Grice: “Strawson never read Paganini’s ‘cosmological’ tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was with spatio-temporal continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof of the immortality of the human soul – He told me he basically drew it from an obscure tract by Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract actually features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’ of the ‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian philosopher.Lucca stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso napoleonico al diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero corso dei suoi studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole secondarie, alla filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari lucchesi. Prtecipò alla prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra, col l'annessione del Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu nominato docente nell'ateneo lucchese. In questo ufficio fu difensore della dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il governo decise poi di offrirgli una cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati da due avvenimenti; la espulsione dai seminari ecclesiastici di discepoli a lui carissimi, perché rei di professare le dottrine del Rosmini e la condanna di certe proposizioni tolte ad arbitrio e senza critica dalle molte opere del filosofo di Rovereto. Muore a Pisa. Annuario della R. Pisa per l’anno accademico. sba.unipi/it/ risorse /archivio- fotografico/persone-in-archivio/paganini-carlo-pagano Opere. COLLEZIONE DI OPUSCOLI DANTESCHI INEDITI 0 RARI DA GT. L. PASSERINI VOLUME QUINTO CITTA DI CASTELLO S. LAPI TIPOGRAFO-EDITORE 1894 CARLO PAGANO PAGANINI CmOSE i IUHI flSOFICI DELIiA DIVINA COMMEDIA RACCOLTE E RISTAMPATE DI GIOVANNI FRANCIOSI CITTÀ DI CASTELLO S. LAPI TIPOGRAFO-EDITOBE 1894 PROPRIETÀ LETTERARIA CARLO PAGANO PAGANINI RICORDATO DA UN SUO DISCEPOLO ... .In la mente m'è fitta, od or m'accora, La cara e buona imagine paterna Di Voi, quando nel mondo ad ora ad ora M' insegnavate come l'uom s'eterna. In/., XV, 82-85. Carlo Pagano Paganini, nell'aspetto e nell'a- nimo, fu come uomo venuto da secoli lontani. Io vedo specchiata nella mia mente, che spesso lo ripensa con riverente affezione di alunno, la sua testa di bellezza antica. Fronte larga e pensosa, naso aquilino, barba e capelli nerissimi, labbra sottili e poco pronte al sorriso, quando socchiudeva gli occhi e chinava il capo medi- tando, era in lui somiglianza più che fraterna col San Paolo della Cecilia raffaellesca; ma, nel- l'atto di alzare lo sguardo e la mano verso gli alunni suoi, sillogizzando, e' rammentava piutto- sto l'Aristotile della Bettola di Atene. Rado e lento al parlare per abito di raccoglimento e per difficoltà di respiro, sopravvenutagli nel col- mo della virilità, persuadeva: la parola viva, stillando quasi dalla forte compagine della sua 6 parola pensata o deW interna stampa, cadeva ad- dentro negli animi anche men disposti a ricever- la, come la goccia, stillante giù dalla roccia, a poco a poco scolpisce orma profonda nel sasso sottostante. Natura di pensatore disdegnoso e chiuso in sé, pochi lo intesero e pochissimi lo pregiarono secondo verità. Cittadino prode, va- gheggiò, lontano dal volgo, un' idea nobilissima di paese sincero, di popolo giusto e sano. Edu- catore potente, ma non ricco di propria virtù creativa, commentò dalla cattedra, come forse niun altro seppe a' nostri tempi, l'alta dottrina di Antonio Rosmini; benché non possedesse le attitudini del divulgatore: recò luce nuova, av- vivò la forza visiva, ma nella mente di pochi. Asceta del pensiero, un po' per indole e un po' per fiera volontà d'espiazione, esercitato in se- vere continenze e astinenze di fantasia e di spirito, non ebbe le geniali divinazioni dell'estro; né quel lampeggiare improvviso di parola ispi- rata, in che s'aprono o s'intravedono lontananze ideali, com'appunto in chiarore di lampo lonta- nanze di mare e di cielo. La sua prosa, nell'an- tica e salda semplicità dell'espressione, rammen- terebbe la linea degli edifici romani, se il pensie- ro non vi apparisse talora frastagliato in minute analisi, in distinzioni sottili, che tengono della scolastica medievale. Tempra di filosofo, mente austera e teosofica. il Paganini nel Poema sacro vide il tempio, ove l'arte umana, ispirata dalla fede, fa sentire l'I- neffabile. Questo egli principalmente dimostra, pur rendendo onore all' ingegno sovrano del Poeta, nel discorso " La teologia di Dante „ ; di- scorso, che qui non si dà, perchè fa parte di vo- lume troppo noto. ^ Ma de' suoi forti studi danteschi fanno, credo, miglior fede le chiose, che qui si danno raccolte e ordinate ; ^ dove, cer- cando, con occhio chiaro e con affetto puro, dentro al fantasma poetico l'occulto e il divino, il Pa- ganini riuscì ad avvertire per la prima volta o a far meglio palesi germi preziosi di verità filo- sofiche. ^ Cosi nelle permutazioni della Fortuna (Inf., VII, 61-69) additò i ricorsi vichiani; e nel sillogismo delle vecchie e delle nuove cuoja (Pa- ' Dante e il suo secolo: Firenze, Cellini, 1865, pag. 515. * Ordinate per ragione di tempo. Soggiungo che questa ristampa fu condotta con amoi'e di sincerità anco nelle mi- nime cose. •'' Ho caro che Tommaso Casini, già mio discepolo nel Liceo di Modena, abbia rammentato tre volte (Inf., IV, 144; VII, 73; Purg., XVIII, 55), sia pure inconsapevolmente, il maestro del maestro suo; e una di queste tre volte (Purg., XVIII, 55) offerto a' letttri della sua diligente esposizione del Poema la stillata sostanza di chiosa paganiniana. Lo Scartazzini, commentando la terza Cantica, cita il Paganini due volte (XXIV, 91-94: XXIX, 46-63), ma la se- conda volta, dopo averlo citato, se ne discosta senza dir perchè; e noi Commento all'Inferno (VII, 73; edizione mi- nore) attribuisce a me, certo per errore di trascrizione, ciò, che il Paganini argomenta suU'apodosi della comparazione dantesca tra gli splendori del mondo e quelli de' cieli. 8 rad,, XXIV, 91-94) il sillogismo della stona, che sì bene armonizza col sillogismo del cosmo e col sillogismo della trinità divina; ^ cioè le tre grandi età della Preparazione a Cristo, àBÌV Avvento di Cristo e della Santificazione in Cristo. Cosi net- tamente distinse, restringendolo alla creatura uomo, l'amore naturale da quello à^ animo ;^ di- chiarò da maestro il verso : " Averroè, che il gran commento feo „ ; segnò il giusto valore della frase " uomo non sape „ là, dove si tocca dell'o- rigine dell'idee, e dimostrò da par suo che cosa valga nel linguaggio degli Scolastici subietto de- gli elementi.^ Le note dichiarative non fanno una grinza : quanto alle altre, io già ne apersi, o diedi a divedere, l'animo mio nel Libro delle Ra- gioni. * Ma, pur dissentendo in parte, riconosco ' Paolo Perez, in una sua lettera al Paganini, scrive: " Intendo assai bene la verità e la bellezza di que' tre sil- "logismi della Storia, della Cosmologia, della Teologia; ar- " monia del creato e dell' increato, che non vidi mai annun- " ziata in forma somigliante „. Lettera di P. Perez al prof. P. Paganini (Nozze Perez-Fochessati), Verona, Franchini, 1884. ■^ Nicolò Tommaseo si dice lieto d'esser corretto dal Paganini, ch'egli giudica uno de' più idonei a scrutare le intenzioni, le dottrine, le origini del verso dantesco; nobil- mente confessa d'avere errato, restringendo ai corpi Vamor naturale, ma insieme consiglia il Paganini di non restrin- gere quest'amore, ch'è Varco fatale nell'inno dell'ordine (Parad., I, 119), entro i confini della creatura intelligente. — Nuovi studi su Dante, Torino, 1865, pag. 27. ^ Il Giuliani in una postilla marginale, ohe Giacomo Poletto riferisce (Dizionario dantesco, VI, 327), volle far suo, credo, il pensiero del Paganini. * Nuova raccolta di scritti danteschi, Parma, Ferrari e Pellegrini, 1889, pag. 83-89; 183-184. 9 volentieri che tutte queste chiose dantesche, co- me i lavori più gravi " Saggio cosmologico su lo spazio „ ' e " Delle più riposte armonie tra la filosofìa naturale e la soprannaturale „ ^ sono bel- lissimo documento d'intelligenza acuta e serena, d'abito di ragionare diritto e spedito, di chiarezza viva di scienza convertita, per lunga meditazione, in nutrimento del pensiero, in forza operosa dello spirito. Se non che la maggiore e miglior parte dell'uomo, secondo me, non si palesò negli scritti e nemmeno nell'atto dell'insegnare dalla catte- dra; si nel conversare casalingo e nel costume. Tra le ricordanze della mia vita di scolaro sempre mi sarà carissima quella de le veglie pas- sate a Pisa in casa Paganini : dove, spogliata la toga del professore, l'uomo appariva in tutta la sua grande bontà d'intelletto e di cuore, e il maestro ci si mutava in consigliere, in amico, in fratello. Quante dispute gentili; quanto fer- vore e quanta allegrezza, nella serenità del con- fidente colloquio, di pensieri e di affetti, sempre accesi nel piacere del vero ! Io penso che la sua natura di educatore per eccellenza ben si pale- sasse allora. Chi lo conobbe solo tra le pareti della scuola dovette averlo in riverenza, ma forse non lo amò; chi lo conobbe in casa, dovette ' Pisa, Nistri, 18G2 (Estr. dagli Annali delle Università toscane). * Pisa, Nistri, 186t. 10 amarlo come padre. Semplicissimo in ogni ma- nifestazione del suo spirito, il Paganini pur ser- bava costante dignità e non cercata eleganza di veste, di portamento, di gesto e di parola. Quan- do lavorava nel suo caro orticello, spampinando la pèrgola, potando qualche pianta o zappettando con fretta allegra, portava zoccoli alla contadi- nesca, rimboccava fino al gomito le maniche della camicia e, se la stagione lo consentisse, stava contento a sommo il petto, come quel del Nerli, a la, pelle scoverta: chi lo avesse veduto di lontano, poteva scambiarlo con un forte, lindo e sollecito massaio delle campagne toscane ; ma da vicino, an- che nell'umile esercizio dell'ortolano, ciascuno avrebbe notato quell'aura, che si diffonde nel vol- to e nella persona da regale nobiltà di pensiero. Uscendo dall'orticello, lasciava gli zoccoli, indos- sava una veste giornaliera, ma (direbbe un anti- co) onesta, ed entrato nel suo studinolo, ripigliava con alacrità nuova il lavoro intellettuale per qual- che ora interrotto. Amico di solitudine, mesto e pensoso per lo piìi, terribile negl'impeti dell'ira, ebbe grande gentilezza di cuore, accorgimenti di bontà materna. Innamoratissimo de' giovani e de' fanciulli, in mezzo a loro si trasmutava come per incanto : sorrideva amabilmente e ama- bilmente parlava, temprando per affetto la sua gagliardissima voce a modulazioni soavi; e l'oc- chio, spesso pieno d'ombra sotto le folte soprac- 11 ciglia aggrottate, si aifissava, tutto schiarato, in quei visi ridenti e lampeggiava d'amore. Edu- catore di sé in gran parte, fidente nella virtù del volere, ^ seppe insegnare a' giovani, che lo avvicinarono, il proposito e l'arte di migliorare il proprio spirito. Io, mi gode l'animo d'aver qui l'occasione di confessarlo, riconosco intero da lui il principio di un'educazione intellettuale, che a poco a poco mi rinnovò, 'distruggendo o morti- ficando i mali abiti della casa e della scuola. Né le meditazioni austere spensero o scemarono nel Paganini il senso del bello, ma lo fecero più delicato, più fine e profondo. ^ Delle arti figu- rative, conoscitore e giudice arguto d'ogni lor passo, molto si dilettò ; e fu egli stesso disegna- tore corretto. La poesia senti come pochissimi ; ^ ' Notabili queste sue parole: "Quello che è difficile, sia pur difficile quanto si vuole, non è impossibile; e quello, che non è impossibile, o prima o poi, o da un uomo o da un altro si fa „. (Cf. pag. 99 di questo volumetto). * Pur negli scritti qui raccolti è qualche vestigid, ben- ché raro e fuggevole, del suo sentire gentile, come là dove accenna l'evidenza pittrice del verbo velare per ventilare (pag. 14) e dove l'armonia della terzina: "Ma ella s'è beata e ciò non ode „ chiama anticipazione di quel nuovo modo d% poesia, che l'Alighieri riserbava al Purgatorio e al Pa- radiio (pag. 47). ' Né soltanto la poesia pensata ed eletta, ma l'improv- visa e campagnuola. Villeggiando sui colli di Pistoia, rac- colse con amore motti e canti popolari, e della Ninna nanna " Quando a letto vo la sera „ disse cose nuove e belle. (Lettera ai giovani Alessandro Morelli e Antonietta Pieranto- ni fatti sposi, Lucca, Canovetti, 18G8.) 12 e due tra tutti i poeti predilesse, perchè meglio rispondenti all'indole e all'educazione del suo spirito: Dante, di cui ho già detto, e Virgilio. Peccato che tante sue belle considerazioni su questi due poeti, onde nel conversare quotidiano non fu punto avaro a' giovani, sieno fuggite con la sua voce, o mutate in seme di troppo diversa germinazione nella mente di chi le ascoltò ! V hanno uomini, che la scarsa loro ricchezza d'intelletto e di cuore spargono subito per mille rivoletti fuori di sé: altri, possessori di grande ricchezza interiore, somigliano a quelle nascoste e profonde sorgenti della terra, che non si veg- gono, ne si odono, ma si argomentano da la più lieta verzura e dal fitto fiorire del terreno sovra- stante. Tra questi ultimi è da porre Carlo Pa- gano Paganini, che molto seppe, molto e bene amò; ma parlò poco e pochissimo scrisse: eppure molti scritti e molti fatti buoni, generati o cre- sciuti dalla dottrina, dal consiglio, dall'esempio di lui, attestano della sua ricca e verace bontà. Roma, il 9 gennaio del 1894. G. Franciosi. Di un luogo del FargatoHo di Dante, che non sembra essere stato ancora dichiarato pie- namente. ^ Eagionando dell'amore, Virgilio, nel canto XVIII del Purgatorio, secondo la naturale filo- sofia, dice: Ogni forma sujtanzlal, che setta - È da materia, ed è con lei unita, Specifica virtude ha in sé colletta, La qual, senza operar non è sentita, Né si dimostra ma che per effetto Come per verdi fronde in pianta vita. Però là onde vegna lo intelletto Delle prime notizie uomo non sape, E de' primi appetibili l'affetto, Che sono in voi si come studio in ape Di far lo mele; e questa prima voglia Merto di lode o di biasmo non cape. Or perchè a questa ogni altra si raccoglia. Innata v'è la virtù che consiglia E dell'assenso de' tener la soglia. ' Da.IV Araldo cattolico: Lucca, 1857, an. XIV, n. 13 (G. P.). '•^ II Pagauini, lo avverto una volta per sempre, nello sue oi- tazioni della Commedia fu solito di serbar fede al testo della Vol- gata; ma, venuto in luco il testo di Francesco da Buti, qualche volta amoreggiò con questo ; come là, dove ai plurali verdi /ronde e primi appetibili sostituì i singolari bellissimi verde fronda e primo appetibile. Cfr. pag. 75-76 (G. F.). 14 Quest'è il principio, là onde si piglia Cagion di meritare in voi secondo Che buoni e rei amori accoglie e viglia. ' E queste cose son dette per soddisfare alla questione proposta da Dante colle seguenti parole: Ti prego, dolce padre caro, Che mi dimostri amore, a cui riduci Ogni buono operare e il suo contraro. Infatti nel canto antecedente Virgilio, trat- tando il medesimo argomento, aveva pronunziato: Né creator, né creatura mai fu senz'amore O naturale, o d'animo Lo naturai fu sempre senza errore; Ma l'altro puote errar per malo obietto, O per troppo, o per poco di vigore. Mentre ch'egli è ne' primi ben diretto, E ne' secondi sé stesso misura, Esser non può cagion di mal diletto; Ma, quando al mal si torce, o con più cura O con men che non dee, corre nel bene, Centra il fattore adovra sua fattura. Quinci comprender puoi ch'esser conviene Amor sementa in voi d'ogni virtute E d'ogni operazion, che merta pene. Ora di quella terzina del primo passo: Or perchè a questa, ecc. trovansi nei commentatori ^ Questo verbo vigliare, che dal Biagioli viene erroneamente confuso con vagliare, e che forse ha tratto origine dal latino, si- gnificando esso pulire il mucchio del grano con una granata o con un mazzo di frasche dalle paglie, stecchi e simili cose senza pregio (lat. viliaj, ce ne fa tornare alla mente un altro, che seb- bene ci paia bellissimo, e sia vivente in bocca dei oampagnuoli, con tutto ciò, a quanto sappiamo, non ha ricevuto l'onore d'essere accolto nei vocabolari. È questo il verbo velare, ohe significa nettare il grano dalla pula, gettandolo contro vento ; e se pure non è una sincope di ventilare, conviene credere ohe i contadini lo abbian tratto pittorescamente dall' imagine d'una vela, che pre- senta la pula fuggendo via portata dal vento. 15 della Divina Commedia tre principali spiegazioni. Una, seguita anche dal Venturi e dal Biagioli, è del Daniello, il quale scrive : l'ordine è: "la virtù che consiglia „, cioè la ragione, " v'è innata „, cioè nata insieme con voi, " perchè „, affìn che ogni al- tra voglia, che nasca in coi, si unisca, accompagni e raccolga a questa virtù, la qual dee tener la soglia, ecc. Un'altra è del Lombardi, il quale cosi interpreta: Or " perchè „, affinchè a questa prima, naturale ed innocente voglia si "raccolga „, si accompagni ogni altra morale e lodevole virtù, " innata v'è „, data vi è fin dal vostro nascimento, " la virtù che consiglia „, la ragione che vi deve con- sigliare e regolare i vostri appetiti. La terza, infine, è del Tommaseo, che, a pag. 406 del Commento, n. 21 [F], esprime il concetto dell'Alighieri in questo modo : Acciocché questo primo naturai de- siderio e intelligeìiza sia quasi centro ad ogni altro vostro volere e sapere acquisito, avete innata la ragione, da cui viene il libero arbitrio ; sicché tutti sieno non men del primo conformi a natura. Qual è il valore di queste spiegazioni? Esaminiamole brevemente. A veder l' improbabilità della spiegazione del Daniello basta considerarla rimpetto alla ragione grammaticale. Nel verso : Or perchè a questa ogni altra si raccoglia dei due pronomi questa e ogn' altra, che essendo ambedue femminili e uniti in un sol membro, ognuno riferirebbe ad un me- desimo nome, egli al contrario riferisce il primo al susseguente virtù, e il secondo al precedente 16 voglia; attribuendo cosi all'Alighieri un co- strutto non solamente ardito, ma pur anco sì strano, che non se ne trova esempio ne pur forse negli scrittori latini, tuttoché la lingua loro con- cedesse tanta libertà d'allontanarsi dall'ordine naturale delle parole. Lo stesso rimprovero può farsi pure al Lom- bardi ; il quale non si diparte dal Daniello se non in questo, che il primo di quei pronomi riferisce a voglia e il secondo a virtìi, cioè mette innanzi quel che l'altro avea messo dopo, e pospone quel che l'altro avea anteposto. Ciò non ostante ne risulta quindi un senso tanto differente, da ren- dere la spiegazione del Lombardi meno impro- babile di quella del Daniello; perchè lascia a soggetto della relazione, accennata da Dante in questo verso, la prima voglia, o V affetto dei primi appetibili, come rettamente si dice, naturale e innocente^ sebbene per termine di essa relazione non si prendano poi le altre voglie od affetti, ma piuttosto le morali e lodevoli virtù. È vero che le morali e lodevoli virtù hanno per natura di dirigere e ordinare gli affetti tutti dell'animo, e che perciò nella espressione usata dal Lombardi sono implicitamente contenuti anche questi, ma ciò non basta a giustificarlo; essendo che qui trattavasi appunto di mostrare come gli affetti diventino virtù e anco vizi, e nella chiosa del Lombardi questa dimostrazione rimane un desi- derio, avendo egli preso, come abbiam detto, per termine della relazione le virtù bell'e formate. 17 Con mente più filosofica ha studiato, come gli altri, così questo passo della Divina Commedia il Tommaseo; ha riferito tutt'e due i pronomi al medesimo nome voglia, che li antecede, e ha scorto fors'anco la vera relazione, che noi cre- diamo essersi inteso dall'Alighieri di porre tra l'aff'etto dei primi appetibili e ogni altro affetto, che di poi si svolga nell'animo nostro, senza che però l'intendimento del poeta resti a pieno il- lustrato. Imperocché, ritenuto per indubitabile che questa valga questa prima voglia, che è in noi naturalmente, e ogni altra valga ogni altra voglia, che in noi possa accendersi nel corso della vita, v'è da risolvere la questione, a cui fa luogo il verbo raccogliersi ; che è quanto dire quale relazione precisamente abbia voluto il poeta espri- mere con esso verbo fra quelle cose. E qual è questa relazione secondo il Tommaseo? È una relazione simile a quella, che i punti d'una cir- conferenza, o i raggi d'un cerchio, hanno col cen- tro, giacché dice : acciocché questo primo naturai desiderio e intelligenza sia quasi centro ad ogni altro vostro volere e sapere acquisito, ecc. E per fermo, raccogliersi significa anco concentrarsi, e più d'un esempio ce ne offre lo stesso Dante. Ma siffatta spiegazione, ci sia permesso di dirlo francamente, non isnuda il concetto filosofico voluto esprimere da Dante, lo lascia involto nel velo della metafora, e però non può essere avuta per sufiiciente. Il poeta nel canto XVII avea fatto dire a }i8 Virgilio che amore è sementa in noi d'ogni virtù e d'ogni vizio: nel XVIII vuol fargli provare la verità di questo dettato, comune alla pagana e alla cristiana sapienza. A tale uopo egli, in persona del suo duce e maestro, risale col pen- siero alla costituzione primitiva dell'essere uma- no : in esso, egli dice, oltre la materia, v'è una forma immateriale, fornita di una virtù o potenza specifica, la quale non si dimostra che ne' suoi effetti, cioè nelle sue operazioni, come per verdi fronde in pianta vita. Questa potenza specifica può considerarsi da due lati, in quanto è passiva e in quanto è attiva : in quanto è passiva è Vin- telletto delle prime notizie, in quanto è attiva è V affetto dei primi appetibili (S, Tommaso, Cantra gent., II, 60 e IV, 19). ^ Quindi non è maraviglia che l'uomo non sappia donde gli vengano siffatte cose, non essendone mai stato privo e apparte- nendo alla sua natura in quel modo medesimo, che all'ape, per esempio, appartiene lo studio, ossia l'istinto, di far lo mèle. Ora quell'affetto dei primi appetibili è senz'alcun merito, perchè non dipende dal libero arbitrio ; il quale soltanto è principio, là onde si piglia Cagion di meritare. Non per tanto esso, non avendo per oggetto altro che il bene conveniente all'umana natura, è un affetto sotto ogni aspetto irreprensibile. Non si può concepire non solo una creatura, ma né meno il Creatore senza amore alcuno; sebbene » In Tece di IV, 19 era da pozze : III, 45 (G. F.)« 1 19 nella creatura ragionevole ne possano essere di due sorte, uno naturale, o istintivo ; e Taltro à^ animo, o deliberato : il primo dei quali è sempre senza errore, perchè è l'opera della stessa sa- pienza divina, mentre il secondo puote errar per malo obietto, O per poco o per troppo di vigore, secondo che dalla libera volontà o è vòlto a ciò che è intrinsecamente male, oppure anco a ciò che è bene, ma senza quella misura che risponda al suo vero pregio. Come accade adunque che sia Amor sementa in noi d^ogni virtude E d'ogni operazion che merta pena? Ciò accade: Imper- ché dal primo amore, che Dio medesimo ha posto nell'uomo, si svolgono altri amori, come dalla forza vegetativa delle piante nascono i ramoscelli e le foglie, che le adornano, e dall'istinto del- l'ape i vari movimenti, coi quali essa sugge l'umor de' fiori, lo converte in miele e lo de- posita nell'alveare; 2° perchè questi secondi amo- ri possono esser conformi a quel primo essenziale all'uomo e rettissimo, ovvero anche difformi, siccome avviene ogni volta che o finiscano in oggetto per sé malo, o non serbino il debito modo ed ordine nei beni ; 3*^ perchè la ragion pratica, o assecondando o promovendo colla sua libera efficacia cotesti amori, fa che la rettitudine loro o la loro malvagità sia imputabile all'uomo, e, divenuti abituali, diano carattere alla sua con- dotta, in altre parole, originino le virtù ed i vizi. E da tutto questo si fa manifesto, che, quel primo amore, si rispetto agli amori secondi, 20 come rispetto alla ragion pratica (convenientis- simamente chiamata da Dante la virtù, che con- siglia, E dell'assenso de* tener la, soglia, dall'uf- ficio a cui è stata destinata), è come una cotal regola od esemplare ; cioè, rispetto agli amori se- condi, perchè non possono esser ragionevoli e onesti se non seguendolo e imitandolo, e rispetto alla ragion pratica perchè deve procurare, che essi nel fatto lo seguano e lo imitino. E dicia- mo UE a cotal regola od esemplare; conciossiachè la naturai tendenza a quel bene, che conviene all'esser nostro, per sé non è che un fatto, e un fatto, in quanto tale, non ha la ragion di regola o di esemplare, ma solamente può parteciparne in quanto è segno d'un'idea (San Tommaso, ^'ttmwa, I* IP* 94, ^ "-della legge naturale^ e al- trove). Se si vuol dunque, commentando questo luogo di Dante, andare al fondo, non bisogna contentarsi di rendere il raccogliersi per concen- trarsi, ma bisogna di più ridurre lo stesso concen- trarsi al suo senso filosofico, il quale non ci sem- bra poter esser diverso da quello, che abbiamo indicato, cavandolo dal valor logico dei concetti, che Dante ha espressi nei canti XVII e XVIII del Purgatorio. Che se il nostro raccogliere è dal latino colligere, e lex è detta, come pensò Ci- cerone, da eligere, ognun vede la profonda con- venienza che quel si raccoglia ha coll'ufficio, che. * Per tutta chiarezza la citazione dovrebb'esser così: Prima secundae S. theol., quaest. 94 (G. F.)- 21 giusta la mente di Dante, noi crediamo di do- vere attribuire al primitivo e immanente atto della parte affettiva dell'anima umana. La in- terpretazione da noi proposta non oontradice adunque quella data dal Tommaseo, ma, se non c'inganniamo, la compie, recandola fino a quel termine dov'egli avrebbe ben saputo recarla, e in maniera a pezza più conveniente, solo che avesse fatto colla riflessione qualche altro passo nella via medesima in cui si era posto. ^ Ma se la nostra interpretazione e quella di Tommaseo si possono cosi accordare, è però vero che in ciò che la nostra piglia a suo fondamento dal canto XVII non si accorda punto colla chio- sa quivi fatta dall'illustre critico. Perocché dove il poeta dice, che creatura non vi fu mai senza amore, o naturale o d'animo, egli spiega l'uno per amor di corpi, l'altro per amor di spiriti ; noi al contrario, come abbiamo accennato di sopra, ' L'OzANAM, che alcuni noa sanno stimare senza esagerarne i meriti, il principale dei quali per noi è di avere coll'opera sua additato agi' italiani che vi è un lavoro da fare, intende ■p&s prima voglia il primo moto o dell'irascibile o del concupiscibile, che i moralisti insegaano esser privo di merito e di demerito. * Dio sa dunque in che strano modo intendeva a collegare colle precedenti la terzina che qvà abbiamo esposto. * Dante et la philos. catholique aa XIII siede fParis, 1872; pag. 207-210). L'Ozanam. a proposito di due luoghi del Convito (IV, 22 e IV, 26) commen- ta: «Il y a trois sortes d'appetits. Le premier, naturel, qui n'a point conscience de soi, et qui est la tendance irrésistible Je tous les ètres physiques a la satl- sfactiou de leurs l>esoins; le second, sensitif, qui a 30n mobile externe dans les choses sensibles, et qui est concupisaiife ou irciscible tour à tour; le troisième, intellectuel, dout l'objecr. a'est appróciable qu'à la pensée. Ces appótités eux-mè- mes peuvent se réduire a un seul principe commun, l'amour. » Ma la prima vogliu di questo luogo del Purgatorio è a lui « premier acte, instantané et irra- fléchi » della virtù speeipcu, «dispositiou «pécitìque, natureUe, qui ne se révèle que par ses eftets » (G. K.) 22 intendiamo pel naturale l'amore istintivo, e per quello d'animo l'amore deliberato. E ci pare che giustifichi questo nostro modo d'intendere il contesto del canto suddetto, e l' insegnamento comune degli scrittori, da cui Dante traeva, fra i quali a noi basti il menzionare san Bonaven- tura, che nel Breviloquio distingue, appunto, due guise di operare delle nostre affezioni, cioè per un moto naturale e per iscelta deliberata. Di- remo pertanto, senza timore di offendere il gran- d'uomo, che la sua chiosa di questo sublime luogo di Dante, il quale può dirsi in germe un intero sistema di filosofia morale, pecca nel punto di partenza, non afferrando la giusta distinzione tra l'amor naturale e gli amori deliberati, e pecca nella conclusione, lasciando qualche cosa d'in- determinato sulla relazione del primo verso coi secondi. Di che però non tanto vogliam fargli biasimo, quanto rendergli giusta lode d'aver sa- puto più addentro d'ogni altro vedere nel pen- siero di Dante. Sopra un luogo della Cantica del Paradiso 1. Beatrice nel canto XXIX del Paradiso^ narrando filosoficamente la creazione delle cose, dice degli angeli: Né giugneriesi, numerando, al venti Si tosto, come degli angeli parte Turbò '1 subietto de' vostri elementi. Tutti gli interpreti, per quanto io mi sappia, per subtetto de^ vostri elementi hanno inteso la terra. Peraltro alcuni hanno inteso la terra co- me elemento j altri la terra come corpo. È de' primi, per cagion d'esempio, Francesco da Buti, che spiega la sentenza di questa terzina colle seguenti parole : Da chi numerasse da uno in vinti non si giungerebbe sì tosto al vinti, come tosto parte delli angeli^ poi che furono creati, in- contanente cadder di deìo in terra, e mutò o vero turbò, secondo altro testo, lo subietto de^ vostri elementi, cioè di voi omini, cioè la terra ' Dall' Istitutore : foglio ebdomadario d' istruzione e degli atti ujjicifdi di essa. Torino, tip. scolastica di S. Franco o figli, 1861, an. IX, n. 32 (G. F.). 24 che è subietto dell'acqua, delVaere e del fuoco, poiché a tutti è sottoposta / e bene lo mutò e tur- bò, imperò che prima era pura, e poi fu infetta. (Così il codice Magli abechiano). De' secondi poi è il Tommaseo, perchè dopo aver dato terra per equivalente di subietto de' vostri elementi^ ag- giunge questa ragione: La terra è soggetto dei quattro elementi^ aria, fuoco, acqua e terra. Do- ve è chiaro che terra la prima volta significa il corpo o globo da noi abitato , e la seconda volta r infimo de' quattro elementi distinti da- gli antichi. Mi sia permesso di dire, che né i primi né i secondi mi paiono aver colpito nel segno. 2. Il nome subietto o soggetto, come sostan- tivo, appartiene alla lingua filosofica, ed ha un senso dialettico ed un senso metafisico. Nel senso dialettico indica uno de' termini del giu- dizio o della proposizione, quello cioè del quale l'altro, che chiamasi predicato, isi afferma o si nega. E di qui, per estensione, nasce un altro senso, esso pure dialettico, quando di questa voce si usa a dinotare ciò su cui verte, non una sem- plice proposizione, ma molti ragionamenti ordi- nati e connessi, siccome sono nella scienza. In metafisica poi subietto ora significa la causa ef- ficiente di qualche cosa, come in quel luogo del Purgatorio, canto XVII : Or, perchè mai non può dalla salute Amor del suo subietto volger yiso, Dall'odio proprio son le cose tute; 26 ora invece significa la causa materiale^ come in questi versi del Paradiso, canto II: Or, come ai colpi degli caldi rai Della neve riman nudo il suggetto E dal colore e dal freddo primai, ecc. E quest'ultimo è il significato, che io credo debba attribuirsi alla parola subtetto nella ter- zina, di cui è questione; cosicché altro non s'in- tenda aver voluto Dante esprimere in essa, se non che alcuni degli angeli, partitisi dal divino volere, colla naturale loro potenza indussero di- sordine nella materia degli elementi, de' quali è composta questa parte a noi destinata del- l'universo. 3. Ciò si parrà chiaro considerando che il nostro poeta parla qui da teologo e da filosofo, uffici ai suoi tempi inseparati, e che ne' tempi posteriori, per grande sventura delle due scienze sovrane, non fu stimato assai di distinguere. Ora che insegna la teologia a proposito degli angeli ribelli a Dio? Ella insegna che ministri, anche dopo la loro caduta, della Provvidenza divina, si aggirano in questo nostro mondo, tri- bolandoci non solo colle malvagie istigazioni, ma eziandio colle tempeste, colle pestilenze ed altri mali di tal genere. Sono notissimi i passi dell'epistola di s. Paolo agli Efesini (II, 2; VI, 12); dove cotesti spiriti sono chiamati principi aventi potestà su quest'aria. Ma i padri, appoggiati ad altre autorità della scrittura ed ai fatti in essa 26 raccontati, ritennero che la potestà loro si esten- desse su tutta, in generale, la materia ed i corpi terrestri. Valga, per ogni altra, la testimonianza di sant'Agostino, lib. II, cap. 23, " De doctnna Christiana „: Hinc enìm fit, ut occulto quodam iudi- cio divino cupidi malarum rerum homines tradan- tur illudendi et decipiendi, prò meritis voluntatum suarum, illudentìhus eos atque decipientibus preva- ricatoribus angelis, quibus ista mundi pars infima secundum pulcherrimum ordinem rerum, divinae providentiae lege, subiecta est. Ora gli scolastici, come ognun sa, non fecero che ripetere le dot- trine teologiche dei Padri, dando loro una forma scientifica, secondo i principii e il linguaggio della filosofìa aristotelica; la quale per essi, al- meno per nove delle dieci parti, era pura e pret- ta verità. Quindi il miscuglio, che trovasi nei trattati di teologia degli scolastici, degl'incon- cussi dommi della fede colle fallaci opinioni del- lo Stagirita. Del qual miscuglio n'abbiamo un esempio in questo stesso argomento, che qui toc- chiamo. Gl-eneralmente gli scolastici dietro ad Aristo- tile pensarono che altra fosse la materia dei cieli, altra la materia, onde è fatto il mondo sul- lunare; quella fosse immutabile e incorruttibile, questa soggetta a mutamento e corruzione; pe- rocché, dicevano, quella è in potenza alla sola forma che ha, questa, al contrario, è in potenza a molte forme e diverse. Dal che san Tommaso di Aquino conchiude che fra la materia de' corpi 27 celesti e la materia degli elementi del nostro mondo non vi ha una comunanza ohe di con- certo: Non est eadem materia corporis coelestis et elementorum, nisi secundum analogiam, secun- dum quod conveniunt ratione potentiae (Summa, p. I, qusBst. LXVI, art. 2). E per questo ap- punto Dante, nel citato canto II del Paradiso, appella preziosi i corpi celesti. Ora, che cosa è, conforme queste dottrine co- smologiche degli scolastici, il subietto degli ele- menti? Il subietto degli elementi è la materia prima del mondo sullunare, subiettata ad una certa forma, prima nei corpi semplici, aria, acqua, ecc., e di poi nei corpi misti, minerali, piante, ecc. Imperocché gli scolastici per materia e su- bietto intendevano la medesima cosa colla sola differenza, la quale trascuravano ogni volta che loro non bisognasse di procedere con tutto il rigore dialettico, che il subietto ha relazione con una forma attuale, mentre la materia ha re- lazione con una forma potenziale. Ista videtur esse differentia inter materiam et subiectum (dice Alessandro d'Ales, In Metaph. Aristotelis, Vili, 13), quia materia dicit rem suam in potentia ad formam, ut transmutabilis est ad ipsam per viam motus et fieri,' et ideo quae sine fieri introducun- tur, non proprie habent materiam ex qua: subie- ctum autem dicit rem suam ex hoc, quod substentat formam; et ideo omne quod substentat formam potest vocari subiectum, licet aliquo modo possit vocari materia. 28 4. Pertanto ciò che Dante, ne' versi rife- riti, chiama il sìibietto de^ vostri elementi, corri- sponde a capello, a ciò che Aristotile, nel libro II, cap. 1, Della generazione e della corruzione, chiama, con parole affatto equivalenti, uTioxsifisvYjv \ìh]v. Nel qual luogo, se il filosofo rigetta l'opi- nione di quelli, che ponevano un unico subietto di tutti gli elementi, è però manifestissimo che la rigetta solamente in quanto quel subietto pre- tendevano essere un cotal corpo separabile e stante da sé, awjAa xe òv xat Xopiaióv. Ed invero, più sotto, divisando l'ordine delle entità, che con- corrono a costituire i corpi primi, ossia gli ele- menti, pone in primo luogo la materia, in se- condo luogo la contrarietà ed in terzo luogo gli elementi: Ma poiché i corpi primi son fatti in questo modo di materia, di essi pure conviene de- terminare qualche cosa, supponendo che una ma- teria inseparabile, ma soggetta a qualità contra- ria, sia il loro primo principio; perocché non è il calore materia del freddo, ne il freddo del ca- lore, ma ciò che sottostà ad entrambi. Laonde primieramente che il corpo sensibile esista in po- tenza, è il principio: di poi vengono le stesse qualità contrarie, come il calore e il freddo: da ultimo il fuoco e l'acqua e le altre cose di tal sorta. E questa ò la costante dottrina degli sco- lastici, e a tenore di questa vuoisi intendere quel- lo che Dante accenna del termine dell'azione perturbatrice degli spiriti perversi. Imperocché da una parte troppo è inverosimile che egli non 29 abbia parlato a tenore di tal dottrina, solendo egli esprimere nei suoi mirabili versi le dottrine filosofiche della scuola e colle stesse formole da lei celebrate: dall'altra, ritenuto che la cosa sia così, dal passo controverso esce un senso, che a pieno si accorda coli' insegnamento teologico cir- ca la presente potenza degli angeli rei. All'op- posto nelle altre due interpretazioni codesta loro potenza si limita a capriccio a farsi strumento dell'odio loro contro Dio e gli uomini la sola terra, o vuoi come elemento, o vuoi come corpo ; né si tien conto del linguaggio filosofico dell'au- tore, quanto è giusto che si faccia, poiché la pa- rola subietto, mi si conceda di ripeterlo, appar- tiene al linguaggio filosofico, e qui precisamente al linguaggio metafisico, nel qual linguaggio su- bietto non significò mai, se la memoria non mi fallisce, un ordine di più cose per la loro collo- cazione nello spazio, siccome sembra che vogliano coloro che hanno subietto de^ vostri elementi per una perifrasi di terra. Finalmente osserverò che coll'assegnare per termine all'azione degli spiriti angelici ciò che di primo si concepisce ne' corpi come corpi, non si attribuisce all'Alighieri un pensiero frivolo da sbertarsi, ma degno delle più serie considera- zioni del filosofo. Il dominio degli spiriti puri sulle cose materiali, e l'origine di certe forze, che su esse si manifestano, sono due grandi mi- steri; i quali forse si compenetrano in uno, e quest'uno è riserbato di vedere svelato, quan- 30 to all'intelligenza nostra è possibile, allorcliè i metafìsici s' intenderanno un po' più di fisica e i fisici di metafisica e tutt'e due di teologia. Pisa, 14 luglio 1861. L*Averroè della DiTina Commedia' È notissimo che Dante fra i saggi sospesi nel primo girone deW Inferno, o per non avere ri- cevuto il battesimo, o per non avere adorato Id- dio debitamente, colloca ancora Averrois, che il gran commento feo. (Inf., o. IV, V. U4). Ora l'editore pisano delle Lezioni di France- sco da Buti sulla Divina Commedia a questo verso fa la nota seguente: Averrois, sebbene commen- tasse Aristotile, professò dottrine opposite al greco filosofo; onde i commenti di lui non furono in molto credito appo degV Italiani. Qui dunque " il gran commento „ potrebb' esser anche detto con iro- nia (T. I, pag. 141). Noi non possiamo pregiare la novità di questa osservazione, perchè ci sem- bra mancare affatto di verità. E non intendiamo come il benemerito editore non si sia accorto di un difetto sì grave, quando lo stesso contesto assai chiaramente esclude il disprezzo e lo scherno dell'ironico parlare. Invero, dopo aver detto il ' DaUe Letture di famiglia, tomo III, decade seconda (G. F.). 32 nostro poet Qnaest. Disput. 2>e Mente, quaest. VI. 87 ne, quanto semplice altrettanto sublime, di Dio che si legge neìV Esodo : ^ ^ Io sono l'Essere „ cioè l'Essere, che essenzialmente ed assolutamente è. Quanto poi alla natura dell'intelletto umano egli, confrontandone le operazioni con quelle del sen- so, che solo coglie gli esterni accidenti delle cose, veniva a ravvisare che l'operazione sua propria è circa l'essenza delle cose; e poiché quelle es- senze ci riducono all'essere in comune coll'ag- giunta di varie determinazioni, il suo proprio og- getto consiste appunto nell'essere in comune. Ora se da un lato l'essere, in quanto è essenzial- mente ed assolutamente essente, è Dio, e dall'al- tro, in quanto è appreso universalmente, è l'og- getto proprio dell'intelletto umano, è piano come l'Aquinate potesse dire, che il lume dell'intel- letto umano sia una certa partecipazione o simi- litudine di Dio o dell'increata verità. Io non credo, debbo pur dirlo si per non essere frain- teso e si per amor di schiettezza, io non credo che Tommaso di Aquino giungesse mai a ren- derai cosi esplicitamente ragione di ciò che in tanti luoghi delle sue opere ripete sulla natura del lume dell'intelletto e sulla sua attinenza con Dio. Ma qualunque siano state le cause, che ne lo impedirono, certo è che questa spiegazione giace implicita nel complesso delle sue dottrine e si fa innanzi quasi spontanea a chiunque pro- fondamente le mediti e senza la stolta paura • Etodo, oap. Ili, V. 14. 88 che alcuni dei suoi studiosi oggi paiono avere, di dire una parola di più oltre quelle dette da lui, come se la scienza potesse star tutta rac- chiusa nelle parole di un sol uomo. Del resto la storia dell'umano intelletto, giusta il modo on- de Tommaso d'Aquino se la rappresenta, è in sostanza la seguente. L'intelletto umano è un'at- tività, che ha due movimenti; coU'uno si costi- tuisce come potenza di conoscere, coli 'altro si svolge e perfeziona. Col primo, onde si costitui- sce come potenza di conoscere, incontra l'essere in universale e l'apprende. Da tale apprensione in cui sono virtualmente contenute tutte le ap- prensioni e tutti gli altri atti, che in queste si fondano, incomincia il secondo movimento del- l'intelletto e in esso si possono distinguere tre principali momenti, per ciascuno dei quali nel linguaggio della scuola tomistica vi' è una frase particolare, che ne esprime il carattere distinti- vo. Imperocché innanzi tutto nell'apprensione dell'essere in universale sono virtualmente con- tenuti i sommi principi della ragione, che si ri- solvono nei concetti universali dell'^wo, dell'e- denticOj dell'assoluto e cosi via. Ora questi con- cetti si fanno attuali nell'intelletto, quando gli è somministrata una materia di conoscere, lo che è ufficio proprio del senso. Allora l'intelletto mediante quei concetti : l** illustra i fantasmi cioè la materia somministratagli dal senso, per- cezione intellettuale dei sensibili ; 2" astrae dai fantasmi le specie intelligibili, concezione per via 89 di riflessione delle idee astratte delle cose, ossia delle specie e dei generi ; 3" compone e divide le t^pecie astratte, giudizi e raziocini, coi quali la riflessione, comparando le idee astratte, si viene formando una scienza più o meno perfetta delle cose, secondochè discopre più o meno delle loro relazioni. Ma in qualunque di questi momenti della sua evoluzione si trovi l'intelletto nostro, è pur sempre vero, che tutto quello che egli conosce, conoscendolo per la verità dei primi principi, e quelli essendo come i primi raggi di quel lume che fa di lui una potenza intellettiva; e questo venendo da Dio, anzi essendo una certa parte- cipazione del lume stesso di Dio a noi in parte comunicato, ne segue che pur nell'ordine natu- rale " Dio solo è quegli, che internamente e principalmente ci ammaestra come è anche la natura quella che principalmente risana „. Cosi l'Aquinate nelle Questioni Disputate de Magi- stro, ' dove anche stanno quell'altre belle paro- le : " Che alcuna cosa si sappia con certezza, av- viene per il lume della ragione divinamente in- fuso, col quale Iddio in noi favella „ ; "^ parole, colle * Quaest. I, nel corpo dell'articolo in fine. * Ivi, nella risposta all'obiezione 13. Si considerino bene quelle frasi dell' Aquinate : " Utiiversales conceptiones, quaruni co- gnitio est nobìs naturaliter insita „ (Qiiest. cit. de Magistro nella, risposta alla obiez. 5) — " Lumen rationis .... per quod principi» cognoscimus „ (Tbid., nella risposta alla obiez. 17) — '^ Mediantibas tmiversalibus conceptionibus, quae statim lumine intellectus agcn- tis cognoscuntur „ (Quest. cit. de Mente, nel corpo dell'articolo in fine): e poi si dica, se secondo la mente di S. Tommaso d'Aquino 90 quali si pone espressamente una cotale rivela- zione naturale, come rimota preparazione a quella soprannaturale rivelazione, che si fa nell'anima del Cristiano. Io m' immagino, ohe mentre veniva cosi nar- rando in compendio i pensieri del nostro grande filosofo sulla questione dell'origine del sapere, la mente del lettore mi abbia spesso abbando- nato e sia volata ora a questo ora a quel luogo della Divina Commedia, dove si leggono sotto forma poetica dei pensieri somiglianti. E se ciò è veramente accaduto, naturai cosa è che si sia intanto rafforzata in lui la persuasione, che il nostro gran Poeta nei versi, che danno argomen- to al mio dire, non può avere avuto l'intenzione di esprimere la impossibilità, da cui neppure il filosofo vada essente, di scorgere la sorgente, donde viene l' intelletto delle prime notizie. Certo è che codesti pensieri somiglianti nella Divina Commedia vi sono e, ciò che ora io de- sidero che si avverta e che importa al mio pro- posito sommamente, i più somiglianti si trovano appunto nel passo del Purgatorio, che altri ha interpretato cosi diversamente. In vero, se non si guarda che alla sostanza della soluzione di Tommaso d'Aquino, egli in- segna che la cognizione dei primi principi, don- de proviene ogni altra cognizione dell'uomo, è il lume dell'intelletto o della ragione possa esser altro ohe un massimo universale, come appunto dimostra che è il Eosmini nel Nuovo Saggio sulla origine delle idee e in altro sue opere. 91 una cognizione in lui innata, in quanto che in lui è innato il lume della ragione, per il quale tali principi conosce. E non ripete Dante in sostanza il medesimo nei terzetti del canto XVIII del Purgatorio, che furono riferiti da principio ? Infatti quivi egli dice: 1" che la specifica virtù dell'anima umana, forma sostanziale che nel tem- po stesso è scevra di materia ed unita con lei, è la virtù del conoscere e la virtù dell'amare ; 2" che ciascuna di queste virtù ha i suoi propri oggetti, cioè la virtù del conoscere certe prime notizie, che la dirigono nelle sue particolari ope- razioni e la virtù dell'amare certi primi appeti- bili, che similmente la muovono e la guidano nelle sue particolari operazioni, e che 1' intelletto di tali notizie e l'affetto di tali appetibili pre- cedono perciò di loro natura tutte le particolari operazioni di esse virtù ; 3" che queste due virtù per una legge generale, a cui sottostanno tutte le forme della stessa specie dell'anima nostra, sempre si rimarrebbero occulte, se uscendo nelle loro particolari operazioni non si facessero in queste sentire e per queste non si dimostrassero, come per verde fronda in pianta vita; 4° che conseguentemente, quando l'uomo opera o col- l'una o coll'altra di queste virtù, gli si rende bensì sensibile e gli si dimostra quella, con cui opera, ma non anche quell'atteggiamento prece- dente di essa, per il quale è causa al tutto pro- porzionata e pronta al suo operare, quindi non anche l'intelletto delle prime notizie nell'epe- 92 rare della seconda; 6" finalmente che quest'in- telletto e quest'affetto, solo discopribili nel se- greto dell'anima all'acuto sguardo d'una tarda riflessione filosofica, sono tanto connaturali al- l'anima, quanto le sono connaturali le specifiche virtù, delle quali non sono che proprietà, e da paragonarsi perciò agli istinti, che differenziano le varie classi di animali, allo studio per es. che è nell'ape di far lo mèle. Lascio il resto, perchè non legato strettamente col tema del mio discor- so, e dall'esposto raccogliendo quel che ne se- gue, dico : che tanto è lungi che l'Alighieri nel passo riferito del Purgatorio dichiari insolubile la questione della origine delle umane cognizioni e più precisamente dei primi principi, che al- l'opposto egli proprio in quel passo stesso ne dà una soluzione, e questa sostanzialmente è quella che già ne aveva dato il Dottore di Aquino. Che se vi ha qualcuno che non consenta meco nel modo d'intendere o la dottrina filosofica del- l'Aquinate o quella corrispondente di Dante o tutte e due, io ora non gli contrasterò. Intenda egli pure a suo talento coteste dottrine; a me basta finalmente che riconosca il fatto , che in questo canto del Purgatorio Dante una ne pro- fessa, qualunque ella sia. Imperocché, ricono- sciuto questo fatto, bisogna risolversi ad una di queste due cose : o bisogna tener Dante per uomo di tale grossezza e stupidità di mente da non accorgersi della contraddizione, in cui cade, sen- tenziando, come pretende la nuova interpretazio- 93 ne, che all'uomo non è dato di sapere là onde vegna lo intelletto delle prime notizie^ e nell'atto stesso esponendo, sebbene brevemente, una dot- trina intorno a questa questione : oppure bisogna rifiutare la nuova interpretazione, e credere la intenzione di Dante lontana le mille miglia da quella sentenza. In verità io non so, se oggi neppur un Bettinelli prenderebbe il primo par- tito. A questo punto mi pare eh' io potrei tenere per sodisfatto il mio debito e quindi far fine. Pure mi piace di aggiungere due altre conside- razioni che mi sembrano attissime a far sentire sempre più quanto sia iuammissibile la discussa interpretazione. Si consideri dunque in primo luogo che Dante, comecché uomo straordinario, tanto che possa dirsi di lui quello che egli disse di Omero, cioè che sovra gli altri com' aquila vo- la, ciò non ostante è un uomo del secolo XIII, e tutti si riscontrano in lui i caratteri generali degli uomini dei tempi suoi. Uno di essi è la fede, presa questa parola nel senso j)iù ampio ; cosicché, oltre la fede soprannaturale propria del Cristiauo, abbracci pur quella meramente natu- rale dell'uomo, per la quale egli fortemente as- sente a tutto ciò, che la ragione gli mostri co- me vero o come buono. I fatti pubblici e pri- vati, le lotte delle fazioni politiche, le dispute delle scuole, i monumenti sacri e profani, i libri, che si leggevano a istruzione o a trastullo, tutto in una parola ciò che appartiene a quei tempi 94 concorre a farci intendere, che un uomo, che non credesse con fermezza, sarebbe stato allora quasi un assurdo. Per questo fra i diversi modi di pensare, che anche nell'età di mezzo regnavano nelle scuole, restò ignoto del tutto quello, che torna in fine in distruzione d'ogni scienza e dello stesso pensiero, voglio dire lo scetticismo. Ora che altro è che puro e pretto scetticismo il dire là onde vegna lo 'ntelletto delle prime notizie, uomo non sape, se questo si ha da togliere nel senso che la nuova interpe trazione propone? Imperocché le prime notizie son pure quelle, sulle quali, come su fondamento, s'innalza tutto il sapere dell'uomo; onde il dubitare del suo va- lore si fa inevitabile a chiunque s'attenta di pas- sar i confini della riflessione volgare, se la ori- gine delle prime notizie è impossibile a disco- prirsi. Imperocché come potrebbe egli abban- donatamente affidarsi a principi d'origine non pure ignota, ma avuta da lui per inconoscibile ? Non potrebbero essere altrettante misere illusioni della sua mente? E per qual via liberarsi di questo terribile sospetto, se tutti i giudizi della mente si fanno a norma di quei principi? S'im- magini pure chi vuole maestro di dubbio il no- stro grande Poeta: io per me non potrò mai farmi un' immagine tale di nessun uomo dei suoi tempi e dell'Alighieri anche molto meno, se l'Ali- ghieri è quello che lo dicono le storie e che lo manifestano tutte concordemente e le sue prose e i suoi versi immortali. Appoggiato invece a 95 questi documenti certissimi, dai quali tanta fede traluce nella ragione e nella scienza umana, io me lo immaginerò pieno di sdegnoso disprezzo per cotesto genere di mendace filosofia, quale egli si mostra nella prima cantica della Divina Commedia, quando, entrato appena nella città di Dite incontra l'anime triste di coloro, Che visser senza infamia e senza lodo. Mischiate. ... a quel cattivo coro Degli Angeli, che non furon ribelli, Né fur fedeli a Dio, ma per sé foro. ' Non è già, ed eccomi all'altra considerazio- ne, non è già che Dante creda illimitata la sua ragione umana o che ne esageri comecchesia il potere: no, egli riconosce i suoi confini e al di- sopra di questa naturale sorgente di cognizione ne pone un'altra soprannaturale, la fede, desti- nata per dono grazioso di Provvidenza ad esten- dere e compire, quanto quaggiù è possibile, la cognizione derivata dalla prima. Però egli am- mette due scienze distintissime, corrispondenti a quelle due potenze o principi subiettivi del nostro sapere, la filosofia e la teologia; e come, menato dall'istinto d'un animo eminentemente poetico, che tutto contempla nella forma del bello, pren- de Virgilio come simbolo della filosofia, così Beatrice prende per simbolo della teologia. Quin- • Inf., canto III. 96 di quelle parole, che servono d'introduzione ac- concissima ai ragionamento, con cui Virgilio nel canto XVIII del Purgatorio si fa a dissipare diffi- coltà sorte nella mente di Dante : quanto ragion qni vede Dir ti poss'io: da indi in là t'aspetta Pure a Beatrice, ch'è opra di fede. Ora in questa introduzione sta appunto una nuova buona ragione per riprovare la interpe- trazione, che fa dire a Dante indefinibile per umano ingegno là onde regna lo intelletto Delle prime notizie. In vero qual era precisamente lo scopo, a cui mirava il ragionamento di Virgilio? A Dante, non avendo inteso bene il principio da cui era partito il suo Maestro nel ragiona- mento antecedente, con cui questi aveva voluto spiegargli la natura dell'amore, era venuto a tur- bargli la mente e ad impedirgli di comprendere come l'amore potesse essere la radice di ogni merito o demerito dell'uomo che opera, questa obiezione : Ohe se amore è di fuori a noi offerto, E l'animo non va con altro piede, Se dritto o torto va, non è suo merto. Ora Virgilio, perchè la mente di Dante ve- desse chiaro come il merito e il demerito del- l'operare dell'uomo stesse insieme con quello che egli aveva detto circa il principio del suo operare, cioè circa l'amore, non doveva aggiun- 97 ger nulla di nuovo, ma solamente ritornare sulla natura dell'amore e più spiegatamente dirgliene l'origine. E questo infatti è quello che egli fa, quando, dopo averlo avvertito che da lui non si aspetti che quanto in questa materia può sa- pere la naturale ragione dell'uomo, prende a dirgli: Ogni forma sustanzial, con quel che se- gue. Ora qui è da riflettere, che conoscere e amare sono cose cosi connesse, che un subietto privo di conoscenza è impossibile che ami, e privo di amore è impossibile che sussista ; perchè col solo conoscere non sarebbe intero, e un subiet- to non intero è lo stesso che un frammento di subietto. Dante la sapeva bene questa con- nessione strettissima dell'amare e del conoscere, che era uno dei più comuni insegnamenti dei filosofi dei suoi tempi e dei più incontroversi; onde, se la opinione sua quanto al conoscere fosse stata, che non se ne può sapere l'origine, si sa- rebbe sentito obbligato a professare un'opinione simile anche quanto all'amare, e per conseguen- za in questo luogo del Purgatorio non avrebbe indotto Virgilio ad ammonirlo : Quanto ragion qui vede Dir ti poss'io, ma questi gli avrebbe dichiarato a dirittura e senza andare in troppe parole, che non poteva dirgli nulla, perchè nulla la ragione ne vede, e che per tutta questa bi- sogna gli conveniva aspettare i più alti ammae- stramenti di Beatrice. Pertanto quell'womo non sape del luogo esa- minato del Purgatorio non è da intendersi se- 98 condo la nuova interpetrazione, ma si in quello stesso stessissimo significato che lia l' noni, non se n^avvede in un altro luogo della medesima cantica, dove il nostro Poeta, esprimendo una delle più note leggi dell'attenzione intellettiva, dice: Quando per dilettanze ovver per doglie Che alcuna virtù nostra comprenda, L'anima bene ad essa si raccoglie; Par che a nulla potenzia più intenda, E questo è contra quell'error, che crede. Che un'anima sopr'altra in noi s'accenda. E però, quando s'ode cosa o vede, Che tenga forte a sé l'animo volta, Vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede. Ch'altra potenzia è quella, che l'ascolta, Ed altra è quella, che ha l'anima intera; Questa è quasi legata, e quella è sciolta. In ambedue i luoghi ci significa la mancanza di una cognizione propria della riflessione; ma ne l'una né l'altra cognizione manca all'uomo per un invincibile ostacolo, che stia nella sua stessa natura, bensì per una accidentale condi- zione in cui si trova. Onde, finche egli rimane in questa condizione, necessariamente rimane anche privo di quella cognizione; ma egli può pure uscirne e il potere uscirne non consiste in altro, che nel potere riflettere su di se e su quel- lo che in sé avviene. Fin qui i due casi, a cui si riferiscono i due luoghi del Purgatorio, sono eguali del tutto; la loro dififerenza comincia solo a mostrarsi, quando si prende a considerare la 99 natura dell'oggetto, del quale si tratta d'acqui- star cognizione per via di un ripiegamento del pensiero su noi stessi. Perocché nel caso con- templato nel canto IV quest'oggetto è lo scor- rer del tempo, e nel caso contemplato nel canto XVIII è invece la provenienza delV intelletto delle prime notizie. Or chi non vede, che il ri- piegare il pensiero su noi stessi per avvertire la successione delle nostre modificazioni e il mo- vimento del tempo, è assai più facile che il ri- piegare il pensiero su noi stessi per risalire fino all'origine prima di ogni nostro conoscimento? Chi non vede, che d'ordinario ogni uomo adulto, eccettuate le circostanze di breve durata, a cui l'Alighieri accenna nell'esporre il primo caso, è capace di fare e fa realmente quella semplice riflessione, che è necessaria per accorgersi del tempo che passa; ma che all'opposto pochissimi degli stessi uomini adulti, o per nativa ottusità di mente, o per difetto di conveniente educazione intellettuale, o per impedimento posto dai casi e negozi della vita, sono capaci di fare le molte riflessioni e complicate ed astruse, colle quali soltanto è possibile di elevarsi fino a quel fatto primo, in cui s'inizia la potenza stessa del conoscere? Ma quello che è difficile, sia pur difficile quanto si vuole, non è impossibile; e quello, che non è impossibile, o prima o poi, o da un uomo o da un altro si fa; e cosi si va effettuando quella idea di progresso, che, se per i singoli uomini ha il valore di una legge morale, per tutta insieme l'umana famiglia ha quello d'una legge ontologica, voglio dire d'infallibile necessità. E a chi quest'idea, in sui primi albori della civiltà moderna, più che al nostro Poeta illuminòla mente e die potenza a operare? Luoghi del Poema di Dante CHIOSATI O CITATI DA P. Jnf. Pura. Par. Autori 0 libri allegati nelle chiose. Agostino LIZIO Alessandro Afrodisiaco Alessandro d'Ales Apocalisse Atti degli Apostoli, Averroè Bartolo da Sassoferrato Bettinelli Biagioli FIDANZA Bossuet fiuti (Da) Francesco Oano Melchior Cesari Antonio Condorcet Conti Daniello Bernardino Epicuro Esodo Evangeli Fichte Fracastoro Girolamo Giustino Martire Hegel Ippocrate Livio Lombardi Baldassarre Lucrezio Muratori Lodovico Cenerò Orazio Ovidio Ozanam Pacuvio Paolo Petrarca ACCADEMIA Renan Retorici ad Erennio Rosmini Antonio Sartini Scoto Michele Schelling Peder. Guglielm Seneca Socrate Tolomeo da Lucca Tommaseo Nicolò Aquino Varchi Venturi Pompeo Vico Vigne (Delle) Piero Virgilio Vives Gian Lodovico Pagano Paganini bicordato da un suo discepolo Di un luogo del Purgatorio di Dante, che non sembra essere stato ancora dichiarato pienamente Sopra un luogo della Cantica del Paradiso JuAverroè della divina Commedia Alcune osservazioni sulla Fortuna di Dante Sopra un luogo del canto del Paradiso. „ Di un luogo filosofico della divina Commedia. Tavola dei luoghi del Poema di Dante chiosati o citati da P., Tavola degli Autori o libri allegati nelle Chiose. cf. Alessandro Paganini. Carlo Pagano Paganini. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paganini” – The Swimming-Pool Library.
Friday, August 16, 2024
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