti i momenti pivi profondi dello spirito.
(Phil, de V Esprit, t. I,p. 19, trad. del Vera). E altrove: V Idea etema è
immanente neUa natura, o, eh* è lo ttesso, lo tpirito rieiede e agisce virtual-
mente in lei. (Ibi, p. 87.)
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362 DSLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
noi non riappare, bensì appare. Non è potenza che
quasi attergata allo spirito per dialettica necessità in-
cessantemente si sforzi, si determini, diventi; ma è lo
stesso conato di natura che si determina, che procede,
che s' avanza, e che per efficacia e yirtù propria si fa
e s'aderge a dignità di ragione. Però non è vero che
r anima sensitiva trasformandosi diventi intellettiva e
la generi; ma è vero che questa, nascendo nella prima,
la supera, la trascende, la signoreggia. E neanco è vero
che il conoscere cominci dal senso, col senso, per il
senso; ma è vero che lo spirito in quanto è NoJ? po-
tenziale. Intuito, Mente, cominci come senso, che cioè
dapprima si palesi come senso, appunto perchè questo,
necessario termine di mediazione, è dentro al processo
psicologico, e ne costituisce V inizio. E finalmente, se è
vero che il conoscere senza Y opera de' fantasmi è im-
possibile; è verissimo, d'altra parte, che tal necessità,
anziché al processo, è relativa all'origine della cono-
scenza ; per la solita ragione che, ove così non fosse, lo
spirito non sarebbe conato essenziale, né il pensiero
sarebbe attuosità vivace, intrinseca, spontanea. Il pen-
sare non sarebbe giudicare^
* Noi non abbiam potato nò voluto intrattenerci intomo a questo
punto che ba importanza vitale nella moderna psicologia, perchè ci sem-
l>ra posto oggimai nella sua massima evidenza sopratutto dal Rosmini. A
niuuo è lecito dubitare della necessità d*una forma oggettiva originaria
nella sfera de* fatti psicologici. Con salde ragioni il Kant ha dimostra-
to, contr*ogni maniera d'empirismo psicologico, che lo spirito intanto
pensa in quanto giudica; e più ancora il Rosmini ha posto in chiaro
che lo spirito giudica appunto perchè è toggeito e oggetto insiememente.
(Vedi Nuo. Saggio passim. — Rinnowm,^ L. Ili, e. XLVII. — Psicologia,
voi. I, e. IX, X. — Introd, alla FU, p. 74.) I difetti della teorica Bo-
sminiana li accenneremo in quest'altro capitolo. Qui osserviamo che in
tale dottrina il filosofo italiano si ricollega con san Tommaso, e, chi
volesse andare più in su, anche con Alessandro Afrodiséo, e quindi con
Aristotele. Nello Stagirita infatti ò chiaro questo principio: NotjtvÌ ^i
in iTÌpcK. <j\fvroix,i(x. xad' awri^iV xac radxvii in oucrta aptirn,
{Metaph, XII.) Se ciò nonostante il sensista, il positivista, il materialista,
r Hegeliano ainiairo, o come altrimenti voglia chiamarsi, pretenda tuttavia
di venir fuori con la solita macchinetta del senso che ripetendosi e trat-
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OAP. TI.] 0ENE8I K TBLEOLOaiA PdIOOLOaiOA. 363
Dalle cose discorse è agevole trarre una conseguenza.
L' anima non è creata di getto, come pretendono vec-
chi e nuovi platonici e certi aristotelici iperpsicologisti;
ma neanche si può dir eh' ella sia pullulata per gradi,
quasi a forza di pompa o di lambicco, dal grembo stesso
della materia, come pretendon i vecchi e nuovi Ari-
stotelici seguaci deir indirizzo empirico. L' anima è for-
mata di getto, è vero : se fosse altrimenti non potrebbe
esser pensiero per nessun miracolo al moi>do. Ma nem-
manco è presupposta al corpo, come dice lo stesso Pla-
tone, 0 piovutagli addosso dal di fuori e dall'alto in certo
mese e in certo momento della vita intrauterina, come
affermano tomisti e teologi, senza dirci ne come né
perchè: e tanto meno potrebb* esser venuta fuora e ve-
nir fuora qual risultamento di leggi meccaniche e fisio-
logiche. L'anima è creata; o, per dir meglio, l'anima
crea sé medesima per una legge profondamente dina-
mica che si confonde e compenetra con l' essenza stessa
della natura e del finito. Perciò alla domanda, se fra
l'anima e '1 corpo come fra il sentire e l'intendere oi
è salti ed abissi, rispondiamo subito che sì; ma tosto
aggiungiamo, che, a colmare cotesti abissi e varcare
cotesti salti, né la psicologia positiva ha punto biso-
gno d' invocar V atto immediato d' un deus ex machina,
né r ideobgia ha mestieri d' un a priori che, dardeg-
giando all' anima il raggio dell' intelligibile sovramon-
dano, svegli ed ecciti in essa la virtù dell' intelletto.
Questo, e solamente questo, noi potevamo dire 'quan-
t' alla genesi e quant' alla teleologia dell' anima umana,
puntellandoci unicamente (come s' é visto) su la na-
tura dell' atto essenziale, dell' atto radicale onde vuol
esser costituito il pensiero. La psicologia non sarebbe
famMndoèi bel bello diventa miracolosamente intelletto, ignorando cosi o
facendo le Tlste d'ignorare gli studi profondi e le parti accettabili deUa
psicologia Bosminiana; sì serva pure: noi non istaremo a perderci
ranno e sapone. Ma non sarà certamente villania il dover dire di lui
con Aristotele: ^uoeo; yixp f^fw o toiowtoc y, toéoùtoc 'A^ril
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364 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. II.
davvero positiva, non sarebbe razionalmente positiva,
quand' ella presumesse di risolvere diffinitivamente, doni-
maticamente, sistematicamente questi due problemi, che
non senza ragione il Leibnitz appellò terribili. Ella, ripe-
tiamo, deve saper contraddire a due estremi opposti e
contrari. Da una parte dee contraddire allo Spiritua-
lismo e al Materialismo; dall'altra al Positivismo. Dee
contraddire al volgare spiritualista e al materialista,
perchè entrambi pretendono, tuttoché per vie e risul-
tati assai diversi, d'aver risoluto in maniera invincibile
cotesto doppio problema, mentre nel fatto l'un d'essi
disconosce il valore intimo, l'autonomìa dell'anima, e
l'altro finisce per impugnanie perfino l'esistenza. Deve
poi contraddire al Positivismo, perchè questo, al solito,
non volendo sapere di siffatti problemi, ne dichiara im-
possibile tal soluzione, e quindi inutile il parlarne. Il
filosofo seriamente positivo può fare qualcosa di più
che non sappia il Positivista. Ma confessa di non saper
giugnere fin dove, con volo icario e fatale, sanno spin-
gersi materialisti e spiritualisti, empirici e tradiziona-
listi, hegeliani di destra ed hegeliani di sinistra, mistici
e ontologisti. I principìi della psicologia positiva che
abbiamo interpretato nell' autore della Sdenza Nuova
ci possono far capaci di determinare siffattamente la
genesi e la teleologia dello spìrito, da chiuder l'adito
allo scetticismo e al nullismo. Il che non dovrebb' esser
poco, anzi dovrebb' essere moltissimo, agli occhi almeno
di coloro che modestamente sanno e voglion ricono-
scere i confini del pensiero umano.
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365
Capitolo Settimo.
DEL CONOSCERE METAFISICO.
{Critica de' moderni Neoplatonici)
Abbiam visto come la genesi del processo psicologico
sia essenzialmente genesi teleologica. Ella dunque ci vieta
d'essere scettici per sistema, ci vieta d'esser nuUisti circa
il sapere metafisico. Se il mondo della natura e quello
dello spirito, come altrove toccammo, sono processo e
conversione, stantechè il primo sia numero che volge
ad unità e il secondo unità che, in sé medesima attuan-
dosi, divien numero ; anche 1' assoluto, serbando mede-
simezza di legge, ha da esser non altro che conversione,
processo, mediazione. È dunque possibile che la mente
penetri in qualche maniera nel regno delle realtà me-
tafisiche. Ma se la legge è comune, sarà pur tale il con-
tenuto? Agli occhi del modesto indagatore del vero la
metafisica è la scienza de' confini. Or questi confini ap-
punto ignorano tanto i Neoplatonici quanto i Neoari-
stotelici per opposite ragioni.
Di fatto anche qui, e sopratutto qui, navighiamo fra
Scilla e Gariddi: siamo fra que'due soliti estremi, come
si disse, in che travagliasi '1 pensiero filosofico fino
da' tempi in cui sovraneggiarono i due grsmà'' istitutorì
déW uman genere, come il vivente filosofo berlinese non
dubita chiamare Platone ed Aristotele.' Qual è, in ge-
nerale, l'esigenza e quindi '1 distintivo de' Platonici e
del Neoplatonismo di tutte l'età nell'afifermar l'assoluto?
È il propugnare la conoscenza immediata e primitiva
dell' obbietto metafisico, qualunque ne sia 1' ampiezza,
il grado, il valore dell'intùito. Qual è, invece, l'esi-
genza degli Aristotelici e del Neoaristotelismo? È il
* 1|I0HIL«T, Metaph, d'ArUL, ed. cit, p. 243.
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366 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
mantenere la mediatezza del conoscere metafisico, ov-
vero menomarla cosi da renderla inefficace, e talora
persino affatto negativa.'
I metodi de' Neoplatonici nelP attinger l'assoluto
' In armonia con le idee accennate già nel Gap. Ili di questo secondo
libro sa la storia generalo del pensiero filosofico, noi togliamo in sig^nificato
largo le parole Neoplatonismo e Neoaristotelismo. In esse comprendiamo
più e differenti scuole di filosoft. E quindi non sono soltanto filosofi Neo-
platonici gli Alestandrini o quelli àeXht scuola Toscana del secolo XY« od
altri simili tra' filosofi cristiani massime appartenenti a* secoli XIIl e XIV.
Filosofo neoplatonico è chi, pur modificando il Platonismo, ne sorbi, come
notammo, due esigenze, di cui 1* una ò p9Ìeologtea e 1* altra è tnetaJUica.
La prima consiste nel porre un* attinenza primitiTa, e quindi una connes-
sione originaria Tra la mente e l'obbietto metafisico. Secondo tal criterio,
fra* neoplatonici andrebbero annoverati parecchi filosofi arabeggianti, av-
vegnaché per ragione isterica ei risalgano, come toccammo, allo Stagirita.
(p. 287, e segg.) La seconda esigenza poi risiede nel riguardar le idee
siccome entità aottanxialmente eaemplatrici; il che costituisce davvero il
distintivo del Platonismo in generale (p. 280). Or le diverse famiglie o
varietà di platonici e di neoplatonici possono esser coordinate, nella storia
della filosofia, secondochè queste due posizioni si presentano più o meno
modificate. Per iVeoameoCetùn poi intendiamo qne'filosofi che contraddicono,
in generale, ali* anzidetta esigenza psicologica e metafisica. E poiché il
Platonismo, come dicemmo e come avverte il Barthélemy Saint-Hilaire
{Phif9. d*ÀrÌ9t., Pref. p. XX), si riproduco e si trasforma in Aristotele non
pure quanto alla filosofia ma eziandio quanto ad ogni altra sfera di scibile,
cosi noli' Aristotelismo è d* uopo saper rintracciare i germi del triplice
indirizzo speculativo da noi altrove accennato, massime deirindirìzzo mediof
nel quale unicamente è possibile rinvenir la correzione del Platonismo e
dell* Aristotelismo. Ripetiamolo anche qui : tutta la storia del pensiero
filosofico occidentale consiste nelJo svolgimento fecondo e svariatissimo
di questi tre indirizzi; ciò ò dire nella lotta perenne delle due estreme
posizioni, e nel trionfo lento e faticoso, ma immancabile, della posizione
mediana. Se questo è vero, ne segue (almeno per chi serbi alcuna fiducia
nel progresso della ragion filosofica) che se nessun filosofo oggi può dirsi
od essere un puro platonico od un puro aristotelico, tutti invece dobbiamo
essere e dirci neoplatonici, o neoarìstotelici, ovvero seguaci del terzo in-
dirizzo; il quale, sia storicamente, sia teoricamente, vien fuora tostochè
sian dati i due primi. Noi non possiamo intrattenerci sopra questa ma-
teria e corredar di prove isteriche tale assunto, essondo ben altro il
compito del nostro lavoro. Ma riteniamo per sicuro che una storia par-
ticolare 0 generale della nostra scienza, la quale non sia condotta con
silEatti criteri, altro alla fin fine non potrà esser che un lavoro d* in-
tarsio, come tanti se ne vedono, ovvero un arbitrio sistematico, dom-
matico e fftntastico dairnn capo ali* altro. (Vedi tutto ciò che abbiamo
discorso a tal proposito ne* Gap. III e IV di questo Lib. II.) (
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OAP. VII.] DEL 0ONO80EBB METAFISICO. 367
potranno differir nella forma più o manoo arbitraria
con che ci è data la dottrina delP immediatezza. Ma
tutti ci palesan lo stesso difetto: l'esser dommatici, Tesser
sistematici; poiché tutti trascendon T esigenza d'un po-
sitivo e fecondo psicologismo. L' esagerazione di cotesto
indirizzo è rappresentato da chi presume conseguir la
notizia dell' assoluto con la ragione, ma con la ragione
che si lasci guidar dalla fede, e sorreggere dal senti-
mento. Con siffatta maniera di speculazione noi non ci
abbiamo che vedere. Essa ci rappresenta quella posi-
zione metafisica che altrove appellammo DommcUismo
empirico (p. 251). Dobbiamo dunque rifiutarla. E dob-
biamo rifiutarla, sia perchè in sostanza ella riesce a
negar la speculazione trascendente, ùa perchè s'oppone
alle condizioni più elementari della scienza, (p. 213.) —
Le altre forme di Neoplatonismo afferman l'immediatezza
dell' oggetto metafisico ponendo l' intùito, ma l' intùito
che legittima sé stesso in quanto che, assumendo virtù
riflessa, diventa ragione. Secondo tale indirizzo appunto
è venuta svolgendosi la speculazione italiana nel moderno
periodo della nostra filosofia. Talché noi dovendo, come
richiede l'indole stessa del nostro lavoro, tener conto non
pur della ragion teoretica, ma eziandio della ragione
isterica, verremo accennando alla dottrina del Rosmini,
del Gioberti e del Mamiani, che ne sono i più legittimi
rappresentanti. Rifacciamoci dal primo come quegli che
per ragion cronologica e per valore di speculazione va
innanzi a tutti.
Al Rosmini s' é voluto dar titolo d' idealista piato-
nico. * Con egual ragione altri potrebbe dargli titolo di
realista aristotelico. Il Roveretano corregge davvero il
neoplatonismo nella ricerca psicologica ; ma v' è un punto
vitale nel quale, come si vedrà, ei si palesa più che ne-
* È un titolo in gran parte sbagliato. Quelle eh' ei dice propriamente
idee per lui sono eeemplari delV eetenxa inteUigibiUf non' già eeemplatrici
per «è medeeime, {ArieU E«p. ed eeam,, Pref.) Come dunque ò idealista
platonico ?
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368 DILLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
platonico. Con ingegno potentemente analitico, temprata
alla severa speculazione d' Aristotele e deH' Aquinate *
egli ha dimostrato ciò che in modo assai vago eran
venuti affermando gli aristotelici su la necessità d^ una
forma oggettiva nella mente. Ma egli non si contenta
dell'essere in quanto essere: lo dichiara altresì immo-
bile, immutabile, obbiettivo, inalterabile, se^nplice, uno,
immescibile, infinito^ necessario, insussistente, ideale} Ecco
il puntello ond' egli s' augura di spiccare il volo inverso
ali Assoluto. Ma innanzi tutto guardiamo tale dottrina
sotto il rispetto psicologico eh' è appuntò il tema pre-
cipuo del presente capitolo.
Col porre l'Essere come oggetto primitivo della mente,
e col dichiararlo fornito del carattere d' universalità, il
Rosmini taglia i nervi, come dicemmo, ad ogni maniera
di sensismo, e nel medesimo tempo corregge il Critici-
smo: lo corregge non già mondandolo (com' ei si vanta)
della magagna della subbiettività di cui non sa neppur
liberare sé medesimo, bensì dimostrando quant* inutile
fardello sia quella moltitudine di categorie originarie
ond' il Kantismo si distingue fra' moderni sistemi di
filosofia. Ecco ciò che forma l'onore della psicologia
rosminiana. * Ma qual è il suo difetto? È il non aver
indagato fino alla più fonda radice quel eh' egli stesso
appella il minimum della cognizione; e quindi l'aver
fatto pesare su l'obbietto originario un ingombro di
note e d'attributi cotanto copioso, da fargli smarrire
affatto il carattere dell' originarietà. E, davvero, cotest' og-
getto è egli ideale? Dunque è già beli' e determinato.
Ór come un obbietto determinato potrà esercitare fun-
* Il prof. Paganini ha mostrato 1* affinità fra il Rosmini o san Tom-
maso quant'alla teorica del lume intellettivo. {Sagg. 9opra «an Tomm,
éC Aquino e t7 Roeminif Pisa 1857.)
« Vedi Rinnovam., LUI, e. XXXìX,— Ptieologia, Tol. I, XI, XXIIi,
ed. cit. — Nuo. Sagg.^ voi. II, Sez. II.
* Il prof. Spaventa ha pasto in sodo questo gran merito del filosofo
italiano di fronte al Criticismo nel prezioso opuscolo altrove citato so la
' FUo9ofia di Kant e la tua relazione con la FUotoJia Italiana, Torino 1860.
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OAP. yn.] DEL OONOSCSBB MSTAflSIOO. 369
2Ìoni di Primo psicologico? Non verremmo cosi a tur-
bare e confonder l'ordine primitivo della conoscenza
col riflesso? Dunque Y essere ideale nell'organismo della
psiche, anziché Primo psicologico, sarà il Primo logico.*
Quanto poi air attributo della infinità, egli ha ragione
dove aflerma con san Tommaso, la natura del soggetto
dover partecipare a quella dell'oggetto: e quindi se a
questo appartiene il carattere della infinità, non si vede
perchè non debba appartenere anche a quello. Or s' egli
è cosi, è dunque infinito il pensiero? Lasciamo agli hege-
hani cotesta innocua pretensione finché non ce n' abbiau
dato valide e serie dimostrazioni."
Se, inoltre, cotal forma innata è immobile, immuta-
bile, immescibUe e inalteràbile, perciò non le sarà dato
moversi di per sé stessa. Ella si move bensì, ella diventa,
ma in virtù d' una determinazione, in forza d' un' op-
pliccunone. Chi recherà ad atto cotest' applicazione? La
* Lo Spaventa ha ragione : « V errore del Roamini non ì il fare
ddV eteere come eeeere il primo eeientijico o logico, ma di fame jil primo
peiedogieo: non U primo pensabile, ma il primo eonoeeibUe, » (Le prime
categorie della Log, di Hegel, p. 130, negli Aui dtUa B, Accad, di Nap.,
voi. I, 1864.)
' Il Rosmini stesso prevede questa grave difficoltà, e tenta rispondere
in più modi riparando al solito arsenale delle distinzioni ; ma questa volta
con assai poca fortuna. {Peieologia, voi. I, e. XI, ed. cit) In altre opere,
e anche nel Nuo, Sag., avea chiamato infinito il pensiero, non però eotto
tuui gli aepeUi. Ma un inAnito di cotesta foggia chi vorrà accettarlo?
La creduta infinità dell* oggetto primitivo non ò infinità, ma indetermi-
natezza, E di fatto la nota epeeijicante della Ittee metaJUiea^ secondo la
sentenza del Vico altrove riferita (p. 851) è appunto la indeterminatezza,
la potenzialità, ma la potenzialità non vuota e subbiettiva de* Tomisti e
de* Peripatetici, bensì piena, feconda, oggettiva, essendo nella sua essenza
un eonato. Or se questo ò il carattere dell* oggetto, e se la natura del
soggetto ha da rispondere a quella della sua forma, ne seguita che al-
reggette indeterminato dee far riscontro una facoltà d*indol6 somigliante.
Ma che cos*ò un pensiero indeterminato nel suo oggetto salvo che un
essere potenzialmente infinito, un subbietto che tendit ad infinitum, come lo
deRnisce lo stesso Vico? Dunque 1* indeterminatezza è il carattere pre-
cipuo della luce metafieiea, tuttoché in so stessa ella sia determinata In
quanto che non cessa, ripetiamo, d* essere un oggetto; mentre che la
potenzialità feconda è il carattere del pensiero inteso come soggetto.
Siciliani. 2Ì
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370 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. U.
ragione. * Or bene, la ragione non vi potrebb' essere
mossa tranne che da sé stessa, ovvero dal senso. Dal
senso, no ; che saremmo sempre impigliati in una forma
più 0 meno schietta di sensismo, dal quale indirizzo il
filosofo di Rovereto rifugge ad ogni patto. Dunque da
sé stessa. Ma, si può chiedere: muovesi ella da sé in
quant' è soggetto, ovvero in quant' é oggetto? In quant' è
soggetto, no. Un soggetto spoglio di forma è una pò*
tenza vuota; è la pura potentia, la purafaeultas degli
scolastici: e come tale riesce incapace d'esercitar fun-
zione di Primo psicologico. Movesi dunque siccome og-
getto; movesi in quant' è luce fnetafisica. Or come si potrà
movere s' ella é immobile, immutabile, immescibUe, iikiZ-
terabile? — Da ultimo, il difetto che in tale indagine egli
ha comune con parecchi altri aristotelici, e pel quale vuol
esser segnalato come neoplatonico, risguarda l' origine
di cotesta forma ideale. Donde mai cotal luce? Piove
dall' alto, 0 piuttosto rampolla dal basso? Non dall'alto,
non dall' assoluto in maniera diretta, egli risponde; net-
tampoco dal basso, cioè dall'esperienza. Il Rosmini qui
ha ragione: nessuno, crediamo, vorrà fargliene carico.
Donde e come, dunque, ella viene? '
• Vedi Antropologia, cap. VITI. — Sistema FUotofieo, p. 82.
' Bisogna confessare che nel punto più vitale delle sae dottrine,
eh* è Torigine dell* obbietto primitiro della monte, questo filosofo fu sempre
titubante anche ne* suoi lavori postumi. In alcune opere evidentemente
8* accosta a san Tommaso, dove dice, per esempio, che Tessere ideale è
un cotal raggio ddla divinità, il quale noi tftdremmo in modo ineffabile
identijì earai con etaa quando ci si potesse disvelare la divina e$»enMa. (Atto.
Sagg., vol. II.) Altrove ritiene che la forma intellettiva non ci abbia che
vedere con Dio ; e • dove pur ci fosse un* attinenza, difficilmente (egli
sogin»?"®) ci salveremmo dal panteismo. {FU. dd Diritto, voi. II, p. 195.)
E con tutfaO questo el non dubita alTermare, additando la nota scap-
patoia della distinzione tra forma reale e forma idecUe, che Dio si co-
munica al pensiero idealmeìUe, non già realmente ! Ma che cosa ò mai,
e come avviene cotesta eomunieagione ideale f Che 8*ella è possibile, come,
in tal caso, potrete salvarvi dal panteismo ideale? Il Rosmini parla
chiaro (Teoeojia, voi. Ili, nel cap. su la Partecipazione del divino nella
inteUigmza) ove dice che 1* essere iniziale della mente e 1* estere divino
sono addirittura identici. Dunque non v* è scampo : o egli non riesce a
salvarsi dal panteismo, ovvero deve attribuire all' obbietto della mente la
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OAP. yn.] DEL OONOSOEBB METAFISICO. 371
11 Rosmini crede potere attinger la notizia dell' as-
soluto ponendo in opera alcuni espedienti, per esempio
il processo d' dimincunone, d' intcgrcmone e slmili. Ma
sopra qual fondamento si basano cotesti processi? Ap-
punto sul concetto dell'Essere ideale. Da cotesto con-
cetto egli stima possibile trar gli elementi a comporre
quello dell' obbietto metafisico. Perciò dagli attributi
dell' ente ideale vuol concludere a quelli dell' essere in
sé: perciò dal simile vuol procedere al simile. Or co-
testo è un processo senza processo: è un processo ap-
parente, illusorio, perchè dal simile non si procede al
simile, ma si è nel simile. D' altra parte, per isquisiti
che si voglian supporre i metodi eh' egli adopera a tal
proposito, mai non avverrà che gli attributi dell' ente
ideale possano porgere quelli del reale. In che ma-
niera convertir le note d'assolutezza, d'universalità
e d'infinità, che son proprie dell'uno, con quelle del-
l'altro? E dove e come poi andare a ripescar l'attri-
buto della realtà? Checché se ne dica, a tale domanda
ei non risponde, o ricasca nel ginepraio delle viete ar-
gomentazioni scolastiche. E mentre crede compiere o
correggere il celebrato argomento di sant'Anselmo, non
s' accorge il grand' uomo come restino tuttora incrolla-
bili le gravi difficoltà affacciate dal Criticismo. Pur non
ostante egli reputa negativa l' idea di Dio. Or come ne-
gativa se ci avete saputo disasconder tante peregrinità
a questo riguardo? E s'ella é davvero negativa, non
siamo già nel Positivismo? E se non é assolutamente
negativa, perchè non è tale? perché non può esser tale?
nota della realtà alla maniera del Gioberti. In altra opera postuma
{Ari9t, Etp, ed etam,, 1. II) le titubanze non iscemano; perchò quan-
tunque modifichi in alcune parti la sua dottrina* V Kssere nondimeno ^W
si prosenta sempre come ideale^ e crede confermar la propria sentenza
con r autorità d'Aristotele. Dalla prima ali* ultima opera del Rosmini,
dunque, il problema su la conoscenza s* aggira sempre nelP equivoco tra
il Primo pticologieo 6 il Primo logico ; ne qnindi crediamo che T Ideali-
smo Rosminiano siasi di mano in mano accostato air Ontologismo del
Gioberti, come pensa il eh. prof. Ferri {Est. tur VHist. de la Phil. en Italie,
t. I, e. IV, p. 489.)
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372 DKLLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. n.
La guisa ond^ il Boveretano crede poter penetrare
nel mondo metafisico non sarebbe, a parlar proprio, un
processo, una mediazione. Nessuna conversione sarà mai
possibile fra due termini simili appunto perchè fra questi,
ripetiamo, non è possibile un intervallo. £ dato ci sia
cotesto intervallo, è poi necessaria una continuità ideale;
la quale, unzichè per comunicazione dell' oggetto, co-
m' egli pensa, avviene per eduzione per parte del sog-
getto. Né è maraviglia eh' ei non abbia visto tali ne-
cessità, chiunque pensi come la filosofia del Rosmini
partecipa a quel difetto che, come altrove notammo, è il
verme pia micidiale che roda il Kantismo. Tutto in lui
sembra immobile, freddo, sterile come il suo ente ideale.
Psicologia, ideologia, cosmologia, storia, diritto, politica
e religione, nel loro insieme, paion quasi altrettanti
organi, anziché un organismo, perocché uiun soffio
vitale imprima forza e movimento a tutte queste membra.
A lui, in somma, fa difetto V esigenza del processo.* —
Eppure air A. del Nuovo Saggio non sarebbe mancato
il fondamento positivo sopra cui avrebbe potuto in-
nalzar r edifizio della psicologia, e apparecchiare cori
la soluzione d'alcuni problemi cosmologici. Avrebbe
avuto una gran chiave nella sua teorica sai Sentimento
fondametìicde, intomo a cui nessuno, dopo Aristotele, ha
saputo discorrere con eguale acume e accuratezza, come
saggiamente osserva il Ferri.^ Ma neanche in questo ei
potè pervenire a disascondere quel secreto vincolo che
in seno all'unità primigenia del Noù; potenziale annoda
* Però il Oioberti non a torto rassomigliò ad uno ttaUauUe il si-
stema Rosminiano. La forma stessa del suo iugesrno mostra cotal difetto.
Kcco perchè non gli fa dato cogliere, come accennammo (p. 99, 841, 248)
il valore del metodo Tichiano. Ecco perchè altra lllosoila della storia
agli occhi suoi non dovrebb* esser possìbile, fuorché quella d* Agostino,
del Bossuet, dello Schlegel, del De Maistre. Non altro concetto sociolo-
gico, salro che quello della società divina naitirale. Non altra cosmolo-
gia che quella del Tomismo. Non altra fisiologia e patologia, tranne che
quella de* Tocchi vitalisti.
« Op. cit., t, I, p. 190.
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CAP. VII.J DBL OONOSCBRB METAFISICO. 373
la visione ideale, la percezione empirica, nonché il sen-
timento fondamentale.'
I difetti del Rosmini prese a correggere il Gioberti;
ma die neir esagerazione. In maniera invitta egli mostrò
la fallacia della posizione dell' ente ideale, ma cadde nel-
r arbitrario anche lui quando ingolfossi nel mare magno
del suo intùito. Se infatti havvi dottrina psicologica la
quale più spiccatamente contraddica al criterio della
conversione, e quindi all' esigenza metodica aristotelica
della Sdema Nuova, è appunto quella del Neoplatonismo
che con entusiasmo senza pari, con ingegno mirabile e
con vena fecondissma di speculazione egli prese ad inno-
vare fra noi con anima italianamente generosa. A nes-
sun italiano oggi potrebb' esser lecito disconoscere i
grandi meriti del filosofo subalpino : a nessuno i bene-
fizi grandissimi che in età assai triste sepp' egli operar
nella mente e nell'animo di tutti con le sue scritture.
' fi noto come pel Rosmini sia U tentimeruo intimo e perfettamente
uno che uniece la eeneitività e V intelletto. {Nuov. Sagg., Bez. V, e. I ;
Ariet. eep. ed eaam.^ L. I, e XXXTl). Ma in che maniera poi accordare
questa sentenza con quel! * altra ove dice, la ragione eeeer quella che
unieee il eentibile e V intelligibile f {Pncologia, Tol. I, p. 124, ed. cit.).
L* anità de* due elementi qui sarebbe posteriore, mentre sarebbe ante^
riore la dualità, e quindi, come dualità primitiva, inconcepibile. Il che
ci è confermato da lui stesso dove afferma, la vitione ideale non aver
relazione di torta con la percezione empirica, {Antropologiaf C. VILI). Ora
a me pare che il Sentimento fondamentale avrebbe potuto porgrersi a lui
come base d* una dottrina psicologica razionalmente positiva, quando
avesse pigliato a considerarla come unità Iniziale, come sintesi origina-
ria del doppio elemento della conoscenza : il che non apparisce in alcun
luogo delle sue scritture. Che cos*è, infatti, il Sentimento fondamentale f
te V atto onde V anima vivifica il corpo, {Antropohf L. 2, Sez. 2, C VII),
Or bene, checché se ne possa dire, cotesta evidentemente è psicologia
neoplatonica, e però tutt' altro che positiva. Invece per noi il Seneo
fondamentale ha natura di conato, e quindi rappresenta, anzi incarna il
momento in che la vita, la ^uvauc; biologica, superando so medesima,
passa ad assumere anche valore di pensiero. In altre parole: l'anima
pel Rosmini è energia primordiale, ò una originariamente (Ibi, e. IX) ;
ma è una come* anima, non già come anima e corpo, come vita e pen-
siero. E con questo difetto, eh* egli ha comune co' platonici e con san-
t'Agostino come v^emmo (pag. 800 e segg.), contraddice evidentemente
all'indirizzo medio arittoulico secondochè noi lo intendiamo.
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374 DELLA DOTTBIKA FILOSOFICA. [lIB. n.
Ma chi è oggimai che vorrà propugnare sul serio la
sua teorica psicologica tuttoché sia da accogliere e svol-
gere non pochi principii della sua Protologia? ^
Fra le molte e gravi obbiezioni mosse contro V on-
tologismo giobertiano, noi ci restringeremo a ripetere
quella semplicissima affacciata poco fa contro il Ro-
smini, e che con assai più ragione s' attaglia al Gioberti.
Come oggetto primitivo del pensiero, la formula del-
l' Etite creante è un oggetto determinato, sia che si tolga
a considerar la natura de' suoi membri, sia che la spe-
cie di relazione che li rannoda in organismo. In che
maniera dunque può essere inizio, principio della genesi
psicologica? Anziché il minimum del pensabile, qui
s' avrebbe il maximum del conoscibile. Or s' egli é così,
la scienza, io chiedo, sarà ella generazione, conversione,
eduzione, o non più veramente copia, imitazione, ri-
tratto d' un vero che non ci appartiene? La posizione
dell'Intuito giobertiano è dunque arbitraria, ipotetica,
oscurissima, come primo d' ogn' altri ebbe a mostrare
lo stesso Rosmini.* Perciò la Formula non può essere
riguardata, secondochè pretendon gli ontologisti, come
sorgente d' ogni scienza, criterio d' ogni scibile, fonda-
mento d' ogni dimostrazione, come Primo ed Ultimo del
pensiero.' Il Nov; degli ontologisti italiani è la vecchia
dottrina dell' Intelleito agente^ ma passata attraversò la
scolastica, e ricorretta dal pensiero filosofico cristiano.
È r IntelligibiHtà, la VerUà di sant'Agostino, ma deter-
minata, concreta, reale. È la Reminiscenza platonica,
ma fatta viva, presente, parlante al pensiero. Egli dun-
* Ved. il nostro opusc. Introduzione allo ttttdio delle acìenxe naturali
e ttoriche, Firenze, Celi ini, 1861, e IV.
■ Ved. Vincenzo Gioberti e il Panteismo, Lucca, 1858, 3" ed., p. 42.
' Dopo il Gioberti del prof. Spaventa è impossibile difendere V intuito
del filosofo di Torino: se ne persuadano gli ontologisti. Noi accettiamo la
sua critica: ma chi ?orrà accettar le conseguenze eh* «i ne trae, o la
relazioni eh' egli pone fra Io Ctisiologismo, in generale, o V Idealismo
assoluto? Anche qnant*al concetto creativo della /Vo(o/o^ fra Tuno e
r altro sbtema, come avvertimmo, corre un abisso. ' «
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OAP. VII.] DEL CONOSOERB METAFISICO. 375
que è r esagerazione del Platonismo. È un iperpsicologi-
smo avente il suo primo puntello nel catechismo, né può
quindi essere accettata dalla ragion filosofica positiva.*
Sennonché gli ontologisti si fan forti, come accen-
nammo, della celebre sentenza vichiana su la rispon-
denza fra r ordine logico e Y ordine ontologico."
Il nostro filosofo non parla d' ordine logico e ontolo-
gico, ma sì d' un Primo logico, e d' un Primo Vero Me-
* Qui abbiamo inteso accenDare alla dottrina deir Intuito come ci
è data nelle prime opere del Gioberti. Ognuno sa che nelle scritture pò-
stnme egli Tiene talora a modificarla sì che s* accosta al Rosmini, o me-
glio, a san Tommaso. Per esempio, dice: < V intiiUo ci dà V Estere eem-
plicemente, la rijleenone ci dà V Ente intelligibile e intelligente, » {Protologiaf
voi. II, p. 419, ed. cit.) E alladendo al processo psicologico altrove af-
ferma arditamente: • Eeietenxa^ pensiero, eoedenza i tuti* uno, Ivariittatif
gradi, prooeaei della realtà non eono altro che quelli della coteimua. Questo
paicologitmo traeeendente i il vero ontologismo,* (Voi. cit., p. 825.) Si può
dare contraddizione più spiccata con le prime opere? Ma, si badi, cotesto
contraddizioni non sono già di quelle cui alludon gl'Idealisti assoluti,
quando fregandosi g^ianieute le mani ammiccano air agognato e vantato
voltafaccia del filosofo subalpino!
* Il Vico dice : « Deum primum verum tum in essendo, ttim in co-
gnoseendo. > {De Univ, Jur., I, (a) ). Da questo lemma è agevole argomen-
tare che Dio è Primo, sia che tu lo consideri come essente, sia che come
conoscente. Qui non v* ha luogo ad interpretazioni. Ma vi è il lemma VII
che dice: « Itaque Primum Verum Methaphysieum et Primum Verum Lo '
gicum, unum idemque esse. Qui la critica interpretativa è necessaria,
perchè qui la contraddizione con l' insieme delle altre sue dottrine è
pur troppo evidente. Se la rispondenza cai allude il Nostro fosse da
interpretarsi come pretendono ontologisti e nooplatonici, olla contrad-
direbbe alla dottrina del conoscere e del metodo ; la quale in siffatte
ambiguità dee prevalere nel pensiero del critico, come quella che costi-
tuisce propriamente T originalità del Vico. Se dunque in forza del suo
criterio la scienza debb* esser frutto d* uno s?olgimonto riflesso e di ri-
cerca e di critica essenzialmente eduttiva, parmi evidente come il rap-
porto fra r ordine delle cose e quello delle idee, anziché di corrispondenza
originaria e di parallelismo primitivo, abbia da essere invece di rispon-
denza derivata, e di parallelismo riflesso. In una parola: cotesto paral-
lelismo, cotesta equazione, non è un principio, è un risultato. Nel che
11 fliosofo di Napoli, com* era da sospettare, interpreta ed invera il benin-
teso Aristotelismo, perchè è lo stesso Aristotele quegli che osserva come
la radice di tutti gli errori de' Platonici sia per l'appunto la confusione
dell'ordine logico con l'ordine dell'essere, e però delle causo reali del-
l'essere, con lo cause formali della scienza: KW ou TtdvroL o€a tu
\6yù» zjporepoiy xaì tVì oÙTc'a vipÓTspx^ {Metaph,, XIII).
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376 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. IU
tafisico, considerandoli entrambi come unum idemque.
Siamo dunque nel panteismo? ovvero in una dottrina
neoplatonica? Intendiamoci. Qual debba essere per lui
il Primo psicologico, s' è visto neir antecedente capi-
tolo. Or quali han da essere, in armonia con le sue
dottrine psicologiche, il Primo logico e '1 Primo ontolo-
gico? Il Primo logico sarà, né vi cape dubbio, un princi-
pio mediato, risultante, secondario, cioè posteriore al
Primo psicologico. Se infatti il processo della psiche
s' attua ingradandosi in pili gruppi di facoltà compo-
nenti fra loro un organismo (p. 321); e se il processo
conoscitivo importa una serio di leggi atte a governare
le diveree funzioni, che vuol dire le facoltà stesse avvi-
sate in relazione co' loro prodotti (rappresentazioni, fan-
tasmi, concetti, nozioni, idee, giudizi ec.) ; avviene che
come, data una funzione, è già beli' e dato logicamente
il suo prodotto e quinci una serie di leggi che ne regga
lo^'svolgimento; così, posto il Primo psicologico, non po-
trebbe a verun patto mancare il Primo logico. Ora se
il Primo psicologico è V essere indeterminato, eh' è dire
il Nov; potenziale, in quant' è luce metafisica; quale sarà
il Primo logico? Non altro che V essere nella sua prima
determinazione riflessa: l'essere in quanto ideale; il
quale perciò suppone, sotto il riguardo cronologico, il
sensato reale, il fatto ; stantechè il senso, come toccam-
mo, resti incluso nel circolo psicologico. L'ente ideale
adunque è un primo: qui ha ragione il Rosmini. Ma è
anche un ultimo; uUimo psicologico, e primo logico.
Al qual proposito giova notare che ove il Roveretano
avesse riguardato a questa maniera 1' Ente possibile,
non sarebbe caduto nell'aperta contraddizione di con-
siderar l'essere come ideale^ e come immobile ad un
tempo ; stantechè se in quanto è luce metafisica, cioè in
quanto originario ei non può non essere indeterminato,
come ideale invece è mobilissimo, essendo già beli' e de-
terminato, e come tale ci esprime lo stesso moto della
facoltà, la facoltà in quanto è funzione.
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GAP. TU.] DKL G0N080EBB MBTAFI8T00. 377
Quale sarà intanto il Primum Verum Metaphysicum?
Posto il Primo logico e quindi '1 processo della logica
e r orditura de' concetti, il lavoro speculativo della
mente non può ad altro pervenire fuorché ad uno di
questi due risultati: o air essere indeterminato riflesso
qual è, per esempio, V Indeterminato secondo eh' è po-
sto dair Hegelianismo quasi chiave di volta dell' edifì-
rio dialettico ; * ovvero all' essere determinato mercè Tar-
tifizio del metodo compositivo sintetico, d' integrcurìone;
voglio dire, all'essere pieno, all'essere fornito delle note
più eminenti o delle primalità cui sappia poggiare il
pensiero speculativo soccorso dall'esperienza. Ora il
Primo vero metafisico al quale accenna il Vico non può
esser l' ente indeterminato inteso come luce metafisica,
perchè questa, essendo essenzialmente indeterminata, cioè
indeterminata per necessità di natura in quant'è oggetto
primitivo della mente, è quindi un Primo psicologico an-
richè metafisico. Non può esser neanco l' Indeterminato
così detto dialettico al quale, come voglion gli Hegeliani,
per un' assclida e subitaifiea astrandone si levi la mente
e vi si estingua, e in grazia di siffatta estinzione
scoppi la prima scintilla dialettica. E non può essere,
sia perchè cotesto Indeterminato contraddirebbe al con*
cetto che il Vico ci porge dell' Assoluto, sia perchè,
frutto d'un lavoro onninamente astrattivo, manca ne-
cessariamente d'ogni condizione d'obbiettiva e metafi-
sica sussistenza. Se dunque non è l' indeterminato né
come luce metafisica né come posto dall' astrazione,
che eoe' altro sarà fuorché l' ente concepito come de-
terminato nelle sue primalità essenziali, 1' ente trascen-
dente, il Nosse-Velle-Posse infinUum? — Sennonché, per
metafisico che sia cotesto essere, ninno vorrà dirlo reale.
Donde trarre siffatta determinazione? Forse da un in-
tuito primigenio? Ipotesi! Dal regno de' fatti e della
' Il Primo Hegeliano, dice Spaventa, ò queUo che non ha altra deno^
minanione che di non averne alcuna, {Ddle prime Categ. della Log. di Hegti,
•d. cit, p. 141. ^ Hbqil, Log.y toI. II, lxxxtii, trad. del Vera.)
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378 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
esperienza? Impresa vana! Dalle viscere dello stesso
pensiero per astrazione assolila e subitanea? Illusione!
D' altra parte, tuttoché entità ideale, non per questo
sarà lecito credere che il Primo metatìsico abbia da
essere assolutamente astratto, poiché come determinato,
cioè come concepito e costruito dalla mente, è pur
mestieri eh' e' risponda ad una realtà. Egli dunque è
metafisico^ ma non per questo può cessare d'essere
identico al Primo logico. Perchè? Perchè da questo
appunto lo trae la virtù speculativa. Il Vico dunque
ha ragione : il Primum Veruni Metaphysicum è unum
idemque col Primum Logicum, giusto perchè il pen-
siero vien costruendo l'uno mediante l'altro. Breve-
mente: egli è metafisico, perchè ha valore obbiettivo;
ed è poi unum idemque con l' essere logico e però col
Primo psicologico, perchè non è, a dir proprio, una
realtà, quantunque per necessità metafisica abbia un
riferimento alla realtà. Ma qui si può chiedere : dunque
il Primo metafisico non sarà egli né assolutamente
reale, né assolutamente ideale, né obbiettivo, né sub-
biettivo? Precisamente così. Non è l'una cosa né l'altra,
ma è r una e l' altra insieme, stantechè sia potenzial-
mente infinito. E poiché come infinito potenziale non
è perfetta conversione di sé con sé medesimo, però fugge,
quasi diremmo, sé stesso. EgU è, in somma, un essen-
zial conato ; e come tale non può non riferirsi necessa-
riamente ad una realtà, e in questo senso possiede na-
tura metafisica. Dico necessaria tale oggettività, perchè
il Primo metafisico, quando sia determinato dal pen-
siero speculativo, non è altro che la stessa triplicità
psicologica, ma riguardata nella sua universalità. Che
cos'è mai cotesta triplicità universale? È mentalità in
sé, è dialettica in sé, è oggettività in sé. Ella dunque
non può esser considerata nell' individuo, ma fuori del-
l' individuo, in un soggetto appo cui le primalità del-
l' essere si convertano e compenetrino: il che è davvero
impossibile nell' individuo, come quello che non è il
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OAP. VII.J DEL CONOSOEBB METAFISICO. 379
pensiero (voùc) ma la facoltà del pensiero (vouc ^wa^ust)
secondo la sentenza aristotelica.* Se il P^imo metafi-
sico, inoltre, fosse indeterminato, non avrebbe alcun
opposto, quantunque serbasse distinzione come oggetto
di pensiero. Al contrario éoncepito come determinato,
e' tosto diventa obbiettivo ; e così da Primo vero metafi-
sico assume virtù di Principio metafisico. Or che cos' è
questo principio metafisico? Che cos'è la realtà alla
quale ei si riferisce? È l'Assoluto: ma l'Assoluto che è
davvero assoluto, come appresso mostreremo.*
' ÀR1ST., De An.t li, iv. Cfr. anche la Metaph., Vili.
' Secondo l'interpretazione che noi qui abbiam dato alla sentenza
del Vico 8i può dire che il Primo Meta/uico, essendo il vero in attinenza
col realtf sia il Fatto, cioè il fatto del pensiero speculativo, il fatto della
scienza che convertesi col Vero assoluto, il quale, come vedremo, è il Primo
fatto per eccellenza. Accade perciò che il Primum Verum Metaphysicum
debba riguardarsi come anello di congiunzione fra la Logica e la Me-
tafisica; ond'ò che fra queste due scienze, anziché esserci quella me-
diazione Hegeliana la quale in sostanza ò una compenetrazione asso-
luta, ci è invece conversione; e la conversione esprime non già identità
nella difTerenza, ma identità e insieme differenza. Vi è, in altro parole,
medesimezza di legge, di forma, e qnìndi continuità ideale; ma ci è pure
differenza, differenza essenziale, differenza di contenuto, e però intervallo
retde. Ecco perchè il Vico, svecchiando un principio aristotelico, afferma:
« Qìullo eh* è metafisico in quanto contempla le co»e per tutti i generi del-
V eteere, la steesa è la logica in qwanto considera le cose jìer tutti i generi
di eignificarle. » Questa relazione fra la Logica e la Metafisica fu dal no-
stro filosofo incarnata sotto forma simbolica nella IHpiniura ; e nell' Iv^ro-
duzione alla Scienza Nuova la venne determinando nel concetto del M(»ndo
DILLE Menti r di Dio. Menti pensiero spirito, e perciò Psicologìa Lo-
gica e Ideologia, come vedemmo, formano tutt*un processo. Un processo
ha da essere anche V Assoluto. Ma le Menti e Dio formano anch' essi
un processo, un organismo, un Mondo: in quanto che fra que'duo
termini ci ha da essere conversione. Questo tutto organico lo dicemmo
proceeto ideale per parte del primo termine, cioè delle Menti, nel senso
che ha da essere mediazione razionale, conoscitiva. Perciò Primo vero
metafineo e Principio metafinco. Logica e Metafisica, Menti e Dio, com-
pongono un Mondo; un Mondo superiore a quello della Natura nonché a
quello dello Spirito, inteso questo come sviluppo isterico, come storia
che è Vita Humani Qeneri», Dal tutt' insieme quindi si vede come il
suo Primo Vero metafineo non sia nient' affatto una vuotaggine, un* en-
tità formale e puramente astratta. È la sua luce metafieica^ non già
indeterminata, anzi determinata mediante sé stessa; determinata me-
diante il processo eduttlTO. È il risultato estremo del Noùc attuale e
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380 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
Veniamo al vivente rappresentante del Neoplatoni-
smo in Italia. L' illustre Mamiani ha visto la necessità
d'imprimere novella forma e rigor logico alla dot-
trina platonica della conoscenza, modificando la teorica
del Gioberti, e correggendo quella del Rosmim'. A spie-
gare perciò l'elemento universale del pensiero ei si
raccomanda alla solita àncora di salvezza, l'Intuito del
l'Assoluto, ma con V interposmone delle idee; le quali per
lui somiglierebbero quasi ad altrettanti spiragli ond'alla
mente lampeggia la Divinità. Tutto ciò, del resto, non
toglie eh' egli abbia da ammettere doppio ordin di co- '
noscenze, percezioni e intellezioni, assai diverse fra loro
e pur fra loro collegate per via di rappresentansia. Ma
non potendo intrattenerci a riassumer le ragioni sopra
cui si regge cotal dottrina, ci ristringiamo a far poche
osservazioni guardandola segnatamente sotto l'aspetto
psicologico. Due ne sembrano i difetti principali: T in-
vocare l'intuito dell'Assoluto nello spiegar l'elemento
universale della conoscenza; 2** non dimostrare per che
mai ragioni l' ordine delle percezioni abbia a rispondere
a quello delle intellezioni.
Se ne l'intellezione, come vuole il Mamiani, può
rampollare in modo alcuno dalla percezione, uè questa
ci ha che vedere con quella tuttoché entrambe devano
esser congiunte in armonia; la dottrina psicologica del
rifleASo; epilogo della scienza psicolo^^ica, e però Defìnwione e Principio
della Metafisica. Or la luce in quant* è oggetto del Noù; potenziale no!
la dicemmo metafitioa perchè, quantunque superiore al sensOf è nondi-
meno po9ta da natura, ò originaria, e quindi essenzialmente obbiettiva.
La conclusione dunque parmi chiara : Primo pticologico, Primo logico' e
Primo vero metaJUioo non sono tre entità ruote e formali, giuochetti
d'astrazione, indovinelli da algthritiij come direbbe lo stesso Vico, ma
sono tre anelli d* una medesima catena, tre momenti dinamici d* una
medesima energia essenzialmente obbiettiva. Questa (per concludere contro
i Neoplatonici ontologisti) parmi V interpretazione più acconcia del rap-
porto che il filosofo di Napoli pone fra il /Vìnto logico e *1 Primo vero
meta/uieo, e quindi fra T ordine logico e T ordine ontologico. Ogn' altra
non riescirebbe a salvarlo dalle contraddizioni col proprio metodo, e tanto
meno poi dalle incongruenze con la ragion filosofica positiva.
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GAP. Yll.] DBL OONOSOSBB MBTAFI8I00. 381
Pesarese parrebbe, come ad altri è parsa, una specie
d'alcliimia. Per quanto diverse, le percezioni e le intelle-
zioni hann'a convergere si da appuntarsi quasi due raggi
in un centro comune, cKè V unità sostaiìzUàe dello spirito.^
Or non è questo precisamente ciò che da ventidue se-
coli va chiedendo il pensiero filosofico: come mai, cioè,
se diverse, elle compongono fra loro unità? Abbiamo
un intùito di qua, e un intùito di là: la percezione che av-
vertendo un termine estriìiseco lo apprende siccome forza,
e la visione, l'intùito ideale^ che con T interposizione
delle idee coglie l' Assoluto. Non siamo già in una for-
ma di dualismo psicologico che fu ed è sempre la pie-
tra d^nciampo d'ogni fatta platonici? Non abbiamo
qui sott' occhio Y etemo e gravissimo difetto del Neo-
platonismo, la mancanza di processo? Oltre Talchi-
mia (col dovuto rispetto al grand' uomo) qui veggiamo
una macchina a doppio retaggio: senso e concetti,
esperienza e luce divina, fatti e Assoluto splendente
cui lo spirito inerisce con marginale adesione, e per via
di contatto spiìituale. Chi fa tutto ciò? Come avviene
tutto ciò? L'illustre di Pesaro ci dice e ripete a sa-
zietà, che fra l'ordine delle intellezioni e quello delle
percezioni ci ha corrdaeione ordinata e continua, ri-
spondenza puntualissima^ squisitissima armonia.* E sta
bene : chi non è scettico sistematico non penerà gran
fatto a riconoscere e sentire cotesta e ben altre armo-
nie. Ma quel che ignoriamo, e pur vorremmo sapere,
è appunto il motivo di cotesta squisita rispondenza. Or
questo motivo, non ci è, o almeno è impresa non molto
agevole rinvenirla nelle Confessioni d*un metafisico^ Pe-
rocché s'io ho da coglier l'Assoluto mercè l'idee, o,
meglio, se è r Assoluto quegli che ha da comunicarmele
* Mamiaki, Con/ftioni d'un mttaJUieOf voi. I, p. 158, § IT.
* Idem, eo<L, p. 158.
* VeggAsi qual debole ragione, per esempio, egli apponga al quesiÌK>:
€ come avvenga che ad una data pereenone rieponda una daUx idea? »
Voi. cit., pag. 163, § 2^.
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382 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. II.
non già graziosamente, anzi inevitabilmente, quale ne
sarà la conseguenza? Sarà che la ragione onde questa
0 cotesta percezione ha da rispondere a quella o quel-
l' altra intellezione, in altro non si potrà occultare
fuorché in un vieto occasionalismo, od in una vieta e
grossolana armonia prestabilita. Non v'è scampo.*
' No' parecchi cangiamenti cai è andata sogrgetta la mente del Ma-
miani, sol una dottrina è rimasta immutata nelle sue scrìttnre, e della
quale ei si loda più d* una volta. È la dottrina su la percezione, che il
nostro egregio amico prof. Ferri dichiara bellissima. Bellissima sarà:
ma è altrettanto salda? Forse che Ano dal 1837 il Rosmini con
r acuta lama della sua crìtica non la ridusse a polvere nel suo Rinnova-
mento f Intendiamoci bene. La percezione del Mamiani non è senso, e
nemmanco, a dir proprio, giudizio. Che cos*ò dunque? È e im intuire
V atto involto nella 8en9axione die congiugne in uno due termini^ oggetto
eentiio e avvertito come fortOy e soggetto tentenìe. » {Oonfeasionif voi. cìt,
pag. 68-64; Meditazioni Carte»., e. VII). Or bene, che è egli mai co-
testo intuire? Quar è la natura intima di quest'atto? È difficile
averne risposta ben determinata. L'animn, dice il Mamiani più d*una
volta, è dotata d^una veduta it^eriore di ti medeaimaj e questa interior
veduta è quasi occhio mentalcf pupilla spirituale, anteriore al fatto
della percezione. Che cos* è, di grazia, cotest* oeeAio, cotesta pupilla,
cotesta veduta interiore f È forse un giudizio? No, risponde: che alla
funziono giudicativa devq andare innanzi la percezione. {Confeenoni,
voi. cit, p. 150). Che cos*ò dunque? Per quanto altri voglia andar ri-
cercando no' copiosi volumi di questo Neoplatonico, mai non gli verrà
fatto ripescarne risposta. Ora a noi pare che tal veduta interiore di si
altro non possa essere tranne che un ritorcersi, un geminarsi primitivo,
e perciò un insieme d'oggetto e di soggetto, una triplicità iniziale, uu
giudizio. Sarà giudizio sui generis; sarà giudino fcUto stnxa riflessione
come direbbe il Vico; ma, in sostanza, ò giudizio. Se dunque è tale, non
importa un oggetto? Or quale sarà l'oggetto dell' infmor veduta, cioò la
luce di queir occhio, dì quella pupilla t V Ente possibile no, certo : e il
Mamiani con dialettica stringente e per quattro differenti capi s' accinge
a far minare dalle fondamenta la teorica rosminiana, e in parte vi
riesce. (Ibi, L. II, e. V). Che cosa dunque sarà? A quel che ne pare,
neanche qui egli risponde. E, checché possa dirne, certa cosa è che so
l'anima è davvero dotata d'una interna veduta (la quale perciò è logi-
camente anteriore alla percezione), a spiegar questa non si può prescin-
dere da quella. Se la cosa infatti non procedesse così, in che maniera
la percezione verrebbe capace di trascendere i limiti del puro sensato ?
Brevemente : l' Io non percepisce, V Io non avverte un termine esteriore
siccome /orsa, senza eh' e' /)ereept«ca e avverta so medesimo. Or che
cos' ò il percepire sé stesso, tranne che un atto giudicativo ? Dunque
anteriormente al fatto della percezione (com' ei la intende), ci ha da
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OAP. Vn.] DEL CONOSOERB HXTAFISIOO. 388
Se non che, la più fresca novità delle Confessioni
è r intuizione dell' Assoluto ; quindi la invitta prova
che ne scende, secondo il Mamiani, su l'esistenza di
Dio ; quindi la salda costituzione a priori della Meta-
fisica. Innanzi tutto: se cotesta intuizione non è altro
fuorché una semplice contiguità, un' adesion marginale
del pensiero con l'Assoluto, non è chi in essa non sap-
pia ravvisare quel toccamento spirituale de* Yecchi Neo-
platonici, dottrina rinverdita, quindici anni avanti '1 Pe-
sarese, dall'illustre neoplatonico Pomari.* Vero è che
la sentenza la quale a tal proposito risulterebbe dal-
l'insieme delle sue dottrine potrebb' esser questa: che
il suo intùito non sia già un atto originario, potenziale,
essenziale, bensì tutt' un ordine d' intuizioni per quante
potrann' esser le idee attraverso alle quali avvien che
traspaia l' Assoluto. Or s' egli è così (né sappiamo dir
davvero s' e' sia così), perché aflFermare più d'una volta,
esser necessaria, inevitabile uxìl intuizione perenne e im-
mediata délV Etite sortitaci da natura e dalla essenza dd
nostro spirito? * Se l' intuizione dell'Assoluto é un atto
essenziale, come potrebbe non esser primitivo? E s' egli
é primitivo, non è a reputarsi anteriore logicamente
alla percezione? In sostanza, se T'Assoluto é quegli che
^presenta al pensiero, e' s'ha a mostrare fino dal primo
atto della mente; la quale perciò sarà mente, sarà pen-
essere qualcos'altro che ne sìa la vital condizione. Evidentemente
r acuta pupilla speculativa del Pesarese non s* è profondata nolla na-
tura di siffatta condizione. E puro con quest* alchimia e' non dubita cre-
dere d* avere una buona volta composto in armonia 1* antica lotta fra
Platonismo ed Aristotelismo !
' Il Hamiani dice : « balena con evidenza V intuito cT una poeitiva,
immota ed universale realtà^,, indeterminata e inqualiJiiMta e perciò oeeura
e non deecrivibile, > {Meditaz, Carte»., p. 229.) Non è egli cotesto V oh-
biette intelligibile colto dall* intùito, nulla interpoeita creatura, di che
parlano, per esempio, i seguaci di sant* Agostino, e, fra questi, il For-
narì? (Ved. VelV Armonia Univ., p. 74, 75, ed. cit.).
* Meditai, Cartee,, p. 234, 294. Questa sentenza, come ò chiaro, è
in aperta contraddizione con quell'altra onde il Mamiani afferma e ri-
pete, nulla non v'esser nolla sua dottrina d'innato, nulla di primitivo.
Vedi Riep, al eig, dott, Akt», Brentazzoli, Bologna, 1866.
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384 DELLA DOTTBINà FILOSOFICA. [lIB. IL
siero, solo in grazia di chi le sta dinanzi. Ora se il yero,
metafisico o no che sia, non è fatto dalla mente, ma da
essa ricevuto, evidentemente il Neoplatonismo del Ma-
miani viene a contraddire alla dottrina psicologica del
Vico, rompe contro alle severe obbiezioni mosse al Gio-
berti, e massimamente soggiace a quella grave difficoltà
che Aristotele oppose al suo gran maestro circa la inu*
tilità deir esperienza e de' fatti e delle percezioni, posto
che il vero e l'universale, in che risiede propriamente la
scienza, debba ne' suoi principii derivarci dall'alto e
dal di fuori, meglio che dal didentro/
Se non che, ingegno elegantissimo e ricco di vena poe-
tica, questo filosofo spesso indovina. Talora infatti sem-
bra non esser l'Assoluto quegli che determina e significa
se medesimo nelle idee; bensì la mente stessa la quale,
generando cotesto idee, determina idealmente, esprime
e significa l' Assoluto : tanto che non sarebbe altrimenti
lo splendor divino che penetrando quasi attraverso gli
esilissimi spiragli delle idee ne promoverebbe l'intùito,
ma la stessa virtù riflessa ne verrebbe argomentando
r esistenza e la natura per necessità eduttiva.* Ora solo
* AbisTm M«iaph.y 1. 1. —II Mamianì potrebbe dire: il mio intiiito
sta in ciò, che ogn* idea, avendo a significare per propria natura un obbietto,
debba importare un' enistenza etema, ed una $peciaU determinazione ddVente
aMolìtto e infinito. — Accettiamo anche questa posizione. Che cosa ne
Terrà? Poiché gli obbietti tignijiecuiei dallo idee non potranno esser al-
tro salvo cho determinazioni ad intra o determinazioni ad extra del-
r assoluto, sorge la necessità di spiegare se 1* intuito s* appunterà verso
le une, meglio che verso le altre. Stando alla dottrina della maboinalb
ADS8I0NR e del toecawtento epirituale, V intuito, non essendo un atto pene-
trativo, coglierebbe le seconde anzi che le prime: e quindi, innanzi ogni
altra determinazione dell* assoluto, dovrebbe afferrar quella dell* atto
creativo. Or se questo è vero, parmi evidente come la dottrina del
Mamiani su la conoscenza non si discosti neppur d*un apice, quanValla
sostanza, dalla dottrina del Gioberti, il quale non ha mai preteso che il
suo intùito abbia da essere un atto penetrativo. — Ma il termine esterno,
il sensato (egli dirà) si ha per via di percenone, — Ad un acuto Qio-
bortiano qui non tornerebbe guari difAcile cogliere V autore delle Oon-
fe99ioni in aperta contradizione con so medesimo.
* Nelle Con/e99Ìoni è sempre T Assoluto quegli che s'affaccia ed
eccita e promovo lo spirito al pensiero, e solo in qualche luogo (per
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OAP. VII.] DEL OONOSGSRE 1IBTAFI8I0O. 385
per cotesta via egli avrebbe potuto correggere il Gioberti,
e riconoscere insieme la parte di vero che è pur nelle
dottrine Rosminiane. Solo per cotesta via avrebb'egli
inverato il Platonismo, e dischiuso fra noi un periodo
novello di speculazione feconda, razionale, positiva e,
che più rileva, conseguente alla storia della scienza.
E solo per cotesta via non sarebbe incappato nella in-
coerenza di porre l'Assoluto come uiroOt^tc, e in un'ora
medesima dichiararlo oggetto d'intùito. Perocché se con
l'analisi delle idee ci è dato risalire per logica neces-
sità fino a cotesta uttotsjc;, a me pare che una dottrina
psicologica 0 ideologica, la quale invochi '1 sussidio d'un
intuito, sia un fuor d'opera addirittura. — Con ciò stesso
avrebbe corretto il valor rappresentativo delle idee,
eh' è r altra originalità cui pretende il Neoplatonismo
del Mamiani. Quale attinenza è mai fra l'idea e l'ideato?
Non quella di somiglianza come han creduto balorda-
mente i Malebranchiani, egli risponde; ma si quella
d'una vera e propria significazione. Eccolo dunque anche
qui, senza addarsene, alla famigerata wa/jo^ix platonica
tanto invocata dal Gioberti nella sua prima maniera di
filosofare. Nel che il Pesarese, anziché progredire, è ri-
masto molto indietro all' autore della Protólogia nella
quale, com' é noto, il concetto della piOiSi; rivelasi im-
prontato d'una forma novella, e, fino a certo segno, origi-
nale. Ma lasciando stare del regresso e dello scadimento
notevolissimo che nella specuhizione italiana ci segnano
le Confessioni d' un Metafisico ove si ponga a riscontro
lo dottrine del Mamiani con V ultima forma cui s' era
levato r ingegno potentissimo del Gioberti, è bene qui
accennare un'ultima osservazione su l' attinenza che il
Pesarese pone fra le intellezioni e il loro obbietto.
68. a p. 95 e seg., voi. cit.) fa trasparire la nuora tendenza cni allo-
diamo. Ma noU* opuscolo dì risposta ni Bonatelli (Bologna, 1868, p. 49)
questa tendenza è pid chiara, tuttoché manifestata foggevolmente e
forse Inconsapevolmente. Dico inconsapevolmente perchè nelle Medita-
zioni rinnovate e* ricasca nella solita presenaialità, nella tolita marginale
ndenone^ come ci attestano le sentenze qna dietro riferite.
SlCIUAM. S6
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386 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. Il
Le idee importano il divino, egli dice; poiché non
sono fuorché altrettanti simboli, altrettante significa-
zioni dell' Assoluto. Se questo è vero ne segue che, in
quanto simboli e segni, elle non avran valore infino a
che cotesti simboli non siano intesi e interpretati. Ma
come la mente potrà giugnere ad intendere e inter-
pretare siffatti segni? Mercé l'ordine delle percezioni.
Or bene, se l' idea non basta a significar sé medesima
né a farsi intendere da sé, evidentemente per noi
ell'é come un chiaror confuso, vago, indeterminato,
insignificante, e quindi al tutto inutile alla scienza.
D' altra parte, se l' ordin delle percezioni é di sua na-
tura cosiffattamente limitato da essere incapace a darci
r universale, non potrà non riescire anch' egli d'ingom-
bro inutile alla mente. Si dirà di poter superare il fe-
nomeno e attinger la scienza mercé il connubio dell'or-
dine percettivo con l'intellettivo? Questo é per l'appuntò
ciò che pretende il Mamiani. Ma, se eoa fosse, non ved-
remmo ad assomigliare il regno della scienza e delle idee
a quello di natura e delle fisiche efficienze, ove se a
due cavalli non vien fatto di tirarsi dietro un carro vi
potranno benissimo riescir quattro? Il Mamiani afferma
non dimostra la platonica 7ra/)0Tc«: afferma, non dimostra
la platonica xotvwvèa. E per tutta dimostrazione ci an-
nuns^ia che l'idea é significativa, perché? perché havvi
un obbietto nel quale debb' ella necessariamente termi-
nare. Or in che modo legittima egli cotesto obbietto?
Lo legittima, come s' é visto, dichiarandolo presente^ po-
nendolo presente! Questo é proprio il nocciolo maga-
gnato del Neoplatonismo. La preserunalUà dell'Assoluto
è un'ipotesi, un'affermazione arbitraria: ecco tutto.*
* Corte dottrine del Mamiani ci ricacciano addirittura fra i Plotino,
i Proclo e gli Ammonio, appo cai facilmente troverebbe riscontro il sno
concetto del Bene. E chi pigliasse poi a rovistare attentamente nelle
antiche scuole, per esempio nel vecchio e anonimo autore della Teologia
(Rayaibson,' op. cit., t. II, p. 542), potrebbe ritrovar più che un germe
della dottrina sn \*influxu$ divintu che neir Arabismo e anche nella Sco-
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CAP. VII.] DEL CONOSORBB METAnSIOO. 387
Concludiamo. Noi abbiam dovuto fare una critica
rapidissima del Neoplatonismo italiano considerandolo
segnatamente sotto l'aspetto psicologico, perchè i tre
filosofi di cui abbiamo toccato ci rappresentano le posi-
zioni più serie, le forme principali ond'il Platonismo
crede attinger l'obbietto metafisico. Rosmini è il meno
dommatico, il meno arbitrario, il piii positivo e quindi
il meno platonico fra tutt' i platonici. Egli pecca nel
porre l' essere della mente come ideale; e lo sbaglio di
siffatta posizione vale a spiegarci le contraddizioni in cui
spesso ha inciampato nella psicologia, nonché le gravi
manchevolezze nel suo disegno ontologico su le tre forme
dell' Essere. Assai piii del Rosmini pecca il Gioberti nella
dottrina psicologica affermando l'essere come reale e,
che più monta, come recde determinato. Non meno del
Gioberti e del Rosmini pecca il Mamiani ponendo co-
testo reale come infinito in se, e come presente al pen-
siero mercè l' interposizione delle idee. Si direbbe dunque
che il Neoplatonismo italiano, in questi tre filosofi, abbia
progredito su la via dell' a priorismo e dell' iperpsico-
logismo. Essi han dato tre passi, ma indietreggiando
sempre più; perchè con l'esagerare l'esigenza platonica
han trascurato l' esigenza aristotelica, tuttoché ciascun
d' essi abbia creduto d' aver impresso oggimai un ac-
cordo definitivo fra' sistemi de' due vecchi filosofi. L'ul-
timo segnatamente, il Mamiani, mostra d'aver progredito
assai più del Rosmini e del Gioberti in questa via. Sotto
certi rispetti, infatti, il Neoplatonismo del Pesarese par
che confini col Teologismo: talora anzi vi si confonde,
chiunque ripensi a quelle cinque differenti maniere (oltre
la sesta della comunione ideale ond' abbiamo parlato)
mercè cui egli stima debbansi attuare gV influssi divini. E
Dio che crea l' anima, e la fa esistere. Ma è anche Dio
che le fa intendere presentandosi a lei attraverso le idee.
È Dio che le fa ammirare il bello, e incarnarlo. È Dio che
lastica tien luogo del processut. — (Vedi lo stesso Rayaisson , voi. cit., p. 552
— Vachebot, Hi8t, critique de VÉcole d'^Alexandrie, T. II, iv.)
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383 DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
le fa operare il bene e la virtù. Che più altro? È Dio per-
fino che, disponendola ineffabilmente, la eccita, la trae
all'adorazione. È proprio il regno di Dio su questa nostra
terra 1 E Y illustre Mamiani potrebbe oggi ripetere le
pietose e calde parole del Malebranche: 0 Dieu! exaucez
ma prière, après que vous Vaurez formée en mai!
Capitolo Ottavo,
continua lo stesso argomento.
{Critica del NeoarigtoteUsmo),
Notammo come il principio del conoscere metafisico
immediato ponga radice, per dirla con le parole di He-
gel, nel rapporto d' un nesso primitivo ed essenziale fra
il pensiero e T Assoluto, fra il soggetto e T oggetto/ Àb-
biam visto come il Neoplatonismo italiano moderno
propugni questa connessione sotto tre forme più o manco
razionali; e come abbia quindi a tornare assai difficile
al Rosmini, e molto più al Gioberti e al Mamiani, li
potersi difender dair accusa di panteismo ideale. Gli
estremi si toccano anche qui. Con la teorica dell' intui-
zione e deir immediatezza i nostri Neoplatonici riescono,
checché se ne dica, a' risultati cui perviene la dottrina
della mediazimie propugnata dagli altri nostri viventi
filosofi, seguaci caldissimi dell'Idealismo germanico.
Dicemmo qual sia la doppia esigenza onde il Neo-
platonismo si divaria dal Neoaristotelismo quant'al co-
noscere metafisico (pag. 365). Per la natura istessa di
questa doppia esigenza avviene che, come nel primo,
cosi pure nel secondo indirizzo sono possibili più forme,
più maniere, più metodi, sia che si tolga di mira il
modo con che si crede poter attinger l'assoluto, sia
che il risultato ultimo a cui si potrà giugnere. Non
« Hegel, Log., yol. I, p. 384, § LXIX.
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OAP. ym.] DSL 0OVO80BBS lOSTAFIBIOO. 389
volendo tener conto di quella vieta e volgar maniera
di mediatezza che, quantunque sotto aspetti differenti,
fa sempre un salto mortale quando presuma levarsi
dall'effetto alla causa e dal dato alla condizione del
dato; possiamo ridurre a due le forme più generali e
comprensive di tal mediazione. Esse, al solito, risal-
gono a que' due estremi in che dicemmo sdoppiarsi
r Aristotelismo: perchè anche nella quistione metafisica
il primo di cotest' indirizzi ci è oggi rappresentato dal
Positivismo e dal Materialismo; l'uno affermando, nulla
mai non potersi conoscer di metafisico, e l'altro innal-
zando a dignità d' assoluto la stessa materia, senza
legittimarne menomamente il concetto. Il secondo poi
vuol essei^e anch' egli avvisato sotto doppio rispetto,
potendo assumere due forme che, per due differenti
ragioni, rivestano entrambe carattere iperpsicologico.
Si può infatti mantener la posizione d' un. immediato
irradiamento per virtù d'un principio superiore, gene-
rale e comune^ e s' ha uq indirizzo averroistico ; il quale,
benché storicamente sìa come un virgulto sbocciato nel
giardino dell'Aristotelismo, può siffattamente svolgersi e
grandeggiare, come nel fatto è avvenuto, da toccarsi e
talora confondersi col Neoplatonismo. Ma, d'altra parte,
può assumere forma squisita di scienza, e s' ha, come
ne' tempi moderni, una delle tre maniere dell'Idealismo
germanico appellate subbiettiva, obbiettiva, assoluta.
Sennonché è da notare come fra tutt' i sistemi quello
dell'assoluta identità serbi '1 distintivo d'esser natura-
lismo e ipei-psicologismo insieme, e racchiudere, co' molti
pregi, i moltissimi difetti dell'uno e dell'altro indirizzo.
In metafisica l'Hegeliano è iperpsicologista. Perocché
quantunque non attinga l' assoluto per opera d' un in-
tuito e d'un'immediata visione più o meno spiccatamente
neoplatonica, dice e crede mostrare di poterlo cogliere
quasi d'assalto, come toccammo, cioè per stibitanea ed
assoluta astraeione dd pensiero puro. Dice e crede mo-
strare di poter dedurre a tìl di logica la dialettica che
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390 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
per lui costituisce la chiave di volta d' ogni scibile e
d' ogni ordine di realtà.. Anch' egli dunque trascende; e
però anch' egli vizia l'esigenza d'un positivo e severo
psicologismo. Ma, oltreché iperpsicologista, l'Hegeliano
è anche naturalista. Checche se ne dica, la sua logica
obbiettiva, la dialettica intrinsecata e compenetrata con
la stessa metafisica, non è altro alla fin delle fini che
imitazione e ripetizione della stessa natura, delle stesse
leggi di natura, tuttoché ridotte al grado più univer-
sale e squisito di trasparenza ideale, pura, assoluta, per
cui la forma costituisce lo stesso contenuto, e viceversa.
Il perché se l'Idealismo assoluto, come altrove notammo,
è stato detto con felice espressione esser V àlgebra dd
naturalisino, con altrettanta verità può dirsi essere
un' algebra della psicologia, del pensiero e delle idee ;
tanto che ci sarà lecito designar come indovinello d'alge-
bristi (direbbe il Vico) quell'assoluto che gli Hegeliani
con miracolo non mai visto fanno venir fuora dalle neb-
biose alture della dialettica. Possiamo dunque affermare
che Positivisti e Idealisti assoluti oggi rappresentino gli
estremi indirizzi dell' Aristotelismo. E queste due forme
neoaristoteliche, tuttoché fra Joro si differenzino toto
cedo nel metodo e nel concetto della scienza, nuUameno
si toccano ne' risultati, massime in quello risguardante
il valore e '1 destino dell' umana personalità.*
* Chi tien conto della necessità d* ìndole tutta fisiologica ed empi-
rica secondochò è intesa da' positivisti e da* niaterìalisti, e della necessità
tntta dialettica ideale assoluta com'è concepita dagli Hegeliani, tosto
8* accorgerà d' un* altr* attinenza fra queste due tendenze della moderna
speculazione. Il dinamismo noli* essere, nelle cose, nella scienza e nella
storia, sparisce cosi per 1* una come pet 1* altra dottrina. Meccanismo
ideale, come dicemmo, e meccanismo fisiologico e materiale: necessità
logica e formale, e necessità empirica e meccanica; ecco tutto. Oggi
dunque potremmo affermare dell'una e dell'altra scuola ciò che Aristo-
tele diceva de' pittagorìci e de' platonici: 'A).Xa yiyovi roì fiscBri-
fixrcx. To?c vvv >j ^tXoao^ia {Metaph, I.) Cosi Hegeliani e Positivisti,
come avvertimmo nella Introduxione, tuttoché movano da due punti Uh
loro interamente diversi ed opposti, riescono pur nullamanco fid una me-
desima legge. E come al Platonismo primitivo tenne dietro la scuola di
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GAP. Vm.] DSL G0N08C£BB METAFISIOO. 391
Rifacciamoci da' Positivisti, i quali, ove discoiTono
intorno al problema del conoscere metafisico, non mo-
strano quella serietà scientifica della quale non pertanto
vanno lodati quando parlano de' principi! metodici da ap-
plicarsi alle scienze. Quant' al problema d'una realtà
metafisica e' non sofirono d'esser messi in un fascio con
gli scettici sistematici e co' nullisti ; e, davvero, non han
torto. I Positivisti infatti ci parlano d' un Inconoscibile.
Dunque essi confessano V esistenza d' un obbietto trascen-
dente. Ma come legittimano cotest' obbietto? Come ne
determinano l'idea tosto che ne parlano? I Positivisti
francesi ne discorrono, ci piace ripetere anche qui la
frase, come d' un oceano immenso^ doni la daire vision
est amsi salutaire que formidable.* I Positivisti inglesi
poi ci porgono un concetto più determinato di cotesto
Deus àbsconditus, àicenàoìo potenza, forzc^ di cui V uni-
verso è simbolo e manifestazione}
Il positivista francese qui, com' è evidente, s' addi-
mostra pili positivo, 0 meglio, più negativo dell'inglese,
e quindi più timido, più circospetto, più scettico di
di Speusippu cbe radiò addirittara il numero ideale (yortroc, sc^yjtcxo;)
sostitueodoTì il nunioro sensibile appunto perchè queir idea come astratta
e generale parevale cosa inutile (Arist. Metaph,, XIII. Rataibbon, i!^>eu-
9ippe); parimente oggi Positivisti e Materialisti, in luogo dell* /iea, pon-
gono' II Fatto e la Materia; e cosi mentre negano V Idealismo assoluto,
mostrano d'arer con osso doppia ed intima relazione, una storica e l'altra
teoretica. La storia del pensiero filosofico progredisce, non v'ha dubbio:
ma anche nel progredire si ripete. Ecco qua -una prova, chi vuol vederla.
* E. LiTTBi, A, Comte et la Phil. Poeit., 2« ed., p. 529. Per quanto
negativo, nullameno questo concetto del Littré su V Assoluto è una cor-
rezione deir idea del Orand' Eetere intorno alla quale con tanta vuotag-
gine avea finito per arzigogolare il Comte.
* H. Spencer, Firft Prìnci^ee^ ed. cit., e. I. Alcune idee di questo
scrittore su V obbietto metafisico superano quelle di St. Hill. L* Autore
del Sietema di Logica parla del soprannaturale, come notammo in altro
luogo, da schietto formalista, senza poterlo quindi legittimare in altra
guisa che per empirica credenza. (Ved. A, Comte et Le Potitivitme, p. 15.)
La relatività del eonoecere per lui non è, a dir proprio, quella di Spencer,
e neanche quella de* Positivisti francesi. Vedi il novero eh* egli stesso
fa de* diversi modi con che può intendersi la relatività della conoscenza
nella PhiL de Hamilton, ed. cit. e. I.
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392 DSLLA DOTTIUNA FILOSOFICA. [lIB. H.
fronte alla scienza : ma le contraddizioni in che restano
entrambi avviluppati son le medesime. Anch' essi in-
fatti, i Positivisti, obbediscono e rendono omaggio al
bisogno speculativo che punge ed eccita continuo il pen-
siero filosofico, stantgchè non solo riconoscono la realtà
d' un oggetto trascendente, ma lo determinano, lo pon-
gono, lo specificano in qualche modo. Che cos'è, per
esempio, l'Inconoscibile onde ci parla l'illustre Spencer?
È il fondo occulto delle religioni, e insieme l'estremo
termine a cui riescono le scienze. Le religioni pongono
tale obbietto per virtù d'istinto: le scienze lo subiscon
per legge del proprio svolgimento. Tra fede e ragione,
perciò, non v'è antagonismo: l'Inconoscibile n'è l' ob-
bietto comune. Conciliarle dunque è possibile, tosto che
s'abbia diffinito le idee madri onde scienze e religioni
sono inviluppate. E poiché le une in sostanza Aon fanno
che riconoscere ciò che le altre contengono ed espli-
cano istintivamente, ne segue che lo spirito umano'
per mezzo della scienza perviene là ond' egli stesso era
partito con la fede, cioè all'Inconoscibile.
Il pensiero del filosofo inglese è chiaro e spiccato,
ma non altrettanto vero. Innanzi tutto: perchè le reli-
gioni e molto più le scienze non potranno pervenire a
render conoscibile in alcun modo l' Inconoscibile di cui
pur confessate la realtà? Forse che tale impossibilità,
ripetiamolo, non contraddice apertamente all'attività
critica del vostro pensiero speculativo, alla stessa esi-
genza del vostro metodo critico e positivo? Non dubi-
tate affermarlo esistente cotesto Inconoscibile. Giungete
anzi a determinarlo come forza di cui V universo è ma-
nifestojsnone. Or bene perchè non dare un altro passo?
Perchè non ispecificar l'attinenza eh' è tra l'Incono-
scibile e '1 conoscibile? In altre parole, domandiamo:
col porre i termini, non siete già nella necessità logica
di mostrarci in qualche maniera la relazione di essi,
dirci quale attinenza interceda per avventura tra la
forjsfa e la sua manifestazione, quale sia il vincolo che
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OAP. ym.] DKL OONOSOERB HBTAV18IG0. 393
annoda insieme la potenza e l'universo onde quella
potenza è simboleggiata? Brevemente: siete qui in una
forma di panteismo, o di teismo? Il Positivista non
risponde; e pur dovrebbe: dovrebbe se davvero amasse
mostrarsi ed esser positivo.
Inoltre, l'Inconoscibile onde move la fede, e Fin-
conoscibile cui giugno la scienza, dice lo Spencer, sono
una cosa. Ma perchè? Perchè col prodotto confondere
due facoltà fra loro diverse? L'Inconoscibile della fede
incontra un limite invalicabile in questa o cotesta intui-
zione particolare in cui l'Assoluto è compreso dal sen-
timento religioso appo un dato popolo, e presso una data
civiltà. L' Inconoscibile delle scienze, invece, è l' inco-
noscibile di ragione; e, come tale, non può restare per-
petuamente indeterminato, pel solito motivo che, ove
rimanesse cosi necessariamente, l' indagine positiva an-
nullerebbe sé stossa; e annullerebbe sé stessa perchè
r esigenza critica non sarebbe altrimenti un' esigenza
invitta, naturale, un irresistibile e crescente bisogno
speculativo. Ora se il contenuto della fede è condizio-
nato ad una forma speciale; se per la natura stessa
della funzione psicologica ond' ei rampolla riman chiuso
e quasi cristallizzato nella particolarità d'un senti-
mento: perchè, domandiamo, voler condannare alla
medesima sorte T Inconoscibile delle scienze? Perchè
così inesorabilmente pretendere di segnare i confini alla
ragione ponendo limiti all' attività del pensiero specu-
lativo, eh' è pur la forza più libera dell'universo? Non
è anch' ella, cotesta, una forma di dommatismo ? *
' 11 PositiTÌsto dirà: tosto che voi pigliate a determinare Vlitco-
no9cihile, siete già beli* e uscito dalla scienaa^ e cadrete nella metafisica.
Verissimo: questo accade, e questo appunto deve accadere. Altrove mo-
strammo come ciascuna scienza, come tutte le scienze, riescano inef-
ftcaci nel tentare la soluzione di certi problemi, segnatamente nel de-
terminare il concetto àeWAt^oluto (lib. II, cap.I). Il Positivista che è tutto
scienza e solamente scienza, da una parte ha paura della speculazione,
mentre dall* altra sente il bisogno di determinare in qualche modo cotesto
assoluto, e lo determina, per esempio, alla maniera dello Spencer o del
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394 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [iJB. II.
Concludiamo quant' a' Positivisti. Il Positivismo fran-
cese rispetto al conoscere metafisico ci dà un Immenso
indeterminato ; un Incondizionato reale, 11 Positivismo in-
glese poi, facendo un altro passo, determina vie più cotesta
ignota realtà, e giugne ad affermare che le forze, la
materia, il movimento, la vita e l'universo non siano
fuorché simboli e rappresentazioni.- Altre affermazioni
d'altre maniere di Positivismo che pongano T assoluto
senza penetrar nel regno della metafisica^ io non cono-
sco; ne, a dir vero, sono possibili.*
Littré con offesa apertissima della logica. Ora, chi non voglia offendere
non pur la logica ma neanche il hnon senso, e insieme salvarsi dalla
contraddizione, dove altro può penetrare, uscendo dal regno delle «ctetue,
fuorché in quello della tiietajUiea^ ma della metafìsica intesa non già come
scienza />rtma, anzi ultimaf Determinare in qualche modo la Potenza di cui
r universo è manifestazione; specificaro questo Immento formidàbile e pvr
•alutare oltre cui non sa penetrar rocchio dello Scienze ma della cai
realtà nessuno che abbia mente sana potrà dubitare; cotesta impresa,
diciamo, non è né impossibile nò puerile, altro che per gli animi volgari,
incuranti e stupidi. La relatività nel conoscere non ò muro di bronzo;
non è oceano assolutamente sconftnato. Il conoscere metafìsico è pos-
sibile ; ma ò possibile come aesolato e come relativo insiememente. È a«-
eolutOf nel senso che salva il pensiero dal nullismo metafìsico; ed è re-
lativoj nel senso che non istringe la mente entro la rigida catena d* una
formola sistematica. Se intanto ò vero, come dice Io Spencer, che tra V In-
conoscibile delle religioni e V Inconoscibile delle scienze non esiste antago-
nismOy no viene che, fra gli altri fini, la speculazione metafisica debba pre»
figgersi anche questo: trasformare la fede, interpretar la credenza, porre
a nodo il germe delFidea che pure si s voi ve attraverso le produzioni mi-
tiche, superare il sentimento riducendo l'immaginazione a ragione se-
condochò richiede il processo psicologico (Ved. ciò che abbiamo discorso
nel cap. V, lib. Il), e siffattamente porgere guarentigie sperimentali al-
l'inveramento della scienza mercè le applicazioni storiche in generale.
* In questa rapida critica su la tendenza metafisica del Positivismo
non abbiamo tenuto conto dell' Umanismo di Ausonio Franchi, e del
suo Dio ddV Umanità che nega il Dio detta Bibbia {Razionalismo del
popolo, Ginevra, 1856), e neanche del Fatto della vita, àeW Istinto ài cui
parla il Ferrari {Filosofia della Hivol, voi. 11), perchè non ci paion con-
cetti scrii, né degni di critica seria. Quando s' è detto che il Dio Umanità^
che la Vita della storia con tutte le sue leggi non sono che due fatti
i quali perciò abbisognan d'una spiegazione, s'è detto tutto. Ora a co-
testa qualsiasi spiegazione non sanno e non vogliono accostarsi questi
due arditissimi scrittori per paura della metafisica; e però non sono
positivisti, L' uno è critico, non Criticista, com' egli pretenderebbe giac-
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OAP. Vili.] DEL OONOSOBBB MBTAPISIOO. 395
Or bene, la filosofia positiva, la speculazione razio-
nalmente positiva, accetta, deve accettar l' una e V altra
posizione de' Positivisti inglesi e francesi, perchè ci rap-
presentano entrambe uno sforzo di metafisica, perchè
sono entrambe un preludio alla metafisica. Se non che
esse sono una metafisica incosciente, una metafisica ne-
gativa, perchè sentono ma non soddisfano l'esigenza
speculativa. Come dunque soddisfare all'esigenza dav-
vero positiva nella speculazione trascendente? Eviden-
temente bisognerà appagarla superando il negativo,
superando quel sazievole non so, quel non mi preme
sapere^ quel non si può sapere che ad ogn' istante e con
incredibile noia ci ripetono i Positivisti, ma nel me-
desimo tempo restare nel positivo. E qual è il positivo
in metafisica? Lo dicemmo già, e lo ripetiamo: schivare
gli estremi ; perocché il nemico mortale della positività
metafisica son le colonne d'Ercole del tutto sapere, e
del nulla sapere metafisico (cap. I, 1. II). Se quindi la
vera filosofia positiva ha da accettare quel che il Posi-
tivismo ci dà e nel medesimo tempo superarlo in forza
dello stesso metodo positivo, deve accogliere l' esistenza
che il crìticista, il vero Kantiano affinchè sia tale, dehb' esser tutto d*un
pezzo, dero accettare anche i sommi pronunziati della Ragion Pratica,
Ausonio dunque è un puro critico, un critico sottile, è il doctor mbtilissimwi
de* dì nostri, abile scaltri mai a trovare il pel neir uovo neMibri altrui,
ma non così nel dare una dottrina, una teorica propria, fosse pur la teorica
del giudizio. Il Ferrari invece è scettico sistematico^ meravig^lioso nell* acca-
tastare erudizione come nel distrugger sistemi, ma nullista in metafisica
al pari d* Ausonio. Costoro perciò son fuori d* ogni forma di Platonismo
e d'ogni forma d'Aristotelismo; e se ne vantano; e se ne gloriano: e
si sortano pure! Ma non sono fuori della storia, chi sappia che cosa vo-
glia dire storia della scienza e della filosofia. Franchi e Ferrari hanno
esercitato fra noi quella funzione, parte benefica e parte malefica, che vie-
ne esercitando lo scetticismo in certi dati periodi storici; funzione al
tutto negativa, ma necessaria (p. 207,e sog.). Ma la storia dovrebbe insegnar
loro due cose: che il l)Ì80gno speculativo è uu gran fatto, e che la possibiltà
d' una metafisica positiva non è un sogno. A questi critici e scettici, di cui
fra noi oggi non è penuria, opponiamo un dilemma invincibile do) prof. Ber-
tini su la possibilità di rintracciare un principio metafisico. (Ved. La\
FU, Greca prima di Socrate, esposiz, storico- critica, ed. cit. p. 13, 320.)
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396 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. TI,
d' un* ignota realtà in quanto è Potenza e virtù dell' uni-
verso, ma legittimarla. Così il metodo positivo, assumendo
valor critico e razionale, non più sarà l'esagerazione d'uno
de' due estremi indirizzi dell'Aristotelismo, ne contrad-
dirà'altrimenti alla sua posizione media, anzi varrà a
confermarla, ad inverarla, ad esplicarla sempre più.*
L'opposto indirizzo del Neoaristotelismo dicemmo
esser THegelianismo.* L'Hegeliano si oppone al Neopla-
tonico, perchè non accetta veruna sorta d' immediatezza
nel conoscere metafisico. Si oppone al Positivista e ad
ogni maniera d' empirismo, perchè non può accoglier la
nozione d' un assoluto portoci dalla coscienza volgare,
empirica o dommatica ch'ella sia. Qui egli ha piena-
mente ragione. Ma qual è la sua via? Qual è il suo
metodo? Dov'egli mira? L'abbiamo detto: l'Hegeliano
riconosce l' assoluto, ma lo riconosce ponendolo, facen-
dolo; e lo legittima per necessità tutta dialettica. Lo
pone e lo fa non perchè ci è, anzi perchè ci ha da
essere ; e per ciò nessuno potrà dire eh' e' ci sia prima
che il pensiero s'accinga a farlo. Di qui una conclu-
sione singolarissima: Tutto ciò che esiste, è anteriore a
quello per cui virtù solamente egU è possibile e reale! Ma
non anticipiamo. Che cos' è dunque l'Assoluto per i neo-
aristotelici iperpsicologisti? Là risposta non è sì facile
per noi quant' avrebbe da essere per loro. L' Assoluto
è il Tutto : è l' assoluta e immanente relazione : è la
relazione della relazione: lo Spirito.'
* E così pure ?a in forno T affermazione del Littbì: c qui e»t mitapKyn-
e»«n, iCe»tpa9 po9ÌiivÌ9U; qui ett positiwtefn'ett pa$ métaphyiieien, » (Princip,
de Phil. Ponit. par A. Comte, Préf. d^un ditdple^ p. 60.)
*Noa senza ragione un nostro acutissimo hegeliano (Dr Mris, Dopo la
r^aureOf voi. I.) chiama Hegel V ArÌ9ioule moderno. Ma qual ò proprio V Ari-
stotole rappresentato dal filosofo di Stoccarda V Ecco il punto! U nostro
valoroso e carissimo professore, questo Oariholdi deW Hegdianimno come al-
trove r abbiamo chiamato, non ammette che un solo Aristotele, il suo
Aristotele!
'L'assoluto, dice un fodol ripetitore di Hegel, non è questo o
quello, r identità o la differenza, ma il tutto nella differenza e neil' unità
tua, E il conoscere assoluto poi sta nel porre i termini, nel mostrar
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GAP. YllI.J DEL 00N08CBBB MBTAl-ISIOO. 397
Sennonché, in cotest' assoluta relazione, in cotesto
centro eh' è anche circonferenza, è pur d'uopo comin-
ciare. Da qual parte rifarci? Qual è il Primo? Eccoci
nel cuore dell' Hegelianismo : nella più alta e nascosa
fortezza dove già da un pezzo la breccia è stata ajierta
per opera degli stessi tedeschi, massime dal Trendelen-
burg. All'assoluto, essi dicono, si perviene solo per
medicunone. Ma» cotesto lavoro di mediazione, come
s'inaugura e perchè? A siffatto processo (ripetiamo
la frase del medesimo Hegel citata nell' altro capitolo)
va innanzi un momento d' assóltUa e subitanea astra-
zione} Col subitaneo astrarre il puro pensiero pone.
Che cosa? Pone Vinse, l'Essere, o meglio l'Indeter-
minato. L'indeterminato non è soggetto né oggetto;
non è pensante né pensato : ma è qualcosa oltre cui non
si può andare, e senza cui nulla non sarà mai possibile, e
mercè cui tutto sarà attuabile : l' idea assoluta, l' etema
nozione {der ewige Begriff.y Ecco Vàbsólute Prius, il
Vero primo, e però il vero Fatto.*
La prima osservazione che qui sorge spontanea è la
seguente. Cotesto Indeterminato è cosiffatto, che non si
può nemmanco pensare: perocché ove accanto a lui fosse
come s* oppongano fra loro, e come e perchè, opposti, si concilino. (Vkba,
Introd, alla Log. di ffegel^ voi. I, e. XI, p. 97). ~ 1/ assoluto, dico un
altro Hegeliano, non è Tldea, non la Natura, non lo Spirito, ma è Vldea-
Natura-t^rito; la rdoMÌone dtlla relaztotie; VindifferenMa differenxiata
indifferentemente (Spaventa, Le», di FU.) Il vero abeolute Priue è 1* atti-
vità, il pensiero, lo spirito: non TEnte che come puro essere è Premp-
poHo cominciamento ; ma il Ponente, vero Principio, che ò lo Spirito.
{Idem, FiL. di Gioberti, p. 512).
' Spaventa ne chiarisce il pensiero cosi: Io mi levo aU^eeeere per
una riaoluMtone immediata f per un'auoluta a$trazione. {Le Categ. della
Log, di ffegd ed. cit., p. 129).
* Hrgbl, Log, voi. I, Jntrod. e. Vili, p. 145.
* L* Indeterminato per lo Spaventa è il < pemahile indeterminatOf in-
distinto, non opposto a niente : non dietinto in «è, ni opposto ad altro :
senta relazione ni verso sì, né verso altro che sia o si possa pensare prima
di esso; rASSOLUTAMKNTR IRRAZIONALE. » (Op. cìt., p, 129.) Ora se non v' ha
nulla, come ci dicon gli stessi Hegeliani, che non racchiuda almeno un
brìciolo, un' ombra di razionalità, che cosa mai sarà cotest* oggetto osso-
lutamente irrazionale altro che il nulla veramente dettoV •
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398 DELLA DOTTRINA PILOSOPIOA. [LIB. II.
chi Io pensasse, per ciò solo non sarebbe indeterminato,
non sarebbe il Primo, non sarebbe assoluto/ Or come
da ciò che non potete né dovete pensare altro che
come assolutamente indeterminato potrà dedursi tutto
ciò che è determinato? Non è egli cotesto il più mi-
racoloso de' passaggi? Diranno: e' si può dedurre per
ragion degli opposti, e per via di logica necessità. Si
potrebbe, io risi)ondo, ove T opposto valesse il determi-
nato. Ma la deduzione dell' opposto è possibile, stante-
che ponga radice nella natura stessa dell'idea, né v'è
idea che non abbia il suo opposto. Invece la deduzione
del determinato è impresa davvero impossibile, perchè
il determinato è molto piii dell' opposto.' Forse che la
natura, per dire un esempio, è l'opposto dell'idea?
V altro del pensiero puro? La natura è il determinato:
e come tale è qualcosa di concreto, di vivente, di reale,
di esistente spaziale e temporaneo. Come dunque de-
durla? Qual sorta mai di necessità logica potrà qui
colmare 1' abisso e far disparire l' intervallo ? Potrete
dedurla, è vero ; ma solo come concetto d' un subbietto
spaziale e temporaneo anziché come realtà sostanziale,
secondo l'osservazione d'un dotto tedesco.'
Inoltre, l' obbietto cui per moto istantaneo e astrat-
tivo s' aderge il pensier puro, non può non essere, di-
cono, essenzialmente indeterminato per le ragioni qua
dietro accennate. Dunque, io concludo, è necessario un
» Hbqbl, Log, voi. II, § LXXXVII.
* È noto come 1* oppo$to nella dialettica hegeliana è preso per lo
meno in tre sensi diversi; come contraddittorio, come contrario, e come
esemplare semplicemente detto. In altrettanti significati è presa anche
r unità degli opposti. Questo linguaggio singolarmente duttile dell' Hege-
lianismo è stato notato e coutraddetto da molti autori. (Cons. p. es. lo
Stahl, Storia cUUa Filotojia del Diritto ^ il Rosmini, Teotojia, voi. I; il
GiOBBRTi in più luoghi àeW Introduz. e della Protologia; il Mamuni,
Confessioni^ voi. I, Meditati, Cartes.y e. VII. Janbt, Vaohbrot, op. cit.)
Non senza ragione il primo di questi scrittori ha detto essere un cama-
leonte la legge nella quale si fonda la logica e quindi *1 ternario del-
l'Hcgelianismo.
? Stahl, Storia della Filosofia del Diritto^ p. 600.
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OAP. Vni.] DEL 00N080EIIB METAFISICO. 399
determinante. Quale potrà esser mai cotesto determi-
nante, salvo che il soggetto che gli sta di contro? L'in-
determinato quindi si determina, e si determina solo
per virtù del pensiero: di qui la gerarchia organica
delle idee; di qui il moto dialettico nei suoi diffe-
renti gradi ; di qui lo sdoppiarsi dicotomico, per dir così,
delle determinazioni logiche. Or bene, io domando: come
dirlo oggettivo cotesto lavorio, come creder eh' egli ab-
bia una rispondenza oggettiva se il determinante è
tutto subbiettivo e relativo e formale così nel comincia-
mento come nel processo? Non è dunque un'ironia la
logica obbiettiva dell' Hegelianismo? E non ha avuto
ragione il Trendelenburg se con la sua grande autorità
ha preso a mostrare come l' absolute Prìtts della dia-
lettica hegeliana non sia punto dialettico, per la semplice
ragione che, s'ei fosse tale, già sarebbe atto a movera da
se? L' assolutamente indeterminato, adunque, è essenzial-
mente immobile. Che se a moversi abbisogna del soggetto,
perciò solo e' non possiede natura d'oggetto, ed è sfornito
d'ogni valore obbiettivo; perciò è tutta una tela di ragno
la famigerata dialettica; e perciò il primo momento della
logica obbiettiva* è una bolla di sapone indiscernibile e
vagante ne' cieli della più recondita astrazione.*
* Sono tre i momenti del pensiero assoluto : oHrattOj dial^uico e 9pe-
eu^vo, (Heorl, ZoCf cit. e III).
• € Fi»»ando VEtaere^ io non mi distinguo come pensiero dalVJStBere:
io mi estinguo come pensiero neW Essere: io sono V Essere. ^ (Spaventa, Le
Prime Cnteg. ec., ed. cit., p. 133). Oh* io m* abbia a distinguer dall'Essere
è indubitato: e me ne distinguo perchè penso I* Essere. Ma come ho a
fare per estinguermi come pensiero nell'Essere? Io voglio f si dice, io mi
risolvo.,.. Sta bene; ma forse perciò si può dire che cotesto estinguermi
cesserà d'esser nna faccenda supremamente subbiettiva o formale? E in che
maniera poi, dopo essermi estinto neW Essere^ potrò affermare eh' io dunque
non V Essere? Io son 1' Essere, si risponde, perchè mi pongo come tale. Ma
il pormif il volermi porre^ è un atto appartenente al processo psicologico
pratico e operativo, non già al processo conoscitivo e teoretico. Come
dunque potrà egli esercitare flmzione dì primo V — Non per nulla abbiam
detto essere iperpsicologisti'gM Hegeliani. Essi da una parte sconvolgono
l'organismo psicologico, mentre poi da un'altra rendon la logica infrut-
tuosa e formale. E tutto dipende dal primo passo! Quando io affermo:
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4CX) BELLA DOTTBINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
D' altra parte il Primo della dialettica hegeliana non
può serbar valore di Primo, perchè manca d'una delle
condizioni essenziali al processo, anzi ad ogni processo,
le quali costituiscon la gran legge così del sapere come
dell' essere. La dialettica hegeliana non racchiude l' ele-
mento della difiFerenza, che è per l'appunto un'altra
grave difficoltà mossa contro all'Hegelianismo dal Tren-
delenburg. L'Essere è il Nulla, e il Nulla è l'Essere:
perchè? perchè cotesti obbietti (risponde acutamente lo
Spaventa in nome di tutti gli Hegeliani) sono entrambi
indeterminati, e, come tali, identici. Il principio del-
l'identità qui è un elemento essenziale, è condizione
intrinseca, originaiìa, cosi che costituisce la natura dei
tennini stessi. Or donde mai rampollerà egli il divereo?
Nel congegno dialettico la difiFerenza per gli hegeliani
dovrebb' essere anch'olla primitiva, anch' ella essenzia-
le, anch' ella originaria, altrimenti ov'essa penetri da
fuora ed è, per dir la parola del Trendelenburg, come
aggiunta^ avrà valore accidentale, secondario e fenome-
nico lungo tutto il processo; e però, scambio d'un dina-
mismo ideale, nella logica obbiettiva non avremo altro
che un idealismo meccanico e formale, un idealismo
fatto a pezzi, un corpo aggiuntato meglio che organato.*
V iUBtre l il non-easerey io faccio un griudizio, il cui predicato sarà ncgatiiro,
0 positivo. Se negatiro, eccoci alla vuota identità: A=A. Se positivo,
allora sarà una determinazione deir essere, ed eccoci quindi nella ne-
cessità di tpecificarìo. In entrambo i casi il congegno dialettico hege-
liano so n* è beir ito : perchè se nel primo siamo nel vuoto d* una tau-
tologia, nel secondo poi la ponzione e V oppo$inione sono possibili
solamente o fra termini coniracldittorij o fra termini contrari. Ma, se con-
traddittori, r opposizione potrà ella essere altro che logica? L* organa-
mento della logica potrà avere un valore metafisico, lo so anch* io ; ma
ad un sol patto; purché si giunga, cioè, a dar ragione dell' una e del-
l'altra maniera d' opposizione. Or questa ragione nell'Idealismo assoluto
è davvero impossibile, come s'è detto. Dunque siamo sempre nell'etere
d' un puro mondo formale. Se la vera oppotixione nel regno della logrica
fosse impresa possibile, già da ventidue secoli addietro l' A. del Parme-
nide no avrebbe dato splendida dimostrazione, né vi saria stato mestieri
del suo gran discepolo che mettesse a nudo l' inefficacia del tentativo.
* V Euere puro ì V Ettere; e come taU importa U Non-etstre. lì
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OAP. Tni.J DEL OOKOSOEBB lOETAllSIOO. 401
Lo Spaventa in Italia, dopo il Trendelenburg in
Germania, avendo visto ove s' annida il verme velenoso
Non-e$8ere non i U nulla a98oliUo, ma è U Non-egaere rfcH* Essere, Pari-
menti il Ntm^Baere importa V Essere perchè non è altro che il Non-essere
deW Essere, Perciò 1* Essere e il Non essere si pongono e 8* oppongono,
per indi coneiliarsi nel divenire, (Hegel, Log-^ voi. II, loc. cit.) Lo Spa-
venta non ha torto nel dire che tutto ciò ha Y aria d* uno scherzo, là
dove parlando, col solito lingnagfirio netto e incisivo circa la posizione
deir Essere e del Non-essere, dice: « Eeeo qui uno, lo stesso uno che non
ha nome. Chiamiamolo Pietro e poi Paolo. Dunque Pietro e Paolo sono lo
stesso, qudlo stesso uno / > È proprio uno scherzo, un indovinello da algebristi !
Dunque, mi si chiederà, nel ^an sistema è egli ripudiato V elemento della
differenza? Tutt* altro. 611 Hegeliani anzi in ogni lor libro, in ciascuna
lor pagina s* affannano a mostrare e giustificar co* fatti cotesta legge
tanto necessaria air organamento della dialettica. Ma quanto i Gesuiti
non s* arrapinano anch^essi a parlarci di libertà di pensiero e di coscienza?
K pure chi non sa come la libertà vera per costoro sia la schiavitù al
Sillabo e al Domma, per cui la ragione è libera solo in quanto è as-
sorbita dalla fede? Tal si è il diverso per gli Hegeliani: un fuor d* opera.
E* ne parlan sempre, ma alla fin delle fini poi si trovano ingoiati nel-
r identico. L'alterità che scorge Hegel nel suo pensierpuro è (ripeto la
sua frase) ineffabile e assolviamente vuota. Or una differenza assoluta-
mente vuota non è forse indifferenza, cioè non differenza, identità, vuo-
taggine addirittura? E dato ci sia cotesta differenza, sarà ella di na-
tura metafisica, o non piuttosto logica? E una differenza non metafisica,
domanderò, sarà ella vera differenza o non più veramente semplice di-
stinzione? Ecco la ragione per cui l'Idealismo assoluto non può riescire
a dimostrare l'oggettività della conoscenza, e salvarsi dal pretto forma-
lismo ond' è tutto magagnato. Che se poi la gran pretensione sta nel
volerci dare la scienza assoluta, e 'sarebbe d'uopo, ripeto, che la logica,
proprio come logica, fosse la metafisica; talché col far l'una si fa-
rebbe anche l' altra, e così potrebb' esser risoluto l' arduo problema del-
l' oggettività. Invece il più valoroso de' nostri Hegeliani come rispon-
d'egli a questo proposito? Se n'esce pel rotto della cuffia dicendo:
« Tale oggettività non d un problema logico: la logica ami la presuppone, *
(Spaventa, Op. cit. p. 165.) La presuppone? Mi par di sognare! Se
dunque è così, la conseguenza chiara come il sole, almeno per noi im-
barbogiti sempre più nella vecchia logica aristotelica, sarà questa:
che la logica, grande o piccola che sia, subbiettiva od obbiettiva che si
voglia, non sarà e mai non potrà esser quella che ci si vuol dare ad
intendere, la chiave, cioè, del grand' edlfizio, il fondamento a priori del-
l'enciclopedia, la vera metafisica del conoscere. Nò qui vale invocar la
Fenomenologia qual propedeutica atta a dimostrare 1* oggettività, come
fa' lo stesso Spaventa. Cotesta invocazione anzi è una ragione di più per
dichiarar la logica degli hegeliani una tela di ragno. Perchè se la Fe-
nomonalogia ha da esser la propedeutica necessaria della Logica, il pro-
cesso a priori e assoluto nel costruire la scienza diventerà una parola
Siciliani. 3^
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402 DBLLA DOTTRINA FILOSOFTOA. [LIB. H.
della nuova loj^ica, s' è provato a schiacciarlo. Ci è rie-
scito? — Un vizio magagna tutta la logica hegeliana, dice
anch' egli; ed è vizio d'origine, in quanto che pone ra-
dice nelle viscere stesse del momento astratto, e pro-
priamente nel concetto dell'Indeterminato. L'Indeter-
minato è un equivalente comune dell' Essere e del
Non-essere, dell'Idea e del Pensiero, dell'Astratto e del-
l' Astraente. Di fatto, che cosa mai sono cotesto Essere
e cotesto Non-essere? Ei son cosa indeterminata; ma
non sono lo stesso Indeterminato. Se fossero, la difiFe-
renza tornerebbe davvero impossibile (difetto radicale
dell'Idealismo obbiettivo dello Schelling), perchè avrebbe
a sgorgare dall'identità. Che se non fossero la stessa
cosa, tornerebbe impossibile il contrario, cioè l'iden-
tità. Essere e Non-essere, dunque, sono un medesimo,
è vero, ma solo in quanto indeterminati, non già in
quanto indifferenti. Essere e NuUa sono lo stesso, ma
non come Essere e NuUa.^
Una prima osservazione potrebb' esser questa. Se
tra r Essere e '1 Nulla havvi identità e diiferenza; iden-
Yuota di senso, an a priori che non è a priori, e perciò un* ironia, come
dlcovamo poco fa.. Ancora: se la Logica in cotesto processo a priori ha
da pretuppoire la Ffnomen^ogia, ne segrue che Tuna di queste due
scienze non potrà essere altro che imitazione, ripetizione, copia, copia
anche ridotta al grado supremo di trasparenza ideale, ma sempre copia
deir altra; e quindi s'intoppa nella solita conseguenza, che cioè la
conge?natura dialettica hegeliana, anziché una metafisica, sarà un pretto
formalismo, un assoluto soggettivismo. Che se la Logica prewpponendo
necessariamente la Fenomenologia non può non essere altro che una co-
pia trasparentissima di questa, non sappiamo dir davvero che cosa gli
Hegeliani avranno da opporre al metodo di certi Teologisti i quali pi-
gliano a discorrere della natura di Dio appoggriandosi nelle leggi psico-
logiche, ricopiandole, ripetendole e trasportando così la psicologia nella
teologia. Del resto, sul significato e sul- fine e sul valore della Fenome-
nitlogiat i seguaci di Hegel, com*è noto, navigano pur troppo in opposte
correnti neir interpretar la mente del maestro. È d' nopo dunque che
innanzi tutto e* s* accordino fra loro e ci sappian dire se la Logica sia
davvero la scienza madre, la scienza davvero o priori, ovvero abbia da
presupporre qualcos'altro dinanzi a sé. In entrambe i casi le difficoltà
saranno insormontabili.
* Spatbmta, Le prime Categ, ecc. loc. cit.
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OAP. TTn.] DEL OONOSOBBI MSTAFISIOO. 403
tità perchè entrambi indeterminaéi, e differenza perchè
entrambi indifferenti; io domando: cotesto indifferente
non è già di per sé stesso un indeterminato, cioè non
differente, cioè non determinato? Dìinqne Isl differenza
di cotesto indifferente è una parola com' un' altra; un
pio desiderio: perocché, ripetiamolo, se l' indifferente è
irrélativo, sarà per sé stesso irrazionale, sarà il nulla, sarà
il nulla addirittura : quel nulla che, come dice il Vico,
non può cominciar nulla, e nulla terminare : vuotaggi-
ne, e voragginel * Ora piuttosto che dirlo un absclide
Prius cotesto Indeterminato, non vuol esser anzi ritenuto
come un vero capui mortuum, incapace a costituir la
scienza perchè incapace a far cominciare il pensiero?"
Sennonché il Professore di Napoli, nel corregger V Hege-
lianismo, par che voglia uccidere il verme velenoso pro-
cacciando mostrare che il diverso ponga radice nel Nul-
la, ma nel Nulla inteso non già com' essere purissimo,
astrattissimo, scioperato, bensì come astraente, come
NuHa-pensiero il quale, perciò, non cessa né può cessare
d' esser pensiero. Or bene, l' illustre uomo così non ri-
solve, ma sposta la grave difficoltà del Trendelenburg.
Egli riesce a mettere un po' di calcina alla breccia, è vero;
ma senz' addarsene poi n' apre un' altra non meno fatale
della prima, perché l' intrusione del diverso è sempre lì
duro a chiedergli ragione di sé. Infatti, s'egli considera
l'Essere come un in sé, e considera come un in se
anch' il Non-essere; non v' è nessuna ragione al mondo
perchè non abbia da riguardare anche come un in se
il connubio de' due termini. Intanto che cosa fa il dotto
filosofo ? Giusto nel momento che s' hann' a decider le
sorti della logica obbiettiva, giusto nell' istante supremo
* RÌ9p, al Oiom, de* Leti., T, IL.
* Si dirà: è indeterminato anche il vostro intelli^bile, la {«ce me-
tafisica del vostro filosofo. Verissimo, io rispondo: ma tra il nostro
indeterminato e quello degli Hegeliani corre tanto divario, quanto fra
un oggetto posto da natura, e quello colto d'oMatto; fra T oggetto ori-
ginario intuito, e r oggetto afferrato por risoluzione astrattiva. Veggasi
quel che s*ò discorso nel Gap. V e VI, di questo Lib. II.
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404 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. n.
in cui la logica dee poter rivestire natura e valore di
metafisica, egli cangia bruscamente posizione, e invoca
il pensiero, invoca 1' astraente, invoca V astrazione, e
cosi dileguatasi a un tratto V obbiettività, ci fa divagare
nel mondo delle pure forme, ed eccoci di bel nuovo
ricacciati e ravviluppati per entro alle fitte maglie della
tela di ragno! Dunque (mi si chiederà) a voler pene-
trare sul serio nel regno metafisico, nel mondo delle
Menti e di Dio con metodo razionalmente positivo, chg
cosa è da fare? Il da fare è manifesto : bisognerà che il
connubio de' due termini, cioè il divenire, sia quel me-
desimo che sono cotesti suoi termini, dal cui annoda-
mento esso dee pullulare. In altre parole, bisogna eh' e' sia
da sé, che sia per sé, che sia mediante se. Fa d' uopo, in-
somma, che r Essere (ripetiamo volentieri la bella frase
del Trendelenburg) sia dialettico, ma dialettico davvero,
non da burla; dialettico nel verace significato della paro-
la, e quindi atto a moversi da sé medesimo, anche senza
il vostro pensare, anche fuori del vostro pensare. Cosi gli
Hegeliani potrebbero schivare qualvogliasi intrusione; e
così (e solamente così) potrebbero conseguir quella che
tanto essi desiderano, la scienza assoluta. Ma questo non
ha fatto Hegel; e questo non ha fatto Spaventa benché
con tanto acume siasi adoperato a rammendar lo strappo
micidiale che con abilità di grande maestro ha saputo
operare il dottissimo Trendelenburg nella logica hegelia-
na. E perciò il sistema delF identità assoluta è, e resterà
in perpetuo, come é stato appellato nella stessa Germa-
nia, il monismo del pensiero (monismi^ des Gedenkes).
Abbiam detto che l' impossibilità di mostrare il prin-
cipio della difierenza nel regno della logica fa sì che
il passaggio al mondo della natura si manifesti arbi-
trario, illusorio, fallace. L'idea logica, dice il Vera,
è la Idea cieca, V Idea senza coscienza né pensiero, la
nuda possibilità: in somma é l'Idea, ma non l'Idea
dell' Idea. In cotesta imperfezione logica sta proprio la
ragione del passaggio alla natura, e quindi la sua legge,
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GAP. Yin.J DBL OONOSOERB METAFISICO. 405
e la sua necessità.* Dunque, in altre parole, perchè
r inderminato è indeterminato, perciò diventa determi-
nato ; perchè è possibile, perciò diventa reale ; perchè è
privazione, perciò h posizione. Eccoci alla tt-ostc? aristo-
telica. Ma dicemmo che la privazione non è negazione,
non è vaga e astratta indeterminatezza, non è pretta
potenzialità, ma energia, principio positivo, e potenza
feconda (to' ^uvarov). Or Videa deìTIdea di cui parla
il Vera, è qualcosa d'assolutamente potenziale e d'in-
determinato; è una possibilità logica, il to' ev^e^opevov,
non già il tò ^uvktov, e quindi, meglio che principio po-
sitivo, è negazione d'ogni principio. Come dunque prin-
cipia e fa principiare? Come passa e fa passare? In-,
somma, com'è che diventa?*
* Hegel, Log., voi. cit. Introd. e. XIII, p. 145.
* * n divenirey osserra il medesimo traduttore, compie la a/era dd-
V E98ere e del Non-esaerey e forma ti passaggio alla sfera ptù concreta del-
l' Idea, dove per novelle addizioni V Essere e il Non-essere diventanoy o
meglio son divenute {^) qualità, quantità, essenza. » (Log.^ voi. cit., p. 127.)
Ma come fatte, da chi Jhtte e perchè fatte coteste novelle addizioni? Data
la sfera dell* Essere, del Non-essere e del Divenire, si passa tosto e necessa-
riamente alla sfera concreta del medesimo e del diverso... Ma come si passa?
Chi vi dà il diritto d'affermare cotal passaggio? Torniamo a domandarlo:
siamo qui fra* contraddittori, ovvero fra* contrari? Siamo fra nn termine
posto ed un altro opposto, o non più veramente fra il puro pensiero e
il soggetto determinatissimo e vivente che dicesì naturai Per quanto si
faccia, la sola relazione logica e la sola necessità logica torneran sempre
inefficaci, e però Hegel (secondo la severa critica dello Stahl) non giunge
mai ad un mondo reale. « Egli passa dal puro pensiero alla Natura^ perchè?
Perchè l'uno dee negare sé stesso ponendo l'altro, l' opposto. Ora il ca-
rattere dell'opposto, della Natura, non è la realtà, la sostanzialità, la
causalità (attribuiti già allo stesso pensiero puro), ma è la negazione del-
l'essere sostanziale, reale, causale. Che cosa dunque rimane alla Natura?
La semplice determinazione del tempo e dello spazio (Ved. Enciclop.
§ 247). Or per qual ragione si dovrà ammettere che questa natura estesa
e temporanea debba esistere attualmente, che, cioè, sia reale e non sem-
plicemente pensata come estesa e temporanea, socondochè ci accade
ne' sogni? L'opposto del pensiero puro è la Natura solo come tempora-
nea ed estesa : ma per aver 1' opposizione forse che non basta pensarla
come tale? « L^ Idealismo oggettivo di Hegel (conclude lo Stahl) non è meno
di quello soggettivo di Fichte un puro mondo di sogni: Tunica differenza
ì che vi manca ehi sogna, » {FU. del Diritto, p. 503). — A. quest' ultimo
e severo giudizio dello Stahl ci piace qui aggiungere quello d' un altro
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406 DILLA DOTTBINA FILOSOFICA. [UB. H.
Parlando dell'Idealismo assoluto non possiamo di-
spensarci dall' accennar poche cose, quant' occorre al
nostro proposito, sul suo organamento generale, e su le
sue relazioni storiche col Platonismo e con V Aristoteli-
smo in generale. Gli Hegeliani riconoscono che il mondo
si svolge per una legge interna anziché per un caso o
per necessità ineluttabile e geometrica, come pensano gli
Spinozisti ne' tempi moderni, e come pensavano gli Epi-
curei in antico. L' Hegelianismo racchiude una grande
idea; l'idea del processo, che vuol dh-e d'un fine da
conseguire con pienezza di coscienza, di libertà, di ra-
zionalità. L'Idealismo assoluto, quindi, anziché cieco
meccanismo e fatalismo ineluttabile, parrebbe un es-
senziale e profondo e universale dinamismo. Ma eccoci
al punto 1 Al di là della natura, ci si dice, è l' Idea che per
ogni conto è indeterminata e potenziale : al di qua poi
ci é lo Spirito, eh' é l' Idea dell' Idea. Ora abbiam visto
come la Natura non si possa movere per l' Idea, perchè
ninno potrà mai dare quel che non possiede. Tanto meno
poi si potrà movere per lo Spirito, perchè lo Spirito vien
posteriore alla natura, e le si sovrappone. Ck)me dunque
movesi cotesta Natura? Per necessità logica. E quale è il
fine, quale il motivo ond'é spinta, eccitata, illuminata?
La razionalità. Or non è ella cotesta una forma di fata-
lismo cieco e geometrico che, quant' a' risultati, non si di-
varia né pur d'un apice dallo Spinozismo? Qual differen-
aotoreTole scrittore su* difetti sostanziali deiridealismo assoluto. « Non
9% pud leggere Hegel tenxa chieder9Ì »* ei ragioni ttd terio. Spesso cade
ntl fatalismo y nella personificazione, e, leggendolo, par d* assistere alla /or-
matone d* una mitologia, alla genesi di un mondo che somiglia qtuilo
degli Gnostici, in cui avviene che le idee piglino corpo, marcino^ e subi-
scano le piti svariate vicende. > (SoBRRERt M^langes rf* Histoire religieuse,
pag. 298). A proposito della Logica hegeliana poi ci sembra notevole
questa sent-enza d*ano che se ne intende, e che per il solito è temperatis-
simo ne* suoi giudizi: « Higd n*a pas renouveU la seience, comme Venthow
situme de ses disciples Va parfois prodanU; il Va dénatwée, malgri les
avertissements de Kant, et en la faisant la premiare des seiences, ou pour
mieux dire la seuU scienoe, U Va tuée,* (I. Babthìlkmt Saikt-Hilaibie
Logique d^Arisiote, Tom. I, pag. GL, Pré&ce.)
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H OAP. vm.]
DBL 00N060EB1 mTAJISIOO. 407
za, infatti, fra la necessità dialettica e la necessità mate-
matica, fra lo Stoico V Epicureo lo Spinoziano e V Idea-
lista assoluto fuorché la coscienza, in quest' ultimo, della
razionalità, eh' è dir la coscienza e la trasparente vi-
sione di cotesta superiore, arcana, invincibile, inelut-
tabile necessità?^
Quanto poi alle sue relazioni storiche, notammo già
come r Hegelianismo distinguasi da ogni altro sistema
per la«pretensione di volerli tutti accordare e tutti com-
piere e tutti inverare. E poiché guardando al modo
generale onde si suol determinare il fondamento asso-
luto delle cose, tutte quante le soluzioni metafisiche
possono esser rimenate ai due indirizzi del Platonismo
e deir Aristotelismo, così gV Idealisti assoluti, con la
dottrina delia Idea e quindi del metodo dialettico, re-
putano d'esser finalmente pervenuti ad accordare l'esi-
* Nò Tale che alcuni fra i più intelligenti Hegeliani^ stimando dMnter-
pretar meglio la mente del maestro, riguardino i tre momenti del processo
assoluto, nonché i tre termini del gran sillogismo, come in un sol momeìUo^
cioè nella loro immanenza, nell'attuale ed assoluta relazione, vomire nella
immanenza àeWIdea della Natura e dello Spirito- dandoci così a cre-
dere che cotesta non è altrimenti la metafisica della Idea immobile e ir-
rigidita, e neanche della Mente, e tanto meno poi dell* Ente, ma si la
metafisica Tera perchè metafinica dello Spirito. Con Taggiugnere al con-
cetto del processo e del reale divenire quello dell* immanenza, panni che
le difficoltà, anziché scemare, crescano. Fra que*tre momenti e que*tre
termini, infatti, una relazione caueale è ineyitabile, essendo verità troppo
antica ed altrettanto irrepugnabile, che la catua ì per la tua e$9enta
avanti V effetto (Twv yàp fiéd^v^ wv coriv l5« xt etrj^oirov xae'
o/BOTfjOov, ocva^xacov givat tÒ zrpórspoy airtov t«5v /xct' auro.
Arist., Metapk.f 1. II). E questo principio rlbadiscon oggi per Tia speri-
mentale tutte le scienze naturali e fisiche, mostrando ad evidenza come
la natura fisica, nello svolgimento cosmico, preceda alla comparsa del
regno vegetale, il vegetale (secondo alcuni) all'animale, e air animale
rumano. Come dunque persistere a farci erodere aW immanenza del ter-
nario f Come scaldarsi tanto per darci ad intendere che V Idea i insieme
Natura e Spirito- e che la Natura è insieme Idea e Spirito f È metafisica
positiva cotesta? o non più veramente un abuso di logica nonché un'in-
giuria ai pronunziati più sicuri della moderna scienza di natura? L'op-
posizione più salda, più seria, più invitta all' Idealismo assoluto la fanno
oggi le discipline sperimentali. R pure gli Hegeliani non se ne accor-
gono! Felicissimi loro!
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408 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
genza metafisica dell' uno, con quella dell'altro sistema.
Or è in questo preteso accordo eh' ei si palesano iper-
psicologisti per doppio rispetto. Osservammo come uno
de' massimi concetti dell' Aristotelismo sia quello del
moto; fondamento e sintesi di tutte le categorie, <xuvo).ov
concreto di que' due poli (materia e forma) ond' emerge
la realtà individua sostanziale e vivente.* Se non che
lo Stagirita innanzi ogni cosa osserva il movimento na-
turale e spontaneo; osserva il mobile, che nella sua
realtà è oggetto d' esperienza.* E poiché cotesto mobile è
un'attuahtà imperfetta tendente perciò al proprio fine;'
avviene che, posto il moto naturale e spontaneo, ei tro-
vasi in grado di coglierne concetto.* Dunque è 1' espe-
rienza che gli porge come fatto il divenire; ed è il moto
concreto e reale in cui egli sorprende insieme annodate la
materia e la forma, e nel quale vede incentrarsi la po-
tenza e r atto, al modo istesso che nell' ordine logico il
medio termine è il vincolo in che s' appuntano e consi-
stono gli estremi. In questo dato fondamentale, in questo
faUo ei ritrova la medesimezza e la diiferenza, che poi col
magistero eduttivo, come osservammo, converte col vero
ne' due pronunziati supremi del processo logico, identità e
contraddizione : talché in virtii di questo processo transi-
tando da atto in atto, salendo da perfezione in perfezione
e procedendo dall' indeterminato al sempre più determi-
nato, poggia da ultimo al supremo concetto dell' Atto?
* n^wTT? |xev fyoLp ov9Ìa. TJtoc éxàarw xf oux \Jitàp^si a/.X'/i
tÒ Sì xa9ó>ou xoivóv. Metaph., 1. VII.
* TóSe yy.p rt tÒ f^soóiievov >? Si xcvyjaiC} ov. Phys,, IV.
* Twv a^à^ffwv Z"» e<Tri trspai, ou^fjxca TfXoc, aXXà twv
vitpi TO TfXoc. Metaph,j IX.
* 'Optàpiiv Sé y.xi (fx'jsp^q ovra rotaùra a xtvsé «utx
««UT«. Phy»., VIII.
' Arist., Metaphf 1. XI. Perciò anche Aristotele possiede la sua
dialettica, ma, come osRervammo, dialettica di natura eduttira, non già
assolutamente deduttiva ed a priori com*ò quella del Platonismo, o me-
glio, del malinteso Platonismo. Ciò tiene al divario esistente fra Videa pla-
tonica, e Vuniverscde aristotelico. La costituzione dell* una, inteso Platone
in on certo senso, è logica e formale; quella dell'altro, invece, è data
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GAP. Ym.] DIL OONOSOBBB MBTAFISIOO. 409
Or l'errore d'Aristotele non si rivela tanto nel-
r ascendere inverso l'Atto, quanto nel discender dal-
l'Atto e passare alla natura. Perciocché tramezzando fra
l'uno e l'altro un intervallo davvero infinito, il passaggio
riescirà sempre impossibile ove nell'intima costruttura
del Pensiero puro non si sappia scorgere la possibilità
e l'origine del mondo. Qui dunque lo Stagirita vien
meno a se stesso; ed è qui cl\e il discepolo dee cederla
al maestro. Ma di ciò nell' altro capitolo, e torniamo
agli Hegeliani. Che cosa fann'essi di cotesto metodo?
GÌ' Idealisti assoluti capovolgono il beninteso metodo
aristotelico,* movendo innanzi dalla Logica. Ma poi-
ché nella Logica è impresa vana, come s' é detto, poter
dalla medesima natura, ma non per questo cessa d* esser metafisicafneces-
•aria e reale (Cons. Bonghi, Metaph. cT Arìtt,^ trad., 1. Ili, e. Ili), essendo
il processo della stessa natura, della sostanza, come diceramn, ma co-
sciente, trasfigurato: ò Tinduzione e la deduzione com penetrate e diven-
tate funzione eduttira (p. 126, eseg.) Se così non fosse, Aristotele non
avrebbe scorto una rispondenza fra la apeciUaMÙme e il movimento in ge-
nerale, nò detto che la natura è anch* ella un sillogismo come il pen-
siero. (Bataisson, op. cit., t. I, p. 488.) Questo è il fondamento dell* ar-
monia fra r ordine logico e T ontologico riprodotta e inverata, come
osservammo nell'antecedente capitolo, dal nostro- filosofo (p. 878 e seg.)
Perciò la costruzione delle categorie aristoteliche non è faccenda mera-
mente logica, secondochò venne intesa da' falsi peripatetici del medio-
evo, ma è costruzione scientifica, razionale, e però essenzialmente ob-
biettiva in maniera che si può agevolmente ricavare dalla Metafisica
dello Stagirita. Ne quindi alcuni moderni critici tedeschi s' appongon
male nel ritenere che il trattato delle CaUgorie faccia parte della Me-
tafisica meglio che della SiUogietica.
* 11 Michelet, per esempio, rifa a modo suo cotesto metodo paren-
dogli empirico e troppo eperimentale; il perchè fu giustamente censurato
dal Cousin. (Vedi il resoconto De la Métaph. (T ArisU) Ma il Professore
di Berlino non poteva col suo gran buon senso non riconoscere come l'em-
pirismo d'Aristotele non sia l'empirismo volgare, bensì un empirismo
eh' ei dice « totale, in quanto ohe non comprende una tota faccia delV abbietto^
ma le unisce e le accorda tutte con la forza della sua dialettica.... V em-
pirismo completo d la stessa speculazione: Aristotele combina questi dtte me-
todi.* (Exam. de la Metaph. d* Arìst., p. 116.) Or bene, perchè non legit-
timare viemaggiormente o correggere qaesta combinazione? Invece è pur
mestieri confessare che il metodo puramente dialettico e assolutamente
a priori degli hegeliani, anziché una correzione, è addirittura la nega-
zione del vero metodo aristotelico.
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^
410 DKLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. IL
rintracciare quella opposizione ond'essi abbisognano,
ne segue che, venendo ad interpretar l'attinenza tra la
materia e la forma, tra la potenza e V atto, e stabilir
quindi la natura del divenire, sfugge loro il concetto
» legittimo del processo, e, sospinti dalla necessità logica,
pongono in trono l'identità assoluta (stantechè sia sem-
pre l'Idea quella che diventa Natura e poi Spirito, e
così elevano a dignità di legge suprema, di legge es-
senziale, la immanema del divenire. Essi dunque si
chiariscono iperpsicologisti neoaristotelici, e però negano
il beninteso Aristotelismo ; né badano esser questo me-
desimo beninteso Aristotehsmo che a sua volta nega
loro, nega l' Idealismo assoluto, perchè è lo stesso Ari-
stotele quegli che dichiara impossibile il fare emergere
la Natura dalla logica, il fatto dalla nozione, il de-
terminato dalle forme generali.*
Abbiamo detto che i seguaci del filosofo di Stoc-
carda vonn' esser considerati come iperpsicologisti
anche sotto un altro rispetto, anche riguardo al Plato-
nismo. La dottrina metafisica platonica può esser be-
nignamente interpretata e corretta, come die segno di
voler fare più d'uno de' nostri vecchi esegeti; e può
esser intesa altresì in modo severo e in gran parte er-
roneo, come fa lo stesso Aristotele, e come fan tutta-
via alcuni valorosi espositori dello Stagirita ispirando-
si, più che altro, alla critica di lui. * L' interpretazione
e r esposizione aristotelica della dottrina metafisica pla-
tonica riesce in alcuni punti falsa, come là dove il nu-
mero matematico vien confuso col numero ideale, e in
altri esagerata. Ella in generale si fonda sul pregiudizio,
' Ec 5/ fAV}^ oo9sv (>) xévvjo'cc); oX>) ^%p ri zapi fVT£(ai
(TXSìpi? ÒLV^p7)T0Lt. Melaph.y I. I.
' Tal è, per esempio, il ciottissimo Felice Raraisson, il quale, se-
gnatamente nel 2** yolame dell* opera che noi più Tolte abbiamo citato,
si mostra critico assai poco benigno verso le teoriche platoniche nel
porre a riscontro la Dùdettiea e la Metajitùsa, E di questo difetto è stato
giustamente ripreso dagli stessi francesi fra* quali Janet. {ÉhuL tur la
DialecHque dant Platon et dans Hegel, Paris, 1861, p. 87.)
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GAP. ym.] DEL CONOSOBBK METAFISICO. 411
come nota lo Zeller, che le idee abbiano da esser lo stesso
che i sensibili; onde poi la conseguenza su l'inutilità di
ciò che Aristotele chiama sensibili etemi, la facilità di
rilevare T assurdo delle essente separate,^ il rimprovero
su la necessaria vacuità degli eterni parodigmi, e la irrisa
e, certo, ridevole mitologia delle idee come reminiscenze
d' un' altra vita.* Ora il Platonismo espostoci da Aristo-
tele arieggia, per più rispetti, al sistema dell' assoluta
identità : di guisa che ov' altri desiderasse elementi
per una severa confutazione della dottrina hegeliana,
dovrebbe intendere Platone così come lo intese il suo ce-
lebre discepolo e come lo stesso Platone si rivela talvolta
nel Parmenide e nel Sofista, e saperne quindi ritrarre
gli assurdi. Anche nel Platonismo passato per la trafila
dello Stagirita si può dire esser la logica quella che
crea il mondo, essendo la nozione, il generale, Punita
indeterminata che pone il multiplo. Fra il finito e l'tw/ì-
nito, fra l' Ente ed il Non-ente, fra 1' Uno e V Altro
(rauToi, 5dÌ7spoy) nou ci ha chc uu rapporto di natura
logica; sia che si parli di fx^juviacc, sia che di fisOf^ic,
ovvero d'una relazione intima ed essenziale emergente
* "Ere Sol^iisv av aSiivarov ywpc'c stvae tìj'v ouT^av xai
OH VI o\J7iOL' wt7« ctw; «y ac cosai ovacat t»v apxyfAOiTta'»
oZdOLi X^P**"^ suv. Metaph,, 1. XIII.
' Quanto al vaJore della critica Aristotelica cons. lo Zbllkb {Eapo-
•inone arittotelica ecc., ed. cit., p. 482). — Vedi anche Tbendblbkbubq
come intende i n^ùròc àpt^fAoi {PleUonU de idei» et numerie doetrina
ex Ariet. iUtutrata, Lipzia, 1826, p. 78 e seg.) — Stillbaum, Prolog, in
Parmenide, p. 129, ove tocca dell* esposizione aristotelica. — !. Simon,
Étnd. tur la Théodieée de Platon et cT Artet, p. 153 e seg. — Cuosiir,
note al Tim., p. 860 dorè Platone è difeso dall* accusa riguardante la
causa finale. — Jacqitks, Thior. dee Idée* réfutiee par Ariet, — Lkvbano,
De la Critique et Ice Idéee Platonicienne» par Ariat. au premier liv. de
la Métaph. — Lrclf.bc, Penniee de Platon preceduti da una Hist. abrégie
du plaumieme, — Oggimai dunque le interpretazioni e la difesa in favore
di Platone sono tante e così evidenti, che la crìtica aristotelica è ri-
dotta ai suoi legittimi confini. Molte obbiezioni Aristotele andò cercando
col lumicino; ma alcune reggono e reggeranno contro ogni forma di
Platonismo come altrove toccammo, e come vedremo meglio nel pros-
simo capitolo.
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412 DBLLA DOTTBINA FILOSOFICA. [LIB. n.
dalla natura stessa delle idee secondochè appare nel
Parmenide. Non è questo il luogo per dire qual possa
essere il significato sincero di questo celebre dialogo e
quale il metodo più acconcio onde vuol essere inter-
pretata la mente di Platone. Ripetiamo che per lo Sta-
girita, come per alcuni critici francesi, sembra che il
filosofo Ateniese rimonti all' assoluto mercè gli artifizi
dell' astrazione, dispogliando le cose de' lor caratteri
individuali, risalendo gradatamente a' rispettivi proto-
tipi, e giugnendo così al minimo della realtà, cioè al
generale che per sé stesso è cosa indeterminata e vuo-
ta.* Ora, dare al Platonismo cotesto valore tornava
comodo al discepolo per meglio combattere il maestro ;
ed era altresì naturale, atteso che il metodo adoperato
da Aristotele, anziché iperpsicologico ed astratto, come
dicevamo, si palesa essenzialmente psicologico, speri-
mentale, induttivo nell'ampio significato di questa pa-
rola, per cui la sua metafisica riesciva al massimo delle
realtà eh' è l'Atto puro. Così ciò che per questi in-
terpreti è il minimum pel malinteso Platonismo, è il
maximum pel beninteso Aristotelismo.
Questo fa oggi l'Idealismo assoluto, ma il fa con
quella ricchezza d'espedienti, come giustamente osserva
r illustre traduttore di Hegel, e con quella possente
vena di speculazione, che sanno dar venti e più secoli
di storia e di profonda attività filosofica.' L' Hegeliano
condanna il metodo aristotelico, lo dice empirico, e si
studia invece di seguire e compiere il metodo dialettico
dell'autore del Parm^enide; ma nel fatto non fa che per-
petuare la vuota posizione del Sofista^ in quanto che col
TÒ ov di questo dialogo, che è precisamente il suo In-
determinato, e' si riman sempre nelle secche della logica.'
' Rayaisson, op. cit., t. II, p. 14.
■ Vera, V Hegelianifime tt la PhUoBopkie, p. Iò8 e seg.
• Ma è poi davvero Y Indeterminato la posizione del Sofista? È egli tale
forse r«»«er« che ì realmente e aaeolvUamejUe : rw travre^wc ovt«?
{Soph., p. 249)
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CAP. Vra.] DEL 0ONO8CBBB MBTAllSIOO. 413
L' Idealista assoluto non riesce al minimum platonico,
è vero : ma comincia dal minimum dell' essere, perchè
salendo di slancio, come dicemmo, air Indeterminato,
coglie immediatamente (es egreift) l'In -sé {dans ansich)
che è Nulla ed Essere, e poi con metodo dialettico e ge-
nerativo egli viene sgomitolando, a così dire, ogni cosa
con ritmo costante, immutabile, invincibile, matematico,
monotono, per indi riuscire al medesimo punto onde
era mosso per l' innanzi. E con ciò pensa d'aver con-
seguito il vantato accordo fra T Aristotelismo e il Pla-
tonismo, mentre in realtà ad altro non riesce che ad
una forzata compenetrazione e meschianza del melenso
e indiscerniljile tò cv con quel Noùc immobile, solitario e
tutto chiuso entro sé stesso di cui Aristotele parla
nel XII libro della Metafisica. L' Hegeliano quindi é
iperpsicologista per doppio conto. Egli incarna, esplica
logicamente e compie mirabilmente uno de' due indirizzi
estremi dell' Aristotelismo, e insieme interpreta il Pla-
tonismo con una critica che somiglia non poco a quella
d' Aristotile.
Concludiamo. Abbiam visto come la forma di me-
diazione onde i Positivisti mostrano d'aver coscienza
dell' Assoluto sia contraddittoria. Essi protestano di non
saper nulla, di non poter nulla sapere di metafisico ; ma
nel fatto confessano un nescio quid, la realtà d' un ob-
bietto trascendente. Lo confessano in maniera empirica,
e si contraddicono anche qui, perché, dichiai'andolo In-
conoscibile, negano così l' esigenza più vivace della ricer-
. ca, negano il metodo positivo, negano la critica severa e
feconda. Positivisti, Critici, Scettici o com' altrimenti si
chiamino cotesti filosofi déW avvenire, non hanno e non
vogliono aver fede nell' indagine d' un sapere metafisico.
Essi dunque condannano sé medesimi, il proprio metodo,
la ragione e la storia della scienza, poiché non fanno
che perpetuare un aristotelismo fiacco, empirico, unila-
terale, impotente, negativo. — Ad un opposto resultato
riesce il neoaristotelico iperpsicolggista. L'idealista as-
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414 DILLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
Bolnto dice di conoscer l'Assoluto, d'intenderlo nel senso
più stretto di questa parola, perchè lo fa solo in pen-
sandolo, e ripensandolo il rende a sé stesso traspa-
rente. Chi conosce Bram è già Bram, dice il filosofo in-
diano.* Chi giugne a pensar Dio, l'infinito, ci dicon
gl'Hegeliani, egli è già Dio, è già l'infinito. Ma il modo
con che pervengono a pensarlo, il processo di mediazione,
non è processo, non procede, non cammina, ma sé in sé
rigira, direbbe l'Alighieri, poiché riman sempre nel
mondo del più puro pensiero, del subbiettivismo, in quel
letto di Procuste appellato formalismo logico, come del-
l' Hegelianismo dice un illustre scrittore vivente di Ger-
mania.' Cotesto processo quindi é una mediazione bu-
giarda, perchè non é vera e legittima conversione.
Quell'ombra, dunque, di dottrina metafisica, quel
vano conato di conoscenza trascendente che ci porgono i
Positivisti col confessare la realtà d'unDews absconditus
ci rappresenta una delle forme costituenti la prima |)0-
sùnone speculativa; la quale perciò, chi guardi alla legge
istorica aristotelica secondo cui si svolve il pensiero
filosofico (pag. 272 e segg.), s'addimostra tutt' altro che
positivo, in quanto che ci rappresenta l'esagerazione
del Dommciismo empirico. La dottrina hegeliana poi
neir attingere a modo suo l' Assoluto e nel determinarlo,
ci rappresenta invece la seconda posizione speculativa,
ed è l'esagerazione del processo deduttivo, in quanto
é Dommatismo sistematico assoluto; e neanche questo
merita nome di positivo. I Neoaristetelici moderni, dun-
que, sia che per necessità di sentimento e d' opinione e
d'istinto pongano l' Inconoscibile, sia che a furia di spe-
culazione trascendentale pongano l'Indeterminato come
un absdute Prius, partono dall'ignoto; partono dal-
l' impensabile. Essi movono dal buio, o riescono al
buio : talché rassomigliano a que' filosofi di cui parla Ari-
stotele, i quali fanno nascer tutte cose dalla notte : ol
* CoLEBBOOKE, PhiL dea HindotUf 2. ed., Ess. II.
* Gbbvihub, Hìh, du IHx*Neuviéme SihUe, Tom. XIX. Paris, 1 868, p. 86.
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GAP. Vm.] DBL GONOSGSBB lODTAFISKX). 415
fx vuxTo'c 7fvvo3vTic. Perciò i Neoaristotelici, s' appellinQ
Hegeliani o Positivisti, meritano, comecché per ragioni
diflFerenti, il titolo di filosofi della notte ; mentre i Neo-
platonici con le vantate visioni, intuizioni, splendori,
irradiamenti e influssi divini, ben ci figurano i filosofi
del giorno e della luce.
Il positivo nel conoscere metafisico non istà nella
immediatezza de' Neoplatonici, e neanche nella media-
zione de' Neoaristotelici. In che dunque vuol farsi con-
sistere?
Capitolo Nono.
su LA RICERCA DELL'ASSOLUTO
SECONDO LA RAGION FILOSOFICA POSITIVA.
Altrove notammo come V Essere s' incarni e sostan-
zii ne' tre processi, ideale^ naturale, istoricO'Sociologko:
e come il Vico, a significare l'indipendenza di ciascuno
e insieme la comune legislazione, siasi ben apposto nel
chiamarli a Mondo delie Menti e di Dio^ Mondo della
Natura^ Mondo dello Spirito » (p. 257). Avvertimmo al-
tresì che le scienze le quali studiano lo spirito in sé
stesso indipendentemente dallo svolgimento isterico, si
adunan tutte nelle tre discipline fra loro distinte eppur
connesse in unico organismo, i cui tre momenti, per
così esprimerci, sono il Primo psicologico, il Primo lo-
gico e '1 Primo vero metafisico (p. 375 e seg.)
Ora il Processo ideale è la dialettica; la quale vo-
lendo essere avvisata sotto doppio rispetto, ideologico
e metafisico, è davvero, come l' han sempre designata i
Platonici ed i Neo platonici, una scala; ma una scala a
doppio congegno; una scala ascensiva e discensiva, come
direbbero certi viventi critici francesi nell' interpretare
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416 DELLA DOTTBINA FILOSOnOA. [LIB. II.
il Parmenide di Platone,' In qnanto ascensiva, è ideo-
► logia ; e V ideologia, se non avesse alcun valore dialet-
tico, altro non sarebbe che una serie di norme logiche
e un cumulo di leggi e d'attinenze onninamente for-
mali. Essa dunque rappresenta il processo eduttivo.
Questo processo muove dal Primo logico, e riesce al
Primo vero metafisico; e vi riesce col mezzo delle
idee (ntpi iSé(av) che sono il medio per eccellenza, lo
strumento pili acconcio, più legittimo, e perciò la prova
razionalmente positiva per potere attinger la notizia del-
l'Assoluto.* In quanto poi la dialettica è discensiva, è
metafisica; ed è metafisica perchè, giunti, come accen-
nammo, al sommo della scala, il Primo vero meta-
fisico assume valore di Principio metafisico che è an-
ch'egli .processo e conversione con sé e col fuori di
sé. Nel Vico é abbastanza chiara l'esigenza di que-
sto doppio rispetto della dialettica laddove, nella sim-
bolica Dipintura della Scienza Nuova, pone il pen-
siero e l'essere come formanti un organismo, un sol
mondo, il Mondo delle Menti e di Dio^ secondo che ci
venne fatto d'avvertire nell'altro capitolo (p. 379).'
* Vedi per es. Jankt, Étude »ur la Dicdectìque ecc., ed. cit. p. 2'28,
— Vaoherot, HÌ9t. critique de VÉcole (TAlex.^ t. I, p. 64. — NoCTRlsSOir,
Expo8Ìtion de la Théorie pUUonieienne de$ idée», PftHs, 1862, p. 65. ~
Simon, HìH. de VÉcole d'Alex,, t. I, L II, e. II.
* Perchè le idee tornino fruttuose han d' avere un valore dialettico.
Cons. a questo proposito Plat., De Rep., VII: Sop}i.\ p. 253, ed. cit. —
Abist., Metaph., 1, 6. — Proclo, Comm, in Parm., t. IV, 1. 1. Il metodo dia-
lettico beninteso risale, secondochò notammo, a Socrate, come quegli che
trasferi tale parola dagli usi della vita (^ta'kéyt'jBxL^ eonvereare), agli
usi della scienza. Però dialettica, nel suo razionale significato, indica la con-
venione della mente, vuoi con sé medesima, vuoi con altro. Il Vico intende
a meraviglia tale origino istorica, nonché Tapplicazione speculativa alla
scienza, laddove afferma : V ordine delle umane cote i d* ouervare le cote
SIMILI, prima per ISPIROASSI, dipoi per provabr ; e ciò prima con V ESKM-
PLO che ti contenta d* una coea^ finalmente con V INDUZIONE che ne ha hi'
eogno di piò: onde Socrate, padre di tutte le eitte de*filo9ofi, introdueee
la Dialettica con V Induzione che poi compiè Aristotele col eillogiemo
eJte rum regge senza un universale, {Se, Nuo, 1. II.) Veggasi quel che ab-
biamo discorso quant* al metodo, p. 246 e seg. ; 275 e seg.
* Ricordiamoci che per noi la metafisica non ò sdema aeedlmUi, bensì
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GAP. IX.] SU LA BIOBBOA DILL' ASSOLUTO. 417
Il nodo gordiano della filosofia, e però la chiave
della metafisica, son le idee. Se il lettore ha badato al
processo e alla genesi psicologica che assai fuggevol-
mente venimmo tratteggiando, avrà potuto indurre qual
sia e qual debba essere, secondo V esigenza del filoso-
fare positivo, r origine e la natura delle idee. Coteste
idee non sono entità puramente formali, né puri concetti
dello spirito. Non sono essente sparate, almeno quelle
intomo alle quali (come usava dire il Galilei) possiamo
* discorrer noi umanamente; e però non sono sostanze
esteriori, come Aristotele interpreta i napaStiyyiotrx del
filosofo Ateniese. Non sono concetti innalzati ad univer-
salita determinata ne^ quali col chiudersi il circolo del-
l' essere si esauriscano ed assolvano le ragioni delle cose,
com' è per gl'Idealisti assoluti. Non sono, a dir proprio,
le cose stesse nelle assolute lor qualità. E, finalmente,
non sono quasi altrettanti simboli, o spiragli attraverso
cui si affaccia al pensiero l'Assoluto. Le idee costituì-,
scono il prodotto del processo psicologico. Elle dunque
sono una fattura di nostra mente: son la mente stessa,
direbbe il Vico, ma la mente in quanto è Magione spie-
gata. Ecco le idee umane, sul cui svolgimento s'imba&a
tutto l'edifizio e tutto il valore della Scienza Nuova.*
Mcienxa ddP à»9oIìUo in quanto è Critica del Vero. Però accettiamo anche
qui la sentenza che costituisce, diremmo, la chiave dell* indiriuMo medio
dell* Aristotelismo. Per Aristotele la Metafisica è «ciennadeU^AatolìUo; e
questa scienza dell'Assoluto è anche logica, logica in «2, logica in quanto
considera l'essere »n «è, realmente : to' sgw ov xai x^/^'^l^v.
{Metaph., XI): il che consuona con la sentenza del Vico riferita altrove:
Quello che è metafiaica in quanto contempla le cote per tutti i generi delV e»-
aere, lo tteseo è la logica in quanto considera le coee per ttUti i generi di
Bignifienrle. Col pensiero d'Aristotele poi rinverga il concetto del suo mae-
stro. Platone, come ò noto, appella filosofi quelli a* quali ò dato asseguir la
notizia di ciò che è costante e assoluto (^cXóaoooc jiasv oc toù àcc
xxT« rauToè wc«i»tw; e;^ovTo; 5«và^«ovi SfxnrtfrOxt. Bep.y
VI, 484, A.)
* A prima giunta parrebbe che nella dottrina delle idee il Vico fosse
un filosofo arciplatonico, ma non è. La dialettica platonica, intesa in un certo
senso, non può menomamente prescindere, come osserva il Simon, dalla dot-
trina della reminiscenza: La euppreseion de la remini»cenee en peycologie
ut la négation de la dialectique et de la tkéorie de» idée» (Op. cit., t, 1,
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418 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. U,
Ma se le idee sono il moto stesso e lo stesso esul-
tato della energia psichica, e, come tali, chiudono il cir-
colo della natura e dello spirito, non però chiudon sé
stesse, anzi dischiudonsi, e col dischiudersi ci mostrano
di lor natura un intimo riferimento all' Assoluto. Se
r uomo, lo spirito, secondo la nozione del nostro filo-
sofo, non è, a dir proprio, Y infinito attuale e nemmanco
r attuale finito, ma una potenzialità infinita, una po-
tenza che tendU ad infinitum, ne seguita che anche,
le idee, sue determinazioni, voglion esser fomite del
doppio carattere della finità e della infinità, sia che le
si considerino nelle intime lor attinenze organiche, sia
che nella lor solitaria immanenza. Dunque l'idea è
genm, è forma metaphysica, e, come tale, somiglia alla
forma del plasticatore, anziché a quella del seme.* Ma
anche come genere, anche come forma metafisica l' idea
è finita e infinita: finita in ampiezza e universalità; infi-
nita in perfezione.' Però tiene del finito, in quanto che
un' idea non è l'altra; e tiene poi dell'infinito, perchè è
p. 241). Or la dottrina psicologica del Vico, secondo che noi siamo
Tennti interpretandola, contraddice ad ogni platonica reminiscenza, ad
ogni maniera d* intùito iperpsicologico ; anzi non mancano luoghi ne^qaali
egli condanni questa dottrina. (De Univ.j'ur.^ e. 1, 1.) Quanto alla Scienza
e alla Virtù, dice esser cose che hisogna edurle dalla mente e dairanimo
come fa T ostetrico (De Coruu PhiL, e. I). Non è poi nniraffatto plato-
nica nò quant*alla natura, né quant* all' origine delle idee, perchè le idre,
per lui, non sono gli eterni veri (essenze separate ed esemplatriei)^ ma sono
entità che significano l'Assoluto in quanto si riferiscono a ]uì [De Univ.,
e. y, 1). Non sono quindi appreso direttamente, ma fatte. Vedi, per es.,
quel che dice sul generarsi de* generi e delle forme metafisicke, le quali
a nostris pueris primulum bua spontk «xpZtcantur (Ibi, e. XII, ili, 5). E
ciò non pertanto gli hegeliani V han battezzato o seguitano a battezzarlo
per platonico sviscerato ! Neil' altro capitolo vedremo fino a qnal segno
e per qual ragione egli possa meritarsi questo titolo.
* Forma» intelligo metaphysioas (pice a physieis ita diversce sunti «*
forma plaatm a forma seminis. Plastce mim forma dum ad eam quid fer-
matur, manet idem et semper formato perfeetlor ; forma seminis, dum quo-
tidie se esplicai, demutixtur ae perjicitur magie: ita ut formfn pkysicct sint
ex formis metaphysieis formatw {De Antiq., c. Il, § 2). Vedremo fra poco
qual valore abbia quest'ultima sentenza.
* Genera esse formas, non amplitudine, sed perfezione injìnitas (Op. cit.
C. U, 1).
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OAP. IX.] SI7 LA BIOEBOA DSLL' ASSOLUTO. 419
l'altra e, sotto certo rispetto, tutte le altre. La legge dia-
lettica, dunque, è la stessa legge universale dell' essere;
legge di conversione; legge d'alterità e di medesimezza.
Sennonché cotesta conversione ideale non è semplice
opposizione, e neanche compenetrazione, conciossiachè
la ragione dell'un termine non istia solamente nell'altro.
Il dialettismo si radica, non già nelle idee come opposte
fra loro o come generate, ma, innanzi tutto, nel soggetto
che le genera. Un'idea non è universale perchè perfetta,
ne perfetta perchè universale. E non è finita perchè
infinita, né infinita perchè finita. Questo è l'errore delle
dialettiche a priori che, levando a principio l' opposi-
zione per r opposizione, riescono ad un pretto mecca-
nismo ideale. Un' idea è infinita, o finita, principalmente
per sé, e anche per l' àUra. Se dunque la lor conversione
non è equazione, né semplice opposizione, ne consegui-
tano due cose: V ch'elle non chiudono il circolo;
2*" eh' esse importano l' ideato nella pienezza di sua real-
tà. Si vorrà supporre che anche cotesto ideato sia
un'idea? un'idea madre? E allora avrà luogo il mede-
simo discorso, e saremo sempre daccapo. Si vorrà giu-
gnere all'idea dell'essere mercè i soliti lambicchi de' raf-
finamenti e assottigliamenti astrattivi? E avremo la
nuvola, non Giunone ! Certo, l' idea dell' essere non è
come le altre, finita nell'ampiezza, bensì infinita, uni-
versale; ma è vuota, è vacua, né altro è capace di dare
fuorché yffi'kÒLi evvoiaf. Ella comprende tutto, ma non rac-
chiude nulla : è un Primo logico, non già un Primo vero
metafisico. Dunque vuol esser determinata; stanteché
debba cessar d' essere infinita per universalità, e assu-
mer valore d'idea infinita per perfezione. L' ascensione
dialettica perciò è incalzata dallo stesso principio della
conversione; e la mente deve posare in quell'ideato
che, a dir proprio, sia un ideato dialettico, ciò è dire
conversione piena, assoluta, vivente, reale.*
* 1 Generi f dice il Vico, aono non per univer»alità, ma per perfezione
inJiniH: e questo eeeere U brieve e vero 9en§o del lungo e intricalo F€tnn&'
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420 DILLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. II.
Se r idea è infinita non per ampiegm ma per_per-
fmone, perciò non va confusa col concetto; al modo
nide di Platone; e questo intendimento doverti dare alla famosa Scala
ddle Idee onde i Platonici pervengono alle perfeUianime ed eteme (Bisp. I,
al Oiom. de* Lett., II). Quanto al brieve e vero senso del Parmenide toc-
cheremo più giù. Dove poi il Vico dice: Genera esse formasy non amj^itu-
dinef sed ptr/ectione injinitas^ tosto SOggiugne : et quia injinitas^ in uno
Deo esse.... Come va intesa questa sentenza? In quanto le idee possie-
don carattere dMnfinità e d* assoluta perfezione, elle sono in Dio; e
sono in lui perchè forman tutte assoluta unità, e assoluta totalità: uni-
totalità. Lo avea detto Galileo che non era un metafisico : Le idee, perchè
inJinitCf sono una sola ndV essenza loro e nella mente divina (Op., ed. Al-
bóri, 1. 1, Dial. de* Mass. Sist,, p. 116). Ha in quanto possiedon Tubo e
r altro carattere, elle si producono e rìseggon nello spirito, nel pensiero ;
sono il pensiero; e sono finite e infinite perchè tale è, ripetiamo, la natura
stessa dello spirito, cioè potenzialità infinita. Ne viene perciò che, ove le
idee fossero infinite in atto, non potrebbero essere altresì finite. E dove
fossero solamente finite e puramente universali, sarebbero forme vuote e
astratte, e però, contraddicendo air intera dottrina psicologica del nostro
filosofo, cadremmo nel pretto sensismo. Or le idee, le nostre idee, non sono
infinite e perfette perchè siano lo stesso Dio o pertinenze di Dio, ovvero
spiragli ond*ei s* afikccia al pensiero, come dice il Mamiani col suo lin-
guaggio tinto di certo color poetico; ma son tali perchè tale per T ap-
punto è il soggetto che le partorisce; il quale perciò, mediando sé stesso
come potenziale infinito, deve per necessità eduttiva concludere alla no-
tizia deir Assoluto. Di qui nasce che le idee non possono essere infinite
di fatto, e ce *1 dice egli stesso : enim vero ista genera nomine tenue infinita,
homo enim ncque nikil est, ncque omnia. Quare nee de nihilo nisi per ali-
quid negatum, neo de infinito, nisi per negata finita cogitare potest. Ai
enim omnis triangulus habet angulos cequales duobus rectis. Ita bene: sed
non id miìU infinitum verum, sed quia habeo trianguli formam in mentGot
imprcssam, cujus hanc nosco proprietatem, et cu mihi est archetypus cete-
roruh (Op. cit., e. Il, § 16, 17). Fatta dunque Videa, tosto in essa io
riconosco, non già V infinito, ma il carattere della infinità: hanc proprie-
totem nosco. Per questa proprietà essa diventa un archetipo, diventa
una misura {archetypus ceterorum); e come archetipo e misura ella, per
me, è un assoluto; e così è vero, che Vuom tende a farsi regola deW uni-
verso, che vuol dire tende a farsi assoluto. E qui toma acconcio il ri-
confermare quella relazione che tra le opere del Vico altrove procac-
ciammo chiarire. Nella Scienza Nuova Tuomo è regola e misura in tre
maniere, secondo i tre momenti dello svolgimento isterico ; 1° nella fase
0 stato divino, per credenza e per sentimento; 2« nella fase eroica, per
arbitrio, forza, potere, volere ; 3<> nella fase umana, per magistero logico
e scienziale, cioè per la ragione spiegata,^eT le idee {idee umane). Ecco
dunque una prova novella che ci mostra come la Scienza Nuova, anziché
contraddire al Libro metafisico, lo esplichi e lo legittimi sempreppiù, al
modo istesso che questo riassume le ragioni metafisiche di quella.
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OAP. IX.] SU LA BIOSBOÀ DELL' ASSOLUTO. 421
istesso che l'intendimento, secondochè mostrammo, non
è da confondersi con la ragione. Tanto Videa quanto
il concetto sono una dualità, perchè T una e l'altro sono
conversione, giudizio, e però medesimezza e distinzione.
Ma la dualità dell' idea è l' universalità e \2l perfezione;
dovechè quella del concetto è l' estensione e la compren-
sione. Nel concetto^ come vedemmo, ci è sempre un'orma
del fantasma (p. 321); e nell' idea v' è sempi-e un' orma
del concetto^ cioè il comune, l'universale. Or chi dirà
che il concetto abbia carattere d'infinità solo perchè sia
comune e universale?* Il circolo, a mo' d'esempio, in
quanto è universale, è concetto; ma in qijanto racchiude
la nota essenziale ond' e' si discerne da ogn' altra no-
zione, è quello che è ; è perfettissimo ; è infinito ; e così
lo pensa Dio come l'uomo.*
' Si vero id contendane etse injinitum gentu (cioè che i tre angoli
d*aii triangolo rettilineo siano eguali a due retti, eh' è l'esempio rife-
rito poco fa dallo stesso Vico), quia ad eum trianguli archettfputn accom-
modari innumeri trianguli po«8unt, id tibi habeant per me licet; nam
vocabulum iÌ9 lubens condono, dum ipti de re mecum eentiant. Sed enim per-
peram loquuntur, qui decempedam dixerint injinitam, quod omne extenaum
ad eam normam metiri poannt, > {De Antiq.^ C. II, 17.)
' Galileo nota stupendamente questo privilegio del pensiero là dove
distingue V intendere extensive dair intendere intensivCf confermando così
la dottrina del Vico. Vintenèive del filosofo pisano è il perfettamente^
com* egli stesso dichiara. Ora v* ha cognizioni, egli dice, le quali, guar-
date sotto il rispetto della inteneìtà e della perfezione, agguagliano le di-
rine neUa certezza obbiettiva^ perchè con essa arriviamo a comprenderne
la nec€99Ìtà sopra la quale non par che posta essere sicurezza maggiore,
{Dial. de' Mass. Sist,j loc. cit.) Gli esempi co' quali Galileo procaccia chia-
rire tale idea, son tolti dalla matematica; e la matematica, anche per
lui, è una fattura della mente; e però la certezza e la necessità ond'ei
parla scaturisce immediatamente dalle leggi stesse della psicologia. So
che il Neoplatonico neanche qui si darà pace, ed opporrà la solita in-
Titta necessità di certi yeri che, vada o Tenga il pensiero, sono e saran
sempre quello che sono. A questa difficoltà ahhiamo già risposto (p. 243 e
seg.) U due e due fan quattro (direbbe un neoplatonico alla Maminni)
gli è un yero assoluto e necessario, né io posso pensare il contrario;
dunque T*ha in lui qualcosa che non m' appartiene ; e però,o è Dio, o è
pertinenza di Dio. Nient' affatto! Io non posso pensare il contrario; ed
è yerissimo: ma perchè non posso pensarlo? Perchè non posso contrad-
dirmi; ecco la ragione immediata. Il regno della logica non è il regno
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422 DKLLA DOTTRINA ITLOSOFIOA. [lIB. H.
Or se tale è V organismo delle idee, è impossibile
che il pensiero partorisca e generi un'idea la- quale
sia infinita così nelF ampiezza come nella perfezione.
Se potesse, e' già sarebbe V infinito in atto. Se potesse,
egli, col farsi, già sarebbe un fatto. Ma così non si con-
traddirebbe? Non annullerebbe sé stesso anche qui?
La conseguenza, dunque, parmi chiara: il pensiero, que-
sto nostro pensiero con tutto il suo ^contenuto, non
possiede l' essere, non è l'essere, non si compenetra con
r essere. Questa invincibile manchevolezza d' essere,
questa insuperabile impotenza d' essere, come ci si ri-
vela? quand' è che ci si rivela? Precisamente nella stessa
impossibilità d'afferrare e fermare il pensiero nell'o/to.
Ed è impossibile poter cogliere e fermare quest'atto,
appunto perchè lo spirito, pensando, è già un atto, è
già faUo (actum). Or se non è atto, non ci ha da esser
r atto ? Io penso l'essere; io son l'essere: eppure non
sono la realtà dell'essere! Dunque la stessa impossibilità
a dedurlo come tale, mi dà il diritto a concluderne la
realtà. Il che accade per una ragione detta e ridetta,
che, cioè. Essere e Pensiero non sono l' uno in due (come
direbbe lo Spaventa), non sono l' identico nel diverso,
ma sono il due in wwo, sono piuttosto il diverso nel-
r identico. — E qui ci è dato scorgere sempre più netta-
mente V errore degV intuitisti e ie^ mediatisti. Cotestoro,
come vedemmo, voglion rintracciare la ragion dell'as-
soluto e dell' infinito nel pensiero, e ricorrono ad espe-
dienti opposti e contrari. Gli uni ci dicon che la mente
colga immediate 1' Assoluto ; gli altri, che lo faccia. Ora
chi dice di vederlo, per me, sogna ad occhi aperti; e
senz' addarsene resta impaniato nel panteismo. Chi poi
dice di farlo, sogna anche lui e, per di più, diverte la
doli* arbitrio. E perchè poi non posso contraddirmi? Giusto perchò lo
stesso pensiero è quello die nel due e due fan quattro pone gli elementi
e le condizioni del giudizio: le quali io non potrei negare, senza distrug-
gere il mio stesso pensiero. Se potessi, ne verrebbe che io farei, e non
farei: cioè /arci il nulla t
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GAP. ne.] su LA BIOEBOÀ DELL* ASSOLUTO. 423
gente con indovineUi da algebrista, e finisce per immer-
gersi nel nulla : talché anniillando cotesto assoluto, la sua
deduzione riesce davvero ad \m3i bestemmia.^ 11 Neoplato-
nico s' affida ad un intùito ; e così esagera V impotenza
in cui è il pensiero d' esser V essere. 11 Neoaristotelico
hegeliano, al contrario, s'affida a sé stesso; e così esa-
gera la potenza del suo pensiero adequandolo all' essere.
Entrambi dunque deducono; ma l'uno appoggiandosi
neh' obbietto intuito, o neW Ideato presente al pensie-
ro; r altro, movendo dsàV Indeterminato cólto o posto
per astrazione immediata e subitanea. Illusione l' imme-
diatezza dell' uno ! illusione e arzigogolo logico la me-
diatezza dell' al trol Non intùiti, ne posizioni a priori:
non immediatezza, né mediatezza, ma conversione, ma
processo del pensiero con l'essere. Le idee non sono
r Assoluto significativo, l' ente in quanto sigtii/ica, in
quanto presenta sé stesso al pensiero:' ma é lo stesso
pensiero quello che per sé medesimo é significativo del-
l'Assoluto, in quanto é Bagione spiegata. Brevemente:
se r idea è mezzo, eli' è il pensiero, ma è il pensiero
in quanto rappresenta l'Ideato, non già l'Ideato in
quanto s' affaccia al pensiero. Or qui si compie nella
sua vera forma la funzione eduttiva.
Parlando della genesi e classificazione delle varie di-
scipline dicemmo, le scienze eduttive ridursi ad una sola,
ed esser la filosofia (p. 232). La filosofia s' intrinseca con
tutte le scienze; e però é anch'olla induttiva e deduttiva
la sua parte. Ma anch'essa é autonoma, anch'essa è
trascendente, e come tale è di natura eduttiva ; poiché
non cessando d'alimentarsi de' tesori adunati dalle altre
discipline, nondimeno sa e può trovare alimento in sé
stessa, e per sua propria virtù. Se le idee infatti hanno
lor fondamento in natura, nessuna funzione basterebbe
* Hine adeo impiat euriontatit notandi, qui Deum Optimum Maximum
a priori probare ttudeiU: nam tantundem ettet, quantum Dei Deum «e /a-
oere, et Deum negare, quem quixrunt. (Vico» De Antiq., C. Ili, S.)
* Màmiani, Lett. al DoU. BrentoMMoUf p. 55.
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424 DILLA DOTTBiNA ulosoiioa. [lib. n.
a scioglierle da' viluppi delle sensate apparenze, ove la
stessa mente non sapesse pai*torirle. Tra il fantasma
e l'idea, tra la forma metafisica e la fisica^ c\ è quel me-
desimo intervallo esistente fra il senso e la ragione. Or
tuttoché le idee pongan radice nella natura e si muo-
vano in questa, nondimeno con lieve soccorso del senso
elle possono esser generate dalla mente, poiché a conce-
pir r idea del circolo, o meglio, a fissare il concetto
del circolo nella nota che costituisce la sua perfezione
e trasformarla in idea o forma metafisica, non v' ha
mestieri di prolungati lavori d'astrazioni e di generaliz-
zazioni. La mente perciò nel concepirle fa altrettanti
giudizi eduttivi.* Il giudizio eduttivo è diverso, così
nella forma come nel contenuto, dal giudizio induttivo,
e dal deduttivo. Il suo carattere specificante dicemmo
radicarsi innanzi tutto nella relazione de' suoi termini,
e quindi nell' origine dell' attributo. L' attributo non è
dato dal fatto; e però non è sintetico a posteriori. Non
è ricavato dal soggetto e applicato al soggetto stesso
come parte del suo contenuto; e quindi non è di na-
tura analitica. Non è ripetizione del medesimo soggetto ;
e quindi non è identico. Il giudizio eduttivo serba in-
' Se pensare, come altrove mostrammo, è giudicare, e giudicare è
un atto di conversione in quanto che convertire è scorger la medesimezza
e la differenza ad un tempo; ne viene che il giudizio è la sintesi di due
elementi, convertione del vero col fattOf sintesi della medesimezza gene-
rica [vero) e della diversità specifica (fatto). Ora guardando alla funzione
speciale onde la mente forma concetti e giudizi, ricavammo esser tre
i sommi generi a cui essi potranno rimonarsi, e li appellammo induttivi,
deduttivi, eduttivi. Questa divisione è essenziale, perchò si fonda prin-
cipalmente nella differenza del contenuto de* giudizi, e perchò dà origine
alle tre funzioni metodiche. Si fonda dunque su la dottrina della cono-
scenza e della scienza, e perciò è razionale e cpmpiuta. L'atto del giu-
dicare, Infatti, ò sempre identico nella sua forma logica, poiché è sempre
una conversione al pari del concetto ond' emerge; ma differisce nel con-
tenuto, ed ecco r origine delle tre differenze di giudizi. Tutte quelle in-
numerevoli distinzioni e classi e divisioni e suddivisioni di atti giudi-
cativi fatte da Aristotele sino al Kant e al Rosmini, sono spartizioni
secondarie, le quali riguardano l' estensione, la quantità, la relazione, la
forma e l'indole de' giudizi; ma riescon tutte incompiute.
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GAP. IX.] SU LA BIOXBOA DELL* ASSOLUTO 425
dole essenzialmente sintetica, e però sgorga dallo stesso
pensiero per virtù e necessità eduttiva. Ma qual sorta
di sintesi è cotesta ? Non è sintesi a priori nel senso
de' Neoplatonici, perocché l'obbietto non è dato da
nessun intùito o visione trascendentale. Non è sintesi
nel senso dell' Idealismo assoluto e del Criticismo, per-
chè r obbietto non è posto per mera legge dialettica,
e neanco per non so qual cieca necessità subbiettiva. *
H giudizio eduttivo è un vero atto sintetico, un atto
sintetico trascendentale per eccellenza perchè l'attri-
buto non è nel soggetto, e nondimeno è posto dal
soggetto.*
Qual è l'oggetto di questa sintesi trascendentale?
È appunto ciò che le forme metafisiche possiedon di co-
mune. È ciò che nel concetto e nelle determinazioni
ideali scopriamo d' infinito, non già nell' ampiezza, ma
sì nella perfezione. La funzione eduttiva dunque è fun-
zione dialettica, dialettica ascensiva. Perciò eduzione
delle idee non vuol dir la pura e semplice generalizza-
zione delle qualità dell'essere: vuol dire accrescimento
dell' essere ; vuol dire concentramento dell' essere nella
* I griudizi iintetici a priori di Kant non sono propriamente apriori,
ma si riducono a giudizi analitici.
* Il processo conoscitivo è, per dir così, nna catena, gli estremi
della quale sono due sintesi, e però due forme di conversione ; V una di
esse è originaHay e l'altra finale. Quella precede, come si disse, ogni
riflessione, e costituisce il Primo psicologico, Y unidualità primitiva ; la
quale, facendo possibile la formazione de' concetti mercè il processo
psicologico, toglie queir apparente petizion di principio tra la necessità
per cui ogni giudizio deve importare il concetto, e la necessità ondMl
concetto debb' essere un atto giudicativo. La sintesi finale poi riesce al
Primo vero metafieico^i] quale devesi convertire col Principio metafisico.
Avviene perciò che la sintesi originaria sia costituita dal pensiero e dal
suo obbietto che è Tessere in quanto indeterminato; e però è sintesi
naturale essendo posta dalla stessa natura (p. 848 e seg.). La sintesi
finale^ per contrario, ha per oggetto 1* essere determinato ideale, e de-
terminabile in quanto reale ; e )»er ciò è sintesi superiore alla natura
essendo prodotta dallo stesso pensiero. Queste due sintesi dunque sono
due giudizi d'indole sintetica, ma diversissimo n'è il contenuto ; per la
ragione che, se nel primo d'essi l'obbietto è posto da natura, nel se-
condo è posto dalla stessa mente.
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426 DBLLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. IL
sua idealità. Or se tale è la natura di questa fun-
zione^ accade che il principio ond' ella è governata
non possa esser quello d' identità, di repugnanza, di
causa e simili ; stantechè qui non si tratti di logica for-
male la cui materia è costituita, in generale, da' giu-
dizi deduttivi, ne di logica induttiva, i cui giudizi ri-
posano sul principio di causalità e di sostanza empiri-
camente intesi. Se il fine della logica formale sta nel
fissar le norme del ben pensare, e il fine della logica
induttiva nel porgere i criteri a fruttuosamente spe-
rimentare; è chiaro esser necessaria una logica la quale
sappia ritrovare il vero facendolo, se pure s' ammette
che la metafisica abbia da essere una Critica del vero.
Ed è chiaro altresì esser necessario un principio che
sappia guidarci nel processo di siffatta critica, il qual
principio è appunto, come altrove toccammo, quello
della Conversione (p. 250).
Or questa funzione eduttiva, di natura essenzial-
mente dialettica, non va dall'effetto alla causa, né dalla
causa all' effetto : non va dalla sostanza alla determina-
zione, né dalla determinazione alla sostanza. Le idee non
sono effetti, non sono risultati, né determinazioni dell'As-
soluto. Se così fosse, come sarebbe possibile il transito
dialettico? Il passaggio dialettico (nopsisi) è solamente
possibile dov'è possibile medesimezza e differenza; do-
v'è possibile intervallo e continuità; dov'è possibile,
insomma, conversione di termini. I termini in quest' or-
dine di cose, da una parte, sono le idea, la Eagiotie
spiegata ; dall' altra sono le stesse idee, le stesse forme
metafisiche, ma in quanto concludono nel loro ideato,
neir ideato come Principio e Mente reale, nell' ideato
che basti a sé stesso (ro^izavov), nell'ideato che nulla
suppone, ma che si pone (ro ocvuttoOstov). Intanto la ra-
gione, tuttoché secondo le leggi altrove notate del pro-
cesso psicologibo debba mover dalla natura e dal senso,
nondimeno, come tale, è caussa sui (suitas) ; e l' effetto di
tal cagione è la scienza, le idee, le quali, in quanto forme
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GAP. IZ.] SU LA RIOBBOA DELL* ASSOLUTO. 427
metafisiche, si riferiscono all'Assoluto. E cotesto Asso-
luto alla sua volta è Caussa sui (Aseitas), ma è anche
cagione del mondo in quanto è Mente; e l'effetto di
tal cagione è lo spirito, non già come Ragione spiegata,
come Nove, come attualità, ma come virtualità, po-
tenza, materia, natura, conato. Ora questa evidente-
mente è conversione, e quindi è sintesi eduttiva. Ed
è tale in quanto procede da causa a causa, in quanto
concatenando caussas caussis (p. 275) le annoda e di-
stingue ad un tempo, perchè in realtà le s'immedesimano
e si distinguono anche fra loro. 11 perchè, se da una
parte qui abbiamo le idee, le forme metafisiche, la ragioìie
spiegata, la coscienza, il Vero; mentre dall'altra abbiamo
r Assoluto, r Assoluto in quanto è mente, in quanto
è la Mente, in quanto è il Fatto per eccellenza; in una
parola, se da una parte abbiamo quel che il Vico direbbe
le Menti, e dall'altra Dio: ne viene che in questo Motido
delle Menti e di Dio, in quest' organismo del pensiero
con r essere, il passaggio dall' un termine all' altro non
è processo deduttivo, né tampoco induttivo, ma è pro-
cesso essenzialmente eduttivo, perchè anche qui ha luogo
la conversione del vero col fatto, cioè la conversione delle
Menti con Dio, della logica con V ontologia, dell' ideo-
logia con la metafisica. Sarà un' alchimia anche questa ?
Potrebbe stare. Ma chi ben la consideri, anziché un'al-
chimia, scorgerà in essa il fondamento della prova le-
gittima, vera, positiva intorno all'Assoluto.*
* Le tre ordinarie maniere d* argomentare resistenza di Dio furon
ben cento volte dimostrate deboli, incompiute, fallaci, per la solita ra-
gione che, non racchiudendo processo, mancano perciò di valore propria-
mente dimottratico. Il cosi detto argomento ontoìogicOf per es., qaalanque
ne sia la forma datagli da Anselmo, Cartesio, Malebranche, Fénelon, Leib-
nitz, Gerdil, Rosmini, Gioberti, Mamiani e simili, non può concludere alla
realtà assoluta, perchè, comunque e' si squadri, ha sempre nn valore dedut-
tivo. Gli argomenti poi dettiyì«ico, moralcf ootmologieOf sono sfomiti d* ogni
rigor di prova razionale, in quanto che si riducono alla forma induttiva,
la quale, in tal caso, racchiude nna petizion di principio. Laonde se la
deduzione move da un /ntùtto, siamo nella ipotesi; e la scienza non può
accettar le ipotesi come principi], tnttochò se ne possa e debba giovare
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428 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [LIB. H.
È dunque vero, è verissimo che l' uomo da sé e con
la propria mente faccia Dio. E lo fa dapprima col senso,
poi con r immaginazione, da ultimo con la ragione. Col
senso lo vede immediatamente nella natura, lo sente nella
natura. Con l'immaginazione lo vede attraverso alla
natura, ma lo sente in sé medesimo. Con la ragione
lungo il suo processo come d'altrettanti mezzi. Se poi muove da un Indeter-
minato f siamo nel formalismo psicologico, nell* arbitrio logico, e però si riesce
agi* indovintUi da algebristi, V una forma di deduzione perciò non dimostra,
cbè anzi invoca appunto l'Assoluto per dimostrare: T altra invece dimostra
troppo, e perciò non dimostra nulla. Dunque V argomento eduttivo o della
eonveraionef che noi contrapponiamo a qualunque forma di deduzione e
d* induzi one, è prova legittima, stantechè racchiuda il vero termine medio,
il vero m«szo tra il mondo e T Assoluto. U solo Trendelenburg ha parlato
d' una forma di prova eh* ei chiama argomento logico, il quale potrebbe
avere alcun riscontro col nostro. Ma non poche sarebbero le difficoltà
nelle quali intoppa il dotto tedesco, chi guardi al concetto del moto eh* ei
pone a capo delle categorie. Neil* ordine psicologico noi moviamo dal
Vero che per necessità eduttiva si converte col Fatto : e ne ricaviamo che
cotesto FaUo non è già moto, anzi pensiero per eccellenza, mentalità
assoluta. Or bene s* e* fosse moto, corno saria possibile una conversione f
E mancando la possibilità della conversione, come farà, 1* illustre autore
delle Bioerche Logiche, a salvarsi dal pericolo d* un vuoto formalismo ?
Giova qui rispondere ad un'obbiezione. Si dirà: cotesto vostro pe-
regrino argomento, in somma delle somme, si riduce ad una forma d* in-
duzione. Dall' effetto, andate alla causa; dal particolare, al generale;
dalla determinazione, alla sostanza; dal finito, all'infinito. Brevemente,
dal mondo salite a Dio, sia che consideriate la natura, sia che lo spi-
rito, ovvero le idee.
Rispondo: induzione pura o semplice, 'no; ma processo induttivo:
il quale, compiendosi nel processo eduttivo, assume quindi valore d'ar-
gomento razionalmente positivo. Dio, a parlar proprio, non è pura so-
stanza, causa, essere infinito solitario ; nò il mondo è pura qualità e
determinazione, puro effetto, puro finito posto dall'infinito. Se Dio fosse
cagione semplicemente presa, il mondo (l'effetto) ne sarebbe l'atto. Se
fosse sostanza, il mondo ne sarebbe la modificazione. Chi ci salverebbe
dal panteismo ? Se poi fosse infinito ut «ie, perchè, domanderò io, se basta
a so stesso ha da porre il finito ? Dio è tutte queste cose, infinito, causa,
sostanza e simili, ma è tale, perchò principalmente è idea, pensiero, men-
talità. Or non è anch' egli mente e pensiero l' Universo ? L* argomento
della conversione, dunque, non va dal mondo a Dio, non procede dal-
i* effetto alla causa (ohe non procederebbe davvero), ma va, ma procede
da causa a causa annodandole insieme. E le annoda, perchò serbano me-
desimezza e diversità; le annoda, perchè adopra il mezzo delle idee; le
annoda, perchò educe le idee, e perchò queste idee converte con 1* ideato.
— Un* ultima osservazione che avrei dovuto fare già in altro luogo: me-
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GAP. IX.] SU LA BIOEBOA DBLL' ASSOLUTO. 429
Io vede nelle sue stesse idee, perchè lo fa come idea ;
e così r uomo (ripeto la ^bella frase del Gioberti) giunge
a rendere a Dio la pariglia. L'idea dell'Assoluto ha an-
ch' egli i suoi annali ne' diversi momenti della storia e
del processo psicologico. Ma nel far cotest'idea, e pro-
prio quando l'abbiam fatta, noi somigliamo a quell'arte-
fice che s'affatica e suda e si travaglia nell' incarnare
il tipo che gli splende dinanzi alla fantasia, mentre
la stessa natura potrebbe offrirglielo vivo e palpitante
nella infinita ricchezza delle sue creazioni. Novello e
arditissimo Prometeo, il pensiero del filosofo non abbi-
sogna d' alcuna scintilla : la scintilla della vita s' agita
già vivissima nell'opera stessa delle sue mani. Perocché
quando il pensiero abbia prodotto l'idea dell'Assoluto,
e' tosto s'accorge d'aver prodotto quello che già e' era,
quello che è il Fatto per eccellenza, e che non può esser
fatto perchè di sua essenza è il Fare, E così pure ci accor-
giamo di far Dio con la scienza e con l' attività riflessa,
solo perchè è egli innanzi tutto che fa noi come potenza,
perchè siamo potenza, perchè siamo termine del suo atto. *
glio tardi che mai. Il Gioberti accenna una sola volta (quant* io sappia)
al metodo eduttivo, e lo fa consistere nell* andare dal particolare al par-
ticolare, dal generale al generale (Protei, voi. I, p. 159). £ precisamente
la funzione deduttiva come la intende, per esempio, Stuart Miìl. La edu-
zione del Gioberti f com* ò eTìdente, non ci ha t;he vedere con la nostra.
' Questa precisamente è la facoltà della quale, come dice Cartesio,
ci ha saputo fornire la stessa natura, e con la quale noi, produeendo
Videa di Dio, conosciamo Dio. (2V<nn^m. Object., X, Rep.) A questo pro-
posito giova notare come il senso unicamente vero onde TA. delle Me-
dìtaxioni chiamava innata V idea di Dio e da Dio stesso dicevala im-
pr€$aa neUa mente {Medit. Ili e V), stia in ciò; che cotesta idea non
può esser finta o supposta o immaginata, ma ha da essere posta, cioè
tratta necessariamente, razionalmente dal pensiero come ogni altra idea
che racchiuda necessità obbiettiva e metafisica. Chi a questa maniera
non voglia intendere il filosofo francese, non giugnerà mai a salvarlo
dalle aperte contraddizioni nelle quali inciampa senza rimedio tanto chi
voglia interpretare 1* idea cartesiana dell* infinito ad ueum Delphini co-
me fanno gì' intuitisti, gli spiritualisti e i teologisti, quanto chi si piace
d' interpretarlo, come fanno gli hegeliani, con la solita critica ad libitum^
secondochè altrove dicemmo a questo medesimo proposito (p. 176). L'idea
di Dio vien fnora mercè queW analin divina de'penneri %anani (ripetia-
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430 DILLA DOTTRINA FIL080FIOA. [LIB. H.
Qui pervenuti, nasce spontanea una considerazione
storica." Posta la natui^a e T origine delle idee secondo
che vonn' essere interpretate nell'autore della Scienza
Nuova, è agevole scorgere cpm' egli solo ne' tempi mo-
derni abbia accennato ad un accordo verace, diffinitivo,
in siffatta quistione, fra il Platonismo e l' Aristotelismo.
Egli consegue cotesto accordo non già operando una me-
schianza od una specie di combinazione meccanica fra i
due sistemi come tanti sono riusciti a fare, ovvero ne-
gando l'uno in grazia dell'altro; ma negandoli e correg-
gendoli entrambi, e rispettando e inverando nel mede-
simo tempo tanto l'esigenza peculiare dell'uno, quanto
quella dell' altro indirizzo speculativo. E tutto ciò egli
ottiene a due patti :
I. Accetta dal Platonismo le idee come infinit(By
non amplitudine^ sed perfectione; ma le accetta non
come poste ci di là dello spirito, anzi come fatte,
come prodotte dallo stesso spirito. Accetta insomma
le idee, e da divine le fa umane. Le accetta uma-
nandole. Perciò india l'uomo; fa l'uomo naturalmente
divino; pone il divino anche nel mondo, ma senza
che questa sua NOVELLA METAFISICA INNALZATA SU
LE IDEE UMANE, come vedremo, neghi menomamente
l'esigenza platonica d'un Assoluto presente al mondo.
IL Accetta dair Aristotelismo il gran principio che
l' essenza e la ragion precipua ed efficiente delle cose
risegga nelle stesse cose, non fuori; che insomma le idee
siano anche nelle cose; che costituiscano tutta la vita,
tutta r energia e la profonda attività della stessa na-
tura; l'essere stesso della storia e del mondo. Ma nel
medesimo tempo nega risolutamente gli Universalia
aristotelica ; * e H nega perchè inutili, anzi perchè esi-
mo anche qui le belle parole del nostro filosofo), la quale guidandoci JU
filo entro i ciechi laberirUi del cuor delV uomOf saprà darci non già gV »«-
dovinelli degli algebristi^ ma la certexxa quant* i lecito umanamentCj nel co-
noscere metafisico. {Lett. al Solla^ p. 14).
* Vico, De Antiquisa. Gap. II.
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OAP. IX.] SU LA BIOEBOA DELL'ASSOLUTO. 431
ziali alla scienza, all'oratoria, all'arte, all'educazione
della mente e del cuore, alla politica, alla religione,
alla pratica della vita, alla società, ponendo invece la
forma metafisica piena, il genere che di sua natura è
realtà piena, realtà salda, realtà comprensiva.
Or se tutto questo è vero, non ha egli avuto cento e
mille ragioni il Mamiani di sentenziare : il Vico essere il
vero e ardito innovatore della teorica delle idee? Ma co-
teste parole son parole d' oro per noi, non per chi le ha
cosi felicemente scritte. Pel Mamiani e per qualsiasi pla-
tonico e neoplatonico, invece, le son parole di ferro, parole
di piombo, e anche peggio. Perchè se il Vico avesse rin-
novato la dottrina delle idee nel senso del Neoplatoni-
smo, in lui, in cotesta sua teorica, non vi sarebbe né
verità, né ardimento di sorta. Avrebbe svecchiato e ri-
cantato, anche una volta, cose già vecchie e stantie!*
* Per queste ragioni, e per quelle dette innanzi, può rodersi come
il Vico intenda benignamente e corno accortamente corregga la dialet-
tica platonica, In ispecie nella sua parto ascensira, contraddicendo perciò <
agi* indirizzi estremi dell* Aristotelismo, e legrittimandone sempre più
r indirizzo mediano. Abbiamo detto che, secondo il metodo dialettico del
nostro filosofo, la realtà d* un essere cresce in ragion diretta della sua
generalità, ma della sua generalità ideale, non già concettuale. Por chi
intenda severamente la dialettica platonica, per esempio pel Ravaisson,
Tessere in lei va scemando in ragione che procede e sale dal meno
generale al pih generale Or bene, la prima guisa d* ascensione dialettica,
eh* è la vera platonica secondochò la intende il Vico (Vedi le sue parole
citate avantt), non s'oppone ali* esigenza del beninteso Aristotelismo
che an;i lo Stagi ri ta dere accettarla in forza del suo stesso metodo.
Andare da individuo ad individuo, salire da una forma inferiore ad una
forma superiore, da un atto ad un altro atto come fa Aristotele, è pro-
cedere dal meno perfetto al più perfetto ; che vuol dire, dalla nota «pe-
ci/icatue d* un essere, ad un grado superiore della sua stessa idealità. Si può
dunque affermare che una secreta parentela esista fra il processo ideologico
del Platonismo, e quello dell'Aristotelismo; e che perciò VuntverBale aristo-
telico, inteso bene, non contraddica all'ic/ea platonica ove però sia interpre-
tata come /orma metajìsìca. Se questo è vero, non è niente improbabile che
Aristotele aveste tratportato ne* »uoi libri il metodo che Platone praticava
neW integnamentOf secondochè congettura il Simon {Theod, de Platon et ,
d'Arist.f p. 27. — Ved. anche Janet, Sur la Dialcctique dans Platon etc., '
p. 282. — NoURlSSÓN, Exposition de Ut Théorie platonicienne dea idée^
ed. cit. II. — RiTTEB, HÌ9t. de la PhU, ancienne, t. 2, 1. Vili. Anche il
Rosmini accenna a questo ponto tanto nella Teoeojia quanto nel suo Ari-
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432 DELLA DOTTRINA FIL080FI0A. [lIB. n.
Hoteh), — Rigrnarclo poi al valore della dialettica di Platone, panni che il
modo onde il Vico dà segno di veleria intendere, sia accettevole. Chi consi-
deri con qualche diligenza segnatamente il Parmenide e il Sofìgta, dì leggieri
8* accorgerà che il metodo dialettico platonico è tale, perchè serba indole
piuttosto eduttiva, anziché deduttiva. Questo metodo, a dir vero, non ista-
rebbe molto in armonia con la dottrina dell* avoc^vrìTt^ che è capitale
in altri dialoghi : ma perciò appunto sarebbe un progresso e una corre-
zione ohe Platone avrebbe fatto a sé medesimo. Sennonché lasciando di
ciò, la posizione speciale del problema metafisico pel filosofo Ateniese
risguarda precipuamente la relazione o principio di medesimezza e d* al-
terità, per cui. ribatte le due soluzioni egualmente erronee che ne det-
tero le due grandi scuole d' Eraclito e di Parmenide. Questa, direbbe
Hegel, è la funzione ùtoriea di Platone considerato come JUoao/o greco
rispetto alle filosofie anteriori. L' C7no in sé riesce inconcepibile; ma non
è tale anche V Altro in sé? La conclusione perciò non era difficile; ed è
che nel medenmo ci ha da essere anche il diverso, e nel diver$Of come
tale, anche il medenmo. Ma forse che Vuno, come uno, diventa anche
V altro f Ecco precisamente T inganno de* panteisti d*ogn! colore in ge-
nerale, e, in particolare, Terrore de* critici che interpretano hegeliana-
mente il filosofo greco. Lasciando stare questo o quel passo di questo o
cotesto dialogo, in lui è chiaro un principio che basta per tutti: Nesaun con^
trarlo può mai divenire il suo proprio contrario. Con tutto ciò non è altret-
tanto chiara in esso 1' attinenza che ci ha da essere fra* contrari, ed
ecco perché Platone andava saggiando or la ftcfAWcrt; ed or la ftediicc.
Nondimeno chi non si volesse attaccare al solo Parmenide e al Sojuta,
come fanno gli Hegeliani, ma porgere debita ragione anche agli altri
dialoghi e però ali* insieme delle dottrine platoniche, vedrebbe che 1* esi-
genza del principio della Conversione in lui è presentita. Dico 1* esigenza
non il principio stesso, e tanto meno la dimostrazione del medesimo.
Secondo tale esigenza, della quale non sarebbe difficile rintracciare i germi
nel Parmenidef Platone accorda i contrari, non già compenetrando il
medesimo col diverso, ma convertendoli. Col che io non intendo affermare
che nel maestro d* Aristotele non sia facile scorgere una tendenza talora
assai spiccante verso l' Idealismo trascendentale. Se cosi non fosse,
l* esposizione del suo discepolo sarebbe da ritenersi come al tutto infe-
dele e bugiarda; il che non fu mai detto, né pensato da nessuno* storico
e da nessun critico. Gli Hegeliani anzi co ne porgono oggi splendida
prova, come avvertimmo, segnatamente il Vera, il qnale ha creduto d'aver
già beli* e dimostrato come la dialettica platonica, tuttoché incompiuta,
sia proprio quella di Hegel, né più nò meno. Or la. critica seria e non
parziale, massime quando si tratti de' Dialoghi platonici, dee farsi con-
sistere innanzi tutto nell* accordare Platone con sé stesso, per indi ac-
cordarlo, se è possibile, col sistema che ci frulla nel capo. Ma non tutti
fanno così! Quando 1* hegeliano afferma, per es., che il to <(aéfvv;c
del Parmenide sia proprio il divenire^ il TO iv Veesere, e *1 TO ov il tum-
essere; CO testa sarà crìtica sottile, acuta, maravigliosa. ma non sarà
altrettanto vera né come critica interpretativa, e tasto meno poi come
critica filosofica. Diranno ; questa nostra crìtica rìsulta a fil di sillogi-
smo dall'analisi del Parmenide, Ma forse che tutto il Platonismo è nel
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CAP. IX.] SU L\ BIOEBOA DELL* AMOLUTO. 433
Parmenide f Certo, soggrinngeranno ; il Parmenide è svolgimento o com-
plemento necessario di tutti gli altri dialoghi, e rappresenta perciò la
forma schietta, vera, consegaente della teoria platonica. Ecco precisa-
mentOf dirò io, un'interpretazione parziale fatta a proprio comodo ! Inten-
diamoci: nel Platonismo, nella mente di Platone, anche noi scorgiamo
due forme, due periodi, o, se si Tuole, due momenti di speculazione:
quello in che prevale il sentimento, V immaginazione e però il mito e
la tradizione ; e V altro in cui predomina e signoreggia nella nudità sua
la ragione, e la coscienza speculativa. Svolgimento e processo fra Tuna
e r altra forma ci è, e ci ha da essere ; e ufRcio della critica positiva ò
il far vedere che se fra, questa due forme vi è contraddizioni e contro-
sensi, cotesto contraddizioni non sono cotanto grossolane quanto sareb-
bero, se fosse vera la critica di certi critici passionati. Tra la Repvhbiiea
e le Leggif si dice, hawi un* aperta contradizione nell* ordine delle ideo
politiche: sogni nelFuna, e sodezza e positività nelle altre; e cosi pure
fra il Dio del P<xrmenide, e il Dio degli altri dialoghi. Invece a noi pare
che come le Leggi, per dire un esempio, non sono altro che la Jiepub-
bliea guardata nella sua opportunità e possibilità, parimenti il Parmenide
non sia che il Timeo, il Teeteto, il Sofista ecc., ma considerati come uno
sforzo di potente speculazione per ligittimare e correggere il medesimo
principio metafisico. Ebbene, a questo medesimo indirizzo, che traspare
dair insieme delle dottrine platoniche, dovrebbe sapersi ispirare la cri-
tica che volesse esser feconda; perchè Platone, come ogni grande ingegno,
"è d* uopo compierlo, correggerlo, ma non distruggerlo. Or questo pre-
cisamente fanno gli Hegeliani con Platone; lo distruggono. E lo di-
struggono per la semplice ragione che nelle lor mani lo svolgimento e
il processo del pensiero di questo filosofo, non è altrimenti svolgimento
ma cangiamento, ma contraddizione, ma negazione. Interpretate infatti
la dialettica del Parmenide commessi fanno: accade che questo dialogo
starà in aperta contraddizione col principio nel quale si cardinano il YI
0 M VII della Repubblica (Trad. Cousin, t. 10, p. 50), con quello delle
Leggi (X Lib., id.), con qnello del Fedro (t. C, p. 49), con quello del
Fedone (t. 1, p. 274) e, in gran parte, con quello del IVWo, intendendo
quest* ultimo ben altrimenti che non abbia fatto il Martin fra* moderni.
E cosi il Parmenide, girato e rigirato e rimpastato dalla lor critica,
dovrà evidentemente, anziché inverare e correggere, contraddire il con-
cetto deirÀssoluto, secondo che ci è descritto nel Dialogo ultimo citato:
nv.Tvip, y.at rotvjTvi?, xat Srii^iovpyò^ tow xó-t/iaou (IVm., 29, E.)
Ora è egli possibile questo voltafaccia nella niente del gran figliuolo
d*Àristone massime neir età prQvetta e grave nella quale probabilmente
scrisse il Parmenide f Non somiglierebbe, se cosi fosse, a certi filosoft
de* nostri giorni che con incredibile disinvoltura sacrificano oggi a Cristo
e s* inginocchiano domani al diavolo, o viceversa? Kd è questa la critica
seria, coscienziosa, onesta in filosofia? È egli onesto e serio e coscien-
zioso il dire e lo scrivere, per esempio, che TAssoluto dell* Idealismo
assoluto sia precisamente quello dell* Idealismo platonico? Oh i miracoli
do* riscontri storici !
SlCILlAM.
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434 DILLA DOTTBIKA FIL080FI0A. [lIB. II.
Capitolo Decimo,
del principio metafisico.
Abbiamo detto che la dialettica ascensìva poggia al
Primo vero metafisico mercè la virtù eduttiva del pen-
siero; e ch'ella stessa poi diventa discensiva, dove quel
Primo vero assuma valore e natura di Principio meta-
fisico. La intema costmttura di cotesto principio costi-
tuisce quel che noi diciamo processo ideale. Ma innanzi
tratto intendiamoci con gli avversari d' ogni qualunque
metafisica, ai quali probabilmente non saranno bastate
le cose dette sin qui.
La Natura, abbiamo afiermato più d'una volta, è
un processo ; ed è tale perchè è numero che Tolge ad
unità: il che ci è confermato oggi splendidamente dalle
scienze fisiche e naturali. D'altra parte lo Spirito, sia
che si consideri nella genesi psicologica, sia che nella
genesi storica e sociologica, è anch' egli un processo, ma
in quanto è unità che, in sé medesima attuandosi, di-
venta numero. Or s'egli è vero che sì la natura come
lo spirito debbono aver di sé medesimi una ragione
tanto rispetto all'essere quanto all'operare, cotesta
ragione, perchè serbi legittimità di principio, non può
esser numero che volga ad unità, e nemmanco unità che
diventi numero, se pur vogliamo salvarci dalle strette
d' un circolo vizioso. Dunque non v' è scampo ; il nescio
quid innanzi a cui ammutoliscono il materialista e il
fenomenista, il ro «vurroOsTov di cui ha tanta sete lo scet-
tico sistematico, V Inconoscibile la cui realtà è pur con-
fessata dal positivista, e, in somma, il Deus absconditus
de' filosofi deW avvenire, altra natura non potrà avere
fuorché quella d'esser nel medesimo tempo numero
diventato unità, e unità diventata numero. Così, e sola-
mente cod, cotesto jravTc^wc 3v attomo a cui si travaglia
il pensiero e la storia, potrà rivestire dignità di prin-
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GAP. X.] DRL PRINCIPIO METAFISICO. 435
cipio, assumendo insieme valore essenzialmente dinamico
e dialettico. Perciocché ov' ei non racchiudesse le me-
desime condizioni anzidette, non solo non potremmo
sperare di conoscerlo in verun modo, né egli ci appar-
terrebbe per nessun titolo, ma, ciò che più monta, e' sa-
rebbe di per sé stesso impossibile addirittura. Che se
poi quelle due condizioni fossero in lui così come sono
per eptro alla natura e al mondo dello spirito, non
potrebbe non riuscire onninamente inutile tanto alle
cose quanto alla scienza. Col solo raddoppiare i mede-
simi elementi non soltanto egli non ispiegherebbe nulla
di nulla, ma avrebbe d'uopo d'essere spiegato egli
stesso innanzi tutto.*
Se dunque V Inconoscibile non é un puro fiato di
voce ma è una realtà, e' debb' essere insieme, a dir così,
natura e spirito, cioè Forza e Pensiero. Di fatto se la
natura è numero volgentesi ad unità e quindi conato
energia che transita ad atto, si può chiedere : dond' ella
viene, e com'è ch'essa incomincia? Comincerà da sé
medesima? Dunque dee cominciar come potenza, e
quindi come sintesi confusa e indeterminata. Or non é
egli cotesto un cominciamento assurdo e grossolano?
Avrà seco qualche idea, si può rispondere : può esser de-
terminata in qualche modo. Ma, se è com, tale idea o é
* Tanto nel processo ideale quanto nel processo cosmicOf tanto nel
Mondo quanto neir Assoluto, gli elementi (direbbe il Vico) sono i medesi-
mi; ma diversa è la relazione dì essi, e quinci diverso il contenuto che
ne risulta. L' unità e la moltiplicità, il medesimo e M divertOf riseggono
così nel sensibile come nell' idea ; ma il diverso dell'uno non è quello del-
r altra. Ecco il profondo dissidio metafìsico fra il Platonismo e l'Aristo-
telismo ; ed ecco il precìpuo difetto dell' esposizione delle idee platoniche
fatta da Aristotele, e la parte non vera della sua critica. {Metaph., I, 6).
Nel Platonismo il diverso, checché ne dicano certi critici, serba doppio
valore (to' sts/dov, to' aX^o) al quale ci ha badato segnatamente lo Stal-
Ibaum {Prcleg. in Parm., I. I, V). Però tutta la confusione d' Aristotele,
secondo che ha osservato lo Zeller, sta nell' aver egli trasandato il di-
vario che corre fra la moltiplicità in qìtanto è materia delle idee, e la
molliplicità in quanto i fondamento del mondo materiale {0^, cit., p. 482).
Vedremo come anche qui il nostro filosofo, pur legittimando 11 Platonismo,
corregga col suo concetto metafisico l'Aristotelismo.
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436 DELLA DOTTRIKA FILOSOFICA. [UB. H.
dentro, o è fuori di quella potenza. Se dentro, dunque
non è potenza: se fuori, eccoci al di là della natura.
D' altra parte, se lo spirito è un atto di fronte alla na-
tura, non per questo ei potrà cogliere e fermare co-
test' atto e afiferrar sé medesimo come atto, poiché pen-
sandosi, come dicemmo, egli di già é un atto, è fatto
(actuni) ; e perciò, come la natura non può cominciare
da sé, parimenti lo spirito non potrà finire in sé. Non
è dunque necessario un atto? Or l'Inconoscibile, il nesdo
quid de' filosofi dell'avvenire che ha da essere Forza
e Pensiero, é per V appunto cotesto atto; é l'Atto della
natura, in quanto la natura è potenza; ed é l'Atto dello
spirito, in quanto lo spirito é adus in adu, e perciò
infinita potenzialità. Ma un atto che dee contenere la
natura e lo spirito, e che quindi ha da essere Pensiero
e Forza, non è per ciò stesso un Primo e nel medesimo
tempo un Ultimo? Non sarà quel primo e quell'ul-
timo anello a cui, per dirla con Aristotele, tutto è so-
speso, € al quale tutto s' indirizza. *
Se non che, comunque si voglia riguardare il con-
cetto del multiplo e quello dell' unità, la relazione che
vi si occulta tien sempre del quantitativo, dell'estrin-
seco, del matematico, del puramente logico. La ragion
metafisica positiva può andare un po' piiì in là, potendo
volger r occhio a qualcosa di piii riposto, di più intimo,
di più affine alla nostra natura. Ella dee muovere dal-
l' uomo stesso, dallo spirito, dalla psicologia, dalle idee,
come abbiam visto nell' altro capitolo ; e però movere
altresì da im immediato, da un certo eh' é anche un vero,
dal concetto della triplicità psicologica. La quale essendo
soggetto oggetto e relazione, importa la legge della
medesimezza e della difl'erenza con sé medesima, e con
la natura: importa una sintesi iniziale e originaria che sia
TÒv avw s;i^ovToc ckpy^rtv, {Metaph., II). In altro laogo dice che terra
e cielo sono sospes al suo principio immobile {Td., VII, 12). Ma couie
Ti stan sospesi? Ecco nno degli errori metafisici dell' Aristotelismo.
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CAP. X.] DEL PRINCIPIO METAFISICO. 437
insieme unità e dualità. Or cotesta triplicità psicologica
rudimentale, che incarnandosi nel gemino processo teore-
tico e pratico della psiche umana attinge dignità d' au-
tocoscienza e di Ragione spiegata, noi possiamo innal-
zarla a valore non già quantitativo, ma essenziale, ciò
è dire non a valore puramente concettuale, ma ideale.
Ella quindi ci si presenterà determinata nella pienezza
delle tre somme primalità che sono il conoscere, il vo-
lere^ il potere. Di queste tre somme primalità appunto
dee potersi essenziare (come osservò prima del Vico il
Campanella) il to' awroQsrov, affinchè egli possa aver na-
tura di Principio metafisico.* Laonde avviene che se co-
testa triplicità, psicologicamente avvisata, è processo e
moto e conato, metafisicamente è anche un processo,
ma è un processo già risoluto; è anche un moto, ma
è moto del moto; è anche un conato, ma conato che
è atto. E a diventar tutto questo ella non ha bisogno
di passare dal to ao^io-TÒv al to TcXetov, dall'omogeneo
e indeterminato all' eterogeneo e determinato, dalla sin-
tesi all'analisi,' e però da una facoltà o funzione in-
feriore ed elementare, ad una facoltà superiore ed at-
tuale. Ella non ha bisogno di farsi, di convertirsi con
seco medesima invocando un sussidio dal di fuori. Non
ha bisogno di puntellarsi nel senso e di mediarsi con
la natura e d' alimentarsi ne' fatti e d' arricchirsi del-
l'esperienza. Essa non è intendimento, nettampoco
immaginazione. Non è libero arbitrio, nettampoco pas-
sione. Ella è piena libertà, libertà determinata, poi-
ché è piena e determinata ragione. Ma non è aitasi
' Non si confonda V uso che noi qui facciamo del concetto della
triplicità pticologica nel chiarirci la nozione dell'Assoluto, con l'abuso fat-
tosene in passato appo certe scuole di filosofi. No rammenta un solo esera-
pio. Plotino e gli Alessandrini, por ìspie^rsi la triplicità delle ipoatati in
Dio, ricorsero alla psicolof^ìa (Vcd. A'«n., 5, 1. 1, e. 10, trad. del Boulliet),
e, come k^ storici sanno, arzigogolarono mirabilia su la Intelligenza su-
prema onde rampollano gli ordini del sensibile e quelli dell' intelligibile.
Ma, com' è agevole vedere, tanto il loro concetto della triplicità paicoloffiea
è discosto dal nostro, quanto la lor triplice ipostasi è lontana dal ter-
nario che la ragion positiva, come vedremo, dee riconoscere nell' Assolato.
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438 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. H.
un processo tuttoché sia un processo già risoluto?
Non vuol esser dunque anche un organismo, eh' è dire
un processo teoretico e pratico, e perciò determinazione
e genesi interna ed estema? E ponendosi come Atto,
non ne segue che con sé stessa ella abbia da porre
anche V altro? E che é mai quest' oZ^ro salvochè un
termine estrinseco e diverso? Il Principio metafisico,
dunque, a cui ci rimanda il Primo vero metafisico, non
può non esser l' infinito aUiude, e però V infinito Nasse
Vèlie Passe; dinamismo intimo, intima ed essenzial
generazione e conversione di sé con sé stessa, e col
fuori di sé.*
* Il criterio della conversione non avrebbe valore di principio ove
nou potesse applicarsi anche, e soprattutto all'Assoluto, assumendo cosi
digrnità di Principio Metafisico. £cco Del suo linguaggio mezzo scolastico
il pensiero del Vico : Primieramente atabiliaco un Vero cìie ai converta
col Fatto, e quindi raccolgo in Dio essere V unico VERO percJtè in lui
eontiensi tutto il Fatto. Però soggiunge : In Dio il Vero « converte
AD INTRA col Generato, ad extra col Fatto: egli solo è la vera in-
telligenza perchè egli solo conosce tutto : la divina Sapienza è il per/ettis'
Simo Verbo perche rappì'esenta tutto contenendo dentro di si gli clementi
delle cose tutte f e, conteucndolif ne dispone le guif>e ossiano forme dell" in-
finito, e disponendole le conosce, e in questa sua cognizione le fa, e questa
cognizione d' Iddio è tvMa la ragione della quale V uomo /m una porzione
per la sua parte, E poiché l'Ente è assoluta conversione del Vero col
Fatto interno (Generato) e col Fatto propriamente detto (Mondo), ne
viene che debb* essere altresì conversione come pensiero e come forza,
come Causa e Mente, appunto percJiì unica causa ^ quella che per produrre
V effetXo non% ha di altra bisogno ; come quella la quale contiene dentro di
sì gli elementi delle cose che produce, e li dispone, e sì ne forma e com-
prende la guisa, e comprendendola manda fuori V effetto, (Ved. liisp. al
Giom. de' Leu., II).
Per quanto questo lingruaggio possa sembrar vieto e coperto di muffa
scolastica, nullameno tornerà agevole all'accorto lettore potervi scorgere
come in germe la soluzione positiva del problema metafisico. In queste
tre usate e abusate parole. Vero, Generato e FaUo, abbiamo, per così
dire, i tre punti ne' quali s* imperna e gira il processo idealo che, con-
siderato in se proprio, costituisce la dialettica discensiva. Qui è la so-
stanza, com' è noto, e, sto per dire, il nocciolo della teorica cristiana,
ma ^levata al supremo valor razionale e speculativo oud'è capace: ed
è il fine (chi ben consideri la storia della filosofia cristiana e non cristiana,
ortodossa ed eterodossa) a cui par che convergano insieme e riescano il
Platonismo e l'Aristotelismo nello differenti loro forme isteriche. Sennonché
si badi a non pigliar come ripetizioni vano certe analogie e somiglianze di
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CAP. X.] DEL PRIKOIPIO MSTAFISIOO. 439
H Vero dunque è l'Essere; e cotesto Essere-Vero
non sarebbe tale, ove, anziché identità sostanziale dei-
Tessere e del conoscere, anziché assoluta unità e assoluto
monismo, non fosse invece un' essenzial dualità e ^nità,
essenzial conversione del soggetto con V oggetto, e quindi
medesimezza e differenza attuale. Qui dunque, innanzi
tutto, il nostro filosofo corregge Aristotele come quegli il
quale disconosce una condizione eh' è l'interna necessità
della stessa natura dell'Assoluto. Lo Stagirita pronunzia:
ecTTtv >j vó>?o"ec vovìtso; vó/jtc?. Ma fo^c che l' eccellenza del
pensiero starà nel pensar solamente sé come sé, e non
anche sé come altro? ^ Una Visione veggente Sé stessa
non ^ un atto sterile e solitario? Vedere non è anche
operare? Pensare non è generare? Ov'è dunque il gran
linguaggio, che qui il Vico potrebbe aver con altri filosofi. Mi spiego su-
bito. Per sant'Agostino, per es., intelligibilità e realtà si compenetrano
insieme, e danno luogo alla natura assoluta formando così il Vero-EnU
fVed. SolU<^,, lib. II. De vera Relig., XXXVI. De Trìnitat., lib. V). Su per
giù si può dir lo stesso d' altri filosofi cristiani fino a san Tommaso, e
anche fino al Rosmini {Nup. Sag., Sex. VI, P. IL e. II). Ora la novità del
filosofo napoletano sta nell* avere impresso a cotesto concetto virtù d'uni-
versalità superando la coscienza religiosa, come vedremo fra poco, e nel-
r averlo applicato a tutt« le sfere della realtà, nonché a tutti gli ordini del
sapere. Questo almeno risulta dal modo con che dobbiamo-interpretare ed
esplicare con la ragion filosofica positiva il suo pensiero. Per esempio, nella
progressione degli enti, il filosofo cristiano non iscorge ombra di processo;
ed è un assurdo per lui tanto che la sostanza vitale pulluli dalla corpo-
rea, quanto che l' anima razionale sgorghi dall' irrazionale (Auodst., De
An. ec. I, II. De Civ. Dei, XII. De Jmm. an., 24. Così pure il RosMiin,
PncoL, ed. cit., v. I, XXIII ; Antropologia, 1. IV, e. V). Ora applicando il
principio della Conversione noi abbiam fatto vedere come e quanto egli
riesca originale nella psicologia ; e nulla diciamo quando poi si applicasse,
come ha saputo fare lo stesso Vico, allo svolgimento de* fatti storici, del
che la Sdenta Nuova ò tutta una dimostrazione. La stessa originalità nel-
r applicarlo al problema metafisico, che vuol dire alla costrnttura organica
e catecrorìca dell' essere, come tosto vedremo. Sicché vorrò concludere che
sotto alla vecchia buccia qui si occulti un pensiero metafisico spirante,
mi pare, freschezza e originalità. Il difficile, al solito, sta nel sapere sce-
gliere il punto di mira per guardarlo.
* Ecco in che sta proprio tutta la magagna della metafisica aristo-
telica: se V Atto non fosse voyjVtc vo/Itso;, cioè vo>?(T«oc proprio in sé,
e s' avvilirebbe : Tò 9st6xarov Y.ot.1 to' rifxtwTatov vote, xa/ ou
fAsra^aXXci * «t; ;^«t/90v 7à/9 ^ /x£Ta6o>KÌ. Metaph., 1. XII, 9.
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440 DELLA DOTTRINA FTL080FIOA. [lIB. n.
pensiero aristotelico della facoltà che pone il proprio
obbietto e se ne distingue ? E perchè, mai non applicarlo
anche all' Atto, e soprattutto all'Atto?* U Essere-Vero
dunque è mestieri che sia anche Verbo, anche Fatto
intemo, anche Generato. Che cos'è il Generato? Non è
luce metafisica, non è oggetto indeterminato e primigenio
posto da natura, come nella genesi psicologica; ma è luce
e colori, è oggetto determinatissimo, perchè è insieme
la natura e ciò che è sopra alla natura. È dunque il
diverso, il diverso dell'identico; al modo istesso che il
Vero è l'identico del diverso. Perciò è l'intelligibile
che, mentre adequasi con l' intelligente, se ne distingue.
Perciò è il pensante che, convertendosi col pensato, è
pensiero, e quindi è in sé medesimo il trinuno. Se dun-
que l'Assoluto è generazione e dinamismo interiore, per
ciò stesso è Mente: prindpium unum, Mens. Or come
potrebb' esser mente senza esser cagione, attività, ener-
gia, e quindi idea, possibilità, relatività, infinità, mol-
tiplicità ideale?
Ma se qui il nostro filosofo corregge l'Aristotelismo,
invera nel medesimo tempo il Platonismo. Il Generato
del Vico, in quanto è termine di generazione ad intra,
è appunto la benintesa idea platonica. Cote$ta idea
platonica non è assoluta Unità, né assoluta Moltiplicità
* Ma, si badi: il difetto metafisico dell* Aristotelismo non è tale che
1* annnlli e distrugga addirittara, ed è appunto per questo che Aristotele
non potrà esser mai in etemo, né un idealista assoluto, nò un positivista,
anzi così egli si presenta come una confutazione parlante deir Hegella-
nismo, e del Positivismo. Voglio dire in sostanza che il principio metafisico
dello Stagirita non è, propriamente parlando, erroneo, ma incompiuto;
e però è tale che corregge benissimo sé stesso. In che modo? Se V Atto
ha da esser davvero quello che dice Aristotele, ne viene che, metafisica-
mente e logicamente, è impossibile un Actu» pwru» ab^olute. Gli Alessan-
drini se ne accorsero; e questo è precisamente e principalmente il lor
merito di fronte air Aristotelismo. La verità della Scuola d'Alessandria
e dell* antico Neoplatonismo sta chiusa in questo poche parole: [0,in ptaiix
JfiTai Twv ci^wv xarà to tv caurw voitjtov o' vou?. Vod. Proclo
in Parm. 1. V, p. 152. Lo stesso dicasi, come vedremo, del Platonismo; e
così può affermarsi che Tesigenza della correzione, nel concetto metafi-
sico deU'ano o dell* altro sistema, sia reciproca.
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GAP. X.] DBL PIONOIPIO HITAFISIOO. 441
in sè. Non è l'identico, ne il diverso. Non è il moto, ne
la quiete. È dunque l'una e l'altra cosa ad un tempo
istesso. È dunque il tò E?a/yv>?; senza cui ella riescirebbe
affatto inintelligibile, e assurda ; e quindi ci significa il
Momento* nel quale è insieme numero, senza cessare
d'esser altresì unità essenziale: talché costituendosi
centro e circonferenza ad un tempo, rende siffattamente
possibile l'accordo de' contrari.* E tale accordo sarà pos-
sibile a questo sol patto : che il Momento sia non pur la
Nó»Ttc vóvjTswc dello Stagirita, ma eziandio Mente, e perciò
Mente e Verbo, Vero e Generato, e quindi fornito della
virtù onde lo fa ricco il filosofo Ateniese.' Così inter-
pretando il to' E^otéipvvjc (senza confonderlo col fjura^y.l'kety
che sarebbe confonder la condizione col condizionato, il
Generato col Fatto), non verremo a contraddire al con-
tenuto degli altri dialoghi, massime al Sofista ove la
natura dell'Assoluto ci è determinata come pensiero,^
come mente, e perciò come pienezza di vita e d' asso-
luta realtà.'
* Il Ficino traduce 1* 'E^ai^vvj^ per Mom€ntumindimduum;mii in qae-
Bta parola e* è qualcosa di più, esprimendoci propriamente V istantaneo ; ed
ecco perchè Platone lo dice di natura mirabile e etrana: ^ tUTcc aroTróf tc^.
* Partn., 155, E; 157, B.
* *AjO ouv ìttì to' (xxoTTtìv TOUTO, sv w tÓt' av ety?, ots fiSTa-
^dXktfj Tò TToìov 5vi ; To' e^at^vyj?. rò ydip i^at^vrjc Toeòv^j ti
Jfocxf a^juatvecv wce? «xatvou ^«TaSaXXov sìq ixoirspov, ov yxp
i'A ye Tov io-Tavai sttùtoì in asTa^séXXst, ou5'«x tkj; kiwitsoì?
xtvovfx«v>ic «TI fj.tr OL^iWti' àW Tn i5at^v«c auT>j fvtriz oironóz
Ttf iyìndBrirat jExcTa^u tt^C xiv>jo'««c rt y.olI «rTOCTEwc, iv XP^'*^}
orjSsvi ouTa, xat te; TavTvjv 5vì xai e'x TauT>JC to rs xtvov'jEXffvov
fjitra^oiWsi ini tò éo-Tavai xa« tò écTOc «Vi tÒ xivelo'dae.
Kcv^uvsùst. Kat to ?v 5v7, etnsp «a"Tv?x/ Te xat xivjÌTat, /xsTa-
6a^^oi av if éy.drtpOL' fjLÓvwi ydp av outo? àp^ÒTSjoa Trotot'y»*
/xeTa6a).>ov 5' sfat^vvjf /xsTaéai^ft, xac ot£. /xsTa€a»e£, ev
ou^evt XP'^'^V *^ ^^^'j ou5« xtvofT* av tòts, ou5' àv ^rxirt.
(Parm. 156., d.)
* Te 9: ; TO 7t7vwTXJCvì5 to yiyvtàTìLsv^^ai fCt.TS noinuoc I
Tra^o; :^ àfifòrspov; -^ to' asv 7ra3-/?aa to' ^s 5aT£^ov; ì^ ttzv-
TCCTra^tv ou5sTg/30v ouJiTfi^ov TOUTwv ^fTaXau/Savsev* (Soph.,
p. 248, D.) ^
' Té dai itpò% Atò;; wc a^>J'9'wc x«vT7Ttv xat ^w>jv xat >/'vxiQv
xa* ^^óv>70'iv tJ paSi(ùi 7re£j3>jo"ò|txjOa t« TravTsXw; «?vti /x>:
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442 DELLA DOTTBINA FIL080FI0A. [lIB. n.
Ma se r Idea è il Generato, e quindi rispetto al Vero
è il diverso dell'identico (tò jts^oov), ciò nondimeno rav-
visata in sé medesima ella è un possibile ; e, in quanto
possibile, è anche il medesimo d' un altro diveiso.
Poiché se di sua natura eli' è possibile, deve impor-
tare una moltiplicità opposta, estrinseca, reale, deter-
minata; deve necessariamente importare il diverso, il
quale sia tale, non solo di fronte all' ofóro, cioè rispetto
al Generato, ma anche in sé stesso (tò aXXo). E se non
includesse cotesto diverso? Se non l' includesse, finirebbe
d' esser possibile, e negherebbe sé stesso. Perciocché un
possibile, il quale non si potesse mai recare ad atto,
evidentemente sarebbe un impossibile addirittura, o al
più un possibile infecondo e fantastico. Laonde, poiché
il Generato é infinita idealità, e quindi infinita possi-
bilità, però devesi necessariamente convertire col Fatto :
é si converte in quanto lo fa; si converte in quanto lo
pone. Il Vico dunque ha detto giustissimo: Il Vero si
converte ad intra col Generato, e ad extra cól Fatto.
Or che cos' è mai cotesto Fatto? È anch' egli il diverso
dell' identico, il diverso del Generato ; ma é il diverso in
sé proprio (tò a).Xo), il mondo. Poiché quantunque il Fatto
e il Generato sieno moltiplicità, nonpertanto l'uno é
, moltiplicità reale, e 1' altro ideale ; talché se la prima si
7r«/oetvac, innari K^v aiiro ^>j5s (ppovelv ùWoi (rtfj.'^òv zat oiytov
voùv oux <;^ov àxcvyjTov eoro^ stvat. (Id. 2t9.) Cosi pare verremo
a correggrorOf come altrove toccammo^ il concetto dell* assolato al modo
che ci è dato nel Timeo come nxrrìpy come ttocvjtvJc e come Jyj^toUjO-
70; Toù y.oTfxou. E considerando nelP Aristotelismo e nel Tlatonismo
il concetto della provvidenza; si potrebbe cosi accostar fra loro in
qualche modo il Dio immobile e la pura intelligenza dell* uno, col Dio
che è intelligenza e forza e potenza e sapienza dell' altro. In Aristotele
Dio non prevede, nò provvede; e pure ha da movere come causa finale.
Il Dio di Platone, per contrario, vede, prevede, sa tutto, e provvedo a
tutto. Ora intendendo ri^ai^wj^ col concetto Vichiano del Generato^
Iddio vede bensì e anche provede, ma non per questo provvede, come
diremo più in là. — Finalmente osserviamo, che, quant' al significato
razionale dell'sHat^vvj;, lo stesso Aristotele ci potrebbe forse illuminare
là dove dice che per Platone 'Ile ouVt'a? Ttvò; outt?; auTOÙ tou
svoc. Metuph.f X, 2.
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GAP. X.] DEL PBIKGIPIO METAFISICO. 443
converte con T unità in quanto si fa uno, la seconda poi si
converte con T uno in quanto vi si compenetra; e, com-
penetrandosi, non è moltiplicità in sè^ ma è tale in re-
lazione al Fatto. Però la loro medesimezza, ripetiamolo,
riguarda gli elementi e la legge, essendo che tanto il
Fatto, quanto il Generato, sono una conversione ; mentre
la differenza ne riflette il contenuto, V essenza, la natura.
Se intanto questo è vero, chi dirà che fra l' un termine e
r altro corra una semplice attinenza d' opposizione an-
ziché di conversione ! Non intopperemmo così negli as-
surdi dell'Idealismo assoluto? Dunque il Fatto è pro-
cesso, e quindi riproduce la medesima legge. Egli dee
convertirsi con se medesimo e diventar Vero, per indi
convertirsi col Generato sotto forma di scienza, che è
il grado supremo di conversione cui si possa innalzare
il finito. Perchè dunque il mondo è Conversione del
Fatto nd Vero? Appunto perchè l'Assoluto è Conver-
sione del Vero col Generato e col Fatto, La prima di
queste due affennazioni costituisce la Formala cosmo-
logica del Vico: la seconda racchiude la sua Formala
metafisica. Chi accetta l' una (e bisogna accettarla per-
chè è un fatto) non può ragionevolmente ripudiar
l'altra.'
* La coDsegnienza che traesi da questo discorso è facile; ed è che
non potremo giugnere a spiegare il finito né intender la sua natura e
determinare in modo positivo il Tincolo che lo annoda air Assoluto, figu-
randocelo come simbolo, immagine, ritratto, similitudine, imitazione,
partecipazione del Vero, e simili. Il Fatto è il Vero, sta bene : ma è il
Vero come Fatto ; e però è un Dio contratto perchè è Infinita potenzia-
lità. La metessi, la crecmone, com' è intesa dagli ontologisti, non dice nulla,
0 pochissimo. Creare è cavar dal nulla: ma che cos'è questo cavar dal
nulla t Tutto ciò è ragionare sopra vuote astrazioni, e lavorar di meta-
fore poetiche come giustamente diceva Aristotele contro i Platonici :
TovTO siri ìtevoloystv y.ocl pera^o^à^ \i'yit^ TrocyjTCxa;. Somi-
glianza e partecipazione son relazioni entrambe insufficienti, anzi erronee
in quanto che l'una pecca per difetto, e 1* altra per eccesso. La prima
non importa nessun vincolo causale ; e quindi lascia il tempo che trova.
La seconda poi dovrebbe esprimerci qualcosa di più, se pur non vogliamo
dire con Aristotele ch'ella sia la stessa |xi/xgTcc pi^orìca battezzata
con titolo nuovo. Nel V della Rep. si dice : aura //f v Iv i xao'Toy
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444 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lTB. H.
Gol concetto metafisico che siamo venuti sin qui
rapidamente lumeggiando, il Vico ci fa capaci d' inter-
etvac T>f §e twv 7r/)afg&)v xa^' coìpidrMv xac à.'k'kri'Koìv xotvwvta
navrot^^v yavTa^ópsva no'kXd yatvff^at Ixa^Tov. Qui pare che
r idea 8i divida, si rompa, si spezzi nella moltiplicità fenomenalef e co-
stituisca il positivo del fenomoDO, ma nella forma inadoquatadeir esten-
sione: e siamo quasi all'idea hegeliana che passa ad tsaer natura, che
si contrappone nella natura, che jiiventa natura. Perciò la metessi de* pla-
tonici mostra sempre un carattere di passività anzichò di attività, ap-
punto perchè viene di su, mentre dovrebbe partire di gii, ed estrinsecarsi
per opera e virtù del Fatto in quanto è infinita potenzialità. Questo ca-
rattere passivo della metessi platonica si scorge anche, e non dovrebbe,
nel Parmenide: tÒ elvat ^Wo 7t eTTtv ri p.:'0s5'C ouTicz; ^era
^povoìj 70Ù Tra/oovTOff (151, E). La metessi dunque spiegherebbe troppo;
perchè il nesso tra l'idea e la cosa verrebbe ad esser cotanto immediato,
da non farci discernere fra 1' una e l'altra nessun divario essenziale; e
così avremmo V identità come essenziale, e la diversità come fenomenale.
Or se l'Assolato, perchè davvero sia tale, ha da ossero innanzi tutto una
conversione di sé con sé stesso, deve risultare indivisibile e imparabile
nella sua stessa moltiplicità infinita: e se il mondo ha da essere anche lui
una conversione di so con sé, ne segue ch'egli debb' essere essenziale
moltij^icità, moltiplicità in sé, diversità in sé; tanto che l'unità pro-
gressiva, che in lui si agita e vive e spicca sempre più ne' diversi gradi
della realtà cosmica, sia ben altra cosa dell'unità che dimora in seno
all' Assoluto. Dunque il Vero che si converte col Fatto, cioè (per parlare
il linguaggio degli ontologisti) l' infinito che pone il finito è anche finito,
ma non si confonde per vorun modo con lui. E non può, per queste duo
semplicissime ragioni: 1* perchè, se cosi fosse, ne' due termini avremmo
una ripetizione sostanziale inutile, e quindi potremmo cancellar l'uno o
l'altro addirittura, e così finirebbe per aver ragione il panteista; 2® perchè
un infinito avrebbe a partorire-, produrre o porre un altro infinito, e cosi
negherebbe sé medesimo. D'altra parte, se il Fatto devesi convertire
con sé medesimo facendosi Vero, cioè facendosi infinito essendo poten-
Mialità in/inUaf non per questo si potrà credere eh' ei si possa identificar
con lui, per le due ragioni detto poco fa. Dunque stiamo contenti al quia !
né identità oMolutaf nò aseotuta diversità, ma conversione. E però le idee
platoniche non sono da intendersi né come 7ra/9a^u7/xaTa, né come
vov}^KTa, secondo che vogliono due schiere d'interpreti. Se fosse così ne
verrebbe, nel primo caso, che Vid^a dovrobb' esser presente alla cosa in
maniera, che questa, tanto nella sostanza, quanto nel movimento, tanto nella
materia, quanto nella forma, dipenderebbe onninamente dalla prima, ed altro
non sarebbe fuorché una semplice sua copia; e^allora non avremmo bisogno
d'un Dio artefice, non del SnfAioxjp'yoi del Timeo, non del deus ex macchina
dall'ontologista, né della magna Idea degli Hegeliani. Nel secondo caso
poi r idea sarebbe un termine del soggetto, ma un termine, dirò così,
meramente soggettivo: somiglierebbe quindi, anzi 8areb))e addirittura
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OAP. X.] DEL PRINCIPIO inCTAFISIOO. 445
pretare in modo razionale e positivo l' intuizione reli-
giosa del Ternario cristiano.
La cognizione immediata e divinativa, in questo e
in ogn' altr' ordine di conoscenze, previene, come V om-
bra la persona, i portati della speculazione metafisica.
Così prima ancora che la Scuola d' Alessandria si pro-
fondasse nelle ardite e vaporose elucubrazioni su la
triplice ipostasi Plotiniana, il mistero della Trinità al-
bergava di già nella coscienza popolare siccome oggetto
d' intuizione, e cominciava a rivestir forma e valore
dommatico * mercè la Riflessione teologica. L' Assoluto
è uno e trino; è trinuno: e noi ormai lo sappiamo.*
Ma è egli un trino ipostatico? E qual n'è l'essenza?
L'assoluto importa tre ipostasi: ecco il mistero, ed
ecco la fede.^ Quanto a determinarne l' essenza, la spe-
culazione occidentale, anche sotto forma di speculazione
teologica, non poteva non interpretare le divinazioni
altrettanto spontanee quanto ricche e feconde della
coscienza orientale essenzialmente religiosa, con l'in-
V inteìligìbUe del Dio aristotelico, con 1* intelllgrente formerebbe identità
essenziale; e allora le idee non sarebbero essenzialmente relative quali
appunto sono richieste dall' economia del sistema platonico, e T esigenza
vera e giusta della metafisica platonica sparirebbe. Dunque cotesto idee
plaioniche come s'hanno da intendere? Le idee platoniche sono T'Egac^v;?
stesso, ma concepito come essenzialmente relativo &\VaUro, ma iiValtro non
già come tò trspoif puro, assoluto, bensì come 70 ìrspov in quanto abbia
un riferimento necessario al rò àWo, A questa maniera non è altri-
menti vero che, accettando le idee platoniche, debbasi accettare altresì
la dottrina dell' avajtzvYiTcCt come han detto certi critici moderni: e
neanche si è costretti ad accettarla> nelle forme nuove ond' è stata
presentata da' moderni neoplatonici, dal Malebranche fino al Mamiani.
« SiMOX, ffitt. de VEcole d'Alex., v. 1, lib. I; lib. II, e. IV.
' Il tre è il numero che assolve tutte le condizioni della perfeziono,
ed è perciò che tutto è definito del tre: to' Tràv y.(xt to Travra rof;
TùtTiTt (fìptfTTat (Arist. De Coelo, I). Vedi le belle riflessioni del Gio-
BRRTi su la Trinità considerata razionalmente {FU, della Rivelaz.., XVIII)
e di Tommaso Rossi {Regno di Dio naturale, ecc. li Studi di Giordano
Zocehif ed. cit.)
' Prendiamo la parola tpostcm nel significato:' istiano non già nel
senso neoplatonico e alessandrino.
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446 DKLLA DOTTRTKA MLOSOFIOA. [lTB. H.
dirizzo, al solito, dell' Aristotelismo e del Platonismo.
Il peripatetico nominalista ripone la divina realtà ed
essenza nelle triplicità di persone, e riguarda l' unità
come un puro nome. Tre sostanze indipendenti e sepa-
rate, ma congiunte in unità mentale. Perchè congiunte?
Perchè fomite d' egual potere, d' egual volere, d' egual
conoscere. Il realista platonico, per contrario, vuol far
consistere l'essenza divina nella realtà in quanto è
unità determinantesi nella triplicità di persone. Agli
occhi del primo, dunque, l' Assoluto è il tre in uno : agli
occhi del secondo è Vuno in tre: ecco la lotta interna
della riflessione teologica del medioevo. Ora giusto perchè
questa riflessione è di natura teologica e dommatica,
avviene eh' ella non supera, non può superare il senti-
mento, né trascender l'intuizione, né solvere il mistero,
né disimpacciarsi dall'aperta contraddizione. Laonde
Nominalisti e Realisti vecchi nuovi, avvegnaché discordi
nella maniera di determinare l' essenza del Ternario
cristiano, non sanno rimuoversi d'una linea dall'inse-
gnamento dommatico su l' unità assoluta nella separa-
eione delle tre persone.
Se il ternario cristiano, in quanto germina dall'in-
tuizione rehgiosa, è come l'immagine anticipata della
ragione, in esso deve acchiudersi un vero che la ragion
filosofica dee saper disvelare, correggere e legittimare.
Questo vero non risguarda già l'unità nella triplicità
ipostatica: riguarda il trinuno assoluto, l'assoluta tri-
plicità considerata, come abbiamo toccato, nella mede-
simezza di subbietto. Perocché l' unità di sostanza mai
non tornerà conciliabile con la pluralità di persone ; e
se così non fosse, il panteista avrebbe già trionfato nel
regno della scienza, né io davvero so dirmi che cosa
mai potrà rispondere il sottile teologo all' arguto hege-
liano, il quale pretende precisamente questo: che la di-
versità delle persone non dimostri nuli' affatto la plu-
ralità delle sostanze. Il perché pigliando alla lettera
il domma della Trinità, la teologia cattolica non si
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OAP. X.] ML PBn?CI?IO MBTAIT8I0O. 447
salva dal precipitare nel tenebroso vuoto dell' assoluta
identità.*
Il contenuto del ternario cristiano adunque ci signi-
fica le tre primalità del conoscere, del volere e del
potere, ma nella relazione del Vero che, convertendosi
con sé medesimo, diventa Generato, e, come Generato,
come Verbo, è infinita idealità e possibilità del Fatto.
Interpretandolo così accade che l'intuizione religiosa,
generatasi per leggi inerenti allo stesso processo psi-
cologico, rinverghi col concetto metafisico a cui può
elevarsi la ragion filosofica positiva; e quindi può dirsi
che, come la religione è il preludio naturale e neces-
sario alla filosofia, di pari modo la speculazione meta-
fisica sia la interpretazione critica e Tinveramento delle
intuizioni spontanee e comuni della coscienza religiosa.
11 cristianesimo è la religion razionale per eccellenza, e
con essa oggi- chiudesi il corso e ricorso delle creazioni
propriamente mitologiche e delle grandi rivelazioni e
divinazioni religiose. Ed è razionale perchè è in sé me-
desima processo, e svolgimento. Che se anch' ella come
tutte le manifestazioni della storia é un processo, é
mestieri applicare ad essa la universal legge storica e
sociologica della Scienza. Guardata infatti nella sua
storia ideale, anche la religione é innanzi tutto divinay
indi eroica, appresso umana. E giugne ad essere umana
quando la forma siasi potuta elevare a cotal grado di
trasparenza, che il simbolo palesi da sé medesimo
l'idea, e il mito siasi venuto elaborando così che rac-
* Non poco 8* illudono perciò quo' filosofi ohe, come il Cusano fra gli
antichi e il Rosmini fra i moderni, si sforzano d'applicare a Dio il concetto
delle categorie col fine di spiegarsi in qualche maniera il mistero della
Trinità. Io potrò intendere il Cardinal di Cusa dove mi dice che Unitcu,
Iditas e Identità» siano quasi i tre momenti dialettici interiori dell* asso-
lato. R potrei forse intendere il Roto retano quand'ersi studia mostrarmi
che Realtìk^ Jdeaìità e Moralità sieno le tre forme in che si determina
l'essere. Ma come intenderli quando il primo d'essi afferma che Vvnità
è il Padre, VegtiaglianMa il Figlio e la connessione lo Spirito, e quando
il secondo applica alle tre persone quelle sue tre sparute /orm« ontologiche f
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448 DELLA DOTTBTVA PILOSOFIOA. [lIB. n.
chiuda un vero metafisi(X) o morale che sia. Or se è
tale il valore del sentimento religioso nello svolgimento
isterico della civil società, perchè dirlo morbo della
mente, fiacchezza della coscienza volgare, abberrazione
della fantasia? Se dunque la ragion filosofica vorrà
attingere anche qui forma razionalmente positiva, ella
vi potrà giugnere a questo sol patto; che il concetto
metafisico ond' è capace, non abbia a contraddire in
modo assoluto ai portati della coscienza religiosa. £ se
la religione dal canto suo vorrà essere anch' ella po-
sitiva e razionale e perciò rispettabile e santa, potrà
essere tale a questo sol patto; che sappia porgersi alla
ragion filosofica siccome riprova e guarentigia, tuttoché
di natura istintiva ed empirica, ai pronunziati della
speculazione metafisica. Anche qui regna la gran legge
del concorso di forze combinate, e del loro corrispon-
dersi tanto necessario alla eccellenza del risultato. E in
tal caso religione e filosofia, serbando entrambe valor
positivo e medesimezza di contenuto, formeranno un
criterio al cui lume potrà esser giudicata ogn' altra
filosofia e religione. Una critica religiosa che si diparta
da questo principio, sarà critica infeconda ed erudita,
com' è quella de' Teologisti cattolici, ovvero critica esi-
ziale e sistematica com' è quella de' mitologi hegeliani.
Tal si è precisamente il nostro concetto metafisico
rispetto al ternario cristiano, che è il mistero piii com-
prensivo cui abbia saputo elevarsi la coscienza religiosa.
L'uno è correzione dell'altro, al modo istesso che questo
è, per così dire, guarentigia sperimentale del primo.'
* Qui abbiamo dovuto accennare solamente al simbolo della Trinità,
ma nella Sociologia mostreremo di proposito come la dottrina del Vico
su la natura ed origine del mito in generale, sia fondata anch'ella nelle leggri
del processo psicologico, e quindi racchiuda il concetto e la necessità della
interpretazione morale nell'ordine delle intuizioni religiose, e mitologiche;
deHa qual necessità il Kant, dopo il Vico, ebbe assai chiara coscienza
{Rdig, daiu le» lini, de In raiton). Ora ciò che qui preme osservare
questo: s^ col concetto metafisico del nostro filosofo si può acconcia-
mente interpretare il simbolo del ternario cristiano, ne scendono due
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OAP. X.] DSL PBINOIPIO METAFISICO. 44^
Concludiamo. Se è vero che la metafisica è scienza
non assoluta ma dall' assoluto, stantechè sia possibile
attinger notizia razionalmente positiva circa il fonda-
conseguenze: P che il Libro Metafisico f nel quale troviamo depositato
il germe del concetto riguardante il procesto ideale, sia intimamente col-
legato con la Seiema Nuova, appo cui la teorica sul mito (superiore
sotto più riguardi, come vedremo, a quella de* mitologi e filologi Tiventi),
non è che un' applicazione della sua dottrina psicologica, della quale noi
ahbiamo svolto i tratti principali: 2° che interpretando col suo concetto
metafisico il simbolo cristiano, in generale, e, in particolare, quello del
ternario, si viene a contraddire in modo serio e positivo al panteismo.
Anche per gli Hegeliani il mistero della Trinità, come ogn' altro mistero,
shnboleggia una verità filosofica. (Heobl, Phil. de VEaprit, t. I, ItUrod.
del Vera); nel che siamo perfettamente d'accordo. Ma l'interpretazione
alla quale costoro sottopongon la simbolica religiosa, anziché legittimare
in qualche maniera la credenza elevandola a significato filosofico, l'annul-
lano addirittura, perchè la rendono assai più inintelligìbile e parados-
sastica ch'ella stessa non sia come credenza. Idea, Natura e Spirito:
Padre, Figlio e Spirito Santo! Ma che cosa ci ha che veder la Natura?
Non è egli questo precisamente ìl vecchio concetto degli Alessandrini, di
Plotino, che pretendeva ritrovare nel Parmenide le tre famigerate ipo-
stasi dell' Unità, del Multiplo, e dell* Unità-multiplo, riponendo quest'ultimo
appunto nell'anima e nella natura V {Enn. lib. I, e. 8, trad. Boulliet).
L' interpretazione davvero potitiva e non già fantastica del contenuto
religioso, non deve e non può contraddire al simbolo (almeno per quel
tanto che esso contiene di filosofico), perchè contraddirebbe alla stessa
ragione. Or quest' elemento di verità, contenuto germinalmente nel sim-
bolo cristiano, riguarda per appunto il ternario considerato in sé; ri-
guarda il ternario assoluto, il ternario com'è richiesto dall'esigenza
metafisica positiva, e non già il ternario trasport-ato anche nel processo
della natura, e nello svolgimento della storia. Questa enorme confusione
fanno i Teologi, e la fanno anche gli Hegeliani con la lor teorica e cri-
tica della simbolica cristiana. Che cos' è il Dio che eeende nella natura?
Che cos'è il Figlio che si parte dal Padre per umanar»if Che cosa mai
sono il popolo eletto, i profeti, gl'ispirati, il mondo latino-cristiano? E
che cos' è la Idea che dall' astratta mansione dialettica scende anch' ella
e passa mediandosi nella natura e penetra nella storia? Che cosa sono
\6 funzioni storiche speciali de' popoli privilegiati, àQ* privilegiati perso-
naggiy del mondo cristiano-germanico? L' Hegolianismo è davvero una
contraffazione del più grossolano Cattolicismo! ò una mitologia anche
lui ! E quanti punti di contatto anche in questo, e specialmente in que-
sto, con la dottrina sociologica dei Comtiani! Il Vera ha detto bene:
il Positivismo i una contraffazione delV Heyelianismo. E noi alla nostra
volta crediamo dir benissimo (col permesso dell' illustre traduttore) che
r Hegolianismo è una contraffazione evidente del Cattolicismo. Ma di ciò
basti: ce ne rifnrorao altrove più riposatamente.
SiciLiAni. 99
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450 DBLLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. II.
mento e la ragion delle cose; se è vero, d'altra parte,
che il significato esteriore della storia della filosofia
occidentale sta nella lotta fra il Platonismo e TAri-
stotelismo, mentre il significato interno ed essenziale di
essi risiede nella correzione vicendevole de' due estremi
indirizzi aristotelici in quanto concorrono al trionfo del-
l'indirizzo medio: ne viene che nel concetto del Pro-
cesso ideale e nella relazione de' tre termini costituenti
la dialettica discensiva che abbiamo sin qui rapida-
mente interpretata nel nostro filosofo, trovasi non pure
il risultato e insieme l' inveramento delle tre posizioni
unicamente possibili in metafisica delle quali altrove
toccammo (pag. 444), ma l' inveramento altresì della
doppia esigenza deU'ùZga platonica e della categoria
aristotelica. Trovasi la correzione, come ci sarà dato
meglio vedere fra poco, del Dio platonico previdente e
provvidente, e dell' immobile Dio aristotelico che nulla
vede, nulla prevede e niente provvede nel mondo. E per
tutto ciò troviamo l'accordo fra il principio della me-
desimezza che prevale nel padre della Dialettica, e'I
principio della diversità che predomina nel padre della
Metafisica. Cìotesto accordo per noi è vero accordo, è
vera conciliazione, appunto perchè, come dicemmo, è
vera correzione: correzione dell'Idea, dell'essenza che,
pur sparata, dovrebb' esser l' essenza della cosa: cor-
rezione dell' Ji^o il quale, non ostante l'assoluta immo-
bilità sua, dee muovere il mondo come causa finale.
Quest'accordo e questa correzione trovano lor saldo
fondamento nel criterio della Conversione, elevato a
dignità di Pilicipio metafisico.
E questo medesimo principio metafisico può e deve
assumer natura, come si disse, di principio speculativo,
di norma, di criterio essenzialmente isterico, universale
e comprensivo, a poter saggiare e acconciamente pon-
derare la verità delle soluzioni che intomo al problema
metafisico han dato le diverse scuole, e le differenti
filosofie. Se ci fosse dato fermarci in siffatti riscontri
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CAP. X.] DEL PBINOIPIO MBTAFIBIOO. 461
storici, non sarebbe guari difficile mostrare come in
esso trovi correzione, per dir qualche esempio, 1' Ales-
sandrinismo; il cui rappresentante, Plotino, interpre-
tando erroneamente il metodo dialettico del Parmmide
e abusando dell' Unità parmenidea, non potè coglier la
ragione del vincolo che insieme annoda i suoi diffe-
renti generi del sensibile, co' suoi generi dell'intelligi-
bile, e siffattamente sfumò nell'iperpsicologismo plato-
nico pur credendo d' inverare l' Aristotelismo.* Questo
vincolo e questo passaggio non potè scorgere l'ingegno
profondo d'Erigena con l'ardito concetto della yuVic e
con le quattro diverse maniere onde per lui s'attua
la Natura; poiché giunto all'assoluta essenza, com'è
noto, ei se ne ritrasse invocando in sussidio la teologia
rivelata.* Né il Cusano, per citare un esempio del Ri-
nascimento, tuttoché con mirabile acume giugnesse a
cogliere il concetto àéìT alteritcLS e delle determinazioni
dell'Assoluto, bastò a dedurre acconciamente e neces-
sariamente l'attinenza verace onde il mondo è a Dio
congiunto,' e anche lui finì con intender l'atto crea-
tivo al modo che è posto dalla coscienza religiosa. Tanto
meno l'arditissimo Bruno potè imbroccare nel segno, con
la dottrina de' tre intelletti, quant' all'attinenza tra l'in-
telletto divino e l'intelletto che tutto fa; * e quindi
sfumò in quel suo naturalismo che potrebbe dirsi un
aristotelismo cui manchi il concetto dell'Atto in sé. Né
il Campanella giunse ad applicare in maniera dialettica
le sue tre primajità psicologiche all' Assoluto,' come il
Vanini non superò guari la dottrina della natura e
della forma de' peripatetici. Nello Spinoza poi, meglio
che dialettica, ci è meccanica e geometria; poiché il
concetto della sostanza unica' è negazione della tripli-
* Simon, BUt. cit lib. U, e IV. V e VIL
* Haubiau, PhU. Sool., ed. cit., t. I.
' Nio. DB Cuba, DicU. cU Pot§e9t.
* Bbono, Dial. II, De Prine.j oc.
* Camparblla, MetapKt lib. I, e. Ili, 8.
* SpurosA, £th.t I, n. U, 7.
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452 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
cita e d' ogni processo intimo e dinamico nelP Assoluto ;
onde il pensiero, che è uno de' due modi universali
della sostanza, riesce, con evidente assurdo, molto piii
che non sia la medesima sostanza. In opposizione alla
sostanza spinoziana sta la monade del Leibnitz. Ma se
nel concetto monadologico del filosofo di Lipsia vi è
una divinazione originale che la scienza moderna è ve-
nuta semprepiii confermando, voglio dire il concetto di-
namico, niun vincolo razionale e dialettico esiste tra la
gran Monade e T universo delle monadi, come altrove
dicemmo.' E per toccare finalmente de' moderni, niuno,
tranne gli adepti, vorrà creder sul serio che Hegel col
suo ternario assoluto ci abbia dato un concetto meta-
fisico positivo. Egli anzi ha cancellato aftatto il concetto
della conversione ad intra^ riducendo siffattamente il
dinamismo ideale ad un ideale meccanismo; talché il
processo geometrico della Sostanza spinoziana avrebbe
più d' un' attinenza col processo formale e dialettico
dell'Idea hegeliana. Alla vera nozione del Processo
ideale non sono pervenuti poi né il Gioberti, né il Ro-
smini. Il principio ctisologico del primo è senza dubbio
un processo, come vedremo fra poco : ma, appunto perchè
processo, non dovrà supporre forse un altro processo ante-
riore, e superiore? La dialettica giobertiana é Una dialet-
tica a metà; e il creatore del filosofo subalpino è troppo
accosto al suo concreatore, alla sua iitBì^ic^ al suo Intel-
ligihile relativo che, coni' egli dice, è l' Idea redw^ata,
V Idea per soìiificata;^ talché potendovisi facilmente con-
fondere, non poteva àgli hegeliani riescir guari difficile
tirarlo all' Idealismo assoluto.' Il Rosmini finalmente,
col concetto dell' ente iniziale e comunissimo determi-
* Vedi ciò che abbiamo discorso del Leibnitz nel lib. I, p. 180 e se^.
■ Gioberti, FU, ddla Rivdaz., p. 805.
' Al Gioberti manca e deve mancare, come vedremo fra poco, il vero
concetto della dialettica; e Io confessa egli medesimo là dove si prova
a distinguere una dialettica interiore, ed una dialettica esterna, (Protologia,
V. I., p. 629, ed. cit.)
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CAP. X.] DEL PBIXCIPIO METAFISICO. 463
nantesi nelle tre forme dialettiche, non è giunto, e non
poteva giugnere neanch' egli a sciogliere e poi rilegare
il vero nodo dialettico.' Com'è possibile un processo
fra quelle sue tre forme? Com'è possibile la distinzione
categorica reale del suo essere?
Capitolo Decimoprimo.
SUL MODERNO CONCETTO DELLA CREAZIONE.
Le cose discorse ci menano a due conclusioni quanto
chiare, altrettanto irrepugnabili: P L'Assoluto è il Vero
che si converte ad intra col Generato , e ad extra col
Fatto: dunque la posizione del Fatto è razionalmente,
liberamente necessaria : 2** U Fatto è V aUrOj è il di-
verso: ed è tale per doppio rispetto; come termine ^05^0,
cioè come Fatto semplicemente detto, e come Fatto che
si fa ; come sostanza e come causa : dunque il Fatto è
estemo al Generato, è indipendente da lui, non come
termine posto, bensì come Fatto che s'invera, come
Fatto che si converte con sé stesso e perciò nel Vero ;
insomma come sorgente perenne d'attività. Diciamolo
in altre parole. Dio crea il mondo in quanto lo pone ;
e il mondo, in quanto è posto come fatto, si crea. 11
mondo, adunque, appunto perchè ha natura di Fatto ,
appunto perchè ha natura di altro sotto gemino aspetto,
è insieme posizione e creazione. È posizione, in quanto
è termine di conversione con 1' altro, ciò è dire con Dio :
ed è creazione, in quanto è subbietto di conversione con
sé e per sé medesimo. Perciò se il Fatto non è creato
ma è postOy ne viene eh' egli ha da essere il vero pò-
nente, il vero creante sé medesimo.*
* Rosmini, Teotojia, toL I.
' La parola ponzione è brutta, io Io veggo; ma qui non saprei come
dire dÌTersamento per non restare avviluppato negli equivoci ed esage*
razioDi in che sono caduti gli ontologisti con V uso ed abaso deUa parolA
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454 DELLA DOTTBTKA FILOSOFIOA. [lIB. n.
Il mondo nel processo cosmico ci si presenta sotto tre
aspetti. Riguardato come Fatto, egli è in Dio. Riguar-
dato qual Fatto che s'invera e converte con sé stesso,
è fuori di Dio. E, finalmente, considerato qual Fatto che
si converte col vero nel regno della storia e della psico-
logia, non si può dir propriamente eh' e' sia fuori di Dio
né in Dio, ma Dio è in lui: é in lui nel senso che il
mondo è pensiero, scienza. Ragione spiegata. Ecco la cor-
rezione e insieme l'accordo del Dualismo e del Panteismo.
Non vi é unica ed assoluta sostanza: né vi sono due
sostanze poste empiricamente. Vi è bensì una dualità
formante unità: vi é due sostanze formanti organismo.
ertaMÌ4me. Nel g^reco non ini pare ci sia una voce che possa rendere il con-
cetto: anzi non ci può essere^ chi consideri come al pensiero ellenico manchi
r idea alla quale accenniamo. Tra VAtto puro e la dateria prima deir Ari-
stotelismo non ci è vincolo nel signifioato di potìnofu; ma t* è solamente
relazione di finalità, perchò VAtto non pone, ma attrae ; e attrae la materia
in quanto essa è jiotoiua, cioò in quanto è opi^i^ ; e però in quanto nelle
cose Tiene inserito il deeiderio con perpetua in/ueion% che è 1* interpre-
tazione erronea de* vecchi aristotelici e antiaristotelici (Rjlvaisbok, Me-
taph, ec , T. II, pag. 552). Neanche nel Platonismo ci è V idea della po-
sizione, e quindi nò pur la parola che vi risponda ; essendo noto come pel
filosofo d* Atene la materia sia anche eterna e al tutto indipendente dal-
l'ùlea, cioè un'assoluta recettività, iimeno intendendo Platone come si fa
d'ordinario: nò poi la fii9t^i^ e la yLl^junii^^ come toccammo, bastano ad
esprimerci il concetto della conversione. Il pensiero ellenico dunque non
pervenne a determinar nettamente l'attinenza (originaria, non finale)
tra l'indeterminato e l'Idea, tra V infinito e il finito, tra la forma e
l'Atto; e quindi non riusd, com'ò noto, a superare il Dualismo. Ora
trascendere il Dualismo è uno degli aspetti e però uno de' fini della lotta
fra il Platonismo e 1' Aristotelismo. L' Alessandrinismo tentò superarlo,
ma evaporò nel concetto dell' identità assoluta : e però neanche presso gli
Alessandrini sarebbe facile trovare nò il concetto, nò la parola che si-
gnifichi '1 vincolo originario tra il mondo e Dio. Gli Hegeliani usano
anch'essi, fra le altre non meno brutte, la parola poeizione, che anzi
costituisce il lor pane quotidiano. Ma per l' Hegelianismo poeizione vale
determinazione, medùizione, compenetrazione; e perciò, checché ne dicano,
esprime un rapporto di natura, per cosi dire, meccanica e formale. La no-
stra posizione è diversa dalle loro quanto il nostro Generato dalla loro Idea;
quanto la nostra convereione dalla loro contrappoeizione^ negazione, me-
dÌ€tzione e che so io. fe inutile avvertire che le parole bara, asa, vasàb
della letteratura ebraica, esprimon tutt' altro concetto di quello che noi
intendiamo significare con la parola poeizione.
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GAP. XI.] MODERNO OOKOITTO DILLA OBIAZIONI. 455
Quest'organismo è vita, non è morte fqueet' organismo
è profondo dinamismo, non è meccanismo. Ed è vita e
-dinamismo, perchè non è monismo assoluto; non è mo-
nismo inintelligibile, assurdo, esiziale alla scienza come
alla civil società.
E qui ci corre il debito di rendere giustizia alla
mente straordinaria del Gioberti, e correggere nel me-
desimo tempo la sua formola ctisologica. Anch' egli è
tal pasta d' ingegno che si svolge e s' allarga e s' in-
vera e si corregge; ma non per questo si contraddice.
La novità della Protólogia non istà nel concetto del
creare inteso come divenire, secondochè vorrebbe lo Spa-
venta. Se così fosse, egli, in verità, non avrebbe detto
nulla di nuovo; come nulla di nuovo disse nella Introdu'
jrìone col rinverdire la vecchia idea della creazione. La
novità .vera, la nuova esigenza del filosofo subalpino sta
nel concetto della concreojgione, com' ei suol dire ; della
cancrecunone intesa non già come fxsOf5«; dell'Idea verso
il mondo e rispetto al mondo, ma si del mondo verso
r Idea, e rispetto all'Idea. Perciò l'Ontologismo giober-
tiano va corretto ; va fatto più conseguente con sé stes-
so : e, scambio della celebre formola dell' Ente creante
l' Esistentey è forza porre la formola metafisica del Vico
nella quale è racchiuso quel vero e compiuto dialettismo
che r ardente scrittore del Primato andò sempre cer-
cando con ansia febbrile, e non trovò mai : cioè il Vero
che, convertendosi ad intra ed Generato^ si converte anche
ad extra col Fatto. La sua formola teleologica, poi, vuol
essere anch' ella corretta; e invece d'aflFermare che V esi-
stente ritoma alV ente (prima maniera), o che V esistente
concrea Venie concreando se stesso j è d'uopo dire che il
Fatto si converte nel Vero e col Vero, e perciò si crea,
e perciò si fa divino. '
* Il concetto ctisolo^'oo del Gioberti della prima maniera (e dico
marnerà per dir forma nello stiluppo, non già diversità di contenuto nella
sua dottrina, come Terrebbero gli Hegeliani), sta nel presentar V atto crea-
tiro siccome prodaconte T esistenza in quanto la individua. Nella Intro-
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456 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
Mi si chiederà : la seconda forinola, la formola cos-
mologica esprimente il vero concetto della creazione,
cioè il Fatto che si converte nel Vero, esiste ella nel Vico ? '
Esiste, io rispondo, per chi la sappia ritrovare, e dedurre ;
e dedurla e trovarla è negozio agevolissimo. Come la si
deduce? Considerando con accuratezza la sua formola
metafisica. Quando egli pone il Fatto siccome termine di
duzione il creare suona, a dir proprio, individuare. Che cosa in£atti ò
r individuo ? È V Idea pasMta dalla potenza alTaUo (t. II, ed. cit. p. 195).
Qui t;* ò dol neoplatonismo, e anche buona doso di panteismo. Della prima
maniera altresì è queir afTermare con tanta sazietà che T uno crea ti mi«l-
tiplof e che ii tntdtiplo ritoma aU^tmo: concetti yaghi, indeterminati ed
erronei che ci fanno pensare a Proclo e a Plotino. Se il Gioberti fosse
rimasto qui, non sarebbe stato ingegno potente ed essenzialmente cor-
rettivo di sé medesimo. Non sarebbe stato ingegno progressivo, fecondo
ed esplicativo. Ma se nella Protologia fosse giunto al concetto del divenire,
più che esplicarsi e* si sarebbe data la zappa su' piedi; si sarebbe cod-
tradetto: sarebbe passato dal bianco al nero, dal no al sì, da Dio alla Idea,
e siffattamente sarebbesi mostrato ingegno leggiero, pensatore sghengo e
anche un pò* vanesio. Era egli tale T ingegno del Gioberti? Lo dica chi
può ! Dunque l' A. della Protologia, se per nostro conforto fosse vissuto,
non sarebbe divenuto Hegeliano; anzi -avrebbe inaugurato novello periodo
filosofico in Italia conforme all'indole di nostra mente; ciò che non ha
fatto, e non poteva faro il Mamiani. II Ferri ha detto benissimo: la
teconda JUoaofia del Gioberti {che racchiude non già un nuovo 9Ì9tema, eib-
bene uno epirito nuovo)^ inaugura un altro periodo, la cui aorte i rieeronta
al futuro (Hist. cit., voi. II, p. 204). E davvero, se fosse vissuto, ci avrebbe
dato un Btnnovn mento filosofico, al modo stesso che ci dìo il RinnovametUo
civile col quale Inaugurò la nuova Italia, e del quale Cavour, dovremmo es-
serne ormai convinti, non fece che attuare il programma. Ciò non pertanto
anche nella Protologia si scopre l'uomo vecchio, VintuitUta, e però il neopla-
tonico schietto. Non dubita affermare, per esempio, che Videa pone il finito,
e 8i COMUNICA fv. 1, p. 4S4): che le idee formino in Dio una gela, la quale
9Ì «quaderna e pa^aa dalV as9oluto ed relativo merde V atto della creazione
(Id., p. 147): che V infinito attuale e V infinito potenziale, anziché due cote,
formino una sol cosa, ma sotto doppio aspetto (p. 440 e seg., special-
mente 159): e che l'infinito potenziale non è né il finito né 1* infinito,
ma la sintesi di essi (p. 427), non {scorgendo il grand' uomo come finitò, e
infinità potenziale non siano già due cose, ma due aspetti d*un medesimo
subbit'tto, ciò è dire il Fatto in quanto è alterità verso il Generato, e
verso se st-csso. Or le contraddizioni da cui bisogna salvare il Gioberti
nella sua seconda maniera di filosofare sono queste, non quelle che ci
veggon gli Hegeliani. E bisogna salvamelo appunto, per liberarlo dalle
tracce d* iperpsicologismo, di neoplatonismo, di alessandrinismo, d'ara-
bismo e d' hegelianismo che pure contiene.
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CAP. XI.] MODERNO OONOBTTO DELLA CEEAZIONB. 457
conversione col Generato, cioè il Fatto come Fatto, come
posto; con ciò stesso ei ci dà questo Fatto come sub-
bietto che essenzialmente si converte con sé medesimo ;
cioè come creante sé, come autogenito, come conato, E
come poi ritrovarla cotesta formola? La ritrova chi
abbia occhi in fronte ; cioè leggendo la Scienza Nuova. La
quale è per l'appunto un'applicazione di essa, ma è un'ap-
plicazione al mondo de' fatti umani, eh' è dire d'ima
parte, d'un genere, del sommo genere del Fatto. Che
cos'è il Certo che diventa Vero? Che cos'è V Autorità
che a grado a grado assume forma e valore di Ragione?
Che cos' è la Filologia che diventa Filosofia? Che cos'è
la storia, l' uomo, lo spirito che dalla fase divina passa
alla fase eroica, e dall'eroica all'wwana.^ Che cos'è il
pensiero, la Mente che è Senso^ poi Immaginaeione e
poi Ragione?^ Taluno potrebbe dire: di cotesta for-
mola il Vico non fece applicazione al mondo della na-
tura. Neanche questo è vero. E non vero, i)erchè non
solamente quest' applicazione ci è dato dedurla, al solito,
dal suo principio metafisico, ma, che più rileva, ei n' ha
lasciate tracce visibilissime, germi assai fecondi ne' suoi
principii cosmologici, come vedremo appresso. Torniamo
al proposito.
Dato alla creazione il significato e il valore che noi
diciamo, ne vengon fuora parecchie conseguenze le quali
verremo accennando man mano. La creazione non è, per
parte di Dio, né una deduzione, per dir così, né un' in-
duzione. Per dedurre il mondo, egli dovrebbe cavarlo
da sé : assurdo grossolano. Per indurlo, poi, dovrebbe
cavarlo da una materia preesistente, ovvero dal nulla.
Una materia preesistente senz' alcuna idea, un ricetta-
colo indeterminato, come lo concepisce il Platonismo,
riesce inintelligibile, e ci lascerebbe in pieno dualismo.
Dal nulla come tale, nel che sta il concetto balordo dal
pietoso credente, tanto meno. Si dirà esserci la potenza
* Vedi a qaesto proposito quel ohe abbiamo discorso nel Cap. V
del Ub. U.
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458 DILLA DOTTBIVA FILOSOTIOA. [lIB. n.
infinita attuale? Benissimo : quest'Atto ha da esser Oene-
rato; e, in quanto è Generato, pone il fatto, educe il fatto
per necessità razionale, e quindi per legge di conversione.
Se dunque lo educe per necessità intima e razionale, veg-.
giamo scaturire una seconda conseguenza, ed à che un
mondo particolare, contingente e d' ogni parte finito e
mutabile e scorrevole, senz' altra necessità fuorché quella
d' un beneplacito divino, contraddice apertamente alla
ragion filosofica positiva, nonché ai risultati sicuri della
moderna scienza fisica, geologica, cosmologica, astrono-
mica. Se il mondo, anche in sé medesimo, é una conver-
sione di sé con sé stesso, non può non esser necessario
nella sua esplicazione e nelle sue leggi, appunto perché
essendo termine di conversione d'una causa eh' é men-
te, debb' essere anche lui causa, mente, razionalità. U
mondo, in somma, é posto razionalmente. Dunque Tatto
col quale Dio pone cotesto mondo é liberamente neces-
sario, e necessariamente libero.*
* Dicemmo qual relazione corra fra libertà e ragioue (Gap. V, Lib. II).
Se Tatto volitivo guardato nella sna radice, secondo la legge del processo
psicologico, non è altro in generale che uno «/orso (Tintenderef cotesto
sforzo, che in noi ò impedito perchè essenzial conato, nelP Assolato non può
aver luogo, e quindi è speditissimo. £cco il fondamento della necessità
della creazione. Ma la sapienza infinita ! si dirà: chi ne misura gli abissi?
Lasciamo gli abissi: qui la faccenda è chiara, perchè ce ne porge gua-
rentigia la psicologia : gli abissi ci sono, pur troppo, ma non qui ; e qui
ci sono, perchè ce Than messi T ignoranza, il pregiudizio e T immagina-
zione. Nò si creda che togliendo a Dio la libertà (anche quella a n«oem(ate
natura), ella rimanga distrutta altresì nelPuomo. Innanzi tutto non è vero
che si tolga a Dio U libertà; anzi gli si dà la libertà vera, dal momento ohe
si concepisce come vera e compiuta ragione. L* uomo è ^rt»eep«ro<»oiiù:
dunque non è assoluta libertà. Ma Tuomo è ragionevole: dunque può
esser libero; e come tale, direbbe St. Mill, può creare d earaUere, eh* è
la creazione davvero umana, tutta nostra, tutta individuale. — Eccoci
dunque (si replicherà) nel destino : eccoci nel fato, ovvero neir equazione
tra libertà e razionalità : non se n* esce ! Destino e fato no, davvero, per-
chè qui siamo nel regno della mentalità; e mentalità è anche la natura,
come diceva Aristotele, appunto perchè è natura. Quant* alla famigerata
equazione, poi, è un'altra faccenda. Per Hegel siffatta equanone o com-
penetrcutione deve nascere ultima, in quanto che suppone il processo della
Nahiray e perciò suppone anche la Idea; ed ecco perchè egli invoca e
deve invocare, come ultimo sostegno, la necessità dialettica che risale
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GAP. ZI.] MODSBNO OONOBTTO DSLLA OBIAZIONB. 459
Data al mondo Y attività creatrice, rimane profon-
damente modificato, trasfigurato, il concetto della prov-
videnza. Se il Vero convertendosi col Generato si con-
verte altresì col Fatto in quanto lo pone, accade che
l'Assoluto rispetto al mondo debba esser principio e
mente che vede e prevede, ma non per questo prov-
vede. Se come Generato egli è visione lucentissima, ne
viene che cotesto vedere, che cotesto conoscere, sia an-
che fare, in quanto pone il mondo come fatto. Ma
questo medesimo vedere è anche un prevedere, in quanto
la visione penetra nella possibilità del fatto ; in quanto
penetra nel processo, nella conversione stessa del fatto :
ma non può essere un provvedere, perchè ove così fosse
ei noi porrebbe cotesto mondo, cioè non si converti-
rebbe con lui, bensì lo creerebbe addirittura; per cui,
novello ^t^«ou/)70f, porrebbe il fatto non solo come
r altro da sé (tò itì/)ov), ma eziandio come un altro
in sé (to aUo), e perciò si compenetrerebbe con lui;
perciò sarebbe anche lui. Che cosa quindi ne segui-
rebbe? Precisamente questo: ch'ei farebbe quel che
non può fare; ch'ei sarebbe quel che non può es-
sere; e cod, essendo ad un medesimo tempo Generato
e Fatto, Dio e Mondo, e non già conversione dell'uno
con l'altro, non sarebbe né l'una cosa né l'altra, e
s'annullerebbe senza rimedio: contraddizione che soia-
air Idea. Anche per noi tal necessità è dialettica; ma è dialettica in
quanto è razionale altresì nella sua origine. Ed è razionale e reggente
e non meccanica e non logica e non astratta, per la semplicissima
ragione ch'ella ritrota la sua propria sorgita non già in nna Tuotaldea,
anzi in ona mente piena, pienissima, nella Menu. Nel qaal senso il Brano
non ebbe torto d* affermare, che la necessità in Dio non sia cosa ditersa
dalla libertà, e ch'egli operi per neee»9ità di $ua natura: « Infinita vir-
tutf 8Ì ncque a teipta ySnthir, nee ab alio, tunc neeetntate 9ua naturcB
agit. Non agU neeeentate naturcB alia a te et eua voluntate^ in eorummo-
rem quce neceeeitati eubeunt ; eed ipea ett {ut ecepe dieimu») neceetitae. Agit
ergo n^xentatef qua neque ab intrineeco et per te, neque ab cxtrineeco et
per aliud fruttrari poteet. Non primo, quia non poteai aliud eeee atque
aliudj non tecundo^ quia ieta necettitaa rdiquorum omnium lex eet. {De
Imm. et Innwmerab. lib. I ; e. XII.)
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460 DILLA DOTTMKA FILOSOFICA. [lTB. H.
mente fi^li Hegeliani hanno la singoiar fortuna di ca-
pire : felicissimi loro ! *
• Ma un Dio non provvidente (si dirà) non è egli un Dio impotente?
Precisamente il contrario. Egli davvero sarebbe impotente ove fesse
provvidente. E sarebbe impotente, percbè gli toccherebbe a far la con-
traddizione, il nulla. Se V atto umano ò libero in quanto può essere e
può non essere (libertà (T elezionef libero arbitrio, eh* è la libertà propria
dell'animale particepg rationi«)^ ne verrebbe che Dio, prevedendolo, cono-
scerebbe ciò che può essere e può anche non essere: il che vuol dire,
eh* ei conoscerebbe il nulla. In quest'ordine di cose Dio può provvedere,
e provvedere sul serio, ma ad un sol patto; che, cioè, provveda col non
provvedere. Provvedere è procacciare il bene; è procacciare il bene con
tutt* i mezzi,* per tutte le vie, con tutta la possibile energia. Ma 8*ei
facesse tutto questo, il libero arbìtrio non {sfumerebbe addirittura? Certo,
Dio vede l'atto umano: ma come Io vede? Lo vede in quanto è razio-
nalmente libero; e perciò lo vede in quanto è liberamente necessario.
Dunque lo vede nella sua razionalità, nella sua idealità, nella sua per-
fezione: che vuol dire lo vede in so medesimo, non già nell'uomo. An-
cora: se Dio prevedesse le azioni umane, ne verrebbe questo; che pre-
vedendo Tatto immorale, egli, che è infinitamente buono, dovrebbe non
volerlo. Dunque non dovrebbe creare, ne porre il mondo. Ma non abbiamo
detto che s'egli ha da esser davvero l'Assoluto, vero principio dialet-
tico, è d'uopo eh* e* si converta col Generato, e, convertendosi col Gene-
rato, dee convertirsi necessariamente anche con un fuori di sèV Perciò
una delle due: Dio è egli provvidente? Dunque è impotente. È egli pre-
vidente delle azioni pro))rìamente libere? Dunque annulla la libertà umana,
che vuol dire distrugge l'ente umano. — Da ultimo si dirà: ma un Dio
che non provvede, non è egli un Dio immutabile, immobile^ seduto ««7 trono
deserto d' un^ eternità eilenzioea e vuota f Anzi egli è perenne sorgente di
moto! Egli è il vero moto dd moto,h l'assoluto Moto, e però l'assoluta
Quiete; il vero Motore ImmobiU. II quale non potrebb' esser tale, ove
non fosse ad un'ora istessa conversione con sé, e con Y altro; talché col
solo porre il mondo, egli è già presente al mondo, egli è già col mondo,
ma non è, e non può esser nel mondo. Non ci è dunque un mondo di
qua, e un Dio di là. Non ci è un infinito di su, e un finito di giù. Non
ci è una cagione dall'alto e un effetto nel basso. Ci è il Vero e il Fatto,
ripetiamolo, formanti insieme un organismo. Ci è una dualità in unità;
e però differenza e medesimezza. Brevemente: Dio pone il mondo non
già con un atto, ma lo pone per ciò solo che egli è; per ciò solo che
esiste. Egli è atto, è l'atto per eccellenza; e però è Vero e Generato
insieme: dunque, come tale, non può non creare l'universo. Ora se lo
crea in quanto è, e non già con un atto, ne seguita che il mondo ha
da esser posto come potenziale anziché come attuale.
Da questo nostro discorso può vedersi come sia mestieri correggere
la causa efficiente e la causa finale tanto dell' Aristotelismo, quanto dei
Platonismo. Videa platonica, come dicemmo, non solamente produce la
cosa, ma la fa, ma la scorge nella sua generazione; e quindi lucidando
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GAP. XI.] M0DEB170 OONGETTO DELLA CBEAZIONE. 461
Se dunque il mondo è Conversione del Fatto nel
Vero, e quindi creazione intima, attività essenziale, per
ciò stesso è Provvidenza. E poiché i Sommi Generi delle
cose, come vedremo, son tre, ne viene che la provvi-
denza ha da esser naturale e tìsica, organica e fisio-
logica, umana e storica. Con la dottrina del Vico si
toglie a Dio la provvidenza ; e così, mentre si assicura
all' uomo la libertà, gli si lascia intera, assoluta la re-
sponsabilità delle proprie azioni. Teologisti, Hegeliani e
Positivisti riconoscon nell' uomo la responsabilità ; ma
nel fatto la disconoscono. Il teologista la disconosce, la
nega per doppio modo: la nega col concetto della grazia;
la nega col concetto della colpa originaria che trasmet-
tesi di padre in figlio. L' Hegeliano poi, tuttoché presenti
cotesto problema adomo delle solite lustre squisitamente
razionali, in sostanza disconosce, nega, distrugge la li-
bertà, stantechè per lui tutto sia necessità dialettica,
logica, formale. Il positivista, finalmente, com'era d'aspet-
tarsi, r annulla in maniera grossolana e con assai poca
grazia, in quanto che vi sostituisce la necessità biologica
e meccanica. Nella Scienza Nuova la libertà è razionale
e naturale. La sua frase consacrata, che vai tutto un
in questa, per così dire, un disegno già fatto, accade ch^ ella deMa es-
sere essenzialmente esemplare. Per T Aristotelismo, invece, cotesto dise-
gno non TÌen fatto in quanto è guardato^ ma lo si guarda facendolo.
Ecco la grande idea d* Aristotele. La natura per lui è un principio essen-
zialmente dinamico. È un principio avente in sé la propria determina-
zione, e quindi racchiudo in sé germinalmente tutte le forme successive.
e perciò la natura è principalmente forma, {Metaf.f trad. Bonghi, e IV,
pag. 2:35.) Sennonché tale concetto dell* Aristotelismo vien guasto dalla
esagerazione ond'è concepita la causa finale; in quanto che To^osHc^,
come osservammo di sopra, è infuso^ è determinato dal fine, non già deter-
minantesi di per sé stesso. Ora la correzione della eansa efjiciente e della
causa finale y tanto nel Platonismo quanto neir Aristotelismo, sta nella
doppia formola del Vico. Laonde per chi accetta questa doppia formola,
sono un controsenso tanto il concetto d* un Dio solitario assolutamente
Imprevidente e improwidente, quanto quello d'un Dio padre, generatore
e artefice del mondo che sia veggente, previdente e provvidente in modo
assoluto. V indirizzo mediof e perciò l'indirizzo davvero positivo della
speculazione sul problema otisologico, sta proprio qui.
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.462 DILLA BOmtlHA FILOBOFIOA. [lIB. n.
sistema, è questa: rèbus ipsis didantS>us.*^ Non v'è dun-
que destino : il destino è la natura e la ragione ; e ap-
punto perchè il destino è natura, perciò è lungi d'esser
cieca necessità.- Tutto quindi è provvidenza nella mente
del Vico, perchè tutto è creazione, attività intima, pro-
fonda, spontanea si nel mondo fisico, e rì nel morale;
né senza ragione volle metterla in cima alle sue discor
verter La provvidenza agli occhi suoi apre e chiude
il circolo della scienza, non meno che il processo della
Storia. Ella perciò è innanzi tutto naturale e divina,
appresso eroica , da ultimo umana. La provvidenza
umana è la stessa ragione, la quale non può non essere
libertà: essa dunque importa pienezza di responsabi-
lità. La provvidenza è il primo de' tre grandi princi-
pii, 0 sensi comuni ddV umanità: ed è altresì l'ultimo
corollario della mente del filosofo. La Provvidenza dun-
que è principio e fine della storia umana, al modo
istesso eh' è dedica e conclusione della Scienza Nuova.*
* E anche quest* altra : ab ipta rerum humatuxrum natura. (De Oon$t,
Philel e. XL)
* Il coDCotto del Vico è concetto aristotelico; e così infatti 1* Afro-
dìsio interpretava la neceasìtà Jinea e naturale d'Aristotele. (Ved. Noo-
BI8S0N, De la UberU et du Haaard, E$8a% sur Alexandre d'Aphrodina» ec.
Paris 1870, p. 43, 98.)
* Ved. Tavola delle Diteoverte nella Prima Seien»a Nuowu
* Perciò chiama il soo libro una teologia civile e ragionata déUa
Prowedema divina (Sec. Se. Nao., lib. I) ; e più d' ana volta si dà Tanto
d'aver prodotto una nuova dimostrazione, una dimostrazione di fatto
ittorieo circa V esistenza di Dio. Che cor' ò questa dimoetratione di fatto
ietoricot t! la provvidenza in quanto è Fatto, in quanto è creazione. &
il Fatto che si converte con so stesso, e mostra quel che è, quel che
contiene, quel che debb' essere; e così, mostrando sé stesso, mostra anche
Dio. Perciò la provvidenza non ò Dio che si mostra, Dio che interviene ;
ma ò il mondo delle nazioni che attuandosi, che creandosi e edébrando
così la propria ìvatwra, si mostra sensatamente, e si manifesta come ter-
mine di conversione. Indi è che la provvidenza per lui non può essere
un argomento induttivo dimostrante l'esistenza di Dio, appunto perchè
ella nel mondo, anziché effetto, ò una causa. Questa sua dimostra-
zione di /atto ietorico, dunque, è una forma dì eduzione, non già di sem-
plice induzione : col che confermiamo anche una volta la natura del
metodo vichiano. Ora se questo è il significato (significato davvero nuovo
e originale) del concetto della Prowidenaa n^U' A. della Scienza Nuova,
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OAP. XI.] MODSBNO OOKOBTTO DELLA OBIAZIONB. 463
n concetto ctisologìco inteso al modo che noi lo in-
terpretiamo nel nostro filosofo, si presenta come il ri-
saltato del mondo moderno. È la vita stessa della scienza
moderna: è il gran secreto della filosofia positiva: ed
è l'esigenza massima della Sdenea Nuova. Chi non
Faccetta, deve negare il presente, dee dare una smentita
alla storia; e sarà condannato a indietreggiare sino al
medio evo, per non dir già sino alla Grecia. La formola
cosmologica del nostro filosofo corregge e trascende, anche
in questo, il Neoplatonismo italiano moderno, ponendo
non è a merarigliare s*egli in ciò sia stato franteso e interpretato assai
male, come vedemmo, da certi saoi critici. Notammo già come lo Jan-
nelli fosse il primo ad osserrare, che nella Seiefìxa Nuova tale concetto
può intendersi in dne sensi ; e V acato archeologo napoletano non s' in-
gannata. Talora infatti sembra che la Provvidenza, pel Vico, abbia a
consistere solamente nelP azione di Dio. È la Provvidenza, per dirne
un esempio, che eccita Atejo Capitone e Lahtone; il primo nella gdoèa e
tenace cuttodia de^ vecchi diritti, e il secondo nel propugnare interprc
tOMioni tempre nuove affindii la romana ffiurieprudenMa potetèc evtdgerai.
{De Univ, Jur,, VII, CGXII). La provvidenza egli invoca per iepiegare
la rapida e univereale comporta del Cristianesimo merco la civiltà ro-
mana; la quale perciò altro scopo non avrebbe avuto nel mondo, fuor-
ché quello di schiuder la via ali* idea cristiana. (Ibi, OCX VIII). Or tutto
ciò contraddice ali* esigenza del suo metodo, ed è in aperta opposizione
con la sua dottrina metafisica. Lo stesso religiosissimo Jannelli, il quale
del resto non avea nò punto né poco subodorato il valore della filosofia del
suo maestro, non dubita affermare, che se per prowidenxa neUa Scienza
Nuova •»* vuole intendere eolo V axione di Dio eugli uomini, Mora non pare
che n faccia altro che una lemone di teologia poco neeeeearia ai Cattolici,
ami ai Crietiani e a tutti gli eneeri ragionevoli. (Op. cit., p. 161.) Provvi-
denza dunque, pel Vico, vuol dire natura. Provvedere è fare, è creare, ò
attuare ; dunque è incessante e vivace conversione del Fatto nel Vero. Per
lui quindi è Prowidenxa T itetnto, laddove, parlando dell* origine della pa-
rola 2ex, dice che gli uccelli nidificano pretto le fonti. {De Vniv. Jur., p. 142
nella nota.) ^ provvidenza il pudore, onde procede la frugalità, la tem-
peranza, la giuttÌMia, e simili {De Contt. Juritpr., I[I).*È provvidenza la
storia della poesia, e le false religioni. (Ibi, XIII). & provvidenza la forma
monosillabica delle lingue (XII). È provvidenza lo teoppiar de* primi tu-
multi deUe plebi nella terza età del Tempo Oteuro (XXII). È per provvi-
denza {rebut iptit dietantibut) che le religioni cominciano a venire in dis-
pregio (XXVIII). È prorvìdenn {rebut iptit dietantibut), 1* origine dell* arte
della guerra e della pace (XXX). fe provvidenza che le Centi Minori
apprendano dalle Centi Maggiori; ed è provvidenza la templieità e na-
turalcMM Oud*ò condotto U corto ddC umanità (Sec Se. Nuo., p. 882).
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464 DILLA DOTTRINA FTL0S07I0A. [lIB. IL ,
a nudo le magagne del concetto creativo del Teologismo,
nonché dell' Hegelianiamo e del Positivismo: che vuol
dire, al solito, corregge i due estremi del filosofare, iperpsi-
cologismo ed empirismo. Di fatto che cos' è per l' Hege-
liano la creazione? È V identico in guanto si differendo.
Dunque non è vera creazione, svolgimento, processo;
ma ripetizione ritmica e, come dire, inquadrata sovra
un medesimo fondo che è la Idea. Pel Positivista il
moto, la vita e l' essere delle cose non è che trasfor-
mazione di forze, o di materia; trasformazione fisica,
meccanica, biologica; determinismo affatto meccanico,
affatto accidentale, affatto cieco. Dunque anche per
lui la creazione è ripetizione monotona d'un identico
subietto.
Con la formola cosmologica del nostro filosofo, inol-
tre, si giugne a conciliare le esigenze legittime del Tei-
smo e del Panteismo su la natura del mondo. Nel Pan-
teismo vi è un'affermazione giusta e ragionevole; ma vi
è pure una negazione iriragionevole, erronea ed esiziale.
L' affermazione risguarda lo svolgimento d' un principio
interno e divino nel mondo, e nella natura. La nega-
zione poi riguarda un'efficienza sovramondana, che come
intelletto amore e potenza ponga il mondo e la natura,
e sia presente al mondo e alla natura. U Teismo gros-
solano e volgare contraddice al Panteismo col porre l'ef-
ficienza sovramondana ; ma non sa intendere per nulla
il divino della natura; non capisce il divino anche nel
mondo. L'affermazione del Panteismo è l'esigenza del-
l'Oriente, e, in parte, dell'Occidente; della scuole jonica,
eleatica, pitagorea, stoica, alessandrina ; poi delle grandi
intelligenze d'.Erigena, del Bruno, dello Spinoza; ed è
anche l' esigenza dell' Hegelianismo. L' affermazione poi
del Teismo beninteso, è principalmente un portato della
speculazione occidentale, perchè è 1' esigenza profonda
della metafisica platonica, e della metafisica aristotelica.
Panteismo e Teismo, dunque, oggi sono di fronte; perchè
essendo pervenuti entrambi al più alto grado di specu-
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OAP. XI.] MODVBNO CONCETTO DRLLA CIUEAZIONK. 465
lazione, ci porgono due forinole nette, chiare, spiccate:
V Essere, il Non-Essere e il Divenire, da una parte : D
Vero, il Generato e il Fatto, dall' altra. Or V afferma-
zione, r esigenza ragionevole del Panteismo è inclusa
nella formula cosmologica del Vico, e, che più importa,
vi è anche corretta. L'affermazione e l'esigenza ragio-
nevole del Teismo, poi, trova correzione e inveramento
nella formola metafisica dello stesso filosofo. Quant' alla
parte negativa, cotesti sistemi sono da ripudiarsi en-
trambi. Se il Teismo ignora il vero concetto di natura
e però disconosce il divino e perciò stesso disconosce la
creazione autonoma del mondo; il Panteismo, alla sua
volta, disconosce la vera natura di Dio, e perciò disco-
nosce la vera natura dell' uomo, e cosi viene a distruggere
la grandezza e l' eccellenza dell' umana personalità.^
Se intanto la creazione è un processo, cioè dire il
Fatto che si converte nel Vero, si può domandare : in che
maniera s' attua cotesto processo? In altre parole: come
avviene che la creazione diventa provvidenza?
Il modo con che s' attua la creazione potrà dircelo
solamente 1' esperienza: ce lo potran dire le scienze di
natura, e le discipline istoriche in generale. Ma anche
nella soluzione del problema cosmologica sbagliano, tanto
quelli che tutto vogliono indurre, quanto quegli altri che
tutto pretendono dedurre. Oggi non è permessa una dot-
trina cosmologica empirica; e tanto meno è permessa
una cosmologia che, fabbricata a priori, si rimane cam-
pata a mezz'aria. La filosofia cosmologica potrà attinger
valore positivo e razionale ad un sol patto; che, cioè, il
pronunziato generale ch'ella potrà fornire alle scienze
le quali si travagliano intorno alla ricerca delle leggi
da Stuart Mill appellate empiriche, sia del pari, o possa
essere, il risultato complessivo e finale delle scienze stes-
* Giastissime qaiodi le parole d*aii valoroso sorltlore moderno:
« (Tttt ùonire le panthéitme que tou» eeux qui retUM ^i>rit de la vrai
grandéur de Vhomme doivent »e riunir et eombattre, > (Tooqukvillk, De la
VemoeraHe en Amerique, Paris, 1850, 18* ed., T. Il, P. I, o. VIL)
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466 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA^ [UB. II.
se. La metafisica positiva altro non sa darci, salvo che
la legge della conversione come principio della essenzial
costituzione del Fatto. Quant' al modo poi, ella non sa,
ella non può assegnar né regole ritmiche, né tricotomie
a priori di nessuna sorta. Che se anche qui per avven-
tura è possibile un accordo e una rispondenza tra la
speculazione del filosofo e V osservazione induttiva e de-
duttiva dello scienziato, in verità non si cerca di me-
glio. In cosiiFatto accordo si avrà la guarentigia più
sicura dell' ottimo indirizzo cosi dell' una come dell' al-
tra sfera di scibile.
Se il Fatto à il diverso, non solo considerato qual
termine di conversione col Generato, ma anche avvisato
in sé stesso, avviene che, nel convertirsi con sé mede-
simo, e' debba manifestare varietà di momenti e pas-
saggi e transiti, e quindi intervalli e tjontinuità nel-
r esplicazione delle sue forze. Vuol essere insomma, ri-
petiamolo, un vero processo, che è dire svolgimento,
conversione, creazione, anziché una serie di semplici
trasformazioni e d' increscevoli rimutamenti di forma.
Vuol esser quindi un passaggio incessante ed essenzial-
mente dinamico dalla potenza all'atto, dall'omogeneo
all'eterogeneo, per usare anche qui la frase dello Spencer,
dall'indeterminato al determinato, e però dal genere alla
specie, e dalla specie all' individuo, per finire nell' indi-
viduo capace d'essere o di rappresentare insieme nella
sua virtù il genere e la specie. Tre sono i Sommi Gre-
neri del Processo cosmico; e altrettante le fermate o,
per così dire, i momenti dell'attività creatrice. Tre
sono dunque i processi speciali e differenti attraverso a
cui il Fatto si fa, e che potremo appellare Fisico, Orgor
nicOf e Storico-sociologico od umano; e tre sono quindi gli
anelli della gran catena; Forza, Vita e Pensiero. Fra
questi tre processi ci ha differenza e medesimezza, e
però intervalli e continuità: ma né questa continuità è
di natura materiale, né quell' intervallo é un semphce
passaggio alla maniera che lo intendevano e lo inten-
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OAP. XI.] MODBBNO CONOBTTO DELLA OBEAZIONI. 467
dono, come notammo, gli aristotelici empirici, ed i mo-
derni materialisti (p. 359). Fra il processo Fisico e il
processo Organico, per esempio, ci è continuità ideale,
e quindi intervallo reale ; stantechè non sia la Forza
che diventi Vita, né la Vita che diventi Pensiero, ma
è la forza che passa ad esser vita, e la vita pensiero. E
nel pensiero compenetrandosi non già sovrapponendosi
od assomandosi le prime, abbiamo nel medesimo tempo
r attuazione della forza, e della vita. Il passaggio quindi,
come accennammo, non è semplice trasformazione, ma
è transito, è passaggio nello stretto senso della parola
(iyipyetò: aTi>>i;), eduzione (eductio entìs ad actum)y e
perciò creazione. Se intanto nel passaggio vi ha inter-
vallo, cotesto intervallo non è egli davvero un salto che
fa la natura? L'intervallo superato dalla stessa natura
è precisamente la conversione del Fatto nel Vero; è
r energia creativa; è il vero passaggio dal nulla all' es-
sere, dalla potenza all' atto: ed ecco il significato della
creazione ex nihUo. Dunque l' intervallo per noi non è
(come altrove toccammo) quel che per gli antichi era i)
diastema e il cenon; negazione, vuoto, nuUa. È anzi
pienezza d'essere, attuosità vivace, conato (to Juvarov),
perocché ci rappresenta il momento in cui la continuità
ideale tende a diventar reale. Ai due capi della catena
poi vedemmo esserci due intervalli ; psicologico l' uno,
e metafisico l' altro. U primo dicemmo potersi superare
mercé la dialettica ascensiva, poiché qui il Fatto, già
convertitosi con sé medesimo e perciò divenuto forza
vita e pensiero, si converte quinci col Vero, eh' é dire
col Primum Verum metaphysicum : mentre il secondo
é superato dall'essere stesso con la dialettica discensiva,
secondochè ci addimostrano la formola metafisica e la
formola cosmologica del Vico.
Queste sono le due leggi universali, o meglio, le due
condizioni dell'attività creatrice di natura. In virtù di
esse é possibile una scienza cosmologica razionalmente
positiva, poiché in esse sta il nodo di que' dibattati
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468 DELLA DOTTRINA FTLOSOFIOA. [LIB. H.
e YÌtali problemi su la generazione, su la genesi spon-
tanea, su l'origine delle specie. Né il Platonismo, né
r Aristotelismo, né alcuna dottrina che risalga a queste
due sorgenti, ci potranno dar mai questa doppia legge.
Nell'uno fa difetto il concetto del processo; nell'altro
questo processo, ripetiamolo, è passaggio empirico> mec-
canico, generativo, ovvero logico e formale.'
Ammessa quindi la legge dell' intervallo nell' atti-
vità creativa di natura, verremo capaci di correggere
il vieto concetto cosmogonico del teologismo e dell'em-
pirismo. Il vecchio naturalista contro il teologista pro-
nunzia, che natura non fadt saltum. A salvare il Deus
machina il teologo risponde, che natura fadt sattum;
e questi salti per lui sono altrettanti atti immediati
del Demiurgo. Ora la verità non istà dall' una, né
dall' altra parte. Naturalisti, sperimentalisti, determi-
nisti, positivisti hanno ragione a non credere ai salti;
ma non ha torto il teologo se dice che la natura pro-
cede per creazioni ed atti creativi diversi. Il positivo
qui dove sta? Neil' accettar l' una e l' altra afferma-
zione, e correggerle entrambe. La natura, certo, non
fa salti; non v' essendo ragione perché ella non pro-
ceda continua nella ricchezza e fecondità delle sue pro-
duzioni Ma eccoci al punto 1 Questa continuità (conti-
nuità materiale, fisica, sensata) ha luogo entro la sfera
* Ma anche in questa dottrina Aristotele potrebb* essere difeso,
chi lo interpretasse benignamente. Se pel Platonismo 11 divenire e il
generarsi, ha luogo per 1* essenza, per l' idea che attua la cosa e la scorge
e la determina; per Aristotele, al contrarlo, 1* indeterminato procede al
tUterminato qucdUativo per sua propria energia. Fra i molti passi che
potrei addurre mi contento di questo che si legge nel Lib. VII della
Metaph.: Uòrtpov ouv iv^i tic (Ttfatpa uxpot. raqSi Xf oixiu vK^pct
TOtc oXcvdouC} i 01» J* av aoTf iytyvexoy ti ovtwc tJv, róSt ri;
àXXa tÒ Toióv^c vrifjLaivtiy róSt Sé xai (upurixivov oux tf(r7(v,
àWà trotcì xac' 7evvà ex totJ^s rotov^s • xat orav 7«vv>30i7, Ìt^i
ro$t rotòvBt. È nna prova di più, come si vede, della possibilità di
rintracciare e dimostrare nell'Aristotelismo, anche in siflbtta ricerca,
r indirizzo medio della speculazione filosofica contro gì* interpreti empirici
e contro gì* iperpsicologisti che il generarsi delle cose in Aristotele trag-
gono in due e contrarie sentenze opposite.
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OAP. XTT.] PRO0S8SO OOSBIIOO. 469
d'una specie, d'un genere, d'un ordine, anziché nel
passaggio dall'uno all'altro. Se così non fosse, la na-
tura non sarebbe guari natura, non sarebbe creazione,
sibbene ripetizione sazievolmente monotona d' individui.
E non meno ragione ha il teologo o il neoplatonico che
sia, nel pretender che la natura proceda a salti; ma
non ha niente ragione a predicarci essere il Demiurgo,
proprio lui, quegli che la fa saltare. È ella stessa, è la
stessa potente e feconda natura che si muove. E si
muove per qualcosa che non sopraggiugne dal di fuora,
anzi sgorga dal di dentro.
Cosi, e solamente così, è possibile l' autogenesi del
mondo. Chi non sia disposto ad accettarla, romperà
senza rimedio contro Scilla, o Cariddi; che vuol dire
contro uno de' due soliti estremi.
Come intanto s'inaugura, come si svolge e come si
assolve egli il Processo cosmico?
Capitolo Decimosecondo.
delu attività creativa
ne' diversi momenti del processo cosmico.
Abbiamo detto che se 1' attività creatrice di natura
è una Conversione del FaUo nel Vero, ella non può
esplicarsi altrimenti che per gradi, per momenti diversi,
e quindi per intervalli e per continuità ideale. Il Pro-
cesso cosmico, dunque, è universale. Ed è universale prin-
cipalmente perchè, secondo la frase del Bruno, racchiude
in sé, quasi circolo più ampio altri piccoli circoH, il tri-
plice processo Fisico, Organico e Sociologico. Così la
legge che governa il tutto come le parti è sempre la
stessa: è la gran legge del trasformarsi e del rinte-
grarsi perpetuo, progressivo, incessante delle forze uni-
versali e comuni di natura. Perciò è il numero che
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470 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
sempre più volge ad unità; è T indeterminato, T omo-
geneo, l'indefinito (tò uopiiTòv) che procede al deter-
minato, all' eterogeneo, al perfetto (tò TsXitov).* Se tale
dunque è la natura di quest' universal movimento che
dispiegasi nel tempo, in che maniera potrebb' esser un
incessante cangiar di forme e di fenomeni? Se cosi
fosse, quest' universo sarebb' egli un cosmos^ o non più
veramente un increscevole ed eterna monotonia d'ap-
parenze fenomenali, ovvero un caos? La legge del Pro-
cesso cosmico dunque è legge di creazione; è legge di
coixyersione, anziché di semplice trasformazione. Gol
Processo fisico si genera la forza ; e la forza è subbietto
omogeneo, sintesi confusa, numero e unità generale, uni-
totalità vaga e indeterminata. Cotesto Processo fisico
si sdoppia nel Processo organico nel quale si genera la
vita; e la vita è numero, eterogeneità essenziale, essen-
zial dualità (vegetale e zoologica). Nel Processo istorico-
sociologico, finalmente, si genera lo spirito, il pensiero;
ed è un ritomo all' unità, ma come triplicità. La forza
quindi si converte nella vita, come la vita si converte nel
pensiero. Unità, dualità, dualunità: Forza, Vita e Pen-
siero. Ecco il Processo cosmico, ed è sempre il Fatto che
si converte nel Vero, perocché è sempre il conato, il me-
desimo, che si fa diverso per intervallo. Come intanto
* È il vecchio principio per cui si distingue V indirizzo medio ari-
stotelico nella dottrina su le forze fisiche, organiche e organizzate:
*H $i fxJffi^ ffivyet tÒ aTrci^ov * to fiiv yoip anstpov otTtlsq, -^
Si «vece «s( K^Ttt TsXoc (I>e (7en. an., I). E più chiaramente ancora:
'Aft yàp €v Tw efslivii vppxst xo upOTspov {De An., II, ii). La
scienza moderna non ha fatto e non fa che confermare questo principio
aristotelico; ed è quel medesimo pronunziato che lo Spencer considera sic-
come chiave del processo cosmico. Ma avvertimmo già 1* aspetta man-
chevole delle dottrine del r illustre scrittore inglese; che, cioè, se il Pro-
cesso cosmico è davvero una creazione, è forza che nella sua natura
altro non possa essere che uua teleologia, un processo essenzialmente
teleologico, a partire dall'etere, dalla materia nebulare indeterminata,
e scendere giù giù fino all'atto estremo, alla forza che diciamo pen-
siero. Questo dato vitalissimo manca allo Spencer nonché ai Positivisti
e, come vedremo, a' naturalisti Darwiniani. E pure, chi ben rifletta, è
un concetto essenzialmente poeitioo^ perchè è un fatto.
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GAP. Xn.J PB0CBS80 OOSMIOO. 471
rivelasi la prima conversione del Fatto? In altre pa-
role : in qual modo s' inaugura l' attuosità creativa del-
l'universo? La natura comincia con Tesser conato.* Ella
dunque comincia come sintesi iniziale e confusa: ella
s' inaugura come materia metafisica.*
' < Natiwa eonando oapit exUtert, > (YiCO, De Antiqui^., III).
* La nuiteria tnetaJUica alla qaale più voite accenna confasimente
il Vico e che il Rosmini, come toccammo, non interpreta convenevol-
mente, ò neir ordine cosmico e naturale ciò che nell' ordine psicologico
ò la luce tnetaJUica. Nel passaggio, nell* intervallo^ in generale, ha luogo
nn novello conato, eh' è il momento creativo, il parto {a/orno impedito)
della natura; e quindi racchiude qualcosa d' intimo, d* universale, di
metafisico, d'iperfisico, di scprassensibile. Ecco perchè talora nel Vico
non v' ha divario nelle parole conato, momentOf t/orto impedito, luce meta/i»
nea^mcUeria metaJÌ9Ìca,virtue^vi», dvvxfJLi^y «vT«).ffXJeav, e simili. Però
è facile incontrarvi qualche sentenza di questo tenore : Lux metaphyeica
§eu eduetio virtutum in actue conatu gignitur. (Op. cit., C IV). Perciò se
si vuole interpretare a dovere la sua mente, il valore della parola co-
nato, nella quale pone radice la novità della cosmologia Vichiana e Leib-
niziana, è questo : che il conato per lui sia il principio concreto, reale,
vivente della natura: che sia perciò relazione la qual comprenda e annodi
in organismo vivente i tre processi, e per cui risulti come la molla secreta
deir intero Proceeeo eoemólogico, È la relazione concreta, e reale del Fatto
col Vero; cioè del Fatto che, in quanto divereo in sé, diventa Vero. In
una parola, è la eoetanxa della natura, come fra poco vedremo, e perciò è
Vdpx^ xivKj Tcwc d'Aristotele (AfetopA , 1, 1, 8) ma corretto profondamen-
te, e però trasfigurato e legittimato, stantechè non sia altrimenti un prin-
cipio di movimento ipercosmìco, ma nn principio essenzialmente eoemico,
essenzialmente naturale ; e perciò è lo stesso movimento che, in quant' è
motOf si rivela come autogenito. Il Gioberti che aveva un senso isterico
divinativo tutto suo nel saper cogliere in certe sentenze l'aspetto origi-
nale d* una dottrina, non dubitò scrivere che la teorica de' punti e del i
eoncUo del Vico ì il perno del tuo eietema; aggiungendo che per questa
parte egli è arietotelico e platonico ad un tempo. {Protol., v. I, p. 259). Che
la dottrina del conato sia il perno della sua cosmologia, nessun dubbio;
ma la cosmologia non è la sua metafisica. È dunque il perno, è la molla
della sua formola eoemoloffica, non già della sua formola metaJUica: il
perno di questa seconda è ben altro, come s'è visto ne' tre ultimi ca-
pitoli. Che poi in questo egli sia aristotelico e platonico insieme, è
vero; ma è tale in quanto corregge, trasforma e compie i due vecchi
filosofi, e perciò in quanto li accorda. Nel Platonismo il concetto del
conato, al modo che è inteso dal Vico, non ci è, e non ci può essere,
come si può ricavare da tutti que' luoghi ne' quali siamo venuti accen-
nando rapidamente a quel sistema. Può esserci, e vi è di fatto in Ari-
stotele, ma confuso e indeterminato cosi che non si lascia riconoscere
facilmente. Al qual proposito mi sia qui lecita nn* osservazione isterica.
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472 DILLA DOTTRINA FILOSOITOA. [lTB. n.
Ma se la natura comincia con V esser conato, appunto
perchè conato ella dev' esser riguardata sotto doppio
QualcQDo potrebbe confondere questo conato del filosofo napoletano
con la monade leibniziana, o, pegfifio, con 1* ?pe$(? aristotelica. Lascia-
mo della prima perchò ne dicemmo qualcosa in altro luog^o. Qnant'al
secondo osserro che tra Voptl^ii dello Stagirita e il conato àe\ nostro
filosofo, ci è profondo divario. Accennammo già qualcosa riguardo al-
r aspetto esagerato della «aiMo y!iMi2« d'Aristotele. L'ó^e^cc certamente
è designato da lui qual moto 9pontaneo; e basti per tutti questo passo:
Kcvftrac yoLp to' xivouufvov t? òpiysrat^ xat 17 xévTio'c; rtc
opsl^ti ^ t»spytia. {De Xn,^ III)! Ma ò poi veramente tale, voglio
dire essenzialmente spontaneo cotest* opegi^ d'Aristotele? Non sa-
rebbe più tosto un residuo del maestro passato nella mente dello sco-
lare ? Aristotele, avvertimmo, rompe la terie predara in due modi ; con
1' intdllgibUe venuto di /uorOf BvpstOiv, e con la canea Jinale, cioè, col
dender€tb%le [70 òptxTÒv xat to' voutÓv). Luce per ribtelligenza, dun-
que, e calore per la volontà vengon d'altronde; e però chi determina tanto
. il peneiero, quanto la tendenna, è il pensiero divino. {Eih, Eud.^ VII, U).
Ora dunque 1* opeHc'c per Aristotele non può esser davvero spontaneo,
se no si contraddice. E tant*è vero che la natura per lui non ò pro-
priamente attiva per so, che non mancò, fk'a' vecchi aristotelici, chi pi-
gliasse a dimostrare come in Aristotele, in forza del suo medesimo si-
stema, debba aver luogo la eau«a efficiente. Se Dio infatti ò canea finale^
per ciò stesso ha da essere anche canea efficiente ; tanto pareva ad Am-
monio (il primo a dare tale interpretazione) che Aristotele dovesse met-
tersi in accordo con Platone. (Yed. Rayaisson, Op. cit., T. II, p. 539).
Dunque V ops^i^ noir Aristotelismo ò ?^e^cc non per essenza propria,
ma in grazia d* un determinante estrinseco, d* un* infiuenza eeteriore ; la
quale influenza non essendo stata chiarita nettamente nella sua natura
dal filosofo di Stagira, ha fatto e fa si che molti i quali si studiano
d* interpretarlo benignamente, credano d'aver buono in mano per assumerne
le difese, e fino a certo punto riescono ad aver ragione. Sennonché il vero
concetto dell'o^sHcc, che in parte risponda al conato del Vico e rap-
presenti perciò r indirixMo medio in siffatta quistione, sarebbe da riporre
piuttosto nella nozione di svipyna aTf>>i:, la quale è appunto attiva
per sé, ò attiva per virtù propria, essendo ciò che esiste in potenza, ma
in quanto s'avvia all'atto; e s'avvia per sé medesima, non per un al-
tro; s'avvia e procede per propria essenza: 'O^óc ttQ ouTiav {Me-
taph,f lY.) In altre parole è ciò che, imperfetto, non ha il fine in so
stesso, e quindi lo cerca. E lo corca non perchè ne sia attratto (plato-
nismo 0 aristotelismo platonico), ma k1 perchè ne ha bisogno. E se lo
cerca e ne abbisogna, vuol dire che questo fine non potrà essere un'il-
lusione addirittura. Perciò Aristotele determina il concetto del moto
cosi: Twv apy.^£Mv eiv «tt/ taipoc^^ ov^sjMca tjXoc, àWà t«v
tapi To TsXo;. {Metapk., IX). — Ci slam voluti intrattenere un mo-
mento su questo particolare non solo per chiarire il concetto del Vico
sul conato^ ma anche por mostrare 1* attinenza ch'esso ha col concetto del
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GAP. Xn.] PB0aS880 OOSMIOO. 473
rispetto. Anche del Primo cosmologico possiamo dire qael
che dicemmo del Primo psicologico: egli è una testa di
Giano; ha due facce. Il conato adunque è due cose, non
una: è punto e momento^ (cf«7ft*i^ ^^v) materia e moto,
estensione e forza: ma e punto e momento di natura
metafisica^ che vuol dir di natura potenziale, virtuale,
soprassensibile, semplice, indivisa, universale. In altre
parole, il conato e attuosità concreta e reale; ma non
è, a dir proprio, né moto, né estensione, bensì virtii di
moversi, e d'estendersi: e come virtù, come potenziaUtà,
esso in generale é un soggetto identico: Punctum et
MoYnentum unum sunt, e quindi é nel medesimo tempo
numero e unità, dualità e unità, polarità originaria, e
perciò é unitotalità originaria, concreta, universale. Ora
il conato in quanto é punto, materia, cioè in quant' é
soggetto potenziale, recettivo, indeterminato, omogeneo,
indefinito e indefinibile, é il ro Ssrspov; è la ^wa/xcc come
pura capacità; in somma é il Fatto semplicemente detto ;
il Fatto in quanto è termine di conversione dialettica coi
Grenerato. Al contrario, in quanto é momento, ciò é
dire materia e moto, estensione e forza, to' Strtpov e
to' notilo e però to ^warov, é il Fatto in quanto è ter-
mine di conversione cosmologica; è il Fatto in quanto é
conversione di sé con sé stesso; e quindi é sostanza
semplice, sostanza universale, sostanza indivisibile in
sé, ma divisa nelle cose che sostiene. Brevemente: il
conato, guardato come puro Fatto, cioè come termine
posto, é potenza in potenza, come direbbe Aristotele
(^uvfltfii; ^uvot^n); guardato invece come termine che si
pone, come soggetto che si fa, egli, per dirla con le
significantissime parole del Vico, é for/pa che si fa dentro
moto aristotelico, il quale, inteso a doTere, nono tale quale d* ordinario
Tiene interpretato dagli hegeliani. £ ci siamo trattenuti anche perchè
quest'ultimi non abbiano a pigliare il concetto del conato per Vopt^i^
giacché nel conato del nostro filosofo non ci è necessità dialettiche, nò
relaiioui di finalità come neiriperpsicologismo aristotelico fecchio e
nuOTo. Il conato del Vico non è propriamente VEatcre, nettampoco il
NoH-ctnrc; dunque non sarà nemmanco U Divenire: ecco tetto.
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474 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. U,
di sè medesima: perchè? precisamente perchè SFOR-
ZARSI È UN CONVERTIRSI IN SÈ STESSO; 0 perciò
è sostanza che si sforsa a mandar fuori le cose. *
* Che il ùonato nel concetto vlchiano sìa la sostanza delle cose e
costituisca perciò il nerbo della sna formola cosmologica, si pnò rìca-
Yare agevolmente da queste sentenze. Che cos*è la sostanza? Sattanza,
in genertf d ciò eke »ta 9otto e 90$tiene la eoaa; indivitibile in «^ divisa
nelle cote eh* ella fottiene, e $oUo le dìvite cote, quantunqtu disuguali, vi
§ta egualmente, (Risp. al Giom. de* Lett,, p. 179). Questa deflnizione non
ha che vedere con la definizione Spinoziana : id quod existit a te et per
«e. Sono entrambe definizioni nominali, e però vere o falso flnchò non
se ne faccia applicazione. Dal modo con che applicolla Spinoza, venne
fuora il suo panteismo acosmico geometrizzato, con quella lunga sequela
d* assurdi che ognuna conosce. Il Vico 1* applica al Fatto in quanto si
fa Vero, non già al Vero che si converte col Generato; e perciò riesce
a schivare ogni maniera di panteismo. Infatti egli dice: Quello che i
moto ne* corpi particolari, neiVunivereo moto non è; perchè V universo non
ha con ehi altro possa mutar vicinanze,,... Dunque è una forza OHB fa
DRNTBO DI sà MBDESiifo : questo in s^ stesso sforzarsi, ì uno in sa strsso
convertirsi. Ciò non pud eseere del corpo, perchè ciascuna parte del corpo
avrebbe a rivoltarsi contro di sè medesima. Onde questo sarebbe tanto, quanto
le parti dd corpo si replicassero. Dunque, dico io, U CONATO non è dd
OORPO, ma deU* UNI Visse del corpo (Ibi). Tutto ciò è chiarito e confer-
mato da quest' altra sentenza ; Virtus est extensi, e perciò prior extenso est,
soUicet inextensa. {De Antiq., IV). E spiegando altrove il valore di quest* ul-
timo concetto, dice: Io mi servo eie* vocaboli di virth e di potetaa appunto
come se ne servono i meeeaniei, appo i quali sono voci oelebratissime : con
questo perciò di vario; cA' essi (parla de* Cartesiani seguaci detta dottrina
meccanica) V attaccano ai corpi particolari, ed io dico esser dote propria e
sola dell* universo. (Risp. al Oiom. de* LeU.), E tornando al suo concetto
gradito del conato, dice plh aperto : Nel mondo vero e reale vi ha un
che invisibile che produce tutte le cose. (Ibi, p. 165). Ancora: Uno è lo
sforzo delC universo, prrob2 dell* univrrbo : ed è l* indivisibile centro cui
non è lecito trovare neU* universo (esteso), e cAe dentro le linee deUa sua
direzione tutti i disuguali pesi sostenendo con egual forza, tutte le partieo'
lari cose sostiene insiememente ed aggira. Questa è la sostanza che si SFORZA
mandar fuori le cose. (Ibi, 151).
È impossibile commentare queste sentenze. Ci vorrebbe un capitolo
per parola ; e alla fin fine poi non riesciremmo che ad una freddura, ad
una ripetizione fiacca e sbiadita. Bisogna dunque farle soggetto di medi-
tazione severa, tramutarsele in sangue, e col loro sussidio interrogare!
fenomeni e le leggi del mondo sensibile. Posti intanto questi principi!
cosmologici, ecco alcune norme metodiche per la filosofia della natura e
delle scienze naturali : In fisica si trattano le cose per termini di eorpo t
di moto; in m^afisioa trcUtar si debbono per qudli di sostanza e di co-
nato, E come U moto non è altro realmente che eorpo, cosi il conato altro
realmsnU non sia che sostanza, (Ibi, 178). L* altro domma metodico ri-
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OAP. Xn.J PROCESSO COSMICO. 475
Se questo è il cardine della cosmologia del nostro filo-
sofo, le conseguenze e le applicazioni che se ne traggono
riescono supremamente feconde, positive, originali in
tutte quante le sfere delle scienze di natura, dalP astro-
nomia alla fisiologia, dalla meccanica celeste alla zoologia
e alla zoopsicologia. Noi non possiamo intrattenerci in
queste applicazioni, e ce ne duole. Ci ristringeremo ad ac-
cennarne qualcuna, e rilevarne V aspetto originale; e in-
nanzi tutto quella risguardante la dottrina del Cronotopo.
Se la sostanza cosmica è una, indivisibile e divisa
nelle cose a cui sta sotto egualmente per diseguali che
queste siano, i modi essenziali e primigenii in che ella
si determina, sono lo spazio e il tempo puri : punto e
momentOj virtus extendendi e virtus movendi. Sennonché
la virtii d' estendersi, logicamente, va innanzi alla virtù
del moversi, al contrario di ciò che pensa il Gioberti;
poiché, al solito, se il Fatto come diverso in sé vuol es-
sere un processo autonomo, avviene che la prima forma
di conversione, la prima individuazione cosmica, deb-
b' essere il punto che divien momento; debb' esser la
virtù d'estendersi che si gemina, e assume valore di
virtù motrice. Perciò la sostanza in quant' è virtus exten-
dendi, inquant'é pura capacità, è V altro, è il diverso,
è il Fatto come posto, e però è lo spazio infinito, la cui
prima determinazione è ciò che domandasi etere da' mo-
derni.* In quanto poi è virtus movendi, cioè atto, diverso
gniardante lo stadio delle leggi fisiche ò questo : L* unica ipoteti (cioè fin-
zione speculativa) per la qwd dalla MetaJUica ndla Fisica discenda giam-
mai ti po99a, netto le matematiche; e che il punto geometrico eia una SOMI-
OLIANZA del metafieicOf dot della sostanza ; e eh* ella aia coea che vera-
mente t, ed i indivisibile; che ci dà e sostiene distesi uguali con egual
/orza : perche per le dimostnxzioni del Galilei ed altre piene di meraviglittf
le disuguaglianze quanto si vogliono grandi, ritirandoci al lor principio in-
divisibile, cioì ai puntiy tutte si perdono e si confondono. (Ibi, 174), ti ap-
pena bisogno d* avvertire che con la sua dottrina cosmologica ei non fa
che interpretare ed elevare ad altezza metafisica positiva V esigenza del
metodo Galileiano. Nelle lor relazioni ideali Galileo e Vico si richiamano
a vicenda. (Ved. il nostro Disc. DanU, Galileo e Vico, Firenze, Celliul, 1865).
* L'esistenza déìVetere od abaro (come con ragione vuol chiamarlo
il nostro valoroso e valente Colonnello Pozzolinì) che per i fisici è una
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476 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. H.
in $èj 0 Fatto ohe si fa, la sostanza è il cominciamento
originario, autogenito della natura, e perciò indipen-
dente da Dio. Ed è affatto indipendente da Dio nel
suo svolgimento, e però nelle sue leg{2p, appunto per-
chè, come fu mostrato, Dio pone il mondo non già come
attuale, anzi come potenziale. Perchè dunque il punto
diventa momento? Per necessità della propria essenza:
vo' dire perchè è diverso in se; perchè è sformarsi che
è uno in sé stesso convertirsi. Se adunque come mate-
ria il conato è confusione, impenetrabilità, pura ca-
pacità; come virtù di moversi, invece, è cominciamento
d' ordine, inizio di cosmos finteli' atomo, nelP esteso me-
tafisico il quale, essendo medesimezza e differenza in
atto, rappresenta perciò la prima dualità in cui forza
e materia formano un medesimo subbietto.*
ipoteti della quale non possono in yenin modo prescindere, nella fonnola
cosmologica del Vico, invece, assume valore di teti. Essi non sanno dir
che cosa sia quest'eeere. Noi sanno oggi^ e noi potranno saper mai:
perchè? Per la semplice ragione ch*ei trascende la mente: e la tra-
scende in quanto che riguarda un* attinenza della sostanza come potta,
non già della sostanza come causa, come forza. Perciò riguardando il dato
della creazione, ne Tiene che, por intendere questo dato in qualche maniera,
bisognerà filosofare; e per filosofare in modo serio e positivo e razio-
nale bisogna ricorrere alla formoUi cotmologica del nostro filosofo. Non
V* è scampo: o questa formola, oppure il concetto inintelligibile, gros-
solano e balordo d*una materia concepita qual ricettacolo assoluto e
generativo d* ogni cosa : eh' è propriamente (chiedo perdono a tutti i
materialisti e meccanicisti vecchi e nuovi) un concetto da cretini!
* Dunque il cronotopo non è, come pretendono i Leibniziani, la succes-
sione e coesistenza di punti e di momenti; teorica al tutto empirica
la quale non ispiega nulla di nulla, perchè non addita la ragione
della coesistenza. Non si può dir nemmeno pertinenza deir Assoluto in
quanto ì V Idea ad extr(h Videa come potnbUità infinita (GiOBRBTi, ProtoU,
Sagg. Ili); ì° perchè non s'intende che cosa mai sia codest'Idea ad
extra; 2^ perchè s*ella è pottihilità infinita, come tale appartiene al Fatto,
il quale in quanto conato è precisamente un' infinita po$9ÌbilitiL Non è
poi relazione tra U finito e V infinito (FoRNABi, DeW Arm. Univ.^ DiaL I)
perchè, se così fosse, dovendo i termini partecipare alla natura della
relazione, ci avrebbe a essere spazio e tempo anche nell' infinito! Final-
mente non è la prima e immediata esistenza detta Idea (Spaventa, Mem,
mi Tempo e tulio Spazio, negli Atti dell' Accad. di Nap.), perchè 1* Idea
è incapace di rivestire spazialità e temporalità per le ragioni altrove ac-
cennate. Dunque che cos'è cotesto cronotopo? È precisamente il conato;
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GAP. Xn.] PBOOISSO COSMICO. 477
Abbiamo detto che V atomo è l' esteso metafisico.
Esso dunque è la compenetrazione del punto, e del mo-
mento : è il punto divenuto momento ; è la virtù d' esten-
dersi che s' estende in quanto si move. Neil' atomo per-
ciò, neir esteso metafisico, trova pienissima applicazione
il pronunziato del Vico: ptmctum et mofnentum unum
sunt In altre parole: che cos' è V atomo? È V estrema
realtà (non astrazione) cui possa poggiar la mente.
Dunque è la prima realtà onde move la natura. Anche
in seno all'atomo quindi si dee verificare ciò che i fisici
oggi riconoscono in molti fenomeni; il principio della
polarità. L'esteso metafisico è un'essenzial dualità; è
forza e materia in atto; è la determmazione originaria,
autonoma della doppia virtii estensiva e motrice. Dun-
que è la prima conversione del Fatto, in quanto il
Fatto è un subbietto diverso in sé. Perciò è il primo
momento della creazione propriamente detta: il mo-
mento solenne in cui la forza, nascendo nella materia
(non dalla materia), si crea.'
ma il conato in qnanto ò polarità essenziale, essenzial dualità. È la
sostanza stessa del mondo in quanto ha una doppia faccia: estensione
e forza; wirhu extendendif e virtù» movendi. Ora se il conato è un su-
bietto essenzialmente duplo^ essenzialmente polare, ì moderni fisici non
possono, non debbono menomamente ripudiarne il concetto, che anzi
accettandolo, giungerebbero a spiegare più d' una loro ipotesi.
* Chi dunque dice fona, dice ereazione: ecco il rero dinamismo, il
dinamismo positi?o. Perciò erra tanto il materialista grossolano quando
afferma ch/D la forza naaea dalla materia, o ne sia una pura e semplice
determinazione ; qnanto il dinamista puro (Hibn, Cotuiquence» phil. et
mHaph. de la Thirmodinamique, Paris, 1868) che pretende concepire la
fona anteriore alla materia! La forza Don nasce dalla materia, o per la
materia. La forza si pone, e perciò si crea nella materia. Il suo nascere
è creare nel Tero senso della parola; è uscire ex nihilo, E qual è il nulla f
Il nulla del filosofo cattolico, no: cotesto nuUa ò impossibile, perchè ò
inconcepibile. Dunque è la materia, ma la materia considerata come puro
Fatto, come pura capaciti, come possibilità. Platone la diceya ricetta-
colo, e diceva benissimo. Dov'errava? Errava gravemente nel determinare
il modo con che nel contenente sorga il contenuto. È precisamente Ter-
rore del materialista moderno. La forza, dice questi, suppone la materia.
Certamente! ma non ò pnra e semplice trae/ormanane o modiJicoMione o
qualità di materia. La materia in qnanto diventa forza è conato : e perciò
(ripetiamolo) ò intervallo già superato; ò atto propriamente detto, e
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478 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. |lIB. n.
Se intanto l'atomo è an'essenzial dualità, in esso è
l'esigenza dell'altro atomo, delle molecole, del corpo, del-
l'organismo atomico. Ma ecco tosto nn dilemma: o l'atomo
è semplice, o è composto. È egli semplice? Dunque
non può dare il composto. È egli composto? Dunque
richiede il semplice. Dilemma seriissimo, davvero.
L'atomo non è l'una cosa ne l'altra; o, più ve-
ramente,, è r una cosa e l' altra insieme. Se l'atomo, è
conato, momento in cui la materia e la forza si com-
penetrano; come dirlo semplice? come dirlo composto?
Pertanto se l' atomo è conato, perciò racchiude l' esi-
genza degli altri atomi. Dunque? dunque l'atomo non ha
figura in quanto è un esteso metafisico, ma ha figura in
quanto si marita e si converte con altro atomo: la figura
è un risultato. Or se l' atomo è virtii d' estensione che si
attudij avviene che, come tale, e' debba essere attrazione:
e s'egli è virtii di moversi in atto, avviene altre» che,
come tale, e'debb'esser moto essenzialmente rotatorio}
Se dunque 1' atomo in quanto conato è insieme iden-
tico e diverso, perciò è in sé, e fuori di se; è per sé,
e anche per V altro; abbisogna dell' altro. Per questa
comune proprietà gli atomi ci rendon quasi immagine
delle idee platoniche, la cui vita sta nell' essere essen-
qaindi è atto naovo, atto creatÌTo. — Eccoci al miracolo! sento grridarmi.
Precisamente al miracolo : ma gli è nn miracolo essensialmente naturale,
unlversaie, necessario; e per consegnenza non ò miracolo. Se dunoue VeaUto
metafinco è la forza in quanto si genera nella mcUeriiif ne viene cne VaUnno
ha da essere tutt* altro che inerte. Anzi è la materia, è V etere, è Y abaro, è
quel quid nebulare primitivo che, da unità indeterminata, passa ad essere
anche forza, profonda energìa in cui e per cui sMnaugura il Prooeeeo
fieieo. Se così non fosse, io domando, come farebbe il chimico ad inten-
der le leggi deir affinità? E se così non fosse, la moderna dottrina del-
Tatonicità non andrebbe in fumo?
' Questo è il moro etemo e continuo dell* Aristotelismo, cagione d'ogni
moto, il quale perciò non può non ettere un moto circolare nello epaxio
{Phye,, Vili, ix), e come tale è moto naturale d'un elemento eempliee du
non ha contrari, {De Cod., I, li). Al Motore motto bisogna sostituire il
Conato ; e il moto circolare non avente contrari bisogna darlo all' essenza
stessa deir atomo, dell* eeteeo metafieieo. Ecco una delle correzioni vitali
della cosmologia aristotelica richieste logicamente daU' indirimco medio.
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GAP. Xn.l PBOGESSO OOSMIOO. 479
zialmente relative. L' atomo qaiadì, in quanto è mede-
simezza, è attrazione; in quanto è medesimezza e di-
versità, è rotazione e circolarità. Dunque può dare ori-
gine al moto per induzione e rivoluzione, che à moto
secondario e derivato. Or questa legge si verifica in una
lunga serie di fenomeni; luce, elettrico, calorico, magne-
tico.' Si verifica ne' grandi coi*pi dell' universo. Perchè
non dovrà verificarsi altresì, e principalmente, in seno
alla stessa vita intima degli atomi ? Attrazione e rota-
zione, dunque, riduconsi ad un sol fatto primitivo, uni-
versale, assoluto. Il conato è moto essenzialmente ro-
tatorio ; e quindi è la sorgente prima d' ogni e qualun-
que forma di moto. La legge di rotazione perciò è legge
universale; ed è la sostanza stessa cosi delle grandi,
come delle piccole masse: Questo in se stesso sforearsiy
è uno in se stesso convertirsi.*
Le conseguenze di questa dottrina cosmologica sono
evidenti, originali, modernissime.
n vuoto è un assurdo; perchè è un assurdo il nulla.'
Esiste dunque V universo infinito ; ed è tale non come
mondi, ben^i come conato, come sostanza universale
determìnantesi ne' due attributi essenziali della spazia-
lità e temporaneità pure. È un assurdo il moto comu-
nicato, perchè è un assurdo che la forza si rompa, si
scinda, si divida: senza dir già che, se è vero che la forza
debb'essere anche materia, la comuniccmone del moto im-
porterebbe la compenetrazione e insieme la inerzia degli
atomi, ciò che costituisce un doppio assurdo. — È uYi
' Ved. a questo proposito la bella Mem. del Poxzolini {Indumone
delU forte finche, Bologna, 18^8), il Baudrimoni, Atomologie (1861) e le
tre Memorie eu la atrtUtura cUi* Corpi. (Bordeaux 1864.)
* Ved. la Mem. su la Legge univeraale di rotazione del nostro amico
prof. Bàrbera, della quale accettiamo in gran parte la dottrina perchè
ci sembra un'applicazione rigorosa de*principii cosmologici del Vico. Del
Bàrbera merita esser letto il discorso stupendo sul Newton e la Filoeofia
Naturale (Napoli, 1870). La Memoria poco fa citata del Pozzolini, come que-
sti due scritti del Bàrbera, sono i primi segui d' una riforma seria delle
scienze astronomiche e della filosofia naturale in Italia.
■ Abibt., PAy«., IV, Tiii.
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480 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. TL
assurdo che il moto universale cominci e finisca, poiché
è un assurdo che il mondo, che è pur egli necessario
come termine di conversione dialettica^ abbia principio
e fine. È un assurdo un impulso primitivo impresso da
Dio alla materia, ciò che è V esigenza illegittima del
fiacco Peripatetismo, dell'Aristotelismo platoneggiante:
perciò assurda e gratuitamente ipotetica la base nella
quale s'appoggia la teorica Newtoniana su T origine del
moto. — È un assurdo che la materia diventata forza,
ciò è dire V atomo, tomi ad esser pura materia; perciò
assurdo che la forza cessi d'esser quella che è nella sua
essenza, e che si sperda, che decresca, o si menomi in
qual si voglia modo. Sono dunque un assurdo, sono in-
dovinelli da algebrisH quei conti e racconti di certi
facili calcolatori matematici che, come il teologista e il
millenario, segnano già ne' secoli futuri la fine e lo spe-
gnimento della terra. Ne' loro problemi essi dimenticano
che la forza è creazione: e dimenticano troppo facil-
mente, che creare vuol non dire annullamento.
U conato adunque, è il vero motore immobile e mo-
bilissimo dell'universo; è l'universo stesso in quanto è
infinita potenzialità; è V àpxrì xcv)i<rs6>c intrinsecato, es-
senziato con l'universo stesso.' Come tale l'universo
procede di numero in numero (secondo la frase del
Bruno) svolgendosi come mondi nelle successioni, e
perciò è infinito nel tempo; e come tale anche l'uni-
verso, come il pensiero nel formarsi il concetto dell'As-
soluto, rende a Dio la pariglia.^ Cosi il principio cosmo-
' LìtìQUB, Le premier moteur et la nature dame le tyetòme tTArietote
Paris 1852. V. a qoesto proposito con che assennatezza crìtica il
Barthélemy Saint-HUaire dÌMOm su la Cosmologia aristotelica (PAyttgiM
trad, en /rangaie et aceompagnie dCune paraphraee et de note» perpetueUe»,
Paris 1862, Introd. V. L)
* Cosi resta lesrittimato il concetto su V Universo e su lo Spaaio del
filosofo Nolano. Egli pone Io spazio come infinito e però infinito anche
r universo che è nello spazio [DeW Infinito Univereo e Mondi, DinL I.)
L* uniTerso certamente ò inAnito, ma, ripetiamo, ò tale in quanto è eo-
naio ; e così pure lo spazio. Perciò Mondo, Univerto, Spazio ec., sono in-
finiti nella successione, che tuoI dire nella lor potenzialità.
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OAP. XII.] PROCESSO COSMICO. 481
logico, o meglio, il Primo cosmologico del Vico, in men-
tre che corregge la vecchia cosmologia de' Platonici e
degli Aristotelici, condanna ad un tempo quella de' neo-
aristotelici empirici e degl' iperpsicologisti, legittimando
r esigenza de' meccanici e de' dinamisti, de' Cartesiani e
de'Leibniziani, che vuol dire della materia e della forza.*
I moderni cosmologi avran fatto moltissimo quando
avranno ridotto ogni fenomeno ad un ultimo fenomeno.*
Essi così dimostreranno, o meglio, verificheranno la
vecchia divinazione aristotelica. Ma si dovrà arrestar
qui la Cosmologia razionalmente positiva? No, certo. U
suo grande problema sta nel dimostrare (e dimostrare
non vai mostrare) come quest'ultimo e irreducibile e
universal fenomeno, sia precisamente la sostanza stessa
delle cose, la vita stessa degli esseri, la vita dell'uni-
verso che il Vico rassomiglia ad una fiumana onde
sgorga acqua sempre nuova e perenne: H(BC est vita
rerum, fluminis nempe istar quod idem videtur, et sem-
per alia atque alia aqua profluit}
Se il Processo fisico s' inaugura col conato in quanto
è un esteso metafisico e risolvesi con l'estrinsecazione
della forza nel seno stesso della materia; ne viene che
tal debba essere altresì il corpo nella sua sostanza;
* È inutile mostrare come il concetto del nostro filosofo sul Conato sia
una correzione del conato leibniziano. Mostrammo già raffiniti tra il Leib-
nltz e il Vico. Con la dottrina del conato questi filosofi ci rappresentano en-
trambi r indirizzo medio dell* Aristotelismo negli studi cosmologici.
(P. 183.) Ma il Nostro supera quel di Lipsia, perchè il suo conato è essen-
zialmente un e«(e«o reale, metafisico, non già fenomenico, ed apparente.
Questo concetto manca assolutamente nella Monadologia,
* Gens, il LoYR {E§9ai 9ur Videntité de» agentt qui produigent ec.,
Paris 1861.) Obovr {Correlation de» force» phi/9Ìque§, trad. Moigno, 1856).
E. Saiqry {E8»ai»nrVunité de» phenomène» nature!», Patìs 1867.) A. Sroohi
{Unità ddle forze fiticke ec. Roma 1864), Dr BoocHRPORif [Du principe
generale de la PhU. naturale, Paris 1858). A. Obuyrb {Principe de PhU,
Phyeiqtte ec.)
" De Antiqui»»., p. 109. Gom* è evidente, è il concotto fisico dell* indi-
rizzo medio aristotelico: La vita universale della natura non conosce riposo,
nò morte: Kac toOto flèOxvarov xac an'auTrov xinapytt roi^ ouTtv^
otov ^a)>j Ttc ouffa toì; fxivtt ^uvio-tùtc notvtv. Phy»., Vili, i.
Siciliani. 8f
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482 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
forza attuata; monodinafnia ; e però sorgente perenne di
forze fisiche, meccaniche, chimiche, dinamiche. L'atomo
è sfornito di centro, perchè è centro egli stesso. Il corpo
lo possiede cotesto centro ; ma è di natura ideale, e perciò
rende immagine dell' universo stellare nel quale il cen-
tro non è in alcun luogo, e pure è dappertutto, il moto
nel corpo è monotono ; è un' etema produzione di forza ;
e questa forza non è, a dir proprio, la vita. Però è un
conato onde V analisi delle forze omogenee e de' comuni
agenti di natura tende ad elevarsi alla sintesi; ed è (ri-
petiamo) lo sforzo del numero che volge ad unità. Or la
necessità di questo conato non importa egli un altro
intervallo? Il centro dunque si manifesta nel vegetabile,
e s' inaugura il mondo degli organismi. Posto il Processo
fisico, la forza, nata già nella materia, qui nasce in sé
stessa, qui rinasce, qui si rinnova, e qui è vita. Ma neanche
il vegetabile, a dir giusto, possiede un centro reale. Dun-
que il vegetabile non è vita, bensì passaggio, e quindi
strumento di vita. 11 Processo fisico perciò trae seco il
processo geologico; e la genesi della forza importa la
genesi della terra. Il processo geogenico alla sua volta
importa il Processo organico (vegetale e animale) e
quindi il Processo paleontologico, entro cui si vengono
accumulando e sovrapponendosi cento e mille faune e
flore. Dalla roccia cristallina non istratificata e non
fossilifera alle più recenti produzioni geologiche; dal
jeriodo antizoico al post-pliocene e all' attuale, rivelasi
tutto un processo di forza. È il Fatto che si fa come
forza, ma in quanto è altresì conato alla vita.'
* DaU* epoca eotoica nella qaale a* annunzia la prima aara vitale, e
molto più dair epoca paleozoica alla oenozoiea e da questa ali* età poti-
Urxtarifi (quaternaria), accade che col processo fisico e g^logico si marita il
processo paleontologico, e così ci si manifesta la continuità della vita at-
traverso le forme organiche passate o presenti. Or se tutto ò processo
e conversione e perciò successione costante di fatti regrolati da lejrgi
necessarie ed immutabili, ne viene che i cataclismi, riferiti a cagioni
ipercosmiche, contraddicono evidentemente alla ragion filosofica positiva,
nò V* ha interpretazione benigna ed ingegnosa della critica teologica che
sappia legittimare la cronologia mosaica ed il racconto biblico. Ma a
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CAP. XII.] PB0CX880 COSMICO. 483
Ma come avviene egli il passaggio del Processo fisico
air organico, e quindi U passaggio della forza alla vita?
Avviene per legge di conversione ; la quale perciò, sup-
ponendo r intervallo, importa la differenza. S'invocano,
al solito, anelli intermedi nel r^no vegetabile. Ma forse
che il vegetabile rappresenta il transito eflFettivo tra il
minerale e l' animale? SMnvocf no analogie esteriori fra
certi minerali e certe piante. Ma forse che accanto alle
analogie non sorgono diflFerenze profonde? * S' invoca la
eterogenesi, e se ne traggono disparate illazioni secondo
il sistema che si vuol propugnare, come se la genera-
zione spontanea possa soggiacere a dimostrazione.*
noi non ci ò permesso intrattenerci intomo a questa particolarità.
Solamente ci preme d* aTfertire che il concetto del procetio^ nella Geo-
logia e nella Storia naturale, forma oggi V onore del Lyell e del Darwin.
Ma se la Sdenta Nuova ò la dimostrazione, o, per lo meno, 1* esigenza
del processo isterico, in essa è racchiusa la verità della moderna geo-
logia e zoologia. Quando il Vico dice che i fllosoA prima di lui avefaii
ricercato Dio, la scienza, il divino nel mondo della natura e non per
ancho in quello della storia, ei s' ingannava. La vera scienza di natura,
in generale, sta nel conoscere principalmente due cose: i^ il doppio
processo geogenico e organico (paleo-zoologico), in modo affatto spe-
rimentale; 2* neir annodarli entrambi in guisa razionale col processo
isterico. Or la scienza di natura condotta a questa maniera è posteriore
a lui, essendo nata e cresciuta principalmente sotto gli occhi de' due
dotti inglesi poco fa mentovati, mentr' ei non faceva che inaugurarla pre-
venendone i grandi risultati. E questi insigni risultati preveniva non
già producendo scoperte geologiche, zoologiche e paleontologiche, ma
incarnando i^el processo de* fatti umani V esigenza del metodo isterico,
e gettando i germi d* una dottrina cosmologica nella quale, come s* ò
visto, è racchiusa la necessità del processo universale, e, iu questo, la
necessità del triplice svolgimento fisico, organico e storico.
* I vecchi naturalisti pretendevano rintracciare argomenti in favore
della continuità reale fra questi due processi, notando la struttura mirabUe
e squisita, per es., deirArragonite cotanto affine a quella d*uno de* più
elementari vegetabili; come se nel cristallo la composizione semplice, uni-
forme, immobile cosi nel tutto come nelle parti e senza centri ne* suoi nuclei
ed elementi, avesse che vedere col composto organico più rudimentale !
* Il fatto della eterogenesi è tuttora un* ipoUsi, e probabilmente re-
sterà sempre tale nel campo della osservazione, ma è ten nella mente
del filosofo. Gli eterogenisti s'affaticano a dimostrare coi fatto ciò che
già di per so stesso ò fatto ! La genesi spontanea, appunto perchè tale,
non è un fenomeno di trasformazione d* indole meccanica della /orna
alla vita: essa importa già un transito, e quindi un intervallo. Come
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484 DELLA DOTTRINA TILOSOFIOA. ^ [lIB. IL
Per la medesima legge avviene il passaggio dal ve-
getabile air animale. È vecchio il pregiudizio per cui
si è creduto che Tun ordine d'esseri si congiunga al-
l' altro col digradarsi del processo superiore, e col per-
fezionarsi deU' inferiore. Il pesce si congiugne con l' an-
fibio ; gli anelli zoologici inferiori s' annodano co' vege-
tabili superiori, e simili immaginazioni. Oggimai è d' uopo
raccomandarci alla paleontologia, e alla geologia. Queste
scienze ci additano un processo quasi parallelo ne' due
ordini in che viene sdoppiandosi la vita sin dalle sue
origini primitive.* Il Processo organico dunque non può
danque potrà esser possibile in tal caso una prova sperimentale seria
e irrepugnabile? Ti sono parecchi sperimenti, io lo so. Ma come fatti?
Quante e quali cautele sono state adoperate ? La questione della genesi
spontanea ò mal posta. E poiché il naturalista non ò in grado di porla
diversamente di quel che fa, sarà quindi necessario abbandonarne la so-
luzione ad altro metodo, ad altra maniera d* investigazione. In somma
è una questione essenzialmente filosofica: si diano pace i travagliati
seguaci del Pasteur e del Poullet!
* Neir epoca j9aZ«oltKeaapparÌ8con le grittogame superiori : indi, nel-
l' epoca nuéoUtica^ le piante conifere : appresso, nell* età oenoUtica^ le fa-
nerogame ; e, finalmente, nelP età antropolUica, o meglio pott-terxiarta, si
manifesta la flora attuale. Ecco qui un processo nella flora primitiva. Il
medesimo reggiamo nello svolgimento della fauna. Co* più modesti tipi
vegetabili s* accompagnano i più bassi tipi zoologici negli strati inferiori
che ci rappresentano l'età originaria; e, nella medesima epoca negli strati
superiori veggiamo lu prime forme di pesci, accanto alle quali appariscon
le grittogame. Con le conifere appaiono i rettili ; e negli strati superiori
additatici dal periodo eenolitico, appariscon gli uccelli. Ai rettili ed agli
uccelli, dappresso alle fanerogame teugon dietro e si manif^tano le forme
inferiori de* mammiferi ; e negli strati superiori del perìodo terziario si
rivelano le primo tracce del regno umano. Alla flora attuale poi s* ac-
compagrna T attuale fauna; il processo riesce evidente anche qui, e il ri-
scontro ne'caratteri generali, nella flsonomia e nell* insieme delle rela-
zioni geografiche e biologiche, toma evidentissimo. Vegetabile e Animale,
dunque, sono due correnti, per cosi dirle, che movon da una medesima
sorgente. Elle si rassomiglian nella semplicità ed omogeneità delle for-
me primitive ; e tal riscontro è più spiccato in ragione che il panteolo-
gista ascende verso il centro comune. Sennonché il processo nella serie
zoologica è assai più compatto e variato; lo svolgersi è più rapido, e l'at-
tuarsi di questo svolgimento è più intricato quanto più ci accostiamo alle
recenti formazioni. Tal è, per es., lo sviluppo che ci palesano gli arti-
colati e i vertebrati, a differenza del modo con che si vanno svolgendo
le classi de* vermi, de* molluschi, de* celenterati, degli echinodermt
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CAP. XII.] PROCESSO COSMICO. 486
non esser di natura essenzialmente polare. Il vegetabile
e r animale ci rappresentano incarnata la legge univer-
sale della dualità; la quale movendo dalF unità sintetica
iniziale e confusa e passando per V analisi, riesce ad una
sintesi concreta, determinata, analizzata. La vita è vita in
quanto si diversifica: è vita in quanto si etereogenizecu^
Ma dov'è la radice primitiva ond'emerge questa dop-
pia scala in cui e per cui la forza, incarnandosi, diventa
vita? Non si discerne cotesta radice: non si verifica; né
si può verificare. Fin negli strati primigeni dell' età ar-
cheolitica vi è tracce di vita animale e vegetale. Dunque
il fatto, r osservazione, ci pone sott' occhio una dualità.
Ma una dualità originaria, ripetiamolo anche qui, non è
un assurdo? Dunque l'analisi, il fatto, suppone già una
sintesi rudimentale, in cui sia germinalmente contenuta la
doppia forma di vita vegetale ed animale. Or questo co-
mune stipite, che con felice espressione un illustre vivente
naturalista ha chiamato unità astratta,'^ o non esiste come
realtà sensata, ovvero, esistendo, non può essere, a dir
proprio, ne vegetabile, né animale, ma l'una cosa e l'al-
tra insieme. S' ella é una realtà, è destinata a scomparire
dal regno della vita, appunto perché non é forza né vita.
S'ella é una realtà, sarà un soggetto di natura indeter-
minata, fisica e organica ad un tempo. In essa la forza
diventa vita; e quindi, più che anello di continuità reale,
ci rappresenta una continuità ideale ; e perciò con l' in-
tervallo reale ci significa la virtù e l'efficacia del conato,*
* Ved. H. SpBircRR, E$$ay$ $ei€ntifìe, polUicalf (md 9peeulativef ed. cit.
Veramente ingegnosa è V analisi che quest* autore fa circa il modo con
che avviene il procetso zoologico il quale egli talora chiama |7roee««o di di/-
/erenziafzione : e non meno ingegnosa è quella sul processo geologico, etno-
logico e paleontologico. Jl difetto sta neir applicare la sua legge al pro-
cesso èoeiologieOf dov* egli evidentemente abusa delle analogie estrinseche
col. mondo zoologico. Si vegga, per dirne una, come considera il fatto
de* fili telegrafici che abcompagnauo sempre le vie ferrate, in relazione a
certe leggi biologiche degli organismi zoologici inferiori.
* VoQT, Le<;on9 tur VEommCf »a place dant la criation ec., Paris, 1865.
' Sarà egli il regno de* Protiati cotesto comune stipite? .\mmettia-
molo pure. Ma tosto sorgo la domanda : in che maniera il proti%ta, che
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486 DELLA DOTTRINI FILOSOFICA. [lIB. H.
Sennonché nel doppio processo attraverso cui rive-
lasi la vita, veggiamo verificai la medesima legge
ond' è governato il processo tìsico : uno de' termini
della dualità supera V altro. Come nel punio si genera
il momento, e come nella materia si produce la forza,
di pari modo la vita vegetabile ed animale, secondochè
ci attestano gli strati superiori dell' epoca archeolitica,
non si può dir che succedano per legge di fUiousione e
di successione, ma neanche procedono in maniera pa-
rallela e quasi di fronte. Primo a determinarsi è il vege-
tabile; ma egli procede sempre un passo indietro rispetto
all' ente zoologico. Il valore e il grado organico vitale
de' tipi vegetali si sviluppa siflFattamente, che ci addita
una relazione costante con la esplicazione delle prime
tracce di vita animale palesateci dagli strati inferiori
paleontologici Sennonché tosto 1' attività zoologica si
mostra piii gagliarda; ed ecco appariscono i pesci. Vi é
dunque un processo fra i pesci e le forme vegetabili pri-
mitive degli strati inferiori. Nell'epoca paleolitica il pa-
rallelismo par che si voglia ristabilire. Prosegue la pro-
duzione de' pesci; ma vi ha predominio di grittogamo
superiori (felci). Tosto il parallelismo si rompe : e dove
ne' profondi strati dell' età mesolitica ci é predominio
de' rettili e piante conifere, negli strati superiori già
compariscono gli uccelli. Il parallelismo si rompe an-
cora; si dispaia vie più; ed ecco che nell'epoca cenolitica,
tuttoché col predominio delle fanerogame si palesino le
forme inferiori de' mammiferi (fra cui il piccolo mar-
supiale è il più antico), negli strati superiori tralucono
già le prime tracce del processo animale-umano. 11 pa-
di per sé stesso ^ò cotanto semplice, debole, molle ed omogeneo si sdop-
pierà?Come I* omogeneo s* individua, si differenzia senza nn interrallo?
Come, senza il concetto del conato, questa iniziale unità, questa unith
astratta e indoterminata passerà a determinarsi nella dualità del vegeta-
bile e deir animale? Nella Storia Naturale il protùta ci rappresenta ciò
che nella Cosmogonia è la materia nebulare: ipoteti perciò Tuna T al-
tra cosa agli occhi del fisico e del naturalista, ma che con la nostra
formola cosmologica potranno assumere valore di teti.
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CAP. XII.] PROCESSO COSMICO.. 487
rallelismo è già beli' e scomparso nell' età quaterneria
(periodo postpliocene).*
Vita vegetativa, dunque, vita animale e vita dello
spirito non assomigliano già, come ordinariamente si
dice, ad una vasta piramide di cui la prima d'esse raf-
figuri la base, k seconda rappresenti la parte mediana, e
la terza poi simboleggi '1 culmine e quasi ne sia il corona-
mento. Cotesto piramidi e scale e sovrapposizioni e gra-
dazioni ascensive ritmiche sono tricotomie fatte a' gusti
degli Hegeliani; e ci rammentano le tre anime de' vec-
chi scolastici e de' vecchi peripatetici. Ma nò le tricoto-
mie seriali, né le sovrapposizioni peripatetiche varranno
a significarci mai la natura intima delle cose e la legge
della vita e del pensiero che è legge di creazione. Esse al
più ci potranno significare un fatto : cioè, o un processo
di trasformcunane fenomenale, ovvero un intervento del
solito JDeus machina, chiamisi Dio creante, chiamisi Idea
reali^BantesL Son elle dunque frutto d' osservazione ed
esperienza grossolana, ovvero parto di fantasia e di lo-
gica abusata e sistematica. Il processo organico zoolo-
* L* UD de* tormini deUa dualità organica (vegetale e animale), su-
pera dunque P altro; e siffattamente può dirsi che il regno zoologico si
elevi sul regno vegetabile, e vi s* adagi. Il vegetabile quindi nasce pri-
mo, e primo si ferma : poiché mentre V ente zoologico assolve il processo
organico attingendo perciò 1* unità vitale, il processo dell* ente vegeta-
bile non si risolve, ma s* arresta. lia vita vegetativa dunque non è ca-
gione, non è principio, non è sorgente, bensì mezzo, strumento, condi-
zione preposta dalla natura stessa acciò sia fatto possibile il processo zoo-
logico. E che la vita animale sorga nétta vita vegetativa, n* è conferma
sperimentale V impossibilità eh* ella esista senza il* soccorso del vegeta-
bile. In una sfera superiore, in una superiore dualità, i termini appari-
scono assai più indipendenti : r ente umano può non aver bisogno d'una
delle due forme di vita vegetale e animale. Vegetabile ed Animale, dunque,
ci rappresentano una dualità essenziale: una dualità in cui, col geminarsi
del Processo Fisico, vien fuora il regno della vita. La forza non si con-
verte seco stessa per assumer valore vitale, tranne che sdoppiandosi ne* due
regni dell* organismo vegetabile ed animale. Siffatta dualità quindi ci ò
figurata, per così esprìmerci, da due linee che, movendo da un centro
comune e originario, divergano e s* allarghino sempre più, e col divergere
convergano, e con l'allargarsi s'accostino e s'annodino fra loro per atti-
nenze molteplici nutritive, chimiche, fisiche, meccaniche o dinamiche.
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488 DELLA DOTTRINA FILOSOriOA. [lIB. H.
gico che s'incarna e si concreta ne' Molluschi, ne' Rag-
giati, negli Articolati, ne' Vermi e negl' Infusorii, noa
ostante gli sforzi pazienti, efficaci e nobilissimi de' na-
turalisti, ci presenta pur sempre forme originarie di-
yerse, irreducibili. A che dunque immaginarle, come
per il solito costumano fare i moderni iperpsicologisti
aristotelici, quasi fossero uno svolgimento serrato, fitto
e compatto d' una forma primitiva ? *
Ora se il regno organico non può non esser nume-
ro, dualità; vuol dire eh' ei non si risolve in sé mede-
simo; vuol dire ch'ei non chiude il circolo; e vuol
dire perciò che nella vita è pur mestieri che sorga no-
vella vita, e in seno al processo zoologico rampolli 1
processo iperzoologico. Non chiude il circolo, abbiamo
detto ; perchè? Non solo perchè è un' essenzial dualità
e quindi come tale irreducibile, ma anche perchè l' un
' Lo stesso Darwin (per non parlare delKAgassiz) riconosce quattro
0 cìnqae tipi irreducibili nel regno della Zoologia, e altrettanti in quello
della Botanica (De VOrigine det etpècet, trad. frane, p. 669.) Or eia-
senno di questi tipi fondamentoli costituisce anch' egli un processo; ri-
pete anch* egli nel proprio svolgimento la medesima leggo universale che
sopravveglia al Processo cosmogonico. Però oggi la teorica Darwiniana,
chi ben la comprenda, non faclie confermare, nel mondo della vita organica,
la nostra formola cosmologica. La quale viene altresì confermata in
maniera invitta dalla Paleontologia, dair Embriogenià, dalla Tassonomia,
dalla Morfologia, così nel tempo come nello spazio geologico ed attuale.
A questo proposito potremmo dire che rafn/7Aioa»(«,peresempio, sia come
il simbolo per eccellenza di questa legge. Quel che in lui è permanente,
in tutt* i vertebrati è passeggiero e progressivo. Perciò il valor della vita
nel processo zoologico cresce, non altrimenti che la legge di gravità,
col farsi vieppiù complesse e complessive e diverse le relazioni biologi-
che, anatomiche e geografiche. 1 tipi fondamentali adunque attuano la
vita, ma non succedendosi, non isvolgendosi ^Qt JUiaxìone, direbbero TAgas-
siz e lo Spencer, sibbene movendosi quasi di fronte anch* essi, e in modo,
per si esprimerci, parallelo. Però il Darwin e THoeckel fan benissimo a
paragonare V esplicazione del mondo organico al crescere e diramarsi d'un
albero : ma il difficile pel Darwinismo ove sta ? Sta nel darci ragione della
radice prima, delle barbe estreme di cotest* albero, nonché dell* estreme
produzioni degli ultimi suoi rami. A tal duplice bisogno i Darwiniani
non soddisfano; ed ecco perchè riescono ad una dottrina incompiuta di
storia naturale, anzi erronea, tuttoché paia positiva, positivissima agli
occhi loro, come vedremo fra poco. (Ved. Aqassiz, De Vetpéce et de la
da$», en Zoologie^ trad. Vogoli, 1869.)
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OAP. Xn.] PROCESSO COSMICO. 489
de' due termini di questa dualità zoofitologica lasciasi
indietro il suo compagno; di maniera che restandoselo,
e' non più chiudere, anzi per ciò ha da schiudere il cir-
colo. Or nella gran legge del processo universale, schiu-
dere il circolo non vuol dir già rifare il già fatto. Vuol
dir fare: 'vuol dire far di nuovo, andare più in su, "rom-
pere sempre più i limiti e rendere spedito lo sforeo im*
pedito e allontanarsi e uscire sempre più dal nulla: in-
somma vuol dir creare. Dunque il processo iperzoologico,
il processo isterico, non potendo sgorgare in veruna
maniera da un qualche punto in che possano per av-
ventura coincider le due linee sovra cui s'è andata svol-
gendo la doppia forma di vita animale e vegetativa,
debb' emerger necessariamente dal seno istesso d'una
delle due serie; da quella serie la quale, superando
l'altra, si prolunghi e lascisi indietro la prima. Qui il
moto, la vita è senso, e il senso è moto. Qui il centro
si sdoppia, ed è pur visibile. La vita muove dal cuore,
per esempio, e, rincirculando, vi fa ritomo. Sgorga an-
che dal cervello, e, per intime riflessioni moltiplican-
dosi e rincirculando anche qui, va a rifondei-si nel me-
desimo foco ; talché cotesto foco è centro, e nel mede-
simo tempo circonferenza. Sennonché, l'unità che qui
è visibile e tangibile, é ella altrettanto intelligìbile?
Se fosse davvero intelligibile, non sarebbe altresì intel-
ligente? Che cosa dunque le manca?...
La dualità qui non solamente rivelasi nell'orga-
nismo, nell'organismo perfetto del mammifero: ella ri-
velasi anche lungo tutta la serie, in ispecie al sommo
della serie degli organismi zoologici considerati, per
dirla col Lamarck, siccome formanti unico organismo.
Di fatto il processo zoologico, il mondo animale, la Vita,
finisce col produrre anch' ella una dualità: la dualità
del quadrumane e del bimane. Eccoci all' estremo con-
fine del mondo animale; all'ultimo sdoppiamento del
processo zoolop;ico. Qui dunque é inevitabile un novello
conato, uno sforso impedito e superato, il conato su-
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49J DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
premo della vita. Nella vita insomma si genera il pen-
siero; ed eccoci alla creazione d'un nuovo genere, d'un
Sommo genere, del Sommo Genere: Humanum Genus.
Questo genere umano è egli un ordine zoologico?
Senza dubbio; è un ordine zoologico. Ma non è altresì
un régno? È un ordine quant' alle analogie fisiche, bio-
logiche, anatomiche eh' ei serba rispetto alle altre fa-
miglie di bimani : è un ordine perchè qui havvi conti-
nuità (to' avvi^ù), continuità materiale, sensata, reale.
Ma non è anche un genere? anzi'l Genere sommo? Certo
è tale ; ed è tale per una ragione assai semplice e chiara,
meno pel materialista e pel positivista Darwiniano. Nel
Processo fisico la specie è nel genere, e vi si confonde ;
poiché in esso tutto è omogeneità, tutto monotonia,
tutto immobilità nello stesso moto interno del mondo
degli atomi e della materia fnetafisica. Nel Processo or-
ganico vegetativo, per contrario, le specie si moltipli-
cano; e in esse incarnasi '1 principio dell'eterogeneità,
dell'analisi. Nel Processo zoologico le si moltiplicano an-
cora, ma si moltiplicano limitando sé stesse; poiché il
generale qui si compie nella cotnplessità. Solamente nel
Processo isterico e sociologico l'individuo è vero indivi-
duo, poiché é genere e specie ad un tempo istesso. Che
cos' é la specie? È il genere in quanto genera sé mede-
simo : é lo stesso genere che si moltiplica, e si differenzia.
Dunque la specie compie il genere. E lo compie non solo
perchè lo sustanzia, lo concreta e lo individua, ma an-
che perché si porge a lui qual mezzo, strumento, anello,
onde un genere procede all'esplicazione d'un genere
novello. Inutili dunque gì' intervalli fra gli anelli d' un
genere. Qui è il regno della trasformazione e della reale
continuità, e la natura non vi procede a salti. Qui il
passaggio riesce insensibile, e può essere studiato in ma-
niera sperimentalmente positiva: ecco l' onore, il grande
onore del Darwinismo. Or la specie umana non è anello,
non è mezzo, non è strumento fra due generi. L' ente
umano è specie e genere in sé, poiché in sé stesso^
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GAP XII.] PROCESSO COSMICO. 491
personalità. Ed è personalità perchè è pensiero: ed è
pensiero perchè è triplicità ori,jinaria. Egli dunque, u
dir proprio, conchiude, compendia e chiude il circolo
del processo cosmico. L' origine sua è modestissima : egli
emerge dal mondo zoologico, e per questo anche lui è un
ente zoologico. Ma non è egli forse Y Animai politico
(Uov TTo^tTtxov) d'Aristotile? Non è egli forse Y Animai
religioso (Cwv puexTcxov) di Platone? Anch'egli dunque è
un mezzo; ma è mezzo a sé medesimo: ed è mezzo a
sé stesso appunto perchè è il fine delle cose. I modernis-
simi Individualisti quindi hanno ragione a predicarci
una verità vecchissima : il regno umano essere umano
appunto perchè in esso quot sunt individua tot suni
species. Qui dunque la specie è genere perchè è vero
individuo, ed è vero individuo perchè è genere. Olii
è in grado infatti di pensare e pronunziare Y ineflFabile
lo entro cui s' aduna tutto il valore dell' universo,
in lui, individuo, vive l'universale; in lui, individuo, è
l'altro individuo, e pur se ne distingue.
Alla vita succede il pensiero; o meglio, nella vita
sorge il pensiero. L'essenza di esso è l' universalità e in-
sieme l'individuazione, medesimezza e diversità, con-
versione in atto; è la conversione che s'attua sempre più
nel tempo e nello spazio. Ed è sempre il punctum e '1
moìnentum, è sempre la suprema dualità del mondo
cosmico, è sempre il conato, lo sformo impedito che qui
non si ripete, ma riappare trasfigurato nella rappre-
sentazione, nel sentimento, nel fantasma, nella co-
scienza. E qui davvero il punto e '1 momento unum
idemque sunt, poiché il cronotopo torna ad esser puro,
ma traendo seco ben diverso contenuto. Il cronotopo
è già divenuto coscienza, presenzialità, riflessione, tras-
parenza della stessa natura.... Qua! è dunque la con-
seguenza? Conseguenza chiara, inevitabile: un gemre
superiore all' umano è impossibile, è assurdo, per la
stessa necessità di natura: rebus ipsis didantibus. Le
idee, le idee umane qui sono per sé stesse idee divine,
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492 DELLA DOTTEINA FILOSOFICA. [lIB. n.
naturcdmente divine. Ecco perciò ud altro mondo, un
altro cielo, un altro aere! Ecco perciò un altro pro-
cesso, un altro circolo sconiSnato ! La legge è pur sem-
pre la stessa: ma il conato già divenuto coscienza, cioè
la materia metafisica già divenuta luce metafisica crea la
società. Il conato qui è sentimento, e crea la Religione.
Il conato è fantasia, e, come tale, crea l'Arte. Il conato
è libertà, auctorUas naturaliSy e crea lo Stato e la Scuola.
Il conato è ragione, e crea la Scienza.
Eccoci dunque tornati in seno al processo e al cir-
colo psicologico, in seno alla genesi e alla teleologia psi-
cologica. Se dunque il conato qui è Ragione spiegata,
ne viene che cotesto ente iperzoologico, cotesto ente
umanoj surto nel grembo stesso della natura ej per
opera e attività profonda di natura, ha da essere il Re
e '1 Sacerdote di se stesso.
Capitolo Decimoterzo.
darwinismo, scienza nuova e sociologia.
Ma torniamo ancora al Darwinismo, alla grande dot-
trina del mondo moderno. Il processo zoologico pel Dar-
win è quasi un albero; immagine, dicemmo, felicissima.
Egli ci mostra come si dispieghino e crescano e perdu-
rino i rami divem di quest'albero; ma la sua dottrina
non va al di là della radice, né giugne al di qua de' ra-
mi. Non vede né come la radice sia unità confusa con-
tenente una dualità, né come gli ultimi rami, adunan-
dosi e raccogliendosi in due fasci, siano anch' essi una
dualità, ma una dualità spiegata, la quale perciò rac-
chiude r esigenza dell' unità. La ipotesi, come altrove
dicemmo, é quasi lo strascico che accompagna sempre
la mente del naturalista e del severo sperimentalista.
La ipotesi xwowisoria su la pangenesi (come il Darwin
la chiama nella seconda sua opera), é un lampo di
speculazione fisosofica; ma lampo incerto, debole, fuga-
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GAP. XIII.] DABWINISMO, SCIENZA MUOVA, SOCIOLOGIA. 493
Gissimo, il quale ci addimostra più aperto il difetto della
dottrina Darwiniana.*
Ma nelle intenzioni del Darwin, e più de' Darwi-
niani, la nuova dottrina zoologica, anziché una teleo-
logia degli enti zoologici, è una teorica onninamente
meccanica del mondo animale, e, ciò che più duole,
empirica. I Darwiniani oggi sono i Positivisti della Sto-
ria Naturale; e, come i Positivisti, rappresentano an-
ch'essi l'indirizzo empirico dell'Aristotelismo. Che se
r antica Storia degli animali è anche per essi un capo-
lavoro, non sarebbe tale ov' ei pensassero come questo
* Il Darwinismo, chi ben Io intenda, è nna splendida pagina di te-
leologia applicata al mondo degli organismi. Ma non tutti i naturalisti ^
Jian saputo cogliere quest* aspetto originale, che anzi non è mancato chi
come il KOllicher e 1* Hoeckel, abbia accusato il Darwinismo di favorire
la teleologia, in Italia, al solito, chi leva alle stelle il Darwin, e chi lo
ripudia e lo ricaccia giù nel letamaio senza guari capirlo. Chi Io innalza
alle stelle, gli fa più male che bene ; e questi sono i malati di tcimmio-
mania. Chi poi lo caccia nel letamàio fa male a so stesso, perchè dà
segno d* intendersene assai poco. E neanche gì* Iddii superiori del nostro
olimpo filosofico e letterario, quali sono il Tommaseo ed il Mamiani, ci
porgono segno d* averne ponderato V importanza. Il Mamiani chiamerebbe
il Darwinismo nna teleologia utilitaria ; per cui nella dottrina del natura-
lista inglese J* A. delle Confezioni ha visto radicato non so che di Ben-
tbamismo. Veramente non ha tutti i torti T illustre Neoplatonico se in
mezzo a tanta e sì accanita lotta p€r Vetittenxa ha scorto incarnato
r Utilitarismo. Anche Carlo Darwin è nn anglo-sassone! Ma ecco quel che
noi osserviamo circa 1* accusa d* UtiHtariamo lanciata contro alla dottrina
Darwiniana. Se ci ha ordin di fatti ne* quali si possa e debbasi invocare
il Bentham, il processo zoologico è quel desso. Quivi regna sovrano
r istinto, e vi impera la forza. Perciò il domma della naturale elezione è
proprio il principio deir«a»2€, e non dell* e^ruo-ÒMono. Sennohchò qui co-
mincia a regnare il principio deir«h7e, e qui ha da finire. Il Wallace,
che ad ingegno potente deve certamente accoppiare anima bella e gene-
rosa, se n* ò già accorto, quantunque anche lui di schiatta inglese e,
per giunta. Darwiniano. Darwiniano infatti prima del Darwin, egli dice
che il principio deU*e{«nof» natunde eeaea il giorno in che appare nelV uo-
mo il tento della eooialità. (Ved. Sur Vorigine dee raeet humainee et Van-
iiquité de VHomme, déduitee de la thiorie de la téleetion naturelUf Gap. IV.)
Questa sentenza dell* illustre Wallace è nna risposta molto acconcia ed
efficace ai Darwiniani sistematici d* ogni paese, che con tanto fanatismo
ed esagerazione parlano oggi delia naturai teienùme, fra* quali, per es., il
Lubbock, anima d* inglese davvero. (Ved. VHomme avant VHiet. ec, trad.
Barbier, Paris 1867, pag. 492.)
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494 DILLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. II.
libro del yecchio di Stagira compiasi in tutte le altre
sue scritture, massime nel concetto de' tre ordini di
vita, e neir idea di natura cui egli seppe levarsi. Chec-
ché ne sia, la legge onde l'albero darwiniano si sviluppa
e cresce e sdoppiasi ed estende nei suoi rami, è legge di
pura trasformazione, nel che sta proprio, giova ripeterlo,
l'indirizzo naturale ed empirico dell'Aristotelismo in
cotest' ordin di cose. Ecco perchè il naturalista inglese
non riesce a spiegare né còme e donde mai sorga la ra-
dice del suo grand' albero zoofitologico, né come e dove
abbiano a terminarsi le estreme sue ramificazioni. Ai
Dai'winiani dunque manca il vero concetto teleologico
naturale, perchè ad essi manca, tuttoché ricchi d' in-
dagini minute e di preziosissime induzioni particolari,
il moderno concetto della creazione.'
* Che il Darwinismo come dottrina di storia naturale sia incompinta
e, sotto alcuni riguardi, anche fallace, T attesta quella moltitudine di
principii eh* esso invoca per imprimerò a so medesimo un yalore scien-
tifico 0 razionale. Egli inroca il principio della Coneorrenaa vitale, e della
lotta per V etUtenxa, Invoca il principio de* Mutui rapporti fra gli orga-
nimi. Chiama in sussidio la legge ùeW Atfivitno, e àeìV Adattainento,
Invoca la legge della Divergenza de^ caratteri zoologici; e, Analmente,
quella che parrebbe comprendere ogn* altra della Slexion naturale. Or
tutti questi non sono principii ; sono condizioni, sono concanse del gran
fatto della DUcendenna modificata. Ciascuna di tali condizioni potrà be-
nissimo spiegarci questo o cotesto fatto; ma non è poi necessaria una
ragione superiore atta a spiegarci esse stesse? Il Darwin, ripotiamolo,
è capace di mostrare come le specie si modifichino e conservino, ma non
addita 1* origine di esse, nò la ragion filosofica della scelta; laonde, il titolo
del suo primo libro, come altri ebbe ad osservare è un titolo sbagliato addi-
rittura. (Ved. LAgoKL, Révue dee Deux Mondee, !• marzo 1S68, e nel suo
libro 5!c»ence et Philo9ophie,"PAT% 1868, p. 289.) Vero è che i Mutui rap-
porti fra gli organismi avrebbero valore e fisonomia di principio superiore,
il quale perciò sarebbe anteriore al fatto della ikelta e della Coneorrema
vitale. Questo anzi ò precisamente il concetto originale onde il Darwin
ha superato la Scuola del Lamarck. Ma 1* idea del mutuo rapporto orga-
nico, non racchiude forse quelle del mezzo e del fine ? E s* egli ò cosi
non siamo già nel campo di quella teleologia che fa tanta paura ai
Darwiniani e della quale ei non vonno sentir neanche fiatare? Inoltre,
che la dottrina Darwiniana riesca essenzialmente empirica, ce *1 dimo-
stra r impossibilità di dedurre la necessità della Diecendenta modificata.
Quattro sono le condizioni per la comparsa d* una nuova specie : !• ap-
parizione d* un nuovo carattere ; 2o suo determinarsi, e diffondersi; per
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CAP. XIII.] DARWINISMO, SaENZA NUOVA, SOCIOLOGIA. 495
Ma se il Darwinismo è dottrina per sé stessa man-
chevole in quanto non riesce a spiegare in verun modo
le origini delle specie, non meno manchevole s' addi-
mostra ove procacci spiegar V origine dell' uomo con-
siderato come subbietto di storia naturale. I Darwi-
niani si studiano rintracciare un vincolo naturale fra il
processo zoologico e il processo isterico, applicando il
principio della Bivergenga Aé caratteri, e della Discen-
denega modificata. Ma, senza dir già che gli stessi zoo-
logisti (fra i quali il Watson) contraddicono a siffatte
pretensioni, alla ragion filosofica positiva riesce evidente
come il principio darwiniano, tanto felicemente appli-
cato dal Darwin alle manifestazioni successive del pro-
cesso organico e della vita sia naturali sia domestiche,
tomi insufficiente, anzi erroneo, quando in modo asso-
luto si voglia applicare al regno umano. Tale applica-
zione è stata fatta con ricchezza di notizie particolari e
con vedute ingegnosissime e affascinanti dal valoroso
professor Vogt. Egli ha visto la necessità di compiere il
principio della Divergenza con V altro della Conver-
genza de' caratteri zoologici. Questo è il concetto nuo-
vo, bellissimo, ch'egli, fra i naturalisti, ha introdotto
nella Storia naturale ; e l' antico maestro della Historia
Animalium, se oggi tornasse a vivere, glie ne rende-
rebbe giustizia. Uno per lui è il tipo de' quadrumani il
la qaal diffusione solamente è resa possibile la varietà; 8* ampliarsi»
perfezionarsi e fissarsi di questo carattere ; 4* predominio della nuova
razza so le altre. Or come e perchè si fissa eg^li cotesto carattere ini-
ziale? Non potrebbe non apparire neanche? Ecco dunque svanita ogni
necessità razionale della DUeendenxa modificata. Essa non e legge, per-
chè non racchiude nò pur l'ombra d'universalità, di necessità, di ra*
zionalità. Una specie poteva non sorgere: perchè? perchè poteva non
apparire, né fissarsi il fortunato carattere iniziale. E cosi pure poteva
non sorgere il processo zoologico accanto al processo vegetativo. Poteva,
non sorgere il processo vegetativo-zoologico in grembo al processo fisico.
£ di questo passo poteva altresì non essere il mondo totto, e cosi re-
stare eternamente possibile (che vuol dire impossibile) il gran fatto delia-
creazione. Non è questa la conseguenza ultima alla quale mona la Storia.
Naturale al modo che ci è data da' moderni aristotelici empirici e dai
positivisti Darwiniani?
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496 DELLA DOTTRINA FILOSÒllOA. [lIB. H.
quale, sdoppiandosi per leg^e di divergenza ne' due rami
principali delle scìmmie del mondo nuovo e del mondo
vecchio, dà luogo siflFattamente alle tre note famiglie
scimmiane. Or qui alla divergenza dee soccorrere la con-
vergenza ; che, in fatti, dalle tre famiglie di scimmie sor-
gon le antropoidi, le quali sono fornite di caratteri co-
muni. I due principii dunque s'incontrano, diremmo, su
gli estremi confini del mondo zoologico, e così chiudono
il circolo del processo animale.*
Il concetto del Vogt su la necessità della Conver'
* Chi volesse abosare, protraeodo ancora oltre i confini della yita
animale, il principio della ditfergenza, giagnerebbe a questo risultato:
che, cioè, il circolo zoologico non dovrebbe chiudersi mai, e il processo
della vita dovrebV esser costituito da una serie infinita di termini.
Oltr'a ciò contradirebbe, nel medesimo tempo, all'esperienza e alla
nostra formola cosmologica; che vuol diro farebbe contro al fatto, e
alla ragione. Il fatto è assai semplice. Il regno umano, qualunque ne
sia la specie, palesa identità ne' caratteri fisici piìi specificanti; per es.
estremità atte all'incesso eretto, apparato dentario-mascellare inenne
e simili : e palesa identità eziandio ne' caratteri morali e»9enMÌali, non
essendo vero oggi mai che tra il bianco e il negro corra differenza spe-
cifica essenziale, meno (s'intende) agli occhi lincei degli Hegeliani, i
quali hanno assoluto bisogno di questo divario essennale ed immanenUf
se no la gran legge dialèttica se n'andrebbe in fumo! Col che essi non
solo (sia detto di passata) fanno ingiuria ai fatti in quanto che il fatto
oggi mostra che il povero negro non è poi tanto irreducibile quant'essi
vannosi immaginando, ma, che più monta, insultano l'umanità stessa
oltraggiando così quella disgraziata schiatta a cui siamo legati per
natura. Aristotele certo non andò tant' oltre col suo concetto su la ne-
cessità della schiavitù! La sua necess'itkertk naturale, empirica, di /atto;
non già dialettica, non già assoluta. Son proprio dommatici cotestoro! son
proprio aristotelici iperpsicologisti fino al midollo delle ossa! Dunque,
tornando a noi, attesa la doppia identità di caratteri, il circolo zoologico
si chiude; ed è un fatto. Ma abbiamo detto che l'applicazione assoluta
del principio della divergenza contraddice anche alla ragione: porchò?
Perchè, se cosi fosse, il numero sf rimarrebbe numero, l'eterogeneo re-
sterebbe eterogeneo, l'analisi resterebbe analisi, il diverso diverso, e cosi
tutto sarebbe negazione di scienza, e cadremmo nel nullismo. Le origini
del processo isterico sono, e debbon essere multiple. Ma, io chiederò,
dove non si uscisse dalla differenza •pecijica, non rimarremmo chiusi in
perpetuo nel regno zoologico? Non faremmo contro all'essenza stessa
della forza, della natura, della materia, del conato e della vita dell'uni-
verso? In una parola: col perpetuare il processo zoologico, non verremmo
a negare evidentemente il progresso?
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OAP. Xni.] DABWINI8M0, SCIENZA KUOYA, SOCIOLOGIA. 497
genea ne^ confini del processo zoologico è preziosissimo :
esso costituisce Y esigenza vitale della filosofia della na-
tura e della storia. Ma, eccoci al guaio! Egli esagera in
maniera cotesto principio, che non si salva dal precipitare
nell'errore opposto a quello cui riescirebbe il Darwin
ove questi presumesse d'applicar la legge della Diver-
genza anche al di qua del regno zoologico. Egli esagera
siffattamente la legge della Divergenza, da credere che
le tre famiglie scimmiane, fra loro diverse per condi-
zioni biologiche e geografiche, vadano convergendo così
ne' lor caratteri, che tosto giungano ad assumere forma
simile, relativa all'umana. Or questo egli non ha di-
mostrato; e, per fortuna^ mai non potrà giugnere a
dimosti-arlo. E non può dimostrarlo, giusto, perchè d'un
principio vero e fecondo egli ha fatto un' applicazione
addirittura erronea. Le famiglie scimmiane sono e man-
tengonsi multiple nelle origini loro. Delle antropomorfe
già contiamo due generi ; e fra esse le distanze si pa-
lesano più spiccate che non paion fra esse medesime
e la specie umana. Or quest' fwmanum Genus è uno,
come s'è detto, perchè le differenze specifiche in lui
sono immaginazioni de' cervelli dialettici e svolazzato!
educati al trascendentalismo hegeliano. Qui, dunque, su
gli estremi confini del regno della vita è necessario, è
inevitabile un intervallo assai più netto e spiccato. È
necessario, è inevitabile un ^alto, un salto di Leucade,
perocché debb' esser superato dall' ultimo e supremo
conato di natura; al modo istesso che in una sfera su-
periore, nella sfera del pensiero filosofico, la virtù edut-
tiva ci rappresenta il conato estremo della speculazione
metafisica.*
* II Vogt perciò neUa flne del processo zoologico trovasi in qoene
stesse condizioni in che si ritroTa il Darwin sul comindaniento ed ori-
gine delle specie: si perdono entrambi nelle ipotesi. Ma il Vogt diri:
il mio metodo è sapremamente comprensivo, logico, legittimo, compitis-
almo. Da una parte, tre famiglie scimmiane che sempre più conrergono
neMor caratteri: dall* altra, guardando la storia de* popoli, tre schiatte
umane. Quelle ascendono Tieppiù conyergendo fra loro : queste poi, quanto
SlCILIAM. 31
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4d8 DELLA DOTTBIKA FIL080FI0À. [lIB. H.
Le leggi dunque della divergenza e della conver-
genaa di cui ci parlano i Darwiniani, sono entrambe
necessarie alla teorica positiva della storia naturale; ma
vogliono esser congiunte e legittimate mercè un con-
cetto cosmologico rcunonalmenie posUivo. Innalzando
r una d' esse ad assolutezza, avremmo, ripetiamolo, una
divisione e un disperdimento sempre più dicotomo del
processo zoologico. Elevando l' altra a dignità assoluta,
ci troveremmo in presenza d' un vero miracolo. Fac-
ciamoli pur fare, io dico, i miracoli alla natura : noi
Siam qui ammiratori silenziosi e contenti della ricca
fecondità di quest'antica e veneranda madre. Ma non
dobbiamo legittimarne almeno la possibilità?
Uomo e animale certamente costituiscono un regno
convergente, come il vegetabile e l'animale. Ma s' egli è
possibile rintracciare un protista fitozoa nel quale con-
vergano le due serie del processo orgamco ascendendo
verso le origini loro, assai difficile tornerà il trovare un
protista antropoide che sia nel medesimo tempo uomo
e bestia, e dal quale sia potuto venir fuora 1' ente
più salgono e s* accostano alle origini, ascendono dirergendo sempre pi ii
fra loro. V* ha dunque rispondenza squisita di qua, e di là ; e quindi o^ni
intervallo è colmato, nò altro vi esiste fuorché reale e perfetta conti-
nuità. — La rispondenza davvero sarebbe maravigliosa, ove non fosse al
tutto artiflziale. Il valoroso Vogt piglia il piede al gorilla, chiede la mano
al chimpansé, toglie il cervello airorang-outang, chiama in sussidio lo
scheletro delio sciamang, chiede in prestito la testa del cebo, degli ovi-
stiti 0 d*una specie affine, e a rintracciar la facoltà della favella, po-
trebbe, da buon positivista, chieder aiuto al pappagallo, segnatamente
al ptittaoM eritkcnu. E così pellegrinando su* lidi Affricani e poi in Ame-
rica, a Borneo, a Sumatra, a lako, e raccogliendovi le sparte membra,
egli compone l'Adamo, ansigli Adami, sicché, novello Michelangelo col
suo Mosò, 0 meglio, novello Prometeo col suo nomo di creta, ci assicura
di trar fuori Tonte umano, la storia, il pensiero, la civiltà! Ma applichi,
di grazia, con più rigor logico il suo stesso principio: che cosa ne verrà?
Ne verrà che la stirpe etiopica dovrebb' esser nata dall' orang-outang,
anziché dal gorilla o dal chimpansé. Giacché ov'ella provenisse da que-
sti, appo cui le estremità sono perfette relativamente a quelle dell* orang-
outang, io potrò domandare: in che maniera 1* etiopico avrebbe estre-
mità superiori così mostruosamente lunghe, ed estremità inferiori così
meschinamente carnose di fronte alle altre schiatte?
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GAP. XIIL] darwinismo, SCIENZA NUOTA, SOCIOLOGIA. 499
umano. Un essere che non sia uomo né scimmia, non s' è
trovato; né forse può ritrovarsi, per quanto l'aifannosa
attività del naturalista andrà razzolando per entro alle
antiche caverne africane. L'uomo forma un regno con-
vergente non già con l'animale in genere, bensì con
r animale che assume l'ultima forma zoologica, ciò è
dire col quadrumane. Esso dunque devesi concentrare
in una delle due serie, in un de' termini della dualità
superando V altra. Or questa trascendenza é impossìbile
senza un intervallo ; e però l' uomo è nel medesimo
tempo, come s' è detto, un ordine ed un regno rispetto
ai quadrumani. Dunque, né immediata provenienza
dalle scìmmie, né discendenza diretta da un primate
che sia stipite comune. All' una cosa e all' altra si op-
pone evidentemente la diversità di caratteri esistente
fra r uomo e la scimmia.'
Ma, inoltre, vi s' oppongono altre ragioni che ci é
lecito desumer dalle scienze affini, massime chiamando
in sussidio la geologia e la fisiologia. Poiché la famì-
glia delle scimmie appartiene ai quadrumani, ne viene
che, a cagione dell'incesso eretto, elle deggiono aver
trasformato in piede la mano delle estremità poste-
riori. Ora il tempo richiesto a tal trasformazione, non
avrebbe a esser lunghissimo? piii lungo, certo, che noi
richiederebbe la trasformazione del piede in mano?
Uno de' risultati geologici e paleontologici più sicuri
intanto é questo: che bimani e quadrumani contano
presso che la medesima antichità.* Dunque il tempo
che fisiologicamente é lunghissimo, geologicamente do-
vrebb' esser brevissimo. Geologìa e Fisiologia quindi sì
contraddirebbero. Ma com'è possibile una contraddizione
* svolgimento maggiore de* lobi cerebrali anteriori e delle circonvo-
luzioni ; straordinaria prevalenza del cranio cerebrale sai facciale ; con-
tinuità della serie dentaria; differenza nelle estremità e simili: ecco le
differenze enormi, che sono altrettanti fatti positivi riconoscinti da tatti
gli zoologisti, fra Taomo e la scimmia.
■ C. LTBI.L, Principta of Qtólogy etc., voi. II. — PiOTiT, Manuel de
Pai tautologie.
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500 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. U.
in due fatti d' egual valore, d'eguale importanza spe-
rimentale? In tal caso non è lecito dubitare de' risul-
tati geologici, i quali escludono con sicurezza di giu-
dicio cotesto tempo lunghissimo. Tanto meno ci potrà
esser lecito contraddire alle leggi di sviluppo biologico
e della capacità organica che la fisiologia sperimentale
insegna richiedersi alla suddetta trasformazione. Quale
sarà dunque la conseguenza? In ragione de' fatti e in nome
di due scienze essenzialmente positive, la conseguenza è
che il fatto non sia potuto accadere cosi come preten-
don gli scimmiomani seguaci segnatamente del Vogt.
Quale altra ipotesi ci rimane ? Ve ne sarebbe un'al-
tra, secondo alcuni: supporre la discendenza, tanto dei
bimani quanto de' quadrumani, da uno stipite comune,
da un pkcentario superiore, da un Primate il quale,
serbando in se stesso un valore come di specie originaria,
abbia dato luogo, per legge di divergenza, al gemino
ordine anzidetto: nel che tanto più parrebbe doversi
consentire, in quanto che vi sarebbe una continuità reale
e concreta favorevole all'ipotesi, eh' è dire la trasforma-
zione pili agevole del piede in mano. Or se questa ipotesi
è ingegnosa, non però cessa d'essere ipotesi. Vero o non
vero tutto ciò, siamo sempre alla medesima difficoltà:
dov'è egli cotesto anello intermedio? Si è perduto
perchè debole, risponde il Darwiniano: si è perduto
perchè ristrettissimo il numero de' suoi individui. Ra-
gioni di stoppa, cotesto, che certo non meritano l'onore
della discussione! Il filosofo, o meglio la filosofia posi-
tiva, può, nel dimostrar la provenienza del regno umano
dal mondo zoologico, prescindere da cotesti intermedi:
ella non ne ha di bisogno, anzi li nega. Ma può non
averne bisogno una dottrina che presume d'esser supre-
mamente sperimentale qual è il Darw^inismo? I Darwi-
niani hanno assoluto bisogno dell'anello, dell'intermedio;
e r invenzione di cotesto anello per essi dovrebb' esser
davvero Y experimentum crucis di Bacone. Sinché dun-
que non r avran trovato, ei saran sempre nel vago d' una
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GAP. XIII.] DARWINISMO, SOIKirZA NUOTA, SOCIOLOGIA. 501
ipotesi. Vorremo fare il caso che gli scimmiomani sieno
tanto fortunati da ritrovar cotesto anello ? Facciamolo.
Che cos'avranno ottenuto? Otterranno, certo, di spie-
gar le somiglianze fra V uomo e la scimmia, di cui
ninno è, del resto, che voglia dubitare. Ma non resterà
sempre a dar ragione delle difiFerenze che anch'essi ap-
pellano indispidabUi? Diran forse che cotesto anello non
sia uomo ne scimmia, bensì l' una e V altra cosa ad
un tempo? Ma tal meschina supposizione non risolve
menomamente il problema, sibbene lo sposta, e saremo
sempre daccapo.*
Che cosa è da concludere quant' all' unità di ceppo,
all'unità originaria dell'umana specie? Qui non c'è
fatti storici, né jpaleontologici, né geologici, né fisiolo-
* I crani rintracciati nelle più yetnste caTeme con la lor forma
piatta 0 allangrata, mi paion anch* essi nn argomento di pan molle. Quanto
a' resti umani poi del periodo untiario^ e' son sempre umani ; perchè lo
strumento più grossolano e più semplice di pietra, attesta sempre 1* orma
del pensiero, e però è necessario T intervallo fra Tonte umano dell* età
della pietra, e la scimmia. L* argomento del microcefalo gioverà tanto
meno : egli ò un* eccezione che conferma la regola, se pur non si voglia
ritenere per affvzione patologica. Il microcefalo ò idiota per accidente, o
non può quindi formare una specie. D* altra parte esiste una differenza
spiccata fra lui e la scimmia. Non v*ò scimmia che sia potuta, o possa
dovent-ar uomo. Chi potrà dir lo stesso dell'idiota per nascita? Nel mi-
crocefalo ò dimostrabile il tipo umano ; che anzi lo ha dimostrato, fra
gli altri, il Wagner. Im sviluppo in lui s'arresta, non indietreggia; e
perciò ha carattere di fatto patologico, anxichò di fatto biologico e na-
turale com'ò nella scimmia. Giunta la scimmia a certo stadio di sua
vita, indietreggia inevitabilmente: lo dimostrò per via di fatto il Cuvier,
e i moderni Than confermato, e però qui non siamo in patologia, ma
in piena fisiologia. Come dunque si può elevare a legge il fatto del mi-
crocefalo? — Qualcuno ha creduto che il Negro rappresenti, anzi sia ad-
dirittura l'anello di cui si parla. Certo, le somiglianze sono innegabili:
ma chi potrà dubitare delle profonde differenze? Se il Negro fosse V in-
termedio fra l'uomo bianco e la scimmia, evidentemente dovrebbe aver
qualcosa di comune. Ora gli stessi naturalisti ci dicono il contrario, fra
i quali il Vogt, perocché v' ò sempre un abisso fra il Negro e la scim-
mia. Ripetiamolo: non è dimostrata, e non si può dimostrare la imme-
diata provenienza dell'uomo dalle scimmie. Non è dimostrata, né si potrà
mai dimostrare la discendenza diretta da nn primate che ne sia stipite
comune. La legge di pura o semplice trasformazione è un assurdo anche
qui, e sopratutto qui.
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502 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. II.
gici, né filologici che bastino. Tutti i risultati di queste
scienze tendono anzi a dimostrare il contrario; e però
non senza ragione il Wallace, tuttoché monogenista,
dichiara la soluzione di tal problema favorevole ai po-
ligenisti. T ha una relazione costante fra la distribu-
zione geografica, e quella della vita animale e vege-
tativa.* £ la paleontologia dal canto suo dimostra le
differenze originarie delle specie vissute in altre età.'
Altrove mostreremo a quali risultati possano giungere
la filologia e la linguistica. Ma se non si perviene, e
non si può pervenire a dimostrare l'unità di ceppo,
è pure un fatto, un gran fatto V unità specifica. Ed è
un fatto necessario per ragione intrinseca dello stesso
processo cosmico in generale, e del processo zoologico in
particolare. Il regno umano sorge nel regno zoologico.
Dunque non può esser costituito da una moltiplicità
essenziale di specie, ma debb' essere, come dicemmo,
un genere specificato. Sia pur uìio, siano più, siano molti
gli Adami: che monta? Forse che per questo risulterà
meno irrepugnabile e men certa la comunanza di na-
tura? Sarà men certa e meno irrepugnabile Y univer-
salità e unicità di fine e di destinazione cui ci condu-
con logicamente le leggi del Processo cosmico? Tra
l'uomo nero e il bianco tal comunanza va sempre più
rendendosi evidente col progredire della civiltà. Dun-
que le differenze di specie in essi non sono essenziali,
ma accidentali. E sono accidentali appunto, perchè
scompaiono man mano, e dovranno scomparire per la
stessa natura, per la stessa legge del processo cosmico.
Le differenze nel regno umano, in somma, son pri-
mitive: dunque non riguardano il contenuto, bensì la
forma. Invece là medesimezza, la communis natura è
un risultato progressivo, perché tiene al fine, perchè
tiene al processo, istorico sociologico : dunque ella è dote
* AoASSiz, De Vetphie, ed. cit., cap. I, iz.
• VoOT, Op. cit. — LuBBOCK, Op. cit., p. 492. — PiOTBT, Manuel cit. —
Ltbll, Prino. of Qeology etc.
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GAP. Xni.] DABWINISMO, SCIENZA NUOTA, SOCIOLOGIA. 503
essenziale, non accidentale: è dote di tutti e di ciascuno
■ individuo del regno umano.
Ma qui giova ribadire una conseguenza accennata qua
dietro. Se la genesi e '1 processo, sociologico vanno anch'essi
dal numero all'unità, dall'analisi alla sintesi, ne viene che
ciò che per l'Hegeliano è un diverso essenjsude (come la
pretesa differenza essetmcde tra il bianco e il negro), per
noi, al contrario, debb'esser onninamente accidentale. La
dialettica hegeliana perciò nega e deve logicamente ne-
gare il progresso nella eguaglianza naturale delle stirpi;
e afferma e deve logicamente affermare le differenze
essemiàli e però costanti fra il negro e il bianco. In-
vece la nostra formola cosmologica, che non pecca d' a
priorismo dommatico e sistematico, legittima il gran
domma della comunione di natura, e ne mostra la ne-
cessità. Diranno che tutto ciò che è originario e primitivo
debba essere essenziale e universale? (Cotesto è linguag-
gio da teologisti ; il quale del resto non ci meraviglia, sa-
pendo come l'Hegelianismo, anche in ciò, sia una contraf'
fazione del Cattolicismo. II povero Negro dovrà piangere
eternamente, in ossequio alla dura legge dialettica, qual-
che peccato originale : dovrà scontare qualche colpa na-
turale di cui non ha pur Y ombra di consapevolezza I Di
grazia, chi vorrà accettare oggidì simili conseguenze?
La filosofia positiva, dunque, è e debb' esser polige-
nista quant' air origine : a questo ci spingono i risul-
tati della scienza moderna. Ma è la medesima scienza
moderna, è la medesima filosofia razionalmente posi-
tiva che e' impone, fatto un passo di qua dalle ori-
gini, d'esser necessariamente monogenisti nel senso te-
leologico. Giova ripeterlo : l' uman genere è Humanum
GenuSj è un sol genere, non per comunanza di ceppo
originario, sì per comunione e medesimezza di natura.
Ed ecco precisamente l'aspetto più originale della
Scienza Nuova, di cui ci è dato ormai comprendere il
significato razionale.
Che cos' è la Scienza Nuova? È la filosofia della
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504 DELLA DOTTRIirA FIL080FI0A. [lIB. H.
storia, hanno risposto a coro filosofi d' ogni colore : è
una scienza che T autore indirizzava a divinare e ri-
velare il futuro. Precisamente il contrario! La Scienza
Nuova è davvero nuova principalmente perchè pre-
tende rivelare, anziché il futuro, il passato. Ella è
nuova appunto perchè è la scienza positiva del vecchio,
dell'antico, del primitivo, dell'originario, cioè del natu*
rde, indagato e scrutato e ricercato col doppio strumen-
to, come accennammo, della psicologia e della filologia
largamente intese.* E poiché è scienza del passato,
^ Questo doppio strumento, queste due forme di dimostrazione, come
altrove toccammo, ci son addato dallo stesso Vico. L* una d* esse è pro-
priamente di natura a potteriori, Taltra è psicologica a priori; ed entrambe
costituiscono II metodo eduttivo della scienza. La prima è chiarissima
nella Scienza Nuora, e si compone di fatti filologici, mitologici, storici,
statistici, religiosi, giuridici, politici, economici. Un esempio singolare
di questa maniera di prora induttiva io troviamo nel £<> lib. del Diritto
Univertale, e segnatamente nella Storia delle cinque età del Tempo Oscuro;
dalla quale storia risulta la legge storica e sociologica che, portata a
pii^ largo sviluppo, costituisce la Seìenxa Nuova. Noi consacreremo appo-
sito capitolo intorno a questa teorica del Tempo Oécuro^ perchè in essa
troveremo il fondamento legittimo della sociologia davvero filosofica e
positiva. L* altro strumento poi che il Vico avea fra mano e sapeva
maneggiare in guisa che non ci ò dato nò pur sospettare alla lontana,
costituisce propriamente la parto geniale, originalissima del suo metodo
isterico; ed ò quella che noi dicemmo di natura psicologica, e che di
fironte alla prima serba indole a priori; ma è un a priori positivo, positi-
vissimo, perchè di natura psicologica. Ella in somma cojitltuisce, se cosi
potessi esprimermi, un lavoro mentale da geologo, da paleontologo. Se in- '
fatti lo spirito dell' uomo in una data epoca istorìca somiglia, vorre* dire,
* ad una caverna ossifera, bisognerà studiarlo analizzandolo, anatomizzan-
dolo, decomponendolo. Perciò è necessario dimenticar noi stossi, e lavo-
rare attorno ad esso in modo tutto ideale dÌ8cendendo da questa no$tra
umana ingentilita naturaf a queUe affatto fiere ed immani, U quali oi ^ affatto
negato d^ immaginare, e eolamente a gran pena ci i permeeeo cT intendere,
(Sec. Se. Nuo., p. 141.) Breremento: bisogna aver presenti noi stossi, ma
nel medesimo tempo dimenticarci : bisogna etordire ogni eeneo «T uwtanità
(sono sue parole) e ridurei in uno etato di eomma ignoranjta di tutta
V umana e divina erudizione, (ibi.) Questo, come notammo (p. 833 e seg.),
è precisamente ciò eh* egli dice portare ad un fiato il vero e il eerto, la
fiioeofia e la filologia. Questo è il metodo isterico davvero positivo, che
è propriamente metodo di natura eduttiva. E questo dovrebbero mediterò
ed applicare i nostri sazievolissimi predicatori di certi metodi storici e
critici che al postutto riduconsi ad un meschino empirismo I
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OAP. Xnr.] DARWINISMO, SCIENZA NUOVA, SOCIOLOGIA. 505
perciò medesimo è scienza del presente, scienza del-
V oggi, e, fino a certo segno, anche del domani. Ma
senza quella filosofia che non le è incorporata ma ch'ella
presuppone necessariamente, cotesta Scienza Nuova non
sarebbe niente di tutto ciò. Posta infatti la doppia for-
mola metafisica e cosmologica, i cui germi giaccion nel
Libro Metafisico; posta segnatamente la gran legge del
Processo cosmico, ella è davvero un poema, è un gran
poema, un poema sul serio, ma un poema sui generis.
Perchè? Per questa ragione principalmente: perchè è
una Storia naturale della umanità nell'uomo:
perchè in lei si scruta l'originaria formazione dell' ultimo
Sommo Genere ; perchè eli' è la celebrazione solenne dello
Spirito che si crea nel regno stesso della vita ; perchè è
la creazione parlante, vivente, reale del pensiero ch'esce
dal caos delle forze brute fisiche, meccaniche, biologi-
che ; perchè, insomma, rivela il Fatto che, convertitosi
con sé stesso come forza e come vita, ora convertesi col
Vero come pensiero. Ecco l'originalità vera del pen-
siero Vichiano. È un pensiero d'una grandezza e d'una
potenza, sto per dire, titanica ! un pensiero nuovo, nuo-
vissimo, anche dopo due secoli I
La Scienza Nuova, dunque, rappresentandoci la ge-
nesi del processo storico e sociologico, fra le altre cose
pronunzia, legittima, compie e insieme corregge il Darwi-
nismo. Una delle Degnila su le quali è innalzato il suo
gi*andioso edifizio è lo stato ferino dell'Umanità; cagione
certamente non puerile delle dispute e delle sètte de' Fe-
rini e degli Antiferini surte fra noi, come toccammo, sotto
gli occhi del Papa e de' cardinali nel bel mezzo del secolo
passato (p. 39 e seg.). Il suo problema dunque è il gran
problema ond' è agitata e mossa la scienza odierna. È lo
stesso problema che, con significato assai pili compren-
sivo, assai più razionale, assai più sintetico e profonda-
mente sintetico, agita e muove sotto gli occhi nostri la
filologia, la zoologia, la geologia, la paleontologia, l'an-
tropologia, la sociologia, la filosofia e la storia del Di-
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506 DSLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. H.
ritto, la filosofia e la* storia delle arti, la filosofia eia
storia delle religioni, come saggiamente ha detto il De
Fèrron (p. 149 e seg.) Il suo problema quindi si collega
con quello stesso di Lamarck, di Couvier, di Geoffroy
de Saint-Hilaire, di Herbert, di Mathew, d' Omalius,
d' Halloy, di Rafinesque, di Schaaffausen, di Hooker,
de' viventi naturalisti, de' viventi filologi, de' viventi mi-
tologi, e degli storici d' ogni maniera.
Nella Scienza Nuova infatti il processo storico-so-
ciologico nasce, sorge o si produce nel processo zoologico;
ma nasce, sorge o si produce creandosi. Dunque il 6e-
stione, r uomo ferino, per quanto ferino e bestione vo-
gliasi immaginare, importa già un intervallo.* Come ci
si rivela egli cotesto intervallo? In altre parole: com'è
che s'inaugura il processo isterico? Com'è che s'inizia
il regno dell' umanità ? Al solito s'inaugura con la gi*an
legge delle polarità, ma nel medesimo individuo: s'inizia
con la legge della dualità, ma nella coscienza stessa del-
l' individuo. Ciò che nell' ordine psicologico è senso e
intelligenza, potere e volere. Autorità e Ragione ; qui,
nell'ordine sociologico e storico, è Libertà e Pudore:
ecco i due Principii éC Umanità; principii essenzial-
mente sociologici.*
* Lo st-ato ferino pel Vico è an fatto accidentale, ed è accidentale
perchè non è universale ; ma questa dicemmo essere un* aporta contrad-
dizione in che cadde tanto lui, quanto il suo discepolo Duni. Ed ò con-
traddizione, perchè fa contro non solo ai suoi principii cosmologici, ma
anche ali* esigenza stessa del suo metodo, fe-una delle contraddizioni duo-
que dalla quale ei pì libera da so medesimo.
* Nessuno prima del Vico aTcva impresso valore ed importanza
isterica a questi due iftm o prineipìi d^umnnità. Grozio, per citare
un esempio, parla anch* egli- del pudore; ma non sospetta nò la neces-
sità sociologica e istorìca di questo fatto, nò il significato psicologico
di questa tondenza, e però non ne fa uso di sorta'. (Ved. Dt Jwr. M. et
paeitf "2. 19, 3, «10.) Disse la libertà madrt di qualsivoglia diritto civile
(id. 2, e. 5, § 17) ; ma perchè madre ? — Citiamone un altro esempio. Anche
Platone parla de* due beni. Pudore e OiuetÌMÌ€L, che Giove impartì agli
uomini [Protag., ed. Cousin, T. Ili, p. 110): ma pel filosofo greco tale
tendenza ò partecipata, è comunicata, mentre pel Vico è affiatto naturale.
Per Platone riiman»tà si manifesta nella CVttèt, nella iSepubò^tca; dovecbè
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GAP. XIII.] DARWINISMO, SCIENZA NUOVA, SOOIOLOGIA. 507
Qual valore, infatti, qual significato hanno queste due
parole nella mente del nostro filosofo? Considerate sotto
il rispetto storico e sociologico, PudoreLibertas non sono
idee, concetti, nozioni, astrazioni; sono bensì condizioni
efficienti originarie, intime, spontanee, istintive di nostra
natura. Sono i due prificipii che principian V umanità
nell'uomo; principii ch'ei pone quasi geni tutelari alle
porte ddla storia e delle cose umane. Sono facoltà, ma
facoltà involute, potenziali; stantechè Tobbietto di esse
non sia per anche fatto, noh sia per anche elaborato.
Perciò sono giudizi, ma, al solito, giudm sentUij come
direbbe egli stesso; giudm fatti senza riflessione. Sono
dunque tendenze primigenie, sono esigenze autogenite; e
però ci rappresentano anch'elle ima sintesi confusa, entro
cui si racchiude infinita virtù esplicativa. Qual è infatti il
principio d'ogni socialità? Qual è la radice della socia-
lità? £ il concetto stesso d' umanità.* £ come si deter-
mina, come si esplica dapprima questa tendenza innata
e originaria ad umanarci? Appunto col gemino senti-
mento del pudore e della libertà^ Questa originaria
dualità costituisce la natura stessa dell'uomo, giacché
r ente umano intanto è animale umano, in quanto non
è una cosa, ma due: (ùov fiU7Ttxoy, e (wov ttoXctcxov. £d
egli è tale fin dalla sua prima origine, questa essendo per
l'appunto la invitta necessità del processo iperzoolo-
pel Vico ò originaria, tanto cho si manifesta anche nello stato di natura: il
quale perciò, come altrove accennammo, non ò quello do' giusnaturalìsti
del secolo passato. Fra la ReptMdiea del filosofo ateniese, quindi, e la SeienMa
Nuova, anche per questo rispetto t* è un abisso, checche ne abbiano
detto 0 possano dime certi Hegeliani. Per questa medesima ragione
non ò da confonder menomamente V uomo ferino della Seitnua Nuova,
con gli nomini selvaggi di cui parlavano tanto spesso gli antichi, se-
gnatamente r A. della RepubUica, Aristotele, Cicerone e simili. ^ una
posizione affatto diversa, a cui bisogna por mente.
' HumaniUu ett hominU hominum juvandi affedio, {De Conti, JurU-
prudenHt, 0. II, l.)
* Sed ex latiori genere Humanitatie heie a nobU aoupta a duobue
prineijnù ootMtal, Pudori et Libebtatk. {Id, eod,, II, 2.)
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508 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
gico, e della legge di conversione: rèbus ipsis didantì"
bus.^ Or qual è la relazione che stringe insieme i due
Principii d'umanità? È quella medesima che, posto il
processo isterico e sociale, congiugne in armonia la so-
cietà di ragione (Societas Veri), e la società dell'utile
(Societas ^qui boni).* È appunto la relazione che corre
fra il certo e il vero, tra la forma e la materia.*
Ma se questa dualità di principii inauguratori del-
l'umanità nell'uomo è originaria, accade che, appunto
perchè originaria, debba rivestir forma d'unitotalità e
d'incosciente unità. Or come potrebb' essere unità ove,
al solito, non serbasse natura di conato? Pudore e Li-
bertà quindi sono un conato ; sono dualità e unità in-
sieme ; sono perciò triplicità. Se non che, questa tripli-
cità non è inaugurazione del processo psicologico teore-
tico, bensì pratico; non del processo conoscitivo, bensì
operativo. E dunque una triplicità originaria di natura
pratica, empirica, istintiva, e dee quindi serbare, nel
medesimo tempo, valore psicologico e sociologico. L'ente
umano adunque è di sua natura un soggetto essenzial-
mente relativo. Egli è in un' ora medesima in sé stesso, e
anche nell'oZ^ro: è sé stesso, e insieme debb'essere anche
l'altro. Egli insomma, ripetiamolo, non è una, ma due cose
in sé stesso: uomo e cittadino. E dovendo esser tale fin
^ Qai risiede, come Tedremo, la condanna della dottrina sociologica
del Positivismo, e della confusione eh* ella fa tra la storia e la socio-
logia, tra la sociologia e la psicologia, tra la psicologia e la biologia,
nonché 1* erroneo concetto della Statica toeiale de* Positivisti francesi.
* De Univ. Jwriè PrineiptOj LX.
* Ex vi ip$iu9 humanct natura de duobu$ hit HumanitcUit prineipii»
di«8eramìt$f ^orutn unum, ceu forma, erit Pudor, alterum, vduti matebia.
erit LiherUtf, {De CoMt, Jur., II, 8.) Trasportando questo concetto dall'or-
dine sociologico a quello delle idee e della scienza, possiamo affermare che
in tal modo il Vico abbia posto nella stessa coscienza, nello stesso indi-
viduo, la distinzione, oggi vitalissima, tra la Morale e *1 Diritto, salvando
così r autonomia d'entrambe queste discipline. Perciò nò la Morale può
dedursi dal Diritto, come farine i giusnaturalisti hegeliani e positivisti,
nò il Diritto dalla Morale, come usan fare i teologisti e, in generale, i
filosoft neoplatonici. Di queste cose discorreremo nella Sociofogicu
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OAP. XIU.] DABWINISUO, SCIENZA NUOTA, SOCIOLOGIA. 509
dall' origine sua, fin da che apparve naturale, sdvaggio,
ferino^ bestione; perciò in lui il Pudore è conato, stan-
techè col conato incofninciò in esso a spuntare la virtù
deW animo,^ Per la stessa ragione è tale anche la Li-
bertà, la quale è conato proprio degli agenti liberi,,,,
onde que' Giganti si ristettero dal veezo cT andar vagando
per la gran sélva della terra, e s* aweisearono ad un
costume ttdto contrario,* Ma se la relazione che annoda
i termini di questa originaria dualità è quella che corre
tra la forma e la materia in generale, avviene che il
Pudore sia logicamente anteriore alla Libertà, e la Li-
bertà, alla sua volta, sia cronologicamente, empirica-
mente anteriore al Pudore.'
* See, Seitiua Nuova, p. 248.
* Idtmf eod, p. 178.
* Perciò dice ohe il Pudore l U primo antiehitnmo principio d^ uma-
nità. (Sec. Se, Nuova^ e VI.) E gaardADdo agli effetti di qoesto senti-
mento, osserva ohe il Pudore arreeta la vaga venere^ origina la eocictà
matrimonÌ€i!e, donde emerge la eoeietà (Prim. Se. Nuova, o. VI); e come
inizia la società, così pure inventa la religione : Pudor inventar religionie.
{De Conti. Jur., LXX.) Additando poi la priorità logica del Pudore di
fronte alla Libertà, dice: Pudor euetoe jurie naturalie {De Univ. Jur,y
LI, 7); «Tura a Pudore oria, ad Pudorem redeunt, et a eontemplatione nata,
in eontemplatione poetremo deeinunt (Ihi, OC Vili) : Pudor omnie divini
kumanique Jurie parene (Ihi, GIV, 4): Pudor Jurie naturalie /one {e. Ili):
Pudor exoitator virtutie (id., § 8). Il senso di libertà, poi, assume dap-
prima nna forma affatto empirica e naturale; assume forma di potere
{poeee)^ di volere sfornito di ragione, d'arbitrio, di passione; e, come
tale, riesce cronologicamente anteriore al Pudore^ nò potrebb* esser diversa-
mente ammessa la relazione intima fra il processo zoologico e il processo
isterico. L' anello vero perciò fra questi due processi, I* anello reale fra i
due mondi, òr «OMO stesso; ma Tuomo considerato come un poro poeee^
potenza, potestà naturale. Sennonchò cotesto ò un momento indiscernibile ;
è un intervallo che tosto ò superato, e il potere già diventa voUre^ e
il volere diventa oonoeeere sempre per la solita legge del rehue ipeie dio-
tantUnu, àéìVipea rerum natura. Libertà e Pudore quindi son come le
due facce del conato umano: Tuna ò intima, secreta, individuale; Taltra
ò sensata, estrinseca, e perciò di natura essenzialmente sociologica. Or
come tale la libertà ò il primo punto di tutu le eoee umane (Sec. Se.
Nuova^ p. 1 72) ; e perciò ex libertate eommereiay ex eommereiie humanitae
excuUa, {De Conet, Jur,, c. FV, 2.) E poichò ò una condizione primitiva,
perciò la dice dote proprissima dell* uomo: NihU hcmini magie proprium
quam oo2imto« (Ibi., c. V, 19); ed essendo proprissima proj>rM(<i d'umana
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510 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. H.
Queste due facoltà originarie ci rappresentano dun-
que il momento primo della genesi storica e sociolo-
gica. Esse costituiscon la natura stessa dell' uomo, e
rappresentano il potere ed il volere che diventano li-
bertà e ragione. Guardate nella coscienza individuale
costituiscono il fondamento della Statica, della vera
Statica sociale perchè sono doti immutabili, condizioni
d' umanità universali e necessarie per ogni età e per
ogni spazio. Guardate poi nel loro movimento e nel
loro successivo determinarsi in mezzo alle crescenti re-
lazioni degP individui, costituiscono invece il fondamento
della Dinamica, della vera Dinamica sociale. Momento
statico, perciò, e momento dinamico nel processo iper-
natura^ non può etwre tolta nemmeno da Dio, Or che C08* ò questa natora
umana? J^ autorità umana, libero uao della inidonea. (Ibi., p. 127.) L*aonio
danqoe ò Suitat originaria; e da questa Suita» originaria, da questa
Auetoritaa naturali» rampolla V Autorità del Diritto Naturale, donde Tori^ne
detta famiglia, delle Genti Maggiori, della Oivitae e però delle Oenti Minori,
Che questa sia precisamente la relazione fra le due tendenze origi-
narie costituenti i prineipii d*wnanità neW uomn mercè cui il processo
zoologico si collega con le origini del procosso storico-sociologico, ce lo
Tengon oggidì confermando la Paleontologia e la Filologia comparata.
Nella seconda età della pietra tagliata, per esempio, in alcune abitazioni
lacustri troTÌamo resti e utensili da caccia, da pesca, da guerra; ma non
un segno di culto e d' adorazione, neanche nell* età del bronzo. È noto
poi come la filologia comparata sappia rilevare negli antichi popoli,
segnatamente nel yecchio ceppo indo-europeo, la relazione fra il marito
e la moglie, fra il padre e la famiglia, fra sacerdote e padre, ma non
quella fra un ceto ieratico speciale ed il popolo. — A questo proposito
gioTa ossenrare, che ore il Vico pone Tagricnltura come prima appari-
zione 0 primo segno d* umanità, non è propriamente caduto in errore
come si potrebbe supporre, e come diceva il Romagnosi. Il Vico analiz-
zava parole non primitivo, ma relativamente secondarie, e quindi non
intendeva parlare dello stato propriamente originario della società. Ora
la paleontologia ha mostrato che nell* età della pietra tagliata e anche
ripolita, non v* è segni d* agricoltura ; e la filologia fa indurre come la
pastorizia segnasse il primo grado di sviluppo ne' popoli aborigeni mo-
strandoci i nomi degli animali domestici. Bove, cane, pecora, cavallo e
simili, sono posteriori alle parole indicanti la caccia e la pesca, ma an-
I teriori a quelle indicanti propriamente uno stato agricolo. Se e* è voca-
boli generali d* agricultura, Tapplicazione di essi ò posteriore. (Moicmbbn.
Storia di Roma, v. I, lib. I, Mil„ 1868.) A. Pictet, Le» originee indo-
européennee, Paris, 1868.
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OAP. Xm.] DABWINI8M0, SCIENZA NUOTA, SOCIOLOGIA. 511
zoologico non han che vedere con la biologia, non
han che vedere con le leggi fisiologiche. La storia
e la sociologia ripeton le biologia precisamente come
il processo umano ripete il processo zoologico ; ma tal
ripetizione risgaarda la forma, non già il contenuto;
risguarda il meccanismo, non già il dinamismo del mondo
umano. Or chi voglia sapere che cosa siano i due prin-
eipii él^ umanità posti a fondamento della Storia naturcHe
dell'uomo, si faccia a guardarli nel loro movimento, stu-
diarli nel loro processo, considerarli nello svolgersi della
storia, e nell' organarsi della civil società. Nel corso della
storia due grandi scienze essenzialmente pratiche si ele-
vano sopra tutte ; il Diritto e la Morale. Due grandi poteri
si dividono il regno delle leggi ; politico e religioso, civile
e morale. Due grandi forze mantengonsi vive e lottano e
lotteran sempre sotto forme diverse; la Chiesa e lo Stato.
£ la lotta cresce là dove ciascuno di questi due grandi
poteri pretende signoreggiar V altro, e vantare sconfi-
nati privilegi segnatamente nel magistero dell' educa-
zione. E cresce altresì quando un terzo potere s' innalza
sovr'essi e vuol vincerli, vuol dominarli, vuol gover-
narli; ed è il supremo de' poteri, il potere de' poteri,
il potere àéllsi Sderusa. Or l'Autore della Scienza Nuova
intravede questa lotta nella sua stessa radice; scopre
questa dualità nella sua stessa fonte originaria; sor-
prende questa opposizione, che è pur la molla vitale
che muove l' organismo della storia e delle società, nel
momento istesso nel quale il processo zoologico supera
e trascende se medesimo; e con la filologia, con la mi-
tologia, con la legislazione comparata si sforza, come
può, di porgerne dimostrazione storica, dimostrazione di
fatto. Egli in somma vede cotesta opposizione (ripetia-
molo) nel fondo stesso della coscienza, appunto perchè
ella costituisce la natura stessa della coscienza, appunto
perchè è la stessa coscienza, la vita stessa dello spirito
e del mondo delle nazioni. È dunque vera, per quanto
arditissima, quella sua nota sentenza: L* umano arbitrio
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512 DELLA DOTTRINA FILOSOTIOA. [lIB. U.
regolato dalla Sapienza Volgare (comun senso, giudìzio
sentilo) è il Fabbro del mondo delle nazioni/
Se tutto ciò è vero, nella Scienza Nuova noi trove-
remo i principii, il metodo, i criteri bastevoli .per co-
stituire una sociologia razionalmente positiva. Questo
. sarà r oggetto del nostro secondo lavoro che intimamente
' collegasi col presente libro. Giova intanto schiuderci la
la vìa determinando più nettamente il fine che in esso
vorremo conseguire.
Che cos' è questa cosi detta Sociologia? Che cosa ci
esprime e dev'esprimerci questa brutta ma significan-
tissima parola che con arguta frase Stuart Mili, come
accennammo, ha chiamato harharismo comodo?
La Sociologia, la vera Sociologia, il cui fondamento
più legittimo è nella Scienza Nuova e solamente nella
Scienza Nuova, ci esprime innanzi tutto la negazione
d' ogni qualunque filosofia della storia fabbricata a
priori; la negazione d' ogni qualunque vantata filosofia
deW umanità che pretenda indovinare il futuro po-
nendo, anche neir ordine de' fatti e della realtà, le fa-
migerate colonne d' Ercole, vuoi con una formola teologica
e religiosa, vuoi con una formola dommaticamente siste-
matica. Squarciare T impenetrabile velo del futuro è
impresa vana: la scienza deve sapersi alimentare prin-
cipalmente del passato, e del presente; e col sussidio
del presente e del passato può indurre, può sospettare
anche il futuro, ma non certo incatcuarlo e stringerlo
nelle rigide maglie d'una formola logica e metafisica. La
Sociologia è la ricerca razionale e scientifica del mondo
umano; ed è razionale e scientifica perchè fondata so-
prattutto nelle leggi del processo psicologico, nonché in
quelle del processo isterico. Essa dunque sarà la con-
ferma (non la deduzione) della nostra formola cosmolo-
gica applicata al regno dello spirito e de' fatti umani:
la Conversione dd Fatto nd Vero^ e col Vero. Formola
* Prim. Scùnua Atioro, Lib. II, cap. Ili, p. 42.
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OAP. Xm.] DABWIKISMO, SCIENZA NUOVA, SOCIOLOGIA. 513 L
semplicissima, come ognun vede, la quale per la sua
stessa natura e costituzione lascia libero lo svolgimento
de' fatti umani, libero il corso della storia.; non tricoto-
mia dialettica che somigli e sia un duro letto di Procuste
com' è quella degli Hegeliani, né tricotomia puramente
storica e biologica siccom' è quella de' Positivisti.
Quali poi saranno i massimi problemi della Socio-
logia? Innanzi tutto questi: se sia possibile una legge
istorica che nel medesimo tempo serbi valore psico-
logico, e sociologico: in che maniera co testa legge produca
i tanto sfatati e derisi Corsi e Ricorsi storici del Vico; pa-
role che per noi (sia detto di passata) esprimendo il Mec-
canismo e '1 Dinamismo della storia, cioè le condizioni
statiche e le condizioni dinamiche della costituzione e
dell' organismo della civil società,^ racchiudon ben altro
significato che non danno ad esse gli odierni sociologisti
inglesi e francesi. Inoltre la Sociologia deve indagar le
ragioni per cui si forma e per cui vive l'organismo di
questa società : ridurre a due principalmente tutti quanti
i suoi poteri (politico e religioso), applicando la legge
isterica alla genesi e svolgimento dell'uno e dell'altro,
indagando qual possa esser per avventura il significato
razionale della perenne lotta a cui sono e saranno im-
pegnate queste due possenti forze senza cui svanirebbe
la vita della storia e della società : vedere come sorga,
come proceda e come signoreggi il potere supremo della
Scienza, e determinare qual soluzione possa ricevere
r arduo problema pedagogico, i cui dati debbono esi-
stere nella storia, e nella psicologia.
L' esigenza finale, occulta e vivace della Scienza Nuova
è appunto la vitalissima quistione pedagogica; e fu il
primo bisogno che sentì la mente del Vico nella sua
Ragion degli studii. La scienza dell'educazione pubblica
e privata; la scienza de' limiti ne' poteri pedagogici dello
Stato e della Famiglia, della Religione e della Società ri-
spetto all'Individuo; la scienza del carattere individuale
e del carattere nazionale; insomma il gran problema
SiciLrANt. 33
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/
/
514 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. n.
etologico, direbbe Stuart Mill, scaturisce, come vedremo,
dalla dottrina del nostro filosofo, e potrà esser risoluto
con metodo razionalmente positivo, contraddicendo eoa
nel medesimo tempo alle dottrine sociologiche estreme
dell' Hegelianismo, del Teologismo e del Positivismo.
Se la storia dell'umanità è l'educazione dell'uma-
nità neir uomo e ne* popoli ; ella debb^ essere insieme
I il fondamento positivo della educazione nell' individuo,
e nella specie. La prima esigenza è chiara nella Scienza
Nuova: la seconda n' è l'immediata conseguenza, n'è il
risultamento finale e necessario.
Questi saranno i problemi capitali che noi tratteremo
nella Sociologia. La quale perciò non sarà altro che
r applicazione del presente nostro libro, e, nel medesimo
tempo, l'esplicazione de' sommi principii sociologici della
Scienza Nuova. Perictdoste plenum opus cdete I
Capitolo Decimoquaeto.
CONCLUSIONE.
La conclusione d'un buon libro, dice un acutissimo
crìtico moderno, ha da esser la coscienza stessa della
sua introduzione.*
Nella Introduzione mostrammo come i due generali
indirizzi ne' quali si raccoglie il pensiero moderno, i due
poli (come altri ha detto) ne' quali sdoppiasi la moderna
speculazione, sieno il Positivismo e l'Idealismo assoluto;
una forma, cioè, di Scetticismo, e una forma di Dom-
matismo; ma scetticismo e dommatismo coscienti, siste-
matici, n primo d' essi, quantunque sotto forme diverse,
domina in Francia co' Comtiani, signoreggia in Inghil-
terra co' seguaci d'Hamilton, di J. Mill, di Stuart Mill,
* SAiKT-Bsim, Cau$erie9 du Lundi, Tom. Prem., 8* ed., 811, 3f. Ouitoi.
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GAP. XIV.] OONGLUSIONB. 515
d' Herbert Spencer, d' Alessandro Bain e di Tommaso
Buckle; e trionfa in Alemagna col novello materialismo
uscito da' fianchi deir Hegelianismo. Il secondo poi ha
trionfato anch' esso in Germaenia per trent' anni, e oggi
conta seguaci più o men fedeli, piii o men sinceri an-
che in Italia. Qual è la ragione di loro comparsa nel
mondo moderno? Vi è egli una ragione? Ci ha da es-
sere. La storia è anch'essa natura, e come la natura ha
i suoi disegni : la storia è provvidente come la natura.
Per quanto diversi nel metodo e diversissimi nel fine
cui s' indirizzano, cotesti due estremi a' quali riesce il
moderno filosofare si toccano, dicemmo, nelle conse-
guenze d' ordine segnatamente storico, politico e reli-
gioso, al modo istesso che si confondono altresì ne' risul-
tati risguardanti V essenza e la destinazione dell' umana
personalità. Or questi estremi che oggi si presentano
così divisi e che pur si toccano fra loro e confondono
in pia punti, risalgono, quando siano considerati stori-
camente, ad una medesima sorgiva. Questa grande e
perenne sorgente, nella quale s'occulta come in germe
non pur l'odierna speculativa, ma l' intero sviluppo
della filosofia occidentale e in parte dell'orientale, è
l'Aristotelismo. In Aristotile mostrammo riprodursi Pla-
tone con tutt' i suoi pregi, e con tutt' i suoi difetti. Ma
se nel discepolo v' è il maestro, vi è pur la correzione
e l'inveramento del maestro, massime quant'al concetto
del mondo. L' uno dunque non intende negare, non in-
tende annullar l'altro; non intende sostìtuirvisij come si
piacciono dirci gli Hegeliani, ma intende correggerlo,
svolgerlo, inverarlo. Tal si è la mente vera d'Aristotele :
e tale è il significato schietto e sincero della sua Me-
tafisica rispetto all' autore del Parmenide.
Se non che in cotest' opera di correzione e d'inve-
ramento, in cotesto lavoro di ripetizione e di creazione,
la novella esigenza rivelasi anche qui come una sintesi
confusa, indigesta, contraddittoria nelle sue diverse teo-
riche, equivoca nelle sue diverse dottrine. Inevitabile
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516 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [LIB. n.
dunque nello Stagirìta una feconda moltìplicità d' indi-
rizzi. Tre sono, e tre doveano esser cotesti indirizzi
formanti, a eoa dire, il sustrato sul quale corre e ri-
corre la storia del pensiero filosofico. Mostrare ih che
maniera cotal triplice indirizzo abbia saputo alimentare
venti e più secoli di ardita speculazione filosofica, non
potevamo, non essendo questo l' intento del nostro la-
voro. E per lo stesso motivo non ci fu dato far vedere
come, sotto forme sempre diverse, il naturalismo e V iper-
psicologismo siensi di mano in mano rinnovellati attra-
verso i differenti periodi della filosofia occidentale. Sia-
mo venuti bensì accennando, a piii riprese, in che mai
risegga V indiriziso medio nel quale sta la correzione e
l'accordo deir Aristotelismo col Platonismo; come sia
possibile rintracciarne i germi nel medesimo Aristotele;
e come al lento, ma immancabile trionfo di siffatto in-
dirizzo, abbian preso e prendano e prenderan parte
tanto le forme che dicemmo j>o^va del filosofare, quanto
le forme negative. Ogni maniera di speculazione soccorre
al progresso e alla ricostruzione della metafisica, a con-
tare dalla piiì grossolana affermazione dommatica, alla
negazione del più volgare ed em])irico pirronista; dalla
più ardita formola sistematica, al più sottile sofisma
dello scetticismo sistematico. Ma neanche qui ci poteva
esser concesso dimostrare, senza trascendere i confini del
nostro disegno, il modo con che in mezzo allo svolgersi
de' due estremi indirizzi siasi venuto incarnando e pi-
gliando quasi persona l' indirizzo medio. Mostrare in-
somma come le forme positive della metafisica siansi
venute svolgendo, sarebbe stato lavoro di storia, e di
crìtica: al modo istesso che sarebbe stato lavoro di
esposizione far vedere la monotonia con che si sono
succedute le forme negative del filosofare.
Solamente ci fu mestieri accennare come nell'età
moderna, dopo le divisioni del Cartesianismo nel quale
ripetesi, con elementi di novella speculazione, la vec-
chia sintesi aristotelica, l' indirizzo medio ci sia rap--
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CAP. XIV.] OONCLUSIONB. 517
presentato dal Leibnitz in Germania, e, più spiccata-
mente, dal Vico in Italia; e come ne' tempi a noi piii
vicini siansi ripetuti gli estremi, e si ripetan tuttora
sotto novelle forme, così nell'uno come nell'altro paese.
È iperpsicologismo il neoplatonismo italiano moderno:
ma forse che sarà meno iperpsicologismo il sistema
jdeir assoluta identità ? È empirismo e nullismo meta-
fisico il positivismo di Francia ed il materialismo di
Germania: ma sarà meno empirismo lo scetticismo siste-
matico del Ferrari e certa ibrida forma di criticismo del
Franchi e il nullismo metafisico de' nostri filosofi del-
P avvenire ? *
* Vedi qael che altrove abbiamo discorso circa le forme negative e
le forme po»Uìve del filosofare e circa la storia della filosofia in generale
(Gap. III. lib. II.) Lo scetticismo non è da pigliarsi a gabbo, come par
che facciano tutto giorno dommatici e sistematici. La sua funzione isto-
rica ha grande importanza, essendo quasi la molla efficace, tuttoché
negativa, del progresso in filosofia, né y*,ha periodo storico in cui lo scet-
ticismo non accompagni sempre lo STolgrersi del dommatismo. Il dom-
matismo è syariatissimo nelle sue forme, e quindi possiede una storia.
Lo scetticismo invece è immobile, è immutabile; e questo è insieme il
suo pregio, e la sua condanna. Perciò lo scetticismo non ha né può
avere una storia, appunto perchè non importa un processo; e non è
processo appunto perchè è negazione. L* arma dello scettico infatti è
sempre identica a sé stessa. Nel nostro Ausonio rivive Enesidemo, e nel
nostro Ferrari vi è tutto Sesto Empirico. Chi si voglia quindi provare o
siasi provato, come il Bissolati (Ved. Tntrod. alle fgtituxioni Pirroniane^
Imola 1870), a fare una storia dello scetticismo, altro non fa, altro non
potrà mai fare, salvochè una rassegna, un racconto monotono e sazievole
d'argomenti identici. L'esigenza scettica, il metodo teettieOf potrà be-
nissimo cangiare i punti di m«(a, come fann'oggi gli schietti positivisti,
ma la sostanza rimane e rimarrà sempre la stessa. Invece 1* esigenza
dommatica è un fatto al pari dell' esigenza scettica: ma ò un fatto che
si muove; è un fatto che sì fa. Hegel ripete Platone, e ripete Erigena;
ma non è nò Platone, né Erigena. Rosmini ripete Aristotele o San Tom-
maso, ma non è né Aristotele, né San Tommaso. Gioberti ripete Male-
branche, ma non è nient'affatto Malebranche. 11 Ferrari anch'egli ripete;
ripete Sesto Empirico. Ma come lo ripete? Facendone la fotografia! Ora
se il dommatismo conta una storia essendo un processo isterico, e lo scet-
ticismo n'é al tutto sfornito, com'è possibile che il trionfo stia pel se-
condo anziché pel primo ? La funzione isterica dello scetticismo dunque
è necessaria, essendo »na ruota della macchina; ma badisi a non con-
fonder la macchina con la ruota,, ciò che costituisce appunto l'errore--
di chi spera (vana speranza!) nel trionfo definitivo del Pirronismo.
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518 DBLL^ DOTTBISTA FILOSOFICA. ^ [LIB. II.
Se non che, lasciando del Leibnitz e del moto filo-
sofico d' Alemagna, peculiar proposito del nostro libro '
era quello d' additare la correzione e V inveramento
delle due estreme tendenze (scettica e dommatica)
che nascono e rinascon parennemente nella storia,
e che oggi, assunta forma pia conseguente e razio-
nale, s^addimandano Positivismo e Idealismo assoluto.
D fondamento di tal correzione e '1 criterio di sif-
fatto inveramento, per ciò che spetta al nostro paese,
pone radice nelle dottrine del filosofo napoletano, in-
terpretate e ricercate con metodo critico rintegrativo.
Ma, a far questo, che cosa era d' uopo mostrare in-
nanzi tutto? Era d'uopo mostrare la possibilità di rin-
venire in lui cotal fondamento. In altre parole, era
d'uopo mostrare se in lui per avventura fosse alcuna
originalità di speculazione razionalmente positiva: il
che ci parve opportuno innanzi tutto far vedere in ma-
niera indiretta e per via storica, abbozzando una storia
de' critici e degli espositori delle dottrine vichiane. Che
poi davvero esistano in lui germi d'originalità metafi-
sica, r abbiam chiarito nel secondo libro di quest' opera,
interpretando le sue teoriche con una forma di critica
che scaturisce logicamente dalla stessa triplice paiii-
zione de' periodi ne' quali abbiam diviso quel nostro
saggio istorico.
Se pertanto un rinnovamento del pensiero filosofico
italiano è necessario e inevitabile perchè richiesto dalla
ragion filosofica positiva, perchè domandato dall' esi-
genza del sapere moderno, e perchè imposto dalle rinno-
vate condizioni politiche, civili, religiose del nostro
paese ; si domanda : come innovarci ? introducendo
forse il Positivismo, o perdurando nello Scetticismo?
Evidentemente contraddiremmo all'indomabile istinto
verso la scienza: contraddiremmo al bisogno sempre
più acuto e profondo di nostra ragione: negheremmo
la ragione. Vorremo innovarci seguitando a dirci ed es-
sere iperpsicologisti? In tal caso dovremo accettare due
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OAP. XIT.] OONCLUSIONB. 519
condizioni: costruire la scienza con la ipotesi, con Va
priorismo; e disconoscere i limiti del pensiero e della
scienza stessa, dando così alla ragione un valore dom-
matico, sistematico, assoluto, anziché critico e positivo.
Chi vorrà oggimai accettare siffatte condizioni? Dunque
Positivismo e Idealismo assoluto, negazione assoluta di
sistema e assoluto sistematismOy son le colonne d^ Ercole
che la moderna Francia e la moderna Germania ci vo-
gliono imporre: esse non ci appartengono, e a noi sarà
lecito abbatterle, non per vana horia nazionale, ma si
per necessità di ragione. Forse che un rinnovamento
in senso hegeliano non ha ormai fatto fra noi le sue
prove per quindici anni, per vent'anni? Non è stato fa-
vorito con ogni guarentigia di libertà? Non è stato e
non è rappresentato così nel privato come nel pubblico
insegnamento? E pure T Idealismo assoluto, almeno
quant^alla peculiare esigenza che lo distingue, cioè
come Sistema delP identità assolata^ non ci è passato
in sangue, ne poteva ; e nonostante gli sforzi nobilissimi
di egregi scrittori, egli è rimasto ne' libri, e rimarrà
ne' libri. — Altrettanto impossibile riesce un rinnova-
mento dsL positivisti. Piii deir Hegelianismo il Positivismo
è stato accarezzato, favorito per ogni verso, predicato
privatamente, talora persino officialmente. Ma gF ingegni
severi vi han reagito, vi reagiscono ; e T infinita moltitu-
dine di que' filosofanti che han su le labbra cotesto nome
pomposo e bugiardo, è lungi dall' averne ponderato il
valore, le conseguenze, le applicazioni. Binnovamenti di
cotal genere, dunque, sono impossibili fra noi: e' non
sarebbero legittimi, coscieuti, naturali, autonomi, efficaci,
intimi, storici. —Vogliamo finalmente ritentare un rin-
novamento d'iperpsicologismo da ontologisti neoplato-
nici? Resteremmo quel che pur troppo siamo stati, e
siamo: non andremmo avanti; torneremmo indietro.
Se dunque la necessità del nostro innovamento filoso-
fico deve poter germinare dalla passata speculazione, noi
dobbiamo rintracciarne gli elementi nelle opere e nella
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520 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB« n.
mente di chi è capace di rappresentare non pure il pas-
sato, ma, più ancora, il presente e T avvenire. È d'uopo
attingere ispirazione nelle opere e nella mente di chi può
soddisfare V esigenza positiva e V esigenza ideale del sa-
pere, ma correggendole entrambe. È d' uopo invocare gli
auspici di chi, incarnando il medio indirizzo della specula-
zione, valga a rannodarci con la nostra tradizione scien-
tifica, e con lo svolgimento dell'intera storia della filosofia.
Chi potrebb' esser questi, fra noi, salvo che V Autore deUa
Scienza Nuova? Ecco l'addentellato piii sicuro e tutto
nostro, dal quale è mestieri s' inauguri il presente rinno-
vamento filosofico italiano. Ma, nell'invocame gli auspicii,
noi dobbiamo interpretarlo con la coscienza del sapere
moderno : noi dobbiamo correggere anche lui ; e correg-
gendo, lui correggeremo poi stessi, e gli altri: correg-
geremo il neoplatonismo, l' hegelianismo, il positivismo.
Brevemente: se rinnovarci è suprema necessità, di tal
necessità è d'uopo aver pienezza di sentimento e di
coscienza storica. Abbiamo dunque bisogno d' una base
per muoverci, d' un punto a cui mirare, d' un segno per
orientarci, d' una guida tutta nostra in cui la nostra
mente riconosca sé medesima. Chi potrebbe risponder
meglio a cosiffatta esigenza tranne colui che seppe con-
cepire il sublime per quanto rozzo e incompiuto disegno
d'una Scienza Nuova?
11 nostro quesito adunque era semplice e chiaro;
ed è questo : Come penserebbe il nostro filosofo ov' ei
tornasse a vivere in mezzo a noi, nelle nuove condi-
zioni politiche, sociali, religiose, co' nostri nuovi bisogni,
con le nostre nuove tendenze? In altre parole: come
farebb' egli a risolvere oggi, col suo stesso metodo, i
grandi problemi della scienza? La risposta riguardante
i problemi speculativi, è nella seconda parte del presente
libro. La risposta poi che concerne i problemi d' ordine
storico, politico, religioso e pedagogico, la daremo nella
Sociologia. È che sia questa per l' appunto l' esigenza
del suo pensiero ; che sia questa la necessità del nostro
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OAP. XIV.] OONGLUSIONB. 521
RinnoTamento, ce ne porge guarentigia e conferma la
. storia, e U modo con che s'è venuto attuando e svolgendo
il nostro pensiero filosofico. Noi non possiamo intrat-
tenerci a lumeggiare in qualche maniera cotesto svolgi-
mento. Non possiamo rilevarne i caratteri, ritrarne la
necessità ne' passaggi, e dichiararne il progresso ne' diffe-
renti periodi, dando così forma determinata e compiuta
al nostro assunto. Questo faremo quando che sia con ap-
posito lavoro, di cui abbiamo già in pronto la materia.
Ma accennare di volo al risultamento del nostro pensiero
senza por tempo in mezzo, è cosa che possiamo fare
anche ora; tanto piii, che tal risultamento, chi ben
guardi, traesi facilmente dalle cose discorse in piii luoghi
del nostro libro.
La storia della filosofia italiana, dunque, a noi sem-
bra doversi dividere in tre difiFerenti periodi, de' quali
stringiamo in pochissimo i caratteri e le tendenze pe-
culiari:
Primo Periodo
{Scolast%c(hteologico),
S'inaugura con Boezio Severino (Marciano Capella,
Cassiodoro ec), e finisce con San Tommaso (Tomisti e
Scotisti inclusive).*
* Vi è chi col Gioberti divide la storia della filosoRa italiana in
cinque epoche (Ved. Prìmnto, ed. 2\ 1845, P. II, pag. 278); e v'è chi la
divide in quattro età, cominciando dal VI sec avanti Cristo (Babtolom- I
M RS, Dici, den teienc philot.) Divisioni di cotal fatta evidentemente pec-
cano d'eccesso, in quanto che abbracciano più e diverse civiltà, e però non
riescono ad imprimere valor razionale e forma omo^renea allo svolgimento
del nostro pensiero fllosoftco. La storia della filosofia italiana s* inaugura
quando il popolo di Roma, cessando, secondo il detto di Hegel, d* essere
essenzialmente umanitario e univertale, comincia ad essere italiano. Il
suo cominciamento <^indi ci è additato da un nuovo elemento che sorge
in me^zo ai vecchi, e vi si sovrappone. Quost* elemento nuovo e Tidea
cristiana; i vecchi poi sono il Platonismo e T Aristotelismo nello diverse
lor forme. Perciò se il 1* periodo della nostra filosofia è una stracca ripe-
tizione del pensiero greco e romano, è anche spontaneità, è anche attività,
quantunque Tobbietto di cotesta attività sia un contenuto di natura
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522 DELLA DOTTBIKA FILOSOFICA. [lIB. II.
Suo carattere precipuo è quello d' essere una rifles^
sione teologica, una speculazioìie sul domina; e quindi ci
rappresenta T assorbimento della Ragione nell'Autorità.
Il contrasto s' accende fra Nominalisti, Realisti e Con-
cettualisti; con le quali tre scuole si riproduce il vec-
chio triplice indirizzo aristotelico, ma sotto novella forma
essendoci il nuovo contenuto dell' idea cristiana. Questo
primo periodo infatti si dischiude modestamente per
opera d' un Nominalista, ultimo de^ Romani ^ primo degli
Scolastici : egli imprime forma al pensiero commentando
una parte dell' Organo aristotelico, e ponendo la qui-
stione degh Universiili eh' ei per altro non s' attenta di
risolvere, parendogli oggetto d'ofóiom phUosophÙB. Si
chiude poi con l'Aquinate, il quale perciò è tutt' altro
che nominalista. L'autore della Somma anzi rappresenta
una forma severa di Concettualismo; e però ci esprime
r indirizzo medio del filosofare in que' modi e in quelle
condizioni ch'eran permesse alla Riflessione teologica. La
ragione per lui è un' ancella, ma è anche una guida; e di
fatto in pili cose egli riesce a correggere i due filosofi
greci. Egli in somma dimostra; almeno si sforza di di-
mostrare. E, più ancora, dopo il suo maestro Alberto
Magno egli trasferisce la questione degli Universali dal
puro mondo della logica nelle altre sfere della scienza,
' collegandosi cosi col Rinascimento.
Un progresso dunque nella Scolastica italiana è evi-
dente, chiunque ripensi quanto e qual divario esista fra
il punto ond'ella si parte, e '1 punto ove arriva. Se non
che questo progresso è omogeneo, uniforme, monotono, e
però non è vero processo. È anzi una giostra intellettuale
in campo chiuso; né quindi sono da accettarsi le divisioni
onninamente religiosa. Ecco perchè il ricorto medioetaU pel Vico non è
un ricorto nel significato d* una ripetizione para e semplice come i più
intendono la dottrina vichiana de*cor«i e rieorti ttoriei, ma ò insieme
ripetizione e innovazione. Questo dimostreremo con argomenti d'ordine
storico nella Sociologia tanto rispetto alla fllosofla, qaanto alle altre
manifestazioni della civiltà.
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OAP. XIY.] OONOLUSIONB. 523
a perìodi che della Scolastica han fatto il Tennemann, il i
Brucker, il Cousin, THaureau, il Poli. Platonico nella so-
stanza, questo primo periodo è aristotelico nella forma:
che, davvero, ragion teologica, essenzialmente domma-
tica, non si poteva proporre siccome fine speculativo il
problema su l'organismo del pensiero e dell'essere,
cioè il sistema, bensì quello del metodo. Nominalisti,
Concettualisti e Realisti, infatti, discutevan su' generi
e su le specie; discutevan su le idee considerate non
già in sé stesse e nella loro etema immanenza ed esem-
plarità (nel che eran tutti cattolici e platonici almeno
in Italia), ma su le idee considerate siccome oggetto
della meììte. Però l'esigenza più vivace di questo primo
periodo è un' esigenza prevalentemente ideologica, stan-
techè si cercasse la natura e s' indagasse l' origine del-
l' universale.
Ma un periodo storico è sempre un organismo : un
organismo in cui v'è cospirazione d'atti, omogeneità
d' indirizzo, corrispondenza di funzioni. Alla forma e
al contenuto del periodo Scolastico-teologico, dunque,
rispondono e debbono risponder tutti gli elementi della
civiltà. Quant' al govei-no del mondo, per esempio, la
Provvidenza pel medioevo sta nell' immediata azione
di Dìo su la natura, e su la storia. Quant' alla costi-
tuzione politica, il potere civile è sommesso al potere
spirituale come il corpo soggiace all'anima, come la
terra al cielo, come il diritto alla morale, come il cit-
tadino al sacerdote, come, in somma, la Ragione al-
V Autorità, A questo primo periodo, nella storia civile,
rispondono le cinque invasioni barbariche. Ecco, direbbe
il Vico, Vetà divina del nostro pensiero filosofico. Lo
spirito vive fuori di sé : vive tutto in Dio, nel Papa, nel
prete, nell'Imperatore.
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524 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. Il*
Secondo Periodo
{Scolastico ' filosofico),
S' inaugura col Petrarca,* e più con Leonardo da
Vinci, e finisce col Galilei, col Bruno e col Campanella
inclusive.
Suo principal carattere è la negazione della Sco-
lastica, che vuol dire della Riflessione teologica e dom-
mcUica. Non più omogeneità, monotonia, giostra in
campo chiuso; ma varietà, eterogeneità d'indirizzi,
lotta in campo aperto. Non più la Ragione ancella
dell'Autorità, ma la Ragione e l'Autorità congiunte fra
I loro, appajate, accostate, e quasi accoppiate in maniera
tutta meccanica ed estrinseca. Indi le contraddizioni in
quasi tutt'i suoi filosofi; i quali in mentre che protestano
obbedienza e devozione alla Chiesa, compiono la riforma
filosofica più radicale e solenne che porga la storia, prima
ancora che in Germania si fosse risvegliato lo spirito
luterano. La libertà di ragione in Italia prevenne il
\ sentimento della libei*tà di coscienza surto in mezzo
alle genti teutoniche.
In questo secondo periodo predomina l'esigenza ari-
stotelica. Vi è r indirizzo empirico co' materialisti di
Bologna; vi è l'indirizzo ipersicologico con gli arabeg-
gianti di Padova e co' platonici toscani; e già traspare
r indirùiizo medio in que' filosofi che procacciano d'ac-
cordare il Plat(rnismo con l' Aristotelismo : così riprodu-
consi ma con ben altro contenuto, le tre posizioni sco-
* Il Petrarca rappresenta la prima negazione della scolastica; la
qual tendenza in Ini è eTidonte, assai più che. nell' Alighieri. Dante ha
un'attinenza ideale con San Tommaso: egli trasferisce la nuda idea
cattolica nel regno della fantasia, e sta al W Aquino così come Y im-
maginazione alla ragione dommatica. L* Alighieri dunque ci rappresenta
r attività della ragione che fa un primo passo al di là del domma, ma
senza ombra di coscienza speculativa. Il Petrarca invece, considerato
come filosofo, ci esprìme un primo grado di questa coscienza. — Ved. il no-
stro Disc, avanti citato, DanU Galileo e Vico, Firenze, 1865.
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OAP. XIV.] CONCLUSIONB. 525
lastico teologiche del primo periodo. L' esigenza specula-
tiva infatti non è altrimenti ideologica, ma psicologica.
Non pili il problema de' generi e delle specie; non più
r universale come oggetto del pensiero, ma lo stesso
pensiero: la natura, l'origine e '1 fine dell'anima. Pre-
valendo l'Aristotelismo, vi prevale anche l'astrologia,
conseguenza logica della cosmologia aristotelica erro-
neamente interpretata, e della dottrina su le dieci sfere
onde risulta composto il mondo. Pur nuUameno cotesta
esigenza astrologica del Rinascimento, chi ben la guardi,
ci esprime già una prima negazione; ci rappresenta una'
limitazione del concetto degl' influssi divini diretti^ e della
immediata influenza di Dio sul mondo. Non si nega
per anche la provvidenza, è vero ; ma la si considera
com' un' azione mediata. Inaugurazione quindi e svi-
luppo delle scienze di natura: elemento nuovissimo, esi-
genza allora tutta italiana. — Ora in tanta eterogeneità'
e disparità di pensiero; in cod viva lotta di tendenze
contrarie; in tanta energia di vita politica, artistica,
scientifica, religiosa, commerciale, industriale e poetica;
questo glorioso periodo isterico è, e debb' essere an-
ch' esso un organismo : tutto vi corrisponde, tutto ar-
monizza, e il suo peculiar contrassegno sta nell' esser
r età eroica del nostro pensiero filosofico, politico, nazio- j
naie. Si scoprono perciò mondi novelli su la terra, e nel
cielo. Si fa riviver la Grecia e Roma nel regno dell' arte.
La vita politica fermenta rigogliosa nel municipio. Alla
Morale che assorbiva il Diritto èuccede il Diritto che
assorbe la Morale. Alla scienza giuridica, alla creduta
scienza giuridica, l' arte politica; a San Tommaso, Ma-
chiavelli. £ la religione? La religione allora si presenta
qual semplice mezzo, qual semplice strumento nelle
mani de' potenti e de' reggitori de' popoli, giusto perchè
si reputa un artifizio, un ritrovato artifizioso dell'uomo.
Il pensiero dunque nel Risorgimento non vive fuori di
sé; vive in sé, vive anzi troppo d' accosto a sé. Manca
perciò il concetto della morale e della religione, ma vi è
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526 DBLLA DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
il sentimento etico e religioso. Manca il vero concetto del
I gitis, ma ve n' è il senso, la coscienza, la forza. Manca
il concetto della scienza, ma vi è la febbre della ri-
cerca, la grande erudizione, la divinazione istorica.
Se non che, quant' al secondo periodo storico della
nostra filosofia, giova intenderci meglio, poiché nel
Rinascimento pongon radice le ragioni complesse del no-
stro moderno Risorgimento, a spiegarci il quale, perciò,
non occorre uscire dal nostro paese. Il Rinascimento è
I davvero il nodo gordiano degli storici spiccioli, degli
amminicolatori, de' cosi detti specialisti, de' monogra-
fisti. Costoro pretendono cogliere il razionai significato
di quella grand' età delineando quadretti di questo o quel
filosofo, 0 scuola di filosofi; tessendo monografie di questo
o quel politico, o scuola di politici; scrivendo memorie
di questo o quell'artista, poeta, storico, pontefice che
sia. Ma la parte, l'elemento, il quadretto resterà sem-
pre parte, elemento, quadretto assai poco intelligibile:
perchè? perchè al quadretto manca, dire' quasi, l' aria,
manca la luce, manca la vita che può solamente sca-
turire dalle intime relazioni col passato, e col futuro.
Ristringiamoci al tema. Come intendere il Ficino e la
sua scuola, per esempio, studiandolo in sé stesso al
modo che s'è fatto fra noi in questi ultimi anni? Uome
intendere la scuola del Cimento co' lavori monogra-
fici? Lo studio monografico tornerà profittevole, quando
abbia carattere essenzialmente particolare. La mono-
grafia debb' essere un'esposizione scrupolosa, un ritratto
fedele d'un filosofo e d*' una scuola, e però ha da essere
uno studio critico obbiettivo. Ma tutto ciò non è scienza
del fatto; non è filosofia della storia; non è critica
filosofica. Or se la monografia vorrà, come monografia,
assumer valore critico generale, non risica di riescir
sistematica, erronea e fallace nelle conseguenze?'
* Gli studi p. es. del Puccinotti, del Galeotti e del Conti sul Ficino
potranno essere, e certo, 8ono bellissimi : ma, a guardarci bene, in simili
monografie ▼! ò già tutt' un sistema ; vi ò un criterio sistematico col quale
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OAP. XIV.] OONOLUSIONE. 527
L' età del Rinascimento vuol esser considerata nella I
sua sintesi, e perciò va studiata in relazione al primo I
perìodo della nostra filosofia, eh' è la Scolastica. Allora
la suastragrande varietà di scuole, di tendenze e d' indi-
rizzi è beli' e spiegata in modo razionale, perchè ci rap-
presenta l'eterogeneità in atto, per così dire, succeduta
alla omogeneità della inflessione teologica. Gli estremi
del pensiero filosofico qui sono e debbon esser davvero
estremi, cioè fra loro contrari ed opposti. E tale sarà pure
l' indirizzo medio, cioè svariatissimo, per necessità tutta
storica e psicologica. Cotesto indirizzo medio, per esem-
pio, comincia ad essere attuato da' così detti Umanisti,
che noi chiameremmo metodisti, fra' quali citiamo il Ni- '
zolio, Alessandro Piccolomini, l' Erizzo, l'Aconzio, ed altri
di simil fatta. Accanto a questi il Da Vinci, il Telesio e
tutta la scuola Telesiana; e dopo questi la grande Scuola
Galileiana, o del Cimento. Contro gli estremi indirizzi
del Neoplatonismo e del Naturalismo e dell'Arabismo
tutti costoro non fanno che inc>amare il concetto del me-
todo, cioè la industria induttiva, ma ne' fatti d'ordine
fisico sensato, e in parte filologico ed erudito. L'indirizzo
medio perciò s'inaugura con ricercare e determinare il
metodo, non già con l'edificare un sistema. Questo è
il lor merito comune ; e questo è anche il loro difetto,
stantechè manchi ad essi la nozione compiuta del me-
si pretende imprimere ralore a tutta la storia, quando s* interpreta, cosi
com*es8Ì fanno, la scuola platonica toscana, e le si vuol dare quel valore
ch*ei le danno. Un altro esempio sono gli studi dello Spaventa sul Bruno
e sul Campanella: studi bellissimi e pieni di vedute profonde dalVun capo
air altro, e come monografie noi H accettiamo, e ne caviamo il nostra
prò: ma com* elemento di storia generale, la Agnra e la Asonomia del
Bruno, per esempio, ò delineata siffattamente, che quando siamo al si-
gniAcato della storia generale della Alosofla, si toccan con mano lo
Gonsognense sistematiche e parziali della critica monografica. In una
parola io; voglio dir qoesto: la monograAa ò boli* e buona, ò suprema-
mente utile, ma è sommamente pericolosa; perchò se come studio mo-
nografico ella può esser vera, come parte, com* elemento di storia pu^
riescire falsissima. Altrove noi proveremo largamente e con esempi no-
strani tale assunto.
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528 DELL^ DOTTRINA FILOSOFICA. [lIB. II.
todo com'è applicato oggidì da^ metafisici. Se non che
l'indirizzo medio nel Rinascimento ci può esser più con-
venevolmente rappresentato da que' filosofi che, trava-
gliandosi attorno alla quistione delP anima intesa come
problema puramente psicologico, fanno ad un tempo ogni
sforzo per interpretare con benigna critica la dottrina
déiV intdletto possibile e deìVinteUetto agente^ e fra questi,
come altrove notammo, van rammentati il Nifo, il Porzio '
(il quale non è nient' affatto un seguace del Pomponazzi,
come pretenderebbe il nostro collega Fiorentino), lo
IZabarella, il Castellani ed altri di simil valore. Costoro
sorpassano i confini del senso; trascendono in parte la
modesta indagine psicologica introducendo la ricerca co-
smologica, e rannodano così il problema dell'anima intel-
ligente con r altro della natura intelligibile. Nessuno ha
I pensato a rilevar nettamente questo aspetto, e segnalare
questa tendenza tanto evidente in parecchi filosofi
di quell'età. E pur ci sarebbe tanta mèsse da mietere,
i quando non fossimo signoreggiati dalle prevenzioni siste-
matiche del Neoplatonismo, o dell' Hegelianismo 1
Ma r eterogeneità, il contrasto, V opposizione cresce
sempre più. Da una parte ella si esagera, per esempio, con
lo Zimara, col Cesalpini, col Vanini e simili; i quali
' rappresentando, diremmo quasi, una mischianza di na-
turalismo e d' iperpsicologismo, palesano la. fiacchezza
del vecchio aristotelismo : dall' altra poi si esagera con
que' filosofi che presumon d'interpretare convenevol-
mente Aristotele e Platone, mentre arabeggiano la lor
parie ; e tali» per esempio, sono il Lagalla, il Liceto ed I
altri di simil fatta. È il Platonismo toscano, è il Na-
turalismo del Pomponazzi, è l'Arabismo padovano che
si prolungano pur sempre svigoriti e indeterminati.
Bruno e Campanella rappresentano anch' essi debol-
mente r Aristotelismo e '1 Platonismo, ma per una ra-
gione assai diversa. L'esigenza psicologica, propria del
Rinascimento, nei due arditissimi frati assume ben al-
tro valore, e si allarga a sistema; e così vediamo i due
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CAP. XIV.] CONCLUSIONE. ' 629
estremi modificarsi di guisa, che Bruno e Campanella ci
paion quasi filosofi moderni, e modernissimo il Galilei
rappresentante dell' indirizzo medio nella scienza fisica, in
quanto ci esprime assai vivacemente l'esigenza induttiva
nelle discipline sperimentali. Bruno, Campanella e Galileo,
infatti, non ripetono Aristotele e Platone, e neanche in-
tendono ad accordarli : essi piuttosto tendono a correg-
gerli, e credono correggerli, come altrove mostreremo, in
tre diverse maniere. Perciò non a torto il filosofo Nolano è
riguardato oggi siccome antecedente isterico di Spinoza;
il filosofo di Stilo è ritenuto come antecedente di Car-
tesio; e il Galilei viene invocato da' Positivisti come uno
ùe'padri del Positivismo, secondo che ci han fatto grazia
dirci il Comte ed il Littré.
Or tutto questo sarà vero; sarà vera cotesta novità
ne' tre filosofi: ma sarà vera nel senso che a tutti e tre
manchi qualcosa. Essi ci rappresentano, vorre' dire, tre*
esigenze solitarie, esclusive e quasi inorganiche. Nel Cam-
panella, per esempio, vi è il concetto della coscienza e
della storia; ma non vi è quello dello spirito come sto-
ria. Nel Bruno vi è il gran concetto della ìiatura; ma
è un concetto sifl'attamente annebbiato e indeterminato
che riesce affatto irrelativo, e nulla non ha né dietro,
né avanti a sé: talché con l'avere affermato che la prima
causa debba essere insieme efficiente, formale e finale, e' si
chiarisce seguace, non già d'Aristotele, come vorrebbe il
Michelet,* ma dell'indirizzo naturale dell'Aristotelismo. Il
metodo del Galilei, finalmente, é quello che debb'essere;
un processo induttivo e critico, ma solamente applicato
allo studio delle leggi fisiche. D'altro canto il filosofo
pisano ha grandissimo valore quando si pensi com'egli,
riducendo le leggi di natura fisica o meccanica a feno-
meni piÌL 0 manco generali, giugnesse a scacciare dal
regno degli agenti naturali ogni fantasia astrologica del
falso Aristotehsmo: ma chi dirà eh' e' pervenne a darei
* Métaph, <r Ari8t., ed. cìt. p. 268.
SlClLlAKI.
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630 DELLA DOTTBINA FILOSOFICA. [lIB. II.
una dottrina cosmologica? Se dunque i tre filosofi, che
sopra gli altri di quell' età come aquile volano, ci si pi-e-
sentano in sé stessi manchevoli, incompiuti e quasi fra
loro inorganici; la conclusione sarà questa, che in ciascun
d' essi havvi un' esigenza non soddisfatta. Il concetto"^
del Bruno su la natura vuol esser corretto : vuol esser
compiuto il concetto psicologico del Campanella; e dal
regno de' fatti fisici il metodo galileiano è d' uopo tra-
sferirlo in quello de' fatti morali e della storia. Ecco
la triplice esigenza speculativa nella quale si raccoglie,
per così dire, tutto il significato speculativo del Rina-4
scimento. A tale esigenza soddisfa il secolo XVIII con
lo dottrine del Vico. Una relazione ideale, dunque, fra
il secondo- e '1 terzo periodo della nostra filosofia, è
evidente, razionale, necessaria.
PfiBioDO Tbbzo.
(Filosofico-positivo e critico.)
Il terzo periodo della nostra filosofia s'inaugura col
Vico avversando e insieme inverando il Cartesianismo, e
finisce con l' iperpsicologismo da una parte, e con l' empir
rismo dall' altra: l'un de' quali è rappresentato dal Neo-
platonismo de' nostri ultimi filosofi, e dall' Idealismo asso-
luto importatoci dalla Germania; l'altro, dallo Scetti-
cismo, dal Materialismo, dal Positivismo.
Peculiar distintivo di questo terzo periodo non è la
Ragione assorbita dall'Autorità, ne l'Autorità e la Ra-
gione irresolute; ma l'Autorità risoluta nella Ragione;
cioè la Ragione che diventa Autorità, coscienza di sé
medesima. Il pensiero filosofico non vi è mosso altrimenti
da un'esigenza puramente ideologica^ né puramente psi-
cologica; ma ideologica e psicologica intrinsecate nella
storia (processo istorico-psicologico). Non più il problema
dell'universale e del particolare, cioè dell'individuazione,
ma quello della lor conversione. Non più il problema
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GAP. XIV.] CONCLUSIONI. 531
dell' anima e dell' individuo, ma quello della storia e
della società (Scienea Nuova.) Non più il mondo come
piedistallo d'un Dio solitario; un mondo divino sol
perchè esistente in Dio, creato da Dio, tendente a Dio:
ma un Dio presente al mondo, e un mondo creante sé
stesso, e però divino in sé stesso, divino per sé stesso. Non
più la Trinità tedoffica, ma il Triauno filosofico e razio-
nale uscente dal seno istesso del simbolo religioso, del
sentimento, della coscienza, dell'immaginazione. Non più
la formola disdogica e la formola teleologica del cate-
chismo, bensì la formola metafisica del Processo ideàley
e la formola cosmologica del Processo cosmico e della
Vita Universale. Non più la scienza data, ma la scienza
fatta; e fatta non già come assoluta, a priori e tutta
d'un pezzo, ma come produzione assoluta del pensiero,
e della storia. Non più filosofia della storia a priori,
condotta vuoi con metodo tradizionale e teologico, vuoi
con metodo sistematico e assoluto; ma benintesa so-
ciologia, beninteso metodo storico e psicologico. Non
più il diritto derivato dalla morale, né la morale dal
diritto; ma entrambe queste discipline emergenti dal-
l' azione combinata del pensiero con la storia, delle idee
col fatto, della ragione con l'esperienza. Però la politica
si palesa alla mente non più come ispirazione, comando,
suggerimento teocratico, e tanto meno come arte dd
riuscire y ma come scienza, come scienza del Diritto, come
Diritto applicato {Diritto Universale). Però le forme
del reggimento politico si presentano non più come
istituzioni immobili, immutabili, intangibili; ma come
altrettanti organismi, e quindi come altrettanti processi.
Però la religione non è più intesa com' effetto d' origine
divina, e neanche come semplice mezzo, come artifizio,
come ritrovato umano; bensì come processo anch' ella,
come produzione psicologica necessaria nello svolgersi
della storia. Però non più provvidenza immediata, né
astrologia; non più influssi immediati, né mediati; ma
provvidenza naturale, provvidenza storica, provvidenza
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632 DELLA DOTTRINA FILOSOFIOA. [lIB. U.
umana: rd>us ipsis dictantibus. Però non più individui
predestinati; non- più famiglie, né razze privilegiate; non
più popoli eletti : ma privilegio dell' intelligenza, ma trionfo
della libertà in ogni senso e sotto qualunque forma, nella
Famiglia, nello Stato, nella Chiesa, nella Scuola, nella
Società. Dunque, formola suprema della vita e della
storia, deUa natura e della speculazione, de' fatti e delle
scienze e di Dio stesso : la Conversione del Vero cól
Fatto, e del Fatto col Vero.
Il terzo periodo della nostra filosofia ci rappresenta
V età umana: rappresenta l'età delle idee, l'età della
Bagione spiegata. Quale sarà dunque la conclusione?
La conclusione è chiarissima. Questo terzo periodo
importa l' esigenza, la necessità d' un Rinnovamento:
racchiude l'esigenza e la necessità d'una filosofia razio-
nalmente positiva. La sintesi confusa del primo periodo
si ripete anche nel terzo; ed ecco le contraddizioni evi-
denti, manifeste, grossolane, talvolta puerili del Vico. La
medesima sintesi veggiamo ripetersi ne' nostri ultimi filo-
sofi neoplatonici; ed ecco le contraddizioni del Rosmini,
ecco i controsensi del Gioberti, ecco le incongruenze
del neoplatonismo del Mamiani. Ma cotesta sintesi tien
dietro ad un'analisi, tien dietro all'analisi del Rina-
scimento. Dunque, tuttoché erronea, ella già segna un
progresso. Perciò le contraddizioni dei nostri filosofi si
risolvono di per sé medesime; si risolvono e correggono
per necessità storica : le risolve e corregge la storia ella
stessa; rebt4S ipsis dictantibus. In altre parole, il terzo
periodo è un ricorso, direbbe 1' Autore della Scienza
Nuova; è un ricorso d'uà corso, cioè un ricorso del
primo periodo. Ma cotesto ricorrere non è già un sem-
plice ripetersi, bensì é un ripetersi che si rinnova neces-
sariamente, ciò è dir razionalmente : ecco la ragione del
suo verace progredire. Quale é dunque il problema che
la storia del nostro pensiero filosofico tende a risolvere?
È sempre l'antico, l' antichissimo problema, or divenuto
novissimo: la correzione e l' accordo della doppia e vec-
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CAP. XIV.] CONCLUSIONE. 533
chia esigenza naturale e iperpsicologica, empirica ed
a priori, positiva e ideale. Quale n' è poi il risulta-
mento? È il trionfo dell'indirizzo medio; è Finvera-
mento successivo, progressivo e razionalmente neces-
sario di tale indirizzo; ed è quella perennis phUosophia
del Leibnitz la quale non è fatta, ma si fa, e sempre
più si farà.
Abbiam detto che in questa terza età la Ragione
sommette l'Autorità, trionfa dell' Autorità, e la riduce
ne' suoi giusti confini. Or nell' ordine de' fatti che cosa
veggiamo? Ci è dato osservare (noi fortunati 1) la mede-
sima legge. Il grande spirito nazionale trionfa di Roma ;
riduce a ragione l'Autorità; la fa ragionevole. E questo
gran fatto accade anch' egli per necessità e provvidenza
storica: rebus ipsis didantìbus. Accade senz'av vedercene;
accade senza grandi rumori; accade senza grandi stre-
piti guerreschi ; accade senza i temuti fiumi di sangue.
Evidentemente il pensiero filosofico italiano è provvi-
denziale I Egli è già penetrato nella gloriosa ma altret-
tanto ardua, altrettanto spinosa e travagliosissima età
umana!
La legge de' tre periodi, che noi abbiamo a fugge-
volissimi tocchi tratteggiato ne' suoi caratteri essen-
ziali e differenziali, non è, al solito, una legge dia-
lettica, non è legge a priori, non è legge sistematicaj
non è legge organica nel significato che vorrebbero
darle gli HegeUani. È una legge, ripetiamolo, essen-
zialmente storica e psicologica: e la necessità a cui
ella è informata, anziché dialettica, è anch'essa di
natura storica e psicologica. Non è dunque una trico-
tomia ideale, dialettica, logica e trascendentale applicata
alla genesi del nostro pensiero filosofico; ma è una di-
visione risultante dal fatto stesso della storia, e qì è
confermata dalla genesi deUe funzioni psicologiche.
Interpretando così la storia della filosofia italiana,
il nostro Binnovamento speculativo non pur si presen-
terà come un' esigenza della Ragion teoretica, ma come
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534 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA. — CONCLUSIONE. [lIB. H.]
un profondo bisogno altresì della Ragione storica, I
fini perciò a' quali potrà e dovrà pervenire lo storico
della nostra filosofia saranno questi:
1" Egli così avrà dato forma razionale al movi-
mento filosofico del pensiero italiano, a contare dalle
sue proprie origini fino ai dì nostri:
2** Avrà legittimato la Scolastica e la Biflessione
teologica^ facendole servire entrambe allo svolgimento
isterico del nostro pensiero filosofico:
3* Avrà schivato le pretensioni esclusive, le inter-
pretazioni erronee, infedeli e parziali degli storiografi
hegeliani che altro non veggono, sì nella nostra come
nella universale storia della filosofia, fuorché il trionfo
d'un Aristotelismo o d'un Platonismo interpretati, ri-
maneggiati e rimpastati a tutto lor comodo e favore:
4* Potrà giustificare la rinnovata Filosofia Positiva
Italiana correggendo l'Arabismo vecchio e nuovo, cor-
reggendo il vecchio e '1 nuovo Positivismo, legittimando
la vera esigenza platonica e la vera esigenza aristote-
lica, e dimostrando col fatto il progresso nel corso del
nostro pensiero filosofico mercè il trionfo dell'indi-
rizzo medio:
5* Finalmente potrà porger modo alla storia po-
litica, alla storia civile e alla storia letteraria del nostro
paese d' attingere significato razionale e razionalmente
positivo, elevandole a dignità filosofica legittima. Fuori
di questi principii è impresa vana pretendere d' impri-
mer valore scientifico alla storia del popolo italiano.
-Fine.
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INDICE DEGLI AUTORI
GHB DI PBOPOSITO 0 PER INCIDENTE
TRATTANO DELLE DOTTRINE DEL VIOO
(dal 1711 AL 1870).»
Giornale de* Letterati oT Italia, Osserrazioni al primo libro De Antiqttig'
eima Italomm Sapìentia, T. V, art. VI, t. VIII, art. X. Venezia, 1711.
G. Clbbioo, JBihl anL e mod. Voi. XVIII, p. Il», art. Vili, 1722.
Concinna, Originia futidamenta et capiUi prima JurÌ9 Naturalie. Pado-
Ta, 1734.
Damiano Romano, Difeta storica delle Leggi Oreche venute a Roma contro
V opinione moderna del signor Vico, Napoli, 1 736.
— Quattordici Lettere evi terno principio della Scienza Nuota ec. Na-
poli, 1749.
Ganassoni, Memoria in difesa dd principio dd Vico tu V origine delle
XJI Tatcle. Opasc. del Galogerà.
*RoOADEl, Saggio del Diritto pubblico o politico del Regno di Napoli,
DdV antico Stato de* popoli d* Italia Cistiberina. Vedi anche Colan-
OELO, Biblioteca analitica ec.
1 Diamo qui tale indice tanto in servigio e compimento della storia e della
critica fatta nel primo libro sn gli scrittori che han parlato del Vico, quanto
per ehi amasse di ripetere i medesimi studi, e far le medesimo ricerche da noi
fatte. Di alcuni di questi autori, come aTrertìmmo, non ahhiam creduto prezzo
deir opera far cenno; d'altri poi non abbiam potuto, segnatamente d* alcuni
venuti alla luce quando la prima parte del nostro layoro era già in eorso di
stampa, come per esempio del Qalatio, del D§ luca, del Sarchi (traduz. del Libro ì
Mstafisieo), del Laurent e di qualcun altro. Tutti gli abbiam letti o consultati
0 studiati secondo ohe richiedeva non solo il proposito di questa nostra opera,
ma piti ancora quello della seconda che pubblicheremo intorno ai Prineipii
della Sociologia. Non abbiam potuto. leggere gli articoli del Wotf e dell' Or««t,
la Prefatiom del Wsbsr alla trad. della Sdenta Nuovuy ì Fogli $parsi del QOichet
e gli scritti di C. B. MUller e del Cauer ; ma ne abbiam dato giudizio traendone
notizia da fonti sicure. Disporremo qnest' indice, quant' ò possibile, secondo
Vordine cronologico, affinchè sia fatto più chiaro il pensiero a cui è informata
la 1* Parte del presente lavoro.
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536 INDICE DEGLI AUTORI
G. Laui, Novelle Letterarie, Firenze, 1740. Vedi pure nelle note al Meursio.
FlKETTi, De PrineipiU Jurx$ Naturce et Oentiam adver$tu Bòbbeatum,
Pu/endorjium, Woljium et alio». Venetiis, Bettinellus, 1777.
Sommario delle opposizioni del Sistema Ferino di Vieo alla Sacra
Scrittura. — La faUità dello Stato ferino: Appendice al Diritto di
Natura e delle OentU
E. DuNi, Op., edi?. completa per cura del Gennarellì. Roma, 1845. (Scienza
del Coetume. — Saggio sulla Giurisprudenza Universale. — Origine e
progressi del Cittadino di Roma, 1763.)
A. BuoNAFEDR, Istoria critica del moderno diritto di Natura e delle Genti
(stampato la prima volta nel 1766: la 2« ediz. fu fatta a Perugia
in sa lo scorcio del secolo passato).
I. Stbllini, Opera omnia. Padova, 1788 (specialmente nell'Opera, Do
Ortu et Progressu morum).
-M. Delfico, Ricerche sul vero carattere della Giurisprudenza Romana •
de* suoi euUori. Napoli, 1791.
M. Pagano, Op. Capolago, 1887. (I Saggi PoliHei furon pubblicati in Na-
poli neir ultimo decennio del secolo passato.)
V. Cuoco, Platone in Italia. Milano, 1804 (idem).
G. FiLAKGiBBl, Scienza della Legislazione. Firenze, 1865 (idem).
V. Monti, Prolusione agli ttudii ddV Università di Pavia. Milano, 1804.
U. Foscolo, Discorso deW origine e deW ufficio della letteratura, 1805.
Vedi nelle Lezioni d'Eloquenza, ediz. di Napoli, 1838.
WoLP, nel Museum der Alterthumwissenschafi. Berlino, 1807.
6. Orblli, Vico e Niehuhr. Museo Svizzero, 1816.
Anonimo, DelV antichissima Sapienza degli Italiani, versione dal latino.
Milano, Silvestri, 1816.
C. Iannblli, Sulla natura e necessità della Scienza delle cose e delle Storie
umane. Napoli, 1817.
Anonimo, neìV Indicatore di Gottinga. 1819.
COLANOELO, Saggio di alcune considerazioni suUa Scienza Nuova del Vico.
Napoli, 1821.
G. RoifAGKOSi, Osservazioni sulla Scienza Nuova. 1821.
G. Weber, traduzione della Scienza Nuova. Lipsia, 1822.
G. Db Cbsarb, Sommario delle dottrine dd Vico, compilato sulla 8" ediz.
della Scienza Nuova fatta dallo stesso Vico nel 1744, e pubblicata
nelPcdiz. dello stesso libro del 1826 in Napoli.
-S. Gallotti, Principii «T una Scienza Nuova di G. B. Vico, prima edizione
pubblicata dall'Autore il 1725 riprodotta e annotata. Napoli, 18*26.
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CHE TBATTANO DEL VICO. 537
Michelet, Prineìpca de la PkiloBophic de VHUtoìre, traduits de la Scienza
Nuova, Paris, 1827; ripubblicata con le altre opere a Bmzelles
nel 1889.
G. Ricci, néìV Antoloffia del Vleussenx, Firenze, nei fascicoli N» 88, 92
del 1828 (stadio critico su la tradazione fatta dal Michelet).
lìivitta Enciclopedica f Fascicolo d'aprile 1828 (art. sa la tradazione del
Michelet).
LBBXiinEB, Initoduction generale à VBittoire du Vroit. Paris, 1829.
Bietoire de la Philotophie du Droit. Bruxelles, 1830 (nel Tom. II).
Ballanchb, Opere. Paris, 1830, voi. IH e IV.
T. JouFFBOY, Mélangea Philo$opMqu€$. Bruxelles, 1831.
V. CousiK, Oaurs ec, 2« serio, tom. II. Paris, 1831.
Introductxon b. VHieioire de la Phil.f Lea, II,
T. Maviani, Rinnovamento della Filonofia antica italiana, Pari^, 188i.
L. T. (LniQi Tonti), Saggio aopra la Scienza Xuova di 0, B, Vico, Lu-
gano, 1835.
'*'. PREDABI, Op. del Vico con traduzioni e commonti. Milano, Bravet-
te, 1836.
G. Febbabi, Op. del Vico ordinate ed illustrate coW analisi détta MenU
del Vico ec. Milano, Società Tipografica, 1835-37.
Édit. compllte dee oeuvre* de Vico, en six voi. Paris, 1885-37.
Vico et r Italie. Paris, 1839.
- — Eeeai sur le principe et le$ limites de la Philoeophie de VBittoirt
Paris, Joubert, 1843.
Vico et VItcdie (nella Recue dee Deux ^fond€9, 1888),
C. Cattaneo, Vico e V Italia (nel Politeniico, voi. II).
St. MrLL, Sifithne de Logique, 1» ediz. (nel voi. II).
A. RosviNT, Il Rinnovamento della Filosofia in Italia propoeto dal Conte
Terenzio Mamiani della Rovere, Milano, 1886. (Vedi pure nella Filo-
•ofìa del Diritto, voi. II, e nella Filosofia politica.)
G98CHEL, Zerstreute Bldtter, nella Rivista Giuridico-filosofica. Schlous-
Singen, 1887.
A. Cosmc, Lettera al Mill (vedi Littrì, Auguste Comte et la Philosoplie
Positive, Paris, 1861).
P. loLA, Studio sul Vico e sulla filosofia della Storia, letto nell* Accade-
mia filosofica di Sassari, Torino nel 184!.
T. Maviani, LrUere intomo alla Filosofia del Diritto. Napoli, 1841.
8. Mancini, Intorno alla Filosofia del Diritto, Lett. al conte Terenzio
Mamiani. Napoli, 1841.
-C. Re.kouvieb, Manuel de PhU, moderne. Paris. 1842.
538 INDICE DEGLI AUTORI
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N. ToMMAsio, Stridii critici, Venezia, 1848.
Studii filosofici, MDCCCXL, Venezia, voi. II.
BonCHEZ, Jntrod, à la Science de VHist, Paris, 1844.
Anonimo, La Seienoe nouvélle par Vico, trad. par Tautear de Tessa! sur
la formation da Dogme Catholiqae. Paris, 1844.
Della Valle, Saggi exdìa Scienza della storia, ossia Santo della Seiema
Nuova di Q. B. Vico. Napoli, 1844.
G. Eocoo, Elogio storico di 0, B, Vico. Napoli, 1844.
G. La Farina, Storia (T Italia, narrata al popolo italiano. Firenze, Poli-
grafia italiana, 1846, yoI. I, Prefazione.
S. Centofakti, Una Fortixola logica della filosofici della storia, Pisa, 1845.
N. TomiASào, Notizie sulla vita e suUe opere di Vico. Vedi nell* edizione
della Scienza Nuova fatta a Milano dal Silvestri nel 1848.
F. CARyiGNANl, jStona deUe origini e de* progressi della Filosofia del Diritto,
Lucca, 1851.
S. Mancini, Intorno alla Nazionalità come fondamento del Diritto delle
Genti. Torino, 1851.
V. D'Ondes Begqio, Introduzione ai principii deUe umane società, Geno-
va, 1851.
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C. Marini, Giambattista Vico al cospetto dd secolo XIX, Napoli, 1852.
C. E. MUller, G, B. Vico-Oleine ^c^/ten Neuhrandehurg. 1854.
F. BouLLiKR, Hlst. de la Phil, CartUienne, Paris, 1864 (voi. II).
B. Poli, Manuale della Storia della Filosofia del Tenncmann, voi. IV,
Milano, 1855.
A. De Carlo, Istituzione filosofica secondo % principii di G, B, Vico, di-
visa in quattro volumi. Napoli, 1855 (1<> volarne).
C. Giani, DeW unico principio e deW unico fine dell* universo Diritto. Oper.a
di G. B. Vico tradotta e commentata coir aggiunte di appendici re-
lative alla materia dell* opera stessa. Milano, 1855.
— — Della eguàU autorità e naturale amicizia di tutte le scienze. Mi-
lano, 1870.
Caubr, nel Museo tedesco, 1857.
E. Amari, Critica d* una Scienza dille Legislazioni comparate, Genova, Ti-
pografia de* Sordo-Muti, 1857.
V. FoRNARi, DéW Armonia Universale, 1* ediz. Napoli; 2« ediz. Firen-
ze, 1863.
E. Faonani, Ddla neeessità e ddT uso della Divinanione tettifieata dalla
Scienza Nuova di G. B. Vico. Alessandria, MDCCCLVII, 2» voi. Ri-
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CHE TRATTANO DEL VIGO. 539
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B. Spavrnta, Carattere e «viluppo della JUoBoJia itàliajut d<tl secolo XVI
tino al nottro tempo, Modena, 1860.
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G. Brrtini, Sulle prove metafisiche d* una realtà sovrasensihile. Negli atti
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Vico. Cremona, 1868.
•A. De Carlo, La mente d* Italia e Giambattista Vico, Salerno, 1868.
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G. Jaoobt, Cantoni Hher Vico, rivista pel giornale La Psicologia de'po-
poli. Berlino, 1869.
A. Vera, Introduzione alla Filosofia della Storia. Firenze, 1869.
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H. DeFbrron, Théorie du ProgrU. Paris, 1869 (nel voi. I).
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540 INDICE DEGLI ÀUTOBI CHE TRATTANO DEL TIGO.
F. DeLuoa, Saggio ontologico sulle dottrine delVAquinate e del Vico. Na-
poli, 1870.
F. Laurent, Op., Études sur VHistoire de Vhumanité^ tom. XVIII.
Porìs, 1870.
C. Sarchi, DelC AiUica Sapienza degV Italiani riposta nelle Origini ddla
lingua latina, col testo a fronte e Prefazione, Milano, 1870.
C. Cantù, nella Storia Universale, e nella Storia degV Italiani,
MlCHAUD, Biographie universdle, lett. V.
PotfBA, Enciclopedia, lett, V.
Frane, Bictionnaire dea Sciences Phil, (J. B. Vico).
Bartholmess, Dietionnaire dee Sciences PkU., voi. VI.
INDICE DELLE MATERIE.
A Terenzio Mamiani della Rovere Pag. v
Avvertenza vii
Iktroduzione. — Positivismp, Idealismo aseoluto e Filo-
sofìa Positiva Italiana 1
STORIA DELLA SCIENZA NUOVA
e critica de' critici, dejl' interpreti e degli espositori
delle dottrine del Vico.
Preambolo 33
Capitolo I. Periodo degl' imitatori e degli oppositori . 36
> IL Periodo de' critici e degli eruditi 53
> III. Continua il periodo de' critici e degli eruditi. 81
» , IV. Periodo degl* interpreti filosofi 95
» V. Continua il periodo degV interpreti filosofi. 131
> VI. Conclusione. (Conseguenze. Forma della
mente, e carattere delle opere del Vico.
Valore della nostra critica.) 155
> VII. Vico, Leibnitz e il Cartesianismo 174
» VIIL Delle due moderne filosofie, Germanica e
Italiana i . 188
INTERPRETAZIONE DELLA DOTTRINA FILOSOFICA.
Preambolo ' 210
Capitolo I. Dottrina della scienza e del criterio .... 216
» IL Del criterio e del metodo nella scienza . . 239
Òtà INDICE DELLE MATERIE.
Capìtolo III. Posizione e critica del Principio specula-
tivo Pag. 250
» IV. n Platonismo e V AHstotelismo nel pro-
blema psicologico 278
> V. Organismo e processo psicologico. {Fon-
damento razionale del processo {storico.) 311
» VL Genesi e teleologia psicologica. 342
» VII. Del conoscere metafisico. (Critica de^ mo-
derni Neoplatonici.) 365
> Vin. Continua lo stesso argomento. {Critica
del Neoaristotelismo : Positivismo ed He-
gélianismo,) 388
» IX. Su la ricerca dell* Assoluto secondo la Ra-
gion filosofica positiva 415
» X. Del Principio metafisico 434
» XL Sul moderno concetto della Creazione e
della Provvidenza 453
» Xn. Deir attività creativa ne* diversi momenti
del Processo cosmico 469
» XnL Darwinismo, Scienza Nuova e Sociologia. 492.
» XIV. Conclusione dell' Opera, e idea su la Sto-
ria della Filosofia Italiana 514
Indice degli Autori che di proposito o per incidente
trattano delle dottrine del Vico 535
ERRATA. Pag. 7, T. 4. operazione immediata, per operazione mediata, — Pag. 28, T. 9 e^non potrebbe non rieecire, per e* non potrebbe rietcire, — Pag. 57, T. 6. quel eerto Jiloeofoy per certo, quelfloeofo. — Pag. 98, v. 12. tuo*dirc, per vo^ dire. — Pag. 113, v. 18. Crieto quel centro maeeimo, por Cristo, qvidl centro massimo, — Pag. 203, ?. 12. jUosofia fisiologica, per Jìlosofia etisologica, — Pag. 212, T. 16. assommano la ragione, per assommano le ragioni, — T&g. 221, v. 29. Firtz, per iVr««. — Pag. 222, v. 13. degVim-, ponderabili suW esistenza, per degV imponderabili e deW esistenza. — Pag. 232, V. 89. Sft^rji vrr(xpx,tt to, per fyi?:?? V7ra^;^«e to'. — Pag. 288, 7. 7. Sovsifiit, per juva/xee. — Pag. 288, v. 9. tovto, per toùto. — Pag.247,v.84.x— Jiaviafjperxat — Jtavoiat;. — Pag.253,T.80,7rauTt, per Travri. — Pag. 269, t. 88. affermazione promessa, per affermazione promossa, — Pag. 280, T. 37. ù^iirpòi, per wc irpò^. — Pag. 290, V. 19. x**^' auTvJv, per xar' auTvjy. — Pag. 292. t. 29. Avto7s tv, per Auto yt to. — Pag. 292, v. 40. Sovo^iisi Zwki'v s^'^V^^' ^®^ SvvdfjLii ^w>7v ?yovTOf. — Pag. 294, v.3l. rsOo^tov, per fAi9óptoy. — Pag. 295, T. 8. tfivafjicf, per Svvafiig, — Pag. 297. t. 4. TdJ ^9vzx 7tvgG'5a, per to' nuvroc yiviaOxAi. — Pag. 335, v. 2S. altro potrebb* es* sere, per altro non potrtbV essere. — Pag. 845, T. 80. e perciò era visione, per e perciò visione.^ Pag. 351, v. 20. aXXov «^eu/xaTOtiv, per aXXwv a?to/iaTwv. — Pag. 862, v. 87. tololtyi?, per Tuvxng. — Pag. 385, T. 2gL Tra/DOff ta, p«r Tra^ou^ca. — Pag. 387, v. 34. che le fa iìUendere, per che la fa intendere. — Pag. 408, y. 18. di coglierne concetto, per di coglierne il concetto. — Pag. 418, t. 4. es egreift, per es ergreift, — Pag. 413, V. 4. dans an sich, per das an sich. — Pag. 417, v. 35. Jtvoljixffovt, per ^vva/X8VG(. — P&S* 489, v. 41. e s^ avvilirebbe, ^r e* s* avvilirebbe. — Pag. 441, V. 22. ytuVe?, per f^J7t(. — Pag. 442. v.25. /*v?5>j, per iit$è. — Pag. 444, y. 4. ^a£va-5ae, por yaevjo'^'at. — Pag. 444, v. 87. rxpoi^vy' |xaTa, per 7ra^a?£t7fAaTa. ^ Pag. 445, y..20. del Dio aristotelico, con; per del Dio aristotelico che con, — Pag. 468, y. 40, in due e cantra- rie sentenze apposite, per in due apposite e contrarie sentenze — Pag. 470, y. 29. yjppxsi ro,v^r vnapxst to. —Pag. 478, y. 17. to (^trepov, per TO 5«UTe/)0v. -- Pag. 478, y. 22. to' rra^Xo, per tÒ oiWo, — Pag. 478, V. 83. delV atonicità, per déV atomicità, — Pag. 480, y. 19. creare vuol non dire, per creare non vuol dire. ^ Pag. 504, y. 12. ci son addate, por ci son additate. — Pag. 520. y. 15. e correggendo, lui; per e correggendo lui. — Pag. 528, y. 4. chi, davvero, ragion teologica; per che, davvero, la ragion teologica.
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