GIOELE ^OLARI
Lib. doc, (li Filosofia del diritto nella E» Università di Torino C. LA SCU0LA r7 DEL DIRITTO NATURALE NRLLE dottrine etico -giuridiclie dei secoli XVil e XVill TORINO FRATELLI BOCCA EDITORI LIBRAI DI S. M. IL RB d'iTALIA ROMA MILANO FIRENZE Corse. 216 Corso Vittorio Em., 21 F. Lumacbi Sucu. Depoait. gener. per la Sicilia : O. FIORENZA, Palermo 1904 Digitized by VjOOQ le Digitized by VjOOQ IC -w«K«sp^^- LA SCUOLA DEL DIRITTO NATURALE . NELLE DOTTRINE ETICO-aiUBIDICHE DEI SECOLI XVH E XVIH § 1. SOMMABIO: 1. Scienza e filosofia nel XVXI secolo — 2. La filosofia e la riforma cartesiana — 3. Le soiense morali e. i'indlrisso raiionale — i. Garatteri propri dei sistemi metafisici — 6. Valore e significato della scnola.del diritto naturale — 6. Il rapporto tra morale e diritto secondo la sonola del diritto natnrale. 1. — La niiuo nazione delle scienze giuridiche e sociali fu il grande lavoro del secolo XIX: essa segui l'applicazione del- l'indagine storica e positiva allo studio "dei fatti morali e sociali. Le condizioni però che prepararono e resero possibile una tale rinnovazione devono rintracciarsi nel «periodo meta- fisico delle scienze morali che segna il risveglio dell* intelletto umano in traccia di nuove direzioni air infuori delle premesse teologiche e dogmatiche. Le grandi idealità etico-giuridiche che vediamo affermarsi e svolgersi nel campo dei fatti colla Rivoluzione Francese trovano la loro elaborazione astratta e ideale nei sistemi filosofici che sbocciarono vari e numerosi in quell'epoca di rara fecondità intellettuale che abbraccia i secoli XVII e XVIII. Lo spirito anti-teologico penetrava allora nelle manifestazioni del pensiero nella sua duplfce direzione, la scientifica e la filosofica; ma nonostante questo carattere co- Digitized by VjOOQ IC - 6 - -^«ii mune, per molti altri rispetti filosofia e scienza tendevano a distinguersi e a contrapporsi, generandosi tra esse un con- trasto che solo in epoca vicina a noi doveva comporsi. L'ori- gine e i motivi del contrasto devono rintracciarsi nella di- stinzione accentuala da Cartesio tra la mens e la res ecctensa, tra lo studio della materia di cui si occupavano sopratutto le sciente e lo studio dello spirito che parve costituire il campo proprio della speculazione filosofica. Fin dal loro primo costituirsi le scienze bandirono ogni apriorismo teologico e razionale; esse si mantennero rigorosamente empiriche, og- gettive, analitiche, né intesero l'importanza e la necessità di una generalizzazione filosofica dei loro risultati. Del resto nò lo sviluppo delle scienze era tale da comportare una filosofia naturale, né l'indirizzo metafisico e razionale della filosofia poteva conciliarsi colle tendenze materialistiche della scienza. La separazione della scienza dalla filosofia non era che la espressione della concezione dualistica dell'uomo e della sua natura, concezione che Cartesio e sul suo esempio i cultori delle scienze naturali accentuavano, certamente nell'intento di sfuggire alla sospettosa vigilanza della Chiesa. Sta di fatto che dal 600 in poi le scienze incontrarono sempre minóri re- sistenze da parte della Chiesa: ciò deve in gran parte attri- buirsi alla cura gelosa dei loro cultori di condurre l'indagine scientifica con metodo rigorosamente obbiettivo evitando ogni discussione sulle cause prime dei fenomeni studiati nonché sulle conseguenze ultime per le quali dal campo solido e si- curo della scienza si passava nel campo infido e pericoloso della filosofia. La scienza potè solo affermarsi e svolgersi as- sumendo veste e significato anti-filosofico. 2. — La rinnovazione della filosofia iniziata da Cartesio deve intendersi in un senso ben diverso da quello con cui fu intesa la rinnovazione della scienza, cosi come l'anima che formava il presupposto della filosofia era concepita come un principio sostanzialmente diverso dalla materia, oggetto dell'indagine scientifica. Mcntj'C neìÌQ scienze della natura contro l'autoriià Digitized by VjOOQ IC — 7 — non pur della fede ma della ragione stessa pre^ialse Tautorità del fatto osservato, nella filosofia la ragione sola non sorretta né dalla rivelazione né dall'esperienza sensibile diveniva cri- terio di verità. Lo spirito per altro della riforma cartesiana era profondamente sovvertitore: per essa la metafisica razio- nale assurgeva al grado di scienza prima, sostituendosi alla teologia nel fornire alle altre scienze i principi primi : scossa la cieca fede nell'autorità, le tendenze razionaliste e critiche dell'intelletto umano potevano affermarsi in una serie inde- finita di sistemi. Le conseguenze della riforma cartesiana passarono inavvertite finché essa non usci dal dominio teore- tico e metafisico: né si deve dimenticare che il metodo car- tesiano rigorosamente deduttivo ricordava nella forma lo sco- lastico, e della scolastica era conservata la concezione psi- cologica. Il carattere innovatore della riforma cartesiana co- minciò a farsi palese nelle sue applicazioni alle scienze morali. 3. — I nuovi metodi in uso nelle scienze fisiche non si comprendeva come potessero applicarsi alla scienze morali. Tali metodi parvero propri delle scienze il cui oggetto era la natura, in guisa che alle stesse menti più spregiudicate e indipendenti da preconcetti teologici non balenò l'idea, fami- gliare nei tempi moderni, di considerare le scienze morali alla stregua delle scienze fisiche e naturali. A ciò si opponeva la concezione psicologica dell'anima sostanziale, fornita di facoltà intellettive e volitive, fondamento delle scienze teoretiche e pratiche. Tale dottrina psicologica continua ad essere la pre- messa delle concezioni etico -giuridiche che si originarono dalla riforma cartesiana. Nel 700 nel sistema del Wolff, che riassume il lavoro filosofico anteriore, la psicologia figura ancora pres- soché inalterata nelle sue basi tradizionali. Si comprende quindi come le scienze morali dovessero assumere veste e carattere metafisico e colla filosofia trasformarsi sulle basi del razionalismo critico. Troviamo pertanto due elementi nelle di- scipline morali e giuridiche dei secoli XVII e XVIIl: un elemento tradizionale costituito dalla concezione psicologica Digitized by VjOOQ IC - 8 ^ deiraniraa e delle facoltà concepite come forze generatrici di tutti i fatti dello spirito: un elemento nuovo, implicito nella riforma cartesiana, secondo cui la ragione umana era fatta capace di trovare i principi delle scienze dello spirito all'in- fuori della religione e dell'autorità. È bene però fin d'ora notare che assai prima della riforma del metodo filosofico per opera di Cartesio, le scienze giuridiche, sotto l'influsso delle condi- zioni storiche e sociali mutate, avevano iniziato la loro trasfor- mazione in senso razionale. 4. — Le scienze morali nel loro primo costituirsi a scienze autonome e indipendenti mostrarono la spiccata tendenza a modellarsi sulle scienze matematiche e geometriche. Il carat- tere deduttivo di queste scienze, la forza di evidenza che sca- turiva dalle loro premesse e dimostrazioni^ le rendeva parti- colarmente attraenti in un'epoca in cui la speculazione andava razionalizzandosi. Meglio di ogni altra scienza esse mostra- vano la forza e la potenza dell'intelletto umano, fatto capace di costruire colle sole, sue forze un edificio mirabile per pre- cisione, simmetria, eleganza. Parve che un analogo procedi- mento potesse applicarsi alle scienze dello spirito e che ba- stasse andar in cerca di idee chiare e distinte per trarre da esse un sistema filosofico capace di resistere agli assalti del dubbio e della critica. E per circa due secoli assistiamo a una singolare fioritura di sistemi metafisici, che hanno comune fondamento l'ipotesi, essere le leggi dello spirito umano e col- lettivo generalizzazioni conseguite mediante lo studio dei fatti della coscienza individuale e collettiva. Si definisce l'uomo, lo Stato, la società, il diritto, il bene supremo astrattamente all'in- fuori della realtà psicologica e storica: per lo più il principio da cui si move risponde al consentimento universale o si fonda sulla osservazione interiore e necessariamente unilaterale dello spirito umano: talvolta gli stessi principi tradizionali, spogliati di ogni veste dogmatica servono di fondamento alla deduzione che procede rigorosa sdegnando il controllo e la ve- rifica cei fatti. La fctj ultura logica e sisten:aiica è costante Digitized by VjOOQ IC - 9 - carattere al quale si riconosce la dottrina metafisica, che si presenta in un numero grande di sistemi, riflettenti le variabili condizioni d'animo e di mente dell'autore; lo stesso principio si presenta in forme e gradazioni diverse per il concorso di cause soggettive indefinibili. La potenza dell'intelletto misura l'altezza talvolta vertiginosa delle concezioni metafisiche, che prpcedono, sotto l'azione della logica interna che le incalza, senza limiti prestabiliti, senza freni di sorta. A noi è facile rilevare l'errore di tali costruzióni metafi- siche. Come già Aristotele e più ancora gli Scolastici, i me- tafisici del secolo XVII facevano consistere la conoscenza nella generalizzazione logica, la quale consiste nel ricondurre un concetto più determinato a un- concetto meno determinato ma più esteso. Per essi, dice il Masci (1), la lerie logica dei con- cetti e la serie reale coincidono e l'universale è causa. Tale generalizzazione ha come risultato un" astratto, un genere, . un'entità mentale che contiene meno dèi particolari dai quali è astratto e come tale non può servire a intendere e spiegare la realtà complessa e concreta. Ben diversamente procede la generalizzazione nelle matematiche e nelle scienze naturali: le formule matematiche e le leggi scientifiche sono generalità comprensive, cioè non contengono meno ma più delle formule che ne derivano, o dei casi particolari da cui le leggi sono indotte. Il diritto di natura, l'uomo di natura, lo Stato e la società di natura Sono le idealità astratte da cui trassero alimento i sistemi etico-giuridici dei secoli XVII e XVIII. 5. — Sarebbe però errore paragonare le discussioni sul di- ritto naturale con quelle scolastiche sui generi e le essenze delle cose. Le teorie sul diritto naturale acquistavano un valore speciale per l'epoca in cui sorsero, per. le condizioni sociali e politiche che le generarono, per le conseguenze che ne derivarono. Tali teorie non erano né vane né inutili: esse erano l'espressione di bisogni reali, di tendenze prepotenti, di (1) ^aecì,. Logica, (Napoli, Pierro, 1899) p. 237-238* Dhgitized by VjOOQ IC ^ 10 — istinti mal repressi di rivolta, di reazione contro il passato: esse ufFermavano la volontà di sciogliersi per ciò che riguarda la vita morale e giuridica dalle tradizioni, dall'influenza op- pressiva dello Stato e della Chiesa, alleati a danno doirindi- viduo e della sua libertà esterna e interna: esse nascondevano un'idealità vivamente sentita che tendeva a tradursi nel do- minio del reale: in esse si sente l'eco dell'anima moderna che sdegna i vincoli creati dal privilegio o dall'interesse, che astrae dalla realtà oppressiva e anela a un sogno lontano di ugua- glianza, di felicità, di pace. Sotto questo aspetto la dottrina del diritto naturale è in sommo grado significativa e può es- sere studiata con utilità e interesse anche nei tempi nostri non foss'altro per la corrispondenza con le odierne idealità sociali che preparano, come quella, nuove condizioni del vivere collettivo. 6. — Colla, scuola del diritto naturale acquista particolare importanza la questione dei rapporti tra la morale. e il diritto. Sotto le parvenze di una discussione teorica essa implicava una grave questione di indole politica, dalla cui soluzione dipendeva il raggiungimento di quelle idealità che costitui- vano la ragion d'essere della scuola del diritto naturale. Il terreno per una separazione della morale dal diritto era stato preparato dalla Chiesa stessa, la quale per le sìie finalità re- ligiose richiamando di continuo l'individuo alla spontaneità e alla indipendenza della vita interiore da ogni costringimento esterno, aveva efficacemente contribuito ad acuire il senso della personalità e della resistenza contro qualsiasi imposi- zione di autorità esterna fosse essa ecclesiastica o politica. Il movimento protestante intese appunto a emancipare la co- scienza individuale dalle imposizioni arbitrarie della Chiesa romana. Se la Riforma fu da un lato un grido di protesta contro gli abusi di autorità compiuti dalla Chiesa a danno di quella libertà di critica che anche in materia religiosa deve essere riconosciuta all'individuo, la scuola del diritto naturale in- sorse dal canto suo contro le pretese dello Stato di invadere Digitized by VjOOQ IC -- 11 - colle sue le^i il campo riservato alla religione e alla morale, di penetrare cioè in quella sfera di interiorità che deve essere sottratta all'azione dello Stato e del diritto come quella che costituisce la garanzia dell'individuo e della sua libertà in- teriore contro lo Stato. La scuola del diritto naturale intuì che nella questione dei rapporti tra diritto e morale era im- plicita quella dei rapporti tra l'individuo e lo Stato, e tale questione in un'epoca in cui l'individuo scendeva in lotta contro lo Stato* in difesa dei cosidetti diritti naturali, che erano in realtà i diritti di personalità, assumeva significato particolare. Ciò serve in parte a spiegare l'importanza assunta dalle dottrine giuridiche su quelle strettamente morali e teologiche nei secoli XVII e XVIII. I principi morali non erano in di- scussionCi nò si vagheggiavano riforme morali : la morale evangelica rispondeva pur sempre alla coscienza etica gene- rale: e se troviamo per parte dei filosofi tentativi diretti a dare alla morale un fondamento razionale, bisogna riconoscere che tali tentativi non riuscirono a scuotere la base dogmatica della morale, in ordine alla quale la Chiesa, fosse cattolica o protestante, continuò a esplicare un'azione decisiva e quasi incontrastata. La questione dell'epoca più che morale era poli- tica e sociale; la Chiesa stessa più non poteva opporre- eflìcace resistenza al sorgere di nuove teorie tendenti a delimitare l'azione dello Stato nei suoi rapporti coU'individuo. Qualunque sia il giudizio che sull'opera della scuola del diritto naturale si può arrecare, sarà pur sempre per essa titolo esclusivo di merito l'aver efficacemente contribuito a quel processo di differenziazione per cui il diritto distinguendosi non pur dalla religione ma anche dalla morale, ha acquistato un suo con- tenuto specifico. Epperò a nostro credere il valore e il signi- ficato delle dottrine etico-giuridiche sorte nei secoli XVII e XVIII è misurato dal grado con cui seppero tale distinzione porre e accentuare. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC ar3W8S5Fl*«f r — 13 ^ che mentre regolavano i rapporti di coesistenza tra le due autorità, servissero di norma alla condotta degli individui e degli Stati. S. Tommaso e Dante personificano in sé le due correnti e diedero alla morale e al diritto un significato ri- spondente al modo diverso con cui intendevano il rapporto tra Chiesa e Impero. 8. — S. Tommaso riassunse nell'opera sua monumentale tutti gli sforzi della Scolastica diretti a conciliare il Cristia- nesimo colla filosofia, la rivelazione colla ragione, lo spirito colla materia, la terra col cielo. Ma tale conciliazione suona per S. Tommaso subordinazione e talvolta sacrificio e disco- noscimento dei diritti della ragione, degli interessi umani e civili alle esigenze religiose e teocratiche. Ciò deve dirsi so- pratutto in ordine alle scienze morali, che dovendo tradurre nei fatto gli ideali •cristiani, abbisognavano di un fondamento saldo ed incrollabile. La volontà divina è fonte per gli sco- lastici di ogni moralità pubblica e privata. Il rapporto tra religione e morale non destò interesse di sorta nel Medio Evo, tanto era universalmente radicata l'opinione che la morale doveva trarre dalla religione il suo fondamento, le sue sanzioni : gli stessi avversari più risoluti della Chiesa non sollevarono dubbi al riguardo. Il compito della filosofia in ordine alla mo- rale si riduceva pertanto a dar forma e veste razionale alle massime evangeliche, e tale fu il lavoro compiuto da Tommaso, le cui dottrine morali mentre dominarono incontrastate nel Medio Evo, sono destinate ad esser in ogni tempo abbracciate da quanti non vogliono appagare la ragione col sacrificio delle credenze religiose. Maggiore interesse doveva destare il rap- porto tra morale e diritto, come quello che si riconnetteva al dissidio tra potere laico ed ecclesiastico. Non bisogna dimen- ticare che nel Medio Evo il diritto appariva generalmente come l'espressione della autorità civile, mentre in fatto di mo- rale dominava incontrastata l'autorità della Chiesa. Tale stato di cose provocava un secreto dissidio tra norme giuridiche e morali, dissìdio che teologi e difensori dell'Impero cercarono Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC '^^**7V^-1*f"S^F)S^?^^^ - 15 - siastica e laica, di cui Tuna disconosceva i diritti della ragione e della società civile, l'altra troppo servile alla tradizione romana non era riuscita a raccogliere a sistema le sue dot- trine, Dante si interpose sovrano. Come nel suo poema aveva cercato di conciliare gli interessi del corpo con quelli dello spirito sulla base della mutua indipendenza e correlazione, cosi nel risolvere la questione dei rapporti fra i due poteri egli mette in rilievo Fazione morale della Chiesa di fronte a quella dello Stato, la cui attività si esplica sopratutto mediante il diritto. Nel campo morale Dante, se si toglie qualche fugace accenno ad una morale più larga e umana, si mantiene rigo- rosamente stretto ai principi e alle dottrine scolastiche: ma ciò non fa che accentuare viemeglio la sua indipendenza e originalità di criterio nel trattare la natura del diritto in ordine ai limiti e alle funzioni dello Stato. Dante più che giurecons.ulto è filosofo del diritto (1); l'importanza della de- finizione che di questo diede sfuggi forse a lui stesso, certo non fu compresa dai contemporanei e dovettero passare molti se- coli prima che per opera del Vico il suo concetto fosse raccolto e sviluppato (2). Per Dante il diritto scaturisce dalle condizioni sociali, esso è un « vinculum humanae societatis » inteso a mantenere tra gli uomini associati l'equilibrio, che le inevita- bili disuguaglianze umane tendono di continuo a rompere: esso non ha origini soprannaturali, più che al perfezionamento del- l'uomo singolo tende al progresso della società, di cui è norma direttiva la legge, destinata ad attuare quel concetto di mi- sura, di proporzione, di equilibrio che sta a fondamento del diritto. Se da un lato Dante riconosce come precipuo scopo della morale l'attuazione della virtù e nel suo poema si pro- (1) Carle, Vita del diritto, 2» ediz., p. 234. (2) Così Dante defiaisce il diritto : « las est realis ac persona lisbomiuia ad hominem proportio, qino servata hominnm societatem conserva t, cor- rnpta corrumpit ». (De Monarchia, II, 5). La legge è da lui deli n ita : « regala directi va vitae »: (id. I, 16) — la ginstizia poi è, secondo Dante € quaedam rectitado sive regala, obliqaam hinc inde abiiciens » (id. I, 18), Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC """^^mm^^^m. a quelli deplorati da Dante in ordine alla confusione del po- tere laico e religioso; tale corrispondenza accresce- valore ai suoi argomenti, alle sue dottrine, le quali possono ancor oggi utilmente concorrere alla soluzione della dibattuta questione. 10. — Il tentativo di Dante di gettar le basi di una filosofia giuridica, non fu coronato da successo: fu l'opera di un genio che precorre i tempi. Il seme però da lui posto, gelosamente custodito per tradizione non interrotta, fu raccolto nell'età moderna e concorse efficacemente allo sviluppo della filosofia etico-giuridica italiana. Dopo lui, le due correnti ripresero ciascuna la propria via; l'ostilità si fece più viva, le differenze più profonde. I giuristi con Bartolo e Baldo si mantennero sopra un terreno esclusivamente pratico, sdegnando le teorie, e rifuggendo da qualsiasi tentativo di raccogliere a sistema filosofico le loro idee. Libero rimase il campo alle teorie etiche e giuridiche di S. Tommaso; la Chiesa dominando sovrana nel campo dei fatti e in quello delle intelligenze fini per creare intorno a sé una legislazione, una scienza e un'arte a base teologica; sull'ordine religiosa si volle foggiare non solo l'ordine morale, ma ancora l'ordine giuridico e sociale (1). La teologia scolastica parve assorbire tutte le altre scienze nella propria grandezza. Ma all'occhio dell'osservatore at- tento non riusciva diffìcile scoprire nel seno stesso della teo- logia, il germe della decadenza, dovutar alla esagerazione del principio a cui si informava. Particolarmente dissolvitrice fu l'opera dei Nominalisti nelle scienze morali. Essi erano i di- fensori deU'indeterminismo etico, in quanto consideravano la volontà assolutamente libera, non mossa né dalla ragione né dalla divinità, e riponevano l'eccellenza morale nella confor- mità tutta esteriore ai precetti religiosi e morali. Per tal modo l'Etica cristiana si laicizzava, nonostante la proclamata ob- bedienza assoluta in materia religiosa. Duns Scotus e Gu- (1) Carle, op. cit., p. 239. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC ^^^->-fr' - 19 - nasconde una nuova orientazione della mente umana di fronte ai problemi della natura e della vita. In ordine sopratutto alle scienze morali, il naturalismo e Tumanesimo sono tra i prodotti più notevoli del Rinascimento. La natura colla ricca varietà de' suoi fenomeni attrasse gli spiriti irrequieti, infiammandoli di sé, e sottraendoli alla con- templazione della vita celeste. La Scolastica aveva trascurato e disprezzato lo studio della natura. Gli spiriti religiosi del Medio Evo guardavano alla natura con un senso di misterioso terrore, quasi presagissero il pericolo che dal penetrarne i misteri potesse derivare alle loro credenze. Ma per Tuomo moderno lo studio della natura fu la palestra nella quale prima si addestrò all' infuori del campo chiuso della Scola- stica: tale studio doveva pertanto assumere particolare ca- rattere antireligioso e antiteologico: aprendo la via alle in- venzioni e scoperte, costituiva un grave pericolo per il prin- cipio di autorità e per la rivelazione. L'umanesimo accenna alla profonda modificazione che il poncetto dell'uomo, della sua natura, della sua finalità subiva nel Rinascimento. Il corpo rivendicava impaziente i suoi di- ritti da secoli conculcati; le soddisfazioni dei sensi non tro- varono più alcun ritegno; un senso nuovo di umanità si diffuse in aperto contrasto coU'ascetismo medievale ; la vita terrena non più coordinata colla futura, cessò di apparire un mezzo per acquistare una finalità sua propria. Il desiderio di vivere in un mondo le cui bellezze si svelavano sempre più attraenti allo sguardo, di soddisfare stimoli a lungo repressi opperò indomiti, il ridicolo gettato a larga mano sulle idealità che avevano formato la delizia del Medio Evo, finirono per dar vita al sensualismo morale, più che esposto nei libri pra- ticato nel fatto, al quale non riusci a sottrarsi neppure la Chiesa. L'Epicureismo nella sua parte meno nobile, e nel suo significato volgare, divenne l'ideale morale del Rinascimento. Quest'ultimo trovò nello stato delle coscienze un terreno pre- disposto al suo sviluppo, opperò si comprende come la morale, Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC - SI - 13. — Le idee morali che si generarono dalla Riforma e dal Rinascimento non furono nel secolo XVI raccolte a sistema filosofico: ciò in parte si deve alla Chiesa di Roma che dopo di avere riformato sé stessa, iniziò un movimento di reazione contro lo spirito del Rinascimento e il moto protestante, in parte si deve allo spirito non meno intollerante ed ascetico delle nuove confessioni religiose. Gli audaci tentativi di pen- satori forti e originali, quali il Telesio, il Bruno, il Campanella, furono soffocati: ad essi rimase la gloria di esser stati i pre- cursori perseguitati e incompresi dei- metodi e dei sistemi filo- sofici dell'età moderna. L'Etica fu soprafatta dallo spiritualismo risorgente, e rimase asservita alla-religione: il protestantesimo non fece che ribadire tali vincoli e ritardarne l'emancipa- zione. Le voci che invocavano per la morale un'esistenza indi- pendente dalla religione non mancarono. Montaigne e Charron in Francia, il Bruno in Italia pensarono e scrissero in tal senso, ma passarono per sovvertitori della religione e della morale e i loro sforzi, rimasti isolati, non esercitarono azione efficace sul progresso scientifico della morale. Su quest'ultimo esercitò un'influenza diretta e decisiva il rinnovamento delle scienze giuridiche, le quali nel costituirsi a scienze filosofiche indipendenti attrassero nell'orbita loro la morale, sottraendola cosi lentamente all'azione della religione e preparandone la definitiva emancipazione. Nel Medio Evo non si era formato un diritto filosofico di- stinto dalla morale, e le scienze giuridiche propriamente dette si riassumevano nell'opera dei pratici intesa a piegare la norma di diritto romano agli usi, consuetudini, statuti che la scomposta vita medievale aveva generato: ma tale lavoro di adattamento a misura che i tempi progredivano, e le condi- zioni sociali si modificavano si faceva sempre più diffìcile e ingrato. Col Rinascimento sorge tutta una nuova schiera di giureconsulti che il Vico chiama filologi: non distratti dai bisogni della pratica, essi si preoccuparono solo di far rivivere il diritto romano nelle sue fonti e ne' suoi testi antichi, che Digitized by VjOOQ IC - 2à — )0 e degli interpreti avevano profondamente di revisione e di ricostruzione storico-filo- >mpiuta, segnò un'era nuova negli studii di la se fu di grande giovamento alla conoscenza fonda dei testi dell'antico diritto, essa scre- do dei pratici, accentuando la discrepanza tra e le condizioni nuove di vita sociale, rendeva 3rso a nuovi principii giuridici. E questa era >nza finale a cui portava la Riforma combat- e teocratiche della Chiesa e la sua azione 30 e sociale. Ma più che tutto fu stimolo de- tudio filosofico del diritto la formazione degli toria della convivenza sociale il Medio Evo jeriodo di transizione dalla Città antica allo lotto un aspetto esso fu un crogiuolo in cui si venne dissolvendo ne' suoi elementi pri- un altro aspetto fu un periodo di incubazione •ma di convivenza sociale. Il feudo prima, il versi per origine, costituzione, carattere si -zionarsi della sovranità in un numero grande azioni politiche, che di fatto vivevano di vita idente. Dai feudi e dai municipii in perpetua vennero svolgendo gradatamente organismi t seconda della prevalenza dell'elemento feu- 5, si dissero contee, signorie, principati. Queste associazione politica in Italia si mantennero 3 prepararono l'asservimento allo straniero; bissate e abbattute dal potere regio risorto, ritto di sovranità. Dall'azione concorde del polo si formarono pertanto gli Stati moderni, itrati e con carattere nazionale. 4c Lo Stato il Carle (1), occupa un posto di mezzo fra il t., p. 276. Digitized by VjOOQ IC - 23 -* particolarismo del Medio Evo, rappresentato dai feudi e dai municipii, e il cosmopolitismo della Chiesa e dell'Impero».^ Sorto nelle lotte tra la Chiesa e T Impero, lo Stato moderno si mantenne ugualmente lontano dalle dottrine teocratiche e dalle tradizioni romane. Né le une nò le altre potevano effi- cacemente concorrere al lavoro di organizzazione interna, di unificazione legislativa, giudiziaria, amministrativa dello Stato: del tutto insufficienti apparvero quando si pose il problema dei rapporti di reciproca convivenza fra i diversi Stati, sorti dallo sfacelo dell'unità medievale. In occasione di esso sorsero i giureconsulti filosofi^ e i primi sistemi di filosofia del diritto. 15. — La violenza, l'astuzia, la frode, come servirono a formare gli Stati moderni, cosi costituirono l'arte di governo a cui principi e sovrani apertamente ricorsero per consolidare e conservare il potere, il Macchiavelli fu maestro insuperato di questa politica violenta e immorale che si inspirava solo alle dure necessità dei tempi. In ogni epoca l'intelletto umano traviato dall'ambiente e dalle condizioni di vita esteriore, si rigenera e si apre nuove vie astraendo dalla realtà, rifacendosi a certi principii generali che rimangono pur sempre patri- monio inalienabile della natura ragionevole dell'uomo. La ragion naturale fu la fonte da cui i giureconsulti filosofi tras- sero nel 500 norma e criterio a regolare la vita degli Stati. Si venne per opera loro formando una scienza nuova, detta del diritto naturale la quale, nel suo comparire, parve ricon- nettersi ai concetti del jus gentium, e del jus naturale ela- borati dai giureconsulti romani nell'ultima fase di sviluppo dell'antico diritto. L'espressione « jus gentium » significò dap- prima presso i Romani i principii di diritto che il magistrato era chiamato ad applicare quando non essendo comune alle parti in causa la qualità di cittadino romano, era inapplicabile lo «jus civile »; praticamente comprendeva i principii di diritto comunemente ammessi e riconosciuti da tutti i popoli coi quali 1 Romani erano più a contatto (1). Lo jus gentium non aveva il (2) Bitohiei Naturai righta, London 1895, p. 37 e seg. Digitized by VjOOQ IC - 24 - 3 determinato del jus civile : applicato sopra argo, regolando rapporti più complessi doveva ispirarsi all'equità e nel fatto accostarsi al e dì natura, che i Romani avevano appreso eca. Lo jus gentiuni fini per confondersi col jus colTestensione progressiva della cittadinanza, e differenze politiche tra le varie parti del- sto xeanQ a comprendere popoli diversi per li, leggi : allora si formò nel seno dei giure- etto largo e generale del jus naturale che Ul- r. quod natura omnibus animalibus docuit (2) » generalità e indeterminatezza era suscettibile iplicazione. In Roma quindi lo jus naturale fu ossario delle speciali condizioni politiche dei- si svolse per gradi dal jus civile e dal jus etti di jus gentium e di jus naturale risorgono carattere e significato diverso. Nel 500 lo jus come in Roma la generalizzazione del diritto appresenta da un lato un indirizzo di riforma, lisce una fonte di diritto affatto nuova, che il i rapporti fra gli Stati, da poco tempo costi- saria. Epperò lo jus naturale fu dapprima invo- i rapporti di pace e di guerra fra i vari Stati, gentium, che corrisponde solo di nome al jus nani, e che meglio potrebbe chiamarsi un jus azionale. Questo nuovo jus gentium aveva ca- ie in quanto le sue norme si inspiravano ai a retta e illuminata ragione voleva applicati i diversi Stati. Se non che lo jus naturale pur tosse da rapporti di carattere pubblico inter- iva un nuovo metodo nel campo delle scienze ava le basi filosofiche del diritto, e fini per ipo del diritto privato, sottoponendone a re- I, 2. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 36 - morale stessa. Il perfezionamento deiruomo-individuo iteressa cosi come interessano le questioni attinenti la olitica e giuridica degli Stati: la vita contemplativa di apparire come l'ideale della perfezione, e si cominciò ire la necessità di formare più che l'uomo, il cittadino, l'uomo nella pienezza de' suoi diritti civili e politici : moriva lo svolgersi delle dottrine giuridiche, così come icuranza degli interessi terreni favori nel Medio Evo fezionamento interiore dell'uomo, da cui si svolge la vita 3. Né solo ad una inversione del rapporto tra morale e ) assistiamo nel passaggio dall'Evo medio al moderno, l una totale confusione di criterii e di principii tra le 3ienze: nel Medio Evo la confusione si avvera a tutto ^io della morale, nel 500 assistiamo al sacrificio di ultima agli interessi del diritto. Tutte le opere sul di- laturale presentano uno spiccato carattere di indistin- fra la morale e il diritto, e ben può dirsi in linea ge- ) che la scuola metafisica non riuscì a distinguerne aente i rispettivi dominii, malgrado gli sforzi fatti da ) de' suoi più celebri rappresentanti. — Pure anche la scuola metafisica ha la sua impor- nello studio dei rapporti tra morale e diritto. Sorta in zione allo spìrito teologico, essa raccolse anzitutto i suoi nel trovare alle scienze morali una base indipendente religione. Era questo compito delicato e difficile, se si alla natura della questione, all'opposizione vivissima diverse Chiese, cattolica e protestanti, mossero a quanti ano in dubbio il loro diritto a regolare la condotta, alla one grande delle tradizioni spiritualiste, che nell'età na trovarono nuovi e autorevoli rappresentanti. Né qui 5stò l'opera della scuola metafisica : essa affrontò la que- dei rapporti tra morale e diritto, che teologi e cultori ritto naturale continuavano per cause diverse a mante- confusi: essa si rese esatto conto delle conseguenze ul- che datale indistinzione potevano derivare nel definire ti dell'azione dello Stato. Digitized by VjOOQ IC • e* - 27 - Il modo di intendere l'uomo e la sua natura può assumersi a criterio di classificazione dei diversi indirizzi che in ordine al rapporto tra morale e diritto sorsero in seno alla scuola metafi- sica. Il Grozio e la sua scuola traggono dalla natura socievole dell'uomo il fondamento delle loro concezioni etico-giuridiche: nella storia del rapporto tra morale e diritto essi rappresen- tano l'indirizzo giuridico più che filosofico, ma il concetto da cui movevano se giovava agli interessi del diritto, disconosceva le energie intrinseche dell'uomo da cui si svolge la vita mo- rale. Hobbes e in genere i filosofi inglesi fondano la distinzione tra morale e diritto sulla natura egoistica dell'uomo, e rap- presentano l'indirizzo utilitario e individualista. L'indirizzo cartesiano, che culmina in Emanuele Kant, eleva e nobilita la ragione umana, la quale cerca in sé stessa un precetto categorico e assoluto, che possa esser posto qual fondamento all'edifizio morale e giuridico. Da ultimo questi diversi con- cetti, entrando come elementi costitutivi della filosofia francese del secolo XVIII, gettano le basi di una filosofia sociale, da cui traggono vita e significato la morale e il diritto. Questi diversi indirizzi derivano il loro carattere metafisico dal con- cetto imperfetto o parziale, che si formano della natura umana: con tutto ciò si collegano strettamente colle vicende storiche e politiche dei tempi e dei paesi che li produssero: più particolarmente essi preparano quelle premesse teoriche che la Rivoluzione francese cercherà tradurre nella realtà. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 29 — analizzata nella .sua essenza, ne' suoi elementi costitutivi, essa parve fornire i principii atti a regolare la vita degli individui e degli Stati : tali principii, superiori alla volontà degli uomini, non soggetti alle mutevoli vicende storiche, trovavano nell'or- dine stesso delle cose create la loro base salda e incrollabile. Si andò cosi generalizzando il concetto del diritto naturale, espressione ultima dell'ordine dell'universo nel campo dei rapporti individuali e sociali. Mira costante dei cultori del diritto naturale fu di risalire, mediante un processo di astra- zione rigorosamente applicato, dall'uomo storico quale nella realtà si presenta co' suoi vizii, abitudini, pregiudizii, tradi- zioni, costumanze all'uomo naturale, quale appariva al lume di una ragione illuminata, spogliato delle qualità e determina- zioni successive che sono l'opera lenta ed inevitabile del tempo e della storia: l'uomo naturale venne pertanto a con- trapporsi all'uomo storico, come l'ideale al reale, l'astratto al concreto, l'universale al particolare, l'assoluto al relativo. Si comprende allora come il diritto dovesse intendersi, l'insieme delle norme e delle facoltà spettanti all'uomo naturale, e a somiglianza di questo dovesse considerarsi assoluto, immu- tabile, universale, in contrapposto al diritto storico, quale era inteso dai giureconsulti pratici e filologi. La ricostruzione dell'uomo naturale dischiuse la via alla concezione dello stato di natura; si ricostruì l'uomo collet- tivo cosi come si era fatto per l'uomo singolo. Le tristi condi- zioni politiche del 500 parvero giustificare la credenza in una profonda alterazione della società umana quale là natura e la ragione consigliavano, opperò fecero sorgere il concetto di una società ideale, riunione di uomini regolati nei loro reci- proci rapporti dalle norme del diritto naturale e contrapposta alla società storica e reale. Nel concetto largo e indeterminato che dell'uomo e dello stato di natura si formarono i giureconsulti e i filosofi del 500, noi possiamo riscontrare la causa originaria della confusione tra morale e diritto. Questi due concetti a misura che si allon- Digitized by VjOOQ IC — 30 — realtà storica tendono a confondersi in una iella quale scompaiono le differenze specifiche, ridica, quando si derivi non dal concetto di aimente organizzata, ma dall'uomo individuo e ira, facilmente assume forma e contenuto etico, natura, concepito all'infuori di ogni organizza- generava rapporti di carattere morale più che •iva lo svolgersi di doveri più che di obbliga- iparsi del diritto naturale furono non i filosofi, iulti. Trionfando dei tentativi e delle incertezze Ugone Grozio iniziava il nuovo indirizzo nello tto. Contro di lui uscirono dal seno della Chiesa sitori, di cui fu mira costante la conciliazione eriche sul diritto naturale colle dottrine reli- ali. Nelle vicende di queste due scuole, si rias- ione giuridica nelle scienze morali, in cui visse ed esplicò la sua attività Ugone il periodo delle lotte religiose e dei contrasti quali gli Stati moderni parvero uscire rifatti alle fondamenta. Tutto si rinnova nel periodo chiude colla pace di Westfalia; il lavoro di liversi elementi dapprima contrastanti, è com- i di guerra, l'arte di governo, si trasformano geniale di uomini quali il Richelieu, Gustavo ). Al succedersi non interrotto di uomini illustri la politica nel campo dell'azione, fa riscontro pensiero la prevalenza quasi esclusiva degli se politiche e sociali. Ugone Grozio ha un'im- jerto minore di quella dei grandi dell'età sua, < e allarga l'opera : uomo di pensiero e di azione ottima egli stesso delle persecuzioni religiose, di ambasciatore egli assiste al trionfo della chelieu, sostenuta dall'armi Svedesi, contro la transigenza cattolica e protestante. Digitized by VjOOQ IC - 31 - In tempi cosi agitati Grozio si fece maestro di una nuova scienza politica, la quale senza rinnegare la storia e le esi- genze pratiche, si inspirasse ai dettami di una vzg^osìB iiki- minata. La dottrina politica di Grozio contrapposta a quella bandita un secolo innanzi dal Macchiavelli, segna tutto il progresso fatto dalle idee morali e politiche nel passaggio dal secolo XVI al secolo XVII. Macchiavelli inaugura la politica della frode, e dell'astuziaj derivandola dalla natura egoistica dell'uomo. Grozio trae la politica dalla innata socialità umana e la vuol giustificata agli occhi della ragione e della storia. Essi riassumano due epoche storiche diverse e concretano in sé due opposte concezioni etico-giuridiche. Occasione a scrivere fu per Grozio la vexaia quaestio dei rapporti di pace e di guerra, che prima di lui aveva formato oggetto di infinite discussioni (1). Ninno però di quelli che lo precedettero, da tali rapporti di natura speciale, erasi sollevato a principii generali atti a servir di fondamento alle scienze morali lar- gamente intese. Ciò fu fatto da Grozio, il quale tra l'empi- rismo dei giureconsulti, e le astrazioni dei filosofi, aprendosi una via nuova, riusci a dare la soluzione che meglio risponde agli scopi e alla natura delle scienze morali in genere, delle scienze giuridiche in particolare. 20. — Nella storia delle scienze morali Grozio occupa un posto notevole per aver tentato l'applicazione di un metodo nuovo che mentre si distingue dai metodi tradizionali, si ri- connette con metodi propri dell'età moderna, col metodo ra- zionale da un lato, col metodo storico dall'altro. Prima di lui le menti ondeggiavano incerte tra indirizzi opposti, né riu- scivano a sottrarsi all'influenza dei metodi in uso presso gli scolastici e i giureconsulti. I primi abilissimi nella deduzione, difettavano nelle premesse, arbitrarie e teologiche: la morale, (1) Ricordiamo tra i predecessori di Grozio, Francisco de Vtotoria (1486- 1546), Balthazar Ayala (1548-84) e specialmente gli italiani Albmoo Gentile e Fierino Belli da Alba, Digitized by VjOOQ IC — 32 — ui il diritto era un'ulteriore esplicazione, era rigorosa- te dedotta dai principii rivelati. I giuristi non avevano )do proprio, intesi com'erano a piegare alle esigenze della Lea il diritto romano, la cui autorità non potevasi in niun recar in dubbio. Grozio riassume in sé la tradizione D&ca. e giuridica, in quanto, non sdegna la deduzione e 'ezza l'autorità del diritto romano; ma modifica entrambe, he alla deduzione dà un fondamento razionale, e l'au- ;à estese a comprendere il consenso del genere umano, istinse cosi dagli Scolastici, per aver sottratto il me- e le scienze morali ai presupposti religiosi (1); non si use coi seguaci del metodo razionale, che Cartesio inau- Lva in appresso (2), integrando le affermazioni della ra- e colle testimonianze tratte dalla tradizione e dalla storia, a ragione si vale Grozio per risalire alla vera natura uomo, nella quale devesi trovare il fondamento alla scienza diritto naturale, sottratto ad un tempo all'arbitrio divino nano (3). Ma da uomo pratico e esperimentato alla vita jlica, Grozio comprese l'insufficienza e il difetto del me- razionale: applicato in tutto il suo rigore esso metteva ) a un diritto astratto e ideale che mal prestavasi a re- re la moltiforme vita degli Stati. Sopratutto per i diritti jenti nei rapporti tra i yarii Stati, deve valere come cri- } di verità non tanto la loro razionalità, quanto il fatto sono comuni a tutti i tempi e luoghi, e sono univer- lente ammessi e osservati (4): la stessa autorità degli I Intorno alla iudìpeiidenza del diritto naturale daJla religione cfr. ìire belli ao paois, Prolegomeni $ 1 1 ove dice : « quae diximns loQnm rent etiam bi daremus non esse Deum; aut non curari ab eo negotìa Sina » — Al $ 10 del Libro I, Capo i dice: vv est autem jus naturale immutabile, ut ne a Deo quidem mutari queat ». I Grozio (1582-1645) pubblicò l'opera 8ua nel 1625: Cartesio pnb- va il Discorso sul metodo nel 1636. ). Cfr. De jure eto. Proleg, $ 39. ) Cfr. Op. oit. Proleg, } 40, Digitized by VjOOQ IC ;jdk — 33 — scrittori, purché non si trasformi in tiran zioni, gli usi, purché si presentino con car universale devono, secondo Grozio, venir in latore e servir di fondamento al diritto (2). I di metodo più che il filosofo rivelavasi il g 21. — La ragione, l'universale consenso, degli scrittori inducono Grozio nella convin è un essere essenzialmente e principalment tale è fornito del linguaggio e delle facoltà operare (3). 11 diritto naturale che si confc del giusto, è una conseguenza e una necess tura socievole e comprende tutto ciò che a genze della sociale convivenza è conformi l'utilità, la forza, il timore non possono ce mento del diritto: ammette che l'utilità posì: sua formazione come causa occasionale e e la forza sia mezzo efficace di attuazione è nega recisamente ch'esse possano formarne senziale (5). Immutabile e costante viene (1) Cfr. Op. cit. Proleg. $ 42. (2) Cfr. Op. cit., Libro I, e. i, $ 12, ove chiara natarale probari solet a pHoriy si ostendatur rei alic disconveuientia necessaria oum natura rationali ac soci si non certissima fide, certe probabiliter admodnm, colligitur id qaod apnd omnes gentes tale esse credi (3) Cfr, Op. cit. Proleg, $ 6: #( Inter baec qiiae est appetitus societatis ». Cfr, ancbe id. id. $ 7 e £ (4) Cfr, Libro I, e. I, $ 3 : « Jus uihil aliud qui significat ; est autem injnstum, quod uaturae societs ropugnat ». (5) Cfr. Op. cit. Proleg, $ 16; « Naturalis juris mi natura, quae nos, etiamsi nulla re indigeronius, ad appetendam ferret; sed naturali juri utili tas ac< anche il $ 17 ove parla dell'utilità come causa detor del diritto delle genti. Sull'importanza della forza e ritto, cfr. ib, ib. } 19. Digitized by VjOOQ IC — 34 — naturale cosi come la natura umana da cui di un diritto fondato sulla natura umana, il concetto di uno stato di natura prepolitico, kto naturale trova completa attuazione. Le sue ;orno all'origine della proprietà (2), fanno pen- 'ma di convivenza ideale sotto la guida della [uale regnano la concordia e la sicurezza. Di un contratto originario che avrebbe determi- io dalla società naturale alla società civile (3). ste sul concetto di uno stato di natura, e non , realmente esistito: ma è indotto dalla logica ii ad ammetterne la possibilità e a farne il rico del suo sistema. Come la condotta ideale , il diritto naturale, così la società civile deve a la società razionale rispondente alla natura omo. lubbio che il problema intorno a cui staffa- nti all'epoca di Grozio era di natura giuridico, proposte presentano spiccato il carattere etico, essariamente accadere in un'epoca in cui la ipporti tra morale e diritto non era ancor posta, sava assai più trovare alla condotta, intesa •apporti politici, una base propria, indipendente e dall'arbitrio del principe. La base nuova si latura umana la quale, studiata con procedi- e nell'uomo singolo, si presentava comune alla ritto. Ciò fu fonte precipua di confusione e di l'epoca in cui non si concepiva la morale stac- igione, spesso bastava il carattere razionale j. I, e. 1, J 10, u. 5. u Lib. II, e. Il, $ 2. ;. Lib, II, e, li, $ 2, n. 5 — Grozio defluisce la società e. 1, $ 14: «est civitas coetus perfectns liberoruni ho- >iicU et comaais utilitatis causa sociatus ». Digitized by VjOOQ IC — 35 — della norma proposta per farla considerare giuridica. Né meno profondamente radicata era l'idea che la vita morale si con- centrasse nell'individuo, al cui perfezionamento interiore do- veva sopratutto mirare: opperò era naturale la tendenza a considerare come giuridica ogni norma diretta a regolare rapporti esterni sorgenti tra gli individui, o tra questi e lo Stato, o sopratutto tra Stati diversi, senza por mente che tali norme si traevano da quello stesso principio, da cui in epoca non di molto posteriore altri avrebbe derivato la vita morale. Grozio pur assecondando l'indirizzo generale favorevole alle costruzioni astratte, tradisce la naturale tendenza del suo ingegno verso gli studii giuridici ; egli riconosce l'importanza decisiva della tradizione e dell'autorità nel determinare i rap- porti di natura giuridica, intravede la distinzione tra morale e diritto quando osserva che la morale è inseparabile dalla religione (1) e là ove parla di un diritto nel suo vero o stretto senso {eius juris qvtod propìzie tali nomine appellatur) e di un diritto in un senso improprio, che noi meglio faremmo rien- trare nel campo della morale (2). Ancora distingue Grozio tra ciò che è dovuto per debito di giustizia e ciò che è dovuto per motivi di liberalità, misericordia, affetto, ossia per obbligo morale (3). Il dominio di sé e dei propri appetiti costituisce per Grozio un obbligo che non può imporsi né per forza d'armi. (1) Op. oit. Proleg. $ 2, n. 2: altrove osserva ohe le verità del diritto sono tali ohe anche l'ateo è costretto ad ammetterle e praticarle. (2) Cfr, Op. cìt. Proleg. $ 8, 9, 10: al $ 44 dice: « cum injtistitia non aliaju naturam habeat qnam alieni umrpationem ecc. ». Con tale espres- sione Grozio coglie la vera uatnra del giusto e delP in giusto. (3) Cfr. Op. cit. Lib. Il, e. ir, $ 16: « Illud quoque sciendum, si quia quid debet non ex justitia propria sed ex virtute alia, puta liberalitate, gratia^ misericordia, dilectioue, id sicut in foro exigi non potest, it^ nec armis depoaci ». — Altrove (Op. cit. Libro II, e. vii, $ 4) fa rientrare il dovere di allevare i figli nella sfera del diritto in seuao ampio, oasia della morale. Si noti che Grozio non parla nell'opera sua di doveri : il ano silenzio prova ch'egli li escludeva dal campo della filosofia giuridica, e li considerava appartenenti alla religione o alla morale. Digitized by VjOOQ IC v:*^^^ — 36 — irtù di legge. L'adempimento di tale obbligo, se può nella sfera del diritto naturale largamente inteso, interessare che indirettamente l'ordine giuridico- )onde si vede che Grozio intuì le esigenze della vita e tra i cultori di diritto naturale solo seppe evitare :uenze estreme, a cui conduceva l'applicazione del azionale in ordine al diritto, meritandosi giustamente il nome di giureconsulto del genere umano, tezza che Grozio dimostra nel distinguere la morale to, si riflette nella determinazione dei rapporti tra ) e Stato. Secondo la dottrina di Grozio lo Stato non istenza e una realtà propria, distinta dagli individui impongono: esso deriva la sua esistenza da un patto volontario che gli uomini, seguendo i dettami della stringono tra di loro per conseguire gli scopi propri )cietà razionale, la pace e la sicurezza (1). Di qui zione di uno Stato immutabile ne' suoi diritti e nelle igazioni, la cui opera è intesa ad attuare l'utile co- bene pubblico. Pur riconoscendo il carattere astratto irio di tale concezione, non può negarsi l'idea feconda ssa si conteneva, esser lo Stato distinto e indipen- Llla persona del Principe. Fondando la Stato sopra 3 razionale e immutabile, scuotendo dalle fondamenta e comune al suo tempo che lo personificava nel prin- )zio sottraeva lo Stato alle vicende dei governanti, lastie, delle forme di governo; determinando i limiti lizioni per l'esercizio della sovranità, egli pronunciava ,nna della tirannide e dei governi assoluti (2). Grande pertanto viene ad essere l'importanza di Grozio )ria delle scienze morali. Per apprezzarlo al suo giusto Op cit. Proleg, $ 15, 16 ove P A. afferma che il patto origiuò civile e la società civile. Op. cit. Libro II, e. iv, ove tratta della coudizioiie giuridica ;i, e sopratutto il capo XIV in cui parla dei doveri e obblighi pf, ecc. Digitized by VjOOQ IC - 37 - valore bisogna tener conto della condizione creata alla Chiesa e*airimpero dai tempi nuovi. Le dottrine della Chiesa inspi- rate alle massime evangeliche mal potevano piegarsi a rego- lare rapporti d'indole politica. Lo Stato moderno era sorto in opposizione ai principii ecclesiastici, e svolgevasi all'infuori dell'azione morale della Chiesa, la quale manteneva ancora incontrastato il suo dominio nell'intimità delle coscienze in- dividuali. E coir autorità della Chiesa nei rapporti sociali era venuta meno l'autorità dell'Imperatore, che in altri tempi personificava in sé l'ordine sociale e politico ed era chiamato giudice supremo delle controversie tra i popoli cristiani. La teorica dell'illimitata volontà del sovrano in materia giuridica e politica andava radicandosi ed estendendosi ovunque : essa portava alla separazione assoluta tra morale e diritto, al trionfo dell'utile, dell'egoismo, e apriva la via alla tirannide più o- diosa. I popoli venivano ad esser abbandonati all'arbitrio del Principe, e la forza e la violenza diventavano sinonimi di diritto e di giustizia. Grozio che sentiva vivo nell'animo il desiderio dèi bene, l'amore alla libertà e alla giustìzia, si levò con tutta la vigoria del suo intelletto contro il diffondersi di tali teorie : alla volontà illimitata di principi increduli e spre- giudicati égli oppose l'autorità eterna e immutabile della ra- gione: all'egoismo imperante nei rapporti tra sudditi e sovrano, e dei popoli tra loro, egli oppose la concezione di un diritto e di uno Stato naturale, derivati dall'umana natura: nella guerra stessa egli mostrò come le leg^i non rimangono mute. I popoli moderni devono pertanto riconoscere in Grozio il primo autorevole difensore dei loro diritti, e delle loro libertà : come tale egli precorre i razionalisti del secolo scorso, ma di essi non conobbe le esagerazioni: passando dalle concezioni teoriche alle applicazioni pratiche, egli ammise e adottò tem- peramenti, pei quali si rileva giureconsulto e uomo d'azione. 24. — Grozio esercitò una notevole influenza sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali : egli aveva fatto convergere nel suo sistema due indirizzi diversi, l'indirizzo filosofico razionale, Digitized by VjOOQ IC — 38 — amente giuridico, derivata dalla storia sti due indirizzi, il primo più rispon- e intorno a sé più numerosi seguaci, va per il momento eclissarsi, e confon- [uelle della scuola storica, che solo più irsi nel campo delle scienze morali. Tra nente si inspirarono alle dottrine di e Samuele Pufendorf. Egli appartiene secolo XVII, quando l'era delle lotte e il periodo della formazione degli Stati imente tramontato. La questione dei Stati aveva perduto di attualità e di L considerare nella coscienza dei popoli ipii proclamati da Grozio. Maggior in- estioni attinenti la sovranità, la costi- li Stati, i rapporti tra i sudditi e il del diritto. Pufendorf si propone ap- lla parte del sistema di Grozio, che in forma di prolegomeni all'opera sua; originale, ma di svolgimento e di siste- tro questi confini Pufendorf riesce in- : di Grozio egli svolge il lato filosofico uridica, e disconoscendo la distinzione le nel sistema di Grozio era adombrata 3nuta: subisce l'influenza de' nuovi in- i all'epoca sua si erano affermati nelle generale per opera di Cartesio, nelle colare per opera di Hobbes e di Spinoza, ja tenta senza riuscirvi l'applicazione ) allo studio del diritto naturale (1), e jolutiste subisce l'influenza di Hobbes, li combatterlo e di far trionfare le idee la jìiris unìversalìs methodo mathematlcaf Hagae Digitized by VjOOQ IC — 39 — Per Pufendorf Toiiesto e il giusto, che sono gli elemei generatori della vita morale e giuridica, non hanno esisten obbiettiva: sono qualità soggettive inerenti non alle cose i alle azioni, in quanto queste si conformano alla legge pi scritta dalla volontà di un superiore, il quale viene pertar ad essere la fonte della vita morale e giuridica (1). Morale diritto hanno comuni le origini, e la natura : la morale este ai rapporti sorgenti tra le persone diventa giustizia, la e osservanza non pur esteriore, ma intrinseca costituisce dovere (2). Con Grozio ammette l'ipotesi dello stato di natui concepito all'infuori di ogni istituzione civile, nel quale le leg della condotta sono imposte dalla ragione in conformità al natura socievole dell'uomo, da cui scaturisce il principio g neratore del diritto naturale, e tutta la serie dei doveri e l'uomo ha verso sé stesso (3). Necessità egoistiche di sicurez più che naturali sentimenti di benevolenza hanno indotto { uomini a uscire dallo stato di natura, a stringere un co tratto da cui trae origine la società civile, la legge positi^ lo Stato (4). Nella società civile fonte della morale e del ( ritto è la volontà del principe (5): in questa parte Pufend( (1) Cfr. Pnfe^idorf : Dejure naturae etgentium (1672). Libro I, e. 2, $ « Honestas sive necessitas moralis et tarpitudo suut affectiones actiom huiuaDarum, ortae ex couvenientia aut disconveuientia a norma seu le[ lex vero est inssum superioris ; non apparet qnomodo honestas aut ti pitndo intelligi possit ante legeni et citra snperìoris impositionem » Cfr. anche Lib. I, e. vi, $ 4 : € lex est decretum quo snperior sibi snbìecti obligat ». Cfr. anche id. id. $ 6 e seg. (2) Cfr, Pufendorf, Op. cit. Libro I, e. vii, $ 3 e per il conce della giustizia cfr. id. id. $ 6, 7 e seg. (3) L'A. tratta dello stato di natura nel Libro II, e. il, Op. cit. V< circa il principio fondamentale del diritto naturale^ Op. cit. Lib. Il, e. ] $ 15. Sui doveri dell'uomo verso sé stesso^ vedi Op. cit. Libro II, e. : (4) Op. cit. Libro VII, e. i, $ 7: « Genuina et princeps causa, quj patres familias, deserta naturali libertate^ ad civitates constitneudas < scenderint, fuit, ut praesidia sibi cìrcumponerent, contra mala qnae hom ab homine imminent ». — Sull'orìgine e costituzione dello Stato, cfr. C cit. Libro VII, e. II. (5) Op. cit. Libro Vili, e. i. Digitized by VjOOQ IC — 40 — gue Hobbes, uè vale ch'egli si sforzi a ili umiliare il so- dano circa i suoi doveri, poiché dalla volontà di esso trag- ►no pur sempre fopza obbligatoria le leggi. Pufendorf accetta svolge la dottrina di Grozio finché considera l'uomo nello ato di natura, sotto l'impero della ragione e delle sue ten- enze socievoli : ma quando tratta della società civile, ch'egli insiderà sorta in opposizione alle naturali tendenze del- lomo (1), si accosta all'Hobbes, col quale inaugura la teorica iricolosa secondo cui la salute pubblica é legge suprema >llo Stato (2). Cosi se da un lato disconosce completamente natura del diritto, trasformandone la dottrina in una dot- ina dei doveri dell'uomo, dall'altro fa della volontà del so- dano la fonte di ogni obbligazione morale e giuridica col Lcrificio incondizionato dell'individuo e delle sue naturali ndenze agl'interessi dello Stato. 25. — Al Pufendorf spetta incontrastato il merito di aver lCCoUo a sistema il materiale che da ogni parte sulle orme Grozio si era andato accumulando: quindi in lui i caratteri onerali e le conseguenze ultime dell'indirizzo che mette capo Grozio e che sul continente trovò largo seguito di cultori, manifestano nelle forme più spiccate. Studiando Pufendorf )i possiamo misurare tutta là portata scientifica e pratica dio stqdio sul diritto naturale, il quale costituisce la scienza iciale dell'epoca, intorno alla quale gli spiriti nuovi, deside- »si di riforme si raccolgono per tentare la soluzione dei più • ariati problemi religiosi, etici, politici. Si viene pertanto aturando nel campo delle scienze morali una rinnovazione laloga a quella^ che si andava dispiegando nel campo delle ienze fisiche e naturali. Nella storia del diritto naturale, :*ozio rappresenta la mente inspiratrice, il Pufendorf la mente ►ordinatrice. Si comprende allora come in Pufendorf dovesse jcentuarsi la confusione tra morale e diritto. Anch'egli di- ci) Op. cit. Libro VII, e. i, $ 3 o sopratutto $ 4. (2) Op. cit. Libro VII, e. il, } 8. Digitized by VjOOQ IC - 41 - stingue tra « forum internum et exteriium », ma quello abban- dona alla teologia e fa materia della filosofia giuridica il vasto campo del forum externum ossia della condotta in generale ne' suoi rapporti esteriori (1). Nell'estensione assunta dalla scienza del diritto naturale, svoltasi all'infuori della religione e sopra basi razionali, tendente a quella costanza e immuta- bilità, che in altri tempi attribuivasi alle manifestazioni della volontà divina, si nascondeva un pericolo grave per l'avvenire delle scienze morali. La confusione tra morale e diritto nelle forme esagerate, ch'essa assume nei sistemi di Hobbese di Pu- fendorf, minacciava risolversi nel fatto in una tirannia delle coscienze per parte dello Stato, analoga a quella che in altri tempi erasi deplorata per parte della Chiesa* Chi si rese per- fetta coscienza del pericolo e corse al riparo fu Cristiano Thomasius. 26. — Spirito irrequieto e veemente, ingegno satirico, sprez- zante Thomasius ebbe la mania del nuovo, non però, come spesso capita, del paradossale: che anzi il suo odio per gli aristotelici, il suo disprezzo per la metafisica rappresentavano in lui la reazione del senso comune contro il convenzionalismo aristocratico della scienza ufficiale, le sottigliezze inutili e dannose nelle quali il pensiero del suo tempo si perdeva; fu sua mira costante rianimare la filosofia col contatto della realtà, infonderle uno spirito nuovo, e sopratutto indirizzarla ad uno scopo di utilità individuale e sociale (2). Era naturale ch'egli si volgesse di preferenza verso gli studii di diritto naturale, che rappresentavano l'indirizzo nuovo e nello stesso (1) Vedi in proposito la critica severa che il Leìbuitz fa dei prinoipii esposti dal Pufendorf, cli^ egli teneva in poco conto e come filosofo e come giureconsulto. — Leibnitz : Opera, Ed. Dutens, Voi. IV, Parte in, pag. 275 e seg. (2) Thomasias (1655-1728) nel 1681 insognò matèrie giuridiche a Lipsia : nel 1690 per sfuggire alle persecuzioni esalò a Berlino presso l'Elettore Federico III, che gli offerse nel 1694 una cattedra all'Università di Halle. Digitized by VjOOQ IC — 42 - npo pratico della scienza filosofica. Anche in questo campo, r non uscendo dall'indirizzo iniziato dal Grozio e continuato 1 Pufendorf, ebbe modo di dar prova del suo spirito originale. \bbiamo di Thomasius due opere sul diritto naturale (1), ritte a distanza di 17 anni, le quali misurano il progresso to dal suo pensiero in questo periodo di tempo. Vissuto i la fine del secolo XVII e il principio del nuovo, egli rias- me quanto prima di lui si era fatto nel campo degli studii iridici, e si fa eco delle tendenze nuove, da cui si gene- rono riUuminismo tedesco e la filosofia kantiana. Nella ima delle opere sopra ricordate noi possiamo scorgere tutta ifluenza esercitata da Grozio e da Pufendorf sul suo pen- iro: con essi concorda nel dare alla scienza del diritto turale come fondamento la natura socievole dell'uomo sot- lendolo ad ogni vincolo teologico (2), nell'accettare le finzioni Ho stato di natura e del patto per la costituzione della sc- ita civile (3), nel derivare, sull'esempio di Pufendorf, il •itto dalla volontà di un superiore (4). Fin da questa prima era Thomasius mostra di meglio comprendere la natura del •itto, affermando recisamente che non si dà diritto fuori Ila società, né società senza diritto (5) : ma non pone ancora 'suoi veri termini la questione dei rapporti tra morale e 'itto: ciò fece solo più tardi sotto la pressione di speciali •costanze di fatto e per motivi pratici, che costituiscono la usa intima e motrice di tutto lo sviluppo della sua dottrina. 27, — La Sassonia, in cui Thomasius viveva insegnando a psia, era in quell'epoca teatro di aspri dibattiti religiosi, protestantesimo attraversava in Germania una crisi labo- )sa. Le lunghe, interminabili polemiche teologiche ne avevano [1) InstUutiones jurisprudentiae divinoCj 1688. — Fundamenta juris naiurae gentium ex sensu communi deducta ecc. 1705* [2) Cfr. InstUutiones ecc. Libro I, e. iv, $ 55 e 63. ;3) C(r, Institutiones ecc. Libro III, e. vi, $ 12, 26, 29 e seg. [4) Op. cit. Libro I, e. i, $ 82. [5) Cfr. Op. cit. Libro I, e. i, $ 100, 101. 1 Digitized by VjOOQ IC — 43 — profondamente falsato il carattere: la fiducia del popolo, la influenza sul costume erano scosse, perchè non potevano con- ciliarsi col dogmatismo arido, intollerante, scolastico, al quale si era ridotta la vita religiosa. Si destò allora un movimento di reazione, noto sotto il nome di « Pietismo » che ebbe a primo legislatore se non a promotore lo Spener, e che propo- nevasi di far rinascere il sentimento religioso nelle sue forme schiette e popolari. Le lotte tra ortodossi e Pietisti, condotte con un'acrimonia incredibile minacciavano risolversi iii moti separatisti: gli eccessi di misticismo, a cui i Pietisti si ab- bondonavano, provocarono l'intervento dei principi, partigiani dichiarati degli ortodossi: si promulgarono editti di repres- sione, e i Pietisti furono perseguitati, processati, condannati come colpevoli di stregonerie: la tortura, l'inquisizione per opera dei protestanti parvero ritornare in onore. Thomasius prese parte attiva a questi avvenimenti: nel movimento pie- tista egli vide il ritorno ad un sentimento religioso più vero e naturale. I Pietisti e quanti erano accusati di malia tro- varono in lui un difensore tanto più efficace in quanto alla sua mente di giureconsulto tali processi costituivano altret- tanti attentati alla libertà di coscienza, un'invasione della pubblica autorità in campo che doveva considerarsi sottratto all'azione punitiva. In occasione di tali fatti egli si rese conto del pericolo derivante dalla mancanza del criterio distintivo tra ciò che era di competenza della morale e ciò che rien-r trava nella sfera del diritto. Tali idee maturarono nell'esilio, a cui egli stesso andò incontro e si presentano in forma de- finita nell'opera sul diritto naturale pubblicata nel 1705 (1). 28. — Thomasius nella sua tendenza al nuovo, ne' suoi intendimenti pratici fu sotto molti aspetti benemerito della (1) Thomasius combattè la tortura e i processi contro le streghe nel- l'opera 4L De crimine magiae ». Federico II disse di lui che aveva riven- dicato alle donne il diritto di vivere senza pericolo. La difesa dei Pietisti e i primi accenni alla distinzione tra morale e diritto si trovjino nelVo- Digitized by VjOOQ IC - 44 - filosofia tedesca. Prima di Kant egli intravide il nesso esistente tra il problema conoscitivo, etico e giuridico: primo osò af- fermare che la ragione non deve andar disgiunta dal senso, e che solo la conoscenza dei fenomeni è fonte di certezza. Nel rispettare ed accrescere l'essenza delle cose consiste il bene, e la maggior felicità dell'uomo costituisce lo scopo ultimo della morale. Nel concetto amplissimo di diritto natu- rale Thomasius fa rientrare la morale e il diritto, ma nel determinare il principio generatore abbandona Pufendorf, so- stituisce al principio della socialità l'istinto alla felicità, e ^ su di questo fonda il criterio di distinzione tra le due scienze, di cui l'una tende ad attuare la felicità interna, l'altra la felicità esterna (1). Né solo per lo scopo diverso a cui mirano si distinguono, secondo Tiiomasius, la morale e il diritto, ma anche e sopra- tutto per la natura dell'obbligazione, la quale si presenta nelle due scienze diversa per ciò che riguarda l'origine, l'og- getto, i caratteri. L'obbligazione giuridica nasce dal comando di un superiore, ossia trae la sua forza obbligatoria da una forza esterna: l'obbligazione morale invece scaturisce dall'in- timo della coscienza individuale, e più propriamente dall'ap- prensione di un male o di un pericolo al quale l'agente si espone nell'atto di agire (2). In ordine all'oggetto, l'obbligazione giuridica si riferisce solo a rapporti esterni sorgenti tra uomini uniti dal vincolo di società. L'obbligazione morale invece ha una sfera di ap- plicazione molto più larga: essa non solo comprende i rapporti esterni, ma ancora gli interni che l'uomo ha verso sé stesso (3). pera € Sai diritto dei principi evangelici neUe controversie teologiche ». In questa parte non ho potato valermi, come mi valsi altrove, dell'opera magistrale del Buffini sulla « Libertà religiosa ». Ed. Bocca, Torino 1901, Voi. I, e. IV, $ 12. (1) Cfr. Fundamenta ecc. Libro I, e. 4, $ 35 e sopratutto al e. 6, $ 21. (2) Cfr. Op. cit. Libro I, e. 4, $ 58 e seg. e e. 5, $ 1 e seg. (3) Cfr. Op. cIt. Libro I, e. 5, $ 17 e seg. Digitized by VjOOQ IC — 45 — Precisando meglio il suo concetto Thomasius aggiui oggetto dell'obbligazione morale possono essere Vhom il decornun, mentre dell'obbligazione giuridica solo lo, Sotto questi tre concetti rientrano tutti i doveri: Vhc comprende i doveri che l'uomo ha verso sé stesso, i riassumono nel principio di fare a sé quello che si à altri faccia: il decorum e ìojusium abbracciano tutti verso gli altri: ma di essi, i doveri di convenienza e lenza rientrano nel decorwn, i doveri di giustizia nello, 11 diritto pertanto non solo non è ciò che di sua n semplicemente onesto, ma neppure consiste in ciò e sua natura semplicemente decoroso. Da queste premesse deriva il carattere negativo e dell'obbligazione giuridica, il carattere positivo e im della obbligazione morale (1). Il diritto deve limitarsi a quelle azioni che appaiono inconciliabili con una vita ordinata: donde la necessità che abbia limiti fissi e c< da escludere l'arbitrio. L'obbligazione morale risolver atti positivi diretti alla maggior felicità dell'individuo società ha un campo d'azione più largo che non puc in alcun modo circoscritto. Un ultimo criterio di distinzione è dato dagli effetti che dalla morale e dal diritto scaturiscono. Mentre l'eci morale consiste nella spontaneità degli atti e quinc mancanza di qualsiasi coazione esterna, il diritto, ch< dizione essenziale della vita sociale, nell'interesse dell limita la libertà e reprime le naturali tendenze degli in ha carattere coattivo e deve imporsi e attuarsi ancl forza. Tali le principali distinzioni che Thomasius rileva rale e diritto: la critica potrà facilmente trovarle i superficiali in quanto non sono desunte dall'intima delle due scienze, ma ninno potrà negare ch'esse per (1) CtV. Fun^amenta ecc. Libro I, e. 5, J 23. Digitized by VjOOQ IC — 46 — rezza e precisione con cui sono concepite, riescono di grande utilità pratica. E invero la distinzione posta serve al Tho- masius per segnare ì limiti dell'azione dello Stato ne' suoi rapporti cogli individui. Compito dello Stato è di valersi del diritto per conseguire la pace e la sicurezza sociale: la vita religiosa e morale eccede la sua competenza, e costituisce un patrimonio sacro e inviolabile in ordine al quale l'individuo -deve poter esplicare nel modo più ampio e perfetto la sua libertà. Per opera di Thomasius un vero progresso si opera nelle scienze morali: egli inizia la distinzione tra morale e diritto, e ne mette in evidenza l'importanza teorica e pratica. Dopo di lui si potè discutere sul fondamento da darsi alla distin- zione, ma niuno osò revocarne in dubbio la convenienza e la necessità. In ispecial modo la coattività quale carattere for- male della norma giuridica può considerarsi definitivamente acquisita alla scienza. Thomasius ebbe numerosi seguaci, ma niuno originale e autorevole (1) : la distinzione tra morale e /liritto dopo di lui diventa scolastica, e perde ogni valore pra- tico. La soluzione data dai giureconsulti filosofi alla questione dei rapporti tra morale e diritto, doveva far luogo alla solu- zione filosofica attuata dal Kant. 29. — I giureconsulti filosofi si succedono ininterrotti da Grozio a Kant, ma l'opera loro fu per motivi diversi ugual- mente contrastata dai romanisti e dagli scolastici. I romanisti ripudiavano le astrazioni teoriche e arbitrarie dei cultori del diritto naturale, e si mantenevano interpreti fedeli e custodi gelosi della tradizione giuridica classica. Dal canto loro gli scolastici rimproveravano all'indirizzo giuridico-filosofico, il (1) Alla scuola dì Thomasius appartengono ; Girolamo Gundling (1671- 1729) autore dello « Jas naturae et gentium » dove tratta del diritto con esclusione della morale ; di questa tratta in un'altra opera, a cui dà il nome di etica ; E. Gerhard^ che scrisse « De principiis justi » (1712); il Koehlef% VAohenwally ecc. Cfr. Carmignani: Storia della filosofia d^l diritto ^ Lucca, 1851, Voi. HI, pag. 151 e seg, Digitized by VjOOQ IC — 47 - carattere ateo e profano e con ogni sforzo si adop conservare alla Chiesa l'antica autorità in fatto e di costumi. Assecondando abilmente le tendenz essi accolgano senza difficoltà il concetto del diri! e la teorica dello stato di natura, ma al fondameli delle nuove dottrine, vorrebbero sostituito il pri lato, e mantenuti i vincoli che legano il mond Dio. I più autorevoli rappresentanti dell'indirizz la conciliazione tra le esigenze del pensiero nuo denze religiose tradizionali furono Giovanni Seldei Cocceji (2). Ma l'opera loro era condannata all'] alla sterilità, come quella che più non rispondevi zioni nuove create allo Stato e alla Chiesa. La Chi( aveva perduto della sua universalità e della suj sociale e politica. Ne' paesi protestanti la religi ufficiale e dipendente dai governi : ne' paesi catt stioni giurisdizionali accennano a una progressi) dello Stato nel dominio ecclesiastico. In tali condi: la libertà dei popoli, gli interessi del diritto e ( non potevano trovare sufficiente guarantigia nell'a Chiesa, nell'efficacia della religione; nessuna via i sentavasi all'infuori di quella indicata e seguita consulti filosofi, tendente ad elevare sopra gli ir cupidigie degli uomini e degli Stati il tribunale si ragione, i cui responsi si imponessero alla cosciei col grado di evidenza e di certezza proprio degli j scienze matematiche. 30. — Generalmente è trascurata l'importanza consulti nella storia delle scienze morali: eppur intolleranza religiosa, cattolica e protestante, e l'assolutismo politico, ostacolavano qualsiasi riforr (1) Giovanni Selden (1584-1654) pubblicò nel 1640 V< naturali et geutium jaxta disciplinam ebraeorum » Cfr. I (2) Enrico e Samuele, padre e figlio: l'uno autore illii.stratus ecc. » l'altro di un « Tractatus jiiris gentiuin Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 49 — §4. Tofl)fl)aso Hototoes e l' indicizzo ztqpitìco i>elle sclei>ze fpotall. SOMMABIO : 31. Bacone e saa posizione nella storia del pensiero ~ 82. Bac e le scienze morali — 88. Etica e scienza civile in Bacone — 84. Il metod Hobbes ^ 35. Hobbes e i suoi tempi — 86. Sistema etico-giuridico di Hot — 37. Il rapporto tra morale e diritto in Hobbes — 88. L'opposizione a Hobi Cumberland — 89. Locke e i suoi tempi — 40. Morale e diritto in Locki 41. Da Locib a Hume — 42. Humé e i suoi tempi — 48. Filosofia di Hum 44. Rapporto tra morale e diritto in Hume — 45. Adam Smith e sua im] tanza — 46. Sistema etico-giuridico di Smith — 47. Conclusione. 31. — Bacone è il profeta della nuova epoca, è il Mosè e ha dischiuso la vista della nuova terra promessa. Questo C( cetto espresso dal Macaulay (1) non risolve la dibattuta qi stione risguardante il posto che Bacone occupa nella sto: del pensiero. A risolverla conviene considerare a parte Baco e l'opera sua, Bacone e i suoi tempi, Bacone in rapporto a sviluppo del pensiero scientifico e filosofico posteriore. Considerata in sé stessa l'opera di Bacone racchiude un a significato, come quella che, sotto un'apparente riforma metodo, prelude ad un nuovo orientamento del pensiero, ad rinnovamento radicale del sapere. Sotto tale aspetto Bacc occupa un posto eminente non solo nella storia delle scien come ritiene l'Adam (2), ma ancora della filosofia. Primo e assorse al concetto tutto moderno e per l'epoca sua prematu dell'unità dello scibile sulle basi della filosofia naturale r novata dal metodo induttivo. Per Bacone l'unità del metod correlativa all'unità della scienza, e questa è a sua volta riflesso e il prodotto della unità che si ammira nella natu Le scienze formano un tutto unico e continuo in cui le pa si distinguono, ma non si separano; quando una reale se] razione si verifica, la parte divisa isterilisce e muore. T; (1) Cfir. il noto saggio del Macaulay (Lord Bacon, EssaySf ed. Tauchn III, pag. 144-45). (2) Ch, Adam, Philosojìhie de Francis Bacon, 1890, ed. Alcan, p. 4 Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 51 — secolo XVII sulla via tracciata da Bacone: non la scienza, poiché il prevalere degli studii astronomici sullo studio delle scienze naturali propriamente dette, fece preferire il metodo geometrico al metodo strettamente induttivo di Bacone (1): non la filosofia che segui un metodo soggettivo ed empirico più che positivo quale era da Bacone indicato. Nell'azione di- retta a scuotere il giogo della teologia ben si rivela Bacone figlio dell'epoca sua, ma tra i dogmatici e gli scettici egli si apri una via sua propria, che non fu né la razionale di Car- tesio né l'empirica di Hobbes. Bacone è il vero precursore di quella filosofia positiva, che il Comte doveva nel secolo XIX opporre alle aberrazioni metafisiche (2); di ciò può. far prova la sua dottrina etico-giuridica. 32. — Sotto l'aspetto speciale delle scienze morali Bacone ò non fu preso in considerazione o non fu rettamente giudicato sia per parte di coloro che vollero derivare da lui lo svolgi- mento del pensiero etico inglese, sia per parte di quelli che negano alle sue dottrine morali ogni valore. Ciò si deve in parte a Bacone stesso il quale più che un sistema etico-giu- ridico svolto nelle sue singole parti, ci lasciò l'abbozzo di un sistema, il quale non attrasse mai l'attenzione degli studiosi, mentre pur permetteva la ricostruzione intera del suo pen- siero. Due furono le preoccupazioni costanti di Bacone in ordine alle scienze morali : sottrarle al dominio della, teologia e della metafisica. Col Montaigne e col Charron egli ebbe comune lo (1) Le scienBe naturali dopo le scoperte del Vinci, del Serveto, del- l' Harvey, subirono un arrèsto nel secolo xvii di fronte ai notevoli pro- gressi dell'astronomia e con essa delle scienze matematiche : la geometria in particolare divenne per oltre un secola la scienza madre, alla cui in- iSaeDza non seppero sottrarsi le stesse scienze morali. È noto che Bacone fa fierapiente avverso all'estensione delle matematiche allo studio della natura. (2) Il Comte accennando all'unificazione del sapere come allo scopo ultimo della filosofia posi ti vn^ e costretto a ricordare le geniali intuizioni di Bacone {Cours de philoso^hie posUivef I, p. 50 e p. 59-60 ediz. 1869). Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC WTJ^^SfTT — 53 — sofi inglesi che lo seguirono, e solo può riconnettersi ai t tativi fatti nel secolo XIX per dare alle scienze morali fondamento positivo. Elemento generatore delle scienze moi è per Bacone la natura, in ciò coerente al principio secoi il quale la scienza della natura non solo è scienza madre cui tutte le altre devono coordinarsi, ma in tanto ha valor significato in quanto può servire a dar norma e indirizzo a vita individuale e collettiva (1). 33. — Nella classificazione delle scienze posta da Bacoi l'Etica e il Diritto rientrano nel largo campo delle sciei relative all'uomo; ma mentre l'Etica è il ramo più nobile de Filosofia umana, che studia l'uomo a sé, in quanto consta elementi corporei e spirituali, il Diritto colla Politica cos tuisce la parte fondamentale della filosofia civile, la qu move dal presupposto dell'uomo associato e già eticamei formato (2). I rapporti e i limiti tra le due scienze sono in tal me implicitamente segnati: l'Etica forma l'individuo, la Scien civile mediante il diritto provvede alla prosperità e alla pi interna di uno Stato : quindi differiscono tra loro per l'ogget lo scopo, la sfera diversa in cui si svolgono. Niun dubbio e il contenuto della scienza civile, risultando di elementi as$ varii e disparati, con grande difficoltà si lascia ridurre a le| e abbia letto le sue opere. Certo conobbe Vanìni nel 1612 a Londra» sopratntto apprezzò il Telesìo che chiama « amantem veritatis et scien ntileni, hominam novoram primuin ». (1) La decadenza della filosofia morale e civile è attribuita da Bac< al fatto che queste scienze non « alnntur a philosophia naturali » (Noi Organum, I, 80). — Altrove {De Augmentis, IV, e. i) dichiarò che la sciei dell* uomo « naturae ipsìus portio est ». — Il vincolo strettissimo tra scienze della natura e le scienze morali scaturisce anche dal suo n principio: « quod in contemplatione instar causae est^ id in operati< instar regulae est ». (Nov, Org. I, 3). (2) Cfr. De Jug. Libro IV, e. i, ove dice: Doctrina de homine dupli aut coutemplatur hominem segregatum, aut congregatum : alteram phì sophiam humanitatis, alteram civilem vocamus. Digitized by VjOOQ IC — 54 — ili (1). Ciò per altro non toglie che i mezzi di cienza civile abbiano un grado di efficacia iplicazione più facile di quelli offerti dalla 3tto un certo aspetto torna più facile, acuta- acone, dominare e dirigere una folla che non ) istintive, impersonali, frutto di imitazione, >ne notevole, per quanto non avvertita, nella ndividuo segue suo malgrado il moto generale cui riflette i sentimenti, le idee, le tendenze, on può far assegnamento sull'azione di queste Qè subisce i vincoli e le repressioni sociali formazione dell'uomo interiore. Ancora l'Etica ne interna dell'uomo, e sulla bontà dell'inten- insiste: per la vita e per il progresso sociale liformità esteriore degli atti alla legge, e per D servire mezzi sensibili e materiali, l'uso dei agli scopi della morale. Le proporzioni stesse sua stessa perennità di esistenza, la comples- iti che lo costituiscono sviluppano un gioco Bazione, per cui le cause deleterie agiscono 3 insensibilmente: nei singoli individui, data vita, e la costituzione più semplice del loro ^uenze delle azioni disoneste si svolgono più lutamenti nell'opinioni e nei costumi sono più i. Per tal modo Bacone sotto colore di accen- Ità diverse, contro cui l'Etica e la Scienza ttare, tocca le differenze tra le due discipline, apporti che corrono tra individuo e Stato. Le devono tener conto delle condizioni variabi- li vidui : le norme giuridiche valgono per l'or- forme, perchè più vasto, dello Stato, e in esso osserva Bacone (De Aug, Lìb. Vili, e, i) che Soggettò è pili di ogni altro « materiae immersum^ ideoque mata redncitur ». Digitized by VjOOQ IC ^ 55 ^ scompaiono le differenze dell'individuo, che è l'atomo della vita sociale (1). La stessa modernità di vedute Bacone dimostra nel trattare a parte l'Etica e il Diritto (2). Dal modo di comportarsi degli esseri in natura, egli trae la soluzione del problema teorico relativo alla natura del bene (3). Ogni cosa in natura, esistendo ad un tempo per sé e come parte di un tutto, tende a con- servarsi, accrescersi, moltiplicarsi: cosi esiste per l'uomo un bene individuale e collettivo; nello svolgere sé stesso e le proprie facoltà in guisa da rendersi atto a far il bene del tutto, di cui fa parte, sta la perfezione morale dell'uomo. De- terminata la natura del bene, bisogna che l'uomo sia in grado di raggiungerlo con una serie di mezzi, che solo può indicare lo studio della costituzione psichica speciale di ciascuno, variabile secondo i tempi, i luoghi, l'età, il sesso. In ciò sta la morale pratica, nel trattare la quale il moralista deve fare come il medico che studia il corpo umano per conoscerne i mali e indicarne i rimedii. Lo studio del bene collettivo fa parte dell'Etica non della filosofìa civile come a tutta prima potrebbe p/irere. Finché prepariamo ed educhiamo l'uomo a convivere in società, a preferire il bene comune al proprio, la vita attiva alla contemplativa, noi non usciamo dai limiti e dai compiti della morale (4). * (1) I rapporti tra l'Etica e la Scienza civile sono svolti da Bacone nel Libro vili, e. T, del De Augmentis. (2) La dottrina etica di Bacone è contennta nel Libro VII del De Aug- ìnentis : la dottrina giuridica nel lib. VIII, e. m, sopratatto nell' « Exemplum iractatus de justitia universali; sive de fontibus juris > che è aggiunto come appendice al libro Vili. (3) Distribuisce Bacone la dottrina etica in due parti: l'una teorica € de exemplari boni » tratta della natura del bene ; l'altra pratica « de regimine et cultura animi » tratta delle norme atte a conformare l'animo al bene : senza quest'oltima, la prima è come una statua « pulchra quidem aspectu, sed motu et vita destituta » (De Aug. Lib. VII, e. in). (4) In quella guisa che è cosa diversa fabbricare una macchina, e met- terla in moto, così la scienza civile si distingue dalla dottrina del bene coUettivo che conforma l'animo alla vita sociale. Digitized by VjOOQ IC — se- nato moralmente l'individuo, entra in campo la Scienza avente per oggetto l'uomo congregato. Nell'abbozzo fi- lasciatoci da Bacone è la parte che presenta maggiori 3 e imperfezioni. Però nel trattare dell'azione dello Stato ipporti interni fra i cittadini, azione che si esplica me- ì il diritto, Bacone dà novella prova di larghezza e ori- tà di vedute (1). Il diritto non è fine a sé stesso, ma per procurare il benessere materiale e morale del po- Nel trattare di legislazione Bacone dichiara dì voler se- un metodo suo proprio, distinto da quello adottato dai consulti filosofi e pratici, dei quali i primi fanno leggi jinarie per stati immaginarli, i secondi sono schiavi leggi e degli usi locali, non hanno la guida dei prin- che è condizione di equanimità e sincerità nei giudizii. :islatore deve conoscere la filosofia civile, e l'equità ale da un lato, ed essere dall'altro esperto conoscitore >stumi e dei bisogni del popolo, pel quale fa le leggi (2). , varietà delle leggi può bene associarsi, secondo Ba- alla loro unità, poiché sotto le moltiformi leggi degli e dei popoli, non é difficile rintracciare certi principii Lstizia costanti, su cui può elevarsi un sistema di legis- le ideale, a cui tutte le leggi diverse si riconducono, e i tutte discendono (3). Ma la sapienza del legislatore non solo consistere nel conoscere e determinare le legum ma ancora nell'applicazione della legge (4). Quest'aspetto La dottrina deUo Stato è da Bacone distìnta in dne parti : Tiina mo 8ive de repuhlica administranday l'altra de justitia universaUf sive ihu8 juriSy ossia la parte politica e la giuridica (De Atig, Lib. Vili). Xr. De Aug, Libro Vili in fine, ove dice: « philosopbi multa prò- , dictn pulchra, sed ab usu remota. Jnrisconsnltì antem, suae qnisqne leguin, yel etiam romanorum aut pontificiarum, placitis obnoxii, sincero non ntnntnr, sed tanquam e vincnlis sermocinantur »'• I!fr. De justitia univeì^sali, Aph. 6. i La saggezza del legislatore, egli scrive, consiste non solo nellM- li giustìzia, ma nella sua applicazione^ nel prendere in considera- mezzi per i quali le leggi sono reso certo, le cause e 1 rimedi delle Lcertezze ». Digitized by VjOOQ IC - 57 - formale del diritto, trascurato dai fìlosofl del diritto naturale, ,ha un'importanza nell'attuare gli scopi della giustizia, che non sfuggi a Bacone; se vario è il contenuto delle leggi, la forma è costante e può ridursi ad assiomi; se la perfezione delle le^i non può facilmente ottenersi, almeno devesi cercare la certezza coi mezzi formali. Là certezza è condizione neces- saria per conseguire VaequUasjuris, ossia l'uniforme interpre- tazione e applicazione della legge, da cui dipende la efficacia e l'autorità del diritto sostantivo (1). Poco meno di due secoli dovevano trascorrere prima che le idee di Bacone fossero accolte e applicate: certo a principio del secolo XVII erano premature. Bacone fece come colui che avendo trovato una nuova via vi si slancia con entusiasmo e la percorre rapidamente fino alla fine: ma gli altri per tal via non lo seguirono come quella che contrastava troppo alle ten- denze e ai metodi filosofici del secolo: ailcora la mente umana non aveva condotto il metodo razionale alle sue estreme con- seguenze per ricredersi, e porsi sulla via più modesta, ma più sicura aperta da Bacone alle scienze morali. 34. — Hobbes fu chiamato il primo discepolo di Bacone : tale filiazione intellettuale, sostenuta fra gli altri dal Kuno Fischer, fu generalmente accolta: le stesse relazioni personali che cor- sero tra Bacone e Hobbes parvero confermarla. Il Wundt stesso fa dell' Hobbes un continuatore di Bacone nel campo delle scienze morali (2). Studii più recenti vennero in opposto pa- rere, a noi crediamo col Lange, collo Jodl, col Sidgwick, che si debba negare qualsiasi rapporto di filiazione tra Hobbes e Bacone (3). La diversità del metodo rispettivamente usato fu ornai posta fuori di dubbio dal Lange e dallo Jodl (4). Il Lange (1) Il criterio deUa bontà di una legge sta in ciò ch'essa sia « intima- tione certa,' praecepto jnsta, executione commoda, cum forma politiae congrua, et generans virtutem in subditis * (Ib. Aph. 7). (2) Cfr. Wnndt: Ethik, Libro II, e. ni. (3) Cfr. Sidgwick : Outlines of the history of Ethics, 2* ediz. London, 1888, p. 158. (4) Cfr. Jodl: Gesc'xiichte der Ethik, Voi. I, 1882, p. 109. Digitized by VjOOQ IC ^ 58 ^ definisce il metodo di Bacone induttivo, quello dell' Hobbes ipotetico-deduttivo, ossia cartesiano (1). Mentre il primo pro- cede analiticamente movendo dall'individuo per elevarsi €\ genere e quindi giungere direttamente alle cause reali dei fenomeni, salvo poi ricorrere alla deduzione per utilizzare e generalizzare le verità discoperte, Descartes e sulle sue traccio l'Hobbes procedono sinteticamente premettendo la teoria a guisa di ipotesi, spiegando mediante essa i fenomeni, per poi controllare la bontà della medesima facendo ricorso alla esperienza, a cui spetta la pai'te principale e decisiva nella dimostrazione. Ninna comunanza quindi di metodo tra Bacone e Hobbes: entrambi ricorsero all'esperienza, ma Bacone vi ricorse per elevare su di essa la scienza, Hobbes per con- fermare la teoria, posta innanzi come ipotesi. Osserva il Lange che il metodo ipotetico-deduttivo è assai più vicino al vero processo seguito nello studio della natura che non quello induttivo di Bacone (2): qualunque sia il valore di tale afferma- zione, essa è vera pel secolo XVII, nel quale prevalsero l'astro- nomia e le scienze matematiche. A questo metodo, prevalente nel campo stesso delle scienze naturali, non ancora trasfor- mato in razionale puro per opera dei fanatici seguaci di Car- tesio, appartiene Hobbes. Questi contrariamente a Bacone studiò ed apprezzò le matematiche: in istretto rapporto coi tempi egli riconobbe e accolse senza restrizioni (ciò che non fece Bacone) gli importanti risultati ottenuti nel campo delle scienze naturali: e mentre a Copernico rivendicava l'onore di aver fondato l'astronomia, a Galileo la fisica, all'Harvey la fisiologia, sperava che altri potesse dire lo stesso di lui in ordine alla filosofia politica. Come Cartesio egli mosse da un presupposto teorico alla costruzione del suo sistema, e cercò nella esperienza e osservazione fisiologica argomenti a sostegno della sua teoria. (1) Cfr. Lange: Histoire du matórialisme, 1877, Voi I, p. 249. (2) Lange: Op. cit., Voi. I, p. 249. Digitized by VjOOQ IC p''yiHBI'PUV''^l-l'^. * — '• - 5& - 35. — La filiazione tra Bacone e Hobbes come non e«i I)el metodo cosi non esiste né diretta né indiretta per la ( trina. Se comune ad entrambi é l'avversione ai vieti pres posti metafisici e teologici, nonché il sentimento di ribelli all'autorità di Aristotele e la tendenza a secolarizzare scienze morali, non per questo si può dire col Wundt Hobbes continuò Bacone (1), ma solo che entrambi subir le stesse condizioni generali dell'epoca, ciò che non impe» Hobbes di elevare una metafisica di nuovo genere, div€ dall'antica teologica, ma non meno contraria alla filosofia coniana. Ma se con Bacone subi l'influsso generale del ten non da lui Hobbes trasse motivo e ispirazione a scrivere cose morali e civili, ma direttamente dalle condizioni pa colari dell'Inghilterra del suo tempo. Egli non assiste ind rente e quasi ignaro come Bacone ai gravi rivolgimenti poli e religiosi che agitavano il suo paese e che dovevano a\ una importanza decisiva sull'avvenire del popolo inglese: vi partecipa direttamente, proponendo quella che a lui pa la vera soluzione, e sopratutto richiamando sui problemi rali, religiosi, politici l'attenzione degli studiosi e degli uon di Stato che sotto l'influenza delle sue dottrine dovevano vidersi in due campi opposti e ostili. E cosi mentre Bac isolandosi dai suoi tempi non sollevò intorno all'opera proj né le ire né le lodi dei contemporanei, Hobbes inspirandosi suoi scritti direttamente ai fatti che prepararono la Gra Rivoluzione inglese, esercitò un'influenza decisiva sull'i rizzo e sullo sviluppo ulteriore delle scienze morali. La rivoluzione che si andava maturando nell'Inghilt^ nella prima metà del secolo XVII, era ad un tempo ec( mica, politica, religiosa; ma nelle sue diverse forme essa ] presentava pur sempre l'emancipazione dell'individuo dai coli che ne ostacolavano la libera attività. Proprio in ( secolo l'Inghilterra cessava di essere un paese esclusivam( (1) Wundt: Op. cit., Lib. II, e. ni. Digitized by VjOOQ IC - 60 - agricolo per divenire in un certo grado paese commerciale e manifatturiero; la proprietà mobiliare frutto del lavoro si affermava vigorosamente di fronte alla proprietà terriera, nata dalla conquista: cadevano le corporazioni d'arti e me- stieri, i monopolii, i privilegi; lo Stato cominciava a legit- timarsi in proporzione della libertà e dei vantaggi che de- rivavano all'individuo (1). L'individualismo economico metteva capo all'individualismo politico: una trasformazione in senso democratico dello Stato si rendeva oramai inevitabile; a mi- sura che la coscienza della propria forza si diffondeva nella classe media lavoratrice cresceva l'avversione contro il lusso smodato di Corte, contro le arbitrarie imposizioni, contro le indebite ingerenze dello Stato, di cui volevansi ridotte al mi- nimo le funzioni, e si voleva controllata l'azione nei rapporti coi cittadini. L'individualismo economico e politico traeva nuova forza dalle credenze religiose sorte dalla Riforma Pro- testante. Il Calvinismo penetrato in Inghilterra nella sua forma più rigida, aveva prodotto i Presbiteriani scozzesi, e i Puri- tani inglesi. Era appunto nell'essenza del Calvinismo demo- cratizzare le credenze religiose, porre l'uomo in rapporto di- retto colla divinità, farne l'interprete della legge e della vo- lontà divina, senza bisogno di intermediarii, che facevano ser- vire la religione a scopi ambiziosi e politici. Il trionfo dell'individualismo nelle sue diverse forme non fu senza contrasti: esso lottò contro le tendenze reazionarie e assolutiste del potere regio che ebbe ad alleata docile e passiva la Chiesa anglicana o episcopale. Non rimasero i forti pensatori dell'epoca estranei e indifferenti alla lotta: tra tutti si distinse l'Hobbes, la cui dottrina concepita quando più acca- nita ferveva la lotta, trovò eco profonda negli animi. E l'in- (1) Cfr. per le condizioni economiche deU* Inghilterra in quest'epoca il Cnnningham, « English Commerce and Industry « (II, p. 67-97) — per le condizioni politiche il Burgess, « Politicai Science and Comparative Constitutional law » (Voi. I, Bk. iri, e. 1) — per le condizioni religiose il Ruffini, « Libertà religiosa » (Voi. I, e. iii, J 11). Digitized by VjOOQ IC - 61 — fluenza da lui esercitata fu in proporzione del disinteresse e^ della sincerità dell'opera sua di scrittore. All'assolutismo non fu condotto da motivi di interesse personale, ma da quello stesso individualismo che trionfo colla Rivoluzione, e che in niun tempo trovò un più forte e convinto sostenitore; ma ap- punto per ciò parve all'Hbbbes che l'assolutismo solo potesse contenere lo sfrenato egoismo della natura umana. Il vecchio e il nuovo vengono pertanto stranamente a incontrarsi nella dottrina dell'Hobbes senza confondersi (l): la base psicologica del suo sistema, rispondendo ad un lato costante della natura umana, potè vivere di vita propria, e servir di punto di par- tenza allo sviluppo ulteriore del pensiero etico inglese, indi- pendentemente dalla forma politica da lui vagheggiata. Per opera dell'Hobbes penetrava nel campo della speculazione fìlor sofica e sopratutto delle scienze morali quell'individualismo, che fino allora ne era stato lontano per l'influenza delle op- poste teoriche del diritto divino, e della morale cristiana, e vi penetrava nella sua forma più rigida senza temperamenti di sorta. Di qui la importanza e il significato della dottrina etico^iuridica dell'Hobbes. 36. — L'Hobbes intese sopratutto col suo sistema risolvere un problema politico, e a questo subordina come mezzo al fine la morale e il diritto. Anche sotto tale aspetto più che a Bacone egli deve riconnettersi a quella corrente generale di pensiero, che originatasi dalla Riforma e svoltasi nella for- mazione degli Stati moderni, aveva elaborato il concetto di una legge di natura, ossia di una norma ideale, morale e giu- ridica ad un tempo, tratta dallo studio della natura umana, su cui dovevansi modellare i rapporti politici. Ma contraria- mente al Grozio e ai cultori del metodo razionale, l'Hobbes nello studio dell'uomo e nella concezione di uno stato e di una legge di natura diffida della ragione e della storia, e si (1) Con frase felice U Tulloch chiama THobbes « un radicale a servizio della reazione ». Digitized by VjOOQ IC — 62 — si esclusivamente dei risultati condotta con criterii empiri % lui come a un precursore d 5 altri si preoccupa delle esig lobbes con concetto assai più r dell'operare umano, e sili i eri, della osservazione psicolc il suo sistema. Quindi è che Hobbes devonsi, secondo noi, ma fondata sull'osservazione ] jato carattere empirico-indutti i risultati della prima ha car r runa l'Hobbes sopravive a' s iza per l'elaborazione ulterio •a partecipa alle astrazioni mei mpo psicologico Hobbes è un ) nell'uomo due sostanze, ma ( psichici; il moto dei corpi si ai nostri sensi, che lo trasmett : segue la sensazione, ossia ui reazione dall'interno all^esteri d allontanare l'oggetto esterno od ostacola la vita, ossia a i ile : effetti soggettivi concomitj e e il dolore. Il piacere è la mis . In questa concezione material ra si fondano la moralità e il < ielle che ci appaiono più disii ittere morale o immorale dal re deprimere la vita e di pi ;tuale (piaceri o dolori dei sei Lauge, Op. cit., Voi. I, p. 258 eU^Hobbos è ricassunta tìgìV Human . lente) e nel Leviathan (primi diec Digitized by VjOOQIC ...jùà — 63 — dolori mentali, o passioni). D'altro canto il diritto viene a c< sistere nella facoltà illimitata di compiere tutte quelle azi( che giovano allo sviluppo della vita, e di respingere con ugi forza tutte quelle che sono contrarie. L'elemento fisiologie naturalistico fu ben rilevato dall'Hobbes nella formazione de vita morale e giuridica i da questo punto di vista le sue afiP mazioni, se furono posteriormente allargate e integrate, masero però sostanzialmente invariate: fisiologicamente p; landò può considerarsi morale tutto ciò che arreca un piace un utile diretto o indiretto, mentre per diritto altro non può intendere che la facoltà intesa ad attuare la moralii esula quindi ogni carattere imperativo dalla norma mora esula ogni significato oggettivo dal diritto: la norma giuridi non si distingue dalla norma morale, né si può parlare di < bligàzione morale a fare una cosa, ma solo di diritto assoli e illimitato di compierla. Pur facendo la debita parte ai n todi imperfetti di indagine psicologica, e alle affermazi( fisiologicamente errate, non si può negare che le conclusi< a cui Hobbes arriva intorno alle origini naturali della moral e del diritto, non differiscono gran fatto da quelle poste nanzi dai positivisti moderni: più coerente di questi Hobl non si arrestò di fronte alle conseguenze sociali, che da que premesse psicologiche fatalmente derivavano. In verità l'uomo concepito a sé, non educato alla vita soci; non può che presentarsi in quella veste e con quei caratti che l'Hobbes con tanta efficacia riproduce (1): finché Tuo è dominato dagli istinti, non può intendere che all'utile prop e al piacere, e non vede ne' suoi simili che nemici da co battere, come quelli che coll'azione loro attentano di contir o anche solo mettono in pericolo la sua felicità. La moral non si eleva oltre la sfera del soddisfacimento degli appet (1) Cfr. Hobbes: Elementa philosophicay de Tiue, Amsterdam, 17 e. r, nel quale tratta deUa condizione degli uomini fuori deUa soci civile. Il Dit Cive fu pubblicato nel 1G46. Digitized by VjOOQ IC — 64 — e delle passioni, mentre il diritto dell'individuo, per il bisogno e la miseria che accompagnano la sua esistenza, si esplica, mediante l'uso della forza o della astuzia, sfrenato, assoluto, esclusivo. La conclusione a cui l'Hobbes arriva è che l'ucMno fuori della società civile è in uno stato di lotta e di anarchia permanente, di abbrutimento progressivo, in preda al terrore, ed esposto di continuo al pericolo di morte. Dalla contraddi- dizione sempre più stridente tra l'aspirazione alla felicità e le condizioni di vita che ne rendono sempre più difficile il sod- disfacimento, scaturisce inevitabile la necessità della convi- venza sociale. La paura e la retta ragione, ossia un giusto calcolo delle conseguenze utili o dannose delle proprie azioni, persuadono l'uomo che la solitudine significa lotta e miseria, la società sicurezza e pace, e che la convivenza civile è condizione imprescindibile alla sua propria felicità. Ma allora il fine su- premo della vita e della condotta si modifica: ancor prima della felicità e dell'utile diretto, l'uomo deve procurare la pace e la sicurezza, e a questo, nuovo fine deve ispirarsi la vita morale e giuridica: le norme che la ragione detta in ordine a tal fine, costituiscono il contenuto della legge naturale, la quale si risolve in una serie di norme, inspirate all'utilità, limitatrici di quello jus in omnia, che nello stato di natura spetta ai singoli: tali norme, come lo scopo della pace che le giustifica, hanno carattere immutabile ed eterno (1). Per tal modo si forma una moralità razionale, riflessa, che si contrappone alla moralità originaria, naturale e istintiva. D'altro canto il diritto consiste nella facoltà di agire, non secondo detta l'istinto, ma nei limiti segnati dalla legge di natura. Rimane al diritto il suo significato soggettivo, ma il contenuto oggettivo, a cui si (1) Cfr. Hobbes, Op. cit., e. Il e tir, iu cni parla della legge naturale: questa è defiuita, e. i, $ 1 : < dìctamen rectae ratiouis circa ea, qnae agenda vel omitteuda suiit ad vitae membrorumque conservationeni , quantum fieri pote&t, diuturuam ». — Cfr. circa T immutabilità delle leggi di natura, e. iir, $ 29 — Cfr. anche ib. $ 31, in cui afferma Tidentità della legge naturale colla legge morale. Digitized by VjOOQ IC — 65 — applica, è anche in questo secondo stadio offerto dalla legge di natura, ossia dalla morale. Ma a garantire l'osservanza rigida e assoluta della legge naturale non restava a Hobbes che ricorrere alla finzione di un patto, in virtù del quale gli stessi individui si privassero di tutti i diritti che loro competevano per natura o in virtù della legge naturale e ne investissero un potere sovrano, il quale rendendosi interprete unico e insindacabile della legge naturale, ne garantisse l'universale osservanza. In questo terzo stadio la moralità si confonde colla volontà del principe; ogni traccia di diritto soggettivo nell'individuo scompare per far luogo all'obbedienza assoluta e passiva agli ordini del so- vrano (1). 37. — Nel sistema di Hobbes moralità e diritto assumono un significato diverso a seconda ch'egli considera l'uomo do- minato dagli istinti naturali, dalla ragione, dalla volontà del sovrano. Nel primo stadio la moralità consiste negli atti di- retti a favorire la conservazione e lo sviluppo della vita fì- sica, il diritto consiste nella libertà assoluta di agire in tal senso (2); nel secondo stadio la morale si risolve nel compiere gli atti che la ragione, guidata dall'utilità, detta, il diritto nell'agire nei limiti della legge naturale o morale (3); nel terzo stadio gli atti morali sono imposti dal sovrano, e per esso gli individui, privati della libertà, esercitano i loro diritti (4). Nella concezione etico-giuridica di Hobbes devesi anzitutto (1) SuUe cause e salla formazione della società civile, y. Op. cit., e. v. (2) Cfr. Op. cit., e. in, $ 31 : € Scìeudura igitur est, bonum et malum nomina esse imposita ad signifìcaiidum appetitum vel aversìonem eornm, a qnibus sic uominantur », — Cfr. ib, e. i, $ 7: € Neqne enim juris no- mine aliud significatur qnam libertas, quam quisque habet facultatibus nataralibus seoundiim rectam ratìonem utendi. Itaque juris naturai is fun- damentnm primum est, ut quisque vitam et memora sua, quantum potest, tueatur ». ~ (3) Cfr. Op. cit., e. ni, $ 30, 31. (é) Cfr. Sul significato di legge (morale e giuridica) e di diritto nella società civile, Op. cit., e. xiv. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC vwx^:-- <#^p«y.ji^ — 68 - non andò perduto per quel fondo innegabile di verità che in sé racchiude. Niun dubbio che le prime origini della morale e del diritto devonsi rintracciare neirindividuo, e per rilevarle bisogna, come fece Hobbes, procedere all'isolamento assoluto dell'individuo dalla vita sociale. E cosi mentre Grozio non concepì una moralità e un diritto fuori della società, l'Hobbes non li concepì fuori dell'indivìduo : e se l'uno cercò distinguere la norma morale dalla norma giuridica, l'altro colse la distin- zione tra morale e diritto nelle naturali tendenze dell'operare umano, rilevando il valore soggettivo del diritto, da lungo tempo trascurato, più consentaneo alle tendenze individualiste, di cui era impregnata la coscienza dell'uomo moderno. 38. — L'indistinzione tra norma morale e giuridica non era solo nel campo delle idee, ma rispondeva ad una reale con- dizione di cose. Il secolo XVII non si pose se non incidental- mente il problema del criterio distintivo tra l'etica e il diritto ; si preoccupava invece vivamente di trovare alla condotta umana largamente intesa un fondamento suo proprio, capace di costituirsi alla tradizionale concezione teologica, che dalla Riforma e dal risveglio del sentimento religioso aveva tratto novella forza e autorità. Per i Protestanti di qualunque confes- sione le norme di condotta non si originavano nell'intimo della coscienza individuale, ma erano l'espressione della volontà di Dio, da cui derivavano il loro carattere imperativo. Contro questa dottrina, la quale, congiunta con l'altra del « diritto divino*, aveva favorito in Inghilterra l'assolutismo religioso e politico, elevò Hobbes il suo sistema, facendo della volontà del sovrano la fonte suprema della morale e del diritto. Ma mutata la base, non mutavano gli effetti lesivi della li- bertà individuale, anzi la confusione tra morale e diritto si presentava nelle sue forme più odiose dacché si erigeva il sovrano ad arbitro insindacabile in fatto di credenze e di morale. Si comprende quindi la fiera opposizione mossa dal clero alla nuova dottrina (1): né gli avversari uscivano solo (1) U Buckle (Histoire de la civiliaation, Voi. II, p. 65, Ed. Flammarion) Digitized by VjOOQ IC — 69 - dalle file degli intransigenti e fanatici, ma appartenevano so- pratutto a quella corrente liberale che, originatasi dall'Ar- minianismo, costituiva il partito dei Latitudinarli (1). Fau- tori della libertà di religione e di coscienza, essi dovevano levarsi contro un sistema che sacrificava agli interessi della pace sociale, le più preziose libertà dell'individuo. Latitudi- nari erano appunto i teologi di Cambridge, che apersero la polemica contro Hobbes sul terreno filosofico (2). Contro di lui che aveva fatto rivivere, sotto l'influenza del Gassendi, l'Epi- cureismo, e a somiglianza degli antichi Sofisti, si era fatto sostenitore della relatività del bene e del giusto, essi oppo- sero gli argomenti di Platone (3), sostenendo l'obbiettività delle idee morali, l'apprensione intuitiva e l'origine divina delle medesime, attratti dal desiderio di armonizzare la ra- gione con la fede. .Ma chi combattè la dottrina di Hobbes nelle sue stesse basi, e opponendo un sistema suo proprio, dischiuse nuove vie al progresso morale fu Riccardo Cumberland (4). Egli si propone lo stesso problema che l'Hobbes si era posto, trovare cioè un principio che valga come norma universale di condotta per gli individui e gli Stati. Nel risolverlo prende come Hobbes le mosse dall'individuo, ma arriva a risultati opposti. Ciò si comprende se si pensa che Cumberland considerò dell'indi- viduo non l'elemento sensibile, volitivo, individualistico, fonte del male morale, e da cui non possono derivare che norme osserva òhe T Hobbes fu il piti pericoloso avversario del clero nel secolo XVII, e che fa dopo il Berkeley il piti grande metafisico inglese. (1) Cfr. Ruffini, Op. cit. e. li, J 8, p. 115 e Jodl, op. cit., Voi. I, capo IV, 2 Ab3. $ 1. (2) Alla scuola di Cambridge appartengono sopratatto il Cudworth e il More : il primo autore dell' < Intellectual System » (1678) e di un trattato di morale pubblicato solo nel 1731 ; il secondo autore dell' < Enchìridion Ethicnm » (1667). (3) Di qui il nome di < Platonists » dato ai filosofi di questa scuola. (4) Cnmb er 1 an d, « De legibus naturae disquisitio philosopbica » (1671). CI siamo valsi deU' edizione latina del 1694 ^Lubecae et Francoforti). Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC - 71 -* società politica nelle sue basi. La Restorazione del 1660 aveva da un lato ricondotto sul trono. d'Inghilterra gli Stuardi, dal- l'altro aveva ristabilito negli onori e nei poteri la confessione anglicana. Senonchè nulla oramai poteva più ritardare il trionfo dei principii della Rivoluzione: il governo stesso de- bole e corrottissimo di Carlo II ne favori inconsciamente la diffusione, e cooperò validamente a fiaccare la potenza dei nobili e del clero a tutto vantaggio del popolo : la seconda rivoluzione non fece che rimovere le ultime resistenze e rico- noscere giuridicamente ciò che oramai era un fatto compiuto e universalmente accettato. Ma se nel fatto THobbes era scon- fessato, rimaneva pur sempre di giustificare teoricamente il nuovo ordine di cose, e di esaminare le basi e la legittimità delle conseguenze etiche, politiche, religiose del suo sistema filosofico. Questo lavoro di revisione e di critica da un lato, di ricostruzione dall'altro, iniziato sul terreno filosofico dal Cumberland, in continuato ed esteso dal Locke alle questioni politiche e religiose. Il Locke era figlio al pari di Hobbes di quell'individualismo che costituiva la gran forza generatrice di ogni progresso in quel secolo: senonchè mentre l' Hobbes aveva contemplato l'individualismo nel suo primo affermarsi sfrenato, il Locke lo contempla ne' suoi benefici risultati, quando su di esso si era modellata la vita politica, religiosa, economica del paese. Né solo per la fonte da cui procedono, ma ancora per il metodo adottato il Locke si ricongiunge con l'Hobbes : en- trambi movono dall'osservazione empirica dell'uomo, ma nel risolvere le questioni politiche seguono entrambi il metodo metafisico proprio dei cultori del diritto naturale. . Nella formazione della moralità il Locke distingue netta- mente la parte che spetta alla volontà e all'intelletto: a questo assegna l'elaborazione oggettiva delle idee morali, a quella la trasformazione delle idee morali in beni ossia in desiderii atti a suscitare un piacere e quindi a movere la volontà all'azione. Poiché per Locke come per l'Hobbes l'uomo tende alla felicità Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 73 - legge civile e la legge deiropinione pubblica hanno carattere di leggi positive ed empiriche: entrambe presuppongono per termine di confronto la legge razionale o divina, che è la vera regola immutabile del giusto e dell'ingiusto e rappresenta l'ordine naturale delle cose quale si manifesta all'uomo me- diante la rivelazione o mediante l'uso illuminato della sua ragione : donde Faccordo esistente tra la rivelazione e la ra- gióne, il quale prelude alla teologia razionalistica dell'Illu- minismo (1). L'uomo, secondo Locke, è fatto capace di intuire nell'ordine delle cose create i primi dati dell'ordine etico, le prime e fondamentali relazioni morali, da cui il ragionamento, procedendo per deduzione, può sviluppare tutto un sistema col rigore proprio delle matematiche (2). Sulla base di queste intuizioni, frutto di una forza intellettiva connaturata al- l'uomo, il Locke, indotto dagli avvenimenti e in difesa di essi, ha tentato la costruzione del suo sistema giuridico-politico (3). La struttura del sistema etico-giuridico in I^ocke è quella dèi diritto naturale : egli considera l'individuo a principio del- l'ordinamento giuridico, nell'isolamento e sotto l'impero so- vrano della legge di natura, la quale, inspirandosi come a scopo ultimo alla conservazione del genere umano, mentre riconosce in ogni uomo il diritto all'indipendenza e all'ugua- glianza, chiama l'individuo stesso a vendicare le trasgressioni a' suoi propri ordini (4). Stato di natura e stato di guerra sono per Locke termini contradditorìi, rappresentando quello (1) Cfr. Op. cit., Libro II, e. xxvili, $ 6 e seg. ove il Lo oke distingue la triplice classe di leggi, e ne dà la definizione. (2J Cfir. Op. cit., Lib. IV, e. in, $ 18. SoUa questione relativa ali* evi- denza matematica della morale in Locke cfr. ^ odl^ Op. cit., Voi* I, e. 5, Abs. 1, M. (3) Dei due trattati sul governo pubblicati assieme dal Locke nel 1690, il primo è una critica delle dottrine politiche di Robert Filmer, il secondo contiene la teoria politica dell' A. ed è intitolato: € Eeaay conceming the true origine y extent and end of oivil Govemement ». Ci siamo valsi deiredi- zione francese del 1755. (4) Op, cit., e. i^ in cui VA, tratta dello Sitato di natura^ Digitized by VjOOQ IC -^<"^' i J«WPU ^ ^ -. 74 - Illa ragione e quindi della pace, della benevo- mutua conservazione (1). , ossia la legge di natura impone la convivenza fini meglio si raggiungono colla formazione di , nelle quali, in virtù di un contratto, l'individuo Ila sua sovranità naturale di interpretare e ap- ^e di natura per investirne l'autorità civile (2). >erò non perde nella società civile la sua perso- ica e morale: lo Stato riposa pur sempre sul ta- > e sulla tacita cooperazione degli individui e la rova limiti efficaci in una saggia separazione di )ntrollo permanente del popolo, nella legge stessa cui le leggi civili non possono contraddire (3). nenticare che nel sistema politico di Locke spiega )cisiva la pubblica opinione, le cui norme rispon- sialmente a quelle della legge di natura, modifi- . costume e dagli usi locali, sono tali da tenere acemente cosi le azioni dell'individuo come quelle iti. sistema etico-giuridico del Locke, come in quello due diversi indirizzi convergono, l'indirizzo utili- ;o, e l'indirizzo metafisico-razionalista, proprio dei iritto naturale. È innegabile che nella determi- flne e dei motivi della moralità, egli continua e 3todo di osservazione psicologica iniziato dal- i senza allargarne i limiti fino a comprendere gli ili tra le condizioni della felicità e i motivi di combattere poi l'innatismo, egli rappresenta un presso sull'Hobbes, in quanto dischiuse la via, da non percorsa, alla conoscenza sperimentale e po- moralità. e. II. e. vr, VII e viir. cìt., e. X, Bull^Bsteusione e limiti del potere legislatÌTO. Digitized by VjOOQ IC - 75 — D'altro canto nella parte ricostruttiva il Locke è un ra- zionalista, subisce l'influenza della scuola del diritto naturale, e segue con Cumberland l'indirizzo di Grozio distaccandosi dall'Hobbes e dalla sua dottrina. Infatti nel Locke il concetto della legge di natura presenta un carattere di universalità e di obbiettività che in Hobbes originariamente non ha, e la sua teorica del governo, scritta à giustificazione di fatti com- piuti, e rappresentando le aspirazioni popolari è le idealità politiche de' tempi nuovi, era destinata a esercitare un'in- fluenza notevole in Francia ove la trasformazione sociale ed economica in senso individualista stava iniziandosi. La con- cezione della legge di natura, come norma razionale, il con- cetto dell'individuo fatto sovrano ed esecutore della medesima, i principii della sovranità popolare, d'uguaglianza, della sepa- razione dei poteri sono dal Locke enunciati nella forma più suggestiva e diventano patrimonio comune delle coscienze nuove. Ma se era più consentanea alle aspirazioni^e alle esi- genze razionali dell'epoca, la teorica del Locke mancava di quel fondamento positivo che riscontrasi invece nell'Hobbes, la cui dottrina dello stato di natura, fondata sull'osservazione ristretta ma vera della natura umana, si ravvicina ne' suoi risultati assai più che non quella del Locke alle reali condi- zioni dell'uomo preistorico. La teorica della legge merita speciale attenzione in Locke come quella che rappresenta un tentativo fatto per distin- guere la morale dal diritto e stabilirne i rapporti reciproci sopra una base nuova, suscettiva di svolgimento e di progresso. In omaggio alle idee dominanti il Locke assorge al concetto di una legge di natura generatrice di ogni altra, misura ob- biettiva, universale, immutabile della condotta in generale: ma questa legge soddisfa ad una esigenza puramente teorica e ha una esistenza ideale, mentre nel fatto si risolve in legge civile e in legge del costume, che rispondono rispetti- vamente alla legge giuridica e alla legge morale. L'ordine naturale obbiettivo rappresentato dalla legge di natura *i Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC -77 — operatasi in- quel secolo per parte dei non -conformisti, là quale colla lunga oppressione scosse 1* influènza tirannica della Chiesa ufficiale. A. misura che il dispotismo politico e religioso perdeva terreno cresceva l'interesse per le indagini di natura morale, e civile. Hobbes e Locke avevano posto i germi per un nuovo orientamento degli studi morali, iniziando l'indagine psicologica: ma mentre l'uno fu indotto dalla logica inesorabile de' suoi principii a soffocarne i risultati nel dispotismo, l'altro cercò temperare le premesse psicologiche, ancor sempre ri- strette e unilaterali, facendo ricorso ad elementi razionali. Il dualismo tra ciò che era risultato dell'analisi psicologica e le esigenze della ragione e della pubblica opinione, si risolve dopo Locke in due indirizzi distinti, personificati nel Clarke e nello Schaftesbury. Nel Clarke (1) la ragione riacquista intero e incontrastato quel primato nella formazione della moralità e del diritto che la scuola empirica tendeva a scuotere in favore della volontà: movente all'azione e criterio di moralità è l'evidenza e la cer- tezza dei principi! morali, non innati nell'uomo o rivelantisi intuitivamente all'intelletto, ma razionalmente dedotti dai rap- porti immutabili e naturali delle cose. Le idee morali e giuri- diche vengono per tal modo a confondersi colle verità intel- lettuali, la necessità lògica si converte in necessità morale, e il dovere diventa Passenso necessario dato alla suprema ra- gione delle cose. Il razionalismo penetrava col Qlarke in In- ghilterra, distinguendosi a un tempo dall'innatismo professato anteriormente dalla scuola di Cambridge, dall'intuizionismo posteriore del Butler e del Reid: esso rispondeva alla segreta ispirazione di molti di trovare, secondo il concetto espresso dal Locke, alla condotta una base cosi sicura come quella tro- vata da Newton alla meccanica. Ma tale indirizzo inteso a fondare le scienze morali e giuridiche su principii astratti (l) Cfr. del Clarke Topera pubblicata nel 1705 col titolo: « A Biscourse, concerning the Being and Jttrihutes of God ecc, >. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC fm^ — 79 -• il quale, sottratto alla ragione e alla riflessione, è fondato sul senso, divenuto capace non pur di impulsi egoistici ma anche altruistici. Con Schaftesbury sono definitivamente acquistati all'etica empirica due concetti nuovi: la naturalezza delle af- fezioni socievoli, che concorrono coH'amor di sé a regolare le azioni umane, — il senso morale, ossia un elemento tutto in- teriore sostituito alla volontà divina e umana, alla ragione stessa come criterio di approvazione, e fatto capace di de- terminare all'azione. Senonchè il difetto di rigore scientifico nelle affermazioni dello Schaftesbury, l'ottimismo esagerato che lo anima tolsero efficacia e autorità alla sua dottrina, ugual- mente combattuta da liberi pensatori come Mandeville e da ortodossi. I germi da lui posti furono raccolti e innalzati a dignità di sistema da Hutcheson, il noto fondatore della Scuola Scozzese. Nell'Hutcheson il problema della condotta assume l'ampio e sistematico svolgimento, di cui dopo il Cumberland. non si aveva avuto esempio (1). Anche per Hutcheson fonte origi- naria della vita morale e giuridica è il senso morale, elevato a criterio modellatore e ordinatore degli affetti umani, tra i quali esso dà il primo posto alle affezioni benevoli, aventi un grado diverso di estensione e quindi di eccellenza intrinseca. Dalle forme della simpatia, pietà, gratitudine, amore, affetti domestici, amicizia, patriottismo, l'affetto benevolo si eleva gradatamente fino all'amore verso l'umanità in generale, spo- gliandosi mano mano degli elementi impulsivi, violenti, egoi- stici per raggiungere uno stato di calma determinazione verso il bene di tutti (2). La ragione non spiega un'attività sua propria nello sviluppo della vita morale ; essa deve solo con- (1) Le opere principali di Hntoheson sono: An Inquiry into the Ori- ginai of our ideas of Beauty and Virtm (1725-26), e qneUa postnma edita dal figlio dell' A. nel 1755 : A System of Maral Philosophy, Ci siamo valsi dì qaest'alttma peU'edizìone francese del 1770. (2) Cfr. Sy steme, voi. I^ lib. I, e. IV, ove tratta del «enso morale. Digitized by VjOOQ IC — 80 — ire e confermare sulle basi dell'osservazione e dell'espe- a le naturali manifestazioni del senso morale. Dall'eser- delle affezioni socievoli e disinteressate scaturiscono i ri più puri e durevoli, e deriva all'uomo il massimo : donde la perfetta armonia e corrispondenza tra virtù icità. Il senso morale come ci fa rilevare la bontà, così intuire il carattere del giusto nell'azione, carattere che ^ela nelle affezioni tendenti al bene generale; vien cosi nata la coincidenza tra bontà e giustizia, tra azione a e giusta in guisa che basta agire bene per agire giusto, me pertanto è il fondamento psicologico della morale e liritto. Ma se l'intenzione è condizione necessaria perchè :ione sia buona e giusta intrinsecamente (bontà aliate- ), per gli scopi e le conseguenze pratiche della condotta i, secondo Hutcheson, la bontà formale, ossia la confor- anche solo esteriore ai dettami del senso morale (1). ) spiega perchè Hutcheson passando dai principii teorici costruzione concreta di un sistema di norme etico-giu- fie si preoccupa sopratutto di assicurare la bontà for- come quella che più interessa la convivenza sociale: e scopo sostituisce al criterio soggettivo del senso mo- il criterio oggettivo del bene pubblico . per determinare oralità più propriamente la giustizia dell'azione, adot- ) il principio che divenne in epoca posteriore la base istemi utilitarii, ai quali prepara la formola (2). Preoc- to quindi del bene pubblico e della bontà formale, l'Hut- )n doveva insensibilmente esser portato a sacrificare alle nze giuridico-sociali, gli interessi della moralità propria- e detta : lo prova il fatto che nell'indicare le norme di Cfr. Op. cìt.y ibid.y lib. Ili, ove spiega i concetti di giustizia e di tizia^ di bontà materiale e formale, di diritto e di legge, di diritti ti e imperfetti. Ecco le parole precise di Hutcheson: « that action is best which res the greatest happiness for the greatest numbers » . Questa for- corrispoude a quella di Bentham. Digitized by VjOOQIC 1fVa«fr'J»K •?.!•"% - 81 - condotta esso segue il sistema e la classificazione dei giurisi anziché quella dei moralisti (1). Questo costante equivoco ti moralità e diritto si rivela ancora nella distinzione da li posta tra diritti (e quindi obbligazioni) perfetti e imperfetl di cui solo i primi sono assolutamente necessari alla vii sociale, e possono essere coattivamente imposti, mentre i s< condi giovano, ma non sono necessari al bene pubblico, e quin( devono essere sottratti alla coazione. Per ciò che riguarda 1 natura socievole dell'uomo, la formazione dello Stato, la te( rica della legge, THutcheson segue senza originalità Grozio Cumberland : con questi ammette l'esistenza di uno stato pf cifico di libertà originaria, sotto l'impero della legge di natur suggerita all'uomo dall'ordine dell'universo : i mali e perico inerenti a tale stato consigliano l'uomo a formare, secondo 1 teorica del contratto sociale, governi civili, retti da legf positive inspirate al bene generale, e destinate a favorire 1 virtù e il progresso morale (2). Per tal modo l'Hutcheso mentre vuol ricondurre ad unica fonte psicologica la moral e il diritto, è costretto suo malgrado dalle esigenze della vit pratica ad ammettere due criterii diversi di azione, il cr terio del senso morale particolarmente atto ad assicurare 1 bontà intrinseca dell'azione, il criterio dell'utile meglio r spondente alle necessità della vita reale (3). L'incoerenza di metodo e di principii è nell'Hutcheson d< terminata dalla indistinzione originaria tra morale e diritte nel suo sistema dovevano le conseguenze di tale indistinzion sopratutto rilevarsi in quanto fu suo scopo dare un sistem (1) L'osservazione è del Lavi osa, cfr.: « La filosofia scientifica d diritto in Inghilterra », Clansen, 1897; Parte I, p. 652. (2) Cfr. Systèmey ecc., Voi. I, lib. Ili, e. iv, ove tratta dello stato > libertà ; Voi. II, lib. II, in cui tratta del governo civile (e. iv), del co tratto sociale (o. v), delle leggi civili (e. ix). (3) Cfr. W. G. Miller, Laio of nature and nationa in Sootland, Edinbur 1896: saggio primo, p. 3-35 ove si tratta della filosofìa giurìdica del Scuola scozzese, e in particolare del sistema dell' Hutcbesou, 6 Digitized by VjOOQ IC -82 - condotta. Senonchè il fondamento ra capace di analisi ben più pro- lato della dottrina dell'Ha tcheson th, per opera dei quali la teorica lo deirosservaÉione psicologica ap- )lsero e si perfezionarono. 'Hutcheson nel campo delle scienze dell'Hume e dello Smith ed ebbe a a. La rivoluzione del secolo XVII ilterra la triplice trasformazione ja. Col trionfo del sistema paria- io, della libertà religiosa sull'in- a libertà economica sul protezio- Llismo sotto tutte le sue forme si dominio incontrastato. Nella Scozia storiche, la rivoluzione aveVa pre- antesimo contro il sistema episco- il trionfo della libertà nazionale da un lato, dell'intransigenza re- :ico dall'altro (I). La lotta politica luove energie commerciali e indu- ►cata da questioni religiose: epperò entrambi i paesi conseguita, essa pagnata e integrata dalla libertà necessario che l'annessione della enuta definitivamente nel 1707, e a rivoluzione, esplicassero i loro esse scuotere il giogo della super- , religiosa. Né deve far meraviglia III, proprio quando più fioriva lo storia del pensiero uomini come le loro dottrine, contrarie all'in- , non trovarono eco nella Scozia, M)«a, Torino, Boccs^, 1901, 1, e. iii, p. 166. Digitized by VjOOQ IC ^^^^ -68- mentre esercitarono grande influenza in Inghilterra, ove fu- rono apprezzate e discusse : secondariamente Tesser essi nati e cresciuti nell'ambiente scozzese spiega le caratteristiche del loro intelletto, e sopratutto la natura del metodo seguito, che «fu essenzialmente deduttivo e contrario all'induzione em^ pirica dominante in Inghilterra. Vedemmo l'Hutcheson trarre dal postulato indimostrabile del senso morale tutto il suo sistema filosofico: analogamente fece lo Smith movendo dalla simpatia: l'Hume fu avversario dichiarato dell'indirizzo ba- coniano, e subordinò costantemente il fatto all'idea (1). Speciale importanza hanno l'Hume e lo Smith in ordine alla determinazione del rapporto tra morale e diritto: per opera loro il problema si avviò verso una soluzione che fu sotto molti aspetti notevole e decisiva. 43. — L'osservazione empirica della natura umana confer- mata dall'esperienza fece convinto l'Hume che esiste un'attività interiore originaria e istintiva, il senso morale che determina all'azione, e che la ragione può solo regolare ed esplicare. L'Hume non si preoccupò tanto dì studiare direttamente questa facoltà innata dell'uomo e di penetrarne la natura, quanto piuttosto di rilevarne gli effetti e le manifestazioni oggettive e soggettive. L'azione determinata dal senso morale, ossia l'azione virtuosa è oggettivamente utile, soggettivamente piacevole: perciò il giudizio sulla moralità dell'azione, il mo- tivo dell'approvazione e disapprovazione morale, la determi- nazione di ciò che l'Hume chiama il merito personale si ri- solvono oggettivamente nella valutazione del grado di utilità inerente all'azione, soggettivamente nell'intensità del piacere provato. Né si creda che l'Hume limiti le manifestazioni del senso morale all'utile e al piacere individuale : egli riesce a ge- neralizzare e ad umanizzare i concetti dell'utile e del piacere mediante la simpatia, per la quale ciò che è solo utile ìndi- ci) SaUe condizioni politico-sociali della Scozia in quest'epoca e sopra- ttutto si^l ci^rattere della filosofia scozzese cir, i} Btickle, Op. cit» 9, xx, Digitized by VjOOQ IC e piacere soggettivo e variabile diventa utile generale e comune. Il senso morale e la simpatia vengono per tal costituire i motivi psicologici della morale dell'Hume, l'utile e il piacere in senso largo ne costituiscono le ma- ioni e i criteri di valutazione pratica e immediata. Ma l'minatezza di tali concetti allarga oltre misura il campo 3rale fino a comprendere in essa, secondo il concetto ;uttociò che è naturale : il dissidio dell'etica cristiana ihe è utile e piacevole e ciò che è razionale e morale, tra ha carattere obbligatorio e ciò che è meramente spon- istintivo è pressoché scomparso nell'etica di Hume. Pochi come Hume hanno inteso e accentuato la distin- a morale e diritto. L'Hume non era solo filosofo ma ippassionato, e autorevole parve ogni qual volta emise rere sopra questioni economiche, politiche, religiose (1). e e diritto non hanno comunanza di origine, di natura, >. Mentre la morale si svolge dall'intima costituzione tura umana, la giustizia si origina per riflessione dalle ì della civile convivenza. La giustizia non può conciliarsi ito di natura quale era descritto dall'Hobbes, che la resa impossibile, e neppure collo stato di natura imma- ni Rousseau, che l'avrebbe resa superflua; essa si svolge lente colla convivenza sociale, nella quale essa tende to a garantire la proprietà privata. La morale si svolge riduo, e alla felicità dell'individuo intende: i suoi pre- nno carattere di spontaneità e di indeterminatezza, 3lli che si fondano sul senso morale, proprio di ciascun e di natura misteriosa. La morale si vale essenzial- jlla cooperazione dei singoli, e le fasi del suo progresso rapporto col grado di sviluppo e di perfezione rag- agli individui. La giustizia non trae origine dal sen- 'anno prova le sue notevoli opere storiche, e i saggi namerosi )ta, suUa bilancia commerciale, sul credito, snU' interesse ecc., noto saggio : The Triturai hUtory oif religion» Digitized by VjOOQ IC iimento ma dalla ragione: essa ha costantemente di mira l'interesse del tutto, alla cui stregua e non a quella dell'in- dividuo le sue norme devonsi valutare e giustificare. Frutto di calcolo e di riflessione, imposte dalla necessità della con- vivenza, le norme di giustizia costituiscono altrettanti attentati alla libertà e felicità dell'individuo; quindi mentre sono coat- tive, devono essere al minimo ristrette, precise, determinate. Le norme morali sono come le pietre ciascuna delle quali concorre all'erezione dell'edificio; le norme di giustizia sono come la volta che sta per la mutua cooperazione di tutte le sue parti non per l'azione isolata delle singole pietre che la compongono. La natura stessa della giustizia rende inevitabili gli Stati e i governi, che la conquista e l'usurpazione più che il consenso fanno sorgere, e che l'azione del tempo e il con- solidarsi degli interessi finiscono per legittimare (1). La figura di Hume ha un'importanza notevole nella storia delle idee morali e giuridiche dell'Inghilterra: egli riassume per molti aspetti il passato e prelude a nuovi indirizzi di pen- siero. Concorda coU'Hobbes e col Locke nel rilevare il carattere razionale o convenzionale delle norme di giustizia: con Hut- cheson difese la morale del sentimento contro gli Intellettua- listi : nel ridurre al minimo l'azione dello Stato, nel restringere la giustizia alla difesa della proprietà egli subì l'influenza dell'individualismo dominante all'epoca sua in Inghilterra: nell'importanza data ai concetti della simpatia e dell'utile apri la via da un lato allo Smith dall'altro lato al Bentham. Sintomatico per il metodo è il dispregio che Hume ebbe pei fatti (2), a cui raramente fece ricorso per confermare le sue (1) Le dottrine etico-giuridiche deU' Hume sono contenute particolar- mente nei seguenti saggi : 1) e An inquiry concerning the principles of morals »; 2) « Of the origin of goyerument »; 3) « That polìtìcs may be reduced to a scìence »; 4) « Of the first principles of government »; 5) « Of the originai contract ». (2) Questa è la ragione per la quale THume fu ingiustamente severo nel giudicare Bacone* Cfr. Ektory ofEngland, Lond» 1789 t« vi, p. 194-19d« Digitized by VjOOQ IC ai quali ad ogni modo riservò un posto secondario e aato alle idee. L'eccezionale acume e potenza d'intel- rmise all'Hume di intuire il vero, e di trarre da' suoi lì conseguenze non contradette dai fatti (1): per lui la la religione, il diritto hanno un corso naturale, che me solo può determinare, e che spesso contraddice alla storica (2): determinare questo corso ideale delle cose Ito precipuo della filosofia. - L'analisi dei sentimenti in quanto sono stimoli all'o- umano fu con larghezza e originalità di vedute conti- la un terzo grande pensatore scozzese. Adamo Smith, isse con metodo deduttivo tutta la sua dottrina eco- dall'esame dei sentimenti egoistici, cosi come fece dei inti altruistici o simpatici la base della vita morale. > oeconomicus da un lato, l'homo eihicus dall'altro secondo lo Smith, a movente dell'azione sentimenti Moral sentiments e Wealih of nations anziché con- 5i, come vogliono alcuni, si completano a vicenda e )no due esempi insuperabili di astrazione psicologica a con logica geniale e rigorosa (3). mpatia è un sentimento originario e irreducibile dei- associato. Essa consiste in un accordo di sentimenti, accordo ha luogo in noi, quando i sentimenti che agnano l'azione nostra si accordano coi sentimenti di 30sto spettatore imparziale, che si erige a giudice in provano le sne affermazioni geniali e confermate dagli stadi pò- iiU' origine deUe religioni e dei governi, sulla condizione deU'uomo 1^ sai fenomeni economici ecc. a deUe opere pili originali di Hume è The naturai history of re* cui arriva alla conclusione vera che il politeismo ha preceduto n monoteismo : la prova però che ne dà è essenzialmente teorica ca. le osservazioni del BUckle, Op. cit. e. xx, sul metodo seguito th, e sui caratteri della sua filosofìa. Cfr. anche Lange, Histoire aliarne f Paris, 1879, Voi. ii, p. 684-685. Lo Smith pubblicò The moral sentiinente nel 1759 e nel 1776 pubblicò Wealth of nations. Digitized by VjOOQ IC 'i«^r: noi di noi stessi ; ha luogo fuori di noi quando il nostro sen- timento si accorda coi motivi e col l'intenzione dell'agente da un lato, coi sentimenti della persona che è termine dell'azione dall'altro (1). L'Hume fece scaturire la simpatia dalla consi- derazione degli effetti utili e piacevoli dell'azione : non tenne conto dello stato emotivo proprio di chi compie l'azione e di chi la riceve. Lo Smith più che agli effetti esteriori dell'azione rivolse la sua attenzione al sustrato psicologico dell'azione stessa, e distinse nettamente la simpatia diretta o soggettiva coi motivi e l'intenzione dell'agente, la simpatia indiretta o oggettiva collo stato d'animo della persona a cui l'azione si riferisce. Dire che un'azione è conveniente o sconveniente, buona o cattiva, significa solo simpatizzare o non simpatizzare colla causa o coi motivi che determinarono l'agente a com- pierla. Questo senso di simpatia diretto che nel giudicare l'azione nostra o di altri jion tien conto delle conseguenze dell'azione, ma dell'accordo di sentimenti di chi giudica im- parzialmente l'azione e di chi la compie costituisce il dominio proprio della morale (2). 46. — Il fondamento psicologico della giustizia, che Hume . aveva disconosciuto facendo della giustizia opera esclusiva della riflessione e della ragione, deve ricercarsi nella simpatia indiretta o oggettiva, cioè nella simpatia che nasce dalla cor- rispondenza coi sentimenti di chi è termine dell'azione. L'azione benefica o dannosa fa simpatizzare col beneficato col danneggiato e desta in questi e negli spettatori impar- ziali un senso di gratitudine o di risentimento verso l'autore. In questo impulso retributivo, in questo stimolo al contrac- cambio, che dalla persona interessata si diffonde a quanti contemplano imparzialmente l'azione, noi troviamo la ragion d'essere del merito e del demerito, del premio e della pena, (1) Cfr. Theory ecc., Parte i, Seo. i, e. i. (2) Lo Smith tratta della simpatia diretta o soggettiva nella Parte t dell'opera sua; in occasione dei giudizi sulla proprietà delle azioni. Digitized by VjOOQ IC «^ 88 ^ ^^"^i^mm erio per distinguere le azioni beneficile é le Le manifestazioni della beneficenza sono posi- mo limite nella loro esplicazione: il senso di lanifesta sopratutto negativamente quando cioè )voca la reazione e la pena. Le azioni che non danno né vantaggio, che non meritano né premio destano né simpatia né antipatia, o in altre pa- Ltudine né risentimento, costituiscono la classe giuste, in quanto rivelano in chi le compie il intimento di giustizia, ma non l'animo disposto 1). Smith che il senso naturale di simpatia può ,to (2). Non sempre noi siamo in condizione di idici imparziali e sereni delle nostre azioni: le itutto tendono a corrompere il nostro giudizio e Lizzare con motivi d'azione non degni di appro- ?o canto nel giudicare le azioni da altri compiute, 3re tratti in inganno dai risultati meramente ?imii dell'azione, dall'utile o dal piacere che ne are. Non é a credere che lo Smith disconosca li questi elementi estrinseci dell'azione: é prov- e l'utile e il piacere da un lato, il successo tino simpatia, e costituiscano un criterio pratico ila bontà dell'azione: ma tali elementi devono lostri giudizii, nel regolare la simpatia un posto secondario (3). re la serenità e imparzialità dei nostri giudizii e il demerito dell'azione, si rendono pratica- )atia oggettiva lo Smith tratta nella Parte ii Op. cit. in itinieuto di merito o demerito deUe azioni. Sui rapporti ) giustizia y. Op. cit. parte ii, sec. ii^ e. 1-3. ò del traviamento del senso di simpatia, cfì*. parte ii, parte in, e. 4. 3naa dell'utilità sul sentimento di approvazione, v. Op« Digitized by VjOOQ IC -8à - inente indispensabili norme generali direttive. Queste norme, che resp3rienza ripetuta, non l'intuizione, ha suggerito, si presentano con caratteri e natura diversa, secondochè ten- dono a regolare i'esplicarsi dell'attività benefica, oppure sono dirette a impedire le lesioni del senso di giustizia: le une non escono dal campo della morale, le altre hanno carattere pro- priamente giuridico. La natura della beneficenza è tale che non si presta ad essere ridotta in formole precise e minute : il suo campo è illimitato, opperò la norma che ne regola l'esplicazione non può che esser vaga e indeterminata. D'altro canto il carattere negativo della giustizia, ne restringe il campo di esplicazione : le sue norme segnano i confini oltre i quali l'at- tività dell'individuo, esplicandosi, lede il senso della giustizia: pertanto devono essere precise, chiare determinate. Per ser- virmi del paragone dello Smith, le norme di giustizia sono come le regole di grammatica, poche, precise, determinate: le norme di beneficenza hanno l'indeterminatezza e l'elasticità propria delle regole del bello scrivere che ninno può precisare e costringere in poche formole. L'osservanza delle norme generali, sieno esse di beneficenza di giustizia, è condizione di benessere e di sicurezza sociale. Ma nulla è più contrario alla natura della beneficenza della coazione: essa vive di libertà, di spontaneità. Per quanto possa desiderarsi che i vincoli sociali traggano forza e con- sistenza dall' affetto e dalla mutua assistenza, l'esercizio delle virtù benevole può consigliarsi ma non coattivamente imporsi. Ma se l'osservanza delle norme di beneficenza è condizione di perfezionamento e di prosperità della vita sociale, l'osservanza delle norme di giustizia è condizione di esistenza: la vita sociale è possibile anche se i rapporti tra i suoi membri, a somiglianza dei rapporti che sorgono tra i membri di una so- cietà commerciale, non sono regolati dalla beneficenza, ma da mere considerazioni di interesse: ma senza le norme della giustizia si rende inevitabile la dissoluzione sociale, Che se sj Digitized by VjOOQ IC tien conto della naturale debolezza dei vincoli sociali di fronte alla forza degli stimoli egoistici, si comprende come solo colla coazione e con un ben regolato sistema di pene si può garan- tire l'osservanza delle norme di giustizia, che rappresentano il minimum di sacrificio individuale che la vita sociale richiede per sussistere. Nei rapporti colla vita sociale, dice lo Smith, lo norme di giustizia stanno alle norme di beneficenza, come in un edificio il muro maestro sta alle decorazioni (1). Mostrò peraltro lo Smith di avere della giustizia un concetto non esclusivamente negativo : egli osserva che nello stato di natura, cioè anteriore alla società costituita civilmente, tutti essendo eguali, la giustizia non può avere che un significato s erettamente negativo: ma nelle società civili in cui abbiamo distinzioni di classi, in cui abbiamo superiori e inferiori, l'a- zione dei governanti non deve solo esplicarsi nel senso di impedire Vivjuria, ma deve promuovere la prosperità morale dolio Stato imponendo norme positive di vera beneficenza. Se- nonchè, osserva giustamente lo Smith, l'azione del legislatore nel campo riservato alla beneficenza, quando non sia prudente . e illuminato, costituisce un grave pericolo per la libertà, la sicurezza, la giustizia (2). Rimprovera lo Smith agli antichi di avere esteso l'indeter- minatezza propria delle norme morali alle norme riferentisi alla giustizia. Nel difetto opposto incorsero^ i casuisti medio- evali nello sforzo fatto di sottoporre a regole minute e compli- cate tutti gli atti della vita morale e giuridica degli individui. I cultori del diritto naturale nel determinare le norme da im- porsi coattivamente invasero bene spesso il campo riservato alla morale. In tutti lo Smith nota la deplorevole coufusione tra norme morali e giuridiche, il disconoscimento dei criteri coi quali le une e le altre devono essere stabilite. Ammette (1) Cfr. suU' origine delle norme morali, op. cit.. Parte III, e. 4 : sai caratteri di tali norme, sui rapporti tra norme di beneficenza e di giustizia: op» cit., Parte III, e. 5-6. (8) Cfr, Op. cit., Parte II, Seo. II, o. 1. Digitized by VjOOQ IC - &1 -^ atìcóra lo Smith la ragiofle d'essere del diritto naturale, ÓSàia di un complesso di norme generali e costanti, capaci di fornire una meta ideale alle leggi positive (1). . La dottrina dello Smith è un capolavoro di analisi psico- logica condotta con metodo deduttivo. Per la prima volta ve- diamo la questione dei rapporti tra morale e diritto risolta al lume della psicologia. L'aver fatto astrazione dagli elementi egoistici concorrenti nell'operare umano, giovò a mettere in rilievo gli elementi altruistici o simpatici, di cui vivono sopra- ttutto i rapporti morali e sociali, ma giustificò l'accusa di unila- teralità opposta alla sua dottrina. L'analisi della simpatia ne avrebbe certo allargato la base, non essendovi dubbio che a costituire la simpatia concorrono pure elementi egoistici. Ma il difetto maggiore della teoria dello Smith, difetto che nel de- terminare 1 rapporti tra morale e diritto si rende più evidente, è l'assoluta mancanza della veduta storica, la quale se non poteva distruggere le sue affermazioni psicologiche, avrebbe giovato certamente à completarle e ad estenderle. 47. — Il progresso delle scienze morali dall'Hobbes allo Smith fu sotto ogni riguardo notevole : esso fu parallelo alla trasfor- mazione economica, politica, religiosa che in Inghilterra si andò attuando nei secoli XVII e XVIII. Hobbes e Locke inte- sero sopratutto a emancipare le scienze morali dalla teologia e trovare loro un fondamento nuovo : al principio divino con- siderato dalla filosofia tradizionale come fonte di moralità, l'uno sostituì la volontà del principe, l'altro la legge di na- tura, elaborata dalla coscienza popolare e che si concreta in legge civile e in legge del costume. I filosofi scozzesi affer- marono il fondamento psicologico delle scienze morali, deri- vandole dal senso morale e dalla simpatia. Ad essi dobbiamo i primi tentativi fatti per distinguere la morale dal diritto. (1 Notevole a questo riguardo la Sez. IV, Parte VII, Op. cit., circa i metodi seguiti dai diversi scrittori nel determinare le norme pratiche di moralità. Digitized by VjOOQ IC - 92 - L* Hobbes e il Locke non intesero l'importanza teorica e pira- tica di tale distinzione. Le condizioni economiche e politiche dell'Inghilterra richia- marono su di essa l'attenzione. L'invasione dello Stato o meglio del principe nel campo riservato alla moralità, cosi come nel campo dei rapporti economici, era norma dominante nel se- colo XVIL La riforma protestante, lungi dallo scuotere, aveva riaffermato tale principio. L'autorità civile in Inghilterra as- serviva a sé la religione, mentre in Scozia ne era asservita. In entrambi i casi il risultato era identico, il disconoscimento (li ogni distinzione tra norme morali e giuridiche. Il movi- mento individualista che si diffuse in Inghilterra nei secoli XVII e XVIII rappresenta la reazione contro le indebite in- gerenze dello Stato nei rapporti economici, religiosi e morali, la difesa di ciò che parve patrimonio intangibile dell'indi- viduo. La discussione circa i limiti del potere dello Stato nei suoi rapporti coll'individuo, doveva teoricamente presentarsi come questione concernente i rapporti tra morale e diritto, e cosi fu intesa e trattata dall' Hume e dallo Smith. L'Hume fa aperto avversario dell'invasione dello Stato nel campo dei rapporti non solo economici, ma anche morali: secondo lui l'azione dello Stato non deve esplicarsi che negativamente e solo a difesa della proprietà, alla quale riduceva il con- tenuto del diritto. A questo poi negava ogni origine psi- cologica, limitandosi a giustificarne l'esistenza dal punto di vista razionale e della necessità sociale. Lo Smith con veduta più larga e scientifica ricerca nella natura stessa dell'uomo un criterio di distinzione tra morale e diritto : Vimpulso re- tributivo mentre provoca il senso di gratitudine verso l'azione benevola, giustifica psicologicamente la reazione verso l'azione ingiusta: né deve, secondo lui, l'azione dello Stato manife- starsi in senso esclusivamente negativo, ma deve in deter- minate circostanze, per quanto cautamente e colle dovute ga- ranzie, potersi estendere a favorire il progresso morale. Se- nonchò la storia posteriore delle scienze morali abbandona Digitized by VjOOQ IC l'indirizzo psicologico perfezionato dallo Smith, per riattaccar all'Hume, il quale, avendo posto a criterio misuratore del bei e del male, del giusto e dell'ingiusto il concetto dell' util schiudeva la via a Bentham e all'indirizzo utilitarista. Ti le cause di tale arresto devesi ricordare il metodo deduttr seguito dallo Smith nell'indagine psicologica, metodo che i chiedeva qualità personali di astrazione e di sintesi, poss dute in grado eminente dallo Smith, ma non facili a riscoi trarsi in altri. Si aggiunga che alle esigenze della prati- parve meglio rispondere il criterio oggettivo dell'utile, ci teneva conto delle conseguenze dell'azione, che non i crite soggettivi fondati sui moventi psicologici o interiori dell'azioE Che se la dottrina morale dello Smith per tali ragioni non e venne popolare, ed esercitò scarsa influenza all'epoca sua confronto alla dottrina utilitaria, essa però al risorgere de^ studi positivi di psicologia, fu in molte sue parti conferma e apprezzata al suo giusto valore. Che se vogliamo stabilire un parallelo tra la scuola d diritto naturale in Germania, e quella empirica inglese in o dine alla questione dei rapporti tra morale e diritto, noi tr veremo che in entrambi i paesi essa fu provocata dalla n cessità di difendere l'individuo contro l'ingerenza dello Sta in materia di morale e di religione. Il movimento culmina Germania col Thomasius, in Inghilterra con Hume e Smitl senonchè là le resistenze furono maggiori, la questione fu sopr tutto sollevata e con grande calore discussa dai giureconsu! allo scopo di salvaguardare la libertà morale e religiosa, ment irf Inghilterra l'invasione dello Stato fu sopratutto combattu in favore della libertà economica. Ad ogni modo il risulta finale fu in entrambi i paesi di mettere in rilievo l'import an: teorica e pratica della questione. Digitized by VjOOQ IC §5. Vlf>^itlxzo cmtt^mimtio ideile sclei^ze ff|otall. SOmiABIO : 4& CftrtMlo • Tepoca ioa - 49. Cutesio • 1« loianM morali — fio. Ma1«branoh« • V indiriuo ■piritaalitta-oartMÌano nella soienae morali — 61. L'Olanda a il ■iitama atico-ciuridioo di Spinosa — S2. Le oondiaioni poli- tloha • rali^oM dalla Qar mania nal leoolo XV^II — 63. La dottrina etico- giuridica di Leibnia — 64. L'opera metodica del Wolff — 66. Parallelo tra l'indiriaio flloeoflco e ginridico nelle loienae morali. 48. — Chiunque voglia ricercare le origini prossime dei metodi e indirizzi diversi che si riscontrano nel campo delle scienze morali dell'età moderna, deve risalire al secolo XVII e precisamente ai tre paesi che di tali indirizzi furono i centri di origine e di sviluppo: l'Olanda, l'Inghilterra, la Francia. Dove la riforma religiosa gettò più profonde radici, dove le mutate condizioni economiche affrettarono l'avvento dello Stato moderno, ivi si svolse vivace l'opposizione allo spirito teologico, e le questioni d' indole morale e politica sor- sero numerose e insistenti. La Riforma non impedi anzi per molti riguardi accentuò V intransigenza religiosa (1): le guerre religiose divamparono ovunque con questo solo risultato di rendere necessario l'intervento spregiudicato dello Stato, e di far sentire il bisogno di dottrine politiche e giuridiche dapprima, morali poi, indipendenti da ogni presupposto Teli- gioso. Col comporsi delle questioni religiose l'attenzione fu rivolta allo Stato e ai rapporti sorgenti tra Stato e individuo: gli interessi morali e giuridici vennero per tal modo ad oc- cupare il primo posto. Questo processo storico, comune a tutti i paesi nei quali penetrò la Riforma, si manifestò prima che altrove in Olanda, Inghilterra, Francia: in questi paesi abbiamo con Grozio, con Bacone, con Cartesio i fondatori dei nuovi indirizzi di pen- siero, dei quali alcuni, come quelli di Grozio e di Hobbes (l) Cfr. Ifuffini, Op. cit. I, e. 1, J 5, Digitized by VjOOQ IC ■* «n^;v;^r--jV' " - 95 ^ farono direttamente determinati dalla necessità di trovare un fondamento nuovo alle sciènze morali, mentre quelli di Bacone e di Cartesio, mirando a un generale rinnovamento del metodo e del sapere jOilosofico, solo indirettamente sovvertirono le basi ti'adizionali delle scienze morali. La Francia in particolare fu per oltre quarant'anni teatro di sanguinose lotte religiose: la vita politica e intellettuale del paese parve subire un arresto: più che la forza dell'armi valse a predisporre gM animi alla conciliazione e alla tolle- ranza lo scetticismo morale e religioso, che s' impadroni degli animi stanchi e disillusi, e che rappresenta la reazione inerte del buon senso, dello spirito laico e liberale contro il dogma- tismo religioso, cattolico e protestante. Privo di ogni carat- tere scientifico e ricostruttivo, tale scetticismo scaturiva dalla impotenza, dalla sfiducia nella capacità intellettiva, e si svolse sopratutto nel campo pratico per opera di quei cattolici mo- derati, chiamati i Politici che formatisi tra l'intemperanza e l'intransigenza dei partiti, furono efllcaci cooperatori della politica illuminata e tollerante di Enrico IV. Rappresentanti di questo scetticismo pratico e popolare furono il Montaigne e lo Charron : essi non si fecero banditori di metodi e sistemi nuovi, ma entrambi, e sopratutto lo Charron in forma garbata si fecero a sostenere principii che in quell'epoca dovevano sembrare rivoluzionarli, quali ad esempio che l'errore reli- gioso non costituisce reato, che le opinioni religiose sono il prodotto dell'abitudine, che le differenze che dividono intorno ad esse gli uomini sono puramente formali, che è possibile la morale senza il fondamento religioso. L'aver fatto buon viso a quéste idee, l'esser stati i loro autori letti e apprezzati prova non tanto che i tempi erano maturi per accogliere tali principii, che lo spirito irreligioso e l'ateismo fossero diff*usi, quanto piuttosto la stanchezza e l'impotenza degli animi a reagire contro il diffondersi di tali idee che trovavano nella storia dolorosa e recente qualche conferma. Ad ogni modo se tala scetticismo non ebbe alcuna importanza teorica, ne ebbe Digitized by VjOOQ IC 'VlOTQH una grande pratica: esso preparò quello stato degli animi che ;e possibile il trionfo di Enrico IV, l'Editto di Nantes, e a politica inspirata non agli interessi religiosi, ma civili e itici del paese. La politica di Enrico IV fu elevata a sa- mie sistema dal Richelieu, di cui fu meta costante T inte- nse dello Stato inteso come espressione dell'unità nazionale 'interno, come preminenza assoluta di fronte all'estero, olto da ogni preoccupazione di classe, di religione, di mo- e, umiliando all'uopo la nobiltà, reprimendo i tentativi di lellione dei protestanti, facendo della tolleranza la base ila politica. Al Richelieu deve la Francia nel secolo XVII sua grandezza politica, il consolidamento dell'unità hazio- le, il risveglio intellettuale. Ed è degno di nota che proprio andò la politica del Richelieu aveva toccato il massimo iluppo, appariva il « Discorso sul metodo » di Descartes, de- nato a produrre nel campo filosofico effetti analoghi a quelli eseguiti dal Richelieu nel campo della politica. Il successo e l'opera di Cartesio incontrò in Fi*ancia, quando l'eco delle te religiose non era ancor spenta, dimostra il progresso delle je; al dubbio pratico sterile e vano sottentrava il dubbio iagatore e scientifico (1\ 49. — L'influenza di Cartesio nella storia delle scienze >rali supera per molti riguardi quella pur tanto notevole ircitata da Grozio e da Bacone. A tutti fu comune l'av- rsione verso i metodi e i sistemi tradizionali e teologici; L se Grozio fu sopratutto preoccupato di sottrarre alla in- enza della religione il fondamento del diritto e contrappose metodo teologico il metodo storico-razionale che alla so- done delle controversie giuridiche mostravasi particolar- jnte adatto, Bacone, fatto audace dai progressi mirabili Ila scienza, fu condotto a proclamare la generale trasfor 1) Cfr. suUe vicende religiose in Francia il Kuffini, Op. cit., I, [V, § 15. — Sulle condizioni storiche deUa Francia U Bnckle, Op. cit., Viil# Digitized by VjOOQ IC - 97 - mazione ^el sapere filosofico e scientifico, sulla plicazione del metodo induttivo. Ma quel dualism e materia che costituiva l'essenza della filosofia e che Bacone aveva attenuato nell'unità del met( risorge per opera di Cartesio, la òui dottrina se della metafisica manifesta evidente la tendenza lismo, cioè verso l'unità di tutte le cose nello sp mantiene netta la distinzione tra materia estesa appare essenzialmente dualistica nel metodo e nel ( L'aver accentuato questo dualismo permise a Ci ad altri del suo secolo, di essere ad un tempo file ziato: a tale dualismo provvidenziale devesi se ( volando sul rapporto" tra il mondo psichico e il rale potè trattare con metodo soggettivo i fatt accogliere nello studio della natura un metodo duttivo, che si avvicina assai più di quello di Bz processo seguito da chi studia la natura (2). Secc la causalità domina sovrana nella natura fisica ( questa esula ogni .concetto di finalità: tutto v forza di proprietà immanenti nei corpi e secondi riabili, che la scienza deve determinare non eh particolare al generale, come proponeva Bacone, tosto alle cause reali dei fenomeni, ma piuttostc corso ad ipotesi da controllarsi coU'esperienza (: L'originalità e l'importanza di Cartesio più eh delle indagini scientifiche, si esplicò sopratutto ne (1) Cfr. La vi osa, Filosofia scientifica del diritto in Tngh Claiison, 1897, p. 7. (2) L'osservazioue e la denomiuazione di metodo ipotet del La Ugo, Histoire du matérialismef Paris, 1877, Voi. I, mazioiitì dui Lauge è vera e trova couferma in alcaui pai sul Metodo; ma dove completarsi col metter in rilievo il diverso che lo stesso Cartesio proponeva per lo stadio dt e che i>nò considerarsi psicologìco-deduttivo. (3) Sotto questo aspetto Cartesio cooperò efficacemente materialismo. Cfr. Lange, Op. cit., Voi. I, p. 222 e seg Digitized by VjOOQ IC - 98 - sofico. Le scienze dello spirito, di cui le scienze morali erano parte integrante, all'epoca di Cartesio continuavano a mante- nere stretti legami colla teologia. In questa parte Bacone fu e rimase per lungo tempo nell'Inghilterra stessa un solitario. K La filosofia che si svolse in Inghilterra sulle traccio di Hob- bes, con tendenze essenzialmente pratiche, rifletteva troppo / strettamente il carattere e le speciali condizioni politiche e k religiose del popolo inglese per incontrare favore sul conti- <] nente. Spettava a Cartesio l'onore di avviare per vie nuove le scienze dello spirito e assicurarne l'ulteriore sviluppo. Contro t;' la rivelazione, la tradizione, l'esperienza dei sensi e del mondo f esterno che da secoli costituivano le fonti di conoscenza del I mondo interiore, Cartesio oppose non la negazione^ ciò che ^' sarebbe stato per que' tempi prematuro e pericoloso, ma un 1;, concetto a lunga scadenza assai più dissolvente, il dubbio. Du- I bitando di tutto il sapere per tali vie acquisito, isolandosi da |; quanto poteva disturbare il processo di introspezione, Cartesio p^ arrivò a scovare nel profondo della coscienza alcune idee u chiare e distinte, resistenti al('analisi, rivestite della più ri- fi gorosa evidenza, costituenti i veri primarii, assoluti, le pre- ( messe indiscutibili, da cui le scienze morali devono potersi |- dedurre logicamente. Per tal modo mentre il vero razionale tt nella natura è solo ipotetico e costituisce base incerta di de- £ duzione se non è confermato dalla esperienza, per le scienze fc dello spirito le idee chiare e distinte, risultato dell'osservazione l' psicologica, contengono una verità infallibile, sono la base ^ salda del sapere: la verifica sperimentale nulla può aggiun- fc gere a ciò che si rivela logicamente necessario. Erroneamente f: da alcuni si proclama Cartesio il fondatore e il legislatore ^r del metodo razionale : il suo metodo fu essenzialmente psico- h logico-deduttivo: per lui la ragione è un mezzo, non la fonte della conoscenza : egli non trasse, come fecero poi i raziona- listi, il sapere dalla ragione, ma mediante la ragione dall'osser- vazione psicologica. Facendo dell'Io vivo e reale, non astratto, g^fferniato con processo iatrospettivo, la base delle scienza mo- Digitized by VjOOQ IC — 99 - rali, Cartesio si distingueva ad un tempo dai teologi e dai razionalisti, di cui gli uni ne cercavano il fondamento fuori dell'uomo nel principio divino, gli altri nella ragione o in un principio puramente razionale. Dovere e diritto, anziché in un mondo sopranaturale, venivano, secondo Cartesio, a trovarsi in una sfera ideale comune, superiore alla materia, sottratti alle necessità naturali e all'impero della causalità. Come Lutero col proclamare il libero esame intendeva ricondurre il sentimento religioso dall'esterno nell'intimità della coscienza, cosi Cartesio, obbedendo suo malgrado alle tendenze indivi- dualistiche dell'epoca sua, riconduceva l'uomo in sé stesso agli effetti delle scienze morali e lo incitava a trarre da sé medesimo il motivo del suo operare (1). Con Cartesio l'indi- viduo rivendica fieramente la sua autonomia, la sua libertà di pensiero e di azione; la via all'individualismo e al sog- gettivismo etico-giuridico era dischiusa, mentre il carattere di universalità e immutabilità che il presupposto teologico assicurava alla norma etica era comj)romesso : invano Cartesio avvertendo il pericolo .corse al riparo ripudiando il dubbio pratico, e dichiarando che agli scopi della vita morale bastano la rivelazione e le leggi divine e umane: ciò che nell'intenzione sua era una semplice rivoluzione teorica, doveva tramutarsi in una rivoluzione di fatto. Notevoli sono le conclusioni a cui pervenne Cartesio stu- diando l'uomo, nel quale il mondo dello spirito e quello della materia sembrano congiungersi, e che costituisce il centro da cui si svolgono e a cui si indirizzano le scienze morali. Tutte le manifestazioni psichiche dell'uomo si riducono per Cartesio alla funzione dell'intendere: la volontà, concepita libera e (1) Sotto questo aspetto deve approvarsi P affermazione del Lermìuier (Philosophie du droit, Bruxenes, 1832, p. 284) accolta dal Buckle, Op. cifc., e. vili, secoudo coi Cartesio fa U successore e il complemento di Lutero. Ciò scaturisce dallo spirito della filosofìa cartesiana, e il Lange, (Op. cife., Voi. I, p. 484), che combatte tale giudizio si lasciò forse traviare i\s\ì estrattore di Csi^rte^io tin^ido ed ossequente al dogm^.. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC - iOl - dividuo e nello Stato. Tutto faceva credere che la F*rancia fosse por attuare una trasformazione economica, politica, re- ligiosa, intellettuale, analoga a quella che si svolgeva quasi nella stessa epoca in Inghilterra. Ma tale illusione fu ben presto distrutta dagli avvenimenti che tennero dietro alla morte del Richelieu, e all'avvento al trono di Luigi XIV. 11 movimento tendente a rialzare il prestigio dello Stato e del- l'autorità regia, a favorire col processo di unificazione del paese l'accentramento dei poteri, si trasformò per opera di Luigi XIV in un sistema di governo dispotico e personale, apertamente ostile alle tendenze individualiste dell'epoca, alle generose e libere iniziative provocate dalla politica del Ri- chelieu. Lo spirito di fronda che commosse per qualche tempo la nobiltà fu vano ed effimero: lasciò indifferente il popolo, a cui faceva difetto qualsiasi coscienza politica per influire ef- ficacemente sulle sorti del paese. Il patronato regio, lo spirito l^rotettore largamente applicato in politica, in letteratura, in economia, in religione, distruggendo colla libertà politica la libertà di pensiero rese inevitabile il ritorno al passato anche nel campo delle scienze morali. Per ingraziarsi il clero cattolico e averlo cooperatore al suo sistema di governo. Luigi XIV si fece feroce persecutore degli Ugonotti, e sostenitore severo della ortodossia religiosa; ca- ratteri del suo regno furono l'intolleranza, la diffidenza verso ogni nuovo indirizzo di pensiero, il servilismo in tutte le sue forme, la consacrazione religiosa dello spirito reazionario e protettore (1). Distolti dallo studio dei problemi politici e ci- vili, gli intelletti francesi si abbandonarono con giovanile ar- dore alle dispute religiose e teologiche: le vecchie questioni metafisiche sulla predestinazione, sui rapporti di Dio col mondo, della libertà colla grazia, del premio e castigo colla morale, risorsero agitando gli animi per modo da provocare nel seno (1) Cfr. Sulla politica di Lnlgi XIV, le severe ma giuste osservazioni del BucklO) Op. cit., o. xi« Digitized by VjOOQ IC '^^«M - 102 ^ stesso del clero cattolico dispute vivaci e dissensioni profonde, alle quali si mantenne del tutto estraneo il popolo e il paese (1). Contro i Gesuiti, rappresentanti della tradizione tomistica e aristotelica, poco propensi alle speculazioni, contrarii a ogni eccesso in senso mistico o idealista, gelosi e vigili custodi del dogma, maestri insuperati nell'arte di conoscere gli uomini e di adattare il dogma alle mutevoli esigenze della vita reale, creatori di quella casuistica morale che è un vero monumento di opportunismo pratico, si levarono indirizzi diversi di pen- siero religioso, procedenti tutti dalla stessa fonte, dal misti- cismo, ossia dal bisogno di un sentimento religioso più intimo e intenso, non soffocato da un inutile e vano formalismo, meno vincolato alla realtà: di qui il favore concesso alle dottrine di Platone e di S. Agostino, il movimento giansenista, il quie- tismo di Fenelon, indirizzi tutti che si alimentavano di quanti avversavano il gesuitismo in politica e in morale, e il carat- tere ufficiale e nazionale della Chiesa (2). Tra i Gesuiti e gli aristotelici da un lato e le ribellioni in senso mistico dall'altro, si interpose Malebranche, a cui parve evitare gli errori in cui cadevano i mistici, temperandone gli ardori e gli eccessivi entusiasmi collo spirito cartesiano. Car- tesio in Malebranche diventa l'alleato di S. Agostino e di Pla- tone. La ragione impedita di esplicarsi in altri campi, si pone p3r opera del Malebranche a servizio del dogma e si raffina nel tentativo di razionalizzare le credenze e aprire nuove vie alla filosofia cristiana. Per temperamento, .per il carattere stesso della Congregazione dell'Oratorio (3) a cui apparteneva, (1) Cfr. Jodl-, Op. cit., Voi. I (1882), e. vili, 3 Abs., § 1-2. (2) Cfr. Sui rapporti tra la filosofia del Malebranche e gli altri indiriazi di pensiero dell'epoca, l'opera dell' Olle -Lap rune, La philosophie de Ma- lebranche, Paris, 1870, Voi. II, e. i. (3j La Congregazione dei Preti dell'Oratorio era stata approvata da Paolo IV, nel 1613, ed ebbe a fondatore il cardinale De BeruUe : ne' snoi statati, nel suo indirizzo si contrapponeva ai Gesuiti t in filosofia segniva Platone e S. Agostino. Digitized by VjOOQI^ f - 103 - Malebranche era portato all' idealismo e al misticismo : alla scuola di Platone e di S. Agostino, prima ancora di conoscere Ccirtesio, egli aveva attinto le sue convinzioni religiose e fi- losofiche. L'ammirazione e la riconoscenza ch'egli poi nutri profonda per Cartesio, si spiegano pensando che il metodo car- tesiano, introspettivo, psicologico, gli dava modo di ricercare nell'intimità della coscienza, là ove il sentimento e l'intui- zione dominano, il fondamento razionale di quell'unione di tutte le cose in Dio, di quell'azione incessante, universale, immediata di Dio col mondo, in cui egli credeva coll'entu- siasmo del mistico (1). Ragione e fede che Descartes e i ra- zionalisti dopo di lui tennero con gran cura distinte, in Ma- lebranche concorrono senza confondersi : entrambe sono fonte e criterio di verità, hanno eguale autorità: la fede origina il sentimento e l'intuizione confusa di quelle verità che solo la ragione rende chiare ed evidenti. I dogmi, come i fatti per la fisica, sono veri ma non evidenti, e devono essere dimostrati : ascoltare la ragione significa ascoltare Dio stesso, e i suoi re- sponsi in noi : veniva cosi Malebranche a recare un colpo mortale al principio di autorità, e anteponeva all'autorità di Aristotele e della Chiesa stessa l'autorità della ragione, ossia della coscienza chiara e distinta. Descartes aveva contrapposto il pensiero {mens) all'esistenza: Malebranche dal fatto del pensiero trae la necessaria esistenza degli oggetti pensati ossia delle idee, le quali non sono come per Descartes mere modificazioni e prodotti dello spirito, o immagini delle cose, ma conformemente alla dottrina platonica, sono l'archetipo di tutto ciò che può essere, hanno esistenza vera e reale, indipendente dalle cose a cui si riferiscono.. Il mondo materiale è l'ombra del mondo intelligibile, il quale solo ha valore e rappresenta la realtà vera. Tutte le idee si (l) Per una fedele e ampia esposizioQO del sistema filosofico del Male- branche si paò consultare l'Ollè-Laprune, Op. cit., Voi. I, e Henry Jol^i Malebranche, Paris, 1901. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC -- 1Ò5 - di ogni tempo a intendere e a risolvere la questione dei rap- porti tra morale e diritto. Per Malebranche Dio non è solo causa òubsistendi e ratio intelligendi, ma anche ordo vivendi. L'ordine universale e immutabile, quale procede dai rapporti di perfezione delle idee, è fondamento della morale: l'amore abituale di quest'ordine, che la ragione fa conoscere, costi- tuisce la virtù e implica la forza e la libertà del volere. L'Ìt deale morale dell'uomo sta nell'unione intima e costante con Dio: l'amor del prossimo, la società, lo Stato hanno un inte- resse derivato e secondario : la solitudine, la contemplazione, meglio che il vivere sociale, conducono all'ideale morale. Di diritti non può parlarsi, dacché la morale stessa deve servire a scopi mistici e religiosi. La distinzione tra morale e diritto, tra morale religiosa e profana, che si andava all'epoca sua accentuando colla separazione della Chiesa dallo Stato, cobti- tuiva per Malebranche il più grave pericolo per l'unità della vita morale, la quale poteva solo ristabilirsi, facendo di Dio il termine e il principio delle azioni umane. Ma quando il Malebranche esce dal campo cliiuso delle sue speculazioni per considerare la vita reale e la vede svolgersi in contraddizione all'ottimismo ideale del suo sistema, sull'e- sempio degli spiritualisti di tutti i tempi, ricorre alla solita finzione del peccato originale, ai soliti adattamenti e diventa pessimista come Hobbes. La vita reale rappresenta allora il regno del male e della forza irrazionale : le norme etico-giu- ridiche, deviate dal loro principio, devono piegarsi alle esi- genze imposte dalla sicurezza e dalla corruzione dell'umana natura (1). Distrutta l'unità della vita morale, si rende neces- saria la duplice direzione civile ed ecclesiastica. La Chiesa si vale a' suoi scopi della norma morale diretta al perfezio- (t) « La force o la loi des brutes, egli osserva, ceUe qui a deferé au lioii ^empire des auiinanx est deveune la maitresse parmi les hommes ». — £ altrove (Traité eoo,. Voi. II, e. xi, § 4) dice che la legge umana non è piii la legge vera, cioè la legge deUa ragione come non lo è il re« gelamento di un ergàstolo. Digitized by VjOOQ IC ^ lòé- namento interiore deiruomo ; lo Stato provvede al manteni- mento della pace e della sicurezza sociale per mezzo di norme giuridiche, dirette a regolare i rapporti esteriori di condotta. Il Malebranche vuole la Chiesa e lo Stato dipendenti da Dio, fonte di giustizia e d'autorità, ma liberi e indipendenti nella loro azione : edotto dagli avvenimenti dell'epoca sua, stigma- lizza come inutile e tirannica l'azione dello Stato diretta a imporre doveri religiosi, e a violare i sacri diritti della coscienza (1). Sostenere la libertà e l'indipendenza della Chiesa di fronte allo Stato, significa per Malebranche difendere la morale ossia la religione contro le esigenze del diritto, ossia contro il pre- valere degli interessi umani e civili. I rapporti tra lo Stato e la Chiesa si erano invertiti passando dal Medio Evo all'Evo moderno : nel Medio Evo lo Stato doveva difendersi contro le tendenze teocratiche della Chiesa: ma nei secoli XYII e XVIII il giurisdizionalismo minacciava cogli interessi religiosi anche quelli della morale. Il Malebranche nel combattere le illecite ingerenze dello Stato in materia di fede e di morale, cooperò inconsciamente a separare la sfera del diritto da quella della mo- rale, per quanto non concepisse questa disgiunta dalla religione. Né deve sembrar strano che il Malebranche trascurasse i rap- porti esteriori di condotta : accenna oscuramente e quasi di passaggio ai diritti naturali che il principe deve osservare, e a cui devono i cittadini far ricorso per trarre un criterio di condotta nei loro rapporti coi governanti (2), ma si astiene dal toccare le garanzie pratiche destinate a ottenere il rispetto dei diritti naturali : come francese del secolo di Luigi XIV non poteva dire di più ; come spiritualista preoccupato sopra- tutto degli interessi religiosi e morali, doveva consigliare in fatto di politica l'obbedienza e la rassegnazione. Questa dichia- (1) Cfr. Ti\ de Mot. y Parte II, e. vi. (2) Op. cit«, Parte II, e. ix. — £ sintomatico il fatto che Tespressione I diritti naturali » è sottolineata nel testo originale* Digitizedby Google | l'azione di impotenza, questo invito alla docilità passiva, l'indifferenza politica,'è carattere comune ai sistemi si tualisti, alla cui ombra il dispotismo prospera e le rivoluz si preparano. Il razionalismo posto a servizio del dogma, ebbe in M branche il più autorevole rappresentante : di qui la sua portanza e l'influenza esercitata sopra quanti cercarono l'età moderna di conciliare la ragione colla fede. In on alla questione dei rapporti tra morale e diritto, l'indirizzo Malebranche è sopratutto notevole in quanto affermand base religiosa della morale, non faceva che separarne vie] le sorti da quelle del diritto. L'unità delle scienze mora! Dio aveva nel Malebranche il valore d'una semplice affei zione teorica, che lasciava sussistere un dualismo inconc bile tra morale e diritto : su altra base, che non fosse h ligiosa, dovevano unificarsi le scienze morali, pur mantem distinti i loro rapporti. 51. — 11 Cartesianismo, per le riserve stesse del suo datore, non ebbe tanta importanza come dottrina quant ebbe come metodo. Il metodo induttivo, personificato in Ba( divenne il metodo proprio delle scienze naturali; il me Cartesiano parve invece costituire il procedimento pr< delle scienze filosofiche, ristrette oramai allo studio del m interno, ossia ai problemi riguardanti l'uomo e la societ Francia, all'ombra del dispotismo, il Cartesianismo, per e del Malebranche, si esaurisce nello sforzo vano di infoi nuovo vigore nei principii e nelle credenze religiose, e serva quel carattere soggettivo, che parve imprimergli il datore: in Olanda, sotto un regime di libertà, per opei Spinoza, esso riveste carattere oggettivo, e diventa capa nuovo sviluppo. L'Olanda occupa un posto notevole nella storia delle se morali: nel secolo XVII sopratutto fu centro di una viti litica e intellettuale assai intensa, tenne desta in Euro fiamma della libertà di pensiero e di culto, divenne 1 'Digitized by VjOOQIC - loà- provvidenziale ai perseguitati per causa politica e religiosa (1). La separazione dal Belgio avvenuta nel 1579 segnè per l'Olanda Li duplice emancipazione dal giogo politico della Spagna, dal giogo religioso di Roma. Il predominio e l'intransigenza dei Calvinisti, le loro tendenze teocratiche, le lotte tra Rimostranti e Contro-Rimostranti parvero per un istante compromettere le sorti del paese: ma gli Arminiani alleati coi Sociniani sul terreno della tolleranza finirono di fatto per prevalere e il loro trionfo preparò il primato dell'Olanda nelle arti, nelle in- dustrie, nella potenza politica. Il pensiero filosofico in Olanda doveva particolarmente ri- volgersi alla soluzione dei problemi politici e morali all' infuori di ogni preoccupazione politica e religiosa. A tale intento mirarono i due maggiori intelletti che l'Olanda produsse in quell'epoca: Ugone Grozio e Benedetto Spinoza. Il Grozio ap- partiene alla generazione che lottò per il trionfo della libertà religiosa e in difesa degli interessi civili contro la tirannide teocratica: giureconsulto più che filosofo egli -intese sopratutto vussicurare al diritto una base razionale in contrapposizione alla tradizionale del diritto divino, senza però avere una cliiara coscienza del criterio di distinzione tra la sfera giu- ridica e la sfera morale. Spinoza appartiene alla generazione susseguente che vide attuato il principio di tolleranza e gli altri principii liberali, e ne poteva constatare i benefici ri- sultati. P]gli intese sopratutto risolvere il problema morale, p)ichè la religione a misura che perdeva terreno nel campo politico, asserviva a sé la morale e con questa la coscienza djir individuo. Ma la soluzione del problema morale all'infuori dolla religione, implicava la soluzione del problema filosofico stesso. Nei filosofi inglesi l'interesse per le questioni morali pro- cedeva da esigenze politiche e sociali, nello Spinoza .da un , bisogno intimo, individuale. Le fortunate condizioni in cui (1) Cfr, Ruffini, Op. cit., e. ii, § 7. Digitized by VjOOQ IC - 109 - venne a trovarsi l'Olanda a mezzo il secolo XVII, a perchè mettevano V individuo al coperto da persecuzior ed ecclesiastiche, dovevano renderlo più sensibile a qu flitto interiore tra sentimento e ragione che, colla dee delle idealità religiose, si acni nell'età moderna e e fonte di dubbio, di irrequietudine. Tale conflitto, che i sava sopratutto la vita morale, si personificò nel seco! nello Spinoza, anche per le speciali vicende della vita; ' come ateo dal seno della religione ebraica, esposto ] motivo alla pubblica disistima, fu messo nella condiz giustificare di fronte a sé stesso la propria condotta, tuazione, del tutto eccezionale in quell'epoca, di un uo non era membro di alcuna confessione religiosa, e e sentiva vivissimo l'amore al vero, e al buono, generaliz: nell'età moderna, doveva accrescere l'importanza di S la cui vita fu l'espressione coerente della sua dottrina mostrazione più solenne che l'uomo può dare a sé una di condotta capace di conciliare le esigenze del seni con quelle della ragione. Questo dualismo, che rientri dualismo fondamentale tra spirito e materia, e che gione aveva risolto arbitrariamente ma in guisa da ap le esigenze unitarie dello spirito umano, con Cartesio centua, con Spinoza si fa interno all'uomo e si intravec tendenza al monismo. Da Cartesio Spinoza apprese a d del senso, delle fonti tradizionali del sapere, a isolarsi dal per raccogliersi in sé e affidarsi alla sola autorità d( gione (i). Ma il razionalismo che in Cartesio e in Malel si conserva soggettivo, in quanto entrambi sulla scori osservazione psicologica arrivano al pensiero, cioè a u cipio soggettivo, a un fatto di coscienza, e da esso ti (l) KeU^'ntrodnzìone aUe opere < Principia philosophiae more geon moìistrata > Spinoza riasHUiue hi dottrina cartesiana relativa al ni< Cfr. Tedizione delTopero di Spinoza futtt^ dal Bruder e pub Lipsia Del 1843, Voi. I, Digitized by VjOOQ IC - 110- "'^'''^ il sistema, diventa oggettivo in Spinoza, in quanto al pensiero contrappone Tessere o la sostanza, cioè un principio che è catisa sui, (1) e sta da sé indipendentemente dal soggetto pen- sante; tale principio in Spinoza non è il risultato di un'in- dagine psicologica, ma è frutto di astrazione: Tessere o la sostanza nella sua massima indeterminazione è il principio primo, è l'assoluto, è Dio (2). Tutte le cose determinate al lume della ragione sono necessarie conseguenze (affezioni, modi) della sostanza divina, la quale trovasi in tutte le cose cosi come l'essenza della pietra (lapideltas) in tutte le pietre: tutto deriva da Dio, e tutto trovasi con esso in necessario rapporto: ma se tra le cose più che un rapporto di causa ad effetto, vi è un rapporto di principio a conseguenza, se la con- nessione tra le medesime è puramente logica e razionale, il sapere filosofico deve potersi dedurre da un unico principio con procedimento analogo a quello della geometria. Nella ne- cessaria e razionale connessione di tutte le cose con Dio non trovano più luogo i concetti di libertà, di vero e di falso, di buono e di cattivo, di giusto e ingiusto, di perfetto e di im- perfetto. Dio è una sostanza unica che persiste e si svolge mediante attributi infiniti, di cui ciascuno esprime l'eterna e infinita essenza della sostanza stessa: la sua azione in quanto è lo sviluppo logico e necessario della sua essenza, non è libera, né è subordinata a cause finali, a disegni pre- stabiliti. Cadono pertanto tutte le teorie dirette a conformare i giudizii e le azioni a modelli immutabili ed eterni di verità e di perfezione. Ma questa costruzione razionale e geometrica vale in quanto la natura è considerata nel suo insieme, ossia è ricondotta al suo principio ed è studiata nei rapporti colla sua causa, {natura naturans): ma se si considera in sé, stac- cata dalla sostanza divina, nella infinita molteplicità delle (1) Cfr. Elhica ordhie geonietrioo demonsirataf Parte I, Definizione 3 (Ed. Bruder, Voi. I). (2) Cfr. Op. Ethiea, I, Def. 6, Digitized byVjOOQlC - Ili - esistenze particolari, ciascuna delle quali ha una individua- lità sua propria e leggi sue proprie di sviluppo {natura na- turata), ricompaiono le distinzioni e le limitazioni, vengono meno i rapporti razionali e necessarii, e l'osservazione e la esperienza divengono i mezzi proprii di studio (1). Il metodo razionale, nel concetto di Spinoza, non crea nò discopre la realtà finita, ma mira solo a comprenderla scien- tificamente, a metterne in rilievo i legami colla sostanza in- finita: esso non vuol sostituirsi al metodo sperimentale, a cui spetta la determinazione reale dei modi finiti. Allora si com- prende perchè nell'uomo studiato in sé, staccato dalla sostanza divina hanno ragione di essere i concetti di libertà, le distin- zioni di bene e male, di giusto e ingiusto, e ricompaiono i dualismi, le contraddizioni che sembrano costituire l'essenza immutabile della sua natura, mentre non rispondono che a condizioni transitorie e poco evolute di esistenza (2). Riconosce lo Spinoza che Io stato iniziale dell'uomo è uno stato di imperfezione e di miseria fisica, intellettuale e morale: manca in lui la pace dell'animo, la visione adeguata del vero: solo per la via lunga e faticosa dell'esperienza seminata di dolori e di contrasti egli si toglie a questo stato di servitù per tendere verso lo stato di libertà ossia di ragione (3). Il desiderio di vivere ossia la tendenza a perseverare nell'essere costituisce il vero e solo niotore della vita, il fondo attivo della natura umana: il rapporto di vizio a virtù è il rapporto del desiderio disperso, incoerente e il desiderio concentrato e (1) Cfr. sul siguificato di natura nMurantj e naturata Etilica, I prop. 29 Schol. (2) Cfr. V. Del b 08, « Le prohlème maral dans la philosophie de Spinoza », Paris, 1893, Parte I, e. 3-6. — Le coutraddizioni che molti critici, tr.i cui il Turbigli© nel suo lavoro « JS, Spinoza e le trasformazioni del suo pen- siero* (Roma, 1875) rimproverano allo Spinoza, procedono dalla distinzione X>rofoii(la che egli faceva tra il mondo delle idee e il mondo dei fatli. (3) La quarta pai-te <lell'i?//iicrt tratta « de servitute huniana seu de affecluuiu viribus » — la quinta « de potentia intellectiis seu de libertate }4 umana », Digitized by VjOOQ IC - 112 - utile, sottratto alla pressione e alla violenza delle cause esterne. Lo sforzo verso la virtù è lo sforzo per cui il desi-* derio si eleva da ciò che sembra buono, utile, vero, a ciò che è buono, utile, vero realmente. Ma questa conversione del- l'apparenza nella realtà non si compie per mezzo di un mec- canismo astratto: né la ragione, né il libero arbitrio, né. la conoscenza astratta del bene giovano: essa si <M>mpie in virtù di sentimenti che il desiderio della vita ossia il desiderio a perseverare nell'essere fa nascere: la nozione del male e del bene sta nella tristezza o nella gioia che accompagna il desi- derio contrastato o soddisfatto: questo stato psicologico unito all'esperienza genera per gradi la nostra scienza e costituisce la causa vera del progresso morale. E coli' elevazione morale dell'uomo va di conserva la sua elevazione intellettuale. A misura che l'uomo si fa libero cioè obbedisce alle determina- zioni del suo proprio essere all' infuori dell'azione degli agenti esterni, la visione dei rapporti delle cose in Dio si fa sempre più adeguata, finché al sommo dell'evoluzione verità e virtù si confondono nell'amore intellettuale di Dio, sintesi della mo- ralità, della conoscenza, della felicità. La dottrina di Spinoza segna un progresso reale e decisivo nella storia delle scienze morali : essa costituisce il punto di partenza di tutti gli indirizzi di pensiero che si delinearono nella filosofia posteriore. L'indirizzo intellettualista che vo- leva regolata la condotta su verità eterne, immutabili stabi- lite dalla ragione, lo spiritualismo che poneva il fondamento della vita morale in Dio, l'empirismo edonista e utilitario che ricercava nell'uomo la tendenza affettiva sul cui predominio doveva elevarsi la morale, tutti si riscontrano sapientemente coordinati nella dottrina di Spinoza in virtù del negato dua- lismo tra spirito e materia. La sua morale si svolge nell'uomo stesso mediante un progressivo e autonomo perfezionamento della natura umana che non contemporaneamente ma successi- vamente é sentimento e ragione, necessitata e libera, egoistica e altr teistica. Facendo 4el sentimento Jo stimolo cì\e sospinge Digitized by VjOOQIC -.113- Tuomo a sublimarsi, a spiritualizzarsi, a' conoscere il pQsto che occupa nel gran mare dell'essere, Spinoza evitò Terrore fondamentale del razionalismo. Spinoza fonda l'etica sull'egoismo, né parla di tendenze psi- cologiche di carattere sociale: a questo riguardo subì l'influenza dell'individualismo dell'epoca. Come per Hobbes e per Male- branche cosi anche per lo Spinoza l'unione sociale è qualcosa di secondario: l'uomo è un modo% di Dio, non è una cellula dell'organismo sociale: la beneficenza attiva, le tendenze so- ciali hanno valore subordinato alla personalità dell'individuo: il determinarsi nell'operare da considerazioni altruistiche e simpatiche significa rendersi schiavo di emozioni passive, e trascurare quel perfezionamento interiore, su cui sopratutto si fonda la vita morale. Ma individualismo e utilitarismo non significano per Spinoza oppressione del prossimo, sete di van- taggi esteriori: l'egoismo illuminato e sapiente si identifica coll'altruismo: il vero utile è solo ciò che è razionale. Da ultimo^ facendo l'uomo capace di elevarsi a Dio e di vi- vere della vita stessa di Dio, Spinoza diede alla morale un carattere profondamente religioso: l'individuo al sommo della evoluzione intellettuale e morale si assorbe nella contempla- zione di Dio. Per lui come per Malebranche l'assorbimento dell'uomo in Dio è indice di perfezione e di scienza. Ma mentre Dio per Malebranche è un principio vivo e reale che agisce direttamente e attivamente sull'uomo, per Spinoza è un prin- cipio razionale indeterminato, che risponde a esigenze razio- nali. Il panteismo di Spinoza è geometrico, quello del Male- branche è sentimentale. La religione di Spinoza è privilegio di poche nature elette, capaci di abbracciare i profondi rap- porti che legano Dio all'uomo: quella di Malebranche era pur sempre la religione tradizionale e popolare nutrita di fede e di amore, fondata sulle audaci e immediate intuizioni del sentimento (1). (1) Cfr. Jodl, Op. cìt., Voi, I. e. 10, 34 Abs., § 2; 4 Abs, ove tfatt^ Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC - 115 - sicurezza : per forza di cose sì forma sopra il diritto naturale e il potere dei singoli, un potere e un diritto collettivo o ci- vile, colla funzione speciale di mantenere tutti nella sfera del diritto e di garantirne l'esercizio. Il potere collettivo, una volta sorto, si organizza, diventa Stato e si svolge per^ gradi secondo le tendenze proprie di ogni essere. Con una conce- zione ancora inadeguata de' suoi scopi e delle sue funzioni, nella necessità di affermarsi contro la prepotenza delle pas- sioni individuali, lo Stato deve dapprima necessariamente assumere forma dispotica : esso concentra in sé tutti i diritti, regola con le sue norme le manifestazioni della vita politica, intellettuale, morale e religiosa degli individui, eccede nella sua azione ogni limite razionale. Ma il dispotismo, come già- l'anarchia primitiva, trova in sé stesso rimedio. Esso ri- sponde ad una condizione di cose necessaria ma transitoria: unica forma di governo possibile quando si deve opporre la violenza della repressione alla violenza delle passioni, esso diventa, a misura che la coscienza di sé si risveglia nell'in- dividuo, uno strumento sempre più debole e pericoloso di go- verno (1). Lo Stato non può a lungo contare sull'obbedienza puramente esteriore degli atti, quando ad essa si accompagna la ribellione interna dei sentimenti. Epperò il passaggio dal dispotismo a un sistema liberale di governo, diventa condi- zione di vita e di durata per il potere sociale e si concreta nella lotta per la graduale emancipazione dell'individuo dalla tutela dello Stato, ossia per la graduale differenziazione tra i diritti naturali e soggettivi da un lato, di esclusiva spettanza dell'individuo, in ordine ai quali l'azione dello Stato non può essere che negativa, e deve limitarsi a garantirne la libera (1) Ad. Menzel, MaohiavelU-Studien in Zeitacrift fUr das Privai und offent. Bechi (Voi. XXIX, fas. 3-4) tratta dei rapporti e analogie tra Ma- chiaveUi e Spinoza. Questi cita lo storico fiorentino dae volte (Trac, poli- Ucu8^ e. V, § 7 e Ct X, § 1) e mQstr^ di t^i^^^^lo ^^ grande consjd^razio^e, Digitized by VjOOQ IC - 116 - iiritti oggettivi dairaltro costituenti la poten- tto proprio dello Stato e che diventano per Tin- a osservarsi nell'interesse collettivo. In Spinoza mente espresso il concetto che lo Stato deve sua azione di ogni considerazione di carattere ISO (1). Qualunque riserva altri possa fare circa ntendere il diritto naturale (2), non vi è dubbio '0 filosofo seppe come Spinoza affermare con diritti del pensiero e della coscienza indivi- allo Stato. Nella dottrina sua politica si sente >tta che l'individuo moderno doveva sostenere patrimonio sacro de' suoi diritti naturali, cioè che riflettono l'esplicazione della sua perso- contro le usurpazioni del dispotismo. Più di non solo intese ma vivamente senti il rapporto 'a morale e diritto, il quale rientrava nel con- > tra individuo e Stato, contrasto che fu per nello che era stato per il Medio Evo il con- sa e Impero. L'ideale politico di Spinoza era rmonica dell'individuo collo Stato, dell' inte- ri pubblico, della libertà morale colla libertà :ione morale nell'individuo, l'evoluzione poli- devono procedere concordi e integrarsi reci- ►regressivo riconoscimento da parte dello Stato 'ali, corrisponde nell'individuo una coscienza ^ dell'interesse pubblico e una sottomissione itanea e incondizionata alla volontà sociale, odo gradualmente delineando quello stato di 'azione delle parti nel tutto infinito, che si teol. pol.y e. XVIII e xx. — Cfr. Raffini, Op. cit., Storia della filosofia del diritto (tradazione Conforti, To- II, Sez. I, p. 114. — Lor minio r, Philoao^hie du dvQitf bro IV, § 7, Digitized by VjOOQ IC r fili ijijj - U H^^ - li?- presentava dapprima come una fanta: gione umana (1). La teoria teocratica del diritto di^ di Hobbes, la teoria del contratto so( fendorf rientrano nella concezione spi che nel suo sistema la potenza e qui] partecipa della potenza infinita, ossi che si genera, secondo Hobbes, dallo sione e di guerra, secondo lo Spinoza principio della evoluzione morale e se la tendenza alla vita sociale sia con tendenza a vivere, si può ben parlare tratto tacito e spontaneo, inteso a re^ dividui e Stato, che sono poi i rappc e giuridica. La logica dei fatti dove delle idee: nessun altro sistema filosofi trovò nella realtà storica tanta cor incontrò la concezione etico- giuridic nell'età moderna ebbe a lottare per pregiudizio religioso, e al dispotismo azioni ai principi di cui si fece soster nel secolo XVII (2). 52. — Il Cartesianismo dalla Frane fu alleato del dogma, daH'Olanda, ov trionfo della ragione autonoma, si di opera dei Leibniz, ingegno universale seppe unire Tiramaginazione poetica d e temperare gli slanci del pensiero C( tica. Di mezzo al popolo tedesco, di carattere, le aspirazioni, le condizion missione, e più di ogni altro concorse a (1) Cfr. Delbos, Op. cit., e. vir, vni. (2) Cfr. Delbos, Op. cit., Farteli, ove tn neU'età moderna. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC di Stati, ne aveva posto in evidenza l'interna debolezza; tutto era in essi da riformare e costituire; mancavano i criterii per regolare i rapporti tra i vari Stati, tra l'autorità civile ed ec- clesiastica, tra le varte confessioni religiose nello stesso Stato: sopratutto importava garantire l' individuo, la sua personalità contro le indebite ingerenze dello Stato e della Chiesa, alleati a' suoi danni. Gli stessi problemi, le stesse difficoltà accompa- gnarono ovunque il sorgere degli Stati moderni, e la loro so- luzione fu compito speciale dei giureconsulti e dei cultori dei diritto naturale (1). Grozio in Olanda, Hobbes in Inghilterra avevano elaborato sistemi etico-giuridici rispondenti alle esigenze razionali del- l'epoca, e alle tendenze individualiste dei popoli moderni. Pu- fendorf, conciliando i principi! di entrambi, raccogliendoli a sistema chiaro e ordinato seppe renderli famigliari e noti in Germania, dando loro una portata pratica che altrimenti non avrebbero avuto. La scuola del diritto. naturale soprafatta dalla filosofia in Olanda, dalla morale in Inghilterra, si svolse ri- gogliosa in Germania, ove mantenne più a lungo il suo carat- tere originario, e per oltre un secolo prevalse sopra ogni altro indirizzo di pensiero: assorta a dignità di scienza sociale, e politica essa forni le armi all'individuo in lotta contro il dispo- tismo dello Stato e. della Chiesa ufficiale, per rivendicare le sue libertà politiche e civili, religiose e morali. La questione della libertà religiosa, quella dei rapporti tra morale e diritto, altrove trattate da .filosofi, da moralisti, o da teologi, furono in Germania discusse dai giuristi, come quelle che erano con- siderate questioni essenzialmente giuridiche, che rientravano (1) Sai Damerò e attività dei giarecoasalti pratici e filologi io OteV" mania nel secolo XVII cfr. R. Stintzìug, Geachichte der deutechen Reohu swi88en8ohaftf Mtiuchen - Leipzig, 1880, ove però nessana parte è fatta ai enitori del diritto natarale. Sotto qaesto aspetto, e per la giarispradenza tedesca del secolo XVIII è da consaltarsi la contìanazione dell'opera dello Stinzing fotta da E. Landsberg ohe pubblicò nel 1898 il volome teraso e quarto. Digitized by VjOOQ IC •* 120 — nelle questioni più larghe dei rapporti tra Chiesa é autorità civile da un lato, tra individuo e Stato dall'altro. E mentre i Pietisti rappresentavano la protesta del sentimento contro le abitudini ufficiali ed esteriori della Chiesa, nonché contro l'esclusione della comunità dei fedeli dal governo della mede- sima, i giuristi, giovandosi della logica giuridica, prepararono il trionfo della libertà religiosa e di coscienza, contrapponendo da un lato al sistema episcopale il sistema territoriale^ che limitava i poteri del sovrano al governo esteriore della Chiesa, contrapponendo dall'altra alla varietà discorde delle confes- sioni religiose, il concetto unitario di una religione naturale, sulla base di pochi dogmi di carattere morale, da tutti facil- mente accettabili (1). D'altro canto la distinzione tra forum internum ed externuìn elaborata dalla scuola del diritto na- turale, offriva un criterio empirico, ma praticamente oppor- tuno per separare la sfera giuridica da quella morale e regolare i rapporti tra individui e Stato. 53. — Per opera dei cultori del diritto naturale e dei Pie- tisti il movimento in favore delia libertà si era diffuso in Germania, destando le latenti energie del popolo, avviandolo per vie nuove verso nuovi ideali (2j. Ad agevolare l'opera del progresso, ad assicurarne i risultati concorse efficacemente il Leibniz, a cui l'universalità e profondità dell'ingegno, i lunghi viaggi compiuti in Francia, in Inghilterra, in Italia (3), le estese relazioni coi dotti e i principi di ogni paese, giovarono per prender parte attiva a tutte le correnti della vita pubblica e (1) Cfr. Raffini, Op. cit., p. 232 e seg. (2) Cfr. quanto da noi fa detto saUa Scuola del diritto naturale in Ger- mania al § 3. \ji) n Leibniz soggiornò due anni in Italia (1689-90) e vi conobbe il Bianchini a Roma, il Viviani a Firenze, il Grandi a Pisa, il Muratori a Modena, il Malpigbi a Bologna. Abbiamo lettere scritte da Leibniz al FardeUa, astronomo e filosofo a Padova, e poi dietro insistenza deUo stesso Leibniz, nominato professor© di filosofia a Napoli. II FardeUa fu maestro di Vico. — Cfr. Foucher de Careil, Nouvelles lettrea et opusoulee de Leibniz, 1857, Introduzi ne. Digitized by Google dell'attività scientifica del suo tempo, e per farvi partecipa suo paese. Tutta l'attività veramente prodigiosa di Leibn costantemente rivolta ad armonizzare le vedute esclusive dominavano all'epoca sua in politica, in morale, in fìlos nelle scienze. Egli polemizzò coi Cartesiani per il metodo Locke pel problema conoscitivo, coi giansenisti e con ^i branche per questioni teologiche, con Spinoza pe' suoi prin metafisici ed etici, con Pufendorf sul fondamento del di naturale. Nell'opera sua filosofica convergono le corrent pensiero più disparate, e dopo di averne rilevato le coni dizioni, le esagerazioni, talora le riproduce corrette e : grate, talora le ripudia ricostruendole su altre basi: se d iato integra le idee di Cartesio e di Locke sul metodo e si rigine dell'idee, dall'altra parte contrappone teorie sue prc ai sistemi di Spinoza e di Pufendorf. li Leibniz ha stretti vincoli colla corrente teologico-cc siana che trionfava in Francia con Malebranche: come qi era credente sincero. A Dio lo portava il senso dell'uni dell'armonia dell'universo, acuitosi in lui per gli studi scoperte fatte nel campo delle scienze fisiche e matemati L'idea di Dio non lo lasciava indilferente, ma lo riempi\ entusiasmo, di gioia serena e tranquilla, gli comunicava senso schietto e profondo di venerazione e di amore all'in) e al di sopra di qualsiasi confessione positiva. Il sensc reale e della vita in tutte le sue forme lo trattenne dal m cismo e dalle esagerazioni del Pietismo; e mentre in IS branche teologia e filosofia si compenetrano e quasi si fondono, in Leibniz procedono parallele e distinte (1). Nella restaurazione dei diritti della ragione contro i spregio in cui era tenuta dagli scolastici e dai mistici, Lei ben può considerarsi successore e continuatore dello sp . cartesiano: ma allo stesso tempo non crede al contrasto j (1; Sai rapporti tra Leibniz e MalebraDche cfr. Ollé-Laprunej cit., Voi. II, e. 1. Digitized by VjOOQ IC — l22 — / da Cartesio tra ragione e fede e vi sostituisce la necessità del- l'armonia; né partecipa alle esagerazioni dei Cartesiani del- llepoca sua, che erigevano a dogma l'onnipotenza della ragione e ripudiavano qualunque altra forma di conoscenza. Epperò tra il Locke che considerava il senso esterno (sensazione) integrato dal senso interno (riflessione) fonte di conoscenza nel campo delle scienze morali e Cartesio che riconosceva solo l'autorità della ragione, Leibniz si attenne a una via intermedia, distinguendo il metodo razionale (anaZisis per S2lium) diretto a disciplinare la ragione, a porla in grado di sfruttare i dati del senso e dare chiarezza e precisione geo- metrica alle verità conosciute solo imperfettamente e confu- samente, — e il metodo naturale (analisis per gradus) che procede per gradi dal noto all'ignoto, secondo la via offerta dalla natura stessa, trasformando i problemi semplificandoli, formulando leggi generali, su cui poter fondare il ragiona- mento. L'autorità, l'esperienza storica, costituiscono un valido aiuto per lo studio delle scienze morali, e utile freno alle astrazioni e alle intemperanze della ragione (1). In ordine alla dibattuta questione circa l'origine delle idee che Locke sosteneva acquisite dal senso, i Cartesiani innate nello spirito chiare e distinte, Leibniz sostiene che non dai sensi e dall'esperienza solo noi deriviamo le nostre conoscenze. 1 (1) Cfr. God. Guil. Leibnitii opera philosophica quae exMant latina^ gallicaf germanioa, edidit J. E. Erdmann (Pars prior) 1840. lu uua lettera a un amico, 1695 (v. Erdmaun, p. 123) il Leibuiz dice, < che il Cartesìauisiuó ìq ciò che ha di buono non era che Tanticamera della vera filosofia », e altrove (Epis. ad J. Thomasium, 1669, Erdmann, p. 48) dice, «che in Cartesio amava solo eius metodi propositumf ma non l'applicazione del me- desimo ».^ Cfr. anche l'estratto di una lettera à l'abbé Nicaise, (Erdmann, p. 120). — Cfr. anche il « Discours de la conformité de la foi avec la raison » (Erdmann, p. 479). — Sulla distinzione tra i due metodi, ra- zionale e naturale, cfr. la notevole epistola ad Hngens (in Erdmann), e n Nouveau essais sur Ventendement humain (1703) Libro II, e. 22, Libro IV, e. 12. — Il Foucher de Carelli Op. cit., pubblicò nel 1857 tre lettere di Leibniz inedite intorno a Descartes e al Cartesianismo. Digitized by VjOOQIC hia dall*attività propria deljo spirito, la quale trasforma le idee originariamente confuse e indeterminate in idee chiare e di- stinte (1). L'opposizione a Spinoza costituisce il punto centrale della filosofia di Leibniz, il quale senti in sé stesso quel fascino che la dottrina spinoziana doveva esercitare sul popolo tedesco, di cui erano già spiccate le tendenze all'idealismo unitario, all'astrazione, alle deduzioni logiche e razionali. Il contrasto con Spinoza si manifesta sul terreno metafisico e morale. Tutto il sistema filosofico di Leibniz in quanto è ricostruttivo e non solo critico e negativo, tende a contrapporsi a quello di Spi- noza : nel fatto egli si assimila lo spinozismo trasformandolo. Spinoza concepisce la sostanza come panteista, Leibniz come individualista: per quello la sostanza è l'unità infinita di tutto ciò che esiste, per questi la sostanza è l'esistenza individuale assolutamente indipendente. Le monadi a differenza dei modi spinoziani, sono dotate di attività propria, sono centri d'azione e di appetizione, bastano a sé stesse, costituiscono altrettanti mondi a sé, diversi per grado di perfezione, per ricchezza di contenuto rappresentativo, formanti nel loro insieme un si- stema eterno, un'armonia perfetta e prestabilita. Alla potenza infinita della sostanza di Spinoza non determinata da alcuna qualità, Leibniz oppone l'infinita perfezione della monade su- prema, all'unità essenziale dell'Essere la molteplicità innu- merevole degli Esseri, all'ordine della deduzione l'ordine del- l'armonia, all'indifferenza della natura la tendenza della natura al meglio, alla necessità geometrica la necessità morale e la finalità. Leibniz concepiva sotto forma di sviluppo e d'armonia ciò che Spinoza concepiva sotto forma di atto immediato e di identità pura (2). (1) Cfr. Nouveau eco,, Lib. IV^ e. 4; lib. II, e. i, nonché le « Bedexious sor l'essai de l'entendemeut hamaiu de Locke » (Erdmann, p. 186). (3) Sui rapporti tra U Leibniz e lo Spinoza cfr. il Delbozj Op. cit.| Parte II — il Lange, Op. cit., Voi. I, p* 419* Digitized by VjOOQ IC n I - 124 - [ Queste difforonzo tra i due maggiori intelletti speculativi I i]A secolo XVII debbono attribuirsi a motivi etici e religiosi (1). La dottrina individualistica della sostanza portò Leibniz al cinicetto di un Dio personale, creatore e governatore del mondo, difensore dell'ordine morale in stretto accordo colle credenze e coi dogmi dominanti. L'etica sua ha fondamento teologico non in quanto dipenda dalla volontà arbitraria di Dio, ma in quanto è espressione necessaria della sua eterna essenza. I [irincipii morali rientrano nel novero di quelle verità eterne che lo spirito umano riflette in sé stesso assieme all'ordine immutabile dell'universo e trasforma, evolvendosi, in verità chiare e distinte capaci di servire alla costruzione di un'etica dimostrativa con procedimento rigorosamente deduttivo (2). Ma la conoscenza confusa o chiara dei principii morali per deter- minare la volontà all'azione morale deve associarsi all'istinto originario della felicità, che ha per contenuto un sentimento di perfezione e che svolgendosi si concreta in piaceri sem- pre [)iu durevoli e lontani. Il più alto grado di felicità e quindi di perfezione si accompagna colla tranquillità piena del- Tuniuio, che è gaudio mentale e soddisfazione interiore (3). Né solo dell'eudemonismo etico ma ancora del determinismo etico si fece sostenitore Leibniz. Come per Spinoza cosi per Leibniz l'uomo è libero nel senso che non è necessitato o coatto, ma può determinarsi da sé, secondo motivi razionali, sottraendosi all'azione delle cause esterne (4). Né qui si li- mitano i rapporti stretti tra Leibniz e Spinoza: per entrambi l'azione morale é razionale, l'immoralità essendo difetto di perfezione, un errore prodotto da idee confuse. Le idee chiare (1) Lo afferma anche il Wandt, Op. cit., e. ni, § 2 « Leibuiz ». Sulla (lottriua etica di Leibniz cfr. Jodl, Op. cit., Voi. I, e. xi. (2) Sali' applicazione del metodo geometrico e matematico alle scienze metafisiche e morali cfr. Nouveau essai eoe,, lib. II, e. 22, lìb. 17, e. 12. (3) Cfr. Nouveau ecc^ lib. II, e. 21, § 41. — Nel breve trattato e De vita beata » il Leibniz tratta della saggezza ossia deUa scienza della felicità. (4) C£r. il breve trattato « De libertate > (Erdmanzi) p. 669)« Digitizedby Google I -126- e confuse dì Leibniz rispondono alle rappresentazioni adeguate e inadeguate di Spinoza, e come questi supplisce la conoscenza mediante Temozione, cosi Leibniz supplisce la rappresenta- zione mediante lo sforzo, e la rappresentazione chiara mediante uno sforzo chiaramente conscio che involge la felicità e con- siste nell'amor di Dio e de' nostri simili. Leibniz facendo dell'individuo specchio dell'universo e immagine di Dio veniva a porre a ugual grado l'amor di Dio e del prossimo: e se si pensa alla impossibilità di esercitare l'amore verso Dio, l'amor del prossimo diventa sorgente precipua della moralità pra- tica (1). In ciò veniva a distinguersi da Spinoza e da Male- branche, i quali, assorti nella divinità, consideravano secon- darie e derivate le tendenze altruistiche. Ancora distinguono Leibniz da Spinoza l'ottimismo e l'idea di sviluppo: l'uno procedeva dalla fiducia illimitata nelle energie inesauribili della natura umana, l'altra dal considerare la tendenza alla perfezione, legge fondamentale della natura e dello spirito (2). Tali caratteri congiunti a un senso vivo di umanità che tra- spira da tutta la sua concezione etica, spiegano l'influenza grande che questa esercitò in Germania nel secolo XVIII. Nel campo del diritto naturale (3) il Leibniz si pose in op- posizione con Pufendorf, il quale dìscostandosi dalla tradizione di Grrozio, tendeva a far del diritto l'espressione arbitraria della volontà di un superiore, anziché derivarlo dai rapporti eterni inerenti all'ordine naturale delle cose. La distinzione tra forum internum ed eocternum posta dal Pufendorf per se- (1) Cfr. Noìiveau eoe, lib. U, o. 20. (2) Cfr. Nouveaueoc.f lib. II, e. 21. (3) NeUa parte 3» del tomo IV, dell'edizione delle opere del Leibniz fatta dal Datens, sono raccolte le piti note opere giuridiche del Leibniz: ma molti altri scritti di natura giaridica rimangono inediti. L'edizione pili recente e più completa delle opere del Leibniz è quella curata da I. Geihardt, t Die phylosophischen Schriften von Leibniz », Berlin, 1875 1900: ma videro la luce solo sette volumi, e le opere giuridìcbe non sono ancora pubblicate. — Cfr. sulle idee giuridiche del Leibniz il Landsbefg, Op. cit., Voi. III, e. i, § 4, p. 23-31. Digitized by VjOOQ IC - 126 - era morale dalla giuridica era un criterio dì di- trinseco e artificiale. Nell'intenzione di Pufendorf ternum era il campo proprio del diritto naturale, )rum internum era dominio esclusivo della filo- sa; con ciò estendeva oltre misura la sfera Mei ^ale, mentre confondeva la religione colla morale, [vendica alla filosofia il forum internum, e senza i diritti della teologia vuol costituita su basi strina razionale dei doveri interni, ch'egli chiama :ale: d'altro canto non crede possa limitarsi il liritto naturale ai rapporti esteriori di condotta, ne delle obbligazioni verso Dio che si svolgono della coscienza. Egli rimproverava al Pufendorf i di attitudini filosofiche, che gli impediva di ri- ncipii di ragione e derivare da essi la dottrina diritto (1). di diritto naturale che formano il contenuto della nno con le verità etiche comune l'origine e lo in quanto procedono non dalla volontà (Pufendorf) iza di Dio (Spinoza) ma dalla sua infinità sapienza dai rapporti eterni e immutabili inerenti alla cose, e si riflettono nello spirito confusamente di intuizioni innate e di tendenze altruistiche, da )no per gradi sempre più elevati di perfezione la ;a e la vita sociale. La giustizia è la virtù sociale za, e di essa è anima la generosità per cui l'uomo ce di compiere nei rapporti con altri, azioni ra- e della sua origine divina. Definendo la giustizia lientis » Leibniz la fa consistere nella benevolenza ssia nell'abito di provar piacere all'altrui felicità 2k aspra che, contro il suo costume, il Leibniz move al •ntenuta nei « Monita quaedam ad 8, Pufendorfii principia » >0. cit.). . rvationes de principio juris, § 9, Digitized by VjOOQ IC - 187 - sotto la guida della sapienza, che è la scienza della felicità individuale e sociale (1). Il diritto ha uno sviluppo parallelo alla vita sociale, e coU'ampliarsi di questa quello allarga il suo contenuto. Esiste un diritto positivo e volontario frutto del costume e del volere dei governanti: esso comprende da un lato il jus civile che regola la vita interiore di uno Stato, e trae la sua forza da colui che ha nelle mani il supremo potere, dall'altro il jus gentium che regola i rapporti tra Stati diversi e si forma per tacito consenso di popoli. Il diritto volontario o positivo svol- gendosi tende a modellarsi sul diritto naturale i cui principii si estendono oltre i limiti di uno Stato particolare per abbrac- ciare la società del genere umano, e inspirarsi alle esigenze razionali dell'uomo astrattamente considerato, sciolto dalle limitazioni di tempo e di luogo, che sono una conseguenza della sua natura animale. Il diritto naturale concepito dal Leibniz come una facoltà naturale a cui risponde una neces- sità morale (dovere, obbligazione) si manifesta sotto tre forme che ne costituiscono altrettanti gradi di perfezione. Nel pe- riodo primitivo di sviluppo delle società umane, il diritto si manifesta nella forma di jus strictum, o di giustizia commu- nativa che si inspira al precetto: neminem laedere^ precetto che presuppone l'uguaglianza di tutti gli uomini, e risponde alle più elementari e imprescindibili condizioni del vivere sociale. In un grado più elevato di sviluppo sociale, le disu- guaglianze derivanti dalle attitudini e dai meriti diversi, dalle distinzioni di classe e di condizione civile, fanno prevalere il concetto deWaequitaSy q della giustizia distributiva, che in- spirandosi al precetto: unicuique suum tribuere, genera da un lato doveri di indole morale (gratitudine, beneficenza), dall'altro la facoltà di chiedere ciò. che per gli altri è solo compito di equità prestare. Vi è una terza fonte di diritti e (l) Sai concetto di giustizia cfr. le lettere (sopratutto la VII, Vili, X) scritte dal lueibni? a Hea. Eru. Kestnertpn (si trovano nel Dutens), Digitized by VjOOQ IC .^Tf? - 128 - di obbligazioni, la pietas, che si inspira al precetto: honeste vivere, attua i fini della giustizia divina, scaturisce dall'or- dine e armonia delle cose: essa risponde alle esigenze della società universale degli esseri intelligenti che hanno comune la credenza nella immortalità dell'anima e riconoscono in Dio il reggitore supremo dell'universo (1). L'uomo viene pertanto, secondo il Leibniz, a far parte d'una triplice società, della società particolare di uno Stato, della società più ampia del genere umano, della società universale divina:. ognuna di queste società ha il suo legislatore, i go- vernanti, la ragione. Dio; tutte svolgono il concetto di giu- stizia, ampliandone progressivamente il contenuto, e gene- rando una triplice serie di norme, civili, naturali e divine. Ciò che trattiene l'uomo nell'ambito della legge e lo spinge a conformare le sue azioni all'interesse collettivo, che è poi quello della giustizia, non è solo la paura, l'interesse, l'egoismo : 3gli può essere tratto al bene e al giusto anche da naturale propensione e rettitudine dell'animo, da energie altruistiche ben più profonde ed efficaci, dall'amore, dalla pietà. Lo studio poi delle azioni in quanto sono giuste o ingiuste, ossia in [juanto sono utili o dannose in rapporto alle finalità proprie di ciascun ordine di società, è compito speciale della giurì- sprudenza, la quale, sfruttando le tendenze altruistiche del- IHiomo, si fa interprete dell'interesse generale nel suo triplice ^rado di sviluppo e detta norme dirette alla conservazione B al perfezionamento sociale : « justum est quod societatem ratione utentium perficit » (2). (1) La teoria del Leibniz sul diritto naturale e sulle diverse fasi di svi- luppo del medesimo è svolta nelle due dissertazioni premesse al « Codex diplomaticus » . (2) Cfr. doperà giovanile di Leibniz : Nova Mvthodus disoendae dooendaeque jurisprudentia (1667). — In essa dice (Pars II, § 14): < Jurìsprudentia est scientia actionum, quatenus justae vel injuatae dicuntur. Justum atque injustum est, quidquid publice utile vel damnosum est. Publice id est primum Deo, dein generi humano, denique reipublicae ». — E al § 15 4ice: '< potentia moralis dicitur jus^ necessitas moralis dìcitur obligatio ». Digitized by VjOOQ IC i^mT^-^-V-: '7: — 129 — La concezione etico-giuridica del Leibniz mostra chiaramente che mancava a lui la coscienza della necessità di separare la sfera morale da quella giuridica, né mostrò di intendere come in tale questione fossero in gioco gli interessi della libertà individuale. La tendenza in lui dominante di scorgere nelle cose l'armonia e l'unità, se gli giovò per rilevare i rap- porti di concordanza tra la religione, la morale e il diritto, gli impedi di rilevarne i caratteri differenziativi, e di segnare a ciascuno di questi aspetti della vita individuale e collettiva la sfera sua propria di azione. Egli fa rientrare tutte le azioni che si ispirano al pubblico interesse nel vasto concetto della giustizia, il cui contenuto è essenzialmente etico. Egli afferra la vera natura del diritto solo quando accenna al diritto vo- lontario, dAjus strictiim, alla società particolare degli Stati : ma parlando della società del genere umano, termine del diritto naturale, si vede chiaro ch'egli vuol intendere una società morale, mentre la società universale non è per lui che una società religiosa. Le esigenze e le norme giuridiche dei singoli Stati devono subordinarsi alle esigenze e norme morali, ed entrambe alle religiose. Le premesse metafìsiche impedirono al Leibniz di assorgere al concetto della società come un tutto avente un'esistenza sua propria, distinta da quella individuale: per lui la società è pur sempre la somma degli individui, e l'interesse pubblico si risolve nell'interesse particolare dei singoli. In fondo tutte le virtù, la giustizia compresa, si fondano sulla conoscenza chiara e questa è anzitutto un attributo individuale, che involge l'amore di altri solo come conseguenza. Di qui si comprende come il Leibniz facesse scaturire il fon- damento della morale e del diritto dall'ordine generale delle cose, e dall'intima natura dell'individuo, trascurando l'origine sociale del diritto: e quando volle dare al diritto una fonte sua propria distinta da quella morale e religiosa, ricorse alla volontà dei governanti, e cadde nell'errore ch'egli con eccessiva severità rimproverò al Pufendorf Leibniz giovò agli interessi della filosofìa giuridica in quanto la pose in rapporto Digitized by VjOOQ IC r^*^'^ — 130 — colla filosofia morale e giurìdica e colla teologia, ma agli in- teressi della libertà religiosa e civile giovò assai più la di- stinzione empirica tra forum interniim ed externum dei giu- reconsulti filosofi. li' influenza del Leibniz, tanto notevole in Germania nel campo etico e filosofico, fu negativa per il progresso degli studi giuridici e politici : il suo nome non figura tra i difensori della libertà religiosa e delle libertà ci- vili ; la causa della libertà trovò i suoi difensori tra i giuristi, i quali lavorando alla separazione del diritto dalla morale, fecero per le libertà individuali quello che i fautori della nota teorica della divisione dei poteri fecero nell'interesse delle libertà politiche (1). 54. — Il Leibniz aveva fatto opera frammentaria: le sue dottrine filosofiche, sparse in un numero infinito di opere, il più delle volte scritte a seconda che l'occasione gliene por- geva il destro, furono raccolte e ordinate a sistema da Cri- stiano Wolff. Attraverso il lavoro di ordinamento e di adat- tamento compiuto dal WolfF, la figura del Leibniz apparve in tutta la sua grandezza, e le sue dottrine, fatte famigliari, pe- netrarono nelle coscienze e divennero leva poderosa al pro- gresso del popolo tedesco. L'età, di cui Wolff fu maestro ri- spettato e universalmente riconosciuto, poco propensa al nuovo. (1) Il Raffini, (Op. cit., p. 258, nota 1) ricorda del Leibniz il libro: De la toìérance des religionSy 1693, ma non potè vederlo. Sarebbe stato in- teressante conoscere le idee del Leibniz in proposito. Non vi è dabbio che il Leibniz personalmente era tollerante ; ma egli più che la libertà e la reciproca tolleranza delle varie confessioni religiose sorte in seno al Cri- stianesimo, ne vagheggiava la conciliazione sopra una base cornane, così come vagheggiava Tarmonia tra religione, morale, diritto. — Lo Sta hi (Op. cit., p. 137) dice che al Leibniz spetta l'onore dì aver primo distinto la morale dal diritto. Ciò deve intendersi nel senso che mentre prima del Leibniz si contrapponeva il diritto naturale ftlla teologia, il Leibniz pose accanto al diritto naturale e alla teologia anche la filoso&a morale : ma egli non stabilì i limiti tra queste diverse scienze, anzi tende ricondurle ad nnica fonte e a confonderle insieme. Di ciò lo rimprovera anche il Jan et, Hietoire de la eoience politique dans ses rapporU aveo la morale, Paris, 1887, Voi. II, p. 244. Digitized by VjOOQ IC — 131 — attese sopratutto a sfruttare il movimento di restaurazione filosofica iniziato dal Leibniz, a diffonderne le idee e a renderne duraturi i risultati. Nel periodo che dalla morte del Leibniz (I7I6) va fin verso la metà del secolo XVIII, e precisamente fino airassunzione al trono di Federico II, la Prussia acquista il primato militare nella Germania, e si prepara a divenirne il centro politico e intellettuale (1). Nel periodo di sosta e di transizione cade l'opera filosofica del Wolff. Il Leibniz, imbevuto dello spirito cartesiano, aveva battuto in breccia Taristotelismo : ma l'efficacia dell'opera sua si rende evidente nel sistema filosofico del Wolff, che di scolastico non ha che la forma esteriore, mentre nel contenuto le correnti nuove di pensiero si intravedono nello sforzo fatto, sull'esempio del maestro, di conciliarle. Con senso profondo di opportunità, il Wolff non insiste sui concetti delle monadi, e dell'armonia prestabilita, trovati dal Leibniz per contrapporli a Spinoza, come quelli che avrebbero distolto le menti da altri ben più notevoli principi, disseminati a profusione nel Leibniz, e che per il loro carattere largo e conciliante, si prestavano alla costruzione di un sistema razionale, capace di essere univer- salmente accettato. Nel costruire il suo sistema etico-giuridico, il Wolff applicò rigorosamente il jnetodo che il Leibniz aveva chiamato di- nnostrativo, consistente nel derivare la morale dalla pura ra- gione, con procedimento analogo a quello in uso nelle scienze (1) Federico I, (1688-1713) di Prussia aveva favorito gU studi: sap- piamo che forn\ i mezzi a Pufendorf per compiere il suo lavoro, fondò Talli versità di Halle, illustrata da Thomasius ; su disegno del Leibniz fondò la Società reale di Berlino. La sua seconda moglie. Sofia Carlotta, intro- dusse in Prussia le eleganze del vivere sociale, Tamore del sapere e delle arti. Essa ebbe assiduo carteggio con Leibniz, di cui fu frutto la Teodicea. Ma questo risveglio intellettuale fu arrestato quando sah al trono Federico Guglielmo I (1713-1740), avverso ai letterati e ai filosofi, che spiegò tutta la sua attività nell'educazione militare del suo popolo. Avendo giudicato pericolosa per F esercito la dottrina del Wolff, lo costrinse ad abbandonare gli Stati prussiani nel 1721. WÈìriì Digitized by VjOOQ IC ': !.'i!,i|JW — 132 — matematiche, di cui il Wolff era profondo cultore (1). La sua con- cezione, mentre continua e svolge la tradizione idealista iniziata dal Leibniz, si mantiene ugualmente lontana dal razionalismo oggettivo dello Spinoza, e dal soggettivismo etico che in Hume aveva trovato la sua più spiccata espressione. La Germania mancava ancora di un completo sistema filosofico che potesse competere col sistema aristotelico-scolastico, o coi sistemi sorti nell'età moderna in Inghilterra per opera di Hobbes e succes- sori, in Olanda per opera di Grozio e Spinoza, in Francia per opera del Malebranche. Leibniz aveva posti i principi, e in- dicato il metodo : a Wolff spettava trarne il sistema. La natura dell'uomo e l'intima essenza delle cose, derivate non dall'esperienza, ma astraendo da essa e conforme a esi- genze puramente razionali, costituiscono i postulati fondamen- tali del. suo sistema. La legge di perfezione è le^e generale dell'universo : essa rappresenta l'ordine eterno e immutabile, su cui si fonda la legge naturale, sottratta per tal guisa alla volontà arbitraria non pur degli uomini, ma di Dio stesso. La legge naturale o di perfezione che l'uomo può conoscere col retto uso della ragione (2), e che tende ad attuare progres- sivamente in sé stesso, è fonte di obbligazione e quindi di diritto naturale (3). Nulla impedisce di concepire uno stato di natura originario, in cui l'uomo riconosce e applica i diritti e i doveri naturali, che sono quelli della sua natura razio- nale, rispondenti all'ordine generale delle cose. Lo stato di natura non può che essere uno stato di libertà e di ugua- glianza assoluta, in cui ninno ha impero sopra altri e il jits ad omnia domina sovrano, né conosce altri limiti all' infuori (1) Il Wolff ÌQseguò per molti anni matematica e fìsica neU' Università di Halle. Dopo il 1721 insegnò fìlosofìa nell'Università di Marburg. Qui nel 1730 pubblicò l'intero suo corso di filosofia. Più tardi Federico II di Prussia lo richiamò ad Halle come professore di jus naturale e di jìu gentium. (2) Cfr. Phil. prat, univ., § 129. ^3) Ib. Ib., § 269, — Cfr. Prefazione al « Jns naturae et gentium », Digitized by VjOOQ IC — 133 — di quelli segnati da ragione, ossia dall'ordine delle cose. In questa forma primitiva di vita sociale, noi possiamo rappre- sentarci la formazione naturale della società domestica, nonché il formarsi, coU'estèndersi della occupazione, della proprietà privata con tutti i diritti che ne derivano. Per tal modo una società avventizia, caratterizzata dallo svolgersi della orga- nizzazione famigliare e della proprietà privata, si sovrappose, senza distruggerla, alla società naturale, e accanto ai diritti e doveri fondati sulla natura delle cose, si aggiunsero di- ritti e doveri fondati sul consenso. Ma neppure la società avventizia provvede bastevolmente alle necessità della vita, alla sicurezza e alla pace comune: la legge di perfeziona- mento progressivo spinge gli uomini a stringere un patto per la formazione della civiias, o società civile^ la quale si renda interprete dell'interesse collettivo e provveda al benessere di tutti : e con nuovo patto si procede all'ordinamento della civitas colla creazione dello Stato e dell'imperio civile: donde una terza fonte di diritti e di obbligazioni, procedenti dagli scopi di collettivo perfezionamento che la civitas si propone. Questa non sopprime i diritti e le obbligazioni dello stato di natura : ma nell'interesse comune può il legislatore sospendere o limitarne l'esercizio con norme o leggi positive, le quali vengono per tal modo a svolgersi non in opposizione, ma integrando il diritto naturale. Dalle leggi politiche o civili procedono le distinzioni tra diritti perfetti e imperfetti, secondochè le norme di diritto civile sono o non provvedute di coazione — tra azioni giuste e ingiuste, secondochè sono o no contrarie al diritto perfetto di un altro — eque e non eque, secondochè sono o non contrarie al diritto imperfetto di un altro. L'insieme degli uomini riu- niti in società civile costituisce il popolo o la gens : le genti corrispondono agli individui nello stato di natura : i rapporti tra esse sono regolati dal jus gentium, che è il diritto natu- rale nei rapporti tra diversi popoli (1). (1) Cfr* i passi relativi neUe Inatitutiones jurU naturae eoo* Digitized by VjOOQ IC ' • <^ J • :^>>S55l — 134 — notevole è il significato e l'estensione data naturale. Nel suo concetto questo dovrebbe ie di filosofia pratica universale, ossia di ^ettiva, (1) a cui spetta porre i principii me alla natura dell'uomo e delle cose: il ipplicazione spetta all'etica soggettiva, (2) mezzi per i quali l'uomo bene usando delle ^uendo la virtù conseguire la felicità e ar- one. In questa parte soggettiva il rigore neno ed elementi eudemonistici e utilitari r ai seguaci di opposti indirizzi di pensiero, portanza dell'esperienza e del senso comune, il dolore gli stimoli direttivi dell'intelletto cita diventa l'indice misuratore della per- >sta tendenza a fare del perfetto l'equiva- concepire l'ordine delle cose da un punto e utilitario, doveva insorgere il Kant. Ac- :gettiva il Wolff riconosce la necessità di le del diritto civile, destinata ad adattare ùtto naturale alle esigenze della vita so- [10 cerchiamo nel Wolff un criterio per la zione del diritto civile rispetto al diritto presenta l'insieme dei principii etici. La itto perfetto e imperfetto, posta da Tho-. tema del Wolff importanza secondaria, né, 1 Wolff indicò il criterio per distinguere 1 non coattivi. nel Leibniz manca la coscienza della im- ^uere la morale dal diritto; in quella vece ► oggettiva è trattata dal Wolff neUa Philoaophia >licata uel 1739. ni è argomento della Philosophia moralis sive Ethica ractata pubblicata nel 1750. i d'essere delle InMHntiones juria naturae et gentium Digitized by VjOOQ IC — 135 - abbiamo la tendenza a ricondurre entrambi a una fonte unica, al diritto naturale. L'interesse collettivo distinto e indipen- dente dal benessere individuale non fu inteso dal Wolff: la vita sociale, e quindi il diritto che ne è l'espressione, devono so- pratutto concorrere al perfezionamento e alla felicità dell'in- dividuo: la perfezione altrui deve intendersi subordinatamente alla propria e come mezzo per meglio perfezionare sé stesso. Non si può però negare che la filosofia del Wolff, spogliata della forma scolastica di cui egli si compiacque rivestirla, era in istrettà corrispondenza collo spirito dei tempi, e pre- parò quel' movimento illuminista, di cui l'eudemonismo, l'ot- timismo, il perfezionismo individuale e sociale furono i ca- ratteri più spiccati, e che cooperò efficacemente a sollevare l'individuo contro le oppressioni dello Stato e della società. 55. — La corrente cartesiana nelle scienze morali dalla Francia ove ebbe le origini si estesa all'Olanda e alla Ger- mania: quivi solo trovò terreno favorevole al suo naturale sviluppo: il genio profondo e conciliante del Leibniz seppe tenerla ugualmente lontana dal panteismo mistico del Male- branche, dal panteismo razionalista dello Spinoza e dischiuse al Wolff la via per elevare un completo sistema che tutto abbracciasse il vasto campo del sapere filosofico. In Germania venne per tal modo delineandosi un sistema razionalista che ne' suoi metodi, ne' suoi principii, nelle sue finalità si con- trappose a quello che dopo Hobbes e Locke si era venuto jS3rmando in Inghilterra per merito sopratutto della scuola scozzese. Nel campo etico l' indirizzo tedesco movendo dal concetto astratto dell'uomo, considerato particolarmente come essere razionale, aveva prodotto un intero sistema rispon- dente ad esigenze razionali, inteso a metter in evidenza l'ideale etico più che l'aspetto concreto e storico della morale, riuscendo per tal via al realismo e all'ottimismo etico: l'in- dirizzo inglese poco tenero della logica concatenazione delle idee, ma più direttamente interessato a rilevare gli elementi soggettivi e irrazionali dell'uomo, fu indotto a trovare nelle Digitized by VjOOQ IC — 136 — ^ ' ''AB dsteriose regioni del sentimento il fondamento della vita lorale. Ma entrambe queste correnti di cui l'una mette capo I Wolff, l'altra all'Hume, obbediscono a esigenze filosofiche hanno di mira la soluzione di un problema etico più che iuridico. Se hanno strette attinenze colla scuola del diritto aturale non la costituiscono essenzialmente, e rappresentano iuttosto l'estensione dei principii etici a regolare rapporti iuridici e sociali, di cui non intendono quasi mai la vera atura e che subordinano quasi costantemente alla morale. II particolare la corrente razionalista tedesca, se giovò a ottrarre le scienze morali alla teologia e all'empirismo, osta- olò sotto un certo aspetto il processo di differenziazione tra fiorale e diritto, in quanto tendeva a ricondurre alla ragione .stratta la morale e il diritto, perdendo di vista i caratteri iifferenziativi, per accentuare a scopo di unità e di armonia caratteri comuni. A questo riguardo la scuola del diritto naturale o dei giu- econsulti filosofi iniziata da Grozio e che in Germania so- ►ratutto si svolse col Pufendorf e col Thomasius, mantenen- [osi distinta dalla corrente filosofico-cartesiana, se non sempre ibbedi alle esigenze logiche, mostrò di apprezzare al loro :iusto valore i problemi interessanti la vita giuridica in lontrapposizione alla vita etica. La coscienza di tale opposi- ;ione appare sopratutto in Thomasius, a cui si deve il primo entativo realmente efficace per separare la sfera giuridica [alla morale. La scuola del diritto naturale venne pertanto n Germania a scindersi in due campi nettamente distinti e ;he si svolsero paralleli: l'uno filosofico personificato dal Adolfi*, l'altro più propriamente giuridico personificato dal ?homasius: a Kant spettava riassumerli nel suo sistema e >orre su nuove basi il problema dei rapporti tra morale e liritto. Digitized by VjOOQ IC . 3 '.* — 137 — §6. Vico 6 le sciet^ze elicoH^iatiolicl^e It) Italia. SOMMABIO: 58. Condizioni generali d'Italia nel secolo XVII —57. Galileo eia filosofia naturale — 56. Gli studi giuridici e il rinnovaménto della filosofia in Italia — 59. Vicende degli studi giuridici in Italia — 60. Gli studi giuridici in Napoli nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici — 61. Il progresso degli studi giuridici in Napoli nella seconda metà del secolo XVIII.: giureconsulti eruditi : d'Andrea e Gravina — 62. La Vita Civile di P. M. Doria — 63. Bisv«glio filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII — 64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo tempo — 65. Vico contro Cartesio e la questione del metodo nelle scienze morali — 66. Il cri- terio della .verità nel Vico — 67. Il Vico e gli studi giuridici — 68. La filosofia del diritto nel Vico — 69. Il rapporto tra morale e diritto — 70. Il diritto nella sua formazione storica — 71. Diritto e scienza sociale — 72. Le sorti di Vico e i critici cattolici — 73. Seguaci di Vico: Stellini e Duni — 74. Conclusione. 56. — Nei secoli XVI e XVII nei principali paesi d'Europa si va delineando la struttura dello Stato moderno tra le ro- vine dei rapporti feudali e dei privilegi municipali, in mezzo agli sconvolgimenti delle lotte religiose sotto l'azione unifica- trice delle monarchie assolute. Inghilterra, Francia, Austria, Spagna, sul finire del XVI secolo già si presentano poten- temente unificate nella persona del sovrano, i cui interessi parvero identificarsi coli' interesse generale del popolo. La formazione dello Stato moderno si accompagna ovunque col sorgere della scuola del diritto naturale, a cui spettava in- dicare i principi giuridici adatti al nuovo ordine di cose. A questo movimento di concentrazione e di unificazione politica che percorse l'Europa provocando il ridestarsi di energie nuove, di una coscienza politica e civile moderna, rimase in- teramente estranea l'Italia divisa in numerosi stati, deboli e discordi» i quali come assistettero senza commuoversi alle controversie religiose e alle guerre di prevalenza tra Spagna e Francia, cosi accettarono senza opporsi le nuove condizioni create dall'Europa alla penisola col trattato di Chàteau-Cam- brésis. L'umanesimo se aveva fatto rivivere l'Italia nel passato glorioso classico, l'aveva distratta dal presente in cui si ma- Digitized by VjOOQ IC 'XTT' — 138 — > gli eventi destinati a modificare profondamente il ll'umanità. Mancava all'Italia la coscienza di un in- )ubblico e comune, intorno a cui raccogliere le energie 3, epperò doveva ricevere dal di fuori, da autorità nemiche forza e impulso a progredire. La reazione e l'influenza spagnuola, rivolgendo ai propri scopi e le risorse economiche e morali del paese, costituirono ;e servitù politica e religiosa, che pesò per oltre un ille sorti del popolo italiano. atamente il sistema di governo inaugurato da Filippo jna, fatto per rovinare e soffocare qualunque forma di ì, aveva in sé stesso molte cause di instabilità e di i. La potenza veramente meravigliosa raggiunta dalla lel XVI secolo, frutto di fortunate combinazioni sto- ^ll'abilità tutta personale dei re che si succedettero da do il Cattolico a Filippo II, non accompagnata da un idente elevamento della coscienza civile e dell'intel- popolo spagnolo, non poteva che essere transitoria ed La politica di Filippo li, diretta a restaurare il Medio )ffocare ogni manifestazione di vita nuova, a contra- rcè uno spirito protettore violento e tirannico ogni di emancipazione intellettuale e religiosa, se era de- . un sicuro insuccesso nei paesi nei quali lo spirito Torma, come in Olanda, o l'influenza del classicismo, Italia, oppose valida resistenza, trionfò pienamente igna, dove l'alleanza secolare degli interessi nazionali 5i, i sentimenti di fedeltà e di riverenza tradizionali alla estrema ignoranza e superstizione, tolsero al po- ^nolo ogni possibilità di reazione (1). Per tal modo Buckle^ Op. cit., e. xv ove si fa la storia dell'intelletto spa- » età moderna, e si mettono efficacemente in rilievo le oaase di deUa Spagna rispetto agli altri paesi. — È sintomatico il fatto ffini, (Op. cit.) facendola storia della libertà religiosa nei di- ì di Earopa non nomina la Spagna, evidentemente perchè questa porse l'occasione. Digitized by VjOOQ IC ^^^' alla Spagna toccò iu sorte n lo spirito reazionario e proto berta e del progresso. In ciò la quale, dopo di aver riform Concilio di Trento, e di aver i Gesuiti e l'Inquisizione, spiej sistematicamente inspirata a denza nuova. Fu ripetuto e si ripete tut corrente della Spagna e della ( unica della decadenza Italia mazione deve rettificarsi di 1 delle condizioni d'Italia nel s cadenza politica d'Italia in e dominio spagnolo e alla reas cercarsi nella sopravvivenza avevan fatto l'Italia forte e fii delle Signorie e del Rinascin in Italia, come altrove, contri mento protestante e dalla for partecipò attivamente alle g alle grandi lotte che commos la sua non fu immobilità, sii Spagna e ne segnò la decade secolo XVII le idee, le passic secolo anteriore attenuate o a dell'Europa iniziano un nuovo il passato per rinnovarsi dal] il suo corso storico e trae da (1) La nota pessimista prevale nei preconcetto portò il Ferrari (La Parte I, e. iv) a considerare conio e si produsse di notevole in Italia. 1 fondamento di tali giudizi intorno diamo il Forti (Istituzioni civilif F Digitized by VjOOQ IC — 140 - gli elementi per rinnovare sé stessa. Il dominio spagnolo potè affermarsi e sostenersi giovandosi dell'indifferenza politica del popolo italiano : ma se influi sulle forme esteriori di vita, non ne estinse le energie intime e vitali : a misura che la Spagna nel corso del seicento andò perdendo di autorità, di dignità, di potenza, Tltalia vera, quella che sembrava estinta sotto il giogo straniero si ridesta, mostra di conoscere le nuove condi- zioni di vita moderna, si afferma d'un tratto tra le altre nazioni, le precorre mostrando che la servitù politica e civile non si- gnifica morte d'un popolo quando l'anima si mantiene salda e forte. Il classicismo era pur sempre una forza viva e operante nella vita del popolo italiano e ne costituì l'elemento unifi- catore, spiegando un'azione analoga a quella compiuta altrove dalla religione o dalla monarchia. Come il dominio spagnolo, cosi la reazione cattolica, che richiama alla mente l'Inquisizione, i roghi, le arti gesuitiche, esplicò un'azione del tutto esteriore sull'andamento generale del pensiero italiano. La istintiva ripugnanza degli Italiani alle guerre di religione, la indifferenza opposta al movimento della Riforma, l'azione energica spiegata dalla Chiesa secon- data dai governi nel reprimere i pochi centri infetti di eresia, la divisione politica dell'Italia in piccoli Stati, numerosi e rivali, aventi vedute diverse in fatto di politica religiosa, la presenza del Papato, che doveva seguire una linea di condotta prudente e moderatrice, se da un lato rendevano inutili le misure re- pressive, dall'altro tolsero loro efficacia e intensità. La reazione doveva spuntarsi contro il temperamento degli Italiani, abituati per lunga consuetudine a quello sdoppiamento psicologico, non privilegio di poche personalità ma proprio di quanti erano intelligenti e colti, per cui sapevano conciliare la sincerità delle credenze colle audacie del pensiero : solo la forma este- riore del pensiero e delle opinioni doveva subire restrizioni e accomodamenti, e ciò spiega le frequenti concessioni e gli ac- corti espedienti a cui ricorsero anche i più alti intelletti, per non offrire il fianco a inutili persecuzioni. E invero, nonostante Digitizedby Google — 141 — il malgoverno degli Stati, lo sfruttamento permanente delle energie produttive del paese, l'ignoranza delle plebi sistema- ticamente insubordinate e affamate, la mancanza di virtù pub- bliche e civili, di una coscienza politica nazionale, il pensiero italiano nelle strettoie in cui doveva muoversi, si mantenne più che mai desto, dando novelle prove della sua inesauribile fecondità (1). 57. — L'Italia, unica tra i paesi dell'Europa, offre l'esempio nel secolo XVII di una produzione intellettuale in cui l'antico e il moderno si associano, e mentre da un lato conserva e perpetua la tradizione classica del cinquecento, dall'altro elabora forme nuove e precorre i tempi moderni. Scienza e filosofia trovano nel seicento cultori e innovatori, il cui nome basta per porre l'Italia al livello e al disopra delle altre nazioni europee. L'Italia ebbe nel seicento il suo Bacone nel Galileo, il suo Cartesio nel Campanella, come più tardi doveva avere il suo Grozio nel Vico, il cui pensiero si educò e si formò nell'ambiente e secondo le tendenze di quel secolo. La Toscana e il Regno di Napoli furono rispettivamente i centri del pensiero scientifico e filosofico. La Toscana, culla dell'arte nel trecento per opera di Dante, fu Ja culla della scienza nel seicento per opera di Galileo. Nulla di più inesatto, sopratutto rispetto al Galileo della frase del Ferrari « essere stata l'Italia nel seicento il paese delle grandi eccezioni » : non fu una ec- cezione il Galileo, il quale riassunse in sé il lavoro di molte generazioni precedenti, e fu il capo d'una scuola numerosa di seguaci che ne continuarono gloriosamente le orme. Un secolo prima il Vinci aveva proclamato l'esperienza >ola in- terprete della natura e aveva inaugurato il felice connubio della matematica coi dati sperimentali in cui propriamente consiste il pregio e la novità del metodo galileiano. Prima di Galileo, Telesio aveva detto che la natura è il gran libro in (1) Sai carattere toUerante degli Italiani in materia religiosa efr. R a f f i n i, Op. cit., p. 475. Digitized by VjOOQ IC — 142 — s cui si contiene tutta la filosofìa : il Galileo additò i caratteri coi quali il libro era scritto. Prima di Cartesio, il Galileo coa- cepi le forze naturali come capaci di peso e di misura, e dai rapporti ideali delle quantità cercò intuire i rapporti reali dei fatti. Prima di Bacone egli insegnò che il senso porge la materia greggia dell'esperimento e che dall'osservazione deve nìuovere la ricerca scientifica. Per tal guisa il Galileo se da un lato precorre, dall'altro supera, completandoli, Bacone e Cartesio nello studio dei fatti naturali. In lui l'esperienza e il ragionamento, quella fondata sul senso, questo sulla ragione, si associano e si completano a vicenda. A Bacone invece parve sufficiente la semplice osservazione, a Cartesio la speculazione pura(l). Il metodo naturale fuori d'Italia si sdoppiava in due indirizzi opposti, in Italia e più specialmente in Toscana per opera dei continuatori del Galileo si mantenne nella sua in- tegrità e divenne lo spirito informatore dell'Acciidemia del Cimento (2). Galileo non usci dal campo dei fenomeni fisici : sotto questo aspetto fu superato da Cartesio e da Bacone, di cui l'uno creava per le scienze speculative un metodo nuovo, l'altro consigliava l'estensione del metodo sperimentale alle scienze morali. Ad associare il metodo razionale e sperimen- tale, Bacone e Cartesio, nello studio delle scienze morali so- pravvenne il Vico che restaurò la filosofia italica, come Galileo aveva restaurato la filosofia naturale. 58. — Il rinnovamento filosofico in Italia fu assai più lento e contrastato. Sulla scorta del Mamiani e del Gioberti noi potremmo facilmente rintracciare in Italia fin dal secolo XV una triplice azione diretta contro la scolastica, la teologia, Aristotele (3). Né mancano nuovi sistemi che contraddicono (1) Sai precursori di Galileo e sul metodo galileiano ne' suoi rapporti con quello adottato da Bacone e da Cartesio cfr. Fiorentino, Beìmardino Tele8i0f Firenze, 1874, II, e. 13. (2) Cfr. A. E e che r, La fisica spei'imentale dopo Galileo nella « Vita ita- liana » Sec. XVIII. Parte III. (3) Cfr. Mamiani, Del rinnovamento della filosofia antica italianaf Pa- rigi, 1834, Parte I, e. 3-5. — In quest'opera, come nelle opere più note Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 144 — rinnovamento della filosofìa italica. Tale corrente è rappre- sentata dalle scienze giuridiche e morali. Altrove osservammo che nell'Europa moderna l'impulso ad una trasformazione filosofica derivò da esigenze di carattere morale e giuridico. L'Italia pur non sottraendosi a questa le^e tenne diverso cammino. In Olanda, Inghilterra, Germania sorse e si affermò la scuola del diritto naturale: scarsa e imperfetta era la tradizione giuridica in questi paesi,' e del tutto insuf- ficiente a soddisfare le nuove esigenze create dalla formazione dello Stato moderno. Il concetto di un jiis natiirae che per- metteva alla ragione di sciogliersi dai vincoli dell'autorità e della tradizione giuridica del passato, divenne il fulcro intorno a cui si svolse una letteratura etico-giuridica copiosa, desti- nata a dare nuove basi alle scienze morali. Ma né in Francia né in Italia sorse una vera scuola di diritto" naturale: in Francia fu soffocata nel suo sorgere dal dispotismo reazionario di Luigi XIV: in Italia non aveva ragion d'essere per la man- cata formazione dello Stato moderno. Il diritto filosofico che altrove procede dalla ragione in opposizione alla tradizione giuridica, in Italia scaturisce spontaneo e per filo non inter- rotto dalla tradizione giuridica stessa, trasformata e adattata alle nuove condizioni dei tempi moderni. Solo per questa via si può spiegare la restaurazione giuridico-filosofica compiuta dal Vico, e vien meno quel carattere di eccezionalità che an- cora circonda la figura del grande pensatore napoletano, a cui spettava nel campo delle scienze morali, come al Galileo nel campo delle scienze naturali, riassumere il passato e di- schiudere l'avvenire. * . 59. — Le scienze giuridiche fornirono anche all'Italia oc- casione alla restaurazione filosofica, la quale per altra via avrebbe incontrato difficoltà quasi insor/nontabili. Alla glossa di Irnerio e di Accursio (secoli XI e XII) ossequente alla let- tera della legge, era seguita con Bartolo e Baldo (secolo XIV) la scuola degli interpreti, i quali applicando alle leggi la dia- lettica scolastica, accomodarono il diritto romano alle esigenze Digitized by VjOOQ IC — 145 — del foro e alle necessità dei tempi, ampliandone e done il contenuto, facendo spesso opera di legislatc di giureconsulti (1). Tali interpreti costituirono la giureconsulti pratici, la quale si mantenne nume fluente in Italia nei secoli XVI e XVII (2). Neil' ignoranza e confusione delle leggi, i pratici contrib serva il Carle, a svolgere quell'aspetto della scienza che chiamasi ora giurisprudenza (3). Sul finire del Medio Evo l'amore della critica stoi logica applicata agli studi giuridici vi produsse una schiera di giureconsulti culti o eruditi, che astraci sogni della pratica, deplorando le alterazioni che dei pratici i testi del diritto romano avevano subito, con ardore ammirabile a purgare la lezione dei test; l'antico diritto « colla cura, dice il Carle, con cui si una statua antica i cui frammenti sieno disgiunti gì altri ». Dalla scuola dei giureconsulti culti iniziat da filologi come il Poliziano e il Valla e da giurecom l'Alciato, svoltasi sopratutto in Francia col Cuiacic i primi romanisti, e i primi storici del diritto (4). La diversità di scopi e di indirizzi mantenne a li e ostili i giureconsulti pratici e colti, per quanto cassero fin dal secolo XVI tentativi per conciliare e i due indirizzi (5). E mentre in altri paesi di Euroj (1) Carle, Vita del diritto, Torino, 1890, p. 227. (2) Il Vico vi accenna nel De universi juris eoe. (Proloquiì (3) Carle, Op. cit., p. 298. (4) Ricordiamo Jne italiani il Sigonio e il Pancirolo. — Op. cit., I, p. 447. (5) Ricordiamo Alberico Gentile il qnale pur appari scuola dei giureconsulti colti ne criticò aspramente le esaj Dialoghi siigli interpreti delle leggi (pubblicati a Londra nel Gentile fu ad un tempo nelle numerose sue opere pratico ed < anche considerarsi cultore del diritto naturale, da lui posto a deU^ opera sua maggiore « De jure belli » in cui precorre G questa pai-te egli subì Tinfluenza dell'ambiente politico e relig gbilterra (in cui visse dal 1581-1608) e Popera sua non ebb 10 Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC ■*v-.>^^:''WH.-; — 147 — terra di conquista e la volontà dispotica del principe tien luogo di legge, — in cui i viceré nominati per tre anni po- tevano impunemente violare la legge pur di arricchire nel più breve tempo possibile, dopo di aver inviato a Madrid 8,000,000 di scudi.— in cui l'educazione era affidata ai Gesuiti e la Chiesa dominava le coscienze e la vita civile colla supersti- zione, colle sue ricchezze, co' suoi privilegi, col numero enorme di corporazioni religiose e di fondazioni — in cui il popolo ignorante e affamato era sempre pronto alla rivolta inconsulta — in cui l'amministrazione della giustizia era corrotta, la distribuzione dei tributi ingiusta, il commercio insignificante, l'agricoltura abbandonata, le campagne percorse da banditi — in cui l'arte e la letteratura erano servili — in cui il sistema, feudale si perpetuava co' suoi abusi e la nobiltà si corrompeva nell'ozio (1). In questo periodo di generale decadimento l'attività intel- lettuale si esercitai a nel foro e nelle materie giuridiche. La giurisprudenza- era il campo aperto agli studiosi, e raccoglieva intorno a sé quanto di più eletto per ingegno e coltura esi- steva in Napoli. I pratici erano in prevalenza, ma si distin- guevano per acume giuridico, per l'analisi profonda dei fatti, per la rara diligenza nel porre le questioni. L'influenza dei curiali e l'alta considerazione in cui erano tenuti costituiva l'unica difesa contro le frodi, le ingiustizie, i disordini del mal governo. Il giureconsulto inspirandosi all'equità naturale com- pieva opera sociale notevole, poiché trovava per tal via modo di supplire alla insufficienza o mancanza della legge scritta (2). (1) SaUe condizioDÌ generali di Napoli iu questo periodo ofr. Giano o ne,. Storia eivile del Regno di Napoli, Libri XXXIII-XXXVIII. (2) Parlando deUo stato della giurisprudenza napoletana in questo pe- riodo il Gian none, Op. oit., Libro XXXIV, e. 8, dice che « gli avvocati di questi tempi non collocavano molto studio nell'oratoria, sicché i loro aringhi comparissero al foro luminosi e pomposi : si studiavano ricavar l'eloquenza più dalle cose che dagli ornamenti dell'arte. Perciò i loro discorsi in Ruota erano corti e tutto sugo : il principal loro studio era nel porger con metodo ed energia i fatti ecc. ». Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 149 — il Caravita, TAulisio, giureconsulti di gran nome poranei del Vico. Né solo gli studi giuridici attinenti alla prat incremento e lustro nella seconda metà del secol Napoli, ma anche gli studi storici del diritto ce intendimento filosofico trovarono un degno rappres Gian Vincenzo Gravina. Questi portò la interpretazi della scuola napoletana alla sua maggior perfezioi iniziò gli studi sulla storia e sulle origini del dirit raccogliendo tutte le conoscenze che si avevano medesimo, indovinando il nesso tra le varie parti le lacune, facendo opera pe' suoi tempi nuova e Nella produzione giuridica del Gravina è evidente far servire il diritto romano a scopi filosofici (2). Tra restringevano la legge naturale alla legge raziona che ne allargavano il concetto fino a derivarla dal golanti l'universo, il Gravina si attiene a una so termedia che doveva più tardi svolgere e accentu; L'uomo, secondo il Gravina, per la sua natura corporei alia legge generale delle cose che è legge di moto di conservazione e di evoluzione continua : per la i spirituale ha una legge sua propria che è legge di di moti volontari. Per diritto naturale il senso de^ narsi alla ragione, il cui cibo è la virtù, e il cui ] pace dell'animo, conseguita per mezzo della conosc naie delle cose (3). La vita sociale si inizia colla far flcata nel padre a cui spetta per diritto naturale Ti mestico. Dalla necessità degli scambi sorgono i cont: (1) Lo riconosce il Vi 11 ari nel suo saggio sol Filangieri, (S critica, politica, Firenze 1898). (2) I principi di filosofia giuridica del Gravina si trovane e nei primi sedici capi del Libro III dell'opera sua maggio juris oivilis libri treSy Napoli, Mosca, 1713. — Nel I libro fa 1 origini e del progresso del diritto romano pubblico e privai (3; Gravi na. De origine juris, Lib. II, e. 1-9. Digitized by VjOOQ IC — Ì50 — generano rapporti più ampi, fondati non sopra vincoli uè, ma sulla considerazione del vantaggio comune, di isura la legge, definita giustamente da Platone « distri- lentis ». Su questa base dell'interesse comune e sul- io delle società private di commercio, si formano le civili, di cui sono organi necessari, la legge ossia la voluntas intesa a regolare i rapporti sociali, e la : potestas a cui spetta prevenire e reprimere anche amente le violazioni delle leggi (1). Se l'idea dell'onestà mto universale e costante della legge, questa può assur >rme diverse secondo i tempi, i luoghi, il carattere dei inche i rapporti tra levarle società civili devono essere L da ragione, e il diritto che ne deriva costituisce il di- sile genti, le cui violazioni giustificano le guerre intese ionfare nei rapporti fra gli Stati la ragione sugli istinti ì antisociali (2). Come nell'interno di uno Stato ai saggi mti alla ragione espressa in leggi scritte spetta gover- ai sudditi, schiavi del senso, obbedire, così nei rapporti zionali spetta agli Stati più civili dominare e sottomet- i Stati che violano le norme del diritto naturale. Il a. previene il Vico nella ricerca delle cause per le quali i sorgono, si conservano, rovinano. Se non che il Gra- )n essendo assorto al concetto di società come un tutto ;o e considerandola solo come la somma degli individui compongono, ricerca tali cause nell'uomo e fa dipendere t)rio sociale dall'equilibrio di tutte le facoltà dell'indi- ^). Precorrendo il futuro egli mostra le sue predilezioni sverno popolare (4) e mette in evidenza l'importanza 3 medio o terzo stato per mantenere l'ordine e l'armonia [verse classi sociali (5). jNel diritto e nella costituzione p. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. lO-lS". r. Gravina, Op. cit., Lib. II, e. 14. r. Gravina, Lib. III, ci. r. Gravina, Lib. III, e. 16. r. Gravina, Lib. Ili, e. 14. Digitized by VjOOQ IC — 151 — politica del popolo romano, alla cui illustrazione l'opera sua di giureconsulto è sopratutto intesa,' il Gravina, come più tardi il Vico, vedeva l'esempio ideale da semr di guida e di inse- gnamento agli uomini politici e ai giuristi (1). La filosofia giuridica del Gravina non ha valore che per l'epoca e le circostanze in cui sorse : in essa la funzione etica del diritto non si distingue dalla sua funzione sociale, la legge naturale si confonde colla legge morale, come per gli antichi il sommo bene è riposto nella virtù congiunta alla felicità e acquistata colla scienza (2): ma nel Gravina troviamo i germi dell'indirizzo che doveva prevalere in Italia col Vico, cioè lo studio storico del diritto romano fatto servire a illustrare principi teorici, e alla ricerca delle leggi regolanti il corso delle nazioni (3). 62. — Del risveglio effettuatosi in Napoli nelle scienze mo- rali e giuridiche, è novella prova la Vita Civile di Paolo Mattia Boria, alla cui pubblicazione, avvenuta nel 1700, il Doria, non ancora distratto dalle polemiche cartesiane, fu forse indotto dalla lettura delle opere del Gravina, o più probabilmente dalla famigliarità col Caravita, nella cui casa conveniva col Vico (4). Il Doria nell'opera sua si dimostra, a differenza del (1) Cfr. del Gravina H libro « De romano imperio »- in cai tratta deUa costituzione deUMmpero romano come della costituzione ideale. (2) Le idee religiose del Gravina furono dal lato dogmatico queUe dei cattolici del suo tempo, ma con questi fu in disaccordo nel campo etico. La sua Hydra mistica è una critica severa della morale gesuitica mostrando una grande indipendenza di pensiero. (3) Il Vico conobbe il Gravina verso il 1714, lo ricorda con espressioni di stima e di affetto nella Autobiografia. Se non ne cita le opere, ciò non deve attribuirsi a malanimo o a distrazione^ come afferma il Cantoni, (G, B. Vico, Torino, 1867, p. 88), ma al fatto che nel Vico anche le idee altrui si elaboravano e si trasformavano in guisa da diventare sue pròprie e originali. (4) Paolo Mattia Doria (1662-1746) di famiglia genovese, visse e morì a Napoli dove erasi recato fanciullo. Fu amicissimo di Vico il quale lo ricorda neXV Autobiografia, e gli dedica il < Le Antiquiseim^ ». II Tommaseo, (Saggio su Vioo), lo disse legato al Vico di fida e signorile amioiMa» — Il Digitized by VjOOQ IC — 152 — Gravina, più filosofo che giureconsulto: in lui parla il mora- lista, l'educatore più che l'uomo di legge (1). La politica, se- condo lui, si giustifica solo in quanto gli uomini non seguono i precetti della morale : essa è la scienza e l'arte di guidare gli uomini al bene e alla felicità loro malgrado, avvalorando le sue norme colla minaccia delle pene (2). Egli considera la vita sociale da un punto di vista puramente etico, ad esclu- sione di ogni considerazione giuridica. Il Doria contrappone la sua dottrina politica a quella del Macchiavelli, a cui rim- provera di aver fondato la politica sullo studio degli uomini quali sono, di aver dell'uomo rilevato solo la natura viziosa, di aver proceduto induttivamente da osservazioni particolari a massime generali e non deduttivamente da principi univer- sali saldi e costanti. Il Doria invece muove dagli uomini quali dovrebbero essere, ^ intende contrapporre alla politica mali- ziosa del Macchiavelli la sua politica virtuosa^ nella quale la costanza e l'universalità dei principi si concili colle esigenze, della pratica (3). Doria non cita mai nelle sue opere il Vico, forse perchè non ne ebbe mai l'occasione, essendosi in seguito applicato a studi matematici e filosofici. — La 1» edizione della Vita Civile è del 1700, la 2^ del 1710. — Noi ci siamo valsi deir edizione Poraba (1852 in Nuova Biblioteca popolare, classe IV, Poetica)* condotta sulla napoletana del 1729, riveduta ed accresciuta dal Doria. — Per le notizie biografiche e bibliografiche intorno al Doria cfr. la monografia del G or ini, P. M, DoHa filosofo e pedagogista, Asti, Bri- gnolo, 1899. (1) Il Doria scrisse anche un trattato bvlW Educazione del Principe, che è aggiunto in appendice alla Vita Civile. (2) Così definisce il Doria la politica : « la scienza con la quale si con- ducono i popoli all'esercizio della morale per lo mezzo di leggi dalla me- tafisica dedotte e per lo mezzo di buoni retti ordini da saggi legislatori instituiti». Cfr. Doria, Bagionamenti e poesie varie, 1737, Rag. VI, ove 8i l>iasimano quelli che vogliono ricavare la politica dalla sola pratica e i filosofi che credono potersi governare il mondo ooll'astralta metafisica. — Nella Vita Civile, Parte I, e. ii, dice « che la politica e la morale sa- rebbero la stessa cosa e non vi sarebbe punto bisogno di politica^ qualora le norme di moralità fossero da tutti comprese e attuate ». (3) Doria, Op. cit., p. 27. Digitized by VjOOQ IC /- 163 - La politica deve fondarsi sulla conoscenza della natura umana quale appare alla ragione : solo per tal via si potrà evitare Tempirismo e ridurre la politica a sistema. Come non è vero giureconsulto chi dalle leggi particolari del luogo non sa elevarsi alla ragion della legge, cosi non è vero politico colui che ha solo una naturale e raffinata malizia, spoglia di ogni cono- scenza dell'uomo, de' suoi rapporti coll'ordine delle cose, del- l'essenza della vita civile, di ciò che contribuisce alla felicità degli uomini (1). Dalla metafisica, che pel Doria significa co- noscenza degli universali a scopo di applicazione pratica, deve la politica trarre il suo fondamento scientifico. Nello studio dell'uomo il Doria segue l'indirizzo psicologico mediano proprio della filosofia italica e che il Vico doveva svolgere : rileva il dualismo tra spirito e materia, ammette che a costituire la vita morale concorrono la ragione e il senso, l'universale e il particolare, che la felicità consiste nella retta conoscenza e nel buon uso dei sensi, che naturale è l'inclinazione alla vita sociale, che l'uomo per necessità della sua natura tende a emendarsi, a cercar rimedio ai mali, a sollevarsi gradata- mente dal senso, ossia dai particolari agli universali principi, cioè alle idee innate del vero e dell'onesto (2). Tutti questi con- cetti ravvalorati dalla esperienza storica ritornano nel Vico. Alla morale impossibilità dell'uomo di possedere tutte le virtù e al fatto che tutti sono forniti di qualche virtù, supplisce la vita civile, la cui vera essenza sta nel comporre armonicamente insieme le energie virtuose disperse nei singoli, in guisa che si aiutino reciprocamente, e si formi una condizione di cose atta ad assicurare a ciascuno la felicità (3). 11 Doria dopo aver ricostruito razionalmente o piuttosto psi- cologicamente l'origine e l'essenza della vita civile, cerca, come (1) Cfr. Doria, Op. cit., p. 38. (2) Cfr. il Capo II delia parte prima dove è esponila la dottrina i)sico- logica del Doria. (3) Cfr. Doria, Op. cit., p. 92-93. Digitized by VjOOQ IC ^z.^^?»:^:^^ — 154 - più tardi il Vico, nella storia conferma a' suoi principi. Re- spinta l'ipotesi di una pretesa età dell'oro, riconosce che gli uomini, cresciuti di numero, premuti dal bisogno attraversa- rono un periodo di lotte e di violenze, da cui uscirono racco- gliendosi e organizzandosi intorno a uno di loro più forte che li difendesse : si costituirono allora le famiglie e si ebbero i governi patriarcali. Quando gli uomini non paghi della difesa aspirarono a un genere di vita più regolare e civile, fecero ricorso al prudente che dettasse leggi ordinate alla umana felicità. Colle leggi e ordinamenti si iniziò la vita civile che si svolse dapprima nelle città, poi nei regni e si ebbero le monar- chie, trasformatesi col tempo in aristocrazie e in democrazie. Col graduale estendersi e complicarsi della vita civile, l'economia domestica si fa commercio, la difesa della casa si trasforma in vasta arte di guerra, la naturai prudenza diventa scienza di governo o politica. Una progressiva divisione di poteri ossia di ordini si rende necessaria, e si formano le classi dei guer- rieri, dei legislatori, dei magistrati, i quali a loro volta vanno distinguendosi in magistrati di politica, di giurisdizione, di commercio. Tra i sudditi poi si vanno formando le classi dei padroni e dei servi : da quelli si svolge la nobiltà, da questi la ricca varietà dell'arti servili. Dalla . storia di Roma trae il Doria argomenti ed esempì alla dimostrazione della sua dottrina (1). Passando dalla costituzione politica a descri- vere le fasi del progresso sociale, quale risulta dalla storia, il Doria pone come legge regolante il corso dell'umanità il graduale passaggio dalla vita barbara o difettosa alla vita civile moderata da leggi scritte, e da ultimo alla vita civile pomposa, in, cui la civiltà si accompagna col lusso e colla magnificenza degli esteriori ornamenti. La vita pomposa ge- nera l'ozio e il popolo ricade nella servitù (2). (1) Cfr. Doria, Op. cit., I, e. in e iv. (2) Cfr. Doria, Op. cit., I, e. v, ove si descrivono diffusamente le diverse fasi deUa vita civile. Digitized by VjOOQ IC 4..^ — 165 -- Per quanto erroneo sia il concetto fondamentale della dot- trina civile del Doria, noi crediamo di trovare in essa i germi di molte idee e dottrine svolte più tardi dal Vico. Il con- cetto che la filosofia deve tendere a scopo pratico, che anche la politica può fondarsi su principi saldi e costanti tratti dalla conoscenza dell'uomo e delle sue passioni, la storia e sopratutto la romana invocata a conferma della dottrina, la progressiva differenziazione degli ordini e dei poteri, il pas- saggio graduale dell'umanità dalla barbarie alla vita civile e il ritorno fatale alla barbarie, il progresso identificato col passaggio dal senso alla ragione, sono concetti che ritornano nel Vico svolti ed estesi a nuove e più lontane conseguenze. L'opera del Doria, molto apprezzata ai suoi tempi, non fu. senza influenza sui principi italiani ancora infetti da machiavellismo, incitandoli a saggie e razionali riforme: essa precorre i tempi e non merita l'obblio in cui è tenuta dagli storici della filo- sofia del diritto. Ad ogni modo essa getta viva luce su quel- Tambiente di Napoli in cui fu concepita e pubblicata, e nel quale si maturava il genio di Vico. 63. — Il progresso negli studi giuridici e sociali in Napoli nella seconda metà del secolo XVII, non era che il riflesso di una. ben più larga e profonda trasformazione del pensiero napoletano al contatto delle correnti filosofiche europee, le quali, penetrate in Napoli malgrado l'attenta vigilanza della Chiesa, si erano rapidamente diffuse conquistando gli spiriti oramai maturi ad accoglierle. Prime a conquistare il favore delle nuove generazioni furono le dottrine di Epicuro e di Locke, come quelle che interessavano la vita pratica e schiu- devano un ideale morale che era in aperto contrasto colle idee e coi sentimenti tradizionali (l). La rivoluzione iniziatasi (1) n Vico uéìV Autoìnografia ci dice che « Del tempo nel quale egli partì da Napoli (1685) si era cominciata a coltivare la filosofia di Epicuro sopra Piar Gassendi, e due auui dopo ebbe novella che la gioventti a tutta voga si era data a celebrarla ». — Ciò conferma il Doria nell'introduzione air opera : Difesa della metafi»ioa degli antichi contro G, Locke eco, (1732,). Digitized by VjOOQ IC - 156 — nel costume si estese al campo speculativo e l'occasione fu offerta da Cartesio nelle cui opere filosofi, giuristi, matematici, fisici e fisiologi trovarono argomenti per un nuovo indirizzo di metodo e di studi. Negli ultimi decenni del seicento e fin verso la metà del secolo XVIII Cartesio fu in Napoli nome di battaglia e di partito: esso significava libertà di pensiero, opposizione ad Aristotele, al principio di autorità, allo scola- sticismo, all'erudizione filolcfgica e storica, all'empirismo: esso divenne l'arma poderosa che servi a scuotere, dice il Giannone, il durissimo giogo che la filosofia dei chiostri aveva posto sopra la cervice dei napoletani (1). Primo a introdurre in Napoli e a far conoscere la dottrina di Cartesio fu Tomaso Cornelio (2) (secolo XVIl), medico e naturalista della scuola del Telesio, il quale ebbe ad alleati influenti il giureconsulto Francesco d'Andrea, il medico Leonardo da Capoa, e sopratutto Gregorio Caloprese (3), che approfondi la dottrina cartesiana e primo si diede a insegnarla. Del favore che Cartesio incontrò in Napoli sul finire del secolo XVII fa prova l'Accademia degli Investiganti istituita in casa propria dal marchese dell'Arena, allo scopo di studiare e discutere la filosofia cartesiana col concorso e l'adesione di quanti si distinguevano in Napoli, per coltura e ingegno nei più diversi rami del sapere (4). Al primo periodo di entusiasmo e di fanatismo, di ammira- zione cieca per le nuove idee che venivano dal di fuori, suc- cesse un lungo periodo di reazione e di opposizione tendente a richiamare le menti alle buone tradizioni della filosofia italica, a restaurare il platonismo che già nel cinquecento era stato (1) Cfr. Giannone, Op. cit., Lìb. XL, e. 5. (2) Del Cornelio parla il Fiorentino, Op. cit., II. (3) Il Vico (Auiob,) lo chiama « gran filosofo renatista ». (4) In quest'epoca abbiamo una vera ri&oritura di accademie in Napoli : oltre a quella degli Investiganti ricordata dal Giannone, Op. e 1. cit., notiamo qnella fondata da Gaetaiio Argento alla quale conveniva il Gian- none ; quella fondata dal duca di Medina Coeli ; quella degli Infuriati ri- cordata dal Vico nella Autobiografia^ quella degli Oziosi, senza tener conto delle numerose private. Digitized by VjOOQ IC — 157 — valido strumento di guerra contro Aristotele e la Scolastica. Anima dell'opposizione contro Cartesio, l'idolo del giorno, fu il Vico, al quale le varie correnti di pensiero che si erano andate svolgendo in Napoli nella seconda metà del secolo XVII nel campo delle scienze giuridiche e filosofiche convergono: egli potè apparire un genio solitario solo perchè fu l'astro luminoso, dice il Villari, in cui si concentrò la luce di tutta uaa moltitudine di minori pianeti (1), perchè riassunse in sé tutta un'epoca e sui materiali da questa forniti elevò un si- stema di cui i contemporanei non potevano valutare l'impor- tanza, e di cui parve egli stesso volesse rimandare all'avvenire la prova dei fatti. 64. — Nell'opposizione contrergli indirizzi filosofici prevalenti all'epoca sua Vico non fu solo: egli ebbe ad alleati quanti per avversione a Cartesio e allo scolasticismo miravano a restau- rare la filosofia platonica e a richiamare gli ingegni al culto della tradizione italica. Tra questi devesi ricordare il Doria, il quale dopo aver combattuto Cartesio nel campo della geo- metria, della fisica, della metafisica, si fece a sostenere il platonismo in armonia colla dottrina cristiana. Il suo tentativo lasciò gli animi indifferenti: a lui nocque il carattere polemico delle sue opere, l'esagerazione con cui combattè senza distin- zione tutti gl'indirizzi nuovi di pensiero solo perchè non ri- spondenti alle sue predilezioni filosofiche (2). (1) CIt. il saggio sul Filangieri del Villari in Saggi di storia aHitea e politica, Firenze, 1898. — Il Villari, iJ Carle sono tra quelli che cooperarono a sfatare la leggenda di genio solitario che unita all'altra di genio incompreso si era andata dopo il Ferrari creando intorno al Vico, e che fu accolta sopratntto dai critici francesi (Michelet, Michaud, Jan et). Il Bovio (Conferenza su Vico in Vita i^aZiana, secolo X Vili) dice che il Vico non fu genio incompreso, ma deve annoverarsi tra i pensa- tori solitari, che sono quelli che hanno larghe visioni e piccola prova. — Giustamente osserva il Villari (Luogo oit,)^ che tale errore nacque dal- l 'esser generalmente poco o punto conosciuta la storia degli studi che allora fiorivano in Napoli. (2) Il Vico nella AtUobiografia dice che il Doria frequentava con lui le conversazioni le quali avevano luogo in casa di D. Nicolò Caravita e di Digitized by VjOOQ IC — 151 Ben altra importanza ed efl Vico. Essa trovava fondamento zione ricevuta, negli studi da 1 delle sue naturali tendenze ini scientifiche e particolarmente n ingegno spiccatamente italiano Vatolla ritornò in Napoli nel suoi studi, e le sue opinioni fi sono quelle che troviamo svolte discorso sul metodo degli studi tìquissima (1710). In questo pei soflche del sapere. Delle diverse che agitavano l'ambiente di ? sfuggi all'osservazione e alla mei Vito di Sangro. Parlando del Doria il mirava come sublime ed originale in ( e cornane nei platonici >. Ciò fece a mi tesiano, mentre il p.'isso di Vico prov; tempo in maggior pregio del Vico la do se il Doria fu per qualche tempo seguac un deciso avversario. Egli cominciò v l'applicazione da lui fatta del metodo lo combatteva nel campo metafisico n alla filosofia di Renaio des CarieSy non loaofia di P, M, Dona con la quale si Queste due opere gli suscitarono cont principe della Scalea, discepolo del Gal contro il Doria nell'opera intitolata Bi Doria oppose nello stesso auuo le su monografia citata del Geriui, p. 21-: Difesa della metafisica degli antichi e che in questi contrasti tra cartesiani e del Vico: ciò deve, secondo noi, attr in quest'epoca ne' suoi nuovi studi gii diretta parte a questioni di carattere fil comune il desiderio che gli Italiani « delle scienze degli oltramontani, dov pienza in quella guisa che fecero i 1 Misantropo, Parte II, 1737). Digitized by VjOOQ IC "^'^*?ji^«;ifT^f3r^ — 159 — egli accolse interamente poiché era profondamente convinto che nessuna rispondeva al carattere nostro nazionale e alle esigenze delle scienze morali che costituirono il campo proprio in cui si affermò sin dal principio il suo ingegno, e alle quali ebbe sempre rivolto il pensiero sia nella scelta degli autori da formar oggetto di studio, sia nella scelta del metodo da seguire, sia nel porre il criterio della verità, sia nel deter- minare la natura e la finalità dell'uomo (1). Nelle sue predilezioni per Platone e Tacito già si intravvéde quel dualismo tra il senso e la ragione, che doveva essere il fulcro intorno a cui si svolgono le scienze morali e il corso storico dell'umanità. Con Platone lo spirito, il mondo delle idee esce per la prima volta fuori dall'involucro mutevole del senso. Niuno prima e dopo di lui seppe dare dell'uomo, quale do- vrebbe essere secondo la sua natura razionale, un concetto più vero e profondo. Colla guida di Platone Vico avrebbe po- tuto in seguito rintracciare nell'uomo e nelle sue manifesta- zioni individuali e collettive gli elementi costanti e universali. Tacito descrivendo l'uomo reale dominato dai sensi e dalle passioni, che opera spesso inconsciamente dietro lo stimolo degli istinti, dei bisogni, delle utilità poteva costituire ottima guida per la conoscenza dell'uomo storico e di ciò che vi è di vario e di mutevole nelle azioni umane. Tacito completava Platone e sulla scorta di entrambi la chiave per la compren- sione dell'uomo singolo e collettivo era trovata. (1) n carattere mentale del Vico possiamo desumere daUa serie deUe sne opere, e daUa vita scritta da lui stesso. 'NéìV Autohiografia il Vico fa sé stesso oggetto di osservazione, descrive la saa vita mentale, ci dà la genesi delle sue opere, il procedere del suo pensiero. Primo il Carle rilevò la stretta analogia tra il Diaoorso sul metodo di Cartesio e la Vita del Vico (Cfr. Carle, Op. cit., p. 295 nota). Ma Tanaìisi psicologix^a fatta dai due pensatori sopra sé stessi li condusse a conseguenze opposte. Cartesio si convinse della necessità di concentrarsi in sé stesso e di ricavar la sciènza col proprio intelletto. H Vico invece si convinse che l'uomo deve guardarsi bene dall'esser solo a pensare una cosa^ perchè o si mata in Dio o si pone in contraddizione col senso comune. Digitized by VjOOQ IC — 160 — Per ciò che riguardava Tordine e il metodo da seguire nello studio dell'uomo, il Vico, guidato dal suo ingegno divinatore fermò l'attenzione su Bacone. Non dimentichiamo che per tutto il secolo XVII e XVIII le opere di Bacone passarono inosser- vate nella stessa Inghilterra per la prevalenza incontrastata che vi assunse il metodo soggettivo nello studio delle scienze morali (1). Gli stessi enciclopedisti, ammiratori di Bacone (2), lo celebrarono come fondatore del metodo induttivo, ma non ne rilevarono l'importanza in ordine alle scienze morali: pochi nello stesso secolo XIX diedero valore al suo trattato De Avg- mentis che al Vico parve giustamente dischiudere un'era nuova nello studio delle scienze morali, come quello che mentre faceva rientrare anche quest'ultime nel vasto campo delle scienze sottraendolo all'impero della metafisica, indicava alla loro restaurazione il metodo induttivo. Nel culto per Bacone il Vico rimase a lungo solo in Italia e fuori. Il Vico comprese e svolse il concetto adombrato da Bacone di porre le scienze morali sulla salda base dell'osservazione storica e psicologica: egli costituisce l'anello di congiunzione tra Bacone e Oomte che con piena coscienza volle restaurato tutto il sapere filo- sofico sulle basi del metodo induttivo. Ma se Bacone aveva ri- levato le lacune del sapere umano e indicato il nuovo metodo di indagine, non aveva detto il modo con cui colmare tali la- cune, come praticamente applicare il metodo dell'osservazione allo studio delle scienze morali : l'una e l'altra cosa fece il Vico e potè con giusto orgoglio dire di aver creato una scienza nuova. Platone, Tacito, Bacone, vengono per tal modo a personificare i tre capisaldi della filosofia vichiana applicata agli studi morali e sociali, la ricerca dell'universale nel particolare, dell'idea nel mutevole succedersi delle azioni umane mediante (1) Vedi sopra pag. 49 e seg., saU'opera e suUe sorti di Bacone. (2) Primi a far conoscere Bacone in Francia furono Voltaire neUe sue « Lettere Persiane» (1734) e il Diderot nel sno « Discorso preliminare aU' Enciclopedia » (1753). Digitized by VjOOQ IC — 161 — un procedimento di induzione (1). L'uomo nel concetto di Vico deve assumersi nelle scienze morali nelle integrità della sua natura, né deve esser lecito al filosofo di foggiarsi una natura umana che contraddice al senso comune e alla realtà delle cose. L'analisi psicologica non deve spingersi al punto di far violenza alla natura. La specializzazione soverchia delle scienze se rende gli uomini dotti nei particolari li rende meno atti ad abbracciare il sapere nella sua integrità (2): essa poi riesce particolarmente dannosa alle esigenze delle scienze morali aventi carattere e scopo pratico e che presuppongono Tuomo operante nell'interezza della sua natura tra i due poli estremi del senso e della ragione, dell'istinto e della libertà, secondo una legge di progressivo predominio degli elementi razionali sopra i sensibili. Le scienze morali devono valersi di concetti sintetici e i cultori delle medesime devono essere uomini d'ingegno, cioè, capaci di scorgere il comune tra cose lontane e disparate (3). Fermo in tali concetti il Vico doveva trovarsi in disaccordo cogli indirizzi di pensiero dominanti in Napoli e che in pic- cole proporzioni riflettevano gli indirizzi di pensiero che in seno alla filosofìa moderna si erano andati delineando nel secolo XVII e che il Vico riconduceva genialmente a cor- renti di idee che avevano dominato nell'antichità. Scarsa e difettosa era la conoscenza che il Vico aveva dei sistemi filo- sofici antichi e moderni (4) : ma suppliva con una intuizione (1) lu una lettera a Mousigaor Gaeta il Vico definisce l'indazione se- condo il concetto di Bacone. — Per le opere del Vico ci siamo valsi della edizione napoletana 1858-1869 in otto volumi curata dal Ferrari: ad essa ci riferiremo per le citazioni. "L^ Epistolario del Vico fa parte del Voi. VI. (2) Il Vico svolge tale concetto nella sua Prima orazione tenuta a Na- poli nel 1699. — Cinque orazioni di Vico ancora inedite furono pubblicate dal Galasso nel 1869 e formano l'ottavo volume deiredizione citata. (3) Cfr. De Antiquissimaf Voi. I, ediz. cit., e. vii, § 3. (4) Sappiamo che il Vico conosceva Platone nelle opere del Fi e ino, Epicuro In quelle del Gassendi; egli confuse Zenone stoico con Zenone eleatico e cadde in altri simili errori. U Digitized by VjOOQ IC — 162 — asi sempre felice, la quale gli permetteva di rilevare il ca- tterò generale delle varie dottrine e sopratutto di intrave- rne le lontane conseguenze nel campo pratico. Senza preoc- parsi dei pericoli e delle inimicizie a cui egli, povero e cora oscuro, si esponeva, parlò un linguaggio nuovo di verità standosi pubblicamente contro i critici compiacenti, contro L ostinati delle sette, contro gli impostori che infestano il andò degli studiosi (1), contro i falsi dotti che studiano per sola utilità (2), e i dotti cattivi che amano più l'erudizione Le la verità (3). Tra coloro che si occupano di scienze mo- li condanna senza pietà gli stolti che non vedono né le verità trticolari né le universali, gli illetterati astuti abili nell'a- ltare la scienza alla pratica, i dotti imprv/Xenti sprezzanti realtà e tendenti a tradurre nella pratica le loro teorie (4). Non era invidia o umore bilioso o spirito di parte che in- iravano il Vico ma profondo amore del vero, nobile risenti- ento contro quanti, sfruttando la scienza, ne compromettevano serietà con grave danno dell'educazione. L'intimo connubio L'egli vagheggiava tra filosofia ed educazione (5), lo rese av- irsario delle dottrine filosofiche che non si indirizzavano a nder migliori gli uomini e a guidarli verso la felicità indi- duale e collettiva. Di Epicuro combatte il materialismo che non riesce a spie- ,re le cose della mente: e la sua morale chiama « morale di iccendati chiusi nei loro orticelli » fatta cioè per uomini litari non destinali a vivere in società, che pretende rego- re i doveri della vita coi piaceri dei sensi. Morale solitaria [1) Cfr. Orazione terza del 1701. [2) Cfr. Orazione quarta del 1704. [3) Cfr. Lettera al P. Bernardo Giaoohi del 12 ottobre 1720, Ediz. cit., 1. VI. '4) Cfr. il De nostri temporis eco,, Voi. I, ediz. cit., § 7. [5) Il carattere pedagogico dell'opera del Vico fu rilevato dal Tommaseo, ìggio 8U Vioo)\ dal Flint (Fico, Edinburgh 1884); dai Gerini {Soì^ttoH ìagogici italiani del secolo XVIII, Paravia, 1901). Digitized by VjOOQ IC — 163 — cioè « di meditanti che studiano non sentir passione > la morale degli Stoici, alleati dei Cartesiani, come qu< insegna pratiche di vita impossibili alla condizione i porta a disumanarsi e a non sentir passione. (1). Ch metafisica di Locke metafisica della moda, e osserva ce acume ch'egli cercò di sposare Epicuro con Platone (2) tenero si dimostrò contro Aristotele, l'idolo degli Scoi cui generi o universali ottenuti per astrazione e '\ contenuto sono inutili alla scienza e fomite di interi questioni come quelli che non possono dare che nozion e generali delle cose, mentre la verità risulta di ci( completamente determinato (3). Le critiche più acerbe riserva per l'idolo del giorno, Cartesio: esse implicando stione del metodo meritano di essere particolarmente r 65. — Combattendo il metodo cartesiano il Vico noi favorire il ritorno ai vecchi sistemi e metodi di studio dagli Scolastici: ninno meglio di lui seppe rilevare d'origine del ragionamento sillogistico, per cui non si st un rapporta tra cose diverse ma non si fa che far ri le specie in generi di ugual natura, mentre i generi, p contenuto, non possono servire a spiegare le specie pii minate e complesse (4). Il Vico loda Cartesio per aver mate l'attenzione sul proprio sentimento come regola d (1) Il Vico associa solitamente Epicurei e Stoici nena sua cr essi parla in molti punti delle opere sue senza mai smentirsi, m hiografiay nell'orazione per la morte della contessa d'Aspremont, tera all'abbate Esperti (1726), nella Scienza Nuova (dignità V), (2) Cfr. Lettera alVEsperti, Voi. VI, ediz. cit. (2) Cfir. De Antiq.y e. li, ove tratta dei danni derivanti dall'i universali nelle scienze giuridiche e morali. — Acutamente ivi os « i generi conducono in errore i iilosoiì, come i sensi conducom nei pregiudizi » e che « il favellare per universali è proprio dei e dei barbari ». (4) È assai importante a questo riguardo il Capo Vili del 1 ove si passano in rassegna i modi di ragionare di diverse scu< fiche antiche e moderne. Digitized by VjOOQ IC — 164 — per aver liberato gli intelletti dalla cieca adorazione dell'au- torità, per aver favorito l'ordine del pensare (1). Ciò che a Cartesio e più ai Cartesiani il Vico rimprovera sono gli abusi e le esagerazioni del loro principio metodico. La posizione del Vico rispetto a Cartesio e ai Cartesiani ricorda quella del Leibniz, col quale il Vico ha tanti punti di contatto e che fu merito del Ferrari avere rilevato (2). Le attinenze che corrono tra Vico e Leibniz non devono attribuirsi a re- ciproci influssi (3), ma alle esigenze dialettiche del loro in- gegno e sopratutto all'analoga funzione storica da essi rispet- tivamente esercitata in Germania e in Italia. Come il Leibniz in Germania si interpose tra le diverse correnti filosofiche, dando alle medesime coordinazione e unità, e divenne il punto di partenza per lo sviluppo ulteriore del pensiero tedesco, cosi il Vico tra i diversi indirizzi segui un indirizzo me- diano e originale meglio rispondente alle tradizioni e all'in- gegno italico, per quanto l'indole speciale degli studi a cui si applicò, per i quali non pur l'Italia ma nessun altro paese di Europa poteva dirsi maturo, tolse a lui di esercitare in Italia un'influenza paragonabile a quella esercitata in Ger- mania dal suo grande contemporaneo. Nell'opposizione a Car- tesio il Vico supera il Leibniz per efficacia e profondità: sopratutto rilevò le dannose conseguenze che alle scienze morali potevano derivare dai due cardini del metodo carte- (1) Cfr. Risposta seconda al « Giornale dei letterati d* Italia » (fine), Voi. I, ediz. cit., p. 184. (2) Cfr. Ferrari, Op. cit.. Parte II, e. iii. — Cfr. anche il Siciliani, il quale dedica un intero capo (Op. cit., e. vii). a rilevare le analogie e le differenze tra il Vico e il Leibniz. — Cfr. Flint, Op* cit., p. 1^7. (3) n Cantoni e il Werner mostrano di credere che il Vico sopra- tatto in ordine alla sua teoria dei punti metafisici svolta nel De antiqnis- sima, fii inspirasse al Leibniz. Ma ciò deve escludersi, perchè non risalta in nessun modo che il Vico traesse profìtto dell'opere dèi Leibniz, citato solo due volte incidentalmente nella Seconda Scienza Nìiova e in una lettera a Monsignor Gaeta, senza data, ma scritta verso la fine del 1737. Dello stesso parere sono il Siciliani, il Flint, il Labànca. Digitized by VjOOQ IC — 165 - siano, poter l'uomo colla forza esclusiva della sua ragione venir in possesso di tutto il sapere, e doversi le scienze mo- rali trattare con metodo geometrico (1). Seguire il proprio giudizio nella ricerca del vero significava per i Cartesiani disprezzo della tradizione, dell'autorità, della storia, dell'espe- rienza, significava bandire dal campo del sapere tutte quelle cognizioni che non ammettono una dimostrazione rigorosa, ma che pure si fondano sul senso comune, traggono motivo di vero dal fatto che sono considerate vere dal maggior nu- mero e costituiscono il criterio e la guida dell'operare umano. Il metodo di Cartesio se da un lato può dare illusione di sa- pere e apparenza di dimostrazione al falso, se può garbare ai molti che sdegnano gli studi lunghi e pazienti e vogliono apprendere molto in breve, dall'altro disconosce la natura delle scienze morali, alle quali meglio si adatta l'analisi psi- cologica per cui penetriamo nei ciechi labirinti del cuore umano per scoprirvi i motivi di uuiformità delle azioni. Mo- vere da definizioni, da postulati, da assiomi per trarre con metodo geometrico le scienze morali, credere che basti la percezione chiara e distinta del bene per attuarlo, è, osserva il Vico, prendere gli uomini per numeri e figure, è illudersi di poterli muovere a nostro talento, è disconoscere la natura stessa del metodo il quale deve variare e moltiplicarsi se- condo la diversità e moltiplicazione delle materie oggetto di studio (2). La causa originaria che trasse Cartesio in errore fu di aver posto il vero come ùnico fine degli studi, fine (1) Il Vico associa quasi costantemente neUe prime sae opere e nelle lettere la critica di Cartesio e la questione del metodo. I passi piti note- voli si possono riscontrare neW Autobiografiaf nel De nostri temporie, (edìz. cit;.> I, § 3, 4, 7, 9), nel De Antiquisaima (ediz. cit., I, e. vii, § 4), nella Risposta seconda al « G-iornale dei letterati d* Italia » (ediz. cit., I, p. 173, 181, 184), nelle lettere (ediz. cit., VI) all'Esperti (1726), al P. de Vitry (1726;, al Solla (1729). (2) Aòntamente osserva il Vico che « il metodo geometrico trasportato in cose che non sono numeri e misure prova qualunque cosa » {Bisp, al Oiom, eoo», ediz. cit., I, p. 181). Digitized by VjOOQ IC — 166 — che può raggiungersi nelle scienze fisiche aventi un oggetto determinato e nelle quali si cerca la causa per cui molte cose si eflTettuano in natura, non nelle scienze morali che h^nno per oggetto i fatti degli uomini, la cui natura è incer- tissima per l'intervento dell'arbitrio, in guisa, che delle molte cause di un sol fatto non si può mai dire quale sia la vera. Porre alle scienze morali per fine il vero, bandire da esse il verosimile è condannarle alla sterilità e all'impotenza. Il Vico, superando Bacone, precorre le più moderne dottrine positive circa il metodo da seguirsi nelle scienze morali. Tra ì Cartesiani fautori della critica, che vogliono banditi i veri secondari e pongono il primo vero fuori del senso, che vogliono educate le menti all'analisi, logorandole in sottigliezze e mi- nuzie senza tener conto dell'indole dell'animo umano, delle sue tendenze alla vita civile, dei vizi, delle virtù, del carat- tere e del costume secondo l'età, il sesso, la condizione, la famiglia, la nazione, che si illudono di ridurre a norma tutto ciò che si attiene alla vita e fanno troppa fidanza sulle norme der metodo, che finiscono per ostacolare l'ingegno e distrug- gere la curiosità — e i fautori della topica, seguaci di Aristo- tele, che, paghi di un sapere empirico, si affidano ciecamente all'autorità, il Vico propugna l'unione della critica colla topica, cioè della dimostrazione coll'invenzione, dell'analisi colla sin- tesi, del vero col verosimile, della ragione col senso comune. Solò per tal via l'uniformità si consegue nell'operare e si formano non gli scienziati, ma gli uomini prudenti, gli oratori, gli uomini di Stato, che è lo scopo proprio delle scienze morali. 66. -^. La dottrina del metodo si completa nel Vico con .quella relativa al criterio di verità ch'egli contrappose al cri- terio cartesiano della percezione chiara e distinta ottenuta per mezzo dell'osservazione interiore (1). Il Vico affrontando una delle più ardue questioni di metafisica non perdette mai (1) La questiouò del criterio di verità è trattata dal Vico nel De An- tiqui88imaf Capo I. Digitized by VjOOQ IC — 167 — di mira le esigenze delle scienze morali, e il suo pensiero riassunse nella formola della conversione del vero col fatto, cioè che conoscere una cosa significa farla. Mediante l'intel- letto l'uomo conosce e conoscere significa comporre insieme tutti gli elementi di una cosa e formarsene la perfetta idea. L'intelligenza umana, a differenza della divina, ha un potere di comprensione limitato, poiché degli elementi costitutivi delle cose solo gli esterni, e parzialmente anche questi, riesce a combinare: opperò se l'uomo può pensare a tutte le cose, non può che intendere quelle che fa, ossia quelle di cui arriva a comprendere la genesi o la guisa di formazione. La scienza per Vico è essenzialmente genetica ìr\ quanto si riduce alla conoscenza del modo o delle cause con cui una cosa è prodotta {vere scire per causas scire). I limiti della conoscenza sono quelli del potere. Di qui l'incertezza e im- perfezione delle scienze morali, le quali avendo pei* oggetto le azioni umane che non possono riprodursi e sono continua- mente mutevoli, non possono proporsi a loro unico scopo il vero, mentre le scienze sperimentali hanno un grado di verità assai maggiore in quanto studiano la natura riproducendola, e le scienze matematiche racchiudono il grado massimo di verità in quanto sono prodotti mentali, vere e proprie creazioni dello spirito. Il Vico parlando di produzione della cosa come sino- nimo di conoscenza della cosa non intende, come mostra di credere il Cantoni (1), una produzione ideale, ma una produ- zione reale, che trova cioè un qualche riscontro nella realtà quale appare ai nostri sensi. La chiara e distinta idea della cosa non può assumersi a criterio del vero, come sostiene Cartesio, poiché il pensare distintamente a una cosa non si- gnifica ancora conoscere il contenuto della medeisima, e iioh ci autorizza ad affermare la realtà della cosa_ pensata,. La certezza di pensare non é scienza ma coscienza : scienza si ha (1) Cfr. Cantoni, Op. cit., Parte I, o. iri. — La miglior interpretazione del pensiero metafìsico del Vico ò quella data dal Flint, Op. oit., o. vi| § 2. Digitized by VjOOQ IC - 168 - delle cose la cui verità è dimostrata o dimostrabile, cioè delle cose che riusciamo a fare, mentre la coscienza è proprio di quelle cose di cui non possiamo dimostrare il modo di loro e^- stenza. Neppure lo scettico dubita di pensare e di esistere, ma dichiara solo di ignorare le cagioni del pensiero, ossia come esso ha esistenza: il pensiero è indizio, non causa della realtà. Una critica più acuta e stringente del principio metafìsico cartesiano non si potrebbe immaginare e ninno prima di lui può vantare di averla fatta. La coscienza può attestarci la esistenza delle cose ma per intuizione non per dimostrazione ; apprendere le cose non ancora significa conoscerne la natura. Per tal modo il Vico elevava una distinzione netta tra verità di scienza e di coscienza, tra verità di ragione e di sentimento ò per usar la sua espressione abituale tra ciò che è vero e ciò che è certo (1). Dell'esistenza di Dio, dell'anima, dei principi delle scienze morali possiamo avere una cognizione certa ma non vera. Di quanto il Vico restringe il campo del vero di altrettanto allarga la cerchia del certo, pel quale riconosce che unico criterio applicabile è il senso comune. Il Vico però a differenza dei positivisti moderni non eleva una barriera insuperabile tra la sfera del certo, delle credenze e- la sfera della verità, della scienza : egli ammette che le verità di sen- timento, di intuizione, sieno capaci collo svolgersi della ri- flessione di trasformarsi in veri scientifici : anzi egli pose come legge generale dello, spirito individuale e collettivo e delle sue singole manifestazioni il graduale e progressivo pas- saggio dalla coscienza alla scienza, dalla autorità alla ragione, dal certo al vero. Quanti nell'età moderna si fecero sostenitori della relatività del sapere, accolsero, senza ricordarlo, il pru- dente criterio del Vico: ma di essi più accorto, il Vico mostrò (1) Il vico usa le espressioni ve^'o e certo in un significato speciale: per lui è vero ciò che si converte col fatto ; certo è .tutto ciò che si fonda sul senso comune, ossia le verità intuite ma non dimostrate. Noi invece siamo soliti considerare termini equivalenti il vero e il certo. Digitized by VjOOQ IC - 169 — di intendere e di apprezzare anche le idee e sentimenti che hanno il loro fondamento nell'autorità del senso comune. Egli era profondamente convinto che le scienze morali non possono astrarre dal verosimile per correr dietro a una vana e for- male apparenza di vero che trova nella realtà continue smen- tite (1). Il De Antiquissima chiude il periodo filosofico-critico del pensiero di Vico: le dottrine in esso esposte sono in regolare armonia colle - sue opere posteriori, di cui formano il presup- posto metafisico. Il Libet^ meiaphisicus ribadisce il concetto che la vera sapienza è operativa e la filosofia non deve solo proporsi la solitaria e sterile verità ma ancora l'utilità e la dignità della vita. Il Vico non si restrinse a una critica ne- gativa, mentre critica integra: e come sul terreno metafisico e metodico aveva integrato Bacone e Cartesio, cosi si prepa- rava a integrare Grozio nel campo etico e giuridico. 67. — Le predilezioni del Vico per gli studi giuridici rimon- tano al primo periodo della sua vita, allorché imbevuto ancora di metafisica scolastica, dietro consiglio del padre si applicò àgli studi legali per un periodo di cinque anni (1680-1685). La ca- suistica giuridica, rappresentata allora in Napoli da D. Fran- cesco Verde indispose il Vico, come quella che si perdeva nel casi particolari senza elevarsi a principi razionali : ottimo esercizio di memoria, egli osserva, ma tortura dell'intelletto (2). (1) La dottrina metafisica del Vico ancora aspetta di esser giudicala al sno giusto valore. Esagerarono nelle lodi per uiì sentimento di legittimo orgoglio nazionale, il Mamiaui, il Gioberti, il Siciliani: la snatu* rarono adattandola ai propri sistemi filosofici gli hegeliani (Spaventa, Vera, Fiorentino) e gli spiritualisti (Rosmini): mostrò di non com- prenderla affatto il Cantoni, che chiama W^Liher metaphiaious « una strana anomalia nella storia del pensiero di Vico ». — Non ci convince intera- mente l'affermazione del Labanca(6^. B, Vico e i suoi orifici oaitolioif Napoli, 1898) che il Vico fece della metafisica dogmatica e cristiana, fon- dandosi sul fatto che i critici cattolici del secolo XVIII la considerarono tale e non sollevarono dubbi al riguardo. (2) Cfr. Autobiografia per tutte le notizie biografiche in questo paragrafo indicate. Digitized by VjOOQ IC — 170 -- li interpreti antichi e gli interpreti parve riscontrare i filosofi dell'equità storici del diritto civile romano: fin i di far convergere i due indirizzi a itto filosofico. A formarsi una coltura ale scopo, il Vico attese per un periodo li a elaborare è a fissare quei principi lostituire il sustrato metafisico di tutte (1). Non trascurò il Vico neppure in giuridici : ne abbiamo la prova nella so sul metodo (1708) delle vicende sto- per metterne in evidenza il carattere )mento per un nuovo indirizzo degli rva il Vico che in Grecia la giurispru- ntemente divisa tra filosofi, prammatici, ►onevano i principi razionali attinenti gli altri fornivano le leggi agli oratori eloquenza l'equo. In Roma la giurispru- origini divisa tra giureconsulti-filosofi no dal lungo esercizio delle pubbliche elaborazione della civil prudenza sacra ano dalla parola allo spirito della legge [uo, gli uni custodi del giusto, gli altri iretà moderna le diverse parti della assunte in una sola dottrinagli giure- aratore, ha cessato di essere filosofo; interesse privato, a cui giova partico- ifica il pubblico interesse, meglio tute- 1 Vico traeva motivo per insistere sulla 'equità naturale colla filosofia giuridica per lui era la dottrina del pubblico rende i uove anni passati neUa solitndiue di ani poi trascorsi in NapoU fino alla pubblica- 1710). 9 eco. (1708), i 12-13 (ediz. cit.). Digitized by VjOOQ IC ^^OÈL. IP^^^^ - - 171 - reggimento che i Greci apprendevano dai filoj dalla pratica stessa delle cose pubbliche, mentr Vico era trascurata tanto dai pratici preoccup trionfare l'equo e Futile privato, quanto dagli er far risorgere in tutta la sua purezza il diritto ; rendersi conto delle nuove esigenze dei tempi. Il divisamente di richiamare gli studi giurid sua divisi tra la pratica e l'erudizione ad una b si venne meglio determinando nel Vico colla coi del Gravina e sopratutto colla lettura del Grozio ai tempi di Vico il Grozio era pressoché ignora Gravina mostra di non averne approfittato. Tale verso Grozio era naturale in Italia, estranea al mazione dello Stato moderno e strettamente lej dizione giuridica e all'autorità del diritto roman cercato reagire il Grozio (2). Ma ben intese i scuola del diritto naturale di cui era stato fonda aveva efficacemente cooperato a restaurare qi del pubblico reggimento, di cui difettavano i no sulti. Si comprendono pertanto le sue simpatie lui posto nel novero degli autori prediletti acca a Tacito, a Bacone. Il Grozio era assorto al e (1) Il Vico neìV Autobiografia ci fa sapere che la Vita é pubblicata nel 1716 gli conciliò € la stima e l'amicizia d letterato d'Italia signor G. V. Gravina col quale coltivò s denza infiuo ch'egli morì *. Il Gravina morì nel 1718. Le provano che egli conosceva di fama anche prima di qu£ vina, e certamente ne aveva letto le opere, — Il Vico p( l'opera del Grozio « nell' apparecchiarsi a Scrivere la F cioè verso il 1714. (2) L'opera del Grozio era stata messa sìlV Index Ex^ Chièsa cattolica. La sincerità delle credenze religiose no Vico di studiare e apprezzare scrittori condannati dalla ma per prudenza si astenne molte volte dal citarne i n citandoli li citò vagamente e quasi di sfuggita. In leti abbondano le citazioni di scrittori stranieri e mostra di co: nei concetti fondamentali . L Digitized by VjOOQ IC — 173 — arsale sottratto a delimitazioni di tempo e di luogo, na e immutabile di giusto che il Vico con Platone innata e propria della natura razionale dell'uomo, aveva cercato far scaturire dallo studio della le lingue dei popoli diversi ed estendere alla gran mere umano. La lettura di Grozio forni al Vico i prender conoscenza dei divèrsi indirizzi che del diritto naturale si erano andati svolgendo in Germania, Francia, nel secolo XVII. Di Hobbes, yle, ricorda il nome e le opere e riassume in poche issime l'indirizzo generale del loro pensiero in or- lenze giuridiche e sociali (1). Altrove mostra co- stemi di Selden e Pufendorf, di cui associa costan- dottrina relativa alle origini della società umana ii Grozio. Ma a quest'ultimo il Vico direttamente e conciliandolo colle nostre tradizioni giuridiche. zò assorgere dal concetto dell'equità naturale, eia- pratici, col sussidio del diritto romano, restaurato i, a quell'idea eterna del giusto che il Grozio aveva mte derivato dalla ragione umana, ordine ai fondamenti filosofici delle scienze morali, del Vico è per molti aspetti definitiva. Nessun pensiero antico e moderno sorto in seno alle scienze mostra di ignorare : di tutti rilevò acutamente le difetti. I Greci avevano trattato della giustizia e in termini troppo generali e astratti, i Romani in '. Vno^ (Proloquium^f ove ricorda il Principe del Maccbiavellì, ìli' Hobbes, il Tractatua theologico-politicua dello Spiuoza, il 1 Bayle. — "SeW Autobiografia accenna ad uua corrispondenza is, di cui mostra apprezzarne il valore. . — Questa conoscenza iutte le correnti fìlosoficbe e giuridicbe dell'epoca sna fa ri- urie nella sna opera recentissima, La filosofia del diritto nello ), Parte I, lib. IIF, e. iv, § 129 nota, Torino, Unione tip, ontro coloro, sopratutto stranieri^ cbe facendo la storia del Je non ricordano affatto il Vico. Digitized by VjOOQ IC — 173 — concreto : gli antichi interpreti non conobbero che le esigenze della pratica, i nuovi astrassero da ogni indagine di carattere filosofico per concentrarsi nello studio filologico dei testi di legge. Hobbes, Spinoza, Bayle fecero dell'utile o del piacere il criterio del diritto, fecero del timore o del contratto il fon- damento della società, dell'arbitrio la fonte della legge. Grozio stesso tratta del diritto naturale delle genti e trascura il diritto civile (1), opperò se quello rispondeva a esigenze razio- nali, questo lo contraddiceva nel fatto. I^'uomo di Hobbes che agisce sotto lo stimolo dell'utile e del bisogno è condannato dalla ragione, ma trova conferma nell'esperienza della storia. La scienza del diritto naturale sembrava dibattersi tra i due termini opposti della ragione e del senso, dellar filosofia e della storia senza speranza d'uscita : a risolvere la contraddizione si accinse il Vico. Il concetto di un'armonia provvidenziale balenata alla mente del Leibniz per comporre il dualismo me- tafisico tra anima e corpo, ricorre per una strana coincidenza nel Vico per comporre la corrispondente contraddizione nel campo delle scienze morali (2). Filosofia e storia, idea e sen- sazione, scienza e coscienza, ragione e autorità, lungi dal- l'escludersi si richiamano, si integrano, si spiegano a vicenda nell'uomo, nelle sue varie fasi di sviluppo, nelle sue manife- stazioni individuali e collettive. La dottrina pertanto del diritto naturale o universale che il Vico identificava colla dottrina civile in opposizione alla dottrina morale (3), si fonda sulla duplice base del vero e del certo, ed è svolta nel De Uno da un punto di vista puramente astratto (4). L'idea del giusto innata nell'uomo non è che un aspetto (1) Del juB civile il Vico accoglie la definizione di Ulpiano: « quod neqae in totum a j are naturali recedit, nec per omnia ei servit, sed partim addit partim detrahit ». (2) Cfr. Ferrari, Op. cit., Parte II, e. ni. (3) Cfr. De Uno eoe* (Proloquium)f ediz. citata, volume II. (4) Il Vico pubblicò il De uno universi juna principio et fine uno nel 1720. Egli chiama universale ciò che altri chiamava diritto naturale. Digitized by Google Digitized by VjOOQ IC pijBM!,^ wiL^-»-»^,-':' .--^ ■ — 175 — scambio dei beni, che segui alla prima divisione dei campii passò da forme violenti e arbitrarie a forme sempre più ra- zionali e si generò il dominio. La volontà dapprima dispotica e sfrenata, nell'usare dei beni e delle persone, facendosi sempre più moderata e ragionevole generò la libertà; l'attività gui- data dal senso, fu conservazione e tutela della vita fisica, guidata dalla ragione divenne tutela e conservazione della personalità intellettuale e morale (1). La proprietà, in quanto è ristretta alle cose finite e corporee, la tutela in quanto è difesa del corpo, la libertà in quanto è libera estrinsecazione degli affetti dell'animo costituiscono il diritto naturale pri- mario che Ulpiano defini: quod natura omnia animalia docuìL avente carattere negativo in quanto indica ciò che la ragione non riprova ma permette, if dominio, la libertà, la tutela, sciolti dal senso e regolati dalla ragione costituiscono il diritto naturale secondario o necessario, che Giustiniano defini quod naiuralis ratio inter omnes homines constitiiit et apud omnes gentes peraeque custoditur, in quanto vieta e comanda conformemente all'eterno vero. Le due parti del nii- ritto civile ne costituiscono rispettivamente la materia e la forma, il corpo e l'anima, l'elemento mutevole ed eterno, la ragione civile e naturale, ossia la mens legis e la. ratio legis, di cui l'una è ir certo delle leggi che spectat ad uiilitatem qua variante variatur^ l'altra è il vero delle leggi, cioè la conformazione della legge al fatto, che spectat ad honestaiem qtme aeterna est (2). Dalla libertà, proprietà, tutela, si genera Vauctoritas, la quale lungi dall'essere creazione arbitraria del legislatore, come vorrebbe Hobbes, ha il suo fondamento nella natura stessa dell'uomo, in quanto questi conoscendo ciò che è proprio della sua natura, lo vuole e lo attua colla mente e col corpo. Questa (1) Sui concetti di libertà, proprietà, difesa e loro genesi psicologica cfr. De Uno, e. 71 e seg. (2) Sui rapporti tra diritto primario e secondario cfr. De Uno, e. 75 e feg. Digitized by VjOOQ IC — 176 — aìicioritas naturale o razionale attuata nei fatti costituisce VauctorUas jtiris, la quale fu dapprima monastica, spontanea espressione della personalità individuale, propria degli uomini che vivono solitari all' infuori di qualsiasi organizzazione so- ciale: poi costituita la famiglia diventa domestica ed è l'es- pressione del dispotismo ancora rozzo e violento dei patres : infine col formarsi degli Stati diventa civile, ed è l'espressione dell'intelligenza, volontà, attività collettiva, ossia della per- sonalità civile (1). Dal diritto civile proprio di ciascun popolo si distingue il diritto civile comune, ossia il diritto naturale dei giurecon- sulti fondato sui comuni costumi dei popoli (2) : abbiamo da ultimo il diritto naturale dei filosofi, dedotto da' principi pu- ramente razionali e riferito alla gran città del genere umano (3). Col diritto privato si svolge parallelamente il diritto pubblico. Primo a sorgere è il governo degli ottimati, reso necessario dalla tulela dell'ordine, proprio degli uomini forti, poco amanti delle conquiste ma molto della loro libertà e dignità: esso si regge colle costumanze e mantenendo inalterato e arcano il diritto. Dalle repubbliche di ottimati, numerose ma piccole, i popoli molli e rozzi passano alle monarchie, i popoli di ingegno acuto ma molli cadono presto sotto i tiranni, mentre i popoli di ingegno acuto e forti si organizzano in repubbliche libere e popolari, sulla base dell'eguaglianza del suffragio, della li- bertà di opinione, dell'egual diritto agli onori. Mediante patti statuti si possono costituire governi misti e temperati a base monarchica, aristocratica o democratica (4). (1) ^{jXV auotoritas e sue forme cfr. De Uno, e. 88 e seg. (2) Il Vico lo chiama jus civile omnium dvitatum eommune — {De Uno, e. 118), o ju8 naturale gentium {Ih., e. 136), e ad esso riferisce la de- finizione del ju8 civile data da Gaio: « omnes popnli qui legibns fet mo- ribns reguntnr, partim ano proprio, partim communi omniam hominum jnre utuntur t. (3) Cfr. sui rapporti tra jus naturale gentium et philoeophorum, De Uno, 0. 136. (4) Sulle tre forme fondamentali di governo di ottimati, regio, libero, Digitized by Google — 177 — 11 De Uno ha tutti i caratteri di un vero e prò di filosofia giuridica, che il Vico con novità ec espressione chiama constantia jw^is. Per esso il una posizione netta e precisa di fronte ai tre in( mentali che vedemmo essersi distintamente delii alla scuola del diritto naturale e che dovevano secolo XVII accentuarsi e arrivare alle consegue Ai seguaci di Hobbes, moderni epicurei, il Vico l'esclusiva importanza data agli elementi sensibi e perciò mutevoli del diritto. Ai cartesiani, mode Vico contesta la possibilità di formare una teoi del diritto colla guida esclusiva della ragione, conto degli appetiti, degli affetti, degli interes tanta parte della vita dell'uomo e della società due indirizzi estremi il Vico si attiene all'indiriz che tra tutti aveva mostrato di intendere la comi natura umana e di assorgere al concetto di un dir universale, depvandolo dalla ragione associata e alla storia. Ma del Grozio non fu il Vico pediss( come il Pufendorf Egli lo integra sotto, un dupl: vista, filosofico e storico. Vedremo come nell'uso pretazione della tradizione e della storia il Grozi il paragone con Vico : ci basti per ora affermare Uno il Vico supera in rigore e profondità di concet giuridica contenuta nel De jure belli et pacis. In questo trattato il Grozio si rivela più giur erudito che filosofo: i suoi principi filosofici sono ben determinati: gli fa difetto il rigore logico, Y matico, la precisione nel definire e nel distingue] cipì opposti talvolta non sa decidersi per nessun sempre riesce a farli concorrere alla dimostrazi assunto. Il Vico rilevò questi difetti del Grozio rispondenti rispettivamente ai tre concetti fondamentali de tutelaf dominiOt libertày cfr. De UnOj e. 138 e seg. 12 Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 179 — rizzo mediano più rispondente alle esigenze delle scienze etico-giuridiche, ancora imperfetta e quasi incosciente nel Grozio è attuata dal Vico con rigore di principi e con piena coscienza. E mentre il suo sistema filosofico sembra coordinarsi ai sistemi sorti in seno alla scuola del diritto naturale, nel fatto egli non fa che continuare l'opera degli interpreti nostri che avevano portato l'elaborazione dell'equità naturale ad un alto grado di perfezione: egli ne compie e corona l'edifìzio colla dottrina dell'equità civile. 69. — Fu accusato il Vico di aver confuso l'etica col diritto, di non aver avuto chiara la coscienza dei loro rapporti e dei loro caratteri differenziativi (1). L'accusa, se fondata, farebbe torto al suo acume e sarebbe in contraddizione col senso finis- simo per cui egli sapeva sceverare il fatto giuridico dagli altri fattori concorrenti. A noi pare che anche sotto questo aspetto il Vico affermi la sua superiorità di fronte ai giusnaturalisti, ponendo la questione dei rapporti tra morale e diritto sopra nuove basi atte a facilitarne la soluzione. Prima del Thomasius noi assistiamo per parte dei sistemi usciti dalla scuola del di- ritto naturale a un progressivo assorbimento del fatto morale nella sfera giuridica ; il concetto del diritto si allarga fino a comprendere la vita morale e vien meno ogni criterio di distin- zione tra le discipline etiche e le giuridiche. Il Vico ebbe certo coscienza di tale confusione quando afiermò che per opera dei seguaci di Hobbes e di Cartesio erano rinnovellati gli antichi sistemi degli Epicurei e degli Stoici, di cui gli uni confon- devano la giustizia colla felicità e coll'utilità, gli altri colla onestà e colla virtù morale (2). Non sfuggi al Vico Timpo- (1) Cfr. Cantoni, Op. oit., p. 93. — Dei moderni critici del Vico il Cantoni fu quello che mono ri usci ad afferrare la dottrina metafisica e giuridica del Vico. Di ciò lo rimproverano il Siciliani, Op. cit., p. 141 e il La banca, Op. cit. p. 108 e seg. (2) Cfr. Carle, La filosofia del diritto nello Stato moderno, (Torino, Unione, 1902), Parte I, lib. Ili, e. v, ove tratta da un punto di vista del tutto nuovo della elaborazione dell'idea di giustizia nell'età moderna. Digitized by VjOOQ IC — 180 — teiiza degli Epicurei e degli Stoici antichi e moderni ad as- sorgere al concetto del giusto, nel quale gli elementi del- l'utile e dell'onesto, dell'interesse e della moralità, insieme convengono. Da un punto di vista puramente pratico in antico i Romani, nell'età moderna gli interpreti della scuola di Bar- tolo e Baldo, avevano elaborato il concetto deWequo-bono, in- teso a commisurare l'utile tra gli uomini viventi in società secondo le norme dell'onesto. Il diritto naturale, che l'Hobbes derivò dall'utile e i seguaci di Cartesio tendevano a far deri- vare dall'onesto, è dal Vico fatto scaturire dal concetto inter- medio deWequo òono. Per lui infatti il diritto naturale est utile aeie>^no commensu acquale (1), cioè è Vaequwn bomim dei giureconsulti romani e dei nostri interpreti antichi. Prima del Vico il Grozio e il Leibniz avevano cercato di svolgere il diritto naturale sull'ampia base dell'utile e di ele- menti razionali di natura etica: ma il Grozio non arrivò a fondere i diversi elementi in un concetto unitario che servisse di fondamento sicuro al suo sistema, il Leibniz stabili un rap- porto puramente metafisico tra l'utile, il giusto, l'onesto, astraendo dai bisogni della pratica. Mancò ad entrambi la base salda della tradizione romana su cui il Vico elevò la sua dottrina filosofica. Il Grozio e il Leibniz trascurarono il concetto dell'equo e assorsero al concetto del giusto colla guida esclusiva della ragione : il Vico pervenne al giusto per naturale svolgimento dell'equo. Per il Vico il giusto è un genere, un'astrazione, un'idea: come tale si distingue dall'equo che è l'idea del giusto tradotta nel fatto, in quanto cioè tien conto delle ultime circostanze dei fatti (2). Ninno prima del Vico aveva tentato una genesi psicologica del diritto nei suoi rapporti colla morale e cogli altri elementi della (1) Cfr. De Uno ecc», ediz. citata, § 44. (2) Nel Ve Ant, (ediz. cit., e. ii, § 15) il Vico dopo aver detto che v&i'<y ed isquo per i latini hanno lo stesso valore, aggiunge: « aequum ultimis reì^um circumstaniiis spectatuTy queniadmodum justum genere ipso ». Digitized by VjOOQ IC ^jC-sc-^r-^f, - 181 •- vita civile. Religione, morale, diritto, hanno per la vis veri, per cui l'uomo avverte lo stato di ( cui si trova e cerca di uscirne. Primo a desta di timore verso il nume donde si genera la pietc e ravvalora il pudore o senso morale, forza irri riosa che si svolge nella intimità della cose vergogna del proprio stato corrotto, freno a! agli affetti dell'animo (1). Ultima sorge la libert come forza esterna sulle cose e sulle persone necessario complemento della personalità. Il e pudore e la libertà ossia tra morale e diritto si diViduo, si svolge nella società. Sotto l'influei alleato colla pietà si genera il costume, freno < sogni e degli appetiti. Il regolamento delle libe e quindi degli interessi genera il diritto, che la proporzione da osservarsi dagli uomini vive nell'operare a proprio vantaggio. Per tal guis; forza del vero che colla cupidigia combatte, forza del vero che regola le libertà e gli intere tra virtù e diritto fu inteso dal Vico come raj G ce)'to, tra vero di ragione e vero di sentime un vero che si cinge del profumo della bellezza siede la evidenza delle verità matematiche : nell'animo, l'altro. nella mente spoglia di affet Distinzione non significa per Vico necessari sizione : virtù e diritto svolgendosi -sono desti] reciproco aiuto. Il pudore è il sostegno più f naturale e ne è guida sicura di interpretazione metafisica vagheggiata dal Vico tra il vero e nelle scienze etico-giuridiche armonia tra diri (1) Sul pudore cfr. De UnOy § 51, 7, e sopratutto B logiae, e. li:. — Cfr. sul rapporto tra morale e diritto in Op. cit., e. XIII. (2) Cfr. De Uno, § 51, 7. * Pudore universum jus nat eoque solo totum consisti t > . Digitized by VjOOQ IC — 182 - ►e Uno il rapporto tra diritto e morale è trattato da un punto L vista essenzialmente metafisico: nelle opere posteriori do- iva essere svolto sulla base dell'osservazione psicologica e )lla storia. 70. — Nel Da Uno il Vico appare il filosofo del diritto in- so a porre i fondamenti metafisici di una dottrina civile. Il ritto vi si rivela nei suoi cai'atteri universali e costanti lale espressione dell'eterno vero, rispondente alla natura izionale deiruomo. Potrebbe alcuno credere che il Vico avesse ,tto opera aprioristica analoga ai sistemi usciti dalla scuola 3l diritto naturale. In realtà il Vico aveva seguito diverso immino: la sua filosofia giuridica non 9ra opera arbitraria ìlla ragione, ma il risultato di una potente astrazione fatta >pra materiali ofierti dalla storia del diritto. Al Vico sa- )bbe parsa opera vana una dottrina filosofica del diritto, le non avesse trovato' nel fatto conferma. Il criterio della mversione del vero col fatto doveva farlo convinto che il ritto filosofico se veramente risponde alla natura umana ^trattamente considerata, non può trovarsi in contraddizione )\ fatti e se contraddizione esiste essa è transitoria. La lo- ca delle idee deve per essere vera identificarsi e confondersi fila logica e l'ordine delle cose. Ma tale identificazione è Dta e graduale: dapprima il diritto esiste come fatto, si attua tto l'azione della necessità e dell'utilità; solo in uno stadio ogredito di riflessione l'uomo avverte sotto le mutevoli forme oriche il progressivo attuarsi dell'idea eterna del giusto. Dimostrare col sussidio della filologia, cioè della storia lar- .mente intesa la progressiva attuazione nell'ordine dei fatti il diritto naturale, divenne la meta a cui si indirizzarono ricerche e gli studi del Vico. Tale dimostrazione egli doveva pprima chiedere al diritto romano ricostruito ne' suoi testi nuini dai giureconsulti colti e nella sua storia dal Gravina, diritto romano appariva a lui come ai giureconsulti nostri. Gravina, al Doria un prodotto di formaziorie naturale e 3ntanea mirabilmente atto a servir di guida e di modello per Digitized by VjOOQ IC — 183 — la determinazione delle leggi costanti e universali che segue il diritto nella sua evoluzione storica. Dominato da questo con- cetto che rispondeva alle nostre più costanti tradizioni il Vico si diede nel De Consianiia (1) a ricostruire con larghezza e originalità di vedute il diritto romano per trarne argomenti alla dimostrazione de' suoi principi filosofici. La scuola del di- ritto naturale fin dal suo sorgere col Grozio aveva dichiarato guerra aperta al diritto romano: Descartes erasi levato contro gli studi storici e filologici. Il Vico posto nell'alternativa di negare la storia o la filosofia, l'autorità o la ragione, il di- ritto romano o il diritto naturale non ebbe un momento di esitazione: si attenne alla tradizione romana mostrando come da essa potessero derivarsi principi per una concezione filo- sofica del diritto. Egli volle essere l'anello di congiunzione tra i metafisici e gli storici del diritto. Come vi è una fisica e una metafisica della natura, cosi vi è un diritto fisico e metafisico. Il diritto fisico è il diritto romano quale esiste nella storia: il diritto filosofico fondato sulla contemplazione astratta della natura umana se non vuol essere arbitrario deve potersi con- vertire nel fatto. A questa condizione il diritto fisico per forza naturale di cose finisce per incontrarsi e coincidere col di- ritto filosofico. Di qui ir rimprovero da lui mosso da un lato a Platone per aver confuso il giusto ideale col giusto eterno, l'uno inconvertibile, l'altro convertibile col fatto, dall'altro a Qrozio e a Pufendorf per non aver tenuto conto della storia e per aver foggiato un diritto filosofico che non è praticato nel costume (2). La storia di Roma si inizia colla guerra di tutti contro tutti. Da questa guerra esce la feudalità solitaria delle fa- miglie che comandano ai clienti e lottano contro i nomadi. (t) Il De Constantia jurisprudentis diviso in due parti, De Constantia Phi- losophiae (breve riassunto dei princìpi filosofici ampiamente esposti nel De Uno) e De Constantia Philologiaej fu pubblicato nel 1721. (2) Tali rimproveri si possono leggere nella Prima Scienza Nuova (1726), libro I, e. 3 e 5. Digitized by VjOOQ IC - 184 - Ili séguito alle rivolte dei clienti i patrizi si chiudono nelle città, si organizzano in ordini, combattono i ribelli e dai vinti si formano le plebi. Ma queste col tempo cresciute di numero si rivoltano di nuovo, e l'aristocrazia è costretta a cedere, a estendere al popolo leggi, campi, matrimoni, cittadinanza. Cogli imperatori abolite le classi e i privilegi, le leggi appaiono altrettante generalità filosofiche. Scompare l'antico diritto rozzo e violento e la forza dell'autorità si confonde con quella della ragione. L'armonia tra il senso e la ragione, tra il vero e il certo, tra filosofia e filologia sembrava raggiunta. Ma nel trarre dalla storia di Roma il corso ideale del diritto, il Vico dovette colmare lacune, completare tradizioni, adottare un'arte nuova di critica e di interpretazione atta a penetrare il signi- ficato di intere epoche storiche e fondata sulla osservazione psicologica e sullo studio delle lingue. La ricostruzione storica del diritto romano dischiuse al Vico la via alla ricostruzione storica del diritto quale si manifesta ne' suoi caratteri costanti nel mondo delle nazioni. Ma ben comprese il Vico che tale ricostruzione non. poteva dirsi com- pleta se il fenomeno giuridico non era studiato ne' suoi rap- porti colla religione, colla morale, colla politica considerati come altrettanti prodotti storici che si svolgono parallelamente al diritto e ne attraversano le stessi fasi di formazione. Nella Prùna Scienza Nuova (1) il diritto naturale non è più studiato come prodotto storico di un popolo particolare, ma come formazione collettiva, cioè come la scienza dell'uomo solitario che vuol la salvezza della sua natura e la conquista per gradi nel consorzio sociale sotto la pressione delle neces- sità e delle utilità. Alla mancanza di documenti storici, di tradizioni certe, di testimonianze sicure supplì il Vico colle sue intuizioni audaci e divinatorie, coll'autorità del senso comune che è la mente dell'uomo collettivo da cui traggono (1) Fu pubblicata nel 1726, ed è sopràtutto notevole per la formazione storioa e sociale del diritto. Digitized by Google — 185 — origine quelle massime di sapienza volgare in cui tutti i po- poli convengono e sono universalmente praticate. Dal primitivo stato di solitudine e di abbandono in cui manca ogni freno al senso e il diritto è sinonimo di forza l'uomo invaso da terrore religioso esce contraendo stabili unioni in sedi fisse. La famiglia rappresenta la prima fase dello sviluppo sociale: solidamente costituita sul principio religioso essa si allarga fino a comprendere quanti per sfuggire ai pericoli e alla miseria della vita nomade invocano la protezione dei forti. Costumi, diritto, politica riflettono in questo antichis- simo stadio di vita sociale lo stato mentale dell'uomo. A uomini ignoranti e superstiziosi, privi del necessario alla vita, insof- ferenti di freno, amanti dellasolitudine, devono convenire re- ligioni spaventose e crudeli, costumi barbari ma moderati. È questo il periodo divino o teologico del diritto naturale in cui mancando le leggi, i diritti si custodiscono colle religioni. I padri sono sapienti, sacerdoti, re nelle famiglie che costitui- scono una libera e assoluta monarchia (1). CoU'ampliarsi delle famiglie in gentes, coU'ammutinarsi dei plebei e conseguente organizzarsi dei paires in ordini e nelle città, sorgono i governi aristocratici e quindi i regni eroici. Le plebi lottano per la libertà di ragione, per Tuguaglianza dei diritti, per il possesso dei campi. I costumi sono sempre severi ma meno feroci, il diritto eroico si mantiene rigido, crudele, arcano, privilegiato (2). • Ma gli eroi decadono convertendosi in tiranni ; nelle città i plebei ottengono di esser parificati ai nobili nel godimento dei diritti e si iniziano i governi civili nella forma di repubbliche libere o di monarchie civili. I costumi si ingentiliscono e con essi si fa umano e civile il diritto naturale. CoU'estendersi della naturale equità delle leggi sorgono i filosofi a meditare (1) Circa i caratteri del diritto, deUa morale, della politica iu questo, primo periodo cfr. P. S. N,, lib. II, e. 18, 19-20, 39, 48. (2) Del diritto, della morale, politica eroica U Vico tratta, 26., lib. II, e. 17, 24 22, 30-31, 44, 51. ■ Digitized by VjOOQIC — 186 — il vero delle cose e con essi si iniziano la metafisica e le diverse scienze e arti. Dai rapporti fra le città si svolge il diritto naturale delle nazioni, e dall'unione delle nazioni il diritto universale del genere umano (1). Per tal modo le varie fasi di aggregazione sociale, le forme di governo, i costumi, il diritto si succedono secondo una legge costante riflettendo il corso delle idee espresse a loro volta nelle lingue. I concetti di diritto civile, di, diritto naturale, delle genti, non più considerati da un punto di vista pura- mente astratto, non più ristretti a un popolo determinato ci si presentano concetti vivi e reali, formazioni storiche stretta- mente legate col graduale sviluppo dello spirito umano nelle sue manifestazioni individuali e collettive. Nella Prima Scienza Nuova l'idea predominante è pur sempre l'evoluzione storica del diritto considerato, come dice il Carle, la quintessenza dell'aggregato sociale. In Roma il diritto sembrava assorbire tutti gli altri elementi della vita sociale in guisa da apparire quasi l'elemento esclusivo; perciò il Vico volle porsi da un punto di vista più elevato per meglio determinarne i caratteri, le leggi universali e costanti del suo eterno divenire storico. 71. — Il problema relativo alla natura socievole dell'uomo, all'origine della società e della sovranità, era stato argomento di vivaci discussioni in seno alla scuola del diritto naturale. Tale problema, osserva il Carle, era necessariamente implicito nel concetto da cui aveva esordito il pensiero filosofico mo- derno, secondo cui l'uomo come tale, cosi come esce dalle mani di natura e non in quanto fa parte di un qualche gruppo so- ciale, è capace di diritto. Dei due termini, individuo e società, per tal modo dissociati solo al primo, nei vari sistemi usciti dalla scuola del diritto naturale, fu attribuita esistenza reale (2). (1) Dei tempi umani tratta il Vico, io., lib. II, e. 37, 46, 54. (2) Vedi Carle, Fil, del Dir, nello Staio moderano f Parte I, lib. Ili, e. vr, in cai è trattato l'argomento deirindivìduo e della società nella moderna filosofia del diritto. Vedi sopratutto i §§ 146-148 in cui si discorre della ipotesi di uno stato di natura, deUa genesi della società e sovranità. Digitized by VjOOQ IC - 18 Airìndividualismo religioso, filo repoca era naturale compierne della società. Tutti gli indirizz: scienze morali nel secolo XVII pito, uno stato di natura aiiter l'uomo godeva di una indipende sconfinata, e da cui sarebbe us( lontari accordi, nei quali riponev come della sovranità. 11 Grozio, turalmente socievole, ammise ne un periodo, circa un secolo, di Yenne meno il sensimi natii7^a homines. Tale stato di nomadi, dette necessario ammettere per prietà privata, e del rispetto et tale. Lo ritenne composto di se allo stato civile per un certo e di famiglia. Il Pufend^rf, sull'c decaduti gentili come uomini « senza aiuto divino ». L'Hobbes i carattere di tendenza originaria dal senso, dagli appetiti, dagli natura come un vero stato ferin stato di natura anteriore alla s mebondi se non furibondi come \ della tradizione medioevale coni dal Grozio, Giovanni Selden (1) \ tilità decaduta non si era mai l'intervento diretto della diviniti con criterio diverso la storia deg Gli stessi problemi si affacciar- (1) L'opera del Selden, dotto ebn col titolo : De jure naturali et gentium (2) Cfr. Labanca, Op. cit., e. vii Digitized by VjOOQ IC ' T^- «^ if -.j^w^y; - 188 - contrasto coi filosofi solitari o monastici, fautori alismo egoista e razionalista, mentre riservò tutte itie per i filosofi politici, le cui opere erano intese ire Tuomo nella civile società. Nella sua ammira- pistianesimo, nella sua avversione pel movimento entrava come elemento la considerazione- deirin- ociale ch'egli giudicava compromesso dallo spirito ta che animava la Riforma. La sua ammirazione ch'egli si compiace di chiamare sociniano (1), non gine. Nell'avvertire i pericoli dell' individualismo ielle scienze morali, nell'additarne le cause, nel- L rimedi, il Vico fu solo ed inascoltato. Nel De Uno natura socievole dell'uomo e delle origini e cause 3nza sociale da un punto di vista puramente astratto ntegrare il Grozio e a contrapporsi ai cartesiani di Hobbes. Nella Seconda Scienza Nvxyoa egli si ire del problema la dimostrazione storica e psico- lendo a conclusioni che fanno di lui il precursore ìza sociale (2). Il fatto che risalendo alle origini dà la qualifica di sociuiano a Grozio in due passi deUa PrivMi , ed. cit., IV, lìb. I, e. 5; lib. II, e. 3, e in entrambi i to degli uomini immaginati da Grozio originariamente bivoni deboli, soli e bisognosi di tutto; il Vico chiama tale ipotesi Il Labanca, Op. cit., p. 211, corregge l'affermazione del >8i sul fatto che il Grozio era ariuiniano e che scrìsse una contro Sociuo. A questo lavoro del Grozio contro Socino non iffini neir opera citata sulla Libeì'tà religiosa: in quella vece argomenti decitivi la stretta affinità tra la dottrina di Socino arminiaui. — « Il Grozio, dice il Rnffini, proclamava alta- bnona intesa con i Sooiuiani, coi quali e specialmente col [ìtimo rapporto epistolare. » — L'affermazione del Vico non destituita di fondamento. — Cfr. Ruffini, Op. cit*,*p. 108. fu più studiato da letterati, filosofi e storici che non da nze morali e sociali. In generale i crìtici del Vico non ri- to sociologico della Seconda Scienza Nuova, Vi accennano dliani: lo dimostrò ampiamente il Carle nelle sue « Lezioni \ale » (inedite) da cui sono tratti molti concetti in questo tenuti. Digitized by VjOOQ IC .^i^^tuiAkiifl — 189 — più remote della storia non si ha memoria di uoi airinfuori del consorzio civile, costituisce per il mento decisivo in favore dell'esistenza originaria che è quanto dire della natura socievole delì'uon cose fuori del loro stato naturale non possono a durare. Il presupposto della Secoìida Scienza Ni l'umanità abbia un corso uniforme ed immutabile nata da leggi costanti, che tutti gli uomini nor membri di un gran corpo che non muore mai, istante per il continuo mutare degli individui si molteplice ed uno ad un tempo. Religioni, leggi, < verni, arti, scienz^Oj sono le manifestazioni di qu che si svolge eterno ijel tempo e nello spazio. Coi reale esistenza di un organismo sociale, convinto gole scienze lo fanno conoscere nei diversi aspetti la possibilità di una scienza che valesse a farcel nel suo insieme, nella sua grande unità organici origini e nel suo sviluppo (1). Nova scientia te scrivere il Vico nel por mano all'opera sua dest tracciare nella storia il corso costante e immuta manità. Egli si compiace contrapporre il mondo civ della natura esterna per affermare che se di qiiesta penetrati i misteri, quello rimaneva sempre un e cifrato: ciò potè avvenire perchè la mente umai dai sensi e attratta dalle cose esterne, deve du: intendere sé medesima, cosi come l'occhio vede t getti che stanno fuori di sé, ma non vede sé st per mezzo dello specchio. Il disegno cosi della na come del mondo civile appare architettato da un suprema : ma come i fatti naturali si succedono S( leggi che la scienza rileva, cosi il mondo civile i uomini, che lo attuano secondo la propria natura (1) Cfr. E. Amari, Critioa di una Scienza delle legislaz Genova, 1887, e. ix, § 97 e seg. Digitized by VjOOQ IC — 190 — ►pri. Per tal modo il Vico conciliava la fede nella Prov- enza colla necessità di spiegare umanamente e per vie ;urali il mondo delle gentili nazioni (1). l metodo da seguirsi per la costruzione della nuova scienza èva, secondo il Vico, essere duplice, psicologico e storico, rincipi del mondo sociale devono anzitutto rintracciarsi le modificazioni della mente umana. In essa devono ritro- *si i germi delle istituzioni sociali e i loro diversi gradi svolgimento progressivo. Fin dalle sue prime opere il Vico )va mostrato di intendere la natura umana nelle sue ten- ize e nei suoi caratteri costitutivi (2): ma solo nella Se- da Scienza Nuova, riassume tutto il lavoro anteriore di os- vazione psicologica in principi assiomatici che racchiudono fonde verità da tenersi presenti da chiunque si fa a studiare Qondo umano (3). Nelle Orazioni e nel De Uìxo le osserva- li relative all'uomo e alla sua natura sono frutio di lizione geniale: nella Seconda Scienza Nuova esse ricom- 3no in forma di assiomi fondati sul senso comune e rispon- ti alla esperienza storica. Se talvolta fece difetto al Vico prova dei fatti e le testimonianze tratte dalla storia sono itrarie e forzate, spesse volte accadde che la critica storica teriore confermò le sue geniali divinazioni. L'uomo, egli Brvà, spiega le cose ignorate o oscure o dubbie secondo la . natura, valendosi delle cognizioni che già possiede, mo- ido dalle cose presenti per giudicare le lontane* traspor- do sé stesso nelle cose inanimate (4).. — Se l'uomo non può .) Cfr. S. S, N,f Libro I, 7V Prìncipi, — Osserva il Vico che se da lato la S, N. ò <i una teologia civile ragionata della Provvidenza di- k » dall^altro è « una storia delle umane idee », Labro I, Del Metodo. \) Nel De Uno il Vico aveva definito Puomo: « un conoscere, Volere, kre fi^nito che tende all'infinito >: altrove lo definisce: « mente illii- sbta, cuor retto e lingua fedele interprete di entrambi » mettendo in vo Parmonia che deve esistere fra le diverse facoltà. ) Tali principi assiomatici il Vico chiama e dignità > e sono iu ) 114. ) Cfr. Dignità, 1, 2, 32, 34, 54, Digitized by Google '3^"**5^i*1jPF*K*»^^^7'' ^", "' ■ — 191 — sapere il vero deHe cose si attiene nell'operare al certo, a ciò che a lui sembra vero, al senso comune (1). — L'uomo in qua- lunque stadio e condizione di vita sociale ama principalmente l'utile proprio; a misura che la cerchia dei suoi interessisi, allarga alla famiglia, alla città, alla nazione, al genere umano, si estende d'altrettanto il suo egoismo (2). — Dalle necessità e utilità della vita regolate dal senso comune, trae sopratutto l'uomo impulso ad operare: esse costituiscono il criterio saldo per l'interpretazione della condotta presente e futura. A be- neficare, a contrarre i vincoli sociali, ad accettare le diverse forme di governo, le leggi, le istituzioni, sino gli uomini sopra- tutto tratti dall'utile che ne ritraggono (3). — Prima a svol- gersi nell'uomo è la vita del senso, poi quella del sentimeato, quindi della ragione : epperò se prima gli uomini sentono senza avvertire, poi avvertono con animo perturbato e commosso, finché da ultimo riflettono con mente pura. — - Il progresso mo- rale è in stretto rapporto collo sviluppo psichico: quando sieno successivamente soddisfatte le necessità, le utilità, le comodità della vita, l'uomo che npn domina gli appetiti e non intende la voce della ragione, si abbandona al piacere, al lusso, finché non rovina nella dissolutezza (4). Tali osservazioni di psicologia individuale il Vico completa con osservazioni generali di psi- cologia collettiva. I popoli, come gli uomini, hanno periodi di infanzia e di giovinezza: fatti adulti invecchiano e quindi muoiono. I popoli rozzi e barbari come i fanciulli favellano per universali,' sono inclini a imitare, hanno vigorosa la me- moria, vivida la fantasia, debole il raziocinio, profondo il culto delle tradizioni ; lentamente e per gradi si inducono a rinun- ciare alla loro libertà, ai loro patri costumi : ribelli a ogni freno sono domati dalla religione: impenetrabili nella loro (1) Dig., 9, 11, 12. (2) S. S. N., lib. I, Del Metodo. (3) mg., 80. (4) Dig., 53, 66. Digitized by VjOOQ IC — 1^2 — barie cedono alla violenza delle guerre o alle attrattive commerci. I costumi dei popoli sono dapprima crudi, poi eri, quindi si ingentiliscono, per farsi nell'ultima fase del ) sviluppo raffinati e dissoluti (1). .'osservazione psicologica si completa nel Vico collo studio oU'interpretazione della storia, ch'egli chiama la biografia l'umanità. Gli studi storici all'epoca sua erano degnamente presentati in Italia dal Giannone e dal Muratori. Il Giannone lon aveva tratto dalla storia una scienza nuova, aveva certa- ite studiato la storia con criteri nuovi. In lui troviamo non olito espositore dei fatti politici, ma lo studioso della vita ile e interiore dello Stato : primo mostrò di saper ragionare fatti, e di trarne argomenti alla dimostrazione di una i (2). Il Muratori fece della critica e della erudizione storica ì a sé stessa : ricercatore e raccoglitore indefesso e sagace )lvette, dice il Manzoni, « tante questioni, tanto più ne e, ne sfrattò tante inutili e sciocche »: ma egli non penetra •e il fatto, non raccoglie a unità tante cognizioni : di queste L vede né i principi né le conseguenze (3). Sotto questo etto egli fu il vero contrapposto del Vico, il quale si formò [) Dig.y 45, 48, 50, 52, 67, 71, 102. }) Pietro Giannone (1676-1748), appartiene a qneUa schiera di ginre- »nlti storici ed eruditi c\t^ aU'epoca di Vico iUnstravano Napoli. Fa allievo Domenico Aulisio (1649-1717), e frequentò la casa di Gaetano Argento, > avvocato e magistrato di Napoli (1661-1730). Dopo veut'anni di la- > il Giannone pubblicò nel 1723 in Napoli la sua Storia civile del Regno Napoli divisa in quaranta libri in cui si fa difensore dei diritti dello » contro le usurpazioni deirautorità ecclC'iiastica. — Il Vico conobbe o il Giannone ma non lo ricorda per evidenti ragioni di prudenza. \)lì Muratori (1672-1750) pubblicò l'opera sua maggiore « Rerum Icarum Soriptoros » nel periodo 1723 1738. — Il Vico ricorda il Muratori ma lettera al Gaeta del 1737 a proposito del trattato di Filosofia morale il Muratori pubblicò nel 1735. — Il Manzoni, {Opere varie, Milano, aelli, 1845, p. 16 3-171) contrapponendo il Muratori al Vico dice « che rvando i loro lavori^ par qyasi di vedere, con ammirazione e con •lacere insieme, due. gran forze disunite, e nello stesso tempo come uu ame d'un grand'effetto che sarebbe prodotto dalla loro riunione >. Digitized by VjOOQ IC ,^sd2&ìi r^ ' .■ ^ ly tfW^ C^? - ve — 193 — della storia un largo concetto fino a comprendere in essa t le manifestazioni umane, la interpretò agli effetti delle sci^ morali, se ne valse per la costituzione di una scienza nu Egli spinge il suo sguardo nelle epoche più oscure, là e più scarse e misteriose sono le memorie e le tradizioni,- aiuta con criteri derivati dalle proprietà costanti della m< umana e dall'esperienza dei fatti più conosciuti. Egli sa tutte le nazioni si illudono di avere antichissima origine, l'ordine delle idee risponde all'ordine delle cose, che idee i formi riscontrate in popoli diversi e lontani devono avere fondamento comune di verità, che le tradizioni volgari ha pubblici motivi di vero, che certi concetti trovansi espr in tutte le lingue, che i parlari volgari fanno testimonia degli antichi costumi dei popoli, che le leggi delle dodici vole e i poemi di Omero sono storie civili degli antichi rora e greci, che la poesia, le favole, la mitologia, contengono < menti di vero, che le lingue riflettono nel loro svolgersi stato mentale dei popoli (1). Crea per tal modo un'arte crii nuova dei fatti storici, per la quale, poesia, leggi, simboli, i numenti, etimologie, riti, formole, dottrine, divengono materi prezioso per la ricostruzione del mondo sociale e umano. Dopo di avere gettate le basi e stabiliti i principi e il i todo della nuova scienza, il Vico si fa a descrivere il prece delle cose sociali. Neil' immaginar l'uomo vivente fuori d( società in uno stato ferino, il Vico subì l'influenza dell'epe Ma se ben si guarda, la descrizione dello stato ferino fa dal Vico presenta analogie colla descrizione dell'uomo pri tivo e delle sue condizioni fatta dai moderni. Fantastica romanzesco è lo stato di natura del Grozio, del Pufendorf, ( l'Hobbes, non interamente quello del Vico, fondato sulla ] cologia e sulla storia integrata da felici intuizioni. Ai s( plicioni solitari di Grozio, deboli e bisognosi di tutto, e abbandonati di Pufendorf senza cura e aiuto divino, ai lic (1) Vedi Dignità, 3, 13, 16, 17, 19, 20, 22, 64. 18 Digitized by VjOOQ IC — 194 — ziosi violenti di Hobbes, ai sapienti immaginati da Platone, il Vico sostituisce uomini immani e fieri, quali la tradizione dei Giganti ci ha conservato, in preda a passioni bestiali, a con- cubiti vaghi, privi di qualsiasi idea religiosa, di ogni senso di pudore e di umanità, nomadi e degradati cosi da apparire più bestioni che uomini (1). Colpiti da terrore religioso alla vista degli spettacoli na- turali gli uomini giganti cominciarono a venerare gli dei: la vergogna del loro stato corrotto li indusse a celebrare giuste nozze, a seppellire i cadaveri in sedi fisse. Mentre altri potè ricostruire la società movendo da pretesi diritti naturali, che la riflessione filosofica poteva solo insegnare, il Vico convinto che tutti gli inizi delle cose sono rozzi e semplici e devono dai fatti ricavarsi, risale colla scorta della sapienza volgare ai primordi della umanità per stabilire ch'essa è in germe contenuta nelle tre istituzioni o foedera generis fiumani delle religioni, dei matrimoni, delle sepolture, nelle quali tutti i popoli convengono e che per concorde testimonianza della tra- dizione, del senso comune del genere umano, delle lingue, costituiscono i fondamenti e i principi da cui si inizia la storia dell'umanità (2). Riconosce il Vico che i vari aspetti della vita sociale non si svolgono indipendenti, ma contemporàneamente, in guisa che il progresso dell'uno riflette e spiega il progresso in altri aspetti conseguito: escluse invece gli influssi esercitati da un (1) Pochi, anolie dei moderni, hanno reso giustizia al Vico in ordine aUa sua dottrina deUo stato ferino. Eppure egli ebbe il gran merito, ri- conosciutogli dal Labanca, Op. cit., p. 215, di avere trasformato la ipotesi giuridica dello stato di natura in una tesi storica per intendere non solo il giure naturale, ma ancora la naturale storia di tutti i popoli gentili. Per il Vico lo stato ferino non è come per THobbes il vero stato naturale e primordiale degli uomini, ma uno state innaturale ; por Ini lo stato di natura veramente tale è lo stato sociale. Epperò la dottrina dello stato ferino nel Vico è tu tt' altro che un romanzo o romanzetto della iSoienza nuova come i critici hanno per lo piti affermato. (2) Cfr. S, S, N., lib. I, De* Pnncipi, Digitized by VjOOQIC^ — 195 — popolo sopra un altro. Fu questo errore, poiché se Tuniforn o costanza di tendenza e di natura può spiegare Tuniforir delle istituzioni in popoli diversi e lontani, essa non escli l'influenza esercitata da un popolo sopra un altro, e il vinc di ereditarietà che si stabilisce tra le varie stirpi. Il corso seguito dall'umanità nel suo lento e graduale s luppo, è distinto dal Vico in tre periodi o epoche, il peri( divino, eroico, umano. Queste tre fasi hanno un fondarne] psicologico e si riflettono in tutte le manifestazioni della v collettiva (1). La natura dell'uomo pel predominio del senso e della fj tasia fu dapprima naturalmente poetica, portata a dar v alle cose inanimate, a creare una moltitudine di dei tem e rispettati. Il sentimento della propria forza e invidualità progresso di tempo trasformò gli uomini in altrettanti er fieri della loro origine divina, dominati da forti passioni, ultimo la natura umana, fatta intelligente e quindi modes benigna, ragionevole, riconobbe per leggi la coscienza, la i gione, il dovere. Il costume fu dapprima asperso di religione e di pietà qi si conviene a uomini di recente usciti dallo stato di natui libertà, infieriti nell'armi, ribelli ad ogni legge, ad ogni v; colo sociale, che solo potevano sentire il freno della religioj Col prevalere della vita del sentimento su quella del sensc dell'apposito, i costumi si fanno eroici, misti di magnanimi e di orgoglio, per diventare civili e umani collo svolgersi de riflessione e della coscienza. Il diritto fu dapprima di ragion divina, proprio di uomi superstiziosi e fieri che divinizzano la forza: quindi si id€ tifico col potere fisico, finché da ultimo appare dettato dal ragione umana. La legge, che é l'attuazione del diritto, dapprima l'espressione della volontà degli dei, da interpi (1) Il corso deUe cose umane e sociali è dal Vico descritto nel lib. ] della S. ^.N. Digitized by VjOOQ IC — 196 — 'si da sacerdoti: quindi si concreta in parole e in forinole sa- anientali da interpretarsi letteralmente : da ultimo diventa spressione di un principio di ragione, capace di piegarsi la infinita varietà dei fatti. 5e è vero che i governi devono rispondere alla natura dei poli governati e le istituzioni riflettono il grado di civiltà Ile nazioni, ai primi governi teocratici o di diritto divino ccedettero governi di nobili o di aristocratici, finché da ul- no sorsero i governi popolari e umani (1). Tali forme di verno rispondono ai tre stadi di aggregazione sociale attra- rsati dall'umanità, delle famiglie, delle città, delle nazioni. L famiglia rappresenta lo stadio patriarcale dell'umanità: in sa i padri sono ad un tempo sapienti, sacerdoti, re : essi ercitano una specie di imperio monarchico, solamente sog- tto a Dio, sulle cose, sui figli, su quanti per sfuggire ai ricoli della vita nomade si aggregano alle famiglie nella lalità di clienti (2). Nelle città si svolgono le contese tra i ►bili, successori degli antichi padri, e i plebei, clienti am- utinati. Gli uni lottano per i loro privilegi, gli altri per iguaglianza dei diritti. Succede la demagogia e la tirannide ►polare che prepara le condizioni al sorgere delle monarchie al formarsi delle nazioni (3). Finché prevalsero i nobili, la [uità civile non si distingueva dalla naturale: l'interesse ivate dei nobili era quello dello Stato. Ma col trionfo delle ebi la ragion privata si distingue dalla ragion di Stato : i ebei preoccupati dei loro privati interessi svolgono l'equità Lturale ed abbandonano ai principi la cura del pubblico in- resse e dell'equità civile (4). La legge dei tre stadi é dal Vico riscontrata in tutti gli (1) Cfr. Dignità, 69. (2) Cfr. Dig., 72, 77, 78, 79, 82. (3) Cfr. Big., 92, 96. (4) Cfr. S, S, N,f lib. IV, coroUario aUe tre specie di ragioni. — L'e- lità civile e uaturale sono definite neUe dignità 110 e 114. Digitized by VjOOQ IC W^ik^ •fTT^'^^^^S^^Vf^*^-^^* ■» - 19? - aspetti della vita sociale ed è strettamente unita con quella dei ricorsi. Le società come gli individui quando hanno toc- cato l'acme o il grado più alto di sviluppo decadono e si dis- solvono. Gli uomini quando hanno raggiunto i commodi della vita cominciano ad abbandonarsi ai piaceri, al lusso e fini- scono nella dissolutezza. Sotto l'influenza della civiltà i popoli si fanno prima raffinati, poi dissoluti. Ai tempi in cui domi- nano gli uomini specchio di ogni virtù privata e civile suc- cedono dapprima tempi in cui le grandi virtù si accompagnano nei governanti coi grandi vizi, poi i tempi in cui comandano i tristi riflessivi, da ultimo assistiamo al prevalere dei furiosi, dei dissoluti, degli sfacciati. La libertà naturale accompagna gli sforzi dei popoli per procurarsi le necessità e i commodi della vita: ma l'abbondanza delle ricchezze, la superfluità degli agi prepara la servitù civile (1). Nel concetto del Vico la de- cadenza è condizione di progresso. A por un freno alla libidine sfrenata degli uomini eslegi si formano le famiglie :.i poteri esorbitanti dei padri sui clienti sono principal causa del foi*- marsi delle città : gli abusi dei nobili contro i plebei pre- parano i governi popolari : 'gli eccessi della libertà portano alle monarchie assolute: ai mali della tirannide i popoli trovan rimedio nel passare in soggezione di popoli più civili e forti: che se le nazioni arrivano al punto di voler disperdere sé medesime vanno a salvarne gli avanzi dentro le solitudini, donde qual fenice nuovamente risorgono rifacendo in breve il cammino percorso (2). Il Vico non intende chiudere l'umanità in cicli che si ripetono eternamente, non nega il progresso indefinito dell'umanità, ma vuol porre in evidenza il fatto che la dissoluzione di un ordine di cose esistenti porta in sé i germi di un ulteriore progresso, e anche quando la decadenza sembra completa e la barbarie assoluta i germi della civiltà (1) Cfr. Dig,, 66, 67, 68, 94. (2) La dottrina deUa decadeuza e del ricorso delle coso umaue è trattata nel Hbro V della S. S. N. Digitized by VjOOQ IC -:'■'<".-:- 'iVT*rfii — 198 — trascorsa non vanno interamente dispersi, ma l'umanità si rinnovella riproducendo gli stadi di vita sociale già percorsi quasi per trarne novello vigore a meglio progredire (1). L'originalità e l'importanza del Vico nelle scienze giuridiche e sociali non sta nell'aver posto nuovi problemi, ma nell'averne data una nuova spiegazione. La scuola del diritto naturale aveva posto i problemi relativi alla natura socievole dell'uomo, all'origine della società, del potere politico, e ne aveva dato la soluzione metafisica. Vico chiese alla storia la soluzione. Le conclusioni a cui perviene sono, discutibili, ma il metodo proposto è il solo che nel campo delle scienze morali può con- durre ad una soluzione positiva e scientifica. Dallo studio astratto e poi storico del fenomeno, giuridico il Vico fu natu- ralmente portato allo studio della società. La scienza sociale che prima di lui vagava nelle astrazioni e nelle utopie, assuma nella Scienza Ntwva carattere concreto e positivo. La que- stione dei rapporti tra morale e diritto diventa storica e so- ciologica. Al difetto della prova dei fatti suppli il Vico colla intuizione; questa però non è arbitraria ma fondata sull'os- servazione psicologica, la quale come gli permise di fissare lo sguardo nelle tenebre del passato a scoprirvi il vero, cosi gli fece intravvedere molte verità, di cui l'avvenire preparava la dimostrazione. 72. — La dottrina del Vico non ebbe né in Italia né fuori un'influenza paragonabile a quella che esercitarono altri si- stemi usciti dal seno della scuola del diritto naturale. La solitudine si venne creando intorno al nome e alla dottrina del Vico: né il malvolere, né l'essersi egli isolato dai tempi, né l'esser rimasta sconosciuta o incompresa l'opera sua non (1) La teoria dei ricorsi fornì sopratutto argomento di critica agli stu- diosi del Vico. — I più la respinsero, pochi l*accolser.o ma senza inten- derla: al Carle, Vita del dirittOy p. 200, nota, spetta l'onore di averla riabilitata, e di averne dimostrato la conformità colle più recenti scoperte embriologiche e sociologiche. Digitized by VjOOQ IC — 199 -- possono oramai più esser addotte a cause del fatto. Pochi altri scrittori ebbero l'onore che al Vico toccò di vedere il proprio nome citato, le opere proprie riassunte e discusse in Italia e all'estero (1). Altre cause di cui alcune personali del Vico altre generali e proprie dei tempi in. cui scrisse devono tenersi in conto per spiegare lo strano fatto. Il Vico appar- tiene alla schiera di quei pensatori che non godono né possono godere di grande popolarità per le loro peculiari qualità di ingegno e di stile. Il Vico è troppo spiccatamente italiano cosi nel concepire come nello scrivere per esser dagli stranieri letto e giudicato al suo giusto valore (2). In Italia poi pochi lo leggono per la difficoltà di famigliarizzare col suo stile con- cettóso e rude, che fa di lui come, di Dante un autore che si rende chiaro e^si fa apprezzare in seguito a lunga e paziente meditazione. Infatti le prime sue opere scritte in latino e più in istretto rapporto coi tempi furono assai più lette e cono- sciute che non le diverse edizioni d^lla Scienza Nuova, scritte in italiano, nelle quali l'originalità e la personalità del pen- siero e della forma appajono più spiccate. Altre cause d'indole più generale concorsero a diminuire l'influenza del Vico. 1 suoi rapporti coll'epoca e in particolare colla scuola del diritto naturale, se sono evidenti nella prima, fase del suo pensiero finché si mantenne sul terreno filosofico, e tratta del diritto e della morale da un punto di vista astratto^ diventano sempre più deboli nelle ultime opere in cui si fece a dare dei problemi deirepoca una soluzione storica, creando (1) L'orazione De nostri temporis fu lodata dal giureconsulto olandese Brenokmann di passaggio in Italia, —-Il De Antiquisaima fn largamente riassunto e discusso dal Gimmale dai Itìtterati che si pubblicava a Venezia e il Th omasi US ne dava un cenuo nelle Neuare Zeitangen di Lipsia. — 11 De Uno e il De Constantia furono assai lodati dairarmiuiano teologo Gio- vanni Ledere, che ne fece una larga rassegua nella Bibliotèque anoienne et moderne, — In Italia i)0i le opere del Vico erano universalmente cono- scinte e ammirate. — Cfr. la prefazione del Predari alPedizione della S, N. contenuta nella Biblioteca dei comuni italianij Torino, 1852. (2) Il Flint, Op. cit., e. I, lo paragona per questo rispetto al Bu ti e r. Digitized by VjOOQ IC — 200 - ad un tempo una scienza ed uno stile nuovo. L'era dei sistemi metafisici non poteva dirsi ancora chiusa : il favore che essi incontravano, il fascino che esercitavano sulle menti illumi- nate di quel secolo XVIii a cui spettava divinizzare la ra- gione e ricostruire con essa la società, T imperfezione della critica storica e la scarsa efficacia dimostrativa attribuita alla storia e alla tradizione, dovevano togliere valore alle ultime e più notevoli opere del Vico. L'unione dell'indirizzo storico coU'indirizzo metafisico, della filosofia colla filologia vagheg- giata dal Vico non rispondeva ai gusti dell'epoca. Sotto questo aspetto il Vico, nato e cresciuto nell'ambiente di Napoli, mostrò di ignorare le esigenze dell'epoca moderna. Egli vide nelle teorie di Grozio, Hobbes, Locke, Cartesio, l'espressione di idee indi- viduali non di un'epoca: non vide nelle condizioni nuove create dalla Riforma all'Europa, le cause che giustificavano le co- struzioni metafisiche che segnano il risveglio del pensiero filosofico moderno. Immerso nello studio del passato oscuro e remoto, perdette la visione del presente, ma per ciò stesso fu mésso in grado di precorrere l'avvenire. L'aver astratto dalle ragioni storiche che sole potevano giustificare le dottrine me- tafisiche dei giusnaturalisti, permise al Vico di rilevarne le unilateralità e i difetti, di temperarne le esagerazioni conia veduta storica. Ma per ciò stesso preveniva i tempi, e se potè essere ammirato non fu seguito. Neppure l'Italia, dove pure il culto delle tradizioni classiche era gelosamente custodito e dove il movimento politico e pro- testante dell'Europa non aveva gettato radici, segui la via tracciata dal Vico. Il rinnovamento filosofico da lui iniziato fu bruscamente interrotto dall'illuminismo francese, diffuso in Italia e sopratutto in Napoli poco dopo la metà del secolo XVIII, profondamente contrario allo spirito informatore della Scienza Nuova. A impedire che una vera tradizione si svolgesse in- torno all'opera del Vico si aggiunsero in Italia la persistenza della tradizione scolastico-spiritualista, e gli sforzi fatti dai critici cattolici per screditare la Scienza Nuova, mostrandone i pericoli per la fede. Digitized by Google - Sòl - Bisogna riconoscere che furono sopratutto i critici òattolicì quelli che nel secolo XVIII tennero viva e desta l'attenzione intorno alla Scienza Nuova\ soli ne intuirono l'importanza e la novità e colpirono nel segno nel rilevarne i pericoli per la religione e per il fondamento delle scienze morali (1). L'ortodossia del Vico e dell'opera sua è meno discussa oggi di quello che lo fosse nel secolo XVIIL Pare a noi non si possa dubitare dei sentimenti cattolici del Vico, e della conformità delle sue dottrine ai principi e ai dogmi della Chiesa Catto- lica. Altrettanto sicuri però non si mostrarono i critici cattolici nel secol.o XVIII, e trattandosi di giudici competenti, dall'intuito finissimo, che non avrebbero trovato di meglio che trarre dalla Scienza Nuova argomenti in favore delle loro credenze, la loro opinione al riguardo assume un'importanza e un significato particolare. Bisogna anzitutto riconoscere col Labanca che i critici cat- tolici che si occuparono del Vico e della Scienza Nuova erano persone di non comune dottrina, sopratutto dotte nella storia sacra e profana, e non erano punto fanatici e oppositori siste- matici : lo dimostrano il rispetto e l'ammirazione sincera per il Vico, gli errori storici da essi rilevati nell'opera sua, e l'in- negabile fondamento della loro critica dal punto di vista del- l' interesse della religione e della fede. Tra tali critici i più noti furono Damiano Romano, il Rogadei, il Lami, e sopratutto Gianfrancesco Finetti, nelle cui opere è riassunto tutto il lavoro della critica cattolica intorno alla Scienza Nuova nel secolo XVIII (2). Il Finetti era deciso avversario dei nuovi indirizzi' sorti in seno alla scuola del diritto naturale : per combatterli nell'interesse della religione e della dottrina cat- tolica scrisse l'opera De principiis juris naiurae (1764), in cui dopo di aver confutato i sistemi di Hobbes, Pufendorf, (1) Cfr. Popera sotto ogni rapx)orto notevole del Labanca, G. B, Vico e i suoi critioi cattoUoi, N;a|>oli, Pierre, 1898. (2) Cfr. Labauca, Op. cit.> per le notìzie biografiche o bibliografiche intorno ai citati critici cattolici. Digitized by VjOOQ IC — 202 — Thomasius, Wolff, critica la dottrina dello stato ferino del Vico chiamandola erronea impiaque e dimostrandola contraria alla Sacra Scrittura, alia Provvidenza, alla metafisica, alla storia profana greca e latina (1). L'accusa di empietà solle- vata dal Pinetti colpiva non pur il Vico, ma quanti ne am- mettevano la dottrina dello Stato ferino : tra questi il Duni che rispose con acredine (2). Di qui fu offerta al Finetti l'oc- casione di scrivere V Apologia (3), in cui sottoponeva la Scienza Nuova a una critica minuta per rilevarne i principi contrari alla rivelazione e alla fede. Ribadisce il Finetti la critica contro lo stato ferino, rimprovera al Vica di intendere la Provvidenza in un modo non sempre conforme alla teologia cattolica, di aver disconosciuto l'azione del Cristianesimo nel Medio Evo, di aver preferito solo a parole la storia sacra alla profana, di aver bandito Dio dalla storia. I fatti posteriori resero giustizia all'oculatezza del Finetti nel mettere i cattolici e gli studiosi in guardia contro il veleno tanto più temibile quanto meno avvertito che nella Scienza Nuota si nascondeva. Nel Vico non fu abbastanza rilevato quel fenomeno di sdoppiamento psicologico a cui ci avevano abituato i, nostri grandi scrittori del cinquecento e che in Italia fu il mezzo più efficace per sfuggire alle persecuzioni e per conci- liare la sincerità della credenza colla libertà del pensiero. Se non si tien conto di questo fatto la figura del Vico appare incomprensibile: in lui bisogna tener costantemente distinte le due figure dell'uomo e del pensatore. Come uomo il Vico fu (1) Il Finetti era veneto, sacerdote, censore ufficiale dei libri da proibirsi come contrari alla fede cattolica. — Cfr. La banca, Op. cit. (2) La Eisposta apologetica del Dani è del 1766. ■ (3) Fu pubblicata dal Finetti nel 1767 sotto il pseudonimo di Filandro Miaoterio (cioè amante dell' Mwawo e sprezzante del /mtio), Ricordiamo che la controversia tra il Duni e il Finetti si era così allargata in Roma da originare le due scuole dei ferini e antiferini, — Ij^ Apologia era passata inoSvServata agli studiosi del Vico: spetta al Labanca l'onore di averla fatta 'conoscere nel suo contenuto storico -e critico. Digitized by VjQOQ IC .^^ÉLi - 203 •— sinceramente cattolico: la sua religiosità risulta non tanto dalle sue insistenti dichiarazioni fatte nelle opere destinate al pubblico, quanto dalle lettere private e da alcuni passi déìV Autobiografia in cui non preoccupato di far pompa delle sue credenze, manifesta intero l'animo suo. I critici cattolici del resto, il Finetti stesso, non elevarono dubbi al riguardo: essi si limitavano a dire che il Vico non poteva sempre con- siderarsi cattolico nelle sue dottrine. Nel distinguere l'uomo dallo scrittore essi intuirono il vero, e noi dobbiamo seguirli per questa via premettendo che le accuse e i rimproveri dei critici cattolici si convertono per noi in altrettanti titoli di onore. Al Vico non sfuggi il pericolo che a lui e alla dua dottrina poteva derivare dalla critica cattolica, e non tralasciò occa- sione per spuntarne gli strali: ma questi furono abbastanza acuti per far di lui una vittima della scienza, sebbene, osserva il Labanca, non vi fosse da parte de' suoi critici il deliberato proposito di esserne carnefici. Dato il temperamento del Vico non temprato alla lotta, timido e servile al punto di abbando- narsi ad azioni poco dignitose, ad adulazioni convenzionali, sempre incerto del domani, preoccupato di non perdere le potenti protezioni da cui traeva i mezzi per vivere e gli aiuti per pubblicare le sue opere, si comprende come la lotta sorda, persistente dei critici cattolici, ben più di quella che potevano movergli i cartesiani, doveva esser per lui motivo di con- tinue paure e di tormenti fisici e morali (1). (1) Nel 1701 essendo scoppiata in Napoli una con giara contro il viceré Filippo, il Vico scrisse contro i faziosi l'opuscolo « De parthenopea oonju» ratione »: nel 1707 con l'entrata degli Austriaci in Napoli trionfarono le idee dei congiurati. Il Vico fu pronto a lodare nel 1707 i vituperati del 1701. — Nel 1715 scrisse quattro libri intorno alle gesta di Antonio Carafa e fece un eroe di un uomo ignobile e odiato universalmente. — II. Vico fu molto ammirato ma poco amato da' suoi contemporanei : le cause de' suoi dolori erano in parte in lui stesso. Sappiamo che morì di infermità men- tale ed era nevrastenico. Nella lettera indirizzata al P. Bernardo Giacchi nel 1720 il Vico allude chiaramente ai critici cattolici quaiido parla di dotti Digitized by VjOOQ IC — ao4 — Se si pensa alle miserande condizioni dei liberi pensatori nei paesi cattolici (1), ai pericoli a cui si esponevano, sopratutto in Napoli sotto il governo prima spagnolo poi austriaco, si comprenderà lo stato d'animo del Vico, audace nello scrivere, timido di carattere, portato nelle sue dottrine ad offrire ad un tempo il fianco all'offesa e alla difesa. Malgrado le dichiara- zioni contrarie del Vico, nella Scienza Nuova si trovano i germi di una profonda rivoluzione nelle scienze morali. Lo spirito innovatore era implicito nel titolo stesso : il Vico aveva la coscienza di aver fatto opera del tutto nuova, e nuovo era ricercare del mondo umano le leggi sue proprie di sviluppo, senza chiederle alla teologia, alla rivelazione; nuovo e rivo- luzionario era far del mondo umano autore e fattore l'uomo ad esclusione della divinità; nuovo e ardito era rintracciare il vero nelle favole, nei miti, negli- errori della tradizione pa- gana; nuovo e pericoloso era fare della Provvidenza un prin- cipio immanente nella storia e trasformare la religione in un prodotto storico, derivandola per legge naturale dal timore, dal bisogno di vivere immortali, dall'istinto delle analogie, dalla curiosità di spiegare i fenomeni dell'universo ; sopratutto cattivi f % quali colle tinte di una simulata pietà lo oppnmevano, néll-a stessa guisa ohe sempre han soluto rovinare coloro ohe hanno fatto- nu^ve disooverte, — Il Labauca, Op. cit., e. m, trae argomento dal fatto che i critici cattolici non attaccarono il De Antiquissima per affermare che il Vico fece deUa metatisica cristiana e teologica. Secondo noi il silenzio della critica cattolica ha altre caa-te. Nelle prime opere il Vico non uscì dal campo filosofico e rese servizio alla causa cattolica nel combattere Cartesio, Hobbes, Locke : ma nel De Constantia e nella Scienza Nuova egli invadeva il campo dell'erudizione storica sacra e profaua, facovasi egli stesso innovatore, doveva suscitare legittimi sospetti da parte di critici abituati a considerare vero Dantico e falso il nuovo. (1) Basti dire che il Muratori per pubblicare un libro sulla moderazione degli spiriti nelle cose di religione (1714), dove pure confutava l'arminiano Ledere, e riconosceva al principe la facoltà di procedere anche con l'e- stremo suplicio contro gli eretici, dovette stamparlo in Francia sotto falso nome: con tutto ciò dice il R uff ini, Op. cit., p. 510, « le diatribe degli intransigenti gli piovvero addosso e non schivò il temuto indice se non per il bene, chè^ gli voleva Benedetto XIV ». Digitized by VjOOQ IC 5^v,-. 3. ^-,^- — 205 — gravi erano le conseguenze per il dogma dal far derivare il genere umano da uno stato ferino di isolamento senza reli- gione. Erano pertanto fondati i timori dei critici cattolici e reali i pericoli da essi affacciati per la causa della fede. Solo l'abilità del Vico nel trovar espedienti atti a tranquillizzare gli animi timorati, a coprire le audacie del suo pensiero, a dar veste cattolica all'opera sua, solo le protezioni di cui godeva nell'alte sfere del mondo ecclesiastico (1), e la convin- zione ch'era in tutti della sincerità delle sue credenze, solo la profondità dei concetti e l'oscurità della forma, che toglie- vano popolarità all'opera sua, poterono salvarlo dalle perse- cuzioni, ma non valsero a far tacere la critica. A due finzioni sopratutto il Vico ricorse per temperare le asprezze del suo pensiero e garantirsi contro l'accusa di eresia e di empietà. Egli pone ogni cura nel dichiarare che la Prov^ videnza concepita come principio trascendente, è l'architetta del mondo delle nazioni, che queste si svolgono secondo un disegno eterno preordinato dal Creatore e che gli uomini non sono che mezzi e strumenti alla attuazione dei disegni divini. in ciò sembrava accogliere il dogma cattolico della divina prov- videnza, ma non era che una lustra, poiché alla Provvidenza cosi concepita il Vico si aff*retta a negare qualsiasi azione diretta e indiretta sulla storia, la quale si svolge esclusiva- mente per opera dell'uomo conforme alle sue tendenze e alla sua natura, salvo a fatti compiuti dichiarare che questi sono in corrispondenza colla volontà di Dio. La Provvidenza e la religione ritornano pur di continuo nella Scienza Nuova, ma in un senso del tutto diverso: La Provvidenza perde ogni ca- rattere, teologico, diventa piuttosto, come già ebbe ad osservare (1) n Vico dedicò la prima (1726) e la seconda (1730) edizione della Scienza Nuova al card. L. Corsini, che in poi papa Clemente XII dal 1730 al 1740, evidentemente allo scopo di crearsi nn potente mecenaterin- fatti tale dedica conservò quantonqne il Corsini, ricchissimo di censo, fin dalla prima edizione si fosse scusato presso lui di non potergli fornire :i mezzi per la stampa, mezzi che il Vico si provvide vendendo uà anello. Digitized by VjOOQIC — 206 — innelli, la persuasione che gli uomini hanno di Dio su loro : religione poi perde ogni carattere positivo per divenire il ko religioso in generale, che stimola e accompagna la ci- ta dei popoli nei loro inizi e prepara nei tempi umani il onfo della sapienza riposta o filosofica. Nessun accenno tro- imo a idee intolleranti, neppure per stornare da sé le ire cattolici : la tolleranza traspira dal concetto largo e mo- 'UO che egli si formò della religione. Il Vico portò un con- buto prezioso alla causa della libertà religiosa, per quanto 1 apprezzato: egli che invocava la tolleranza per sé la èva per gli altri. Altri potè con argomenti e teoriche ra- naliste cooperare al trionfo della libertà religiosa ; il Vico cooperò trasportando le questioni religiose dal campo delle e al campo dei fatti, mostrando l'origine e la formazione ;urale delle religioni, traendo dai fatti la loro giustifica- ne, astraendo da qualsiasi forma di religione particolare. li per tal modo ponevasi da un punto di vista nuovo e che -èva ingenerare l'equivoco: la veduta storica se lo rese da lato fautore della religione e del culto nazionale, dall'altro portava suo malgrado ad escludere dalla storia ogni reli- ne rilevata : potè quindi fornire argomenti tanto ai fautori mto agli avversari della libertà religiosa (1). l) Dena larghezza di vedute del Vico in fatto di religione fanno prova stndl da lai fatti degli autori protestanti più. avverai alla Chiesa }olica, le sue amichevoli relazioni con uomini apertamente fautori della rtà religiosa come il Ledere e il Thomasius. — Avversò la Riforma testante per una ragione storica piti che religiosa ; ne condannava le lenze individualiste, ribeUi ad ogni freno di autorità. — Non cre- mo che il Vico sìa stato deciso avversario della toUeranza religiosa le mostra di credere il Ruffini, Op. cit., p. 511. Tale convinzione ^uffini fonda particolarmente sopra un passo della Seconda Scienza Nuova 3ui il Vico dice: € le nazioni, se non sono prosciolte in un'ultima li- ba di religione, lo che non avviene se non nella loro ultima decadenza, [) naturalmente rattenute di ricevere dei tadi straniere». — Il Raffini ima paradossale e mostruoso tale principio e a ragione se Pinterpre- one da lui data fosse la vera : ma ci sia permesso dubitarne.* Il passo luestione si legge nel libro secondo della Seconda Scienza Nuo^àf e pre- Digitized by VjOOQ IC ^Mà^ — 207 — La seconda finzione a cui ricorse il Vico per evitarle ine- vitabili conflitti coi testi sacri fu quella di separare la storia degli Ebrei da quella dei Gentili. Alla stessa finzione per lo stesso motivo avevano- fatto ricorso il Grozio e il Pufendorf. Il popolo ebreo era considerato come un popolo eletto, la cui storia si era svolta eccezionalmente sotto la diretta azione di Bio all'infuori delle leggi naturali e ordiiiarie di sviluppo ^ cui erano sottostati i Gentili, che formavano per altro l'uma- nità. Là distinzione fu accolta ed accentuata dal Vico, il quale cisameute là ove il Vico tratta deU* astronomia poetica. Premettiamo che il secondo libro deUa S» S. N» si intitola « Della sapienza poetica » ed è la ricostrnzione deUa storia relativa ai tempi favolosi e oscuri. Dopo di aver discorso della metafisica, della lingua, della morale, della vita famigliare e politica di quest'epoca primitiva, il Vico passa a studiarne le concezioni cosmografiche e astronomiche. L'astronomia poetica assume per il Vico un particolare significato : essa è la storia religiosa degli antichissimi po- poli:, gli dei e gli eroi sarebbero stati trasportati dalla terra in cielo a popolarvi i pianeti e le costellazioni, che rispettivamente dagli dei o dagli eroi prendono nome. Per agevolare la via al « ritrovamento dell' aaitronomia poetica » il Vico pone alcuni principi filologici e filosofici ; tra questi ultimi troviamo quello sopracitato, il quale espresso in forma generale e rife- rito a tutte le nazioni senza distinzione di tempo e di luogo può far cre- dere ad una implicita condanna della libertà religiosa. Ora noi crediaoK) che in questo passo la religione è considerata da un punto di viata sto- rico e non teologico, e che l'affermazione del Vico, sebbene espressa in forma generica, voleva essere la constatazione di un fatto storico parti- colarmente riferito ad epoche primitive. È noto che i popoli primitivi senza conoscere il dogma della esclusiva salvazione sono gelosissimi delle loro credenze religiose, considerate come parte di loro stessi e precipui fattori di educazione e di unità nazionale. Sappiamo ancora esser stata convinzione del Vico (assai discutibile del resto) esser le nazioni nella loro barbarie impenetrabili, e che le infiltrazioni straniere di qualunque natura né snaturano il carattere e sono elemei^ti di decadenza. Interpretato stori- camente il passo di Vico e non come affermazione di un principio teorico trova fondamento nella storia di tutti i popoli antichi, ai quali del resto la maggior parte dalle osservazioni filosofiche del Vico devono riferirsi. — Certamente non troviamo nelle opere del Vico apertamente proclamato il principio della libertà religiosa : ciò del resto non fecero né il Doria né il Giannone, i quali (osserva il Kuffiui, Op. cit., 513 nota) non osando esprimere esplicitamente le loro opinioni tolleranti ricorsero all'espediente di lodare la tolleranza del Komani. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 210 — traddire alle nostre tradizioni e alle esigenze del nostro LO nazionale. Sarebbe stato strano che al sistema del Vico e mancata in Italia l'opposizione cattolica; può invece iar meraviglia il fatto che mancò al Vico in Italia quella lizione che non mancò ad altri capiscuola all'estero. Bi- la per altro non dimenticare che l'Italia sopportava le ^eguenze della duplice secolare servitù politica e religiosa, il risveglio delle coscienze e delle menti alla vita mo- ia mancò in Italia quasi affatto nel seicento, fu lento e trastàto nel settecento, e segui sotto lo stimolo di in^u^ inieri che traviarono l'intelletto italiano dalle sue naturali iizioni. Queste però, sebbene deboli e incerte, si conservano, 3po il Vico noi le possiamo rintracciare sia nelle dottrine ora asservite alla tradizione scolastica, sia nelle dottrine )irate agli influssi stranieri. a dottrina del Vico tra i cattolici trovò i seguaci più fedeli. . essi ricordiamo lo Stellini e il Duni. Lo Stellini svolse 3ndo il metodo e il concetto del Vico la filosofia morale, >uni la filosofia giuridica: malgrado le loro credenze sin- imente religiose cercano entrambi dei fatti etici e giu- ci la formazione naturale, movono dallo studio dell'uomo le appare all'osservazione psicologica e storica all'infuori qualsiasi premessa dogmatica e religiosa (1). Duni è l'autore di un intero sistema di filosofia giuridica quale le dottrine del Vico si riproducono chiare e or- ite (2). Il Vico aveva posto nella vis veri il comun fonda- ito delle scienze morali. Già il Finetti aveva acutamente jrvato che non il vero in genere, ma il vero in ispecie, le naturalis ordo rerum deve assumersi a fondamento del ) Per ciò ohe rigaarda lo Stellini e la saa dottriua morale cfr. nostro 'oblema morale > Torino, Bocca, 1900, p. 230-238. ) Il Dani nato a Matera fa professore all'Università di Kòma per inove anni dal 1752-1781. Tra le sae opere ricordiamo il Saggio sulla spradenza universale (1760) e la Scienza del oostu^e ossia sistema df io universale (1775). Digitized by VjOOQ IC - 211 — diritto universale (1). Di questa critica del Finetti risente la distinzione stabilita dal Duni tra vero matematico, metafisico, morale. Non il vero in genere, ma quella forma speciale di vero che dicesi morale è il fondamento del diritto universale, che è la scienza del costume ossia della condotta umana largamente intesa., Sul vero morale si fondano l'etica e il di- ritto (2). Il Duni nel porre il criterio di distinzione tra morale e di- ritto, riproduce sostanzialmente la dottrina del Vico. Questi aveva derivato la morale dall'interno sentimento del pudore, il diritto dallo svolgersi e dall'estrinsecarsi della libertà. Il Duni non usa i termini pudore e libertà, ma ricorre alle espres- sioni equivalenti, ma più generiche e comuni, di onestà e di giustizia. L'onesto è il vero morale riferito alla condotta in- teriore dell'individuo; il giusto è il vero morale riferito alla condotta esterna dell'uomo in quanto fa parte della società: l'uno non esce dall'individuo, l'altro suppone il consorzio so- ciale: l'uno si risolve nell'equilibrio delle facoltà umane e nella purezza dell'intenzione, l'altro nella retta distribuzione tra gli uomini de' vantaggi e delle utilità. Non vi è dubbio che il Duni iutese chiaramente il rapporto tra morale e diritto: ma forse ne accentua troppo l'opposizione, mentre il Vico insiste piuttosto sulla loro coordinazione e accanto al pudore che è un fatto di coscienza pone il costume che è il fatto etico collettivo e che prepara ma non costituisce ancora il fatto giuridico (3). Non crediamo che il Duni abbia interpretato esattamente il concetto del Vico facendo derivare il diritto delle genti da quelle antichissime costumanze che si andarono formando du- rante l'età patriarcale per l'autorevole e sovrana volontà dei padri di famiglia e che si incontrano pressoché uniformi in (1) Cfr. Finetti, Op. oit. (ediz. di Venezia del 1764), Voi. II, p. 113. (3) C£r. Duni, Scienza del oostume {ed, napoletana del 1775), lib. II, e. ix. (3) Cfìr. QcU rapporto tra ^iuatp e onesto. Punì, Op. cit.^ lib, 11^ e. vil^ Digitizedby VjOOQIC. -.-•-TT VavVy -Sla- tti i popoli. Formatesi colle città le società civili, tali co- imanze modificate e adattate alle speciali condizioni di npo e di luogo avrebbero costituito il diritto civile, [n altre parole secondo il Duni il diritto di natura è il di- to filosofico quale appare alla mente rischiarata dal vero, Q ottenebrata dagli afletti e dall'errore: il diritto delle genti il diritto civile sono formazioni storiche rispondenti ai due idi di aggregazione sociale della famiglia e della città. Il itto poi civile svolge l'equità naturale e la civile, di cui na si ispira al privato interesse l'altra al pubblico (I). Nel ni le dottrine e i principi del Vico diventano famigliari iccessibili alle menti meno colte. È doveroso riconoscere e le sorti del Vico in Italia nel secolo XVIII sono stret- nente legate al nome del Duni. Negli scritti, dalla cattedra Roma per oltre venticinque anni il Duni tenne desto il Ito e la tradizione del Vico negli studi giuridici. Cattolico li stesso potè con tanta maggior efficacia difenderne la me- )ria e gli scritti contro i cattolici intransigenti, frustrandone secreto desiderio di far condannare come eretiche e peri- tose le opere del Vico (2). Egli fece opera più di avvocato e di critico: fu più amante del Vico che della verità: ma si tien conto delle tristi condizioni in cui versavano le enze morali e giuridiche in Italia nella seconda metà di el secolo, minacciate dalla reazione cattolica da un lato. He influenze materialiste francesi dall'altro, l'opera del Duni 'Otta a far conoscere nella sua genuina purezza le dottrine l Vico e a salvarle dalle conseguenze di una condanna ec- isiastica non può a meno che essere altamente apprezzata. 1) La formazione storica del diritto deUe geùti e civile è argomento . libro HI, Duni, Op. cit. 2) Sopra accennammo alla polemica tra il Dani e il Fìnetti in ordine allo bo ferino. Qui ricorderemo che la Biaposta apologetica del Duni fu stam- a con l'approvazione del Giorgi, professore di Scrittura nell'Università Roma e del Nerini, consultore del Sauto Officio. Si voUe così dare una 3ntita ufficiale al Finetti, il quale non volle perciò apparire l'autore la Apologia che pubblicò con altro nome. Digitizedby VjOOQIC - 2ià - Negli ultimi decenni del secolo quando in Italia e sopratutto in Napoli gli ingegni subivano il fascino degli enciclopedisti, la tradizione del Vico impedi l'asservimento completo del nostro pensiero filosofico: liberi pensatori come il Pagano, il Filangeri, il Coco trassero dalla Scienza Nuova gli elementi più originali e duraturi delle loro opere. Se non può pertanto sostenersi che la tradizione del Vico sia stata svolta e apprezzata al suo giusto valore in Italia, non può neppure ammettersi che sia andata perduta. Il pen- siero filosofico italiano nel secolo XIX ondeggiò incerto tra la tradizione spiritualista e gli indirizzi di origine straniera del sensismo, dell'hegelianismo, del positivismo. Ma è notevole il fatto che dai seguaci delle scuole più diverse l'autorità del Vico fu invocata in appoggio dei loro sistemi e da tutti il Vico fu considerato come il rappresentante di un indirizzo di pen- siero essenzialmente italiano. 74. — L'età classica dei capiscuola e dei sistemi di diritto naturale si chiude col Vico, la cui dottrina se da un lato è in rapporto colle correnti del pensiero filosofico dell'epoca, dall'altro lato per gli elementi storici é psicologici, di cui si arricchisce, preannunzia sistemi e indirizzi venuti in onore in tempi posteriori. Ben può dunque il Vico considerarsi un gigante del pensiero^ una mente comprensiva che della realtà vide gli aspetti più diversi e seppe fonderli, unificarli in una dottrina che per i tempi in cui sorse può veramente chiamarsi nuova. L'importanza del Vico sta nell'aver posto a fii^eno e a guida della speculazione filosofica la realtà, o il fatto, come egli diceva, nell'aver intuito il metodo proprio delle scienze morali, nell'aver dato alla sua speculazione il fondamento saldo della psicologia e della storia, nell'aver analizzato l'uomo in se e nella sua natura socievole, nell'aver tratto da elementi disparati e opposti un sistema che ha tutti i caratteri di una sintesi filosofica, storica, sociale. Per questo l'opera sua pre- senta in sommo grado i caratteri della modernità e perennità . della modernità in quanto anticipa sull'indirizzo storico, so« Digitized by VjOOQ IC - àu - ologico, psicologico nello studio dei fatti morali; della peren- ta in quanto a' suoi insegnamenti l'intelletto umano ritornerà mpre dalle estreme, eterne aberrazioni dell'idealismo e del lalismo. §7. I^a SGixoim del dlfltto t^atUfale Qe^sUol tappotti coiriliafx)li7lSfX)o e col l^aiftlsf^o. )MMABIO : 75. Origine, sviluppo e caratteri deU'IUazninisino — 76. La scnola del diritto naturale nei suoi rapporti coU'IllaininiBnio — 77. L'illuminismo in Francia e suoi caratteri — 78. L'Illuminismo in Germania e l'opera dei giuristi — 79. L'IUuminismo in Italia e suo carattere generale — 80. La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti ooUa dottrina giuridica di E. Kant. 75. — La scuola del diritto naturale rappresenta una nuova ientazione intellettuale in ordine ai fenomeni giuridici e ciali: essa fu l'opera ad un tempo di filosofi e di giuristi, seppe contrapporre alle istituzioni che avevano per sé la rza dell'autorità e della tradizione le armonie ideali di una ta conforme alla natura delle cose, ossia ai principi univer- li e immutabili della ragione. A questo rivolgimento intel- ttuale si aggiunge verso la metà del secolo XVIII per opera m di filosofi, ma di pubblicisti, letterati, uomini di Stato, un svolgimento delle coscienze, espressione di un nuovo modo di nsiderare il mondo sociale e morale, noto sotto il nome di uminismo. Tra l'Illuminismo e la Scuola del diritto naturale rrono stretti rapporti, ma anche profonde differenze. .Agli opi del presente lavoro basti affermare che l'Illuminismo è i fenomeno assai complesso, risultante di elementi diversi, sieme fusi e diretti ad uno scopo ultimo di riforma sociale politica. L'Illuminismo non può considerarsi una filiazione Digitized by VjOOQIC/ ■ Digitized by VjOOQ IC tè. — Non deve sembrar strano il nome di razionalisti ap- plicato ai principali rappresentanti deirilluminismo. Tale nome è giustificato per due motivi : anzitutto perchè le manifesta- zioni più spiccate del materialismo del secolo XVIII presen- tano tutti i caratteri di costruzioni razionali, nelle quali la fantasia e il ragionamento suppliscono spesso la insufficienza e la scarsità dei dati di fatto oflferti dalle scienze ancora in formazione r in secondo luogo perchè le idealità sociali e giu- ridiche, che la scuola del diritto naturale aveva elaborato, rivivono nell'epoca dell'Illuminismo e ne costituiscono il fat- tore aprioristico e razionale. L'origine contrattuale della so- 'cietà e dello Stato, i concetti dell'uomo e della società di natura rappresentano il contributo che la scuola del diritto naturale arrecò all'Illuminismo. Tali concetti che negli scrittori del diritto naturale rispondevano essenzialmente ad una esigenza razionale, negli Enciclopedisti ricompaiono arricchiti di un contenuto sentimentale, in forma poetica e attraente acqui- stando per questo solo una efficacia pratica che prima non avevano. Nell'Illuminismo pertanto venivano a convergere tutte le diverse correnti della speculazióne filosofica e scientifica dei secoli XVII e XVIII e assieme fuse vennero a costituire una nuova più vasta corrente a intenti di riforma e di trasfor- mazione morale, religiosa, politica, sociale. La Chiesa e lo Stato, le due iorze maggiori che da secoli tenevano soggiogati gli spiriti e ne impedivano ogni libera espansione furono prese di mira: da un lato le premesse materialiste, gli stretti rap- porti col progresso e le applicazioni delle scienze naturali rendevano l'Illuminismo antireligioso e nelle sue ultime con- seguenze ateo; dall'altro lato le concezioni dello stato di na- tura e del contratto sociale battevano in breccia le teorie del diritto divino, nonché il fondamento dei governi assoluti. Il materialismo esplicò la sua influenza sovvertitrice nel campo religioso e morale : la scuola del diritto naturale scosse le basi tradizionali dell'autorità e dello Stato. Se si aggiunge che Digitized by VjOOQ IC -ài?- l'Illuminismo non fu solo movimento di idee m; sentimenti, che si distinse per la sua cieca fede i del sapere, nella trasformazione della società per scienze, nelle energie inesauribili dell'uomo, fati creare a sé stesso i suoi propri destini, si com esso in sé racchiudesse tutte le condizioni per l'antico regime e preparare le condizioni della v 77. — L'Illuminismo è un fenomeno generale del t ovunque i popoli si destano ad una vita nuova, 1 lavoro e dalla scienza, . ovunque si acquista cosi de' propri diritti e si avvertono i sintomi di un ; rispondente agli ideali di giustizia e di prosperiti e sociale, il fenomeno dell'Illuminismo' appare, tutti i paesi si presenta cogli stessi caratteri. La Francia fu la patria dell'Illuminismo e da ei in altri paesi sopratatto in Germania e in Italia, in Francia l'Illuminismo si svolge co' suoi carati cali, ci si presenta completamente sviluppato. F cipio del secolo XVIII in Francia lo scetticisr Bayle aveva distolto le menti dal passato pre ad accogliere teorie più consentanee ai tempi. A fase di scetticismo dissolvitore , di critica nega il periodo in cui le più elette intelligenze si fa dere le dottrine scientifiche e filosofiche dell'Ing è considerata la terra della libertà e del progres; le sue forme. A questa fase risalgono i rapporti tra la Francia e l'Inghilterra, gli scritti polemici diretti a far trionfare in Francia il sistema di pera del Montesquieu intesa a far conoscere politiche e costituzionali inglesi. In un terzo luminismo entra in una fase costruttiva; abl lato col La Mettrie e col Cabanis i primi 1 trarre la vita intellettuale e morale dal sustra e fisiologico dell'uomo, dall'altro col Condillac derivare dal senso la vita dello spirito; più tar Digitized by VjOOQ IC -218 - abbozza un sistema morale informato all'egoismo e al pre- supposto dell'uomo preoccupato solo della propria felicità: da ultimo il barone d'Holbach in un'opera che fu il codice la bibbia del materialismo del secolo XVIII riduce a si- stema le leggi del mondo fisico e morale. £ parallelamente a questa concezione naturalista e meccanicista del mondo e della vita vediamo per opera del Diderot, del Rousseau, del Morelly, del Mably risorgere la fede in uno stato di natura, sinonimo di moralità e di felicità, vediamo l'opera della ragione e della volontà invocata a dar origine e svolgimento alla società e allo Stato. E quest'ultima corrente di natura ideale e che aveva per se l'autorità di quasi due secoli di specula- zione, più consentanea alle tendenze razionaliste di un'epoca per la quale le concezioni materialiste erano premature, finì per prevalere e per dare al movimento illuminista quel carat- tere ideale e razionale nel quale si manifesta nella rivoluzione francese. 78. — In Germania l'Illuminismo francese penetrò per l'in- fluenza personale di Federico il Grande, la cui corte divenne il ritrovo geniale delle più elette intelligenze dell'epoca. Il fa- vore che il grande uomo di stato dimostrò per il movimento di idee sorto dall'Illuminismo rispondeva oltreché a un bisogno della mente, ad un alto disegno politico. Preoccupato della rigenerazione intellettuale e morale del suo popolo Federico il Grande comprese come l'avvenire di esso dipendeva dal grado nel quale avrebbe partecipato alle nuove correnti di pensiero. Ma astraendo dalle tendenze e dalle vedute politiche personali di Federico II devesi riconoscere che il materia- lismo inglese e francese non trovò accoglienza in Germania, né prevalse contro l'idealismo spiritualista che poneva capo al Leibnitz (I), per quanto non si possa negare che anche la speculazione del Leibnitz e del Wolflf informata all'eudemo- (1) Cfr* Lange, Hietoire du matérialisme, Paris, 1877 (trad, francese), I, Parte quarta, o. IV, i Digitized by VjOOQ IC -^ Digitized by VjOOQ IC ■^ gli studiosi delle scienze giuridiche ed economiche, i quali possono trovare in Italia Tattuazione anticipata di quelle ri- forme legislative e finanziarie che altrove furono provocate dai torbidi rivoluzionari. E bisogna riconoscere che in Italia i principi meno stretti alla tradizione, più a contatto col po- polo seppero attuare quanto dì meglio T illuminismo in sé riu- niva spontaneamente, con perfetta coscienza, senza attendere la pressione degli avvenimenti. Nello studio poi deirillumi- nismo italiano non può trascurarsi un elemento non derivato dal di fuori ma del tutto nostro, la tradizione cioè del pen- siero del Vico, che si rivela, come già accennammo, in tutte le opere uscite dalle menti più elette dell'epoca e che senza dubbio concorse a dare un indirizzo pratico, un fondamento più saldo, una fisionomia particolare all'Illuminismo italiano. Ma l'argomento da noi appena sfiorato dell'Illuminismo ita- liano merita per la sua importanza una trattazione speciale, e qui non si voleva che richiamare l'attenzione sul carattere generale ch'esso presenta e per cui si distingue dall'Illumi- nismo francese e tedesco. 80. — La scuola del diritto naturale non ha solo stretti rapporti coll'Illuminismo ma rientra come elemento integrante nel nuovo indirizzo filosofico che si personifica in Emanuele Kant. Il Kantismo se fu per il suo stesso carattere critico una reazione contro la speculazione filosofica dei secoli XVII e XVIII, rappresenta d'altra parte uno svolgimento di quelle idee che la scuola del diritto naturale aveva in due secoli elaborato. Il carattere di reazione si rivela sopratutto nella parte teoretica della speculazione kantiana. La critica della conoscenza e della ragione umana nella ricerca del vero, che il Kant considerava come il problema fondamentale della fi- losofia, era implicitamente la critica e la condanna di tutti i sistemi usciti dalle diverse scuole filosofiche, nessuno dei quali aveva rispettato quei limiti oltre i quali la ragione umana non può conoscere il vero. Per questa parte il Kant si contrappone al passato e apre vie nuove alla speculazione Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC — 222 — Stato nei suoi rapporti coirindividuo e a stabilire quella d'interiorità che deve considerarsi interamente sottratta alsiasi coazione esteriore e da cui si originano i cosi diritti soggettivi dell'uomo e del cittadino. concezione stessa di un diritto naturale non è abban- ta dal Kant, ma è solo presentata sotto un diverso aspetto, non cerca il fondamento del diritto naturale nella espe- rà e nell'osservazione empirica dell'uomo come l'Hobbes >pure nell'autorità e nell'universale consenso come Grozio, iella ragione stessa, e riduce tutta la scienza del diritto cognizione sistematica del diritto naturale. Da ultimo nò che riguarda il concetto e le funzioni dello Stato, il ; se non si foggiò uno stato di natura, vagheggiò certo stato di ragione, ossia uno stato che i moderni chiame- 3ro piuttosto di diritto, non avente altro scopo all'infuori lello di garantire il diritto ossia di assicurare l'accordo libertà. Che se un siffatto concetto dello Stato non può >ndersi collo Stato sognato dagli Illuministi e dai giusna- listi, che ha per fine la felicità e il perfezionamento dei dini, non vi è dubbio che nei due casi il metodo seguito jostrurlo è identico e lo Stato giuridico di Kant è una uzione altrettanto astratta e arbitraria quanto è più dello Stato paterno di Thomasius e di Wolff. Sotto atto pertanto del metodo seguito, dei risultati ottenuti lobbiamo considerare la dottrina giuridica del Kant un pale svolgimento della dottrina elaborata dagli spiriti linati del secolo XVIII, che in Germania all'epoca in cui I Kant, si confondono coi seguaci della scuola del diritto pale. Digitized by VjOOQ IC Digitized by VjOOQ IC - 224 - Pag. § 4. — Tommaso Hóbhes e Vindirizzo empirico nelle scienze morali 49 93 Sommario: 81. Bacone e sua posisione nella storia del pensiero — 32. Bacone e le scienze morali ~ 33. Etica e scienza ci- vile in Bacone ~ 34. Il metodo di Hobbes — 35. Hobbes e i suoi tempi — 36. Sistema etico -^inridico di Hobbes — 37. Il rapporto tra morale e diritto in Hobbe<t — 38.. L'opposizione a Hobbes : Cnmberland — 39. Locke e i snoi tempi ~ 40. Mo- rale e diritto in Locke — 41. Da Locke a Home -^ 42. Hnme ei snoi tempi — 43. Filosofia di Hnme — 44. Rapporto tra morale e diritto in Hnme — 45. A. Smith e sna importanza — 46. Sistema etico-ginridioo di Smith — 47. Conclnsione. § 5. — L'indirizzo cartesiano nelle scienze morali . . 94-136 Sommario : 48. Cartesio e l'epoca sna — 49. Cartesio e le scienze morali — 50. Malebranche e l'indirizzo spiritualista-cartesiano nelle scienze morali — 51. L'Olanda <o il sistema etico-giu- ridico di Spinoza — 52. Le condizioni politiche e religiose della Germania nel secolo XVII •— 53. La dottrina etico-giu- ridica di Leibniz — 54. L'opera metodica del Wolff — 55. Pa- rallelo tra riudirizzo filosofico e giuridico nelle scienze morali. § 6. — Vico e le scienze etico-giuridiche in Italia . 137-213 Sommario: 56. Condizioni generali d'Italia nel secolo XVII — 57. Galileo e la filosofia naturale — 58. Gli stndl giuridici e il rinnovamento della filosofìa in Italia — 59. Vicende degli studi giuridici iu Italia — 60. Gli stndl giuridici in Napoli nella prima metà del secolo XVII: giureconsulti pratici — 61. n progresso degli studi giuridici in Napoli nella seconda metà del secolo XVIII : g^iureconsulti eruditi : d'Andrea e Gravina — 62. La Vita Civile di P. M. Dorìa — 63. Risveglio filosofico in Napoli nella seconda metà del secolo XVII — 64. Posizione di Vico in ordine agli indirizzi filosofici del suo tempo — 65. Vico contro Cartesio e la questione del metodo nelle scienze morali — 66. Il criterio della verità nel Vico — 67. n Vico e gli studi giuridici — 68. La filosofia del diritto nel Vico — 69. Il rapporto tra morale e diritto — ^ 70. Il diritto nella sua formazione storica — 71. Diritto e scienza sociale — 72. Le sorti di Vico e i critici cattolki — 73. Se- guaci di Vico: Stellini e Dnni — 74. Conclusione. § 7. — La Scuola, del diritto naturale ^ne' suoi rapporti coli' Illuminismo e col Kantismi . . . . ' 214-222 Sommario: 75. Origine, sviluppo e caratteri dell'Illuminismo — 76. La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti coll'Ulu- minismo — 77. L' Illuminismo in Francia e suoi caratteri — 78. L' Illuminismo in Germania e l'opera dei giuristi — 79. L'Illuminismo in Italia e suo carattere generale — 80. La scuola del diritto naturale nei suoi rapporti colla dottrina giuridica di E. Kant. -! DigitLzed by Google Digitized by VjOOQ IC
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