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Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sgalambro
Grice e Siciliani: la critica della filosofia
zoologica e la psico-genia di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo italiano. Studia a Otranto,
Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a
causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo
inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce
molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità
importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e
BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le
discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di
Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.”
Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della
stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso
di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli
accademico a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la
Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione
per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente,
dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava
con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro
di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di
scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua
azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere
morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia
e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio
dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in
primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e
attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in
Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da
Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di
recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è
dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il
"Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A
lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana, si accosta a VICO, tentando di inaugurare una
filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra
opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni
filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia
mediana e dunque, quello di salvare ciò
che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le
esagerazioni. Con il saggio “Zoologia
filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e
pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo
approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano
alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo,
darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e
la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S.
la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste
esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla
quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente
laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza
nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la
statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità
organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);”
“Medicina filosofica” (Firenze); “I
principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E
VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un
augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo
(Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in GALILEI
(Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo
(Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione
(Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza
dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna);
Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della
filosofia (Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia
scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica
delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e
pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia”
(Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia
(Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico
(Bologna). CALOGERO, Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi
Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia
contemporanea in Italia. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce);
Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina, Carteggio familiar, Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce, P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura,
Convegno Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL
RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA POSITIVA IN ITALIA PBOrESBOBB DI FILOSOFIA NELLA R. UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA,QlX
PB0FES80BE NEL B. LICEO DI FIBENZE,
FIRENZE, G. BARBÈRA, PRINTBD
IN ITALY-;atana Quest'opera
è stata depositata al Ministero
d'Agricoltura, Industria e Commercio per
godere i diritti accordati dalla logge sulla proprietà
letteraria. G. BarbI'.ra. !', (rcnuitifi TERENZIO
MAMIANI DELLA ROVERE. Mio SiQsoR Conte. Ella
fu primo tra i moderni italiani a
tentare un rinnovamento della filosofia ^ e
a Lei pure spetta il vanto d' aver
continuMa e compiuta la
nobile tradizione de' OaUuppi^ de Bosmini e
de' Oióbertij della quale per fermo
rimarranno durevoli tracce nella storia dd
pensiero nazionale. A chi dunque meglio che
dUa, S. V. potrei intitolare questo mio
saggio j il quale mira al fine medesimo
cui Ella indirizzava il suo primo lavoro?
Che se talora^ per quella libertà di
giudizio alla quale Ella stessa educò le
nostre menti con le sue dotte scritture^
troverà contbaittUi in queste pagine akuni
jprincijpii da Lei propugnati ^ non vorfà
perciò reputare scemato qud senso di
schietta riverenza chcy come ai pochi
sommi onde si onora U paese nostro,
le professano tutt^ i cid tori degli
studi severi. Anzi novella prova di questa
larga tolleranza io m* èbbi testé,
quando, con la squisita gentilezza che in
Lei è natura, Le piacque accettare V
offerta di questa mia fatica. La quale
io spero vorrà giudicare benignamente: al
che mi conforta pure il ricordo di
certe argute parole ch^ Ella dicevami ima
volta chiudendo un lungo conversare circa le
gravi divergenze delle diverse scuole
filosofiche: «porro unum necessarium ! coscienza
e fervore nel lavoro: il resto verrà
da sé. » Suo deditissimo P. Siciliani. BiTiglìano
presso Monte Senario In questo salutare
innovamento politico d'Italia cui assistiamo
trepidanti, un libro di rinnovamento filosofico
dovrebbe giugnere opportuno e gradito. Perocché
se tutti oggi andiamo ripetendo l'arguta
frase d’AZEGLIO — fatta ormai V Italia, Insogna
far gV Italiani^— parmi sia d'uopo cercare
di rifarci innanzi tutto nell'intimo di
nostra coscienza, nella radice, nella sorgente
stessa d' ogni umano e civil progresso, eh'
è dire il pensiero filosofico. Andare
a Roma, grazie agli eventi fortunati e
al nostro buon diritto nazionale, non è
stato guari difficile, né sarà difficile,
speriamo, potervi restare. Ma vi staremo
senza dubbio materialmente, se Roma, la
vecchia Roma, il pensiero cattolico non si
verrà anch'esso riformando e svecchiando. La
qual cosa certo conseguiremo per gradi e
con le arti che dovrebbe saperci dare
la sapienza politica, civile e amministrativa
; ma gioverà non dimenticar mai come l'
espediente più d' ogn' altro efficace e
sicuro ad opera siffatta, sia per
appunto una rinnovata filosofia n bisogno di
restaurar la filosofia surse di buon'ora
neir animo degV Italiani ; il* che
parrebb' essere un d^' caratteri speciali della
storia della nostra speculazione, sino da
quando gli scrittori del Rinascimento, scosso
il giogo della scolastica, mandavan fuori
i lor libri col titolo De PhilosophÙB
renovatione. Né quindi è a meravigliare se
cotal necessità sia venuta crescendo sempre
più nelP animo e nella mente nostra
col succedersi degli anni, tanto che a
siffatta impresa nobilissima abbiam visto
provarsi gV ingegni più illuminati e
fecondi: primo fra tutti, in questo
secolo, il Mamiani col Binnovamento della
Filosofia antica Ualiana^ e, poco appresso,
il Rosmini col Binnovamento della Filosofia
in Italia; indi il Gioberti con la
Introduzione aUo studio dèlia Filosofia, con
la quale mirava anch' egli ad una
restaurazione filosofica nel nostro paese;
e, per ultimo, il professore Spaventa ha
procacciato volgere anch' egli al medesimo
intento le sue dotte scritture, in ispecie
quella su la Filosofia dd Gioberti. Se
non che rinnovare, pel filosofo di
Pesaro, altro non voleva dire se non
restaurare certi principi! e richiamare in
vigore alcune industrie metodiche de' filosofi
appartenenti, la massima parte, all'età gloriosa
del nostro Risorgimento. Talché, quando il
Rosmini gli fece toccar con mano i pericoli
ne' quali s' era messo mostrandogli come il
Binnovamento proposto da lui conducesse diritto
ad una maniera di sensismo, e' venne
modificando siffattamente le dottrine propugnate
nel suo primo libro, che dopo trenta
e più anni s' é studiato nelle Confessioni
d'un Metafisico d'inaugurare un novello Platonismo,
siccome forma di filosofare acconcia air
indole della mente italiana. H Roveretano
poi non solo mirò a restaurar cose
vecchie, ma volle produrre altresì qualcosa
di nuovo. E pur nullameno, chi guardi
ben addentro ne' copiosi e disameni volumi
che seppe darci quella mente potentissima,
tranne il • problema psicologico eh' ei
giunse ad illustrare in guisa davvero
originale, ogn' altra cosa in lui parrebbe
invecchiata e quasi stantia. Della stessa
menda riesce offesa la Introduzione del
Gioberti. Che V ardente e generoso autore
del Primo^ intendeva svecchiare (come diceva,
gloriandosene, egli stesso) le idee
cardinali di quattro o cinque filosofi
cristiani, il cui sussidio e autorità
invocava quasi ad ogni voltar di
pagina. Non parlo qui del rinnovamento eh'
e' veniva meditando nella Protologia: nella
quale senza dubbio avremmo avuto germi
fecondissimi di vera e solida ristorazione
filosofica, se a queir ingegno privilegiato
e supremamente italiano fosse stato pur
conceduto imprimere valore diffinitivo, forma
netta e coerente, alle diverse dottrine che
con ansia febbrile andava saggiando e
trasmutandosele in sangue. Per contrario SPAVENTA,
del quale abbiamo in grandissimo pregio
l'ingegno e l'amicizia, intese dare anch' egli
nuovo indirizzo al pensiero italiano, ma
battendo ben altra via; la via del-
l'Idealismo assoluto. E studiossi d'inserirci
nell'animo e nella mente i principii dell'
Hegelianismo, per due ragioni: sì perchè
egli pensa esser questo il vero e
compiuto sistema di speculazione, almeno secondo
che viene interpretato da lui ; e sì
perchè gli è parso d'averne rintracciato i
germi in certi nostri filosofi a cominciare
dal Telesio, per esempio, fino al Gioberti.
Fer noi rinnovare non vuol dir
solamente richiamare, instaurare, svegliar dalP
antico, né solamente importare dal di
fiiora; che sì nelF un caso come
nelr altro il rinnovamento, anziché
naturale, spontaneo, autonomo, storico, riescirebbe
artifiziale, imposto, incosciente e, dirò quasi,
meccanico. Vuol dire bensì far da noi:
far da noi con elementi che ci
appartengano, ma tali che serbino (ciò che
più monta) ^virtù d' originalità e di
verace modernità. Vuol dire » insomma
esplicare; né si può esplicare senza
correggere, compiere, inverare. Avremo sbagliato
strada anche noi? Potrebb' essere! Non saremmo
i primi, e, certo, neanche gli ultimi.
In qualunque modo . ci sembra che,
pure sbagliando, noi non resteremo troppo
indietro fra le mummie, né avremo corso
tropp' oltre col pericolo di fiac- \
card '1 collo. So ben io che i
Positivisti fan presto ; ad innovar la
filosofia radiandola addirittura da' libri ^
e dandole il ben servito dalle nostre
scuole grandi e mezzane, quasi fosse un trattato
di teologia dommatica. Ma costoro avrebber
fatto i conti senza Toste. £ r oste
in tal caso é lo stesso pensiero,
anzi la mente stessa, dalla quale per
nostra fortuna mai non riesciranno a
sradicare il profondo e sempre più acuto
bisogno del filosofare : senza dir
già che, s' ei riescissero ne' loro
intenti, scambio di sciogliere V intricato
nodo, altro non avrebber fatto che
tagliarlo di netto ; e che potessero
giugnere a tagliarlo con sicurezza ninno il
crederà, pensando come la spada eh'
e' ci brandiscon sul viso non par che
somigli quella del gran discepolo d'Aristotele!
Accennato il carattere generale ed il
proposito del mio saggio, toccherò della
sua forma e del suo disegno. Mi si
potrà chiedere : È egli cotesto vostro
saggio un lavoro di genere critico,
storico, monografico, ovvero dommatico? A parlar
proprio non è nulla di tutto questo.
Un lavoro d' indole dommatica, per solito,
dee racchiuder l'esigenza d'un sistema nuovo,
d'una dottrina ori- ginale, se pur non
voglia esser vana ripetizione ed increscevole
imitazione del passato. Ora un novello)
sistema filosofico oggi sarebbe impresa da
muovere a riso, od a pietà. Sono
ormai ventidue secoli, e noi, tardi nepoti,
ci andiamo pur sempre aggirando, ivi
sostanza, fra il Platonismo, e l'
Aristotelismo. La qual cosa non recherà
maraviglia a chi consideri bene la storia
del pensiero filosofico, nella quale, volta
e gira, non si può esser che con l'
uno o con l' altro sistema, ovvero fra l'
uno e l' altro, e però con tutt'
e due, se pur non vogliamo smarrirci
inevitabilmente e miseramente in una forma
di scetticismo, o di nullismo. Ai di
nostri, dunque, un nuovo sistema filosofico
p^rmi utopia, sogno e, stavo per dire,
ciarlatanismo. L' ingegno filosofico oggi deve
assumer valore di funzione critica rintegrativa,
nella quale si faccia luogo alla concorde
attività di due forze, la storia e
'1 pensiero, che vuol dire il fatto e
'1 da fare. La monografia poi, o è
d'indole semplicemente storica e obbiettiva,
ovvero d' indole critica. Se storica obbiettiva,
ella avrebbe a essere, dirò così, un
fedel ritratto, una perfetta immagine della
mente d'un filosofo, 0 di tutta una
scuola di filosofi. Or cotesto immagini e
ritratti, se da una parte tornano inutili
e infruttuosi stantechè non facciano che
ripeter sot- t' altra forma cose che
potremmo leggere nella stessa lor fonte,
dalP altra mi paion quasi impossibili,
perchè è impossibile penetrar davvero nelle
intime viscere del pensiero altrui, e farai
dentro alle occulte pieghe della mente d'
un filosofo. H notissimo detto di Kant
si può e devesi applicare anche qui:
quidqtUd recipUur, ad modum recipietUis
recipitur. Che se poi la monografia è
di genere critico, ella riesce assai
pericolosa; perchè trattandosi d'interpretare, è
pur facilissimo affibbiare agli altri quel
che invece frulla nel capo nostro ;
nel qual vizio intoppano, com' è ^
noto, gli Hegeliani, sì per la natura
stessa del loro metodo, e sì per
le secreto esigenze del loro sistema. Da
ultimo, un lavoro di genere puramente
istorico oggi non dovrebb' essere impresa
molto ardua fra tanti libri storici
che ci piovon da tutte le
parti. Basterà sposare un sistema, una
dottrina da farla servire qual criterio
giudicativo; basterà un po' d' acume critico,
un po' di tedesco per le citazioni
obbligate a pie di pagina, e poi
molta e molta dose di pazienza e
di sgobbo per raccogliere e adunar
notizie e teoriche da farle servire al
criterio giudicativo che ci torna
comodo. Per me l'ideale d'un buon
libro, l'ideale d'un libro serio,
coscenzioso e positivo di genere
filosofico, oggi dovrebb' essere, diciamo
così, una sintesi di tutt' e quattro
cotesti aspetti o condizioni le quali,
guardate disgiuntamente e solitariamente, si
palesan manchevoli tutte e difettose. Ha
da essere perciò, nel medesimo tempo,
monografico, isterico, critico, e anche
dommatico sino a certo
segno. Cotesto ideale (negozio non molto
agevole, come sanno coloro che se ne
intendono e che possiedono quel che dicesi
gusto de^ lavori filosofici), non può
essere un ricamo sovra una
stoffa altrui, e neanche un parto
assoluto del nostro cervello ; sibbene
ha da essere il risultamento di due
forze com- binate, come dicevo poco fa
; ciò è dire della mente di chi
scrive, e di chi per avventura possa
più spiccatamente rappresentare il corso
tradizionale della scienza. A questo sol
patto sarà dato pervenire al connubio
fra la teorica e '1 fatto, tra
la scienza e la storia della scienza,
portandole entrambe ad un fiato^ come
direbbe il filosofo nel quale io amo
attingere ispirazioni. Laonde chi volesse
oggi filosofare con co- scienza , dovrebbe
saper costruire, come dicon gli Hegeliani
(e qui dicon benissimo) ; ma dovrebbe
co- ^ struire senza tradire, che è per
V appunto il gran guaio della critica
hegeliana. Questa grave difficoltà parmi d'
averla superata, s' io molto non m' illudo,
E mi pare d' averla supe- rata, perchè
il mio libro è come la sintesi
e vorre' dir la fusione razionale e
organica de' quattro aspetti quassù
rammentati ; e tal sarebbe la novità
Cquant' al disegno e alla forma del
lavoro) alla quale vorrei pretendere, se
avessi coscienza d' aver raggiunto lo scopo.
Cotesto scopo, lo veggo da me, io
non ho potuto raggiugnerlo, perchè ho
dovuto costringere e rannicchiare il mio
pensiero entro un dato numero di
pagine, affogando in nota molte e
molte cose alle quali avre' voluto pur
dare ben altro svolgimento e fisonomia.
Però chiedo un po' di compatimento
quant'al modo col quale ho incarnato
il disegno, ma domando severità di
giudizio quant' alle idee. Le quali,
medi- tate da me per tempo non breve,
sento di poter difendere contro chi
vorrà farmi V onore d' una cri- tica
non leggiera, non velenosa, non da
scuola, né da sacristia (alla quale non
saprei rispondere, né risponderò), ma d'una
critica seria, onesta, profittevole. Il Gioberti
scrisse che il critico onesto e
co- I scienzioso deve durar la metà
della fatica spesa dal- l' autore nel
meditare e scrivere un' opera di
scienza. |Leibnitz andava molto più in
là, e richiedeva da'lettori quasi '1
medesimo lavoro sostenuto dallo scrittore.
Io non pretendo, né davvero posso
pretender l' una cosa, né r altra :
ma certo potrò desiderare che, chi
voglia giudicarmi con qualche serietà, debba
leggere e (se oggi non fosse troppo)
meditare un po' le cose ch'io dico. 11
che ho voluto qui avvertire, perché,
se può dubitarsi che in politica
esistano le cosi dette con- sorterie, certo
é che tra' filosofi cominciano a
far capolino certe fratellanze le quali
giudicano d' un la- voro a priori, guardando
solo al titolo e al nome
del- l'autore. Dio ci liberi dalle
fratellanze filosofiche! Esse per me, a
dirla schietta, sono altrettante Com- pagnie
di Gesù negli ordini del pensiero e
della libera speculazione metafisica. Questo mio
libro, e l' altro che terrà dietro su'
principi della Sociologia^ non é l'
espressione di nessun partito, di nessuna
setta, di nessuna scuola. Non é frutto
di speculazioni e ricerche passionate,
per- che io non mi sento schiavo
di nessuna scuola, servo di nessun
nome, né milito sotto nessuna
bandiera più 0 meno germanica, italica
o francese che sia. \Baiùmem, quo ea
me cumgue ducete sequar: ecco tutto.
Neanche sarebbe una di quelle novità
sba- lorditole alle quali siamo avvezzi da
dieci anni a questa parte. Esso anzi
è la più modesta cosa del mondo: che
per quanto il titolo paia ardito, non
sarà tale per chi ripensi, come la
sostanza delle dottrine eh' io propugno
non mi appartenga in modo
assoluto. S'altri mi darà dell' ecclettico,
risponderò d'esser tale precisamente, ma nel
profondo significato che costumava dare il
Leibnitz a questa usata e abusata
pa- rola. E se qualcuno poi trovasse,
che questa o cotesta dottrina alla
quale verrò accennando non sia
propria- mente dell' autore eh' io dico d'
ormeggiare nel metodo e Dell'indirizzo
filosofico, tanto meglio per me.
Ri- sponderò come in un caso simile
rispose egli medesimo a certi suoi
avversari : « Che se finalmente non
volete » ricevere questa sentenza come
di Zcìione^ mi dispiace » di darlavi
come mia; ma pur la vi darò
sola, e B non assistita da nomi
grandi. » € Le cose fuori del
loro stato naturale non dnrano né s'
adagiano. » — Vico. Non intendo
scrivere la storia, e tanto meno far
la crìtica minuta del Positivismo; indirizzo
che, come ognun sa, non senza buon§
e diverse ragioni invade oggi e
per- vadeTa mente di molti filosofi,
di scienziati, di storici e scrittori
d'ogni maniera. Altra volta m'avvenne
d'accen- nare alla parte debole di cotesto,
diciamolo pure, sistema filosofico. E allora
parvemi, fra 1' altro, di provar
que- sto: che il Positivismo, secondo il
concetto che se ne sono formati
segnatamente i Francesi, non pur
mancava di storia, ma non può averne
avuta di nessuna sorta.* Oggi poi
dovrò intrattenermi a ragionare su le
dir. verse forme che il Positivismo ha
preso e può prendere in avvenire,
giacché ormai comincia ad avere
anch'egli una storia, per brevissima che
sia, da raccontare; e [quindi rilevare
certa parentela ch'egli ha con
l'Hege- 'lianismo. Nel quale riscontro
probabilmente meriterò anch' io, dall' alto
giudicatorio su cui siedon gli Hege- liani,
la solita commiserevole sentenza che, com'è
pur * Vedi Critica del Positivismo,
Bologna, Tip. Monti, 1868. 5ICILUM.
1 troppo noto, suona così: Pover'uomo,
non ne capisce niente di niente; non
Im dramma di potenza speculativa, ^ ne
briciolo di nerbo dialettico! Mostrerò, da
ultimo, se . una vera forma di
Positivismo, ch'io chiamerò Filo- i sofia
Positiva italiana, sia per avventura
i)ossibile; e] in qual maniera si
possa, mercè sua, pervenire a cor- regger
r uno e compiere V altro de'
due sistemi suddetti, accogliendo quelle
parti veramente pregevoli che in essi
certamente non mancano. Comecché il
Positivismo non sia ne voglia essere
un sistema, pure quant' all' origine psicologica,
per così dirla, non mi sembra eh' e'
s'abbia a distinguere gran fatto dagli altri
sistemi filosofici. La ragione immediata
del suo apparire parmi risegga nell'
esigenza di contrapporsi ad una forma
contraria di filosofare creduta affatto
erronea ; e questo filosofare in tal
caso è il dommatismo metafi- sico. (IJom'
è chiaro, cotesta in sostanza è
l'origine stessa dello scetticismo, secondo che
c'insegna tutta una storia di ventidue
secoli, ne' quali affermazioni risolute
souosi contrapposte a risolute e persistenti
negazioni. Il Posi-j tivista, infatti,
reputa inconcludente ogni
speculazione! trascendentale. Positivismo quindi
vuol dire esigenza! della prova, esigenza,
bisogno della dimostrazione; maC della prova
di fatto, della dimostrazione
sperimentale. Se non che, a guardarci
bene, lo stesso Positivismo ma- nifesta già
senz'addarsene un bisogno filosofico, una
ten- denza speculativa, un'attività trascendente
là dove, per dirne una, procaccia di
raggiungere la così detta comples- sità
crescente nel coordinamento de' fatti, e
nel volere imprimere forma gerarchica
all'insieme delle particolari discipline. Col
che non intendo dire che il
Positivismo sìa già una metafisica ;
ma è per lo meno una
metafisica incosciente, come un illustre
scrittore francese, non senza cert' aria
di meritato rimprovero, ha detto al
Littré. Per la qual cosa paimi, che
il Positivista contraddica*^ apertamente a
sé stesso quando vien su gonfio e
petto- ruto a dichiarar guerra sino all'
ultimo sangue contro a ogni maniera
d'indagini metafisiche; tanto che la tendenza
de' Positivisti a filosofare, tendenza del
resto naturalissima e necessaria, diventerebbe
atto, facoltà, vo'dire diventerebbe metafisica
vera, quando potesse avverarsi una
condizione. Mi spiego subito. Io non
credo offendere anima viva osservando che
fra' Positivisti irancesi sia un bel
po' difficile trovare un solo che
ab- bia studiato con amore, per esempio,
la Ragion Fura di Kant, segnatamente
la Critica dd giudizio: difficilissimo poi
ritrovare uno solo, fra'Positivisti italiani
militanti ^ sotto le bandiere del
Gomte o meglio del Littré, che
con pari amore e spassionatezza d' animo
abbia letto, per esempio, il Nuovo
Saggio del Rosmini. Prescindendo dalle mende
svariate di che non va esente il
Criticismo e nemmanco il metodo psicologico
rosminiano, io non so persuadermi come,
dopo aver letto e inteso a dovere
lei due scritture mentovate, si possa
essere o dirsi Positivi vista, secondo
il concetto volgare che di questa
parola ci ha dato e ci dà oggi
chi piti ne parla. Se non che
nessuno immagini eh' io qui intenda
far \ un fascio del Positivismo
Francese, del Positivismo In- \ glese
e, se vogliamo, anche del Positivismo
Germanico; 1 benché quest'ultimo, assumendo
sempre più forma di schietto e nuovo
e ardito materialismo, mostri esser
già un sistema beli' e buono, checché
se ne sia detto o vo- glia dirsene in
contrario. Ma di questo, fra poco.
Quan- t' all' altre due forme di
Positivismo, ninno sarà che ' ignori
le polemiche tanto gravi, pacate,
esemplarmente ' serene fra Stuart Mill
e Littré avvenute or fa un anno.
\ E molti conosceranno le obbiezioni
che quel robusto ingegno di Herbert
Spencer ha saputo muover contro certe dottrine
del Comte. Chi abbia vaghezza poi
di sapere qual sia il carattere e
il resultato di queste due maniere di
Positivismo, potrà innanzi tutto guardare
alla forma, al fine, persino al titolo
delle opere nelle quali tale dottrina
è insegnata e propugnata. Così,
mentre Stuart Min ha fatto una logica,
o, a dir meglio, un ft Sistema
di Logica, che potrebbe riguardarsi
addirittura \ come un contr' altare al
sistema della logica hegeliana; ; il
Comte, almeno nei primi volumi delle
sue opere, ci ha lasciato (chiedo
perdono a tutti gV iddii della
Senna) una specie di rassegna, ma di
rassegna ragionata, giu- diziosa e, dicasi
pure, ingegnosa, delle particolari
disci- pliiie, massime di quelle che a
lui tormivan più familiari. Ho detto
nei primi volumi, perchè nelle opere
poste- riori, com' è noto, desiderando
compier V edifizio, egli ammannì un
sistema di politica, un sistema di
religione e d' educazione, un sistema di
morale positiva, e financo d'igiene: morale
senza principio, se pur non
vogliamo appellare così certa regola di
condotta eh' egli espresse con quella
brutta parola d' Altruismo : religione
senza Dio, se pur non vogliamo piegare
il ginocchio e dar in- censo a quella
divinità chiamata il Grand*Essere;
intomo alla quale, com'è noto, il
fondatore del Positivismo fran- cese finì
per fantasticare alla maniera de'
neoplatonici Alessandrini e del Ficino.
Checche ne sia, può dirsi ch'egli
predicasse bene quant'a metodo, ma
razzolasse male quant'a sistema, perchè affermava,
anzi esagerava nella pratica ciò che sdegnava
e risolutamente negava nella teoria e
nell'ordine speculativo; intendo il con- cetto
dell' unità o Sistematismo nd sapere,
secondo il suo linguaggio. Da questo
primo riscontro, che diremo esteriore perchè
riflette la forma generale delle opere
e un po' anche il valore del
metodo ne' due filosofi, si può ai^omentare
che il Mill guardi la scienza sotto
l'aspetto ^ subbiettivo, cioè come una
serie di concetti, mostrando così d'aver
piena fiducia in una logipit che sia
atta a risolvere un problema distinto
sì cJaT problemi e sì dal soggetto
in che versano le speciali
discipline/ Esiste infatti, egli dice, una
conoscerla scientifica déWuomo in quanfè un
essere intéUettude, morale e sodale, e
quindi una dottrina delie cognidom détta
coscienza umana.* Agli occhi del Comte,
per contrario, non esiste logica tranne
che intrinsecata con la natura stessa
di ciascuna scienza. Se volete conoscere,
per esempio, la logica della chimica
(egli dice), studiate la chimica. Ecco
la scienza sotto r aspetto puramente
ed empiricamente obbietti- vo; in quanto che
considera le cose in sé, e
solamente come oggetti. Tal difiFerenza,
com' è evidente, non è lieve, massime
quando tengasi conto de' risultati. Il
ri- sultato cui giugno il Positivismo
inglese è questo : la} metafisica
esser possibile, ma solo come ricerca
logica,! come investigazione e analisi
di concetti. Il che, s' è| pregio
nella logica del Mill per la fede
eh' e' ripone nelle forze del
pensiero, è auche il suo difetto
massimo, stante che siffattamente ei
chiudesi tutto nel formalismo ** logico,
secondo che altrove mostrai.' So che
il Mill se ne vuol difendere, facendo
vedere qual divario corra fra la
logica formale e quella eh' e'
dice logica della verità. Ma la pecca
di nominalista in lui è chiara. Ed
è chiara per chi abbia
convenevolmente considerato quelle quattro
teoriche, nelle quali il filosofo inglese
vuol darsi addirittura per innovatore:
intendo ' le dottrine della dimostrazione,
della definizione, degli assiomi e della
induzione. In tutto questo egli è
per- * Vedi Stuart Mill, A. Comte
et U Pontivitme, Paris, trad. pag.
60. " Op. cit. pag. 57. •
Vedi la Ont, del Po9ÌHv. innanzi
citata, VI, pag. 19. fetto Baconiano,
checché ne dica egli stesso. Perocché, se
la inente ne'suoi concetti, secondo questo
filosofo, è superiore ai fatti; non
però cessa d'essere un artifizio, logico, un
artifizio psicologico, un intreccio a cui
nulla ; d' obbiettivo potrà mai rispondere.
E di qua proviene i poi un'
altra conseguenza, eh' è questa. Se
nella logica la posizione del Mill
riesce evidentemente unilaterale e subbiettiva,
è pur d' uopo eh' ella si manifesti
impotente anche nella scienza storica, eh'
è dire nell'organamento ^ razionale
de'fatti storici. Ora se il
metodo positivo giunge a legittimar 1'
analisi de' concetti e la
critica delle idee, non bisognerà dire
che, come esigenza cri- tica, ei contraddica
a sé medesimo quando dichiara di non potere
in alcun modo studiare idee e
concetti nel- l'obbiettivo lor significato? E
donde questa impotenza? Dalla natura stessa
della mente, si può rispondere.
Ma, s'egli è così, la possibilità della
scienza si traduce in impossibilità vera.
Che poi questo non sia e non
possa essere, ne porge guarentigia sicura
il processo istorioo delle scienze tutte,
e l' incessante progresso ond' elle
ci dan prove luminose. La ricerca in
senso obbiettivo, adun-? que, è possibile;
dove che per il Mill è addirittura
im-* possibile. Questa è la parte
debole del Positivismo inglese. ; L' errore
opposto è il Jifetto del Positivismo
fran- cese. Se per il Mill psicologia
e logica sono scienze che s' alimentano
di sé medesime; per il positivista
francese, al contrario, elle non sono
che appendici della biologia, al modo
stesso che la sociologia é come un
allargamento della storia, ciò é dire
una generalizzazione del fatto istorico,
ma del fatto verificato mercè la
deduzione delle leggi della natura umana.
Qui, ripetiamo, la differenza è profonda.
La scienza della civil società,
secondo il' Positivismo inglese, pone radice
nella così detta Etolo- gia, li' Etologia è
la vera scienza dell'uomo, egli dice.
. Essa è una generalizzazione non già
verificata, ma sì primiti/vamente suggerita
dalla deduzione détte leggi della natura
umana.^ Ora la funzione deduttiva, nel Positivismo
inglese, non è operazione immediata, non
è operazione secondaria alla induzione, com'
è nel Positi- vismo francese, ma è funzione
a priori, è funzione i cui risultati
vonn' esser giustificati con T
osservazione, e con la scrupolosa ricerca
delle leggi empiriche. Brevemente, dunque:
pregio singolare del Positivismo inglase è
il metodo deduttivo-concreto (per usar la
frase del Mill) applicato alle scienze
morali in generale. Que- sto metodo è costituito
di due processi che si svolgono, per
così dire, di fronte ; non già
di due parti d' un me- desimo processo,
V una delle quali sia conseguente
al- l' altra, com' è per i Francesi
positivisti. Per tal prero- gativa massimamente
parmi che il Positivismo del
Mill mostri accostarsi all' indole della
filosofia nostrana, e molto allontanarsi dal
Baconianismo alla maniera che questo metodo
s'intende da'più.* Carattere e pregio poi
del Positivismo francese, parmi stia nel
credere alla j)ossibilità d'una filosofia
come risultato di tutto quanto il
sapere umano, e quindi nel porre come
inevitabile o sua condizione la necessità
della storia. L'indagine storica, il metodo
di filiazione: ecco il distintivo
del Comtismo, eh' è anco il massimo
suo pregio.' Contro il Comtismo è
facile muovere la medesima difficoltà,
quantunque in senso contrario , mossa
te- sté contro il Mill. Se infatti è possibile
una ricerca e una critica storica;
perchè non sarà possibile una ri- cerca
logica, una critica dei concetti, come
tali? Per- chè dunque negare una logica
e una psicologia supe- f * Vedi
Stuart Mill, Sy^time de Logique, Voi.
H, pagr. 491. « Vedi Op. cit.
Voi. cit., pag. 461. • Vedi CoMTB,
Pha. Pontive. Voi. V, Lez.
48". . riore alla storia? Se non
che delle due maniere di Positivismo,
quella de' Francesi va piii facilmente
sog- getta a contradizione; la qual
cosa tiene alla doppia origine storica
per cui si distingue cotesto sistema.
Pa- recchi scrittori francesi infatti
hanno avvertito, che ove il Comte
parla di natura e di scienze
fisiche, è decisamente sensista, materialista
e nominalista ; men- tre che ove parla
di filosofia politica e storica si
mo- stra panteista, ma senza dar prova
di quella specula- zione ingegnosa, di
quella mirabile unità razionale, cui sanno
poggiare, bene o male che sia, i
Panteisti moder- ni.' Donde tal
contraddizione? Dall'essere il Comte, } per
una parte, figlio del Sensismo francese
; dall' altra ì poi figlio del Sansimonismo,
che, com' è noto, è forma
j grossolana di panteismo. Per questa
doppia tendenza | i Positivisti di
Francia non possono salvarsi dal cadere
j nelle conseguenze d' uno de' due
sistemi : materialismo, 0 panteismo. So eh'
e' fan presto a difendersi dall'una taccia
come dall' altra. Ma la logica vale
qualcosa più delle parole e delle
calde proteste. E veramente chec- ché se ne
possa dire, uno degli scrittori poco
fa citati ha fatto toccar con mano
al Littré, che inevitabile re- sultato del
Positivismo è il materialismo.* E
d'altra parte sappiamo, come tutti i
Positivisti oggi, e propria- ' mente i
Gomtisti, faccian causa comune con que'
della \ sinistra hegeliana, co' quali
hanno intimo legame, se-l condo che
mostreremo. ' Ho detto come per ragion
d'origine al Positivismo francese tomi più
facile inciampar nelle contraddi- zioni. Ne
poi^o qualche esempio. Non si vuol
sapere nulla di cause finali! Ma non
è forse il medesimo Lit- * Vedi
Rbkocttibb, Annuairephìl 1867 Q nell^altro
del 1868. — Vaohb- BOT, Metaphi9iq\w
potive. Tom. Ili; Trattenim. 14. —Jakbt,
Onte phiL * Vedi Janbt, Op. cit.
pa^. 116 e seg. tré quegli che,
mentre grida contro il principio
della finalità, lo afferma là ove
dice, per esempio, l'essenza stessa della
materia oi^anizzata esser la causa
prima della finalità? Eccoci in pieno
materialismo, e in pieno sistema; tutto
che i Positivisti non vogliano esser
detti né materialisti, né sistematici.
Ancora, io domando: se per domma del
metodo positivo nulla è da accettare
che non # sia guarentito immediatamente
o mediatamente da' fatti; perchè, al di
là de^ fenomeni e dell' esperienza e
delle leggi che se ne traggono, voler
credere in un obbietto il quale, per
inconoscibile che sia, é sempre un'
afferma- zione della ragione? Domando: è
egli atto di metodo positivo, di
critica, di ricerca, il parlare di
certo grande oceano qui vieni battre
notre rive, et pour lequd nous n'avons
ni barque, ni voiles, mais doni la
dcdre vision est aussi sahUaire que
formUàble? È egli atto di Posh tivismo
e di ricerca che sdegni qualunque
spiraglio di soprassensibile e di soprannaturale,
parlarci così d'un Infinito, comecché non
se ne riconoscano tutti quelli
air tributi che il fanno tale? E
se ponete la possibilità di conoscere
cotesto vostro inconoscibile per il quale
dite di non aver barca né vele
che bastino, ma la cui cMaroi visione
é pur tanto sàkiiare al pensiero; in
che maniera non accorgervi come tutta
la storia della filosofia non altro
sia stata per tutt'i secoli scorsi
fuorché una serie di risposte, per
così dire, a cotesta medesima
domanda che neanche voi dite illegittima,
né strana? Sarann'elle erronee tali
risposte: ne potrò convenire. Ma saran
tutte errori da farne proprio tavola
rasa? Da siffatte considerazioni ci é
dato trarre una con- seguenza. Nel Positivismo
oggi avverasi una legge; quella legge
che accompagna sempre ogni novello
indi- rizzo nella filosofia, eh' é dire l'
opposizione nel seno % stesso del
sistema. Ecco una ragione di più per
dichia- rare, che dunque il Positivismo
è un sistema come tutti , gli
altri ! La cagione profonda, dice il
Littré, che divide / il Comte dal
Mill, è il punto di vista psicologico
e logico nel quale s'è messo il
filosofo inglese, e la definizione reale,
obbiettiva, non già formale né psicologica,
con che si presenta la scienza nel
filosofo francese.^ Ora se il Po- sitivismo
inglese è principalmente un formalismo
logico, , e il Positivismo francese è
essenzialmente un empirismo ! storico; ne
viene di conseguenza che, in virtiì
della stessa critica positiva, noi dobbiamo
riconoscer legit-^ tima una terza forma
di Positivismo, la quale sappia sebi-
< vare i difetti proprii dell'una e
dell'altra maniera esclu- siva di Positivismo,
e insieme serbarne tutti i pregi. Tale
appunto sembra a noi la filosofia
positiva italiana inaugurata dal Vico nel
campo delle scienze morali, e, prima
di lui, fondata già dal nostro
Galilei con ogni splendore di sapere
nel regno delle scienze naturali e
fisiche. Di quest'ultimo non parleremo.
Enon ne parleremo, à perchè non
possiamo entrare in fisica, e sì
perchè ne abbiamo altra volta discorso.*
Bi- sognadunque far capo dal Vico,
giusto perchè nel con- cettodella scienza
che ci è dato trarre dal tutt'
insieme delle sue dotrine, la ricerca
storica e la ricerca psico- logica e logica
includono già la esigenza d'una
conci- liazione, d'una compenetrazione in un
tutto, per così dire, organico e
compatto. Nel Comtismo, come s'è detto,
queste due ricerche scompaiono, e si
riducono ad una sola. Nel Positivismo
inglese elle sono distinte, anzi diciam pure
separate da ogni altra, né si
sa come annodarle insieme.' La ricerca,
dunque, che serbi carattere veramente
scientifico e positivo non * Vedi
«Situare MiU et la PhU, PotUive. Paris,
1867, pag. 11. " Vedi Della
Filoeojia Pontiva di Galileo Oalilei,
Bologna, 1868. ' Vedi Syttòme de
Logiqw, Tom. II, pag. 436. può essere,
né assolutamente storica, né assolutamente
^ logica e subbiettiva. Concetto
e Fenomeno, Vero e ^ Fatto,
(direbbe il Vico) s' hanno a
convertire perché SODO due strumenti indirizzati
ad unico fine, e come tali potranno
generar la scienza. Vera filosofia
positiva, dunque, vero metodo positivo sarà
e dovrà essere, non quello che
esclude, sì quello che include tanto
la ricerca j in senso storico e
sperimentale proprio del Positivismo
\ francese, quanto la ricerca logica,
la critica de' concetti, ( secondo V
esigenza del Positivismo inglese. Ora solo
nel ' filosofo italiano é la
correzione, il compimento e il con- nubio
legittimo de' due contrari indirizzi, come
vedremo. Ho detto che il Positivismo
inglese per alcuni riguardi avrebbe più
immediata relazione con la filosofia del
Vico. Tal relazione sta nel modo col
quale si considera la natura del
metodo in generale. E chiedo permesso d'
in- sistere ancora un momento sopra cotesto
particolare. Stuart Mill pone un domma
metodico che noi accettiamo di gran cuore.
Nella scienza morale, nella scienza
del- l'uomo, egli crede necessario un metodo
costituito d'un doppio processo; in quanto
che la verificatone a poste- riori deve
procedere PARI PASSU con la dedtmone
a priori. * Perciò osserva: « il
fondamento della nostra • confidenza in
una scienza deduttiva concreta non è U
ra- ffionamento a priori stesso, ma V
accordo de suoi resul- tati con quelli
déW osservazione a posteriori.* » Queste
per noi son parole veramente d'oro. È
pensie- ro fecondo pieno di verità che
troviamo applicato e legit- timato nelle
indagini, in tutte le indagini fatte
dal nostro Vico.Dov' é proprio il
difetto del filosofo inglese? Anche lui
come il Comte, benché sott' altro
rispetto, predica bene, ma razzola male.
U grave diietto dell' illustre *
Vedi .S^. éU Log. Voi II, pag.
4C2. * JUd. Pag. 490. Stuart Mill
sta nel non avere un concetto compiuto della
storia. Il suo Positivismo anzi manca
affatto del senso della storicità. Quel
suo a posteriori, o non è pro- cesso,
0 al più è un processo tutto
formale, e tutto sub- biettivo. Come dunque
può salvarsi dal formalismo? Bi- sognerà
quindi confessare, come il Positivista
inglese non possa riescire ad applicare
storicamente la sua verissima e bellissima
sentenza metodica poco fa rammentata. Ma
se por questo rispetto ci allontaniamo
dal Mill, per questo medesimo ci
accostiamo al Comte. Perocché quantunque il
pensiero in questo filosofo non
faccia che raccogliere, adunare, disporre e
indurre; non per- tanto in lui troviamo
il concetto della storicità benché in
maniera affatto empirica. Nel Positivismo
francese sono confuse in un tutto
logica, psicologia, sociologia, storia, biologia
e simili. Mi spiego. Il Comte è
o si dice inventore d'una teoria
storica applicata allo svol- gimento della
scienza e della società. La parte
nuova, r originalità di tale dottrina
(se si vuole) starebbe in questo; che
fira la legge storica e il fine
o risultato della scienza, c'è
compenetrazione, equazione. E vera- mente, in
che consiste la scienza secondo questo
filo- sofo?Consiste nel resultato complessivo
totale delle diverse discipline. E qual'è
lo stato ultimo, il terzo periodo
dello svolgimento storico? È lo stato
positivo; che vuol dire, l'esclusione
assoluta del teologismo, del dom- matismo
e della metafisica in generale.^ In
tutto que- sto c'è un pregio; ma e'
è pure un grave difetto. Non trattasi
d' un vizio di formalismo logico, come nel
Mill; trattasi proprio d' un difetto, d' una
manchevolezza la quale consiste non soltanto
nel formular quella legge storica, ma
anche nel modo ond' ella viene
applicata, * Vedi CoMTB, Principi» de
PUH. Potitive, Paris, 1868, Première Lc^on,
e gli scritti del Littró sopra
citati. vo'dire nell'uso che se ne fa.
Se il terzo periodo del sapere è
uno stato assolutamente positivo; la
filosofia non altro sarà fuorché il
puro efietto della scienza ogget- tivamente
considerata, e così tra scienza e
filosofia non avremmo ombra di diiFerenza.
E in tal caso quale sarà
la^ conclusione? Questa a punto: essere
impossibile una me- tafisica. Né solo
impossibile come scienza assoluta,
come scienza a priori, sì pure come
scienza fondata su la psico- logia, ma
avente un fine diverso e superiore a
quello delle altre discipline : ed
eccoci nel nullismo ! Inoltre ci è
da osservar questo. I Positivisti francesi
dicon che tutte quante le scienze
passano per tre fasi: teologica,
meta- fisica, positiva. A tal proposito
Stuart Mill ha chiesto : quando mai
la matematica, per esempio, s' é trovata
nello ' stato teologico? Quando mai s'
è creduto che se le due parallele
non s'incontrano, non possano incontrarsi
salvo che per volontà di Dio?
* CJotesta legge storica, dunque, se
dall' una parte è essenzialmente empirica,
dall'altra é male applicata. Né poi col
dichiarar cotanto impotente la
ragione, com'essi fanno, potran salvarsi dal
contraddire ad un principio, eh' io
credo verissimo, e che non
appar- tieneesclusivamente alla loro scuola.
Chi consideri^'l principio ond' è guidata
la classazione e la disposi- zione delle
scienze secondo i Positivisti, può
agevol- mente accorgersi come in essa il
processo sia que- sto: un andare dal
di fuori, per così esprimermi, al di
dentro; dall'astratto indeterminato, dal vago
ge- nerale, all'universale concreto, determinato,
specicde; in somma, un andare dal
semplice al complesso. Tale è il
processo nel corso, sia logico, sia
storico, delle sei scienze, a contar
dalla semplicissima scienza de'nu- * Vedi
Stuart Mill, A. Comte et U
PotitivUme, Paris, 1868, pag. 51. meri,
che di nessun' altra abbisogna, lino
alla Socio- logiaeh' è tanto complessa
da supporre la Biologia, la Chimica,
nonché la Fisica con le sue altre
cinque suddivisioni, l'Astronomia, e la
Matematica con le sue tre sottospecie,
e via discorrendo.' Or io domando :
se cia- scuna scienza, se tutte le
scienze procedono secondo la suddetta legge,
perchè mai giunti al pensiero
debb'ella cessare? Perchè, dic^, non
protrarre la ricerca e quindi imprimerle
forma davvero filosofica? La filosofia^
essi dicono, è scienza ultima. Ma
appunto perchè ultima, io rispondo, ella
potrà esercitare funzioni di prima! Ripeto,
adunque, se al Positivismo inglese fa
difetto il senso della storicità, cioè
la viva realtà storica in quanto processo;
al Positivismo francese manca il senso
della psicologia come scienza immediata,
come immediata condizione della storia. Vero
metodo, e quindi vera filosofia positiva,
sta nel porre e nel sapere organai^e
in una sola funzione tanto il processo
storico, quanto il processo psicologico.
Questa è la posizione originale del
metodo filosofico davvero positivo. E questa
è la posizione del Vico, della Scienza
Nuova, e però della buona filosofia italiana. Nessun
Positivista che sappia e voglia rispettar
la logica vorrà dubitare, come certe
pretensioni delle loro dottrine contraddicano
apertamente all'esigenza stessa del Positivismo.
È egli un processo positivo, o non
più tosto essenzialmente negativo l'escludere,
per esempio, o l'arrestare in qual si
voglia mo^o la ricerca? Tornando dunque
al pronunziato fondamentale del Positivismo francese,
io dico che se ci è una legge
nella storia come nel pensiero, cotesta
legge non è, non può esser pro- priamente
quella dataci dai Positivisti francesi. 11
pe- * Vedi A. CoMTB, Syttime de
Politique Ponthe. Tom. II, e nella
Phil. Po9Ìtive, Première Le9on. riodo 0
stato positivo non deve risultare negativo,
come in sostanza accade nel Positivismo.
Vuol essere anzi^ realmente positivo, cioè
razionale, filosofico, non teolo- ,, gico,
né metafisico. Ed è la filosofia
positiva italiana che sola può correggere
il concetto storico del Comti- smo;
perchè scoprendo ne' fatti la vera legge
storica, o sociologica che voglia dirsi,
e liberandolo dall'empirismo, la storia non
sarà, com' è pur troppo pel Comte, un
duro letto di Procuste secondo che ci
dicon gli stessi francesi. E veramente,
quant' alle applicazioni storiche, in generale,
a me pare che la Filosofia positiva
italiana superi di gran lunga il
Positivismo. I Francesi aspet- T" tan
tutto dalla storia. Essi riguardano l' uomo
principalmente come essere morale e sociale:
nel che, com'è noto, rasentano il
socialismo, e in questo ci conferme- rebbero
tanto gh studii del Comte, quanto, e
più an- cora, r influsso del Sansimonismo
sopra di lui, dal quale invano il
Littré s' è sforzato difendere il maestro.*
Il fatto sociale, secondo una vecchia
idea tutta francese, presentasi a questi
filosofi come un organismo compatto e
simmetrico; in una parola, com' una
gerarchia. Di qui la necessità d'un
potere morale: di qui una religione, una
morale, un' educazione pubblica, e simili.
Il Positivista inglese poi, conformandosi
anch' egli al vec-chio genio e all'indole
del suo popolo, romperebbe neir estremo
opposto, se volesse esser conseguente a
sé stesso, e se il gran buon
senso di Stuart Mill non trion- fasse
talora delle sistematiche dottrine. Considerar
la scienza come produzione soggettiva e
logica; porre ad oggetto di' essa innanzi
tutto l'uomo, non come essere sociale,
storico, essenzialmente relativo, bensì come uomo,
come individuo, come soggetto: tutto ciò
fa pre-
* Vedi
LiTTEÉ, X. Comte et la PhU, Potitive,
Pag. 118 e seg.
cipitare
logicamente nell' Individualismo; in tma
specie di disgregamento sociale, eh' è
appunto la negazione del Socialismo.* Nel
Positivismo francese la società è di- namismo
esagerato; nell' inglese, per contrario, è
esage- rato meccanismo. Or anche qui la
Filosofia positivaj italiana, per esser
davvero positiva, è chiamata a porrei in
armonia l' Individualismo e '1 Socialismo,
mercè uns nuovo concetto antropologico;
voglio dire mediante ilj concetto della
Psicologia storica, i cui principii
troviamo! solamente nella Scienza Nuova. Da
questi brevi riscontri emerge sempre pia chiara una
conseguenza. Dove nel Positivismo inglese
non è pos- sibile una filosofia o
scienza della storia; nel Positivismo francese
cotesta scienza è possibile, ma unicamente
nel senso empirico. Quante filosofie
storiche in Francia dal
BossuetalGomtel
Ma se in Inghilterra abbiamo discorsi
storici
e monografie storiche e ricerche e
critiche e rac-
conti
storici che si potrebbero paragonare, come
s'è fatto,
a que'
di Machiavelli e di Tacito; filosofie
e scienze della
storia,
sono titoli ignoti ne' lor libri.
Tommaso Buckle,
che
pur volle provarcisi ne' cinque capitoli
della introdu-
zione alla
sua storia dell' incivilimento in
Inghilterra,
ad
altro non riuscì che alla negazione
della filosofia
della
storia, checché ne dicano i Positivisti
inglesi.
.\bbiamo
notato come nelle due forme di
Positivi-»
smo ci
sia differenza, e quindi esclusività anco
nel con- .
cetto
della Sociologia. Se infatti nel
Positivismo francese ;
la
psicologia è essenzialmente storica, e
quasi una pagina
aggiunta
alla Sociologia; movendo da un tutto
empirico,
cioè
A2\ fatto della comunanza sociale, giugno
air uomo.
* Nella
stirpe Sassone prevale il sentimento della
iDdividualità. L'at-
tività
inglese In rapporto air universale si
appoggia sempre sopra so
medesima,
come ha osservato Hegel: An 9ich
teWer feathcUtenden Indi-
vidualiUtì,
e
trova Y uoma ad essa congiunto per
intimo legame.
Sociologia,
dunque, è psicologia; perchè uomo vai
società
innanzi
tutto. Nella Sociologia v'è lo stato
o il momento
statico j
e v'è lo stato o il momento
dinamico. U mo-
mento
statico non è altro che biologia ;
per cui gli uo-
mini son
fra loro quello che le formiche e
i castori, e
quindi
la biologia, s' altro non vi fosse,
servirebbe a spie-
gare la
società. Ma la società è altresì
storia. DaUa storia
sorge
immediatamente, essenzialmente, la psicologia.
Se
dunque la Sociologia, come stato statico,
rampolla
dalla
Biologia ; come stato dinamico emerge
dalla Sto-
ria, e
però dalla Psicologia.* Al contrario nel
Positivi-
smo inglese
la psicologia è indipendente, troppo indi-
pendente
forse dalla storia ; però ne seguita
che la
Sociologia
altro non possa essere fuorché una
semplice ap-
plicazione
meccanica, e quasi una sovrapposizione di
essa.*
Di qua
gli errori sociologici delle due contrarie
posizioni.
Nell'una
abbiamo logicamente un potere pubblico che
non
conosce limiti; e quindi una gerarchia
sociale.^
Neil'
altra abbiamo la teorica dell'
Individualismo so-
ciale, ma
temperata, ripeto, dall'ingegno temperatissimo
del
Mill. Or qui l' accordo, vo' dire il
positivo, in che
deve
consistere? Deve consistere, al solito, nel
negare il
concetto
della sociologia tanto come semplice
applica-
zione della
nuda psicologia, quanto come appendice del
semplice
fatto storico. E siffattamente nell' ordine
delle
dottrine
storiche e sociali potremo liberare la
scienza
tanto
dall' arbitrio individuale e tutto
relativo, quanto
dalla
necessità empirica e tutta fisiologica
della storia
com'è
intesa dal Socialismo in generale.
Rispetto
poi al problema del sapere filosofico,
abbia-
mo notato
che nel Positivismo inglese la filosofia
toma
* Vedi
CoiiTB, Politique PotUivé^ IT. Littbì nella
risposta al MiU.
•
Stuart Mill, A. Comtt et la PhU. Po$itive, pag. 97.
Siciliani.
2
possibile
sol quando la logica siasi potuta
elevare a sistema ; parola che per il
Mill suona ordine di concetti : mentre
nel Positivismo francese eli' è reputata
possibile unicamente laddove tale ordinamento
possa immediatamente rampollare dalla scienza
stessa. Di qua proviene che la
condizione di ciascuna e di tutte le
discipline, per i positivisti inglesi, sia
la logica; stante che tutte le
discipline sono sommesse air autorità
della logica : IHrar consegtienee è U
grand' affare della vita.* Pel filosofo
francese, in vece, le scienze procedono
indipen-
denti così,
che non son esse che abbian bisogno
della lo-
gica, ma
è anzi la logica che abbisogna delle
scienze. In altre parole: il soggetto
abbisogna dell'oggetto, e le idee
abbisognano dei fatti e dell'esperienza, di
cui non sono altro che la riproduzione
fedele.' Che cosa dun- que è da
concludere? E da concludere questo: che
dove il criterio del vero nella prima
posizione è bensì nel soggetto ma a
maniera d' aggiunta, cioè come dote formale,
estrinseca, acquisita (logica) ; nella
seconda posizione, al contrario, tale criterio
risiede nelle stesse scienze, in quanto
elle vannosi organando sotto V imperio d'
una legge storica, e consiste nel
modo onde i fatti fisici, chimici,
fisiologici, sociologici si succedono
e aggruppan fra loro con iscambievoli
relazioni.' Posto così il criterio del
conoscere filosofico, accade questo. Nel
Positivismo inglese la funzione
conoscitiva che inaugura la scienza, è l'induzione:
la quale appresso rimane quasi fosse
un mezzo, un istrumento in
quanto viene associata alla deduzione, eh' è
facoltà nuova, ma' sempre di natura
formale. Nel Positivismo francese, i per
contrario, la funzione conoscitiva è
sempre una; * Stoabt Mill, Sy^tème de
Logique, Tom. I, pag. 9, § 5.
*
LiTTRé, Risp. al Mill, pag. 10.
*
CoifTK, Pkitol. Positive. Deuxième Le9on.
sempre
la stessa nella sua essenza. Comincia
induzione
e
finisce induzione. E se pur veste
forma deduttiva, ella
v'
inganna; stantechè la sostanza è, e
dovrà esser sempre
di
natura induttiva. È, in somma, una
deduzione essen-
zialmente
induttiva, se cosi posso esprimermi.'
Talché
il
Comte, non essendosi in questo mostrato
sempre con-
seguente a
se stesso, è stato corretto dal
Littré, come
quegli
eh' è venuto imprimendo valore strettamente
po-
sitivo al
metodo che il maestro appellò
stibbiettivo,^
Or
anche qui è necessaria una terza
posizione cri-
tica. Il
positivo non istà nel negare la
logica in grazia
delle
scienze, o nel ridur V una a
meschino anello delle
altre.
Saremmo, al solito, nell' esclusivo, e
nel negativo.
Sta
bensì nel mostrare come né la prima
né le seconde,
di per
sé medesime e separatamente, possano esser
filosofia.
11 monismo, sentenza che avremo a
ripetere
a
sazietà, non dà che monismo. Al solo
dualismo è con-
ceduto uscir
dall'identico vuoto, dal monotono, e por-
gere scienza
verace e positiva. ^
Da
ultimo, altra differenza vitale tra il
Positivismo
francese
e il Positivismo inglese abbiamo detto
essere il
modo
ond' è considerato il punto di vista
positivo. Pel
Positivista
francese lo stato metafisico nega lo
stato teo-
logico ;
e V uno e l' altro sono addirittura
e necessaria-
mente negati
dallo stato positivo. Al sorgere dell'
uno,
* Vedi
LiTTRÉ, A. Comte et la Phil. Ponit.,
pag. 532.
* Nel
Comte si manifesta chiara la tendenza
alia Filosofia. Lo di-
mostra,
per citare un esempio, il bisogno eh' e'
sentiva di congiungere
al
metodo obbiettivo il metodo sufobiettivo:
Notre cfnutUution logique ne
gnurait
ètre compia et durahle que d* aprle
une intime combinaieon dee
deux
mithodee. {Politique Ponitivc^ pag. 444*1.)
Per il Littré cotesto domma
del
sno maestro è peccato assai grave.
(Vedi A, Comte et la Phil. Poeitive,
pag.
532. e seg.) Per noi sarebbe stato
pregio singolarissimo, se il Comte
fosse
giunto a combinare in modo razionale
i due metodi. Co.munque sia, bi-
sogna tener
conto di qnesta tendenza metafisica ch'egli
manifesta nel porre
la
necessità d'un doppio metodo in
Sociologia.— Vedi Op. Voi. IV, Lez. 48'.
in
somma, deve sparir l'altro. Questo è
il concetto origi-
nale del
Gomtismo. Ora tal concetto.è risolutamente
repu«
diato
dal Mill. « Il modo positivo di
pensare, egli afferma,
non è
necessariamente una negazione dd
sopranaiuràle....^
Se
Vuniverso ha avido un cominciamento, U
suo comwi'
ciamento
per le condizioni stesse dd fatto è
stato sopra-
naturale}
r^ Qui non v' è compromessi, né
concessioni che
bastino. L'
opposizione è troppo aperta perchè non
risalti
agli occhi di tutti. Il Comte nel
suo terzo periodo
non fa
che negare la filosofia; e il Mill
risponde molto
a
proposito quando dice che il modo
positivo dipemare
non
istà nel negare, bensì neir affermare.
Ma, come
affermare?
Ecco un altro difetto del Mill. Egli
afferma,
è
vero, il soprannaturale ; ma evidentemente
V afferma
in
maniera tutta empirica. Non potremmo dunque
ri-
torcere
contro di lui le sue stesse parole
dicendo, che
it
modo positivo di pensare non istà néW
affermare em-
piricamente,
cotesto sopranaturale, nelP affermarlo, cioè,
col
buon senso inglese, ma si nell'
affermarlo, s' è pos-
sibile, in
guisa razionale e cosciente? Vedremo entro
quai
limiti sia questa appunto la posizione
del Vico.
Or che
abbiamo notato analogie e differenze fra
le
due
forme di Positivismo che oggi si
coltivano, e ar-
gomentatane,
in forza del medesimo principio positivo,
la
necessità d' una terza forma di
filosofia veramente
positiva;
giova far poche osservazioni rispetto a
.certi
positivisti
i quali fan le viste di non
voler essere pro-
priamente,
né inglesi, né francesi. E veramente
a tutta
prima
non parrebbero tali, perché non ardiscon
du-
bitare della
possibilità d'un sapere metafisico; ma a
guardarli
bene in viso, riescono anch'essi ad
un misto
dell'una
cosa e dell'altra, che vuol dire son
sempre
*
Stuart Mill, A, OomU et le
Pontivieme^ pag. 15.
positivisti.
Di questi in Italia ne abbiamo a
josa. E ne ab-
biamo a
josa tanto più, quanto che aman
chiamarsi ora
critici,
ora scettici prudenti, ora storici-filosofi
e che so
io; ma
non soffrono per nulla d'esser detti
metafisici, filo-
sofi, e
nemmanco veri e propri positivisti. Costoro
dun-
que vonn'
esser battezzati col titolo che si
meritano: del
qual
titolo non si potranno menomamente
lamentare e
tenercene
broncio, perchè li designa per quel
che sono,
e per
quel che valgono. Appelliamoli dunque
filosofi dd-
V
avvenire. Essi hanno fede nell'attività
profonda, inces-
sante dello
spirito, della storia; hanno fede nel
presente
progredire
delle scienze: però hanno fede in una
filo-
sofia; ma
in una filosofia eh' è di là da
venire, perchè
di
cotesto lor filosofare positivo altro non
ci han sa-
puto dire
fin qui ne' loro opuscoli e ne' loro
articoli da
giornale,
se non eh' egli verrà, e verrà
di sicuro 1
Cotesto
non è linguaggio seno. Non è
linguaggio
d'uomini
che dicono d'aver fede nelle forze di
ra-
gione. La
filosofia è scienza, ma è altresì una
religione,
per
chi voglia intenderla sul serio. Com'
è naturale, dun-
que, alla
contraddizione essi aggiungono, senz'accorgersi,
r
equivoco. Perocché cotesta attività dello
spirito, cote-
sto vantato
concorso di forze e divisione del
lavoro, non
ha
egli pure i suoi confini? Le scienze
speciali (si dice) _
non
possono uscire dalla loro sfera speciale
per elevarsi
àUa
ricerca delle r dazioni generali^
senz'annullarsi. Ora,
io
domando : se nessuna scienza in
particolare può avere
cotesta
pretensione; pò trann' averla tutte insieme? Ecca
il
problema che i neopositivisti, checché ne
dicano, non
hanno
peranco risoluto. D' altra parte i
filosofi (essi
soggiungono)
col continuo divagare nel mondo delle
ipotesi
e dell' a priori, non son capaci
neanch'essi a
darci
buona e positiva filosofia. Dunque, io
concludo
(e
badino alla conclusione cotesti fibsofi
dell' avvenire)
che né
per opera delle scienze, né per opera
dei me- •
tafisici
potrà nascere mai il vero filosofare.
Non può.)
nascere
dalle prime, come farfalla dal suo
bozzolo,
perché,
ripeto, ciascuna scienza, secondo che ci
dicono i
neopositivisti,
annullerebbe sé stessa nel momento stesso
che
presumesse trapassare i propri confini.
Tanto meno
poi
nascerà per opera de' filosofi metafisici,
essendo or-
mai un
fatto innegabile la loro impotenza,
attraverso
ventidue
e più secoli di speculazione, come ci
ricantano
da un
pezzo essi stessi gli Avveniristi in
filosofia!
La
conseguenza, al solito, è a bastanza
chiara: la
filosofia
essere d' ogni parte impossibile ! Oh
perché
dunque
baloccarci con le vantate forze di
ragione, con
questa
gonfiata attività del pensiero e della
storia? Non
è
dunque vero che contraddicendovi miseramente
non
potrete
dirvi nemmanco filosofi dell'avvenire, ma
scet-
tici d'un
presente che sdegnate e d'un futuro
che igno-
rate? Per
esser davvero positivi, é d' uopo
cominciare a
render
attuale quel che si crede possibile.
Cominciatela I
a
fare, dunque, co testa benedetta filosofia
s' egli é veroj
che
avete fiducia nella sua possibilità! Un
possibile che
non si
raggiunga mai, domando, non é per ciò
stesso
un
impossibile addirittura?
Ma noi
(soggiungono) non amiamo trastullarci con
le
ipotesi su'principii e su' fini delie cose!
E qui i
filosofi
dell'avvenire mi rendono immagine di chi,
pur
volendo
ad ogni costo imparare il nuoto, a
nessun patto
vuol
piegarsi ad entrare nell' acqua per
paura d' an-
dare a
fondo! Ora a me pare che l' operosità
veramente
critica
e positiva, non istia già nel guardar
con le mani
in
mano chi é nell'acqua e si sforza
al nuoto, ma nel
buttarsi
giù e lottare con l' acqua, e con
sé medesimo.
In
altre parole, non istà nel lasciar
fare alle scienze e
alla
storia, ma nel fare noi stessi
qualche cosa; nel far pronto, energico,
fiducioso, in bella compagnia con #
la
storia, e con le scienze.
Se non
che, rammentando una vecchia sentenza, ci
ri-
petono: la
filosofia non può elevarsi cdle relazioni
gen&rcili
sema
ilfondamerUo d^ particolari, ^eperò si richiedono
a
vicenda.
Precisamente questo 1 io rispondo. È
appunto co-
testo
richiedersi a vicenda che costituisce la
condanna
de'
filosofi dell' avvenire. Se le scienze,
come s' è detto,
non
possono esser filosofia senz' annullare sé
stesse ; la
filosofia
non può a sua volta assumer carattere
posi-
tivo, senza
l'aiuto efficace delle scienze. Dunque?
dun-
(ine
non è per nulla vero (badisi alla
conclusione) che
la
filosofia abbia a nascere^ che abbia
a germogliare
propriamente
dalle scienze. È vero bensì che
queste
varranno
ad eccitarla, a determinarla, a sempre
più
fecondarla,
anche a correggerla, ma non costituirla.
Persuadiamoci:
per nessun miracolo al mondo, e in
verun
ordine di cose, il numero è valso
mai e mai
non
varrà, come numero, a darci l'unità.
Fu e sarà
sempre
pazzia il pretendere che dal meno
s'abbia a
cavare
il più. Mi spiego brevemente.
In tal
questione abbiamo, per così dire, due
poli;
scienze
di là, e filosofia di qua: quelle
inefficaci, e
questa
impotente. Donde ha da partire lo
scoppio della
scintilla?
I Positivisti dicono, dal primo polo:
i Me-
tafisici, e
a prioristi assoluti, dal secondo. La filosofia
positiva
risponde : né dall' uno, né dall'
altro. La scin-
tilla
scoppierà dall'incontro, cioè dal contrapporsi
di '*
essi. S'
egli è così, la conseguenza chiara,
evidente che
ne
scende, è questa: La filosofia non è
una specie di
appendice
o di giunta alle scienze, come
pretendono i
Francesi.
Non è un formalismo logico vuoto,
come si
pensano
i nepoti di Francesco Bacone. E
nemmanco
una
costruzione tutta a priori, assoluta e
indipendente
dalle
scienze, come pretendono gli Hegeliani. I
nepoti
del
Galilei e del Vico, per contrario,
credono che l'in- '
gegno
filosofico valga qualcosa anco per sé
stesso. Cre-
dono eh'
ei sappia in qualche maniera alimentarsi
e vi-
vere anche
da sé, e in sé medesimo. Se da
una parte I
r
ajpriorismo assoluto è vuotaggine (e qui
siamo co' po-
sitivisti);
credere, dall'altra, che la filosofia abbia
a ri-
sultar tutta
quant' è dalle scienze alla maniera d'
una
formula
chimica' dalle sole analisi ed esperimenti
chi-
mici, più
che vuotaggine cotesta per me é
ignoranza.
Così
la scienza, ripeto, sarebbe non più
che un aggre-
gato
meccanico, un aggregato inorganico e senza
signifi-
cato
razionale. Porre fondamento, adunque, non
vuol
dir
nascere o risultare: non vuol dire
che l'una cosa
sia
cagione e tutta la cagione deli'
altra, la quale poi
ne
sarebbe 1' effetto. Vuol dire benà
che la prima è
tanto
necessaria alla seconda, quanto la
condizione al
condizionato.
È la carrozza, sono i cavalli che
mi por-
tano in
giro. Ma se i cavalli mi portano,
son io che vado,
son io
che cammino, son io che corro, son
io che go-
verno la
quadriga. La ragione, la sola ragione
è l'auriga ì
di
quel cocchio di cui parla Platone nel
suo Fedro. 1
I
Positivisti, inoltre, stimano che tra
scienza e filo-
sofia corra
quella medesima parentela eh' é tra
'1 tutto e
le sue
parti. Questo dico e credo anch'io,
senz'essere
positivista
francese, inglese o americano. Ma cotesto
tutto,
domando,
è egli superiore, o inferiore, è
anteriore ovvero
resultante?
Anteriore, dicono i Dommatici. Resultante,!
affermano
i Positivisti. Né l'uno, né l'altro,
rispond' io. *
Se
resultante, mostrateci come saprete schivare
il pe-
ricolo di
darci un' enciclopedia, un ordinamento,
anche
ingegnoso
com' é la distribuzione delle scienze
fatta dal
Comte,
ma eh' è sempre ordinamento empirico;
stante-
che il
tutto non é vero tutto, ma é
tutto in quanto é
parti,
e però queste parti non sono elementi
organici di
quello.
Brevemente: la vostra gerarchia sarà sempre
un
accozzo,
non già un organismo attuale e
nemmeno possi-
bile: per
la semplice ragione che nella parti,
o, per
cosi
dire, nelle cellule ond' ei deve
resultare, non e' è
vita,
non metodo d'alcuna sorta.
Finalmente
i filosofi dell' avvenire consentono che
la
filosofia,
più die una raccolta e un dizionario,
abbia da
essere
una critica, cioè una continuazione del
lavoro delle
scienze,
elevatesi ad una sintesi, ad un
concetto superiore.
Ma,
ecco la difficoltà: come, senza un
criterio, elevare a
critica
r attività filosofica? Non è ella
cotesta un' altra
condanna
del Positivismo? Questo criterio noi
potrete
ricavare
dalle scienze, sia che le consideriate
numerica-
mente, sia
che complessivamente. Esse noi contengono
numericamente,
che altrimenti sarebbero già filosofia.
Noi
conterranno neanco nel loro insieme, perchè
baste-
rebbe, se
così fosse, accozzarle, basterebbe accostarle
in-
sieme, acciò
potessero comporre un organismo ; nel
modo
istesso
che T organismo della civil società,
secondo la
grossolana
dottrina dei giusnaturalisti francesi del
secolo
passato,
generavasi dall' accozzo delle volontà, non
si
sa
perchè né come, ond' essi caddero nel
meccanismo
sociale
del Rousseau. Senza un criterio non
v'è crìtica:
è
precetto elementare dì logicar, per non
dire già dì
buon
senso. Così pure la filosofia non può
esser consì^
derata
come corUintumone del lavoro détte scienze^
senza
cadere
nel difetto di ripetizione inutile,
infruttuosa. Il
concetto
superiore a cui sperate levarvi, non
è sintesi
vera,
bensì ripetizione d' analisi sotto mentite
sembianze
di
sintesi. Il concetto superiore, in
sostanza, è sempre
inferiore,
posteriore e quindi resultante. Dunque la
fa-
coltà
critica de' filosofi dell' avvenire non
è veramente
critica,
perchè non è veramente originaria, ma
derivata.
Qui
pervenuti, qualcuno ci chiederà: Qual
relazione ;
corre
tra Positivismo ed Hegelianisrao? C è
egli una re- ;
lazione?
Che
una relazione vi sia ce lo dicono
gli stessi odierni
hegeliani.
E se noi dicessero, basterebbe pensare
a che mai |
siasi
ridotta la loro estrema sinistra per
andarne con-
vinti. So
che a' Positivisti non piace chiamar
Positi-
vismo quel
nuovo Materialismo di Grermania uscito
da' fianchi
dell'Idealismo assoluto. Tal confusione ad
essi
non piace, perchè mentre il primo è
di per sé
stesso
una fiera protesta contr'ogni sorta
sistemi, il
secondo
(come di sopra toccammo) è un sistema
beli' e
buono.
Ma non son io che faccio coteste
confusioni: è
la
logica stessa. Dato che tra Feuerbach
e Littré, per
esempio,
sia differenza di metodo e di
principii (e il
divario
certamente è infinito), io chieggo: dov'è
poi
la
differenza ne' resultati? Io veggo
negazione dall' una
parte,
e negazione dall' altra : ecco tutto.
11 nuovo mate-
rialismo,
dunque, cotesto virgulto nato e cresciuto
nel .
giardino
dell' Idealismo assoluto, è l' anello che
pone una
relazione
fra il positivismo e 1' hegelianismo.
Tra' quali
perciò,
se profonda è la differenza nel
metodo, evidente
e
grande è la concordia ne' resultati e
nelle conseguenze
ultime.
Così che non ci reca nessuna
maraviglia il ve-
dere oggi
alcuni hegeliani scaldarsi tanto per
mostrare
a fil
di logica come i positivisti debbano
ormai consa-
crarsi
hegeliani, perocché l' hegelianismo altro non
fac-
cia che
compiere il positivismo: e positivisti, di
ri-
mando,
arrapinarsi fuor di maniera per convincere
gli
hegeliani,
che, a voler rispettare la logica,
non già il
positivista
in hegeliano, ma sì l'hegeliano abbiasi
a
trasformare
in positivista.*
* Il
Prof. Vera, VApotioìus Gentium dell'
hegelianisrao, come lo ap-
pella un
sao scolare, chiama il positivismo una
contrafazione dell' bege-
A me
qui non importa, punto vedere quale
delle
due
onorate e onorande schiere abbia ragione.
Solo
mi
giova far notare come gli hegeliani
ragionino e
sappiano
ragionare, quando segnatamente siano usciti
dal
nascoso mondo del pensiero puro, dove
per me (e
vo' credere
anco per loro stessi) concentrasi
tutto il
buio
della dialettica. Importa altresì
notare ch'essi
sanno
intendere la storia, almeno in gran
parte; che •
nella
storia hanno gran fede,
appunto perchè non;
l'hanno
perduta in sé medesimi: e, finalmente, che
non '■
solo
mostrano, ma dimostrano la legge del
progresso. .
Di
queste cose i positivisti, né sanno,
né vogliono far
nulla.
E in ciò l' intervallo che li separa
dagli hege-
liani é
davvero infinito. Ma quant'a resultati e
a con-
seguenze,
ripeto, ei s' assomigliano come due
gocciole
d'acqua.
Per qual ragione? C'è una ragione? Ci
deb-
b' essere.
Gli uni distruggono col negare, col
non fare;
gli
altri distruggono con l' affermare sciorinando
quella
compatta
e fittissima rete dialettica nella quale
si ri-
sica di
restare impaniati, se ali robuste non
ci soccor-
rano. Non
credo, infatti, che sia per mera
accidenta-
lità storica
se quasi in un medesimo tempo, con
la
difi'erenza
di pochi lustri, abbiano cominciato a
regnare
questi
due sistemi, o metodi, o indirizzi di
filosofare
che si
voglian dire. I positivisti anzi ci
assicurano come
una
delle cagioni del sorgere del positivismo
fosse ap-
punto la
stanchezza, la noia dello spirito moderno
verso
le
annebbiate speculazioni germaniche: nella quale
sen-
tenza ci confermerebbero
quegli hegeliani divenuti oggi
lianìsmo.
(Vedi Phil. de VÉsprit. Introd, pag.
LXIX.) Ai Comtisti certo
non
piacerà questa parola del Vera, perchè
si rammentanq della sentenza
del
loro maestro: L* hegelianismo è nn
fitichUme généraliU et gyttematUé,
enveloppé
d*un appareil doetoral propre à donner
le ohange au vulgaire.
— Vedi
CoMTK, dmr» de Phtl Pont, Voi. V,
Lez. 52% pag. 4'2.
schietti
positivisti. Ma, lasciando delle relazioni
storiche,
non è
difficile ritrovare un' attinenza ideale
fra i due si*
sterni.
Altra volta vennemi detto, adoperando una
figura,
la
quale non dispiacque, che l'Hegeliano, a
ben guardarlo,
non è
altro che un Positivista in guanti
gialli: nel modo
ìstesso
che il Positivista è un Hegeliano
vestito da con-
tadino. £
veramente, se il positivismo giugnesse ad
aver
coscienza di sé e diventare filosofia,
pensiero me-
tafisico,
speculazione; e' non potrebbe non riescire
ad
altro
che all' hegelianismo. So che questo
discorso non
andrà a'
versi di certi positivisti cui troppo
ripugna
sentire
affermare (come infatti affermava poco fa
un
Hegeliano)
che il positivista, pur non volendo,
prima o
poi ha
da cascare nell'idealismo assoluto, e molti
vi sono
di già
cascati.
Né é
da meravigliarsene ; perché, ripeto, se
il posi-
tivista si
risolverà a farla da filosofo, recando
ia atto
quella
filosofia che alcuni di loro credono
pur possi-
bile ;
r unica porta eh' e' si troveranno
dischiusa di-
nanzi agU
occhi, altra non potrà essere salvo
che
quella
che mena all'Idealismo assoluto. Se da
una
parte,
infatti, si reputa possibile cotesta
filosofia, e dal-
l' altra
la si desidera di tal forma e
di tanta perfezione
e
certezza da non invidiar punto l'
eccellenza della geo-
metria; qual
edifizio più stupendo e più saldo e
più
geometricamente
ordinato e compatto della dialettica
hegeliana?
Qual' orditura più razionale e tale che,
al
pregio
inestimabile della universalità e della
compren-
sione,
sappia congiungere una mirabile semplicità
e
faccia
insieme conseguire una soluzione compiuta
in
ogni
problema che agiti la mente umana?
Ma e'
é di più. A chi ben consideri, l'
Idea degli
hegeliani
è il Fatto stesso dei positivisti ;
ma il Fatto guar-
dato in
sé, il fatto considerato fuori le
condizioni del
tempo
e dello spazio, cioè come legge. Al
contrario,
il
Fatto de' positivisti è V Idea hegeliana,
ma Videa
considerata
fuori di sé, V Idea come tempo
e come
spazio,
come natura e come storia, come
fenomeno,
0 al
più, come fenomeno determinato in una
legge,
ma
legge sempre fenomenale, perchè intrinsecata
pur
sempre
col tempo e con lo spazio.
Brevemente: il
fatto,
che il positivismo corona e mitria
come assoluto
signore
della scienza, è V idea in quanto
è legge a sé
stessa,
in quanto è legge in sé. La
formula del Positi-
vismo (fatto
e legge del fatto\ che con tanta
sazietà ci è
stata
predicata e ci si predicherà ancora
per un pezzo,
non è
se non Tldea guardata nella sua
superficie sen-
sata. La
legge dd fenomeno^ ha detto Hegel, è
la cosa
in se,
in quanto è apparsa neW esistema. Depuratelo
cotesto
fatto; studiatevi di mirarlo in se
stesso, in tutta
la sua
nudità; poi rivestitelo, rimpolpatelo, fatelo
cam-
minare,
fatelo procedere, consideratelo a traverso
le
diflFerenti
sue stazioni, rilevandone sempre la legge
iden-
tica,
necessaria, universale, fatale : e così
avrete,-siatene
certi,
una forma d' Idealismo assoluto, la quale,
se non
è
quella di Hegel, poco ci mancherà. La
differenza,
dunque,
tra l'uno e l'altro indirizzo, è
questa: dove
il
Positivista dice : Tutto è Fatto e
l^ge del Fatto ;
l'Hegeliano
risponde: Tutto alla fin fine è Idea
e legge
dell'Idea.
Però il secondo ha più coraggio del
primo,
e
dice: «Non vi spaurite 1 la mia
Idea è precisamente
quello
che nelle vostre mani diventa Fatto :
voi la guar-
date con
gli occhi della fronte, e la
ricercate col micro-
scopio, col
telescopio, con le bilance, co' reagenti,
perchè
ne
studiate l' aspetto più grossolano ed
estemo, la fac-
cia: noi
la guardiamo in vece con gli occhi
della mente,
col
pensiero puro, in se stessa, nell'
astratta mansione
dialettica,
perchè ne vogliamo indagar l'ultimo fondo,
t»
Tra
schietto Positivismo, dunque, e schietto
Hege-
lianismo
ci ha intimo legame. Per questo,
ripeto, i
settatori
dell' una come delP altra scuola, fan
di tutto
per
trascinarsi a vicenda. Per questo la
sinistra hege-
liana si
viene sempre più alleando col Positivismo
fran- 1
cese.
£ per questo, finalmente, gli uni e
gli altri con-
sentono in
un risultato finale, sia che co'
primi s^ abbia
a
credere d' aver tutto spiegato, sia che
co' secondi si
pretenda
che nulla si possa mai capire de'
problemi ve-
ramente
metafisici del sapere umano. Le colonne d'
Er-
cole,
comecché in senso diverso, sono il
termine d' en-
trambi. E
può dirsi che lo stesso Hegel ne
consacrasse
il ben
auspicato connubio con quel famigerato
principio
che i
Positivisti potrebbero ormai accettare ad
occhi
chiusi:
Was veniunftig ist, das ist toirldich;
und was
wirklich
ist, dctó ist verniinftig,
E ora,
concludendo, dobbiamo ripetere, rispetto a
questi
due indirizzi, quel medesimo che qua
dietro siam
venuti
osservando riguardo alle due forme di
Positivismo.
I
Positivisti han ragione quando dicono a'
filosofi: Siate}
positivi.
Ma han torto marcio quand' e' gridano
: Smet- ^
tete d'
essere metafisici 1 L' esser positivi, e
poi piantare j
siccome
principio il non dover mai sorpassare
la rela-
tività; ciò
vuol dire esser negativi; vuol dire
contrad-
dizione.
Il pregio dell' Hegelianismo l' abbiamo
accen-
nato; è
il concetto della scienza e del
processo. Ora
l'esigenza
nuova qual è? È questa: combinare le
due
tendenze,
combinarle escludendo insieme il
negativo
dell'uno,
e il dommatico dell'altro. E bisogna
esclu-
der r
una e l' altra cosa, giust' appunto
per conseguire
davvero
il positivo. Desidenamo dunque essere del
no-!
stro
tempo? Se ciò desideriamo, non potremo
rinunziare,
né
alla tendenza positiva, e tanto meno
allo spirito filo-
sofico che
all'età moderna é venuto imprimendo l'Hege-
lìanìsmo.
Hegelianismo per me vai più che
Hegel, e vai
più
che i suoi creduti apostoli; non altrimenti
che il
cristianesimo
è assai più che cattolicismo, assai
più che
r
immobile schiera de^suoi pontefici. Hegeliani
oggi dpb-
biaiP^
eg^y tntti; come tutto il mondo non
può non
eeaere
cristiano. Se dunque Hegelianismo e
Positivismo
sono
due sistemi, due poli (come altri ha
detto) della <^
presente
speculazione europea, ci ha da essere
una via
di
mezzo; una via di mezzo nella quale
cotesti estremi
non
siano estremi. CI ha da essere una
via di mezzo
in cui
ridèa sia anche il fatto, e il
fatto idea per legge ,.
di
conversione, non di compenetrazione o d'
identità as-
tuta, ne
d'empirica differenza. £ questa per Tap-
))unto
è la nostra via: via, come ognun
vede, assai
larga;
via regia; in su la quale ci
sarà facile incon-
trarci con
tutti, e da buoni amici darci una
cordiale '^'^
stretta
di mano. E a percorrere cotesta via
abbiamo
invocato
1* autorità d' un gran nome italiano;
abbiamo
invocato
la scorta del nostro Vico.
Che e'
entra ora egli il povero Vico !
ci dirà con
una
smorfia di sprezzo qualche bell'umore
hegeliano o
positivista.
Perchè andarlo a svegliare dopo due
secoli !
E'
c'entra per due semplicissime ragioni; e
le dico
subito.
Fra tutti gli scrittori dell' Italia
moderna, il solo
Vico
rappresenta, per così dire, l' uomo vecchio
e l' uomo
nuovo;
il medioevo e il secolo decimonono.
Egli solo
dunque
rappresenta la contraddizione; ma, intendia-
moci bene,
la contraddizione che per intima necessità
si
risolve da se stessa. Nella mente
infatti, e però nelle
scritture
di lui, la tendenza a sciogliere^ tal
contrad-
dizione è
evidente, energica. In lui dobbiamo
studiare
noi
stessi, se pur vogliamo rigenerarci nella
scienza.
Ma,
più che nella scienza, dobbiamo rigenerarci
nel
metodo
in generale, eh' è la seconda ragione
per cui
è
d'uopo rifarci da questo filosofo. Quanti
altri filo-
sofi non
abbiamo avuto in Italia, d'ingegno forse
più
vasto
e più comprensiTO e certo più
analitico del suo?
Eppure
nessuno meglio di lui ebbe coscienza
del vero |
metodo
nel sapere. Stuart Mill, com' ho
avvertito, dice
die il
grande affare della vita gli è il
tirar conseguen-
ze. Da
buon inglese e' non poteva smentire
sé stesso
dicendo diversamente.
L'italiano, chiamisi Vico o Ga-
lileo, Tizio
0 Sempronio, pare che, prima di
questo, vo-
glia sapere
qualcos' altro. Come s' ha a fare per
tirar
conseguenze
?
Gran
problema della scienza è il me^o. Qui
ap-
punto sta
principalmente l' originalità del Vico; qualun-
que possa
essere la serie di errori in cui
egli sia caduto.
Se
qualche ingegno erudito e severo prendesse
ad
c^qporre
criticamente i giudizi e le interpretazioni
che
tanti
e tanti scrittori son venuti facendo
delle opere
del
Vico, massime della Scienza Nuova in
cui si rac-
chiudono e
piglian quasi persona tutte le sue
dottrine,
probabilmente
si troverebbe d'aver imbastito una sto-
ria degU
studii filosofici e storici e anco
giuridici in
Italia,
a contare dal 1750, se non pure
dal 1725, insino
al dì
d' oggi. E sarebbe certamente lavoro
desiderevolisr
Simo,
potendo così presentare tutte le produzioni
scien-
tifiche del
nostro paese come aggruppate attorno a
un
centro
luminoso, qual' è appunto l' opera maggiore
del
filosofo
napoletano. Perocché il moderno pensiero
filo-
sofico
italiano, e potremmo dir anche la
nuova Italia, me-
glio che
con altri libri s' inaugura, per così
esprimerci,
con la
Sdenta Nuova, La quale se da una
parte, per
chi
l'abbia meditata con amore, è tale da
onorarci in-
finitamente
a cagione delle divinazioni originali ne'
nuovi
studii
filosofici e storici ; dall' altra, s'
io non m' illudo,
ai
palesa come il libro più acconcio,
per tutto il corso
storico
del nostro pensiero filosofico, a più
fedelmente
rappresentare
la forma nativa e ritrarre l' indole
vera
dell'ingegno
italiano.
StltlLIAKt.
3
Siccome
io qui non presumo di far tale
istoria, ho
Toluto
nondimeno apporre tal titolo a questo
primo
libro,
affinchè altri, eccitato per avventura
dalla trat-
tazione d'un
tanto profittevole soggetto, ne tolga il
carico
; mentr' io vo' ristringermi a far
una critica delle
principali
sentenze e delle interpretazioni emesse
intomo
alle
dottrine vichiane dai numerosi critici ed
espositori
italiani
e stranieri. Il che non solo tornerà
utile anzi
necessario
al disegno del mio lavoro, ma*
acconcio al-
tresì a
rendere omaggio a tutti coloro che
nello studio
del
Vico m' han preceduto. Così pure avrò
il destro
d' accennare
alle dottrine filosofiche de' nostri ultimi
scrittori
; imperciocché, bene o male che sia,
un periodo
filosofico
s'è oggimai compiuto in Italia; e,
bene o male
clie
sia, se ne sono scritte e se ne
scrivono più storie:
talché
parmi tempo di giudicare con ispirito
di mode-
stia, ma
con altra tanta franchezza, anche la
mente
de' nostri
maestri, traendo profitto dalle verità e
dagli
errori
in che per avventura sian essi
caduti.
In fin
del libro i lettori troveranno un
elenco, che
a me
sembra compiuto, di tutte le opere
nelle quali,
sia di
proposito sia di passaggio, parlasi del
Vico. Quan-
tunque abbia
dovuto leggerle tutte coteste opere, e
al-
cune anche
meditare, non di tutte potrò discorrere
con
egual
misura. Di quelle pochissime non potute
leggere
darò
anche notizia, e avrò cura di citarne
la sorgente.
Di cert'
altri autori poi non ho creduto far
neanco
menzione;
del Poli, per esempio, che ne' SupplemenH
al
Tennemann ha fatto un' esposizione cotanto
empirica
e
pesante e senz'ombra di critica delle
dottrine vi-
chiane, da
non potermene giovare in verun conto.*
Non
parlerò del libro del Marini, autore
traboccante
d'
entusiasmo cattolico verso il filosofo
napoletano, ma
certamente
ingegnoso, erudito e sempre pieno di
fede
*
Comincia dal chiamarlo tommo fra gli eclettici
italiani del seco-
lo XVIII!—
Vedi Manuale deUa 5i. delln FU. di
Tbnnemkahn. MUano,
1855,
Tol. 4, pag. 662 e seg.
nel
vero. Nemmanco terrò parola de' copiosi
volumi del |
Rocco,
e del Fagnani. L' un de' quali, pieno
anche lui di
vnoto
e smaccato entusiasmo verso l'autore della
Scienza
Nuova,
non sa vedere briciol d' errore, ma
tutto verità
elettissima,
tutto armonia, tutto profumo di sapienza
nel
suo
filosofo : r altro poi, non meno
ingegnoso del primq,
confesso
di non averlo potuto capire. Che se
intendere il
Vico è
impresa, come ci dicon tutti, non
molto agevole;
pensate
quando V espositore od interprete, nello
svolgerne
ed applicarne
le dottrine, usi linguaggio indeterminato,
e
finisca
per intrigarsi in un viluppo d' idee
vaghe e con-
fuse, com'
appunto il Fagnani con la sua scienza
della
Divinazione.
Né il Rocco, dunque, né il Fagnani,
né altri'
di
simil fatta potevano darmi appiglio a
critica di sorta.
Da
ultimo avverto, com' io non intenda
propriamente
far
un' intiera esposizione, e tanto meno
procedere ad
una
critica compiuta degli autori su' quali
terrò parola.
Noterò
quello che potrà giovare al mio
scopo, accen-
nando quelle
cose che potrò accogliere, e fermandomi
un po'
sopra quelle dottrine in cui mi sarà
parso eh' e' sì
discostino
dal vero nel combattere le teoriche
del Vico,
o che
ben s'appongano nell' interpretarle, o che
ab-
bian
colto giusto nel correggerle od esplicarle.
A
voler disporre con qualche ordine logico
i diversi
autori
che dal quarto lustro del secolo
scorso fino a' dì
nostri
sonosi occupati delle dottrine vichiane,
gioverà
distinguerli
in tre diverse categorie:
r degV
imitatori ed oppositori;
2*
degli eruditi e critici propriamente detti;
3*
degT interpreti filosofi.
Gotesta
divisione non é capricciosa, ne immaginata
a
priori.
Essa risponde davvero a tre differenti
periodi
di
tempo, nel primo de' quali prevalgono
appunto gl'imi-
tatori e
gli oppositori delle suddette dottrine, e
dura
sino a'
primi anni del secolo che corre. Nel
secondo pre-
dominano gli
eruditi e i critici; e questo
finirebbe verso 1
il
1840. Nel terzo finalmente primeggiano gì'
interpreti
filosofi,
i quali ad ogni patto vogliono
interpretai'e il
Vico
secondo che detta loro il proprio
sistema. Cote-
st' ordine
e cotesto progressivo moltiplicarsi d'inter-
preti, di
critici e d' espositori, ci farà toccar
con mano
un
fatto assai consolante àgli occhi di
tutti noi; e que-
sto fatto
è che gli studii sul Vico sono
venuti sempre più
progredendo
nell' analisi critica col succedersi degli
anni,
e
viemaggiormente crescendo nell'animo degl'italiani
e
degli stranieri Y amore verso il nostro
filosofo. D vero
concetto
e il valore della Scienza Nuova è
andato così
generandosi
e maturando col tempo nella mente e
nel-
l'animo di
tutti; e potremo quindi persuaderci una
volta
più di
quella verità avvertita fino dal primo
discepolo
del
Vico, Emmanuele Duni, che la Sdenta
Nuova, opera
prematura
pel tempo in eh' ella comparve, non
fosse
intesa
nel suo verace significato, o intesa
assai male.
Lb,
Scienza Nuova dunque, se da una parte
è il libro vera-
mente
italiano, libro italiano per eccellenza;
dall'altra!
è da
ritenevi come opera essenzialmente moderna.
E
se
cosi non fosse, non si capirebbe per
qual ragione i
lavori
critici sul nostro filosofo sian venuti
sempre più
accumulandosi,
massime nel terzo periodo che abbiamo
designato
col titolo degli autori critici e
interpreti filosofi.
Capitolo
Primo,
periodo
degl' imitatori e degli oppositorl
Non
parlo della censura né degli elogi
fatti alle
dottrine
del Vico mentr'e'visse: per esempio, della
let-
tera di
Giovanni Clerico sul Diritto Universale;
della
critica
del Giornale de* Ldferati cP Italia a
proposito del
Libro
Metafisico, nella qual critica alcune
obbiezioni]
non
può dirsi che manchino d'acume e
verità; e final-
mente
dell' articolo del giornale di Lipsia
cui il Vico
rispose
acerbamente quando fu biasimato d'aver
fattoi
servire
al Cattolicismo le proprie dottrine. Ma
ciò che
innanzi
tutto giova notare è questo; che
comparsa
appena
la Scienza Nuova, parecchi levaronsi contro
dichiarandola
avversa alla religione; e, fra' molti, sarò
contento
rammentarne due: Damiano Romano, autore |
d'alcuni
lavori non affatto spregevoli, e il
Finetti,
professore
a Padova, mente sottile più che
acuta, in-
gegno largo
più che profondo, scrittore mezzanamente
erudito
ma poco efficace, autore d'un lodato
Corso dii
Diritto
di Natura e déUe Gentì, nel quale
si legge
tutt'
un capitolo contro il Vico. Il Romano
die fuori,
fra le
altre, due scritture che si collegano
IVa loro in-
timamente
per lo scopo a cui le indirizzava.
Nel-
l'una
difende contro il Vico l'origine tutta
greca delle
leggi
delle XII Tavole ; ' nell' altra
piglia a confutare
il
principio della Scienj^a Nuova riguardante l'
ori-
gine del
linguaggio, e a mostrare contrario
addirittura
alla
religione cristiana tutto il sistema del
filosofo na-
poletano.* E-
a vedere infatti se le dottrine
giuridiche
del
Vico racchiudessero germi di vera e
propria rivo-
luzione
scientifica, basti dire che nel 1768
il Romano
pubblicava
il suo libro su YOrigine della
Società dedicato a
Maria
Teresa d'Austria, nel quale può scorgersi
com' egli, \
oltre
Rousseau e tutt'i Naturalisti, intenda
confutare
anche l'
autore della Scienza Nuova. E giova
notare lo
spirito
con che scriveva quest'accanito oppositore
del
Vico.
Nella dedica all'Augustissima Maria egli
dice:
« Se
vi degnate per poco di sventolare il
mio Prodotto,
questi
stessi sentimenti vostri vi troverete
inculcati ed
espressi.
Sostengo in esso la indipendenza dell'
autorità
monarchica
da qualsivoglia giudizio umano...;. e la
di-
fendo
dagl'insulti de' Naturalisti, che si sono
sforzati
* Vedi
Damiano Romano, Difesa storica delle Leggi
Oreche venute a
JRoma
contro V opinione moderna del signor
Vico, Napoli, 1786.
*
Quattordici Lettere std terzo principio
della Scienza N^uova ec. 1749.
e si
sforzano di richiamare il genere umano
allo stato
della
natura. » Di sotto a queste parole
ignobilmente
servili
del povero filosofo piaggiatore, escon due
conse-
guenze; la
prima, che il Romano avesse tanto
acume
da
scorgere ov' il diavolo tien la coda;
la seconda,
che
fra le dottrine del Vico s' ascondessero
idee e prin-
cipii
non comuni, né poco avversi agli
Augustissimi piag-
giati dal
Romano. In ogn' altra sua scrittura,
per esempio
'
nella Scienza del Diritù) Fubhlico^ e
meglio in quella su
lo
Stato naturale insujf^iente per la
sicurezza delVuomo
dopo
la prevaricazione délVuomo, egli è in
un indirizzo
affatto
contrario a quello del Vico. Basti
citare infatti
alcune
parole del primo capitolo dell'opera su V
Origine
della
Sociefày le quali accennano ad un
pensiero dia-
metralmente
opposto ai principii e al metodo del
Vico:
«
L'uomo non è naturalmente portato alla
società civile;
e in conseguenza
non ebbe la società civile la sua
origine
immediata
o mediata dalla natura.* » Dopo ciò
il let-
tore capirà
qual valore possano avere le due*
scritture
del
Romano poco fa citate, specie le quattordici
lettere
sul
terzo principio della Scienza Nuova.
Non
parlo di Giovanni Lami, scrittore toscano
assai
fecondo
ma non men loquace e borioso, storico
erudi-
tissimo,
filosofo assai leggiero, teologo di gran
nome,
collaboratore
infaticabile nelle Novelle Letterarie e
degno
traduttore del Meursio; nelle cui note,
toc-
cando del
Vico, lo condanna nella questione su
le
XII
Tavole, e poi non so quali e
quante empietà sai
scorgere
nelle altre sue dottrine. Tanto meno
vo' in-
trattenermi
a parlare di Appiano Buonafede, il
quale
credendo
encomiare V autore della Scienza NuovOj
con
tutta
boria nazionale il contrappone ai Grozio,
ai Sel-
denio,
agli Hobbes, agli Spinoza, ai Montesquieu
e ad
altri
parecchi i quali, egli dice, annullano
la ragione
col
distrugger la religione. Il Vico, agli
occhi del Buo-
Vedi
pag. 81.
nafede,
non fece che innalzare nn edifizio
stupenda
in
favore della rivelazione, e scrivere
unicamente per
condannare
gli errori del suo tempo. In una
parola,
altro
in lui non seppe vedere tranne che
il senso della
religiosità
elevata a speculazione.*
Più
vivo interesse ha per noi l'opposizione
mossa
dal
Finetti, che non quella del Lami, del
Romano, od
altri
che sia. Ma non si può rammentare
il Finetti
senza
che il suo nome risvegli quello di
Emiiianuele
Duni
col quale scese in lizza e battagliò
fieramente. Na-
poletano
d'origine, il Duni professò nella Sapienza
di
Roma
verso la metà del secolo passato. Fu
scrittore,
se non
molto profondo, assai pregevole (checché ne
dica
il Ferrari) per lucidezza singolare d'idee,
grande
chiarezza
e facilità di dettato. Fino dal bel
principio
si
mostrò seguace caldissimo e pieno d'
entusiasmo delle
dottrine
del Vico, tanto che nel dedicare al
Ministro
Tanucci
il suo Saggio suUa Giurisprudenza Univer-
sale, fa
la sua profession di fede con queste
parole:
« In
mezzo ad un tempestoso mare di
scritti, co;ifesso
il
vero di non aver trovato altro
ricovero, che di sal-
varmi nel
porto della sapienza dell'incomparabile, e
(dicasi
pur francamente) del gran filosofo,
filologo e
giureconsulto
Giambattista Vico, gloria eterna della
nostra
napoletana nazione e maestro di quanti
mai fu-
rono ingegni
più scórti e illuminati.' »
Se il
Duni non apportò alcuna interpretazione ar-
dita nelle
tante applicazioni eh' egli fece delle
dottrine
del
suo maestro, ne fu nullamanco imitatore
sempre facile,
chiaro,
disinvolto, massime ne' suoi studii sul
Diritto 1
Romano.
Talora si mostra superficiale, come là
dove
* Vedi
Appiano Bconafedb, Istoria critica cUl
moderno diritto di '
fiatura
e ddU genti, libro stampato la prima
Tolta dopo il 1766 senza*
data
DÒ luogo, e poi riprodotta a Perugia
negli ultimi anni del secolo
scorso.
* Vedi
r ediz. completa in dao grossi Tolumi
delle opero del Duni '
&tta
dal Gonnarelli in Roma nel 1845.
non
gli riesce di cogliere la vera
teorica della conoscenza
secondo
il Vico, avvegnaché ne parii piii
volte, e più
volte
la difenda dagli attacchi del Finetti.'
Ma spesso
è
acuto, come quando parla delle due
fonti del Diritto
'
Universale (vero e certo, ragione e
autorità) tuttoché non
sappia
vedere qual relazione corra fra questi
termini.
Ciò
nullameno intende a maraviglia questo punto
: che
VAidorità
pel Vico altro non sia che la
stessa Bagionef
ma la
ragione più o meno ingannata, la
quale è madre
del
diritto delle Genti e civile ossia
volontario ;doYecchè la
ragione
(Ratio) è in quella vece il pensiero
puro e indipen-
dente da'
fatti.* Ma ciò che poi sveglierà più
vivo inte-
resse é
la dottrina onde questo dotto storico
giusnaturali-
sta
difese il Vico, e per la quale
vuol esser rammentato
a
preferenza di tutti i critici e
seguaci del filosofo na-
poletano;
dico la dottrma risguardante l'origine del-
l'uomo. Egli
merita elogi per aver sostenuto in
Italia
con
parola coraggiosa e libera, una lotta
accanita con-
tro Teologi
e Tradizionalisti in nome della Sdenea
Nuova.
Il suo avversario fu appunto il
Finetti. Sotto
gli
occhi del Papa e dei cardinali,
adunque, nella Sa-
piìinza
di Roma, nel bel mezzo del secolo
XVIII, sur-
sero
due sette chiamate dei Ferini e degli
Antiferini;
l'una
delle quali propugnava l'orìgine ferina dell'uomo,
dovechè l'
altra, con la Bibbia alla mano,
oppugnavala
gagliardamente.
Era senza dubbio l' esigenza del Darwi-.
nismo
che affacciavasi allora sotto forma
astratta,
speculativa
e quasi divinativa, per opera della
Scienza
Nuova,
Se non che occorre notare sin da
questo mo-
mento una
delle contraddizioni, anzi la massima con-r
traddizione
del Vico, cioè la nota distinzione
tra popolo
eletto
e popoli imbestiati dopo il diluvio.
Contraddizione
palese,
com'è evidente; perocché la legge storica
su
la
quale si cardina la Scienza Nuova,
con tale odiosa
distinzione
non è altrimenti una legge, appunto
perchè
* Vedi
Seiefua del Co»tume^ pag. 97.
* Vedi
Saggio $uUa Qiurisprudtnua untvtnaltt p.
64.
manca
del carattere d'universalità. Di tali
contraddi-
zioni nel
Vico troveremo più d' una. Ma i
primi cri-
tici e
seguaci delle sue dottrine non erano
atti a risol-
verle, e
depurare il vero dalla mischianza di
certe idee
assai
poco omogenee fra loro.^
Ora
questa medesima contraddizione passa nella
mente
del suo discepolo Duni; il quale
perciò difen-
dendosi
dagli attacchi del Finetti, dice : a
Io già mi di-
chiarai nel
mio Saggio, e qui ripeto lo stesso,
che non
intendo
di ragionare dell' origine e creazione
del mondo,
e
molto meno della nazione ebrea; ma
soltanto del-
l' origine
delle nazioni gentili* »
Il Finetti
poi nel contraddire al Duni e quindi
al Vico
quant' all'
origine dell' uomo, presentavasi armato di
tutte
quelle
svariate pruove che sanno dare la
Bibbia e la
costante
tradizione degli scrittori'cattolici. Contraddiceva
alle
affermazioni sia de' poeti sia degli
storici antichi ai
quali,
dietro l'esempio del suo maestro,
affidavasi il
Duni;
e chiamava i primi indegni di fede,
mentre di- ,
chiarava
i secondi ignoranti e grossi d' ingegno.
Però
negava
risolutamente quelle tre note circostanze
onde
accompagnasi
lo stato ferino siccom'è concepito dal
Vico:
vita affatto solitaria, mancanza di
linguaggio,
uso di
venere vaga. 11 Duni invocava anch' egli
l'au-
torità degli
oratori, degli storici e dei filosofi
più illu-
stri
dell'antichità, massime di Platone, d'Aristotile,
di
Cicerone;
e più che altro faceva rilevare il
fatto dei'
popoli
ferini contemporanei. Ma le scienze
naturali non
avean
peranche cominciato a spandere alcun raggio
di
luce
in proposito, ne poi l'ingegno del
Duni avea tan-
t* ala
da elevarsi a comprendere que' germi
di principii
*
Nelle lettere, per esemplo, del di
Gheminghen a Tommaso Alfano,
in eoi
si discorre sol Talore del programma
pubblicato dal Vico avanti
il
1720 al sao Diritto Universale, leggiamo
queste parole: e Son curioso
di
Tederò come- 1* Aatore, trattando della ragione
amana corrotta, la •
possa
connettere con la moral cristiana, e
far quella principio di que-
sta l
> Vedi Op. di Vico, ediz. Predar!,
pag. 762.
* Vedi
Op. cit. Risposta al Finetti, pag.
40.
cosmologici
sparsi nel LS}ro Metafisico, e in
questi at-
tingere
forza a meglio interpretare e propugnare
le ap-
plicazioni
fatte dal Vico nella Sdenisa Nuova.
La con-
traddizione,
dunque, passata dal maestro al discepolo
*
e il
non aver saputo cogliere il principio
cosmologico
del
Vico, fece sì che tale polemica, nel
modo ch'era
sostenuta
dal Duni, apparisse inefficace e
manchevole.
Debole
e manchevole infatti ci sembra questa
ma-
niera di
ragionare : « Voi vorreste che i
primi fondatori
delle
nazioni fossero stati dotati d' innocenza
di costumi.
Ma,
caro signor censore, come potete voi
spiegare le
origini
dell' idolatria, la barbarie, l' immanità
negli usi
delle
orride loro religioni piene di duro
materialismo?
Come
l'immanità delie loro leggi e costumi,
le cui re-
ligioni si
sono per lungo tempo conservate finanche
nei
tempi
della maggior loro cultura, per qui
tacere le ori-
gini delle
lingue, delle poesie, della frode e
cose simili?
Come
finalmente i progressi di tali nazioni
di cui ne
abbiamo
le memorie troppo sicure, e non
soggette alla
minime
dubbiezze? Ma, giacché i monumenti e
la sto-
ria degli
antichissimi e de' presenti barbari popoli
sono
per
voi sogni, favole e delirii, perchè
non ci dite con
quali
altri principii, origini e progressi di
cose umane
debbasi
ragionare di questo mondo, degli uomini,
deUe
nazioni,
delle tante umane istituzioni, delle
origini e
progressi
delle umane industrie nelle colture delle
co-
gnizioni,
alle tante maravigliose invenzioni, nei
governi
e
polizia de' popoli ed in tante altre
maraviglie che os-
serviamo nel
gran teatro di questo mondo degli
uomini?
Come
non sapete che i costumi e le
leggi umane deb-
bano
necessariamente trarre loro origine e
progressi
daUe
idee degli stessi uomini? Come potete
negare il
vario
corso di tali costumi, che di grado
in grado spo-
gliandosi
del materialismo, li troviamo di fatto
più puri
nell'
età avanzata che nella fanciullezza di
tutte le na-
zioni.* » —
Io non dico che tutto ciò non
sia vero: dico
* Vedi
Risp. al Finetti, pag. 41.
che il
Duni, a difendere invittamente la sentenza
del
suo
maestro, avrebbe dovuto movere dai
principii co-
smologici e
psicologici, i cui germi non mancano
cer-
tamente
nelle opere del Vico.
Gasuista
acutissimo, quanto insolente, il Finetti
sor-
rideva a
sentir elogiare e difendere questa dottrina
della
Scienza Nuova; e tutto pieno d'entusiasmo
reli-
gioso
rispondeva con XXIII obbiezioni cavate dai
libri
santi.'
Quindi esclamava: « Dottrine veramente
altissime !
religiosissimi
e ammirevoli pensamenti ! Tra le
varie cose
onde
pretende il Vico di far grandemente
spiccare la
divina
Provvidenza, una è quel capriccioso di
lui corso
delle
nazioni sulle regole, diciam così, del
trel II Duni
andrà
in estasi a tal pensamento ; e
pure a me è sog-
getto da
ridere, spezialmente quando si pretende con
à
costante ternario di far spiccare la
divina Provvi-
denza ;
essendo chiaro eh' ella rìsplende nella
grandezza
ed
importanza de' fini e nella idoneità
e giusta propor-
zione dei
mezzi, e non già nel far correre
le nazioni
pe'
numeri di tre o quattro. Un tale
giuoco non sembra
certamente
degno dell' infinita sapienza di Dio.*
» E al-
trove,
allargando la sua critica, aggiunge :
« La maniera
di
filosofare inventata dal Vico è tale,
che può porgere
delle
armi per oppugnare la Religione.... e
non poco
corredo
a chi voglia farne uso per impugnare
e met-
tere in
dubbio la Sacra Scrittura e la divina
rivela-
zione....; »
tanto che paragonandolo al Boulanger, uno.
degl'increduli
de suoi tempi (com' egli stesso
nota), non
dubita
porre a riscontro le dottrine dell'uno
con quelle
dell'altro
per otto diflferenti capi.
Com' è
chiaro, il Finetti non ebbe tutt' i
torti se gli
venne
in grave sospetto la Scienza Nuova.
Avea torto
bensì
nel confondere, come il Romano, tale
dottrina del
Vico
difesa dal Duni, con quella de' filosofi
francesi
' Vedi
Sommario delle oppoeizioni del Sietema
Ferino di Vico alla
Sacra
SeriUura, p. XI, XII.
* Op.
clt pag. IX.
de' suoi
tempi. Ed è a confessare che questo
mede-
simo torto
hann' avuto di poi parecchi altri
critici, an-
che viventi,
laddove parlano della dottrina su lo
stato
ferino
propugnata nella Sdeiiza Nuova» Avvertiamo
una
volta
per sempre che lo stato di natura
del Vico noa
ci ha
che vedere con quello de' giusnaturalisti
vis-
suti nella
seconda metà del secolo XVII, e nella
prima
del
XVIII. E tornando al Finetti, a
meglio capire la
maniera
della sua critica, nonché il carattere
delle sue
opposizioni,
giova qui rammentare certe parole, da
lui
stesso
riferite con aria di trionfo, d'un
personaggio"^
napoletano.
Il quale, stato già scolare per più
anni del
Vico,
raccontava come il suo maestro in
Napoli fosse
ritenuto
per uomo veramente dotto, ma che poi
fosse
stimato
pwsfjso a cagione delle sue stravaganti
opinionL
Il
Finetti si degna dirci d' aver chiesto
a quel gentiluomo
partenopeo
se quando il Vico scrisse la Scienjsa
Nuova
fosse
dotto, 0 non più veramente pazzo.
<i Oh allora
era
divenuto affatto pazzo!» dice rispondesse costui.
j
Concludendo
: questa polemica tra un filosofo
teologo
e un
discepolo del Vico, dietro a' quali
senza dubbio
v'erano
due schiere, due scuole e due
partiti, ci mo-
stra come
nella Scieììza Nuova ci dovesse essere
qual-
cosa
d'originale, e come fin d'allora scrittori
di filo-
sofia e
di storia e di diritto se n'
accorgessero tosto. E
che
cotesta polemica non fosse molto pacata
e serena,
ce lo
dicono le due sètte de' Ferini e degli
Antiferi-
niy
nelle quali si divisero i propugnatori
delle due dot-
trine.
Talché può dirsi in generale che le
dottrine del
Vico
fin di principio siano state parte
accolte e studiate,
parte
accanitamente discusse e avversate da
uomini ìn-
' Ho
Toloto accennare a tal particolare per
un altro motivo. Uno degli
ultimi
critici del Vico, il Cantoni, come
vedremo, pensa che la seconda
Seiemm
Nuova segni appunto il decadimento dell*
ingegno del Vico. So
ciò
che il Finetti racconta è vero, il
Cantoni potrà avere una ragiono
di più
a credere che le opere latine fossero
state scritte dal Vico men-
tr*
era dotto^ e poi da pauzo scrivesse
la Sdenta Nuova, segnatamente
la
seconda, stantechè la pazzia naturalmente
andò progredendo!
gegnosi
e iUustri professori di Università, coin'
erano
il
Dani e il Finetti. Nel qual giudizio
ci conferma inoltre
il
sapere come le dottrino del filosofo
napoletano ve-
nissero
accolte, interpretate e insegnate altresì
dal Con-
cini^ nella
Università veneta,' e come nel medesimo
giro
d'anni facessero lo stesso con le
loro pubblica-
zioni il
Ganassoni, il Rogadei, il Gaglio, il
Bisso, e ili
Natale.*
E dopo questo movimento scientifico inaugu-
rato dalle
dottrine del Vico nella mente di
molti sia
per
averle questi accettate e difese
ciecamente, sia
per
averle respinte assolutamente, meglio che
opposi-
zioni
dirette incontriamo ripetizioni più o manco
in-
gegnose,
come per esempio nello Stellini, nel
Cuoco,
nel
Pagano.
Comecché
noi citi, è impossibile che Iacopo
Stellini
abbia
ignorato aiFatto le opere del Vico;
egli amicis-
simo del
veneto Conti, e questi amico e
ammiratore
profondo
del Vico. Ma sebbene imitatore, non
riuscì a
far
progredire d'un passo le dottrine della
Scienza
Nuova.
Nella quale non essendo difficile
argomentare
il
concetto, per esempio, della morale
considerata se-
gnatamente
sotto l'aspetto di processo storico, egli
avrebbe
potuto comporre la scienza del bene e
del-
l'onesto
con disegno ben diverso da quello eh'
e' me-
desimo
adoperò in quel suo sconfinato corso
di morale.
Al
tutto subbiettiva infatti è per lui
la morale. E
se
nello studio delle facoltà psicologiche
vuol darsi
a
credere seguace dell'esperienza e
dell'osservazione
storica,
nullameno, a guardarci bene addentro, della
psicologia
e' non seppe sul serio fare alcun
uso sto-
rico, tanto
che pose come sorgente della morale
e
* Vodi
C^CInJ^a, Origini» fundamenta et capita
prima Jurit Xaturali*.
Padora,
1784.
' Pel
Ganassoni Tod. Oposo. del Calogerà, la
Memoria in difesa del
principio
del Vico so T origine delle XII
T&xoìq. — "RoGAD^h Saggio dd
diritto
pulbìico e politico del Regno di
Napoli: e specialmente DdV an-'
tico
Stato de' popoli d' Italia CÌ9tiberina. ~
Vedi anche nel Colangblo,
BiìAioteca
analitica ec •
de'
costumi il contrasto e l'accordo delle
facoltà. Ma
in che
mai risiede la vita, l'organismo di
esse? Lo
IStellini
non sospetta neanche la possibilità di
questo
problema.
Copia bensì la legge del Vico nel
disegnare
U
corso storico onde la barbarie procede
a civiltà;
ma,
piii che legittimarla con pruove storiche,
non fa
che
illustrarla con vaghe affermazioni psicologiche.
Così
pure,
se con tutta facilità copia i corsi
e i ricorsi storici
della
Scienza Nuova, spesso gì' intende
materialmente, e
I
talora persino in significato intieramente
contrario al-
l'insieme
delle dottrine vichiane, come quando ci
dice
e ci
assicura che il primo stadio dell'umanità
fosse stato
una
specie d'età dell'oro, età d'innocenza, età
di nes-
sun bisogno
fisico né morale.*
In
verità bisogna confessare che lo Stellini
somi-
glia la
scimmia la quale pur pretende ritrarre
la pa-
tente virtii
e le fiere e sublimi bellezze del
leone :
barbogio
Chinese, che mentre vuol imitare l'Europeo,
pili
che rifarlo, non riesce che a
contraffarlo ! Né questo
mio
linguaggio rechi maraviglia ad alcuno. Come
infatti
maravigliarsene,
se i poemi omerici per lui non
rappre-
'
sentavano che una medesima età ? se degl'
istinti po-
polari, per
quanto volesse parlarne, mai rfon pervenne
a
comprendere il gran valore e la vital
funzione nel-
r
opera della storia? se nelle morali
disciphne me-
' todo
unicamente accomodato disse quello delle
scienze
fisiche?
Fiacco imitatore, lo Stellini volle
nonpertanto
dissimularne
gli artifizi, ma non ebbe virtii a
produrre
sol un
concetto originale, e nessuna dottrina
della
Scienza
Nuova vantaggiare d'alcuna ingegnosa inter-
pretazione.
E pure il Bomagnosi ebbe cuore a
dichia-
!
rarlo superiore al Vico: gli stranieri
traevano in folla a
visitarlo,
e finì per aver titolo di Socrate
novello!
Ma
seguace piii amoroso del Vico e assai
più intel-
' Chi
non roglia ricorrere a11*edÌ2. di Padova
delle opere dello
Stellini,
può leggere queste idee nel VolgarinMamento
fatto dal Valbbiaxi
dell*
Origine e pr agretto de* coetumi^ 4>
ediz. Siena, 1829.
ligente
fu, al pari del Duni, il Pagano,
di cui il solo
nome è
ricordo pietoso ad ogni anima gentile
e aperta
ai
sensi di libertà. Come nel Duni, così
pure nel Pa-
gano le
idee vichiane leggiamo esposte con
chiarezza e
facilità,
ma anche con troppa imitazione; che
anzi è
da
confessare come in lui faccian difetto
alcuni pregi
del
Dunf, per esempio là dove pone
questi principii :
— che
lo stato della primitiva barbarie non
fosse gene-
rale ;
che la gelosia, piuttosto che un
certo vago senso
religioso,
spingesse T uomo al matrimonio ; e
che tra la
barbarie
originaria e la barbarie medievale il
Vico
non
iscorgesse divario di sorta: — il che, come
vedre-1
mo, a
noi non sembra punto vero. Ma grave
errore
del
Pagano è quello di volere interpretare
la storia in
un
senso troppo fisiologico; e questo tiene
alla efficacia
che
nella sua, mente esercitò la filosofia
francese di
quell'età.
E alla stessa cagione forse è
da riferire
s' ei
non seppe vedere come il processo
storico non sia .
né
possa essere unilaterale, ma complesso,
organico,
dovendo
abbracciar tutte le manifestazioni e tutti
gli
elementi d'
una data storia e civiltà. Per le
quali cose
non
possiamo accettare la sentenza ond' altri
ha pro-
nunziato,
che i Saggi del Pagano siano la
interpretp,-
zione
più fedele della Sciema Nuova: tanto
piii che
il
Pagano, intendendo in maniera grossolana al
pari
dello
Stellini la dottrina del corso e
ricorso, non dubita
sostenere
che le nazioni tutte a per lo
stesso movimento
onde
son rimenate alla luce della cultura,
ricadono
nelle
tenebre della natia barbarie. » Nel
che non s'ac-
corge quel
nobile e sventurato ingegno come il
ricorso
del
Vico sia anche progresso, e come il
suo svolgimento
abbia
luogo in età diflFerente da quella in
che accade t
il
corso della civiltà; mentre al contrario
in un medesimo
popolo ,
per esempio nel greco, egli vede
insieme un |
eorso
e un ricorso storico.* Il Pagano
dunque non iscorge
* Vedi
Mario Pagano, Op. edlz. Capolagro, Gap.
VI. Saggio VI,
il
modo con che il suo maestro intese
coordinare i diversi
momenti
de' grandi periodi della storia eh'
ei disse corsi
e
ricorsi storici. Non riesce a salvam
dall'errore, nel
quale
intoppò lo Stellini, d'ammettere una prima
età
storica
non ferina, ma innocente. Non sa
vedere l' er-
rore del
Vico, oggi assai grave, delle catastrofi
e dei ca-
taclismi
fisici onde gli uomini furon da prima
scossi e
menati
a civiltà. Finalmente, come origine
assoluta delle
famighe
ponendo il ratto delle donne per
opera degli
uomini
forti, non s' avvede che nelle dottrine
del mae-
stro, più
che- cagione, cotesta era semplice
occasione,
non
altrimenti che le suddette catastrofi e
cataclismi
di
natura. Ma è da notare che fra
tanti errori egli
talora
sorpassa il maestro, non che i
mitologi suoi con-
temporanei,
quando sostiene, per esempio, che i
Greci,
\
quant' a mitologia, non facevano che
vestir poetica-
mente
racconti d' origine primitivamente orientale.*
Né a
quel tempo erasi ancor difi'usa quella
febbre,
che
tutti oggi invade, dell' orientalismo
indiano. E Vin-
cenzo Cuoco,
benché seguisse il Vico nelle esagerate
,
interpretazioni del suo Platone in Italia,
romanzo fatto
sul
gusto délVAnacarsi del Barthélemy; ne
divina ta-
lora qualche
idea originale come quando pone, a
dirne
solo
quest'esempio, un'origine spontanea anzi che
co-
municata e
artificiale alle manifestazioni storiche, reli-
giose,
mitologiche, poetiche e poUtiche. Così mercé
il
Pagano
e il Cuoco, entrambi ingegnosi discepoli
del
Vico,
temperavasi quella dottrina del maestro
che, come
vedremo
in altro luogo, potrebb'essere interpretata
con
opposti
e contrari significati. E vuoisi che
il Cuoco
meditasse
e anche scrivesse un lavoro sulla
Sdenta
\
Nuova, ma che da sé medesimo avesse
poi distrutto,
forse
per que' motivi politici che sì
crudelmente gli fu-
nestaron
l'animo, il quale, non meno del
Pagano, egli
ebbe
pieno di carità patria. Del Cuoco
in sostanza
* Op.
cit. Saggio I, Gap. XXIII.
non
abbiamo ne interpretazioni, né esplicazioni
del
pensiero
che informava la Sdenta Nuova, degne
d'esser
rammentiite.
È bene anzi avvertire com' egli ne
acco-
gliesse
alcune idee al tutto erronee: quella,
per esem-
pio, d'
un' antichissima sapienza italica, anteriore
alla
romana
e alla greca per cui riteneva che
gli Etruschi,
sparsi
un tempo per tutte le terre italiane,
avessero
costituito
un popolo solo. Non pertanto il Cuojo
dà
s^ni
evidenti d'avere studiato la Scienza Nuova
ed
essersene
giovato, chi consideri quanto egli imitasse
e
ripetesse
le idee del Vico, ma sempre in
modo inge-
gnoso,
acuto, geniale, sul corso della civiltà,
su la co-l
stituzione
di Roma e su la legislazione in
universale.
Chi
dovea più d' ogn' altro valersi del
Vico in fatto I
di
principii legislativi fa il Filangieri. Il
quale, se stu-
•
diasse le opere del nostro filosofo,
e se in grande ve-
nerazione
avesse alcuni principii di lui, ce lo
atte- .
sta,
da una parte, una lettera del Goethe
scritta da
Napoli
nel 1787,* e dall'altra le citazioni
ch'egli
stesso
£a e le dottrine eh' e' non di
rado toglie dalla
Sdenta
Nuova. Dalle opere del Vico infatti
esce lumi-
nosa la
prova dell' esistenza d' un elemento
universale
e
assoluto nelle leggi guardate lungo il
processo isto-
rico,
e per cui la legislazione nella
storia non è altro
che la
incarnazione dell'idea del Diritto; della
quafe
egli
aveva additato, come vedremo, il principio
-nel-
r opera
sul Diritto Universale. Perciò nella
Scienza
Nuova
avverte che la filosofia del Diritto
considera
Vuomo
guai ddb' essere mentre la legislazione
censi- '
dera V
uomo quale è per farne buoni usi
neW umana
società}
Ora appunto la seconda parte di
questa sen-
tenza tolse
a studiare il Filangieri, e però
diciamo che la .
scienza
della legislazione altro non sia, chi
ben guardi, '
che
un' applicazione di questo concetto
vichiano. E vera-
mente, se
ad applicare ottime leggi al civile
consorzio
* Vedi
nel Cintohi, Studi oritiei, ec. pag.
276.
• Vedi
Degnità VI, VU.
è
necessaria l'esperienza; e se l'arte dello
sperimento
non è
possibile in siflFatt' ordin di cose
tranne che me-
diante la
storia; perocché se la storia elevata
a filo-
sofia è
atta a mostrare che i fatti
legislativi, guardati
nella
loro idea e nelle attinenze con altri
fatti pos-
8on
essere considerati come altrettanti esperimenti
che
la
civiltà va seco medesima operando: se
tutto ciò è
vero,
.è da concludere che l' antecedente logico
della
Scienea
deUa LegislcusAone sia per l' appunto la
Scienea
Nuova.
Laonde non parmi che il Lerminier s'
apponga,
dicendo
il Filangieri seguace del Montesquieu,* per
la
semplice
ragione che il medesimo Filangieri ebbe
co-
scienza di
non dover battere le vie già con
tanta gloria
calcate
dal filosofo francese, com'egli stesso ci
assicura.
Filangieri
non intese a ricercar leggi, né a
descriver |
costumi
: volle anzi levarsi alla teorica dei
costumi e •
delle
leggi. Ora cotesta teorica, come vedremo,
è inutile
cercarla
nel Montesquieu ; ed è inutile
cercarvela anche
per
confessione degli stessi Francesi. Ripeto
quindi che
la
Scienza della Legislazione, chi la guardi
nella origi- 1
nalità
del suo disegno, è di fattura tutta
italiana, e
possiamo
designarla perciò come una pagina
(splendida
pagina
in vero!) della Scienza Nuova.
Ciò
non pertanto è da confessare come il
Filangieri
talvolta
s'accosti, forse anche troppo, al fare
del Ro-j
magnosi,
il cui pensiero mostra d' avere tanta
affinità
con la
filosofia francese. In gran parte meccanica
e
artificiale
riesce infatti la sua dottrina storica,
alla
quale
si riferisce la legge ch'egli espone
su le Religieni
e eh'
è pure una debole imitazione attinta
nel Vico ; 1
ma è
tal legge, ch'io starei per dirla
disorganata.
Filangieri
è da lodare per piil conti, massime
per aver
I
saputo cogliere il vero di quel
principio vichiano sulla
incomunicabiUtà
originaria dei miti presso popoli dif-
ferenti: *
col che mostra d' aver attinenze
sempre piiì
'
ItUroduction generai eo. Gap. XV, pag.
188.
* Vedi
Scienxa ddla Legialanone, Gap. VI.
apffini
con gli altri seguaci e imitatori d'
un comune
maestro
e d' un ispiratore comune, quali
abbiam visto
essere
stati per differenti guise il Duni,
il Cuoco, il
Pagano.
Se non
che, come la tendenza alla pura
imitazione
eccita
spesso la critica, parimenti la critica
efficace!
e
produttiva viene più spesso eccitata dalla
critica
infeconda
e negativa. Così Melchiorre Delfico quan-
tunque più volte
citi '1 Vico e ne accetti perfino
al- )
cune
dottrine su la Giurisprudenza romana, si
pre-
senta come
negazione dì lui quando si pensi che
il
Vico
fu primo interprete critico del Diritto
Romano, e
dicasi
pure della Storia romana. Il dubbio
critico e fe-
condo
dell'uno su le origini di Roma e
delle XII Ta-
vole,
diventò dubbio scettico nell' altro. Egli
infatti
giunse
a dire che la comune opinione sulla
grandezza
romana
devesi ridurre al solo ingrandimento de'
con-
fini,
ottenuto spesso con mezzi rei ed
infami.* E se
il
Gravina appoggiandosi all' autorità di
Cicerone fin
da' primordi
del secolo XVIII appella Diritto per
ec-
cellenza il
Diritto Romano; il Delfico, in su lo
scorcio 1
dello
stesso secolo, non teme affermare che
Roma,
tuttora
barbara e ignorante, avea già veduto
a' suoi
fianchi
gli Etruschi, i Sabini, gli Umbri,
celebri già
per
leggi e per giustizia, gli Equi e
gli Equicoli,
così
appellati perchè giusti. Che cosa ne
fecero i Ro-
mani se
non distruggerli, piuttosto che imitarli?'
Le
grandi
lodi poi fatte in ogni tempo ai
frammenti
delle
XII Tavole, egli chiamava letterario
fanatismo.
Il
tanto encomiato Diritto Civile riguardava
come ri-
saltato
delle interpretazioni dei Giurisprudenti e
delle
dispute
forensi. Incertezza, arbitrio, volontà di
conser-
vare r
aristocratico dispotismo diceva essere il
carat-
tere proprio
del Diritto Romano. Che se Roma
cadde,
* Vedi
Riocrehe nU vero earattere della
Oiurttprudenxa Romana e dei \
9uoi
cultori. Firenze, 2" ediz. 1796,
Introd. pag. 27.
non
cadde perchè oppressa dal pondo dell'
estrema sua
grandezza,
ma per mancanza di base e difetto
di solida
architettura
nell'edifizio. E conchiudendo poi la prima
parte
del suo libro, afferma che : (c
la giustizia di Roma
fu in
principio quale può essere neUa barbarie;
d'indi|
quale
dev' essere nell' anarchia, nella
confusione delle
leggi,
e nella generale corruzione.* » Talché
in ogni età
al
pensiero del Delfico Roma si presenta
in antitesi con
la
ragione e con la umanità: la
giurisprudenza per lui
è il
fatale retaggio eh' ella ci lasciò, e
i secoli ne hanno
moltiplicato
le specie.*
Vedremo
altrove, che se il Vico fu primo
a studiare
con
riservatezza guardinga e saviamente scettica
la sto-
ria del
popolo e del Diritto Romano assai
cose distrug-
gendo
accolte già e sanzionate dall' autorità
di molti
secoli;
non però cadde in quell' aperto e
desolante scetti-
cismo che,
uccidendo i fatti nella storia, spegne
ad un
tempo
la fede nell' animo di chi ne
interpreta il signi-
ficato,
com'è appunto il caso del Delfico. Il
Vico anzi
pervenne
a dimostrare, come vedremo, una legge d'
in-
timo
progresso nelle successive manifestazioni
storiche '
del
Diritto Romano. E questo evidentemente
contrad-
dice al
dubbio scettico del Delfico.
Così
può dirsi chiuso il primo periodo
degli scrit-
tori che
han discorso di questa o quella
dottrina del
nostro
filosofo. Nel qual periodo, ciò che
ha molto valore |
per
noi, è la polemica fra il Duni
e il Finetti: il resto è
lavoro
d'imitazione piii o meno fedele che
solamente nel
Filangieri
comincia ad assumere forma d' esplicazione
'
originale.
E questa tendenza imitativa, che finisce
con lo
scetticismo
giuridico e storico del Delfico, ci
mostra poi
quanto
sia vera quell'osservazione fatta da
parecchi sto-
rici
nostrani, che la snervata filosofia
firancese principal-
mente
scemasse originalità agli scrittori italiani d' allora,
togliendo
loro il poter discemere qual novità
di principi!
avesse
introdotto il Vico nel regno della
scienza e della
storia
umana.
Tra il
secolo XVIII e il secolo XIX possiamo
dire
che
corra un abisso. Nell'ordine puramente
speculativo
ci è
di mezzo il Criticismo; e nell'ordine
delle idee stori- 1
che e
giuridiche, come in quello de' fatti
politici, abbiamo
i
filosofi giusnaturalisti francesi, e la
grande Rivoluzio-
ne. Con
la Scienza Nuova noi avevamo già
prevenuto
l'esigenza
critica, dal puro mondo dell'attività
psicolo-
gica
trasferendola e compiendola nel regno dell'
attività
storica;
e nell'ordine delle idee avevamo sorpassato
al-
tresì la
Rivoluzione, perchè, ammesso il processo
istorico
al
quale, secondo la Scienza Nuova, deon
soggiacere tutti
i
fatti e tutte le idee, non v'è
pagina in questo libro dove
non si
senta la necessità, e non si tocchi
con mano, per
così
dire, lo scoppio d'un radicale innovamento
negli or-
dini del
consorzio civile, politico e sociale.*
Brevemente:
nei
tempi moderni veggiamo accadere nel nostro
pen-
siero quello
stesso che venne verificandosi nell' età
del
Risorgimento.
Co' nostri vecchi filosofi noi avevamo
ardi-
tamente
sorpassato la Riforma, nel modo stesso
che con
le
nostre scuole politiche (sempre nell'
ordine dell'idee)
*
Nella Sociologia mostreremo che co*principii
del suo Diritto C7ni-1
vende
il nostro filosofo Compie la dottrina
della Socialità di Orozio,
corregge
i prìncipii e quindi le consegoonze
der Naturalimno speculativo e
wteta/meo
di Spinoza, inrera il Natwali«mo empirico
di Hobbes, contraddice
al
TeoeraiÌ9wu> della scuola di Bossuet,
alio Scetticismo giuridico di Bayle,
di
Pascal e di Montaigne, e previene le
idee principali di Montesquieaj
e di
Rousseau legittimandole nel suo concetto
istorico.
avevamo
già sorpassato le tendenze nonché i
bisogni
politici
di quell'età.*
Col
primo schiudersi del nuovo secolo, adunque,
non
può
non ischiudersi un periodo novello di
studi assai
più
severi circa le dottrine del Vico ;
talché V abisso
fra' due
secoli poco fa accennato per noi non
esiste, e
in
ogni modo la Scienza Nuova avrebbe
trionfato nel-
r
animo nostro come nelle nostre menti: avrebbe
trion-
fato nella
nostra storia civile come nel nostro
pensiero
filosofico,
quand' anche il gran fatto della
Eivoluzione
non ci
avesse scosso. Ci saremmo arrivati da
per noi J
forse
più lenti, ma certo più securi. D
segnale dunque
de' nuovi
studi s'inaugura cqu coscienza più chiara
sul
valore
delle dottrine vicinane, e tal segnale
ci è dato in-
nanzi tutto
da im poeta assai splendido nella
forma quale
fu
Vincenzo Monti, e da un poeta assai
potente e insieme
potentissimo
prosatore quale si fu Ugo Foscolo.
Nel 1803
in una
delle nostre più illustri Università, il
Monti
pronunziava
quella beUissima sentenza che poi tutti
hsìn
ripetuto
e ripetono parlando del Vico: La
Scienza
Nuova
è come la montagna di Golfonday irta
di scogli
e
gravida di diamanti. E quindi soggiungeva:
Chi
amasse
di chiamare a rivista le idee
generatrici e pro-
fonde delle
quali si è fatto saccheggio nel Fico,
tesse-
rebbe lungo
catalogo, e nuderebbe a moUe riputa^zioni.*
Ma il
Monti sente la verità e grandezza
delle idee
vichiane
com' un poeta. Il Foscolo dà un
nuovo passo
e va
molto più innanzi allora che nel
1805, nel celebrato
discorso
d'apertura all'insegnamento letterario nella
stessa
Università Pavese, piglia a trattare con l'
usata '
maschiezza
d'ingegno il vasto soggetto dell' origine e
dell'
ufficio della letteratura; nel quale prova
insieme
quant'
avesse studiato le opere del nostro
filosofo, e
come
sotto novelle forme si possa applicarne
le dot-
*
Ferbari, Cforto augii aeriUori Politiei
italiani^ pag. 846.
* V.
Monti, Proluaùme agli atudi delV
Univeraità di Pavia, MUa-
no,
1804. Pag. 58 e 59.
trine
anche nei temi letterari. Ugo Foscolo
avea colto
il
valore d'alcune sentenze psicologiche sparse
nei lihri
del
filosofo napoletano ; e da queste
appunto ei seppe
trarre
il concetto posto come principio
fondamentale
del
suo ragionamento. Egli, infatti, ricorre ai
bisogni
dell'uomo
nel rintracciar Torigine delle lettere; e
quindi
reputa
necessario investigarne la natura psicologica
studiando
le facoltà stesse dell' uomo.' Che
poi avesse
meditato
e inteso le altre dottrine del
filosofo, lo mostra
il
modo, per dire un esempio, con che
egli discorre \
ea
l'origine e su la natura della
parola; la quale, tra-
ducendo
quasi lo stesso linguaggio del Vico,
dice essere
ingenita
in noi e contemporanea dia formazione
dei
sensi
estemi e delle potente mentali. Seguace
del nostro
filosofo
anche si palesa quand' accenna
fuggevolmente
a
certe idee (per esempio a quelle del
diritto e del
dovere)
le quali, manifestandosi dapprima idoleggiate
con
simboli ed immagini, si snodano poscia
e parlan
quasi
da sé stesse nella nuda verità di
ragione. Seguace
altresì
quando tocca delle origini del consorzio
sociale
e
dell'imperio civile: del che poi egli
stesso ci assi-
cura dove, accennando
a' poeti filosofi, dice che delie
verità
sui principii di tutte le nazioni
vedute dal VicOy
egli s'
è studiato dimostrare e applicare le
conseguenze
alla
storia dei nostri tempi} Dottrine del
Vico, finalmen-
te, applica
nel discorso su le De^cazioni nella
Chioma '
di
Berenice, secondo che confessa da sé
medesimo.
Ma
alla Scienza Nuova volge tosto gli
occhi con ben
altro
acume di critica il napoletano Cataldo
lannelli;
la qual
critica, come vedremo, esagerandosi nel
Roma-
gnosi,
finisce per esser perdutamente scettica nel
Fer-
rari. Di
tutte le opere o studi fatti su
la Scienza Nuova
quella
che più d'ogn' altra merita d'esser letta
e me- !
ditata
è appunto l' opera del modesto impiegato
della
• Vedi
Ditearto delV origine e deW ufficio
detta LettercUura^ nel vo-
lume deUe
Lesioni <r Eloquenza, edizione di Napoli
1888, pftg. 28.
* Vedi
op. cit., paf . 89.
Biblioteca
Borbonica sa la natura e necessità
della
scienza
delle cose e della storia umana. Il
Michelet lo
ha
chiamato discepolo legittimo del Vico; e
il Roma-
gnosi,
credendo correggere la frase dello
scrittore fran-
cese, ha
voluto designarlo come legittimo giudice
dei
Vico,
Lo lannelli, per noi, è giudice e
discepolo insie*
memente.
Se la
Sdenea Nuova, come ci dicon tutti, è
una sin-
tesi
prematura pel secolo in che apparve;
il libro detto
lannelli
ne sembra, per così dire, l'analisi.
Per esempio,
la
bella dottrina de' nessi^ specie quelU
di successione ■
e di
comunicamene sociale, non è altxo che
l'esplicazione
di
quella del Vico su lo svolgimento
originario e spon-
taneo delle
diverse civiltà. Or quest'analisi dello
lannelli
era
logicamente necessaria; che anzi tutte le
odierne
ricerche
filologiche paleografiche paleontologiche mito-^
,
logiche
e storiche, a ben guardarle, non sono
che l'ana-
lisi più
minuta e più accurata di quella
sintesi primitiva
e
possente cui seppe levarsi il pensiero
nella Sdenea
Nuova.
Sicché tanto il Vico con la sintesi,
quanto lo
lannelli
con l' analisi, può dirsi abbiano
anticipato quel-
r
attività prodigiosa e fervente cui ci
è dato assistere
oggidì
nel regno della scienza e della
storia.
Ma lo
lannelli è anche giudice legittimo del
suo
maestro.
Se l'analisi infatti è svolgimento della
sin-
tesi, n'è
pur la correzione; e ben s' appose
il Roma-
gnosi
nel dichiarare lo lannelli maestro di
logica sto-l
fica,
segnalando l'opera di lui come organo
scientifico
degli
studi storici: il che quanto sia vero
può vedersi
nel
Gap. IV, dove non è scoperta fatta,
accennata o
divinata
nella Scienza Nuova, ch'ei non accolga
o in-l
terpreti
con sa»io giudicio, né v' ha
principio storico, filo-
logico,
politico, legislativo e mitologico eh' ei
non accetti.
Se non
che, accettare per questo scrittore non
vuol
dire
già imitare. Egli imita, ma imita
interpretando e
giustificando;
accetta, ma accetta correggendo ed espli-
cando. E
tal si è pure, come vedremo, il
carattere della
critica
di presso che tutti gli scrittori di
questo se-
condo
periodo.
Lo
lannelli invero distingue la filosofia
della storia
dalla
critica de^ fatti storici ; e afferma
che se dell' una '
troviamo
i prindpii nel Vico, dell'altra, che
pur n'esce
oom'
una conseguenza, quel certo filosofo non
si potè oc- '
cupare
gran fatto. Quest'osservazione è verissima;
ma
non
men vera dovrà sembrare la considerazione
che ne
possiamo
trarre. E questa considerazione è la
seguente:
se la
scienza storica moderna come ricerca
analitica che
informa
di se tutto il sapere de' dì nostri
fii prevenuta,
già
mezzo secolo addietro, da un seguace
e dal piiì
acuto
fra' seguaci del Vico ; è pur
mestieri che (come
suole
accadere in ogni periodo storico) dall'
analisi
oggi
si possa e debbasi risalire alla
sintesi^ col fine di
sempre
più legittimarla, e svolgerla. Questa
sintesi à
appunto
la Sciema Nuova; alla quale perciò
dobbiamo
r^alire,
ma risalirvi con tutta la ricchezza
del pen-
siero
moderno, dell'analisi moderna, inverandola in
ciò
che
merita, e dimenticandone quelle parti che
sono
in
evidente contraddizione con la scienza d'
oggidì. Ora
seguitiamo.
Quel
che lannelli appella Istoriosofia (scienza
delle
cose
umane) non è altro, a guardarla bene,
se non
l'esigenza
massima della Scienza Nuova. Di che
cosa
ella
s'occupa fuorché di giudm, di ricerche, à^
analisi?
Il
nome stesso d^ Istoriosofia ci addita il
fine che propo-
nevasi l'
autore in siffatta scienza : non
filosofia, bensì
amore
di ricerca, di testimonio (e^Tw». Ora
tal ma-
niera dì
scienza cosi unita e si intimamente
congiunta e
legata
cotta Scienza dd Vico, ci manca: come
dunque
si
potevan intendere i suoi principii? *
lannelli, com' è
evidente,
ha ragione. Se la Scierusa Nuova e
la Isto-
riosofia
assomigliano, com' egli dice, alla fisica
e alla
matematica,
ne viene che questa, separata da
quella,
■ Vedi
Iaknelli, Sulla natura e neee99ità ec
Napoli, 1817, Gap. II, § 1. '.
debba
riuscire al tutto vuota e superficiale;
al modo
stesso
che la seconda, scompagnata dalla prima,
si mo-
stra umile,
oscura e affatto incerta. Unitele, perciò,
ed
elle
sapranno operare i prodigi dell'ingegno umano.
Così
la Istoriografia e la Scienza Nuova
amicate in-
sieme,
sapranno comporre una disciplina profonda e
degna
della virilità ad genere untano. — Tutto
ciò è vero,
e'ci
conferma nel giudicio espresso poco fa
sul carattere
di
questo critico valoroso: egli è vero
scolare, e vero
giudice
del suo maestro. Se il Vico è
sintesi, cioè filo-
sofia della
storia, abbisogna, per così dire, dello
lannelli,
abbisogna
dell' analisi, della critica. Insomma la
Sdenea
Nuova
ha d'uopo della Scienza dei fatti,
ieWistoriograficL
Nel
primo scrittore quindi è l'esigenza del
secondo, come
in
questo v'è altresì il bisogno di
quello, e però si com-
piono a
vicenda. Se tale dunque è la critica
dell' acuto
lannelli,
ognun vede quant' erroneo fosse il
giudizio
ond'al
Komagnosi piacque chiudere i suoi Cenni
sopra
quest'autore,
dichiarando troppo spectdativo il disegno
storico
del suo libro. Ma perchè troppo
speculativo s'ei
non
esclude minimamente, né il poteva, quelle
indagini
di che
r autore della dottrina su' Fattori
dell' incivili-
mento dei
popoli pensava di poter fare tavola
rasa?
Gli
appunti che lannelli muove alla Scienza
Nuova
riduconsi
a questi: non esser ella intiera e
perfetta
come
scienza, bensì disordinata, confusa, indigesta;
né
tutte
vere, esatte e provate quelle massifne
elementari
sovra
cui è fondata; alcune di queste anzi
essere addi-
rittura
false, altre oscure ed ambigue. Oscuro
e ambi-
guo, per
esempio, il significato della Provvidenza,
come
quello
che talora par che racchiuda V azione
reale diDio\
su '1
mondo, tal' altra la persuasione negli
uomini circa
tale
azione.^ Questa difficoltà che primo d'ogn'
altro
egli
mosse contro la Scienza Nuova, e che
ci mostra
in lui
sempre più chiara l' esigenza critica, è
grave assai;
ma
appunto perchè grave, ella non può
esser risoluta
fuorché
interpretando la mente del Vico mercè
un
<TÌterio
filosofico tratto dalle viscere stesse
d'alcuni
supremi
principii i cui germi giacciono incolti
nel libro '
De
Antiquissima Itàlorum Sqpimtia. Questo non
fece
lo
lannelli. £i non curò, come non han
curato presso che
tutti
gli altri critici, di scoprire nel
Vico le fondamenta '
d'una
dottrina metafisica, e costruirvi su una
filosofia.
Crede
inoltre confusa, nel Vico, l'origine degli
Dei;
per
cui gli pare che egli stia or
con Lattanzio, ora
con
Platone. Imperfette quindi e arbitrarie la
teogonia
e la
cronologia teogonica, e tali da doverle
rifare on-
ninamente da
capo : che non sempre Giove sarà
il primo
Dio a
formarsi, né sempre Nettuno sarà l'ultimo;
non
sempre
Mercurio sarà il portatore di leggi
agrarie
ai
famoli ammutinati, né Diana emergerà sempre
da'
fonti, né Apollo dalle bellezze civili
dei popoli, né
Vesta
guarderà sempre le biade, né Ercole
diboscherà
la
gran selva per seminarvi, e nemmanco
Satiimo
presiederà
costantemente all'arata e seminata campa-
gna. Osserva
come il suo maestro parli poco e
male
del
Tartaro, degli Elisi, degl'Iddii Inferi e
dell'altra
vita ;
e lo corregge su la natura d'una
costante e pro-
fonda
persuasione d'una vita avvenire. Non tutte
pre-
cise ed
esatte reputa le idee su l' origine e
formazione
della
lingua; né la lingua per lui procede
sempre pari
passo
con la scrittura, perché l' una non
dipende da' biso-
gni onde
l'altra è originata. Mostra da ultimo
d'inten-
dere
acconciamente il maestro quando parla
dell'ante-
riorità del
linguaggio poetico (non già delle forme
poe-
tiche e
del verso) rispetto al linguaggio prosaico.
Questi
i pregi dello lannelli come seguace e
come
giudice
del Vico. Ma in lui non mancano
i difetti. Se
di
fronte al suo maestro egli ci
rappresenta 1' analisi;
come
analisi ei non può non riuscir
manchevole e in-
compiuto. E
che sia così, basti rammentare qual
con-
cetto mostri
egli d' avere della scienza
delle cose
timane
che definisce per V esatta conosceva
del nesso
e
subordincusdone détte umane cose fra loro,^
e qual fine
si
possa con lei conseguire, fine che ha
da consistere
nel
saper come le cose succedono e come
e quando coe-
sistano:
parole tutte queste che parrebber dettate
da
un
positivista de' nostri giorni 1 Quando poi
stabilisce
che la
scienza del Nesso deva raccogliersi in
quattro
capi 0
nessi (d' origine, di coesistenza, di
successione :
e di
comunicazione) rispondenti mirabilmente, secondo
lui,
alle quattro parti della Storia ideale
etema del Vico,
la
quale perciò debb' esser la stessa Scienjsa
delle cose
umane
storicamente e non già scientificamente
conside-
rate;* in
tutto questo ei ci mostra che se
il discepolo
compie
il maestro, vuol esser compiuto egli
stesso, e
in
gran parte rifatto. A lannelli, d'altro
canto, non
fu
dato cogliere quel concetto originale del
Vico sul
cominciamento
della storia eh' ei dice romanzesco e
strano,
non sapendosi a verun patto capacitare
dell'ab-
brutimento
primitivo della schiatta umana: col che
dà
segno d'
essere inferiore al Duni. Scherza poi
e sorride,
come
fan volentieri pressoché tutti gli altri
interpreti,
su lo
scoppiar del fulmine a cui più d'una
volta accenna
il
filosofo napoletano; né s'avvede come nella
Sdenta
Nuova
cotesta non sia vera cagione, bensì
occasione
svegliatrice
d^unuinità nell'uomo imbestiato: e nean-
eh'
egli riesce a salvarsi dalla, contradizione
in che in-
cagliarono
il Vico e '1 Duni rispetto all'
origine del
popolo
eletto. Finalmente non intende la lingua
di-
vinai perchè
non sa cogUere il valore di
quell'altra
idea
che le nazioni vìvessero per lunga
pezza mute,
e solo
parlassero per gesti e cenni: il che
si oppone
(egli
dice) al fatto, e al diritto; al
fatto, perché non v'è popolo senza
lingua; al diritto, perchè a vivere
in società condizione imprescindibile é la
parola. Qui, com' è evidente, il
discepolo è molto più indie^ maestro. Ma
quest' acuto è benemerito seguace del
Y\ un altro pregio che noi dobbiamo
segnalare stri lettori. Esplicando alcune dottrine
della Scienza Ntwva, e' prevenne i
Positivisti nel rilevare una legge nello
svolgimento storico delle scienze; e, ciò
che pili monta, li prevenne correggendoli.
Il processo isterico del conoscere per
lui è quello del Vico, ma
considerato, al solito, in maniera
analitica. Egli pone cinque età nel
corso e nella evoluzione della Scienza;
le quali, chi ben guardi, ci ricordano
le tre età storiche del maestro, e
si modellano su lo svolgimento naturale
delle tre facoltà conoscitive : Senso,
Immaginazione e Ragione. Or r ultima
età, che per i Positivisti è negativa
tutto che la battezzino per positiva,
in lui riesce davvero po- sitiva. Nell'età
della vecchiezza e della ragione, infatti, egli
vede nascere la Telosofia, Scienza dei
fini; e vede sorgere Y Etiólogia, Scienza
delle cagioni.* Questi due concetti, massime
il secondo, ci son oggi ripetuti tal
\^ quali da Stuart Hill, e da
lui stesso posti a fonda- mento della
Sociologia. H Positivismo francese poi, con la
tricotomia positiva de' suoi tre stati, non
volendo saper nulla, com' è noto, nò
dell' una ne dell' altra cosa (ciò
è dire né di finalità né di
causalità) si contraddice evidentemente, e
col fatto si palesa negativo e nullo nel
momento stesso che presume d' esser
profondamente positivo. E' miflomigliano a
Stenterello che si dà l'aria di padrone,
giusto quando senz' addarsene è assai più
in giù dell'ultimo servo di casal II
vero positivo sta nella quinta età di
cui parla lannelli. Ma la critica su
la dottrina del Vico, che con tanto senno
avea saputo 'inaugurare quest' egregio
scrittore, scade a un tratto nel
Romagnosi. Ognuno infatti si maraviglierà
nel leggere che cosa pensasse del
nostro filosofo egli, l'autore dell'opera su
V indole e s\x^ fattori délV incivilimento,
nelle sue Osservazioni suUa Scienza Nuova.
* Io non so maravigliarmene punto ,
specie quando considero che il concetto cardinale
sopra cui si sostiene l'opera dianzi
citata del Komagnosi, è la negazione
assoluta del principio in che tutta
si regge la Scienza Nuova. L' incivilimento
per lui essendo sempre I dativo non
mai naiivo,^ lo trascina alla dottrina,
o a dir meglio, all'ipotesi del così
detto popolo Auto-civile, L'esistenza d'un
popolo siffatto, chi ben rifletta, con- traddice
al suo stesso principio; perocché se
l'incivili- mento è nativo nel popolo
Auto-civile, non si capisce perchè non
possa esser tale anco negli altri,
negli altri considerati almeno quant' alla
loro esistenza originaria. Né qui parlo
del modo con che nelle Vedute
eminenti SfdV incivilimento riguarda il genere
umano, figurandoselo come xxnHndividua
personalità. Or queste dottrine con- traddicono
al Vico, distruggon la Scienza Nuova,
annul- lano il vero e il grande
significato di questo libro. Ecco dunque
perchè il Komagnosi non poteva avere
in molta stima il metodo, nettampoco i
principii di lui. Quant' alle critiche
speciali poi, non mi paion cosa molto
seria, come si potrà giudicare da
queste che verrò accen- nando così per
semplice saggio. Discutere su le favole
antiche pel Romagnosi è im- presa fnwtife,
inopportuna e stravagante; però conclude che
il Vico, avendo preso la strada delle
favole e dèlie teogonie per giungere
alla storia, ha preso la via pii^ disperata
da non cavarne costrutto alcuno. Ma
quale altra via men disperata di
questa saprebb'egli addi- tarci per avventura
! Quant' allo stato ferino dell' uma- nità,
domanda: ma perchè figurar V uomo primitivamente bestione,
ferino, girovago? Se Vico in ciò
(soggiunge anche luì come il Finetti
con una smorfia di sprezzo) * Vedi
Oputeoli ani vari argomenH di Diritto
JUoeoJleo, Prato, 183o, Le Oètervaxioni
9tdla Scieruta Nuova furono scritte nel
1821. ■ Vedi DtW Indole e dei Fattori
delV incivilimeutOt § IX.
fu
cmtesignano di Bousseau, gli rimane una
cattiva glo- ria!* Crede poi falso il
circolo similare nel corso mo- rale e
politico dei popoli, e dà prova di
non averne colto l'intimo significato
quand'afferma: « Se «que- sto circolo può
all' ingrosso verificarsi nella forma dei governi,
non si verifica punto nello stato
reale delle popolazioni, nelle quali la
decadenza e il risorgimento non sono
una morte ed un rinascimento morale e politico,
ma piuttosto metamorfosi simili a quelle
che reggiamo nei bruchi. Insomma non
si ricomincia a6 ovo; ma à. ricomincia
da un nòcciolo superstite e mo- dificato
dalle circostanze antecedenti e conseguenti, le
quali avendo distrutto ciò che era
incompatibile, formano un tipo fondamentale d'
un altro genere di vita^ i> Queste
osservazioni hann' anch' elle un aspetto
di verità ; ma se il Romagnosi
avesse meditato la Sdevusa Nuova con
più amore e men disprezzo e meno
boria a lui, del resto, tanto
naturale, avrebbe visto che il Vico
altro non intese dire, come vedremo,
se non quello precisa- mente eh' egli
stesso ha detto qui assai male e
senz' al- cun metodo filosofico. E
perchè poi reputa impossibile la similarità
de' circoli storici? Perchè intese anch' egli, in
modo volgare, come parecchi altri, il
valore di cosi fatta legge. Ei non
poteva persuadersi come nella sto- ria ci
sia ritorni e ripetizione di forma
(meccanismo); ma non s'avvide che se
pel Vico nella storia ci è ri- petizioni,
cotesto ripetizioni non sono possibili
senza veraci innovazioni (dinamismo).
Io non
so capacitarmi come l' ingegno potentissimo del
Romagnosi non penetrasse nell' intimo della
Scienza Nuova. Non so capacitarmi com'ei
facesse una critica
*
Certo U Romafirnosi non TÌde che se
il Vico prevenne Roasseau e tutti qnei
giasnataralisti del secolo XVIII i quali
sì volentieri ciarlavano sa lo ttato
di natura, li prevenne correggendoli, cioè
legittimando ra- zionalmente cotesto stato
natarale, col porre in opera ben
altri prin- eipii di psicologia e di
storia cho non eran quelli de' saddetti
filosofi.
debole
e scucita cosi che gira sempre
attorno senza
mai
coglier la sostanza delle dottrine del
Vico. U che
senza
dubbio terrà alla forma della sua
filosofia, della
quale
il Rosmini pose in evidenza i molti
e sostanziali i
difetti,
e, nonostante le calde e lunghe
difese del Nova,
i
giudizi del Roveretano restano pur oggi
intatti e verL
Il
Romagnosi, in ima parola, non poteva
pregiar la
Scienza
Nuovii, perchè le sue dottrine putiscon
di mecca-
nismo.
Artificiale e meccanica è in lui la
dottrina sul
governo
dello stato, ch'ei paragona al cervello
dell'ani-
male.
Artificiale e meccanica la dottrina dei
Tesmo-
fori
in politica e in religione ; le
quali per lui sono
bensì
strumenti benefici al popolo, ma nelle
mani dello
stato.
E dottrina presso che meccanica quella
de' suoi
Fattori
dell' incivilimento. * Perfino la
terminologia
eh'
egli adopera ne palesa l' indole della
mente e delle
idee:
storia naturale dei popoli, fisiologia
degli stati,
funzioni
meccaniche e dinamiche della società, dina-
mica e meccanica
morale, e simiU. *
Come
passaggio della critica empirica e negativa
del
Romagnosi alla critica scettica del
Ferrari, si pre-
senta la
traduzione e l' anaUsi che della Sdenjsa
Nuova
die
alla Francia 6 alla eulta Europa l'
illustre Miche-
let. Agli
occhi degl'Italiani questo scrittore ha due
grandi
meriti: d' aver fatto conoscere il nostro
filosofo
isin
dal 1827 fuori d'Italia, e, che più
monta, d'averlo
fatto
capire nella sua verità mercè quell'
arte facile,
disinvolta
e con quel fare schietto e rapido
con cui, tra-
ducendola,
seppe imprimere alla Scienga Nuova forma
netta
e fedele. Se non che, per quanto
il Michelet non
sia
crìtico interprete (né egli vi pretende)
ma critico
espositore,
non pertanto i suoi giudizi son tutti
co-
* Si
yegga la definizione che ne dà nello
Leggi dtlV ineivUimento, § 43.
* Il
Ferrari ha rilevato con molta esattezza
la differenza tra Vico
e
Bomagnosi nel lihro La menu di
Romagnoti. E noE a torto poi il
chiarissimo
professor Ferri pone il Romagnosi come
primo ponHvi^ta
In
Italia. — Ved. RÌ9t. de la PhU. lud.,
Tom. 1«% Paris 1869.
scienziosi
e pressoché tutti pieni di verità.
Eccone un
saggio.
Ci ha due Scienze Nuove, egli dice;
ma se le
Scienze
Nuove son due, la prima d' esse è
insieme I
r ultima
parola dell' autore ; ultima quant' alla
sostanza
delle
idee. Un'altra osservazione è questa:
carattere
e
intento supremo di codesta Scienza Nuova
è quello
d'essere
una filosofia, e nel medesimo tempo
una storia
dell'umanità.
E un'altra riflessione che merita sia
ricordata,
è la seguente: il concetto d'una
perfezione
stazionaria
accennata dal Vico nella Scienza Nuova
e
riprodottasi
poscia in tanti libri, non riappare
altrimenti
nella
seconda Scienza Nuova. Mi giova notare
con ispe-
dalità
quest' ultimo pensiero del Michelet, per
correg-
ger la
sentenza di tutti quegl' interpreti i
quali per
d
lungo tempo ci han detto e ridetto
che dei corsi e
ricorsi
entro cui il Vico chiuse V umanità
(per dir la
parola
consacrata), ei non abbia parlato fuorché
nella
seconda
Scienza Nuova. Non ne ha parlato mai,
in nes-
sun libro,
in veruna pagina de' suoi libri I
La staziona-
rietà (sia
detto unU buona volta per tutte) non
è con-
cetto
vichiano. Io noi trovo esplicito, né
implicito in
lui ;
e non iscaturisce in verun modo dall'
insieme delle
sue
dottrine. Il concetto del corso e
ricorso storico,
adunque,
alla maniera volgare ch'é inteso da' più,
è
concetto
che assolutamente ripugna al pensiero e
alle
scritture
del nostro filosofo.
Ma non
tutti i giudizi del Michelet ci
paiono ugual-
mente
giusti. Ei non giugno a spiegar
convenevol-
mente, per
esempio, il concetto storico del nostro
filo- 1
sofo
su la forma del governo monarchico;
tanto meno
que'due
principii accennati piii d'una volta nella
iScien^^a
Nuova
e nel DvrìUo Universale su la
necessità in che
può
ritrovarsi un popolo di consentire a
lasciarsi gover-
nare ov'
ei non sappia governarsi, e su l'
affidar l' im-
pero del
mondo alla solerte prudenza dei migUorì.
Il Mi-
chelet seppe
delle opere del Duni, ma forse non
potè
leggerle:
così parrebbe almeno dal modo con che
lo
SrnuAiii.
ff
cita
fiiggevolmente solo una volta. Se quindi
avesse cono-
l
scinto il Duni, avrebbe dato al Jus
Gentium del Vico il
suo
proprio valore. E s'inganna poi quand'
aflFerma, che
il
Libro Metafisico sia la sola scrittura,
le cui dottrine
non
fossero state trasportate nella Scienza
Nuova, del
che lo
riprende giustamente il Predari. Ma il Miche-
let ci
compensa di cotesti erronei giudizi laddove
con
acume
non ordinario confessa di riconoscere nel
Vico U
metafisico
sottile ,e profondo. E poi ci dà
prova sicura
d'animo
spassionato e libero da ogni boria
nazionale,
quando,
egli francese, francamente dichiara essere
il
Vico r
antagonista per eccdlenaa del CartesianismOy
l'avversario
più illuminato e più eloquente dello
spi-
rito del
secolo XVIII.' Anche quest'osservazione è
d'ogni
parte vera e luminosa; perocché se
carattere di
quel
secolo, come giustamente si crede, fu
la negazione
assoluta,
la negazione in tutto e di tutti,
distintivo, al
contrario,
delle dottrine del Vico si fu quello
di tutto
restaurare,
e tutto affermare mercè l'opera del
me-
todo
isterico.*
E
poiché siamo a parlare de' Francesi,
occorre far
menzione
degli altri che in quel paese,
nell'epoca di
che
trattiamo, non reputarono tempo perso
volger la
mente
al nostro filosofo. E primo fira
tutti il Lerminier,
* Vedi
Prtncipet de la PhU. de VHiat,
traduite de la Scietua Nuova
de
J. B. Vieoy BruxeUes 1839, pag. lxxi. — La prima Ediz.
è del 1827.
* La
ridazione fatta dal Michelet détte
occasioce iu Italia ad una
critica
del Kicci pubblicata nolV Antologia
del Vieusseax (Anno 1838» 1
N. 88,
e 92). Il Ricci mostra come lo
storico francese altro non desse
alla
Francia che ì frantumi della Scienza
Nuova, e per cinque diversi
capi
ne rileva la incompiutezza. Oltre a
questo pregio, negli articoli del
Btcci
re n' è un altro ; Taver posto
in chiaro, meglio forse che non
facess^i
il
Dani, il significato della parola Autorità^
che ne* libri del nostro filo-
sofo non
è di lieve momento, e mostra che
talora egli assume questa
parola
nel senso del Gius Komano come
sorgiva de* diritti pubblici e
privati;
talora com*effotto del consenso d* una
nazione in un dato prin-
cipio; tal*
altra come potestà, come potere ch*ò
negazione di ragione e
di
coscienza speculativa. Notiamo altresì come
il Ricci è quegli, fra* cri-
tici, che
più insiste su l* ufficio del
Seneualiemo nelle idee storiche delj
Vico.
Ved. Art. I, pag. 85.
come
quegli che nelle due principali sue
scritture ne
discorre
sempre con entusiasmo, con amore e
grande ve-
nerazione.
Ben s' appone a designar la Sciema
Nuova
come
il monumento sublime e hieearro^ in
cui è viva la
impronta
delle fofrme e dei colori dd medio
evo, e che
gittato
in meeeo ed secolo XVIIlj fa del
Vico centro
dette
antiche tradizioni, e insieme precursore
déUa Scienza
Nuova:
* talché non a torto fino dal
1829 lo considerò
come
il vero predecessore de' Wolf, de'
Niebuhr, e degli
Hegeliani.
Se non che non sempre questo dotto
e simpa-
tico
scrittore dà nel vero, come quando lo
dichiara padre
dell'
JEfcfewswto moderno,^ o come laddove
osserva che
nella
storia del mondo egli trasportasse quella
di Roma.
Lerminier
non vide che di questa seconda
istoria ei gio-
V06SÌ
a meglio intender la natura della
prima, alle storie
tutte
e perfino alla storia universale
trasferendo gli ele-
menti essenziali,
originari, universali costituenti la na-
tura umana.
Assai meglio avrebbe detto d'aver egli
tras-
ferito la
psicologia nella storia, anzi che la
storia di
questo
0 quel popolo alla storia di altri,
ovvero a quella
di
tutt'i popoli in universale. Né, d'altra
parte, il Vico
intese
applicare una legge alla storia in
generale; er-
rore, come
vedremo, dei Teologisti e degli Hegeliani:
intese
bensì applicarla ai popoli considerati
nelle indi-
viduali lor
tradizioni e civiltà. Tanto meno poi
é lecito
creder
eh' egli ponesse identità fra' tempi
eroici primi-
tivi e'
'1 medio evo: bensì è vero eh' e'
vi discemesse un
moto
perenne di ripetizione essenzialmente
progressiva.
Altrove
il Lerminier, parlando del Machiavelli, os-
serva come
r autore* della Scienza Nuova correggesse
lo
spirito storico del Segretario fiorentino,
mercé una
pciitica
ideale e platonica. ' Questa sentenza
in parte
è
vera; e dico in parte, poiché si
può chiedere se
co'
suoi principii applicabili alla politica,
il Vico abbia
• Vedi
Introd. gin. à VHitioire du Droit,
cap. Xm.
*0p.
cit. pag. 167.
• Vedi
JKrt. de la Phtl, du Droit, Tom.
U, pag. 102.
corretto,
o non piuttosto compiuto ciò che nel
Machia-
velli è
solamente arte politica. Tutt' insieme
dunque può
dirsi,
che se la critica del Lerminier non
è molto acuta
né
molto sicura in alcuni giudizi, ella
riesce nondimeno
a
cogliere con lucidezza tutta francese la
natura e '1
fine
della mente e deUe opere del nostro
filosofo.'
Su'
giudizi del Lerminier riguardanti le idee
giurì-
diche e
politiche del Vico torneremo in altra
occasio-
ne. Qui
giova notare come in Francia, quasi
nel mede-
simo tempo
in che gli scrittori di cui abbiamo
accennato
facevan
conoscere il nostro filosofo, altri presero
a par-
lame
come il Gousin, Teodoro Jouffroy, il
Ballanche.
Tutti
ripeton le usate lodi, e qualche
giudizio del Gou-
sin, al
solito, a volerlo sottilmente esaminare,
non riesce
molto
esatto. Quando vuol fard credere, per
esempio,
che il
Vico, benché combattesse Gartesio ne
seguiva
nuUameno
la filosofia generale^* ognuno capisce
com'ei si
studi
attaccare al gran carro del cartesianismo
perfino
il
Vico; quasi che, anco a detta del
francese Miche-
let, non
ne fosse stato anzi V avversario piii
terribile.
E va
lungi dal vero quand' osserva, che
tutto ciò che
è nel
Bossuet e nel Vico trovasi in Herder;
' quasi che
si
possa ignorare che Fautore della
Metacritìca contro
il
Kant non fosse altro che un buon
sensista, il quale
'
perciò non dubitava credere che dall'
organismo pul-
lulasse ogni
nostro pensiero e facoltà:^ nella quale
sentenza
ci conferma il suo traduttore francese
il Qui-
net. U
Gousin poi dice il vero laddove pone
l'Herder
' come
compimento del Vico quant' al concetto
della na-
tura e
della efficacia che la natura dispiega
sulla storia.
Ma
avrebbe dovuto avvertire che s'egli è
compimento
*
Eccone, per esempio, una prora nella
seguente arguta osserraxione:
<
Quand n<nu voyont Vioo rentier nevi
au iorrent du dix-teptième et du,
dix'huiHhne
aiècU paur enfomttr U dix-neuvihnef nouB
pouwma à coup •ùr
lui
décemer le nom dt genie originai,
Pag. 168.
Tom. cit.
*
Vedi CoiTBiK, down eie,, 2* Serie
Tom. II, p. 882.
*
HiH. gin.
de la phtl. le^ XI.
^ Vedi
HiBOBB, mst. Ub. I, Cap. II.
del
Vico, Herder stesso vuol esser compiuto
col Vico
quant'
al modo razionalmente organico ond^ il
filosofo
italiano
usa guardare i fatti storici. Quel
medesimo con-
cetto che
forma tutto l' onore di Herder, costituisce
la
sua
condanna. Con V idea della natura,
infatti, Herder
non
poteva rintracciar le fila del vero
progresso della
storia,
appunto perchè il processo di natura
non è pro-
gresso. E
se con tanto entusiasmo ei discorre
sul princi-
pio della
tradizione umana che per lui costituisce
Tin-
tdUUo
dd genere umano; a tal principio egli
stesso
contraddice
quando, per' esempio, esce in quella
nota
apostrofe a'
popoli orientali, nella quale ha pur
cuore
di
rallegrarsi della loro immobiUtàl Se dunque
è vero
che
Herder per un verso compie il Vico,
è verissimo che
per un
altro il secondo, non solo compie, ma
corregge
il
primo.
Molto
più vero del Cousin ci sembra V
acuto Joufiroy
nell'
ingegnoso riscontro eh' ei fa tra
Bossuet, Vico ed
Herder,
quando rassomiglia il nostro filosofo ad
una gran
hice,
che in mezzo a fosca nube diffondesi
a larghi sprazzi.
E
parlando del Montesquieu coglie il vero
dove afferma,
che se
questi cerca lo spirito delle istituzioni,
il filosofo '
italiano
vi si profonda tanto da scrutarne le
leggi : leggi
non
solo delle istituzioni, ma di tutto
ciò che può espri-
mer r
umano pensiero ; leggi dello stesso
pensiero entro
cui ed
in cui le altre tutte di natura
sì compendiano
e
consistono.* Non basterebbe tale osservazione
a pro-
var come
Jouffroy penetrasse a meraviglia nel
midollo
della
Scienza Nuova? Gloria del Vico (afferma
poco piii
giù) è
r aver concepito come lo svolgersi e
'1 vivere del-
l' umanità
soggiaccia ad una legge ; e questa
legge è
d'uopo
indagar nella storia. Osserva ancora che
nella
Scienza
Nuova ha luogo una lotta, una lotta
continua^
fra '1
metodo geometrico e il metodo induttivo;
ed è
cotesta
lotta che ne turba ad ogni passo
V andamento
«
Vedi JoUFFBOT, MOangt» phUoeaph., Bruxelles,
1881, pag. 65.
e la
composizione. E anche questo è vero ;
ma non sa-
rebbe vero
dove se ne volesse concludere che
dunque
coiai
lotta non si risolva a nulla,
stantechè il metodo del
Vico
non sia propriamente metodo geometrico, né
metodo
pOramente
induttivo ; il che certo avrebbe
visto quel dotto
filosofo,
se dello scrittore napoletano non avesse
cono-
sciuto altro
che la Scienza Nuova, come noi
sospettiamo.
Verissima,
finalmente, è V osservazione con cui
Joufifroy
chiude
il suo studio critico su le tre
grandi opere da
lui
esaminate, dicendo che T opera del
Vico è, senza
contraddizione,
la plt^ historique et la plus nud
faUe
delle
altre due.
Del
Ballanche diremo solo eh' ei mostrossi
lodatore e
fanatico
ammiratore del Vico di guisa che
volle imitarlo
vestendone
i pensieri poeticamente. Ma il nostro
filosofo
a lui
piaceva massimamente per la importanza e
va-
lore ch'ei
porge al senso religioso : piacevagU,
insomma,
pel
carattere ortodosso che ne informa le
scritture.
Come
poteva dunque risparmiare il biasimo
all'autore
della
Scienza Nuova d' aver posto fuori del
processo tra-
dizionale
quello della civiltà, e dato a questo
un' origine
affatto
naturale e spontanea? ^
Ed ora
tornando in Italia, ci è dato
assistere ad un
movimento,
diremo, febbrile nello studiare, nell'
inter-
* Vedi
Ballanohe, Opere, Parigi, 1880 nel Voi.
III. — Notiamo qui di
passaggio
e per ragion cronologica, come prima
ancora che in Fran-
cia si
divulgasse la fama del Vico, in
Germania era apparsa una tra-
dazione
della Scienza Nuova fotta da G. E.
Weber. La prefazione che
ir*ò
premessa non è molto faroroTole al
Vico, ed è scritta con passione.^
Ha ai
passionati giudizi del traduttore tedesco
vennero poscia ripa-
rando
dapprima il GOscbel, profondo ammiratore
delle dottrine del no-
stro
lilosofo eh* egli contrapponeva ad Hegel,
e poi il Moller, ed il Cauer.
Il
modo col quale il G{)sobel parla del
Vico, nonchò le difese del Mailer 1
contro
gli attacchi d*un anonimo scrittore, sono
molto rilevanti. Singo-
lare il
giudizio d'alcuni Tedeschi sulla Dipintura
che il Vico premise
alla
seconda Scienza Nuova. Agli occhi di
Weber cotesta dipintura parve
sciocchezza;
a quelli del G<tochel,per contrario, è
sembrata mirabil cosa,
e
quasi compendio delle dottrine storiche
fondamentali del nostro Alosofo.
— Vedi
i giudizi del Cantoni sopra questi
tre autori ne' suoi ShuU critiei !
t
eomparativit cap. XVIII.
pretare
e svolgere le dottrine del Vico. Gli
studi critici
e r
edizioni crescono e s'incalzano dal 1835
in giù. Primo
fra
tutti è da ricordare il dotto toscano
L. T. (Luigi \
Tonti)
che fuori d^ Italia pubblicava un
libro di critica
su la
Scienza Nuova. Ei non conobbe gli
studi del Fer-
rari che,
giusto quell'anno, con ardimento giovanile
po-
neva mano
alla grande edizione milanese delle opere
del
Vico. Il Tommaseo lodò il libro del
Tonti otto anni
avanti
eh' egli stesso pubblicasse i suoi
Studi Critici sul
medesimo
autore ; ma se il Tonti avesse
conosciuto i la-
vori del
Ferrari nonché quelli dello lannelli,
l'opera sua
certamente
sarebbe riuscita più feconda nei
particolari.
Suo
merito è d' aver saputo esporre le
più astratte e
confuse
dottrine della Scienza Nuova in forma
chiara,
semplice,
schietta e senza pretensioni: e ad
ingegno to-
scano,
rapito troppo presto ai severi studi,
tale arte non
potea
far difetto. Versato nella erudizione
storica e giu-
ridica egli
ha cura di rilevar le attinenze fra
il Ma- 1
chiavelli
e '1 Vico, tra il Vico e il
Gravina, e tra '1 Vico
e i
giusnaturalisti di poco anteriori a lui.
Le pruove filo-
logiche e
filosofiche riguardanti la dottrina mitologica
della
Sdenea Nuova sa coglier giusto e
nettamente di-
chiarare.*
Ma nella terza parte del suo libro,
eh' è ap-
punto la
parte critica, dice ritrovar nel filosofo
napole-
tano due
difetti, su' quali discorre a lungo: 1*
d'aver egli
dato
all'umanità le leggi stesse dell'individuo,
poco ol
punto
considerando quelle che risultano dal
consorzio
civile
(difetto oggi, come vedremo, apposto al
Vico anche
dal
Mamiani): 2* d'essere stato incerto su
l'ultima de-
stinazione
dell'umanità.'
Quant'
al primo appunto, a noi non sembra
vero che
il
filosofo di Napoli abbia ragguagliato
l'individuo al-
Yumanitàf
bensì ai popoU, alle nazioni : non
al genere,
bensì
alla specie. Di fatto, anzi che di
genere umano,
e' ci
parla di tradizioni, di popoli, di
nazioni e civiltà che
* Vedi
Saggio 9opra la Seienna Nuova. Lugano,
lSd5, pag. 47.
*0p.
cit. pag. 200.
sorgono
e dechinano ; e fu lo lannelli,
e più ancora i so-
I
cialisti francesi che intesero la cosa
a tal modo, non già
r
autore della Sdenea Nuova. Così pure
è da rispondere
alla
seconda difficoltà. Come autore della
Scienza Nuova
non
può dirsi eh' e' fosse certo, ne
incerto sul destino del
mondo,
perchè cotesto scopo trascendeva i confini
del
soggetto
su cui versava la sua mente. La
Scienza Nuova
è
scienza della storia : è, innanzi
tutto, scienza dei fatti
umani;
ma de' fatti umani passati, non già
futuri. Or
la
filosofia della storia indaga il passato,
il quale a no*
stro
bell'agio possiamo ricercar ne' suoi modi,
nelle sue
leggi,
nelle sue relazioni di tempo e di
spazio, ma non
può,
non dee spinger T occhio nell'avvenire, che
solo ci è
dato a
mala pena indovinare. La destinazione del
mon-
do, adunque,
è soggetto di ben altra scienza. Che
se il
Vico
giugno a mostrare, come vedremo, una
legge anche
nel
futuro; i modi speciali e le speciali
forme di essa
ci
riescon assolutamente ignote; e però il
Ubro, come il
metodo
di lui, riveste indole meditativa,
indagativa, non
già
speculativa, dialettica, a priori^ ontologica
e che so
io. Il
perchè non ci fa maraviglia se anche
il Tonti parla
come d'
un grand' errore dove accenna alla
dottrina
de'
corsi e ricorsi storici del Vico.
Questo
lavoro, del resto, è scritto in modo
che in-
voglia a
leggerlo d' un fiato. Sotto quelle parole
appa-
rentemente
calme, serene, spesso anche fredde, ma
sempre
chiare e talora eleganti, sentesi certo
calor
vitale
che manifesta la fede nelle dottrine
intomo a
cui
medita lo scrittore. Belle senza dubbio
le conside-'^
razioni
sul movimento civile e scientifico in
Francia
ed in
Germania verso la seconda metà del
secolo XVIII;
pieno
di verità il riscontro tra i filosofi
francesi e'I
Vico :
e quello tra Vico ed Herder
segnatamente mostra
com'egli
intendesse appieno la distanza che separa^
Hegel
dal Vico nel concetto storico in
generale.*
* n
Tonti fa il primo ad accorgersi che
il Gans nella sua Storia
Ma r
amore e V interesse degli studi sul
Vico va
sempre
più crescendo, e due edizioni di
tutte le sue
opere
s'imprendono dal Ferrari e
dal Predari nel
medesimo
anno e nella medesima città. '
Il Predari
sperava
di riuscir meglio nella nobile
impresa; ma
arrestossi
ad im primo volume entro cui raccolse
tutte
le
scritture latine, e vi adunò
note e schiarimenti I
infiniti
che non mancano di pregi. Per
esempio, egli pone
in
chiaro i legami esistenti fra V
Orazione su la Bagùm \
degli
stujii, il Diritto Universale e il
Libro Metafisico;^
nel
che ha spiegato tanta accuratezza, che
nessun cri-
tico
posteriore ci è parso T abbia saputo
superare.* In-
gegnosa r
osservazione su lo scritto De mente
heroica^ \
eh' ei
dice potersi considerare com' esordio
oratorio a
tutte
le opere del nostro filosofo. La
verità di questcT giu-
dizio si
farebbe chiara, se la Mente eroica
del Vico non
aspettasse
pur sempre la pietà d'un traduttore,
e pili an-
cora d'un
interprete fedele, essendo libro di molto
valore,^
stante
che ritragga la natura ddla mente
rivelatrice e la
virtù
dell' ingegno inventivo per eccellenza.
Egli inoltre
vede
giusto dove chiama erronea, come sopra
avver-
timmo,
queir asserzione del Michelet riguardante
il
Libro
Metafisico; al qual proposito nota
felicemente che
la
maggior parte delle idee di quesf
opera circolano^ a\
eoA
dire, per tutte le parti vitali détte
successive sue
scritture.
Vere anche quelle riflessioni su l'analisi
e
su la
sintesi; le quali, com'è noto, il
Vico piglia in.
ben
altro senso che non facessero
Cartesio, Spinoza
e
Leibnitz. E parmi poi che questo
dotto commenta-
tore sia
riuscito anche a sciogliere certo nodo
in che
delle saccessioni
applica il sistema del Vico nella
Storia del diritto pri- 3
Tato
delle famiglie. Op. cit., pag. 198.
* Vedi
Op. del Vico con tradozioni e
commenti di Franoksoo Fri- \
DAU.
Milano, Braretta, 1885. — Op. del
Vico ordinate ed illastrate col-
r
analisi storica della mente di Vico
in relazione alla Scienza della ci-
viltà da
OnnsiPPK Fbrbart. Milano, Società Tipografica,
1885-87.— Edi-
tion
complète des oKiTres de Vico en six
toI. Paris,
1885-87.
abbiam
visto intrigarsi tutti quelli che han
parlato del
metodo
del Vico. Si sa quant' egli
condannasse il me-
todo
geometrico nelle scienze morali. Ma forse
che con
ciò
intese condannare quello stretto ardine
geometrico che
troviamo
commendato segnatamente nel Diritto Uni'
versale?
No, certo. Con vari argomenti il
Predari mo-
stra come
il Vico abbia celatamente avversato la
sintesi
;
cartesiana; quella sintesi che nel
linguaggio de^ primi
cartesiani
suonava propriamente analisi. Non s'ha dun-
que a
confondere col metodo propriamente matema-
tico la
dimostrazione geometrica da lui tanto
celebrata
e
creduta necessaria anco nelle scienze
morali: non
\methodum
geometrìcam, sed demonstrationem ipsam inh
jportandam.
Non il metodo, ma sì l'efficacia del
metodo
geometrico
vuol esser trasferita nelle scienze morali.
Siffattamente
il Predari ha chiarito assai meglio
del
Ferrari
cotesto punto. Col metodo geometrico la
mente
del
matematico s' ìsola, si astrae, si chiude
in sé me-
desima, e
lavora componendo. Ecco la sintesi di
Car-
tesio,
almeno come la intendeva il Vico. Ora
questa
sintesi
in sostanza è l'analisi di cui egli
parla, e ch'egli
stesso
condanna, appunto perchè non vuol già
isolare
il
pensiero nello stesso pensiero, ma
diffonderlo nella
etoria.*
Ed ora
eccoci al Ferrari. Nel Ferrari veggiamo
rac-
colti tutt'
i meriti e tutt' i difetti dei
critici, degP inter-
preti, de'
seguaci, degli espositori e degli
oppositori del
Vico
passati, presenti e fors' anco futuri.
Di lui tocche-
remo anche
in altro luogo. Qui diremo solamente
quanto
basti
per apprezzar la critica fatta al suo
maestro^
com'ei
chiama il Vico. Innanzi tutto notiamo
questo:
chi
vuole studiar le opere del nostro
filosofo non può
'
Dobbiamo lamentare che il Predari non
abbia mandato a compi-
mento (a
quel che noi sappiamo) la sua
edizione, che certo sarebbe stata
migliore
dell* altra del Ferrari, del quale ei
mostra le moltissime e ta-
lora
incredibili mende. Nò poco pregoToli ci
sembrano poi le molto
correzioni
storiche, filologiche, e cronologiche allo
stesso Vico, nonchò'
gli
emendamenti alle citazioni di lui
fare a
meno dell'edizione del Ferrari; ma chi
desideri
intenderlo,
si guardi bene dal leggere anche per
isvago
l'analisi
della mente eh' egli ne fa, prima d'
avere stu-
diato il
Vico. Il gran merito del Ferrari, e
perciò la
parte
piii profittevole della sua grande
edizione, è quel
riscontro
continuo ed esatto delle note comparative,
delle 1
illustrazioni,
de'ravvicinamenti ond'ella è piena, massime
neUe
due Scienze Nuove. La parte positiva,
paziente,
fruttuosissima
de' suoi studi è appunto questa.
Nessuno
ha
potuto far altrettanto, e tutti dobbiamo
essergli
grati
per averci messo in grado di potere
studiare age-
volmente
questo filosofo. Altro suo merito è
quello d' aver
sorpreso
il Vico in più contraddizioni :
massime in quella, 1
in lui
evidentissima, tra l'uomo credente e il
filosofo
della storia.
Merito, da ultimo, l'aver saputo eccitare
nell'
animo di tutti ammirazione ed entusiasmo
per l' in-
gegno e
gli studi del filosofo napoletano; e
stupenda per
verità
e per calore singolare è TanaUsi a
cui sottopone
la
mente di lui. La Mente del Vico
del Ferrari è una
monografia
unica nel suo genere: acuta, ingegnosa,
ani-
mata,
afiascinante dall' un capo all'altro. Nelle
sue mani
il
pensiero del Vico rende immagine sto
per dire d' un
organo
che l' anatomista riduce in frammenti, in
cel-
lule, ed
in ciascun frammento, in ciascuna cellula
va
rintracciando
l'aura vitale. £ il Ferrari supera se
stesso,
ripeto,
quando descrive e con vivacissimi colori
piglia a
pennelleggiare
nello stesso pensiero del suo filosofo
l'in-
tima lotta,
il segreto contrasto fra l' uomo vecchio
e '
l'uomo
nuovo.*
Tutto
questo è vero. Ma il Ferrari è
scettico, scet-
tico
sistematico, scettico tutto d'un pezzo I
Una prima
*
Carlo Cattaneo arrerte cotesto pregio del
Ferrari. H Ferrari, egli
dice,
tmmagind un nuovo ramo d* ideologia ;
loiciate le aeiranoni deW uomo
generico,
prete a studiare il pensiero epedjioo
nelle menti grandi e origi'
noli.
Egli ama ^[uaei studiare V architettura
ne* monumenti di Boma e
é^ Egitto^la
vegetazione neUe selve tropicali f le
roeeie nelle Mpi o ntXP Etna;
la
guerra nelle marcie di Cesare o di
Napoleone, — Vedi Vico e V Italia,
nel
Poliucnieo, Voi. II, pag. 257.
domanda
perciò potrebb' esser questa : poteva
egli in-
tendere la
fede profonda del suo maestro nella
filosofia,
nella
vita della storia umana e nella
perenne e progres-
siva
attività del pensiero? No: nella mente
del Vico ei
dovea
scorgere specchiata la forma del proprio
ingegno,
la
immagine propria, 1' arruffio singolare
delle proprie
idee,
le contraddizioni palpabili, i paradossi
evidenti,
scintillanti
onde porgono spettacolo ingegnoso e pur
gradito
le sue scritture. Dovea ritrovarci l'
agitazione
furiosa
del proprio sentire. Dovea scorgervi un
fatalismo,
una
forza cieca, estranea e quasi attergata
che spinge
la
mente del Vico ad estrinsecarsi, per
esempio, in
quattro,
nò più né meno di quattro periodi.*
Così agli
occhi
di questo -critico il nostro filosofo
non è che
una
lunga serie di contraddizioni; sicché
riesce im-
potente
nella speculazione filosofica e povero d'
ogni
vigor
metafisico, appunto perché incapace a
sciogliersi^
dal
dubbio, e conseguir la scienza. Trentanni
di lavoro
ignorato
partorirono la Scienza Nuova, egli dice.
Or bene,
sopra
cotest' amplissima tela di trent' anni
il Ferrari si
accinge
a far le sue prime prove. Vi lavora
con entu-
siasmo
febbrile ; ma in sostanza non riesce
a far altro che
anatomia,
perocché in ultimo costrutto non sa
darci
che
ossa spolpate, nervi nudi e distratti,
muscoli spo-
stati e
lacerati, visceri frantumati, cranio spaccato,
cer-
vello
polverizzato. Ecco precisamente il Vico del
Fer-
rari. Chi
saprà riconoscerlo? Io no, certo; e
ne porgo
qualche
esempio che prendo a caso. Quanto
alla psUxh
logia^
egli dice, Vuomo pd Vico rimane
sempre nel-
* Che
il Ferrari abbia riflettuto sé stesso
nel Vico, si può credere che
lo
confessi egli medesimo con aria d*
ingenuità da fargli onoro, quando,
rispondendo
a certa crìtica acerba mossagli contro
da Guglielmo Librì, si
loda
d* essere stato il primo a giovarsi
delle varianti e delle ritratta- i
zioni
del Vico per designare lo svolgimento
storico delle suo proprie '
dottrine.
U Vico, egli dice, mi offriva ufC
occanone unica, peréhì U 9ue opere
non
tono che una lunga nerie di varianti.
Variante pel Ferrari suona con-
traddizione.
Vedi nella II* Lett. ai Redattori del
Journal dea Savana in '
risposta
alle censuro del Libri.
r
attitudine in cui era stato coUocato
da Platone e da Cicerone : sempre
le idee divine che si svegliano óJX
oc- casione delle sensazioni: sempre quella
doppia natura di spirito e di materia
e la stessa esitazione di Carte-
siOy
Malébranchej Leibnitz a colmare V abisso
che le 56»'
para:
sempre V induzione che si avanza oMa
scoperta, e
la
ragione che dà V ordine e la
riprova: sempre infine
con^astate
le usurpaziofii geometriche del metodo car-
tesiano.^
Chi
non direbbe che il Ferrari abbia
assai ben poco
Dieditato
il Libro Metafisico e, più che il
libro, la mente
del
suo autore? Queste parole basterebbero a
mostrar
chiaro
il modo con che quest'uomo tanto
ingegnoso
conduce
la sua critica.* A veder poi con
qual' esattezza
parli
di storia della filosofia, basti quest'
afiermazione :
aver
il Vico studiato il Leibnitz, dal
Leibnitz essere stato
condotto
a ricostruire le tradizioni italiane nel
Libro '
Metafisico,
d'avere accolta la sua Monadologia, e
simili.
Or
dove son le pruove di tutto ciò?
Il Ferrari non è un
pedante,
non è uno scolastico : egli non
ha bisogno di
provare
1 Fatto sta che il Vico non
cita mai né opere,
né
dottrine, né sentenze di Leibnitz, di
cui rammenta ap-
pena il
nome, il solo nome due volte; e
vedremo quando,
dove e
perchè lo rammenti. Vera bensì è l'
osservazione
che
gli scritti latini del Vico racchiudano
il suo sistema
metafisico,
da lui sempre supposto e non mai
esposto.*
Ma non
possiamo indirizzare allo stesso Ferrari
que-
sto medesimo
rimprovero? Perchè lo avete sempre
supposto
cotesto sistema, e non indagato e
giustificato
e
corretto mai ne' vostri lunghi commenti?
* Dice che il
« Vodi
La Mente dd Vico. Ediz. Mil. Voi
I, pag. 112.
' n
mede«Ìmo tenore di critica egli segue
nei Proemi al Diritto <
UnivenaU
e al Libro Me^JUieo, voi. II e
III.
' Vedi
Prefaz. alla Mente dd Vico, pag. 9.
* n
Ferrari ayrebbe avuto grand* attitudine, se
lo scetticismo non
avesse
ridotto in polvere fosforica il suo
ingegno, a comprendere ed
esplicare
la dottrina metafisica del suo maestro.
Talvolta ne dà segni
evidenti,
per esempio laddove afferma che V
intima unione tra la finoa
Vico,
avendo isolato nelle fasce della sua
metafisica il
corso
delle nazioni, andò a rovinare contro
le vaste fé-
derajnoni della
civiltà moderna. D critico e V
interprete
qui
vien meno, e in quella vece abbiamo
il politico
federalista
che ad un suo preconcetto si studia
subordi-
nare un
principio del maestro. E quando afferma
che
col
circolo similare questi rovescia perpetuamente
le nor
eioni
dalla Monarchia aUa barbarie, sarà lecito
chiedere
al
Ferrari, se questo principio possa esser
rigorosamente
dedotto
dall' insieme delle dottrine del Vico,
o se più ve-
ramente non
esista una splendida legge di progresso,
un
processo
in quel suo ternario storico e nella
successione
delle
forme politiche come ei le considera?
Ma eccola
contraddirsi
quando afferma che il Vico arresta U
corso
delle
nazioni alle grandi monarchie. Questo à
vero : ma
perchè
dimenticare che la grande monarchia pel
Vico
è la
Monarchia civile; quel reggimento politico
nel
quale
il mondo moderno (dopo il ricorso
storico) si
ferma
e devesi fermare, appunto perchè è il
governo,
r
impero della ragione spiegata? Nella
seconda Scienza
Nuova,
egli dice, il Vico giunge a
distruggere Omero.
Ma non
Tavea già beli' e distrutto nella Prima,
per
non
dire anche nel De Constantia
PhUologia dove
il
dubbio traspare evidentissimo? Per un'
anomalia U
genio
del Vico profetizzò le verità dd
secolo XIX. Be-
nissimo: oh
perchè dunque non avete spiegato, com-!
mentato, fecondato,
ravvivato cotesto verità? Perchè
non ci
avete presentato V uomo nuovo svestendolo
delle
vecchie
ciarpe? Sono forse il dubbio e lo
scetticismo
sistematico
le verità del secolo XIX ?
L'esagerazione
del Ferrari passa il segno là dove
afferma
che nella Scienza Nuova il suo
maestro siasi
inalzato
a creare geometricamente la storia
deU'umanUàf
a
farla con la meditagione, a farne una
storia ideologica^
e la
metaJUica eo9t%tui»eé tutta la forza e
la grandetta dd 9%Hema di Vico,
e
quasi una geometria umanitaria. Io stimo
V ingegno
potente,
vivacissimo del Ferrari, e leggo e
leggerò sempre
con
trasporto i suoi libri. Ma c'è egli
una ragione di
cotesta
critica che comincia col caos e
finisce nel caos?
La
ragione e' è, ed è tutta nei
suoi principii filosofici.
Tutto
ciò che v'è di fisiologico, di
fisico, di naturale,
d'istintivo,
di meccanico nelle dottrine vichiane, tutto
questo
egli ha saputo organare a sistema, e
con ardire e
con
ingegno senza esempio nella storia. Questo,
vedremo*,
è!il
suo sistema storico, eh' è in sostanza
T espressione
più
esagerata del Positivismo applicato nella
storia.
Suo
principio è la contraddizione: non la
contraddir
zione
già risoluta razionalmente com' è, per
esempio^
nella
mente degU Hegeliani; bensì la
contraddizione
empirica,
la contraddizione intesa come fatto, la
con"
traddizione
immanente. Per questo suo principio il
Fer-
rari dovrà
occupare un luogo distinto nella storia
della
filosofia
contemporanea, appunto perchè nella forma
oom'ei
lo presenta è un principio originale.
Ed egli
se ne
tiene, se ne gloria. Giorno di festa
fii per lui
quando
alla mente gU apparve chiara V
applicazione
di
tale idea alle dottrine poUtiche degli
Stati considerati
nelle
loro scambievoli opposizioni e ne'lor
contrasti.
La mia
gloria (diceva un giorno) si fonda
appunto su
la
scoperta di questa legge. E questa
legge egli è venuto
applicando,
com' è noto, in tutte le sue
scritture, dalla
Mente
del Vico alla Storia detta China. Ora
io domandò
con
questa filosofia poteva egli penetrar
davvero nella
mente
del suo maestro? *
*
NeU*£WMt $ur U principe et lee
limite» de la Ph*L de VBieL (Paris^
Joobert
1848) il Ferrari rìdaoo a quattro i
difetti cardinali del Vico :
l** Il
Vico, egli dice, ha trafportato nella
vita deUe naziom V armonia pre-
9tabilita
di Leibnitz, Sarà vero in certo
senso: in che senso? in che'
maniera?
2<* Ha foOto delia Scienza Nuova
una generalizz€tzione della Storia
nomano.
Ma, come se lo stesso Vico chiamò
la istoria n^mana tenuieeimo
Saggio
della storia universale? Z^ Ha coneiderato
U eieiema eoeiale solo nel
patriziato,
e però i plebei non eesere altro
che bimani eenza matrimonio nd
rdigioni.
Ma perchè non fate che la vostra
critica penetri in quo* due
io il
Ferrari è bene far menzione del
Cattaneo,
/e a
proposito d'un altro libro dello stesso
Fer-
^risse
un articolo pieno di serietìi e
dottrina, come
re
usava quel forte e versatile ingegno.*
Psicologo
K>
w/tico più che scettico, con la sua
critica egli comin-
cia a
riprender V andamento pacato e sereno
dello
.
lannelli. Il Cattaneo è come Y anello
fra il Ferrari e
'il
Tommaseo. Noi non possiamo, egli
dice, studiare
con
profitto lo spirito umano in sé,
nella sua essen-
za, bensì
nelle sue elaborazioni storiche, e nelle
situa-
zioni più
numerose e diverse che si possa. Però
biso-
gna studiare
il poliedro ideologico nel fluissimo numero
di sue
faccey e da questo terreno tutto
storico e speri-
metitàle
dovrà sorgere la vera cognizione dell'uomo;
la
quale
indarno si cerca nei nascondigli della
coscienza.
Lo
studio dell' individuo nella società, V
ideologia so-
dale: ecco
una sentenza piena di verità per cui
il Cat-
taneo si
chiarisce assennato seguace del Vico. E
che
egli
abbia inteso il pensiero del filosofo
napoletano lo
pruova
l'altra osservazione su le successive
trasforma-
zioni
storiche del diritto, per cui nella
Scienza Nuova
a
troviamo fusa la dottrina d^l' interessi
come cam-
peggia nel
Machiavello con la dottrina della ragione
i
esposta da Grozio, togliendo eoa la
contraddizione
che
divideva la storia dalla filosofia.'
» Che se anche
il
Cattaneo s' addolora al pensiero dei
Circoli fatali^
che il
Vico ebbe in comune, secondo lui, col
Machia-
mipremi
principii d'umanità, PuDOR e Libbrtas, che
sono il cardine della '
Scienza
Nuova, e per cui anch* il servo,
anch* il bimane un bel giorno
diventa
uomo, personalità ? é'* Cade col
Machiavelli nd »iHema delU dué
fati,
V ima harharay V altra eivtU, No,
introduce nn nuovo sistems nelle
due
differenti fasi, Tuna tpantanea e
raltrart^faMo; e questo non è cir-
colo fatale,
identico, ma progressivo. Dice poi che
il Vico eroit que la
vdonU
peut eorrompre Vceuvre de la roMon
(pag. 105). Qui evidente-
mente il
Ferrari non ha saputo, né poteva col
suo scetticismo, intender*
e
comporre in organismo i principii
psicologici del suo maestro.
*
Firbàri, Vieo et VltaUe. Paris 1889.
*
CiTTRinBO, nel Politeonieo. Voi. II, 257.
* Vedi
Periodico oit pag. 264.
velli
e col Campanella, una consonanza mirabile
però sa
trovare
fra i più recenti sistemi umanitari e
quello del
Vico,
agli occhi del quale la Provvidenza,
con V occa-
sione degV
interessi delle inique passioni, trae la
giustizia
effettuandola
gradatamente nel mondo delle nazioni.
Laonde
osserva come prima di Fichte, segnatamente
prima
di Schelling, a lui fosse dato
riguardar la ragione '
qual
facoltà che occasionalmente si sveglia
nell'uman
genere.'
•CONTINUA
IL PERIODO DE' CRITICI E DEGLI ERUDITI.
Co'
suoi Studi Critici V illustre Tommaseo
segna il
passaggio
al terzo periodo, e quindi ad una
terza classe
di
scrittori che si sono occupati del
Vico. Critico e filosofo,
infatti,
egli stabilisce V anello fra i puri
critici e gì' in-
terpreti
filosofi negli studi riguardanti il nostro
autore:
Imitazione
e riproduzione, come negli scrittori del
primo
periodo,
non era possibile nell'ingegno versatile,
dut-
tile, acuto
ed elegante del Tommaseo; e tanto
meno
possibile
in lui una critica scettica alla
maniera del
Ferrari.
Piena la mente e l'anima di fede
e di pro-
fondo
sentire, questo scrittore è anche filosofo,
e vi
pretende.
Egli ha scritto libri di filosofia;
ha inter-
pretato, e
non di rado con sottigliezza scolastica
ha
difeso
il princìpio speculativo del Rosmini, e
propu-
gnatolo con
ardore giovanile. Nessuno dunque può ne-
gare a
quest'ingegno artistico e severo buona dose
di
virtù speculativa. Sarà filosofo scologizzante,
sarà
filosofo
più che rosminiano, ma è filosofo,
oltre che
critico
de' più sottili: è filosofo e
critico, e, senza con-
Nel
PoUteenico cit., pag. 276.
trasto,
quant' a proprietà di linguaggio occupa
oggi 1
primo
seggio fra i viventi scrittori del
nostro paese.
Nessuno
meglio di lui poteva farsi a rilevar
le bellezze
nella
parte letteraria ed estetica delle idee
del no-
stro
filosofo. E, facile a spigolare ne'
campi altrui, an-
che in
questo egli è andato scegliendo fior
da fiore, e
ne
presenta cotal mazzo che lascia scorgere
l'arte di chi
n' ha
fatto la scelta. Chi, prima di lui,
avea saputo ritrar
r
indole, per esempio, di certe composizioni
poetiche del
Vico,
additar la possente originalità nello
stile, la sel-
vaggia
lobustezza della parola, la forma singolare
del-
l' ingegno,
e segnatamente l' animo e tutto il
carattere
morale
dell'uomo? Una delle più notevoli pagine
della
prosa
italiana, egli osserva, è la nobile
immagine di
donna
egregia lodata dal Vico : ed è
verissimo ; e vere ed
argute
non meno ci paion quelle considerazioni
su la
storia
del Caraffa, nella quale spesso questi
è dipinto
non
qncd era ma guai doveva essere, per
meritare le lodi
del
Vico. La dignità del lodatore si
vendica per tal modo
della
indegnità del lodato j e la lode
diventa condaivna.^
Ma il
Tommaseo, ho detto, è anche ingegno
specula-
tivo, e
spesso è felice nell'intravedere il vero
di certe idee
filosofiche
del Vico. Ecco un'acuta riflessione:
Fólibio e
gli
antichi deducono osscì-va^ioni generali da*
fottio U Mct-
chiavelli
trae consiglif il Vico determina leggi.
Ma le SUE
LEGGI
NON PANNO FORZA ALLA PRATICA, anzi
egli
dice
cìie l'uomo dee nelle teorie r attenersi
come cavallo
aìiimosoy
per poi nelle pratiche cose correr di
maggior
lena}
Altra bella osservazione è quando nota
come da
Platone
egli traesse non l'idea, sì la
ispirazione della
sua
storia ideale. Il che mi piace
avvertire col Tommaseo
contro
chi pretende rimontare sino al filosofo
ateniese
a
ripescarvi un antecedente alla Scienza
Nuova! Veris-
simo altresì
che le due Scienze Nuove paiono
entrambe
due
grandi edifici secondo la medesima idea
architettati :
*
Tommaseo, Studi Critici. Venezia, 1843 Voi.
I, pag. 89.
6
questo avverta chi ha creduto vedere
nella seconda
di
esse non so che stravaganze, follie o
puerilità. Con
salde
ragioni poi contro parecchi critici del
Vico egli
dimostra
come nelle opere di lui si manifesti
potente,
vera,
chiara l'idea del progresso; perchè se
aUe cose
umane
vide un corso e ricorso in orbita
fissa, non disse
che V
orbita non si potesse più e più
sempre cól volger
de' tempi
allargare^ E non meno della critica
che
riguarda
per diretto il Vico, preziose paionmi
anche
quelle
undici appendici indirizzate ad illuminare
il testo
dove
il filosofo napoletano sorge principal
figura: dico
le
appendici sopra lo Stellini, il Grozio,
il Romagnosi, il
Foscolo,
sul gius sacro e sul gius Romano,
su le origini
sociali,
su gli Sciti, Illirici, Slavi, sul
Niebuhr ed altri.
Il
Tommaseo vuol esser rammentato ed encomiato
eziandio
per un altro lavoro speciale sul
Diritto Univer- 1
sale,^
È un esame critico, al solito, assai
condensato
e
sparso di riflessioni ingegnose, d'opportuni
e fedeli
riscontri
e di felici divinazioni nel penetrare
le idee del
filosofo.
Ma è pur d'uopo confessare che se
come cri-
tico nessuno
può entrargli innanzi per sobrietà e
giu-
stezza di
giudizi, come filosofo non tutti sapranno
accet-
tarne ogni
sentenza. Molte interpretazioni e parecchie
confutazioni
eh' ei move al Vico noi non
potremmo acco-
gUere:
quella per esempio dove, accennando alla
luce
metafisica
del nostro filosofo, si studia vederci
non pili
che
Tessere ideale del Rosmini,' e T
altra onde presume
che
dal concetto della Trinità egli traesse l'
ordinamento
delle
facoltà umane, e nel medesimo concetto
scorgesse
radicarsi
la metafisica, la morale e fin la
giurispruden-
• Op.
cit., pag. 125. fe anche del Tommaseo
quesV altra bellissima
osseryazionc
: Dalle proprie averUure il Vico
dedusse H mondo invecchiato :
ma
^gìi medesimo ci vieta di crederlOf
egli che pronunziò: mundus enim
jaTenescit
adhuc; interpretazione luminosa deUa sua /rantesa
dottrina delh*
legje
de ricorsi, e risposta sufficiente a
dà lo accusa di negare al genere
umano
ogni forza (T avatuamenfo. — Dizionario
Estetico» Voi. I, pag. 398.
•
^kudi Filosofici, Voi. II. Venezia mdoooxl,
pag. 118 o segg.
l«
Stwli OrUici, Voi. I, pag. 30.
za.*
Sbaglio grave, dice, Taver negato la
trasmigrazione
I
delle civiltà da popolo in popolo
innalzandovi mura
di
bronzo.* Errore gravissimo poi da restame
scan-
dalizzati,
più che uno, mille Tommasèi, gli par
la sen-
tenza, che
dopo il diluvio gli uomini si
disumanas-
sero 1
* E qui r illustre critico si
fa forte delle censure
^ del
Lami, del Romano e del Finetti e
di tutti gli opposi-
tori del
primo periodo, co' quali dopo un secolo
e mezzo
par
ch'ei si trovi in pieno accordo. Il
Tommaseo non po-
teva
penetrare nelle dottrine speculative del
Vico, e da
quéste
trarre, più che dai due o tre
passi d'autori lettini
o
dagli urli dell'uomo bestiale assordante
l'aria e le
selve,
nuove dottrine e vere su le origini
dell' umanità,
non
discordanti oggi co' risultati delle scienze
naturali.
Come
si vede, con una critica sempre acuta
nelle
sue
osservazioni tuttoché non sempre vera ne'
suoi giu-
dizi, il
Tommaseo è stato il primo fra noi
ad espri-
merci '1
bisogno d' interpretare in maniera filosofica
le
dottrine
del nostro filosofo ; ma non vi
giugne, né il
poteva,
perchè non gliel permettevan né le
esigenze
della
fede tanto salda e vigorosa nell'
animo suo, né la
filosofia
schiettamente Kosminiana nella quale è uso
at-
tingere i
principii filosofici e i criteri metodici.
Usciamo
ora
un'altra volta dal nostro paese, e
vediamo se nel
giro
degli anni di che parUamo gli studi,
i giudizi e la
stima
circa il nostro filosofo sian venuti
sempreppiù
progredendo
anche presso altra letteratura come presso
di
noi.
L'illustre
Renouvier avrebbe stimato manchevole
la sua
storia della filosofia moderna ove anch'
egli non
avesse
accennato all'autore della Scienza Nuova.
11
Vico,
egli dice ripetendo un'aflFermazionedel Michelet,
•
ToMMAsio, Studi Filotojiciy Voi. cit., pag,
129.
•
Studi Gritici, Voi. cit. pag. 78.
• Due
o tre pa$9Ì d* autori latini e
H troppo reU^oto rispetto di tutu
torta
tradizioni in tali togni tmarrirono tale
ingegno. — Vedi Op. cit.
Voi.
cit. pag. 8S.
del
CDUsin, del Lerminier, dello JoufiFroy e
d'altri fran-
cesi, ha
fatto alla scienza una rivelazione nuova
creando
la
filosofia della storia; talché dopo la
morte de' due
martki
suoi compatrioti Bruno e Campanella, ei
ci si
presenta
davvero qual rivelatore d'un mondo nuovo.*
Un'
altra osservazione, di cui è bene
prender nota, è
quella
dov' egli afferma che, quant' a
Cartesio, il Vico
ebbe
pieno diritto a biasimarne l'incompiutezza
del
metodo,
egli che, considerando come scienze la
poesia,
^ la
storia e la filologia, potè gettar -le
basi d'un
metodo
novello supremamente sperimentale, storico e
comprensivo.
Ma quali sono propriamente i principii
filosofici
del Vico? Ha egli una serie di
principii meta-
fisici? Il
Renouvier non risponde a questa domanda,
e si
tiene
contento nell' affermare solamente eh' egli
ama/va
la
metafisica di Descartes.
Sarebbe
questo il luogo di rammentare il
Bouchez; *
ma,
fra tutt' i francesi, questi è l'
unico scrittore che
del
Nostro abbia parlato in guisa assai
meschina, tanto
che a
veder come lo cita e come n'
espone le idee, fa-
rebbe
sospettare di non averlo letto, o che
ne abbia
solamente
discorso per sentita dire.«£ noi non
avremmo
tirato
fuori il nome di questo debolissimo
filosofo della
storia
e tenutone conto, se nel suo libro
non si vedesse
confermata
certa notizia della quale giova prender
nota.
Citando
un vecchio periodico di Francia, il
Bouchez dice
come
le opere del Vico fossero quivi note
già sino dai
primi
lustri del secolo passato. I francesi
dunque molto
probabilmente
non ignoravano il primo libro del
Diritto \
Universale
e, che più monta, neanche il secondo
nel '
quale
è racchiusa, com' è noto, la sostanza
della Scienza
Ifuova.
La qual cosa abbiam voluto qui
avvertire col
fine
di rinfiancare vie piii la sentenza
d'alcuni critici
su
l'origine delle molte affinità fra alcune
idee del Vico,
*
RBiroinriBB,Jfaraii««Z de PhUot. moderne ; Paris
et Uipsig 1 842 pag. 368.
'
BouoHBZ, Inltrod. è la Scietkce de
VHiet, ec. Paris, 1814.
e
quelle di certi filosofi e storici
francesi anteriori alla
rivoluzione,
massime del Tm^ot e del Condorcet.
Nel
tempo di cui parliamo (1844) novella
traduzione
comparve
in Francia per opera dell' autrice
anonima del
Saggio
sulla formaeUme dd damma eaftólico. E
anche
qui e'
è progresso; perchè se la traduzione det
Michelet,
come
si disse, è una riduzione non molto
fedele e man-
cante di
critica, la traduzione di che discorriamo,
oltre
d'esser
propriamente traduzione, è poi fornita d'un
lungo
lavoro su le opere e su le
dottrine del Vico, pre-
gevole
soprattutto per V analisi cui è
sottoposto il pen-
siero del
nostro filosofo.* L' autore di questa
prefazione
s' accorge
subito ov'è il nodo delle dottrine e
del metodo
vichiano.
Cotesto nodo, evidentemente, è nella
distin-
zione e
insieme nella relazione tra il vero e
il certo, tra
la
ragioìie e Vautoritcu^ E innanzi tutto osserva
come la
parola
autorità pel Vico voglia dir volontà,
coscienza,
1 voce
interiore, sorgente di quel conoscere ond'
all'uomo
non
riesce additar le ragioni scientifiche e
universali.
Brevemente;
la coscienza è autorità anzi la piìi
grave
delle
autorità. La ragione poi è facoltà
che giugno a
dimostrar
la cosa scientificamente, e quindi produce
il
vero.
E poiché tutto ciò che 1' uomo
dimostra è fatto
da lui
e però ha natura finita, ne segue
che il vero
debb'
essere inferiore al certo. V è
pertanto differenza tra
il
vero metafisico e '1 vero matematico:
questo è nostra
fattura,
e quindi è vero; quello, in vece,
non ci appar-
tiene come
nostro effetto, e in conseguenza riguardo
a
noi è
solamente un certo. Ora siccome conoscere
vuol
dire
scomporre ed astrarre per cavarne gli
elementi;
così
di Dio non potremo aver nozione vera,
ma certa,
stantechè
non ne sia dato scomporre ciò eh'
è essenzial-
mente uno,
né ritrovar cause di ciò che è
causa per sé.
È
necessario adunque un modo nuovo di
conoscere Dio;
* La
lunga ed elaborata prefazione a coi
alludiamo si vaole scrìtta
da un
celebre storico firancese (A. M.) amico
della traduttrice.
* La
Seience NouveUe, trad. etc., Paris, 1844,
pag. ltii.
e però
necessaria una nuova facoltà. Questa
facoltà è ap-
punto il
volere, che si rivela col mezzo della
coscienza.
La
nozione di Dio quindi è un fatto
di coscienza e di au-
torità,
perchè autorità e coscienza tornano il
medesimo.
Ho
voluto accennar brevemente queste osservazioni
non
solo a mostrare che la prefazione di
cui parliamo
non è
da annoverarsi fra le solite ampolle
messe in fronte
alle
traduzioni delle opere di grandi autori,
ma a far
Tederò
altresì come in essa racchiudansi
interpretazioni
davvero
ingegnose. Il traduttore poi avverte la
confu-
sione fatta
dal Vico tra Zenone lo stoico al
quale è
attribuita
la dottrina del punto metafisico, e
quel Ze-I
none
à^Elea che riguardava i corpi siccome
aggregati
d'infinito
numero d^ atomi o di punti. Nota
essere esclu-
rivo
del Vico quel concetto per cui si
considera il corpo
siccome
|?wn^o metaifisico esteso. Osserva (e qui
prego gli
altri
critici H tener conto di tale
osservazione) che il
Vico
non volle né poteva respinger l' idea
del progresso,
attesoché
avrebbe contraddetto alla propria metafisica:
le$
cercle4 doni il entoure Vhutnanité doit
nécessairement
marcher
en avant.^ La qual sentenza, che cioè
nel padre
della
scienza storica rifulga chiarissima, chi
sappia di-
scemerla,
l'idea del progresso, è sostenuta in
modo
splendido
da un altro francese vivente, dal De
Ferron
come appresso
vedremo.
Fra le
idee originali del Vico il traduttore
pone
anche
questa : V uniformità originaria di
civiltà appo
differenti
popoli più come eftetto della comune
natura e
dell'
unità di fine che ne presiede allo
svolgimento, anzi
che
come resultato di comunicazioni dirette
avvenute
fira
popoli diversi.' Riferisce al Vico la
scoperta de' tipi
fantastici
di differenti classi d'uomini contro chi
non
vi
sapeva scorgere altro fiiorchè personificazione
di forze
naturali.
À lui medesimo riferisce l' aver dimostrato
sto-
ricamente il
processo delle tre forme politiche
generali,
* La
Science Nouvdle, pag. OVli.
aristocrazia,
democrazia, monarchia ; V aver avuto
co-
scienza come
né T eloquio né la civiltà latina
fossero
provenute
di Grecia; e, anziché divinato (come
vorreb-
bero alcuni
tedeschi), aver egli dimostrato in gran
parte
i suoi
principii storici, né solamente dato
impulso alla
presente
filosofia della storia, ma avere concorso
pro-
priamente a
svolgerla, a costituirla: al qual proposito
notiamo
come il traduttore giustamente rivendichi
al
Vico
il merito attribuito a Champollion, d' aver
inter-
I
pretato e svolto le conseguenze del
celebre passo di San
Clemente
Alessandrino. Fa vedere poi come in
pili cose
ei
mirasse più giusto e più sicuro dei
suoi successori
quant'
alla storia del Diritto; per esempio,
su la tanto
vitale
distinzione fra popolo e plebe, non
veduta da
!
Livio, e comprovata dopo il Vico dal
Beaufort e dal
Niebuhr.
Mostra quindi essere assolutamente nuovo il
modo
con che V autore della Scienza Nuova
considera
e
risolve la questione circa l'origine delle
XII Tavole;
nel
che lodiamo la forza e la maniera
ingegnosa on-
d' anch'
egli sa difenderne la verità. Verissimo,
final-
mente, quel
giudizio su la dottrina risguardante Omero
e i
poemi omerici, accorgendosi come il Vico
non in-
tendesse con
tal dottrina negare un Omero personale
che
'impresse
forma esteriore ai suddetti poemi, ma
negare
bensì,
nel che egli ebbe ed ha ragione,
un Omero che
fosse
creatore de' medesimi, come vedremo a
suo luogo.
Tali
sono i pregi di quest'assennato lavoro
critico
che va
innanzi alla seconda traduzione della
Scienza
Nuova.
Ma non vi mancano difetti ; e
ne cito qualche
esempio.
Come non iscorger l' attinenza fra il
vero e
il
certo del Vico? Come non veder che
1' autorità altro
non è
che la stessa ragione considerata quale
obbietto
che
propone sé a sé medesima, essendo due
termini co-
testi che,
come altrove diremo, van soggetti anch'essi
alla
legge di conversione? Se questo avesse
inteso il
traduttore,
non avrebbe affermato che dell' assoluto
non
si
possa aver nozione, ma sentimento. Nella
Ragione e
jìeW
Autorità del Vico egli forse ha
voluto scorgere qual-
cosa della
Ragion pura e della Ragion pratica
del Kant, '
G
certo non s' è intieramente ingannato. Ma
non s' in-
canna egli
quando si piace di scendere a
conclusioni cosi
immediate
col Criticismo? Che poi tanto in metafisica
quanto
in geometria il punto sìsl principio d^
estensione;
che
però la matematica, sia come dire,
copia materiale
atta a
farci conoscere il tipo immateriale eh' è
appunto la <
metafisica;
e che tutto ciò stabilisca un
rapporto nuovo e
mai
non visto prima del Vico fra il
conoscere metafisico ed 1
il
matematico; le son cose alle quah non
è lecito, per no-
stro avviso,
mover dubbi. Or come in tutto questo
e' entra
^li il
panteismo? Il punto vai forse la
circonferenza?
Certo,
punto metafisico è lo sforzo, l' anima
del mondo :
od è
anche un modo dell'Assoluto. Ma che
natura di
modo è
egli mai cotesto? Anch' il Vico definisce
tal
modo
come disposizione dell' assoluto (dispositio
Dei) :
ma
qnal genere disposizione è ella cotesta?
Sarà de-
terminazione
intrinseca? Eccoci al panteismo! £ quando
siamo
al panteismo, io confesso di non
intender più
nulla
del Vico, né delle sue dottrine, e
nemmanco di
questa
scrittura del traduttore francese. Non
parmi
dunque
giusto affermare che la filosofia del
Nostro ad
altro
non possa riuscire salvo che ad una
forma di pan-
teismo.
Forse che tutto al mondo si può
ridurre a tre
modi,
come vorrebbe il critico, della sostanza
divina?
Intendo
come quelle tre note idee del Vico,
Quiete^ Co-
nato e
Moto, ove formino soggetto unico, semplice,
immu-
tabile,
possano facilmente condurre all'assoluta
identità.
Ma
ecco dov'appunto è necessaria la crìtica;
una critica
mercè
cui, chi ne voglia interpretar con
sincerità di giu-
dicio
le dottrine, è in obbUgo di porre
in accordo la
teorìa
in discorso con altra serie d' idee
evidenti, si-
cure, né
soggette a dubbie interpretazioni, che pur
tro-
viamo sparse
nelle opere del nostro filosofo.
Un
altro appunto potrebb' esser questo. L'
anonimo
traduttore
accenna al metodo educativo ond'il
Vico
gettò
qualche barlume nel libro sulla Ragion
degli skidi.
Diremo
appresso perchè la sentenza pedagogica che
il
Vico
pone a fondamento di questo libro
tomi d'ogni parte
erronea:
ma forse per questo potrà esser
lecito al critico
di
fermarsi al primo uscio che gli vien
fatto incontrare?
Più
che dell' orazione De nostri temporis
studiorwm
rixHone,
non avrebb'egli potuto e dovuto ricavare
i
I
principii pedagogici del filosofo dalle sue
stesse dottrine
di
psicologia e di diritto, che certo
non gli sarebbe man-
cata stoffa
bastevole al fatto suo? Finalmente, quanto
all'appunto
su la monarchia, è vero esser questa
l'ul-
tima forma
politica che apparisca nel processo storico
I
dello Stato secondo il Vico ; ma
non è la più perfetta
1 né
in sé stessa, ne secondo i principii della
Scienza
Nuova,
come abbiamo avvertito parlando del
Ferrari.
£ qui
poiché siamo tra' Francesi, giova dire
quale
stima
facesse Augusto Gomte del massimo libro
del
nostro
filosofo. Come si rileva dalla
corrispondenza epi-
stolare col
Mill, il padre del Positivismo francese
studiò
il
Vico nell'ottobre del 1844; e prima
di tutto si chiama
contento
per non averlo letto innanzi, che
altrimenti
sarebbe
stato entravo ou dérmigé mofnentanémeni!
Af-
ferma poi
che il suo giudizio sul Vico è
quel medesimo
ch'egli
stesso formulò riguardo al Montesquieu e
al Con-
dorcet
: * il che basterebbe a mostrare
con qual disposi-
zione
d'animo ei pigliasse a leggere la
Scienza Nuova.*
Vedremo
altrove qual differenza corra tra l' opera
su
lo
Spirito deUe Leggi, e la Scienza
Nuova: quant'al
libro
del Condorcet fin d'ora diciamo nulla
o pochis-
simo aver
che vedere le intuizioni, del resto
felicissime,
di
questo filosofo con le indagini storiche
particolari,
positive
e analitiche del Nostro. E ancora,
chi vogUa un
altro
segno del modo come il Gomte leggesse
il nostro
filosofo
e qual frutto ne traesse, osservi
questo, che alcune
Degnità
del filosofo napoletano a lui parvero
indicare
* A.
Gomte, Op., Voi. IV.
*
LiTTRii, Augutte Cùmte, pag. 460.
un
primo passo verso U sentimento detta
vera i
eione
sociale. Non era naturale che il
Comte si feri)
li a
que' generali assiomi delle Degnità ove
pare'
intravedere
il germe della evoluzione sociale? Ma
ttjr-
marsi
a cotesti germi, e non accorgersi
qual fecondo svol-
gimento
abbian essi ricevuto dal medesimo autore,
è
lo
stesso che accorgersi del seme e non
veder l'al-
bero! £
come poi non iscorgere la sua stessa
legge dei
tre
stati ad ogni pagina della Scienza
Nuova? E come
aver
cuore, ciò che più monta, di
proclamarsene inven- ^
tore?
Giunto appena alle Degnità^ chiude
gli occhi
per
non vedere; e non vuol vedere ciò
che l'italiano
avea
già visto molto più profondo di lui,
e prima di lui !
Sennonché
egli stesso ne riconosce i meriti,
me-j
riti
ch'ei crede superiori a quelli del
Montesquieu, e
conclude
annunziando che la dottrina del Vico
potrà
deciderlo,
in una seconda edizione dell'opera sua,
a
consacrare
une ou deux pages à Pappréciation de
Vico.
Manco
male che principal inerito effettivo del
filosofo
italiano
gli sembra esser quella maniera profonda
con
la
quale nella Scienza Nuova è intesa la
filosofia storica |
del
linguaggio ! Ma chi per poco abbia
studiato il nostro
filosofo,
non saprà dubitare che per l'appunto
questa dot-
trina
particolare in lui si collega intimamente
con altre
di
maggior valore, stantechè una filosofia
storica del lin-
guaggio
importi già una filosofia della storia,
e quindi
una
scienza dei fatti storici: Or se
nell'una ci è meriti
eflFettivi,
non sarann'anco nell'altra cotesti meriti?
Ecco
il
positivista fi*ancese che, pur non volendo,
viene a rico-
noscer la
gloria (gloria ch'egli sperò d'aver tutta
sfron-
data nella
lettera al Mill) di chi un secolo
avanti a lui
e con
ogni splendore di scienza, inaugurava tra
noi la
rerace
filosofia positiva.
E qui
è anche il caso d' accennare all'
illustre Stuart
Mill,
il quale, un anno prima che il
Comte gli desse no-
tizia de'
suoi studi sul Vico, pubblicava il
Sistema di Logi-
ca, e
accennava al filosofo napoletano là dove
stabilisce i
principii
del metodo dedtdHvo^nverso, o metodo
storico.
L' azione
reciproca, egli dice, delle circostanze che
ge-
nerano i
caratteri degli esseri umani, e degli
esseri
umani
che modificano quelle circostanze o esterne
con-
dizioni,
induce necessariamente un circolo di moto,
od
un
progresso. Quantunque nel mondo astronomico
le
posizioni
successive de' corpi celesti producano cangia-
menti
variabili, questi cangiamenti sono ricondotti
nelle
condizioni
ordinarie e nell'ordinaria monotonia, in
virtù
del
sistema solare. Il moto de' corpi
celesti, insomma, è
essenzialmente
orbitale. Ma non è anco possibile un
moto,
una linea che non rientri in se
medesima? È
possibile.
Ora il moto della storia a quale
di questi due
tipi è
a riferirsi? « Uno degli autori (egli
dice) che per
i
primi hanno considerato la successione
degli avveni-
menti
storici come sommessi a leggi fisse
ed han cer-
cato
scuoprire queste leggi mercè un esame
analitico
della
storia, il Vico, il celebre autore
della Scienza
Nuova,
ha adottato la prima di queste
alternative. Egli
ha
concepito i fenomeni dell' umana società
come pro-
cedenti
nella stessa orbita, passando periodicamente
per
la
medesima serie di cangiamenti. Quantunque
tal ma-
niera di
vedere non manchi di verosimiglianza, non
potrebbe
sostenere un esame serio : e quelli
che al Vico
sono
succeduti in tale ordine di speculazione,
hanno
generalmente
accettato l'idea di progressione traiettoria
invece
di un' orbita o d' un ciclo.* *
Come
si vede, è il solito appunto ond'
il Vico fu ed è
anc'oggi
accusato da molti. Ma, come il Comte,
cosi pure
il Min
probabilmente lesso, o meglio sfiorò una
sola delle
opere
del filosofo italiano; perocché non sarebbe
difficile
mostrare,
se qui fosse luogo, com' il moto
storico del
Vico,
nel giro de' fatti storici, sia
precisamente quello
che il
positivista inglese addimanda progressività; e
sarebbe
facile poi far vedere com'egli non
sia caduto
*
Stuart Mill, Sy9t dt Logique, Voi. Il, cap. 8.
in
quel doppio difetto non .saputo schivare
dal Mill:
dico
il difetto d' un vero concetto
storico, e quello
di
credere che, ammessa pure una progressività
negli
affari
umani (per dir com' egli dice),
questa non abbia
a
costituire questione di metodo nella Scienza
Sociale,
bensì
un teorema della scienza stessa. Ora
a me pare che,
ritenuto
innegabile un cangiamento progressivo nella
schiatta
umana, l'oggetto della scienza non può
riuscire
identico
a sé stesso, non è immobile, né
immutabile;
per
cui, ammesso che la natura del metodo
tiene alla
natura
dell'oggetto, non siamo altrimenti in una
que-'
stione
teorematica, ma di metodo altresì. Il
concetto
adunque
della Scienza Sociale corre i destini
del concetto
della
scienza storica. Questa, come sarà megUo
veduto,
è una
delle pecche del Positivismo inglese.
Ma nel
Mill e' è tal pregio, come altrove
accennam-
mo, che
il diresti seguace addirittura del nostro
Vico, i
tantoché
il VI libro della sua Logica si
potrebbe credere I
un'applicazione
d'alcuni sommi pronunziati della Scienza
Nuova.
Parla anch' egli di legge storica; d' una
legge di
trasformazioni
successive, d' una progressione nelle con-
vinzioni
intellettuali dell'umanità. Più ancora : la
possibi-
lità d'una
vera Scienza Sociale e' non sa farla
consistere
in
altro salvo che in queste due
condizioni: 1» nel deter-
minare
cotesta legge, ma in maniera empirica,
cioè come
resultato
di pura osservazione ed esperienza storica;
2*'
nel saper convertire poi cotesta medesima
legge in
teorema
scientifico, deducendola a priori dai
principii di
nostra
natura.* Orchi non vede come qui
l'illustre in-
glese
avrebbe potuto confessare che a tali
quesiti erasi
già
risposto in Italia un secolo e piii
avanti che in In-
ghilterra
fosse pubbUcato il Sistema di Logica?
Chi non
vede
quanto ingiustamente abbia egli prodigato
al Comte
tutti
gli onori del metodo storico? Qua
dietro abbiamo
sospettato
che né il Mill né il Comté si
ebbero per av-
Stuabt
Hill, Syti. de Logique. Voi. IT, p&g. 580.
ventura
notizia diretta o almeno accurata delle
opere del
Vico.
Se così non fosse, né questi avrebbe
fatto tanto
rumore
della sua legge sociologica e menatone
vanto
come
di peregrina scoperta, ne quegli, fatta
la cerna an-
che lui
dei meriti del positivista francese,
avrebbe oggi
affermato
che proprio al Comte s' appartenga V
onore
di
questo concetto: che ciascuna classe
distinta di
coficepimerUi
umani passi per tre stadi, teologico,
meta"
fisico
e positivo.^ Avrebbe visto, insomma, che
la legge
storica
del filosofo italiano è, come dire,
un organismo
vivente,
tutt' un sistema, di guisa che nessun
elemento
di
civiltà può rimanerne inori ; e
sarebbesi accorto per-
ciò che
la parte o l'aspetto vero della legge
sociologica
la
quale egli accetta e celebra, s' appartiene
al nostro
filosofo
italiano, dovechè la parte erronea ch'egli
stesso
ripudia,
potrà, quando se n'abbia gusto, formar
la glo-
ria della
presente filosofia francese.*
Ed ora
lasciando inglesi e francesi torniamo in
Italia,
dove
ci si presenteranno scrittori ne' quali,
fatte le de-
bite
eccezioni, piii che la critica erudita
e storica e
letteraria,
predomina il senso della interpretazione
spe-
culativa, e
sentesi l' esigenza filosofica nello studio
delle
dottrine
vichiane. Si comincia a capire che
nelle opere
del
Vico e' è pure i getmi d'una
filosofia da svecchiare
e da
fecondare. Si comincia a vedere che,
oltre la
.
Scienza Nuova, c'è pure il Diritto
Universale; e che
oltre
il Diritto Universale c'è anche il
libricciolo su
r
antichissima sapienza degl' italiani.
'
Stcart Mill, à. Comte et le
Po8Ìtim«me, pag, 13.
' Che
Staart Mill nel pronunziare siffatti
giudizi non aresse cogni-
zione esatta
del filosofo italiano, si può sospettare
anche dal linguaggio
pieno
di maraTiglia eh* egli usa noir
ultima edizione della sua Logica
ove,
parlando della Storia deW Tncivilimento del
Buckle, dice un gran mu-
tamento
rgnt>r»i avverato dopo la pubUicaiione
di tale storia, aTcndo que-
sto
scrittore poeto il gran princìpio per
cui la storia è aommesea {dVim-
pero
di leggi univeraali. Ma non è questa
per 1* appunto la grande sco-
perta della
Scienza Nuova almeno quant*al suo
principio? E tutte le
leggi
su la costanza de* fatti sociali
trovate dal Buckle e più dal Que-
tulut,
non sono forse altrettante applicazioni
sociali di quel princìpio?
Ma
prima di procedere innanzi giova rispondere
ad
mia
difficoltà non diffìcile, a nascer nella
mente di qual-
che pedante.
Si domanderà: perchè insieme co' puri cri-
tici ed
eruditi in questo secondo periodo avete
messo filo-
sofi di
gran nome? La risposta è facile e
chiara: primo,
perchè
tale è l'ordine cronologico di cotesti
filosofi;
secondo,
perchè costoro han parlato o accennato
alle
dottrine
del Vico, adoperando una critica più
presto
erudita
e storica che filosofica. Qui non
potevamo
disporre
e coordinare gli autori in ragione
delle opere
scritte
e per gli studi eh' essi han
coltivato e per la
forma
del loro ingegno, bensì pel valore
della critica
ch'essi
hanno esercitato su le dottrine del
nostro filo-
sofo.
Nessuno ha dato segno d'elevarsi ai
veri prin-
dpii
di queste dottrine, non perchè non
sapessero, ma
sia
perchè alcuni di essi non ebbero tal
fine parlando
del
Vico, sia perchè non han creduto ad
una filosofia '
di
quest'autore. Nondimeno a contar dai primi
fino
agli
ultimi scrittori appartenenti a questo
secondo pe-
riodo, dallo
Jannelli, per esempio, al secondo
traduttore
francese
della Sdenta Nuova, è evidente un
progresso
mercè
cui la critica sul nostro filosofo,
da erudita e sto- \
rica e
filologica, viene assumendo gradatamente valore
sempre
più filosofico; di modo che T ordine
logico, in
questo
nostro saggio di storia sulla Scienza
Nuova,
risponde
perfettamente all' ordine cronologico.
La
critica nel senso d' interpretazione filosofica
sarà
quind'
innanzi il carattere per cui si
distingueranno gli
autori a'
quali verremo accennando nel seguente
capitolo.
periodo
degl' interpreti filosofi.
Il
terzo periodo degli studi sul filosofo
napoletano,
se è
vero che ha da risolversi logicamente,
come s'è
detto,
in una critica filosofica, doveva esser
dischiuso
propriamente
da' filosofi come quelli i quali, più
che fer-
marsi alle
applicazioni, costumano anzi risalire ai
prin-
cipii
e alle ragioni di esse. Or le
ragioni e i principi!
(
della Scienza Nuova giacciono sparsi, quasi
germi fe-
condi, nelle
opere latine del nostro filosofo ; e
a queste
vediamo
accennare più spesso, e ad esse
volgersi più
che ad
altro la mente degli scrittori che
noi verremo
adunando
ed esaminando in questo terzo periodo.
Primo
di tutti, infatti, al Libro Metafisico
ricorre
r
illustre Terenzio Mamiani ; e, trovatovi
il criterio del
vero e
del fatto che è come il nodo
vitale di tutte le
teoriche
vichiane, nel Binnovamento dell' antica
filosofia
I
italiana viene applicandolo a quella
dottrina ch'ei disse
della
hvtuijsione. Sennonché, un criterio qual è
questo
di
valore essenzialmente universale, come vedremo,
un
criterio
che nelle più elevate questioni di
metafisica
assume
qualità e forma di principio; nelle
mani del filo-
sofo
pesarese invece piglia natura e
proporzioni, per
cosi
dire, di norma psicologica, o ideologica
che sia:
né
quindi ebbe torto il Rosmini se in
cosiffatto innesto
operato
dal Mamiani vide annidarsi difetti non
pochi,
né
lievi magagne, confessate oggi tacitamente
e nobil-
mente dall'
autore delle Confessioni d* un metafisico.
Vedremo
a suo luogo se quando il Vico
propose quel
criterio,
non intendesse né punto né poco uscir
da' ter-
mini della
Intuizione, come allora pensavasi '1 Ma-
miani.* Il
quale, ove oggi tornasse a parlarne,
certo
ne
discorrerebbe in ben altri sensi e co'
riguardi di buon
platonico,
più che di filosofo naturale seguace
della
filosofia
del comun senso, al modo che con
sì acceso
entusiasmo
prese a fare trentacinque anni addietro.*
Del
• Vedi
Del Rinnovamento della FU. antica Itah,
Parijri. 1884, pag. 474.
*
Difatto nelle Con/esnoni (voi. I, pag.
597) il ManiiaDi designa il
filosofo
napoletano come il vero e ardito
rinnovatore della teorica delle
idee,
ma non dice come, non dice perchè,
e non giustifica in alcun luogo
ed in
vernn modo tale affermazione. Nò Teramente
il poterà, stantechè
rimanente
il merito a cui egli può e dee
pretendere
panni
questo. Primo d' ogni altro ei
richiamò alla
mente
degl'italiani non pur la dottrina su
l'anzidetto
criterio,
ma eziandio alcune teorie cosmologiche
sparse
nel
libro De Antiquissima Itàlorum sapientia.
Tale si è
quella
de' punti metafisici come generatori di solidi,
in
quanto
ci significano una forza unica che in
ciascun
corpo
meditiamo sotto la concezione d' un
punto: tale
queir
altra su la continuità che questa
forza infonde a
tutte
cose: * tale anco la idea del conato
motore iden-
tico per
tutto: tale il concetto della
incomunicabilità
del
moto onde ogni particola materiale si
può dir che
possieda
in proprio il principio motivo già
ricevuto da
tutto
il subbietto, talché il moto sia da
ritenere per al
tutto
spontaneo:' tale, finalmente, l'idea della
impos-
sibilità del
vuoto assoluto, e 1' altra che il
divisibile
accusi
r indivisibile, l' indefinito e l' immutabile
in seno
alle
fenomeniche e divise realtà.'
Ognun
vede quant'il Mumiani del Rinnovamento
cogliesse
giusto in queste idee cosmologiche del
Vico.
Dopo
trenta e piii anni però egli è
ritornato a parlarne,
ma
troppe cose nella nuova cosmologia
scordandosi della
vecchia.
Ristringendoci infatti, per ora, al
concetto isto-
rico,
se dell' antico maestro invocato sei
lustri innanzi
ei pur
si rammenta, se ne rammenta sol per
addolorarsi
anch'
egli che il Vico fosse stato l'
autore della dottrina
^
Corsi e ricorsi storici (malaugurata
dottrina!) né sa
darsi
pace pensando come mai nella mente di
quel
sommo
tal gravissimo errore fosse potuto capire.
Al con-
trario oggi
egli stima d'aver gettato le basi
alla filosofia
storica,
mercè l' idea dell' finità organica del
mondo
isterico.
Ma, diciamolo con buona pace
dell'illustre
U sua
teorica neopIatoDìca delle idee sia
diametralmente opposta a
quella
che, come redremo, scaturisce dall* insieme
delle dottrine richiane.
* Dd
Rinnovamento^ ec pai|^. 297.
nomo,
cotesto a noi sembra ed è un
concetto assolutar
mente
vìchiano. Per tre fattori, infatti, dice
il Mamiani,
il
mondo de' popoli forma unità organica; e
sono questi:
1*
natura comune e perpetua negli uomini;
2<' diversità
di
schiatte; 3« diversità di luoghi abitati.*
Trascurando
il
terzo fattore, perocché il concetto
etnografico tragga
seco r
altro del clima e de' luoghi abitati,
è chiaro che
medesimezza
e differenza abbian da essere, in
ultimo
costrutto,
i fattori dell' unità organica nella
storia. Or
ciò
che a me pare facesse il Vico,
e che il Mamiani
forse
non giugno nemmanco a sospettare, è
appunto
r aver
dimostrato per via di fatto, vuo'
dire filologica-
mente e
storicamente, esser queste precisamente le
universali
ragioni del processo isterico e del
verace
progredire
della civiltà. Ma il Pesarese non ha
torto
se
reputa freschissime intuizioni del suo
cervello cose
viete
e stantie, massime oggi che, buttatasi
dietro
le
spalle la sua vecchia e modesta
filosofia naturale,
ha
voluto levarsi tant' alto da produrre
non so che ar-
gomenti
ontologici e metafisici a dimostrar l'
iiidefinUo
e
immancabile progredimento nel regno de'
fatti umani.
Se la
novella filosofia platonica abbialo d*àvvero
dilungato
dal Vico, può vedersi da questo.
Havvi nella
Scienza
Nuova un'idea vera, infinitamente conforte-
vole, ed
è che un popolo decaduto possa da
sé medesimo I
rilevarsi
a vita novella: e il può, stante
che nella mente
dell'autore
l'uomo è attività profonda, attività essen-
zialmente
spontanea. L' autore delle Confessioni
intanto
respinge
risolutamente cotesto principio ; e lo
respinge
perchè
crede che cotesto popolo non possa
risorgere
salvo
die per altrui virtù. * Or io,
col dovuto rispetto al
grand'
uomo, vorre' chiedere: qual progresso è
egli più
naturale,
quello della vecchia Scienza Nuova, o
puro
quello
del nuovo filosofo delle Confessioni? Non
dico
*
Mamiani, Con/ei9Ìon% <f un metaJUico.
Firenze, 1865, toI. II, libro V,
Aforismo
Vili, 458.
*
Idem, eodem, paragr. 224.
poi
quanto facciano contro alle esigenze
storiche poste
dalla
Scienza Nuova nonché al concetto della
naturai
provvidenza
che ne scaturisce, que' cotal influssi
divini
ormai
famigerati del Mamiani, quelle funzioni
storiche
di
certi popoli, quelle preordinazioni storiche
e civili I
di
certi altri, e quelle quattro età
nelle quali e' si piace
divider
la storia non solamente passata, ma
benanco
avvenire!
Al
Mamiani tien dietro il Rosmini, V
acutissimo
fra'
moderni pensatori d' Italia, e al
Rinnovamento del
pesarese
contrapponendo un altro ^innovamento, coglie
il
destro d'intrattenersi anch' egli su le
dottrine del Vico.*
Con
vigor dialettico irresistibile, difendendo sé
stesso
da
certa critica mossagli contro dal Mamiani,
questi egli
colpisce
a morte e lo conquide in tutte
quelle dottrine
mezzo
sensistiche cui nella seconda parte del
suo Rin-
novamento
accenna il pesarese. Or in mezzo a
tal cri-
tica accade
che il Rosmini faccia parola del
Vico, e lo
difende
dall'interpretazione di sensismo e d'empirismo
1
ch'altri
volesse dargli.* Questo, secondo noi, é
il merito
del
Rosmini rispetto al Vico. Avrebbe potuto
averne
anche
un altro , se in senso puramente
conoscitivo |
e
psicologico non avesse interpretato il criterio
della
conversione
del vero col fatto, al quale consacra
note
lunghe
e in gran parte noiose. Ma se
cotesta interpre-
tazione
possa accordarsi con l'insieme delle
dottrine
del
nostro filosofo, vedremo in altro Capitolo.
Qui é
d'uopo
solamente notare, che se in questa
polemica
r un
de' due filosofi interpretò
cotal criterio , come
•
Giova osservare come neUe sue prime
scritture il Rosmini non abbia
citato
U nome, nò mai rammentato alcuna
dottrina del Vico. Lo cita
bensì
nella Filoaojia Politica e nella Filosofìa
del Diritto dove segnata-
mente
cbiarisoe ♦» rnol ribattere il concetto
ù* ordine a cni accenna
Fautore
del Diritto Univeraaìe; mentre poi nel
Binnoramentoy libro an- |
tenore
ai due menzionati, b' intrattiene a
lungo sul nostro filosofo. Si può
dire
perciò che il Roveretano conobbe e
lesse le opere del Vico un
pò*
tardi, e solo eccitatovi dal Mamiani.
Ecco una ragione della critica
«pesso
stiracchiata con la quale crede tirar
dalla sua il nostro filosofo.
'
RoBXiNi, Jl Rinnovamento^ etc., libro
III, cap. XXXV, pag. 406.
s'è
detto, neJ significato di regola
psicologica, l'altra
giunse
ad interpretarlo siffattamente da fargli
pren-
der
fisonomia tutta teologica, astratta, scolastica.
Né
questo
solamente fa il Rosmini. Con una
critica sot-
tilissima,
al solito, ei tien dietro lentamente
a tutti i
passi
del Mamiani, e discorrendo anch' egli
delle dot-
trine
cosmologiche sparse nel Libro Metafisico,
ado-
pera ogni
sforzo a dimostrare come, anziché le
inter-
pretazioni
date a tal proposito dal suo
avversario, sian
le sue
proprie interpretazioni quelle che tornano
più
vere e
legittime alla mente del Vico, e eoa
lo riduce
I al
panteismo, al dualismo, al materialismo, al
fata-
lismo,
all'ateismo e che so io.* Il che
non poteva riuscir
gran
fatto difficile al Rosmini, stante certa
confusione
ond'il
Mamiani espone quella dottrina cosmologica
in
favor
della quale invocava l' autorità del Vico
; ma ap-
punto col
Vico alla mano il Roveretano attacca
il Pesa-
rese, e
se ne libera di leggieri.
Se il
Rosmini in molte cose ha ragione di
riprendere
e
correggere V avversario, non molta ragione
parmi egli
abbia
nel modo con che egli stesso
interpreta il filo-
sofo
napoletano. L'autore del Nuovo Saggio
confessa
di non
cai)ire che cosa mai vogha significare
quella
materia
metrifisica a cui il Vico attribuisce
il conato. Che
cos'è,
donv^nda, cotesta materia metafisica? È
forse
alcun
che di reale e sussistente, cioè la
sostanza de*
corpi,
ovvero è una mera astrazione della
mente? Egli
s' attiene
a questa seconda interpretazione, e afferma
che la
materia metafisica, il mondo metafisico del
Vico
è
mondo d' idee, mondo di cose ottime,
mondo di virtù
indivisibili:
nel che gode poterlo dichiarare non
solo-
platonico,
ma eziandio malebranchiano ! ' Poi,
tirando-
l' acqua
al proprio mulino, non dubita affermare
come
cotesta
materiu metafìsica del Napoletano altro non
sia
fuorché
la materia comune intelligibile di san
Tommaso,,
'
Rosmini, Op. cit. pagr. 448 o sey.
* Op.
cit., pag. 14o, nota 4.
che
per lui, com' è noto, vuol dire
VEnte possibile, C!osi
che
(egli conclude) quanflo il Vico dice,
quella sua ma-
teria
metafisica essere sostanjsa de^ corpi, con
ciò egli
intende,
e noi dobbiamo intender con. lui, la
idea della
sostanza de'
corpi. Eccolo dunqne il povero Vico
non pur
dichiarato
malebranchiano, ma seguace devoto altresì
della
scolastica! Si può dar di peggio?
Giova poi notar
qui un
altro punto di discussione sopra cui
torneremo
altrove.
Si sa qual divario ponga il Rosmini
tra so-
stanza ed
essenza : Y una delle quali per
lui essendo
r
attività e T altra intelligibilità dell'
essere, ne segue
che le
sostanze sian da considerarsi come create,
e
come
eterne le essenze, perchè queste non
sono che le
cose
in quanto logicamente possibili. Or la
confusione,
egli
osserva, delle due parole d'essenza e
di sostanza,
è
quella che rende oscurissime le dottrine
del Vico : la
qual
confusione potrà cessare solamente quando
il co-
nato di
cui ragiona quel filosofo, sia tolto
in significato
d' essenza,
meglio che di sostanza.^ Sopra questo
punto
noi ci
rifaremo in altro luogo: basti qui
l'aver mostrato
in
poche parole come il Rosmini interpretasse
alcune
dottrine
del Nostro.
Ammiratore
sviscerato del Vico fu Vincenzo Gio-
berti, si
che mai non gli accade rammentarne il
nome
senza
metterlo accanto a quelli d'Agostino, di
Malebran-
che, di
Leibnitz. Non meno del Rosmini interpreta
an-
ch' egli
a suo modo la relazione tra l' ordine
ontologico,
e r
ordine logico. Crede verissimo il criterio
del fare il
vero,
ma solamente applicato a Dio; perocché
il vero
umano
non essendo un fatto, un parto umano,
bensì un
fatto,
un parto divino, seguita che la
ccniversime del
Vero
ed Fatto è quella déW ideale col
reale. Ora la me-
desimezza
ddV ideale col reale si verifica nd
giro deh
VEnte
e non in quello ddV Esistenza.^ È
qui, come ve-
dremo,
l'esagerazione dell'ontologismo giobertiano, per-
'
RosinKi, Rinnovamento, pag. 455 e seg.
*
GiOBiBTi, Inirod. aUo Hudio ec. Losanna.
1848, tom. I, pag. 269.
:ìffi
.*••-.' ': : &TaiH& della scienza
nuova. [lib. i.
che
qui pone radice quella ipotesi (me 1
perdonino tutti
i
Giobertiani della bassa e della media
Italia) su l' ori-
gine delle
idee. Merito del Gioberti pertanto è
l'aver
primo
e meglio d' ogn' altri avvertito quella
distinzione
messa
in chiaro dal Vico nello studiare il
vecchio idioma
latino
fra essere ed esistere; l'essersene poi
servito,
com'è
noto, nella confutazione del panteismo; e,
ciò
che
più monta notare, all'uso improprio fattone
da
Cartesio
contrapporre costantemente anco nelle opere
postume,
checché ne abbian sognato e vadan
sognando
certi
nostri hegeliani, l' uso proprio e il
senso in che
quelle
due voci furon dapprima adoperate dal
Vico.
Ma i
tre filosofi de' quali abbiam toccato sin
qui,
parlando
e discutendo intorno al Vico non
accennarono
a
veruna dottrina storica di lui. Ad
essi quindi tien
dietro
Silvestro Centofanti; il quale, comecché,
nella
|sua I
ormala logica della filosofia deUa storia
non citi
il
Vico, nullameno fin dalle prime pagine
i lettori pos-
sono
facilmente accorgersi quant' abbia studiato
in
queir
autore e fattene proprie le dottrine
storiche po-
nendole
sotto nuovo punto di lume. Il libro
del Cen-
tofanti
sarebbe, a dir proprio, un saggio di
metafisica
storica.
Mente maschia, scrittore di genio, a
fondamento
della
scienza storica egli pone tale un'
idea che ha fiso-
nomia
tutta vichiana. Considerando infatti la
realtà sto-
rica nella
sua genesi ideale, nella sua relazione
causale,
la
storia al Centofanti appar com' un
processo ascensivo
dall'idea
empirica all'idea filosofica, e però un
legame
universale
stringe tutt' i fatti umani così nel
tempo come
nello
spazio.* Laonde al modo istesso che
nell'ordin
de'
fatti risulta necessaria l' idea d' una
società che com-
ponga ima
famiglia civile ; parimenti nell'ordin de'
con-
cetti la
scienza non fa altro che contemplar
la vita gene-
rale del
mondo, la vita di questa famiglia
sociale univer-
sale. E
poiché il fatto è di tre nature,
psicologico, sociale
*
Centofanti, Una /ormala logica ec, Pisa,
1845, pag. 63.
e
coBmico ; ne seguita che nel primo d'
essi è la potenza
del secondo,
e però così Y umanità è nell'individuo,
come
r
individuo compiesi nell' umanità. Il Centofanti
, da
ultiino,
si chiarisce seguace del Vico anco là
dove osserva
che le
genti sparse per la terra e dapprima
ignote V una
all'altra,
per necessità psicologica e quindi sociale
en-
trano
appresso nelle relazioni d'un viver comune.
Parlando
di questo scrittore v'è da osservare
un'altra
ooBa.
Poiché il fatto sociale per lui si
rannoda col fatto
cosmico
e per necessità teleologica si compie
in questo ;
ne
segue che la formola proposta dal
filosofo pisano è
formola
essenzialmente teleologica. Così veramente che,
non
essendo ella in sostanza se non la dottrina
dei Nessi
dello
Jannelli guardata nell'ordine ideale, si
può dire
che
per questo rispetto il Centofanti compia
in certo 1
modo
il Vico e lo Jannelli insiememente.
Sennonché
nel
suo libro hawi un difetto ; intendo
l' abuso d' una
formola
puramente speculativa, per la quale poco
in-
telligibili
ne risultan le dottrine. Che cosa
vuol dire,
per
esempio, qneìY innaUare il fatto istorico
a grado di
passibilità
filosofica? E un altro difetto della
sua for-
inola parmi
questo : il non aver determinato
nettamente '
il suo
concetto teleologico; rispetto a cui forse
non pochi
dubbi
potrebbe sollevare la filosofia positiva.
Ma se
il Centofanti amò guardare il concetto
isto-
rico nella
sua nudità ideale, un altro toscano
suo col-
lega nella
stessa Università pisana, il Carmignani, da
erudito
e dotto giureconsulto prese a considerarne
la
parte
giuridica, la nozione del giure nella
sua Storia
déUa
Filosofia del Diritto, Comecché non molto
pro-
fondo, pure
fra tutti gU scrittori italiani di
materie giu-
ridiche il
Carmignani ha questo merito: d'essere stato
il
primo a far avvertire il valore delle
dottrine giuri- }
diche
razionali sparse a larga mano nel
Diritto Uni-
versale del
Vico, e dimostrarne l'anteriorità e
superio-
rità
rispetto a quelle della Scuola Storica
di Germania.
Altrove
ci verrà fatto citare qualche bella
sentenza di
questo
scrittore: qui ci piace prender nota
solamente
delle
bellissime parole con le quali egli
chiude la sua
storia
: Carne la filosofia rajdonale degli
antichi nacque in
Italia,
così la filosofia dd Diritto col suo
vero criterio per
opera
del Vico vi nacque: che il 5wo
vero punto di par-
tenza è
nell'opera di questo illustre italiano, e
si può dire
agV
Italiani.,., rivolgete tutte le forze del
vostro ingegno
a
scrutare profondamente nella filosofia del
Diritto del
Vico;
ad afferrarne lo spirito; ad impossessarvi
de^ brevi
e
fuggitivi lampi di luce che vi
s'incontrano e convertirli
in
principii necessari a dare alla società
umana le isti-
tuzioni
più acconce a favorire i progressi
della perfet-
tibilità e
della ragione.^
Ma più
che del Carmignani, d'un altro giurecon-
sulto e
anche filosofo è mestieri tener conto;
del dottis-
simo Emerico
Amari. Questi è il critico più
giudizioso
che
abbia saputo discorrere con chiara veggenza
su le
I dottrine
giuridiche della Scienza Nuova sotto l'aspetto
filosofico.
Quel suo copioso volume, in ciascuna
pagina
del
quale egli invoca l' autorità del Vico
e con larghezza
di
niente ne svolge le diverse teorie,
dovrebb' esser fatto
oggetto
di studio da chi ami penetrar davvero
nel pen-
siero del
filosofo.* È uno de' libri più gravi
che siano stati
pubblicati
fra noi in quest' ultimi anni. Non
v' è pensiero
nelle
opere del nostro filosofo, né sentenza
circa le costi-
tuzioni
civili e il Diritto in generale,
ch'ei non abbia av-
valorato,
chiarito, applicato. Ma non potendo qui
rile-
var tutt'
i pregi di quest' opera, come pur
vorremmo, ci
ristringiamo
ad accennarne alcuni, e, primo d' ogni
altro,
questo.
Egli dimostra in più luoghi e in
più maniere,
che la
scienza della legislazione comparata è
tutta rac-
*
Cabmionami, Storia deUe orioni e
de'progrean ddla FUofofia dd Di-
ritto,
voi. II. —Altrove dice: La JUo$ofia del
DiriUo non ti era elevata
mai
prima del Vico aW altezza razionale a
cui egli con la originalità dd
»uo
genio la tpinte, Lib. VI, cap. IV,
p. 39
* K.
Amari, Critica d^ una eeienna dette
legidamoni comparate Ge-
nova, 1857.
chiusa
come in germe nelle opere del Vico,
segnatamente •
nella
Scienza Nuova. Sicché a voler determinare
conve-
nevolmente
il carattere per cui l'opera delF Amari
si
disceme
da ogn' altra in cui si discorra
del nostro filo-
sofo, si
potrebbe affermare che il suo libro
sìa, per
cosi
dire, una specie di commento esplicativo
e interpre- .
tativo
di quelle dottrine vichiane risguardanti la
parte
filosofica
e storica della legislazione comparata. Che
se
ai
lettori paresse men che vero cotal-
nostro giudizio, noi
gr
inviteremmo a leggere e meditare il
libro veramente
ingegnoso
dell'Amari, nel quale poi troverebbero un
al-
tro merito,
ed è questo. A preferenza di molti
critici del
Vico
egli ha veduto come, le opere di
lui, nonostante
la
diversità de' titoli, sian tutte informate
dalla virtìi
d'unico
e fecondo principio, sì che sembrino
elementi
d' un
tutto, parti d' una scienza sola.* Il
che abbiam
voluto
ricordare contro coloro che le opere
e le dot-
trine del
filosofo napoletano credono fatte a pezzi.
!
Ma
anche l' Amari, com' è naturale, ha i
suoi difet-
ti! Suo
principal difetto è il non aver
interpretato in
modo
veramente filosofico alcune dottrine del
maestro,
d'averlo
spesso inteso alla lettera, come nel
concetto
della
provvidenza, e di ntjn esser giunto a
coglierne
talora
la parte originale mettendo da banda
certe sen-
tenze
erronee come qualcuna riguardante, per
esempio,
la
questione delle XII Tavole: su la
quale noi ci rifa^
remo
in altro lavoro dove mostreremo la
debolezza de- 1
gli
argomenti co' quali cred' egli d' aver
invalidato tale
dottrina
del Vico. Difetto ci sembra altresì
il non ac-
cettare quel
principio, eh' è uno de' cardini
della Scienza
Nuova:
non doversi credere, cioè, che il
Diritto sia
uscito
da Ufia prima nazione^ da cui le
altre lo abbiano
ricevuto;
per cui nessun valore potrà spiegare
agli
occhi
suoi quella ragione accettata dal Vico
a tal pro-
posito, ed
è che, dove tal diritto fosse
comunicato e non
E.
Amari, Op. cit. pag. 259, 537 nella
Dota 3.
*
piuttosto originano e intrinsecato negli
nmaui costami,
la
natura comune degli uomini non procederebbe
se-
condo leggi
naturali/ E di qua proviene poi se
V Ama-
ri,
intendendo im po' grossolanamente il
concetto di
provvidenza,
vien trascinato a riconoscer nella storia
e
nella civil società uomini e popoli
eletti, destinati a
I
compiere grandi e speciali funzioni
storiche: il che dav-
1
vero, più che altro, sembraci contrario,
come vedremo,
iJlo
spirito della Scienza Nuova.
Per
quest'ultime ragioni, dunque, considerato l'Amari
come
critico filosofo, noi dovremo annoverarlo
fra' com-
mentatori
che han lasciato il Vico qual era,
cioè mezzo
filosofo
e mezzo teologo quant'a filosofia della
storia.
Cattolico
sviscerato, con lenti da teologo ei s'
è fatto a
guardare
certe dottrine della Scienza Nuova ;
e col teolo-
gismo
interpreta infatti la teorica de' Corsi
e Ricorsi,
e
perciò quella sul progresso. Debole critico
per ciò
medesimo
e' ci pare quando su l' origine del
linguaggio
afferma,
il Vico sembrargli infinitamente ardito
perchè,
interissimo
cristiano^ giugne là dove il pagano
Platone
non
giunse, dove non osò spingersi Rousseau,
né seria-
mente
precipitarsi Mqndeville o Lametrie} Noi
vedremo
questo
esser anzi un concetto propriamente
originale
del
filosofo napoletano e pieno di verità.
Essendomi
avvenuto qui d'accennare ai giurecon-
sulti che
in questo 3» periodo han discorso del
Vico, è
da
avvertire che, prima già del Carmignani
e dell' Ama-
|ri,
il Mancini e'I Mamiani accennaron più
volte ai
'
principii giuridici del Nostro nella
polemica eh' ei ten-
nero su
la Filosofia del Diritto.* Su
l'interpretazione
ch'essi
danno al concetto del diritto posto
dal Vico
ritorneremo
altrove, e la mostreremo sbagliata da
cima
1 a
fondo non tanto nel Mancini quanto
nel Mamiani. Qui
ad
onore del primo dobbiamo osservare come
fra tutti
*
Vico, Seconda Scienza Nuova, DegDÌtà, CV.
•
Amibi, Op. cit. pag. 829.
-*
Mancini e Mamiani, Lett, tuUa FU. dd
Diritto, Napoli, 1S41.
gli
scrittori giureconsulti italiani egli abbia
un merito
singolare
rispetto al Vico. Fin dal prim'anno
di questa
seconda
metà del secolo ei s'avvide come
dalle opere
del
nostro filosofo si possa trarre un
gran concetto, il*
concetto
delle nazionalità.* Il Vico non parlò
mai di na-
zionalità
com'oggi la intendiamo, e tanto meno
di na-
zionalità
italiana; e pure ella scaturisce a
fil di logicai
dalla
sua dottrina sul Tempo Oscuro. Il
Mancini osserva
com'il
Vico una volta sola ardisca lodare se
stesso
neir
Autobiografia là ove rammentando il novello
prin-
cipio del
Diritto naturale delle genti fondato su
la na-
tara
comune delle Nazioni, non dubitò scrivere
di sé
medesimo
queste memorabili parole : Per questo
suo tro-
vato 5'
intende Vico esser nato per la gloria
della patria ;
e in
conseguenza ddVItcdia. Sennonché il Mancini
a tal
proposito
ha discorso, com' era da prevedersi,
in modo
ampolloso
e poco preciso, contentandosi di cogliere
il
concetto
della Nazionalità nelle opere del filosofo
col
guardar
solamente alle estrinseche attinenze, per
esera-
pio al
titolo della prima edizione della Scienza
Nuova,
a
qualche sentenza sparsa qua e là nel
Diritto Univer- 1
sale,
e ad altro siffatto. Egli dunque non
risalì ai prin-
cipii
e alla filosofia storica di questo
filosofo a potervi |
rintracciare
l'origine ideale, per così chiamarla, del
principio
della nazionalità.
Dal
tutt' insieme degli scrittori giureconsulti
di que-
sto periodo
scorgerà chiaro il lettore quant' ei
superino,
nello
interpretar le dottrine giuridiche del
Vico, gli
autori
di questo medesimo genere a cui
abbiamo ac-
cennato nel
primo e anche nel secondo periodo.
Tutto-
ché non
filosofi, pure questi giusnaturalisti manifestano
tendenza
filosofica nella lor critica; e però
segnano
anch'
essi un progresso in siffatfordine di
studi.'
' S.
Hakoini, Intorno alla Nazionalità come
fondamento dd Diritto
ddU
gentiy Prelezione ec, Tonno, 1851.
' Il
D* Ondbs Reggio accenna anch' egli al
Tico più d'una rolta nella
■oa
Jntrodwt, ai prineipii deUe umane eooietà,
e talora pretende correg-
Innanzi
di passare a discorrere de' filosofi,
ultimi in-
terpreti del
Vico, facciamo notare come l' illustre Vau-
I
nuoci con V usato impareggiabile suo
stile in parecchie
pagine
dell' antica storia di Roma si è intrattenuto
sul
Vico,
dimostrando com'egli precorresse francesi e
in-
glesi nel
far rovinare quel fantastico edificio
fabbricato
da
tanti e per sì lunghi secoli su
le origini e su la
storia
di Roma, e facendo altresì vedere che
se il Vico fu
precorso
da alcuno, questi fu un italiano.*
Crede an-
ch' egli
che, agitando questioni fino allora
intentate, quel
filosofo
cominciasse una grande rivclueime d^idee, e
compiesse
da sé sólo V opera di più
generazioni d* ingegni.
Rileva
nettamente, il modo col quale spiegò
le diffi-
coltà e
le contraddizioni degli antichi racconti in
ge-
nerale,
notando com'egli ponesse le fondamenta alla
vera
filosofia della storia romana, appoggiandosi
in
ispecie
sul corso delle leggi romane, sul
significato del
patriziato
e della plebe, e sul modo con
che questa
diventò
popolo. In tutte le indagini su Roma
lo dice
sublime,
ispirato. '
Anch'
egli si duole che il Vico, nel
condurre i primi
mortali
dallo stato di natura alle istituzioni
romane,
^erlo
come quando vuol mostrare, contro la
sentenza del Vico, che i
.
selvaggi hann' avuto benissimo Videa di
proprietà, mentre la propria
de
beni nella Scienza Nuova non è
annoverata fra i prìncipH primi99imi
d'umanità
al pari del matrimonio, delle sepolture
e simili (pap. 57). Ma
il
selvaggio, domandiamo, ha egli idee, o
non più veramente istinti?
Per
avere idee non è necessario un
processo, e quindi la storia, la so-
cietà, la
civiltà? 1 principii veri d'umanità, come
vedremo, pel Vico
sono
due principalmente; tutti gli altri non
sono che mezzi e condizioni
d' nmanità.
Ma nel cervello del cattolicissimo D'Ondes
cotesto cose diffi-
cilmente
entreranno. Nondimeno egli è da lodare
qnando mostra che il
principio
del Diritto pel filosofo napoletano è V
utile inalzato alV idea dd '
giu&to.
Anche il Carmignani e TAmari e
specialmente il Mancini accen-
nano a
tal concetto vichiano.
* È
noto come fin dal 1677 il
Lancbllotti, ne* suoi Farfalloni degli
'
antichi ttorieif prevenisse il Vico in
questa maniera di critica. Curioso
che
dopo un secolo il libro suo fosse
stato tradotto in francese e stampato
A
Londra nel 1770.— Vedi Vankucci, St.
antica d'Italia, voi. I, pag. 884.
• Atto
Vaknucoi, Op. cit., voi. I, pag. 886.
cadesse
in romanzi. Ma qui il Vannucci, com*
è chiaro,
pone
due estremi fra' quali c'è davvero un
abisso: stato
di
natura di qua, e civiltà romana di
là. Chi vorrà
dunque
maravigliaci se anche a lui certe
idee del Vico
fossero
parse non altro che romanzi? Checché
ne sia,
questo
valentuomo ha poi il merito d' aver
tenuto conto
del
Duni, e d'aver saputo apprezzare degnamente
il va-
lore de'
suoi studii. Di fatto, ritiene anch' egli
(come
noi
stessi notammo) che tutte le opere
del Duni, specie
quelle
su l' origine e su' progressi del
cittadino e del
governo
di Roma, altro non siano che un
commento^
un'applicazione
e un'esplicazione delle idee del filosofo
napoletano
: Il Duni non ha un' idea che
non sia dd
Vico;
e nota com'egli abbia reso grandissimo servigio
al suo
maestro applicandone i fecondi principii a
tutte
le
quistioni del Diritto e a tutt'i
fatti d'ordine poli-
tico e
civile. Osserva poi come i Sansimonisti
(e noi di-
ciamo anco
i Positivisti odierni), imparassero dal
Vico]
a
divider la storia in grandi periodi
sociali coordinan-
done i
fatti sotto le idee madri onde sono
prodotti. Nota
finalmente,
come il Niebhur trovasse nel nostro
filosofo
l'occasione,
l'impulso, la chiave a novelle invenzioni,
e
crede
tesi difficile a sostenersi che il
celebre storico igno-
rasse il
Vico. Le reminiscemse della Sciema Nuova
(egh
conclude)
s'incontrano ad ogni momento nella storia
ro-s
mana
del dotto tedesco.* Veniamo ora ai
filosofi pro-
priamente
detti.
Ne'
prim' anni di questa seconda metà del
secolo il
Boullier
s'è intrattenuto del nostro Giosefo nella
sua sto-
ria sul
Cartesianismo, e aflerma innanzi tutto com'
egli,
non
altrimenti che Huet, esagerasse la povertà
dell'eru-
dizione di
Cartesio e il disprezzo di lui per
la storia. Un
altro
francese, l' acuto Renouvier come vedemmo,
osserva
in
vece eh' egli ne avea tutto il
diritto nel produrre
tal
giudizio; e noi stiamo col Renouvier.
Né vale che il
Boullier
si scateni tanto contro il filosofo
di Napoli, che
' Atto
Vaskucci, Op. cit., toI. 1, pag. 894.
pel
Vico non è quistione di maggiore o
minor pre-
valenza d'
erudizione, ma è quistione principalmente
di
metodo. Il metodo positivo è il
metodo psicologico
e
storico ; è la psicologia intesa
storicamente, e quindi
la
storia intesa psicologicamente. Ora il
metodo Car-
tesiano è
assolutamente psicologico: ecco dunque una
delle
ragioni per cui il Vico levossi
contr'al Carte-
sianismo. Il
BouUier crede anch' egli, la metafisica
del
Nostro
essere uìie esquisse d^une méthaphysiqm
dont les
traits
principaux sonò empruntés à Pythagorcs à
Platon
et
aussi à Leibnitz,^ Ma dove son le
ragioni? Certo, in
qualsia
moderno sistema toma facile rivedere più
o men
chiaro
il concetto del numero Pitagorico, la
monade
Leibniziana,
l' idea Platonica, la categoria Aristotelica
e
simili.
Il difficile sta nel mostrare in che
maniera quelle
che
diconsi rimembranze siano insieme arganate,
cioè
in che
guisa compongano fra loro un vero
organismo.
Il
modo col quale il Boullier interpreta
la metafi-
sica del
Vico è leggiero e talora grossolano.
Il suo
metodo,"
egli dice, è metodo ontologico, non
diverso da
quello
liei suo compatriota Giordano Bruno, perchè
con
esso
ci trasporta immediate in seno all'essere
primo.
E qui
vorremo chiedere al Boullier: con qual
locomotiva
avvien
egli, di grazia, cotesto immediato
trasferimen-
to? Un'altra
enormità tutta francese poi è questa:
il
principio
del sistema Vichiano esser Videntité du
vrai
et du
fait oti du vrai et de Vétre:
voUà le premier prin-
cipe de
son système} Non basterebbe tale
affermazione
per
giudicare la critica di quest'autore? Ma
c'è ancora
qualche
altra enormità ; per esempio, che il
Vico s' ac-
cordò co'
Cartesiani ^owr faire de Dieu Vunique
cause de
tous
les mouvements de Vàme et du corps,
e che al pari
de'
Cartesiani egli riduca gli animali a
puro meccani-
smo !
^ Circa la teoria sn^ punti metafisici
poi dice sia la
*
BouLLiBR, Hi9t. de la PhU. Oartitiennet
Paris, 1854, voi. II, pag. 528.
parte
più notevole della metafisica vichiana, ma
vuole
che r
esteso, quando tu il ravvisi nella
sua essenza, ri-
8^ga
in Dio, non però in Dio considerato
nel suo atto. Col
che,
com' è evidente, il Boullier toglie
alla dottrina del
nostro
filosofo ogni originalità, riducendola al
cosmo-
logismo
Cartesiano. Che s' egli nondimeno giudica
con
assennatezza
il valore della Scienza Nuova, ci fa
poi
cascar
la penna di mano ove pretende che
tra questa
e le
MeditaeUmi di Renato non sia opposizione
di sorta,
salvo
che di metodo. Sicché mentre il
Michelet dichiara
essere
il Vico l'avversario piii terribile del
Cartesiani-
smo, il
Boullier vuole eh' egli, pur combattendolo,
resti
nnllamanco
suo fedelissimo seguace ! * Di tutt'
i francesi
solo
questo scrittore, fatta però eccezione del
Bouchez, è
quegli
che non sa penetrare più in là
della buccia nelle
idee
del nostro filosofo. E pur dà segno
d'averlo stu-
diato e
meditato con amore grande; ma certo
non senza
grande
passione.
Veniamo
ora agli ultimi scrittori italiani che
sonosi
dati
cura del nostro filosofo, e che nella
storia della
Scienza
Nuova spiegano per noi interesse maggiore.
Son
quasi
tutti filosofi, come avvertimmo già; e
ne parlere-
mo
brevemente, al solito, secondo l' ordine
cronologico.
Innanzi
a tutti ci si presentano i
Giobertiani; e l'esage-
razione
della interpretazione giobertiana e cattolica
ce
r
addita da prima Alfonso De Carlo ne'
suoi quattro i
volumi
di filosofia secondo i principii del
Vico, de' quali
volumi
è a nostra notizia unicamente il
primo dove si
discorre
di Protologia. Uomo sinceramente cattolico,
sinceramente
liberale e passionato seguace del filosofo
subalpino,
il De Carlo volle servirsi del nome
del Vico
perchè
gli fosse consentito insegnar le dottrine
giober-
iiane
quando nel vecchio Keame faceasi più
tristo e in-
solente il
dispotismo de' Borboni. Questa ci sembra
r
orìgine del suo libro, o meglio del
titolo vistoso e falso
•
BouLURB, Op. cit., Tol. cit. psg. 584.
di
cotesto SUO libro. Perocché non sapremmo
altrimenti
spiegarci
come nelle 600 pagine d'un' opera che
s'in-
titola dal
Vico, si parli e si propugni dall' un
capo all'al-
tro le
dottrine del Gioberti, anzi che quelle
proprie del
filosofo
napoletano.
Ma più
che altri merita qui d'esser menzionato
l'illn-
( stre
Fornari, come quegli che fin da' primi
anni di que-
sta seconda
metà del secolo ha mostrato neUe sue
dot-
trine quanto
siasi dovuto ispirare al Vico, benché
di
rado
gli faccia l'onore di citarlo. Il
Fornari oggi fra
noi è
il filosofo artista per eccellenza. Quanta
efficacia
di
stile! Quanta eleganza di parola nelle
sue pagine 1
Speculare
sottilmente ei non sa, o meglio, non
vuole.
Nella
sua mente l'idea nasce viva, nasce
sempre incor-
porata in
una forma, incarnata in una figura.
Il che non
ci
reca maraviglia in lui, autore delia
stupenda opera su
I r
Arte del dire, né ci sorprende il
magistero dello scri-
vere
veramente sovrano. Come scrittore, il
Fornari
segna
un progresso nelle sue stesse opere.
Ne' Dialoghi
su
l'Armonia universale, per esempio, predomina
il tono
classico,
e nell' Arte del dire v' è qua
e là non so che
di
leccato che stanca. Ma l' arte vera,
quell' arte che
sa far
tutto e tutto nascondere, si palesa
mirabile nel
suo
libro in corso di stampa su la
vita di Cristo : tal-
ché non
senza ragione il Tommaseo pensa che,
quanto
a
fattura e a stile, cotesta opera del
Fornari sia il primo
libro
del secolo. Col Fornari si può
dissentire; e noi
pur
troppo dissentiamo da lui per moltissimi
conti. Ma
chi
non vorrà ammirarne l' ingegno poderoso e
non di
rado
originale checché ne predichino certi
hegeliani?
Sennonché,
lasciando deljFornari scrittore, conside-
riamolo come
filosofo rispetto al Vico. In fondo
egli é un
Giobertiano;
ma il Giobertismo in lui é modificato
sì
che
altri penerebbe a riconoscerlo. Però noi
diremmo
seguace,
poiché quando il Gioberti scriveva, la
mente del
Fornari
erasi già formata. Egli é anche
cattolico, es-
senzialmente
cattolico; ma dubito forte se i
Gresuiti vor-
ranno
stargli in compagnia.' Nella sua mente
l'idea
cristiana
è, per cosi dire, ciò che il
mito indiano di-
venta nella
fantasia greca. Però noi crediamo che
uno
stndio
lungo e amoroso delle dottrine vichiane
ch'egli
celatamente
ormeggia, ha dovuto spiegar molta effica-
cia su
la forma singolare del suo pensiero.
La Vita
di
Cristo^ a quel che parrebbe, è tutt'
un disegno di filo-
sofia
storica; ma di filosofia storica nel
senso cristiano.
È, in
sostanza, il concetto del Bossuet, ma
affatto in-
novato e
trasfigurato; perchè nel Bossuet, vuo'dire
nel
vecchio
concetto cattx)lico, è quasi ombra ciò
che nel
Fomari
è corpo, corpo vivente, vivente organismo.
Da
sincero
cattolico egli dunque ha studiato il
Vico, in lui
s' è
ispirato, e alla luce d' alcuni suoi
principii ha in-
terpretata
la stoiìa. In modo ingegnoso ei
rannoda (vero
o non
vero che sia è un' altra quistione)
i due grandi
fatti
dell' universo, creazione e redenzione,
considerando
Cristo
quel centro massimo inverso a cui s'
accolgono
e da
cui partono tutt' i raggi d' ogni
qualunque civiltà,
d'ogni
qualunque religione. Qui nel fondo, com'
è chiaro,
e' è
il Bossuet, e nella forma e' è
qualcosa del Vico. E
che il
Fornari arieggi alla Scienza Nuova, il
dimostra
quella
legge delle sei giornate, passim stcunwd
di civiltà,
per le
quali ei vede passare i popoli e
le famiglie
umane
a cominciar da Babilonia fin a Roma.
E che
poi la
imiti in senso tutto cattolico ce '1
dimostra un
principio
ch'egU vi attinge e che nel tempo
stesso
crede
correggere. <i Fu deUo gravido di
sderusa, (egli
dice)
gravido di tutta una scienza nuova il
detto di Criam-
battista
Vico, Che Vuomo ignorante fa sé
medesimo cen-
tro e
misura delle cose. E forse la
filosofia della storia
sard)be
stata piik intiera infino dalla nascitay
se U filo-
*
Queste parole noi scrivoramo dieci mesi
addietro, ed ora abbiam
listò
col fatto come darrero i Gesuiti non
vogliano saperne dell* ultimo
libro
del Fornari. IWilarcheo della CivUtà
CaUolica lo ha ripudiato fa-
cendone una
critica veramente puerile; ma il prof.
Acri con una difesa
dotta
elegante e gentile lo ha fatto invece
ben volere ed ammirare a chi
meno
n'era disposto. Filarcheo ha reso nn
buon servigio al Fomari.
SiciLuni.
8
sofo
avesse conceputa intiera quella verità;
dicendo^ che
la
mente ddPuomOy chiusa in sé dal
peccato, ritiene
chiudo
in sé medesima l'universo} » Ecco
un'interpre-
tazione
tutta cattolica, essenzialmente cattolica, d'un
principio
fondamentale della Scienza Nuova: equi co-
ni' è
naturale, siamo davvero agli antipodi con
l'illustre
abate
napoleta-no. Che poi il Vico abbia
lasciato certa
salda
impronta nella mente del Fomari, anche
per ciò
che
risguarda i principii di cosmologia, ce
lo fa sospet-
tare la
sua dottrina sul tempo e su lo
spazio come in
altro
luogo diremo: e lo stesso ci mostra
l'aver egli
creduto
compiere e correggere il nostro filosofo
nella
definizione
che questi ha dato su la natura
delle fa-
coltà: *
nelle quali correzioni ov'il Fornari fosse
riuscito,
io non
saprei scorgere davvero in che mai
s'abbia
a far
consistere l' originalità del Vico. Ciò che
dunque
v'ha
di vigorosamente speculativo e direi quasi
d'ar-
chitettonico
nel Fomari, mostra una certa impronta
vichiana
:• tutto il resto rimane estraneo
alle dottrine
speculative
del nostro filosofo secondochè noi le
in-
tendiamo.
E
oltre che al Vico, egli sembra
essersi ispirato al-
tresì a
Tommaso Rossi che il Vico non dubitò
appel-
lare mente
divina; tanto che al Fomari dobbiamo
se
oggi
alcuni giovani napoletani son venuti
richiaman-
doci alla
memoria le ignorate dottrine di questo
filosofo,
fra'
quali notiamo l' egregio signor Giordano-2iOCchi.
Ne' suoi
studi sul Rossi egli per primo ha
rilevato accu-
ratamente
alcune attinenze fra la metafisica di
questo
filosofo
e quella del Vico, dimostrando come
in su' pri-
mordi del
secolo XVIII l'uno compiesse l'altro,
segnata-
mente nelle
dottrine cosmologiche, come l'altro inte-
grasse l'uno
col concetto storico, e com' entrambi si
fos-
sero opposti
non pure aUa filosofia spinoziana e
lockiana
allora
in gran voga, ma anche in gran
parte al metodo
*
FoRNART, Della Vita di Critto. Firenze,
1869, cap. V, pag. 325w
*
Idem, DeW Armonia Univertale, 2'* ediz. Firenze,
1863, pag. 74.
cartesiano.'
Un altro scrittore poi, il Galasso,
accenna
più
volte con acume ed opportunità alle
idee metafisiche
del
Vico nella sua critica all' Hegelianismo
; e piii chiaro
e più
di proposito ne parla nell'altro suo
lavoro sul
metodo
storico dello stesso filosofo.* Ma non
sempre in
lui la
chiarezza e la semplicità nel concepire
e nel-
l'esporre
le idee eguagliano i molti pregi
dello stile in
guisa
che i lettori ne possano trarre tutto
il valore.
Non
ultimi si presentano gli Hegeliani ad
invocare
le
dottrine del Vico, e proclamarsene seguaci.
L' illu-
stre B.
Spaventa lo appella suo cavai di
battagUa; e
non ha
torto. Altrove io dissi quanto la
presente filo-
sofia
italiana debba a quest' ingegno acuto
e vigoroso.'
Da
quindici anni a questa parte egli è
stato il primo
ad
accorgersi come nelle opere del filosofo
napoletano !
s'asconda
un pensiero filosofico profondo e
originale.
Che se
altri prima di lui ha detto lo
stesso, egli solo
però
ha mostrato come davvero l'autore della
Scienza
Nuova
debba meritar titolo di filosofo, anzi
di metafi-
*
sico. Del che dobbiamo essergli grati,
massime pensando
com'
altri della medesima scuola abbia avuto
ed abbia
cuore
d'appellare il Vico una mediocrità
filosofica!
L'Hegelianismo
è tal sistema il quale, guardato
sotto
certo
punto di lume, ti par davvero non
altro che un
espUcamento
della Scienza Nuova : sicché agli
Hegelia-
ni, abili
s'altri mai nel cogliere anco i più
fuggevoli
riscontri
storici, non dovea riesch: difficile
ritrovare nel
Vico
tutt' i germi dell' Idealismo assoluto.
Di fatto, il
vero
pregio, il valore massimo di lui
(osserva il pro-
fessore
Spaventa) sta nel porre lo spirito
siccome l^ero
sviluppo
di $è stesso. Ecco il nodo, egli
dice, tutto il
nodo
della Scienza Nuova.
Qui
Spaventa ha ragione. Dov'è che comincia
il
*
GlORDANO-ZoccHi, Studi aopra Tommaso Robbì^
Napoli 1865.
• Galasso,
Dd nstema Hegdiano^ Napoli 1867. Del
metodo Btorìeo i
del
Vico nella Rivitta Boiogneae, 1868, Fase,
del giugno.
' Vedi
la nostra Memoria, Oli Hegeliani in
Italia, Bologna, 1868. t
SUO
torto ? Laddove pretende interpretare a
metà il
pensiero
del filosofo. Tutto ciò che si piglia
da Hegel
e si
trasferisce nel Vico ci sta a
maraviglia : a maravi-
glia insino
a che non si trascende la storia,
e il finito.
Di là
dalla storia comincia quella intricata
speculazione
dialettica
assoluta di cui nel Vico non ce
n'è ombra,
almeno
intesa nel senso hegeliano. La storicità;
ecco il
gran
pregio, l'onore del Vico: e quest' è
pure uno
de'
pregi dell' Hegelianismo. Ma qui proprio
è l' abisso.
Ciò
che pel Vico infatti è idea umanoj
nell' Hegelia-
nismo è
pensiero considerato nella sua assolutezza.*
Mondo
naturale e mondo umano, provvidenza
naturale
e
provvidenza umana, che cosa sono pel
Vico? Non
sdtro
che la differenea reale ddV assòluta
indifferenza^
£ che
cos'è mai cotesta indifferenza assoluta? Si
sa:
è la
Idea. Ma e' è egli nel filosofo
napoletano cotesta
vostra
Idea? Sì, certo: è V unità dello
spirito che in-
forma e
dà vita a quésto mondo di Nazioni}
Addio
dunque
concetto dell'Assoluto nel Vico ! Addio
concetto
del
Vero eh' è l'Essere, e dell' Essere- Vero ;
dell'asso-
luta Causa
e dell' assoluta Potenza! Qui mi
sparisce
dagli
occhi la modesta persona del nostro
Don Giam-
battista, e
in sua vece levasi la gran figura
di Giorgio
Federigo
Hegel di Stoccarda. Non s' ha piii la
Scienza
Nuova,
bensì la Logica obbiettiva: non più
il metodo
i
psicologico-storico, ma il dialettico : non
piiì un modesto
speculare,
bensì un sapere trascendentale: non più
una
scienza
dell'Assoluto, ma la scienza Assoluta
addirittura.
E qui,
com' è naturale, non e' è accordi
che tengano.
Il
solo Spaventa inoltre, non pur fra
gli Hegeliani,
ma fra
tutti quelli che hanno preso a
parlare ex-professo
I del
Vico, ha intraveduto V originalità della
psicologia vi-
'
chiana. Ha visto come il concetto di
sviluppo in luì sia
uno
schema sotto tre diverse forme: !•
Come schema lo-
* B. Spaventa,
Sul caraiUre e sviluppo della FU,
Italicma, pag. 31.
*
Idem, Lezioni di FUosoJia, Napoli, 1862,
pag. 85.
*
Idem, Prohu, cit. pagr. 27.
gico;
2» Come schema psicologico, o individuale
; 3* Come
schema
della psiche concreta e vivente si
nei popoli e
sì
nell' umanità.* Tutto questo è vero.
È vero nella sto-
ria, nella
psicologia e nel pensiero, cioè nella logica;
e
dobbiamo
rallegrarcene vivamente con V illustre
profes-
sore
napoletano. Ma che cotesto medesimo schema
ab-
bia da
essere pel Vico lo schema altresì
della totalità del
reale
e di THo stesso (com' è certo
per Hegel), questo è
per r
appunto ciò che a me non pare,
né secondo ragio-
ne, e
nemmanco secondo l'autore. ìì concetto
dell' Unità
dello
Spirito nelle due filosofie hegeliana e
vichiana si
assomiglia
certo quant'al processo: nel che siamo
He-
geliani
anche noi e piii Hegeliani dello
stesso Hegel, se
pur
fosse possibile. Ma cotesta grande Unità
dello Spi-
rito che
pel filosofo di Stoccarda è un
Ultimo, pel Vico
è un
Penultimo ; e perciò stesso non può
essere neanche
un
Primo. E qui pure, com' è evidente,
parmi opera persa
ogn'
invocazione d'accordi, e vano qual si
voglia dialet-
tico
almanacchio. E di qua proviene come
non di rado
il
prof. Spaventa creda imperfezione ed errore
nel Vico
ciò
che davvero è imperfezione ed errore
nell'Idealismo
assoluto,
precisamente come gli accade, per dirne
una, là
dove
pretende scorger le così dette età
storiche anco nel-
r
umanità, considerata come tale, meglio che
nei popoli,
ai
quaU solamente vuol esser applicata cotesta
legge se-
condo il
vero senso datole dal Vico: il che
osserviamo
tanto
più volentieri, in quanto che egU
stesso biasima gli
Hegeliani
per aver esagerato oltre misura cotesto
prin-
cipio.' Da
ultimo è da notare, ad onore del
valoroso
prof,
di Napoli, com'ei sia de' pochissimi che
col Tom- '
maséo,
col traduttore anonimo francese, col De
Ferron e
qualche
altro, abbia inteso a dovere e
pienamente le-
gittimata la
dottrina de' Corsi e ricorsi storici.'
n
nostro eh. collega ed amico professor
Fiorentino
* B.
SPAYBifTA, Legioni di Filo9ofia ec. pag.
94 e seg.
*
Idem, eodem, pag. 99.
*
Idem, eod., pag. 100.
ha
parlato anch' egli del Vico ; e
ormeggiando lo Spa-
venta, ne
ha parlato da schietto e fedele
hegeliano co-
in'
era da prevedere, in una serie di
lettere indirizzate
alla
egregia e compianta Marchesa Florenzi.
Consen-
tiamo con
lui quando irrompe contro gli eterni
enco-
miatori del
Vico ; che d' alcuni di cotesti
lodatori a buon
prezzo,
impotenti inneggiatori al genio di lui,
a bella
posta
non abbiamo voluto far parola, e ne
avremmo
avuto
larga mèsse da mietere. E battiamo le
mani altresì
air
amico nostro in tutto quant' egli
acutamente viene
osservando
su la dottrina del Vico risguardante
l'origine
e la
natura delle religioni, e in ciò
ch'ei dice sopra
certe
grossolane contraddizioni proprie del nostro
au-
tore, perchè
crediamo anche noi con lui, col
Ferrari, con
lo
Spaventa ed altri, che nel filosofo
napoletano e' è, a
1 dir
così, due uomini, il vecchio e'I
nuovo. Non meno
vere,
finalmente, ci paion quelle sue
considerazioni sul
. modo
con che il nostro filosofo riguardava
il Diritto
Romano,
e belle, se non tutte vere, quelle
altre sul
processo
psicologico delle facoltà inteso alla
maniera
del
Vico. Ma non sapremmo convenire in
parecchie al-
tre cose,
alle quali con l'usata franchezza e
brevità
verremo
accennando.
Come
ogni fedele hegeliano anche l'amico nostro
vuol
ritrovare, al solito, gli antecedenti del
Vico; e lo
rimonta,
nullameno, sino alla Repubblica di Platone!
Avrebbe
potuto ricacciarlo anco fino agli Egizi,
ove forse
avrebbe
ripescato qualcosa di più, come confessa
lo stesso
Vico
quando si prova a rintracciar le
origini storiche
del
suo storico ternario. In Platone, dice
il Fiorentino, ci
era
Vico, ma non tutto, né sviluppato; ci
erano i semi che
fecondati
germinarono, e dMa ReptÀblica fecero baiUar
fuori
la Scienza Nuova. Fra gli hegehani il
Fiorentino
è
quegli che meno degli altri intoppa
nel difetto di far
la
storia a furia di riscontri storici;
i quali per inge-
gnosi che
paiano non riescono sempre positivamente
veri.
E non più che ingegnoso ci sembra
questo di cui
si
parla. Noi crediamo che ciò che
veramente distìngue
r
ingegno e le dottrine del Vico non
sia un indirizzo I
platonico,
anzi piuttosto aristotelico: il che risulta
da
tatto
r insieme delle sue dottrine, meglio
che da questo
o quel
passo isolato e stralciato dagli altri
a tutto pro-
prio comodo
e servigio. Ma perchè s^ha a risalire
alla
Repubblica
di Platone massime quando si parla
della
Scienza
Nuova? Per affermar questo l'amico nostro
s' appoggia
principalmente nelle forme del reggimento
politico,
le quali pel Vico sono tante quante
le facoltà
dello
spirito : sentenza, com' è noto,
propria di Platone
e poi
di tutti quant' i politici, e che
ritroviamo sco-
pertamente
ormeggiata nel nostro filosofo. Ora che
un
divario
profondo per valore e significato razionale
sia
da
scorgere, come vedremo, tanto nel concetto
psicolo-
gico quanto
nel concetto dello stato del filosofo
ateniese
rispetto
a quello del Vico, ninno il saprà
negare che
abbia
meditato il principio storico sopra cui
tutta è
fondata
la Scienza Nuova. Io dunque non so capacitar-
mi, e
mi son maravigliato meco stesso, come
mai il no-
stro collega
sia potuto venire in questa sentenza,
che
la
Bepubblica e la Sdema Ntwva si
fondano sopra un
disegno
comune. Ma, di grazia, dove son le
ragioni? E
dato
ci siano cotesto ragioni, come non
accorgersi che
il
processo psicologico secondo la mente del
povero pe-
dagogo di
VatoUa è diametralmente opposto a quello
proprio
del gran figliuolo di Aristone; e
quindi diffe-
rente la
genesi delle forme politiche dello Stato
nei due
filosofi?
E che cosa ci ha che vedere il
concetto plato-
nico della
Oittà con quello della Cittàj deUe
Genti Minori
che
scaturisce dal processo isterico della
Scienza Nuova?
Eppoi,
per accennar qui ad un altro ordin
di cose, quanto
r
immobilità delle idee platoniche non si
discosta dal-
l'attuosità
profonda, intima, vivace che il Vico
attri-
buisce al
suo Ente-Vero? D' altra parte, non è
lo stesso
Fiorentino
che avverte come il Vico medesimo
facesse
una
breve critica alla Bepubblica stantechè in
essa
ruomo
sia considerato, non qual è, anzi
qual dovreb-
b'
essere? 0 perchè, dunque, chiamar comune
il disegno
delle
due opere? In altra sua scrittura,
parlando del
Parmenide
e della dialettica platonica, il Fiorentino
dice
che il Vico vi attinse lo schema
della Scienza Nuo-
va.
Anche qui la interpetrazione critica dà
in fallo. Si
sa
oggimai (e dirlo al Fiorentino sarebbe
come portar
nottole
ad Atene) che nel Parmenide e nella
Bepub-
I
blica tanto il carattere generale quanto
il processo tor-
nino fra
loro assai diversi. Come va dunque
che il dise-
gno della
Scienza Nuova, eh' è comune con quello
della
RepubbUca,
è anche lo schema della dialettica
esposta
nel
Parmenide? In somma, io non dubito
che una rela-
zione esista
fra Vico e Platone: non dubito che
riscontri
se ne
possan fare in infinito. Ma prima di
tutto biso-
)
gnerebbe stabilire a qual Platone s'
assomigli il Vico,
j a
quello del Sofista, del Timeo o
all'altro della Repub-
'
blica, del Fedro, ovvero a quello del
Parmenide? Per^
quanto
mgegnosi, dunque, cotesti riscontri sono
sempre
estrinseci,
analogie secondarie, esteriori, e quindi
spesso
fallaci
con cui gli hegeliani abbarbagliano d
ma la-
sciano
sempre il buio che trovano.
In
fine della prima lettera poi egli
afferma che la
metafisica
per Vico versa nel vero e non
ha processo.
Non ha
processo? Or come, s' egU stesso, lo
stesso Vico,
primo
fra tutt' i filosofi dell' evo
moderno e mezzo se-
colo avant'
il Kant appose alla metafisica questa
me-
morabile
definizione: Critica dd vero? E se la
critica
vichiana
non è processo, o per lo meno
esigenza di esso»
che
cos' è mai^ Senonchè nella seconda
lettera, com'era
naturale,
col suo retto senso il Fiorentino
contraddice
apertamente
alla prima quando mostra come il
princi-
pio sopra
cui '1 Vico fondò l' opera sua,
riesca differente
dal
principio di Platone. Di cotesto disdirsi
non ci
doliamo:
ci rallegriamo anzi. E ce ne
^rallegriamo per-
chè, s'egli
è co^, il comune disegno della
Repubblica
e
della Scienza Nuova, eh' e' vagheggia nella
prima
lettera,
sfuma del tutto o per lo manco
è ridotto a
termini
'convenienti. E molto men vera poi ci
sembra
quest'
altra sentenza: Che l'autore della Scienza
Nuova,
avvistosi
della inconvenienza d'ammettere una Mente
Sovrana,
facesse capo ad una psiche vivente e
defini-
ta. Ma
la psiche vivente di cui parla il
nostro amico
non
contraddice nà punto ne poco alla
realtà di quella
Mente,
anzi ne legittima vie più la
necessità. Il Vico
dunque
non vide mai cotesta inconvenienec^ né
poteva
mai
vederla: ne vide per contrario la
massima conve-
nienza;
convenienza dettata non pur dalla ragione,
ma
anche
dal fatto; e cotesta convenienza di
fatto esce
laminosa,
come risultato finale, dall'intiera Scienza
Nuova,
cioè dire dalla natura intima del
processo isto-
rico.
E neanche sembraci al tutto vero
l'affermare che
rispetto
a questa Mente infinita il Vico
ricopi il celebre
argomento
di Cartesio e d'Anselmo, o il
concetto del
^Bene
di Platone. Nel Vico c'è qualcosa di
piii. C'è
tale
un' idea dell' Ente che non è
quella del vecchio '
monoteismo.
E perchè e' è questa, v' è
altresì un con-
cetto
originale su la natura del finito.
Verissimo
poi dove osserva (3* Lettera) che nel
libro Metafisico
il nostro filosofo volle dar l'aria
d'una
veneranda
antichità a concetti nuovi ed in gran
parte
da lui
la prima volta proposti. Ma non è
per nuUa^esatto
il
dire ch'egli desistè dallo scrivere la
seconda e la
terza
parte del suddetto libro a cagione
della critica
mossagli
contro dal Giornale de' Letterati. Le
altre due
parti
ch'egli andava meditando e su le
quali usava
talora
intrattenersi col suo Paolo Doria, non
erano
e non
potevan esser che applicazione e
svolgimento
della
prima. Era precisamente il Diritto
Universale che
poi
venne a luce dopo dieci anni; ed
era la Scienza
Nuova
che comparve dopo tre lustri. A noi
dunque
non
pare che il Vico si riconsigliasse
con seco medesimo
dopo
le critiche dei Letterati, nel senso
che avesse can-
giato
indirizzo. La qual cosa tanto più
crediamo, quanto
che la
seconda e la terza opera dianzi
rammentate,
non si
discostano né pur d' un minimo dalla
sostanza
(dico
dalla sostanza) del Libro Metafisico.
Giambattista
Vico
fa tutto d'un pezzo, sempre; nò la
sua mente
ebbe
uggia d'un vero oggi per correr
dietro ad un
altro
domani, come il palato e la lingua
fanno dei cibi.
Certo
il suo pensiero fu un processo ;
processo conti-
nuo,
svolgimento incessante; ma sempre d'un
colore,
sempre d'
una fisonomia, sempre d' una indole.
Percioc-
ché la
mente del vero filosofo debba progredire,
ma
progredire
non già contraddicendosi, bensì conciliando
sé con
sé stesso e con le cose e con
le idee, co' fatti,
con la
storia, con la coscienza e perfino
col senso co-
mune. Prima
del Fiorentino il Ferrari avea detto
lo
stesso;
ma neanch'egli in ciò seppe coglier
nel vero
come
dicemmo a suo luogo.
Fra
tante belle riflessioni l'amico nostro non
sa
fare a
meno talvolta delle ormai grinzose
tricotomie
hegeliane
; com' é, per esempio, là ove
parlando del
genio
della civiltà latina, la pone a
riscontro con la
greca,
e pretende anch' egli ritrovar legami
dialettici
necessari,
ideali, con una civiltà anteriore (divina)
e
con
una civiltà posteriore (umana), stantechè
il mondo
latino
rappresenti per sé stesso l'età eroica.
Coteste
dialettiche
storiche hanno già fatto lor tempo: e
ci
vuol
ben altro che analogie ritmiche cosi
inquadrate
e
geometrizzate come quelle degli hegeliani a
ritrarre
il
positivo de' fatti storici. Al qual
proposito da ultimo
notiamo,
come anch' egli abbia talora prestato
facile
orecchio
a certe conclusioni dei filologi moderni,
quando,
per
esempio, vuol circoscrivere troppo in sé
stesso il
popolo
di Roma. Certo il Vico non vide,
né potea ve-
'dere
le attinenze fra latino, greco ed
ariano. Ma quant'a
ciò
egli non fa quistione d' originarietà,
bensì di svolgi-
mento
autonomo di civiltà. E qui ha torto
il Fioren-
tino; e
non meno avrebbe torto il Mommsen se
questi
anzi,
come vedremo, non rassodasse e vie
più confer-
masse
la sentenza del Vico a tal proposito.
Il nostro
filosofo
ebbe coscienza chiara, per esempio, di
questo
fatto,
che V idioma latino non è potuto
uscire dal greco ;
del
che vedemmo essersi accorto, fra gli
altri, il tradut-
tore anonimo
francese della Scienza Nuova. Ne vor-
reste più
da un uomo vissuto due secoli fa?
Concludendo,
quant'al Fiorentino, noi abbiamo in
pregio
grandissimo V ingegno e gli studi del
nostro va-
loroso
collega, e ne abbiam dato prova altra
volta: ma
qui
non è questione d' ingegno e d' erudizione
isterica,
bensì
di critica, d'interpretazione. Chi vorrà.
accettare
i
risultati d^una critica parziale, unilaterale
e non di
rado
infedele qual si è quella dei critici
hegeliani in
generale?
Anche nel suo Pomponaeeij come nel
lavoro
sul
Vico di che parliamo, tirando V acqua
al proprio mu-
lino egli
cade nel solito difetto (come altrove
notammo
e come
è stato mostrato dal Frank e dal
Fontana)!
sia
con lo studiarsi di porre sotto
acconcio punto di
lame
questa o cotesta dottrina d' un autore,
sia col de-
bilitare e
spregiare quella d' un altro ove per
avventura
non
faccia comodo. Non così nel suo Bnmo,
il piii bel
lavoro
dell'amico nostro considerato (già s'intende)
come
lavoro
di critica; perchè in esso l'apprezzamento
critico
ci
sembra men passionato e meglio condotto.
Dal qual
fatto
altri forse potrebbe concludere che,
nell'indirizzo
della
critica, il Giobertismo non dà in
quelle esagera-
zioni cui
di solito riesce l'Idealismo assoluto.
E qui
chiedo poter interrompere un istante l'
ordine
cronologico
impostomi sino da principio per far
men-
zione d'un
altro valoroso hegeliano, ultimo venuto a
parlare
del Vico. È questi il professor Vera,
il bene-
merito
volgarizzatore dell' Hegelianismo, e delle
scrit-
ture
hegeliane. £ innanzi tratto osservo che
le relazioni
ch'egli
scorge fra Vico, Herder e Bossuet ci
paion tutte
▼ere,
ma non certo nuove, perchè fatte già
da altri,
come
s'è visto, sin dai primi lustri del
secolo. Delle altre
osservazioni
quella che piii lodiamo, essendoci parsa
toc-
cata
con fedeltà e maggior dirittura di
giudizio, è la
interpretazione
circa il concetto del Diritto Universale,
in cui
ha saputo accennare altresì con verità
al triplice
elemento
del diritto, dominio, libertà e tutela.*
Lodiamo
non
meno l' illustrazione a proposito della
dottrina del
vero e
del certo, la giusta relazione veduta
fra questi
due
termini, e segnatamente lodiamo T aver
chiarito la
natura
vera del processo psicologico secondo il
Vico.
Le
quali cose, del resto, dovean tornare
agevolissime
ad un
hegeliano, in virtù di certa affinità
che alcune
dottrine
del nostro filosofo mostrano avere,* come
di-
cemmo, con
quelle dell'Idealismo assoluto. Ma ecco su-
bito, per
esempio, una sentenza che respingiamo (come
abbiam
fatto col Fiorentino), su la relazione
tra Vico
e
Platone, perchè generata dalla solita
febbre degU
antecedenti
e dei riscontri storici che ci fa
travedere e
spesso
anco vaneggiare I Gli estremi si
toccano anche qui
secondo
il motto volgare. Perocché non è
stato scrittore
cattolico
0 teologizzante il quale, parlando del
Vico, non
fosse
risalito al divino^ al cristianeggiante
Platone per
ripescarvi
annidata qualche Degnità o alcun che
di luce
intelligibile
di cui, per vero dire, non è
difetto neanche
nel
Vico. E vedemmo, per esempio, il
Tommaseo, in ciò
temperatissimo,
contentarsi d' aifermare solamente che
il
Vico s' ispirasse nel filosofo ateniese.
Ora il Vera
vien
fuori anch' egli a dirci lo stesso,
anzi più dello
stesso,
ma certo con intendimento assai diverso,
affer-
mando
addirittura che il Vico potè giugnere
alle sue
scoperte
solo seguitando le dottrine di Platone
stìi-,
diando
la teorica platonica delle idee,
comprendendo
V
importanza e la funzione deWidea deW
universo. Ch'ei
r
abbia studiato e fino a certo segno
se ne sia ispirato,
come
vuole il Tommaseo, ne potrò convenire:
che
r abbia
^^tto poi ne dubito assai; e in
ispecie dubito
. *
Vsiu, ItUroih aOa Ftlo9ofia deUa Storia. Firenze,
1869, pag. 70.
che
abbia voluto seguirlo pel fine che
dice il Vera, il
quale
è noto qual valore porga alle idee
platoniche, e
come
queste idee egli pretenda legare al
carro della
Idea
del maestro.* Che cos'è infatti cotesta
idea rispetto
all'universo?
È il principio della storia ;
perocché ella
sia
che governa tanto la vita delle
nazioni, quanto la
vita
dell' organismo animale. E che cosa
poi vuol dire
tutto
ciò? E' vuol dire che c'è una storia
ideale delle
nazioni,'
e che quindi da Platone al Vico
non v'ha che
un
breve passo. Può darsi che questo sia
hegelianismo,
idealismo
assoluto, fatalismo ideale, o come
altrimenti
piacerà
chiamarlo; ma filosofia del Vico che
nasca sin-
cera dalla
Scienza Nuova, no davvero, a II mondo
ha
una
storia ideale, perchè l' idea è principio
della storia :
e la
storia in tanto è ideale pel Vico,
in quanto l'idea
(la
Idea) rivela e scuopre se medesima
nella storia. »
Prima
d'ogni altro ci sarebbe da chiedere
al valoroso
hegeliano
: In qual senso cotesta Idea può
esser prin-
cipio della
storia? E intesici sopra cotal punto
(e pro-
babilmente
non giugneremmo ad intenderci mai) ci
sarebbe
da pretendere poi un' altra risposta:
Che è mai
l'Idea
per l'autore della Scienza Nuova?
Se non
che, quand'egli aflFerma che il Vico
seguita
le
teoriche di Platone, dimentica che più d'
una volta
lo
stesso Vico dice e confessa d' essersi
allontanato da I
Platone.
Al Fiorentino abbiamo ricordato la immobi-
lità delle
idee platoniche e '1 concetto che
dell' Essere
ci
porge il nostro filosofo: lo stesso
rammentiamo al
Vera.
Si dirà che il Vico da sé
medesimo invochi Platone
e lo
annoveri fra i quattro suoi maestri?
Verissimo;
ma è
vero altresì che fra' quattro maestri
e' è anche
Tacito,
il quale per ben due volte egli
dice di voler
seguire,
meglio che Platone, quant' al considerar
l'uomo
nella
sua realtà. Ci è anche Grozio che
a dignità di
vera
scienza, come tutti sanno, cominciò ad
innalzare il
*
Vbra, Introd. à la Phtl, de Hegel,
cap. IV.
*
Idem, Introd, alla FU. deUa Storia,
pag. 68.
concetto
del Diritto naturale. E e' è
finalmente, e sopra
tutto,
Bacone. Quale sarebbe, di grazia, la
Idea di Ba-
cone, di
Tacito e di Grozio? Tornando a noi,
dunque,
il
Vico seguendo le dottrine di Fiatone
non avrebbe a
essere
che un metafisico platonico ; nel
modo stesso che
il
Vera, seguendo le dottrine di Hegel,
è un metafisico
hegeliano.
Ma nulla di tutto ciò. Il professor
Vera fa qui
una
grande scoperta, e intoppa in una
grande contrad-
dizione.
Egli scuopre che nel Vico non ci
ha ombra di
metafisica
; spiega in che maniera quel povero
maestro
di
rettorica non ne intendesse neppure il
nome (sic), e
come
anzi avesse confuso la metafisica con
la lingua (sic).^
Or la
conclusione più legittima che altri
potrebbe facil-
mente cavare
da cotesto discorso tutt' altro che serio,
sarebbe
questa: che come il Vico tuttoché
seguace di
Platone
non è nient' affatto un metafisico ;
parimente il
traduttor
Vera, benché seguace svisceratissimo di
Hegel,
non
meriti neanche lui né pur per ombra
titolo di meta-
fisico. Non
so se tal maniera di ragionamento
regga al
martello
di sublime e riposta dialettica: ma
regge di
certo
alla logica del comun senso, e mi
basta. Per gU
hegeliani,
e' si sa, la metafisica s' incentra e
s' impernia
tutta
nella Idea: e chi agli occhi loro
non sia cotanto
fortunato
da giungere a contemplare le risplendenti
fattezze
di questa Dea, può andarsi a riporre
e mai non
isperi
di meritar nome di metafisico. È
questione di
titolo
0 meglio di saluto. Padroni a darlo
e a renderlo
il
saluto: ma, datolo una volta, non
siete altrimenti
liberi
di non riceverne uno anco voi. Non
sarebbe pro-
prio il
caso di rammentare agli hegeliani e a
tutti quelli
che
negano al Vico il titolo di
metafisico, V arguta ri-
sposta del
vecchio contadino al cameriere in giubba
e
guanti bianchi?
Come
ognun vede, in questo il Vera è
in aperta oppo-
sizione con
gli altri hegeliani. È in opposizione
special-
*
Vira, Introd, alla FU. della Storia,
pag. 77.
mente
con lo Spaventa che, com' è noto,
non è cosi
tenacemente
agganciato al maestro da confondere asso-
latamente
Hegel con hegelianismo (due cose che
molti
hegeliani
oggi distinguono) e nuli' altro scorger
nella
filosofia
italiana che sottigliumi teologici innestati
a
meschine
vuotaggini scolastiche. Ingegno acuto e
insie-
me largo
egli ha studiato con grande amore non
pure
i
nostri filosofi del Risorgimento, ma quelli
altresì
dell'età
moderna; e non gli ha mai battezzati
teologi,
né
dato loro titolo di mediocrità filosofica.
Égli è cri-
tico severo,
interprete dell'idealismo assoluto superiore
À
qualunque più sviscerato seguace di Hegel
giust' ap-
punto perchè
non si è cristallizzato e quasi
mummifi-
cato, come
fa il Vera, col suo maestro. Ed
ecco la ra-
gione per
cui lo Spaventa non isdegna scrivo-e
che il
Vico è
anche un metafisico, che nelle sue
scritture e' è
pure
una metafisica, né va quindi a
cercare col fiiscel-
lino
certi meschini argomenti per negargli un
valore
speculativo
com'è appunto quello del Vera là dove
^li,
attaccandosi quasi a'rasoj, pronunzia: È certo.
che
aprendo
i libri di Vico e quelli di
Fiatone e di Aristotele
e
raffrotUando le loro ricerche sulle idee,
Vico rimane al
paragone
di molto inferiore. Certo, Vico non
é, né Ari-
stotele, né
Platone ; ma forse che gli otto
libri politici
dell'
uno e la Repubblica dell'altro sono
la Scienza Nuo-
va? Che
cosa pensereste di chi pigliasse a
biasimar Ga-
lileo per
non avere scoperto nel sole i metalli
che oggi
sappiamo?
La questione è se i germi d'una
metafisica
in lui
per avventura ci siano: lo svolgimento
viene da
sé ;
ed é opera della critica rintegratrice.
Ora il Vera
non ha
creduto far né l'una cosa né l'altra;
né svolgere
né
interpretarne i principii, anzi negare ogni
loro im-
portanza, e
di qui ognuno può argomentare qual
va-
lore possa
avere la sua critica.
Pronunziata
dunque la sentenza, che il Vico non
pervenga
né punto né poco al concetto della
metafisi-
ca; passando
alle questioni storiche il Vera ne
trae
dby
Google
lunga
serie di conseguenze che, secondo lui,
sono altret-
tanti
errori, e perciò altrettanti biasimi al
Vico. Qui
non
possiamo indugiare a mostrar che cosa
accettiamo
e che
respingiamo di questa critica. Gioverà
intanto
assommarla
ne' seguenti capi, a' quali verremo
man
mano
rispondendo in luoghi opportuni. 11 eh.
traduttore
di
Hegel dunque dice:
!• La
storia ideale del Vico non è vera
costruzione
ideale
della storia, e però non è vera
filosofia della
storia;
bensì una generaUzzazione d'alcuni fatti
parti-
colari, e
quindi insufficienti, come per esempio
quello
del
nascere, crescere e morire, dall'individuo
trasportato
alla
storia.
2^"
Egli non vide come accanto alle
analogie sorgan
le
diflferenze; e come queste la vincano
sopra quelle.
S""
La sua legge storica non tocca
minimamente il
contenuto,
la sostanza, bensì la superficie, la
forma dello
Stato
; e però non riesce ad un
resultamento scientifico.
4"*
Non seppe levarsi all'idea d' umanità, né
a quella
di
progresso; negò anzi implicitamente il
progresso.
5*
Perciò il concetto de^ corsi e
ricorsi è concetto
assolutamente
antistorico, e distrugge la storia.
6* Per
esser conseguente a sé stesso egli
avrebbe
dovuto
far correre e ricorrere nel corso
storico anche
la
vita selvaggia.
T""
Lascia fuori della storia buona metà
della storia
medesima,
e però del genere umano.
8' La
dottrina vichiana del Diritto non racchiude
lo
svolgimento sempre progressivo della idea
del giure,
la
quale per lui è tutta rannicchiata
nel Diritto romano.
§• La
storia universale, il medio evo non
sono agli
occhi
suoi altro che copia e riproduzione
della civiltà.
IO» La
Scienza Nuova esclude dalla storia e
però
non
ispiega il cristianesimo, nettampoco la
Riforma.
!!• Il
Vico, insomma, non comprese in che
modo
V idea
possa essere neUa storia.
La
critica che ne fa il chiarissimo
traduttore, di-
ciamolo
pure, non è molto seria, e^ per
più rispetti
riesce
incompiuta. Scambio di liberare quel
filosofo
dalle
contraddizioni, dai controsensi, dagli equivoci,
'
dai
vecchiumi, e poi studiarsi di ricostruirne
il pen- ,
siero
e compierlo imprimendogli vita e gagliardia
no-
vella; e'
ce riia distrutto addirittura, o meglio
ha
creduto
distruggerlo. E lo ha distrutto riportando
ad
Hegel
quel po' di buono che neanch'egli ha
saputo e
voluto
negargli. Poniamo infatti che sian tutte
legittime
le
accennate difficoltà: che cosa ci
rimarrebbe della
Scienza
Nuova? Nulla; nulla precisamente. S'egli
dun-
que è
così, non si capisce come cotesto
filosofo hegeUano
abbia
voluto sciupar venticinque lunghe pagine di
stam-
pato pel
gusto puerile eli ripresentare agli occhi
nostri
lo
agl'adito spettacolo d'un cadavere! Altra
volta egli
inneggiò
al filosofo napoletano : inneggiò
segnalandolo
all'
Europa come fondatore della filosofia della
storia,
ddla
critica filosofica delle lingue, ed altro
simile. E que-
sto scrisse
nel 1856 a Londra, e credo abbia
ripetuto
anche
a Milano pochi anni addietro. Oggi
poi, come s'è
visto,
il Vico per lui sembra esser poco
più che un
umanista
del secolo XIV! Dunque è da dire
che una
delle
due volte almeno egli abbia dovuto
leggere il nostro
filosofo
armandosi d' occhiali color fumo, ma solo
resta
a
sapere se cotesti occhiali abbia egli
adoperato nella
prima,
ovvero nella seconda volta. Avvertiamo
pertanto
che il
decimo appunto fatto dal Vera è
giustissimo:
era
stato affacciato da altri critici prima
di lui, e l' ac-
cennammo
anco noi stessi fino dal bel
principio. La
Scienza
Nuova non ispiega il cristianesimo: ecco
una
delle
manchevolezze o contraddizioni da cui
bisogna
salvare
questo libro, ma senza fargli perdere
il va-
lore e,
per così dire, la fisonomia nativa
end' è rive-
stito.
Senonchè qui ci sarebbe da chiedere:
forse che
il
cristianesimo, questo gran fatto della
civiltà umana,
è
stato meglio inteso e spiegato dagli
hegeliani? A me
pare
che a tal proposito il nostro
filosofo siasi voluto
SlCILIARI
9
governare
precisamente al modo che oggi fanno i
po-
sitivisti
circa questo o quel problema metafisico,
la-
sciandolo in
disparte. Egli era fervente cattolico, cat-
tolico di
buona fede. Ma, per cattolicissimo ch'ei
fosse,
fra le
sue dottrine ha lasciato cotal serie
di criterii^
da
mettere in grado chi voglia e sappia
leggerlo, d' in-
j
t^rpretare il cristianesimo in significato
non pura-
mente
cattolico ed assolutamente soprannaturale, e
neanche
in senso meramente hegeliano e al
tutto
mitico
da pareggiarlo addirittura ad un'
invenzione af-
fatto
fantastica o favolosa. Al qual proposito
mi piace
aggiungere
un'altra osseiTazione. Oggi appunto un
esperto
hegeliano ed un espertissimo cattolico, fra
noi,
si
studiano imprimere al concetto isterico due
significati
al
tutto opposti e contrari : il Vera
col suo ultimo libro,
il
quale al postutto è una ripetizione
della filosofia sto-
rica di
Hegel, e il Pomari con la sua
Vita di Cristo,
che,
come sopra toccammo, è una filosofia
della storia
levata
alla sintesi più alta ed elegante cui
sappia pog-
giare la
mente d' un acuto pensatore cattolico.
Sono
due
estremi cotesti, che in parecchie
conseguenze si toc-
cano, come
vedremo. Or fra questi estremi non ci
ha
da
essere anche qui una via di mezzo?
Ma
basti degli Hegeliani; e veniamo a
toccare de-
gli ultimi
scrittori i quali, comechè non tutti
filosofi,
secondo
lo stretto significato di questa parola,
nulla-
meno
si distinguono pel carattere ond' abbiamo
desi-
gnato il
3» periodo dì questo nostro abbozzo
isterico,
ciò è
dire pel carattere della interpretazione
filosofica
nel
discorrere eh' essi han fatto, sia di
proposito sia pur
di passaggio,
intomo alle dottrine del Vico.
Innanzi
tutto occorre accennare a quattro altri
vi-
venti
scrittori assai diversi fra loro per
dottrine e forma
d'ingegno,
cioè al Bertini, al Conti, al
Franchi, al Maz-
zarella; poi
all'egregio Cantoni, critico ed erudito;
ap-
presso
all'illustre storico vivente della medicina;
per
indi
concludere con una rassegna d' alcuni dotti
fran-
cesi che
in quest'ultimi anni volsero la mente
al
nostro
filosofo. L'illustre prof. Bertini ha
toccato rapi-
damente del
Vico in un suo scritto su le
prove metafìsicfie
éTuna
realtà sovrasensihile,^ Con l'usata castigatezza
di
forma e severità d' ingegno egli accenna
ad un sol
punto;
del quale non pertanto ci piace
prender nota,
8Ì
perchè tra' viventi filosofi italiani di
grande autorità
ci
paion le sue parole, si ancora perchè
l' idea cui egli
accenna
racchiude un valore speciale per la
nostra isto-
ria
filosofica del secolo passato. Parlando
delle dottrine
della
conoscenza del Kant, egli dice: «
questa dot-
»
trina kantiana fece tornare alla memoria
de' tede-
»
schi, e in particolare del Jacobi,
ciò che già avea
»
scritto poco prima il Vico nel suo
libro De Antiquis-
» sima
Itàlorum sapientia: che cioè il vero
è il fatto,
» e
che non si ha vera e piena
conoscenza se non delle
» cose
di cui noi siamo gli autori. Anche,
il Vico trat-
n
teggiava un ideale di scienza divina
e assoluta che |
» ha
molta analogia colla intuizione intellettuale
desi-
»
derata e descritta da Kant, e con
questo paragonava
» la
scienza umana, la quale, secondo il
Vico, anziché
»
scienza, si dovrebbe chiamare cogitcUio,
ossia uno stu-
» dio
di andar raccogliendo quei pochi elementi
delle
» cose
che è dato a noi dì conoscere.
i> È una relazione
* Vedi
negli Atti ddV Accademia di Torino,
Maggio, 1866.
celesta,
tra Kant e Vico, della quale giova
tejier conto; e
abbiam
voluto farlo citando le parole del
valoroso Bertini.
Augusto
Conti, pensatore profondamente cattolico
e
altrettanto onesto e sincero nelle sue
convinzioni, ha
voluto
consacrare intera una lezione alle dottrine
del
I
nostro filosofo nel suo Specchio della
storia generale della
filosofia.
Chi conosce i principi! filosofici dell'
illustre ed
elegante
scrittore toscano saprà indovinar subito
quale
esposizione
egli faccia del Vico, e sospettare in
che senso
ne
interpreti le dottrine. Può dirsi eh'
e' sia il rovescio
degli
hegeliani; perchè si studia di tirar
tutto dalla
sua
parte l' A. della Scienza Nuova,
segnalandolo natu-
ralmente
com' uno de' tanti anelli della sua
filosofia pe-
renne. Io
non istarò qui a negare ne che
il Vico sia
cattolico,
né che la critica del prof, pisano
sia fatta
male.
Sarà anzi critica savia e coerente:
ma è tutto
il
Vico della prima maniera quello eh'
ei ci dà, perocché
niente
vi sappia discemere che non si
ritrovi più o
men
palesemente in Agostino, in Tommaso, in
Anselmo
e
simili. Però nel Vico nulla ci é
di nuovo, nel senso
del
filosofo samminiatese, salvo che il
concetto d'una
filosofia
civile. Né potrebb' esser diversamente,
ammessa
la
maniera con che suol procedere in
tale esposizione cri-
tica appoggiandosi
per lo pili in certe aflFermazioni
gene-
rali e
duttilissime del nostro filosofo, qual è,
per esempio,
questa:
Dio, com'è U principio ddV essere, così
è anche
del
conoscere. Quante mai conseguenze non si
potreb-
bero far
rampollare da cosifiatto principio ! Un
giober-
tiano,
per esempio, vi mostrerebbe com' ei
si sgomitoli
tutto
nelle note formolo e cicli creativi e
concrea-
tivi
assoluti e relativi di cui al solito
egli ha piena la
bocca;
dovechè un hegeliano non mancherebbe darvi
pruova
di tal destrezza, da sciorinarvi sotto
gli occhi
a fil
di logica tutta la rete delle sue
leggi dialettiche.
Nel
Vico c'è parecchie di cpsi fatte
sentenze; né al
Conti
poteva riuscir difficile tirarle alla sua
filosofia
comprensiva.
Ma egli dice benissimo dove osserva
che i
prìncipii
del Vico, anzi che condurre al
panteismo, lo
combattono;
e in ciò noi conyeniamo pienamente.
Or
non
sarebbe stato mestieri dimostrar come non
vi con-
dncano
e conte lo possan combattere? Consentiamo
altresì
col dotto scrittore in tutte quelle
saggio rifles-
sioni eh' e'
sa fare su l'indole comprensiva e
storica
del
metodo vichiano. Ma non sapremmo
concedergli
che la
dottrina dei corsi e ricorsi apparisca
solo nella
seconda
Scienza Nuova. È quistione di fatto
eh' ei po-
trà
risolvere col ridar un' occhiata al
sommario della
1*
Scienza Nuova. Farà male anche a lui
cotesta dibat-
tuta e
combattuta dottrina; ed è forse per
questo ch'egli
procaccia
di trovar modo a scusarne l'autore:
ma, più
che
scusarlo, avrebbe dovuto e potuto
difenderlo. Crede
anch' egli
poi, erroneamente, come il Ferrari, che
il
Vico
s'ispirasse alla teorica delle monadi di
Leibnitz;*
ma
contro il Ferrari mostra, e fa
benissimo, quanto il
Vico
fosse lungi dal confonder la causalità
con l' iden- (
tità
ideale. Finalmente osserviamo che i
principii ond' il
Vico
resiste al Cartesianismo e che il
Conti riduce a tre,
sono
da lui debitamente interpretati, meno T
ultimo
poco
fa menzionato; che Dio, cioè, essendo
principio
dell'
essere, è anche principio del conoscere.
Accettando
questa
sentenza accetta anco l' altra tanto
familiare al
Vico,
per cui la metafisica, la matematica
e l'etica siano
da
Dio.' Anche cotesta è afi'ermazione
generale, onde
nnlla
può concluderai finché non si giùnga
a mostrare
come
precisamente accada che quelle scienze
rampol-
lino da
Dio. Per ciò medesimo accoglie e
ripete quel-
r
altro pensiero che il sommo della
certezza risegga
nella
metafisica; contraddicendo cosi a ciò eh'
egli stesso
ana
pagina innanzi aveva accettato dal Vico
: la cer-
tezza somma
potersi l'aggiugnere unicamente con le
matematiche.
— Bisogna pur confessare che con la
sua
critica
il Conti ha lasciato il Vico dove
appunto l' avean
* A.
CoNTf, Storia della Filotofich Firenze
1864, Lez. XX,pag. 405.
'
Id«m, eod. pag.
420.
condotto,
per esempio, il Duni, Tlannelli, il
Tommaseo,
r Amari,
il Rosmini e tutti gl'interpreti filosofi
catto-
lici. E
noi non sapremmo fargliene carico: con
la sua
maniera
di filosofare non poteva far diversamente.
Anche
l'illustre Franchi, scettico ingegnoso, one-
stissimo,
sincero, e critico furibondo, pare talora
siasi
data
la pena di leggere qualche libro del
Vico; e ne parla
I in
due luoghi neUe sue Letture sulla
storia della filosofia
moderna.
È noto come il Vico più volte
accenni a Ba-
cone, nella
Scienza Nuova, nel Libro Metafisico, nel-
^ r
Orojsiotie sugli studi, e fin nelle
sue Vindicue contro
gli
Atti degli eruditi di Lipsia. Lo
rammenta sempre
con
parole amorose e riverenti, annoverandolo,
com'è
noto,
fra' suoi maestri. Il valoroso Ausonio
reputa esa-
gerati
cotesti elogi, massime, die' egli, quando
si pensi
a
Gralileo. Non possiamo qui intrattenerci
sul valore
speculativo
di Bacone: il divario e le
somiglianze fra lui
e il
nostro Galilei accennammo altrove.* Ma gli
elogi del
Vico
al filosofo che primo ebbe coscienza
della teoria
sperimentale
(dico della teoria) non dovrebbero parere
esagerati
a nessuno: il Franchi anzi avrebbe
dovuto
chiamarsene
contento, se avesse badato all'indirizzo
sto-
rico e
però sperimentale cui è tutta volta
la Scienza
Nuova.
Né qui giova gran fatto invocar
l'autorità di
Cartesio,
dicendo ch'ei fece appena menzione di
Ba-
cone; del
Newton che noi nominò mai; del Locke
che
lo
citò solo una volta, non come
filosofo, bensì come
storico.
Questa anzi è una ragione di più
per apprez-
zare gli
elogi che ne fa il Vico. Qual è
il motivo princi-
pale onde
r autore della Scienza Nuova encomia
tanto
spesso
r autore del Nuovo Organo? Questo,
parmi; l'esi-
genza in
Bacone a dimostrar con esperimenti la
verità
già
concepita, e quasi preveduta col pensiero.*
La ra-
gione dunque
ond' al Vico piaceva Bacone, ci
mostra
com'
egli sapesse intendere e pregiare la
mente del filo-
* Vedi
la nostra memorìa su Galileo. Bologna.
1868.
*
Vico, Vindìeke^ nve NoUb in Ada
erudiUìrvm lAptitnna, § 9.
sofo
inglese. E dico intendere e pregiare,
perciocché
-egli
non iscorgeva nel Nìmvo Organo quel
rachitico
sperimentalismo
che ci san vedere i positivisti, e
per cui
solamente
e con tanto calore costoro invocano a
maestro
il
conte di Sant'Alban. Di che proviene
poi un'altra ri-
flessione ;
ed è che dalla citazione del Vico
testé riferita
è
manifesto, come gli sperimenti non sieno
la sorgiva,
bensì
la riproduzione, la conferma di ciò
che in qualche '
maniera
si è innanzi concepito ; e per
cui i diritti dello
spiritò
restano salvi di fronte a qualsiasi
forma d'empi-
rismo.
D'altra parte, poiché senza sperimenti ciò
che s'è
speculato
riesce al tutto sterile e vuoto, ne
segue che non
senza
buone ragioni nella Scienza Nuova il
metodo di
iilosofare
del Nuovo Organo è detto essere il
metodo
più
accertato. Avea dunque torto il Vico
nel profondere
•encomii
al Gran Cancelliere? Esagerazione é il
dire,
nell'
Autobiografia, essere stata grande fortuna
per lui
aver
avuto notizia del libro del Signor di
Verolamio?
Ma e'
é di pili. Il Franchi reputa Bacone
padre di quella
storia
che l' autore del nuovo Organo disse
letteraria, e
senza
cui la storia del mondo pare vagli
come la statua*
di
PoUfemo priva dell' occhio. Or come
va che l' acutis-
simo critico
non s' è accorto esser la Scienza
Nuova pre-
cisamente
cotest' occhio dato dal Vico al
Polifemo di
Bacone?
E non é ella cotesta un'altra
relazione fra' due
filosofi?
E non è in questa relazione appunto
il motivo
degli
encomii esagerati? — Il Franchi parla
del Vico
anche
a proposito del Cogito di Cartesio. È
noto come
l' autore
della Scieìiea Nuova, ragionando di questo
cri-
terio,
facesse menzione altresì del detto di
Sosia: quum
cogito,
equidem certe idem sum qui semper
fui. Ne parla
€ome
fatto inconcusso inverso a cui le
lance dello Scet-
ticismo, per
acutissime che paiano, rimangono spuntate
appunto
perchè il dubbio, essendo anche pensiero
e
quindi importando
identità personale, racchiude cer-
tezza. Il
Franchi domanda (e nel domandare, dà
segno
di
stupire in che maniei'a la penna d'un
Vico abbia
potuto
scrivere tali enormezzel): che cosa mai
ci ha
che
vedere il motto volgare di Plauto col
principio
filosofico
di Cartesio? Ma, buonissimo e valoroso
Au-
sonio,
trattasi per T appunto di questo I
La posizione
Cartesiana
è ella davvero un principio, o no?
È egli
un
vero, o non piuttosto un certo?
Tra i
filosofi vi è anche il Mazzarella,
che in que-
st'
nltim' anni ha parlato del Vico nella
sua Storia
della
Critica, e ne ha considerato l'ingegno
critico in
relazione
alla critica anteriore e posteriore
all'autore
della
Scienza Nuova. Con la solita chiarezza
e sempli-
cità e
dirittura di pensiero egli ha saputo
mostrar che
cosa
rappresenti il filosofo di Napoli nella
Storia della
Critica
: !• il disprezzo della critica
meramente erudita:
2<'
la necessità di congiungere insieme
filologia e filo-
sofia; 3-
la critica non di libri né di
fatti, sì delle idee
della
mente umana, col fine di rintracciar
la storia
anteriore
alla storia scritta, e porre così il
vero fonda-
mento al
metodo critico con l'analisi delle idee
umane.^
11
Mazzarella inoltre sa rilevar nettamente
alcune at-
tinenze, che
a noi paion vere e ingegnose, tra
Cartesio
e
Vico, tra il metodo dell'uno e quello
dell'altro. Né
manco
ingegnosi ci sembrano que' riscontri tra
il Vico
risguardato
come filosofo delia storia, e Bossuet,
Schlegel,
Herder
ed Hegel.* Ma anch' egli, al solito,
vuol con-
dannarlo a
motivo de' suoi bestioni e del rombo
dei ful-
mini e
dell' idea del progresso cui l' autore
della Sdema
Nuova
(egli dice) non seppe levarsi!
Uno
degli ultimi lavori sul Vico è quello
dell' egre-
gio nostro
amico prof. Cantoni. Nel quale se i
pregi
non
mancano, non mancano pure i difetti;
difetti so-
stanziali
che tengono, anziché all'ingegno dell'autore,
all'affrettata
composizione del Ubro, secondo che con-
fessa egli
medesimo, e fors'anco all'affrettata medita-
zione di
esso. Ne facciamo qui menzione solo
per ra-
*
Mazzarella, Storia defla Oritiea, GeDora,
1866-68, Voi. I, Oap. XV.
• Id.
eod. Gap. XX.
gion
cronologica, perchè davvero, considerato il
fine e
l'indole
della critica cui egli è venuto
informando il
suo
libro, avremmo dovuto annoverarlo, non meno
che il
Mazzarella,
fra gli autori del secondo più che
del terzo
periodo.
Nei suoi Studi critici e, cofnparatìvi
il Cantoni
non
vuol farla da filosofo; e veramente
ad altro in so-
stanza ei
non mira, salvo che a rilevar le
differenze delle
dottrine,
giudicandole, più che altro, da' resultati.
Ora
il
vero giudizio crìtico nelle quistìoni
filosofiche non istà
forse
nel conti^apporre dottrine a dottrine,
rifacendo e
ricomponendo
e quasi ricreando nel proprio cervello
il
pensiero
di cui si piglia a far un'
esposizione critica? Ci è
gran
confusione nel metodo del Vicol dice
il Cantoni; e
dice
verissimo. Ma la vostra critica appunto
avrebbe do-
vuto
chiarircela. C è malintesi ad ogni
capitolo ! Vero an-
che questo:
ma voi avreste dovuto studiarvi
d'intenderli.
C'è
contraddizioni ad ogni pagina! Sì, certo:
ma avreste
dovuto
risolverne alcune, ripudiarne altre, e poi
accor-
dare
l'autore con sé medesimo: ecco quale
sarebbe
stata
la critica feconda e non solamente
scettica e va-
gliatrice.
Ma io vo' farla da semplice espositore,
sog-
giungerà il
Cantoni. Bene: s'egli dunque è così,
il vostro
lavoro
è un fuor d' opera, un fuor di
tempo. Di cen-
sure ed
esposizioni alla maniera di lannelli, del
Roma-
gnosi,
del Ferrari, del Tommaseo ne abbiamo
assai.
Perchè
una di più?
A quel
che mi pare il bravo Cantoni,
pigliando a
scrivere
il suo libro, non guardò bene al
fine* cui era
in
obbligo d' indirizzare il suo studio. Oggi
non è lecito,
panni,
scrivere un lavoro critico prefiggendosi un
fine
a
piacere. Dato un autore, dato un
filosofo, il fine dee
palesarsi
già da sé medesimo; deve scaturire
principal-
mente
dall'esigenza critica e dalle relazioni
storiche,
logiche,
0 ideali in che può trovarsi la
dottrina, il sistema,
la
filosofia, in somma lo scrittore che
si piglia a studia-
re. E
il Cantoni forse non ebbe seriamente
considerato
un
altro punto; ed è che fino dal
1712 cominciarono len-
tamente
gli studi critici su le dottrine del
Vico; cioè fino
da
quand' egli rispose alle benevole censure
fattegli da
un
amico sopra una certa sua orazione,
per non parlare
delle critiche
mossegli contro dal Giornale di LcUeraU.
E tali
studi critici, come s' è visto, sono
andati man
mano
accumulandosi fino ad oggi, crescendo
sempre di
numero
e d'importanza. Or che cosa avrebbe
dovuto fare
il
Cantoni ? Avrebbe dovuto trarre motivo
al suo libro
anche
dall' esigenza di tutta intiera la
critica fatta sul
suo
autore. A questo modo il libro
sarebbe tornato
profittevole,
compiuto, e forse non isfornito di
qualche
originalità
nel disegno. — L'opera del nostro
amico, ripe-
to, ha
molti pregi. 11 Capitolo, per esempio,
che agli oc-
chi nostri
varrebbe tutto il libro, è quello
dove l'autore
pone a
riscontro le idee del Vico su la
storia e sul Di-
ritto
romano, con quelle della Scuola Storica
tedesca. Ma
neanche
in questo ci è parso eh' e' sia
riuscito ad interpre-
tare certi
concetti del filosofo napoletano in guisa
da de-
durne tutto
ciò che di vero han detto oggi
i tedeschi : il
che
s'egli avesse fatto, non avrebbe sostenuto,
per esem-
pio, che
quant' à leggi agrarie il nostro
filosofo siasi im-
hrogliato!
Lodevoli anco ci sembrano alcune
confutazioni
al
Ferrari; l'aver per esempio osservato (ma
non dimo-
strato) che
libertà e necessità nel Vico non si
contraddi-
cono. Vero
poi che in questo filosofo manchi la
coscienza
del
proprio metodo ; e verissimo che la
psicologia è di
suprema
necessità alla filologia; canone, com'egli dice,
dis-
prezzato dai
più degli odierni filologi di Germania,
Vero
altresì
che il metodo del Vico sia
sperimentale, ma non
però
assolutamente sperimentale; e verissimo,
finalmen-
te, che
il concetto d'una Volker Psycólogiey di
che i tede-
schi menan
vanto, trovasi tale e quale nelle
opere del no-
stro
filosofo, non già come vaga esigenza,
ma come viva
applicazione.
Al Cantoni poi dobbiamo esser grati
di
averci
fatto sapere i giudizi che sul Vico
han dato i
tedeschi,
segnatamente quelli del Goschel nei suoi
Fogli
sparsi:
giudizi dati col fine di contraddire,
come no-
tammo,
all'hegelìanismo: giudìzi assennati e molto
di-
versi da
quelli datici dal pedante E. Weber
nel preludio
alia
sua traduzione della Scienza Nuova.
Ma il
pensiero originale, originalissimo in tutto
il libro
del
Cantoni, è il modo col quale è
giudicata la seconda
Sdenta
Nuova. Con questa Scienza Nuova, egli
dice,
il
Vico rimtegava e distruggeva V opera
propria. Ho detto
pensiero
originale, perchè da due secoli in
qua non è
surto
in mente ad alcuno. Ma, di grazia,
che è mai cote-
sta
decadenza deiringegno del Vico nella
seconda Scienza
Nuova?
Sarà follia, come ripeteva il teologo
Finetti
ne*
suoi sproloqui contro il filosofo
napoletano? Ovvero
sarà
indietreggiamento cretino, allucinazione, sogno?
La
seconda
Scienza Nuova è un apriorismo, un
sistema-
tismo!
Ecco tutto il peccato, il gran
peccato del Vico,
secondo
il Cantoni.
Che
nella prima Scienza Nuova prevalgano V
indu-
zione e
l'analisi comparativa, non è a dubitare.
Ma
for^
che predominio d' un indirizzo metodico
vorrà si-
gnificare
diversità di principii? È bene che il
Cantoni
ascolti
dalla bocca stessa del Vico, giudice
unicamente
legittimo
in questo proposito, la risposta alle
afl'rettate
censure.
Ecco le sue parole: Nella Scienza
Ntwva
prima
se non nella materia errammo certamente
neU
Vordine^
perchè trattammo de principii delle Idee
divi-
samente da'
principii delle Lingue; che erano per
natura
tra
loro uniti; e pur divisamente dagli
uni e dagli altri
ragionammo
dd metodo con cui si conducessero le
ma-
terie di
queste Scienza: le quali con altro
metodo dove-
vano fil
filo uscire da entrambi i detti
Principii.... Tutto
ciò si
è in questi libri emendato. *
Udiste?
In queste poche parole non pur ci
sono ac-
cennati i caratteri
essenziali del metodo vichiano (eh' è
induzione
e deduzione compenetrate in unità di
processo,
come
vedremo), ma ci è detto chiaro
altresì come tutto
<
Vigo, Framm. di Prof. aUa 8' ed.
della Seienna Nuova. Voi. V.
tutto
il divario fra le due Scienze Nuove
in altro non istia
fuorché
in una maggiore accuratezza metodica della
seconda
rispetto alla prima. È questione dunque
d' or-
dinamento
razionale, questione di metodo, di conte-
nuto
no. Or s'egli è vero che nel
metodo, nella for-
ma risiede
innanzi tutto la sdeneoy ne viene che
nella
seconda
Scienza Nuova, con la perfezione del
metodo,
s' ha
d' avere altresì maggior compiutezza e
perfezione
anco
nelle dottrine. E pure il Cantoni non
ha visto ne
runa
cosa, né l'altra! E con la esplicita
confessione
del
Vico stesso, poco fa rammentata, gli
è anche sfug-
gita la
intrinseca ed essenziale armonia che
insieme
congiugne
ed assorella le due Scienze Nuove.
L'altra
sentenza non meno originale, che nessuno
invidierà
al Cantoni, risguarda il modo col
quale ei
considera
il Libro Metafisico. Questo libro agli
occhi
suoi
non ha capo né coda; é un
cumulo di fantastiche-
rie; un
romanzo da non far punto onore
all'autore del
De
Constanlia Jurisprudeniis ; libercolo, in somma,
il
cui
valore al postutto non é che un
solenne pregiudizio
di
certi italiani che hanno ingegno losco
e mente an-
nebbiata.
Sarà pur vero cotesto: ma se, da
una parte,
il
primo libro dei filosofo napoletano non
é che una
vera
anomalia, e l' ultimo, dall' altra, ci
segna la vera
decadenza
del suo pensiero; domando, che cosa
ne resta?
Non
altro, in fede mia, che l'empirismo;
una serie
d'incoscienti
divinazioni e d'osservazioni empiriche, a
raccor
le quali non facea mestieri certamente
d' un inge-
gno
superlativo : e, s'egli é così, non
s'intende in che ma-
niera tanti
insigni scrittori abbiangli tributato gloria
infinita,
né perché questo nostro secol de'
lumi abbia
voluto
porgergli titolo di genio.
Entrar
ne' particolari del libro del Cantoni
ci è
davvero
impossibile: sarebbe il caso di rifarlo
da cima
a
fondo, almeno per ciò che riguarda lo
dottrine filo-
sofiche. Ci
ristringiamo ad accennar di volo qualche
giudizio
che prendiamo a caso. Egli afferma
risoluto
che il
Vico fa un fascio della Morale e
del Diritto. Que-
sto han
detto altri, e questo diremmo anche
noi se
con
occhio superficiale e grossolano guardassimo
tutte
le sue
dottrine. Mi spiego tosto. Il motivo
di questa
confusione
operata dal Vico, dice il Cantoni,
risiede
nell'aver
egli fatto dipendere le due scienze
poco fa
rammentate
da un concetto unico, cioè dal pudore
(Pu-
dore Or
come non vedere che in tutt'e quattro
le
opere
del filosofo napoletano accanto all' idea
del Pu-
dore sorge
costantemente l'altra della Libertà? E non
è
precisamente in quest'originario dualismo
psicologico
e
morale della natura umana (Pudor e
Lxberias) eh' è
d'uopo
saper rintracciare la distinzione fra la
scienza
del
diritto e quella dell'obbligazione etica,
anziché fer-
marsi in
certe sentenze mezzo scolastiche ed
ascetiche
sparse
sopratutto in su '1 principio del 2*
lib. del Diritto
Universale?
— Il Vico appella Dio il giusto,
il buono, il
vero,
il santo. Errore! esclama il Cantoni;
coteste essendo
idee
di relazione, dovechè Dio è un essere
in sé e per sé.*
Ma
forse che cotesto essere in sé e
per sé lo appellereste
ingiusto,
non vero, non buono, né santo? E poi,
se un hege-
liano
pigliasse a dimostrarvi che Dio altro
non é salvo
che
relazione, la relazione per eccellenza, che
cos' avreste
a
rispondergli? — Quant' all' origine dell'umanità il
Can-
toni fa
un mazzo dell' Hobhes del Puffendorf
del Rous-
seau e
del Vico, appellando romanzo la dottrina
su lo
stato
di natura, precisamente come fin dal
secolo scorso
vennero
battezzandola il Romano, il Finetti, il
Buona-
fede, e
poi lo lannelli, il Romagnosi, il
Tommaseo : ro-
manzo però
(egli aggiunge) da cui l'autore della
Scienza
Nuova
ha tratto eonseguenze del tutto diverse.
Starà
bene,
io rispondo: ma se coteste conseguenze
sono di-
verse, non vuol
esser tale anch' il principio ond'
elle
rampollano?
il quale perciò in apparenza solamente
potrebb'
esser confuso con quello eh' è
proprio de' gius-
«
Cahtohi, Q, B. Vico, Studi critici
e comparativi. Torino, 1867,
naturalisti
del secolo scorso? — Parlando della libertà
che
pel nostro filosofo, come s' è detto,
costituisce uno
de'
due principii'd' umanità^ il Cantoni avverte
accon-
ciamente
ch'ella pel Vico si manifesta come
proprietà
e come
difesa. Ma queste due parti od
aspetti del Di-
ritto, egli
soggiunge, sono evidentemente piuttosto conse-
guenze che
fondamcfito della Società. Errore grave,
come
ognun
vede ; errore massiccio, massime di
fronte ai lumi
e alle
conclusioni cui è pervenuta oggi la
scienza giuri-
dica;
perocché i diritti originari pel Vico,
secondochè
lo
intenderebbe, il Cantoni, sarebbero dati
graziosa-
mente dalla
società, sarebbero compartiti dallo Stato
meglio
che inseriti nell'animo per opera della
stessa na-
tura. —
Né poi lo intende meglio dove afferma
che que-
sto filosofo
riguardava i popoli come originari del
luogo
dove
abitano.^ La sentenza adottata dal Vico
a tal pro-
posito è
precisamente l' opposta. Buon credente, catto-
lico di
buona fede, egli accettava la dispersione
falegica;
e il
fatto dello stato ferino quindi reputava
come pro-
dotto per
ragione della colpa originaria (ragione al
tutto
accidentale e secondaria) non già per
ragion tm-
turale
e necessaria come appunto avrebbe dovuto
ri-
guardarlo se
fosse stato conseguente ai suoi medesimi
criteri
metodici, nonché ai suoi principii
filosofici, se-
condochè
altrove mostreremo. Tale affermazione del
Vico,
adunque, è erronea ; é evidentemente
contraditto-
ria.
Ora non solo il Cantoni non ha
levato di mezzo
tal
contraddizione pur accordando la mente del
filosofo
con sé
stessa, ma non ne ha visto nemmanco
la pos-
sibilità.
Altri forse potrebbe sospettare ch'egli
abbia
confuso,
nell'autore della Scienza Nuova, il
concetto
dell'
autoctonicità con l' idea di svolgimento
autonomo
de'
popoli primitivi.
Qual è
la ragione, chiederà qualcuno, di questa
cri-
tica tanto
affrettata e superficiale in un libro
non man-
* Cantoni,
O. B. Vico, Studi critici e
comparativi, Torino, 1807.
pag.
881.
canto
di pregi, in un libro scritto e
meditato a bella po-
sta su
le dottrine del Vico ? La ragione
è tutta subbietti-
va, e
si radica nell' indirizzo stesso della
mente e delle
idee
di questo critico. A giudicare dal
presente lavoro, bi-
sogna pur
dire che il Cantoni non ha fede
in una filo-
sofia. Pili
che critico egli è un positivista;
non sapen-
domi
persuadere come il vero critico possa
fare a meno
d'una
filosofia, senza cui ogni critica, anche
giudiziosa,
parrai
<lebba riuscire ad un artifizio
puramente anali-
tico. Come
dunque poteva egli aver in pregio le
dot-
trine
filosofiche del nostro scrittore quand'
anco avesse
voluto
e saputo rintracciarle con amore,
interpretarle
con
giudicio, svolgerle debitamente secondo i
veraci
bisogni
della scienza moderna? Come pregiarne il
si-
steniatismo
(ripetiamo la sua parola) del Libro
Meta-
fisico e
della seconda Scienza Nuova? Come scemere
un'attinenza
vitale fra l' una e l'altra opera? Ma
basti
del Cantoni.
In
quest' ultimi anni l'illustre Puccinotti ha
felice-
mente
compiuto la sua storia della medicina
che altri
ha
meritamente appellato monumentale. Chi pigliasse
a
meditar nelle opere di quest' insigne
e venerando
scrittore
che ad anima nobile e incorrotta
congiugne
severità
e robustezza di mente, s' accorgerebbe di
leg-
gieri come,
per quanti possan essere i difetti,
un filo
segreto
ne annodi le parti e stringa insieme
le dottrine
così
che ne risulti un vero e compiuto
sistema di me-
dicina e
di storia.* La Patologia Induttiva, entro
cui i
medici
e i naturalisti avvenire sapran ritrovare
i germi
d'una
restaurazione della patologia sinceramente ita-
liana in
quanto che non contraddice ma compie
la no-
vella
dottrina cellulare e organica che oggi
fa tanto
rumore,
si presenta come una patologia
essenzialmente
storica
e fisiologica. Chi di fatto sia
disposto ad acco-
glier la
teorica del Puccinotti sul morbo, non
potrà
* Vedi
il nostro opuscolo Intorno alla Storia
della Mtdieinn di Fran-
w«eo
Pueeinott». liOttera al prof. A. C.
De Heis. Firenze, Barbòra, 1864.
logicamente
ripudiare i suoi principii fisiologici
tera-
peutici
igienici e, che più monta, il suo
disegno storico;
<lel
che porgeremmo dimostrazione se questo
fosse il
luogo.
Tutto in lui è un organismo; ed
ecco perchè la
tìua
Storia è propriamente una filosofia ddVidea
détla
salute
fra gli uomini, attraverso le differenti
età della sto-
ria. Nel
profondo concetto di questo scrittore,
adunque,
la
patologia dee riprodurre la fisiologia
nelle essenziali
sue
condizioni ; al modo istesso che il
disegno d' entrambe
queste
discipline ha da rispondere al loro
processo iste-
rico,
riprodurlo, compierlo, inverarlo. Si può
dissentire
dal
Puccinotti ; dissentire in parecchi punti
anco essen-
ziali delle
sue dottrine: ma ninno dubiterà ch'egli
sia
'
stato il primo a gettar le fondamenta
d' una storia
filosofica
della medicina; la quale non potrebV esser
davvero
filosofica, ove non rispondesse ad una
patologia
e ad
una fisiologia egualmente filosofiche. La
Patologia
Analitica
del Bufalini è incapace, per la
stessa intima
costruttura
del suo organismo, di partorire un
concetto
storico;
e ninno infatti degli organicisti italiani,
e neanche
lo
stesso Bufalini, ci han saputo dare
sin qui, e non pote-
vano darci,
una storia secondo le esigenze del
mistioni-
smo,
come quello che di per se medesimo
si presenta
esclusivo,
empirico, negativo. In che maniera dunque
ci
è
arrivato egli il Puccinotti? Ci è
potuto arrivare per
due
motivi; primo, perchè tale è l'esigenza
stessa della
sua
Patologia induttiva; secondo, perchè nel
rintrac-
ciare lo
svolgimento, il processo isterico dell'
idea igie-
nica e
patologica, egli seppe attingere ispirazioni
e
lumi
nella Scienza Ntiova, da questa
trasportando nel
regno
della medicina la legge isterica universale
rin-
tracciata
dal filosofo napoletano. Brevemente: il
Puc-
cinotti
nella sua Storia non ha fatto altro
che appli-
care il
concetto cardiiiale della Scienza Nuova ad
uno
de' rami dell' umana enciclopedia ;
allo svolgi-
mento della
idea della salute fisica dell'uomo. Ecco
precisamente
ciò che forma l'onore e il merito
di questo
valentuomo
quando sia considerato come stoi\
medicina.^
\^
Ora ci
'Converrà di bel nuovo uscir d'Italia
dare
in Francia, donde questa volta ritorne^-emo
\
più
contenti che altri non penserebbe. Rendiamo
^
stizia
ai Francesi: in quest' ultimi anni
essi han discoK*o
del
nostro filosofo meglio che per tutto
questo secolo
non
facessero il Michelet, il Lerminier, il
Gousin, lo
JouflFroy,
il Bouchez, il Comte, il Renouvier,
il tradut-
tore anonimo
della Sciema Nuova^ ed altri. Il
progresso
della
critica su le dottrine del Vico, da
tre anni a questa
parte,
è assai più notevole in Francia che
in Italia. Ce
ne dan
prova il Franck, il De Ferron, il
Vacherot.
Il
Diritto Universale non era stato mai
preso in
esame
accurato e coscienzioso dai Francesi, ne
dagF Ita-
liani.
Questo ha fatto il Franck; e lo
ha fatto in modo'
che
noi avremo a lodarcene pienamente.*
* Il
chiarissimo professor Ferri, nella sua
pregevole storia su la filo-
sofia
moderna italiana, ha chiamato filosofia del
numero la filosofia del
Puccinotti.
Questa frase è vera, e felicemente
trovata; ma fino a un certo
segno.
Il concetto del numero, quant* a noi
sembra, non ò tolto pro-
priamente
come principio dal Puccinotti, bensì come
criterio, come espe-
diente, come
il massimo espediente metodico sperimentale,
avvisato nella
sua
forma astratta. Equivale, insomma, a ciò
che lo stesso Puccinotti
suole
appellar metodo della squadra e del
compatto. Diremo che questo
per
avventura sia schietto pitagorismo? Diciamolo,
se cosi piace: mail
nmmero
per lui non sembra esser Tarchetipo
assoluto, Tassoluto mo-
dello per
Imitazione del quale sian fatte le
cose, e nemmanco la sostanza,
il
vero essere della realtà: sentenze, com*
è noto, in cui si dividono gli
an-
tichi e
i moderni storici e critici neirinterpretare
il primitivo pitagorismo.
(BKwnm^LaFil
Greca prima di Socrate, p. 176) Ora
il Puccinotti non
potrebbe
segrnire in modo esclusivo Puna o
Paltra sentenza, attesoché si
contradirebbe
in due differenti maniere. In biologia
egli è dinaniista;
qnantanque
il suo dinamismo non abbia che vedere
con quello dei no-
«tri
vecchi medici di mez^o secolo addietro:
in filosofia poi, a dir tutto
in una
parola, egli è un buon credente
cattolico, un filosofo essenzial-
mente
cristiano. Ma ove abbracciasse il concetto
del numero in uno
de'
dae suddetti significati, non cadrebbe
evidentemente nel meccanismo
da una
parte, e nell'ateismo o in una forma
di dualismo ontologico
daU'altra?
K siffatte conseguenze non ripugnano troppo
tanto all' insieme
delle
dottrine quanto alla coscienza di questo
scrittore?
*
Altro buon segno del progresso de'
nostri studi sul Vico son le
induzioni
del Diritto VnivertaU pubblicate fra noi
in quest' ultimi anni
L' opera
sul Diritto Universale, dice il Frank,
mostra
il genio
dd Vico che crea una filosofia del
diritto su la
quale
edificherà più tardi la Sciensa Nuova.
Che questo
libro
racchiudesse i germi d' una filosofia del
diritto, Io-
sapevamo
già, e il nostro Carmignani ce ne
avea posto
su r
avviso : ma siamo contenti che oggi
venga a ridir-
celo un
dotto francese, tanto più che un
altro fran-
cese, Paolo
Janet, non ne ha voluto tener conto
neUa
sua
storia, e nessun conto ha creduto
fame altresì
lo
Stahl nella bellissima Storia su la
filosofia del
diritto.
Il Franck dunque coglie giusto ove
dimostra
come
quest' opera sia fondata su la
relazione in che si
annodano
insieme filosofia e filologia, metodo
essenzial-
mente
vichiano, come lo chiama egli stesso.
Indovina
poi ed
espone con chiarezza l'origine al tutto
psico-
logica a
cui il nostro filosofo fa risalire il
triplice
diritto
originario (libertà, dominio, tutela) e per
cui ^li
merita,
dice il Franck, d' esser segnalato a
preferenza
di
tutti i giusnaturalisti suoi contemporanei
od a lui
per
opera del (ìianif del Pomodoro e del
Sarchi; T ultima delle quali die
occasiono
al Franck di scrìvere il suo lavoro
critico pubblicato nel Jonmal
Idea
S.xvnnt9j 1866-67. La traduzione del Giani
è proprio affogata in infi-
niti
commenti cho il medesimo traduttore oggi
forse non accetterebbe
se
rivesse, avend* egli inteso
quest^opera coni* avrebbe potuto
inten-
derla uno
scolastico. Non manca di pregi la
traduzione del Pomodoro, e
vince
le altro per esser compinta. Il
Sarchi si è contentato di tradurre
il
primo libro; ma vi ha premesso
un'introduzione che il Franck ha lo-
dato. Il
concetto precipuo del Sarchi è questo:
la filosofia politica fra noi
essere
stata fondata dal Machiavelli mercè il
concetto di libertà, e dal
Vico
mediante quello di provvidenza. Ma, come
accordare libertà e prov-
videnza?
Kcco il nodo a cui il
Sarchi non ha badato, né punto,
nò
poco.
— \i giusto qui avvertire come, prima
del Carmignani e deirAmarì,
il
Mamiani ed il Mancini accennassero qua
e colà ai principi! giuridici del
Vico
[Utt, intomo alla FU. del Diritto,
Napoli, 1841). Dopo le trada>
zioni
poco fa rammentato, niun altro fra
noi ha parlato del Diritto Uni-
vermle^
tranne roi:rregio prof. Luchini nella
sua Critica della penalità^
condotta
secondo i principii del filosofo
napoletano. Egli ha messo a ri-
scontro ia
dottrina del Nostro con le teoriche
di Kant, del Bentham, del
Romagnosi,
del Rossi e della Scuola toscana, e
se ne dichiara seguace.
Vedremo
nella «Socto^ofTtd s'egli siasi apposto
nello mterpretar la teorica
della
penalità dell* autore del Diritto
Univtrtale,
anteriori.
Di fatto, porre a fondamento della
società un
doppio
bisogno materiale e morale, eh' è dire
l'istinto al
bene
essenzialmente morale e all'utile tolto nel
significato
di
equo-buono; dimostrar Funo anteriore logicamente
all'
altro e questo mostrar co' fatti
anteriore a quello
per
sola ragion cronologica; trame quindi il
principio
giuridico
ed etico d' una doppia società (soci^as
veri e
sodetas
(squi-boni) ; far consistere la natura
d'entrambe
in uno
scambio di beni materiali e morali
fra gì' indi-
vidui; porre
il concetto di giustizia come proporzione
onde
questi beni vonn' esser distribuiti, ri che
quan-
d' anco
non esistesse un bene di genere
morale ma solo *
beni
materiali ci avrebbe a essere ciò
nullamanco una
misura
secondo la quale siffatti beni devano
andar ripar-
titi, e
quindi la necessità del medesimo concetto
di
giustizia
anche nelle attinenze puramente materiali
fra
gli
uomini: presentare siffattamente la scienza
del di-
ritto, dice
il Franck, vuol dire creare addirittiu*a
la filo- '
sofia
delie relimoni civili e sociali, la
benintesa Sociologia.
Due
sono perciò le regole fondamentali
dell'umana
condotta
che scaturiscono da'principii del Vico:
ope-
rare di
buona fede rispettando la verità in
tutto, ed
esser
utile ai propri simili. — ("onvien
confessare, di-
ciamolo di
passata, che ove il Franck avesse
tenuto
conto
principalmente di questi criterii, non
avrebbe
speso
molte parole a biasimare il Vico a
proposito del-
l'esagerato
concetto che questi ebbe intorno alla
carità,
la
quale talora, com'è noto, egli confonde
con la giustizia.
Altro
pregio insigne di questo scrittore è
l'aver sa-
puto
cogliere i veri principii del Diritto
punitivo del '
nostro
filosofo, mostrando com' egli, col tener d'
occhio
nella
sua dottrina non pure il colpevole ma
anche i
diritti
e gì' interessi della società, compia
nel medesimo
tempo
le due opposte teoriche penali; quella,
cioè, dei
sistematici
platoneggianti che nel comminar la pena
mirano
soltanto all' ammenda del colpevole, e l'
altra
degli
ntilitarii e positivisti che della parte
morale non ^
sanno
tener conto, ne punto, ne poco. Ma
sopra tale
argomento
ci rifaremo altrove di proposito.
Seguitando
intanto,
parmi che il pregio massimo della
crìtica di
questo
scrittore stia nel modo col quale
considera i pria-
•cipiì
delia politica; prìncipii che, quantunque
nello
stato
di germe, possiamo rintracciare nel Diritto
Um-
versale.
La politica del Vico, egli osserva
giustamente,
è
tutta fondata sul Diritto, ma in
armonia con la storia.
Sentenza
verissima e feconda, che il Franck
avrebbe
dovuto
rifletter meglio dove censura il Nostro
per al-
cune
applicazioni eh' ei venne facendo alla
storia. Lad-
dove il Vico,
egli dice, s' accinge ad applicare il
me-
todo allo
studio del Diritto, urta evidentemente ad
un
doppio
scoglio ; da una parte, quand' egli
chiede soc-
corso alla
sola ragione, risica di confondere e
spesso
confonde
il dominio della giurisprudenza con quello
della
metafisica; dall'altra poi, quando chiede
aiuto
alla
storia, altro non fa che aggirarsi in
mezzo alle
istituzioni
e ai destini del popolo romano,
quasiché la
storia
di questo popolo fosse la storia
universale. In
altre
parole il Franck dice così : il
Vico da una parte ,
svapora
nell'a priorismo e dà nelle astrazioni;
mentre
poi
dall' altra intoppa nell' empirismo.
Il
Franck dice benissimo. Nel filosofo
napoletano
questa
doppia tendenza è manifesta. Ma anziché
difetto
cotesto,
perché non dirlo pregio? Non é egli
stesso, in-
fatti, che
non rifinisce d'incelare il metodo vichiano
appunto
perché consiste nel connubio della
filosofia con
la
filologia, della metafisica con la
giurisprudenza, della
ragione
con l'autorità? Or l'esigenza d'un doppio
or-
gano, d' un
doppio strumento nel metodo, non é la
con-
dizione
legittima, e propriamente la parte vitale
d' una
dottrina,
doveché gli errori d' appUcazione hanno
valore
Affatto
secondario? Il non aver poi riflettuto
a questo
ha
fatto sì che il Franck giugnesse ad
una conseguenza
non
vera, dicendo che il Montesquieu, quant'al
metodo,
vinca
e superi il filosofo italiano. Paragoni,
somiglianze,
analogie,
riscontri fra questi due scrittori
non sono
possibili.
Montesquieu non ebbe neanche sentore àeV
n
metodo
vichiano; ed ecco perchè l'opera su
lo Spirito
ddle
leggi non è una filosofia della
storia, non è la Scienza
Nuova,
né quindi credo che lo scrittore
francese siasi
ispirato
né punto né poco neir italiano, come
inchine-
rebbero a
supporre il Lerminier, il Carraignani,
l'Amari
ed
altri. Il senso delle storicità, come
primo fra tutti
osservò
il Ferrari, manca affatto nel Montesquieu;
e
manca
in lui, come tutti oggimai ritengono,
il compi-
mento
razionale filosofico; vi mancano insomma i
prin-
cipii,
0, per dir la parola che usano
gli stessi Francesi
a tal
proposito, vi manca il carattere détta
raziofialità.^j
L' ultimo
libro nel quale si parli cou serietà
scien-
tifica del
nostro filosofo, è quello del De
Ferron, inge-
gnoso e
abilissimo scrittore. Nessun francese meglio
dì 1
lui ha
saputo cogliere il significato razionale
della Scienza I
Nuova,
comprenderne il metodo isterico, e pome
l'autora
in
quel seggio che gli spetta fra i
pensatori dell' evo
moderno.
Tracciata la storia dell'idea del
progresso,^'
egli
entra a discorrer su la scienza de'
fatti storici
qual'
era concepita prima del Vico, sul
Diritto Romana
rispetto
alle dottrine di lui, su la Scienza
Nuova di
fronte
alla critica moderna, e con erudizione
eletta,
acconcia,
sobria e non affollata, prende a
trattare la
' Il
Canuignani dice benissimo dove affernia che
il metodo del Mon- )
tesqaien
rassomiglia al microscopio, in mentre che
quello del Vico rende
imagine
del telescopio. (Storia della FU, del
Diritto^ lib. III.) Che poi il
difetto
di razionalità costituisca la parte debole
deiropora del filosofa
francese,
è cosa ormai detta e ridetta e
provata fino dal secolo passato,
e
confermata sempreppifi dai moderni. Non
potendo trattenerci in questi
particolari,
rimandiamo i lettori al giudizio che
in proposito danno i
seguenti
scrittori, e che torna conforme al
nostro espresso poco fa: Duxi,
Saggio
mila Giuritpr. univ., pag. 57.
— FlLAKOlRRI, Se. della Legialaz.^
lotrod.
— MaCKINTOSH, Vige, nur Vétude du
Droit de la nature, ec. pag. 22,-t
—
RoTTBSKAg, Emil, 1. V. — Fra i
moderni poi cons. Lebminirr,
Biat,^
ginér,
oc, pag. 1 75. — Barkt,
Hiwf. dea idéen morale» et politiquea
en
France
en XVI JI Siede. — Jakrt, Hiat. ec.
yol. II, pag. 516. — DaFAO,^;
De la
méth. d*olaervation aux aciencea mor.
et poi.,, pag. 860, nota XL.
Qneit*
ultimo anzi dice mancare affatto nel
Montesquìon una teorica.
quistione
su Tetà dell'oro, e l'altra su T
orìgine e sul
valore
de' poemi Omerici. Il buon senso del De
Ferron
nel
saper rilevare in siffatte quistioni il
merito del no-
stro
filosofo a me sembra davvero mirabile.
Con dirit-
tura di
giudicio intende la relazione fra il
diritto civile
e '1
diritto filosofico ; e con tal chiave
nelle mani riesce
ad
interpretar debitamente la storia ideale
che l' autore
della
Scienza Nuova seppe cogliere nello
svolgimento del
gius
romano. Uno per lui è il sistema
del Vico; onde le
due
Scienze Nuove non sono da riguardarsi
altrimenti
che
come detix rédadions éCun ménte sujet:
al che do-
vrebbe por
mente il nostro Cantoni. Ritiene egli
pure
che lo
Champollion non discoprisse, bensì confermasse
pienamente
la dottrina del Vico su la storia
della scrit-
tura, tale
essendo infatti la triplice scrittura
egiziana
geroglifica,
jeratica e demotica. Dimostra ch'egli prima
d'ogn' altri
ritrovò e compose in armonia parecchie
dottrine
accettate oggi e rassodate difinitivamente
dalla
scienza,
quali sono, per citarne qualcuna, la
formazione
del
dramma satirico riguardato come sorgente
d'ogni
poesia
drammatica, l'anteriorità del linguaggio poetico
al
linguaggio prosaico, e simili. Da ultimo
fa rilevare
come,
non contento d' avere scoperto la legge
secondo
cui si
vanno svolgendo nel corso isterico le
grandi ci-
viltà nonché
le forme semplici del reggimento politico,
profondasse
la mente nel ricercare e determinare
il
carattere d'
un' epoca anteriore alla città ed
alle ari-
stocrazie
feudali, epoca che costituisce appunto
l'età
divina.
La quale osservazione, fatta da un
francese,
dovrebbero
oggimai spassionatamente meditare i posi-
tivisti
francesi che non rifiniscon di celebrare
la sco-
pei'ta
della legge sociologica del loro maestro!
Ma nel
De Ferron incontriamo riflessioni che non
ci è
venuto fatto ritrovare in verun critico.
Base della
città,
die' egli, fondamento del formarsi delle
nazioni
per r
A. della Scienza Nuova non è Y
istinto della so-
ciabilità,
come credevano i giusnatnralisti suoi
contem-
poranei.
Se tale istinto può aver creato la
iaiiiiglia e
le
tribiì, non però basta a fondar la
città , non riesce
a
condurre un popolo ad una data
costituzione poli-
tica. È necessaria
dunque una l'orza estrinseca, senza
cui r
uomo rimarrebbesi nello stato pastorale.
Ora co-
tal
forza estrinseca e tutta naturale consiste
nel fatto
del
successivo migrare delle tribù da alcuni
centri; nel
loro
successivo aggrupparsi in dati luoghi; nel
fissare
lor
sedi, ond' è resa possibile l'agricùltura;
e finalmente)
nel
fatto delle conquiste, le quali hanno
virtù di creare
e
rendere sempre più stabili e quasi
organiche le na-
zioni
sedentarie. Tutto questo, dice benissimo il
De Fer-
ron,
scaturisce a fil di logica dalle
dottrine del Vico.
Diciamolo
ora con parole nostre: T organismo
sociale,"'
la
società, è da natura; è nella natura:
l'organisiifo dello
Stato,
in vece, è sottoposto a processo ;
questo processo
tiene
ad arte; ma quest' arte è fondata
aqch'ella in na-
tura. La
relazione storica, dunque, ecco il concetto
del
Vico
che il De Ferron ha interpretato a
meraviglia.* ,
Altra
osservazione assai notevole parmi questa.
Non
v'è
stato né v' è, die' egli, chi i;on
abbia celebrato il
filosofo
di Napoli qual padre della filosofia
della sto-
ria; mais
on se garde d'exposer sa méthode
historique,
aristoteliemie,
i cui principii son oggi venuti
applicando ,
in
diverse ricerche storiche il Macaulay, il
Michelet, il
Guizot.'
Con queste parole il De Ferron mostra
d' aver
pienamente
compreso il metodo della Scienza Nuova;
metodo
essenzialmente aristotelico, checché ne abbian'
detto
e si piaccian dire certi hegeliani.
Ed ecco per-
ché egli
s' allontana da parecchi altri critici
nell* ap-
prezzare il concetto
vichiano sul progresso ; rispetto al
quale
consente con Y anonimo traduttore francese,
col
Tommaseo,
con lo Spaventa e con altri, per
citare qui
' È
uno de' principii su' quali è fondata
la Sociologia del Comte e
ch'eglif
spesso appella contenBo, cospirazione {Coum
de PhiU posity voi. V).
Sarà
anche questa una scoperta del Positivista
francese?
* Db
Ferron, Op. cit. Voi. I, pag. 137,
107.
tre
nomi che, quantunque discordanti nel resto,
con-
vengono ciò
nondimanco nel credere che nel Vico
esista
r idea
del progresso. E a chi neghi o
dubiti che cote-
sto concetto
ritrovasi nella Scienza Nuova, il De
Fer-
ron è
pronto a rispondere: cela parati impassible
a
PRIORI,
car le progrès décovUe de son sy
stèrne; mais
en
otUre U le prodame formellemeYU} Si
dirà che il
Vico
non vide 1' elemento, la molla
principalissima del
progresso,
cioè la trasformazione dei rapporti econo-
<
mici
fra i popoli? Ma lo scadimento, il
ritorno della
barbarie,
sopra cui tanto insiste il nostro
filosofo e per
cui
rendesi necessaria un' invasione, non sono
forse (ri-
sponde
quest' egregio critico) altrettanti mezzi,
altret-
tante
condizioni di progresso? Come si vede,
tutt'i giu-
dizi del
De Ferron riescono assennati, opportuni,
pieni
di
verità, e e' invoglia ad accennarne
qualcun altro.
Egli
paragona il Vico al Cuvier, e la
Scienza Nuova
par
che gli renda immagine della geologia;
per cui non
dubita
affermare, che la critica moderna sia
stata creata i
dal
filosofo italiano. Perocché cotesta critica
è quella che
debb'
essere ; cioè non assolutamente obbiettiva,
ma sub-
biettiva
altresì, stantechè ad apprendere il passato
e
comprender
la vita della storia non solo sia
mestieri
d'
investigarla, ma di sentirla eziandio. Or
s' egli è così,
l'ingegno
critico e storico non deve assumer
necessa-
riamente una
forma artistica?* Discorrendo inoltre del-
l' età
dell' oro, la quale col metodo
inaugurato dal Vico
non è
altrimenti possibile immaginarla dietro ma
in-
nanzi a
noi, conclude con questa notevole sentenza:
* Voi.
cit. pag. 138. Questo infatti proclama
il Vicopiìie piti volte;
o
basti leggere, per esempio, il titolo
doir ultimo Oap. della Seienta
Nuova^
VAAMtoma F/, e la Concloiione, in
principio della quale egli accenna
alla
quarta specie di Repubblica cui allude
Platone.
* E
tale è yeramon te l'ingegno del Vico,
come hanno osservato se-
gnatamente
il Tommaseo e il Lcrminier con tratti
pieni di verità e di
1
eloquenza. {Introd. gin. à VUUt. du
DroU. Bmxelles
1830, pag. 278.) No-
tevolissime
poi le parole colle quali il Manzoni scolpisce
T indole dello
ingegno
Vichiano {Due, tuW Adelchi^ 213), nonché i
giudizi del Parma e*^
del
Canal. — Vedi nel Tommaseo, Studi
CWa'ei, p. 117.
« Se
àUro servigio non avesse egli reso
tranne quello di
liberarci
daW argomento che serve di base e
di pretesto \
ci
socicdisìno utopista e al Cesarismo (eh' è
ttM uno)t
per
questo sólo bisognerebbe riguardarlo cmne
uno de' più
grandi
benefattori deh' umanità.^ » Notiamo
finahnente
la
risposta eh' egli indirizza a coloro
i quali rimpro-
verano il
Vico d' avere spogliato la storia
della sua
poesia,
e allontanatala dall'ammirazione verso le
grandi
cose e
gli uomini grandi. Il Vico fu il
primo a spiegare
la
storia mercè l' attività di tutti
gli-^uomini, delle mol-
titudini,
del senso comune. Come i vecchi poeti
su la
scena
tragica, così i vecchi storici su la scena
del mondo
altro
non sapevano presentarci fuorché principi e
im-*
peratori:
ma il Vico è il grande introduttore
de' popoli
su la
scena della storia; egli ha scoperto
la dottrina che
sóla
può fondare la democrazia, mostrando i
suoi giusti
diritti
nel governo dd mondo} Di quest'
ultima e bellis-
sima
interpretazione noi terremo conto nella
Sociologia.
La
critica del De Ferron su la dottrina
del Vico
riguardante
Omero e i poemi Omerici, non è
men vera
e, per
le conseguenze che ne sa trarre,
invincibile. Le
.
analisi e le notizie intomo agli
studi fatti sopra tale
argomento
dal 1780 ad oggi, per quanto brevi,
sono al-
trettanto
piene ed esatte. Fra le altre cose
chiarisce
molto
acconciamente questo punto; che il Wolf
non co-
nobbe altro
che una parte della grande quistione
su Tori- .
gine
de' poemi Omerici, appunto perchè volle
trattarla
sotto
l'aspetto esclusivo della letteratura greca.'
Non
sono i
critici seguaci del Vico (egli osserva
acutamente)
che
oggi debbono dimostrare la impersonalità
d'Omero;
sono
per contrario i seguaci d' un Omero
individuale che
han da
farci vedere come mai sia possibile
cotesto Omero
di
fronte alle epopee nazionali ed
essenzialmente popo-
lari
scoperte e analizzate in questo secolo.
Ma il critico
• Db
Fbbron; Théor, du prog, VoL cit. pag.
198.
•
Idem, eod. Pag. 229.
•
Pag. 209.
francese
non avv.erte un' altra ragione ond'
al Wolf non
riesci
comprendere tutto il valore della dottrina
del Vico
sopra Omero,
la quale noi additeremo in altro
capitolo.
Tutte
queste ed altre cose detteci oggi con
tanto giu-
dizio dal
De Ferron, in Italia sapevamo già.
Dei grandi
meriti
del nostro filosofo mai non v'è stato
fra noi chi ne
abbia
dubitato, tranne qualche losco hegeliano,
come ve-
demmo. Non
pertanto abbiam voluto riferirle perchè,
rammentate
da un illustre e vivente scrittore
francese nel
quale
il buon senso è pari all' erudizione
e alla dottrina,
a noi
torneranno piii gradite, e certo men
dure e piii vere
agli
orecchi de^li stranieri.
Il
Vacherot è stato 1' ultimo francese
che abbia ac-
cennato al
Vico, e lo ha fatto con quella
nettezza ed
eleganza
di linguaggio eh' egli sa adoperare
in tutte le
sue
scritture. La Scienza Nuova; ecco il
titolo (egli
dice)
che davvero si conviene all' opera
del Vico. Il fine
segreto
a cui egli mira è quello di
ritrovar V immuta-
I bile
'nel variabile, V unità nella diversità,
la legge nel
fatto.
L^idea fissa del Vico, in altre
parole, è quella pre-
cisamente di
rinvenire negli annali del mondo questa
legge;
onde poi da una parte scaturisce la
necessità del
metodo
comparativo, e dall' altra, cQme risultato,
la legge
delle
tre età.^ Senonchè il Vacherot vuol
che il filosofo
italiano
abbia a dividere la sua gloria col
Montesquieu,
perocché
entrambi questi filosofi a lui sembrano
seguaci
dello
stesso metodo, dell'osservazione. Innanzi tutto
qui
è da
notare un progresso tra il Franck e
il Vacherot;
•
perchè se l'uno, come s'è visto,
dichiara superiore il
'Montesquieu
al Vico, 1' altro si ristringe a
metterli alla
pari.
Ma l'autore del libro su lo Spirito
delle Leggi
non ha
forse ben altri titoli a cui possa
pretendere? E
d'altra
parte il metodo dell'uno è egli tale
da confon-
dersi con
quello dell'altro, come dianzi abbiamo
detto
parlando
del Franck?
*
Vaohibot, Seienee et Cotueienee. Paris,
1870.
Ci
piace conchiudere con una sentenza del
De Ferron,
della
quale brameremmo che i lettori prendessero
nota
per
quando verremo a trattare il problema
sociologico.
La
Scienjsa Nuova^ egli dice, è una
rivelcusione nella poli- *
tìca,
ndla filosofia^ nella storia, nelle arti^
Ed è veris-
simo. Questo
libro, che dicemmo rappresentar la vera
forma dell'
ingegno italiano ed esser tutto cosa
nostrana,
è, per
cosi dire, un poema: è il poema
della storia.
Cosi
abbiamo creduto sempre e sempre ripetuto
noi altri
italiani,
a cominciare da Vincenzo Cuoco che
primo di
tutti
con tal nome ebbe a designare la
Sciefusia Nuova,
fìno a
Giuseppe Giusti che in un sonetto ne
ritrasse \
r
intimo significato profondamente poetico. Ma
è un
poema
di fatto; è un poema che si fa:
poesia vivente
nella
quale ci è dato assistere al trionfo
del pensiero,
al
trionfo della personalità così degl'
individui come I
delle
nazioni. Potrebb' esser dunque tutto un
empirismo
cotesto
libro? E il metodo col quale è
condotto, potreb-
b' esser
un metodo puramente positivo e grettamente
storico
al modo che questa parola vien intesa
oggi
da'
più? Dove sono e quali sono, dunque,
i suoi principii?
Disegnata
così a fuggevoli tocchi la storia
della
Scienza
Nuova, e fatta rapidamente la critica
degli
scrittori
che, sia di proposito, sia per
incidenza hanno
parlato
intorno alle dottrine del nostro filosofo,
veniamo
alle
conclusioni. Dissi già che di tutti
non avrei potuto
né
voluto discorrere, perocché non tutti ne
valevan la
pena,
né tutti importavano al mio disegno;
e poi non
mancai d'
avvertire che neanche di ciascuno avrei
fatto
*
Db Frrkox, Op. cit., voi. cit., p. 232
la
compiata esposizione, stantechè mi premesse
toccar
diamente
di certe sentenze e di certe
interpretazioni
/
conclusioni atte a farmi rilevare il
significato e il
valore
e la continuità della critica circa
il Vico, facen-
dola servire
perciò ai fiiù. del mio libro.Jfea
questi fini
non
era ultimo quello d* accennare con
siffatto spediente
alle
dottrine del filosofo napoletano. Al qual
proposito
mi sia
permesso ripetere anche qui, che uno
studio
monografico
ed espositivo circa tale autore, a
me, come
ad
altri, sarebbe riuscito non più che
una pedanteria,
sia
considerando l'infinito novero di sì fatti
lavori crì-
tici
espositivi, monografici, sia guardando alla
natura
stessa
delle opere, all' indole delle dottrine,
nonché alla
,rforma
speciale della mente di lui. Le sue
teoriche filo-
;
sofiche non costituiscon di per sé
stesse, a dir proprio,
un
sistema; formano bensì un corpo di
dottrine, non
però
svolte, determinate, organate in unità
ra/àonale,
ma
frammiste ad elementi eterogenei. Infruttuosa,
dun-
que, e
al tutto inutile sarebbe stata una
trattazione
monografica
di esse. Ma, d' altra parte, se
è vero che
elle
son venute assumendo, come s' è visto,
certo valor
sistematico
nella mente e nelle scritture de'
suoi seguaci,
imitatori,
oppositori, critici ed interpreti; panni
che
l'aspetto
più profittevole, il modo più utile,
positivo e
fors'anco
nuovo d'esporre i concepimenti originali
del
filosofo
napoletano, fosse quello appunto di guardar
le
dottrine,
la mente di lui, nel suo reflesso;
guardarla,
^er
così dire, attraverso il pensiero altrui,
attraverso le
differenti
esplicazioni de'^ critici: di guisa che
maritando
la
nostra critica con quella degli altri,
potessimo venir
capaci
di ripensarle in noi medesimi, e con
le nostre
proprie
ispirazioni ricreare e quasi rinverdire e
compier
nella
nostra mente le originali sue divinazioni,
mo-
strando,
come tosto faremo, in che maniera
egli avrebbe
pensato
con la sua mente, e in qual
modo avrebbe
adoperato
le sue medesime industrie metodiche se
oggi vivesse.
Ecco giustificata, non. pur la necessità,
ma la
forma altresi di questa prima parte
del nostro
lavoro.
Or che
cosa è da argomentare da questa
rapida
storia
e da questa breve critica fatta sin
qui? Due cose,
panni
: 1* il valore e Y importanza
dimostrata sempre ,.
più
chiara nelle dottrine di questo filosofo
; 2« la posi-
zione
speciale della nostra critica rispetto a
quella degli
altri,
e di fronte alle dottrine stesse del
Vico.
Le
ti'e differenti classi di scrittori che
abbiam visto
succedersi
e occuparsi del nostro filosofo nei
tre diversi
periodi
sin qua discorsi, ci mostrano come
per ispazio
dintorno
a un secolo e mezzo, tanto in
Italia quanto
fuori,
non pur la stima e V amore, ma,
che più rileva,
il
senso critico e i risultamenti della
critica sien venuti
crescendo
vie più nell'animo e nella mente di
tutti.
Filosofi
d'ogni scuola ne han pariate: razionalisti
e
cattolici,
materialisti e spiritualisti, sperimentalisti e
idealisti,
teologi ed hegeliani. Molti han creduto
poterlo
invocare
interprete, chiamarlo auspice del proprio
siste-
ma ;
molti segnalarlo come inauguratore d' un
peculiare
indirizzo
speculativo. Abbiam visto poi scrittori
d'ogni
genere
e d' ogni valore encomiarlo vivamente ;
e letterati I
€
giuristi, naturalisti e storici, stranieri
e nostrani salu-
tarlo
pensatore potentemente originale. Tutti se
ne sono
occupati
; se ne occupano ; si che
neanc' oggi la critica cessa
di
ricercare nel profondo pensiero novelli
aspetti, lumi
nuovi,
e nuove e peregrine divinazioni. Ci
sarà dunque
lecito
chiedere (uè tale domanda parrà vana
e puerile,
né
superba) se possa per avventura sembrare
effetto
di
meschina boria nazionale il segnalare oggi
l' autore
della
Scienza Nuova come il nostro Cartesio,
il nostro
Kant,
il nostro Socrate, caposcuola della scienza
e della .
moderna
filosofia italiana ? Non ce ne porgon
diritto gli '
studii
critici che abbiam vista succedersi e
incalzarsi
pel
non breve spazio di cencinquant' anni
? Questo
quant'
alla prima considerazione. Veniamo alla
seconda.
Ne'
tre periodi ne' quali abbiam diviso
la storia della
crìtica
su le dottrine del Vico, non pur
ci sembra occul-
tarsi un
legame logico, ma esser evidente altresì
una
successione
progressiva, rispondente air ordine cronolo-
gico secondo
cui son apparsi gli scrittori de'
quali s' è
parlato.
E invero, nel primo periodo predomina
T imita-
zione, nel
secondo prevale la critica erudita, in
mentre
che
nel terzo primeggia l'interpretazione filosofica.
Que-
• sta progressione
è generale, in quanto che risgufirda
;non
pur le idee storiche o giuridiche od
etiche del no-
'stro
filosofo, ma le dottrine metafisiche
altresì. 11 Duni
e il
Franck, per dime una, toccano entrambi
de' suoi
principii
giuridici. Ma quanto non è diversa
la stima
eh' e' ne
fanno? Qual progresso fra la critica
del Tonti
e
quella del traduttore anonimo francese
della Scienza
Nuova?
fra il Pagano e '1 De Ferron?
tra le interpre-
tazioni del
Filangieri e quelle dell'Amari? fra le
censure
dell'
lannelli e quelle del Ferrari, od uno
dei filosofi
del
terzo periodo? La medesima differenza
progressiva
scorgiamo
fra gli oppositori. Il Finetti e
il Romano,
per
esempio, son gli oppositori nel primo
periodo; op-
positore
anche il Romagnosi, appartenente al secondo
massime
nelle sue Osservazioni alla Scienea
Nuova;
oppositore
altresì '1 Vera che appartiene al
terzo. Ma
l'esigenza
della loro opposizione è
infinitamente di-
^
vei*sa. Nei primi è al tutto empirica
e grossolana, ed è
j
sostenuta dalla fede e dal principio
d'autorità; nel se-
1
condo s' eleva sì che assume certa
forma razionale o,
se
vuoisi, di buon senso ; nel terzo,
finalmente, cotesta
opposizione
attinge valore di speculazione propriamente
filosofica,
tanto da negare al Vico una
metafisica. La
stessa
diflerenza poi fra gli autori di
un medesimo
periodo.
Ci è divario, per esempio, fra la
imitazione
dello
Stellini, e quella del Duni ; molto
piii fra la imi-
tazione del
Pagano, e quella del Filangieri nel
primo
periodo.
Che se il Foscolo accenna ad un
risveglio della
coscienza
critica circa le dottrine del Vico
schiuden-
done perciò
il secondo periodo, eli' è come
V ombra
che
precede la persona, in quanto che
tale critica si
allarga
sempre più per opera di lannelli, del
Ferrari,
del
Predari, del Tommaseo, e via segui.
Finalmente il
modo
col quale nel terzo periodo ne
tratta, per esem-
pio, il
Mamiani del Rinnovamento, non è quello
del
Rosmini;
né la maniera con che ne parla
il Roveretano
potrà
mai esser confusa con quella onde ne
discorre
lo
Spaventa.
Un
certo vincolo, adunque, ed un progresso
in questi
autori
parmi evidente; e tal progressione è
racchiusa
nelle
tre parole che siam venuti adoperando
nel desi-
gnare
il carattere de' tre periodi; esigenza d'
imitazione,'
di
critica semplicemente detta, e d'interpretazione
o-
critica
filosofica. Ecco le tre fasi cui è
andato soggetto i
il
pensiero del nostro filosofo. Col che
non si pretende/
già
che tutto sia imitazione nel primo
periodo, e tutto
critica
nel secondo, e pura interpretazione nel
terzo.
Coteste
tricotomie così rigide, misurate e
geometrica-
mente
disposte, noi volentieri lasceremo agli
hegeliani
che
tanto ne abusano. Si pretende bensì
che uno di
questi
caratteri prevalga in ciascun periodo; nel
terzo
de' quali
Y imitazione e la critica rìveston
significato
propriamente
filosofico. Or quale sarà la conseguenza
legittima
che dovremo traiTe da questo
discorso?
La
conseguenza mi par facile e chiara.
Se è vero
che il
pensiero, storicamente considerato, non è
opera
vana,
sterile e quasi un lavoro penelopeo;
se è vero
che la
storia, comunque la si riguardi, è un
processo
onde
la mente nostra non si può stralciare
né in modo
alcuno
prescindere, stanteché il presente si
rannodi col
passato
e ne scaturisca; se è vero, da
ultimo, che in tanto
la
critica riesce feconda e la scienza
mostrasi progressivn,
in
quanto sappiano entrambe giovarsi del
passato, vuoi
raccogliendo
i buoni frutti di chi ci ha
preceduto nel-
r
indagine del vero, vuoi legittimando e
compiendo i
risultamenti
cui si è pervenuti, od anche
schivando gli
errori
ai quali per avventura siasi inciampato:
ne se-
guita
che, per necessità logica e storica,
la forma
ideila
nostra critica ha da rivestir
carattere e natura
^filosofica,
diventando critica razionale, critica
vagliatrice,
interpretazione
liberamente metafisica. Se non che, le
maniere
onde può esser condotta cotesta
interpretazione
posson
esser divei*se, e perfino opposte fra
loro. Filosofi
cattolici,
infatti, ontologisti, psicologisti, hegeliani,
po-
sitivisti,
come vedemmo, credono interpretare con di-
rittura e
sincerità il pensiero del Vico, dovecchè
in
sostanza
non riescono ad altro che al
teologismo, al
tradizionalismo,
all'idealismo assoluto, all'empirismo,
al
nullismo, tanto in filosofia quanto nelle
applicazioni
di
essa, adoperando un magistero critico non
di rado
esiziale,
spesso erroneo, sempre infedele verso V
autore
che
studiano. Fate d' interpretare, a mo' d'
esempio, i
sommi
pronunziati di questo filosofo co' criteri
del Gio-
berti, del
Rosmini, del Tommaseo, dell'Amari, del
CJonti,
del
Fornari, e simili : egli perderà
tosto l'originalità che
lo
distingue; sì che vi avrete dinanzi
l'uomo vecchio,
vi
avrete lo scrittore, tuttoché ingegnoso,
delia tradi-
zione
cattolica; e la Scienza Nuova altro
per voi non
sarà,
che una filosofia in senso teologista,
ortodosso, cat-
tolico,
secondo ch'ebbe a dire quel cardinale
cui il po-
vero Vico
umiUò (disgraziato!) il suo libro.
Studiatevi
d'
interpretarlo co' criteri dell' Idealismo
assoluto, come
fan
gli hegeliani; e ne avrete sformato,
anzi radiato ad-
1
dirittura ogni nativa fisonomia, sì che
la Scienza Nuova
agli
occhi vostri assumerà forma assolutamente
specula-
tiva; sarà
una filosofia dello spirito fabbricata a
^^^iorì;
sarà
una scienza della storia condotta a
furia di metodo
^.dialettico.
In entrambo i casi, io domando, che
cosa di-
venterà
nelle vostre mani la mente del
filosofo napole-
tano? Una
delle due: ella diverrà schiava del
Teologismo,
ovvero
ancella dell'Idealismo assoluto; nell'un caso
vi
si
presenterà povera d'ogni originalità; nel
secondo man-
cante di
verità. Interpretatelo, invece, con una
critica
puramente
erudita, mezzo storica e mezzo speculativa.
com'è
quella di lannelli, o del Romagnosi:
ne saprete
rilevare
così molti pregi, ne scoprirete molte
magagne,
ne
porrete a nudo molte manchevolezze; ma
certo non
giugnerete
ad imprimere forma razionale ai principii
su'quali
si regge la Scienza Nuova. Che se,
finalmente,;
vorrete
provarvi d'interpretarlo con le norme
d'una-
critica
fiacca e slombata e puramente analitica,
cioè-
co'criterii
del positivismo, come avrebbe inteso di
farei
il
Cantoni, o peggio ancora con le
ispirazioni d' uno scet-l
ticismo
sistematico secondo che ha fatto il
Ferrari o fa-
rebbe il
Franchi, avrete annullato medesimamente il
pensiero
di questo filosofo. Il quale perciò
si presenterà
com'
una follia per i contemporanei, com'
errore per i
posteri,
come anomalia per lo storico, come
ingegno de-
caduto
pel critico, come contraddisnone puerile
pel posi-
tivista,
mentre agli occhi di tutti non
sarebbe altro che
anacronismo
vivente, energia senaa scopo, genio sema
popolo,
come precisamente ha detto il Ferrari.
Col
Teologismo perciò tale interpretazione critica
rie- ,
scirà inevitabilmente
dommatica, tradizionale, eunuca, in-
feconda e
cieca. Con TldeaUsmo assoluto risulterà
anche
dommatica,
e di più unilaterale, esclusiva, infedele,
e, ;
quant' ai
resultati, vi getterà nell'abisso d'un meccanismo
ideale,
nel buio desolante d'un ideale fatalismo.
Final-
mente con
lo Scetticismo, qualunque ne sia la
forma e la
natura
e la gradazione (critica pura, metodo
critico, posi-
tivismo),
siffatta interpretazione tornerà povera, sterile,
inconcludente,
negativa, assolutamente nulla. Dunque
nessuna
di queste tre maniere di critica può
elevarsi
a
valore davvero positivo, e positivamente
razionale.
Le son
misure e strettoie incomportabili, in mezzo
a
cui la
mente del nostro filosofo restando, a
dir così,
affogata
e strozzata, non può non ribellarsi,
e non isfug-
gire
ad ogni magistero di critica che non
sia efficace,
comprensiva,
feconda, seriamente filosofica, e mode-
stamente
metafisica. £ dove non fosse così,
che cosa
avremmo
nell'autore della Scienza Nuova fuorché un
fiacco
hegeliano, od un positivista meschino,
ovvero un
ontologista
vaporoso , o , peggio ancora , un
teista
grossolano?
Stringiamo,
dunque: a tre patti, e solamente a
que-
sti tre
patti, sembra a noi che la
interpretazione cri-
tica del nostro
filosofo possa attingere un valore legit-
timo, ed
un significato razionalmente positivo:
!•
Interpretando le sue dottrine così ch'elle
non si
abbiano
a contraddire e distruggere a vicenda
formando
fra
loro quasi una massa inorganica ed
eterogenea, come
abbiam
visto accadere ai teologisti, agli
ontologisti, ai
filosofi
cattolici in generale:
T
Interpretarle rì fattamente, che non si
giunga
a
disformare in guisa il pensiero di
questo filosofo, da
trasfigurarne
o scancellarne ogni naturale e propria
fiso-
nomia,
come incontra pur troppo agli hegeliani;
3»
Finalmente guardarci dall' interpretarle in guisa
al
tutto empirica; nel qual caso verremmo
a negar loro
ogni
valore di speculazione metafisica, come per
l'ap-
punto
avviene ai critici puri, agli scettici,
ai positivisti.
f
Brevemente: cotesta interpretazione non può
esser
! ne
assolutamente dommatica, né assolutamente
scettica ;
j ma
scettica e dommatica insiememente. Vuol
esser cri-
1 tica
rintegratrice, critica organica, e tale che
sappia in
un
medesimo tempo conseguire tre cose:
districar l'au-
tore da'
viluppi di certe grossolane contraddizioni
la più
parte
religiose; liberarlo dalle pretensioni esclusive
e
dommatiche
d'una speculazione campata a mezz' aria;
e,
finalmente,
salvarlo dallo spirito negativo d' una
critica
puramente
erudita, o d'una critica da positivisti.
La
necessità
di queste tre condizioni a me sembra
evidente.
Ella
non pure sgorga legittima da tutta la
storia sin
qui
tracciata della Scienza Nuova, ma ci
è poi guaren-
tita dalla
ragione stessa, come in uno de'
prossimi ca-
pitoli
vedremo. Intanto facciamo di dare un
primo passo,
presentando
con brevità e come in una sintesi
la spe-
culazione
del nostro filosofo.
Tutte
le idee del Vico parmi si possano
assommare
in due
concetti originali; il primo de' quali
costituisce
il
sustrato, il cardine della Scienza Nuova,
mentre il
secondo
forma la sostanza delle opere latine, segnata-
mente del
Libro Metafisico. Questi concetti originali
sono:
!• r
aver mostrato una legge conlbrme cui
procede
il
corso de' fatti umani e storici,
ponendo in opera il
metodo
non puramente isterico, ma storico-psicologico:
2*'
l'aver dimostrato cotesta medesima legge;
cioè
mostratala
razionalmente, idealmente, avvalorando così
la
prova istorìca mercè la speculazione
filosofica sul
processo
e costituzione dell'essere in universale.
In una
parola: l'aver mostrato un fatto, e T
averne
dimostrato
Videa; che vuol dire, aver saputo
scorge^f
l'idea
nel fatto, schivando gli errori del
teologism^
e
dell' idealismo assoluto : ecco per l'
appunto la novità
del
filosofo napoletano. Molti scrittori di cui
s' è discorso
han
veduto più o meno esattamente l'importanza
del
primo
concetto ; e, facendo giustizia al
filosofo di Napoli,
non
han dubitato attribuirgli l'onore della
scoperta,
checché
ne dicano i GomtianL Ma nessuno,
quant' io
sappia,
ha' pur sospettato com' in lui esista
anch' il
secondo,
dal quale rampolla propriamente la vera
di-
mostrazione
che rinfianca, rassoda e legittima il
primo.
Spieghiamoci
in altre parole. La Scienza Nuova
rac-
chiude il
processo della storia; e propriamente
parlando
ella
contiene lo svolgimento della storia
naturale del-
V
umanità. Ma, a guardarlo con occhio
superficiale,
cotesto
processo parrebbe difettoso ne' suoi
estremi, cioè
nel
suo principio e nella sua fine.
Intendo dire che la
Scienza
Nuova appar manchevole nell' indagar l'origine,
e nel
determinare il fine del genere umano.
Se non che,
a
guardarci bene addentro, e' son difetti
codesti affatto
apparenti;
difetti, se vogliamo, deUa Scienza Nuova
considerata
qual libro d'applicazione d'una teorica,
non
già
nella mente di chi la concepì e
di chi la scrisse.
Nella
mente e nelle altre scritture di
questo filosofo
può
rintracciarsi la risposta tanto all' uno,
quant' al-
l' altro
quesito : e noi potremo e dovremo
tramela per
necessità
logica. La Scienza Nuova quindi abbisogna
delle \
opere
latine, non essendo ella altro se non
l'esplicazione
empirica,
sperimentale, concreta, storica del secondo
de'
due concetti rammentati poco fa. Il
quale perciò è
presupposto
sempre dalla prima all'ultima pagina di
quel
libro, e quindi sarà mestieri saperlo
speculare nel-
r
insieme delle sue dottrine, divinarlo,
ricostruirlo, rior-
ganarlo e
vivificarlo a quel modo che nel regno
zoolo-
gico farebbe
un moderno Cuvier col soccorso d' una
tibia,
d' un
femore, d' una mascella, d' un cranio. E
innanzi
tutto
gioverà qui toccar rapidamente del
carattere pro-
prio dell'ingegno
e delle opere del Vico, per indi
ac-
cennare, nei
capitoli che seguiranno, alle relazioni che
pur
esiston tra lui e la filosofia del
suo secolo nonché
quella
de' nostri giorni.
Considerare
la genesi della mente del Vico in
quattro
fasi,
in tre periodi, in tre o due
momenti, come abbiam
I
visto fare da alcuni critici, non
solo ò metodo artifi-
ziale,
ma inutile e anch' erroneo. Per una
simile divi-
sione il
Ferrari giugne quasi a vedere nel
pensiero di
lui
fatalismo e cieca necessità: e forse
di cotesto fata-
lismo e
di cotesta necessità avrà egli scòrto
qualche
traccia
fin nelle lettere al padre Solla e
al monaco Giac-
chi !
Una divisione a periodi, per esempio
quella del Can-
toni, è
altrettanto artifiziale quanto erronea. Di
fatto,
nell'
ultimo perìodo, come dicemmo, altro egli
non sa
vedere
tranne che un decadimento di quell'
ingegno so-
vrano ;
decadimento quando per l' appunto ei
concepisce,
rintegrandolo,
il disegno della seconda Scienza Nuova
1
Ma se
decade nella seconda, non è già beli'
e decaduto
anche
nella prima, ammesso che, come vedemmo,
con
r
autorità del medesimo Vico, nessun divario
essenziale
di
principii corra fra l'una e l'altra?
Regola generale:
se
cotesto divisioni fosser vere, ciascuna
fase dovrebbe
mostrare
un carattere speciale, ciascun periodo do-
vrebb' esser
determinato da una forma peculiare. Or
questo
appunto nel Vico non si verifica in
modo al-
cuno. Nel
Libro Metafisico son evidenti i germi
del
Diritto
Universale; come nel secondo libro del
Din^o(
Universale,
massime nel capitolo XII, abbiamo intera,
benché
in germe anch' essa, la Scienza Nuova
: al modo
istesso
che nell' orazione su la Ragion degli
studi ci è I
i
segni d'un novello metodo della
giurisprudenza, il
quale
poi assume significato più complesso, e
valore
essenzialmente
comparativo nel De Constantia jurispru- »
dentiSj
come fra gli altri ha saputo rilevare
V Amari.^
Non
fasi, dunque, non periodi, non momenti
nello
svolgersi
del suo pensiero; e quindi non
fatalismo nella
sua
mente, né diversità essenziale di principii
nelle sue
diverse
opere. Ripetiamolo anche una volta:
l'ingegno
del
Vico è processo, é svolgimento; ma
processo con- \^
seguente
a sé stesso, svolgimento che s'allarga
bensì e
riveste
forma vie meglio determinata, ma senza
negarsi
e
contraddirsi e annullarsi nei pronunziati
filosofici fon-
damentali
della sua metafisica. Niuno quindi può
aver
diritto d'
affermare eh' ei cangiasse nelle sue
dottrine ;
ma
tutti abbiamo ragione di pensare ch'ei
si cor-
reggesse e
compiesse per propria virtii. Chi é
che potrà
aver buono
in mano per credere eh' ei negasse
addi-
rittura
tutt' un ordin d' idee per abbracciare
un altro
affatt'
opposto e contrario? Nella febbrile e
profonda
ed
ignorata agitazione del suo pensiero egli
corresse e
compiè
se medesimo depurando le proprie idee
da certe
forme
eterogenee, estrinseche, accidentali, secondarie
; le
quali
se ciò non pertanto accompagnaron sempre
la sua
coscienza
cattolica, non rispondevano certamente né
al-
l'insieme
deUe sue dottrine, né all'esigenza vivace
del
suo
metodo, né al bisogno acutissimo in
lui deUa stori-
cità. Solo
in questi limiti ha luogo lo
svolgimento, e, se si
vuole,
il cangiamento del suo pensiero. Sbaglia
grossa-
mente perciò
chi ha detto che, ove quel filosofo
tor-
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166
STORIA DILLA SCIENZA IXVOYA. [lIB. I.
nasse
a vivere oggi in pieno secolo
decimonono, e' sa-
rebbe uno
schietto e fervido hegeliano, come pur
troppo
s' è
detto e si ripete del povero abate
Gioberti. Cotesti
critici
a quattro quattrin la calata, cotesti
facili mani-
polatori
delle convinzioni altrui e dell' altrui
coscienze,
non
han riflettuto, non riflettono, come tra
la necessità
(evidentissima
nel Vico) di superar la coscienza
religiosa
rompendo
e trascendendo i legami d' una cieca
fede, e
r
indossar la cappa magna d' Idealista
assoluto, ci corra
davvero
un abisso! AgU occhi di costoro par
che non
esista
per nulla al mondo questo salutare
principio:
che se
Y onestà è necessaria in politica e
in religione,
altrettanto
necessaria ella ha da essere anch' in
filosofia.
Talché
quell'andazzo di certuni, oggi tanto
corrivi e
inchinevoU
a vedere in altrui quel che sono
stati o
sono
essi medesimi distinguendo in un filosofo
un primo,
un
secondo e un terz' uomo (ciò eh'
ei dicon maniere di
filosofare,
quasi che si trattasse di pittura o
di musica!),
senza
fallo dee farci argomentare una di
queste due
cose:
0 leggerezza di speculazione, o disonestà.
Questo
non ha
luogo nel Vico. In filosofia ei non
fu né debole
e cangiante
come i colori dell' iride, né
disonesto. Non
fu una
giubba rivolta, per usar qui la frase
del Giusti.
E dopo
questa tirata da moralisti, torniamo in
via.
Ogn' ingegno
inventivo è mosso da un peculiar bi-
sogno. L'
esigenza della mente del Vico è un'
acuta esi-
genza
storica e giuridica insieme : questo
é il carattere
sincero
delle sue scritture ; e questo è
pure il criterio
a
convenevolmente interpretare la natura, il
fine, il
significato
di esse. La Ragion degli studi é
una specie
; d'
introduzione, di propedeutica nella quale
il pensiero
dell'
autore comincia a far le sue prove.
* Due sono le
*
Singolare che la monte di questo filosofo
si cominciasse a stoI-
gere
col problema pedagogico sa V edacazione
nnÌTersale, mostrando cosi
fino
dal bel principio una tendenza seriamente
pratica e positiva di
speculazione.
La DiMerUutione mi metodo degli 9tudii
(die' egli stesso)
ì un
ahbotzo dcU* opera, ohe poi lavorò,
De Univerei Jurie Uno Principio,
di cui
ì cqtpendiee V altra De Conetantia
Jurieprudentie. (Vedi Autobio-
idee
principali di questo libro: metodo negli
studi, e
metodo
nella giurisprudenza. Neil' una come nell'
altra
cosa è
manifesto il concetto, il bisogno della
storicità.
Senonchè
V esigenza istorica eh' ei palesa là
dove parla
del
rinnovamento degli studi in generale, è
un' esigenza
fittizia
che scaturisce dalla tradizione, dall'
autorità sto-
rica, meglio
che dalla i*agione storica, secondo che
questa
vuol
essere intesa nelle opere posteriori. Egli
in buon
conto
pretende rinnovare il metodo degli studi
mo-
vendo, più
che da' suoi medesimi grincipii psicologici
e 1
giuridici,
come dovrebbe, da un' idea tutt'
affatto plato-
nica.
Vorrebbe vedere in sostanza una repubblica
pla-
tonica nelle
Università. Vorrebbe sottoporre l' insegna-
mento ad
unità di metodo e di prìncipii. Ora
questo
concetto
pedagogico evidentemente contraddice alla sua
stessa
filosofia, ed è uno de' suoi errori
più gravi (errore
creduto
altissima verità da alcuni suoi critici
cattolici,
segnatamente
dal Tommaseo) perchè non ci addita
svol-
gimento, ma
indietreggiamento di pensiero, e quindi pa-
lesa difetto
di progresso, di rigor logico nella
speculazione,
appunto
perchè con questo concetto ei s'oppone
ad un'al-
tra serie
di dottrine assai chiare in lui,
dottrine segnata-
mente d'
ordine psicologico. Ohe cosa dunque è
chiamato
a far
qui il critico, l'interprete filosofo?
Evidentemente
è
chiamato a levar di mezzo tale
contraddizione; non
solo
perchè la s' oppone ad altre sue
dottrine, com' ho^
detto,
nm perchè fa contro alla ragione
stessa, al sa-
pere
moderno, ai moderni principii, ai nuovi
bisogni cui
oggi
deve informarsi la costituzione della civil
società e
della
pubblica e privata educazione ed
istruzione. Ecco
qua
uno de' molti esempi ne' quali, depurata e
corretta
una
dottrina del nostro filosofo, nuUameno
resta intera
la
fisonomia, il carattere della sua mente.
Un cattolico,
per
esempio il Tommaseo che loda e
accetta nel Vico
il
principio in discorso non s'accorgendo
della contrad-
grafia,
pag. 359.) Ecco anche qui ana proTa
della continuità, e quindi
d'un
processo nei suo pensiero.
dizione,
ed un positivista che appoggiandosi ne'
criteri
psicologici
e giuridici di questo filosofo lo
traesse ad
un
polo opposto, cioè alla dottrina dell'
Individucdismo
nel
problema pedagogico, 1% falserebbero ad un'
ora me-
desima, e
per due opposte ragioni ; tanto che,
scambio
di
rinnovare e legittimar la sua mente,
la distruggereb-
bero
addirittura. — Quanto poi al metodo
della giuri-
sprudenza,
il Vico pone un concetto nuovo, in
virtù del
quale
il libro in discorso ha relazione
intima coì'DiriUo
Universale»
Egli accenna ad una cert' analisi
informata
a
nuova critica; e quest' analisi è il
metodo isterico che
appresso
applica splendidamente allo studio del
Diritto
Romano.
Vera
introduzione alle sue scritture è il
Libro Me-
tafisico.
Qui l'esigenza isterica si tocca con
mano, tut-
toché
sbagliata nell'applicazione; ma non è meno
evidente
il bisogno filosofico e speculativo. Il
Libro Me-
tafisico è stato,
a così dire, una specie d' indovinello
agli
occhi de' suoi critici ed espositori.
Chi ci ha scòrto
davvero
tutta l' antica, 1' antichissima sapienza
della
gran
madre Italia; e chi non ha saputo
vederci nulla
addirittura,
se non forse una serie d' incongruenze
da
cima a
fondo. Però non s'è abbastanza avvertito,
esser
l'autore
stesso quegli che c'istruisce in tomo
al vero
carattere
e significato di questo libro. Più
volte ei lo
cita
appellandolo il Libro Metafisico; e più d'
una volta
avverte
i lettori, in esso star chiusa la
sua metafisica:
metaphysicam
complectitur,^ E chi pensi che le
occa-
sioni a
scriverlo furon due, il Cratilo di
Platone (come
avverte
egli medesimo) e la lotta ingaggiata
contro il me-
todo
cartesiano (il che agevolmente si lascia
scorgere dal-
l'insieme
del libro nonché dal bisogno istorico
che spinge
la sua
mente, contrapponendosi così al cartesianismo)
non
penerà a capacitarsi, che con esso
egli studiavasi mo-
strare per
via di fatto come guardando filosoficamente
*
Vico, De Univ. jwr. Uno Prino. e
te, Proloq. § 7.
una
lingua se ne possa trarre qualche
germe di meta-
fisica,
procacciando così d' attingere dal fatto
isterico il
concetto
filosofico. Illusione ! si dirà. E io
ne convengo.
Ma
forse che anche cotesta illusione non
vale a mo-
strarci
l'indirizzo originale della sua mente ?
Nullamanco
non è
a credere che tanto egli errasse ne'
principii
quanto
illudevasi certamente nel fatto speciale,
cioè
nella
materia filologica in che accaddegli
applicare la
sua
dottrina ; la qual materia fu, com'
è noto, la favella
latina.
Perocché s'egli è vero che nelle
parole origina-
rie riman
quasi improntata l' immagine del pensiero ;
qual
mezzo più sicuro por cogliere qualche
spiraglio di
cotesto
pensiero salvo l'analisi della parola? Ciò
che il
Vico
tentava col latino due secoli addietro,
oggi si è I
tentato,
per esempio, col proto-ariano. Nella
coscienza
Ariana,
per dime una, conoscimento vai nascimento;
perchè
di fatto lo spirito nasce conoscendo,
e nascendo
non
può non conoscere ; dovecchè pel
selvaggio pensare
suona
parlarsi nel ventre. Ricordare è innovare
il pen-
siero, e
quindi importa la virtù del riflettere;
non al-
trimenti che
Tatto del volere è atto d'amare, atto
di
scegliere,
e quindi racchiude il concetto di
libertà.*
Tutto
ciò è intuizione, è pensiero spontaneo
iniziale
originario,
e non pertanto riesce mirabile nell'
esattezza
e
verità dell'idea per cui tanto va
innanzi all'altre
la
coscienza proto-ariana.
Or se
la parola è l' espediente più efficace,
il mezzo
più
fedele per conoscer la forma sotto
cui si presenta
il
pensiero quaranta secoli addietro, e fino
a certo se-
gno è
atta a rivelarci la storia e la
cultura intellet-
tuale
primitiva d'un popolo; ninno dirà che
il Vico,
facendo
tale applicazione al latino, siasi
ingannato nel
metodo,
come pur troppo errava nel soggetto
di sifiatta
applicazione.
Al qual proposito è da avvertire che
il
professor
Vera, biasimando cotesto metodo che primo
PlOTET,
Origini indo'ewropee. BuRKOUF, Saggio aul
Veda,
d'ogn' altri
'1 filosofo napoletano creò recandolo in
atto
nel
suo Libro Metafisico, giugne a negarne
persino la
possibilità
nonché l'utilità, contraddicendo così eviden-
temente ai
risultati più sicuri e meglio accettabili
della
moderna
filologia.* Non il principio, giova
ripeterlo, né
il
metodo del Vico danno in fallo :
sono fallaci bensì le
applicazioni
di esso, quelle in ispecie fatte nel
Libro Me-
tafisico.
Che se la sua mente privilegiata
avesse avuto
il
benché menomo sentore del sanscrito, non
avrebb'egli
fatto
miracoli meglio che gli odierni filologi
non fan-
n'oggi?
Egli era precisamente su la medesima
via; ma,
di
più, era fornito di ben altri e
più saldi e più ric-
chi
strumenti.
Il
Libro Metafisico fu severamente giudicato
dal
Qiomale
de? Letterati. Dico severamente non tanto
per
le
difficoltà particolari affacciategli, quanto per
l'ob-
biezione
riguardante il disegno, la condotta stessa
del-
l'opera,
e quindi '1 fine al quale mirava l'
autore. Quan-
t'alle
critiche particolari que' valorosi eruditi non
avevan
tutt'i
torti: la storia del pensiero filosofico
condotta
solamente
con l'analisi delle parole, massime
dov'elle
rappresentino
rozze civiltà, è impresa inefficace e
vana.
Obbiezione,
come si vede, assai grave ed acuta,
alla
quale
il Vico, checché ne dicesse, non ebbe
che rispon-
dere sul
serio. Torto essi ebbero bensì
nell'attaccar la
condotta
dell' opera, per le ragioni poco fa
riferite : nel
che
meritano scusa, non sapendo a che mai
dovesse
andare
a parare la mente di quel sommo.
Ma qual
compatimento
meritano certi critici odierni che dalla
Scienza
Nuova potrebl)ero e dovrebbero torre misura
per
ponderare il valore del Libro Metafisico
anche a
guardarlo
solo come un semplice tentativo?
Godiamo
qui nel dichiarare come l' illustre
Spaventa,
fra
tutti, abbia saputo imbroccar giusto nel
determinare il
significato
del Libro Metafisico. Biasimando egli
piace-
*
Ykra, Introduzione alla FU. della Sl,
Pireoze 1869, pag. 66.
volmente,
al suo solito, certi nostri Bramani
italiani che
in
questo libricciolo sanno subodorar non so
quanti e
quali
profumi di sapienza pitagorica etnisca ed
egizia,
con
Fusate acume osserva, che cotest' antica
sapienza
in
esso racchiusa altro a dir proprio
non sia, che la
metafisica
stessa che agitavasi nel pensiero del
Vico.*
Noi
accettiamo pienamente e in generale questo
giudizio;
ma
neghiamo che siffatta metafisica abbia da
esser
proprio
quella ch'ei suppone di poterne cavare.
Il Vico,
egli
dice, ha una metafisica; ma incorporata
colla
Sdenea
Nuova, Voler comprendere Vico colla sua
vec-
chia
metafisica (Italorum Sapientia) è non capir
niente.
Quindi
V oscurità.* Col professore di Napoli
noi credia-
mo che
il Vico abbia una metafisica; checché
si piac-
cia
affermare il suo collega professor Vera:
ma diciamo
che il
difetto di quell'autore, se pur è
difetto, risiede
non
già nell'averla incorporata, anzi nel non
averla
incorporata,
cioè nell'averla supposta, presupposta, co-
me toccammo;
e quindi, se è tale, bisognerà pur
rin-
tracciarla
giacché c'è. In secondo luogo crediamo,
che
non si
possa giugnere a capir di lui niente
davvero
senza
qualche lume di questa così detta sua
vecchia me-
tafisica,
fuor della quale senza dubbio la
Scienza Nuova
parrebbe,
come qui potrebbe dire il Ferrari,
una sdoc-
chcBea
napoletana. Il Vico dunque é oscuro,
oscurìssimo :
r han
detto, e lo dicon tutti ; ma é
tale ùon per la sua
vecchia
metafisica, ma perchè con essa non si
vuol in-
terpretare
la Scienza Nuova. In una parola, se
vi fosse
incorporata,
non potrebb' essere oscuro, anzi
trasparente
e
chiaro, per usar qui un'altra frase
dello Spaventa.
A chi
ha detto poi che con siffatto libro
il Vico in-
tendesse
scrìvere una specie di storia della
filosofia, si
può
far riflettere che, dov'egli avesse mirato
a tal fine,
non gU
sarebbe venuto meno l'ingegno, né
l'erudizione.
Di
certo avrebbe fatto assai meglio che
non fece Appiano
• Spayekta,
Lenoni di FiL, ec. Napoli, 1868, pag.
48.
*
ì<iem, eod,^ pag. 154.
Buonafede
o GioTan Maria Lampredi circa la
filosofia
degli
Etruschi. In sostanza io voglio dir
questo : il Vico
cercava,
anche in filosofia, un altro sentiero;
e nel cer-
care cotesto
nuovo sentiero filosofava. Ma, nel filoso-
fare,
dapprima credè eh' altri avesse filosofato
al pari
di
lui; del che poi si ridisse
compiutamente. D Libro
MetafisicOy
dunque, va considerato non già come
una
storia
della filosofia, bensì come un tentativo,
come
una
specie di saggio di filosofia, ma
saggio di filosofia
condotto
con metodo isterico, mercè cui quel
filosofo
pretendeva
risalire ai germi primitivi racchiusi nelle
primitive
parole, non già con metodo dialettico,
a priori,
assolutamente
razionale, o puramente psicologico. Per
questo
principalmente egli è F antagonista per
eccetterusa
del
Cartesianismo, come han detto gli stessi
francesi.
K per
questo può dirsi che il suo Libro
Metafisico sia
com'
un'introduzione alle opere posteriori.*
Poiché
dunque in siftatto libro vi è, come
s' è detto,
un
doppio carattere, storico e filosofico,
però è possibile
rintracciarvi
i germi d'una filosofia che serbi
natura iste-
rica, indole
positiva, carattere essenzialmente compren-
sivo.
Quattro sono i concetti ne' quali
possiamo tutta
assommare
la sua metafisica:
a) Il
concetto del sapere, non come sdenta
asso-
luta, bensì
come prodtmone assoluta del pensiero; e
quindi
un
criterio il (Juale, assumendo forma e
valore universale,
possa
diventar principio, il principio stesso del
sapere.
b) Un
fondamento positivo alla psicologia riposto
nel
concetto di sviluppo, di generazione delle
funzioni
psicologiche
; e però le condizioni a risolvere
in maniera
positiva
la dibattuta quistione su l'origine delle
idee,
nonché
quella risguardante le produzióni storiche,
filolo-
giche,
mitologiche e religiose delle diverse
civiltà:
* Che
sia piccol di mole non importo, non
essendo fatto ad
DdpKini.
Al qnal proposito glorerebbe meditare ciò
ohe TA. medesimo
seppe
rispondere al Oior, de* Leti, quando
fa accasato appnnto del di-
fetto di
brevità nel delinear il disegno della
sna metoflsiea. Risp. 2*, § 2.
c) Il
concetto d' un fondamento assoluto
delle
cose,
non già nel significato ontologico
scolastico e teo-
logico, sì
nel senso d' un Assoluto inteso com'
attività
essenziale,
Mente e Causa, Spirito, Atto assoluto
e asso- |
luto
centro al mondo presente, ma senza
che col mondo j
s'abbia
a confondere e intrinsecare, schivando così
da
una
parte un volgare ontologismo, dall'altra un
as-^
sur do
panteismo:
d)
Finalmente un nuovo concetto della sostanza
cosmica,
e però dello spazio e del tempo,
della storia
naturale
e della storia umana; nel quale resti
salva
tanto
r esigenza della dottrina meccanica, quanto
quella
della
dottrina dinamica.*
Tutto
ciò vedremo poco per volta. Qui
frattanto gio-
verà toccare
d'alcune relazioni tra la filosofia del
Vico, e
quelle
che tenevano il campo all'età sua;
acciò che non
s'abbia
a ripetere che anche in metafisica
egli fosse
stato
una cometa solitaria nel cielo della
scienza, un inge-
gno senz'
antecedenti, com' han preteso e pretendono
certi
suoi critici. Co' quali elogi, com' è
chiaro, dandogli
essi
tutta la vena della spontanea divinazione,
gli tol-
gon
perciò ogni coscienza riflessa, ogni
attività consape-
volmente
indagatrice, e se lo immaginano e ce
'1 dipin-
gono come
il sonnambulo che passeggia solitario e non
.
visto
in mez7:o alla numerosa falange de'
matematici,
de'
naturalisti, de' fisici e de'sensisti del
secolo XVIIl.
* In
qoeste quattro idee sono i germi d*
un sistema; ma d* un sistema
filosofico
non assoluto, nò donimatico, bensì d*un
sistema, o, a dir prò- «
prie, d'una
dottrinala quale mentre che lascia molte
questioni aperte, corno |
direbbe
Stuart Mìll, chiude nondimeno il rarco
allo scetticismo. Questo av- 1
rerte
lo stesso Vico nella Conclusione dell*
opera indirizzata a Paolo Doria:
Habetf
$apientis9Ìme PauUc Doria, Metaphyneam humana
imbeeillUate dignam,
qua
homini neque omnia vera permittat, neque
omnia negatf 9ed aliqua. E che
tali
dottrine ciò nondimeno abbiano una forma
e compongano fra loro
unità
organica, egli medesimo ce lo avverte
laddove mostra, la sua me-
tafinea
etter compita topra iìMa la «va «dea,
avente porciò capo, orga-
nismo e
sangue. Vedi nella Risp. 1" al
Giornale de^ Letterati,
U Vico
nacque e visse in mezzo al
Cartesianismo,
e
segnatamente in sul finire di quel
giro d' anni in cui
tal
sistema lottando con sé medesimo
sdoppiavasi, per
cosi
dire, in quelle molteplici direzioni
filosofiche for-
manti,
giusta la frase d^ un illustre
critico, un cammino
eccentrico,
* il cui risultamento reggiamo
rappresentato
nelle
scuole di Malebranche, di Geulingc, di
Berkeley,
di
Spinoza, di Locke, di Leibnitz.' Non
guardando per
ora al
postulato cartesiano tolto siccome inizio
del filo-
sofare, è
noto che gli errori cui detter luogo
i sistemi
ne'
quali sdoppiossi tale indirizzo filosofico,
ponn' essere
assommati
negl' infrascritti : l' aver posto, in
generale"^
il
concetto dell' Assoluto non già come
fine, anzi come
principio
del sapere: l' aver troppo diffidato della
realtà,
de' fatti,
dell'esperienza, della storia: aver annullato
o
dispregiato
lo studio delle cagioni finali, tutto
som-
mettendo
alla causa efficiente, e le leggi
della natura
spirituale
spiegando con quelle della natura corporea:
aver
ridotto ad assoluto meccanismo il mondo
fisico,
donde
le dottrino dell'occasionalismo, dell'incomuni-
cabilità di sostanze
e dell' armonia prestabilita intesa^
alla
maniera volgare de' Wolfiani." In una
parola, il
*
Bitter, Hìh, de la PhU. mod., voi.
I, pag. 416.
* Per
Cartenanitmo intendo, com'è facile capire,
quelle diverse di-
rezioni (non
meno di quattro) le quali, parte
svolgono e compiono, parte
trasformano,
e parte impugnano, yìh che T
indirizzo del filosofo francese,
le sue
dottrine cosmologiche, ontologiche e teologiche.
' In
questa critica si può dir che
consentano, in generale, i principali
storiografi
moderni.— Vedi Rittrr, op. cit.,
voi. cit— Cousin, Fragm, de 2a
Phil.
CarténennCf
pag. 160 e segg. Coure ec, 2*
serie, t. I, lez. XI, p. 244.
—
Rbnouvikb, Man, de Phil mod,, liv. II.— Boullieb, HììU de la
Phil.
Carte»,,
t. IL — Sohmidt, St, della FU.,
pag. 177
e segg. — Saibset, Orit,
et
hùt. de
la PA»l., pag. 130 e segg. —
Fouoheb de Carbil, Lettre» ««r-
Cartesianismo,
per grandissimo che possa essere il
me-
rito di
chi l'inaugurò e di chi vennelo
attuando ne' suoi
diversi
indirizzi, non pervenne al vero concetto
dell' as-
soluto,
della costituzione del mondo, e della
natura dello >
spirito.
Uno de' suoi pregi, come s' è detto,
è la posi-
zione del
pensiero qual inizio di scienza
indipendente
da
ogni qualunque autorità : ma di ciò,
com' è noto,
Cartesio
non può vantarsi d' essere stato primo
divul-
gatore e
sostenitore nel regno della scienza.'
Vero
pregio, pregio massimo dell'autore delle
Me-
ditazioni
sta neir aver considerato come originaria
virtù
dell'anima l'attività stessa del pensiero;
aver
posto
r anima come il pensiero stesso, e
però come sog-
getto e
obbietto.' Senonchè il pensiero per lui
non era
altro
che rappresentazione, e, come tale, unione
a dir
cosi
meccanica, incosciente, immediata di due
oppositi
elementi,
dell'universale e del particolare, dell'infinito
e
del
finito. Come dunque potev' egli riuscire
al vei'o or-
ganamento
del sapere filosofico, posto un fatto
empirico,
Dt$c
et le Cartinanimne, Introd. — Franchi,
St. detta FiL mod., Tol. 1,
letlnrs
9, 10, 11. — Jaitbt, (Euw, phiL
de LeibnitZj ToL I., Introd. —Trn-
mtiiAinf,
Su ddla FU,, voi. II, p. 84.
' La
riforma cartesiana, cosa arvertita presso
che da tutti gli sto-
riografi,
non giunse nuova fra noi, tanto clie
la si riguardi come rinno-
ramento
filosofico, quanto che come reazione
scolastica. ATevamo avnto
già il
Petrarca, poi il Da Vinci, la scuola
Telesiana, poi la scuola Gali-
leiana.
(Vedi Libri, HUt. de» •eienc, math.,
t. III. ~ PncoiiroTTi, Sl della
Med,^
voi. ult.) Potremmo dire altresì che
TAconzio, come osserva giusta- ,
mente
il Franck [Diet, de» »eiene. phiL)
fosse stato in Italia il devander \
del
metodo cartesiano. Avevamo avuto anche il
Bruno; e segnatamente
il
Campanella, le cui opere non dovettero
esser del tutto ignote a Cartesio,
come
nota il Bitter {Hi»t. de la phU.
mod., voi. I, pag. 14, 85). Ma anche
qui,
al solito, s* inciampica neir esagerazione
quando si vuol risalire fino
a
sant'Agostino a ripescar 1* antecedente del
pronunziato Cartesiano ! Nò
io mi
ci vo' opporre, sapendo che in quel
Santo Padre e' è pur troppo
r
esigenza cartesiana (Vedi per es.: De
Lib. Arò., lib. II, cap. 8; e
spe-
cialmente De
Civii. Dei, lib. XI, cap. 26). Ma
il valore della posizione è
tanto
diversa ne* due filosofi, quanto diversi
i tempi in ch*ei vissero,
trattandosi
ben più che di certezza d'esistenza.
Il Cousin poi, com'è
noto,
va fino al No»ee te ipeum di
Socrate ! Contentiamoci di questo, che
non è
poeo: un eclettico ne potrebbe far di
peggio.
•
DiBOARTBS, Médit. 2, art. 7. Lettre»,
U II, U». Obi.
répotue», I, 4.
posta
una dualità empìrica? E in che
maniera spiegare
nel
pensiero l'unione del finito con
l'infinito? Ma che
davvero l'
idea di Dio sia innata e a
priori nella nostra
mente
com' egli stesso afferma, * al modo
eh' è innata,
non
nata, cmmcUa l' idea di noi medesimi
(ciò eh' è pro-
prio la
novità di Cartesio) è ancor cosa da
dimostrare.
È ella
possibile nel nostro pensiero l'idea
dell'infinito
veramente
detto? L'essere adegua il conoscere, dicono
certi
interpreti hegeliani; e poiché nel
conoscere v'è
r
infinito, il pensiero è dunque infinito
: ecco la novità
vera
di Cartesio, su la quale s' imbasa
propriamente la
filosofia
moderna. — Ma il pensiero è egli
propriamente
l'essere,
come si vorrebbe darci ad intendere?
Non
potrebbe
stare che cotesta fosse un'affermazione
arbi-
traria di
Cartesio, fatta legittima, più che altro,
dal
desiderio,
nonché dall' artifiziosa interpretazione che gli
hegeliani
porgono all'entimema cartesiano? .Diranno
non ci
essere artifizio di sorta in questa
loro inter-
pretazione.
Ma non è forse egli stesso, Cartesio,
il quale
a
chiare note ci dice in che senso
parli d'innatismo,
afiermando,
la natura stessa averci fornito d'una
facoltà
mercé
cui produceìido queUPidea possiamo conoscere
Dio?*
Checché ne sia, era d'uopo rivedere,
chiarire e
correggere
in gran parte la posizione cartesiana
del
pensiero.
Questo quant' al Descartes, come iniziatore
del
novello
indirizzo. Quanto poi agli esplicatori del
Carte-
sianismo, in
generale, era d' uopo restituire alla
scienza''
il
concetto delle cause finali invocando
segnatamente
lo
studio della storia; porre l'assoluto come
obbietto
•
Descartes, Médit. 8«.
■ Vedi
nella Troinhn. oljection9f Z" Rép, :
e nella Rép. à M. Begiut.
Non
ignoro che nella Meditaz. 3^ e
5" egli dice apei-tamente, Tidea
di Dio
essere innata in quanto ci ^ imprenta
da lui medesimo. E qoi è
chiara
la contraddizione tra ciò eh* egli
afferma in queste Meditazioni,
e le
illustrazioni eh* egli stesso ne dà
nelle Risp. alle obbiezioni poco fa
indicate.
Bisogna dunque levarla di mezzo tale
contraddizione; è fuori
dubbio.
Ma perchè pretendere di leTarla con T
identificare Dio e pen-
siero,
facendo contro cosi a tutte lo
esigenze della metafisica cartesiana ?
anziché
come principio di ricerca; accomunare in
un
subbietto
dinamico universale tanto la costituzione
del
mondo
fisico, quanto quella del mondo morale
; e quindi
statuir
le norme d'un metodo non geometrico,
non
puramente
psicologico, né assolutamente a priori
nella,
costruttura
della Scienza Prima.
Questo
per V appunto presero a fare il
Leibnitz in
Germania
e, poco appresso, il Vico in Italia.'
Non vorrei
che i
lettori stimassero inconcludente il
ravvicinamento
di
questi due nomi, e inutile e vuoto
un riscontro delle
loro
dottrine. Non è cotesto, intendiamoci, uno
de' soliti
riscontri
onde rigurgitano certi libri odierni appo
cui
non di
rado si dà per concreta, storica,
reale un'atti-
nenza
meramente logica, o ideale che sia.
Il riscontro tra
il
filosofo di Napoli e il filosofo di
Lipsia è tutto ideale ;
ma la
ragione di esso pone radice, meglio
che in qual-
che riposta
e fatai legge dialettica, in queste
due ragioni
principalmente:
!• nella forma e natura stessa di
lor
mente
: 2* nelle condizioni della filosofia
del secolo XVII.
E
innanzi tratto ricordo anche qui, non
esser possibile
dimostrare
che il filosofo italiano siasi ispirato
nel filosofo )
di
Lipsia ormeggiandone metodi e dottrine,
com' altri
hann'
affermato.' Nullamanco l'affinità fra alcune
dot-
* Il
Vico ebbe coscienza della propria posizione
specalativa, e sciente-
mente
opponevasi alP esagerazioni ed errori cui
ruppero le diverse dire-
zioni e
scuole nate dair indirizzo cartesiano. £gli
conobbe lo opere di Spi-
no}^, di
Locke, di Malebranche, e Tisi oppose.
Quant'a Spinoza, cfr. Op.
voi.
Ili, 12, 80, 221 ; V, 49, 138,
573 ; VI, 99. -- QnanV a Locke,
IV, 40,
U40;
VI, 5. — Quant'al Malebranche, II,
95, 96, 149, 161; VI, 107, 113;
lU,
232. Non è dunque niente vero ciò
che è stato affermato da un
hegeliano
che il Vico, posto eh* abbia
speculato, speculasse incoscia-
mente
e senz" alcuna relazione alla storia
della scienza.
* In
tutte le suo scritture ne rammenta il
nome appena appena due
volte
a proposito, non già di qualche
dottrina filosofica, ma delle con-
troversie
fra Newton e Ldbuìtz. Una di queste
citazioni è nella seconda
S<-ieruM
Xuova; T altra in una lettera al
Gaeta scritta nel 1737. Egli
dunque
rammenta il nome di Leibnitz sette
anni prima di morire, e, che
più
rileva, lo rammenta dopo che vennero
alla luce il Libro Metafìnco,
il
Diritto Univeraale, e la prima Scienza
Nuova. Ne ricorda perciò il solo
nome
quando la sua mente erasi già
rafferma e assodata in un sistema.
Come
dunque potò imitarlo V Come essersene
ispirato?
trine
dell'uno e alcune teoriche dell'altro
filosofo è pure
un
fatto evidente. Come spiegarla? Cotest'
affinità per
me è
al tutto originaria ; e tiene,
ripeto, parte alla forma
e alle
esigenze del loro ingegno, parte
all'opposizione che"^
le
diverse direzioni Cartesiane venivan risvegliando
nella
lor
mente, massime il metodo geometrico e
la cosmo-
logia
meccanica di Cartesio, il concetto
psicologico del.
sensismo
inglese, il concetto della sostanza
Spìnoziana,
ilTeosofismo
e l'Occasionalismo di Malebranche. Io so
che
alcuni storiografi, segnatamente francesi,
attaccano
al
gran carro del Cartesianismo anche questi
due filosofi.
Ma
checché se ne sia detto e se ne
dica, essi a me paion
oppositori,
oppositori veraci delle diverse scuole che
venner
pullulando dal famigerato entimema. Quant'al
Leibnitz,
infatti, basti rammentare il concetto della
monade
fornita del suo doppio carattere di
rappresen-
tazione
originaria e riflessa, tuttoché cotal
dottrina per
piii
conti dia in errore.* Quant' al Vico
poi, vedemmo
come
gli stessi francesi non dubitino segnalarlo
come
antagonista
per eccellenza del Cartesianismo. Però
ninno
creda
che con questo noi pretendiamo stralciare
addi-
rittura ogni
attinenza fra questi filosofi e il
movimento
Cartesiano,
che sarebbe ignoranza grossolana. Vogliamo
anzi
stabilirvi una relazione piii intima, più
vera, con-
siderandoli
non già come puri esplicatori e tanto
meno
come
seguaci, ma piuttosto, ripetiamo, come
oppositori
e
correttori di esso. Perocché se tutto
il mondo mo-
derno
filosofico è Cartesiano, è Cartesiano nello
spirito,
nella
tendenza. Cartesiano nell' esigenza psicologica
an-
ziché nelle
dottrine metafisiche: al modo stesso che
se
vogliam oggi con tutta serietà applicar
la mente
alla
ricerca filosofica, dobbiamo esser hegeliani,
ma
senza
metterci su gli omeri l'edificio pesante,
comec-
ché
splendido, di quel sistema, nonché della
lunga serie
delle
sue applicazioni alle scienze speciali:
al modo
*
Appartiene al Leibnitz, com* è noto,
qnesta sentenza : che m ciò
che ha
di buono il Cartenanitmo non è che
V anticamera dé,la Jiloeofio,
ìstesso,
finalmente, che, a contar dalla scuola
alessan-
drina e
dalla scuola stoica, tutt'i periodi
filosofici e
tutt'
i filosofi, pel corso di venti e
più secoli, si mostrano
platonici
e aristotelici quant'al concetto della
scienza
e del
sapere filosofico consistente nell'universale,
non
tutti
però innalzando un piedistallo, né all'idea
piato*
nica,
né alla categoria aristotelica. '
Mentre
che dunque dura, frastagliatosi in più
di-
rezioni, il
moto Cartesiano, con metodo più vasto
e com-
prensivo due
filosofi prolungano il novello indirizzo, e
si
presentano come veri inauguratori e
innovatori della
filosofia
moderna. Leibnitz e Vico, incominciando a
cor-
' Il
Cartesianismo, come avvenne anche del
Platonismo e dell' Ari-
stotelismo
in antico, e come delPHegelianisnio ne*
tempi nostri, influì
sa la
mente di, tntf* i filosofi del sec.
XYII, e quindi anche su quella
del
Vico; ma v'influì al modo stesso che
la scintilla fa rispetto a ben
disposta
materia. Nel Vico troviamo la correzione
de* diversi indirizzi
Cartesiani,
ma senza eh* ei ve n* escludesse
nulla d' accettabile e di vero.
Giovanni
Locke, tnttochò nato da Cartesio, combatte
Cartesio, ma ri-
mane
esclusivo, schietto sensista. Gassendi lo
combatte, ma rimane em-
pirico ed
erudito. Mo^re e Poiret lo combattono,
ma rimangon mistici.
Lo
combatte Bayle, lo combatte Pascal, ma
per diventare scettici. Lo
combatte
Spinoza, a riesce ad una forma
assurda di panteismo natu-
rale. 11
Vico anch*egli combatte Cartesio direttamente,
qua e là nelle
sue
scritture, e indirettamente sempre, in ogni
pagina della Scienza
Nuova,
mercè il vietodo Utorico in filosofia;
ma non riesce a nulla di tutto
questo.
Il metodo isterico del Vico, perciò,
è una reazione energica contro
il
metodo puramente psicologico, matematico e
geometrico de* Cartesiani.
E con
questa gran leva nelle mani, chi non
vede com* e* dovesse riuscire
V
antagonÌ9ta più spiccato e il più
potente correttore della filosofia del
secolo
XVII? Nel secolo XYIII, per contrario,
veggiamo ripudiare i quat-1
tro
risultati del Cartesianismo; ontologismo,
panteismo, idealismo e mo-
nadismo
volgarmente inteso. Veggiamo ripudiare ogni
sintesi, e adorare,
unico
Dio, r analisi (Condilacchiani, Scozzesi
ec). Anche cotesta è rea-
zione; ma
reazione affatto negativa. Il Vico è
in mezzo alla prima e alla
seconda
tendenza, senz* esser l* una cosa, nò
1* altra. Ecco la sua posizione
storica
come filosofo, rispetto alla filosofia
cartesiana. Che se tra 1* affer-
mazione e
la negazione dee sorgere necessariamente
Fattività critica,
questa
s* ha da palesar prima sotto forma
isterica, e poi sotto forma
speculativa
e psicologica. Ed ecco un legame intimo
, comecché ideale, fra
il
Vico e il Kant. Storicamente, il
secondo suppone il primo ; logicamente
poi, r
uno suppone 1* altro: e nel Vico
infatti troveremo tanto che basti ^
a
gìQstiflcare tale esigenza critica e
psicologica.
rreggere
il postulato cartesiano, impugnano ad un
tempo
il
concetto della sostanza Spinoziana, la
dottrina mec-
canica di
Cartesio, il materialismo di Gassendi, l'
idea-
lismo e
r occasionalismo di Malebranche, il
sensismo di
j^Locke
e però lo scetticismo di David Hume.
*
Non
vogliamo, né il potremmo, entrar ne'
partico-
lari di
queste dottrine; le quali, del resto,
sono a tutti
note
per le dotte e svariate ricerche
storiche fatte oggi
in
proposito. Solo avvertiamo che se tale
è l'importanza
dei
due filosofi, gioverà prender nota d'alcune
loro atti-
nenze, tanto
pili che un riscontro fra essi,
quant'io mi
sappia,
non è stato mai fatto. Dobbiamo
contentarci
di
pochi cenni, bastevoli al nostro intento.
Quanto
vasta e splendida l' intelligenza del
Leibnitz.
tanto
è profondo, ma oscuro, esitante il
pensiero del
Vico.
Dell'uno fu detto poter egli solo
rappresentar
tutta
un' accademia di scienze ; mentre
dell' altro, sem-
plice
umanista al cospetto del pubblico, fu
sovente ri-
pensata con
meraviglia l'erudizione parca dapprima,
affollata
poi, né molto sicura, tuttoché illuminata
sempre
dallo
splendore d'inattesi principii.' Il Leibnitz,
mate-
matico
acutissimo e scopritore del calcolo
differenziale
in un
tempo che il Newton scoprivalo anch'
egli : il Vico
non
andò più in là della quinta
proposizione d' Euclide !
Quegli,
conoscitore di lingue; questi, infelice
scrittore,
* Il
piti chiaro e puro,, e in pari
tempo il piti semplice tipo deUa
nuova
jUoBoJia ì. Leibnitz, In esso si
ved-e riunitOf come in un JiorCf eid
che
ri ha
<V essenziale nelle due serie di
sistemi da Cartesio sino a Spinota^ e
di
Herbert
e di Locke. (Schmidt, op. cit., pap.
208. Vedi anche Jaitkt, Op. di
fAnbnitx,
?ol. I, Intr.) È noto come fin
da' primordi del nostro secolo il De
Biran
in Francia ponesse in chiaro il
valore della novità del Leibnitz/
nonché
della polemica di questo filosofo contr*
al Cartesianismo : ma
della
confutazione che sgorga anche dalle
dottrine del filosofo di Napoli i
contr'al
medesimo sistema, nessuno si è mal
brigato far motto. In ciò
pure,
come vedremo, il Leibnitz è stato
assai piìi fortunato del Vico.
* Il
Giornale de* Letterati, giudice non
sospetto, affermò che in ogni
linea
delle opere del Vico è chiuso un
concetto. Il Tommaseo, fra le tant<e
acute
osservazioni in proposito, come vedemmo, fa
anche questa: non
esser
pagina in questo filosofo^ dove non
arda qualche splendore insolito
d'idea
e di parola. Studi Critici, vol. I,
pag. 119.
avverso
perfino all'idioma francese che non volle
im-
parar mai.
L' uno cercato da' grandi sin nella
sua vec-
cliiaia:
ricco, onorato, cortigiano e corteggiato,
fondatore
d'
accademie, cultore e favoreggiatore delle
arti belle,
conoscitore
d'arti utili, teologo, legista, politico,
diplo-
matico,
viaggiatore in tutte parti d'Europa.
L'altro, nulla
di
tutto ciò : si credè poeta, e
fu pedagogo ; sperò di-
ventar
professore di Diritto, e fu maestro
di rettorica
per
tutta la vita; e mai non uscì
dal paese natale, se
non
per andare a Vatolla, e vivervi
oscuro e ignorato
per
nove anni. Storiografi entrambi, ma l' uno
di fatto,
l' altro
titolato. L' ingegno del primo si
manifestava in
date
occasioni : contro Bayle indirizzava la
Teodicea,
e
contro Locke i Nuovi Saggi su l'
intendimento umano.
L'ingegno
del secondo procedeva, come dicemmo, per
interno
impulso, ne fece buona prova nelle
controversie,
come
incontrògli nelle Risposte al Giornale de'
Letterati.
L'uno
scrivea di filosofia alla sfuggita, meno
i lavori
di
storia;* e bastavagli qualunque occasione
per ap-
prender
tutto, e tutto assimilare con facilità
sorpren-
dente: il
pensiero dell'altro svolgevasi con lentezza
fati-
cosa; tardo nel
concepire, impicciato nel correggere,
noioso
e ritondante nel ritoccare. Ecco la
forma della
mente;
ed ecco le esteriori condizioni della
vita cotanto
diversa
ne' due filosofi. Chi potrebbe pur
sospettare
nell'intimo
de' lor pensieri un barlume d'affinità? E
pure
un' affinità è manifesta.
La
novità del Leibnitz, come s' è detto,
è il con-
cetto della
monade ; quella del Vico è il
concetto d'una
legge
isterica : quindi l' idea fondamentale
comune alla
Scienza
Nuova e alla Monadologia risiede in
un in-
temo
principio di vita, d'attuosità, di divino,
esistente
nella
storia e nel mondo. La natura dello
spirito, per
entrambi,
è quella d' un essere finito eh' è
ad un' ora
stessa
potenzialmente infinito: si che l'uno dalla
natura
*
Vedi KiTTER, Hint. de ìa Phil. mod., voi. II, pag.
230.
deli^uomo
e 1^ altro dall'osservazione istorica traggon
la
legge
universale del progredire.* Entrambi scorgono
grand'
affinità fra la teologia e la
giurisprudenza ; * e
nel
nome complesso di giurisprudenza discoprono
altri
rami
di sapere, ne sentono il bisogno di
studi compara-
tivi, di
che il Vico die bellissimi saggi nel
Diritto Uni-
versale,
mentre il Leibnitz sperò di scrivere
un ThecUrum
{legale
col fine di rintracciare il parallelismo
delle le-
gislazioni;
ond'ebbe a dire che la giurisprudenza,
in
ispecie
il diritto che n'è quasi l'anima, più
che scienza
speculativa,
sia disciplina isterica.* Talché se quant'
al
Diritto
Romano altri afferma che il Leibnitz
ne giudicò
meglio
de' moderni Y originalità e le
speciali qualità, il
Vico
siffatta originalità non pur la giudicò,
ma la di-
mostrò, come
altrove ci sarà dato vedere. Ancora :
se
Tun
dei due filosofi inaugura la scienza
linguistica e
r
altro crea la critica filologica, amendue
col possente
pensiero
salgono alla possibilità d'un vocabolario
men-
tale
universale : amendue reputano la filologia
e l' eti-
mologia
strumenti necessari, mercè cui la mente
si
possa
levare a qualche sentenza universale.*
Leibnitz
primo d'
ogni altro presentì la necessità di
porgere no-
vella forma
all'Etica, ponendo una difierenza fra la
Morale
e il Diritto; difierenza che poscia a
maggior
perfezione
condussero i seguaci del Tommasio :
il Vico
presentì
anch' egli tale indipendenza, ma inoltre
sentì
chiara
la necessità d' investigare 1' universal
ragione
del
diritto in maniera storica; talché se
per l' uno fine
massimo
del giure è il perfezionamento in
generale,' per
l'altro
questo grandioso concetto del diritto forma
quasi
*
Leibnitz» Op. VI, l,pag. 332. Dut. —
Vico, Scienza Nuova, passim.
'
Vico, De CormU Juri9., Parte I.— Leibnitz,
Nox>a meth,, ec, pag. 180.
■
Leibnitz, Meth, nova ditte, dpcend.
juritpr,, P. II, § 29. Amendne
si
presentano al pubblico con questioni di
metodo; ricerca degl* ingegni
veramente
grandi, anziché da filosofi pedanti e
scolastici, come si crede.
'
Nella Ragion degli Hudi v' ha i
criteri per lo studio della ginrisprndenza.
* Vedi
quant' al Leibnitz Mimoire» de VAeadfmie de
Berlin^ voi. I,art. 1.
'
Leibnitz, Xouv. Et», I, pag. 277.
il
sustrato della Scienza Nuova, si che
vede svolgersi
cotale
idea anche attraverso gli antichi poemi.
Quant'
alla fisica poi, alla res extensa di
Cartesio,
agli
atomi fisici del Gassendi, contrappongon
gli (domi
di
sostanza, gli atomi metafisici,^ i punti,
i momenti me-
tafisici e
lo sforzo impedito nell'essenza stessa
dell'uni-
verso.' Per
questa medesima ragione entrambi parlano
linguaggio
somigliante circa la natura delle
matemati-i
che.
Di fatti contro Cartesiani e Hobbesiani
il Leibnitz
mostra
la inefficacia di siffatte scienze nelle
indagini
propriamente
filosofiche, e al di là del calcolo
aritmetico
e
geometrico crede esserci luogo ad un
altro e più
rilevante
calcolo che tiene all' analisi delle
idee; stan-
techè
nella sostanza, die' egli, ci abbia sempre
qualcosa
d'
infinito.' La medesima insufficienza del
metodo geo-
metrico
scorge anche il Vico in più luoghi
delle sue scrit-
ture; e
lo reputa difficile, anzi impossibile alla
mente
del
metafisico.^ Col che essi anticipano alcune
idee di
Kant
in proposito.
*
Lbibnits!, %ff. noìit;. etc, tomo II, pag.
126.
*
Vico, Risp. 1« al GiomaU de'
Letterati, L* affinità de*dne filosofi,
come
si vede, è mirabile anche nel
linguaggio: punti metaJUici, conato
(«VTf^i'X^'av)
tramezzante la potenza e Tatto (Lbibkitz,
Op. II, 1,
pag.
19), 0, come direbbe il Vico, la
Quiete e il Moto; per cai la
matte-
ria, anziché
passiva, ò per entrambi una forza
viva (Op. cit, pag. 817).
Anche
i punti matematici per entrambi non
sono che simboli de* metaji-
tici;
e i punti jieiei per tutt'e due riescono
indivisibili, ma solo in appa-
renza. La
ragione poi ond*essì adoperano la parola
punto è la idede-
sima;
ed è, che il punto racchiude infinito
numero di relazioni. Finalmente
si
potrebbe dir propria anche del Vico
la nota sentenza del Leibnitz:
eonatue
e*t ad motum, ut punctum ad epatium,
(Id. eod. II, 2, pag. 8; e
pel
Vico vedi nelle Risposte al Oior. de*
Lett.)
* In
omnibu» èubetantiis aliquid eet infiniti;
unde fit ut a nobie per-
/ecte
intelligi potint sciite notionee incompUtfr,
qualee eunt numeromm,
figurarumj
aliorumque hujuemodi modorum a rebus animo
abstractorum.
Lkibxitz,
Op., ediz. cit., V, pag. 143.
* Vedi
neW Autobiografia, AìtroY e dice che la
matematica è la più certa
di
tutte le scienze, perchè prova per
cause [De Antiq, Ital., cap. I, 1),
ma il
metodo di essa riesce esiziale, sterile
e pericoloso quando si voglia
adoperare
nelle altre discipline (Risp, al Gaeta,
pag. 99), disastroso poi
nella
fisica, neir educazione degT ingegni
(/&»', passim), utile solamente
neir
ordinare anziché nello scoprire (De Antiq.,
Ital. cap. VII, § 4).
Entrambi
poi riconoscono in Dio le stesse
primalità:
potenza,
volontà, intelligenza;* e se nell'uno
troviamo
il
principio che Dio creando non possa
produrre altro
che il
migliore e il più perfetto de' mondi,*
nel Vico
tale
dottrina si lascia argomentare, come
vedremo, dal-
l' insieme
delle sue dottrine. Quant' alla storia,
V un
d' essi
riconosce un progredire continuo nel tutto,
e la
possibilità
del regresso nelle parti;' dovechè l'altro,
meglio
determinando e dimostrando cotal concetto,
pone
la
dottrina dé*c(/rsi e ricorsi storici, in
cui sono rac-
chiuse le
idee di progresso e regresso, governati
da una
medesima
legge. Che se è stato detto esser
d'uopo
risalire,
meglio che al celebre Discorso del
Bossuet, alla
metafisica
del Leibnitz per ritrovare un concetto
spe-
!
culativo che fosse come il vero
antecedente della filosofia
della
storia, s'è detto giusto; atteso che
veramente il
filosofo
di Lipsia, col sommettere al principio
della ragion
sufficiente
l' ordine delle cose fisiche e morali,
dischiuse
la via
alla dottrina del Determinismo universale,
pe-
rocché tutto
per lui si annodi nel mondo, tutto
si cor-
risponda,
tutto armonizzi. Nel Vico veggiamo questa
medesima
esigenza ; ma nello stesso tempo ne
troviamo
la
correzione. Perciocché se anche per lui
il passato è
gravido
del presente, al modo stesso che il
presente
partorisce
il futuro; non tutto però nel mondo
delle
nazioni
é avvinto a leggi fatali e cieche,
perché nel
regno
dello spirito vi è agli occhi suoi
la ragione, v' è
pur la
libertà, sicché tutto il processo isterico
per
l'Autore
della Scienza Nuova non é altro, in
sostanza,
j che
la soluzione del problema della libertà,
sia che tu la
consideri
negl' individui, sia che negli Stati.
Dinanzi alla
mente
d'entrambi, dunque, risplende chiara la
legge
della
continuità nel giro de' fatti umani e
storici.
Né si
creda che l' affinità fra ^ i due
filosofi non si
*
Lribnitz, MonaU., Op., ediz. Erd., pag. 705.— Vico»
De Univ. Jur,
*
Idem, Theod., 8.
*
Idoin, eod., 8.
lasci
scorgere altresì nelle contraddizioni e non
di rado
anche
nelle strettoie fra cui gi resta
impigliata la co-
scienza
religiosa. Ei cominciano a scrivere innanzi
d'aver
fissato,
determinato e organato le proprie idee
; di modo
che,
se l' uno fin quasi ai quarant' anni,
fino alla com-
parsa delle
Meditazioni,* va fluttuando non libero da
incongruenze,
T altro va tentennando fino alla
terza ^
edizione
della Scienza Nuova. Onde non è a
meravi-
gliare se
tutt' e due si contraddicano quant'
al concetto
di
creazione ; perchè, se V uno ponendo
la moltiplicità
delle
monadi come primitiva ed esistente per
necessità
metafisica,
dice nullamanco esser Dio quegli che
sceglie
r
ottimo fra i mondi, e immagina delle
monadi create
par
des fidgurcUiotis continudles dalla divinità;*
l'altro
poi,
stabihto il criterio della conversione in
senso me-
tafisico,
non dubita parlarci del miracolo della
creazione,
e
dell'annullamento del mondo! — Quanto
aiprincipii,
in
generale, si palesano entrambi eclettici ;
ma è d' uopo
intenderci
nell' applicar loro cotesto nome. Sono
eclet-
tici appunto
nel significato e nel valore che lo
stesso
Leibnitz
dav' a tal voce; nel qual valore
ci conferme-
rebbero
molte sentenze del Vico. Sono eclettici,
io dico,
non
perchè raccolgano in un tutto ciò che
si presenta
come
vero squadernato ne' differenti sistemi,
eh' è pre-
cisamente il
fiacco e volgare eclettismo sfornito d'
ogni
originalità;
ma sì perchè, aggiugnendo anch'essi qual-
che altra
cosa di proprio, riescono a comunicare
novello
impulso
a tutti gli ordini delle scienze.' —
Rispetto
alle
fonti del conoscere, o fondamenti del
sapere, alla
doppia
sorgente vichiana del vero e del
certo risponde
'
Meditationea de cognitionet veritate et ideiti
f 1684.
*
Lribnitz, Monad,f ediz. cit., pagr. 708.
' Vedi
questa sentenza del Leibnitz nelle Lettre*
à Rémond de Mont-
mort,
edlz. Erd., pag. 701. e ne* Nouv,
£»»., Hb. I. Nel Vico poi troviamo
molte
affermazioni del tenore seguente: Chi ai
trae fuori da questi prin-
eipii,
guardi clC ei non traggati fuori deìV
umanità, E eh* egli poi sia
eolettico
in questo senso, anziché nel significato
voluto dal Cousin, dal <
Lerminier,
dal Michelet, dal Romngnosi, dal Ferrari
e dal Poli, apparirà
meglio
dal complesso o dalle tendenze delie
suo dottrine.
la
doppia serie di prìncipii razionali e
sperimentali
ammessa
dal Leibnitz; agli occhi del quale le
verità del
prim'
ordine riposando sul principio d' identità,
e quelle
del
secondo su la coscienza, non patiscono
quinci di-
mostrazione,
appunto perchè immediate ; immediazione
^ a
priori, e immediamoìte a posteriori.^
Quanto poi al
metodo,
ripetiamo, essi accettano il postulato
carte-
siano, ma
l'accettano nel significato d'inizio anziché
di
principio essenziale e costitutivo della
scienza, non
essendo
al postutto che l'espressione d'un fatto.*
Ma non
senza ragione l' autore della Scienza Nuova
è
venuto dopo 1' autore della Monadologia;
come non
senza
ragione al secolo XVII è succeduto il
secolo XVIII.
Per
più riguardi '1 Vico si lascia
indietro Leibnitz; e
questo
è un terzo motivo per non credere
ch'ei l'or-
meggiasse.
Egli infatti giugno a salvarsi, chi
ne penetri
convenevolmente
il pensiero, da' seguenti difetti: 1*» Se
il
Leibnitz si oppose nel medesimo tempo
all'innatismo
cartesiano
e al nulla innato di Locke, non
perciò riesci
a
stabilire la dottrina della conoscenza,
tuttoché si
studiasse
mettersi in mezzo a questi due
sistemi. Rico-
nobbe certe
primitive inclinazioni, certe predisposizioni,
certe
idee virtuali, non propriamente beli' e
formate.
Ma che
cosa mai sono cotesto idee virtuali?
Lo spirito,
in
altre parole, è innato a sé stesso:
ecco la novità
leibniziana,
quant' al problema del conoscere. Ma
come
è
innato a sé stesso ? Una risposta
più soddisfacente a
*
Lribnitz, Nouv. £«9., IV, 9, 2, pag.
400 e segg., ediz. cit.
'
C*est une propotition de fati fondée
par une expèriemce imme-
diate^ et
ce n'ett pas une propotitton nécestatre.
(Lkibkitz, Nouv. Eu.,
IV, 2,
1, pag. 881.) — Il Vico poi
osserva che il postalato cartesiano c<m-
/onde
la eoacienza con la tcienxa (De
Antiq. Ital. cap. I, § 2), riesce
im-
potente
contro gli teettici (Ibi.), Iwnuga la
vanità, è metodo individuale
inettOf
e ae pud eswr buono a rinvenire
i certi »egni e indubitati del mio
€9»cref
non può eaner buono a ritrovarne le
cagioni (Risp. II. al Oior,
de*
Lett.f § 4). Questo criterio dunque
ha solamente valore come di
norma
direttiva de* fatti immediati, tanto per
V uno quanto per V altro
filosofo.
Sono pregevoli le osservazioni del Bitter
in proposito. Hit, dt
la
Phil. mod. voi. cit., pag, 9Ì.
tal
quesito la troveremo nel Vico. 2* Si
salva dall' idea
volgare
dell'atto creativo ammessa dal Leibnitz.
Gol
che
non intendo affermare che nel filosofo
di Napoli
non vi
sia pure cotesto concetto volgare della
creazione:
dico
solo che, riguardo a tale dottrina,
la coscienza reli-
giosa in
lui è vinta dalla coscienza speculativa
meglio
che
nel Leibnitz. 3" Corregge il doppio
carattere della
facoltà
rappresentativa della monade; insudiciente, tanto
che si
consideri come originaria quanto che come
riflessa,
a
spiegare segnatamente la conoscenza. 4» Non
cade
nel
concetto della indipendenza, della
incomunicabilità
e
moltiplicità inconcepibile degli enti semplici.
5» Si
salva
dalla dottrina d' un' armonia prestabilita
intesa
in
maniera estrinseca, passiva, accidentale, cioè
posta
immediatamente
dal divino arbitrio, per cui ella
riesce
affine,
sotto alcuni rispetti, con la teorica
dell' Occa-
sionalismo.'
6» Finalmente il filosofo italiano supera
il
tedesco
pel gran concetto della storicità inteso
in tre
modi:
a) come fondamento d'una scienza nuova
su le
origini
e sul progresso de' popoli ; 6)
come fondamento
e
insieme compimento vitale del sapere
metafisico ; e) da
ultimo,
come centro attorno a cui s' accolgano
e si rin-
tegrino
a vicenda, attingendo siffattamente un
valor
razionale,
tutte quelle scienze che risguardan la
vita
dello
spirito considerato storicamente, e il cui
risultato
è
racchiuso appunto in quella disciplina che
con bar-
barismo
comodo, secondo l'arguta frase di St.
Mill,
oggi
appelliamo Sociologia.
In una
parola, si può affermare che tanto la
Scienza
*
Giova osservare, secondo il giudizio d*
alcuni critici segnatamente
del
Ritter, che a simile conseguenza conduce
direttamente il concetto
volgare,
il concetto Wolfiano deir armonia
prestabilita anziché quello
che si
potrebbe trarre dalla monadologia leibnizicna
quando fosse in-
terpretata
con animo benigno. Fra le monadi
esiste intima relazione,
ciascuna
d*esse rappresentando tutte le altre. La
monade è unità, e
come
tale ra innanzi alla dualità. Dunque
V armonia ù prestabilita perchè^
è
intima ed essenziale alle cose, non
perche posta, o sovrapposta per
immediata
opera di Dio. Il volgare concetto
WoUiano dell' armonia presta-
bilita non
è sinceramente leibniziano ; e tanto
meno appartiene al Vico.
Nuova
quanto la Monadologia esplichino, inverino
e
correggano
il Cartesianismo. Ma può aifermarsi non
meno
che la prima di queste due scritture
corregga a
sua
volta la, seconda, e la compia.
Sin
qui abbiamo considerato i due filosofi
sotto
doppio
riguardo ; in sé medesimi, e in
relazione al Car-
tesianismo.
Ci sarà permesso ora considerarli di
fronte
al
moto filosofico moderno, segnatamente rispetto
a
quelle
due forme di filosofia che la
speculazione è ve-
nuta
assumendo ne' due paesi d' Europa i
quali sem-
brano meglio
disposti a tal maniera d'indagini.
Capitolo
Ottavo,
delle
due moderne filosofie.
Abbiamo
detto come per due ragioni, l' una
subbiet-
tiva e
r altra istorica, il Vico e il
Leibnitz, tuttoché
ignoti
r un r altro e diversi per
luogo, tempo e condi-
zioni di
vita e d' ingegno, ci palesino cert'
affinità di
indirizzo
speculativo. Ciò che molti hanno affermato
del filosofo
di Lipsia, di non mostrar carattere
spic-
catamente
germanico ma europeo, potrebbe dirsi pari-
menti, ^
forse con più ragione, del filosofo
napoletano
rispetto
all'Italia. Ingegni universali e supremamente
comprensivi,
ci rappresentano entrambi 1' universalità
nel
concetto filosofico, massime quand' e'
siano avvisati
riguardo
al tempo in che vissero, e di
fronte al Car-
tesianismo
che presero a correggere ed innovare.
Pos-
siamo dir
quindi che nelle loro dottrine essi
ci esprimano
com'
una sintesi vasta tuttoché confusa, e
dischiudan
così
due diversi periodi filosofici ne' due
paesi che
nella
eulta Europa sembrano più acconci alla
profonda
speculazione;
dico il periodo filosofico germanico, e
r
italiano. Quant' al Leibnitz, tale sentenza
invero non
troverebbe
molte opposizioni,* se non forse per
parte
d'
alcuni hegeliani, i quali, com' è
noto, non credono di
scoprir
terra salvo che nel Kant, e
propriamente nella
dottrina
su' giudizi sintetici a priori e su
1' attività ori-
ginaria del
pensiero come sorgente delle categorie.
Quanto
poi alla moderna filosofia italiana, io
per me
non
saprei risalire piii in là del Vico,
per tre ragioni
principalmente:
la prima, che in lui ritrovo elementi
metafisici
originali ad una riforma filosofica, più
che
in
altri filosofi antichi o più recenti
di lui: la seconda
che a
lui, meglio che ad altri, s' accosta
la forma e
r
indole e la natura dell' ingegno
italiano, come quella
che
mostra di non essere molto inchinevole
a sbale-
strare
troppo in su, o affogar troppo in
giù, almeno
per
quanto riguarda la speculazione metafisica:
la terza
poi è
questa, che solamente rimontando a lui
sarà pos-
sibile
ricondurre come in un centro, per
così dire, ideale
que'
diversi indirizzi a cui è riescito
nel presente secolo
il
nostro pensiero filosofico. Ci è il
Bruno, mi si dirà
subito.
Ed io lo so: ma so pure esser
egli una cometa,
com'
ebbe a cliiamarlo Hegel ; una cometa
assai più
solitaria
che non sia stato il Vico. E
poi '1 frate Nolano
è
panteista, checché ne dica il Ritter
ed uno de' suoi bio-
grafi di
Francia; e il panteismo, qual che ne
sia la forma
anche
passata per la sottil trafila de'
nostri hegeliani,
non par
cibo pel nostro stomaco, né soddisfa
all' esi-
genza
modesta di nostra mente, appunto perchè
pecca
d' eccesso.
Che se noi vogliamo dir panteista, ad
ogni
modo
parmi non si possa accettare come
rappresentante
del
pensiero nazionale, stantechè la forma
della specu-
* Più
d'una volta il Willin osserva che la
filosofia germanica data
dal
Uibnitz. (ITiat. de la Phil. Allem.y
t. I, Introa. p. 18.) Della mede-
sima
sentenza sembrano lo Schmidt, di cui
abbiamo riferito neir antece-
dente
capitolo un giudizio a questo proposito,
il Cousin e lo Janet nelle
opere
innanzi citate, il Rcmusat [De la
Phil. Allem.), e specialmente lo
storiografo
Barchou de Pcnhotìn, il quale inoltre,
quant' alla nniversa-
lità dell'
ingegno, chiama Leibnitz il filosofo
conciliatore per eccellenza, —
I Vedi
Hit. ds la PhU. depuU leibnitzjiuqu'a
Hegel; Voi. 2. p. 181 , Paris 1836.
lozione
in lui non s'addimostri pienamente
determinata.
Il
Bruno rappresenta T indole stessa del
Rinascimento:
la
lotta, r opposizione, T aiFermazione di
più cose con-
trarie, e,
in somma, l'eterogeneità del pensiero:
talché
nel
leggerlo e meditarlo non sai dire se
1' assoluto in
lui
sia la natura, ovvero un quid
superiore alla natura.
Ci è
anche il Campanella, altri soggiugnerà. Ma,
a non
imboscarci
qui in troppe sottigliezze, basti notare
come
I nel
frate di Stilo faccia difetto l'aspetto
istorico, manchi
I il
concetto e quindi '1 bisogno della
storicità, eh' è per
l'appunto
la febbre del secol nostro, e il
pregio mas-
simo del
Vico. E poi quel senso universale, eh'
è proprio
la
novità del filosofo calabrese, è concepito
in maniera
quasi
meccanica, nel che conviene lo stesso
Spaventa.
Finalmente
il Campanella è un filosofo ddia
restaura^
zione
cattolica, secondo che con verità ha saputo
desi-
gnarlo il
medesimo Spaventa; e tanto meno quindi
potrà
servire
ad un disegno istorico di filosofia.
— Vi è pure il
Pomponazzi.
Ma l'originalità del filosofo mantovano è
doppia;
e riguarda il gran valore ch'egli (a
preferenza
r di
tutt' i filosofi del Rinascimento) dà
al concetto della
vita
pratica, secondo l' osservazione del Ritter
; e l' esser
egli
poi uno schietto materialista, come credono
i più.
Ora un
concetto pratico della vita senz'un
concetto
teoretico
rispondente, non istà; né, d'altra parte,
il
materialismo
ci sembra dottrina che possa scorgere
i
passi
del critico nella storia del pensiero
italiano. Il
Pomponazzi
schietto materialista é una cometa, non
meno
del Bruno panteista. — Citiamo ancora
un altro
nome:
il gran Galileo. Ma, comecché egli
giugnesse ad
accordare
mirabilmente una canna di quell'organo che
a
lui
parve scordato, ninno dirà che il
massimo restaura-
tore della
scienze fisiche fosse un metafisico. — Vogliamo
invocare
san Tommaso? Dapovolgeremmo la storia;
come
precisamente incontr' agli odierni tomisti e
scola-
gizzanti. —
Ci è, finalmente, il Cusano, che potrebb'
es-
ser davvero
segnalato come l'antecedente della nostra
moderna
filosofia, massime considerando que' due
prin-
cipii
ond'ei si disceme da ogn' altro filosofo:
cioè il
concetto
negativo, ma altrettanto necessario in
filo-
sofia, della
dotta ignoranza; e il concetto positivo
del-
l'Alterità
opposta all'Unità, nonché della connessione
intima
(coinplicatio) di tutto nel tutto. Ma
Niccolò di
Cusa,
non ci appartiene.
Chi volesse
quindi rimontare più in su del Vico,
non
potrebbe
fermarsi a questo piìi che a cotesto
filosofo
del
Rinascimento; sia perchè la filosofia d'
alcuni d'essi
non
racchiude in sé tutte le esigenze del
moderno pen-
siero
italiano; sia perchè certi altri
evidentemente danno
in
errori, e però, scambio d'illuminare, ci
abbuierebbero
il
cammino; sia finalmente (ciò che più
monta) perchè
l'impossibilità
di risalirvi si radica sopratutto nel
ca-
rattere
stesso, nella stessa natura di quel
periodo filo^
sofico
e della speculazione di que' filosofi. Mi
spiego.
Nella
storia del nostro pensiero filosofico l'
età del Ri-
nascimento
ci rappresenta, come dire, il conato
vivace,
l'energia
profonda e la forza per quanto
rigogliosa della
speculazione,
altrettanto indisciplinata e intemperante.
Or chi
pigliasse a risalirvi, sarebbe costretto
guardar
que'
filosofi nel loro insieme, avvisarli nel
significato
complessivo
delle svariate ed opposte loro tendenze,
e
queste
venir ragunando, integrandole e compiendole
nel
Vico.
U che quando potessimo qui fare, non
mancherebbe
neanche
a noi modo a riempiere più capitoli
di riscon-
tri ideali
fra lui e il Vanini, il Campanella,
il Bruno,
e, più
in su, il Ficino, il Pomponaccio,
l'Achillini, il
Nifo,
lo ilabarella, il Cesalpino, il Porzio,
e simili. Ma
che
cosa avremmo concluso di po&itivo con
le facili
architetture
de' riscontri ideali? Un vincolo ideale
tra
il
Vico e il Rinascimento si può forse
più agevolmente
I rinvenire
considerando i suoi principii psicologici;
ma,
quant'a metafisica,
ei si collega direttamente, come
s' è
detto, col Cartesianismo. — A chi poi
talentasse mo-
vere da
qualche filosofo posteriore al Vico, e
sia per
esempio
il Galluppi, evidentemente comincerebbe senza
antecedenti
nostrani, e, a spiegarselo, dovrebbe
riferirsi
alla
scuola Scozzese, al Locke, al Criticismo
e che so io.
Vogliamo
dunque ritrovare un centro, sia pur
ideale,
a cui
riferirci nello studiare con intendimento
critico il
nostro
moderno periodo filosofico? Non e' è
altra via che
questa:
far capo dall'Autore della Sdenta Nuova.
Chi
sapesse
o potesse additarcene altra più acconcia,
gliene
sapremmo
grado. Torniamo intanto al nostro
proposito.
Anche
sotto un altro rispetto il Leibnitz
appare più
fortunato
del Vico: egli esercitò efficacia
grandissima
su la
Germania e su T Europa. Checché
infatti ne dica
il
Ritter a tal riguardo, è noto come
dal concetto mo-
nadologico
partisse quella doppia direzione in clie
poi
s' è
venuto svolgendo il pensiero filosofico
tedesco. *
• Si
può dire che Wolflo, Reimarus, Baumcarten,
Bilfinger, Meyer,
e
potremmo anche citare i nomi di
Mendelssonn, Winckelmann, Lessine,
Herder,
Hamann Ano ad Eberhard e al Platner,
svolgessero un aspetto del
concetto
leibniziano ueirarte, nella religione, nella
filosofia, nella storia, in
parte
esagerandolo, opponendosi a vicenda, e a
vicenda compiendosi. Kant
poi,
che non manca d'aver attinenza col
Lambert e col Tetens, i quali a
lor
volta per mezzo del Wolfianismo si
ricollegano col Leibnitz, ne ri-
piglia r
altro aspetto, e genera siifattamente un
indirizzo assai più ori-
ginale e
più rigoglioso; il quale movendo dalla
posizione del Criticismo
e
passando pel Subbiettivismo Fichtiano, giugne
all'Idealismo obbiettivo
di
Schelling, chiudendo il proprio circolo
nell' Idealismo obbiettivo e as-
soluto di
Hegel. Il Gioberti fra noi s'avvide
d'una relaziono tra Leibnitz
e Kant
laddove osservò che quel filosofo,
attribuendo ad ogni monade
creata
la prerogativa delia monade increata^
spianti la strada alla Jtlo-
Hojìa
critica donde u»ci poi il panteismo.
{Errori FU. fip. 443.) La ragione
data
qui dal Gioberti non sarà molto
accettabile; ad ogni modo egli s'ac-
corse deir
esistenza e della necessità d' un legame
fra i due filosofi. Anche
Spaventa
ha osservato che il Leibnitz prevenne
il Kantismo in maniera o/V>-
ristica
e popolare col suo concetto della
monade. (La FU. di Oiohertif p. 103.)
Più
chiaro e più accoucio di tutti
sembraci il modo col quale il
Chalibosus
pone
relazione fra' successori di Leibnitz.
Kant, egli osserva, col con-
cetto della
cosa in s?, col noumeno, nega
Leibnitz; la scuola di Jacobi
con r
ide& d* un contenuto razionale
accessibile solo al sentimento, s' op-
pone
all'idealismo critico di Kant, e nel
medesimo tempo all'idealismo
subiettivo
di Fichte; mentre la scuola di
Herbart col realismo delle mo-
nadi e
col realismo psicologico, si oppone
all'idealismo obbiettivo e as-
luto
di Schelling e di HegeL (Willm, Op.
cit., p. 87.) Questi due gruppi
rappresentano
un doppio svolgimento del pari esclusivo
del concetto mo-
Men
fortunato del Leibnitz il Vico non
ispiegò gran-
d' efficacia
in Italia, nettampoco in Europa, per
le ra-
gioni ormai
dette e ridette da' suoi critici ed
espositori.
Ma
anche in questo gioverebbe guardarci dal
cadere in
esagerazioni.
Posta la storia della Scienza Nuova
da noi
tracciata,
nessuno, crediamo, vorrà più oltre dubitare
che
l'azione
del filosofo italiano fosse stata nulla,
così ne' suoi
contemporanei,
come ne' suoi seguaci. Legami intimi,
vincoli
speculativi necessari, storici, nou vi sono
; e quindi
è
inutile cercarvi continuità e processo
veramente detto.
Il
Genovesi e '1 Galluppi, per dire un
esempio, tutto-
ché non
ignorassero, in ispecie il primo, le
opere di lui,
scrissero
non pertanto come s' egli non fosse
esistito al
mondo
mai. Verso il sesto lustro del
presente secolo, in
quella
che co' seguaci di Hegel comincia a
declinare il
moto
filosofico originale di Germania, e in
Francia come
in
Inghilterra odonsi i primi rumori del
Positivismo,
vedemmo
come anche fra noi si cominciasse a
sentir
più
acuto il bisogno al filosofare. E
cosi il Mamiani
(il
Mamiani del Rinnovamento), e quasi nel
medesimo
anno
il Rosmini, si provano a rannodar gli
anelli della
nostra
tradizione filosofica, ma con efficacia
assai lieve.
E dico
lieve, perchè, quantunque ella ingagliardisse
vie
più
col crescer degU anni e col
succedersi de' nostri filo-
sofi, non
pertanto pretendere di stabilire in essa
tradi-
zione un
vero processo ed una continuità logicamente
progressiva,
a me sembra vana impresa e, fino
a certo
punto,
anche infruttuosa. Giova ripeterlo: a voler
rin-
tracciare
alcun filo di cotesta tradizione in
maniera posi-
tiva, ciò
è dire storica, né soltanto ideale,
io per me non
iscorgo
altra via tranne quella che noi
abbiamo, anziché
percorsa,
additata; intendo la via che dal Vico
ci mena
ai
nostri ultimi filosofi, ma per mezzo
de' giusnatu-
oadologico;
ma vi ò certamente un progresso fra
1 rappresentanti del
primo
e qaelli del secondo. Vedi per le notizie
particolari di questo
periodo
fllotollco tedesco il Barohoc dr Ponhoem,
Hìh, de la Phil. depuU
UibnitK
juMqu'à Hegel. — BuuLE, Hi9t. de la
PhU,, voi. Vili.
ralisti,
de'sociologisti, de'critici e degli storici
attraverso
i tre
differenti periodi già discorsi. Altre vie
ci saranno,
io lo
so; ma tutte artifiziali, tutte pericolose,
tutte vuote
0
rigonfie de' soliti riscontri ideali che
agli occhi dello
storico
e del critico positivo valgono fin' a
certo segno.
Con la
qual cosa non è a credere che
noi pretendiamo
dare
alla filosofia italiana caratteri e
prerogative eh' ella
non
ha, né può avere di fronte a
quella di Grermania.
Il
professore Spaventa osserva, che la
filosofia italiana
non
costituisce processo, né assomiglia, per
così dire, ad
un
filo che si sgomitoli necessariamente e
razionalmen-
te, com'
é quello che in organismo vivente e
palpitante
annoda l'
Idealismo critico con l' Idealismo assoluto,
mercé
l'Idealismo subbiettivo di Fickte e
l'Idealismo
obbiettivo
di Schelling: non é, in somma,
unevolturìone
strettamente
logica, un dispiegamento serrato, compatto,
e come
chi dicesse inquadrato e chiuso tutto
in sé me-
desimo com'
una severa dimostrazione geometrica. Il
professore
di Napoli dice benissimo. Questo oggi
dicon
tutti;
e questo medesimo ripetiamo anche noi.
Sola-
mente
chiederemmo: non potrebbe stare che cotesto
filar
compatto e processuale; che coteste
filiamoni se-
riali, com'
ha detto lo Spencer ai Positivisti
francesi;
che,
in somma, coteste annodature organiche,
conside-
rate (già
s'intende) nell'ordine istorico, fossero per
avventura
altrettante immaginazioni del nostro cervello,
meglio
che relazioni di fatto a cui ci
spinga la ragione,
meglio
che attinen/ie concrete in cui ci
confermi la
storia?
Annodamenti, giunture, articolazioni intime for-
mano di
certo il pregio massimo della Scienza;
costi-
tuiscono r
essenzial condizione del sistema ; sono
la vita
della
ragione, avvisata come funzione filosofica
e meta-
fisica. Ma
si vorrà dire che tutto ciò sia
anche pregio
e
condizione vitale ove dall'ordine astratto
e teore-
tico e
individuale si discenda in quello delle
applica-
zioni e
della storia, per esempio ad un
periodo storico
nel
quale ci sia dato assistere all'opera
svariata di
molti
ingegni, al lavoro molteplice di più
menti fra loro
diverse
per infinito numero di condizioni,
condizioni
differenti
per luogo, tempo, educazione, carattere
indi-
viduale, e
civiltà? È egli pregio, di grazia, o
non più ve-
ramente
difetto il prendere un dirizzone e
andare sino
in
fondo diritto come fil di spada? E
dov'è, dunque,
la
necessaria moltiplicità di direzioni, e
quella ricchezza
d'aspetti
differenti, e quella varietà di vedute
e di metodi
e
dottrine in cui risiede, a dir
proprio, il moto e l' essere
e la
vita feconda della storia? I quattro
filosofi di Ger-
mania
costituiscono, come dire, una mente sola,
un sol
pensiero;
formano quasi un sol uomo che svolga
e deter-
mini la
propria attività: e, in effetti, come
un sol uomo
essi
hanno saputo filar sillogismi e tesser
la scienza
cosi
da comporre, sto per dire, una catena
salda e com-
patta di
soli quattro anelli.* Per contrario la
filosofia
italiana
non ci pone sott' occhio nulla di
simile. Ella non
è un
processo, o al più è un processo
distratto, rotto,
saltellante,
fatt'a pezzi e a bocconi, Qual
relazione
mai
tra Vico e il Galluppi? tra Galluppi,
Rosmini e
Gioberti?
tra Gioberti e lo scettico Ferrari?
fra Ausonio
critico
radicalissimo, e il cattohcissimo Conti?
fra il neo-
platonico
Mamiani e il severo storico Bertini ?
fra' nostri
Hegeliani
e i nostri redivivi Tomisti?
Riconosciamo
francamente i pregi del periodo filo-
sofico
germanico; e non meno francamente
riconosciamo
i
difetti della nostra moderna filosofia
considerata sotto
r
aspetto storico. Ma ci si permetta
una confessione, ed è
che
noi saremmo tentati a scegliere più
presto questi di-
fetti,
anziché que'pregi ; per la semplice
ragione accennata
poco
fa, che gli uni, nella mancanza
d'unità e d'un'euriti-
mia
stecchita e geometrica, ci presentano il
fecondo moto
* Ecco
come il Remnsat riduce quasi a forma
geometrica V anda-
mento
progressivo del pensiero germanico, o
meglio, de* quattro filosofi
in
discorso : L* idea^ dice Kant, non
prova che «d «fe««a : V idea^
ripigìiè
Firkte^
produce Veuere: Videa, soggiunte Schelling^
riproduce V e«itcrc : V idf^,
eondwe
Hegel,, > Vetsere. (De la Phil.
ÀUem,, p. 45.)
del
fatto istorico, dovecchè gli altri, nell'
evoluzione
serrata
e compassata di loro speculazioni, ci
traggono e
e'
incatenano allo spirito dommatico, esclusivo,
unilate-
rale del
filosofare, e perciò medesimo racchiudon la
morte
del
pensiero appunto perchè presumon di
chiudere il
circolo
dello stesso pensiero. Non dimentichino gli
ama-
tori de'
periodi storici filati e serrati, come
la storia
della
scienza e delle grandi età, presso
cui rifulse più
splendido
il pensiero filosofico, stia tutta contro
di loro.
Si
rammentino che nell' età gloriosa del
Rinascimento in
Italia
cotesto filar sottile di speculazione,
cotesto fitto an-
nodarsi di
più scuole e stringersi e allacciarsi
di più filo-
sofi
impersonandosi quasi in un sol filosofo,
non ebbe
luogo.
Non ebbe luogo, checché se ne dica,
nel più celebrato
periodo
che ci presenti la storia del
pensiero umano, il
periodo
della filosofia greca, né prima né
dopo Socrate;
ma in
esso il critico vede una moltiplicità
sempre più
crescente
e feconda da' primi Ionici agli ultimi
Stoici, agli
ultimi
Scettici, agU ultimi Neoplatonici, tuttoché
quelle
scuole
così differenti si fossero succeduta sotto
l' impero
d'una
legge universale, storica e psicologica
insieme.^
*
Questa legge conforme alla quale si
venne svolgendo il pensiero spe-
culativo
nelle scuole greche, possiamo trovarla
accennata dal Laerzio
(come
hanno osservato il Brandis e il
Ritter) là dov^egli afferma che
presso
quei popolo la filosofia sMniziò con
la nozione d*una pluralità^ indi
venne progredendo
con quella d* un' assoluta um'rà, e
appresso cercò di
stabilire
una relazione fra' due concetti. E questi
caratteri, in generale,
ci
additano veramente la scuola ionica e
pitagorea, la scuola eleatica
e poi quelle
d'Anassagora e d'Empedocle; ma sempre in
maniera esclu-
siva,
grossolana, oggettiva e naturale. La
comparsa di Socrate segna
un
ricorto della medesima legge, ma con
ben altro significato e indirizzo
razionale.
Accanto a lui vediamo sorgere la
Sofistica: il che vuol dire che,
oome
in ogni ritorno istorico, nel 2fi
periodo della filosofia greca ha luogo
un
doppio lavoro di demolizione e di
ricostruzione; l'uno rappresentato
da'
Sofisti» l'altro da' Socratici. Ond'è che
la sofistica né vuol esser avuta
in
dispregio, come' fanno alcuni fra'quali il
Ritter, e nemmanco esage-
rarne il
valore e l'importanza isterica secondochò
fanno altri, per esem-
pio
l'Hermann, col porre i Sofisti a capo
d'un periodo novello di filoso-
fare. Nella
storia del pensiero greco (passaggio al
2o periodo), tanto
vale
un Sofista, quanto un Socratico; appunto
perchè se la negazione del
primo
non è annullamento di speculazione,
l'affermazione del secondo non
Un
vincolo storico, reale, positivo, cosciente,
lo tro-
viamo fra
Platone e Aristotele. Al di qua e
molto più
al di
là de' due luminari non ci ha
che relazioni ideali,
gran
numero delle quali è, piò che altro,
l'effetto
della
critica armeggiona di certi storiografi;
essendo
già
note le spostature a comodo che son
venute muli-
nando certe
fantasie hegeliane dietro l'esempio del
maestro,
ponendo, per dime una, dopo la scuola
Zeno-
niana d'
Elea quella d' Eraclito, con aperta
smentita
della
storia, de' fatti, della cronologia e
de' dati storici
più
sicuri, e considerando Socrate, per dirne
un'altra,
come
logicamente posteriore ai Sofisti, mentre è
noto
.come
il gran figliuolo dell'umile Fenareta fosse
loro
contemporaneo!
Rammentiamoci che cotesti lambicchi
e
distillatoi, cui si pretende sottoporre la
storia, non
ti può
dir neanche posizione sistematica, ovvero
esplicazione organica d'nn
dato
ordln d' idee. Ma la ricostmzione
rappresentata da Socrate è essen-
zialmente
psicologica ed etica, non più naturale,
empirica ed estrinseca ;
stantechè
in loi, come incontra in ogni ricorto
ttoricOf ripetesi il ca-
rattere
della pluralità oggettiva (però come
eoncetH, i quali importano
la
coscienza), e quindi in Platone ed
Aristotele si ripetono, ma trasfl-
gorati,
gli altri due caratteri. Platone infatti
pone V unità assoluta in
8Ò,
mentre che Aristotele si studia ritracciare
una relazione fra quel-
la mmo
e il moluplieet sforzandosi di levare
il dissidio fra 1* immanenza
deU*a8ffoInto
nel mondo, e la permanenza del mondo
neir assoluto avvi-
sato in
sé stesso. Dopo il *i<* periodo,
al solito, un altro ricorto^ ma di-
verso da'
due primi; essendo che ben altre e
assai più complesse e più
disparate
cagioni promossero la filosofia greca,
neoplatonica e giudaica.
1!
prof. Bertini nel suo ultimo lavoro
ha accennato con verità a' tre ca-
ratteri per
cai si distinguono i tre periodi, o
meglio i tre ricorsi del
perìodo
filosofico del pensiero greco: nel ì"
delquali predomina il natura-
lismo; nel
2« primeggia la dialettica e T
antropologia; nel 3" finalmente
prevale
il tradizionalismo e il misticismo. Quel
che importa notare è
questo;
ohe cotesta legg«, sia che la
s'intenda nella forma datale dal
Bertini,
o in quella da noi rapidamente
accennata seguendo V idea di Dio-
gene
Laerzio, non è legge dialettica^ a
priori^ oMoluta e neanche orga-
nica, nel
senso che pretendono gli storiografi
Hegeliani. È una legge a
cui
soggiacciono, come vedremo, tutte quante le
scienze ; ma è di natura
essenzialmente
psicologica, perchè ritrova nella psicologia
ogni suo fon-
damento,
precisamente come la gran Ugge tetoriea
del Vico, della quale
essa
non è altro, com'è facile capire, che
un'applicazione allo svolgi-
mento del
pensiero filosofico greco.
ebber
luogo nel periodo della Scolastica, appo
cui No-
minalisti e
Realisti, Tomisti e interpreti aristotelici
arabi,
greci, latini e italiani, comecché avvinti
al giogo
della
fede, compieron ciò nullamanco tale un
lavoro di
riflessione
teologica svariata, senza cui sarebbe stata
im-
presa vana
ogni risorgimento nel secolo XV e
XVI; il
perchè
un dotto critico non dubita segnalare
il risultato
generale
del periodo scolastico come la prima
insur-
rezione
dello spirito moderno contro V autorità.^
E ri-
cordiamoci,
finalmente, che cotesta vagheggiata e acca-
rezzata
maniera di processo non ha avuto
luogo nel
periodo
supremamente ricco e rigoglioso del
Cartesia-
nismo nel
secolo XVII.*
Se
adunque tali sviluppi compatti e serrati,
e questo
considerare
più scuole come una sola scuola, e
più menti
com'una
mente, e più sistemi come un sistema,
non
ha
potuto aver luogo in veruno de' più
segnalati periodi
storici
della filosofia, non è da concludere
che, se pur
nei
tempi moderni ciò ha potuto verificarsi
in Germania
dal
1760 al 1830, non altro sia stato
che una bella ec-
cezione? Ora
un'eccezione non vale a confermarci nella
regola?
0 presumeremmo forse d'elevare a dignità
di
legge
un'eccezione? Se non che, cotesto innalzare
a leggi
le
eccezioni non ci arreca punto maraviglia.
La preten-
sione di
chi celebra la misurata compattezza della
specu-
lazione
germanica è una conseguenza che pullula
im-
prescindibilmente
dalle viscere del sistema nel quale,
per la
necessità di una stessa legge, il
concetto dell' in-
dividualità
sfiima, assorbita dal generale, e riducesi
ad
apparenza,
a fenomeno, ad accidente, così nell'ordine
ideale
e speculativo, come nell' ordine civile,
politico e
sociale.
— Ma dunque (mi si chiederà qui)
vorreste voi
*
Barthblkmy Saint-Hilairb, i>0 la Log,
d^Ari»U^ T. U,
19^.
' n
Barchou de Penho^ln dice anche lui
non di rado, come il Boul-
lier,
qualche enormità tutta francese. Per
esempio questa, che Cartesio,
Spinoza
e Malebranche formino una mrd4>nlmn
icuofa^ e una ntf^itm dot'
trino/ —
Vedi Op. cit., p. 101.
discredere
ad ogni processo istorico nel pensiero
filoso-
fico? Tutt'
altro! L'esigenza del processo, in tutto,
non è
meno
salda e men vivace nella nostra, che
nella vostra
mente.
In noi non sistematici assoluti eli'
è piii vera,
più
legittima, più pratica, positiva : ecco
la nostra pre-
tensione.
Sarà puerile o troppo ardita cotesta
pTeten-
sione
: ma, fra tante pretensioni che c'è
al mondo, e delle
quali
si mostrano cotanto ricchi gli annali
della filo-
sofia, non
ci potrà capir anche questa? Un
processo nel
pensiero
filosofico, tanto nella storia universale
come
ne'
suoi differenti periodi e sin nelle
diverse scuole d'un
sol
periodo, ci ha da essere; e ci
ha da essere appunto
perchè
la storia, anche agli occhi nostri, è
sempre
l'opera
d'un disegno. Ma poiché l'incarnazione di
co-
testo
disegno non è soltanto effetto di pensiero
inco-
sciente, ma
è la risultante di condizioni molte,
svariate,
complesse
per numero e complicate per natura,
fra cui
signoreggiano
le intuizioni, prevalgono i sentimenti,
pri-
meggiano le
tendenze istintive; ne seguita che il
pro-
cesso non
può manifestare, come si pretenderebbe, una
forma
squisitamente organica e seriale, Ei debb'
essere
incompiuto,
com' avviene d' ogn' altro fatto storico.
Or
s'egli
è incompiuto, non bisognerà pur compierlo?
E chi
potrà
compierlo, chi potrà integrarlo fuorché il
pensiero
che lo
studia e sommette alla propria
speculazione?
Un
processo dunque ci ha da essere; ma
ha da
essere
insieme obbiettivo e subbiettivo, storico e
specu-
lativo,
essendo l' opera combinata non già dalla
nostra
fantasia,
com' è vezzo di certi storiografi che
annodano,
per
esempio, Cartesio e Kant co' fili ch'ei
sanno mae-
strevolmente
rimaneggiare a tutto lor profitto, bensì
r
opera combinata fra il pensiero che
fa, e il pensiero
che,
facendo, vede, scopre e progredisce e
sale sempre
più in
su. Spieghiamoci meglio. Non si tratta
di com-
binare fra
loro le diverse menti de' filosofi d'un
dato
periodo:
si tratta di combinar tutto il
periodo, o, per
lo
meno, i risultati di tutta la
speculazione d' un dato
periodo
filosofico, con noi medesimi, cioè con
la nostra
mente,
co' bisogni della presente speculazione.
Nel primo
caso,
plasmando a nostra immagine e simiglianza
una
data
serie di dottrine e di filosofi, la
storia sarebbe
fatta
da noi : nel secondo, invece, ella
sarebbe fatta mercè
una
doppia forza, in virtù d'una doppia
leva; cioè da
sé
stessa, e anche da noi. Non è
quindi la storia, la
storia
come storia, quella che possa e deva
render com-
patto
organando appuntino il processo; il quale
perciò
non
può esser costituito nella sua forma
organica da più
scuole
e da più menti considerate queste
alla maniera
d'una
scuola od' una mente; bensì dev'esser fatto
tale
da
chi, venendo dopo, è deputato a
raccoglierne l'ere-
dità. Se
non fosse così che cosa ne
seguirebbe? Ne
seguirebbe
che per nessun miracolo al mondo
sapremmo
salvarci
da questa conseguenza: che, cioè, la
storia
della
scienza s' identificherebbe, si compenetrerebbe
con
la
scienza stessa;* e quindi per inevitabil
necessità do-
vremmo
giungere ad uno di questi due
corollari: cre-
dere, cioè,
0 che il sapore filosofico 1' avremmo
oggi
beli' e
conseguito, o che noi conseguiremmo
giammai,
essendo
indefiniti i limiti della storia. Dimodoché
do-
vremmo,
com'è evidente, imbrancarci o con gli
Hege-
liani,
ovvero co' Positivisti. E, se co' primi,
non avremmo
torto
dijicantar su tutt'i tuoni d'aver già
piantato le
colonne
d'Ercole; né, se co' secondi, c'inganneremmo
menomamente
nel predicare illusorie le speranze d' un
sapere
propriamente scientifico e metafisico.
La
condizione dunque del processo istorico del
pen-
siero
filosofico non istà nell'esserci fUicusione
e continuità
ne' suoi
rappresentanti: basterà che ci sia
svolgimento
e
progresso, e quindi vincoli ideali ove
sieno impossi-
bili gli
storici; i quali non di rado è
impresa ben vana
il
cercare, non potendo esistere, o, pur
esistendo, non
* È
questo, coni* è noto, ano de* dommi
supremi deU* Hegeliauismo,
(Tedi
Hrocl, Logique^ Introd, § XIII) e del
Positivismo, tuttoché il si-
gnificato ne
sia diverso. —-Vedi CoirrB e Littbì
nelle Op. innanzi citate.
sarebbero
che eccezioni. Anche noi quindi crediamo
che
nella
storia della filosofia c'è attinenze; ma
aggiungiamo
che
c'è anche salti: e se c'è attinenze
e salti, la conse-
guenza
(conseguenza buona solamente per noi,
anziché
per
gli aggomitolatori e sgomitolatori de'
periodi storici)
è
questa, che una critica è necessaria;
necessaria una
critica
filosofica atta a scoprire le une, e
colmare gli
altri.
Tornando ora al proposito, nella storia
della filo-
sofia
italian«r ci è salti, per esempio,
fra Bruno e il
Vico,
fra il Vico e il Galluppi, fra
il Galluppi e il
Rosmini
e il Gioberti: ma non ce ne
maraviglieremo
per
ciò, sapendo che se questo non è
pregio, non può dirsi
nemmanco
difetto. Poiché il punto, ad ogni
modo, sta
nel
vedere se tomi possibile scoprirvi una
progressione
ideale;
e questa per appunto debb' esser l'opera
con-
corde de'
viventi filosofi, e il frutto d' una
storia savia-
mente
critica.
Nulla
infatti è inutile nella storia della
scienza, e
tantp
meno in quella della filosofia. Agli
occhi dello
storico
spiegano egual valore tanto il moto
speculativo
attuatosi
dal Leibnitz ad Hegel, quanto quello
che, pur
con
varietà d'indirizzi, è venuto effettuandosi
fra noi dal
Vico
al Gioberti. Nello svolgersi di*questi due
periodi
filosofici
potremo verificare una gran legge; la
legge
medesima
che presiede alla storia generale del
pensiero
filosofico.
Mi spiego subito e in brevi termini,
anticipando
un'
idea che altrove giustificherò. Platonismo
e Aristote-
lismo sono
due parole di significato altamente
compren-
sivo per
la storia della filosofia occidentale. Non
sola-
mente elle
racchiudono una legge che ritrae la
natura
del
processo isterico della filosofia,* ma
cotesta lor legge
è
anche principio, un principio d'indole
teoretica. Non
v' è
infatti, né v' è stato filosofo, il
quale non si possa
dir
seguace dell' uno o dell' altro
indirizzo, ovvero
d'entrambi,
ma accordati e accostati insieme in
uno
* Tedi
la nota di qaesto medesimo Cap. a
pa^. 196.
de'
tanti modi tentati e ritentati già
fino da antico, a
contare
da Cicerone a Boezio, da Boezio a
Bessarione,
e
dagli altri molti che nel Rinascimento
si provarono
in
simili accordi, fino al Rosmini. D'altra
parte chi
pigli
per poco a filosofare con serietà
scientifica an-
ziché da
burla, come par che vogliano fare
oggi critici e
positivisti,
non può a meno di non riconoscer
nelle cose
un fondamento
assoluto. Ora tal fondamento assoluto non
può
esser posto tranne che in uno di
questi tre modi: o
nel
senso dell' idea platonica, o nel
significato della cate-
goria
aristotelica, ovvero in una terza maniera
nella quale
tomi
possibile un accordo fra l'esigenza
dell'uno, e quella
dell'
altro indirizzo. Qual debba esser la
natura di tale
accordo
e come porlo in opera, diremo
altrove. Qui giova
avvertire
che siffatta legge non solo racchiude
il nodo,
per
così dire, della storia della filosofia,
tanto guai-data
neir
insieme del suo svolgimento universale
quanto nei
suoi
particolari periodi, ma costituisce ad un
tempo la
vera
scienza della storia del pensiero
speculativo, appunto
perchè
forma il triplice aspetto sotto cui
può esser con-
siderata in
sé medesima la mente del filosofo
nella so-
luzione del
problema metafisico. Si dirà per avventura
che
cotesta maniera di considerare la storia
del pensiero
filosofico
sia merce hegeliana? Può darsi che in
appa-
renza la
si dimostri tale. Ma fin d'ora
avvertiamo che
cosiffatto
principio è superiore all' hegelianismo stesso,
in
quanto costituisce il criterio col quale
potrà esser
giudicato
il valore speculativo di quel sistema.
Tornando
al proposito, posto il Cartesianismo, Leib-
nitz e
Vico non potevan essei-e, e nel fatto
non sono,
né
puri platonici, né puri aristotelici. Essi
bensì ci espri-
mono il
conato verso un accostamento scambievoli
dei
due
indirizzi; tale essendo il valore della
loro universa-
lità, e
di quella sintesi confusa ond' inaugurano,
come
avvertimmo,
i due periodi moderni della filosofia
te-
desca e
italiana: i quali perciò, rappresentando
l'ana-
lisi,
costituiscono il lavoro a cui
necessariamente con-
duce
quella sintesi. Invero dopo Leibnitz in
Germania
e dopo
il Vico in Italia, la filosofia
assume, tanto nel-
l'uno quanto
nell'altro paese, il vecchio contenuto, ma
sotto
novelle forme: da una parte, la
filosofia fondata
nel
sentimento, e l'idealismo assoluto; dall'altra,
lo
psicologismo
scolastico, e l'ontologismo: indirizzi più
0 meno
esagerati del platonismo e dell'
aristotelismo.
E
lasciando qui de' due aspetti vieti della
filosofia ger-
manica e
dell'italiana, le due forme che in
esse ad-
dimostrano
più spiccata originalità rassomigliano quasi
a due
correnti che riescono a due punti fra
loro op-
posti e
contrari, e sono la filosofia ctisiologica,
e quella
dell'assoluta
identità. Se nella prima vi è, come
s'è
detto,
processo e continuità di sviluppo ;
nella seconda
non
manca già un carattere comune tra i
suoi propu-
gnatori, n
Teismo fra noi è venuto assumendo
evi-
dentemente
forma sempre più netta, meno impaccia-
ta, men grossolana;
perchè se il concetto religioso,
per
dime un esempio, agli -occhi del
Galluppi e del
Rosmini
e del Gioberti costituisce un elemento
essen-
ziale
nell'organamento del loro sistema, la
rdigion civile
di cui
ci parla il Mamiani, è una parola
com' un' altra;
una
parola che non dice nulla, o
pochissimo; e pure
ha
fatto e fa tanto comodo all' autore
! Questo processo
e
questo risultato della filosofia itaUana è
come una
risultante
di più forze: fra cui è da
notare innanzi
tutto
r educazione storica tradizionale e
cattolica, la
forma
e natura speciale dell'ingegno italiano non
così
facile,
come dissi, a dar negli estremi, e
segnatamente
gl'influssi
della stessa filosofia germanica. Queste ed
altre
cagioni partoriscono il movimento filosofico
in
Italia
nel nostro secolo. Il pensiero filosofico
nostrano
(e qui
han ragione gli Hegeliani) è venuto
promosso,
eccitato
dal pensiero germanico ; a quel modo,
potremmo
dire,
che le diverse forme di filosofia nel
XV e XVI
del
nostro Risorgimento vennero eccitate dal
sùbito
risvegliarsi
della filosofia greca e platonica; da'
com-
Aatori
arabi e aristotelici delle scuole di
Padova,
/bologna,
di Firenze. Il Criticismo esercita grande
Zone
sili GaJluppi; e le tre forme
dell'Idealismo ger-
n/anico,
subbiettivo obbiettivo ed assoluto, spiegano
alla
lor volta influssi potenti, immediati sul
Gioberti e
sul
Rosmini, come ci dimostrano la Protologia
del primo
e Ja
Teosofia del secondo, e anche in gran
parte sul
Msaniani.
Ma se è vero, com' è verissimo,
che i nostri
filosofi
han procacciato d'ormeggiare i Tedeschi, e
questi
sono
valsi ad eccitare in quelli piìi
gagliarda la virtù
speculativa;
è altrettanto vero che gì' Italiani mai
non
cessaron
di combattere le pretensioni sistematiche
as-
solute del
Germanismo; e questo è un altro
carattere
comune
che li distingue. Si può dire, in
somma, che
il
pensiero italiano sia venuto affilando le
armi nella
fucina
dello stesso avversario: ecco tutto.
Di chi
sarà il trionfo? Chi canterà gl'inni
della
vittoria
?
Parliamoci
tondo e netto. Il trionfo dell'
Ontologi-
smo e
del Neoplatonismo, come ci è dato da'
nostri filo-
sofi, è
un' illusione ; ma non sarà meno
illusione il
trionfo
dell' Idealismo assoluto. Noi dunque non
faremo
festa
ne all' uno ne all' altro, né
batteremo le mani alla
vittoria
del Grermanismo né dell'Italianismo, per la
semplice
ragione che in siffatt' ordin di cose
le credute
vittorie
ci paiono sogni di menti ammalate.
Queste due
scuole,
queste due filosofie (ci sia permesso
stringerle
entrambe
sotto due concetti o indirizzi distinti)
ci rap-
presentano
la speculazione ardita del nostro secolo;
ma
per
opposte ragioni si dilungano entrambe dalla
casti-
gatezza
della sintesi ontologica, discostandosi in
pari
tempo
dalla severità del metodo istorico e
psicologico.
Sennoncthè,
oggi segnatamente, chi ben le guardi,
elle
cercano
allearsi e compiersi a vicenda, giusto
perchè
rappresentano
e riproducono anch'esse l'antica lotta
fra r
Aristotelismo e il Platonismo, tanto in
sé stessa
e nel
loro insieme, quanto nelle loro particolari
divi-
sioni,
esprìmendoci perciò il bisogno perenne e
crescente
di
quell'accordo sperato sempre, ma non
attinto mai.
Questo
panni, dunque, tutto il significato del
loro svol-
gimento; e
questo mi sembra il problema alla cui
so-
luzione elle
s' affaticano da un secolo e mezzo a
questa
parte.
Non è egli giusto quindi affermare
che chi spera
nel
trionfo assoluto dell'una su l'altra spera
invano, e
chi s'
affida in certi accordi e temperamenti
in sostanza
esclusivi
e unilaterali non ispera peggio? Citiamone
un
esempio.
Il Gioberti dello Spaventa, lavoro (checché
se
ne
dica dagli hegelianissimi) d'una potenza
critica vera-
ramente
singolare fra noi dopo i libri del
Rosmini, nelle
intenzioni
dell' autore dovrebb' essere un accordo
tra la
filosofia
italiana, e la così detta filosofia
moderna Euro-
pea.
Lasciando stare quel moderna e molto
piii Y europea
(frase,
la quale a me rammenta quella che
han su la
punta
della lingua i Pontefici di Roma
quando costoro
menan
vanto de' creduti e desiderati dugento
milioni di
cattolici),
io chiederei, se il fare assorbire à
quel modo
eh'
egli ha fatto il filosofo italiano
dal filosofo tedesco,
sia da
dirsi accordo, o non più veramente un
solenne
trionfo
del secondo sul primo, e quindi '1
trionfo asso-
luto del
divenire sul creare? ¥* allora dov'è mai
l'ac-
cordo fra
le due filosofie?
Un
accordo, come suona la parola, è
necessario, ed
è
razionale; che posta l'analisi, posto il
lavoro anali-
tico di
quel doppio indirizzo, una sintesi ne
dovrà sgor-
gare di
necessità. E il fatto stesso ce ne
porge prova
e
guarentigia. Il Mamiani, l'autore delle
Confessioni^
ha
pronunziato, fira le altre, questa gran
verità: d'aver
egli
concluso e chiuso, fra noi, un
periodo filosofico nel
quale
egli stesso, col Galluppi e col
Rosmini e col Gio-
berti, è
venuto cogliendo allori molti, e ben
meritati.
L'À.
delle Confessioni ha detto benissimo: ha
chiuso dav-
vero un
periodo ; ma solo ha dimenticato
avvertirci che
in
esso egU ha chiuso anche sé medesimo.
Chi consi-
deri infatti
il suo neoplatonismo, per quel tanto
che
contiene
di correzione verso gli altri nostri
filosofi,
l'illustre
Pesarese ha merito grande; ma avvisato
in
sé
stesso cotesto neoplatonismo, specie quant'
alla parte
psicologica,
è già morto in sul nascere. E
doveva esser
così,
almeno per chi voglia ammettere che
la storia
della
filosofia non possa esser ripetizione
inutile e in-
fruttuosa di
teoriche trascendentali. D'altra parte l'He-
gelianismo,
checché se ne voglia dire, ha oggimai
esau-
rito la
propria vitalità con lo scindersi nello
tre note
scuole
di destra, sinistra e centro. Oggi
dunque non è
impossibile
raccorre i frutti di così lungo, di
così osti-
nato lavoro,
e di lotte e contrasti e discussioni
infinite
attuatesi
nei due paesi, appo cui l' ingegno
europeo
serba
piii acconcia e vigorosa virtù speculativa.
A tale
impresa
hann' influito efficacemente i nostri
hegeliani,
r
opera dei quali riguardata stòiicamente, io
non du-
biterei
chiamarla provvidenziale. Nelle mani di
questo
infaticabile
artefice che appelliamo storia, i nostri
he-
geliani
sono, mi si lasci dir così, un
istrumento, un
mezzo,
acciocché nel possibile accordo delle due
filo-
sofie abbia
a trionfare il vero. Più che apostoli
e messia
e
predicatori della buona novella, com' essi medesimi
si
piaccion
segnalarsi, sia col tradurre le opere
di Hegel,
come
fa il Vera, sia col modificarne e
interpretarne le
dottrine,
come fa Spaventa, e' mi paion la
condizione
imprescindibile,
efficace, perché il pensiero filosofico
possa
innovare sé stesso nella pienezza d' una
coscienza
speculativa
chiara, intima, vivace, sceverando dal vero
quel
carattere arbitrario di costruzioni dommatiche
il
quale
accompagna i pronunziati dell' Idealismo
assoluto.
L'
Hegelianismo é cosa nostra: lo ha
detto il profes-
sore
Spaventa; ed é verissimo. Ma é cosa
nostra in
quanto
è anche un assoluto realismo; realismo
obbiet-
tivo nel
vero senso della parola, non già
campato a
mezz'aria,
com'è quello di Hegel, il quale
perciò usurpa,
non
legittima il significato della obbiettività.
Ripetiamolo:
se la filosofia ha bisogno d'innovarsi
esi- i
stro \
ica. i
diventando
positiva e razionalmente positiva, tale esi
genza
del pensiero italiano e tedesco, pia
che dal nostro
cervello,
ha da scaturire dalla stessa ragione
istorica
Osservando
lo svolgersi di queste due forme del
pen-
siero
filosofico moderno, è facile accorgersi
com'elle
assomiglino
(ci si permetta un paragone) al
cammino
di due
linee le quali, partendo lontane fra
loro, nondi-
meno si
vadano accostando sempreppiù. L'una s'è
mossa
prima
dell' altra ; e assai più spedita
e più rapida ne' suoi
passi
e difilatamente ha percorso assai più
lungo tratto
che
non abbia guadagnato la seconda. Questa
poi s' è
mossa
dopo, e spesso è venuta sviando e
svagando per
più e
diverse ragioni; ma, non altrimenti che ne'
feno-
meni
elettrici d'induzione, passo passo ne ha
sentito
gì'
influssi, e le si è venuta più
e più avvicinando. Un
punto
di coincidenza, dunque, fra queste due
linee con-
vergenti è
necessario; ma la grave difficoltà sta
nel
trovare
cotesto punto. Usciamo di figura. Se
i due pe-
riodi
filosofici nel dischiudersi per opera del
Leibnitz
e del
Vico mostrano, come vedemmo, cert' affinità
spontanea
e incosciente, è pur mestieri che cotest'
affi-
nità s'abbia
da palesare altresì nel loro chiudersi;
ma
s' ha
da palesare cosciente, riflessa, e quindi
promossa,
eccitata,
ricercata e partorita dalla stessa ragione
come
funzione
filosofica. E pensiero moderno debbe aver
coscienza
di tale affinità: né può averla se
non la
cerca;
né può cercarla efficacemente se non
la pone.'
*
Ninno si meraTigli se fra* vari
indirìzzi moderni della filosofia noi
qui
non abbiamo tenuto conto altro cbe
della speculazione tedesca, e
dell*
italiana. L' ingregno inglese procede sempre
a un modo, ne da due
secoli
A questa parto ò mai uscito dalle
orme segnategli dal suo Bacone,
e poi
dal Locke, da Hume e dalla Scuola
scozzese. Spencer e Mill ce *1
dicono
chiaramente ; ne* quali filosofi è
pur chiaro un progresso rispetto
ai
loro antecessori, ma è un progresso
monotono, omogeneo. L* ingegno
francese
poi, dopo le grandi tracce lasciategli
dal Cartesianismo, si è
svolto
sempre fra 11 Sensismo eil un acquoso
Spiritualismo ; né la scuola
eclettica,
i cut ultimi rappresentanti oggi fan
tanto onore alla Francia,
ha
nulla di veramente originale. )£ una
bella eccezione in quel paese la
scuola
e gli studi iniziati dal Main^de
Biran. Se dunque originalità di
Italia
e Glermania, madri d'ogni grande filosofia
e dìvi-
natrici
delle più ardite concezioni metafisiche,
per ne-
cessità
isterica hann'a risalire alle loro
primitive sor-
genti
moderne, Leibnitz e Vico ; ma
risalirvi (intendia-
moci) con
tutta quell'opulenta ricchezza che a noi
porge
il lavoro di specukzione compiutasi nello
spazio
di due
secoli. Il trionfo ha da esser
comune, perchè
comune,
quantunque diviso, è stato il lungo
lavoro.
Se non
fosse cosi, la conseguenza, per le
menti che
con
ansia febbrile e con ignorati e
crudeli tormenti
ma con
altrettanta fede si travagliano invittamente
nella
ricerca d'ogni parte spinosa della verità,
sa-
rebbe dura
davvero, sarebbe sconfortevole. E la con-
seguenza è,
che la storia sarebbe un' ingiustizia
: ingiu-
stizia
altrettanto manifesta e insopportabile, quanto
inesplicabile.
Ancora : se questi due periodi,
queste due
filosofie
di cui si parla, non avessero quelle
attinenze e
quel valore
e quel fine che noi diciamo, elle
assomiglie-
rebbero a
due forze distratte, inconsapevoU, naturali,
sciolte
da ogni legge, libere da ogni
ragione; sì vera-
mente che
le analogie e le differenze e
l'intero loro
svolgimento
sarebbero tutte cose accidentali, estrinseche,
meccaniche,
fortuite, e perciò stesso empiriche, perciò
stesso
inesplicabili, perciò stesso insignificanti, non
al-
trimenti che
que' riscontri ingegnosi ma vani, ma
incon-
cludenti,
che alcuni storici sanno scorgere fi-a
la storia
d'un
popolo, e quella d'un altro, fra la
China, per esempio,
e
l'Europa, tra Confucio e Pitagora, fra
il Celeste Impero
e il
Teocratismo papale, come fa il nostro
Ferrari. Or noi
domandiamo
alla coscienza di tutti gl'indefessi
indagatori
del
vero; domandiamo alla coscienza degli amici
sinceri
e de'
sinceri nemici della filosofia : È
egli mai possibile
speculazione
oggi è possibile, è d' uopo ricercarla,
quantunque sotto
forme
diverse e con risultato e valore
differente, nell* ingegno tedesco e
italiano.
So che gli Hegel ianissimi sorrideranno di
gran cuore a queste
parole.
Ma io qui vo* restringermi a chiedere,
se da quarantanni a
questa
parte fuori d* Italia ci sìa stato
filosofo che possa reggere al para-
gone
dell'ingegno del Rosmini, miracoloso per
acutezxa speculativa.
che la
storia, massime la storia del pensiero
filosofico,
abbia
da essere, o un' opera cotanto
ingiusta, ovvero un
artifizio
cotanto sterile, infruttuoso e meccanico?
Concludo
per ciò che riguarda il nostro
filosofo
nonché
la seconda parte del nostro lavoro.
Si è detto
e si
dice che il Vico non ispiegò
efficacia di sorta nel
soQ.
secolo. E poi s' aggiunge che, quand'
ei venne sco-
perto (e
fu vera scoperta) noi già l' avevamo
sorpassato.
Sarà
vera V una cosa e l' altra. Ma
gli uomini grandi
e ì
grandi ingegni, se vogliamo stare all'
osservazione
di
Stuart Mill, i quali per difetto di
favorevoli oc-
casioni non
poteron lasciare traccia alcuna di sé
nella
loro
età, spesso sono stati di gran valore
per i posteri.*
Tale
per noi è il Vico; e tale si
é pure la sua Scienza
Nuova.
S'ei nulla valse pe' nostri padri (il
che non è
vero),
vale moltissimo per noi. Solamente in
lui potremo
rannodar
gli anelli della nostra tradizione
scientifica:
in lui
ricongiugnere il nostro Rinascimento col
nostro
moderno
Risorgimento. Per andare avanti debitamente,
come
suona il motto volgare, è d' uopo
dare un passo
indietro
: Chi vuol salire, pigli V aire.
Se questo é vero,
se
questo é necessario in tutto; non
sarà altrettanto
vero,
altrettanto necessario in filosofia?
Con
sifi'atti intendimenti noi prendiamo ad
interpre-
tare il
principio filosofico della Scienza Nuova. L'
acuto
Littré
lia detto benissimo: Tout annonce gu'on
ne verrà
plus
aucune grande éruption métaphysigue, comparàble
à
celles qui otit signaU Vére moderne
depuis Descartes,
et qui
ont abouti à HegeV Ma la conseguenza
vera non
è
quella che ne trae il positivista
francese, bensì quella
che ne
ricaviamo noi : e tal conseguenza é
la necessità
di
critica, la necessità di ritomo critico
su la feconda
speculazione
degli ultimi grandi filosofi, e quindi
la ne-
cessità d'un
accordo fra essi.
'
St. Mill. SytL de Log., toI. 2, pag. 545.
*
LiTTRi, Princ de Phtl. Poeit., Pré/,,
pag. 59, Paris, 1868,
Il
concetto della Scienza e '1 concetto
del Criterio si
richiamano
a vicenda, poiché non si può
determinar l'uno
senza
additare nel medesimo tempo il significato
del-
l' altro.
La prova più facile e megUo
convincente di tale
affermazione
ci è data dalla storia della
filosofia; non
v'essendo
sistema, non dottrina filosofica, nella
quale
que'
due concetti non rispondan fra loro
per caratteri
comuni,
e per note affini ed omogenee. E
poiché applicare
il
criterio vai come imprimere forma al
conoscere, onde
poi
risulta il metodo; è naturale che,
tanto l' idea della
scienza,
quanto quella del criterio, abbiano a
racchiu-
dere altresì
la nozione del metodo. Se non che,
scienza
metodo
e criterio sono tre concetti dipendenti
dalla
soluzione d'
un medesimo problema, del problema della
conoscenza:
nel quale perciò si radica propriamente,
direbbe
il Trendelemburg, l' ultima differenza de' siste-
mi. Sono
dunque tre aspetti diversi, sono tre
diverse
determinazioni
d'un medesimo subbietto; le quali noi
non
possiamo definire, ma espUcare, stanteché
la defi-
nizione,
secondo il detto di Campanella, sia
come la
conclusione
e quasi l' epilogo della scienza stessa.
Nel
circolo
della riflessione infatti la mente,
ripiegandosi
in sé
medesima si compie, si pone, si
determina, cioè
si
definisce; e si definisce perchè si è
venuta esplicando;
e con
r esplicarsi mostra col fatto che cos'è
mai T in-
tendere,
quali vie abbia percorso, e con che
guarentigie
si
possa pervenire ai risultamenti più sicuri
del sapere.
Nondimeno
ci è cose che noi potremo sapere
fino
da ora
; voglio dire le condizioni del
sapere. In che mai
dobbiamo
fondare la scienza? In che porre i
limiti del
sapere
metafisico? I più de' filosofi, com'
è noto, si fanno
tosto
a rispondere: « su la natura e
sul valore dell'uomo
stesso.
» Ma il punto è precisamente questo:
qual' è mai
la
natura, qual è il valore dell' uomo
? La risposta più
seria
e positiva a tale domanda, se non
vogliamo per-
derci nelle
solite ciance trascendentali, panni questa:
che
l'uomo, l'uomo quale ci è dato da'
fatti e dalla
storia,
non l' uomo concepito sotto forma di
spirito del
mondo
{der WéUgeisf), non sia tutto, e
nemmanco nulla : *
di che
ci porgono guarentigia nel medesimo tempo
la
coscienza,
l'esperienza e la ragione. Ora se
questo è vero,
due
conseguenze n'emergono innegabili; la prima,
che
la
scienza, tolta nel significato di sapere
metafisico,
non
può esser né propriamente negativa, né
propria-
mente
assoluta; la seconda, che non si può
esser siste-
matici e
dommatici, non essendo noi tanto fortunati
da
possedere
una formola assoluta entro cui mostrar
chiusa
la
ragione ultima e propriamente essenziale
delle cose.
Ma
diremo perciò che il filosofare altro
non possa essere
fuorché
una pura e semplice ricerca sfornita
di qual si
voglia
risultamento metafisico che sia positivo,
sicuro,
determinato?'
Che se anche per noi filosofia suona
ri-
' Homo
quia neque nthU e«(, neqite omnia^
nee nihil percipit, nec in,'
Jinitum,
— De sntiqaiss. Italoram sapientia, cap.
Ili, 16.
*
Filosofo dommatieo e filosofo nttematioo
a$8oluto per noi suona il
medesimo,
anche ammesso che un sistema possa
esser costruito per sola
Tìrtù
di ragione, e innalzato (se fosse
possibile) ad evidenza matematica,
secondo
che pretendon gli Hegeliani. Il dommatismo
volgare, teologico,
fondandosi
in un principio estrinseco alla ragione,
è da ripudiarsi per
difetto;
ne conveniamo. Ma il dommatismo sistematico
de* metafisici as-
solati col
pretender troppo, anzi tutto, non è
da ripudiarsi per eccesso ?
Différiscon
ne' mezzi infinitamente, io lo so ;
ma il risultato è il mede-
cerca
e amor di sapere, nondimeno è ricerca
effettiva,
è
ricerca non solo atta a raccogliere
il fatto, ma tale che
sia un
fare altresì ella medesima, cioè una
funzione cri-
tica, ma
efficace, positiva, attuale, come può e
debb'es-
sere
dopo il Kant; funzione quindi capace
non già a ri-
mandarci al
futuro, cioè ai risultati della storia,
sibbene
a
saperci dire qualcosa anc' oggi su'
grandi e terribili
problemi
di nostra esistenza, del mondo, della
vita, della
società.
Se la scienza è possibile, come
alcuni, positivisti
cominciano
a credere,* non vuol essere in qualche
ma-
niera
attuale? Poiché, giova bene ripeterlo anche
qui,
un
possibile che mai non esca dalla nuda
possibilità, in
realtà
non è alti*o che un impossibile!
È da
dire perciò che tanto V idealista
assoluto o
l'ontologista
Giobertiano, i quali in una formola,
tut-
toché
diversissima, ti assommano la ragione
d'ogni umano
e
divino sapere, quanto il positivista e
il puro critico
che
ogni sapere metafisico dichiarano impossibile,
escano
tutti
dal positivo, perchè chiudon l'indagine, e
spen-
gono
siffattamente ogni bisogno critico nel
pensiero. E
così
neir uno come nell' altro caso, la
mente si rimane
impigliata
in un' affermazione supremamente domma-
tica:
dommatica positiva (sistematica) nel primo,
dom-
matica
negativa (esclusione della metafisica) nel
secondo.
Or la
filosofia intanto può assumere forma e
valore di
speculaziope
positiva, in quanto riesce a schivare
non
pure
il donmiatismo (il sistema assòluto
propriamente
detto),
ma eziandio l'assoluto positivismo (scetticismo,
nullismo
metafisico). Fra questi contrari il
filosofo che
Simo,
perchè Tano con la credenza e l'altro
con la dimostrazione pre-
samono
darci tutto il vero. Entrambi quindi
negano 1* attività speculatÌTa;
il
primo la nega dichiarando la ragione
impotente, il secondo la nega
reputandola
esauribile anzi esaurita e soddisfatta. Che
nel]* insieme delle
dottrine
del Vico non vi sia pretensione di
gUtema propriamente detto,
Tabbiam
visto riportando (pag. 173) alcune parole
della Conchu. del
Libro
MetaJUieot e meglio si può vedere
laddov*egli accenna ai dom-
matici
del suo tempo ch'erano i Cartesiani.—
De Antiqui^, etc., Gap. I, § 2.
' Vedi
la Conclus. dell'ultimo libro del Taine
suìV Intelliyenza,
voglia
esser davvero positivo, sa di non
esser domma-
tico;
ma poi sa qualche altra cosa. Egli
sa di non po-
ter esser
mai dommatico, non mai sistematico
assoluto.
Sa di
non saper tutto, e, che più monta,
può giugnere
a
conoscere la ragione per cui deve
ignorare qualche
cosa.
È il caso del sapere del non
sapere, appunto per-
chè se
ne ha coscienza. — E non è
ignoranza cotesta?
mi si
dirà. — Sì, certo, è ignoranza: ma
è ignoranza
dotta,
direbbe il Cusano.
Tre ci
sembrano adunque le condizioni, tre i
carat-
teri
precipui del filosofare che voglia riescire
seriamente
e
razionalmente positivo; e sono questi:
A) La
speculazione filosofica non può esser fon-
data sopra
elementi che non siano sperimentali, ma
di
esperienza
intema ed esterna. Tutto è processo,
genesi,
attività
nel pensiero; stantechè tutto in lui
sia generato,
tutto
edotto mercè i dati sperimentali. Né
questo vuol
dire
sensismo, psicologismo grossolano, nettampoco ma-
terialismo
ed empirismo, come potrebbe parere a
tutta
prima;
perocché non per nulla ne' ricchi
annali della
moderna
filosofia esistono, chi voglia meditarli
sul serio,
i
Nuovi Saggi del Leibnitz, la Critica
della Ragion pura
e
quella sul Giudizio di Kant, il Nuovo
Saggio del Ros-
mini, e
qualche altro libro di questo genere,
ma non
certo d'
egual valore. Fatti dunque (ripetiamo anche
noi
co'
Positivisti) e leggi de' fatti ; ma,
aggiungiamo, la
ragione
anche degli uni e dell'altre.
B) La
filosofia non meriterà titolo di positiva,
dove
pretenda
procedere scompagnata dall' altre scienze,
e
far da
sé. Come nella soluzione de' grandi
problemi que-
ste non
bastano a sé stesse, parimenti non v'
è ragione
a
credere che anche quella da sola non
abbia a soggia-
cere alla
medesima condizione. Che se mossa da
antico
orgoglio
presuma d'essere scienza di tutto, per
ciò ap-
punto eli'
abbisogna di tutto; abbisogna di tutt'i
fatti,
di
tutta r esperienza, del concorso di
tutte quante le
sfere
e discipline dell' lunana enciclopedia. Il
perchè non
si può
dire in modo assoluto esser la
metafisica quella che
generi
le scienze; vecchia pretensione del
teologismo
che ci
ricaccerebbe nel più fitto medio evo:
ma nean-
che si
può aflFermare esser le scienze quelle
che, come
altrove
notammo, possano di per sé sole
partorire la
filosofia.
A due patti la funzione filosofica
riesce posi-
tiva: quando
sia generata dalle scienze, e quando,
ge-
nerata che
sia in qual si voglia modo, possa
e sappia
come
ogni produzione organica viver da sé,
e far vi-
vere. Non
è dunque vero che all'altre discipline
ella
porga
principii e dispensi metodi e partecipi
criteri. Ri-
ceve anzi
dal di fuori tutte queste cose; ma
per legit-
timarle,
organarle, ricrearle : il che non può
esser rico-
nosciuto dal
positivista conseguente a sé stesso, senza
ch'egli
inciampichi in contraddizioni per quanto
evidenti
altrettanto
inevitabili.
C) Il
terzo carattere, conseguenza da' due primi,
è
questo;
che concepita così la filosofia di
fronte alle altre
scienze,
ella riesce positiva, ma non però
cessa di posse-
dere un
valore metafisico. Diventa metafisica, non
meta-
fisica
teologica, né metafisica a priori e
tutta d'un pezzo;
orditura
dialettica ideale somigliante a rete d'
acciaio che
stringa,
affoghi e strozzi tutto ciò che tocca
o ricopre.
Diventa
bensì metafisica atta a costruire sé
stessa, ma in
quanto
costruisce anche le scienze; in quanto,
in somma,
é
attività filosofica d'un' attività anteriore,
dell'attività
scientifica,
sperimentale, molteplice, essenzialmente ana-
litica e
particolare. Non é quindi lecito
confondere,
né
identificare queste due sorgenti d'attività,
sia ridu-
cendo la
prima alla seconda, sia facendo che
questa
venga
tutta assorbita in quella. Evidentemente
con-
traddiremmo
ad un fatto; contraddiremmo al bisogno
potente
in ogni tempo, in ogni luogo per
la specula-
zione.
Perocché non è possibile (per dirla
con le me-
morabili
parole di Kant) che V uomo rinunei
alla me-
tafisica,
come non rinunzia cMa respiratone anche
con
la
paura di respirare uri aria malefica.
Queste
condizioni che noi poniamo alla ricerca
filo-
sofica sono,
quanto semplici, altrettanto positive. Non
è
a
dirsi eh' elle precludano e arrestino
in modo alcuno la
funzione
critica, secondo che incontra tanto ai
nemici
d'ogni
sistema, quant' ai sistematici assoluti.
Nel deter-
minare
infatti la natura e '1 fine della
scienza, i primi
ci
dicono: « non bisogna tentar V
impossibile prefiggen-
doci '1
fine di conoscere VinconoscìbUe, Tassoluto.
» Ecco
posta
al sapere una condizione essenzialmente
negativa,
perchè
contraddice alla natura stessa del pensiero
e del-
l' attività
critica.* I secondi poi, cioè i
sistematici, so-
stengono che
la scienza non solo può e deve
attingere
r
assoluto, ma ha da ridurlo trasparente
così da ade-
quarlo, da
conoscerlo sicuti esty altrimenti vai come
nulla
conoscere.*
Ma se cotesto conoscere (metafisicamente)
il
tutto, fosse un bel sogno; non ne
verrebbe che nulla
* I
poBitWisti credono anch* essi no fatto
il bisogrno specalativo ; e
come
fatto noi negano. Ma dopo aver
distinto quel che in esso ?* ha
di
permanente,
cioè la presenza perpetua dell'infinito
nollo spirito, da ciò
che è
transeunte, eh' è dire 1* inutile
sforzo a risolverò problemi per se
medesimi
insolubili, sogrgiungono : e Se l'Assoluto
è qualche cosa, non può
essere
che una realtà. Ora og^ni realtà si conosce
mercè l'esperienza, la
quale,
del resto, non potendosi applicare
all'Assoluto, ci fa piombare In
un
circolo senza uscita. Dunque la metafisica
e una fase tratmtorta dello
•pirito
umano, » (Littré, Prineip. de Phtl.
Posiu Prófac. p. 53, 1868.) In-
nanzi tutto
domandiamo, se condizione permanente del
fatto, che nel
caso
nostro è il bisogno della speculazione,
ò la presenza nel pensiero
d'un
infinito, non sarà appunto per ciò possibile
una ricerca metafisica?
Quant'all'inutile
sforzo poi non approda fondarsi nella
storia, non potendo
in
siffatt' ordin di cose indurre
legittimamente dal passato al futuro.
Finalmente,
quant'al circolo senz'uscita, osserviamo che
l'assoluto è reale,
realissimo,
ma non di realtà sensata e tangibile
; e non è vero che ogni
realtà
non si possa altrimenti conoscere se
non per l'esperienza ; errore
capitale
del Positivismo. Queste ed altre risposte
han dato al Littré i
medesimi
francesi, specialmente Janet, Caro, Vacherot,
Rénouvier, Pillon,
Reville,
Laugel. A noi piace rammentargli un'altra
bella sentenza d'un
filosofo
poco fa citato non certamente benevolo
ai matefisici: Una me-
tajinca
è tempre enttita e tempre eneterà
nell* umanità^ perche etto ì ine-
rente
alle invettigagioni della ragione umana che
epecìda. — E. Kant, Critica
ddUi
Ragion Pura^ noli' Introd. alla 2.* odiz.
§ 1.
"
Niente ni conosce te tutto non ti
conotce. — Spaventa, Lex. di FU.
p.
154. — Vrba, specialmente nell' /n<rod.
à la PkU. d'Hegel.
davvero
potremmo dir di conoscere appunto perchè
non
conosciamo
tutto? Ecco anche qui posta una
condizione
al
sapere affatto negativa, comecché paia
essenzial-
mente e
supremamente positiva. Certo è positiva; ma
è
positiva solo nel desiderio, solo nelle
intenzioni e
pretensioni
de^ sistematici, non già nel fatto,
non già
ne'
risultati della scienza ch'ei ci
ammanniscono.
Al
contrario, condizioni positive del filosofare
ci
sembran
quelle da noi poco fa rammentate,
massime
la
prima ; nella quale, se non
escludiamo la possibilità,
non
ammettiamo né pur Timpossibilità, l'assoluto
difetto
d'un
conoscere metafisico. Escludiamo bensì
l'autorità:
e
dicendo autorità intendiamo dir tutto ciò
che non sia
ragione;
come dicendo ragione, intendiamo dire
altresì
la
storia, i fatti, la natura, la
tradizione scientifica, ma
avvisate
queste cose come altrettanti mezzi ond'ella
si
manifesta
e progredisce e riconosce sempre piii
chiara
l'opera
propria nel lungo e faticoso lavoro
deUa storia.
Capitolo
Primo,
dottrina
della scienza e del criterio.
Si è
detto e si dice che il sapere,
le scienze, l'en-
ciclopedia,
siano quel che sono le cose stesse:
un orga-
nismo. E
s'è detto benissimo. Ma che è egli
mai l'or-
ganismo? Che
cos' è la vita?
Se
neanche per noi è vero che l'
organismo, in ge-
nerale,
abbia a rampollare dalla virtù d'un
principio
vitale,
come credevano i vecchi fisiologi
dinamisti, nul-
lamanco
è verissimo ch'egli ha da raccogliersi,
per così
dire,
in un principio, e integrarsi in una
forma d' unità.
Se
cosi non fosse, il concetto d' organismo
tornerebbe
altrettanto
inintelligibile nel pensiero quanto impossibile
nell'ordine
della realtà. La vita è innanzi tutto
unione
iniziale,
concorso rudimentale delle comuni efficienze
di
natura chimica, fisica e meccanica;
appresso vuol
esser
anche unità, unità resultante^ unità vera,
stan-
techè
vivere non sia che generazione incessante,
in-
cessante
attività, e quindi processo essenzialmente
te-
leologico.
Simigliantemente nella vita delle scienze,
condizione
imprescindibile è un principio; e questo
principio
ha da emei^ere dal loro medesimo
seno, ma
non
per sola virtù di esse. Perocché,
dicemmo, non
più
che in due modi e per due
ragioni la filosofia po-
trebbe
scaturir dalle scienze; o perchè racchiusa
in
ciascuna
d' esse, o perchè contenuta nel loro
insieme :
non
v'è scampo. Se vero il primo caso,
ciascuna sarebbe
già
filosofia, e basterebbe a sé medesima.
Se vero il se-
condo,
servirebbe conoscerle tutte per possedere
altresì
la
filosofia, e dirci filosofi; o, che
torna il medesimo,
basterebbe
accozzarle tutte, basterebbe possederle, per
aver
l'organismo del sapere. Coteste supposizioni
sono
entrambe
erronee; e quindi sorgente unica e
assoluta
del
filosofare non possono esser le scienze,
comunque
le si
voghan considerare.
La
conseguenza che vien fuori da questo
nostro di-
scorso ci
sembra assai logica e altrettanto chiara.
La
Scienza,
il sapere per via di scienza, non
istà nello svol-
gimentó
d^un principio (Gioberti e Rosmini). Non
istà
nemmanco
in un principio che legittimi sé
stesso in quanto
si
faccia sistema, si svolga, s'attui, si
realizzi (Fichte,
Schelling,
Hegel). Né, finalmente, consiste in un
racco-
gliersi
successivo, in un progressivo adunarsi
verso un
principio
di là da venire, ed emergente dalla
virtù stessa
di
cotesto successivo e progressivo adunamento
di par-
ticolari
(Positivisti). Nel primo caso il principio
sarebbe
dato,
vuoi per intuito, vuoi pel verbo
della società, della
tradizione,
dell'autorità; e così moveremmo sempre, o
da un
a priori, ovvero da una condizione
estrinseca e su-
periore al
pensiero. Nel secondo sarebbe posto
indipen-
dentemente
dall' esperienza, e riesciremmo ad una
posi-
zione
formale, arbitraria, relativa, subbiettiva. Nel
terzo,
finalmente,
dovrebb' essere indotto; e faremmo opera
vana,
non potendo dal meno indurre il più.
Nelle due
prime
posizioni costringeremmo nelle catene d'un
si-
stema e
nelle strettoie d'una formola la vita
libera, lo
svolgimento
autonomo delle scienze: in mentre che
nella
terza contraddiremmo, come s' è detto nel
Pream-
bolo, all'
esigenza speculativa e metafisica della
ragio-
ne, eh' è
dire ad un fatto; sì che dovremmo
reputare
affezione
morbosa, malattia, quel bisogno acuto,
crescente
d'una
scienza superiore intomo a cui si
travaglian le
menti
più robuste che ci presenti la storia
del pensiero
umano
da Platone a Leibnitz, da Aristotele
a Kant.
Che
cosa dunque ha da essere, o meglio,
che cosa
può
esser la scienza? Ha da essere bensì
adunamento
successivo,
induttivo, integrativo delle particolari disci-
pline; ma
fatto per opera dell'attività organatrice,
del-
l'energia
eduttiva del pensiero. Ond' accade che
se un
criterio
a questa composizione organica è
necessario,
cotesto
criterio ha da sorgere innanzi tutto
dalle viscere
stesse
del processo isterico della scienza
(Positivismo) ;
ma
soltanto il pensiero, soltanto l'attività
riflessa della
mente
potrà imprimergli forma, valore e dignità
di prin-
cipio
(Hegelianismo). Poiché se è vero che
il pensiero
nasce
dalla storia, nondimeno la supera. S'è
vero che
abbisogna assolutamente
di fatti, U trascende. E s' è
vero
eh' egli riesce impotente senza 1'
esperienza, ciò
nullameno
la compie. La chimica, 1' astronomia,
nel
loro
processo istorico, son venute progredendo a
questo
o a
quel modo, secondo questa o quella
legge. Or in
cotesta
legge appunto giace il criterio atto
a farci pon-
derare con
giusta misura il valor razionale della
scienza
stessa.
Ma a levare a dignità di principio
siffatto cri-
terio non
bastan le scienze stesse, ne basta la
storia;
perchè
noi permettono i confini entro cui
ciascuna di
esse
ha da svolgersi; noi consentono i
metodi che eia-
scuna
ha da porre in opera conforme la
natura del
proprio
obbietto; e noi concede l'indole del
fine inverso
a cui
ciascuna si va travagliando. Infatti un
ordine di
cognizioni
piglia forma di scienza, quando può
assu-
mere valore
d'individualità; ed è individualità, quando
riesca
autonoma nel metodo, e indipendente nelle
con-
clusioni. Or
quest' autonomia e questa scambievole in-
dipendenza
tengono alla peculiarità del fine cui
cia-
scuna
scienza studiasi di pervenire. Talché, dove
una di
esse
vahchi per avventura i propri confini,
ella smar-
risce il
segno cui mira, si confonde con le
altre disci-
pline, e
turbando l' ordine e le scambievoU
dipendenze
delle
diverse sfere di cognizioni, finisce per
negare il
proprio
obbietto, e per annullare sé medesima.
E s'an-
nulla,
perchè pretende diventar generale, in
mentre che
per
vivere, cioè per essere quella che è
(scienza), ha
da
mantenersi particolare, anzi rendersi vie
più parti-
colare.
S'annulla, perchè pretende assumer valore
d'iji-
dagine
metafisica, mentre vuole, mentre debb' esser
ri-
cerca
limitata e speciale. S'annulla, in somma,
perchè
presume
diventar filosofia, mentre vuole e debb'
essere
scienz3..
Di
questi medesimi diritti e di questi
medesimi do-
veri ha
da godere la così detta Scienza
Prima. Anch' ella
è
autonoma nel suo metodo, perchè anch'olla
è indi-
pendente nel
suo fine. E in vero, tutto il nodo
della que-
stione
riguardante le sorti della metafisica parmi
con-
sista nel
vedere, se di là da' fini peculiari
attorno a cui
travagliansi
le discipline speciali, sia possibile
ricercare
un
fine superiore, universale, e diverso dagli
altri. L'im-
poesibiUtà
a proporci cotalfine dovrebbe tenere all'
ob-
bietto,
ovvero al soggetto. Or né tutte le
cose è dato
all'uomo
scandagliare in tutt' i lor fini e
sotto tutti gli
aspetti,
né il pensiero è da reputarsi fonte
esaurita o
esauribile
mai d'attività indagatrice e speculativa.
Un
sapere
superiore adunque è possibile, prestandosi
a ciò ,
tanto
le condizioni del soggetto, quanto quelle
dell'og-
getto, voglio
dire del pensiero e dell'essere. Ed è
quindi
possibile
una scienza la quale, anziché rappresentare
un
puro e
semplice risultamento di tutte Y altre
sfere di
cognizioni,
assuma nel medesimo tempo natura di
risul-
tamento e
forma di principio. Solo in questo
senso la
filosofia
può esser detta a priori. E solo
in questo si-
gnificato
ella può esser la ricerca ddF
assòluto nelle
cose,
0, eh' è il medesimo, la ricerca
dell'unità nella
vita
dell'essere e del pensiero. Di guisa
che nel men-
tre riesce
intimamente collegata con l' enciclopedia se-
condo
l'attinenza che congiugne il condizionato
alla
propria
condizione, nullamanco se ne distingue
essen-
zialmente in
grazia del fine al quale è
indirizzata.
Se
dunque la filosofia è possibile al
solo patto che
sia
un' indagine del fine de' fini
scrutati nelle differenti
materie
dalle diverse discipline, vuol dire ch'ella
è scienza
inferiore
e insieme superiore alle altre, ma
sotto aspetto
diverso.
È inferiore, in quanto essa ha da
conoscere i
lor
fini; e col conoscerne i fini non
è lecito che ne
ignori
i mezzi, che vuol dire ha da
conoscer le scienze
tutte,
ha da presupporle come essenzial condizione
di
processo
: talché conoscendole nei lor mezzi e
più nei lor
fini,
accade che queste si presentino
precisamente come
le
virtù, cioè indimsibtli, secondo la bella
osservazione
del
nostro filosofo.* Ma é poi superiore;
ed é superiore
perché,
ripetiamo, dee possedere anch' ella un
proprio
fine
da scrutare. E così resterà pur
sempre vera quella
vecchia
sentenza cui seppe levarsi la speculazione
del
pensiero
greco circa l'obbietto dalla metafisica:
rxvryiv
To3v
nptùroìif a^j^wv xat atrt<av «cvac
Ostapvjrtxriv,^ Nel che
com'è
noto, consentirono i filosofi tutti,
platonici o
aristotelici
che fossero, e consente non meno chi
non
sia
scettico dichiarato; perocché senza l'universale
la
'
Vico: Scientìa namque eàdem natura aunt
qua virtuUt. (De Mente
Heroica.
Op. voi. VI, p. 119.)
'
Abist., Afetaph. I, 2. Al medesimo
concetto giunge Socrate, quan-
tunque per
esclusione, nel Teeuto, vedi pref. del
Consin al dettò dialogo.
scienza
è davvero impossibile. Che se anche i
Positi-
visti ci
parlano spesso e volentieri dell'
universale, cote-
sta
loro universalità, chi ben la guardi,
è complessità,
cioè
l'universale implicato nel particolare, non
istac-
cato
da esso, né ad esso superiore. Ond'
avviene che il
sapere
complesso di cui si vantano costoro
non è l' as-
soluto
sapere, o meglio, non è il sapere
qualcosa d' as-
soluto ;
poiché ristringendosi a voler conoscere non
altro
che
leggi, non pervengono aUa ragione di
queste leggi,
né
alla ragione de' fatti, stanteché le
leggi non siano
altro
che fatti.*
Ma se
una scienza superiore alle altre é
possibile in
quant'è
possibile la ricerca d'un fine
corrispondente, tal
superiorità
riesce sempre essenzialmente relativa. Ond'
è
che la
boria de' metafisici e de' teologisti
nel segnalarci
la
filosofia col titolo di scientia
scientiarum oggi vuol es-
sere
attenuata e corretta. EU' é scienza
delle sdenee non
perché,
come dicemmo, possa imporre alle altre
metodi
e
principii; sì perché da queste debb'ella
accoglier ciò
che dall'
accertata lor induzione risulta sicuro, o
con
sicurezza
conghietturato, ovvero con esperimenti attivi
guarentito.
A tal riguardo le scienze dominano la
filo-
sofia; e
la dominano sol perché possono, debbono
imporle
i
propri Insultati. E qui l' antica
genitrice, anziché si-
gnora,
debb'essere ancella: tanto che, se un
Giorgio Hegel
pretenda
per avventura sorpassare la virtù del
calcolo
e la
potenza del telescopio dell' astronomia,
all' astro-
' L*
illustre H. Spencer dice che la
filosofia debb' esser la cogninont
eompletamente
unificata (Firtz Principlet^ 2* ed. Londra
1867, Somm. e
Condas.).
Altrove la chiama cognizione del più
alto grado di generalità:
ù
KnowUdge of the highett degree of
genercdily (Ibi, p. 181). Altrove an-
cora osserva
che la filosofia è costituita in
guisa da levare a piCi alta
generalità
le generalità delle scienze; e quel
che le generalità d*una
scienza
fanno rispetto ai particolari, lo stesso
facciano le generalità filosofi-
che rispetto
alle prime (Ibi, p. 134).— Siamo sempre
al medesimo difetto.
Che
cos* è quest' unijìccuione t Che cos*
è V alto grado di generalità t
£
pure
lo Spencer, fra tutti i positivisti,
è il più chiaro, il più lucido
sì nel
concepire
come nell* esporre la propria dottrina; ma
nel fissare T oggetto
della
filosofia, come si vede, è anch* bgli
assai vago e indeterminato.
nomo
sarà pur lecito sorriderne, e compatirlo.
Semion-
chè r
ipotesi, la parte opinabile, conghietturale,
è pro-
pria delle discipline
particolari, massime di quelle d'or-
dine fisico.
L'ipotesi è, per dirla così, lo
strascico che
aqcompagna
sempre la mente dello scienziato : è
l' om-
bra ishe
tien dietro all'induzione, e spesso la
precede.
E non
potendo ella aver luogo in quelle
notizie indut-
tive
emergenti da un' esperienza immediata e
stretta-
mente
particolare, piglia forma generale, e
rappresenta
ed
esprime la ragione d'una data serie
di fatti. Cosi
avviene
che, non cessando d' essere ipotesi, han
pure un
valore
universale la dottrina, per esempio, degl'imponde-
rabili
sull'esistenza dell' etere in fisica, la
teorica del-
l'atomicità
in chimica, della gravità in fisica,
del prin-
cipio
biologico in fisiologia. Or la filosofia
è sdenea dette
scienze
anche nel senso eh' ella è chiamata
a raccogliere e
legittimare
in guisa razionale e metafisica siffatti
risultati
d'indole
ipotetica che l'esperienza non può, o
tarda a ve-
rificare.
Ella dee compierli, deve integrarU ;
e a tale scopo
si
studia metterli in relazione al fine
peculiare e supe-
riore
ch'essa, come indagine metafisica),, procaccia
di con-
seguire. In -questo
caso la filosofia, anzi che ancella,
è
signora
di se : e dove qualche Buchner
presumerà, tra-
passando i
limiti segnatigli dall'esperienza, di
trastullarsi
con
quella famigerata astrazione d'un Dio
materia eh' è
insieme
forza, o d' un Assoluto forza eh' è
insieme esten-
sione, il
filosofo, non altrimenti che il suddetto
astro-
nomo di
Hegel, potrà, dovrà sorridere alle
affrettate
conclusioni
di lui. Che in tal caso cotesto
Buchner qua-
lunque non
è altrimenti un naturalista e sperimenta-
tore
paziente e riservato con in mano la
squadra e '1
compasso,
la bilancia e '1 microscopio, ma è
un siste-
matico fatto
cieco, e tramenato anche lui dalla solita
boria de'
metafisici e de' dommatici.
Di qua
poi nasce che la filosofia davvero
positiva
non
sa, non vuol parlare d'alberi genealogici,
ne d'en-
ciclopedia;
non di piramidi nelle scienze alla
maniera dei
sistematici
assoluti, net^mpoco di scale, di coordina-
menti e
sistemcufWfii e gerarchie nel sapere a
mo' dei
Positivisti
francesi. Tutte queste soompartizioni gerar-
chiche e
genealogiche riescon sistematiche e artifiziali;
e sono
quindi altrettante catene alla libera
individualità
di
ciascuna scienza: il perchè non diciamo
che il sapere
umano
somigli ad alberi, né a piramidi, ma
piuttosto,
applicando
qui un profondo concetto del Bruno,
ad al-
trettanti
circoli fra loro annodati, e quasi
toccantisi per
la
circonferenza. Il centro è comune a
tutti, ma non ri-
siede in
alcuno. Che se altri volesse servirsi
d'una figura
meglio
appropriata, potrebbe assomigliare V economia
e
la
costituzione delle scienze a quella
porzione del sistema
nervoso
che domandasi della vita organica, cioè
al gran
simpatico;
appo cui l'unità della vita pone
radice per
entro
ad una moltitudine di centri e di
fochi vitali e di
gangli
sparsi, difiusi per V organismo,
indipendenti fra
loro,
e pur collegatissimi nel fine della
vita organica.
L'assolutismo
nelle scienze partorisce il medesimo
efietto
che nella vita sociale: rallenta e dissecca
e spegne
addirittura
l'attività individuale. Tiranna infatti è
la
divisione
enciclopedica del Gioberti; la cui tripUce
scom-
partizione
fondasi tutta ne' due membri della
nota for-
mola
ctisiologica, nonché nella relazione di
essi.* Che
se
nelle opere postume ei ci parla d'una
scienza il cui
fine
ha da esser V analisi del principio
costiltdivo ddlo
spirito,^
cotesto, al solito, è a riguardarsi
com'una di
quelle
felici inconseguenze in che non di
rado sdruc-
ciolò quella
mente privilegiata. E se nelle opere
postu-
me al
concetto della Ontologia venne sostituendo
quello
della
Protologia; cotesto principio protologico, inteso
come
fondamento e come criterio enciclopedico,
non ap-
pare men
dommatico del principio ontologico che neUe
prime
opere egli poneva siccome base della
distribuzione
organica
delle scienze. La Protologia, egli dice,
è la filo-
'
GiOBBBTi, Introd, alla FU.^ voi. Ili,
pag. 5 e segg., ed. cit.
■
Idem, ProUÀogìa, toI. 1. Saggio 1.
De' Principii, p. 96.
sofia;
e la filosofia è scienza di Dio
e di tutte quante le
cose
in quanto a Dio si riferiscano, e
con lui si connet-
tono,* —
Tiranna e dispotica non meno, anzi
più, la divi-
sione
enciclopedica di Hegel. Nella qyale poiché
i tre mo-
menti della
scienza devon esser quelli della stessa
Idea,
avviene
che il processo logico debba riescire
identico al
processo
reale, non altrimenti che la logica è
sostanzial-
mente
identica all'ontologia, e ciascuna scienza
servire
alla
legge dialettica qual riprova e conferma
della for-
mola
ideale assoluta. Se è vero, com' è
verissimo, che
r
Idealismo assoluto non è altro, a
guardarlo bene, che
V algebra
del naturalismo, come con espressione
felicissima
fu
designato da un filosofo francese,* dov'
è piii possibile,
io
chiederò, l' autonomia di ciascuna scienza?
Non deve
anzi
costringerle così e forzare i risultati
ad obbedire al
supremo
principio? Il processo di Hegel, ha
detto un
critico
eh' è insieme filosofo e naturalista
di prima riga,
è
essenzialmente suicida (essentiaUy suicidai); e
quindi
la
classificazione che ne scaturisce è senz'
alcun fonda-
mento serio
e positivo.'
E al
modo che non sono da accettarsi gli
alberi
genealogici
de' metafisici dommatici, non è a far
buon
viso
neanche alle classificazioni gerarchiche onde
ci par-
lano i
positivisti. Perchè se gli uni riescono
ad annul-
lare la
individuale autonomia delle varie sfere
dello sci-
bile col
porre in cima alla piramide una
scienza madre
ond'
ogn' altr' abbia a rampollare, ad un
risultato somi-
gliante
riescon gli altri, laddove, scambio di
porre in
principio
cotesta scienza tiranna cui tutte le
altre son
deputate
a servire, la pongono in fine di
tutte. Tal si è
per V
appunto la Sociologia, com' è intesa
da positivisti
* Il
prof. Spaventa dice che il pregio
della distribazione enciclope-
dica del
Gioberti è V unità concreta della
SeienMa cui perviene il JU080/0
subalpino
(Introd. alle Lez. ec. p. 149).
Cotesto ò precisamente il sao
difetto
!
-*
Saissbt, Gritique et Hitt. de la PAtf.,*
Paris, 1866.
' H.
Spemobb, E9%ay9 Scientifica Politicai, and
Speculative^ Londra, 1868.
Voi.
I., p. 128.
francesi.
Ma intorno a questa dottrina giova
spendere
poche
parole.
La
genesi, e quindi T ordinamento delle
umane disci-
pline, tiene
al concetto stesso della scienza e a
quello se-
gnatamente
della filosofia; ond'il significato differente
di
questo vale ad imprimere a quella
diverso valore, non
che
diversa estensione. La genesi delle
scienze, per i
positivisti,
riesce empirica. Perchè? perchè tale è
il
concetto
eh' ei ci danno della filosofia. Or
una divisione
enciclopedica
che torni razionalmente positiva può solo
conseguirsi
quando soddisfi a questa condizione;
ch'ella,
cioè,
risulti ad un'ora dalla storia, e
dalla psicologia;
0
meglio, che possa rispondere tanto al
processo iste-
rico, quant'
al processo psicologico. Ai Positivisti
vien
meno
tale condizione, tuttoché sia da
riconoscere i molti
pregi
del loro concetto enciclopedico. Fra essi,
quelli
che
meritino special menzione a tal proposito
sono
due,
il Comte e lo Spencer. Il primo
considera la
genesi
delle scienze in modo assolutamente
obbiettivo
e
storico: il secondo in maniera affatto
subbiettiva,
psicologica,
ideale. Ma tanto l'uno quanto l'altro,
se-
gnatajnente
il primo, sono lontani dall' aver
determi-
nato il
criterio del vero ordinamento, e della
vera ge-
nesi
razionale dell' enciclopedia. Nel positivista
francese
primeggia,
al solito, il principio della continuità,
della
dipendenza
assoluta, e d' un vincolo indissociabile
e
strettamente
gerarchico fra le discipline più semplici
ed
elementari, e quelle piìi composte e
complesse. Nel-
r inglese,
al contrario, predomina il principio
opposto;
quello
dell' indipendenza, dell' autonomia, e
dell' indivi-
dualismo
nella differente costituzione delle divei*se
sfere
di
conoscenze. Di modo che, dove per l'
uno il criterio
classificativo
sgorga dalla natura e dall'ordine stesso
delle
proprietà delle cose ; per l' altro
consiste nel modo
come
s'apprendono cotesto proprietà. Ristiingiamoci
per
ora al Comte. La gerarchia del
sapere, secoudo lui,
risulta
di sei scienze, composte e disposte
conforme
la
legge della generalità decrescente, e della
ci*escente
complessità.
Però la matematica, disciplina più d^
ogni
altra
semplice, universale e astratta, costituisce
l'im-
prescindibile
condizione di tutte le altre; talché
com'è
la
prima a nascere, così ha da esser
la prima a for-
mare
l'educazione della mente. La Fisica sociale
poi
riesce
la pia complessa fra tutte; ed è
l'ultima a com-
parire sia
nell' ordine logico, sia nell'ordine
storico.*
I
difetti della dottrina enciclopedica francese
possiamo
ridurtì
a' seguenti : 1* Il non aver
impresso il verace ca-
^rattere
ad alcune scienze; per esempio alla
matematica, a
proposito
della quale Stuart Mill domanda, come
avver-
timmo, se
per avventura ella sia da considerarsi
come
teologica
0 metafisica, ammesso che anche storicamente
ella
debba nascer prima delle altre. Ne
poi è vero che la
scienza
dell' astratta quantità numerica e spaziale
nasca
pura
(come dovrebbe, secondo il Comte), ma
pura e insie-
me
applicata, secondo che molto acconciamente
osserva
in
proposito lo Spencer. 2** Il considerar
come un cou-
ronnement
de Védifìce la Sociologia: ond' accade che
la
scienza de'
principii, non potendo essere altro che
una
semplice
appendice di essa e di tutte le
altre discipline,
resta,
non che falsato, annullato ogni concetto
di filo-
sofia.
3*" Il segnalare alcune scienze come
assolutamente
irreducibili,
massime la matematica; la quale invece,
considerata
come scienza, suppone le leggi del
ragio-
namento
e quindi la logica, secondo che in
maniera
*
CoMTK, Cour% de PhiU Po9Ìt.y 2« L09.
— La Sociologia è la «ctence la
jAuB
élevéCf et qui couronne V oeuvre, Littbì,
Parole* de PhU, Pont,, 2« ed.,
1868,
p. 70. — Lo stesso Littró afiferma,
che /aire de ehaque eeience pctrti-
cidiire
un menthre de la «cienee generale,
eat une grande revolution epéctUa'
Uve,
(Op. cit., pagr. 23.) Sarebbe stata
davvero gran rivolazione cotesta
0T6 il
Comte non fosso riascito anch^ egli
ad affogar le scienze le une
nelle
altre, annullando così V indipendenza di
ciascuna. Del resto lo sforzo
della
metafisica è stato sempre, chi ben
guardi, quello d* informare ad
organismo
le rarie discipline. Non vi ò
riuscita appunto perchè, in tale
organamento,
chi ha Toluto incatenarle troppo fra
loro, e chi troppo spic-
ciolarle e
renderle indipendenti, quasi edifizio a
frammenti. U Comte rie-
sce
ineritabilmente al primo difetto.
invitta
ebbe a dimostrare fin dal secolo XVII
il Leib-
nitz;
mentrechè, come includente nozioni astratte
(spazio,
quantità,
grandezza) suppone l'ideologia, la psicologia
e la
logica. 4* Finalmente, massimo difetto di
questa
dottrina
francese è quel sostenere a marcia
forza che da
una
scienza, o gruppo di scienze, abbia a
ncisceme e quasi
pullularne
un altro gruppo, e cosi via.
Di
tale dottrina lo Spencer ha fatto una
critica
quanto
seria altrettanto severa; e ne ha
avuto ben
donde,
massime dove ci fa toccar con mano
che la
legge
regolatrice dello svolgimento storico del
sapere
non
sia nuli' affatto quella di filicmone
secondo che pen-
sano i
Gomtiani, come altrove accennammo. Se cosi
fosse,
egli dice, ne seguirebbe che, dov'
esiste un
dato
gruppo di scienze, non sarebbe possibile
un altro ;
mentre
nel fatto in un primo gruppo o
momento, ci son
tutte,
e tutte in un secondo, e tutte
in un terzo, svol-
gendosi come
di fronte, anziché per successione seriale.
E la
critica dello Spencer poi ci sembra
ancor più so-
lida ove
dimostra, che se il primo gruppo di
scienze
può
esser detto strumento e condizione del
secondo, e
questo
condizione del terzo, ninno potrà confonder
la
condizione
con la cagione véramente detta :
sicché giunge
ad una
conclusione affatto opposta a queUa cui
rie-
scono i
Gomtiani, ed è che la psicologia, per
esempio,
non
possa dirsi appendice della biologia, né
la sociologia
semplice appendice
della storia; nel che egli concorda
pienamente
col MilL*
Ma se
la genesi enciclopedica ne' positivisti
francesi
è
manchevole per più conti, non meno
difettosa ci
sembra
quella del medesimo Spencer.* Suo
massimo
*
Hbrbkrt Spknobb, The (ioMificatifm of the
Scieneee, 2« ed., 1869,
p.
25. — St. Mill, ^»t. de Log.,
voi. II,
p. 486.
".
Egli distiogoe tre gruppi di gcienze
: AetraUe, Attratto-conoreU e
Conerete,
Le prime stodiano i fenomeni relativi
a noi (Logica e Mate-
matica), e
ci dan le leggi delle forme :
forme. Le seconde ricercano i fe-
nomeni in
sé (Meccanica, Fisica, Chimica ec.), e
queste porgon le leggi
dt*
fattori : /aetort. Le ultime, finalmente,
ai travagliano intomo ai fe-
difetto
è quello appunto ond' è magagnato,
come av-
vertimmo, il
Positivismo inglese; il formalismo. La sua
genesi
enciclopedica, infatti, non mostra alcuna
rispon-
denza ne
col processo isterico, né col processo
obbiet-
tivo delle
cose stesse. Non diciamo, si badi
bene, che co-
testo sia
difetto essenziale nella dottrina dello
Spencer. È
tal
difetto che in forza di certi suoi
principii egli potrebbe
schivare,
massime quando si volesse tener conto
della sua
bella
teorica sul Progresso. Ma di questi
principii ei non
ha
fatto applicazione alla genesi delle
scienze; e però
Stuart
Mill ben a ragione gli ha mosso
rimprovero di non
aver
riconosciuto e distinto la fase empirica
dalla fase
scientifica
nello svolgersi d'una scienza.* Altro
difetto
è che
la filosofia, nella generazione enciclopedica
dello
Spencer,
non trova luogo, a meno che non
vada confusa con
la
logica, con la psicologia o con la
sociologia; il che per
lui
non dovrebb' essere. Perchè se l'oggetto
delle nostre
conoscenze,
com'ei dice, è doppio, cioè il
conoscibile e l'tV
conoscibile,
ne seguita che, dato l'obbietto, è
già bell'e data
la
possibilità di una scienza che gli si
travagli attorno.
Ora,
onde viene e dove riesce mai cotesta
scienza il cui
obbietto,
comecché inconoscibile, pur nullameno esiste?
Vien
prima della logica, ovvero dopo la
sociologia? Se
prima
della logica, studierà anch'ella non altro
che forme?
Se
dopo la sociologia, non s'occuperà d' altro
che di pro-
dotti ?
E nell'un caso come nell' altro, io
chiedo, non isfu-
merà
l'indipendenza e l'autonomia e la
superiorità della
filosofia
rispetto alle altre discipline? La genesi
dunque
delle
scienze, nella dottrina del filosofo
inglese, è una
genesi
fatta per comodo; una genesi metodica
anziché
scientifica,
la quale non soddisfa alle esigenze
del pen-
nomeni
in sé, ma considerati nella loro
totalità (Astronomia, Geologia,
Biologia,
Psicologia, Sociologia), e danno le leggi
de' prodotti : prodwst»,
(Ved.
The Cla$$., loc. cìt.). Ora se il pensiero
umano non istudia altro
che /orme,
/attor» e prodotti, ne viene che alla
filosofia non ò dato far altro
salvo
che unificare complMamente qnesta materia
già per gradi unificata
mercè
T opera lenta e progressiva delle
scienze. {Firet Prine., p. 181.)
'
St. Hill, A. Comte et la Fil
Poeit,, p. 50 e segg.
siero
filosofico. — Massimo pregio dello Spencer,
a tal ri-
guardo,
è l'aver mostrato il consenso scambievole
fra' di-
versi gruppi
di scienze. Questo è anche il pregio
della dot-
trina del
Comte, io lo so : ma con la
profonda differenza,
che
dove il francese non sa vedere fra
le discipline altro
che un
nesso di causalità e filiaeione compatta; T
inglese
in
quella vece ne scorge, con più
verità, un' attinenza
meno
stretta, men rigorosa, più libera. Egli
scorge il
vincolo
che corre fra la condizione e '1
condizionato.
Come
ognun vede, tanto la teorica del
positivismo
francese
circa la divisione delle diverse branche
del sa-
pere, quanto
l' altra del positivismo inglese, trascendono
il
positivo, riescono entrambe esclusive, e
perciò stesso
negative.
La prima annulla addirittura la genesi
psico-
logica delle
scienze; la seconda ne trascura la
genesi
obbiettiva
e storica. Ora in che ha da
consistere il
positivo
in siffatta quistione ? Evidentemente nel
serbar
tanto
r uno, quanto l' altro aspetto. Giacché
davvero le
genesi
e quindi la divisione enciclopedica perchè
riescano
positive,
han da esser fondate nella storia, e
nella psico-
logia. Che
cosa infatti risguarda la genesi ideale
del-
l'enciclopedia?
Riguarda le scienze stesse avvisate sotto
doppio
aspetto ; cioè in sé stesse, e
nelle lor mutue re-
lazioni.
Dunque, a distribuirle convenevolmente, vuoisi
tener
V occhio innanzi tutto alle funzioni
diverse ond'è
possibile
la scienza; né v'ha quindi altro
espediente fuor-
ché
ricorrere al processo conoscitivo. A questa
maniera
il
fondamento più sicuro, immediato, e quindi
il crite-
rio più
razionale della genesi enciclopedica, é la
genesi
stessa
della cognizione. E s'egli è vero che
la scienza
guardata
nella sua forma non è altro che
un esplica-
mento
di concetti, d'idee e di giudizi, é
naturale che
la
genesi e la divisione dei vari ordini
di sapere devano
radicarsi
nella stessa genesi e divisione de'
giudizi.'
' Non
potendo qui entrare in minate ricerche
d'ideolo^a, diciamo
solamente,
tre nature di giudizi esser possibili;
i quali, con linguaggio
men
soggetto alle tante difficoltà solite a
nascere a questo proposito.
Quanto
poi alla genesi storica delle scienze,
poiché
la
storia, il regno de' fatti umani non
è che produzione
chiamiamo
tnduuiviy dedtutivif edutHvi. Adoperando siffatto
parole, non
solo
intendiamo accennare alla natura della
relazione che stringe ì ter-
mini del
giudizio, né solamente ali* origine di
essa, ma eziandio alle tre
funzioni
o metodi che si adoperano ne*
differenti ordini di scienze e di
cognizioni.
Nel giudizio induttivo, per esempio, tal
relazione è al tutto
empirica,
e di fatto. Nel giudizio deduttivo è
razionale ; stantechè il pre-
dicato, con
artifizio d* analisi deduttiva, si tragga
dal seno stesso del
soggetto.
Nel giudizio ednttivo, finalmente, ha luogo
tanto Tuna
quanto
1' altra operazione, cioè V induzione
e la deduzione, ma compe-
netrate; e
tal compenetrazione si radica nell'intima
virtii dello stesso
pensiero,
previo il processo psicologico. Questa è
la funzione raziocina-
tiva;
funzione essenzialmente eduttiva: la quale,
se inevitabilmente sup-
pone le
altre due funzioni, ne è però il
compimento. £ tale in sostanza il
vero
metodo aristotelico, comò noteremo più giù.
Or la
genesi ideale, e quindi 1* organismo
e la divisione delle scien-
ze, trova
il suo fondamento e il suo criterio
immediato nella, genesi stessa
delle
funzioni psicologiche. Tre forme irreducibili,
dunque, tre gradi, e
però
tre gruppi distinti di scienze sono
possibili:
Io
SoiBNZR iNDCTTiYE {d^ oMervoxione), Ogni
lor pregio e progrosso
sta
nel poter divenire sempre più sperimentali,
sempre più attive, col
riprodurre
la natura, e som metterla ali*
esperimento. Il lor carattere
quindi
risiede nello sdoppiarsi, nel moltiplicarsi,
nel suddividersi, e ren-
dersi sempre
più particolari. Né, chiamandole induttive,
intendiamo negar
ad
esse il magistero deduttivo; che non
è possibile discorso scientifico
al
quale possa far difetto 1* artifizio
della deduzione. Intendiamo, dire
che la
deduzione di questo primo gruppo di
scienze è sempre di natura
induttiva,
perchè move dalla induzione e sopr*
essa tutta si regge, fe,
in
somma, la deduzione al modo che 1*
intende, per esempio, il Littré
e in
grran parte anche Bacone, e che non
è nuli' affatto 1* induzione so-
cratica e
aristotelica benintesa.
Il<»
SoiRNZB DKDUTTivB {di tpeéulaxwne). Lor
pregio e progresso
consisto
nel potersi maritare di mano in mano
col primo gruppo, e
nel
trovare applicazione ai fatti, rendendo
così vie più razionali le di-
scipline
induttive. Lor carattere poi è quello
d'essere in minor nu-
mero delle
prime, rlducendosi infatti alle matematiche
pure, e alle ma-
tematiche
applicate a qnal si voglia ordine d*
oggetti (per ciò che riguarda
la
categorìa dello spazio e della quantità),
nonché a quelle scienze d'ordine
morale
alle quali si può applicare il metodo
dedtoHvo-inverto di St. Mill.
Neanche
a queste può mancar 1* artifizio
induttivo; ma cotesta lor in-
duzione è
sempre, diremmo, di natura deduttiva.
Ilio
SoHNZi EDUTTlTi {d^ %ntegraxùm«f 0
tpeculaxiane tnueendentaU),
In
queste si adunano i caratteri de'
grruppi precedenti. Non sono molte,
né
poche di numero, rìdacendosi in sostanza
ad una soli^ ma svariata,
feconda,
moltiplice nelle sue applicazioni. Suoi
pr^gi sono: l^ il potersi
e il
doversi vie più intrinsecare con le
altre scienze ; o meglio, il poter
>6
resultato d'azioni e reazioni fra il
mondo fisico e
quello
dello spirito, e quindi d' una doppia
serie di
leggi,
naturali e psicologiche, modificate dalle
diverse
<^ndizioni
di tempo e di luogo, secondo che
ha mo-
strato, fra
gli altri, il Buckle ; * ne
viene che il processo
istorico
ha da rispondere bensì al processo
psicologico, e
la
genesi storica delle scienze dee certamente
ritrarre
la lor
genesi ideale, ma non per questo sarà
lecito
<ìonfonder
F una cosa con V altra. Il
Littré distingue
la
costitujsione d'una scienza dalla sua
evoluzione: e
trasferir
queste in so medesima unificandcle
completamente, come dice
benissimo
Io Spencer: 2o non potendo moltiplicare
so stessa, crescere
sempre
più nell* ordine delle applicazioni. Tal
si è per 1* appunto la filo-
sofia :
nella quale deyon raccogliersi le altre
scienze, ed esserne come vi-
vificate e
indirizzate a novello fine.
Da
questa nostra genesi e divisione
encicl(^dica emergono più con-
segaenze,
fra cui segnaliamo le principali. Se
è vero che le diverse sfere
di
cognizioni van sempre più rendendosi
particolari, è anche verissimo
eh'
elle nel medesimo tempo debbono andare
assumendo carattere e va-
lore sempre
più generale. V investigauione della natura
(dice Io Spencer)
ci
rivela un numero crescente di specialità;
ma simultaneamente rivela più
e pitk
le generalità entro le quali cadono
queste specialità. {The Classi/, j
ed.
cit., p. 11). — Inoltre, i diversi
gruppi di scienze, secondo che emer-
gon
dal nostro criterio psicologico, son fra
loro connessi, ma nel medesimo
tempo
autonomi e indipendenti. Son connessi,
perchè il primo gruppo è
condizione,
strumento e mezzo rispetto al secondo,
e U secondo rispetto al
terzo;
mentre il terzo è mezzo e fine
ad un tempo. Sono indipendenti, poi,
perchè
ciascun di essi è fornito di
caratteri, qualità, fini e metodi propri.
— La
nostra genesi enciclopedica, finalmente, porge
la misura e M criterio
per
definire i limiti, per giudicare il
valore, e per assegnar la posizione
di
dascuna
disciplina nell* ordinamento dello scibile.
Ponete, per esempio,
il 30
gruppo in luogo del 1<»; il l**
in luogo del 2<*; 0 questo in
luogo del l''
o del
8<>, attribuendogli caratteri e valore
non propri: avrete falsato la
natura
delle scienze ; le avrete confuse ;
ne avrete guasta V ìndole, tur-
bando cosi
tutta r economia razionale del sapere.
Questa
dottrina, essenzialmente psicologica e quindi
razionalmente
positiva,
contraddice, com' è evidente, alla
distribuzione enciclopedica
de*
sistematici, per esempio a quella del
Gioberti e di Beerei ; e nel
men-
tre
racchiude i pregi della classificazione de*
Positivisti inglesi e fran-
cesi, ne
corregge insieme i difetti. Ma i
pregi e la verità d* un criterio
ordinativo
non può vedersi altro che nelle sue
diverse applicazioni, nelle
•quali
non possiamo intrattenerci. Solo notiamo
che tal dottrina ò un* in-
terpretazione
de* principi! psicologici del nostro
filosofo, come vedremo.
*
T. BuCKLS, History of OivUiMation in
England^ voi. I,
cap. 2».
fa
benissimo. Ma nella sua dottrina cotal
distinzione à
un'inconseguenza.
La costituzione d'una scienza muove
dalla
ragione : la evoltmone di essa, per contrario,
è frutto
della
storia. Or se F una cosa non è
V altra, è da con-
cludere che
la scienza è superiore alla storia.
Perchè
dunque
compenetrarvela? D'altra parte, non è punto
vero
che,
vuoi nella genesi ideale o psicologica
delle scienze,
vuoi
nella lor genesi storica, procedasi dalla
parte al
tutto,
dal semplice al composto, dal rudimentale
e irre-
ducibile al
complesso, come vogliono i Francesi. È
vero
bensì
che dal tutto si va al tutto,
cioè dal tutto iniziale
al
tutto attuale, o, come direbbe lo
Spencer in suo lin-
guaggio,
dall' omogeneo slVeferogeneo,^ La genesi
storica
del
sapere, infatti, rassomiglia quella della
società stessa:
nella
quale dapprima i poteri dello Stato,
per esempio,
anziché
distinguersi fra loro, formano un potei'e
unico ;
e,
anziché individui liberi, vi esiste un
solo individuo.
Parimenti
le scienze forman dapprima una scienza
; uno
le
possiede, uno o pochi le insegnano,
come uno è quegli
che
comanda. Però diciamo che la genesi
storica di esse
procede
per tre momenti (vecchio concetto
aristotelico)
cioè :
Sintesi iniziale e confusa, poi Analisi,
e poi Sintesi
finale.
Nel primo di cotesti momenti non s'
ha una data
serie
di scienze, come dice il positivista
francese. S' ha
bensì
tutte le scienze, ma fomite d' un
carattere comu-
ne ;
il qual carattere sta nel comporre il
sapere traen-
done le
ragioni da tutt' altra fonte che non
è Y intimità
stessa
dello spirito. In questo primo momento,
in somma,
* La
legge secondo cui lo Spencer chiarisce
la sua teorica del pro-
gresso con tanta
sapienza ed erudizione da lasciar
maravigliata la mente
d*ogni
lettore, si potrebbe applicare benissimo
alla genesi delle scienze
intesa
storicamente. Egli, come 8*ò detto, non
ha fatto quest'applicazione.
Ma ci
è da sospettare che, facendola, rieacirebbe
incompleta, com* è in-
completo il
principio su cui è basata. Il
procedere daW omogeneo alV ete-
rogeneo è
davvero un processo : ma è processo
che non risolve, mancan-
doci un
terzo momento necessario a compiere il
primo e *1 secondo. Oltre
questo
difetto, il principio dello Spencer ha
V altro di non esser nuovo,
anzi
vecchissimo, perchè risale ad Aristotele :
*Aft 70?^ sv tw iffS^C
\jncf.p^st
To vfpÓTtpov, De An. II, m.
lo
spirito è, come dire, fuori di sé,
nella natura, nel-
r
autorità, e quindi la scienza è quasi
indotta; ma tale
induzione
dapprima è affatto empirica, naturale,
gros-
solana,
divina, direbbe il Vico. Nel secondo
momento
ci ha
distinzione, analisi, astrazione : e qui
la mente,
accostandosi
a sé medesima, deduce. Nel terzo,
final-
mente, il
pensiero possiede sé stesso, perchè
possiede
l'altro:
egli é filosofia perchè è scienza; ed
è scienza
vera
perchè è filosofia. Ci è dunque
rispondenza, ci è ar-
monia fra
la genesi ideale e la genesi stòrica
della scien-
za, non
già compenetrazione, come vorrebbe il
Comte.
Anche
noi quindi crediamo in una legge di
succes-
sione
nell'attività del pensiero; né respingiamo
una di-
sposizione
gerarchica e genealogica del sapere. Ma
né
r uua
è assoluta filiazione, né 1' altra è
composizione
organica
e compatta sì che le scienze che
seguono altro
non
possan essere fuorché semplici appendici di
quelle
che
precedono. È vero: il pensiero nella
storia as-
sume innanzi
tutto forma teologica. £ quando accada
eh'
egli abbia carattere metafisico, il suo
contenuto sarà
sempre
di natura mitologica, religiosa, tradizionale,
ri-
velata,
essendo sempre un prodotto d' autorità.
Appresso
riveste
forma naturale ; stanteché sorgano le scienze
le
quali,
svolgendosi com' elementi particolari del papere,
si
vanno liberamente determinando con metodo
appro-
priato a
ciascuna di esse. In un terzo
periodo, final-
mente,
piglia forma complessa e insieme universale
come
nel
primo; toa non più sotto forma
teologica, né me-
tafisica ed
a priori, bensì filosofica; appunto perché
è
deputato
a raccoglier la ricca eredità accumulatasi
negli
antecedenti
periodi. Or se è vero, come dicemmo,
che
il
pensiero è superiore alla storia tuttoché
emerga
dalla
storia, non è men vero che la
speculazione ri-
flessa
trascende anch'olla le scienze, comecché
dalle
scienze
sia venuta germogliando. CJondanniamo dunque,
anche
noi, la metafisica che si presenta com'
elabora-
zione
teologica riflessa. Condanniamo, per dirla
col Lit-
tré,
quel punto di vista metafisico eh' è
trasformaeiane
del
punto di vista teologico. Ma potremmo
condannare
quella
metafisica eh' è insieme critica e
inveramento
del
punto di vista positivo? In altre
parole, condan-
niamo
rìsolutamente la metafisica fatta a priori;
ma
non
meno risolutamente neghiamo che la terza
fase^ il
terzo stato
della scienza, abbia da esser positivo
nel
senso
che i Francesi tolgon questa parola.
Lo staio
positivo
de' Gomtiani, afferma un giudice non
sospetto,
non è
che un'ignoranza confessata della causa: an
avowed
ignoring of cause àltogether^ Ed è
veramente
così.
L'attività riflessa della ragione intanto
giugno ad
esser
funzione critica feconda e profittevole, in
quanto
riesce
a superare il positivo mediante il
positivo. Or è
tejnpo d' interrogare
il nostro filosofo.
Che
cosa ci lascia indurre il Vico tanto
riguardo
al
concettx) della scienza in generale, quanto
rispetto
alla
costituzione e coordinamento delle umane
disci-
pline?
Rifacciamoci da questo secondo punto.
Ei non
parla di formolo dommatiche, né d'alberi
genealogici.
Anzi ci avverte come in certo senso
la
metafisica
abbia da esser subordinata aUa fisica;
la
quale
dà per vero ciò che sperimentalmente
possiamo
imitare}
Sennonché qui è da far piìi
osservazioni. Una
scienza
è indipendente nel metodo e autonoma
nel pro-
cesso.
Questo è il nostro pensiero. Ma potrebb'
esser
'
Sprncrb, The daasif. of The
Scienc,, 2* ed., p. 87.
* De
Anttq. hai, Sap,^ nella Condunone, Si
dirà che per lai la
scienza
tovrana sìa la teologia: ed è t ero;
ma è sovrana solo in quanto
è la
piil oerta. Ora il eerto nelle sue
dottrine non è il vero, ciò ò
dire
un
prodotto di ragione, bensì un effetto
di persuasione, un prodotto
di
natura empirica inseritoci nell* animo
dall* autorità. Quanto egli poi
si
mostri avverso alle scompartÌEioni sistematiche
delle scienze, vuoi
nel
senso pontivteta, vuoi nel senso metajUieo
dommatico^ può vedersi là
dove
con sottile ironia parla de' Cartesiani
(dommatici del suo tempo)
i
quali unum Metaphyeicam «Me docent qua
notte indubium det verum^ et
ab eOf
TAKQUiM a fontr teeunda in aUa»
teientiae derivari.»,, quare me-
taphyeieam
eeterie »eientu9 fundo»^ euique 9uum
aatedere exietimant. Op.
oit,
cap. I, § II, 1.
anche
tale nelle sue ultime conclusioni? No,
certo:
stantechè
queste, essendo di natura universale, hann'
a
dipendere
dal lavoro, anziché d^una, di tutte
quante
le
umane discipline. Più ancora: potrebb'ella
dirsi in-
dipendente
rispetto alle condizioni logiche e formali?
Nettampoco:
se così fosse, tornerebbe impossibile
l'unità
della
enciclopedia. Finalmente si potrebbe osservare,
con lo
Spencer, che a sapere se i corpi
esistano la
fisica
non abbisogni nuli' affatto della metafisica.
Ed
è
vero. Ma evidentemente cotesta notizia, più
che ra-
zionale, è
notizia empirica. Or bene, quando il
fisico
volesse
darsi dimostrazion razionale del soggetto o
della
materia eh' egli ha fra mano, e
cod legittimare
il
postulato onde move il suo pensiero,
non diverrebbe
per
ciò solo un filosofo? Diverrebbe, io
credo. Nel
processo
della scienza, dunque, v'ha un momento
nel
quale
il fisico, od altri che sia, non
può far a meno
della
speculazione metafisica. Se a tal esigenza
egli
sappia
e possa per avventura soddisfare da
sé, tanto
meglio
: vuol dire che, oltre d' esser
fisico e fisiologo e
geologo
e simili, egli è anche filosofo. Ma
ov' egli non
senta
questo bisogno, con che diritti e
ragioni disco-
)ioscere
ogni valore alla ricerca filosofica? Il
vincolo
che
tutte aduna e stringe le scienze son
le norme logi-
che ;
la necessità logica che scaturisce dall'
intima costi-
tuzione
dello stesso pensiero. Intesa quindi come
logica,
la
filosofia precede e accompagna le sfere
diverse del
sapere;
ma, in quant'è metafisica, ella tien
dietro ad
esse,
e ne é il risultato finale. E
anche in ciò siamo
Aristotelici.*
*
Mei., V. -- Tal si è pure la
sentenza del Vico. In questo senso
egli
afferma
che ninna geienta bene incomineia »e
dalia mektfieiea (logica) non
prenda
i prineipii; perchè ella ì la eeienna
che ripartieee alle altre i lor
propri
eoggetti; e poichi non pud (in quanto
metafisica) dare U 9W>, dà
loro
immagini del euo. Onde la Geometria
ne prende U punto e V dieegna ;
VArUmetiea
V uno, e *l moltiplica ; la
Meccanica il conato, e V attacca ai
corpi.
(Risp. al Oiomale de^Lett.) In queste
parole parmi chiaro T ufficio
della
filosofia, in generale, rispetto alle altre
scienze. Filosofia è logica.
Veniamo
al concetto della scienza; ma gioverà
fare
innanzi
tratto un' osservazione storica. Dicemmo
com' il
Vico
sia tra Cartesio e KAnt, vuoi
storicamente, vuoi
teoreticamente.
Posizione puramente psicologica è quella
del
primo; puramente logica e psicologica
quella del
secondo,
la cui dottrina perciò molto acconciamente
è
stata
detta Idealismo crìtico, o Criticismo
ideale. Nella
posizione
cartesiana, avvertimmo anche questo, il
pensiero
non è
altro che un fatto (pag. 185-86): la coscienza
tras-
cendentale
di Kant poi tiene doppio rispetto; è
una e
molteplice,
è diflferenza e medesimezza, in quanto
importa
il
doppio elemento formale e materiale nella
cognizio-
ne. Ora,
per quanto diverse, queste due posizioni
han
comune
un carattere; quello d'esser solitarie,
astratte,
puramente
suhbiettive, e quindi insufficienti ; nel
che ci
confermerebbe,
s'altro mancasse, il resultato puramente
speculativo
cui pervennero le scuole diverse inaugurate
da
que' due filosofi. L' analisi della Ragion
pura alla fin
fine a
che mai riesce ? A metterci in
guardia dell'assoluto
di
ragione, rilevandone i paralogismi e le
antinomie, e
facendoci
assistere scontenti e umiliati a
quell'inutile
ideale
che ci rende immagine, a dir cosi,
dell' acqua di
Tantalo
: per cui s'è detto che l'autore
del Criticismo, sem-
pre per
quell' esigenza d' un ideale rimastogli in
tronco,
scambio
di chiudere, apri anzi le porte ad
una varietà
di
scetticismo, come osserva il B.
Saint-Hilaire : nel che
tutti
convengono, perfino Hegel, il quale appunto
con
l'idealismo
obbiettivo e assoluto cercò soddisfare aU'
in-
soddisfatto
bisogno della Ragion pura.^ Cartesio poi
dove
psicologia,
metafisica e simili. Come logica eli*
è scienza madre, in
quanto
è universale condizione d* ogni disciplina.
Che poi in senso di
metafisica
debba riguardarsi come risultato finale, ci
è avvertito dnl me-
desimo
filosofo dove accenna alla relazione eh*
ella ha, per esempio, cou
la
geometria: Geometria e Metaphy$iea mum
verum tMccipity et aecepttun
(e
però elaborato) in iptam Metaphynctim
refundit. De Antiq.y 101.
*
Giusta quindi, per tal motivo, Taccusa
fatta al Criticismo dallo stesso
B.
Saint-Hilaire: Kant a voulu /aire une
revolution} il na guère en/anté
qu'iine
anarokie plue fatale. Log. d' Axist., Pref.
p.
CXLVUL
si
riduce egli? Alla necessità d' invocare il
solito Deus ex
machina,
tornatogli insufficiente il criterio delPevidenza
e deir
idea chiara e distinta ; * senza
dir già eh' egli
medesimo
annunziava il Cogito qual semplice
ritrovato
atto a
soddisfare il bisogno di sua mente,
non già pel
fine d'
insegnare agli altri un metodo a ben
governare
il
pensiero : seulement (son sue precise
parole) de faire
voir
en quelle sorte fai tàché de conduire
la mienne.
Nella
posizione del Vico, per contrario, è
schivato
nel
medesimo tempo tanto il fatto empirico
di Carte-
sio, e
quindi V indirizzo dell' ecclettismo e di
quel timido
spiritualismo
che da lui hann'oggi redato i
Francesi,
quanto
lo scetticismo al quale pur tiene
aperto il fianco il
criticismo,
nonché quella serie di posizioni che,
nate dal
Kant,
riescono all' Idealismo assoluto. Con qual
mezzo?
Con un
mezzo semplicissimo. Col criterio del vero
e del
fatto
; ma elevato a dignità e valore
di principio. L'osser-
vazione che
il Vico fa a Cartesio è, quanto
agevole, altret-
tanto
efficace. Neanche gli scettici dubitano di
pensare,
egli
dice: essi aifermano solo che del
pensiero non si
possa
avere scienza, bensì cosdensa} Ora il
pensiero car-
tesiano è
un eerto, non già un vero; quindi
ha natura di
segno,
d'indizio certo (rsxfxyj/jtov), della cui
certezza ninno
al
mondo non ha mai saputo né voluto
dubitare. Di qui
si
vede come la sua posizione speculativa
non istia già
nell'aflFermare
una verità di fatto, sì nell' indagarne
l'ori-
gine, la
genesi, la guisa: cioè nel far la
critica del vero
che
appare alla coscienza, perché sdre est
tenere genus
seu
formam qua res fiat. E si vede
come il criterio vi-
chiano
del fare il vero acchiuda una
dottrina schietta-
mente
aristotelica, eh' è dire la ragion
vitale di quel-
* Yed.
le bello riflessioni del Rsnottvzkb in
proposito. EnsaU de Ori-
tiqne
generale^ toni. Il, part. 3.
' I
difetti che nella posizione Cartesiana
scorge il nostro filosofo gli
abbiamo
già riferiti (p. 186). II Gioberti
non s'ingannava nel dire che
Oarteno
non ebbe il menomo sentore de* teeori
che n acchiudono nel SUO
Cogito.
(Protol. VOLTI, p. 250.)
l'artifizio
logico secreto, naturale, onde la mente
nel
discorso
rinviene il medio termine. La mente
sa perchè
fa:
AtTtov Sort vójfjffef >? i^épytia} Or
di cotesta attività
occulta,
superiore ed essenzialmente eduttiva, sensisti,
scettici,
empirici, positivisti non hanno coscienza.
Essi
ignorano
cogikdionis causs€e, seu quo poeto cogitalo
fiai^
*
ilTTff ff9.ittpòit OTt ra ?ov«p£i ovra
tiQ ivspysiav àva-
'^òiJLstfx
gUjOtcxerai. Airtov 5'ò?i vónii^ >j
èvipynx. ÌItt' $5
ève py
e loti >i Sxivafii^' xa< dtd
tovto TrotoùvTéf ^e^vwo'xouo'ev.
Metaph,
IX.
*
Z>« Antiqui^. ItaLf cap. L § II.
Anch' egli quindi è scettico la sua
parte:
e debb' essere, in forza del suo
medesimo criterio. Ritiene infatti
che,
quantunque la mente conosca sé stossa,
ignora nondimeno la pro-
pria genesi
: Dutn «e mens cognoscttp non facit;
et quia non /acit^ neacit
genvs
quo «e cognoscit. (Ibi, § I, 17.)
Con la qual sentenza potrebbe sem-
brare cb'ei
cada in contraddizione con sé stesso;
ma riflettendo che la
mente
che «» conotce qui ya intesa non
come facoltà, bensì come potenza
(della
qual distinzione ragioneremo appresso), la
contraddizione si dile-
gua. Così
pure è da intendersi quell'altra sentenza
ove dice che l'occhio
Tede
le cose, e pur non vede sé
stesso; che a veder so medesimo egli
abbisogna
d'uno specchio; e però chiama insufficiente
l'idea chiara e di-
stinta di
Cartesio. Dal tutt' insieme quindi possiamo
argomentare tre
conseguenze
: 1° Che la posizione del Vico
non è né dommatica nò scettica,
ma
essenzialmente critica; e Critica del vero
per eccellenza egli definisca,
ricordiamolo
anche qui, la metafìsica : 2» Che
a pervenire al sapere scien-
tifico non
basti il eerto, il fatto, l'indizio,
nò il criterio che il vero sia
il
fatto; ma è d'uopo che cotesto
criterio sia levato anche a principio:
3"
Che a Ini non manca il nuovo
pensiero, il nuovo Cogito reoo bum,
come
vorrebbe Spaventa; anzi possiede chiara
l'esigenza, per lo meno,
della
critica psicologica, bastevole a prevenire
il Kant. Dico esigenza,
perché
il problema critico a lui si presenta
sotto 1' aspetto isterico, ciò
che
forma la sua novità ; e avvertimmo
come V aspetto storico importi già
r
esigenza psicologica. Se poi si vuol
dire che a lui manchi il Cogit*»
nel
significato di mediazione assoluta e però
di perfetta trasparenza deWes-
aercf
Spaventa ha ragione. Ma questo per
noi, anziché difetto, é pregio
grandissimo.
E qui il filosofo di Napoli é
tanto dappresso a quel di
Kcenisberg,
quant' altri non s' immagina. Dommatici e
sistematici, hege-
liani e
ontologisti cattolici, unisconsi ad una
voce nel battezzare scet-
tico
l'autore del Criticismo. Perciò gli
Hegeliani credono compierlo di-
cendo, che
la Ragion Pratica ò siffattamente collegata
con la Ragion
Pura,
che la prima in sostanza non sia
altro che l' incarnazione, il com-
plemento
della seconda, ma che questa di per
sé stessa inevitabilmente
meni
allo scetticismo. Io non vo' negar
tutto questo. Osservo solo che
due
sono i grandi concetti di Kant: 1*
che non si possa giungere al
vero
sistema, alla dottrina propriamente dommatica^
2* che, ciò non
Non si
può ridire il mal governo che s' è
fatto e se-
guita a
farsi del criterio vichiano. In molti
libri leg-
giamo:
criterio del vero è il fatto; e
da tutti è stato inteso •
0 in
modo materiale ed empirico, ovvero in
significato
trascendentale
e assoluto. Se così fosse, quel
filosofo
avrebbe
consacrato, da una parte, ogni sorta
d'empirismo
e di
materialismo ; e dall' altra avrebbe
fatto ragione ad
ogni
maniera di panteismo. La formula vera,
la vera po-
sizione
della scienza e del pensiero, per
lui, non è questa:
Criterio
dd vero essere il fatto ; bensì
quest' altra : La
conversione
del vero col fatto. Fra la prima
e la seconda
ci è
un abisso addirittura. E per veder
cotesto abisso
e
ritrarsene, è mestieri penetrar Bell'insieme
delle sue
dottrine
con la luce del medesimo principio.
La chiave di
volta d'
ogni positiva speculazione, e quindi il
vero Deus
intus
adest della mente di questo filosofo,
e però il bandolo
a
strigar tanti nodi che avviluppano il
suo pensiero, è ap-
punto
cotesto criterio, secondo che noi lo interpretiamo.
11
criterio ha da esser egli un segno,
un indizio del
vero,
0 piuttosto un primo vero? Ha da
esprimerci un
dato,
un fatto, o pur V essenza del
vero, la condizione
originaria
e trascendente del conoscere?
Intendendolo
al primo modo, la scienza tornerà im-
possibile, e
trionfa lo scetticismo ; perocché non
ci sal-
veremo dal
noto circolo eh' è questo: « per
conoscer la
ostante,
non si cada nollo scetticismo, appunto
perchè egli non crede
che il
non esser sistematici Teglia dire essere
scettici addirittura.
(V.
Critica dtUa Ragion Pura, 2* P., Gap.
IV.) Per me la riyoluzione
operata
dal filosofo prussiano nel regno della
speculazione, cioè quan-
ta alla
natura del sapere, sta tutta qui. Il
Vico in ciò lo prevenne: almeno
era su
la medesima strada. Quindi può dirsi
che entrambi condannino
le due
posizioni esclusiye del Si^temaH^mo e dello
Soetticinno.
verità
è necessario il criterio; e per ayer
il criterio è
necessaria
la verità. » Pigliandolo poi nel
secondo modo,
difficilmente
schiveremo un sistema esclusivo e domma-
tico.
Il vero criterio, dunque, ha da esser
Tuna cosa e
l'altra;
indizio e principio. Come indizio, come
postu-
lato atto
a conquider lo scetticismo e inaugurare
la
scienza, e'
consiste nel porre, come si è detto,
il fatto qual
criterio
del vero ; né e'' è altra via.*
Come principio, sta
nel
porre, dall'una parte, la conversione del
vero cól
fatto,
e dall'altra, come appresso mostreremo, la
con-
versione del
fatto nd vero, applicandolo all' essere
e a
tutte
le categorie dell'essere. Or in questa
seconda
forma
assume egli davvero natura di principio?
Di
certo,
l'assume; giusto perchè importa l'essenzial
con-
dizione
dell'essere stesso. Ma non anticipiamo.
Abbiam
detto che di questa dottrina del Vico
s' è
fatto
mal governo. Mostrammo già come primo
fra tutti
ne
discorresse il Mamiani, e, poco appresso,
il Rosmini.
Giova
qui riassumer le ragioni della controversia
fra' due
filosofi.
Il Mamiani accogliendo questo criterio,
come si
disse,
osserva che con esso il Vico non
intende pro-
por
nulla che esca da' termini della
intuinone (secon-
dochè
allora diceva l'A. del Rimiovamento), ma
conside-
rare in
essa, oltr' a' caratteri universali, alcune
doti
più
particolari, col fine di proferire a
un tempo mede-
simo il
criterio della certezza, e '1 criterio
della scienza.
In
altre parole egli dice : col suo
criterio il Vico intende
guardare
non pure al formale della cognizione,
ma ezian-
dio al
materiale obbiettivo.* Tutto questo è vero
; ed è
verissimo
che, tranne la natura fisica e quella
degli atti
del
mondo estemo, tutt' altro pel filosofo
napoletano sia
produzione
del pensiero, com'avviene dell'algebra e
della
geometria.
È fuori dubbio altresì che il
criterio per lui
non
pure ha da esser segno del vero,
ma anche principio.
* «
Nee ulla »ane alia patct via qua
eeepticit re ipaa convelli poétit, niti
ut
veri criterium 9Ìt id ip»um fecitte*
t — De Antiquisi, Ttaì,, cap. 1,
§ III.
•
ìiAìttAVif Rinnovdm, ec, p. 474.
Sennonché
FA. del Rinnovamento non vide allora
ciò che
avria
potuto e dovuto veder oggi V A.
delle Confessioni.
Non
vide che l'aspetto originale di tal
dottrina non istà
nel
riguardare il criterio vichiano qual
semplice segno ed
inizio
di scienza, ma qual principio, qual
legge dell'es-
sere stesso
in universale. Laonde non avendone còlto
altro
che il significato psicologico, accadde che
alla
possente
lima del Rosmini non poteva tornar
guari dif-
ficile
ridurre in polvere cotesto criterio al
modo che ma-
neggiavalo
il Mamiani.'
Se non
che è da confessare come neanche il
Rosmini
dal
canto suo valesse a cogUere né la
dottrina in discorso
né
quella parte di vero che, con
altrettanta verità quanto
calore,
propugnava il Pesarese. È noto che il
criterio pel
Rosmini
ha da essere un principio, e dev'
esprimere la
verità
prima, l'essenza della verità. Or qual
è l'essenza
del
vero? Eccotelo ricorrere al solito rifugio
àeW Ente
idmle!
Ma se cotesta potrà dirsi condizione
di cono-
scenza, non
però é principio di scienza, criterio
del sa-
pere per
via di scienza. Che cosa potrà
insegnarci mai
con la
sua vuotaggine l'essere possibile? l^ou è
dunque
cotesto
il criterio di cui parlava il
Mamiani, e tanto
meno
quello del Vico. — Non potendo indugiare in
mi-
nute
osservazioni sul modo con che il
Rosmini interpreta
la
dottrina di che parliamo, osserveremo
solamente che
sapere
il vero, pel filosofo di Napoli, non
é solo un cono-
scere il
vero, come vuole il Rosmini, ma è
porre, è fare, é
creare
il vero; altrimenti per nessun miracolo
al mondo
giugneremmo
ad averne notizia. Conoscere pel Vico
non
*
RosMiKT, Rinnovami, ddla FU. in Ttalia,
Milano, 1836, cap. XXXV.
Gioverebbe
Ieg(?ere in questo copioso volarne del
Roveretano qnel lungo
capitolo
e que* prolissi cementi nonché quelle
sette conseguenze che la
invitta
dialettica Rosminiana seppe cavare dal
criterio secondochè in-
tendevalo
il Mamiani. A lui bastò congegrnare,
al solito, una di quelle
sue
tavole sinottiche nelle quali ei dimostra
di quanta e qual vena ana-
litica fosse
ricca la sua mente, per metter
Tavversario col suo criterio
accanto
ad Elvesio, ad Epicuro e ad
altrettali! Ved. Tav. Sinottica (WSitt.
FU.j
intomo al criterio della cert&ma^ voi.
cit., p. 318.
è
vedere, non è patire, non è
semplicemente appren-
dere. È
vedere, patire, apprendere, appunto perchè
il
pensiero
è essenzialmente un conoscere. In una
parola,
se il
vero non si conosce facendolo, non si
conosce
nuU'aifatto;
non s'intende.* Quand' è infatti che di-
ciamo di
pensare? Giusto quand'abbiamo idee. Avere
idee
importa cólligere dementa rei; ex quibus
perfecHs-
sime
exprimatur idea. Il vero è l' idea,
ma l' idea in-
nanzi che
sia tale: è l'idea germe, l'idea
potenza, la
stesso
spirito in potenza, il pensiero non
per anche at-
tuatosi come
tale: in una parola è il senso
che si leva
a
dignità d' intelletto. Raccolta l' idea, fatta
l'idea, cioè
dispiegatasi
la meìite, eccoti il vero-fatto. Mi
si doman-
derà in
che maniera il Vico chiami esterni
gli elementi
onde
risulta l'idea? Perchè, rispondo, l'eduzione
del-
l'idea
suppone la formazione del concetto; e
il concetto
suppone
una serie di atti induttivi che
appresso deter-
mineremo.
Tutto ciò è come estemo all'idea; è
condi-
zione, non
causa del suo processo.
Senonchè
col raccorre gli elementi esterni la
mente
pone
qualcosa di proprio: pone se stessa
come pensiero;
diventa
ella stessa le cose ; diventa tutte
le cose. Ond' è
agevole
vedere come il criterio del Vico sia
il princi-
pio del
metodo geometrico, che per lui,
ricordiamoci,,
suona genetico.
Mi spiegherò con un esempio. Come
si
hanno gli assiomi, le verità prime e
necessarie, se-
condo i
positivisti? Mercè 1' esperienza, risponderebbe
il
Mill. L' assioma che due rette non
cTiiudono spazio
* «
Leggere è raccogliere gli elementi della
tcriUura onde le parole tono
composte
; con V intendere è COLLIORBB
elbmbnta RBI, KX QUIBUS PRRrBCTis-
31VA
RXPRIMATOR IDRA. Donde è lecito
conghietturare che gli antichi ittt-
liani
conveniseero in queeto pensiero : Vbrum
rssr ipsuv factum.» Qual è
cotesto
fatto? È il pensiero, il vero-fatto:
perchò ricevuto, indotto, rac-
colto, e
anche edotto dalla mente. In tale
questione il nostro filosofo,
contro
il solito, non manca di chiarezza.
Egli infatti dice: e AUora il vero
9Ì
converte col /atto, quando trae il
9uo essere dalla mente d^ lo eonoece
;
HI
QDOD YERUM 00GNO8CIT0R SUUM K8SR A
MBNTB HABBAT QUOQaR A QOA
cooKosci'TOR.»
De Antiqui^,, cap. I, De Origine et
ventate Scientiaruni..
Sgorga
immediate dall'esperienza. Che se apparente-
mente si
origina dal pensiero, cotesto pensiero in
tal
caso
non è altro salvochè una ripetizione
dell'espe-
rienza :
è r immaginazione che allarga i
limiti del fatto.
Ma
questa, evidentemente, se è una maniera
di sapere,
non è
il vero conoscere; perchè cotesto conoscere
non
sarebbe
una mia fattura, sibbene imitazione, copia
del-
l'esperienza.
Che cosa, invece, vi direbbe il Vico
a tal
proposito?
Direbbe: non istate a immaginarvi due
rette
portevi
già dall' esperienza e poi prolungate
all'infinito:
fatevele
da per voi medesimi coteste rette. Ma
come farle ?
Generandole
entro voi, per voi stessi, con
elementi speri-
mentali; e
così, più che l' immagine del fatto,
avrete la
vera
definizione, e però la genesi del
fatto. Concepite
il
punto come prolungato verso un altro
punto : eccovi la
linea.
Or se due rette hanno in comune
due punti, po-
trann'elle
chiudere spazio? Non potranno. Questo pre-
cisamente è
il vero-fatto, il vero da me stesso
fatto, da
me
stesso prodotto, da me stesso generato.*
Per
non chiamare il vero fattura di
nostra mente,
il
Roveretano si puntella nel solito argomento
de' ca-
ratteri
della verità: immutabilità, assolutezza,
eternità,
necessità,
università e simili. Ma ci sarà
lecito chiedere :
* «
Men« humana eontinet dementa verorum quce
digerere et eomponere
poMt'ti
et ex quibu$ dUpontU et compoeitie,
exittit verum quod demoiutraiU
{teientice)
ut demontiratio eadem ae operatio «i/,
et verum idem ao faetum. >
Ve
Antiq.f cap. Ili, 4. Né Yale che
il RosmÌDi, chiamando in soccorso
lo
stesso Vico, dica, questi elementi esser
le idee e coteste idee crearti ed
eccitarti
da Dio negli animi degli uomini. Per
questa frase VA., della Scienza
iVuova
è stato battezzato Malebranchiano ! Ma
come non vedere che in
quel
luogo il filosofo intende parlare del
senso dato a questa dottrina da
coloro
che eteogitarono tali locuzioni, le quali
ei non accetta perchè non
sempre
accetta il significato delle parole latine,
come osserva lo stesso
Rosmini
a proposito del Verum e del Faetumf
Bastino queste parole: e Par,
igitur
eet ut qui ha» loeutione* excogitarint,
ideas in hominum animi* a
Deo
oreari exeitarique eunt opinati, * Cap.
VI, 2. Fa meraviglia che il Ro-
smini non
siasi accorto come quattro righe più
giù V autore contraddica
apertamente
a Malebranche {Malebranckii doctrina arguitur^
ibi., § 4) :
e
come, se fosse vera V interpretazione
eh* ei ne dà, il Vico avrebbe
sciu-
pato
addirittura il senso verace e
originalissimo del suo criterio.
una
proposizione d' Euclide serba ella questi
ed altret-
tali
caratteri perchè ve li abbia inseriti
la mente di
Euclide
come tale, o non piuttosto il
pensiero medesimo,
il
pensiero in quanto è identico appo
tutt' i pensanti,
identico
nelle sue leggi essenziali, identico nelle
condi-
zioni
logiche originarie? Nella proposizione 4 -j-
4 = 8
havvi
necessità. Perchè? Perchè lo stesso
pensiero
ne ha
messo gli elementi. Ma perchè vien
fiiora 8 e
non
10? Precisamente perchè ci abbiam posto
il 4 -h 4:
cangiate
questo, e avrete cangiato anche quello.
E
perchè
serberà egli un valore universale tanto
da non
parer
fatto né d' ieri né d'oggi, né
intuito solamente
in
Francia o in Australia, nell' età
della pietra ripolita
0 nel
bel mezzo del secolo XIX? Appunto
perchè il
pensiero
è anch' egli necessario, universale nelle
sue
native
condizioni in ciascun individuo che in
qual si
voglia
tempo o luogo sia capace di
pronunziar 4 -f- 4.
Le
critiche dunque che altri potrebbe trarre
dal Ro-
Hmini
là dov' ei si studia d' interpretare
a suo modo
la
mente del Vico rispetto al problema
del conoscere,
tornano
tutte vane, tutte manchevoli.
Ma
veniamo al più sodo. Il criterio del
nostro filosofo
si
porge altresì come il fondamento più
saldo della
dottrina
della prova. Nel conoscere per cause,
egli dice .
seguendo
lo schietto Aristotelismo, sta la vera
scien-
za: il
che si riduce al medesimo criterio
della con-
versione del
vero col fatto.* Che cos' è in
sostanza il
provare
per cause? Al solito è un raccoglier
gli ele-
menti della
cosa.* Provar dunque per cause, e
con-
vertire il
vero col fatto, suona il medesimo. Un
esem-
pio. Il
principe Alberto, dice St. Mill, morirà.
Perchè?
Non
perchè tutti gli uomini (egli risponde)
sian mor-
tali ;
si perchè tutti quelli a me noti
e che son vissuti,
*
« Probare per cauMaat e/Jhere eat,
Effecttu eH verum quod eum facto
eonvertitur.
* (De Antiq. Cap. Ili, 2). —
< Chi aa per via di caute i
U jnà
sapiente.
» Akibt., Meta/. Trad. Bonghi^ Lib.
I, Cap. II, 2.
* <
Probare a eauwU rH elementa rei
eolìigere. » Ibi.
son
già beli' e morti. — Or tutto ciò, io
domando, signi-
fica egli
provare, o non più veramente collegare
un fe-
nomeno ad
un altro fenomeno? £ s'egli è così,
non
ne
viene che l'esigenza della prova si
riman sempre
insoddisfatta
riguardo all'uno de' due fenomeni invo-
cato per
ispiegar l'altro? Per contrario, alla
domanda
se il
principe Alberto morirà, come risponderebb'egli
il
Vico? Risponderebbe invocando bensì un
fatto, ma un
fatto
eh' è insieme cagion vera, idea,
concetto, principio,
cioè
la natura stessa dell' uomo. Se
intanto la prova legit-
tima si radica
nella causa; se il vero sapere è
sapere per
via di
cause, è già beli' e dimostrata inefficace
non pur la
teoria
sillogistica del positivista che nella
proposizione
particolare
vuol rannicchiar la sorgente della prova,
ma
eziandio l' altra degl' idealisti, formalisti
e ìntuitisti
che la
ripongon nella proposizione universale entro
cui
giaccia
racchiusa, come in bozzolo, l' idea
bisognevole di
prova.
La dottrina che a questo proposito è
possibile
trarre
dal nostro filosofo non solo ci dice
perchè Tizio
morirà,
ma, pili ancora, perchè sian morti i
morti, e
perchè
abbian da morire i morituri. Ella
mostra come la
causa,
il vero, l' idea, si convertano col
fatto : come il
fatto
provi la causa; come la causa generi
il fatto.
Tal si
è la legge del discorso scientifico.
Il quale perciò
non è
funzione deduttiva che dal generale scenda
al parti-
colare, 0,
come vorrebbe il Mill, dal generale
proceda al
generale
; e nemmanco è funzione induttiva che
dal par-
ticolare
salga al generale, o che un fatto
congiunga ad
un
altro fatto. Le tre funzioni che
accennammo parlando
della
genesi delle scienze han tutte natura
di sillogismo,
ma
sotto tre forme, tre gradi, tre
processi differenti. Il
processo
sillogistico è monco nell' induzione ;
è incompiuto
nella
deduzione; ma è compiuto e perfetto
solamente
nell'
eduzione, nella quale troviamo i due
elementi della
iK)noscenza
compenetrati dalla stessa virtù nativa del
pensiero.
Il sillogismo dunque è funzione essenzial-
mente
edidliva. Esso importa già la posizione
del faUo, e
importa
la determinazione del vera; però la
mente scorge
la
conversione d' entrambi, e compenetra in
uno i due
processi
per sé medesimi incompiuti, induzione e
dedu-
zione. E
qual è la relazione fra queste tre
funzioni, tal si
è pure
la relazione, come dicemmo, fra le
scienze e la
filosofia.
Se è vero che questa ha bisogno
assoluto di
quelle,
non sarà men vero eh' ella è
indirizzata a com-
pierle, a
trasformarle in proprio elemento. Talché
una,
a dir
proprio, è la scienza umana: uno sarà
quindi il
metodo
quantunque s' incarni sotto tre forme
distinte.
D vero
non può non esser che uno.*
*
Dalle cose discorse fin qui risulta,
e meglio risalterà in seguito,
una
conseguenza che ci preme ribadire. 11
metodo che noi interpretiamo
nel
Vico, a guardarlo in relazione alla
storia della filosofia, è metodo
(chiodo
perdono a tutt* i platonici) essenzialmente
aristotelico. Il metodo
deUo
Stagirita, quando si voglia intenderlo a
dovere, non è nò induuivo^
nel
senso che da* più si piglia questa
parola, né 9ÌHogÌ9iico^ nel signifi-
cato degli
scolastici. Pur troppo è stato inteso
nel primo e nel secondo
modo
per più secoli e presso parecchie
generazioni di filosofi ; ;na ciò
tiene,
come
Tedremo in un prossimo capitolo, a
que' due indirizzi contrari ed
erronei
secondo cui è stato interpretato
rAristotelismo. Bacone, per es.,
non
cessava di credere e d* appellar
«illogittieo il metodo dello Stagi ri
ta ;
nel
che tanto s* illuse quel grand' uomo,
che a poco a poco giunse a
scrivere
d'averla creata lui, proprio lui, la
vera induzione! Oggimai
tutti
sappiamo quanto valga cotesta sua induzione
; oggi che lo stesso
Macaulaj
ne ha sfrondato i meriti (£«t. polU.
etc. p. 212); ogg^i chele
stesso
St. Hill ha creduto ripudiarla e
correggerla (SysU de Log,^ voi. II,
p.
462); oggi eh* è noto come ne abbiano
scritto il Liebig, Kuhno Viscer,
il
Remusat, per non parlare del furibondo
De Maistre. Anche Galileo
avversava
a morte il metodo aristotelico: ma,
com'è agevole accor-
gersi, egli
intendeva parlare del metodo averroistico e
scolastico (Ofr.
segnatamente
Man. SUt., Giornata li, p. 120.— Lett.
del 80 Die. 1610).
E più
d* una volta anche il nostro Vico
sbeffeggia le inutilità de* generi
oriHoteìici
(De Antìquiee., Gap. Il, 5); ma
anch*egli è nel medesimo caso
del
Galilei. Si vorrà dire ch'ei non
capisse Aristotele. Diciamolo pure:
il
punto sostanziale è questo, che l'insieme
delle sue dottrine lo dimostrano
assai
più da presso ad Aristotele che ad
altri non, parrebbe. Per citare
un
altro nome, anche St. Mill parla
contro il metodo sillogistico del
filosofo
greco; ma non sarebbe difficile mostrare
come il vero metodo
aristotelico
sia, più che non paia, quello stesso
metodo deduuivo^nverto
ond'
il Mill crede aver superato antichi e
moderni, e d* aver corretto
Bacone
e Aristotele nella teorica della prova.
Io ho
voluto chiamare e chiamo eduxione il
processo razionale e
oosciente
del pensiero, non per vano desiderio
di parole nuove, sì perchè
Ragionando
su la natura del metodo, non possiamo
far a
meno d' interpretare un'altra sentenza del
Vico,
che
costituirebbe difficoltà assai grave agli
occhi de' teo-
logisti,
e il Rosmini appunto ne ha cavato
partito.
Il
nostro filosofo parla anche d' una
scienza divina
qual
regola delP umana; e all'una riferisce le
leggi ed
i
processi dell' altra.* Senz' andarci
assottigliando in
discussioni
e distinzioni poco profittevoli, l' interpreta-
zione
più acconcia ne sembra questa. Quando
si parla
di
scienza divina siccome norma dell'umana, è
al tutto
arbitrario
dar a creder che 1' uomo abbia
da intuire
o
coglier nulla del sapere divino : il
tempo di codeste
trascendenti
intuizioni ormai dovrebb' esser passato. Si
vorrà
dir piuttosto che alla mente sia
possibile conce-
pire in
alcun modo un tipo, comporsi un'idea
di scienza
non ne
sia fatto un fiascio con la volgare
induzione de' Positiyisti o con
la
loro dedazione, eh* è sempre, come
dissi, di natura induttiva (Lit-
TBé,
A, Comte et la Phil. Potiti p.
532 e segg.), e tanto meno poi
col
metodo
sillogistico degli scolastici. Il metodo
legittimo d'Aristotele,
ripeto,
non è deduzione, nò induzione, bensì
eduzione. Ce ne dan prora
tutte
le sue scritture, massime i libri
naturali; ed esempio splendido ne
porge
fin la Sillogistica, dove il così
detto metodo sillogistico dorrebbe
mostrarsi
più spiccante che mai se darrero
fosse il suo. Bellissimo esem-
pio anche
abbiamo ne* due primi capitoU della
Metafisica, dove niuno dirà
ch'egli
specifichi il concetto della scienza, in
generale, con industria indut-
tiva 0
deduttiva che sia. L'induzione aristotelica
qui è induzione socratica,
giusta
l'acuta osservazione del Bonghi (Meta/.
(TAritt», Introd., p. XXXIX).
Perciò
egli adopera l'induzione ordinaria sólo in
quanto move da criteri
comuni
su la natura della scienza; ma,
giunto a'principii che han da
costituirla,
nonchò alle somiglianze e differenze fra
le varie discipline,
cotesta
induzione da positivisti sparisce, o
meglio, diventa processo
eduttlvo,
diventa compenetrazione d' atti induttivi e
deduttivi. Se non
fosse
così, non avrebbe potuto stabilire il
noto principio : Kac òlo^ Si
tràTa
imvrìiJLVi 5tavo>}TCx>j, ri x fitriy^o^Tx
ti ^caviac, ntpi
aiTcaec
xxt ^px^i sVtiv, if o^xpi^ivripa^, -il
dn'koìjvripaiy
{Mttaph.\,\),
Or
questo precisamente ò U metodo che il
Vico, certo in modo assai
confuso,
esitante, arruffatissimo, adopera nelle sue
ricerche; nò quindi
il De
Ferron s' ò apposto male nel dichiararlo,
come vedemmo, metodo
essenzialmente
aristotelico.
* Dice
anzi così: H mio criterio i in
me aeeieurato daUa eeienga Hi
Dio,
eiCl fonU e regalia dT ogni vero.
(Risp. II al Oior. de^Lett.)
eh'
ella non possiede, ma che pur va
con infinito pro-
cesso e per
gradi accostando sempre più. Talché quando
sentiamo
il metafisico teologista e Tontologista
affermare
la
scienza divina essere norma e regola
dell' umano sa-
pere,
mostrando credere con ciò d'averne contezza
vuoi
per
virtù d'un rapido volo d'intuito, vuoi
per notizia
chi sa
come e da chi graziosamente rivelataci,
e' non
dicon
nulla di serio, nulla di positivo
addirittura. Per
affermar
tutto questo con tanta sicurezza, non
do-
vremmo
possederla cotesta scienza? Non dovremmo
anzi
dominarla e rimaneggiarla a nostra posta
così come
l'agrimensore
fa del suo compasso?
Norma
vera, norma che noi dominiamo davvero,
norma
già nota al mondo prima d'ogni altra,
semplice,
evidente,
inconcussa, è per l'appunto la matematica.
Della
quale l'A. della Scienza Nuova, non
altrimenti
che
Leibnitz, Galileo, Boezio, Cicerone, Aristotele,
Pla-
tone,
Pitagora, è grandemente innamorato, e
sempre
ne
parla, e sempre con passione viva ne
esalta i pregi*
La
contraddizione ch'altri vede nel porre
ch'ei fa qual
modello
del sapere or la scienza divina or
la matematica,
è
affatto apparente. Che nell'un caso parla,
o intende
parlare,
deìVidea massima della scienza, della
scienza di-
vina, la
quale altro non potrà essere salvo
che la per-
fetta
conversione del Vero col Fatto, la
compenetrazione
assoluta
dell'oggetto col soggetto. Nell'altro, invece,
di-
scorre non
già dell'idea massima, bensì d'un tipo,
d'una
forma
che, più d'ogni altra accostandosi alla
prima, più
fedelmente
la esprima e la rappresenti. Tal si
è per ap-
punto la
matematica. Tipo infatti del sapere
squisita-
mente
razionale per lui è la scienza
dell'astratta quan-
tità; tant'è
vero che Dio stesso, die' egli in suo
lin-
guaggio, non
altrimenti opera nel mondo delle forme
reali,
di quel che faccia il matematico nel
mondo delle
figure.*
Questo parmi '1 significato più acconcio
da dare
Ved.
Risp. n al CHorn. de' LetU, §
IV.
a tal
sentenza del Vico se non vogliamo
farlo cadere in
aperta
contradizione con seco medesimo; non già
che Dio
e la
sua scienza abbian da esser davvero
norma imme-
diata,
origine e sorgente del sapere umano 1
È un para-
gone, è
una figura e nulla più.
E
poiché intende a questa maniera la
scienza di-
vina, perciò
riesce a salvarsi dagli estremi cui
per vie
diverse
rompon l' idealista assoluto e il
teologista onto-
logo.
Pel primo scienza umana e scienza
divina son tut-
t'uno:
pel secondo ce n' è tal divario
quanto fra il finito
e V
infinito. Se non che Rosmini e
Gioberti nelle opere
postume,
ormeggiando gli aprioristi, pongono anch'essi
medesimezza
fra V una e Y altra scienza,
distinguendo
solamente,
specie il Rosmini, la materia dalla
forma, e
questa
reputando identica, e quella diversa nelle
due
scienze.*
Ma, s'egli è così, divario essenziale
non ci è,
né ci
può essere; stanteché l'essenziale nel
conoscere,
più
che nella materia, stia nella forma.
Invece secondo
la
dottrina del Vico può dirsi, che se
tra l'una e l' altra
scienza
non corra assoluta identità, non vi
possa esser
nemmanco
assoluta difi'erenza. Il pensiero divino
co-
nosce,
perché raccoglie gli elementi; e nel
raccorli reci'
meivte
li pone. Il pensiero umano va
raccogliendoli an-
che lui,
e nel raunarli idealmente li pone. E
tale vera-
mente appare
la sua sentenza là dove osserva che
il
conoscere
umano si discerne dal divino quanto
il solido
dal
piano, quanto 1' effige in rilievo
dal monogramma.*
*
Rosmini, Teosofia^ toI. I, cap. Vili.
-- Gioberti, ProtoUy voi. II.
*
Altra difficoltà, secondo alcuni critici,
sarebbe questa. Se vero sapere è il
sapere per cagioni, se conoscere Tal
produrre, se pensare è fare ; com*
è possibile arere scienza dell* assoluto
senza farlo, senza produrlo? Cono- scere Dìo
a questa maniera non è un assurdo?
anzi una bestemmia, a detta del
medesimo Vico? — Per tutta risposta
io to* riferire alcune sue pa- role le
quali racchiudono, panni, il significato
sincero di sua mente, chec- ché ne
possa dire in contrario egli stesso:
< Volete {^o' Qf^W) insegnarmi una verità
ecientijiea t Assegnatemi la cagione che
tutta si contenga dentro di me, sicché
io m* inltenda a mio modo un
nome^ mi stahUisea un assio- ma del
rapporto ék' io faccia di due o
p^ idee di cose astratte, e in
con- segueAa dentro di me contenute :
partiamoci da un finto indivisibUe :
fer- Dalle cose discorse ci sarà dato
cogliere il significato universale del
Criterio della Conversione, scandagliarne il
valor razionale, e vedere quant' ei
riesca fecondo nel- r applicazione. Perocché
criterio del vero, criterio del certo,
criterio psicologico, criterio logico e
simili, mai non approderanno a nulla quando
non possano risolversi nel criterio della
scienza, che vuol dire nel principio
stesso della scienza. Qual è cotesto
principio? Qui dobbiamo contentarci d'additare
a fuggevoli tocchi il risultato spe- culativo
della nostra dottrina, applicandolo alla
storia. Conversione suona processo, e
importa quindi molti- plicità e varietà
di momenti, d'intervalli, d'istanti. Im- porta
differenza di gradi, e diversità di
termini; onde vale a ritrarci la
natura stessa, la stessa intima costrut- tura
delle cose. A questo modo il
criterio, da semplice
norma
psicologica, da semplice criterio, passa ad
assu-
mere forma
e valore di principio scientifico
universale,
appunto
perchè ritrae la natura stessa delle
cose. Sen-
miamoci
in un imaffinato inftnitOf e voi mi
potrete dire : fa* del proposto
teorema
una dimòetranone, che tant* i dire
quanto : fa' véro ciò che tu
vuoi
eonoacere;
ed t'o, in eonoecere il vero che
mi avete proporlo, il farò; talchi
non
mi
reeta in conto alcuno da dubitarne,
perchè io §te»»o V hofaUo, » (Risp.
II,
§ IV.)
Ecco qui descrittaci con esattezza mirabile
la funzione edattiT»
del
pensiero ftlosofico positivo. Conoscer TAssoluto
per via d*an intimo
lavoro
di riflessione eduttira non è impresa
impossibile, né assorda; e
conoscerne
e provarne resistenza per via di
causa non vuol dire crearlo,
come
suppone il Vico. Vuol dire bensì che
noi possiamo comporcene l'idea,
creandolo,
educendolo come ideale per virtù del
pensiero. Vuol dire, in som-
ma, esser
necessario adoperare qudV analiei divina
de*pen»ieri umani..,, la
quale
guidandoci JU filo entro i ciechi
laberinti del cuor deU^uomo^ ci potrà
dare
non già gV indovinelli degli Algehrieti,
ma la eertena quant^ è lecito
umanamente
sul problema ftnale e sull'assoluto
fondamento delle cose.
[Lett.
al SoUa^ voi. VI, p. 14.) Che
cosa sian cotesti indovindli da Al-
gebrieti,
fatevele dire da' Teologi e dagli
Hegeliani, che l' avrebbero a
sapere
! **
nonché
il concetto di conversione non potrebbe
rivestir
forma
di principio, ove con esso noi non
potessimo
correggere
altri due criteri che sono due
estremi : l' as-
soluta
identità, e l'assoluta diversità. Quando si
tratti
d'investigar
la natura e scrutar la costituzione
essen-
ziale
dell'essere considerato in sé stesso, a
me non riesce
concepirla
altrimenti salvo che sotto tre forme,
o posi-
zioni che
si voglian dire ; e son queste
:
1* Che
i termini della conversione ìestino essen-
zialmente
diversi, opposti, non conciliati; o al
più con-
ciliati in
maniera empirica (Dommatismo empirico):
2» Che
cotesti termini in sostanza siano
essenzial-
mente
identici (DommcUis^mo razionale e metafisico;
Sistema
assoluto):
3**
Che siano l'una e l'altra cosa
insieme; diversi
in
quanto identici, identici in quanto diversi
(Dottrina
filosofica
positiva).
So che
i positivisti, poco benevoli a tal
maniera di
speculazioni,
sorrideranno a questo linguaggio per loro
poco
men che sibillino. Ma non v' è
riso che basti a di-
struggere i
fatti, e la storia. Tutta la storia
passata e
anco
futura del pensiero speculativo s'è
aggirata e
s' aggirerà
in perpetuo sopra que' tre punti ;
per cui chi
voglia
in qual sia modo filosofare, non può
non imbat-
tersi in
una delle tre posizioni anzidette.
Nella
prima d' esse i termini della
conversione, as-
solutamente
ed essenzialmente diversi, convertonsi; ma
in
guisa aflFatto estrinseca, meccanica. De'
due termini
l'uno
é assolutamente fuori dell'altro; sì che
paion
solamente
fra loro congiunti, quasi attaccati,
addossati
r un
r altro non si sa come, non si
sa perché. Dunque
alterità
empirica, empirica diflFerenza: differenza reale
fra
essi, non già svolgimento di forme,
né di contenuto;
non
diversità di momenti, d'atti, di funzioni,
ma di
stato.
Si direbbe che non ci sia altro
che suoni acuti
di qua
e suoni gravi di là, ma sempre
fra loro scordanti,
non
sapendosi ritrovar quella nota fondamentale
e co-
mune
che, temprandoli insieme, Taglia a comporli
in
armonia.
Però qui non ci ha moto, non
vita, ma realtà
fredda,
immobile, stecchita. AèA;BèB;CèC;
r
essere è T essere : ecco tutto.
Nella
seconda i termini, come essenzialmente
identici,
si
convertono, ma solo in apparenza. Si
convertono solo
per
ripeter sé medesimi. Si convertono perciò
in quanto
si
compenetrano: il che non vuol dir
conversione, ma
identità
assoluta. Ciò svolgimento, processo, sviluppo,
varietà
di momenti; ma è svolgimento formale,
sviluppo
fenomenico,
semplice varietà non diversità di momenti
:
quindi
ripetizione, monotonia, necessità meccanica ma-
teriale, 0
meccanismo ideale. Nulla di nuovo, fuorché
il
fenomeno.
Una la sostanza, ma infinitamente
molteplici
le
superfici. L' essere, l' essenza delle cose
è identità con-
creta,
identità sostanziale. Qui dunque e' è
difetto di fe-
condità vera
nell'essere; dimodoché la conversione è
compenetrazione
di termini in una varietà infinita di
momenti
reali e tutti fenomenici. A-=B; B-C;
C-D:
l'Essere
é il Diventare.
Nel
terzo caso, finalmente, la prima e la
seconda po-
sizione sono
conciliate. Né tal conciliazione accade
mercè
i
soliti principii superiori, e i soliti
terzi armonici, e i so-
liti
dialettismi che, quanto piii voglion
accordare, tanto
più
facilmente scordano alterando, sciupando,
guastando
la
natura dei termini che intendono trarre
ad armonia.
Sono
bensì conciliate, perchè legittimate entrambe;
né
potrebbon
esser fatte legittime, ove ciascuna d' esse
non
serbasse l'
individuale esigenza che la distingue.
Voglio
dire
che fra' termini della terza posizione
non v' è im' as-
soluta
identità; e non v' essendo assoluta
identità, e' sono
distinti;
e distinto eziandio ne risulterà il
processo.
Laonde,
anziché compenetrazione, fra essi ci è
conver-
sione ;
anziché assorbimento dell' un nell' altro,
rispon-
denza. Or
come sarebb'ella possibile tal conversione
ove
fra' termini
non fosse opposizione? Essi perciò hanno
un
limite
in sé, e quindi un intervallo. E
non ostante i li-
miti e
gr intervalli e' pur si toccano, ma
senza confon-
dersi: e
non potranno confondersi perchè la lor
diffe-
renza non
è di forma, anzi di sostanza. Qui
dunque non
v'è
noiosa e monotona ripetizione: ci è
vita vera, ori-
ginalità,
novità, fecondità d'essere. A si converte
con J?,
non
perchè l'uno sia l'altro, non perchè
siano identici,
ma sì
perchè sono distinti. Or come potrebbero
esser
distinti
senza un fondamento comune ?
Per
astratto che paia questo nostro linguaggio,
non
potrà
essere oscuro a chi abbia qualche
dimestichezza
con
ispeculazioni di cotal genere; né dubbia
od oscura
tornerà
la conseguenza che ne trarremo. Ed è
che il
criterio
della conversione, sia che Tobbietto di
essa
vogliasi
intendere come assorbimento o compenetra-
zione de'
suoi termini, sia che come assoluta
alterità;
riesce
sempre infecondo, sterile, esclusivo,
irrazionale, o
al
pili apparentemente razionale. Dunque la
posizione
metafisica
piti legittima e positiva sarà la
terza; ed è
quella
appunto che si trae dalle dottrine
del Vico. Spie-
ghiamoci
pili netto, e confermiamo qui anc'
una volta
il
concetto della Scienza e del Criterio.
Nella
prima posizione la scienza non è
possibile a
verun
patto. Ella pecca per difetto. Ella
pecca per non
saper
essere scienza metafisica in modo alcuno
e sotto
nessuna
forma: però essa è nulla perchè, metafisicamente,
è
scienza del non sapere. Tale sembra
voglia esser la
missione
storica degli odierni positivisti: Far la
scienza
del
non sapere metafisico! In sostanza e' non
fanno che
riprodurre
la posizione di Sesto Empirico,
modificandone
la
forma: nxvri lòyra lóyo'j
CTOv àvrcxcIo'Oae. E poichè
tal
posizione è negazione dell' esigenza
metafisica, però
cot^t'
indirizzo deve assumere più forme, maniere
di-
verse,
metodi differenti, rappresentandoci così gli
sforzi
inefficaci
del pensiero, ed esprimendoci '1 conato
infrut-
tuoso della
mente. Ella quindi piglia forma di
credenza,
la cui
più alta e sistematica espressione è
il credo quia
absurdum;
e piglia forma altresì di senso
comune, d' ana-
lisi,
d'osservazione, di classificazione, d'indagine
par-
ticolare,
induttiva, sperimentale, psicologica. Tal si
è
quella
lunga serie di tentativi più o men
razionali che
dal
monoteismo informe, cui nella religione
s'eleva il
pensiero
attraverso un teologismo pia o men
riflessivo
si va
innalzando e negando se stesso, e
vuol essere
scienza
d'autorità, di fatti, di coscienza,
d'istinto, di sen-
timento,
d'esperienza. Quindi è Tradizionalismo, Psico-
logismo,
Spiritualismo, Materialismo, Filosofia del
senstis
naturce
communis, Filosofia del sentimento, Scetticismo.
Tutte
filosofie entro cui più o meno spiccatamente
s'an-
nida il
Positivismo, perocché tutte consentano nel
co-
gliere il
diverso, l' essere come diverso, alla guisa
che
lo
presenta il fatto. Però non sanno
spiegarlo, non sanno
intenderlo.
E quindi l'oggetto del sapere metafisico
per
esse
riman sempre tale, sempre diversità
empirica.
Nella
seconda posizione il concetto della scienza
è
possibile:
tanto possibile, tanto facile, che pecca
per
eccesso
; pecca, come dicemmo, per voler
essere scienza
ciSSoliUa,
e quindi finisce per diventare scienza
del nulla:
scienza
dell' essere che s' annulla. Tal si è
l' Idealismo
assoluto,
e tali tutti que' sistemi che gli
sono affini:
la
teorica del tutto-idea, dell' idea-tutto,
che pone il
contenuto
dell'essere come assoluto, identico, univer-
sale. Il
divenire è legge; legge essenziale, legge
supre-
ma :
per cui gli Hegeliani oggi non fanno
che ricantar
sott' altra
forma la posizione d'Eraclito: nàvra yj^pti
òifSiy
psvsi: ripetizione monotona, monotono ritornello»
ond'
agli occhi di costoro (secondo l'
osservazione d' un
tedesco)
tutto è vecchio, tutto è saputo, e
nulla di
nuovo,
nulla di spontaneo, nulla d'originale non
sarà
mai
possibile nell'essere stesso.* L'identico nel
diverso,
ma nel
diverso fenomenico, apparente : ecco la
formola
dell'
Idealismo assoluto quando l' Hegeliano voglia
esser
conseguente
a sé medesimo.'
'
Stahl, St. dilla FiL dd Diritto^ voi.
II» p. 300.
' Non
mi facciano il viso dell* arme i miei
buoni amici Hegeliani, se
Nella
terza posizione, finalmente, la scienza
intesa
come
sapere metafisico non è un nulla,
dicemmo, e
neanche
il tutto. Non è metafisica negativa,
e nemmanco
scienza
assoluta. La divisa dunque della vera
filosofia
positiva
è il gran principio Leibniziano, che
troviamo
verificato
anche nelle dottrine del Vico : Tutti
i sistemi
esser
veri in ciò che affermano; tutti
essere falsi in ciò
che
negano. Perciò il carattere che la
distingue risiede e
spicca
sopratutto nell'accettare quel che le
posizioni con-
trarie ed opposte
affermano, e nel negare precisamente
ciò
ch'elle negano. Essa nega la loro
esclusività, le
corregge,
e le invera. Quindi riesce filosofia
positiva, in
quanto
è produzione de' fatti e del pensiero
; risultamento
d'un
lavoro costante e combinato fra
l'esperienza e le
idee,
fra la natura e lo spirito, fra
la storia e'I pensiero.
Più
che sperienza, in lei tutto è
sperimento : tutto con-
versione
incessante, attuosa, e quindi fiducia
profonda
nel
reale come nell'ideale, fede vivace nella
storia come
nella
ragione. La filosofia positiva dunque è
positiva non
perchè
neghi la metafisica, come pretende il
Positivista,
ma si
perchè nega, dall' una parte, la
metafisica dom-
matica, l'
assoluto sapere, 1' assoluto a priori;
mentre
dall'
altra nega lo stesso Positivismo, eh'
è in sostanza
il
nullismo metafisico. Or se la funzione
filosofica se-
riamente
positiva non è quella che nega bensì
quella
rol
mio corto cervello non arrÌTando ad
afferrare il secreto vìncolo dia-
lettico
dello due parole, abbia qai considerato
il divergo come efìOmero
ed
accidentale rispetto a\V identico. Ma non
son essi medesimi che pronun-
ziano, legge
suprema esser V ikdifperbnza dippersnziata
indifprrintr-
MEirrE?
Or che ci dicon queste parole?
Traducendole in linguagt^io un
po'più
umano, 8*ò possibile, ci significano
precisamente questo : /(Z«n(»efì
fatta
diverta in modo identico. E che cosa
Tuol dire identità fatta diverta
in
modo identico f Vuol dire identità
nella divereità^ nò più, nò meno.
Dunque T
essenziale ò sempre T identico! Però non
si sono ingannati
coloro
che, nella stessa Germania, hanno
rassomigliato il sistema di Hegel
ad un
serpentone si morde la coda. (Ved.
presso Lbrminirr, Bi$t.^ de
hi
Phil, du Droitf Voi. II) Nò sonosi ingannati,
nel medesimo paese, nel
dire
che 1* Idealismo assoluto ci rammenta
la eometta di MUnchhausen
la
quale sonava da so ! (Staul, Op.
c«(., voi. cit, p. 499).
che
afferma, ella nega appunto il puro
astratto, nega
il
puro concreto, e cosi afferma la vita
e l'armonia
d' entrambi
ricercandola. Non siamo dunque hegeliani
anche
noi? non siamo anche noi positivisti?
Noi affer-
miamo,
infatti, quel ch'essi affermano; ma siam
pronti
a
negare la loro negazione. I primi
afferman l'identità
com' essenza
delle cose; e però, se voglion esser
conse-
guenti,
devon negare la differenza in quanto
essenziale
ella
medesima. I secondi affermano una relazione
tutta
estrinseca
e stavo per dir meccanica fra le
cose; la iden-
tità
astratta, la differenza reale, immediata e
però sola-
mente
empirica, data, mostrata dal fatto, ma
non legit-
timata dalla
ragione: perciò essi negan l'identità come
essenziale
nell' essere, perchè non capiscon Y
essere, né
loro
importa guari capirlo. Or la filosofia
è positiva,
Imperché
afferma l'elemento positivo, voglio dire
l'af-
fermazione d'
etrarabe queste due posizioni ; 2»
perchè
.negando
l'elemento negativo contraddice alla negazione
di
esse. L' ingegno filosofico positivo sarebbe
un imper-
donabile e
meschino anacronismo e contraddirebbe a sé
medesimo,
ove non accettasse il positivo che è
nell' una
e
nell'altra di queste contrarie posizioni
cui è giunta la
moderna
filosofia europea. Ma se la nòstra
posizione è
davvero
moderna, non però cessa d' essere antica
: ed è
antica
senz' esser vecchia. Essa è la
medesima esigenza
di
quelle due grandi dottrine attorno a
cui s'affatica
da
venti secoli la speculazione occidentale.
Aristotelismo
e
Platonismo. Aristotele e Platone non si
contraddi-
cono. Essi
concordano, s' altro mancasse, nel concetto
della
scienza; e gli opposti indirizzi ond'
abbiamo parlato
sin
qua in modo puramente astratto e
teoretico, non ap-
partengono
ad essi, ma di essi ci rappresentano
appunto
r
esagerazione. Dunque la correzione piii
seria ed efficace
del
Platonismo e dell' AristoteHsmo sta nella
terza po-
sizione. La
quale perciò, in mentre cha»giustifica la
storia
della filosofia, la innalza ad unità
razionale, e le
imprime
una forma razionalmente positiva.
In che
veramente consiste tal forma razionale e
po-
sitiva di
speculazione metafisica?
Ella
consiste nel porre tre ordini di
realtà, ma si-
gnoreggiati
da un medesimo principio. A questi
tre
ordini
di realtà il Vico, certo per
significarne 1 indipen-
denza e
la distinzione essenziale, die titolo di
mondi:
Mondo
delle Menti e di Dio (Processo
ideale);
Mondo
della Natura (Processo naturale);
Mondo
delle Nazioni (Processo istorico),*
* Il
concetto de' tre proce»9Ì è simboleggiato
ne* Tre mondi della IH- .
pintura
messa in fronte alla Scienza Nuova.
Taluno potrà sorridere pen-
sando a
questo schema simbolico; e sorrida a
sua posta! Non è mancato
invece
chi lo abbia preso sul serio come
in (Jermania U GOoschel, il quale
ha
saputo scorgervi un concetto metafisico
originale, tantoché ne* suoi i
Fogli
«parti ne ha parlato in opposizione ali*
Hegelianismo (Ved. Cantoni,
St.
Critici). Ma ci è una ragione seria
per cui il Vico pone in fronte
alla
Scienza
Nuova cotesto suo schema? Ovvero ò
una fantasia platonica e
mezzo
teologica, uno scherzo da erudito, un
giuoco da letterato, un va-
neggiamento d'
un contemplatore solitario e fantasioso V
Una ragione
e* è
; ed è quanto seria altrettanto
chiara. Cotesto schema simboleggia
appunto
la sua dottrina metafisica, i cui
germi dicemmo trovarsi nelle ^
opere
latine. Avvertimmo già che una metafisica
nella Scienza Nuova
c'è,
ma vi è supposta, vi è presupposta,
non già incorporata con essa,
come
crede il prof. Spaventa. Come fate a
sapere (mi si chiederà) che
cotesta
metafisica ci è, ma vi è supposta?
Lo potrò sapere per più vie.
Lo so,
perchò lo induco dair insieme delle
dottrine spiegate in quel li-
bro. Lo
so, perchò guardo alle attinenze infinite,
tacite ed espresse, fra
la
Scienza Nuova e le altre opere.
Finalmente Io so, perchò V autore
stesso
me lo
dice e me lo fa intender chiaramente
con la sua Dipintura, Che
cosa
infatti vorrà significare mai cotesto
schema simbolico? lì con-
cetto de*
tre mondi racchiude in sostanza quello
de* tre processi dell* es-
sere; col
che il Holitario del secolo JF///
anticipava d* un secolo THege-
liauismo,
ma nel medesimo tempo lo correggeva.
Ora, chi applichi al tri-
plice
processo il criterio della Convernone del
vero col fatto,, nel mentre
può
imprimer valore di principio a cotesto
criterio, si avvede che pro-
prio in
quella Dipintura giace nascosto il
nòcciolo, per così dire, della
monte
del Vico, e però la chiave maestra
della sua dottrina metafisica.
Questo
schema da una parte è come il
risultato delle opere latine ridotto
a
concretezza sensata, e presentato sotto
forma simbolica ; mentre dal-
r altra
e* si presenta come Tantecedente immediato
della Scienza Nuova,
e
figura quasi il perittero degli antichi
edifizi. Che sia cosi non e* é
bisogno
di perderci in istudìati arzigogoli. Il
fine per cui egli prepone
al suo
libro la Dipintura è detto nello
stesso titolo: la Dipintura pro-
posta al
frontispizio serve per T INTRODUZIONR delV
Opera. Dunque, ridicia-
molo, in
lui c'è una metafisica; e questa
metafisica non ò incorporata
Or se
tre sono gli ordini della realtà, in
questi
per
prima cosa, vuol esser fondata la
genesi e V ordina-
mento delle
difiPerenti parti che compongon la
filosofia.
La
prima di queste parti riguarda il
processo ideale, il
processo
in sé medesimo considerato, V essere
attuale,
r
infinito attuale. Ella è metafisica e
logica, due cose in
una;
ma senza che fra loro ci sia
quella pretesa equa-
zione che
a marcia forza ci voglion vedere gì'
Idealisti
assoluti.
Se è vero che la metafisica è
anch' essa una lo-
gica, non
è vero che la logica sia la
metafisica. — La
seconda
parte è la filosofia della natura, la
quale versa
nel
finito attuale senza che s'abbia da
imporre alle
fisiche
discipline. Ella non fa che applicare,
in accordo
co'
risultati sicuri dell' esperienza, il
solito criterio della
conversione,
per cui non potrebb' esser detta costru-
zione a
priori, — La terza parte, finalmente,
è la filo-
sofia dello
spirito sotto tre forme, o processi:
storico,
sociologico
e psicologico. L' obbietto di essa
non è il
finito,
ne l' infinito, ma il finito che
tende all' infinito,
Vinfiniio
potenziale. Ora il problema di tutt'e
tre queste
parti
è quello stesso di ciascuna, ma sotto
forma pe-
culiare.
Esso consiste nel mostrar l' identico nel
diverso
e
viceversa; cioè nel mostrare la conversione
del Vero
nella
Scienza Nuova, ma è tutta in quello
schema che 9ervc per intro-
duzione deW
Opera. Perciò chi voglia intendere il
suo libro, s' ha da stu-
I
diare d* intendere innanzi tutto la
Introduzione che vi è preposta. E
pure
quanti
sono che ci abbian badato ? Quanti
sono anzi che non ci abbiano
riso V
Ma che cotesto invece sia negozio da
non pigliarsi a gabbo, ce lo
dice
egli medesimo là dove rÌ9tringendo TI
db a deW Opera inuna^omma
hrieviisima,
accenna che cosa rappresenti in sostanza
la sua figura. Che
poi
intendesse racchiudervi una dottrina metafisica,
lo avverte chiaro
nella
lunga nota in su la fine della
Spiegcutione^ dove per fare intendere
al
lettore la heUezaa detta Divina Dipintura^
gli pone sotV occhio V or-
' rore
e la bruttezza d* altre dottrine
contrarie, per es. lo Spinozismo, il
■
Determinismo storico, lo Scetticismo, il
Sensismo, V Epicureismo e simili.
Dunque
(giova ribadirlo bene) di sotto a
que* sìmboli, che a taluno son
parsi
fantasia da poeti, la critica seria e
indagatrice ha da scorgere due
;
concetti: !« U concetto della Conversione}
S*» il concetto de* tre /Voce»»».
Questo
è il punto, e quello è la leva;
e con quel punto e con questa
leva,
chi no avesse la fona, potrebbe
muovere terra e cielo.
col
Fatto, della forma con la materia,
dapprima in sé
stessa,
poi nella natura, poi nello spirito e
nella storia.
Questa
è precisamente la divisione razionale e
po-
sitiva della
filosofia. Ed è razionale e positiva
perchè
mentre
racchiude il vincolo secreto de' tre
processi, nega
insieme
la pretensione de' sistematici assoluti, agli
occhi
de' quali
la genesi del pensiero è identica a
quella del-
l'essere.
Per noi invece fra l'una e l'altra
non v'è iden-
tità, ma
conversione. Ed è questo, come vedremo,
il
significato
sincero della nota sentenza vichiana su
la
relazione
fra l'ordine logico e l'ordine ontologico.
A
conclusione intanto di tutto ciò che
siam venuti
discorrendo
ne' precedenti capitoli su la scienza e
sul
criterio
della scienza, dobbiamo vedere in che
modo il
criterio
delle tre posizioni ond' abbiamo innanzi
discorso
valga
altresì a farci interpretare la storia
della filoso-
fia, e
intender la genesi e determinare la
peculiar na-
tura de'
differenti sistemi filosofici.
Non si
può esser filosofo senza essere storico
della
filosofia,
e viceversa. Scienza e storia della
scienza sono
due
aspetti d'un medesimo subbietto; ma sotto
diverso
punto
di lume. Sono due aspetti che non
si confondono
fra
loro, ma si distinguono; e si
distinguono appunto,
perchè s'
hanno a compiere a vicenda. Questa è
legge
universale
di ciascuna scienza, ma segnatamente della
filosofia.
La necessità della storia d' una scienza,
infatti,
è in
ragione inversa della sua compiutezza e
costituzione.
La
storia della matematica è una curiosità,
un' erudi-
zione agli
occhi del matematico. Erudizione e
curiosità
la
storia della chimica e della fisica
pel chimico e pel
fisico
puramente sperimentale. Ma potrebb' esser
sem-
plice
curiosità la storia delle scienze induttive
quando
si
pigli a considerarle nelle loro questioni
generali come
ha
fatto il Whevrell? Sarà semplice erudizione
la storia
del
Diritto pel giusnaturalista? Erudizione e
curiosità
la
storia del sentimento religioso studiato
nelle differenti
civiltà?
Tanto meno dunque la storia del
pensiero filo-
sofico
potrebb'esser pel filosofo una quistione di
curiosità.
Una
filosofia che divelta e stralciata dal
suo passato
non
sappia annodarglisi e continuarlo e
correggerlo, piii
che filosofia
è romanzo; più che speculazione seria,
uto-
pia. Un
agrimensore cui manchi il terreno da
sottoporre
a
misura; un pilota senza naviglio sopra
cui possa ado-
perar lo
scandaglio e la bussola: tale per me
è il filo-
sofo senza
la storia de' sistemi filosofici.
Sennonché,
studiar questi sistemi nella storia per
noi
non è, come per gli ecclettici,
studiare la scienza
stessa.
La storia è mezzo efficacissimo, strumento
essen-
zialissimo,
condizione vitale per la scienza, ma
non ca-
gione. Ora
perchè lo studio de' sistemi abbia
valore di
strumento
efficace, è d' uopo saperlo non pur
maneg-
giare, ma
indirizzarlo ad un fine altresì. Per
l'una cosa e
l'altra
un criterio è imprescindibile. Dond' emerge
cote-
sto
criterio? Dalla storia, dicono alcuni. Ma
allora la sto-
ria sarebbe
la scienza stessa! Dalla mente, risponde
altri,
cioè
dal sistema. Ma in tal caso la
mente, il sistema sa-
rebbe la
storia ! Né dall'una, dunque, né
dall' altra sor-
gente in
modo esclusivo può emergere il criterio,
sibbene
da
entrambe. In che maniera? Hoc opus,
hic labor.
Perchè
il criterio possa riescir davvero
profittevole
dee
metterci in grado d' interpretare in
qualche modo la
storia.
Dee farci comprendere il suo problema;
dee farci
intendere
il suo fine. Ora per interpretare la
storia della
filosofia
innanzi tutto è mestieri disporla,
ordinarla; or-
dinarla
secondo il fatto, più che secondo le
ispirazioni
di
nostra fantasia. Ma, daccapo, come disporre
e ordi-
nare senza
un criterio? Ecco la necessità della
psico-
logia. La
quale sedendo in mezzo, per così
dire, alla
storia
e alla filosofia, cioè in mezzo ai
fatti, ai sistemi
che ci
porge la storia e alla teorica che
può darci il
pensiero,
costituirà l' unica sorgente del criterio.
E il
segno
men fallace a ponderarne la verità e
legittimità
è il
vedere se ci ha rispondenza fra lui
e l' ordine cro-
nologico
nonché i caratteri presentatici dalla
storia
delle
diflFerenti dottrine. Tal rispondenza ci
può fallire
in due
modi, e per due ragioni; o perchè
la materia
non si
presti, ovvero perchè il principio tolto
siccome
regola
torni inapplicabile ed erroneo. Neil' un
caso la
storia,
come scienza, è fatta impossibile per
sé stessa:
nell'
altro è fatta impossibile da chi la
studia per non
aver
saputo imbroccar nella scelta del criterio.
Di fatto,
per
vedere se uno storico della filosofia
erri lungi dal
vero,
non e' è che guardare alla
composizione del suo
disegno.
Quand' ei prediliga alcune figure, e
metta V una
anziché
l'altra sotto certi punti di lume, e
faccia risaltar
questa
più che quella scuola, e rintani giù
fra le ombre
un'
altra, o tiri un velo sopra una
terza, egli per noi è
storico
da scuola, storico da gabinetto, storico
a proprio
servigio,
storico esclusivo, perchè esclusivo il
criterio col
quale
interpreta la materia eh' egli ha fra
mano. Tutti
gli
Hegeliani senza eccezione danno in questo
difetto.
Senonchè
la storia de^ sistemi, eh' è appunto
la mate-
ria sopra
cui lavora lo storico, può davvero
prestarsi ad
uno
studio che serbi valor razionale? — I fini
dello storico
sono diversi.
Principalissimo è quello di legittimare il
proprio
sistema (giacché non si può prescindere
da una
dottrina),
ricostruendo così e ricomponendo gli anelli
della
tradizione scientifica. Egli dunque innanzi
tutto
è
chiamato, giusta l'osservazione del Ritter,
a determi-
nare i
periodi della storia. Ma sono essi
possibili cotesti
periodi?
Sì, certo, risponde il medesimo Ritter;
e ce ne
garantisce
la vita e la natura stessa dell'
individuo, che
vuol
dir la psicologia.* Ma se è possibile
determinare i
* «
Noua pentùfiB que, camme dan» la tic
de ehaque homme il jf a de»
période»
dan» le» quelle» il a tantfìt più»
tcmtót moin» eonjianee de lui-
mime {la
vici»»itxule du eommeil et la veille
en/oumit un exemple trh «en-
»ible)f
de mime au»»i dan» la vie de
Vhumanité enti^re, le développement
e»t
«Olimi* à la periodieiti. Ceat pour
VhahUe kietorien un probUme du più»
kaut
intéra que de trouver le» périodee de
ee diveloppement et «Te» déter-
miner
le» caracth^e». > (Hist. rol. I,
p. 28.) E altroTO, parlando del
perìodo
della
filosofia greca, dice il suo processo
esser e eon/orme au déveloj^-
ment
iiUelìeetuel de Vhofinne, don» Vindividu
eomme dan» Veipèoe, ear la
civili»ation
tend toujour» de la circonférence au
oenlre, » {j>. ibi, 157.)
periodi
storici perchè la materia si presta a
tal fine,
come
farebb'egli, il Ritter, a rilevare e
ponderare ac-
conciamente
i caratteri delle differenti scuole e
sistemi
senza
il sussidio d'una norma anteriore e
superiore
alla
storia? Eccoci ricascati nella solita
necessità d'un
criterio
che valga ad imprimere forma razionale
alla
storia
: senza di che lo storico potrà
esser pregevole per
erudizione,
prezioso per esattezza storica, saggio e
con-
scienzioso
per fedeltà critica, ma non per
questo avrà
valicato
i confini dell' empirismo. Tale è il
Ritter fra gli
storici
contemporanei della filosofia. Egli è
critico sa-
vissimo,
checché ne dica la scuola di Hegel.
È interprete
coscienzioso,
indipendente, scrupoloso, accuratissimo; ma
non è
filosofo. A lui fa paura il
dommatismo ; fa paura
il
sistema nella interpretazione istorica : e
non ha torto.
Ma non
si può essere storico filosofo senz*
esser dom-
matico
e sistematico? Il gran pregio del
Ritter sta nel
carattere d'
indipendenza eh' ei dà alle differenti
scuole.
Ma un
principio sopra cui s'incardini la sua
critica, e
gli
porga ragione di tale indipendenza, a
lui manca
assolutamente.
11
criterio mercè cui lo storico potrà
render utile
lo
studio della storia ed elevarla insieme
a dignità scien-
tifica, sta
neir interpretar la successione e la
genesi e
le
attinenze de' sistemi filosofici ponendo in
opera il cri-
terio delle
tre posizioni che noi abbiamo accennato.
Queste
tre posizioni (e altre non sono
possibili) invocate
a
chiarirci nel magistero della critica e
della interpre-
tazione
della storia, non costituiscon già un
criterio em-
pirico, né
un criterio d' indole eclettica; tanto meno
un
criterio
dommatico, sistematico, ricostruttivo. Non è
cri-
terio
empirico, perchè non sono i fatti
storici (e nel caso
nostro
i fatti storici sono i sistemi
filosofici) che lo par-
toriscano, 0
lo spieghino; ma egli stesso è che
spiega
la
comparsa delle^differenti scuole e dottrine
filosofiche
nel
regno della storia. Non è poi
criterio eclettico per-
chè non iscaturisce
dalla storia, né da' sistemi; anzi ci
fa
capaci d' interpretar V una e giudicar
gli altri senza
esser
sistematici : sentenza che per taluno
avrebbe faccia
di
paradosso, ma non è.* Finalmente il
nostro criterio
non è
sistematico, perchè non isgorga dalle
viscere stesse
di
alta metafisica, né quindi importa ombra
di necessità
dialettiche,
a priori, metafisiche. Ma qui dobbiamo
intenderci
con gli storici hegeliani.
Qual è
il criterio storico di Hegel? È il
principio
stesso
cella sua filosofia; V identità assoluta.
Una infatti
per
lui è la filosofia, uno il sistema
; e le dottrine par-
ticolari non
altro che forme diverse d' un
medesimo
contenuto.*
11 dommatismo sistematico nella storia de'
si-
* La
H;nola del Cousin scimmiottando Hegel,
com'è noto, Terrebbe
far
germinare la filosofia dalla storia, o
considera perciò come elementi
organici
necessari, aempiici e irriducihili solo
quattro sistemi; Sensismo,
Idealismo,
Scetticismo, Misticismo. Da questi fa
risultare la storia d'ogni
tempo
e ln)go; o da essi medesimi vuol
far germogliare la filosofia: La
teoria
deve emergere dalla storia. [Court
ec. Ber. 2* t. II, p. 109-353.) Or
80 la
storia in ogni grand* età e in
ogni periodo filosofico presenta
qne*
soliti qiattro demetiti organieif ne segue
che la teoria, dovendo pul-
lulare
appuiÉo da essi, altro non potrà
esser che un accozzo eterogeneo
e,
meglio che un eclettismo, un sincretismo.
Se gli elementi infatti sono
contraddittorìi
ed eterogenei, non dovrà esser tale
altrosì V insieme che
ne
verrà fuom V Che se per tale
accozzo è mestieri d* un criterio,
eccoci
tosto
fuori della storia; e allora non sarà
altrimenti vero il gran domma
che la
teoria abbia da emerger dalla stessa
storia. — Altro difetto del
Cousin
è, che iella sua divisione non trovan
luogo parecchi sistemi, come
per
es. il Critclsmo, e Y Idealismo
assoluto: 1* uno perchè non è
sistema,
e
nemmanco icetticismo; l'altro perchè, sotto
il riguardo psicologico,
sarebbe
P unione di due sistemi, secondochè
avverte egli stesso. Inoltre
non
giunge a determinar nettamente la fiinzione
dello Scetticismo nella
storia,
e distinruerla dalla funziono che esercita
il Misticismo, il quale
definisce,
le eotf> ds désespoire de la
raièon humaine: quasi che il secondo
fosse
un atto legativo cosciente, com'è il
primo, e non già positivo in
qnanto
che imprta fede, contemplazione, sentimento
e simili. Finalmente
chi
non vorrà legare p^li Eclettici che
il Misticismo, il Sensismo e lo
Scetticismo
siaio da riguardarsi come altrettanti
sistemi V — Ecco a che
mena
un criteri) erroneo su la divisione e
genesi de' sistemi filosofici.
Non s'
intende h storia, e poi si precipita
senza rimedio in una teoria
affatto
sincretici e però assurda.
* *
La storci della filosofia mani/estaf ne*
vari sistemi che sono ap-
parsi,
una sola i medesima filosofia che ha
percorso diversi gradi, e prova
che i
prineipii particolari di ciascun sittema
non sono che parti d* un
solo e
medesimo utto. > (Hbgel, Log. Introd.
§ XIII, trad. Vercu — Wilmx,
stemi
non potrebbe risaltare più evidente, più
rigoroso,
più
universale, più assoluto. Noi innanzi tutto
neghiamo
risolutamente
che le vario dottrine non possan
essere
altro
fuorché momenti diversi d* una filosofia.
Dov'è iden-
tità di
contenuto, a dirne un esempio, fra Idealismo
e
Materialismo?
Tra Teismo e Panteismo naturale o
ideale
che
sia? Ci vuol davvero la pupilla
lincea degli hege-
liani a
vedere, o meglio, a travedere siffatte
ideatità di
contenuto
! D' altra parte, se posta la
evoluzione della
idea 0
contenuto dello spirito ne seguita (come
dicono)
che la
filosofia ha da esser identica alla
storia: non è
egli
codesto un principio degno d' un eclettico
francese?
Non è
la negazione più aperta, più schietta
del progresso
in
filosofia, meno, s'intende, fino al ] 831,
epoca memo-
randa in
che con la sua bacchetta d'acciaio il
gran
negi-omante
del Nord ebbe diffinitivamente segnato e
chiuso
in perpetuo il circolo della filosofia?
S'egli è
così,
la dottrina ^é* circoli e de' ricorsi
storbi che il
Vera
dice esser l' errore madornale della
Sdenzii NuovOj
per me
sarebbe anzi una conseguenza logica, imme-
diata,
inevitabile dell' Hegelianisrao, almeno quant'
al
pensiero
speculativo.*
Hi9t.,
voi. IH, p. 439). La successione
istorica de' sistemi perciò riesce
identica
a quella delle determÌDazioui logiche della
Idea: il perchè in
fondo
a tuttM sistemi non si occulta altro
che un medesioo oontenuto.
* Chi
consideri bene le dottrine e applichi
con acciiiatezza le esi-
genze del
metodo vichiano alla storia de' sistemi, si
accorgerà tosto corno
nella
filosofia, guardata storicamente, ci abbia
da esser moIiipUcità di mo-
menti, e,
che più monta, diversità di contenuto;
del che /a storia dt'Ila
filosofia
greca, come accennammo (pa?. 19«, 197)
porge splendido esem-
pio. Ma,
si badi, ciò non toglie punto che
ci abbia da esser», come di fatto
ci è,
differenze di forma. Se i ritomi e
i rieorgi «tarici nm importassero
anche
in filosofia un contenuto nuovo pur
occultato sotto vecchia forma,
che
cos' altro sarebbe la storia del
pensiero filosofico salvo che an' og-
;,Mo8a
e sterile ripetizione d'un medosiuio
uggiosissimo spettacolo'? Nella
storia de'
sistemi, più che in altre, il moto
e lo svolgim4Qto storico non
somiglia
ad una linea retta, come dicono
alcuni, e mmmanco ad un
circolo,
come pretendono altri. La storia della
filosofia 3 linea retta e
circolo
insiememente. È linea retta, chi guardi
al contenuto ; ed è poi
circolo,
chi consideri la forma, cioè la parto
meccanica do' fatti; giac-
che la
storia, lo dicono e lo credon
tutti, ò fornita alch'ella del suo
Un'
altra osservazione contro gli Hegeliani
poiché
ci
calza. Se V ingegno filosofico (quello,
ben inteso, de-
gl'
imperturbabili e severi negromanti in
filosofia) rac-
chiude in
sé tanta virtù e tal vena
architettonica da
costruire
con lavorio tutto a priori il sistema
della
scienza
dell'essere e del conoscere; la conseguenza
parmi
chiara,
irrepugnabile : ed é che la storia
della filosofia
non
potrà non riescire affatto inutile e
insignificante.
A che
sciupar tempo, a che sprecar la
nostra attività
critica
a studiar ne' bozzetti piii o manco
smorti e me-
lensi e
sconci e abortivi che ci presenta la
storia, se
abbiamo
già dinanzi agli occhi in marmo vivo
e quasi
palpitante
il Davide e '1 Mosè? — Dicono:
« Noi invo-
chiamo la
storia de' sistemi, é vero, ma per
semplice gua-
rentigia del
sistema: la invochiamo com' una riprova di
fatto,
com' una conferma sperimentale.... »
Conferma di
che?
Della costruzione a priori,^ Dunque codesta
vostra
costruzione
è una congegnatura inefficace ! — D'
altra
parte,
se il sistema giace ascoso e beli'
e apparecchiato
nella
storia e non fa che germinare da
essa, in questo
caso
non sarà inutile la vostra costruttura ideale,
a
priori?
Brevemente, una delle due: La costruzione
a
priori
del sistema é ella assoluta? Dimque è
faccenda
inutile
la storia de' sistemi. Il sistema
giace egli beli' e
apparecchiato
nella storia? Dunque inutile ogni alma-
meccanismo.
Ora dunque per noi il pensiero
fllosofico ò daTvero pro-
gressivo; è
progressivo sul serio; progressivo noi
verace senso della
parola
progresso, appunto perchè si svolge anche,
e sopratutto, nel suo
contenuto.
£ qui, com* è chiaro, noi rispetto
agli Hegeliani siamo addirit-
tura a:rU
antipodi; e non è altrimenti il
nostro povero don Giam-
battista
quegli che non ebbe la fortuna (sic)
di scoprire la gran
Ugge
dd progredire della utnanità, ma è
proprio il loro Hegel cui toccò
la
sventura (abbiano pazienza!) di non
conoscerla, anzi di negarla co-
testa
legge; o almeno, riconosciutala da Talete
fino al 1831, Tha poi
negata
a tutt*i secoli avvenire, condannandoli
senza scam(H> a ruminare
eternamente
la medesima formola metafisica! Il concetto
del vero prò-
gre99o
è concetto propriamente impossibile nella
mente degli Hegeliani,
come
vedremo nella Sociologia.
»
MiOHKLiT, Exam, Crit, de la Mèi.
d'Arisi., Paris, 1836, p. 305.
nacchìo
architettonico dialettico a priori. Nel
primo
caso
voi sarete altrettanti Dii; e noi non
v'intendiamo,
perchè
confessiamo di non esser capaci d'
intendere un
linguaggio
e un pensiero sovrumano. Nel secondo
poi
sarete
eclettici, o positivisti; e noi vi
superiamo. Non v'è
scampo.
Se la storia de' sistemi ha da
servire di per sé
sola a
darci la filosofia; se, d'altra parte,
la congegna-
tura a
priori ha da essere assoluta e tutta
d'un pezzo:
come
legittimarle entrambe? perchè invocar la
neces-
sità
d'entrambe? Intendo l'eclettico che, non
sapendo
rinvenir
filo d' energia speculativa ne' bisogni
intimi del
suo
pensiero, viene a chieder soccorso alla
storia. Intendo
non
meno il positivista che con le mani
sotto le ascelle
tutto
aspetta dalla storia appunto perchè non
ha briciol
di
fede nelle native forze della ragion
filosofica, e sorride
agli
sforzi ne' quali nobilmente altri si
prova. Ma come
potrò
intender gli hegeliani che invocan la
storia nel
momento
istesso che vantano la singoiar pretensione
di
costruir l' edifizio scientifico a priori
rifacendosi dal
tetto
?
Che
cosa dunque è da concludere? Precisamente
r
opposto di ciò eh' essi pretendono :
che ne la storia
contiene
il sistema, né la mente può
costruirlo e de-
durlo
a priori. Né induzione, al solito, né
deduzione
neanch'
in quest' ordin di cose. La
possibilità d' una
dottrina
metafisica può germinare dall' azione
combi-
nata delle
due forze; dalla storia de' sistemi
interpretati
a
dovere, e dalla energia intima del
pensiero specula-
tivo. Or
tutto ciò potrebb' egli esser possibile,
se questo
pensiero
non fosse ad un tempo e dentro
e fuori della
storia?*
* Lo
Schmidt divìde la storia de* sistemi
filosofici morendo dal con-
cetto della
filosofia elio per lui è teienza del
fondamento ultimo del nottro
pentierOf
e delV a$§oluto, E poiché cotest'
obbietto si può concepire in tre
gaise,
cioè obbiettivamente, sabbio ttiv amente e neirun
modo e nell* altro
riconoscendoli
entrambi come identici, però ne deduce
1* opposizione
de*
sistemi, e la divisione della storia.
La prima e più generale divisione
è
questa; 1» filosofia grreca ; 2o
filosofia nuova avanti Kant ; S*"
filosofia
Il
nostro criterio non è niente di tutto
questo. Non è
empirico,
non è eclettico, non è sistematico,
non è dom-
matico.
E positivo, e razionalmente positivo. Ed
è tale
perchè
piglia di mira non già i sistemi
propriamente
detti,
anzi le posizioni ultime, più semplici,
irreducibili
del
filosofare, squadrandole sotto doppio rispetto
; sotto
il
rispetto della scienza, e del suo
oggetto. Le posizioni
possibili
dell' ingegno filosofico, di fronte al
sapere me-
tafisico,
dicemmo esser tre: !• impossibilità della
metafi-
sica
(Scetticismo); 2» sua attualità (Sistema
beir e com-
piuto); 3»
sua possibilità (Critica). Anche tre,
dicemmo,
le
posizioni del suo oggetto, cioè le
possibili soluzioni del
problema
metafisico. Dunque tre han da essere
i sommi
generi
sotto cui la storia può venir
adunando, disponen-
do,
ordinando le dottrine, gì' indirizzi, i
metodi, le esi-
genze
speculative formanti le specie e
sottospecie, le
recente
dopo Kunt {St, della FU., p. 16).
Innan^ù tutto questa è una di-
Tisione
essenzialmente sistematica, e riesce alla
filosofia dell* identità: il
che
solo basterebbe a condannarla. Il concetto
inoltre nel quale è fondata
• è
superlativamente esclusivo; tanto cbe rimaui^on
fuori del corso isterico
interi
periodi di speculazione occidentale, per
non parlare della filosofia
orientale.
Così precisamente egli tratta, per esempio,
la scolastica: la
quale,
tuttoché non si possa dire speculazione
metafisica, non però cessa
d'essere
8peéulazione,quantunque in servigio della
teologia e del domma.
K poi,
come mai dalla filosofia greca, con
un salto più che mortale, si
piomba
a Cartesio ? Dov* è qui, non
dico la verità, ma la realtà del
pro-
cesso
storico della filosofia? Un'altra domanda.
Lo Schmidt pone Videntìtà
come
contrassegno del 8^ periodo della
filosofia. Ma, con qual diritto, con
che
verità qualificar tutt* i filosofi di
cui egli parla nel suo S"*
periodo col
carattere
dell* identità ? Come si vede, lo
Schmidt cade nel 1* a pr»art«mo
hegeliano,
ma senza far pompa de* grandi pregi
di Hegel. Tranne V op-
posizione
fra' sistemi, nonché la triplice maniera
onde in essi è concepito
l'assoluto,
ei confessa dì non saper altro per
via a priori di concreto, di
particolare
circa la storia delle scuole e delle
dottrine filosofiche: dovec-
cbò
Hegel non pnr move dalla logica, come
s'ò detto, e dalle alture
logiche
procaccia dedurre i sistemi ed i
momenti della storia, ma più an-
cora li
costruisce; li costruisce indipendentemente dalla
storia. Il metodo
dello
Schmitd, quindi, avrebbe una parte
accettabile, un aspetto vero;
che,
cioè, r indagine storica, per lui,
non riescirebbe un di più affatto
inutile,
come in sostanza dovrebb' essere per Hegel.
Se non che cotesto
bel
pregio svanisce, tost<t che si pensi
all' erroneità ed esclusività dom-
matica
del principio onde move la sua
speculazione. (Op. cit., p. 23.)
divisioni
e suddivisioni de' vari sistemi che
ci presenta
il
fatto istorico della filosofia. Non v'
ha dottrina che no
resti
fuori: né v'è sistema che il nostro
criterio non in-
terpreti e
legittimi. Esso racchiude una legge; anzi
guardato
psicologicamente è legge egli medesimo:
quindi
è
processo, è ternario, è tricotomia, come
direbbero gli
hegeliani,
ma basata in un fatto, fondata in
una neces-
sità
psicologica. È legge ; ma è una
legge, vorre' dire, li-
bera; libera
nelF ordine delle applicazioni, È una
trico-
tomia
mobile, variabile, raoltiforme. È un
ternario pro-
gressivo da
applicarsi liberamente fin dove si può,
senza
che
neppur d'un minimo la storia abbia a
restare for-
zata ne'
suoi responsi, compulsata ne' suoi principii,
vio-
lentata
nelle sue conseguenze. Il nostro criterio,
dun-
que, non
è un letto di Procuste perchè non
iscaturisce
dall'
alto; anzi lascia dischiuso il corso
istorico all' atti-
vità
speculativa, sì che lo svolgimento de'
sistemi, più
che un
circolo, sia davvero quel che debb' essere;
un
processo.
Si può
egli applicare alla storia de' sistemi
cotesto
criterio?
Ovvero è atto solamente a significarci
la ge-
nesi ideale
delle posizioni del pensiero? È atto all'
un :i
e all'
altra funzione. Anche qui, come nella
genesi en-
ciclopedica
e nella distribuzione delle scienze, no
n è
lecito
confondere, ma neanche separare l' aspetto
ideale
dall'aspetto
istorico. Non è egli vero che,
teoricamente
parlando,
chi voglia filosofare non può imbattersi
in altro
che in
una delle tre soluzioni sopra indicate
circa il pro-
blema
metafisico? Or bene, il fatto istorico
non ci mostra
sistema,
non ci addita dottrina, che ad una
di esse più
0 men
direttamente non abbia a ridursi. Intanto
ove il
nostro
criterio non si potesse applicare alla
storia, che
cosa
ne verrebbe? Questo: che da una parte
la filosofia
mancherebbe
d'ogni valore scientifico, e la storia
di essa,
dall'
altra, non potrebbe assumere forma e
significato ra-
zionale di
sorta. Ma come applicarlo cotesto criterio?
Qui
ffiace
Nocco! diceva il buon padre Cesari.
Poiché qui ap-
punto
è mestieri saper cansare due scogli
del pari esiziali
e
funesti: il fatalismo isterico degli
hegeliani, e quel-
r
accidentale, queir arbitrario, quel succedersi
empirico
e
arruffellato dei sistemi onde non sanno
darsi conto
né
ragione gli altri storici della filosofia.
I
sistemi filosofici (Hegel qui ha ragione)
non for-
mano già
successione fortuita ; ma neanche
compongono,
come
altrove toccammo, organismo d'ogni parte
ser-
rato e
compatto. Nella storia della filosofia e
quindi
fra'
differenti suoi pei-iodi, ci è continuità,
ma ci è pure
discontinuità;
vi è intervalli fra' quali non sempre
esi-
stono
annodamenti e articolature, ma spesso
giunture
e
saldature esteriori ; né sempre scorgiamo
connessioni,
ma
successioni. Or in questi passaggi la
storia ci pre-
senta le
forme negative, le forme transitorie della
me-
tafisica, le
quali perciò non sono sistemi, non
sono forme
positive
come quelle dianzi accennate. Tali sono,
per
noi,
il misticismo e *'l sincretismo , l'
eclettismo e lo
scetticismo,
il criticismo e '1 positivismo, e
qualunque
altra
forma nella qual si racchiuda un'
esigenza meta-
fisica non
soddisfatta.* Or se la storia della
filosofia
*
Pongo in questa categoria 1* Eclettismo
francese, non l' Eclettismo
secondo
il concetto leibniziano altrove accennato.
E pongo poi nel no-
Tero
delle forme negative di metafisica anche
il Criticismo, non per ciò
eh*
egli contiene di positivo, per es. i
risaltati su la critica del giu-
dizio, il
principio della. Ragion pratica e simili,
ma solo pel risultato
negativo
cui pervenne il Kant rispetto al
problema metafisico. Sotto
questo
riguardo il Criticismo è il vero
Positivismo; il quale perciò non
è che'
una contraffazione grossolana del primo; nn
Criticismo inco-
sciente.
Entrambi infatti convengon nel dichiarare
impossibile la me-
tafisica: ma
nel primo indirizzo cotesto giudizio ò
un risultato critico,
in
mentre che nel secondo è una pura
affermazione; affermazione pro-
messa, più
che altro, dalla storia e dalle lotte
inefficaci de' sistemi, come
dicono
i Positivisti. Chiamando perciò forma
negativa di metafisica
il
Criticismo, intendo guardare questo sistema
in attinenza con la solu-
zione
fondamentale della scienza prima, con la
scienza dell'assoluto,
rispetto
a cui si sa a che cosa
riescisse la Rngimi pura. E questo
modo
col
quale consideriamo il Kantismo è confortato
dalla nota sentenza di
Schelling
che noi crediamo verissima: La Critica
dd Kant l un'opera
uniea
perchè ì il fondametUo di tutti i
tittemif ^enza eh' eìla eia per 9Ì
«tewa
un nttcma. (Syst. de Pldéalìsme
trascendantal. pag. HO.)
fosse
per avventura quel che vorrebbe Hegel,
io sfide-
rei tutti
gli hegeliani a giustificare, ad intender
coteste
forme
negative nelle quali talora s'incarna T
attività
speculativa
del pensiero umano. Per essi la
storia do-
vrebb'
esser tutta uno svolgimento perpetuo,
crescente
e mai
non defettibile di forme positive. L'
Idealismo as-
soluto,
dunque, non ispiega coteste forme negative;
non
ispiega
gli errori in filosofia, al modo
istesso che non
giugne
a spiegare il male nell'ordine morale.
Stando
anzi
alla legge e alla necessità dialettica,
non dovrebbe
avvenir
tutto l'opposto? Al contrario movendo, come
vedremo,
dalla psicologia, cioè dalla genesi
psicologica, i
passaggi
e gli intervalli nella storia della
filosofia son
già
beli' e spiegati, ed entro certi
limiti anche giustifi-
cati; e
così avremo spiegato e giustificato le
forme
negative
del pensiero metafisico considerandole come
strumenti
e condizioni delle forme positive, appunto
perchè
siffattamente non siamo spinti da una
superna
necessità
dialettica, ma guidati da una legge
essenzial-
mente
psicologica e storica.
Sennonché,
se due son le serie delle posizioni
nel
processo
isterico della filosofia, una però è
la legge che
le
governa e per cui elle formano un
sol organismo,
un sol
processo. Vi è tra' viventi storici
chi nella storia
della
filosofia distingue due serie di sistemi,
sistemi
erronei,
e sistemi veri, ì quali ultimi per
lui formano
la
filosofia perenne. Quelli negano, separano,
confon-
dono; questi
affermano, distingtcono, accordano.* Ma
quali
sono i veri? È egli possibile anzi,
nella storia, un
sistema
vero? E quali poi sono i sistemi
erronei? Il
panteismo,
il dualismo, lo scetticismo, ci si
risponde. Ma
da
quando in qua è diventato sistema lo
scetticismo? '
Neppur
quello di Sesto Empirico, portato alla
forma
più
squisita di negazione dal Ferrari, potrà meritare
cotesto
titolo. Perchè fame dunque una famiglia
con
*
Tale, per esempio, è la dottrina, del
prof. Conti. Ved. ^. <UUa
FU,,
Tol. I, Introd,
gli
altri due, rispetto a cui diflFerisce
essenzialmente per
la
funzione peculiare eh' egli esercita nella
storia ?
E
perchè poi appellar negativi il dualismo
e il pan-
teismo?
Forse che essi non racchiudon parte
di vero?
Questione
di parole! si dirà. No, davvero,
quistione di
sostanza,
io rispóndo. Dicendo sistema lo
scetticismo,
e
accomunandolo col panteismo e ch)1
dualismo, noi
avremo
alterato profondamente la congegnatura de' si-
stemi,
avremo travisato il valore della storia^
ne saremo
in
grado di coglier alcun vincolo razionale,
verun legame
organico
fra sistemi veri e sistemi erronei.^
* Per
la maniera con che questo valoroso
scrittore considera le forme
positive
e le forme negative del filosofare,
avviene che il disegno, ond' è
architettata
la sua storia, torna esclusivo,
unilaterale, parziale, tuttoché
egli
quasi ad ogni voltata di pagina si
piaccia chiamarlo comprenaivo.
Noi
intenderemmo il pensiero del Conti
quand'egli, a spiegare e scriver
la
storia della filosofia, avesse ormeggiato,
per esempio, il Gioberti, il
Rosmini,
e come questi avesse diviso tutta la
storia e la filosofia in due
grandi
scompartimenti; sistema ortodosso, e sistemi
eterodossi; di qua
la
verità, e di là V errore. A
questo modo sarebbe stato conseguen-
tissimo
alle idee cattoliche. E poiché T
errore, secondo V osservazione
del
Rosmini, non è, nò può esser sistema,
nò quindi aver leggi, non
avrebbe
chiamato aiatemi quelli eh* ei dice
sistemi negativiy nò si sarebbe
aiikticato
a mostrarli regolati da una leg?e. La
quale pel Conti, chi ben
guardi,
non è norma isterica, non ò criterio
fecondo e profittevole nella
interpretazione
de* sistemi, ma, al più, una veduta
della mente esco-
gitata
per comodo di studio. Qual vincolo,
per dirne una, qual processo
fra
panteismo e dualismo ? fra questi e
lo scetticismo, siano qualunque
la
forma? Non è vero, dunque, che ci sia
una leggo la quale guidi Ter-
rore, ed
un'altra che sopravvogli alla verità: come
non è vero che
nella
storia de* sistemi siano due correnti,
Tuna che sbocca e perdesi
negli
abissi dello scetticismo, e 1* altra
che finisce e riposa tranquilla e
serena
nella perenni» philotopMa guarentita e
sorretta da* cinque eriterii.
La
legge ò una, ma si applica in
due modi: come una è la corrente
che
procede
sempre incanalata per entro a un
medesimo alveo, ma che ta-
lora,
straripando, allaga le campagne, e spianta
dalle piìi fonde radici
le
selve annose, e non di rado stagna
e si corrompe e inverminisce,
e tal'
altra precipita sì che trascina e
inghiotte no' suoi gorghi le pic-
cole e
fragili barchette delle menti umane. Ma
è sempre la medesima
onda,
sempre la medesima corrente che muove
da un* identica sorgente ;
la
natura umana. Al qual proposito giova
osservare come nò filosofi hege-
liani, nò
filosofi cattolici potranno intendere
convenevolmente la storia
del
pensiero filosofico e spiegare naturalmente
le sue forme negative, per-
chò sì
gli uni come gli altri trascurano la
psicologia. I primi, come s* ò
Il
nostro criterio non ha nulla d' estraneo
alla storia
e alla
psicologia; nulla d'a priori nel senso
domma-
tico,
sistematico, religioso. È un a priori,
se si vuole;
ma un
a priori di natura essenzialmente
psicologica.
Or che
cosa con la psicologia potremo conoscer d'
an-
ticipato su
la genesi de' sistemi filosofici?
Anche
qui, non altrimenti che nella dottrina
su
l'ordinamento
deUo scibile, come poco fa osservammo,
è d'
uopo distinguer la genesi ideale e
psicologica, dalla
genesi
storica nelle dottrine filosofiche. La
genesi ideale
de'
sistemi si radica nella natura e
sviluppo delle stesse
funzioni
psicologiche considerate in sé medesime,
cioè
neir
individuo come ^)rocesso conoscitivo. La
genesi isto-
rica
poi tiene anch' ella al processo
conoscitivo, ma
considerato
nella specie, nella successione storica e
sociologica.
Dall' una non può esser dedotta l'
altra,
perchè
nella seconda intervengono cagioni assai
più com-
])lesse
che non troviamo nella prima. Or
dalla psico-
logia noi
potremo conoscere anticipata la genesi
ideale
dei
sistemi, non mai la genesi storica. E
in che consiste
ella
cotesta notizia anticipata? Semplicemente in
questo:
che
nel determinare il fondamento assoluto
delle cose,
il
pensiero filosofico non giugno di tratto
alla verità che
gli è
consentita. Dapprima ei la comprende in
maniera
empirica,
e per virtii, come dire, estrinseca ;
puntellan-
dosi, per
esempio, nel senso, nella natura,
nell'espe-
rienza, neir
autorità e simili. Poi la concepisce
in una
maniera
affatto opposta, ponendo in opera tutta
la ener-
gia della
propria speculazione. Finalmente per una
terza
guisa eh'
è il connubio, l'accordo, l'inveramento
delle
due
prime.*
detto,
movono da un ordine superiore, dalla
dialettica; i secondi invo-
cano il
deus ex machina della colpa originaria.
Essi dunque restau fuori
della
storia e della psicologia, perchè le
trascurano entrambe.
*
Questa legge per cui ricorre la
storia della filosofia e che ò rac-
chiosa,
come specie nel genere, nella legge
storica del Vico, fu già divi-
nata da
Aristotele, e da lui primamente applicata
alla storia della filo-
sofia
antisocratica e so-jratica L* A.
della Scimxa Nuova non fa che
Questa
divisione risponde perfettamente alle tre
po-
sizioni del
problema metafisico; anzi è come il
sustrato,
lo
scheletro intemo e fondamentale delle tre
forme po-
sitive del
filosofare. Risponde altresì alla legge'
dalla
quale,
come vedemmo, è governata la genesi
enciclope-
dica, nonché
la distribuzione gerarchica delle scienze.
La
filosofia,
infatti, origina e progredisca come ogn'
altra
disciplina.
È primamente induttiva, e poi deduttiva;
ma
giunta
ad esser eduttiva, le supera tutte,
le trasfigura,
applicare
il medesimo principio a tutte le
manifestazioni della ciriltà,
alla
storia in generale : e perciò Io
Stagirìta è il suo più legittimo
ante-
cedente. Il
Michelet ha detto che V esposizione
migliore della filosofìa da
Talete
a Platone sia qnella d'Aristotele (Exam,
<rit. de la Métaph, d*Art«t.f
ediz.
eit., p. 121). Lasciando stare se com'
esposizione sia tale (e tale
non si
può dir oggi, almeno per ciò che
spetta al Platonismo), certo è
«:he
Aristotele ci ha dato il vero modello
del metodo col quale è da scri-
ver la
storia della filosofia. Egli non va
né terra terra come certi nostri
critici
a cui fan paura le leggi nnirersali,
nò svolazza attraverso le
nnvole
come fan gli storiografi sistematici. Neil'
interrogare la storia
dol
pensiero filosofico egli ha con sé
due cose: 1° un criterio logico;
2" un
irincipio' d'
indole psicologica e storica. Il criterio
col quale saggia il
valore
delle differenti scuole, sta nelle quattro
sue cagioni di là delie
quali
non è possìbile immaginare altre. II
principio poi è una legge
P'iramento
psicologica, non dissimile da quella per
esempio del Laerzio
da noi
altrove accennata (p. 196). Per questa
legge la filosofia move
innanzi
tutto dall'unità, ma confusa ed estrinseca:
poi tendendo all'uni-
versale,
cade nell'arbitrario, ed è filosofia dell*
opposizione : finalmente
ritorna
all'unità, ma in grazia della moltiplicità.
Va insomma dall'in-
dividuo
particolare al generale, e dal generalo
ali' individuo pieno e
uniTersale.
Questo principio aristotelico ò stato messo
in chiaro dal
Kavaisson
{Metaph. ri' ArUu^ tom. I. lib. II, e. II,
specialmente p. 845, 481).
Abbiamo
detto esser cotesta una legge di
natura puramente psicologica,
perchè
nel processo delle facoltà il pensiero
dapprima versa nell'unità
empirica,
nella materia, nel sensibile; poi nelle
opposizioni e astrazioni
dell'
intendimento ; e da ultimo in una
unità superiore , eh' è unità
di
ragione. Altrove abbiamo additato la
medesima legge sotto forma
astratta
: SirUen iniziale e eonfu9ay Analiai^
e Sintesi finale fp. 282). Ma
il
difetto d' Aristotele dove sta? Nel non
aver avuto coscienza del vin-
colo secreto
die dev'esistere fi-a il criterio logico,
merce cui la mente
dello
storico dee ponderare il valore de'
differenti sistemi, e '1 princip-'o
di
natura storica e psicologica eoi quale
egli deve saper diaporre e or-
ganare la
storia ne' suoi diversi periodi. E
appena bisogno d' avvertire
che
criterio e principio per noi, come s'
è visto, son la stessa cosa, ma
guardata
sotto doppio aspetto.
le
comprende e le trasforma in proprio
nutrimento, in
proprio
sangue, e però le innalza a
filosofia.*
Sennonché
quant' al succedersi de' sistemi
filosofici,
al
loro intrecciarsi, modificarsi, sdoppiarsi, ricomporsi
e
riaffacciarsi
sotto novelle forme, nulla non potremo
sa-
pere con
la psicologia. Nulla non sappiamo
anticipata-
mente quant'
alle forme negative del filosofare, che
nel
processo
isterico s' avviluppano svariatamente con
le
forme
positive : il quale avviluppamento s'
affaccia così
molteplice
e spesso impensato e strano, che
molti appel-
lano
confusione, caos e disordine, anziché
processo orga-
nico e
razionale, la storia della filosofia. Ecco
la neces-
sità
inevitabile dell' osservazione, de' fatti,
della ricerca
storica
e della distribuzione dei periodi nella
storia
de' sistemi.
Ed ecco la necessità di applicare ad
essi i
lumi
della psicologia.
Or
questa divisione e questa genesi de'
sistemi filosofici
di che
abbiamo parlato, non é che un'
applicazione, un
aspetto
della gran legge storica e sociologica
scoperta
dal
Vico. Il quale infatti direbbe che l'
ingegno specu-
lativo,
procedendo per tre fasi, periodi, epoche,
età o ri-
corsi,
riveste dapprima foima naturale, carattere
divino e
però
accidentale, estrinseco, fantastico. Appresso
riveste
carattere
eroico, nel quale il conato e lo
sforzo della
mente
del filosofo col suo razionalismo dommatico
rap-
presenta ciò
che il primitivo eroe nella moltitudine;
e
anche
questo, tuttoché staccatosi dal divino, non
cessa
d'esser
passeggero, esclusivo, individuale. Finalmente
*
Perciò se la Metafisica nel!' ordine
logrico è \& prima fra le
scienze,
come
dice Aristotele, è V ultima nell'ordine
cronologico (asrà-yvTcxà) per-
chè
abbisogna di tutte, come altrove mostrammo
(p. 221). Così la filosofia è
scienza
generale, non percbò le rimanenti
discipline altro non siano fuorché
altrettante
coneeguenae di essa, ma nel senso
ch*ella tiene il /^rimo poeto:
Kaì
xa9o).ou outwc Jt' npoirrì. {Met., VI.)
E tiene il primo poeto
sotto
due sensi, e per due ragioni divecse
; come logica, cioè, e come spe-
culazione
critica positiva. Come logica, dicemmo
esser condizione univer-
sale d'ogni
scibile ; come speculazione positiva, e
posteriore alle altre
scienze,
viene ultima, e, come ultima, ò anche
prima: npùtrri f 1X0709(01.
assume
carattere umano; ed è umano, perchè
rappre-
sentando la
correzione de' due primi indirizzi, non
può
non
esser positivo nel senso che noi
porgiamo a questa
parola.*
* Il
Vico infatti accenna ad una Aorta
naturale de* nttemi {De
Univ.,
CLXXXIII, 4) la quale poi nella sna
mente assume forma di etoria
ideale
della filosofia (Prima Seienna Nuova, e.
XXI. Seconda Scienza Nuova,
lib.
II : D* intomo aUa logica degli
addottrinati^ p. 288). Ma tanto la
storia
ch*ei
dice naturale^ quanto l'altra chiamata t(iea?e,
appartengono al do-
minio della
psicologia, perchè ponno essere spiegate
mercè una legge psi-
cologica.
Così nella storia, egli dice, dapprima
ha luogo l'indagine delle
ooM
naturali^ poi delle morali, da ultimo
delle razionali. Quindi Fisici,
Moralisti,
Teologi: per esempio Empedocle, Socrate,
Platone. La mente
parte
dal simbolo, anzi vi nasce: indi
trasporta il simbolo ad indicare il
vero
Jieieo^ poi il vero tiu>raf«, appresso
il vero metafinoo. Or questa genesi
a cui
egli accenna, si applica evidentemente
tanto al processo delle scienze,
quanto
a quello della filosofia; e, di più,
risponde appnntìno alla storia
e al
processo ideale de' metodi. I metodi per
lui sono ìtq ;V Induzione^ il
Sittogiemo,
il Sorite. {De Antiquiee., e. VII, §
IV, 14.) È bene avvertire
com'ecfli,
discorrendo del Sorite^ sbagli nell'attnbuire
a Socrate quella
forma.
d'induzione cui allude nel Libro
metafìtico; e non meno sbaglia,
come
osservammo, quando chiama sillogistico il
metodo aristotelico. Ma
questi,
com' ò chiaro, sono sbagli di storia,
inesattezze di fatto, non già
di
dottrina. Ciò che importa è che sin
nel Libro metaJUico egli sa
scorgere
un vincolo, un processo, e quindi un
progresso fra le tre posizioni
metodiche
del pensiero: Induzione, Dedazione, Eduzione,
rispondenti alla
storia
delle scienze, come a quella della
filosofia. Giova perciò intenderci
bene. L'
Induzione, per lui, è un artifizio
sintetico, ma d'indole empirica;
ondo
la mente non facendo che raccogliere,
adunare, procede dall'effetto
alla
causa, e quindi è analisi, diremmo,
sintetica. (Inductio, pioura àna-
lytica;
Stllooismus, stntrtioa. Ved. De Conet,
PhUologim, cap. IV.)
Il
Sillogismo
invece è un artifizio deduttivo, è
ainteei analitica per cui la
mente
procede dalla cagione all'effetto; ma è
incerto nel euo procedi-
mento
e però inetto a scoprire {De
AntiquÌ9$., cap. II, VII, 4). Questo
è
quel
metodo eh* ei condanna ne' Cartesiani,
ed è quel 9ÌUogi»mo debole
oÌ79iv'/ì^
i7uXXo7(7]txo; che Aristotele biasimava in
Platone (>lna/. Poet.,!,)
Finalmente
il Sorite, per lui, è tutt' altro di
ciò che ne dice la logica or-
dinaria. II
Sorite non è, a dir proprio, nò
sintesi, né analisi. Non è ana-
lisi
sintetica che dall'effetto ealga alla
cagione, e nemmeno è sintesi
analitica
che dalia causa eeenda all'effetto. Invece
è funzione che oofuxi-
tena
caute con caute: Qui utitcb borite
gauss ab oaussis, ouiqur proxi-
MAif
ATTBXIT. {De AntiquÌ89„ De certa /acultate eciendi,
15.) Perciò il Sorite
essendo
la funzione sillogistica nella forma pid
compiuta, presuppone e
racchiude
in sé l'analisi e la sintesi, la
deduzione e l'induzione, e di fronte
a
queste debb* esser superiore e posteriore.
Dunque la funzione discor-
siva che
egli appella Sorite e che pone nel
terzo momento della storia
Se
tutto questo che noi siamo venuti sin
qua discor-
rendo è
vero, quale ne sarà la conseguenza?
Sarà che
tanto
nella storia deUa filosofia, quanto nel
succedersi
de'
sistemi, il progresso non è, come ci
predicano i posi-
tivisti, un'
illusione de' filosofi di mente ammalata
e
nebulosa,
ma un fatto storico e psicologico ad
un tempo ;
una
storica e psicologica necessità. I
diff'erenti sistemi, ci
dicono
i filosofi deW avvenire^ possono conferire
al pro-
gresso non
come cagioni determinanti, ma come sem-
ideale
de* metodi, non è altro che il
processo ednttiro di cai altrove ab-
l)iaino
discorso. Neir annodar cau»e con carne
sta V invenzione del ter-
mine medio,
e perciò la conversione dd vero col
fatto (p. 215-46). Se non
che
talora anche in ciò egli si
contraddice ! ifferma, per es.*, che
V analisi
(la
qaale abbiam visto essere per lui
posteriore alla sintesi, e però, come
artifizio
deduttivo, posteriore ali* induttivo), sia
il metodo puramente cri-
tico de*
Cartesiani ; e non senza ragione lo
condanna, perchè esclusivo e
solitario.
Ma più volte poi dice esser tale
anche il Sorite; cioè un ar-
tifizio
puramente critico e analitico. {De
AnUqxUss,^ e. VII, § IV. — Ds
Nos.
Temp. Stud. Jiat,, Argum. — RUp, i*
al Glor. de' Lett., § IV. --
/?«
Oonst.
PhiloL, e. XIV.
— Sec. Se. Nuo., p. 239.) Ma
non abbiam vist )
com'egli
medesimo ponga il Sorite dopo Vlnduzimie
che è analisi-sinte-
tica, e
dopo il SiUogismò che è sintesi-analitica?
Come, dunque, se è po-
steriore e
superiore, potrà esser non altro che
pura critica e pura ana-
lisi, e
perciò anteriore e inferiore? Non è
contraddizione palpabile cotestaV
A
levar di mezzo siffatti controsensi,
bisognerà stare alla definizione
eh' ei
medesimo ne porge del Sorite: funzione
che concatena cause con
ca«we,
non già effetti con causcy o eause
con effetti. Ella compenetra, come
dicemmo,
in un medesimo circolo l'analisi e la
sintesi, l'artifizio indut-
tivo e
'1 deduttivo (p. 245). fe insomma il
nwtodo ch'egli sposso ap-
pella
geometrico (2* Risp. al Oior. de'
LcU., § IV). È, ripetiamo, il metodo
ednttivo,
genetico, il quale non è geometrico
in quanto debba essere
tolto
cosi com' è dalla matematica, ma nel
senso che dalla geometria
s'ha
da pigliar la dimostrationCf cioè la
guisa per far la scienza. Lo
dice
egli stosso; non m^hodus geometrica^ sed
demonsb'otio. E dopo ciò
auguriamoci
che alcuni suoi crìtici non vorranno
maravigliarsi più oltre
ch'egli
abbia voluto appellar geometrico il metodo
proprio della sua
Scienza
Nuova! {i^ Se. JVuo., p. 140-50). Uno
de' continovi lavori di questa
scienza
d dimostrare FIL PILO.... lo spiegarsi
delle idee umane (ih. p. 44).
Concludendo:
Col porre la genesi psicologica de* metodi
e '1 processo
isterico
delle tre funzioni metodiche, il nostro
filosofo ci ha dato in-
sieme la
dottrina su la genesi positiva delle
scienze, secondo l'inter-
pretazione
che noi altrove abbiamo accennato (p.
230), e sopra questa
legge
si modella eziandio la storia ideale
della filosofia^ com'egli dice, o
la
storia naturale de' sistemi JUoéoJtci. Sono
germi cotesti, io lo veggo;
ma
germi fecondissimi.
plici
condizioni del progredire; cioè com' errori
che si
combattano,
e che nel combattersi a vicenda si
correg-
gano. —
La contraddizione qui è palpabile ; e
non è la
prima
né l'ultima nella quale intoppino i
positivisti.
I
sistemi filosofici non sono che errori,
e pur si correg-
gono !
Ma, so correggonsi, in clie maniera
saran tutti
un
errore? È possibile correzione senz'una
parte di vero?
Or se
racchiudon parte di verità, certo non
avrebbe a
parere
impresa disperata poterli assommare; per la
semplice
ragione che se la mente umana è
quella che
ha
potuto partorirli e poi di mano in
mano correggerli,
ella
medesima potrà venirli adunando in
organismo, nel
che,
come si disse, è necessario un
criterio superiore/
Abbiamo
detto esser triplice il processo delle
cose
governato
da un medesimo criterio, il quale
perciò as-
sume valore
di principio : la Conversione del
vero col
fatto.
Ora il primo processo a cui è
d' uopo fare co-
testa
applicazione è appunto la storia, perocché
lo spi-
rito nasce
nella storia, e la fa. E poiché
nel medesimo
processo
isterico é racchiuso il processo
psicologico il
quale
n' è il fondamento più immediato in
quanto é la
* I
sistemi si combattono, è vero: essi
rappresentano il transito a
verità
; e anche questo è verissimo. Ma
ciò fanno non tanto perchè sono
errori,
non tanto perchè lottano, qaanto perchè
racchiudono in sé mede-
simi un
elemento di speculazione e perciò di
verità metafisica. In una
parola,
essi lottano, ma non per distruggersi
a vicenda, sì per legittimarsi,
e
compiersi. Giova ripeterlo anche qui:
Positivismo e Idealismo asso-
luto mancano
del vero concetto del progresso nella
storia de' sistemi.
L* uno
considerandoli come produzioni fantastiche della
mente, crede
che
poco alla volta essi finiscano per
divorarsi a vicenda senza verun
incomodo
degli spettatori; dovecchò l'altro, avvisandoli
come organi e
vegetazioni
d' una medesima pianta, nega loro ogni
ulteriore progresso
giunto
che sia a vedere sbocciato quel fiore
nel quale sono contenuti
in
atto rami, fronde, foglie, tronco e radici
della pianta. Questo fiore,
si sa,
non può essere altro che la filosofia
dell'identità. Ora a me pare
che,
se hegeliani e positivisti vorranno per
poco tenersi conseguenti a sé
stessi,
la storia della filosofia agli occhi
loro non potrà essere altro
che un
caput mortuum; sempre per la solita
ragione, che gli uni hanno
intera
fiducia nella costruzione ideale della
metafisica, mentre gli altri
non ne
hanno punto, anzi la negano. Caput
mortuuml nò più, né meno.
La
logica è inesoraWle.
stessa
nostra coscienza, perciò la prima
applicazione
di
quel principio riguarda la genesi
psicologica. Ma,
innanzi
tutto, che cosa ci dice la storia
della psicologia
rispetto
al problema psicologico?
Capitolo
Quarto.
platonismo
e aristotelismo
nel
problema psicologico.
Il
nodo al quale per ragioni più o
manco immediate
si
rappicca la soluzione de' piii vitali
problemi delle
scienze
morali, e stavo per dire anche quelli
della me-
tafisica, è
il problema psicologico, che un moderno
filo-
sofo ha
giustamente appellato problema generatore.^
La
psicologia segue anch' ella una legge
cui vediamo
soggiacere
ogn' altra parte della filosofia. Pigliando
a
considerare
il problema psicologico sotto l' aspetto
teo-
retico, ci
accorgeremo tosto della possibilità d' una
dop-
pia
soluzione, che si riferisce a due
sistemi fra loro
opposti
e contrari: i quali sistemi, per
quanto si voglian
fregiare
di titoli vistosi e facciano pompa di
nomi pili
0 meno
appariscenti, ci rivelano sempre alla fin
fine l'esi-
genza del
materialismo, ovvero quella dello spirituali-
smo. Se
pigliassimo poi a guardare il medesimo
pro-
blema sotto
r aspetto isterico, sarebbe agevole il
vedere
come
quelle due soluzioni mettan capo a'
due maggiori
filosofi
dell'antichità, Platone e Aristotele, ne'
quali s'im-
batte sempre
la mente dello storico quando meno se
'1
crede.
Che se oltr' ai due massimi filosofi
di Grecia to-
gliessimo ad
esame anche la teorica psicologica degl'
in-
signi
rappresentanti della sapienza cristiana. Agostino
e
Tommaso, i quali non fanno che
ormeggiare i due
Fichte,
Doetrine de ki Seienetf trad. Grimbl^t,
pag. 110.
greci
quanto le necessità del domma comportavano,
avremmo
beli' e fissato l' obbietto e determinato
i con-
fini della
critica intorno alle principali soluzioni
date
sul
problema in discorso, e fors'anco avremmo
tirato le
somme
linee d' un intero disegno isterico della
scienza
psicologica
fino all' età del Rinascimento^ I
quattro filo-
sofi
menzionati comprendono in germe tutte le
posi-
zioni
psicologiche possibili, meno una; meno
quella,
cioè,
che, nulla serbando di filosofico e
di psicologico,
si
riduce tutta a negozio di biologia,
come vorrebbero
certi
moderni fisiologisti.
Nella
storia della filosofia, infatti, avviene
quel me-
desimo che
in ogn' altr' ordin di cose morali
: le prime
tracce
dello sviluppo, i germi del processo,
come germi,
s'annidan
tutti nelle origini. Nelle origini la
virtù spon-
tanea e
divinatrice dell' ingegno emerge vigorosa e
po-
tente così
che basta ad alimentare i' attività
analitica
di più
secoli, ed eccitar 1' ansia e '1
bisogno speculativo
di più
e più generazioni. Le origini . riflesse
della spe-
culazione
occidentale pongono lor prima radice nel
pen-
siero greco
; massime in quel perìodo in cui
Platone e
Aristotele
rappresentando, per così dire, 1' analisi
in
cui
sdoppiossi e ingagliardì la sintesi
socratica, giun-
gono a
toccar l'apice della riflessione metafisica
sotto
duo
forme distinte; distinte nell'idea, diverse
nella
forma
e anco nello stile, ma atte ad
integrarsi e com-
piersi a
vicenda. Il vivente storico inglese della
Grecia
ha
detto che la speculazione europea, nonché
gran
parte
dell'orientale, altro non sia stata in
sostanza
fuorché
un commentario intricato e perpetuo de'
due
massimi
filosofi. A compiere il concetto avrebbe
potuto
•e
dovuto aggiugnere che in cotesto
commentario, in
cotest'
analisi, tanto più evidente appare il
progresso,
quanto
più intenso é lo svolgersi delle
dottrine, e più
fitto
e più variato il succedersi delle
scuole. Chi dun-
que
pigliasse a far la storia critica del
Platonismo e
dell'Aristotelismo,
e' sarebbe già in grado di far
la sto-
ria
della filosofia: in cui lo scetticismo
avrebbe quella
funzione
e queir ufficio che gli spetta;
ufficio senza fallo
assai
rilevante, ma, come dicemmo, di semplice
stru-
mento più
che d' artefice; funzione di mezzo, d'
espe-
diente,
d'incentivo piii che d'elemento vitale
della scien-
za. Se
infatti v' ha cosa nella quale
consentano appieno
i due
massimi filosofi, è questa: che il
concetto del sa-
pere, del
sapere per via di scienza, debbasi
appuntare
neir
universale, stante che dall' universale
possa emer-
gere
unicamente la possibilità della metafisica
(pag. 22 ))
Ecco
perchè tale possibilità è già beli' e
dimostrata,
s' altra
prova mancasse, dal fatto storico, dalla
storia
della
filosofia. Ecco perchè lo scetticismo,
siane qua-
lunque la
forma, è distrutto, o meglio, è
ridotto al suo
legittimo
valore, dall'esistenza atessa e dallo
svolgimento
cui
son venuti soggiacendo il Platonismo e
l'Aristotelismo.
Ed
ecco perchè, ripetiamolo, questi due grandi
sistemi
racchiudono
un significato supremamente comprensiva
per
due rispetti diversi, l'uno storico e
l'altro teore-
tico, e
per due diverse ragioni altrove accennate
(p. 201).
Sul
carattere precipuo del Platonismo ci
sarebbe a
sperare
che né critici, né storici qund'
innanzi avessero
a
discutere più oltre. Volumi in foglio
scrissero antichi
e
riscrissero moderni, sia per determinare il
concetto
platonico
del Bene, sia per isgroppare que'
tanti viluppi
su la
natura delle idee, sia per ispecificar l'
attinenza
peculiare
fra esse e Dio, o per lumeggiare
il processo
della
dialettica e chiarir la forma verace
del metodo
filosofico
platonico, o, finalmente, per additare il
rap-
porto fra
'1 pensiero e l' obbietto sovrassensibile
di esso.
Pare
che i più oggi consentano a ritenere,
il distintivo
platonico
star nella teorica dell' esemplarismo, e
quindi
nella
dottrina (vera o no che sia) delle
idee avvisate
oom' eteme
conoscibilità, e com^ eterne e assolute
specie
delle
cose, * 11 che tanto più avrebbe
a parer vero, in
^Ytìov
wjTTioòc To (zé^iov
(iTxpct^ityt/y.) iS\tntv. Tm. —
Cfr.
quanto
che il punto attorno a cui s'aggira
la critica
dello
Stagirita sta tutta qui: Videa non
pure esser
Buperiore
alle cose, ma tutta al di là e
tutta al di fuori
delle
cose. Né le tre scuole d' interpreti
che hanno a
capo
Herbart Hegel e Bitter, e che in
Germania oggi
dividonsi
'1 campo della critica sul significato
essenziale
e
speculativo de' dialoghi platonici, dissentono
guari in-
torno a
cotesto particolare, quantunque tutt' e tre
rie-
scano a
dissidii profondi nell' applicar la critica
non
tanto
erudita, quanto d'interpretazione filosofica.
Difficoltà
pili gravi porge T Aristotelismo ;
col qual
nome
intendo abbracciare tanto Aristotele, quanto
la
interminabile
tratta de' suoi commentatori. Queste dif-
ficoltà
senza fallo tengono all' indole stessa
della dot-
trina
aristotelica, all'esser eUa, per così dire,
bifronte,
racchiudendo
i germi di due contrarie ed opposte
dire-
zioni
speculative: cosa che, ove non fosse
universalmente
riconosciuta,
basterebbe a comprovarcela, s' altro man-
casse ,
la critica che neanc' oggi ha smesso
e certo
mai
non ismetterà la speranza di porre in
accordo lo
Stagirita
con sé medesimo. Eertanto, riconosciuta l'
am-
biguità e
r indeterminatezza del sistema aristotelico
non-
ché il
difetto d' impasto omogeneo in parecchie
sue teo-
riche;
considerato come Aristotele uscito del
tirocinio
platonico
dovea serbare, come serbò evidenti, alcune
tendenze
già inseritegli nell' animo dalla viva
e potente
e
drammatica parola di chi seppe concepire
e scrivere
il
Protagora e '1 Filébo; tenuto conto
sopratutto del-
l'opposizione
gagliarda e severa ch'ei mosse contr'al
maestro
; e, finalmente, considerato lo svolgersi
così va-
rio, così
intricato, così opposto ne' suoi resultamenti
cui r
Aristotelismo andò «oggetto attraverso civiltà
di-
verse, tempi
diversi, luoghi divedi : non avrebbe
a parer
Stallbacm,
ne* ProUgom, al Parmenide, I, Sez. 2.
— Rosmini, Aritt. eep.
ed
esam.f Introd. — Zkllbr, DeU^ espogiz.
aritt, della fil, di PUxtone,
c.
rV. — Tbbndelsnburo, Plut. de id., p.
60. — H. Mabtik, Éhui. mr le
Tim,,
Tol. 1, Àrgom, — CousiN, Du vrai,
du beau et du bien, loz. IV.
troppo
ardito T argomentare, come dal tatt'
insieme delle
sue
teoriche, in ispecie dalle tendenze
molteplici degli
esegeti
d'ogni età, cotest' indirizzi devan essere
tre, me-
glio che
due. De' quali indirizzi noi chiameremo
il primo
ip&rpsicólogko;
il secondo. Triturale oàempirico; e il
terzo
medio,
ovvero aristotelico-platonico propriamente detto.
Dal
significato stesso di queste parole, ognuno
s'accor-
gerà come
il nostro criterio diflferenziale, e la
divisione
riguardante
gì' indirizzi della dottrina aristotelica
non-
ché le
diverse esegesi a cui elle conducono,
sia per noi
principalmente
di natura psicologica; e non può non
esser
tale. Aristotele, infatti, non cessando d'
essere
Aristotele,
è anche mezzo platonico. Un criterio
diflFe-
renziale,
dunque, circa le dottrine de' due
filosofi, non
potrebb'
essere attinto in altra sorgente salvo
che in
quella
della psicologia, dove appunto riluce piii
netto
il
dissidio, checché ne dica il Ravaisson,*
tra i due
filosofi
della Grecia. D' altra parte cotesta nostra
divi-
sione non
solo si porge come criterio a
discemere e
giudicar
le diverse scuole aristoteUche, ma ci
sommini-
stra modo
altresì per valutare l' esplicazione storica
del
Platonismo
al lume di quel terzo indirizzo che
noi pen-
satamente
abbiamo appellato medio. 11 quale, se
con gli
altri
due l' abbiam detto aristotelico, non è
meno plato-
nico perciò.
Cotesto indirizzo medio, infatti, non è
ori-
ginario, ma
secondario. Non è nato fatto, ma
capace
di
farsi, di generarsi, d'assumere fattezze
proprie e
fisonomia
sempre più individuale e spiccata nel
corso
della
storia. Però più d'uno storico della
filosofia ha
paragonato
1' Aristotelismo e '1 Platonismo a
due fiumi
che
risalgono verso due sorgenti diverse; e
meglio
avrebber
detto due correnti distinte d' un
medesimo
fiume,
le quali, scorrendo, sempre più si
rimescolano
e
conifondono per entro a un medesimo
alveo. Nel-
r Aristotelismo
quindi ci è il Platonismo, o meglio
ci
*
E9$ai de Ifitaph, d' ÀrUt, Tom. I,
Introd. p. Y.
è
germi di due maniere di Platonismo,
legittimo e
spurio.
Il Platonismo spurio in sostanza è
Arabismo;
e la
cagion prossima, X origine immediata di
esso non
risale
già alla dottrina platonica, come altri
ha creduto
cogliendo
a frullo qualche sentenza qua e là
sparsa
ne' dialoghi
del filosofo ateniese; ma risale al
medesimo
Aristotele;
e ciò per due diverse ragioni. La
prima
delle
quali, come ha osservato un illustre
storiografo,*
si
radica nell'opposizione che lo Stagirita
ingaggiò con-
tro il
maestro ; e questa, più che cagione,
noi diremmo
sia
stata occasione, incentivo alla dottrina
averroistica.
La
seconda poi vuoisi riferire, come toccammo,
all'in-
determinatezza
e ambiguità della stessa dottrina ari-
stotelica su
l'intelletto; tant' è vero che Alessandro
d'
Afrodisea, intendendolo in parte sotto
l'aspetto em-
pirico,
potrebbe aver fatto più sdrucciola, per
parte sua,
la
strada all'Averroismo.' Se dunque tale è
l'Aristo-
telismo di
fronte al Platonismo, si può dire
che, ove altri
pigliasse
a far una storia compiuta del primo
conforme
al
criterio che noi diciamo, farebbe anche
la storia
del
secondo, cioè del Platonismo vero, del
Platonismo
legittimo,
appunto perchè nell'uno e' è, anche 1'
altro,
ma
corretto, o a dir meglio, compiuto
per più d'un
rispetto.'
Ora
che i tre indirizzi non siano per
avventura tre
fantasie
del nostro cervello, potrebb' apparir
manifesto
dalle
sentenze diverse che noi potremmo agevolmente
venir
adunando nel medesimo Aristotele, se
potessimo,
anche
a far bella mostra di peregrina ma
non difficile
erudizione,
ingolfarci in esami di esegesi minuta
e par-
ticoleggiata,
e se il Rosmini non avesse già,
meglio che
*
Renan, Averrhoé» et VAverr.^ pag. 42.
*
Ravaisson, op. cit., toro. IT, p. 296 e segg.
* Il
Bonghi parlando della metafisica d'Aristotele
osserva, c^ tutti
qtianti
% »Ì9temi fino a Carteno ei »%
»ono tpecehiati dentro^ e ci hanno
jwù o
meno riconoeciuto il proprio vieo, (Lett.
al Rosm., Trad. della Me-
taf.,
p. Vili). Il Nourisson dice fino a
Leibnitz. {Tabi, de» progrU, ec.,
2*
ediz, 1S59 nella Condu$,) Perchè non
dire fino ad Hegel addirittura?
ogn'
altri, posto in sodo con maniera
davvero magistrale
r
esistenza nello Stagirita de' due primi
indirizzi. Ma
una
prova più chiara potrebbe averla chi
guardasse
al
modo con che sonosi venute svolgendo
e diramando
e poi
intricando e vie più ravviluppando fra
loro le va-
rie scuole
aristoteUche non solo per tutte quelle
dieci
età
che il nostro Patrizi distingue nella
storia degli
esegeti
aristotelici, ma eziandio per tutto il
periodo
che
corre dall' epoca del Rinascimento fino
agli ultimi
critici
tedeschi hegeUani e non hegeliani,
Michelet,
Franti,
Zeller, Trendelenburg. Da Teofrasto, per
esera-
pio, a
Stratone di Lampsaco incomincia a prevalere
di già
r indirizzo naturale, pigliando forma
sempre più
empirica
di guisa che si potrebbe dire non
v'essere
stacco
assoluto fra questo indirizzo aristotehco,
e quelle
scuole
che vi tenner dietro, segnatamente
l'Epicurea
e la
Stoica.* 11 Nominalismo del medioevo che
il Ro-
smini più
acconciamente appellerebbe Bealisfno ari-
stotelico,
nonché il naturalismo d'alcuni peripatetici
del
secolo XV e XVI, ci palesano anch'
essi l' indirizzo
empirico.
' I Positivisti, finalmente, credono anch'
essi
oggidì
potersi agganciare allo Stagirita, ne in
verità
avrebbero
gran torto se troppo facilmente non
dimen-
ticassero
come accanto all'Aristotele positivista ci
sia
un
Aristotele filosofo anzi metafisico propriamente
detto.
D'altra
parte, il Neoplatonismo e più
l'interminabile
serie
dei commentatori arabi o arabeggianti che
smar-
rivansi
in quella grossolana forma di panteismo
])sico-
logico
annidatasi nella dottrina dell'intelletto agente
così
balordamente interpretata in Aristotele, non
ci
palesano
schiettissimo l'indirizzo iperpsicologico?
Fra
questi estremi quanto evidente nella storia
al-
*
Ravaisson. Op. cit.» tom. II, p.*
4", lìb. 1,
e. 1.
•
RosMiivi, ArUu eiip. ed etam.y Introd. pagf.
46. — Roussblot, Étud^
tvr
la Phil. dan»
le moì/en àgef l» p.*, pa«r. 80. —
Saint-RinÌ Taillak>
DntB»
Seot Erigene et la Phil, Seolwtt., p.
101. - CousiN, Fragni, de PkiU
du
fnoyen Age, p. 72.
trettanto
necessaria in teoria è la posizione
mediana.
Ella
si studia porre nn accordo fra
l'esigenza fondamen-
tale del
Platonismo, e quella dell' Aristotelismo; fra
l'uni-
Tersale
in sé, e Y universale anche nel
mondo. Se non
che è
facile vedere come questa posizione abbia
a ren-
dere
immagine, diremmo quasi, del ferro
magnetico il
quale
senza posa oscilla fra mezzo al polo
positivo e
al
polo negativo. Tale davvero è l' indirizzo
medio, un
ferro
magnetico : per cui non è impresa
agevole stabi-
lire, per
esempio, se certi realisti e certi
nominalisti
dell'
evo medio, de' quali il Rosmini con
l' usata pazien-
tissima
industria andò scovando più e diverse
famiglie,
sLin
da dichiararsi aristotelici meglio che
platonici.*
L' indirizzo
medio nelle dottrine filosofiche, massime
parlando
di Platonismo e d' Aristotelismo avvisati
nel
loro
svolgimento istorico, spicca per questo
contrassegno:
d'
esser la molla maestra, per così
dire, del progresso
nello
sviluppo del pensiero speculativo. Or
s'egli è
tale,
non debb' esser rappresentato da que'
filosofi che
*
Pretendono alcuni storici ctie il
Nominalismo non dlfForìsca punto
dal
Concettualismo (per es. il Cocsin, (Euvres
cT Abelardo Introd., p. XCVI
in ciò
confutato meritamente dal Rosmini, Atìm,
ec. p. 22.) Meno a?7en-
tato
degli altri il Roverotano si contenta
designare il secondo com* una
gpecie
del primo. E sia pure. Ma se
fra Tun sistema e T altro non
fosse
alcun diyario,
dovremmo porre in un fascio, non
diciamo con quanta ve-
rità, i
nomi di Roscellino, di Guglielmo di
Champeaux e d'Abelardo?
Per
noi la differenza delle tre direzioni
filosofiche medievali è precisa-
mente quella
che esiste fra le tre posizioni dell'
universale rispetto alle
cose :
ante rem, in re, poH rem. Non
dico già che tra Nominalismo e Con-
cettualismo
corra quel medesimo divario che pur
troppo intercede fra essi
presi
insieme, e quella specie di Realismo
per cui si distingue, 'per es.,
Anselmo
d* Aosta. Ma la differenza è pur
evidente, essendoci differenza,
parmi,
tra V ammettere e 'I negare
Vunivenalenel concetto. Checche se ne
dica,
la scuola di Roscellino è nominale
pura. Quella di Guglielmo di
Champeaux
è schiettamente realista. Ma un barlume
di vero progresso
nella
scolastica traluce nel Concettualismo. Esso
ci rappresenta, almeno
compera
possibile in quell'età e in quelle
condizioni della scienza, l'in-
dirizzo
aristotelico medio. Il Concettualismo è
tanto superiore al Nomi-
nalismo,
quanto Io spirito all'esperienza, -le idee
ai fatti, il senso al
pensiero.
Il Rimuaat e il Nouritaon han saputo
rilevare a meraviglia i
meriti
di questo indirizzo nel periodo scolastico.
(Abìlakd,
Tom. 1,40,
II,
24. — Tahleaux de» progrì», ed. cit. p. 257.)
la
critica non radamente finisce per battezzare
con titoli
diversi
e disparati e talvolta anche opposti,
non altri-
menti che
gli zoologisti adoperano riguardo a certe
specie
zoologiche le quali, in via di
formazione spe-
cifica, non
possiedon per anche caratteri netti,
spiccati
e ben
determinati? Tal si è agli occhi
nostri, per dire
un
esempio, Alessandro Afrodisio; il quale,
tuttoché
meritasse
titolo di secondo Aristotele, ninno però
vorrà
dichiarare
schietto aristotelico. S'egli infatti, combatte
la
dottrina atomistica degli Epicurei nonché
quella
delle
forme seminali degli Stoici, é questa
una buona
ragione
perché non sia detto seguace dell'
indirizzo ari-
stotelico
empirico. E, inoltre, se contro Avveroé
piglia
a
corregger la dottrina dell' intelletto
possibile, ciò di-
mostra com'
ei non sia nuli' afiatto un
iperpsicologista,
e per
la stessa ragione non é a confondersi
co' puri
platonici.
Che se, finalmente, opponendosi allo stesso
Aristotele
procaccia dimostrare come la specie anziché
nell'individuo
sia nel pensiero, con ciò si
manifesta chia-
ramente
seguace dell'indirizzo mediano. L' Afrodisio
dunque,
se potessi designarlo così, sarebbe il
concet-
tualista per
eccellenza fra gli esegeti ellenici, e
quindi
potrebbe
rappresentarci l'antecedente ideale del Con-
cettualismo
mediqevale. Egli per primo nella storia
del-
l'
Aristotelismo ci esprime il bisogno d'
accordare le due
opposte
direzioni aristoteliche, restando egli stesso
ari-
stotelico, e
però non arabo, né sensista. — Si
potrebbe
facilmente
dimostrare, se qui fosse luogo, che
il mede-
simo
indirizzo ci esprime e la medesima
funzione eser-
cita san
Tommaso nel medioevo; talché nell'età me-
dioevale il
D' Aquino rappresenta ciò che l' Afrodisio
fra'
primi commentatori greci.*
*
Parlando di sau Tommaso il Bonghi
dice: Quello che m'ha fatto
molto
maravigliare, e di cui non mi $on
reso cofUo pienamentef ^ come
•'
accordi in tanti luoghi coW A/roditeo^
tema perft citarlo mai, ìé accordo
^ tale
che non pud ewer casuale. (Op. cìt.
LeU. al Rosm.« p. XUI.) È vero,
san
Tommaso non conoscerà che di nome
rAfrodisio. Lo conosceva per
mezzo
d*A7erroé; eppure tanto spesso trovasi
d'accordo con lui neir in-
Altri
esempi più spiccati potremmo averli nel
Ri-
nascimento; esempi
di filosofì che a tutta prima non
paiono
stare né di qua ne di là. Tali
per noi sono, a
dime
questi, il Porzio, lo Zabarella, il
Lagalla, il Castel-
lani; e
non esiteremmo annoverarvi anche il
Sessano,
come
quegli che finì per combatter l'Averroismo
e
dar
molto da pensare a' seguaci dell'
indirizzo empirico
fra'
quali in cima a tutti siede il
Pomponazzi * Che se il
Patrizzi
e più il Ficino, fra gli altri,
si palesano schietti
neoplatonici,
cotesto lor platonismo non va certamente
confuso
con l'Arabismo. Anche noi crediamo che
certi
Platonici
e certi Peripatetici arabeggino la lor
parte,
e
tanto s'assomiglino fra loro quanto due
gocciole
d'acqua.
Ma perchè pretendere porli in un
mazzo?
La lor
mente muove da sorgive diverse; così
che, in-
terpretando
a lor modo Aristotele e Platone, gli
uni
spesso
vaporano, come s' è detto, in una
forma confusa
di
panteismo psicologico, in mentre che gli
altri svo-
lazzano sì
da restare immersi e balordicci in
mezzo
agli
splendori d' un misticismo il quale se
non è pan-
teismo poco
ci corre. Arabismo quindi non è
Plato-
nismo; 0,
se si vuole, è i) fiacco, è il
grossolano Plato-
nismo venuto
fuori, come to^tommo, attraverso la critica
male
interpretata d' Aristotele contro il suo
maestro.
Se
dunque la storia dell'Aristotelismo è lì
pronta a
mostrarci
incarnate nelle sue scuole tre diverse
tendenze,
ciò
vorrà dire più cose. Vuol dire che
queste tre tendenze
debbono
esistere, ma esistere come in germe
nelle dot-
trine e
nella mente stessa del Caposcuola. Vuol
dire
terpretare
il JUo$ofo, che davvero tale consenso
non può esser ccituale.
Quale
n' è, dunque, la ragione ? Il
Bonghi non ne avrebbe fatto le mera-
viglie se
avesse pensato eh* eran tutt' e due
nel medesimo indirizzo, nel-
r
indirizzo aristotelico mediOf per quante
possano esser le differenze.
*
Molti filosofi italiani, che d'ordinario
sono mossi iu fascio col Pom-
ponazzi 0
con gli schietti averroisti ovvero co'
puri platonici (come
appunto
il Nife) a noi paion seguaci più
o mono spiccati dell'indirizzo
medio,
quando siano interpretati con benignità di
giudizio, e senza le
traveggole
d'una critica sistematica.
ch'elle
hann'a distinguersi e sdoppiarsi e correre
il palio
del
processo istorico. E vuol dire, perciò,
che a questo
ior
successivo distinguersi ha da presiedere
una legge
di
progresso che per passi lenti, ma
sicuri, valga a ri-
condurre r
analisi alla verità della sua sintesi
primi-
tiva.
Aristotelismo e Platonismo, ripetiamolo, non
sono
a dir
proprio due filosofie ; né sono due
serie di filosofi
gli
Aristotelici veri ed i veri Platonici.*
Sono ben» due
filosofie
que' due commenti così opposti fra
loro e con-
trari, che,
fondandosi in un concetto b empiricamente
naturale
o esageratamente iperpsicologico del pensièro,
vennero
fabbricandosi col succedersi de' secoli,
con l'in-
calzarsi de'
filosofi, e con 1' avvicendarsi delle
scuole.
Non
seguiremo perciò, a questo proposito, la
sentenza
del
Buhle, del Bitter, del Renan tb d'
altri storici che
altro
divario non sanno scorgere, fra'
peripatetici del
Rinascimento,
se non quello eh' è possibile
riconoscere
fra'
commentatori d' un medesimo caposcuola. Come
confonder
l'Achillini col Porzio? e il Porzio
col Nifo?
e il
Nifo con lo Zabarella e col
(3ontarini? e tutti
questi
con lo Zimara e con altri di
simil tenore?
Il
criterio innanzi stabilito ci può far
comprendere
perchè
mai tutti quelli che han sempre
sospirato un
accordo
fra l' uno e l' altro sistema, risentano
piii del-
l' indirizzo
platonico anziché dell' aristotelico ; e
perchè
accanto
a Bessarione, al Mirandolano, al citato
Gonta-
rini,
al Mazzoni, e a tutti gli altri
che credono toccar
col
dito il vagheggiato accordo, non manchino
i Donato,
i
Folieta. i Buratella che reputino pazzia
cosiflFatto
accordo.
I primi ci dimostrandoci fatto che
nell'Ari-
* Una
prora estrinseca che fra il Platonismo
e 1* Aristotelismo pri-
mitivi non
V* è, masdme in certi ponti di
metafisica, divario sostan-
ziale,
potrebb* esser tolta dalla maniera ond'
Aristotele conduce la crìtica
inverso
alla fllosofia del sno maestro. Lo
Scbleiermacher Tha chiamata
critica
da maestro di scuola: e, per alcuni
rispetti, non a torto. Lo Zeller
infatti
ha mostrato ad evidenza come il
discepolo stiracchi non di rado
il
maestro per meglio abbatterlo. — Ved.
Op. cìt. trad. dal Bonghi spe-
cialmente
nel Cap. iV.
stotelismo
c'è il Platonismo, e però l'indirizzo
medio;
i
secondi poi che nello Stagirita ci ha
i germi delle altre
opposte
e contrarie direzioni. Un accordo è
possibile ;
ma non
fatto a maniera ^meccanica e per
sovrappo-
sizione, come
si pensano certi viventi neoplatonici col
trasferire
all'un filosofo ciò che si crede
faccia difetto
all'
altro, e dando per esempio ad
Aristotele l' idea pla-
tonica, e
a Platone il concetto della Juva^c? o
della
ytvevii
aristotelica. Il discepolo ha pur egli
la sua idea,
cgme
al maestro non manca la virtù del
fatto e il valore
dell'esperienza.
L'accordo quindi è opera della storia;
ed è
r opera travagliosa della critica
rintegratrice.
La
quale, rotondando le sporgenze e
ammorbidendo le
angolosità
che pur troppo si lasciano scorger ne'
due
filosofi,
li modifica, li rimpasta, li trasfonde
1' uno nel-
r
altro e li trasfigura siffattamente che
ci scompaian
dagli
occhi Aristotele e Platone, senza che
perciò abbia
a
scomparire ed estinguersi quell'eterna e
vivace esi-
genza cui
levossi il pensiero indoeuropeo fin da'
primi
momenti
della sua riflessione speculativa e
metafisica.
Ripetiamolo
anche qui. Il risultamento finale del-
l'Aristotelismo
e del Platonismo non è già il
trionfo
dell'uno
su l'altro, od al contrario. È il
trionfo d'en-
trambi, per
una ragione altrove rammentata a proposito
delle
due moderne filosofie. E que' critici che
tanto
sudano
e s' arrovellano a mettere in trono
vuoi un
Aristotele
passato attraverso i lambicchi d'una
critica
infedele
ed eunuca, vuoi un Platone rimpannucciato
co' cenci
d'un troppo vieto tradizionalismo, negano,
senz'
addarsene, la storia. Negano la storia,
perchè
disconoscono
gran parte del lavoro storico già
com-
piutosi per
opera degli esegeti ellenici, arabi,
alessan-
drini,
latini, italiani del Risorgimento.'
* Reca
marayiglia davvero il pensare come in
questa maniera di critica
incappino
perfino, parlando d'Aristotele^ gli hegeliani
più assennati quando
affermano,
per esempio, che aìVidea topra le
cose di PlaUme AnstoteU
SOSTITUÌ
Videa delle coae^ o la forma.
Basterebbe già la parola 909Htu\ a
far
cangiare
ftsonomia, non pure airAristotelismo e al
Platonismo, ma a tutta
Premesse
queste considerazioni generali, veniamo
alla
quistione psicologica. U problema psicologico
al
quale
si connette ogn' altro, è quello che
risguarda la
relazione
fra V anima e '1 corpo. Se
cotesta relazione
interviene
fra mosso e movente, per usare l'
antico lin-
guaggio,
s'ha l'indirizzo platonico; il quale
j>wò trovar
riscontro
con la posizione iperpsicologica della
esegesi
de'
commentatori averroisti. Se è relazione di
potenza e
Aleuto,
pigliando l' atto come determinazione o
semplice
la
storia della scienza. B tal si è
infatti il linguaggio tenuto nella ìot
critica
da Hegel, dal Michelet, dal Franti,
dallo Zeller, ne' quali attingono
ispirazione
i nostri hegeliani. Ma dicendo che
Aristotele sostituì oc, non
sembra
che lo Stagìrita abbia inteso di
negare addirittura V idea plato-
nica?
Giacché a poter sostituire bisogna innanzi
negare; e per mettere
qualcosa,
è d^uopo averne levato qualche altra.
Ora il vero si è che Ari-
stotele,
oltre la specie come predicabile, il
che costituisce proprio la
novità
sua di rimpetto a Platone, riconosce
altresì la specie separata^ la
specie
in sé, là forma in sé, spoglia
di materia. La qual forma in sé
(s Zi
poi aurvj x^-^' aur^fv vj uo^^tj) è
altrettanto chiara in Aristo-
tele,'quanto
la forma mista alla materia (ùtgjùti^jvvj
(uterà rrì; vItiq). lì
divario
fra* due ftlosoft perciò non risguarda
la prima, vo* dir la specie
per
eccellenza, ma si la seconda, cioè la
cosa contenente la specie. Di che
si
vede come per lo Stagirita, oltre
l'insieme de' due elementi (to au voXov)
ci sia
ben altro ancora. Al di là del
to' slSoz sv fn uXv), infatti, vi
ha
l'essere, vi ha la ragion delle cose,
tÒ tìSo;, (Ved. Metaph. X, 2). In-
tanto, che
cosa ti fanno i critici hegeliani ?
Essi pigliano quel che loro
toma
comodo. Pigliano il to' oùvoXov, e il
resto considerano come un caput
mortnumj
o sentenziano: Ècco qua il vero
Aristotele! Che sia l'Aristotele
del
loro cervello, è chiaro, né vi cape
ombra di dubbio. Che sia l'Ari-
stotele che
ci porge la storia, lo neghiamo
risolutamente; né ci man-
cherebbe
modo a darne dimostrazione, se questo
fosse il luogo. Si dirà
che
quel caput mortuum sia come il Deus
ex machina dì Cartesio? una
contraddizione?
Innanzi tutto potrebbe stare ch'ella non
fosse tale: e tale
infatti
non la reputarono i nostri vecchi
critici del Rinascimento, né
tale è
creduta oggi da' massimi e più severi
interpreti moderni, qual è
Trendelenburg
in Germania, Rosmini in Italia, Ravaisson
e B. Saint-
Hilaire
in Francia. Checché ne sia, la
critica seria e feconda starebbe
appunto
nel levar di mezzo la contraddizione,
ma senza negare nò ra-
diare in
Aristotele l'esigenza platonica; se no,
risicheremo d'incespicare
nel
solito scoglio, quello cioè di far la
storia zoppicando, e far cammi-
nare la
macchina con una sola ruota. Nessuno
de' quattro critici poco
fa
rammentati, fra' moderni, e neanche fra
gli antichi il nostro Simone
Porzio
per esempio, avrebbero detto, né dicono,
sostituì. Avrebbero dette
aggiunse,
a/mpìè, eon-ewT, iiirern, t' simili.
modificazione
della potenza, avrai la posizione empirica
dell'Aristotelismo,
il cui rappresentante più logico, più
originale
nell' età del risorgimento dicemmo essere
il
Pomponaccio.
Se cotest' attinenza, per ultimo, è quella
di
forma
e di matefia, ma intesa in maniera
che la prima
tuttoché
rampolli dalla seconda non però sia
come assor-
bita da
questa e ne dipenda in modo assoluto,
ma anzi la
superi,
la informi di sé e basti ad
alimentarsi di sé me-
desima; in
tal caso avremo una terza posizione,
la cui esi-
genza é
pur manifesta in Aristotele, e nella
quale pone
radice
la soluzione più acconcia del problema
psicologico.
L' indirizzo
iperpsicólogico, nome che d' ordinario
scambiasi
con l'altro di platonico, ha natura
dedut-
tiva, e
costituisce il metodo degli spiritualisti
di tutt' i
tempi
: nelle cui mani la psicologia
assorbe siifattamente
la
fisiologia, da ridurla alle umili
condizioni di sem-
.plice
appendice della prima. L'indirizzo aristotelico
empirico
ha natura puramente induttiva; ed é
il me-
todo
de'mateiialisti d'ogni età, nonché di certi
moderni
biologisti
e positivisti, agli occhi de' quali la
scienza
dell'
anima é com' un' ultima pagina, una
modesta ap-
pendice
della fisiologia, ovvero una specie
d'enume-
razione,
come direbbe Hegel, di ciò che é
l'anima, di
ciò
che in lei avviene, di ciò eh'
ella opera. * L' indi-
rizzo medio,
finalmente, facendo giusta parte e ragione
tanto
alla psicologia quant' alla fisiologia,
interpreta il
rapporto
fra la potenza e l' atto col sussidio
del me-
todo
genetico ; e così giugno a salvare
ad un' ora me-
desima i
diritti dello spirito e quelli della
materia.
A
siffatto risultamento ci mena la critica
e la sto-
ria delle
differenti soluzioni date a quest' arduo
pro-
blema.
Rifacciamoci brevemente dal Platonismo.
Il
concetto psicologico del gran figliuolo d'
Aristone,
se é
parso profondo a molti in quanto che
mira, come
direbbe
il Cousin, a congiugner la natura
intelligibile
*
Phil, de VEnprit, trad. del Vera, T.
1, 1868, p. 72.
con la
materiale maritando due mondi opposti
nell'anima
razionale
e sensitiva,* pur nullameno e' riesce
manche-
volissimo
chi pensi come anima e corpo al
filosofo di
Atene
s' affacciassero dislegati, scissi, e
solamente ap-
paiati così
fra loro com' il nocchiero col suo
naviglio.*
Nessun
vincolo secreto, adunque, nessun nodo, né
om-
bra di
processo nelle funzioni psicologiche pel
padre del
Platonismo.'
Di qua proviene che per lui la
mente, vi-
vendo d' una
vita superiore, non abbisogna, a dir
pro-
prio, di
pareli^; il pensiero essendo già per
sé stesso
un
discorso con sé medesimo : Sto^UyaSat^
Perciò stesso
una
divisione razionale e organica degli atti
psicologici
teoretici
nella dottrina platonica è impossibile :
' laonde
quant'
all' essenza propria e specificante l'
anima, piut-
tosto che
generarsi, si compone; o, come osserva
accon-
ciamente un
acuto scrittore, si raccozza, non si
esplica.®
Il concetto
psicologico dunque del primitivo Plato-
nismo é
tanto incompiuto, quanto incompiuto si
palesa
quello
della sua cosmologia, nonché l' altro delle
rela-
zioni fra
il mondo e gli etemi paradigmi.
Il
processo psicologico é assai meglio
determinato
neir
Aristotelismo. Ed é tale in grazia
della dottrina
dell'entelechia,^
e della relazione fra la materia e
la
*■ L'
anima uriiana è formata alla stessa
maniera dell* anima del
mondo.
{Tim., trad. Coubin, voi. 12, p. 120
e specialmente 123 e segrg.)
È
qualcosa d' intermedio fra il mondo
sensibile e V idea. (Zeller, Eapo-
»tx.
arìatotelica della jUoBofia platonica.^ p.
304.)
* Di
qui la celebre definizione dell* uomo
alla quale han fatto e fauno
buon
viso tutti gli spiritualisti: Avro^f tu
toO» (Tw^aro; OLpy^ov
(àjÀo'koyTntTafisv
«vO^owttov govai etc. Ved. nel Primo
Alcib.f 51.
•
Chaigkbt, De la Paycologie de Platon^
Paris, 1862, p. 232 e segg.
* Ved.
nel Soph,, trad. del Cousin, Tom. XI,
p. 230.
' La
classazione accennata nella Repub. (Lib. IV
e IX) si riferisce
agli
atti morali; e lo stesso può dirsi
dell'altra simboleggiata nel mito
poetico
del Fedro. Solo nel Teeteto havvi un
principio di divisione teo-
retica delle
funzioni psicologiche, ma anche questa
manchevole.
•
BONQHI, Storia del concetto deWAnipia neUe
varie scuole antiche e
del medio-evot
pag. 288, nei Saggi di FU, Civile^
Genova 1852.
■'
Arist., 2)« i4»., II, e. I, § VI: W\j'/ri sanv
«vtc>«x*** **^/'**'''*'
arà^y.roc
yuTtprou Sovy.jjLH Zwvj'v j^^ovto?.
forma.
Tale anche dove si rifletta al valore
che Aristotele
porge
al senso come rappresentazione com' elemento
essenziale
del pensiero,* nonché all'ufficio eh' egli
attri-
buisce
all'immaginazione (>3stxaT«a) come facoltà me-
diana fra
senso e ragione;* anticipando così la
dottrina
su la
relazione che il Kant stabilì fra
questa facoltà
e le
altre due estreme funzioni dello spirito.
Con que-
ste idee
fondamentali, checche ne dicano coloro che
col
B.
Saint-Hilaire non rifiniscono d'incelare la
psicologia
platonica,"
Aristotele creò la psicologia come scienza
indipendente
dalla biologìa, gettando insieme le basi
della
zoopsicologia che, nelle mani segnatamente
del
Darwin
e dell' Agassiz, oggi comincia ad assumere
di-
gnità e
significato razionale. Ecco dunque uno
degli
esplicamenti
, una delle correzioni dell'Aristotelismo
verso
il Platonismo neU' àmbito delle ricerche
psicolo-
giche. Nel
Timeo Platone riguarda l'animo qual moto
originario
e spontaneo fàuToxtv»Toc); Aristotele, meglio
avvisandosi,
estende siffattamente cotal virtii da
riferirla
altresì
all' animale.^ E questo, senza dubbio,
fu un passo
gigantesco.
Ma se
nel filosofo di Stagira vi ha passi
cCoro ad
ogni
pie sospinto, non per questo vi manca
la scòria.
La sua
psicologia, come quella del suo maestro,
è man-
chevole ;
ed è manchevole, perchè riesce tale
altresì la
costituzione
della sua cosmologia. Il sistema dell'uni-
verso per
lui è quasi una catena di cui
gli anelli prin-
cipali '
rappresentati dalla forma e dalla materia,
dalla
potenza
e dall'atto (5uvx/:xtc ed ivtpyéia), si
ripetono,
s' ingradano
e moltiplicano viepiù col distendersi di
essa.
*
Akist., Ve An.f lib. I, cai). L
^
*
Idem. Ta y.iv ovv e*trìvì rò
vokjtcxov «v toìc (por.vróÌ9fia9t voti.
De
An., III.
*
B. SAnrr-HiLAiRK, Tmité de VAme^ Introd.
*
Abist., Melaph. X.
*
Intendiamo accennare a* due princìpii
intemi che per Aristotele
costituiscon
r essere e sono anzi Tessere; a
differenza degli altri 4no
ntemi
che ne costituiscono i Jimiti. (Meutph.f
II, 5, 7*%*., II )
È una
scala in cui per moto continuo, dallo
stato di
sonno
e di stupore, la potenza s'aderge al
più alto
grado
dell'attività pura.* In cotesta relazione
trovasi
precisamente
la materia corporea di fronte agli
esseri
vegetabili
e sensitivi ; il vegetabile e '1
sensitivo rimpetto
all'essere
intellettivo; e T intellettivo inverso agi'
intel-
ligibili.'
Ma in che risied'egli cotal passaggio?
Tutto
ciò
che agisce non può non essere un
ente in atto, cioè
la
specie che operando sopra un ente
potenziale vien
così
traendolo dal nulla.' La forma dunque
che ger-
moglia dalla
materia è davvero il passo d^oro
nella
cosmologia
aristotelica; come il passaggio empirico e
al
tutto materiale e puramente generativo
dall' uno
all'
altro, n' è la parte inaccettabile ed
erronea. La
potenza
non movesi da sé per intima energia,
ma
solo
in virtii del movente, della forma.
Il potenziale,
in una
parola, non giugne all'attualità, salvo che
per
mozione
d'un attuale.* Or com'è possibile che
la po-
tènza riesca
anteriore all'atto, se in realtà è
sempre un
atto
quello che ha da movere il termine
correlativo ?
Che se
l'atto è antecedente alla potenza e
la precede
altresì
di tempo ; ^ non è egli chiaro
che cotesta po-
tenza abbia
a riescire affatto vuota e sterile e
infeconda,
posto
eh' ella abbisogni sempre d' un atto
che la tragga
ad
atto?
• Ma
c'è di più. Se l'originalità d'Aristotele
risiede
neir
aver visto l' elemento formale intrhisecarsi
col ma-
teriale ;
e la forma in quanto reale costituire
perciò la
sostanza
(ouVJa); e questa esser non altro che
processo.
V?
fuo-c;, wTTff rin trvvtyjia XavOoévscv
to' TtsBóptov aur&ìv xat
tÒ
^ttjoy wOTi/Owv ««TTt'v. Hi»U Anim.f Vili.
*
Arist., Metaph. Ili, 8.
*
Idem, De Oenerat. Aninu, II, 1.
*
"O ffTTÌv VI xcv)}(7(; «V Tw
xtv>jTw, Stj'koy' i'»Ts\éyr^si<x, yoip eVre
TOUTOÙ
uttÒ toù xcvy}tcxoù, xat vi Toù
xcvvjTcxou évépytta. ovk
y.Xkvì
è Tri. Metaph,, XI.
»
Idem. Metaph. Vili, 8.
atto
immanente nelle cose (viv??*?) donde poi
emerge
il
doppio aspetto o doppia determinazione
dell'indi-
viduo
(7eveT^at aa>wc, 7ivj(T5a£ rt): la parte
fiacca di
sua
dottrina, invece sta nell'aver posto,
com'ho toccato,
medesimezza
di natura, fra le due supreme
determina-
zioni degli
enti nell'ordine delle sensate realtà, onde
poi
accade
che rimanga difettosa tutta la cosmologia.
La
potenza
avvisata in sé medesima è Sivafii^,
In quanto
fluisce
verso l'atto è tvspysia. In quant'è
atto, stato,
riposo,
stasi, è 5VT«>ex«ta. In quanto poi
transigi ad
atto
novello ripiglia valore d' Bvspyùv., e così
di seguito.
Il
moto (KlvYiTit:), il conato^ come direbbe
il Leiljnitz,
il
conato 0 lo sforzo, come direbbe il
Vico, costituisce
l'essenza
di tutti questi tennini diversi; in
lui s'in-
centrano
potenza ed atto;* il perchè formando
fra loro
continuità,
compongono un sol ente capace di
passare
attraverso
stati o momenti in sé stessi diversi
per in-
trinseca
eccellenza. La produzione si fa sempre
nella
medesima
specie, ed all' univoco. *
Or se
cotest' appunto è la natura del
passaggio,
non è
egli chiaro che le cose devan
liescire identiche
nella
sostanza? Non é chiaro che, ov' elle
progrediscano,
cotesto
lor progresso altro non sarà che
trasformazione,
ninno
potendo affermare che trasformarsi vai
progre-
dire ?
E s' é così, a qual fine e con
che ragioni mover
critica
al maestro, nella cui dottrina il
mondo non è
che
parvenza, fenomeno, ombra vaniente e
passeggera?
Nella
dottrina cosmologica aristotelica, dunque, il
prò-
cessus
è al tutto apparente. Apparente e
fallace la spon-
taneità e
r intrinseca attuosità delle forze. Né
san Tom-
maso ebbe
torto d' affermare, contro gli arabeggianti
dell'età
sua i quali così appunto interpretavano
Aristo-
tele, che
una forma sostanziale novella mai non
appare,
*
"iÌTxs \sins70n TO 'key^Biv
slvxc xat ivépystav xat
fivj
9*
ecyae, Metaph,, XI.
*
Mrtaph. XI, 3.
ove la
vecchia non isparisca; e che la
generazione,
concepita
qual moto continuo e come incessabile
tras-
formazione d'
un subbietto identico, renda le forme
no-
velle
affatto accessorie e accidentali.' Se
quindi il genie
possente
d'Aristotele seppe scorgere e dimostrare
una
delle
grandi leggi della realtà, vo' dir la
continuità tra
forma
e materia (tò (ruv-^sf), la relazione
intima fra la
^uvaj^xì;
e r £VTf>èX5*«» ^ P^rò il profoudo
concetto della
£V5/>7sia;
non però giunse a vedere quell'altra
condi-
zione, non
meno imprescindibile della prima, la quale
seguendo
una vecchia frase pitagorica potremmo ap-
pellar legge
ddV intervallo {StitTTviiia),
I
medesimi pregi e le stesse manchevolezze
nella
sua
psicologia. L' uomo è tu vo>ov : dunque
è materia e
forma
ad un'ora medesima. L'anima intellettiva,
quindi,
è
atto. E la potenza di quest'atto? È
il senso.... La-
sciando le
induzioni favorevoli che si potrebbero fare
circa
tal dottrina d'Aristotele interpretando il
concetto
del
senso ch'ei chiama generale, si potrebbe
domandare:
in che
sta la relazione, e qual' è mai
la natura del pas-
saggio fra'
due -termini? Se ci è continuità, in
che ma-
niera il
senso può diventar ragione, l'esteso
inesteso,
la
materia pensiero? Se poi non v'.è
continuità (né ci
può
essere una volta eh' ei medesimo
invoca la mente
dal di
fuora^), com' è che alla fin fine
si ritrovan, por
cosi
dire, sovrapposte le tre anime che
sono anch' elle
forma
e materia, atto e potenza? — Trendelenburg
e
Rosmini,
fra gli altri, han messo a nudo,
com' è noto
•
Summay Pars I, LXXXVI, iv, e —
fe bene arvertire come gli sto-
riografi
hegeliani, imbattendosi in questa dottrina
Aristotelica, credano
scoprir
le Indie e vi s'aggancino tenacemente,
senz'addarsene ch'ei s'ag-
ganciano,
anziché al vero e genuino Aristotele,
ad nn tronco arabo ! E' non
s'accorgono
come già da sette secoli siano stati
mlnerati da quel mo-
desto
fraticello che, primo e meglio d' ogn'
altri, mise a nudo le maga-
gne dell'
Averroismo ove dimostra Averroè peripatetiofn
philotopJUm de-
pravatore
Ved. Opusc. Contra AverroytUy specialmente
a pag. 225 o segg. ;
e
nella Sommay q. LXXIX.
*
Aribt., Or Gerterot, Anim., II, 3.
questo
sconcio aristotelico. L' un d' essi non
capisce in
che
maniera lo Stagirita interrompesse la serie
pre-
clara, e
però si studia correggerlo facendo che
la mente
in
potenza (tw Travra 7£vs<j5a) pulluli
tutta dalle sotto-
poste
facoltà sensate.* L' altro poi, non meno
accorta-
mente del
primo, reputa impossibile cotesta scaturi-
gine,
attesoché il disprigionarsi dell' intelligenza
dal
puro
senso e dalla potenza, così com'è
intesa dal padre
della
Storia Naturale, terrebbe propriamente del
mira-
coloso.*
Anche qui, dunque, bisognerà dir che
Aristo-
tele non
riesce a vedere in che mai risegga
l'intimità
del
processo. Laonde se l' attività della
natura per lui
pone
radice nella specie come forma reale,
e quella
dell'anima
razionale risiede nella specie come idea
o
mezzo
del conoscere (nel che sta proprio
l'originalità
psicologica
aristotelica)^non perciò vennegli fatto d' im-
primer
compattezza ed omogeneità in quella tela
del
suo
maestro che a lui pareva scucita e
fatta a bran-
delli, 0,
com' egli usa dire, composta d'episodi
a mo' di
una
cattiva tragedia.' Non chiarì acconciamente,
in-
somma, come
nell'ordin de' fatti la potenza non pur
vada
innanzi all' atto e sia l' atto
medesimo posto come
potenza,
non altrimenti che la potenza è
l'atto me-
desimo non
per anche salito a questo valore; ma,
piii
ancora,
che la potenza abbia tale e cotanta
efficacia,
che,
posta una volta, per tutta sua
propria virtii debba
transitare
all'atto senza l'intervento d'altro subbietto
che
sia atto. Se cosi non fosse, che
cosa ne seguirebbe?
Questo,
di sicuro: che la potenza non sarebbe
altri-
menti
potenza, ma impotenza.*
*
Trkndelenburq, Ar%9t, in III, 5, De
Anim.f 2.
*
Rosmini, Àrvft. esp. ed emm. L. III,
Gap. XVII.
' Oux
ioty.in <y Yi (fvmq ènnvoSiM^Tni oJca
ex t«wv ^atyof/E'v&iv
wTTTsp
fjLO^Qripd T/9«7w5«a. Metaph.^ XIV.
^ Ci
sia qui permessa un'osservazione su la
quale ci rifaremo pid
riposatamente
in altra occasione. Alcuni fra i più
acuti filosofi aristote-
lici del
Rinascimento, in ispecie quelli cfie non
avevano interesse a ti<
rar lo
Staijirlta A'orso il Platonismo come certi
commentatori neoplatonici
Poiché
dunque lo Stagirita non imbroccò giusto,
e
sott' ogni riguardo, nel concetto
cosmologico della so-
stanza, vo'
dire nel processo genetico dell' individuo
;
non
poteva neanche coglier netto il processo
psicolo-
gico della
conoscenza, ne tampoco l'altro che dicemmo
istorico
e sociologico. Laonde possiamo concludere
che
il
gran maestro d'Alessandro, quant'al problema
psico-
logico, legò
soprattutto alla nostra eredità una doppia
esigenza:
V il concetto del metodo ch'egli,
svolgendolo
e
compiendolo, trasse da Socrate ; 2*"
il concetto dell' in-
tima
attività della natura in generale.* Col
che, come
vedremo,
Aristotele meglio che Platone sarebbe l'
ante-
cedente
ideale più legittimo del Vico.
Ma,
lasciando de' due massimi filosofi di
Grecia, ho
detto
che avrebbe tirato le somme linee d'
un compiuto
disegno
storico della psicologia chi pigliasse a
fecondare
e
svolgere que' germi psicologici che a
larga mano tro-
viamo sparsi
ne' due massimi filosofi del mondo
cri-
stiano,
Agostino e Tommaso. Il padre de'
padri sta cosi
al dottore
de' dottori della Chiesa, come il
filosofo di
Atene
a quello di Stagira; con la giunta
delle neices-
sità
cui spignevali '1 domma cristiano. Se
infatti può
0
tanto meno poi trarlo allo schietto
materialismo, come non dubitavano
fare
alcuni della scuola Bolo^ese e Padovana,
ma si studiavano bensì
d*
intenderlo benignamente e correggerlo alla
guisa che per più riguardi
s'è
studiato di fare il Rosmini; costoro,
dico, s'accorsero dove per av-
ventura
appiattavasi il tarlo che magagnava la
dottrina psicologica del
vecchio
maestro, o dissero V anima intellettiva
esser atto bensì della
sensitiva,
ma, più che atto, lo appellarono actw
in actu: t6Ss d' un tó^j,
direbbe
lo stesso Aristotile. Dissero l'anima
intellettiva forma; forma
sostanziale
uscente dalla sensitiva, identica a questa
i ma insieme dì-
versa,
e però autonoma e indipendente. Col
che, mi pare, avrebbero at-
tinto il
vero concetto della genesi psicologica, ove
alla generazione ari-
stotelica
avesser sostituito un'altra legge superiore
alla prima, della quale
parleremo
appresso. So che ad altri parrà
indovinello questo actwi in actu :
ma
allora non sarà meno indovinello la
suddetta frase del medesimo Ari-
stotele, e
r altra petuiero de\ pernierò; quella
dolio Schelling e di Platone,
idea
deW idea; quella di Hegel, /omia ddla
forma; quella di Fichte, fo
delV
Io; quella del Gioberti e del Cusano,
moto del motOf e via discorrendo.
*
KARTUt*, De la Pittfcoìntfie dWrittt,, p. 11*2.
— C. Wa Din VGTOS, P*y-
co/.
d'^Arint.
Conclus.
direi,
come s' è mostrato, che i due
filosofi greci furon
primi
a chiarire, da una parte, la
necessità di due op-
posti
elementi psicologici in un tutto (esigenza
psico-
logica
platonica), e, dall'altra, la necessità
d'un intimo
annodamento
de' medesimi in una compiuta unità (esi*
genza
aristotelica); con pari sicurezza può
affermarsi
che al
medesimo segno volsero gli occhi i
due filosofi
cristiani.
L' Aquinate, di più, si propone di
rinvenire
in
tale dottrina un accordo, e fino a
certo segno vi
riesce,
non pur fra' due greci filosofi, ma
eziandio fra
sé
medesimo e '1 suo maestro africano,
tanto eh' egli
stesso
talvolta s'accorge di tirarlo più del
dovere ai
propri
pensamenti, come del resto incontra ad
ogni
critico
che senta di poter fare da sé
anco quand' abbia
le
mani nella pasta altrui.
Qual
era infatti l'esigenza cristiana di fronte
alla
filosofia
greca rispetto al problema psicologico? Era
la
necessità di porre un fondamento razionale
non solo
a que'
dommi che come lor precipua condizione
doman-
dano il
concetto dell' anima nel senso di
natura indivi-
duale piena,
concreta, vivente e cosciente; ma eziandio
a
quegli altri pronunziati cristiani che la
natura del-
l' uomo
deggion supporre spirituale in sé, ed
immor-
tale. Or
bene, i due filosofi cristiani, non
senza profonda
ragione
e necessità, si studiaron per l'appunto
di ri-
trarre,
ciascuno dal proprio maestro, il vero
che i due
greci
filosofi racchiudevano, e che soccorreva
pur tanto
a
viepiù legittimare i diversi insegnamenti
dommatici
della
fede. Così avvenne che Agostino, badando
più
che
altro a rassodar que' dommi che ove
l' anima non
fosse
di natura spirituale e dal corpo
indipendente
parrebbero
più che misteriosi e inintelligibili,
teneva
l'occhio
al concetto platonico: in mentre che l'
Aqui-
nate,
procacciando ritrovar salde basi ai dommi
che
segnatamente
importano il concetto d'una compiuta
individualità
e personalità umana, guardava al con-
cetto
aristotelico. A questa maniera (juelle
menti pri-
vDegiate,
traendo profitto dalla speculazione greca,
si
pensavano
d' accordar le necessità della fede
co' bisogni
della
ragione, levando così ogni dissidio fra
le leggi
psicologiche,
e^i fatti d'ordine superiore.
Se non
che co' pregi essi redavan prure i
difetti dei
loro
maestri. Difetto in Agostino, checché ne
dicano al-
cuni
francesi, è quel medesimo che abbiam
riscontrato nel
filosofo
ateniese ; la mancanza di processo.*
Col che non
dico
già che non iscorgesse anch' egli uno
svolgimento
nelle
diverse funzioni psicologiche, essendo noti
que' sette
gradi
attraverso cui l' Ipponese vedeva esplicai'si l'
ani-
ma,' nel
che si vantaggia non poco sul suo
maestro. Dico
bensì
che sifi^atto processo in lui, non
meno che nel suo
maestro,
si palesa incompiuto e quasi inorganico,
non
avend'egli
scorto intimità di sorta fra'l senso
e la ragione,
ponendovi
anzi intervallo infinito alla maniera per
l' ap-
punto di
Platone. In altre parole : il
processo per lui ha
luogo
solamente nel mondo intellettivo, e non
anche nel
sensato;
sì che giugne a parlare, come oggi
il Rosmini,
d' un
senso intellettuale, E tanta efficacia
spiegava agli
occhi
suoi la virtii deduttiva e sì netta
parevagli l'in-
.
dipendenza della psicologia dalla biologia,
che il sentire
per
lui è anche un intendere, al modo
istesso che l' in-
tendere è
anche sentire, comecché nulla non ci
abbia
che
vedere col senso veramente detto.' Così
il sensato
* Al
nostro assunto non importa vedere qua'
dialoghi di Platone co-
noscesse il
filosofo d'Ippona. E neanche cMm porta
stabilire s* ei sia se-
guace de*
Neoplatonici meglio che de' Platonici, come
vuole il Nourisson
[Phil,
deSt. AugtutHny Paris 1865, voi. IT, pag. 101), ovvero
degli Ales-
sandrini,
segnatamente di Plotino, come crede aver dimostrato
II Bonl-
liet
col confronto de' testi {Trad. des
Ennéadea, Tom. II). Noi ci acco-
stiamo alla
sentenza del Saisset, il quale ha
mostrato che Agostino co-
nobbe assai
bene il filosofo Ateniese (Trad. de
la Citi de Dmw, Introd.,
pag.
XLI). Conobbe il Timeo: e tanto
bastava a queir ingegno potente
e
fecondo per cogliere l'intero disegno del
Platonismo. Del resto, par-
lando di
Agostino rispetto a Platone, più che
della filosofia e delle teo-
riche, noi
intendiamo parlare d' indirizzo generale, nel
quale convengono
Platonici,
Neoplatonici, Alessandrini e, non meno di
questi, sant'Agostino,
*
Agost., De quaiuU. Anim., pag, 77,
ed. Mignc.
»
Idem, eod,, XL.
per
Agostino è quello che per Platone:
passione del
corpo
come corpo (non del corpo animato)
confuso
perciò
con l'impressione eh' è affezione al tutto
fisio-
logica:
donde poi nella presenzialità, come
Platone,
fa
egli risiedere 1' attinenza fra l' anima
e '1 corpo.*
Sennonché
il filosofo cristiano si vantaggia sul
greco
quant'
al concetto stesso dell' anima razionale.
Si van-
taggia non
solo perchè col modificare profondamente
la
dottrina della reminiscenza, mondandola un
po' dal-
l' invogha
mitica, ebbe cura di sostituirvi l'
intuizione
onde
la mente vien capace di cogliere,
nuUa interpo-
sita
creatura, il lume dell' etema ragione
qual puro
lume, o
intelligibilità pura;' ma, piii ancora, se
'1
lascia
dietro assai lungo spazio mercè il
concetto d' un
atto
intellettivo posto come originario, radicale,
au-
tonomo, il
quale, costituendo T assenza stessa del
pen-
siero
(mens), è capace di comporre una
triplicità nel-
r
unità della conoscenza. Quest' unotrino
psicologico,
meglio
che inerenza d'un soggetto, è anzi
egli me-
desimo un
soggetto, è il soggetto.' Dove così
non fosse,
e l'anima
non avesse notizia primigenia di se
stessa,
come
potrebb' ella conoscer le cose, posto
che a cono-
scer le
cose condizione imprescindibile è conoscere
in-
nanzi tutto
sé medesima? Or cotesta coscienza ori-
ginaria,
netta, spiccata, autonoma, è per appunto
la
grande
novità ónde l' ardente africano vola sopra
tutt' i
filosofi
cristiani del medio-evo, e della quale
il Rosmini
si è
celatamente servito nella parte originale
della sua
teorica
su la conoscenza. Qui davvero Agostino
si pre-
senta quale
antecedente del postulato cartesiano,* ne'
li-
miti che
altrove accennammo (pag. 175). Ma è
da con-
*
RiTTER, Hùt, de la PhU. ChreU, voi.
II.
« De
Trinit. XII. — Conf^,, Vili.
* Vedi
le belle rifleesioni del Bonghi a
questo proposito nella Storia
del
concetto ddV anima ec, e del Rosmini
neir opera Deìle «entenite de* Fi-
losofi
intomo alla natura ddl* anima, p.
101.
* Yed.
segnatamente Dr Civit. Dei, lib. XI,
cap. 26. — De Lih. Arh.
lib.
II, cap. a.
fessare
che, per benigni che fossero stati e
sieno gì' in-
terpreti,
specialmente i Francesi, che in questi
ultimi
anni
presero a chiarire la psicologia del
vescovo di
Ipponà,
la fimzione del senso pel gran padre
della
Chiesa
resta fuori il circolo della ragione.
Veniamo al
D' Aquino.
Checché
ne abbia detto il Gioberti, san
Tommaso è
perfettamente
aristotelico, massime nella dottrina psico-
logica, ma
senza esser seguace, a parlar proprio,
del-
l'indirizzo
iperpsicologico, e tanto meno dell'indirizzo
empirico
dell'Aristotelismo. Egli chiarisce, anzi cor-
regge la
confusa ed ambigua dottrina aristotelica su
r
intelletto agente e su T intelletto
possibile, non sa-
pendo
scorgere fra il primo e '1 secondo
una distinzione
essenziale;
col che abbatte d'un colpo quelle
estreme
e
contrarie tendenze aristoteliche, l'una delle
quaH pone
troppo
al di là e al di sopra di
noi l'intelligenza,
mentre
l'altra, ponendolo troppo al di sotto,
lo iden-
tifica con
l'intelletto possibile.* L'anima per lui è
atto
del
corpo; e così accetta pienamente la
definizione
dello
Stagirita, com'egli medesimo confessa: ed è
al-
tresì
peripatetico perfetto ove dichiara, l'uomo,
an-
ziché
spirito 0 corpo, esser ?uno e l'altro
insieme-
mente.*
Però si può dire che il Tomismo
correggesse
la
dottrina peripatetica su la sovrapposizione
delle tre
anime
non già che perpetuasse tale errore,
com' è stato
detto
da alcuni storici.' L'anima per l'Aquinate
non
sente
perchè razionale, com' é per Agostino;
sente per-
chè é
anche corpo e organismo. Intendere perciò
non
*
Summ,, q. LXXIX. Sicut in omnia
riatura, ita et in anima ett ali'
quid,
quod est omnia fitri, et (diquid quod
est omnia facete, E parlando
delle
due forme d* intelletto, avverte che
nec tamen eeqtiitur quod eit du-
plex
intelligere in homine; quia ad unum
inteUigere oportet utraque ista-
rum
nctionum eoneurrere. (Quceet.y DispìU, q.
de An. art.
4.) Vedi anche
gli
Opusc. DdV Intelletto e ddV Intelligibile,
volgarizzati dal Rossi, 0pu9e
^Uoeofici
$celti ec, Firenze, Le Monnier 1864,
pag. 421
e segg.
*
Snmm., Par. l, LXXV, LXXVI, art. 1.
'
JouRDAiN, La Phil. de S. Tfiom.
D'Aquin, tomo I, cap. V.
vai
sentire anche come intendere, ma è
puro intendere:
così
che s' egli è sentire, è tale innanzi
tutto perchè è
corpo. L'
anima razionale dunque vien su dalla
potenza :
e la
potenza è materia.' È egli materialismo
cotesto?
No,
certo. Se l'anima è atto del corpo,
non vuol dir
già
eh' ella sia rispetto all' organismo,
come 1' eflFetto
alla
sua cagione. Vuol dire bensì che il
corpo non è
puro
corpo. Vuol dire che la potenza non
è pura ed
inerte
potenza, come vedemmo richiedere uno de'
due
indirizzi
del suo maestro Stagirita. Vuol dire,
in somma,
che,
in quanto potenza, ella è forma
iniziale, forma in-
coata,
ma forma.*
Di che
si vede come V Angelo delle scuole,
pur
tenendosi
fedele alle orme aristoteliche, non sia
né
realista
schietto, né tampoco nominalista, ma
piuttosto
tragga
al concettuahsmo ben inteso : nel
qual metodo,
come
toccammo, egli era stato prevenuto già,
per non
parlare
di Teofrasto e Temistio, dal più
fecondo de' greci
commentatori,
Alessandro Afrodisio, come quegli che
innanzi
ogn' altri ebbe ad appellar l' anima
non solo
atto e
perfezionamento del corpo (T£>f cor*»;),
ma anche
potenza
del corpo (d^jv^im tow jw/xaro;).' E
nello stesso
metodo
fu poscia ormeggiato da parecchi filosoh
del
Rinascimento
: da quelli segnatamente che tra V
anima
e '1
corpo introdussero un' attinenza di
causalità reci-
proca,
stante clie la natura partorisca la
forma in quanto
é
potenza anch' ella, ma potenza attuosa
; e la forma
(juinci
rigeneri e ravvivi la materia in
quanto la compie.
Se non
che il Tomismo, scordando spesso l'ottimo
indirizzo
d'Aristotele, tìgge gli occhi nella
materia, e
in
questa presume riporre talora la ragione
e '1 principio
dell'
individualità. Errore del quale secondo
alcuni sto-
rici tornerà
sempre vano il voler difendere il
dottore
Angelico,
quando si consideri che la materia,
perchè si
'
Idem, eoci., XG: educitur e potentia
imtterice.
* Ib.,
LXXVI.
* Ved.
ueirOp. cit. del RAyAiSHUN, T. II, p.
296 e sogg.
porga
qual principio d'individuazione, ha pur
bisogno
d'esser
determinata, suggellata, segnata: or da che
cosa
mai
può esser ella improntata sadvo che
dalla forma?
ciò
che formava appunto il nòcciolo della
opposizione
degli
Scotisti.* Del buon indirizzo aristotelico
inoltre si
dimentica
san Tommaso dove, rasentando l'aristote-
lismo
emJ)irico, si mostra così titubante su
la verace
natura
del senso, che la potenza per lui
non è così
piena
e così feconda come pur domanderebbe
la pro-
duzione
dell'atto; e quindi sente necessità di
chieder
sussidio
a un lume piovutoci addosso non sai
dir come
* Io
qui non intendo propugnare la teorica
sa T indìvidnazione di
san
Tommaso. Son anch' io del parere che
gli Scotistl non aressero poi
tatt*
i torti neir opporrisi, perchè davvero
non mancano sentenze nel
Tomismo
che debbano andar soggette ad una
critica severa. Ma fa me-
raviglia il
pensare come non tutti che ne han
parlato siansi dati cura
d'
interpretare con benignità siffatta dottrina;
e più meraviglia il ve-
dere come
r abbian trattata male anco i più
versati nella filosofia sco-
lastica e
nello studio deir Àquinate, qual* ò,
per esempio, lo Jourdain
che
tanto nel 1® quanto nel 2* voi.
dell* opera poco fa citata, si mette
a
sfatar V Angelico in modo poco serio
per le contraddizioni nelle quali
secondo
lui, cade 1* autore della Somma, e
per V inanUà con che tratta
siffatta
questione. Si dice e si scrive che
il principio d* itulividwuione
per
TAquinate stia nella materia; e se
davvero fosse così, non s* avrebbe
torto
a dargliene biasimo. Ha, a voler
interpretare con dirittura di giu-
dizio la
dottrina tomistica, non è proprio e
sempre la materia quella
in cui
è da riporsi tal principio, slbbene
ciò che in un ente ha ragione
di
primo subbietto. Ecco le parole
deirAquinate: Ulud qntodtenet ratio-
nem
primi tubieeti, est oausa individuationie
et divieionin tpeciei in eup-
poeitis.
E qual' è questo primo «ubbietto t
Est id quod in alio recipi non
potesL
Or le forme separate, per ciò che
non ponno esser ricevute in
altro,
hanno ragion di primo subbietto; però
s'individuano; e però In
et«
tot »unt epeeies, quot eunt individua,
(Ved. De
nat. materia, e 8.) Or
la
materia è ella principio di distinzione?
Si, certo: ma in quanto e sin
dove
ha funzione di primo subbietto. Nella
dottrina tomistica, dunque,
il
principio d' individuazione non sarebbe nò
la forma né la materia, ma
or
l'una or l'altra secondo che quella o
questa esercita funzione di
primo
subbietto. So che i dubbi non per
questo si diradano, né gli op-
positori
cessano. Ma io, ripeto, non difendo
in tutto tal dottrina, sib-
bene
chiarisco la interpretazione da darsene, e
la critica da fame. — Vedi
in
proposito le lettere dell' egregrio Aless.
Bbrntazzoli assai dotto nella
filosofia
di san Tommaso: Di un ulteriore e
definitivo esplicamenio ddla
FlIoHofin
/tcnlasttra ec, Bolo^'na, ISCl.
né
perchè,* invocando così un atto immediato
di
creazione.
Se l'anima è forma, atto puro,
potrebbe
esser
generata dal corpo? Non potrebbe,
risponderà
Tommaso:
ciò eh' è immateriale è impossibile
che ram-
polli per
via di generazione ; la quale non
è altro, a dir
proprio,
che trasformazione. Ma potrebb' esser fatta
della
sostanza divina? Tanto meno; perchè questa
non
è che
un atto purissimo.' Eccotelo dunque anche
lui
all'
intervento del solito DetAS ex machina;
alla neces-
sità d' un
atto peculiare di creazione ex niMlo,
Or non
vi
sarebb'egli altra via al nascimento
dell'anima fuori
di
queste due, generazione o creazione
estranea e divi-
na? —
CJom'è evidente l'A. della Somma (non
altrimenti
che
l'A. della OUtà di Dio risguardo a
Platone) eredita,
co'
grandi pregi, anch' i difetti della
dottrina aristotelica.
Il
concetto della individuahtà è concetto
capitale
nella
storia della psicologia. È propriamente la
radice
prima
onde pullula, chi ben guardi, tutto
il pensiero
moderno
filosofico, politico, religioso. La teorica
della
individuazione,
perciò, è l' addentellato più acconcio per
cui,
nella storia delle soluzioni riguardanti il
problema
psicologico,
il medioevo, segnatamente il Tomismo, si
congiugne
con l' età e co' filosofi del
Rinascimento. Non
ostante
i pregi e i meriti grandi che
l'Aquinate può
vantare
verso l'Aristotelismo e più verso il
Platonismo,
la sua
dottrina doveva esser corretta mostrando
che il
principio d'
individuazione non istà, a dir proprio,
nella
forma,
né tampoco nella materia, ovvero nell'una
o
nell'altra
secondo la ragione del primo suòbietto.
Meglio
ponendo
il problema psicologico si dovea mostrare
che
1'
anima è individuale non perchè informi
una materia,
ma sì
perchè, materia ella medesima, diventa
forma;
perchè l'
anima si fa coscienza; perchè la
coscienza em-
pirica
attinge valore d'autocoscienza e di libero
pen-
*
Summa, !• 2», CXI, art. 2: impre9no
divini luminii in noòw, re-
fidgentia
divincB cIoritoiM in anima,
•
Summa, P. I. LV, v; XC, ii.
siero,
nel cui regno non v' ha materia
e organismo che
lo
spirito non vinca e sorpassi, né fantasma
o imma-
gine eh'
ei non superi e sottoponga a sé
stesso.
Ora
produrre, o almeno compiere cotal
dimostrazione
in
maniera positiva ponendola sotto novelli
punti di
luce,
non era possibile senz' il concetto della
storicità,
essendoché
appunto in seno alla specie, in seno
al co-
mune e
alla moltiplicità appaia e si determini
e spicchi
vie
più la nota della differenza, tuttoché
cotal differenza
germogli
nelP individuo, e sempre per natia
virtù del-
l'
individuo. A tal' opera spiegarono grand'
efficacia in-
nanzi tutto
i nostri filosofi del Risorgimento. Altrove
mostreremo
come in tal' epoca si riproduca il
medesimo
triplice
indirizzo della scolastica, ma con esigenza
ben
diversa,
perché la storia è tale artefice che
mai non
ricopia
sé stessa. Qui notiamo solamente che
nel me-
dioevo le
tre tendenze aristoteliche, le quali
abbiamo
appellato
iperpsicólogica, empirica e media, riproducono
nel
Risorgimento l'esigenza del Realismo, del
Nomi-
nalismo e
del Concettualismo, ma trasformandola. Se
per
queste tre scuole la ricerca filosofica
versava su
la
natura dell' universale dapprima, e poi,
massime con
r
Aquinate, su la natura del medesimo
universale ma
in
relazione col particolare (principio d'
individuazione) ;
per i
filosofi del Rinascimento, in vece, ella
risguardava in
modo
precfpuo la natura intellettiva dell'anima,
nonché
il
rapporto fra il pensiero e l'organismo.
Essi modifi-
cano
profondamente tanto il Platonismo quanto l'
Ari-
stotelismo;
così che alcuni, specie quelli che
rappre-
sentano r
indirizzo medio , non intendono ristringere
l'intelletto
nel puro senso, ma lo allargano si
che, 'ri-
collegando
il problema psicologico al problema cosmo-
logico, si
sforzano di rannodar l'anima in quanto
in-
telligente
con la natura in quanto intelligibile.*
* Noi
avremmo buono in mano a dimostrare,
se qai fosse luogo, che
r
indirizzo medio aristotelico nel Rinascimento
fa rappresentato, sebbene
in
maniera incerta e assai confusa come
portava il carattere di quel-
Il
Rinascimento apparecchiava la moderna psicolo-
gia, ma
non la costituiva. E non la
costituiva perchè
il
problema psicologico non può ricevere
acconcia solu-
zione quando
sia troppo confinato nelle pure indagini
psicologiche.
V'era, per esempio, chi studiavasi di
pro-
* vare
V immortalità dello spirito e chiarire
le ragioni e
i modi
ond' il pensiero nel suo operare s'
addimostra
indipendente
dal corpo. E v' era poi chi facevasi
ad in-
vocare il
sussidio de' soliti influssi divini come
fanno
anc'oggi,
a tre e quattro secoli di distanza,
i nostri
neoplatonici.
Or io non dirò che il problema
su' destini
dello
spirito possa esser risoluto così
facilmente quan-
t' altri s'
immagina. Dirò che alla psicologia potrà
dirivare
qualche sprazzo di luce non già
mostrando
(inutile
tentativo!) che l'anima sia indipendente
dal
corpo,
ovvero che Dio faccia piovere il suo
influsso su
r
intelletto arzigogolando in che guisa lo
irraggi, lo il-
^
lumini e lo riscaldi; ma procedendo
per altra via; pro-
cedendo per
una via men soggetta alle angustie
del-
l'empirismo,
0 meno aperta alle facili speculazioni
dell' a
priorismo. Se Dio influisce, comunque si
voglia,
su
l'anima, altro ei non potrà fare che
modificarne
l'operazione:
cangiarne la natura non può davvero.
Che
se, d' altra parte, si giugno a
dimostrare l' indi-
pendenza dal
corpo, non per questo s' avrà dimostrato
ch'ella
sia proprio immortale, se pure non
vogliamo
r età,
da parecchi filosofi ; fra' quali
notiamo il Contarini, il Porzio, lo
Zabarella,
il Gaetano (De Vio), il De Spina,
lo Scaino fra gì' interpreti,
0
anche il Sessano. Il quale, nella
forma ultima da lui data alla
dottrina
8U r
anima, si può dire che si rannodi
col D'Aquino e perciò anche con
TAfrodisio;
onde il Bonghi ha detto benissimo
affermando che, nell' in-
terpretare
Aristotile, il Sessano segue appunto il
commontatore greco
{Meta/,
rf'Arwt., Leti, ed Roam. p. XIII).
Questi ed altri vecchi nostri filo-
sofi
andrebbero studiati, interpretati, e naturalmente
anche corretti se-
condo il
criterio che abbiamo appellajto medio.
Specialmente andrebbe
studiato
il povero Nìfo cosi malconcio e
sfatato dal nostro collega Fio-
rentino: al
quale il Franck, del resto, ha saputo
dire che il Sessano non
pure
fu il piò, Maggio metafisico del suo
tempo, ma, più ancora, che il
Pomponazzi
trovò appunto nel Nifo un contraddittore
imbarazzante, e
d'una
grande autorità. — (Joum, dee Sav. Magg.
1869.)
acconciarci
alla celebre quanto inutile distinzione del
Pomponazzi
dell'Io fisico e dell'Io intellettivo, e
del-
l' anima
propriamente mortale e impropriamente im-
mortale! Al
pili potremmo giugnere a dir questo;
che
r
anima non finisca così come finisce
il corpo, cioè
disgregandosi
e trasformandosL. Ma cotesta soluzione
non è
affatto negativa?
Tutt'
insieme dunque la speculazione del Rinasci-
mento, per
quanto riguarda il problema psicologico,
era
piuttosto
negazione anziché affermazione : negazione
del
medioevo,
e apparecchio a novelle affermazioni. Nean-
che il
Pomponaccio, il più schietto seguace dell'
indi-
rizzo
aristoteUco naturale^ potrebb' esser detto
materia-
lista nello
stretto senso della parola. Il significato
vero
del
suo libro su la immortalità, diciamolo
di passata, è
quello
di porre sott' occhio, da una parte,
le magagne
delle
viete dimostrazioni su la natura, e
sul fine e su
r
origine dell' anima; e manifestare, dall'
altra, il bi-
sogno di
prove più salde, e però la necessità
in cui
trovavasi
il pensiero filosofico di tentare ben
altre so-
luzioni, e
schiudersi altre vie. Qual' era una
di queste
vie?
La durata dello spirito, come personalità,
doveva
esser
indagata nella medesima essenza e
costituzione
intima
del pensiero. £ a tal fine che
cos' era neces-
sario? Era
necessario lo studio del processo isterico;
appunto
perchè l'intima costituzione del pensiero
si
rivela
da sé medesima nello svolgimento della
vita
dello
spirito; e la vita dello spirito è
appunto la storia.
In
altre parole : era necessario vedere
per via di fatto,
cioè
col processo storico, come l' essenza dello
spirito
risegga
tutta nelP esser egli un conato,
un'attività pro-
fonda che
sempre più si estrica da' viluppi di
natura e
di sé
stesso; che sempre più si determina
in sé, e si
compenetra
con la natura e con sé medesimo
; e come
per
siffatta qualità egli sia capace di
trascender la
natura,
di sorpassare l'organismo, di superare
anche
sé
medesimo, pur rimanendo sempre una
personalità.
Ed
eccoci pervenuti alia conclusione dove in
questo
capitolo
desideravamo giugnere, e per la quale
abbiam
dovuto
fare sì lungo giro da risalire fino
alla doppia
sorgente
storica del concetto psicologico. Se per
più e
diverse
ragioni ne il Platonismo né l'Aristotelismo
pri-
mitivi non
pervennero, in generale, a determinare il
vero
concetto
dello spirito quantunque ne apparecchiassero
gli
elementi da secoli molti, il che non
è poco ; se i due
massimi
rappresentanti della filosofia cristiana,
tuttoché
introducessero
due nuovi concetti in siffatta questione,
non
però giunsero a salvarsi da incongruenze
manifeste ;
se, da
ultimo, cop lo sdoppiarsi dell'Aristotelismo
nel
Risorgimento
fu messa a nudo la fallacia delle
vec-
chie
posizioni, l'insufficienza d'im argomentare
fiacco
e
barcollante esprimendoci così l'esigenza di
prove
novelle
in siffatte indagini: è chiaro come
all'uscire
del
medio evo importasse rannodare i quattro
concetti
attorno
a' quali vennero travagliandosi per sì
lunghi
secoli
co' lor proseliti i quattro filosofi
cui siamo venuti
accennando,
correggerli, esplicarli, compierli, e statuire
una
dottrina positiva circa la genesi
psicologica. In
altre
parole: importava accettar l'esigenza psicologica
platonica
risguardante il connubio del doppio mondo
sensato
e razionale: ma occorreva anche correggerlo
mercé
il concetto della triplicità intima,
originaria cui
poggiò,
primo fra tut^i. Agostino. Importava
altresì ac-
cettar r
esigenza aristotelica del processo psicologico,
e
nel
medesimo tempo modificare profondamente e
trarre
a
maggior compimento il concetto della
generazione
psichica
dello Stagirita mercè il concetto di
creazione;
il che
tentò fare, e lo fece da par
suo, l' Aquinate : ma
più
ancora importava correggere il concetto
creativo
de' Tomisti
e de' filosofi cristiani, in generale,
cancel-
lando in
esso queir immediatezza divina eh' è
un dato di
fede
anziché di ragione, avvisandolo invece com'
essenzial
condizione
dello spirito. Questo, possiamo dire, si
stu-
diaron
di fare tutt' insieme parecchi filosofi
italiani de|
Rinascimento,
o per lo meno ne sentivano la
necessità. ^
Nessuno
vi riesci compiutamente, per la ragione
qua ^
dietro
accennata, d' aver voluto ristringer tale
ricerca ^^
negli
angusti confini della psicologia. Ad essi
mancava
un
altro grande concetto. Mancava un'altra
posizione,
per
cui si distingue infinitamente il
Rinascimento dal
tempo
moderno. Mancava l'esigenza di riguardare
il
pensiero
innanzi tutto come genesi psicologica, e
questa
genesi
psicologica poi considerare qual fondamento
im-
mediato
della genesi storica. Però non è da
meravi-
gliare se
alla scuola de' nostri politici facesse
difetto
la
vera nozione del diritto sopra cui si
puntella uni-
camente la
scienza politica, nonché il concetto vero
della individualità,
senza cui non può sorgere né per-
petuarsi lo
Stato libero. Né fa meraviglia se i
teologi
assorbissero
il gius nella morale, e se una
riforma re-
ligiosa
allora non potesse fra noi essere
effettuata nel-
r
ordine civile, comecché fosse già in
gran parte pe-
netrata
nella mente de' nostri filosofi.
Mostrammo
come il Vico si colleghi col
Cartesiani-
smo; e
dicemmo che co' nostri filosofi del
Risorgimento
ei si
congiugne logicamente, più che per le
quistioni
metafisiche,
per la ricerca psicologica. In lui si
compie
la
posizione cartesiana, e si riproducono e
ringiovani-
scono i
vecchi principii improntati del sentimento
della
viva
realtà. Vi é dunque un' attinenza
ideale, vi é un
legame
logico tra la posizione del Vico,
della Scienza
Nuova,
e quella de' filosofi del Risorgimento.
Alla ri-
cerca
psicologica nuda, astratta, empirica e
subbiettiva,
deve
tener dietro necessariamente la ricerca
informata
alla
esigenza della storicità. Ecco perchè a
ricostruire la
storia
del pensiero italiano e rannodare il
secolo XVIII
co'
secoli anteriori, non avremmo guari bisogno
né di
Cartesio
né del Cartesianismo, se non fosse
per alcune
questioni
cosmologiche e ontologiche. Egli si
ricongiugne
co'
filosofi del Rinascimento in tre modi,
come nel pros-
simo
capitolo mostreremo; ma di più li
trascende in-
finitamente,
perchè se è vero che nel medio
evo il pen-
siero
filosofico riponeva l'essenza dello spirito,
a così
dire,
furori di §è, mentre nel Rinascimento,
attraverso
forme
diverse, inchinava a riporlo sotto di
se; è natu-
rale che,
col sentire la necessità del processo
istorico,
novello
sentiero egli avesse a dischiudersi,
rintracciando
quell'essenza
nel seno stesso dello spirito siccome
centro
e
insieme processo della storia. Gli storici
della filo-
sofia
italiana, ripetiamolo anche qui, non
potranno far
a
meno, quando voglian discoprire un vincolo
ideale
fra le
due epoche, di questa relazione alla
quale siamo
venuti
accennando, e su la quale ci rifaremo
più ri-
posatamente
in luogo più acconcio.
Capitolo
Quinto.
ORGANISMO
E PROCESSO PSICOLOGICO.
{Fxmdamenio
razionale del processo istorico.)
I
punti sostanziali ne' quali possiamo
stringer la
dottrina
psicologica, seguendo le orme del nostro
filo-
sofo, son
questi:
!•
Concepire in maniera compiuta e vera
la natura
della
facoltà psichica in generale.
2«
Distinguere nelle funzioni psicologiche due
pro-
cessi,
conoscitivo e operativo, ma formanti unico
orga-
nismo, unico
circolo.
3*
Riguardar gli atti psicologici come una
molti-
plicità
di funzioni distinte e per sé stesse
irreducibili;
ma
nondimeno determinate e recate in atto
dalla virtù
d'
unico principio originario.
4*
Finalmente, porre siccome base razionale e
im-
mediata del
processo istorico lo stesso processo psico-
logico.
Col
primo di questi concetti il nostro
filosofo si col-
lega
dirittamente con Aristotele, e con gli
Aristotelici
del
Rinascimento seguaci dell' indirizzo medio;
e nel
medesimo
tempo corregge, in ordine alla psicologia,
quel
vecchio
domma del falso Aristotelismo e del
malin-
teso
Platonismo che suona così: niente moversi
da sé,
che
non sia mosso. Col secondo e col
terzo imprime
forma
razionale e organica alla scienza dello
spirito
tanto
contro Averroisti e Neoplatonici che troppo
distac-
cano i
due elementi onde risulta V ente
umano, quanto
contro
quegli Aristotelici empirici che, troppo
affogando
r uno
neir altro, finiscono per confonder la
sfera della
psicologia
con quella della biologia: ma, sì nel
primo
come
nel secondo caso, egli serba Y
esigenza psicologica
platonica
che dicemmo consistere nella distinzione
dei
due
elementi, nonché V esigenza aristotelica la
quale
riguarda
il processo nelle funzioni psicologiche.
CJon gli
stessi
concetti onde corregge nella quistione
psicolo-
gica il
Platonismo e l'Aristotelismo, previene l'
esigenza
del
Criticismo intomo al doppio ordine della
Ragion teo-
retica e
della Ragion pratica, e insieme la
invera e la
compie.
Col quarto concetto, finalmente, imprime
signi-
ficato
razionale e positivo al fatto storico,
e crea la
Scienza
Nuova.
Innanzi
tratto intendiamoci sul metodo acconcio a
simili
indagini.
Tommaso
Buckle osserva che i filosofi, parlando
su la
natura dell'anima, non sanno pigliar le
mosse
altro
che o dalle sensazioni, o dalle idee;
riuscendo così,
nell'un
modo e nell' altro, ad un metodo
solitario, astratto,
inefficace,
inconcludente.* Sennonché egli stesso, il
Bu-
ckle, non
giugno a salvarsi dal primo difetto.
11 suo me-
todo
isterico, differente dal deduttivo inverso
raccoman-
dato dal
Mill, é addirittura un metodo empirico;
onde
inciampa
in quel sensismo ch'egli condannando
vorrebbe
causare.
Checché ne sia, l'osservazione é degna
d'un
*
HUtory of Civilization in England, voi. I, cap. Ili.
positivista
inglese ; e noi, pur correggendola,
non dubi-
tiamo farla
nostra. A schivare infatti tanto le
conse-
guenze d'un
gretto empirismo, quanto le arditezze d'un
magro
e sfumante idealismo, è forza movere
non dal fatto
della
sensazione, eh' è cosa estrinseca e quasi
soprav-
venuta allo
spirito, e nemmanco dalle ideej le
quali in
sostanza
non sono, per noi, fiiorchè produzioni
di lui;
ma da
lui stesso ; dallo stesso spirito in
quanto pensiero.
Bisogna
movere, in somma, dal centro, anziché
dalla
circonferenza;
dalle facoltà, ma dalle facoltà concepite
quali
sono in realtà, cioè come funzioni. A
tal uopo è
necessario
adoperare un metodo che non escluda,
ma
che
sappia includer le esigenze di tutt' i
metodi; em-
pirico,
naturale, sperimentale, psicologico astratto,
fisio-
logico, e
simili. In una parola, è necessario
il metodo
genetico
; il quale, rispetto alla psicologia,
è ciò che il
metodo
eduttivo è rispetto all'ordine del
conoscere.'
* Il
metodo col qnale i Positiristi presamono
di far la scienza psico-
losrica
è al tutto empirico e artificiale; ma
qui non intendo porre in nn
fascio
psicologi positÌYisti inglesi e francesi,
com*ha fatto il Vacherot.
{Betf.
de» Deux MondeSf die. 1869.) Spencer,
Mill ed Alessandro Bain stimano
(come
notammo nell'Introd., p. 6) che la
psicologia è superiore, indipendente
dalla
biologia, precisamente come la deduzione è
indipendent-e e superiore
air
induzione pel Mill, e come la
Sociologia è indipendente dalla storia
tanto
pel Mill quanto per lo Spencer. I
Francesi, al contrario, facendo
della
Psicologia una semplice appendice della
Biologia, non sanno con-
cepir r
nna senza 1* altra. lì
ri'y a point de p9yeolog%e en déhors
de la
biologie.
(LiTTRÉ, A. Oomte et St. Mill, p. 29 e segg.) Tale
anche è per
essi
la deduzione rispetto air induzione, la
psicologia rispetto alla storia,
la
Dinamica rispetto alla Statica Sociale.
Sennonché, qualunque ne sia
la
differenza, le due scuole intoppano in
due errori diversi; nel formalismo
empirico
Tuna, e nel materialismo Tal tra: e
così entrambe rendono im-
possibile la
scienza della psiche. Rifacciamoci brevemente
dagP Inglesi.
Qual
debb* essere, secondo St. Mill, il
fine della psicologia? Non
altro
che la ricerca diretta delle ntceeeeioni
mentali, (Sjfét, de Log, tom. II,
p.
484.) E quaV è la legge più
semplice, più generale cui si riducono
i
fenomeni
psichici? Quella àéiV anaoeiazione delle idee;
la grran legge os-
serrata
da Hume. [La PhU. de Hamilton^ cap.
Vili.) Innanzi tratto si
può
osservare: La legge dell* associazione è
legge empirica, e quindi ò un
fatto:
ma qual n'è la ragione? Senza questa
ragione potreste uscire dal-
l'empirismo?
st. Mill non ispiega cotesto fatto,
ma 1* accetta dair espe-
rienza. —
Altro difetto gravissimo, conseguenza del
primo, è questo; che
Il
metodo genetico applicato alla ricerca
psicolo-
gica attinge
valor positivo e insieme razionale, quando
la
legge d* associazione nou racchiude
necessità psicologica di sorta. È
una
legge men che empirica, e può
mancare. Dunque una notizia scien-
tifica circa
la natura psicologica, per lui, è
impossibile. — 'Più ancora: il
prodotto
ddV anaociaziowi è un fatto «t*
generi»: egli stesso ne conviene.
{DUaertation
and DiicuMiona, III, 104.) Or bene,
come spiegare cotesto
9ui
generi» con la pura legge d*
associazione ? Ci ò qui rispondenza,
ci ò
proporzione
tra V effetto e la causa? —
Finalmente, come spiegare con la
semplice
associazione il gran fatto della coscienza
f Bisognerà dunque
concludere
che la legge, la quale St. Mill
dice esser la più semplice e ge-
nerale fra
tutte quelle d' ordine psichico, importi
qualche altro fatto ante-
riore, 0
irreducibile. La psicologia contemporanea inglese
quindi cade nel
formalismo
empirico. E se riesce a distinguer la
psicologia dalla biologia
e
dalla storia (eh* è il suo pregio),
non riesce a trovare fra V una
e le
altro
vincolo di sorta. — Tocchiamo ora
della scuola psicologica de* Posi-
tivisti
francesi.
Il
Littré riguarda la psicologia qual semplice
appendice ed appli-
cazione
della biologia; e vuol quindi trattarla
con metodo analogo. Ma
fa una
distinzione acuta e ingegnosa di cui
giova tener conto, perchè
forma
la sua stessa condanna. Egli pone un
divario profondo tra la fa-
coltà e
il suo prodotto. Logica, ideologia,
psicologia (egli dice) non si
distinguon
menomamente dalla biologia quando siano
avvisato come
funzioni;
ma, guardate nei lor prodotti, se ne
differenziano in infinito.
Parimente
il linguaggio, come facoltà, è faccenda
biologica ; ed ha la sua
ragione
in una delle circonvoluzioni anteriori del
tessuto cerebrale, secon-
dochè
ci assicuran oggi gli sperimenti
fisiologici : ma, come grammatica,
se ne
discosta per grand* intervallo, o nou
ci ha che veder niente con la
biologia.
— Che cosa rispondere ? Rispondiamo,
troppo antica e troppo
vera
esser oggimai la sentenza aristotelica, che
tra la natura della causa
e
quella dell' effetto non possa esserci
divario essenxiaie. Or negli esempi
quassù
arrecati il divario essenziale e* è:
gli st>essi positivisti non- ar-
discono
dubitarne. Come dunque spiegarlo cotesto
divario? È egli pos-
sibile
spiegarlo senza riconoscer la differenza
fra le due scienze non
solo quant'
a* prodotti psicologici, ma anche quant*alle
facoltà? Como
funziono
il linguaggio non appartiene egli anche
al quadrumane? Ora in
forza
di che cosa riesce tanto profondamente
diverso il risultato nel bimane
che ha
pur comune col quadrumane la funzione?
Si dirà in forza del-
l' unione,
del numero, dell* attrito nella specie,
nella società? Ma non
vivono
in società anche alcune famiglie di
quadrumani? Eppure quella
funzione
non ha dato, e mai non darà il
risultato che pur dovrebbe! Àn-
cora: se
il prodotto fosse tant^ diverso dalla
facoltà solo per ragion del-
l'
associazione e del contatto, che cosa
ne verrebbe? Che 1* uomo sarebbe
fornito
di qualità e doti essenziali non per
so stesso, cioè non perchè
individuo,
ma per altri e da altri, cioè
perchè membro della società. Or
tutti
sanno che la £eicoltà della parola,
cosi intimamente annodata col pen-
siero, non
e dote accidentale ìn& eÈsenzi<de dell'uomo;
dell* uomo in quanto
soddisfi
al bisogno sperimeDtale. QuaP è V
esperienza
vera
nel campo della psicologia ? Un fatto
: ma un
fatto
che sia condizione logica di tutti
gli altri fatti; il
fatto
per eccellenza, il fatto de' fatti,
il faUo che si foj
efletto
e cagione ad un tempo istesso, la
coscienza. La
coscienza
è un fatto: ma chi presumerà
spiegarlo con le
sole
leggi fisiologiche? D' altra parte, dir
coscienza, come
da un
pezzo ci predicano gli spiritualisti
francesi, desi-
gnandola
come fatto per eccellenza, come il
fatto più saldo
della
psicologia, è dire un bel nulla ove
non si pervenga
a
risolvere questo doppio quesito: P Se
la coscienza è
un
fatto, conie si fa? 2» Perchè si
fa? Il nocciolo della
psicologia,
come scienza, sta tutto qui. E niuno
potrà
sperare
di scioglier cotesto nodo, se non
giugno a ri-
spondere
all'obbiezione che il Vico move contro
al
Cogito
caitesiano: la coscienza essere un fatto
certo,
non un
fatto vero. Or s'egli affaccia tale
difficoltà, non è
da
supporre eh' egli medesimo ne abbia
in pronto la
risposta?
In altro capitolo abbiamo già visto
come ri-
ìndÌTÌduo,
non già in quanto membro della
società. Se dunque il prodotto
della
facoltà non è accidentale ed estrìnseco
ma intimo ed ossenzialo,
ne
viene che quaFc la natura dell'uno,
tal debV esser anche quella dell'al-
tra; e
cosi la distinzione del Littré sfuma
e dilegua. Inoltre, ore la natura
del
prodotto fosse quella stessa della facoltà,
e la facoltà fosse faccenda
al
tutto biologica, ninno ci salverebbe da
una schietta dottrina meccanica.
Ora i
positivisti francesi (al contrario degV
inglesi) affogan la psicologia
nella
biologia, e perciò la negano; e col
negarla precipitano logicamente
nel
materialismo. Talché se la psicologia
inglese, nelP ordine sociolo-
gico, mena
alla dottrina dell' JndividualinnOf e
quella de' francesi non si
salva
dalla dottrina del Socìalitmo; è da
concludere che il metodo psico-
logico de'
Positivisti, sia nell' una scuola sia
nell'altra, anziché positivo e
razionale,
riesca affatto negativo ed erroneo, come
vedremo in Sociologia.
Tale
altresì (diciamolo di passata) è il
metodo del Taine. Più formalista
ancora
del Mill, ei vuol far rivivere lo
schietto nominalismo nel regno
della
psicologia. Quale snellezza, quanta eleganza
nella forma e nello
stile
di questo facile e simpatico scrittore
! ma quanta e qual super-
ficialità
d'analisi e di ragionamento! Chi ne
voglia una prova, legga,
por
esempio, ciò eh' egli dice sul
concetto della personalità e della co-
scienza, e
vegga con che leggerezza confonda potenza
e facoltà nella
ricerca
psicologica. Il Taine è degno discendente
dell'abate Condillac.
(Vedi
De VlnuUigenee, Paris 1870, t. I,
lib. IV, cap. UI, t. II, llb.
I,
cap.
II, § 8.)
sponde
(p. 186-236). Meglio il vedremo qui
interpre-
tando e
svolgendo il suo pensiero.
Io
prego positivisti e fisiologi a non
digrignarmi i
denti.
La psicologia non è un'ultima pagina
della neu-
rologia,
come or non è molto ebbe a
proclamarla un
fisiologo
d'alta rinomanza; e pur nullameno non
cessa
d' essere
anch' ella una fisiologia. La psiche è
anch'essa
un
organismo, una generazione come la vita,
perchè
una
medesima legge di formazione ha da
presiedere ad
entrambe.
Ma solamente si pretende che, se
comune è
il
processo e quindi la legge, diversissimo
abbia a ri-
sultarne il
contenuto.
Che
cos'.è, infatti, il processo fisiologico?
Se i fisiologi
odierni
ci riflettessero, s'accorgerebbero tosto d'esser
d' accordo
col vecchio Aristotele. Il processo
fisiologico
in
sostanza non è che l' attuazione del
numero nel-
r unità:
le forze naturali e comuni trasformantisi
in
efficienza
dinamica vitale e risultante.* L' anima
dunque
è la
reàUà ultima dell'organismo.' — Che cos'è invece
il
processo psicologico? È imita che si
pone e s'attua in
sé
medesima : unità che si realizza nel
numero ; che si
fa
numero. Però è anima, è principio
vitale che diventa
* A
BIST. De Pari, Ànim,, II.
*
Aristotele ha ragione d* affermare, V
anima non esser una potenza
di cui
il corpo sia T attuazione, ma VaUo
del corpo nel senso di realtà
ultima
di Ini: Où to toì^ol «OTtv ivr s\i
j^itof, ^u^^^» *^^' «ut»?
(TtàpLOtrò^
Tivof. {De An., II.) Perciò eUa non è
actu» oorporis organici
nel
significato di principio, cbè saremmo
sempre nell* averroismo e nel
neoplatonismo
; bensì ò atto in quanto è il
risultato estremo e, come tale,
è
anche principio. Brevemente: V anima è
principio del corpo, T anima
principia
V organismo; ma non come attoy bensì
come potenza feconda,
reale
(to ^vvaTOv) tuttoché rudimentale. Chi non
voglia interpretare
così
il concetto dell' anima nelP Aristotelismo,
cade senza rimedio nelle
contraddizioni
in cui sMmpastojavano e s* impastojan
tuttora i Tomisti,
non
escluso il Rosmini. Il quale, diversamente
dall'interpretazione che noi
diamo
a questo concetto aristotelico, pone V
anima non già come atto del
corpOf
anzi come principio che produce quegli'
atto {Psicologia^ Novara 1858,
voi.
I, cap. IX, art. IV, § 223).
Posto ciò, la conseguenza su 1*
origine
dell'anima
quale sarà? Sarà altrettanto arbitraria e
ipotetica, quanto
inevitabile
e chiara: cioè la necessità d'un atto
d'immediata creazione.
(Op.
cit., voi. cit., cap. XXIIIt —
Antropologia^ lib. IV, cap. V.)
spirito,
è senso che diviene intelletto, è
istinto che
sale a
coscienza, è bisogno cieco, cieca tendenza
che
assume
valore di volontà morale, e di libera
perso-
nalità.*
Come
sta dunque la biologia alla psicologia?
Come la
vita
al pensiero; come la parte inferiore
della pianta,
come
le radici, alla parte superiore, al
tronco, a' rami,
alle fronde,
alle frutta, a' fiori. Ma fra Tuna
e l'altra
di
queste parti ci è un nodo; ci è
il nodo vitale. Ap-
punto in
questo nodo vitale s'immedesimano entrambe,
e si
divariano. Ed è cotesto nodo che non
sanno scorgere
e
tanto meno sgroppare, per quanto facciano,
materiali-
sti,
positivisti e interpreti empirici del?
Aristotelismo. In
questo
nodo vitale si toccano, senza confondersi,
due
sfere,
due organismi, due vite, due contenuti.
Questo
nodo
vitale è insieme forma e materia,
atto e potenza.
È
forma d' un' anterior materia eh' è l'
organismo, il
processo
biologico; ed è materia d'una forma
po-
steriore e
superiore eh' è l' organismo delle facoltà,
il
processo
psicologico. Il processo di natura infatti
si
assolve
dal potenziale all' attuale, dall'
indeterminato
al
determinato, e partorisce l' individuo : il
processo
psicologico
si assolve dal potenziale aitu^jde^
àU'aUtude
determinato,
cioè dall'individuo alla personalità, e
cosi
genera
la coscienza. Verissimo quindi l'altro
concetto
aristotelico:
il pensiero e la natura esser come
l'analisi
e la
sintesi che camminano in senso contrario,
ma go-
vernati da
una medesima legge.'
Or la
scienza della psiche dee rintracciare il
nodo in
cui si
toccano i due processi, investigandone la
genesi
<
Sotto quest* altro aspetto Aristotele dice
Terìssimo che I* anima,
anziché
armonia di parti o risultanza di moti
diversi, ò per sé stessa
attività,
accordo, e qnindi capace a regolare
ogni moto. Non ò numerp
ma
unità; unità della forma e dell'atto:
Tò yàp tv vìolÌ to etvae
ir>ffova;i^«i!l;
\iytxaiy to xvpiov in fvTf>f;i^sta jctc.
(Id. Eod.) —
È
Vachu in aetu degli Aristotelici del
Risorgimento segnaci deir indi-
rizzo medio,
per esempio ^del Gontarini, come
aTrertimmo.
*
RàTAiBSOX, Métaplu d'Aritt., t. I, p.
483.
psicologica.
Lo spirito è essenzialmente processo, è
ge-
nerazione,
ma non trasformazione. Non va dalla
parte
al
tutto, come avviene delle combinazioni
meccaniche;
ma dal
tutto al tutto, dal tutto potenziale
al tutto at-
tuale, dal
di dentro al di fuori, da una
sintesi origi-
naria e
confusa, ad una sintesi analizzata.* Voglio
dire
che il
processo psicologico s'inaugura non già con
que-
sta o
cotesta facoltà, anzi con tutte le
facoltà. Le quali
perciò
non sono funzioni determinate e specificate
sin
dalla
loro origine, ma convengon tutte nell'
essere al-
trettante
potenze, e, come tali, formano unica
potenza
originaria,
eh' è conato essenziale, sforzo incessante.*
Che
cosa sia questo conato, si vedrà
nell' altro capi-
tolo. Qui
dobbiamo considerar le facoltà psicologiche
come
ce le presenta il fatto, cioè come
una moltipli-
cità
di funzioni.
Che
cos'è la facoltà psicologica? È un
passaggio
dalla
potenza all' atto. Ella ci esprime la
pronta ne-
cessità di
fare, di determinarsi, d' attuarsi ;
e quindi
vuol
dire facilità, prontezza, solerzia, agevolezza
di
fare.'
Or la facoltà intanto significa pronta
e spontcmea
solerzia
di fare, in quanto fa il proprio
obbietto; in
quanto
si fa come funzione; in quanto si
pone come
*
Anche in ciò la psicologia somiglia
alla fisiologia, ma non tì si
confonde.
L* organogenia s' inaugura, meglio che con
uno, con tutti gli or-
gani ad
un tempo. Per esempio i centri
primitiTi multipli del sistema
nervoso,
che la microscopia ci pone sott*
occhio, chiarisce e conferma
quest'
assunto. Cfr. Vulpian, Physìologie gfn. et
comp. du syaL nere. —
LhittS,
SyH. New. cerebro-spinale. — Glkibbrrg,
Intinto e Libero cwbitrio^
trad,
del Langillotti, Nap. 1868.
*
Oonatum uni menti attrihuimu»f quce libero
arbitrio prcedita pottH
BUB8TARB....
eoque pacto potett motitm subsistrre et
stare in conato [De
Univ.
LXXV, 4). Ne* corpi e* è moto,
secondo il concetto cosmologico
del
Vico, ma nell* animo e* è moto e
eoncUo: o meglio, il moto qui as-
sumendo
natura di conato è moto del moto,
e quindi è aetw in actu.
*
Expedita seu expromtn f'iciendi solertia
(De Antiquisn, TtaU Sap.^
cap.
VII, 1). Facoltà suona anche proprietà,
ma proprietà cosciente : di-
stinzione
confermataci dal comun linguaggio che
attribuisce la proprietà
alle
cose, ma predica dell* nomo \h
facoltà. Vedi le belle riflessioni dello
JouFPRoy
in proposito {^filang. Phil., ed.
Bruxelles, p. 267).
attività:
FacuUaùes sunt eorum, quce fadmus. Ecco
il con- 1
cetto
psicologico piìi originale del Vico. Il
germe di que-
sto concetto
è schiettamente aristotelico; * ed è
la chiave
ond'
egli, anticipando la moderna psicologia,
preveniva
il
Fichte, e insieme ne correggeva V
esagerazione.*
Dunque
la facoltà posta come funzione psicologica
che fa
sé stessa in quanto fa il proprio
obbietto, è il '
passo
d'oro del Libro Metafisico. Ad esso
rispondono
altri
due che troviamo nel Diritto Universale
e nella
Scienza
Nuova; e tutt'e tre riescono a
comporre l'or-
ganismo del
processo psicologico. Tale organismo, in-
fatti, parmi
racchiuso in queste due sentenze: !•
che
r uomo
è innanzi tutto SensOy appresso
Immaginazione
e
quindi Ragione: 2*» che l'uomo è un
Potere, un Volere
e un
Conoscere potenzialmente infinito.^
•
ÀRlST. De an.^ Ili, 4.
• DoTe
stanno, a mo* d'esempio, i colori, i
sapori, gli odori, il tatto?
Se il
senso è facoltà, ne segue che tu
in sostanza hai a far i colori
nel
vedere,
tu i sapori nel guastare, tu i
suoni nelP udire, tn gli odori nel-
r
annusare, tu stesso il freddo e '1
caldo \iel toccare. Nam si «enatu fa-
cultates
sunt, videndo colore», sapores gustando,
sono» nudiendo, tangendo
frigida
et calida rerum facimua. {De Antiquisa,
e. VII, 3.) Parimenti con
le
immagini e con le rappresentazioni la
yirtù fantastica partorisce il
proprio
obbietto, e si fa; di modo che
scegliendo il meglio di natura
ed
elevandolo a valore di tipo, a questo
vien conformando V opera d* arte.
De
medio lectam {formam) ttupra fidem
extoUunt, et ad eam auos heroaa
con/ormant.
(Ibi, 2.) E la memoria, potenza che
rifa e penetra so mede-
sima, non
potrebbe rifarsi e penetrarsi ove innanzi
non si fosse fatta;
ne
quindi può esser quella magra e
sterile ritentiva di che ci parlano
i
sensisti. L' intelletto è facoltà anche
lui, perchè col determinarsi viene
a
geminarsi nel giudizio, e perciò vede
; e vede, perchè occhio dell' intel-
letto è
il giudizio : Judicium eat oculus
intellectu» ; né potrebbe intellet-
tivamente
vedere, se non intendesse; nò intendere,
ove anch'agli, al
solito,
non facesse il proprio obbietto.
Intellectus verna faeultaa est, quo
quum
quid intelligimua, id verum facimua, (Ibi,
5). In tutto questo il
Vico
ormeggia Aristotele. Per es. la visione,
secondo lo Stagirita, è Vatto
dd
colore; l'udito è V aUo del auono. (Ravaisson
Metaph, d^ Ariat., t. I,
p.
427. — Aeist. De An. I.)
• Il
primo di questi due principii è
evidentemente aristotelico, per-
chè dall*
ou^SvitTiq al voù^, com' è noto,
ricorrono parecchi gradi e sfu-
mature
componenti tutte un unico processo: ^ója,
^àvTacr|ua, s<xo3v,
f^pòvn^i^y
tnuTTTniivì {Log. d^Ariat*, Barth. Saint-Hilairk,
tomo II,
par.
II, sez. XI.) Il secondo poi è
anche aristotelico, e risponde all' in-
In
quest'organismo psicologico abbiamo due serie
diverse
di funzioni, e sei gruppi di facoltà;
teoretiche
e
conoscitive le une, operative e pratiche
le altre. Sen-
SO;
Immaginazione e Ragione formano il processo
della
Ragion
conosciHva: Conoscere, Volere e Potere
compon-
gono il
processo della Bagione operativa. Uno è
il circolo
psicologico,
ma incarnantesi attraverso gemina forma;
perocché
lo spirito, come ogn' altra unità
originaria,
si
determina e si ostrica per dualità.
Il Senso. da una
parte,
e il Potere dall' altra, son facoltà
rudimentali,
empiriche,
sintetiche, ma di sintesi grossolana. Elle
ci
esprimono,
secondo il concetto aristotelico, un
medesimo
principio,
ma sotto due condizioni diverse,
precisamente
come
l'intendimento. e la volontà.* Il senso che
solle-
vasi
dapprima a valore di percezione empirica,
poi di
rappresentazione,
poi di concetto, poi di nozione e
di
idea;
e il potere naturale eh' è dapprima
istinto fisio-
logico e
poi istinto psicologico, poi desiderio e
pas-
sione, poi
arbitrio, quindi volontà e libertà; queste
due
serie di funzioni, io dico, si vanno
sempre pili
accostando
fra loro, e somigliano (per usar la
frase
dello
Stagirita) alle due branche d'un angolo,
e rie-
telletto
teoretico e intelletto pratico; ma altri
molti prima del Vico
n'aTean
dato cenno, per esempio sant'Agostino (eh*
egli stesso cita a que-
sto
proposito), il Campanella {Metaph., lib. 1,
cap. 8, art. 8), e potremmo
citare
anche la triplice forma d'intelletto del
Pomponaccio, nonché quella
del
Bruno. Antecedenti, dunque, ce ne sarebbero
a buon dato. Ma non
bisogna
dimenticare che la novità psicologica del
filosofo napoletano
risiede
nell'uso ch'ei fa di questi due
concetti; T applicazione storica
di
essi, da una parte, e, dall' altra,
il considerar le facoltà psicologiche
come
altrettante funzioni d' unico principio. L' una
cosa riesce evidente
a' più
superficiali lettori della Scienza Nuova;
l'altra s'induce dal
complesso
delle sue dottrine. — Un' altra
osservazione. Quando il Vico
nel
Libro Metajieico riduce a tre le
operazioni della mente {Percezione,
Giudizio
e SiUogi»tno\ più che alle facoltà,
evidentemente guarda a' pro-
dotti di
esse; più che alla Psicologia, tien
l'occhio alla Logica. Nella
Scienza
Nuova poi considera le tre facoltà
conoscitive (Senso, Immagi-
nazione,
Ragione) in attinenza col processo
isterico, nel quale fantasia e
immaginazione
hanno grande importanza. Ma sia eh'
egli consideri le
facoltà,
sia che i loro prodotti, il processo
ha sempre una medesima legge.
«
Abtibt. De An, III, 7.
SCODO
entrambe ad un termine superiore, eh' è
il co-
noscere, ma
al conoscere come Ragione; al conoscere
in cui
le sottostanti facoltà diventan la stessa
ragione,
in
quanto che sono da essa legittimate.*
' Non
potendo entrar nell* analisi particolareg^ata
delle funzioni
teoretiche, ristrinsriamo
qui In nota i diversi gradi e
passaggri del pro-
cesso
conoscitiTO secondo i tre grappi segnati
i dal Vico: (Senso, Imma-
ginazione,
Ragione: Percezione, Giadizio. Sillogismo):
I. a)
Sensazione. — Importa la necessità d*
un principio sensiente, e
d*on
termine sentito; ma entrambi indistinti e
formanti unità incon-
sciente
e confusa. L*obbietto (il termine del
sentire) non è poeto, ap-
punto perchè
non ò appreso come oppoeto; ma è
come sovrapposto e
sopravvenuto
da fuori. Il eeneo dunque è il
principio del conoscere, ma
principio
iniziale, estrìnseco, occasionale, e come
tale suppone un prin-
cipio
intrinseco, ed essenziale: sicché quantunque
paia estrinseco, è
nondimeno
incluso nel circolo psicologico.
b)
PRRCEZIONB EMPIRICA (Coeeìenza empirica), —
Necessità d' un
principio
percettivo, e d* un oggetto percepito
; ma percepito come puro
oggetto,
cioè come oggetto indeterminato e oppoeto
al soggetto che lo
percepisce
sotto forma al tutine empirica (!<»
carattere dell' «tUc umano).
e)
Rappresentazione semplice. — Necessità d' un
oggetto deter-
minatOf
singolo, e però fornito di qualità
{/antaema). Il fantasma si pre-
senta
necessariamente come un opposto più
determinato appunto perchè
è
opposto, ma è un opposto tuttora
empirico.
d)
Rappresentazione immanente. — K la
rappresentazione sem-
plice che
si fissa (Memoria empirica: Betentiva).
Ella perciò richiede un
fantasma
indeterminato, e quindi segna un primo
grrado dì vera oppo-
sizione, la
quale ha luogo fra il soggetto e
V oggetto. Appresso il fan-
tasma,
assumendo forma generale e comune, importa
la necessità d*un
eegno
atto a fissarne le proprietà {Immaginazione
rintegratrice).
e)
Rappresentazione riproduttrice. — Riproduce e
trasforma il
prodotto
della facoltà anteriore. È un grrado
di memoria, ma superiore
alla
semplice retentiva, e però abbisogna del
linguaggio. {Tmmaginaxione
volontaria
— Immaginanone riproduttrice).
II. /)
Immaginazione). (Immaginazione eombinatriee.
Fantaeia),— L'og-
getto è
già divenuto vera immagine ( Univereah
poetico). Necessità quindi
della
parola propriamente detta {verbo).
L'Immaginazione
è funzione essenzialmente mobile,
contraddittoria.
Il suo
oggetto è insieme determinato e
indeterminato, particolare e
universale,
ideale e reale. Se dunque la sua
natura sta nell' opposizione,
ella
non può non costituire il passaggio
necessario ad un 2° gruppo di
facoltà
conoscitive, che comprendiamo nella parola
Lttendimento.
g)
Intendimento. •— L' obbietto è il
fantasma, ma divenuto con-
eetto:
perciò è davvero posto, perchè opposto {objeetum
propriamente detto).
h)
GiODizio. — £ di sua natura una
dualità, e quindi importa dop-
pio elemento
( Vero e Fatto), Questa dualità, a
cominciare dal Senso fino
Ciascun
gruppo di funzioni conoscitive forma an-
ch' egli
un processo ; e anche in questo
le facoltà psichiche
somigliano
alle funzioni organiche, perchè come queste
non s'
intenderebbero, ove si prescindesse dal
concorso di
tutte,
eh' è dire dal concetto della
cospircunone organica.
Ogni
grado, perciò, ogni forma in che
viene a specifi-
carsi
ciascuna funzione, è com'un apparecchio
della
facoltà
che le tien dietro, al modo istesso
che questa
è
complemento della prima. Tutte fra loro
stan così
come
la materia alla forma, come la
potenza all' atto,
e
propriamente come 1' » vre^sx"» e 1'
s\épystei aristotelica.
Or
tale apparecchio e complemento scambievole,
pro-
gressivo e
sempre piiì ascendente, sarebbe impossibile
senza
una serie di leggi d'ordine meccanico
e natu-
rale. Queste
leggi costituiscon quel determinismo che
la
psicologia non potrebbe oggi disconoscere,
senza ne-
gare le
occulte attinenze eh' eli' ha con la
fisiologia.
Leggi
meccaniche, come in fisiologia, si
verificano altresì
nel
regno dello spirito, nella storia, nella
psicologia. E
non è
certamente errore il parlare d'una statica
e di
una
meccanica psicologica, come fa la scuola
Herbar-
tiana
che nella interpretazione de' fenomeni
psichici ha
preteso
introdurre il calcolo; ma errore parmi
il non
vedere
come, accanto alla statica e alla
meccanica, ci
sia
pure una dinamica: dinamica d'ordine
superiore, a
spiegar
la quale non v' è calcoli né
leggi d' equilibrio
che
valgano. Se di tal distinzione avesse
tenuto conto
r
Herbart, non sarebbe venuto alla nota
quanto erronea
sentenza,
che ragione e libertà non abbian
niente di
air
Immaginazione, va sogrgretta ad un processo
-sempre più evidente. Nel
giudizio
i termini della dualità stanno di
fronte, irresoluti; e perciò V op-
posizione
segna la necessità e quindi *1
momento della risoluzione.
i)
Sommi generi di gtddizi ( Induttivo^
Deduttivo, EduUivo). — Co-
stituiscono
anch' essi fia loro un processo.
Nella sua terza forma il giu-
dizio non
è altrimenti giudizio e opposizione, ma
converriont de* due ter-
mini, e
quindi passaggio necessario alla funzione
raziocinativa.
III.
k) Ragione. -— L' oggetto è il
concetto divenuto nozione, la no-
zione
divenuta idea, e quindi metodo e
scienza. Tre forme di metodo:
tre
sfere di scienze. (Vedi p. 230 e
scgg.)
primitiYG,
ma sieno entrambe un fatto psicologico
risul-
tante da
cagioni precedenti, che vuol dire
estrinseche.*
Noi
riconosciamo leggi di statica e leggi
di mecca-
nica nel
processo psicologico. Riconosciamo un mecca-
nismo e
un determinismo onde la psicologia per
intimi
vincoli
riesce ad allearsi con la biologia, e
condanniamo
quello
spiritualismo che, campato a mezz' aria,
sdegna
qualunque
parentela od attinenza col regno delle
leggi
biologiche.
Ma di là dal meccanismo sarà pur d'
uopo
riconoscere
un dinamismo : un dinamismo puro,
indipen-
dente da
ogni dato fisico e materiale, perchè
pensiamo
che se
condizioni d' indole meccanica debbono aver
luogo
fra le potenze componenti un dato
gruppo di
facoltà,
fra gruppo e gruppo, invece, è da
supporre V esi-
stenza di
leggi e condizioni d' indole dinamica. Come
dimostrare
tutto ciò? mi si chiederà. —
Quant'alla ne-
cessità
delle leggi meccaniche nel processo
psicologico,
io
rispondo, ninno oggi vorrà dubitare. La
fisiologia e
la
zoopsicologia se ne rendon mallevadrici.'
Quanto poi
all'esistenza
delle condizioni puramente dinamiche, una
dimostrazione
diretta e sperimentale è impresa vana.
Solamente
se ne potrebbe indurre la necessità,
come
vedremo,
indagando la relazione esistente fra il
pro-
cesso
psicologico, e il processo cosmologico ;
eh' è dire
fra la
genesi dello spirito, e quella della
natura. Qui
dobbiamo
notare che, ove un occulto dinamismo
non
esistesse
nel processo psicolosfico, tornerebbe davvero
impossibile
dar ragione di certi fenomeni psicologici,
massime
di quelli risguardanti le facoltà
superiori.
Chi
dirà che bastino le legaci meccaniche
a spiegare,
per
esempio, il passaggio dal senso all'ultimo
grado
*
Dici, des Scienc. Phil. — WiLsr. ffUt. cit., voi. lY.
• Dopo
gli ultimi studi sul cervello ninno
dubita osrjrimai della ne-
cessità delle
varie parti cerebrali nelle funzioni
psicbicbe. Cfr. Flourkns,
De la
Pkrénologief 60. ; Pgjfeol. comparhy 1865.
— H. Tainb, 7>e V Intel-
ligenee^
voi. II, llb. I, cap. III. —
Lauoel, Probi, de V Atne, — Litthé,
Revue
de Phil. Potit., settembre 1868. —
Consulta anche le op. «it. di
VuLPiAN
e di Lhuts.
dell'
immaginazione, cioè all' intendimento, nonché
il
passaggio
dall'intendimento alla ragione? Fra il ter-
mine sensato
dell' intuizione e '1 fantasma e' è
un abisso.
Un
abisso tra il fantasma^ tra il
fantasma anche salito
ad
universale poetico^ ed il concetto. Un
abisso ancora
fra
il- concetto, e la nozione, l' idea,
V universale pro-
priamente
detto. Bisogna credere, perciò, che dall'
un
gruppo
all'altro di funzioni psichiche non esista
con-
tinuità, ma
transito ; non passaggio immediato, ma
in-
tervallo. Or
bene, come, altro che per miracolo, l'
una
facoltà
potrebbe trasformarsi nell'altra? Non è
dunque
la
facoltà che si trasforma e diventa ;
ma è lo spi-
rito che
si forma, che si determina nel
multiplo e me-
diante il
multiplo delle facoltà. Laonde attraverso e
al
disotto
a questa multiplicità di funzioni, è
mestieri sup-
porre una
facoltà madre che, come facoltà deUe
facoltà
compia
i diversi passaggi e intervalli, e
sia come il
principio
dinamico dell'organismo psicologico. Ma di
questo
faremo parola nel prossimo capitolo dove
ricer-
cheremo la
genesi del processo psicologico. Seguitiamo.
Quel
che s'è dettò del processo conoscitivo,
dicasi
pure
del processo operativo e pratico dell'
organisriio psi-
cologico.
Una medesima legge governa tanto la
genesi
del
conoscere, quanto quella dell'operare. I
diversi
gradi
e momenti del processo operativo rispondono
a' di-
versi gradi
e momenti del processo conoscitivo.
L'operare
infatti
è determinato dal conoscere per necessità
tutta
psicologica.
Come dunque potrebbe non riprodurre la
medesima
legge? *
* Il
processo pratico suppone il teoretico,
stantechò la funzione yo-
litiva,
alla quale si riferisce ogn' altra facoltà
d'ordine operativo, sia
funzione
essenzialmente secondaria. Accenneremo qui i
diversi passag^
di
questo processo secondo i tre gruppi
(no««ey oeU«,^oMe) additatici dal
Vico;
ma ci ristringeremo a notarne i difTerenti
gradi seguendo l'ordine
ascensi vo,
tuituraU e, per cosi dire, cronologico.
L a)
Istinto fisiolooigo. — Risponde alla
Sensazione; anzi è la
sensazione
stessa, ma sotto l'aspetto riflesso,
attivo, comecché inco-
sciente. In
esso quindi si ripeton le medesime
condizioni, non altro essendo
fuorché
unità incosciente e confusa fra Vagente
e'I motivo dell'azione.
Additato
così con fuggevoli tocchi il doppio
aspetto
onde
risulta il processo psicologico, potremo
intendere
ormai
quella dottrina del nostro filosofo a
cui più di
una
volta venimmo alludendo nelP abbozzar la
storia
della
Scienza Nuova: dico la dottrina del
Vero e del
Certo,
che ha riscontro con V altra della
Bagione e dd-
VAidorità,
11 vero è produzione di Ragione; il
certo è
produzione
d^ Autorità,^ Ma come nelP ordine conosci-
b)
Istinto uitano (il poste del Vico nel
sao primo grado empi-
rico). —
Si ripeton le condizioni della Percezione
sensata. I due termini
qui
cominciano a distingaersi ; ma VigUnto
non è por anche desiderio.
L'istinto
anche qui è immohile, è cieco, e
pnr nonostante è umano. Ed
è
umano principalmente perchò non può
rimanere istinto^ ma dehb* esser
superato
dal desiderio, dee diventar desiderio.
e)
Dbsidebio. ~ Risponde alla Rappresentazione,
e n' è T attività.
Il
motivo dell* azione è determinato,
particolare. Quindi fra questo motivo
e r
agente havvi necessità empirica, immediatezza.
d)
Passignk. — Risponde ai primi gradi
deirimmaginazione, e, come
questa,
è mobile e varia; e perciò è
meno indeterminata che non sia il
desiderio.
Il Desiderio è uno,' la Passione ha
più forme. L'obbietto che
la
determina non è il particolare, e
neanche il generale. Appartiene al-
r
individuo considerato non come individuo,
ma com' elemento di società.
Segna
dunque un passaggio ; il passaggio
dal desiderio al libero arbitrio.
II. e)
LiBRRo ARBITRIO. — L* obbietto è generale,
astratto ; perciò è
più
mobile della Passione, e quindi costituisce
il passaggio dalla necessità
empirica
alla necessità razionale (libertà volgarmente
intesa). Risponde
alla
Immaginazione imitatrice e riproduttiice eh*
è tuttora schiava della
natura;
al modo istesso che il libero
arbitrio è dominato da un motivo
tuttora
eteronomo.
/)
Dbtkrminazionk (passaggio del libero arbitrio
alla Libertà). —
Risponde,
più che all'Immaginazione (combinatrice), alle
varie forme del-
l'
Intendimento. Varietà d* obbietti.
g) SuK
DIVBRSR POBMB {contrarietàf contraddizione j
dezione). —
Anche
qui ha luogo un processo come neU*
Intendimento. L* elezion ra-
zionale non
ò più libero arbitrio, ma Libertà.
III.
h) Libertà. — È determinata dalla
Ragione : perciò importa la
necessità
razionale. Libertà quindi è dovere appunto
perchè è ragione.
Ma può
tornare ad una delle tre forme
d'arbitrio, stantechè la neces-
sità, ond'è
signoreggiata, sia necessità morale.
»)
Personalità. — È T Autorità che si
converte con la Ragione. È
il
risultato del processo psicologico, e
rappresenta il circolo delle facoltà
perchò
le suppone tutte, e le contiene in
atto. 1& dunque la circonfe-
renza, cioè
rio pienOf attuale. Qual n*è il
centro? (Vedi nel Gap. seg.)
* n
concetto à^ÀtUorità è una delle idee
cardinali dell'opera sul
Piritto
UniversaJle. Noi' qui ne parliamo
per incidenza; perchè questa
tivo è
mestieri che il vero si converta col
fatto, così nel-
r
ordine pratico il certo fa d'uopo che
si converta col
vero.
In altre parole, se il processo
teoretico guardato
psicologicamente
è una conversione del vero col fatto;
il
processo operativo, al contrario, guardato
storica-
mente, è
una conversione del certo col vero.
La rela-
zione che
il Vico pone tra il Vero e '1
Certo, somiglia
quella
che nell'Aristotelismo tiene la forma verso
la ma-
teria, ma
considerata nel processo isterico. Risponde
altresì
alla relazione eh' egli medesimo scorge
tra la
filologia
e la filosofia. La filologia porge i
placiti del-
l' umano
arbitrio (placita humani arbitri) ; la
filosofia
indaga
i principii necessari di natura (necessaria
na-
turcey
Perciò][aiferma : « La Filosofia contempla
la Ra-
gione onde
viene la Scienza del Vero: la
Filologia
osserva
V Autorità deW umano Arbitrio onde
vien la
Coscienza
del Certo.^n Or la Ragione, producendo
il
dottrina
dovendo esser considerata principalmente sotto T
aspetto istorico
(nel
che sta tutto il suo pregio e
la sua norità), dovrà quindi formare
oggetto d'
interpretazione e dì studio nella
Sociologia. Qui dobbiamo
avvertire
solamente che, quantunque i siguiiìcati
della parola Autorità
pel
Vico sian diversi (Autorità polìtica,
religiosa, monastica, incononiica,
civile
e simili) nullameno tutte le specie d'autorità,
chi interpreti bene
la sua
mente, hanno d' aver per fondamento
originario queir An^ontò alla
quale,
propter rerum novitateìn^ ei volle dare
un titolo nuovo, e V appellò
AUCTOttlTAS
NATURALIS, ACCTOEITAS ì>tATURMj[De Univ.
Jur.,
XCI). PerciÒ
la
definisce: Humana: natura: proprietae (Ib.
XC). Perciò non dubita
chiamarla
divina. Perciò la designa come T
unità vivente delle tre fun-
zioni
costituenti l' ordine pratico psicologico: noBsCf
velie, posse (Ib. XCU).
Perciò,
finalmente, la dice Suitas; e la
Suitas nell'uomo vale, per lui,
ciò
che in Dio VAseitas (Ib. XCUI).
Vedremo altrove esser questa una
dottrina
originale onde l'autore della Scienza Nuova
prevenne la moderna
filosofia
del Diritto. Del che niuno de'
critici di cui parlammo ha avuto
sentore,
tranne il Carmignani e l'Amari; ma
l'uno, come dicemmo, ne
parla
superficialmente, e l'altro in senso tutto
cattolico e tradizionale.
*
De Constantia Jurispr., Proem., 4.
*
Sec. Se.
Nuova, lib. I, p. 98, X. — Si
noti qui, a maggiore schiari-
mento del
metodo vichiano, che la Filosofia è
quella che contempla, e
la
Filologia quella che ossa-va. Secondo il
nostro linguaggio, quella de-
duce, e
questa induce. Or la Scienza Nuova
non fa propriamente l'una
cosa,
né l' altra. Essa pone in opera
entrambe cotoste funzioni, e le
couipenctra
in una terza che dicemmo essere il
ma),àstoro eduttivo.
vero^
costituisce il processo della coscienza ;
in mentre
che r
Autorità, producendo il certo e
legittimandosi
nella
ragione, forma il processo dell'autocoscienza,
e
partorisce
il concetto della personalità (Proprietas
sui;
Suikis).
Sotto l'aspetto isterico, perciò, l'Autorità
è il
libero
arbitrio che diventa libertà, e quindi
Ragione:
sotto
l'aspetto psicologico è lo stesso libero arbitrio
già
divenuto ragione. Ond' è che come il
certo non è
il
vero ma una parte del vero^ così
V Autorità non è
Ragione,
ma è partecipe di ragione.* — Che
cosa è da
concludere
da tutto ciò ? Che il processo
pratico, riguar-
dato
psicologicamente, comincia là ove finisce
il teore-
tico.
Questo, infatti, s' inaugura col senso, e,
sempre più
ascendendo,
si risolve nella ragione. Quello, invece,
move
dalla
ragione avvisata come semplice colioscere,
e, tran-
sitando pel
volere, finisce nel potere; ma nel
potere
divenuto
già attività concreta, piena, reale,
vivente,
stantechè
il libero volere importi la ragione.
Che se
tra
conoscere ed operare, fra coscienza e
autocoscienza,
0 (per
usare il linguaggio del nostro filosofo)
tra Ra-
gione e
Autorità, fra il Vero e il Certo
e tra filosofia
e
filologia havvi un processo; è necessaria,
è inevitabile
una
conversione fra' due termini. Dunque 1'
Autorità
devesi
poter elevare a dignità di Ragione;
al modo
istesso
che la ragione operativa debbe aver
coscienza
di sé
medesima anche come ragion conoscitiva. Or
che
è ella
mai cotest' Autorità convertitasi in
ragione se
non
l'autocoscienza? E non è appunto
quest'Autorità
autocoscente
quella che, assolvendo l' uno e l' altro
pro-
' Ut
autem VBRUM constai RATiONE, ita criltuu
nititur auotoritate,
vd
noHra $en»uum quat dicitur aUTO^i'a, vel
aìtorum dicti», qua in tpeei^e
dicitur
AUOTORlTAS, cx quorum alterutra naicitur
PRRSCASIO. Sed ipta aucto-
RITA8
e«t ^ar» ^rwofrfam RATiONis. {De Univ.
Jur.y Proloq., 7.) Vedi le di-
verse
applicazioni del Vero e del Certo:
(Ibi, LXXXII, LXXXJII, OLII, 5.)
Il
primo scolare del Vico. Emanuele Dani,
come arrertimmo, fin dal se-
colo passato
colse giusto in questa dottrina del
suo maestro, massime
quant*
al valore e alla relazione de'
suddetti concetti. (Tedi Saggio di
Oiuriprndenza
Unirrr^aU, ed. cit., p. CVIII).
cesso,
costituisce l'essere veramente umano
(universale)?
E che
cos' è l' ente umano, che cos' è
VHumaniiaSj per
cui
l'individuo è davvero individuo, subbietto
verace-
mente
universale, fuorché la personalità? E che
cos'è
la
persona se non queir unità vivente e
operante del
triphce
diritto originario (tutèla^ dominio e
libertà) nella
quale s' incarna
e s' impersona la triplice funzione del
Potere,
del Volere e del Conoscere?*
Col
concetto su la relazione fra il
processo conosci-
tivo e
'1 processo operativo dell'organismo psicologico
il
Vico non solo previene l' esigenza Kantiana
del dop-
pio ordine
di ragione, ma, che più monta, la
supera.
La
previene distinguendo la Ragion pura
(Batio) dalla
Ragion
pratica (Autoritas). E dovea distinguerla,
per-
chè i
due processi conoscitivo e pratico,
tuttoché for-
manti unico
organismo, hanno, come s' è visto, origine,
natura,
e andamento diverso. La supera poi,
in quanto
che
scorge la conversione (ripetiamolo) non pur
fra
l'una
e l'altra ragione, ma eziandio nell'una
e nell'altra
guardate
ciascuna in sé stessa. Come processo
conosci-
tivo la
Ragione dee convertirsi con sé stessa;
e non
potrebbe,
ove non divenisse anche Autorità. Come
pro-
cesso
pratico l'Autorità non potrebbe neanch' ella
con-
vertirsi con
sé medesima, s' ella stessa non
divenisse
Ragione.
Li altre parole: il conoscere non potrebb'
es-
ser vero
conoscere, ove non fosse un processo,
una con-
versione de'
tre gruppi di funzioni teoretiche innanzi
discorse.
L'operare non sarebbe vero operare, se
an-
ch'egli
non fosse una conversione de' tre
gruppi delle
funzioni
operative. Finalmente il processo conoscitivo
*
De Univ. Jur. LXXXVl, XC, XCII.— Di qui nasce il
concetto del
gitu e
della libertà secondo le dottrino Yichiane,
come altrove mostre-
remo. Ma
già i lettori prevedono qnal uso noi
saremo per fare di cotesta
dottrina
nelle questioni polìtiche, giuridiche, religiose
e pedagogiche.
Posto
il concetto àdV Auctoritcu naturalU^ e
dell* Autorità in generale
come
particeptf RaHonUy cioè come facoltà che
devesi convertire con la
Ragione,
ognuno saprà argomentare qual valore giuridico
abbian per
noi r
autorità politica e 1* autorità religiosa
nelle teoriche sociologiche.
e '1
processo operativo non sarebbero tali, ove
non fos-
sero essi
stessi una conversione tra se medesimi.
Così il
circolo
è compiuto; e così rimane sbandita
ogni maniera
di
dualismo e di formalismo nel regno
della psicologia.
Or la
mancanza di processo è precisamente il
tarlo
che
rode le dottrine del Kant. Posto il
noumeno come
un'incognita,
posta la conoscenza com'una specie di
combaciamento
meccanico anziché come processo dina-
mico del
fatto con l'idea e della materia con
la forma;
non
poteva non chiudersi ogni via per
intendere il fe-
nomeno, e
salvarsi dal cadere in quella specie
di scetti-
cismo
metafisico del quale altrove toccammo (p.
238).
Senza
esempio nella storia della filosofia egli
dimostra
la
necessità di certe condizioni superiori
all' esperienza
nel
fatto del conoscere. Ecco la massima
sua gloria. Ma
non
perviene a spiegar cotesto fatto, perchè
non giunge
a
risolvere il dualismo tra la sensibilità
e l' intelletto
col
discoprirne il germe comune eh' egli
stesso )ion du-
bita
chiamare sconosciuto.^ D'altra parte, dal
disegno
della
Critica della Ragion Pura egli trae
quello della
Critica
della Ragiofi Pratica, Nell'una move dal
senso,
e,
attraverso l' intendimento, giugne alla ragione.
Nel-
r
altra tiene un cammino opposto, perchè
dal concetto
di
libertà scende nelle facoltà inferiori. Or
1' errore
non
istà, certo, in questo cammino, in
questo circolo ;
ma
piuttosto nell' aver interrotto cotesto
circolo. Donde
avrebbe
dovuto partire nell' organar 1' edifizio
della
Ragion
Pratica ? Precisamente da quel punto
ove' pon
termine
la Ragion Pura, Egli invece fa un
salto; salto
mortale;
perchè voltando le spalle alla ragion pura
(né
poteva
altrimenti), si basa nel concetto di
libera cau-
salità.* Ov'
è dunque il processo fra l' un ordine
e l' al-
tro? Ov'
è r unità, r organismo del circolo
psicologico?
Nella
distinzione Kantiana e' è del vero.
Ed è che
la
Ragion Pura è facoltà passiva in
quanto ha per
*
Kant, Orit, de la Raiaon Aire, p.
57, terza ed., Tissot.
>
Idem, Crit. de la Maieon Pratique^ p.
98, 220,
termine
il fenomeno, tuttoché s' addimostri attiva
nel
concepire
e disporre e costruir questo fenomeno
me-
diante
quella mirabile tela delle categorie.* La
Ragion
pratica,
al contrario, è profondamente attiva,
stante-
che
con r atto del puro volere ella
ponga il noumeno^
Se non
che il grand' uomo non vide che
né la Ragion
pratica
è assolutamente attiva, né la Ragion
pura è
assolutamente
passiva. Il conoscere, certo, serba carat-
tere di
passività ; non altrimenti che V
operare ha ca-
rattere d'
attività. Ma sono tali in modo
relativo. Sono
tali,
cioè, in quanto T ordine pratico
sopravviene a
compiere
il teoretico, non già nel senso che
nel se-
condo
abbiasi a conseguire ciò eh' è riescito
impossibile
nel
primo, vo'dir la* posizione del noumeno.
Che cos'è
infatti
cotesto noumeno nell'ordine pratico? Perchè
la
Ragion
pratica s' ha da porre qual puro
volere, cioè
com'un
fatto a priori? Insomma, che cos'è
questo ro-
lere
che vuole sé stesso?
A tal
grave quesito il Criticismo non risponde,
checché
ne
abbia detto poco fa uno della scuola
della Morale In-
dipendente
che in ciò crede poter ormeggiare il
filosofo
prussiano.
Che anzi, se la legge morale procede
dalla li-
bertà come
volontà indipendente e superiore a qualsi-
voglia
motivo, cioè come autonomia che trascenda
ogni
eteronomia;
è da confessare che un principio
siffatto è
condizione
ni tutto subbiettiva, e quindi sorgente
mu-
tabile
appunto perchè assolutamente libera. Un
atto
assofuto
di volere,- il volere come volere, io
non l'in-
tendo. Non
intendo il voglio perchè voglio^ giusto
perchè
non
capisco un atto che sia razionale e
insieme scisso
e
quasi staccato dalla ragion pura.
Brevemente: non
intendo
una Ragion pratica che non sappia né
possa
convertirsi
con la Ragion teoretica.'' Se la
radice del
*
Kant, Orìt, de la liaison Pure, ed.
cit., p. 158 e segg.
*
Idem, Orit, de la Raiaon Pratique,
cap. II, p. 325.
*
Secondo il Kant la Ragion pura, oltr'
esser fornita dell* uao tpe-
culiiivoy
ha eziandio un tntereaae pratico ; il
quale consiste semplicemente
dovere
sta nel sapere; la volontà di sua
natura sarà
sempre
una funzione secondaria, non mai primaria
: si
che,
ove nel processo istorico si svolga
da sé, in tal caso
ella si
determina non già come libertà, ma
come potere,
come
desiderio, come passione, come libero
arbitrio.
Laonde
se il filosofo prussiano sente la
necessità d' un
reale
nel suo formalismo critico, cotesta
necessità per lui
non
può racchiudere il vero concetto del
dovere, perchè
importa
una tendenza cieca. Non è dunque un
atto etico
veramente
detto, ma un bisogno assolutamente
empirico.
Dal
che si vede agevolmente non essere al
tutto vero ciò
che
aflFermano due serie di critici rispetto
alla natura
de'
due ordini di ragioni poste dal
Criticismo. Alcuni
credono
esserci contradizione perchè, mentre Ja
Ragion
pura è
indirizzata solamente (tuttoché con artifizio
for-
male) a
regolare V esperiènza, la Ragion pratica,
invece,
è
destinata a ricostruire, a costituire; e
costruisce mercè
la
posizione del noumeno, del libero volere,
reintegrando
siffattamente
i postulati distrutti nell'ordine teoretico.
Altri
pensano, fra* quali Spaventa,* che la
contraddi-
zione non
istia già fra le due Ragioni, ma
in ciascuna
d'esse.
Per noi è vera l'una e l'altra
sentenza, ma in
questo
senso; che la contraddizione del Criticismo
non
istà,
come abbiam detto, nel porre due
sfere diverse di
ragioni;
due ordini di processi psicologici, ma
si nel
non
aver risoluto nessun de' due. La
contraddizione
esiste
non pure in ciascuna delle due sfere,
ma anche
tra
l'una e l'altra ad un tempo; con
la differenza, che
nell'
un caso eli' è essenziale, dovechè
nell'altro è secon-
daria.
Togliete quella, e avrete insieme levato
questa.
Togliete
il dualismo e '1 formalismo nella
Ragion pura,
avrete
parimente riparato al formalismo e al
dualismo
della
Ragion pratica. Perciò sommettete a
processo
nel
determinaref non già ne) eogtituire la
Ragion pratica. (Ibi, p. 825.)
La
Ragion pura pratica »i eoHituiace da
«2. Ecco il grave difetto del
Kantismo
nell* ordine morale.
«
FU, di Kant e «uà relaxione
coUa FU, /tal., Torino, 1860, p.
67.
Puna e
1' altra, e avrete schivata la contraddizione;
e
invece
delle Idee sulla Storia Universale^ idee
che paion
come
disorganate, avrete l'organismo della Scienza
Nuova.^
Or la contraddizione, che per tre
divers^e ma-
niere
offende il Criticismo, potrà essere tolta
unicamente
quando
dalla dualità, onde non si potè
liberare il Kant,
sappiasi
risalire all' unità sua. Qual sia
questa radicale
unità
da cui move, ed alla quale ritoma
il processo
psicologico,
diremo fra poco. Torniamo al Vico.
La
Ragion pratica, l'Autorità, VAuctorUas naturalis^
che
per lui costituisce la base del
processo pratico in
tutt'e
tre i momenti in che questo si
svolge, non è già
un
primo staccato da un altro primo al
tutto formale,
ma è
un secondo che si converte con un
primo^ e per
tale
conversione formano entrambi, anziché dualità
ir-
resoluta,
unidualUà, Per l'Autore della Scienza Nuova
la
ragione,
in quanto ragione, è una non due,^
Non due
perciò
le sorgive onde rampollano i ragionamenti
; bensì
* Il
significato della storia pel Kant si
riduce a questo. Come gli
uomini
si son costituiti in società per
ischivar la guerra, cosi tutt* i
popoli
tendono a stabilirsi in federazione
universale {Idée de eeque pour-
rait
ètre Vhiètoire universelle dana le» vuee
d^n eitoyen du monde, 1784).
La P
sentenza è un errore degno degli
Hobbesiaui: la 2" è un'utopia
la
quale partorisce 1* altra della Pctce
universnlcf e V altra ancora d* una
Chiena
filoeofica il cui fine dovrebb' esser
quello di sorvegliare alla mo-
rale del
genere umano (Vedi nella Relig, dana
lee lim. de la raiwn). Sennon-
ché è
impossibile spiegar la stona col porne
V origino in una condizione
accidentale,
in una necessità euipirica qual' è
appunto la guerra. II fatto
isterico
può essere spiegato col risalire alle
leggi psicologiche, e scoprirne
il
processo. Or poteva egli, il Kant,
prefiggersi tal fine s* ei non seppe
levare
il dissidio fra le due Ragioni e
mostrarne la conversione V Da ciò
anche
dipende quel proporre, air attuazione del
progresso, mezzi affatto
artiflziali
com'è la federazione universale, la chiesa
filosofica, e simili.
* «
Con lo apiegarai delle umane idee^ i
fatti, i diritti e le cose umane
si
andaron sempre più dirozzando, prima dalla
acrupoloaità delle auperatì-
zioni,
poi dalla aolennità degli atti legittimi
e dalle angustie delle parole,
finalmente
da ogni eorpìdenxa; per ridursi al
loro puro e vero principio
che è
loro propria aoatanza. * Or qual è
questa aoatanza propria, qual è
questo
principio vero e puro àe^ fatti e de'
diritti umani^ eh' è dire del-
l' ordine
pratico? È la aoatanza umana, la
noatra volontà determinata
dalla
noatra mente con la Forza del Vrbo
che ai chiama Coscienza.
{Prima
Se. Nuova, lib. II, p, 44-5.)
due le
maniere del ragionare. Di fatto, se
lo spirito in
quant'
è conoscere (Batio) produce il vero e
dà la scienza ;
e in
quant' è operare (Auctoritds) produce il
certo e cosi
esplica
e conferma la prima, ovvero la
prenunzia e Y an-
ticipa ;
ne viene che tra Y ordine teoretico
e Y ordine
pratico
una conversione è necessaria. In che
risiede
r
intima natura della volontà? Intelletto e
volontà, nel-
r
ordine psicologico spontaneo, hanno radice
comune:
per
cui se r atto del volere non è
propriamente atto
d'
intendere, e nondimeno lo sforzo d'
intendere : è lo
stesso
conoscere, ma in quanto si realizza
come Ragione
universale,
come operare umano, autonomo, razionale.
La
ragione dunque è facoltà di conversione
per eccellen-
za ; e
quindi lo spirito dee conformarsi al
naturale ordin
delle
cose. E che è mai il naturale
ordin delle cose? È
la
Datura, l'essenza, il valore, l' essere
stesso delle cose.*
Ora,
conformarsi all'essere delle cose, non vuol
dire
convertirsi
con lui, diventar lui? Col concetto d'
ordine
adunque
il Vico determina la natura non del
solo co-
noscere ne
del solo operare, ma la natura d'
entrambi;
cioè
della Ragione vivente e concreta; della
Ragione co-
mune,
universale, imiana. La quale, supponendo
già il
concetto
d'ordine, cioè dire supponendo il processo
Qpnoscitivo,
importa anche il processo operativo come
risultato
necessario dell' essenza umana.*
*
Con/ormatìo eum ipso ordine rerum e$t
et dicitur batio. {De Univ,
Jur.^
Proem.j 7.) Questa con/ormatio mentis
suppone già il processo cono-
scitÌTO,
e quindi il criterio della Convernone
del vero col fatto. Ella dunque
è
risultamento delle funzioni teoretiche, e
insieme principio delle fun-
zioni
pratiche. È la sostanza umana determinata
con la Forza del Vero.
* Il
Rosmini nella FU. del Diritto (voi.
I, sez. II, X) fa la critica
del
concetto d* ordine com' è inteso dal
Vico. Il Finetti area fatto lo
stesso
fin dal secolo scorso nelle sue
polemiche col Dnni e col Concinna.
{De
Prineip. Jur. ec, tom. II, cap. VI.) Ma né
V uno nò 1* altro s*è accorto
come
la facoltà, che per Vico dee
conformarsi air ordine naturale, non sia
il
puro conoscere e neanche il solo
operare; cioè non la Ratio e nemmanco
VAuetoritas,
ma la Ragione per eccellenza, la
Ragione in quant' è risultato
finale
e quindi princìpio del doppio processo
psicologico. £ la ragione, in-
somma, in
quanto è conversione essenziale con la
natura, con la storia,
con lo
Stato, col supremo suo fine, e della
quale il Duni dice che dove
Concludiamo
quant' al processo pratico. La ragion
pratica
non contraddice alla teoretica. Intanto eli'
è
pratica,
in quanto è comando ; ma è
comando della ra-
gione
fondata nel concetto del fine razionale,
che vuol
dire d'
un fine il quale iraponesi come
legge, e perciò
come
imperativo. Cotesto fine imperante, manifestato
o
imposto
dalla ragione (e tutto ciò per noi
è ragion
pratica),
inevitabilmente importa la necessità etica,
il
cui
soggetto è la volontà: ond' è che
tra la volontà e il
suo
fine, eh' è appunto il bene morale,
òorre una sin-
tesi
necessaria. Che se l' imperativo per Kant
è la stessa
volontà
in quanto è libera da ogni movente
particolare
e
d'ogni particolare interesse; anche per noi
cotesto im-
perativo è
il volere libero da ogni qualunque
motivo,
meno
da quello che scende dalla ragione, o
per mezzo
della
ragione; ma di quella ragione pura o
conoscitiva
la
quale, essendo il vero convertentesi col
fatto, intende
e
legittima il fenomeno. Fra lei e '1
noumeno non esiste
un
abisso, com' è pur troppo pel
Criticismo. E in questo
senso
non ha torto Hegel d'affermare che
libertà è
ragione,
e ragione è libertà. Il motivo dell'
azione, in-
fatti, è
intrinsecato con la ragione; scaturisce non
già
dall'
estemo, come incontra nelle azioni di
natura mec-
canica, ma
dall' intemo. L'agente dunque è razional-
mente
libero; e però è liberamente necessario.
Il per-
chè se
una sintesi necessaria annoda il volere
col suo
fine,
è pur mestieri che la volontà si
converta con la
ragione,
e produca la virtù. Così nella sfera
pratica,
non diversamente
che nella teoretica, il criterio è
sempre
il medesimo : la conversione del vero
col fatto,
eh' è
dire della legge con la volontà. E
poiché la legge
neir
ordine etico partorisce il dovere, e
la volontà nel-
r
ordine giuridico produce il diritto; perciò
accade che
la
Morale, nella dottrina del nostro filosofo,
deve stare
al
Diritto cosi come il vero sta al
fatto, come la Ra-
non
c'^ uniformaziont,, non e'? ragione, (Vedi
noi Saggio di Giuritprw
denzn
Umvermle^ ediz, cit.: voi. cit. Gap.
VI.>
gione
air Autorità. Sono due sfere di fatti
diversi; due
ordini
di scienze differenti per origine, e
per applica-
zione. Il
Diritto non iscaturisce dalla Morale, ne
tam-
poco la
Morale potrà emerger dal Diritto. Se
cosi fosse,
l'una
di queste scienze annullerebbe l'altra,
assor-
bendola.
Esse dunque non s'identificano, ma si
con-
vertono.*
Tal si
è, come rapidamente l'abbiamo descritto,
l'or-
ganismo
psicologico ne' suoi elementi e nella
sua natura.
Ma
quest' organismo può e debb' esser
considerato ri-
guardo a
due soggetti, che sono l'individuo e
la specie,
cioè
dire psicologicamente e storicamente.
Nell'individuo
ci è
dato studiarlo, come chi dicesse, nella
condizione
statica,
cioè nel suo equilibrio, nella sua
compiutezza,
a
cagione delle mutue relazioni onde i
due processi ri-
chiamansi
a vicenda. Psicologicamente, infatti, il
pen-
siero
inaugura, determina e compie il processo
pratico.
Lo
inaugura come senso in quanto eccita
il potere: lo
determina
come rappresentazione, immaginazione, in-
tendimento
che sveglia e sprona il volere: lo
compie,
finalmente,
come ragione, la quale costituisce
l'essenza
stessa
della libertà. La Ragione dunque è
l'atto, la
forma
dell'Autorità; come l'Autorità è la potenza
e la
materia
della Ragione.* Io voglio ed opero
perchè cono-
sco :
né per altro potrò conoscere se non
perchè debbo
operare.
La ragion del volere pone sua radice
nel cono-
scere ;
come la ragione e '1 fine del
conoscere altro po-
trebb' esser
che Y operare. Chi vuol conoscere per
cono-
scere è
un mezz' uomo. E la scienza per
la scienza è
frase
ch'io non intendo, come non la
intendeva nem-
meno
Aristotele.^ I due processi, adunque, ne'
quali si
sdoppia
e determina l' organismo psicologico nell'
indi-
viduo, s'
importano a vicenda, e tutt' insieme
compon-
•
Sotto il rapporto psicolosrico può dirsi,
come più d*una volta ar-
verte
il nostro filosofo, che ex Rottone
Auctontas ipm orta ett. (De Univ.
Jur.,
XCIV.)
*
Rayaisson, Em, 9ur la Mitaph. ec. T.
I, 1. T, cap. II.
gono
un sol circolo. In questo circolo per
1' appunto sta
l'autogenesi
dello spirito.
Al
contrario nella storia, che vuol dire
nella specie
avvisata
come un individuo attraverso il tempo,
l'orga-
nismo
psicologico ci è dato considerarlo quasi
in via
di
formazione, cioè sotto il rapporto
dinamico, e perciò
nelle
condizioni del movimento. Avviene infatti'
in que-
st'ordin
di cose quel che la scuola di
Lamarck pen-
sava del
regno zoologico. Nell'organismo compiuto, nel
mammifero,
ci è tutta la scala zoologica, ma
in atto;
al
modo istesso che nelle differenti specie
d'organismi
inferiori
abbiamo l'organismo perfetto, ma come squa-
dernato
nella successione seriale de' diversi
momenti
del
suo sviluppo. Se questa dottrina,
secondochè al-
trove
diremo, non è al tutto vera in
ordine alla storia
naturale,
è verissima nella storia umana. La
condi-
zione
statica non può verificarsi nell' ordine
de' fatti,
massime de'
fatti storici. Nel regno della realtà,
anziché
quiete
ed equilibrio, tutto è moto incessante,
sviluppo,
attrito,
disequilibrio perpetuo: onde la Statica
sociale
de'
Sociologisti non è che un' astrazione
del pensiero. Il
processo
psicologico adunque, avvisato staticamente, è
tipo,
è realtà compiuta, alla quale c'innalziamo
scru-
tando la
natura dell'individuo, investigando le leggi
della
psicologia.
Un processo psicologico in via di
formazione
non è
altrimenti Statica, ma Dinamica. Ora il
processo
psicologico
è r atto, il tipo del processo
isterico; e quindi
vana
impresa è il pretendere d' imprimer ÌForma
di
scienza
alla storia, senza porvi a fondamento
imme-
diato la
psicologia. La storia non fa che
ripeter la
psicologia;
ma al modo che la circonferenza
ripete il
centro.
Che è mai la circonferenza fuorché lo
stesso
centro
considerato, direbbe il Gioberti, fuori di
sé? Tal
è la
specie rispetto aU' individuo ; tal
si é pure la storia
di
fronte alla psicologia.* Ciò che nell'
una si compie
* Vedi
le belle riflessioni del Noubisson in
proposito. (La nature
humainef
Ess. de Fsycol. appliquée, Paris 1865,
p. 431 e se^g.)
attaraverso
lunghi secoli, nell' altra, cioè nell'
individuo,
s' assolve
attraverso una serie d' anni e di
differenti età.
E ciò
che sono i secoli per la storia
e gli anni e le
diverse
età per l' individuo, sono per la
coscienza at-
tuale que'
diversi momenti necessari aftinché ella
possa
recare
in atto la doppia fimzione del
conoscere e del-
l' operare.
Ma per
quante sian le differenze, la legge è
sempre
una;
non essendo possibile che le note
essenziali alla
specie manchino
ai membri, manchino agli elementi di
essa,
ciò è dire agP individui.* Perciò
nella storia tanto il
processo
teoretico quanto il processo pratico
s'inau-
gura cod
come nell' individuo. U senso, lo
vedremo in
altro
luogo, sale a ragione attraverso le
funzioni in-
termedie
dell'immaginazione e dell'intendimento. Il
potere,
l'istinto (il che verificheremo nella
sociologia)
assume
valore di Ubertà mercè la successione
delle
moltiplici
forme cui soggiaccion le passioni e
le deter-
minazioni
del libero arbitrio, e siffattamente crea
il
Diritto
e lo Stato. Così la storia è
una correzione lenta
ma
incessante, ma progressiva di due forze
che mai
non
posano, Autorità e Rag^ne.* La molla
occulta del-
* Ce
qui 9e paage dan» Vévolvtion 4e
Vindividu est la tacine de ce qui
se
passe dans VévoìuHon de Vétte eoUectii*. (Littbé,
PatoUs de Phil. Posit.
2*
ed.) Ognan vede che questo principio
non è, come ci dicono i Po-
sitivisti di
Francia, una loro invenzione peregrina. È
uno de* con-
cetti
fondamentali della Scienza Nuova; ed è
insieme la correzione
del
Comtismo, per la ragione più volte
rammentata che la psicologia
pel
Vico non iscatnrìsce dalla storia, ma
è anzi la storia, cioè la scienza
istorica
quella che dee tórre a modello, a
criterio la psicologia.
*
Tutte le opere del Vico sono una
dimostrazione continua di
quésto
concetto. Lasciando delle facoltà d* ordine
conoscitivo, basta
meditare
le diverse forme attraverso cui procede
VAutotità, per vedere
come
davvero ella sia potenzialmente ragione. Vi
è progresso, per dime
un
esempio, fra le tre forme d* autorità
monasHcOf economica e eivUe (De
Univ.
Jut. LXXIII e segg.) ; e vi ò
progresso nella storia dell* autorità
considerata
nelle diverso maniere del reggimento
politico {Ptima Se, Nuova,
p. IH
e segg. —Sec. Se. Nuova, p. 236,
342 e segg., 471,611 e segg.)
Scoprire
la conversione dell' Autotità con la
Ragione, è una delle sue
principali
esigenze, e quindi uno de' precipui
aspetti della Scienza Nuova.
r
umano progredire, infatti, sta nella
faticosa conver-
sione d'
entrambe. Perchè sé la storia è la
vita del ge-
nere umano,*
il processo di questa vita, lo
svolgimento di
quest'organismo
altro non potrà essere fuorché il
ridursi
di
quella dualità a valore d' unità. Il
processo istorico
adunque
non fa che ripetere, ma sotto forme
sempre
diverse,
il processo psicologico : talché se
la psicologia,
come
ha detto il Michelet, é quasi la
storia in miniatura,
cioè
la storia come raccolta, adunata e
quasi concen-
trata in
un sol punto; la storia alla sua
volta, secondo
l'osservazione
altrove accennata del Cattaneo, altro non
sarà
che la psicologia stessa in più vaste
proporzioni, e
sotto
aspetti molteplici e svariatissimi. Ma quel
punto,
quel
centro (ripetiamo la figura), vai tutta
la circonfe-
renza; vai
più che la circonferenza. Se la
psicologia
infatti
nasce dalla storia, chi vorrà dire
che la prima
non
possa essere altro fuorché una semplice
appendice
della
seconda? La psicologia è superiore alla
storia,
come
il presente è superiore al passato. E
le leggi
psichiche
sono anteriori a quelle del fatto
istorico, al
modo
istesso che il criterio e la norma,
in generale,
sono
anteriori alla materia interpretata e
giudicata.'
Perciò
dice che il suo libro è anche
nn». JUotoJia deW autorità {Sec. Se.
Nuova^
p. 148, 171) atta a ridurre a
leggi certe V umano arbitrio di ma
natura
incertÌ9»imo (p. 174).
* Vita
generila humani Hiètoria est, [De Univ.
Jur. XCXIX.)
* Il
Taine dice benissimo dove osserva che
la pttyeologìt «« à ehaque
départentent
de Vhintoire humaine ce que l^i
physiologie generai^ e»t h la
phyaiologie
partictdiire. de ehaque esplce ou doAèe
animale. {De Vlntelli-
gence,
t. I, Pref. p. 7.) Che oggi la
psicolog^ia debba esser condizione
essenziale
alla scienza del fatto storico, ninno
è che ne dubiti. Ma la
questióne
ò ben altra, e di ben altro
valore che non crede il Taine.
Come s'
ha da considerar la psicologia rispetto
alla storia, e perciò
r individuo
rispetto alla specie'? Ecco il punto!
Predicarci la necessità
della
psicologia nella indagine del fatto storico
è un bel nulla, se innanzi
tratto
non si stabilisca qual relazione corra
fra le due scienze. Mi spiego
subito.
Se Io svolgersi delle concezioni religiose,
delle creazioni artistiche
e
letterarie e delle scoperte scientifiche in
un dato periodo istorico e
presso
un dato popolo non sono in realtà
altro che un' applicazione, un
caso
particolare di quelle medesime leggi che
in ogn' istante regolano lo
svolgimento
psicologico di ciascun nomo ; brevemente,
se il fatto storico
H
nostro filosofo non pure colse, ma
dimostrò la re-
lazione tra
r uno e V altro ordin di fatti,
e fece quel
che
non giunsero a fare i nostri
platonici e aristotelici
del
Rinascimento; ciò che non fece tutto
il Cartesia-
nismo; ciò
che dopo di lui non seppe fare
il Critici-
smo in
ordine alla storia; ciò che non han
fatto, né
sanno
fare i Positivisti e gli Idealisti
assoluti; i quali
trascendono
il positivo perchè disconoscono la
difficile
arte
de' confini nella scienza del mondo e
della storia.
Alla
sua mente lampeggiò il vero concetto
dell' ente
umano:
il concetìo àeW individuo universale
vivente,
concreto,
reale; e sotto doppia forma venne
applicando
il suo
massimo criterio della conversione del vero
col
foHo
nel conoscere, e del certo col vero
nell' operare.
Recò
in atto quindi non una, ma due
grandi leve, la
psicologia
da una parte, e la critica de'
fatti storici dal-
l'altra;
la filosofia e la filologia; e perciò
un a priori di
natura
puramente psicologica, e un a posteriori
indagato
pazientemente
con oculata osservazione: e così gettando
le
basi del vero metodo storico razionalmente
positivo,
riesci
a comporre la scienza dello spirito.
Però Storia
e
Psicologia non sono due cose, ma una.
Esse formano
la
vera scienza dello spirito, quando sian
portate ad un
fiato,
com' egli dice con significantissima frase.
Ecco il
grande
valore della Sdensfa Nuova, per quanti
possano
essere
i suoi difetti nella forma, n^l
disegno, nelle con-
clusioni,
nelle applicazioni. Lo dichiara egli stesso
: « il
mio
libro è wrxR filosofia deW umanità. »
Perchè filosofia?
non è
che un'applicazione delle lejrgi psicologiche:
ne viene che nella
psicologìa
solamente possiamo ritrovare il criterio,
il principio, la teorica
da
applicare nella intorpretaziono del fatto
isterico. Dnnqne? Danque
(mi
par chiaro) la psicologia è anteriore,
e superiore alla storia. Or io
non so
davvero come siffatta conseguenza possa
accordarsi co'princìpii
del
Taine, specie con quello ond'ei ci
dichiara, che il fatto della co-
scienza non
è altro che vm fantamna metajinco! Il
problema storico è
problema
psicologico: lo sappiamo anche noi da
un secolo e mezzo a
questa
parte. Quel che non sappiamo è il
modo col quale il valoroso
estetico
francese potrà giugnere a risolvere cotesto
problema col suo
Positivismo.
perchè
ne inve^iga le coffionV Or le cagioni
imme-
diate e
positive del processo istorico, non s'hann'
a ra-
dicar tutte
nel processo psicologico, eh' è, dire
nella na-
tura umana
? * Volere investigar le ragioni
della storia
nonché
i principii della sociologia invocando la
dicdeUica
immanente
détta Idea come fan gli Hegeliani,
ovvero
r
opera della Provvidenza immediata come
fanno Onto-
logisti
e Teologisti ; è uscir dalla Storia,
dalla natura
umana,
dalla psicologia ; ed è rendere il
processo storico
un
processo affatto meccanico e arbitrario. Un
principio
estrinseco
e superiore che non emerga dalle
viscere
stesse
della storia, ma che alla storia si
sovrapponga e
s'imponga,
che cosa dee produrre? Da una parte,
mec-
canismo, e
arbitrio dall'altra. Ed è anche un
uscir dalla
storia,
dalla psicologia e dalla natura umana,
queir in-
vocare i
soU fatti siccome leggi empiriche
riferendole a
cagioni
tutte estrinseche, tutte mutabiU tutte
acdden-
taU,
come sono il clima, la razza,
l'educazione e cento
e mille
condizioni esteriori e secondarie di cui
ci par-
lano i
positivisti e i filosofi dett* avvenire.
Il
fondamento razionale positivo del processo
istorico
dunque
è l'organismo psicologico, ma ravvisato
come
processo.
Questa precisamente è l' esigenza più
legitti-
ma, la
condizione più salda del metodo istorico
che sca-
turisca
dalle opere, dalle dottrine, dalla mente
del Vico.
Metodo
isterico è anch'esso metodo genetico,
metodo
eduttivo.
E metodo genetico vuol dir metodo
essenzial-
mente
psicologico. Ne segue perciò che la
legge isterica
delle
tre età {Divina, Eroica, Umana), pone
sua ra-
* Ved.
Prim, Se Nuav.y p. 248.
* Le
tre/any o stati del PositÌTismo francese
non sono che un fatto,
una
legge empirica, non la ragione, non
il principio delia storia. Lo con-
fessa lo
stesso Littré; il quale perciò avendo
visto la necessità di correg-
gere e
compiere anche in questo il maestro,
alle tre fasi del Comte sosti-
toisce
le cinque forme di civiltà calcate
sopra altrettante facoltà psi-
cologiche.
(Vedi A. Comte et la Phil, Pont.)
Cosi il Littré ritoma al
Vico,
cioè al concetto psicologico, quantunque
sbagli nella scelta della
strada.
dice
non già in un fatto parHccHare quale
sarebbe il na-
scere, il
crescere ed il perire dell'individuo, come
ve-
demmo
pretendere il Vera (p. 128), ma sì
neljo stesso
organismo,
nello stesso circolo delle funzioni
psicolo-
giche. Ciò
che dunque è processo teoretico e
pratico
deUe
facoltà e quindi conversione del vero
col fatto e del
certo
col vero nell' individuo ; nella
specie, nella comu-
nanza
civile, assume forma e valore d' organismo
e di
processo
isterico. Ecco perchè nello svolgimento
della
storia
e delle diverse civiltà, lo stato, la
fase, o (secondo
il
linguaggio del Vico) V età divina
ritrova sua ragione
intima,
immediata, nel predominio ed esplicazione
deUe
due
funzioni elementari, empiriche e naturali,
che sono
il
Senso ed il Potere. La fase eroica^
per contrario, è
V
incarnazione del Volere e dell'
Immaginazione. E, final-
mente la
fase umana è V attuazione e quindi
il trionfo
e la
signoria della Ragione spiegata, la quale
neU' or-
dine della
vita civile, politica e sociale si
traduce nel
trionfo
della libertà. La storia dunque è un
organismo
come
la psicologia; e quindi le leggi
psicologiche sono
il
criterio interpretativo principale del fatto
isterico.
Questo
è il vero concetto della VoUcer
Psycólogie per
VA.
della Scienza Nuova. Dove sta il
difficile? Ap-
punto nel
far cotesti interpretazione; appunto nel-
r
applicare le leggi psicologiche alla
storia. In tale
applicazione
occorre schivare (come vedremo in So-
ciologia)
que' due gravissimi errori ne' quali
rompono
Hegeliani
e Positivisti: cioè l'universalismo nel
com-
porre la
filosofia della civiltà, e il
particolarismo e '1
determinismo
nel fissarne le leggi. Due perciò
sono le
condizioni
razionali per la scienza della storia:
V appli-
care al
fatto isterico le leggi psicologiche ;
ma applicar-
le, non
già all' umanità, come fanno i
seguaci di Hegel,
bensì
a' popoli, alle schiatte, alle tradizioni
: 2** tener
conto
delle mille cagioni estrinseche ed
irraziouaU che
in
modi infinitamente diversi e molteplici
turbano lo
svolgimento
della storia; ond' emerge la necessità,
ripe*
tiamolo,
della psicologia e della crìtica storica
nello
stabilire
i principii deUa filosofia dello spirito.
Or
cotesto metodo, oltreché nelle dottrine
metafisi-
che, anche
nelle teorie storiche e sociologiche
risulta
logicamente,
come vedremo, dallMndirizzo medio del-
l'Aristotelismo rappresentatoci,
ne' tempi moderni, dalla
Sdenta
Nuova. Nella Sdenta Nuova, e perciò
nel me-
todo
isterico e psicologico del Vico, abbiamo
la con-
danna più
severa e la confutazione di fatto
degli estremi
indirizzi
aristotelici rinnovatisi in questo secolo
per
opera
dell' Hegelianismo e del Positivismo nel
regno
degli
studi storici e sociologici.
Ma
qual è la genesi e quindi la
teleologia del pro-
cesso
psicologico? That is the question!
Capitolo
Sesto.
genesi
e teleologia psicologica.
Lo
spirito ha le sue leggi come la
natura; ed è
anch'
egli un organismo come la natura.
Perciò dap-
prima è
Sintesi iniziale, come si disse, poi
Analisi, poi
Sintesi
finale. Spencer direbbe che l' organismo
psicolo-
gico procede
dall' omogeneo indeterminato, all' etero-
geneo; e
dall'eterogeneo (avrebbe dovuto aggiungere;, fa
ritomo
all' omogeneo, ma all' omogeneo determinato
e
universale.
— Fin qui abbiamo studiato la
psicologia nel
fatto.
Movendo da una dualità empirica, cioè
dal senso
che
iniziando il processo teoretico s' eleva a
dignità d'in-
telletto, e
A^X potere che preludendo al processo
pratico
assume
valore di libera volontà, abbiamo sorpreso
l'orga-
nismo
psicologico nel momento stesso dello
sviluppo,
dell'analisi,
dell'eterogeneità, della diflFerenza e moltipli-
cità
delle sue funzioni. Or è d' uopo
rimontare all'ori-
gine
psicologica. È d' uopo ricercar la
cellula madre di
quest'organismo.
È d'uopo investigare il centro di
questo
cìroolo,
la sintesi origìiiaxia di quest'analisi che
a noi
porge
la coscienza.
La
genesi dello spirito vuol esser guardata
in tre
modi,
sotto tre forme, per tre fini diversi
: psicologi-
camente,
logicamente, ideologicamente. La Psicologia
studia
lo spirito, ma in quanto è un
multiplo di funzioni,
d*
operazioni, di facoltà. La Logica studia
lo spirito, ne
ricerca
le funzioni psicologiche, ma in quanto
producono,
generano,
partoriscono. L' Ideologia, finalmente, studia
anch'
essa lo spirito, ne indaga le
funzioni psicologiche,
ma guardandole
ne' lor prodotti generali La Logica
dun-
que siede
in mezzo all' una e all' altra
scienza. Ella studia
non
altro che relazioni : studia le
relazioni fra la causa
e
l'effetto, le attinenze tra la forza
e le sue produzioni,
e
quindi raccoglie leggi universali, attinenze
necessarie,
poiché
se lo spirito si differenzia appo
gl'individui per
attività
ed energia di potenza e per
moltiplicità di risul-
tati, non
differisce menomamente per le leggi alle
quali
dee
soggiacere ciascun individuo. La Logica è
universale,
obbiettiva;
e quindi indipendente dal soggetto, non
al-
trimenti che
la matematica. Or queste tre scienze
che
r
analisi immoderata delle scuole ha ridotto
a frantumi,
non
sono che tre aspetti d'un medesimo
subbietto: d'un
subbietto,
cioè, avvisato P come forza e
potenza: 2** come
atto e
risultato ; 3** finalmente come potenza
in quanto
diventa
atto, e però come relazione dell' un
termine
verso
l'altro. Psicologia, dunque. Logica e
Ideologia
dovranno
condurci ad una medesima conseguenza nel
problema
su la gencHi psicologica.
Nel
processo psicologico dicemmo esserci un
primo
ed un
ultimo atto. Questo primo e quest'ultimo
atto,
anziché
facoltà, come pretendon gU Spiritualisti,
anzi-
ché semplici
condizioni psicologiche riducibili alla fin
fine
alle funzioni biologiche, come ci predicano
i Posi-
tivisti,*
sono invece facoltà delle facoltà. E
son tali per-
* Per
esempio Sr. Mill {La PhU, de
Hamilton, trad. CazeUes 1869,
e.
Vili, p. 188). — H. Taink (2>«
VintelUgence, T. II. 1. 1, e. II, § VIII).
che
runa d' esse è originaria, e V altra
è complementare ;
perchè
la prima è potenza, e la seconda
è atto : perchè, in
somma, quella
è T Io in quant' è coscienza
primitiva, e
questa
è V Io in quant' è pienezza di
personalità, auto-
coscienza.
Or è mestieri ammettere che la
coscienza, in
quant' è
facoltà détte facoltà, esista dapprima come
potenza
originaria; preesista com' energia irreducibile;
preceda
come atto che sia tutto, e nulla;
e vaglia quindi
a
costituir la natura stessa di quell'ente
che nella scala
zoologica
diciamo ente umano, E innanzi tratto,
s'egli è
vero
che le fimzioni psicologiche convengon
tutte nell'es-
sere un
conato di natura essenzialmente teleologica,
è
d'uopo
che, attraverso a tutte e in fondo
a ciascuna, si
occulti
un atto rudimentale, radicale, comune,
essenzial-
mente
generatore, contenente universale e indeterminato
del
doppio processo psicologico teoretico e
pratico. D' al-
tra parte,
se il fatto ci addita una dualità
empirica,
concreta
ed elementare, cioè il senso e il
potere ; ne viene
che
queste due facoltà, sia che le si
guardino nel loro
obbietto
e natura, sia che nel fine cui
sono indirizzate,
ci
rappresentino due opposti, ci esprimon due
contrari;
e,
come tali, abbisognano d'un soggetto comune
in cui
(secondo
l'esigenza dell'Aristotelismo) elle sussistano
originariamente.
La duaUtà empirica e, per così dirla,
sensata,
ci rimena infatti $ui una dualità
superiore e
trascendente,
la quale a sua volta non può
non essere
altresì
unità, unità confusa, unidualità anteriore,
e della
quale
possiamo dire ciò che Aristotele afferma
delle
parti
avvisate in riguardo al tutto. Se la
parte poten-
zialmente e cronologicamente
precede il tutto; attual-
mente e
logicamente il tutto dee preceder la
parte.*
^Xou
xai >f uX>i TT^c ouVtac" Jtar'
«vT«Xj;^tiav 5' u^7«/oov 5«a-
XxtBivroi-
y(/.p x«t* £vTi>JX«*av «(T']at. (Met.
V.) Ecco la ragiono
(sia
detto di passata) onde la Psicologia
differisce in immenso dalla
Zoopsicologia,
checché ne dicano il Darwin, V
Agassiz, il Vogt ed altret-
tali. Neir
ordino zoopsicologico la dualità empirica
del »etuo e dell' i»Hnto
esiste;
ed è unità confusa, è unidualità: ma
riman sempre tale, sempre
Questo
tutto originario, quest' unità la quale
anche
come
primigenia è numero, cioè unìdualità e
però facoltà
déHe
facóUà, è ciò che con antica ma
significativa pa-
rola il
Vico suole appellar mente, mens.^
Alla
medesima conseguenza ci conduce la logica
e
r
ideologia. Rammentiamoci della dottrina su
la cono-
scenza. Se
neir ordine del conoscere il fatto è
il dato, il
fenomeno,
ciò eh' è posto, la cieca percezione;
insomma,
ciò
che non può esser conosciuto di per
sé stesso: il
vero,
per conta'ario, è V elemento ideale,
astratto, vuoto,
formale,
a priori ; ma a priori in
quant' origina imme-
diate dal
seno stesso del pensiero. In che sta,
dunque, il
nello
stato potenziale: mentre neir ordine psicologico,
cioè umano, ella
diventa
atto, numero, e quindi il Senso e
il Potere vi assumono anche
valore
di sentimento e di coscienza. Se
dunque è così, chi vorrà credere
che
quella dualità sia puramente animale come
nella Zoopsìcologia ? Se
fosse
tale, non dovrehhe restar sempre la
medesima, come incontra nel soar-
getto
zoopsicologico? Dunque (la conseguenza parmi
chiara) quella dualità
neir
ente umano deve importare qual cos'altro
che non sia puro Senso,
né
puro Istinto.
* Quel
che latinamente egli chiama men« cmimi
è essenzialmente pen-
siero; e
pensare per lui è manifestare sé a
sé medesimo: Mens cogitando
se
extbet {De AsUiqHÌ9., Cap. VI). Or la
mente è principio unico di tutte
le
facoltà: principium unum Men»; e I*
occhio di lei é appunto la ragione:
eujw
oculua Ratio {De Univ. Proem., 4).
Dunque ciò eh' è di là e dentro
e
dietro a quest' occhio eh' é la
Ragione, é appunto la MenU; la quale
perciò
è anteriore a tutti i gradi, a
tutti i momenti del processo cono-
scitivo. Se
non che lo spirito, in quant'ò menUf
vede anch'essa; altrimenti
come
si farebbe a dirla mente? Ma allora
soltanto ella disceme, allora
soltanto
é oechiof e perciò era visione,
quando diventa ragione epiegata, e
quindi
processo teoretico. — Per intender meglio
il significato della mente,
ricordiamoci
del »ene%u intemtu, del eennu eui,
della eoecienta, cwn-eeientia,
di cui
egli parla in più luoghi delle sue
scritture. In ispecie è da riflet-
tere quando
afferma, la coscienza essere insieme
univereale e pai-ticolare ;
e il
senso intimo, individuaUt e insieme comune,
fi da riflettere dove
accenna
ad una facoltà naturale e epontanea
ond' é fornita la eomuiune
natura
degli uomini. È da riflettere, finalmente,
e specialmente, ove
parla
di certi giudizi istintivi eh' egli
chiama giudizi fatti sknza bifles-
8I0NK.
(Vedi Prim. e See. Se Nuow% passim.)
Or di sotto a questo lin-
guaggio esce
chiara una conseguenza; la necessità, cioè,
di riconoscere
come,
attraverso a tutte le diiferenti forme
psicologiche, esista un punto
centrale
onde s' irradiano e dove si riconducon
tutte le funzioni dello spi-
rito.
Quest'esigenza psicologica nel Vico parmi
evidente per ciò che s* è
detto,
e per ciò che ancora diremo.
conoscere?
Nella conversione de' due elementi. Intendere
è
legere; e legere è cdligere dementa
rei, cioè coUigere il
vario
sensato, il fatto. Questo fatto dunque
vien raccolto
e
innalzato a dignità di vero e quindi
ad unità, appunto
quando
la mente, generando sé stessa, conosca
insieme la
guisa
onéPtma cosa è fatta. Or in cotesta
genesi hawi un
intimo
vincolo per cui V eiFetto è anche
causa, e la causa
eflFetto;
ed è questa quella tal funzione
eduttiva onde
la
ragione, annodando cause con cause, e
però conver-
tendo il
vero col fatto e viceversa, rintraccia
il medio
termine,
e fa la scienza (pag. 242-3). Se
intanto il co-
noscere è
un atto di sintesi ond'il vero è
forma, predi-
cato,
categoria, ma non per anche attributo
e però
cognizione,
mentre il fatto è materia e parvenza
feno-
menale; ne
segue, esser davvero una grande scoperta
della
moderna psicologia quella fatta dal Kant
e le-
gittimata in
gran parte dal Rosmini, ma presentita
dal
nostro
filosofo; che, cioè, pensare sia
essenzialmente
giudicare.*
Che cos' è infatti il giudizio
fuorché il pre-
dicato
assumente forma evalore d'attributo? Dunque,
anziché
nel cogliere il puro vero, o nell'
apprendere il
puro
fatto^ il giudizio risiede nel concetto.
Ma che è
egli
mai il concetto salvochè la conversione
del vero
col
fatto, considerati questi com' elementi
essenziali
nella
sfera dell'intendimento? * Ora, tornando al
pro-
posito,
comecché il vero e '1 fatto,
convertendosi, gene-
rino il
concetto e quindi il giudizio, e col
giudizio fac-
*
Kant, Orit. de la Raùon Pure. Log,
Tra»cend., L. 1. — BosMiin,
Nuo,
Sagg, voi. II, Sez. V, e. I.
* L'
atto del conoscere ò m'rtò di vedere
il tutto di eitueheduna omo,
e dì
vederlo tutto ineieme^ ehi tanto
propriamente tuona intblliobri, e allora
veramente
ueiam Tintblletto. (Vedi Lett. al Sotta,
p. 12.) È agevole scor-
gere, por
tutto ciò che abbiamo detto qui e
altrove (p. 241, 275 e segg.),
quanto
nel Vico sia chiara Tesigeriza kantiana
deirunirà eintetica detTapper-
eezione,
non che quella della percezione
intellettiva Rosminiana, e meglio
ancora
(per qaèl che diremo), V altra del
Sentimento fondamentale. Ma in
grazia
del suo criterio, al solito, si può
riuscire a schivare il tubbietti-
viemo
e il formaliemo dell'uno e delPaltro
filosofo adoperando il metodo
deduttivo.
cian
possibile ad un tempo la coscienza e
l'esperienza;
nuUamanco,
a somiglianza delle funzioni ond' essi
ram-
pollano,
restan sempre una dualità, ma dualità
origina-
ria;
stantechè non potendo T uno emerger
dalP altro,
né r
altro dalF uno, debbano coesistere entrambi
nella
coscienza.
Se non che, una dualità originaria
non è forse
un
assurdo? Senza dubbio, un assurdo. Dunque
è ne-
cessaria
certa unità iniziale, intima, primigenia,
appo
cui 1
vero e il fatto sussistano germinalmente
come
in
grembo ad una sintesi confusa.
Alla
medesima conclusione potrebbe giugnere chi
pigliasse
a guardar Y intero processo logico,
cioè le fun-
zioni
teoretiche tanto nel lor movimento, quanto
ne' lor
risultati.
Percezione, Giudizio e Sillogismo son tre
gradi,
tre
momenti, tre forme distinte d'una medesima
funzione
eh' è
la Mente.^ Nella percezione la Mente
si manifesta
come
unità immediata appo cui oggetto e
soggetto sian
tuttora
confasi. Nel giudizio, invece, predomina
l'analisi,
la
differenza; perchè i termini standovi fra
loro di fronte
l'un r
altro e quasi irresoluti, avviene che
la mente deb-
basi
palesare come dualità. Ma poiché il
giudizio im-
porta
necessariamente un ritorno sopra sé stesso,
e
questo
ritomo appunto costituisce il sillogismo ;
accade
che in
questo ritomo, nel sillogismo, la mente
si palesi
come
unità e dualità in atto, come
triplicità attuale,
come
mente spiegai'a. Or se T organismo
logico e l'ideo-
logico son
anch'essi un processo non altrimenti che
l'organismo
psicologico; se il risultato finale di
cotesto
processo,
la funzione terminativa di cotest' organismo
è
•
€ Tre» mentit operationes: Pkroiptio,
JUDIOIDM, Batiooinatio. Tri-
bua
artilM diriguntvr: Topica, Critioa, Mbthooo.
{De AntiquUe.<, e. VII,
§ IV.)
La pereeptio qui non debb* essere
tolta, a dir proprio, secondo il
valore
che a questa parola danno gli
Scozzesi. (Vedi Jouffbot, (Euvr,
compi,
de T. Eeid, Tol. I, Préface,
p. CCXVIII),
nottampoco poi nel senso
Tolgare
ed empirico, altrimenti contraddirebbe airintera
dottrina psicolo-
gica del
nostro filosofo. II percbò se il
fatto della percezione pel Vico ò
primitiro
nel rispetto cronologico, non è tale
sotto il rispetto logico. Ella
importa
necessariamente un fatto anteriore; il
fatto originario della Mente,
mente
spiegata e quindi ritorno del giudizio
e però sil-
logismo; ne
segue che il principio originario, rispon-
dente al
risultato finale, ha da esser la
mente, ma la
inente
non {spiegata, bensì la mente potenziale,
rudi-
mentale,
incoata. In altre parole, debb' essere un
giu-
dizio; ma
un giudistio fatto senea riflessione.
Laonde la
percezione,
comecché paia la più semplice ed
elemen-
tare fra
tutte le facoltà, non pertanto è anch'
ella di
natura
complessa. È tale, cioè, che importa
inevitabil-
mente un
giudizio primitivo, giust' appunto perchè
tro-
vasi anch'
ella, non già fuòri, anzi dentro al
circolo psi-
cologico.
Cosi dunque, giova ripeterlo, le tre
discipline
che
studian k) spirito sotto i tre
possibili aspetti, cioè,
!•
come facoltà, forza, causalità; 2« come
prodotto, ef-
fetto,
risultato; 3« come relazione, e perciò
come sub-
bietto
di leggi necessarie, formali, universali :
tutt' e
tre
queste discipline, diciamo, convergono ad
una me-
desima
conclusione; la necessità, cioè, d'ammettere
un
centro
comune, originario, indipendente e superiore
alla
biologia,
nel quale risalga non pur l'origine
delle fa-
coltà
psicologiche, ma la primordiale sorgiva
altrem
delle
produzioni del pensiero in generale.
Ciò
posto, qual' è la natura della mente?
Qual' è la
costituzione
intima di quella cellula madre (ripetiamo
il
paragone)
entro cui sta il gran segreto del
problema psi-
cologico, e
perciò di tutte quante le morali
discipline ? '
Se la
mente è giudizio fatto senea riflessione,
la sua
natura debb'
esser quella d'intuizione, d'appercezione,
di
visione immediata, di conoscenza diretta e
spontanea,
la
quale, determinandosi nella riflessione,
s'incarni e
s'attui
come processo psicologico, logico, ideologico.
Dunque
è il giudizio fatto senea riflessione
quello che poi
*
Neanche ai Positivisti può sfuggire la
grande importanza del pro-
blema in
discorso. Con Fusata penetrazione St. Mill
afferma: « Quando
noi
tappiamo ciò che un filosofo considera
come rivelato neUa Goecienza^
noi
già abbiami) la chiave della sua
metafinca. » — {La PhUosophie de
Hamilton,
trad. Cazellen, 1869, p. 127.)
diventa
scienza: è la Mente queUa che diventa
Magione
spiegata:
è il i^oùc potenziale che diventa
NoJc attuale
e
riflesso. Ecco il valore, il significato
che noi porgiamo
alla
dottrina aristotelica del doppio intelletto.
Al qual
proposito
ci sia permessa un' osservazione storica.
Ci
guarderemo bene dall' entrare nelle
interminabili
dispute
su r intelletto, e voler ponderare le
svariate sen-
tenze degli
Aristotelici che per si lunghi secoli
hann' af-
faticato la
mente d' infinito numero di critici, di
storici
e
d'interpreti. La dottrina più duttile, più
ambigua, fra
tutte
quelle dello Stagirita, dicemmo esser la dottrina
psicologica.
Non v' è stato interprete il quale
non l' abbia
tirata
a sé mettendo fuori, com' è noto,
buon gruzzolo
di
testi a proprio favore. GÌ'
iperpsicologisti, per esem-
pio,
attaccandosi alla celebre frase della mente
ventUa
di
fuora, la traggono al Neoplatonismo, all'
Alessandri-
nismo,
all'Averroismo.* Gli empirici, al contrario,
a
cagione
della famosa tavola rasa, lo tirano
al materia-
lismo, e
al sensismo più o men grossolano.*
Contesti
dunque
si concluderà ben poco. Anche noi,
per esempio,
saremmo
pronti a metterne fuori parecchi, e
volgerli
ai
nostri sensi. Ma la quistione qui non
è d'esegesi.
' Il
pensiero d' Aristotele, a tal proposito, è
por troppo chiaro : Nel-
Vuotno
V irUeUigenaa, il f^où^, viene ad
aggiugnern al $en%o come dal di/uora
ed è
divino: ).g«7rtTat $i tÓv voùv /iao'vov
5v^a5«v inttvtévw xa«
^stov
eivae /xovov. (De Oener. An., II, 8.) Nondimeno
può essere in-
terpretato
benignamente. £ benignamente possiamo interpretare,
per es., la
sua
mente in potenza che contiene tutte
le specie (xaì Swafiei tocovtov.
De
Anim., Ili, 4). Benignamente altresì la
dottrina del suo Senso generale :
Ev
éxdvrrì '^oip tov ovtoc xoLTviyopia. ivri
rò avoéXo^ov, »j
SJJQv
èv fjirìy,ei^ outcj^ ev o^aTSC rò
ófia.'kòv^ t(T^i fiv dptBfità
to'
ae/oiTTo'v, sv $s XP°? "^^ Xevxóv. (ifttopA.,
XIV.) Quanto al Not?^
venuto
di fuora veggasi V interpretazione cui
accenneremo più in giù.
*
Anche qui è chiara la celebre
sentenza aristotelica nel De An. Ili,
4.
Ma
anche qui si può e si deve
interpretarlo benignamente ; perchè se la
tavola
rcua d* Aristotele fosse né più né
meno che la etatua condillachiana,
con
quella sentenza lo Stagirita avrebbe
apertamente contraddetto ad altre
aifermazioni
che ci dicon tutt* altro. (Gfr.
De An. 111,4, b. — Anal. poeL^
I.
2,8. — JIfótapA. I, VII, 4.) Vedi
pure le sentenze raccolte dal Rosmini
in
proposito. {Nmo, Sagg,^ lib. I e II.
— Ariet. c«p. ed eeam^ lib. I.)
bensì
di correzione. Bisogna correggere
nell'Aristoteli-
smo i
due estremi e contrari indirizzi mercè l'
indirizzo
che
appellammo medio, 11 primo difetto degli
Aristo-
telici,
quant'alla ricerca psicologica, non istà
nell'avere
spartito
r intelligenza in due ; ma sì
nel tion aver ap-
plicato
anche in ciò la dottrina della forma
e deUa ma-
teria. Il
Noùf passivo, nell'organismo psicologico, ha
ragion
di materia^ essendo di sua natura
indeterminato
e
confuso. Il Nov; attivo, invece, ha
natura di forma^
essendo
un atto, o meglio, una potenza che s'
attua.
Non è
egli dunque un medesimo soggetto, comecché
sia
guardato
in due momenti diversi?* Altro difetto
è quel
porre
il voù; potenziale come comunicante col
senso, e
renderne
affatto indipendente il vovc riflesso. Ora,
piii
che
all'uno o all' altro intelletto, il
senso a noi sembra
necessario
al passaggio dal primo al secondo:
talché,
implicato
nel processo psicologico non in quanto
oggetto
né in
quanto soggetto ma qual semplice mezzo,
é lecito
considerarlo
com' estraneo al Noù? potenziale, e
quasi a
lui
sopravvenuto.*
* A
questo medesimo difetto tiene qnell* altro
d* attribuire qualità
essenziali
diverse ai due intelletti (\pv;^ììc 7SV0;
ff t5/oov, De An. II, 8),
e
talora anche origine diversa (//*., 1.
Ili, 5).
* Si
vede perciò come per noi cotesto Nou?
possibile faccia ogni cota
in
quant* ò condizione universale, principio
immediato e fondamento del-
J*
intero organismo psicologico, logico e
ideologico : mentre il NotJc attuale
*t fa
ogni eotay in quanto che, producendo
idee e concotti, fa e produce
so
stesso, fa e riproduce la natnra, e,
mediante la scienza, fa e riproduce
perfino
TAssoluto rendendo così a Dio la
parigliay per dirla con una delle
potenti
frasi del Gioberti. Però V intelletto
potenziale ò pattivo; passivo nel
senso
che non è facoltà, nel senso che
non si fa, ma che è fatto,
fatto dalla
natura,
corno diremo fra poco. L* intelletto
agente, per contrario, è attivo
perchè
si fa; perchè, a dir proprio, è
facoltà. E poiché non può farsi e
deter-
minarsi ed
attuarsi tranne che specificandosi, perciò
il Nove attivo non può
non
esser necessariamente numero, multiplicità,
varietà di facoltà, e quindi
essenzialmenteprocesso.—
Macome il NotJ; potennale diventerà attuale
f
Non è
necessaria la luce difuora che lo
determini? — Non è necessaria. Al
ripiegarsi
della Mente, al geminarsi del Noù?
potenziale, bastano due con-
dizioni; una
intima allo spirito, e però efficiente;
Taltra t^teriore e materiale.
È
necessario, cioè, 1° un conato novello
dello stesso spirito ; il che è
possibile
essendo
egli per propria essenza un'attività
incessante, intrinseca, sponta-
nea :
2<* un snssidio, il sussidio del
senso, della percezione empirica, del-
Pertanto
il Noù; potenziale presenta due caratteri
fra
loro
opposti e contrari. È indeterminato
rispetto al Noù;
attuale;
ma è altresì determinato, in quanto
che possiede
un
oggetto. Qual'è quest'oggetto? Quello che
il Vico
appella
luce meta/isica, vero metafisico: sonanti
frasi che
non
dovrebbero far paura a' nostri lettori,
perchè quan-
tunque
cotesta luce metafisica di cui parliamo
sia l'og-
getto
primitivo del j^ensiero, non ci ha
che vedere con
gli a
priori del Neoplatonismo. Ella serba la
mede-
sima natura
del pensièro, perchè è lo stesso
pensiero,
ma
colto nella sua indeterminatezza. Perciò è
forma
formarum,
somigliante alla luce fisica di cui
possiamo
aver
notizia solo mediante un mezzo opaco
e formato
che
valga a rifletterlo.*
r
esperienza. Il ìiovi attuale quindi non
fa che travagliarsi perpetuamente
attorno
air una e ali* altra condizione, e
produrre la scienza. Si travaglia
intomo
alla prima, perchè la mente, affermazione
per eccellenza, è il germe
vivent-e
della scienza e del principio di
contraddizione eh' è fondamento
d'ogni
dimostrazione e d'ogni assioma (fvVsi yàp
àpx^ *^^ ^wv
aXXov
cc^cu/xaruv auT>? aavT6)v, Met. 1. III).
E s'aggira poi attorno
alla
seconda, cioè al senso e all'
esperienza, perchè dee verificar la prima,
cioè
dove inverare il principio, o, eh' è
il medesimo, dee convertire il vero
col
fatto^ il voù; potenziale con l'esperienza.
Perciò il voù; attuale è la
conversione
per antonomasia, massime quando assuma
valore di Ragione,
Perciò
stesso la scienza, diciamolo anche una
volta, non può essere un
magistero
deduttivo, nettampoco un artifizio meramente
induttivo.
* e
Metaphtfatei enim claritat eadem eat numero
ae illa lueÌ9 quam non
nin
per opaca cogno»eimu». Si enim in
clathratam fenestram qua lucem in
aedee
tuimittitf intente ac diu intueari» ;
deinde in eorpue omnino opacum
aciem
oculorum eonpertae; non lucem «ed lucida
ckuhra tibi videre videaria.
Ad hoc
imitar metaphtfeieum verum illustre c«(,
nullo fink ooNOL0Drr(TR,
NTTLLA
FORMA disorrnitur; quia est infìnitìim
omnium formorum principium :
phy9Ìea
mtnt opaca, nempe formata et finita
in quibu» metaphyeid veri lu-
men
videmue. {De Antiquie, c. Ili, § 8.) Come si
vede, anche in ciò il Vico
non fa
che inverare l' Aristotelismo. Che in
Aristotele infatti ci sia il con-
cetto del
Noùc potenziale come noi l' intendiamo, e
però anziché passivo,
come
parrebbe, sia fornito anch' egli d'
attività stantechò possieda un
oggetto
somigliante alla luce che fa essere
in atto i colori, si può vedere
dalla
seguente sentenza: xa< c;iv 6 fiìv
toioùto^ voùc, tm Travra
yiyvtiBony
6 aev, tm TravToe Ttocsèv, w; i^ic
tcc, oiov to ftc^'
TjOoVov
yàp Tcv« xai tÒ ^oSc noist ra
^uvaucc ovra j^^ow/xara
syspystoe,
;^pw^aTa. {De An. III. e. V.) Ma il
carattere di tale obbietto
anche
per Aristotele è sempre quello d'essere
indeterminato: cv^ov ìttcv
Or
donde viene e dave va cotesta luce?
Come sus-
siste nel
pensiero?
Bispondiamo
rapidamente e senza molto imboscarci
in
arzigogoli ideologici e scolastici. Per noi
la mente è
intùito;
e l'intùito, è, per così dirlo,
l'ultimo atto, o la po-
tenza finale
di natura, del senso, della vita.
Adunandosi
e
quasi raccogliendosi nell' organismo le
naturali effi-
cienze
generano l'individuo. È dunque necessario
che
l'atto
finale di cotesta genesi, il momento
estremo di
siffatto
processo onde rampolla l' individuo come
tale, sia
luce
metafisica, intuito : un atto, cioè,
la cui potenza sia
la
stessa natura, ma la natura unificata,
la natura fiotta
una.
Ecco perchè pensiero e natura, giusta
la bella sen-
tenza del
vecchio filosofo, son come l' analisi e
la sin-
tesi
procedenti in senso contrario; * onde
il fine dell'una
non
può non esser principio dell' altra.'
Ma se la na-
tura è
forza, cioè soggetto essenzialmente dinamico,
non
è
mestieri che anch'olla sia intelligibile? '
— Se non che
iytpytice.
twv ovtuv npiv voeoSv {Metaph., VI,
7.) Ed è indeterminato
non
essendo altro che \& tpecìe in poteruta
{^SvvifAtt ra ttiri)^ a luogo
della
tpeeie (tÓttov c(^(Cv) Ibi»
*
Aribt. MeUpb. VU, IX.
•
Oa^vsrai to' ia/^axov «v r^p oèvaXuo'cc
tsptirov ecvat tv
TTf?
'VffvcVci. Eth. Nie. III.
'
Prendiamo la parola irUdUgibiU nel
significato aristotelico, cioè
come
essere dello cose, come essere determinato
(tò t< iv ccvac)i ma
spoglio
di materia tuttoché non isfornito di
potenza, secondo la nota
distinzione
deirAquinate. Non è quindi intelligibile in
qaant*è puramente
ideale,
possibile e insussistente, secondo che ama
interpretarlo il Bosmini;
mainquanVèideale
e reale insieme, sussistenza; anzi la
sussistenza del
reale
per eccellenza, e però propriamente
intelligibile: ^iy^ Si ouViav
aveu
uXy}c, to ti ivt (voci. (IfetopA.,
VI, 7). Perciò la dottrina compiuta
dell'intuito
parmi debba farsi consistere neir accordare
due cose ; !<> la mente
in
potenua d'Aristotele, 2** V ettere ideale
del Bosmini; ma levando 1 difetti
che
certo non mancano nelle loro dottrine.
Difetto d'Aristotele, come avver-
timmo, ò
la mente che vien difuora. Difetto
del Bosmini, poi, è V immobilità
originarla
e la presenza non legittimata del suo
Ente poetibile dinanzi alla
mente.
Anche per noi la mente vien di
fuori ; ma questo di fuori è la
natura
in
generale. È un di fuori nel senso
eh' ella serba intimi vincoli con la
natura
e col sensibile, e sorge per virtù
propria, ma col mezzo del sen-
sibile. Tal
si è l'interpretazione che potremmo dare
a questa celebre frase
aristotelica,
nò ci mancherebbero testi in proposito
per confermarla; tanto
la
natura non può essere intelligibile in
quant' ò sem-
plice
realtà, ma in quant' è potenza attuosa,
conato,
processo,
divenire. Or in che maniera potrebb' esser
tutte
queste cose ove non includesse una
legge, un ritmo,
una
misura, una forma di moto, un moto
ordinato? Che
s'ella
è per sé stessa intelligibile in
quanto che espli-
candosi
mostra sé medesima e si fa intendere
; eviden-
temente non
potrebbe fai-si intendere ove non impor-
tasse tre
condizioni, ciò è dire un principio,
un mezzo,
ed un
fine. Se dunque la natura è potenza
attuosa e
quindi
per sé stessa intelligibile, ha da
essere altresì
))otenzialmente
intelligente. E sarà intelligente attuale
ove
quelle tre condizioni siano insieme
compenetrate
in
unità: quando, cioè, il principio sia
soggetto, il fine
oggetto,
il mezzo relazione.
Che
cos'è dunque lo spirito nell'atto suo
radicale,
nel
suo momento originario?
È soggetto,
oggetto e relazione: pensante, pensato
e
pensiero. Però l' intima sua struttura è
insieme dua-
lità e
unità, difi'erenza e medesimezza, e quindi,
come
si
disse, triplicità; ma triplicità sotto
forma di sintesi
iniziale
e confusa. Ne segue perciò che l'
intuito, la
mente,
il NoJ; potenziale altro non possa
essere, per
noi,
fuorché il momento istesso in che la
natura di-
venta
pensiero; il momento per cui l'anima
attinge
forma
e sostanza d'intelletto. Ora il primo
pensiero
non
potrebb' esser triplicità, non potrebb'
esser sintesi
primitiva,
quando non fosse V intelligibile divenuto
al-
tresì
intelligente. Dunque la Mente è la
natura in-
carnatasi
come individuo; l'intuito è l'individuo
che,
trascendendo
sé medesimo, assume valore di coscienza.
più
che interpretazione somigliante ne dettero
alcuni aristotelici del Rina-
scimento,
fra cai meritano d* esser menzionati
il Porzio e lo Zabarella
come
quelli che considoramno la luce
intelligibile quasi di8»eminata tuHle
/arme
materiali^ e Dio come influente sa V
irUdletto potnbihf non in
quanto
intéUigente, ma solo in quanto
intelligibile. (Vedi Kosmini, Peieol,,
voi. I
— Ddle Sentenze de' FU ec, XX.
— Rinnooam. h. II, LUI.)
Possiamo
dire perciò che cotesto Noù? potenziale
ci
renda
immagine della testa di Giano. Con
una delle sue
facce
ccrtesto Giano guarda al processo della
sostanza;
guarda
alla natura in quanto piglia valore
d'individuo:
dovechè
con l'altra inaugura, geminandosi, il
processo
psicologico,
del quale son due forme essenziali il
processo
sociologico,
e il processo storico. Se non che,
lasciando
per
ora del processo della storia e della
sociologia, im-
porta notare
come dalla costituzione primitiva del pen-
siero,
secondochè noi l'abbiamo designata, emergano,
fra le
altre, alcune conseguenze risguardanti l'essere
individuale,
l'origine e'I fine dell'anima. lUfacciamoci
dalla
prima.
La
triplicità originaria, o, eh' è il
medesimo, il se-
creto
vincolo fra oggetto e soggetto, costituisce
la ra-
dice prima
della individualità, e però il fondamento
cardinale
della libera determinazione. Se infatti il
N^uc
potenziale
è due cose e non una, cioè
mente e luce, ne
segue
che in quant'è niente è soggetto; e
come soggetto
non
può-non esser reale, moltiplioe, diverso,
individuale:
in
quant'è luce, poi, è oggetto; e come
oggetto deve ser-
bar
carattere indeterminato, comune, universale. Ora
il
concetto
di persona risale appunto al connubio
di que-
sti due
elementi primitivi. E invero, come mai l'
in-
dividuo potrebb'
esser in-dividuo se non fosse ogget-
to, fornito
perciò della nota d'universalità? E come,
d'altra
parte, potrebb' esser davvero universale ove
non
fosse nello stesso tempo un soggetto
concreto, vi-
vente,
particolare? Il particolare è il fatto;
e al pari
del
fatto e' sarà vero, quando assuma
valore universale,
non
ismettendo d'esser particolare. Similmente l'uni-
versale è
il vero; e al pari del vero
sarà un fatto,
quando
rivesta, anche come universale, natura di
par-
ticolare. La
conversione del particolare e del generale
non
può farsi che nell'origine stessa del
pensiero. Or
se
tutto ciò è indubitato, come potranno
salvarsi dal-
l'errore più
esiziale all'umano consorzio, eh' è l'annui-
lamento
del vero concetto di persona, tutte
quelle di-
verse
famiglie di filosofi che altrove riducemmo
ai due
indirizzi
estremi del? Aristotelismo? Gli aristotelici
em-
pirici e
naturalisti e positivisti, infatti, distruggon
la per-
sonalità
perchè negano il Nou; potenziale come
diverso
dal
senso; perchè lo riducono al senso.
Ma la distrug-
gono altred
gP iperpsicologisti antichi e moderni, cioè
gli
Averroisti e gli Hegeliani: i primi
perchè separando
i due
elementi credono il soggetto abbia a
partecipare
deir
oggetto posto fuori e sopra dell'individuo
; i secondi
perchè
fanno assorbir l'individuo entro a
quell'oceano
immobile
e sconfinato, ch'essi addimandano Spirito
Uni-
versale. La
quale affinità di risultati non avrebbe
a
recar
meraviglia, chiunque sappia come la
dottrina del-
l'in^eZZ^^
agente, e l'altra non meno speciosa
dello
Spirito
Vniversàlej rappresentino, sotto forme diverse
di
speculazione, T Ipeppsicologismo aristotelico.
Da
questa prima conseguenza poi nasce una
seconda di
massimo
rilievo. Posto il Noù; potenziale non
già come
passivo,
anzi come fornito originariamente d'attività
spontanea
in quanto che nella sua nativa
indetermina-
tezza è
pur determinato da un oggetto; si
riesce a schivare
così
quell'errore supremo a cui rompono, per
vie diverse,
i
suddetti filosofi seguaci de' due opposti
indirizzi aristo-
telici, e
che riflette i destini dell'anima e
dell'umana per-
sonalità. Se
infatti nella mente, nel NoJc potenziale
ri-
siede la
ragione della individualità e quindi la radice
prima
della personalità, ne segue che lo
spirito, essendo
coscienza
originaria e quindi soggetto superiore
all'orga-
nismo, non
può, tuttoché sgorgato dall'organismo, finire
così
come finisce la funzione organica. Se
l'organismo,
come
dicemmo, è numero che diventa unità,
o meglio,
unione
d'indole dinamica (p. 316), è chiaro
com'ei non
possa
altrimenti finire, salvo che disgregandosi
e trasfor-
mandosi. Il
suo fine è semplice ritomo; è ritomo
pro-
priamente
detto : il suo progresso è regresso
nel signifi-
cato di
monotono rifacimento. Per contrario lo
spìrito
è
unità e numero sin dal momento
ìstesso eh' egli è
pensiero.
Dunque non può altrimenti finire fuorché
attuandosi
vie piii e compiendosi come individuo,
come
coscienza,
anziché annullandosi come tale per vivere
in
grembo
all' universale d' una vita che non é
vita. Il suo
finire
non significa ritornare, ma persistere. 11
suo pro-
gredire non
è regredire, ma incessante determinarsi.
Non
è
insomma un monotono rifarsi, un ripetersi
come la
specie:
é uà perpetuo farsi: un perpetuo
rinnovellarsi
dell'
individuo in sé, e per sé medesimo.
Che sia così,
ce ne
fa capaci T essenza stessa del
finito, delle forze,
della
natura. Perché, davvero, se la natura
é conato
essenziale,
non verrebbe evidentemente a contraddire a
sé
medesima ov' ella non superasse il
senso e, trascen-
dendo il
fantasma, non se ne distaccasse
rendendosene
indipendente?^
* A
questa maniera di prora intende accennare
Platone dove afferma
che r
immortalità non è nò un eato di
cui saremmo felici ore ci toccasse,
nò una
aperanM della quale è pur bollo
lusio^^are noi medesimi: x3c).oV
7a/9
o' xtv'Tuvoc, X3tì jr^vj rà roiavra
tò^mp ffTroé^scv eaurù.
{Fed.^
ed. Stallbanm, p. 42.) Che se altri
ci chiedesse notizia su la pecnliàr
forma
della nostra esistenza sovramondana e sul
modo con che il NoJ;
attuale
sarà unito con T Assoluto, noi
risponderemmo francamente di
non ne
saper nulla. WpoaithOfW razionalmente poA/etVo,
in siffatta quistione
in che
consiste? Consiste in ciò; che il
Noù; attuale, in quanto pienezza
di
coscienza e di personalità, finisco di
necessità neir Assoluto, cioò
finisce
col non finire; e quindi il soggetto
j>of<>«»ùifmeiUe tn/ìntro, qual si
è
appunto lo spirito, non può finire
come finiscon gli altri soggetti finiti,
i
quali
finiscono appunto perchò non sono propriamente
aoggeui. Orda cotesto
pentivo
si dipartono tanto coloro che nella
soluzione di siffatto problema ci
vogliono
dar troppo, quanto quegli altri che
finiscono col non darci nulla
addirittura.
Escon dal positivo razionale o fecondo,
per cadere nel dom-
matico
tradizionale, i Teologistt col loro
inferno, paradiso, purgatorio,
eternità
delle pene, e che so io. Escon
parimenti da questo positivo, per
cadere
neira priorinno dommatico e sistematico .e
nel Nullismo, gli
Hegeliani
con la teoria dell* individuo accidentef
fenomenico e pataeggiero,
£d
escono finalmente dal positivo gli stessi
Positivisti per cadere nel ne-
gativo, sia
che dicano col Littré esser davvero
impossibile indovinar nulla
intomo
a siffatto problema, sia che affehnìno
col Feuerback di saperne
ogni
cosa quando sia risoluto co* principii
dello schietto materialismo.
31a
sopra questo tema ci rifaremo altrove.
Qui ci basti d'aver accennato
ad una
maniera non troppo usata di provare
la immanenza necessaria
della
personalità come coscienza individuale.
Questo
quant'al destino dell'anima umana. Che cosa
potrà
dir la filosofia positiva nuant' all' origine
sua?
Tutto
nell'ordine psicologico move dal senso; ma
nulla
non può nascere per ragion del senso.
Se lo spi-
rito è
essenzialmente pensare e giudicare, e
quindi,
come s'
è detto, luce metafisica, intuito, mente
e però
triplicità;
ne conseguita ch'ei nasce a sé
stesso, ch'ei
genera
sé stesso come pensiero. Ecco il vero
significato
dell'
innatismo, dell' idee innate, dell' innate
facoltà.
Questa
conclusione, circa l' origine psicologica,
contrad-
dice, al
solito, tanto al Materialismo che non
sa ele-
varsi più
oltre delle pure leggi meccaniche, quanto
a
quell'astratto
e nebuloso Spiritualismo che, incapace di
scendere
nel regno de' fatti, non sa penetrare
nell' espe-
rienza, ed
alimentarsene. Però la filosofia positiva,
nel
problema
su l' origine del soggetto psicologico, non
vuole,
non
può accettare il principio della
trasformazione
della
materia come pretendon gli aristotelici
empirici
rappresentati
oggidì dagli Hegeliani di parte sinistra
; e
non
può del pari accettare il principio
(pur ridotto a
forma
squisitamente razionale e metafisica) d'una
crea-
zione
estrinseca, immediata, superiore, secondoché sti-
mano, il
tomista, il teologist^, l' averroista, il
neoplato-
nico, r
ontologista. Dottrine ipotetiche entrambe, elle
non
sanno reggere al martello della critica.
La prima
riesce
insufficiente a spiegare il fatto del
penciero: la
seconda
torna inutile a legittimarne la natura.
Tra il
senso e V intelligenza ci ha intimo
nesso ; ma
ci ha
da essere pure indipendenza e diversità.
Anche
qui si
verifica ciò che ha luogo attraverso
a tutti i dif-
ferenti
gradi della scala de' sommi generi cui
si riducon
le
forze di natura: si verifica, vo'dire,
quella doppia
legge
che altrove appellammo della continuità
ideale^ o
degl'
intervalli reali, Havvi continuità perchè,
posto il
senso,
posta la natura, è possibile, anzi è
necessario
l'intelletto:
si che può dirsi che dall'uno
scaturisca
l'altro.
Ma ci è pure intervalli, perocché se
l'intelletto
germina
dal senso, o meglio nel senso, non
per questo
potrà
esser lecito confonderlo col senso. Ci
spieghe-
remo
brevemente.
Dicemmo
come l'esigenza massima, il principio che
qualifica
V Aristotelismo sia quello che si
riferisce alla
relazione
tra la potenza e Tatto. Gli Aristotelici
empirici
(per
esempio gli Hegeliani di parte sinistra),
ci dicon
che la
potenza diventa atto; e, applicando
siffatto pnn-
cipio
alla psicologia col fine di determinare l'
attinenza
fra
l'anima e '1 corpo, affermano che
l'anima debba
rampollare
dal corpo in forza della leggQ del
diventare.
Che
cos' è per essi il diventare? È
il to 7$ vo? tolto in
significato
al tutto empìrico e sperimentale; il
quale
perciò
vuol dire trasformazione, generazione,
ripetizione
e
quindi passaggio incessante (attraverso infinito
nu-
mero di
forme) d'un soggetto identico, d'un
fondamento
universale
ma concreto e sensato, qual è appunto
la
Materia.^
Gli Aristotelici
iperpsicologisti poi (fra' quali sono
d'annoverarsi
gli Hegeliani di destra), ci dicono
an-
' È
questa la teorica propugnata, come altrove
toccammo, da* moderni
Materialisti
tedeschi. Essa, com' è noto, è
rappresentata dal Feuerbach, è
divulgata
e sostenuta con incredìbile superficialità
dal Di' BUchner (Foror
ei
Matth-e, trad. Gamper, Leipzig 1868. Science
et Nature etc trad. De-
landre,
Paris, 1866), ed è applicata dal
Moleschott alle scienze fisiologiche.
Ho
appellato Arùtoteliei empirici questi moderni
materialisti usciti dal
fianco
sinistro doirHegelianismo, perchè davvero
considerati st>orlcamente
e* non
fanno che svolgere V indirizzo naturale
deirAristotelismo. Bel qual
fatto
hanno coscienza essi medesimi, segnatamente
il Moleschott, il più
ingegnoso
fra tutti, quando afferma che Vunion
de laphilosophie et de la
acience
ne e^eH rialieée qu'une foie don»
ArÌ9tote, {La Oirculation de la
Vie,
Paris 1866, t.I,p. 10.) Ora s'intende
agevolmente comò pel Moleschott
questo
connubio della Filosofia con la Scienza
nella mente dello Staglrita
si
compiesse tutto a scapito della metafisica.
Aristotele, egli dice, è co-
noscitore
delle .opere d* arte, degli uomini e
degli animali [Ibi). Eviden-
temente il
dotto fisiologo riconosce in Aristotele
l'autore d'una Bettorica,
d' una
Storia degli animali, e degli otto libri
su la Politica. Ma perchè
dimenticar
r autore della Ptieologia, della
iSi'HoywKca, dell' £Wea e segna-
tamente
della Metafisica t Non è vero dunque
che T Aristotelismo de' Po-
sitivisti,
do' Materialisti e degli Hegeliani di
sinistra è addirittura falso,
erroneo,
mutilato storicamente o teoreticamente V
ch'essi
che ìsl potenza diventa atto; ma il
loro diventai^e,
anziché
grossolana ed empirica trasformazione, è,
per
cosi
dire, un' addizione ideale, cioè posizione
e contrappo-
sizione,
determinazione, individuazione progressiva, ma
d' un
soggetto unico, universale, intimo, trascendente,
assoluto,
eh' è appunto l' Idea.^ Ora il soggetto
del di-
ventare,
tanto per l'empirismo quanto per
l'iperpsico-'
logismo
aristotelico, cioè tanto per la sinistra
quanto
per la
destra hegeliana, è sempre uno, sempre
iden-
tico a
sé stesso, chiamisi Idea, chiamisi Materia.
Ecco
dunque
la ragione per cui ne' risultati,
massime nella
soluzione
del problema psicologico, le due scuole s'
ac-
cordano a
meraviglia. Di fatto, l'anima' per gli
uni
na^e
dalla materia, è materia, e finisce
nella materia:
per
gli altri nasce in virtù dell' idea,
è l' idea, e finisce
nell'Idea.
Qual è dunque il fine supremo
dell'anima? Non
altro
che un ritomo, un estinguersi nell'
Idea, o nella
Materia:
ecco tutto. L'intima parentela tra il
Positivi-
smo e
r Hegelianismo non potrebb' esser più
evidente I
Seguaci
dell' indirizzo medio dell' Aristotelismo,
a noi
pare
che l' interpretazione legittima della sentenza
ari-
stotelica in
discorso non sia questa, che cioè la
potenza
diventi
atto; ma quest' altra, che la potenza
passi ad
essere
atto. Se non fosse così, tutto
affogherebbe sotto
il
pesante domma dell'identità assoluta, né vi
sarebbe
differenza
di contenuto fra le cose in generale,
e nem-
manco
fra il senso e l'intelletto in
particolare. Or se
questo
fosse, anziché progresso avremmo processo;
e
' La
materia e la forma, la pot&Ma e
V atto, la forma e il contenuto,
non
ooetitHÌacono altro che due momenti
deWIdea, (Hbgsl, Log., Tol. I,
§ XUI
e segg. Vedi anche neir Introd. del
Vera, Cap. XII, XIII.) L* Idea
perciò
s* occulta eeaenxialmenu in entrambo i
momenti ; con questo sem-
plice
divario, che nell* atto essa è piìi
determinata, più individuata, più
enudeata
(direbbe con parola significantissima Vittorio.
Imbriaui) di quel
che
non sia nella materia e nella
potenza. Dunque, io concludo, la difTe-
renia
non istà nel quali, ma nel qoaktvm
; e perciò diventare non altro
Tale,
a dir proprio, che traeformanL Ecco
il punto di coincidenza de* due
estremi
indirizzi aristotelici; ed è pur quello
nel quale per logica necessità
debbono
consentire (checché se ne dica) la
destra e la sinistra Hegeliana.
quindi
monotonia, eterno e indefinito cangiamento
di
forme.
Tutto quindi si ridurrebbe ad un
meccanismo
materiale,
ovvero ad un meccanismo ideale; e
leggo
universale
del mondo sarebbe o la necessità
empirica e
fisiologica,
ovvero la necessità dialettica : fatalismo
cieco
nell'
un caso come nelF altro. Invece l'
essenza del pro-
cesso
cosmico per noi, come vedremo, sta
nel canato
secondo
eh' è inteso dal Vico. Ma come
il conato po-
trebb' esser
conato ove non includesse l' intervallo, la
diversità
vera, cioè la diversità di contenuto?
Conato
è
passaggio nello stretto senso della parola
(irjìpytx
otTf)>?;);
è transito, non trasformazione; eduzione
(edu*
dio entis
ad a4ium) ma eduzione intrinseca, e
quindi
conversione
del fatto ìid vero, cioè dire
conversione
della
potenza nelP atto , creazione intima ,
creazione
spontanea.
La potenza dunque recasi ad atto non
in
quant'
è potenza , ma in quanto cessa d'
esser po-
tenza, e
passa ad esser atto; cioè in quanVè
potenza
feconda.
E come potrebb' esser feconda (tò ^warov),
ove
non
fosse privajsfione («rrf/jvjTc;)?» Or tutto
ciò, come
sarebb'
egli possibile senza la doppia condizione
della
continuità
ideale e dell'intervallo reale?
Torniamo
all' assunto. L' intelletto nasce dal senso
:
è
vero. Ma forse che nascere vài
risultare? Se così fosse,
r
intelletto non essendo altro che un
risultato, starebbe
rispetto
al senso così oomQ precisamente nella
storta
del
chimico sta un sale rispetto agli
elementi onde
risulta,
cioè all' acido e alla base. Or
questo (chi noi
'
Questo è il senso che noi diamo
al principio aristotelico della pn-
«astone.
{Metaph., l.IX.) Anziché principio negativo^
la pr«ea«i<m«ò principio
essenzialmente
affermativo; e così la interpretarono gli
Alessandrini, se-
gnatamente
Proclo e Plotino, come osserva il
Michelet. (Kxam, ec.,
p.
298.) Ed è affermativo in quanto
include necessariamente il diverto;
il
diverso come tale, non già il diverso
come semplicemente oppoHo
secondo
che vorrebbe lo storiografo hegeliano.
[Ibi, p. 258.) Se in altro
senso
si volesse interpretare la privtmone, non
so come si potrebbe ri-
spondere
alle serie difflcoltà cho a questo
proposito affaccia il Rosmini
contro
lo stesso Aristotele. {ArÌ9t. e«p. ec,
p. 404.)
vede?)
è pretto sensismo. Vorranno accettare tal
con-
clusione gli
Hegeliani, maestri in Aristotelismo ammo-
dernato? E, accettandola,
in che mai si distingueranno
da'
Positivisti? Tra V Hegelianisrao e '1
Positivismo è un
breve
passo! L' abbiam detto, e lo ripeteremo
a sazietà.*
Dunque
non è il senso che come senso
trasformasi
in pensiero.
E non è la Idea che, quasi
immergendosi
nel
sensibile e straniandosi, ami celarsi nel
senso, nella
natura,
e farsene un mezzo attraverso cui,
passando,
giunge
da ultimo a rimirar sé medesima
specchiata nella
pienezza
del proprio splendore e chiarità. Il
senso è forza
che
s'attua; è conato che transita; è
natura che, sa-
lendo,
assume valore di pensiero : ma non
è Idea-Natura
che
diventi coscienza.* Piii chiaramente:
Videa per
' E
questo passo brevissimo gli Hegeliani lo
daranno, io ne son sicuro:
che
anzi non manca fra noi chi l'abbia
già beli' e dato. Il mio collega
professor
Fiorentino, per esempio, non dubita
scrivere con tutta se-
rietà, che
il «eiwo diventa riJUtnone in virth
della riprtizionb (frase di
schiettissimo
conio condillachiano) ; e che poi o(d
ripeterei si fieea^ ei deter-
mina, ti
epecchia.,., e in cotesto fieearù e««o
«« trae/orma, e la luce, inith
leniva^
impromieaj balena allo epirito. Ma, se
col ripetere »i tran/orma^
non è
proprio inatile qualunque /tK» improvvisa e
qual si voglia balenio f
Nascere
improwieof balenare^ e trat/ormarei, a me
pare contradizione. Del
resto
non potendoci intrattenere su ciò, noi
ci permettoremo di rammen*
tare
all'amico nostro le tanto belle e
tanto gravi e severe analisi del
Rosmini
in
proposito, massime quelle che si leggono
nella Psicolotfia (Voi. Il, od. No-
vara, LXXX);
e solamente per nostro conto poi
facciamo riflettere che, a
guardare,
con la speranza di qualche baleno, e
contemplare e ripetere per
secoli
0 secoli il senso per indi volerlo
trae/ormare e cavarne la specie, ù
tempo
sprecato addirittura. Il più perfetto
quadrumane, per esempio, ripete
U
tento infinito nnmero di volte. Or
bene, qual balenìo di luce ha mai
potuto
lampeggiare
agli occhi suoi? Perchè dunque il
senso, ripetendoti^ non si
tratforma
anche in lui? E se non si
trat/orma, non vuol dire che nel
senso
del quadrumane manchi qualcosa che devesi
celare necessaria-
mente e
primitivamente nel bimane? — Le riflessioni
che altrove abbiamo
fatto
contro il Littró a questo medesimo
proposito (p. 813 e segg.)
8'
attagliano benissimo anche agli Hegeliani
che con armi e bagaglio
passano
oggi nel campo de* Feuerbach e do'
Bilchner.
•
Netta tfera della «entibilità (dice Hegel)
»' incontra, eia come con-
tenuto,
eia come determinabilitàf tutti i momenti
pivi profondi dello spirito.
(Phil,
de V Esprit, t. I,p. 19, trad. del
Vera). E altrove: V Idea etema è
immanente
neUa natura, o, eh* è lo ttesso,
lo tpirito rieiede e agisce virtual-
mente in
lei. (Ibi, p. 87.)
noi
non riappare, bensì appare. Non è
potenza che
quasi
attergata allo spirito per dialettica
necessità in-
cessantemente
si sforzi, si determini, diventi; ma
è lo
stesso
conato di natura che si determina,
che procede,
che s'
avanza, e che per efficacia e yirtù
propria si fa
e
s'aderge a dignità di ragione. Però
non è vero che
r
anima sensitiva trasformandosi diventi
intellettiva e
la
generi; ma è vero che questa,
nascendo nella prima,
la
supera, la trascende, la signoreggia. E
neanco è vero
che il
conoscere cominci dal senso, col senso,
per il
senso;
ma è vero che lo spirito in
quanto è NoJ? po-
tenziale.
Intuito, Mente, cominci come senso, che
cioè
dapprima
si palesi come senso, appunto perchè
questo,
necessario
termine di mediazione, è dentro al
processo
psicologico,
e ne costituisce V inizio. E
finalmente, se è
vero
che il conoscere senza Y opera de'
fantasmi è im-
possibile; è
verissimo, d'altra parte, che tal
necessità,
anziché
al processo, è relativa all'origine della
cono-
scenza ;
per la solita ragione che, ove così
non fosse, lo
spirito
non sarebbe conato essenziale, né il
pensiero
sarebbe
attuosità vivace, intrinseca, spontanea. Il
pen-
sare non
sarebbe giudicare^
* Noi
non abbiam potato nò voluto intrattenerci
intomo a questo
punto
che ba importanza vitale nella moderna
psicologia, perchè ci sem-
l>ra
posto oggimai nella sua massima evidenza
sopratutto dal Rosmini. A
niuuo
è lecito dubitare della necessità d*una
forma oggettiva originaria
nella
sfera de* fatti psicologici. Con salde
ragioni il Kant ha dimostra-
to,
contr*ogni maniera d'empirismo psicologico, che
lo spirito intanto
pensa
in quanto giudica; e più ancora il
Rosmini ha posto in chiaro
che lo
spirito giudica appunto perchè è toggeito
e oggetto insiememente.
(Vedi
Nuo. Saggio passim. — Rinnowm,^ L. Ili,
e. XLVII. — Psicologia,
voi.
I, e. IX, X. — Introd, alla FU,
p. 74.) I difetti della teorica Bo-
sminiana
li accenneremo in quest'altro capitolo. Qui
osserviamo che in
tale
dottrina il filosofo italiano si ricollega
con san Tommaso, e, chi
volesse
andare più in su, anche con
Alessandro Afrodiséo, e quindi con
Aristotele.
Nello Stagirita infatti ò chiaro questo
principio: NotjtvÌ ^i
in
iTÌpcK. <j\fvroix,i(x. xad' awri^iV xac
radxvii in oucrta aptirn,
{Metaph,
XII.) Se
ciò nonostante il sensista, il positivista,
il materialista,
r
Hegeliano ainiairo, o come altrimenti
voglia chiamarsi, pretenda tuttavia
di
venir fuori con la solita macchinetta
del senso che ripetendosi e trat-
Dalle
cose discorse è agevole trarre una
conseguenza.
L' anima
non è creata di getto, come
pretendono vec-
chi e
nuovi platonici e certi aristotelici
iperpsicologisti;
ma
neanche si può dir eh' ella sia
pullulata per gradi,
quasi
a forza di pompa o di lambicco,
dal grembo stesso
della
materia, come pretendon i vecchi e
nuovi Ari-
stotelici
seguaci deir indirizzo empirico. L' anima è
for-
mata di
getto, è vero : se fosse altrimenti
non potrebbe
esser
pensiero per nessun miracolo al moi>do.
Ma nem-
manco
è presupposta al corpo, come dice lo
stesso Pla-
tone, 0
piovutagli addosso dal di fuori e
dall'alto in certo
mese e
in certo momento della vita intrauterina,
come
affermano
tomisti e teologi, senza dirci ne
come né
perchè:
e tanto meno potrebb* esser venuta fuora
e ve-
nir fuora
qual risultamento di leggi meccaniche e
fisio-
logiche.
L'anima è creata; o, per dir meglio,
l'anima
crea
sé medesima per una legge profondamente
dina-
mica che
si confonde e compenetra con l' essenza
stessa
della
natura e del finito. Perciò alla
domanda, se fra
l'anima
e '1 corpo come fra il sentire
e l'intendere oi
è
salti ed abissi, rispondiamo subito che
sì; ma tosto
aggiungiamo,
che, a colmare cotesti abissi e
varcare
cotesti
salti, né la psicologia positiva ha
punto biso-
gno d'
invocar V atto immediato d' un deus
ex machina,
né r
ideobgia ha mestieri d' un a priori
che, dardeg-
giando all'
anima il raggio dell' intelligibile
sovramon-
dano,
svegli ed ecciti in essa la virtù
dell' intelletto.
Questo,
e solamente questo, noi potevamo dire
'quan-
t' alla
genesi e quant' alla teleologia dell'
anima umana,
puntellandoci
unicamente (come s' é visto) su la
na-
tura dell'
atto essenziale, dell' atto radicale onde
vuol
esser
costituito il pensiero. La psicologia non
sarebbe
famMndoèi
bel bello diventa miracolosamente intelletto,
ignorando cosi o
facendo
le Tlste d'ignorare gli studi profondi
e le parti accettabili deUa
psicologia
Bosminiana; sì serva pure: noi non
istaremo a perderci
ranno
e sapone. Ma non sarà certamente
villania il dover dire di lui
con
Aristotele: ^uoeo; yixp f^fw o toiowtoc
y, toéoùtoc 'A^ril
davvero
positiva, non sarebbe razionalmente positiva,
quand'
ella presumesse di risolvere diffinitivamente,
doni-
maticamente,
sistematicamente questi due problemi, che
non
senza ragione il Leibnitz appellò
terribili. Ella, ripe-
tiamo, deve
saper contraddire a due estremi opposti
e
contrari.
Da una parte dee contraddire allo
Spiritua-
lismo e
al Materialismo; dall'altra al Positivismo.
Dee
contraddire
al volgare spiritualista e al materialista,
perchè
entrambi pretendono, tuttoché per vie e
risul-
tati assai
diversi, d'aver risoluto in maniera
invincibile
cotesto
doppio problema, mentre nel fatto l'un
d'essi
disconosce
il valore intimo, l'autonomìa dell'anima, e
l'altro
finisce per impugnanie perfino l'esistenza.
Deve
poi contraddire
al Positivismo, perchè questo, al solito,
non
volendo sapere di siffatti problemi, ne
dichiara im-
possibile
tal soluzione, e quindi inutile il
parlarne. Il
filosofo
seriamente positivo può fare qualcosa di più
che
non sappia il Positivista. Ma confessa
di non saper
giugnere
fin dove, con volo icario e fatale,
sanno spin-
gersi
materialisti e spiritualisti, empirici e
tradiziona-
listi,
hegeliani di destra ed hegeliani di
sinistra, mistici
e
ontologisti. I principìi della psicologia
positiva che
abbiamo
interpretato nell' autore della Sdenza
Nuova
ci
possono far capaci di determinare
siffattamente la
genesi
e la teleologia dello spìrito, da
chiuder l'adito
allo
scetticismo e al nullismo. Il che non
dovrebb' esser
poco,
anzi dovrebb' essere moltissimo, agli occhi
almeno
di
coloro che modestamente sanno e voglion
ricono-
scere i
confini del pensiero umano.
Abbiam
visto come la genesi del processo
psicologico
sia
essenzialmente genesi teleologica. Ella dunque
ci vieta
d'essere
scettici per sistema, ci vieta d'esser
nuUisti circa
il
sapere metafisico. Se il mondo della
natura e quello
dello
spirito, come altrove toccammo, sono
processo e
conversione,
stantechè il primo sia numero che volge
ad
unità e il secondo unità che, in
sé medesima attuan-
dosi, divien
numero ; anche 1' assoluto, serbando
mede-
simezza di
legge, ha da esser non altro che
conversione,
processo,
mediazione. È dunque possibile che la
mente
penetri
in qualche maniera nel regno delle
realtà me-
tafisiche.
Ma se la legge è comune, sarà
pur tale il con-
tenuto? Agli
occhi del modesto indagatore del vero
la
metafisica
è la scienza de' confini. Or questi
confini ap-
punto
ignorano tanto i Neoplatonici quanto i
Neoari-
stotelici
per opposite ragioni.
Di
fatto anche qui, e sopratutto qui,
navighiamo fra
Scilla
e Gariddi: siamo fra que'due soliti
estremi, come
si
disse, in che travagliasi '1 pensiero
filosofico fino
da' tempi
in cui sovraneggiarono i due grsmà''
istitutorì
déW
uman genere, come il vivente filosofo
berlinese non
dubita
chiamare Platone ed Aristotele.' Qual è,
in ge-
nerale,
l'esigenza e quindi '1 distintivo de'
Platonici e
del
Neoplatonismo di tutte l'età nell'afifermar
l'assoluto?
È il
propugnare la conoscenza immediata e
primitiva
dell'
obbietto metafisico, qualunque ne sia 1'
ampiezza,
il grado,
il valore dell'intùito. Qual è, invece,
l'esi-
genza degli
Aristotelici e del Neoaristotelismo? È il
*
1|I0HIL«T, Metaph, d'ArUL, ed. cit, p.
243.
mantenere
la mediatezza del conoscere metafisico, ov-
vero
menomarla cosi da renderla inefficace, e
talora
persino
affatto negativa.'
I
metodi de' Neoplatonici nelP attinger l'assoluto
' In
armonia con le idee accennate già nel
Gap. Ili di questo secondo
libro
sa la storia generalo del pensiero
filosofico, noi togliamo in sig^nificato
largo
le parole Neoplatonismo e Neoaristotelismo.
In esse comprendiamo
più e
differenti scuole di filosoft. E quindi
non sono soltanto filosofi Neo-
platonici
gli Alestandrini o quelli àeXht scuola
Toscana del secolo XY« od
altri
simili tra' filosofi cristiani massime
appartenenti a* secoli XIIl e XIV.
Filosofo
neoplatonico è chi, pur modificando il
Platonismo, ne sorbi, come
notammo,
due esigenze, di cui 1* una ò
p9Ìeologtea e 1* altra è tnetaJUica.
La
prima consiste nel porre un* attinenza
primitiTa, e quindi una connes-
sione originaria
Tra la mente e l'obbietto metafisico.
Secondo tal criterio,
fra*
neoplatonici andrebbero annoverati parecchi
filosofi arabeggianti, av-
vegnaché per
ragione isterica ei risalgano, come
toccammo, allo Stagirita.
(p.
287, e segg.) La seconda esigenza poi
risiede nel riguardar le idee
siccome
entità aottanxialmente eaemplatrici; il che
costituisce davvero il
distintivo
del Platonismo in generale (p. 280).
Or le diverse famiglie o
varietà
di platonici e di neoplatonici possono
esser coordinate, nella storia
della
filosofia, secondochè queste due posizioni
si presentano più o meno
modificate.
Per iVeoameoCetùn poi intendiamo qne'filosofi
che contraddicono,
in generale,
ali* anzidetta esigenza psicologica e
metafisica. E poiché il
Platonismo,
come dicemmo e come avverte il
Barthélemy Saint-Hilaire
{Phif9.
d*ÀrÌ9t., Pref. p. XX), si riproduco e
si trasforma in Aristotele non
pure
quanto alla filosofia ma eziandio quanto
ad ogni altra sfera di scibile,
cosi
noli' Aristotelismo è d* uopo saper
rintracciare i germi del triplice
indirizzo
speculativo da noi altrove accennato,
massime deirindirìzzo mediof
nel
quale unicamente è possibile rinvenir la
correzione del Platonismo e
dell*
Aristotelismo. Ripetiamolo anche qui :
tutta la storia del pensiero
filosofico
occidentale consiste nelJo svolgimento fecondo
e svariatissimo
di
questi tre indirizzi; ciò ò dire
nella lotta perenne delle due estreme
posizioni,
e nel trionfo lento e faticoso, ma
immancabile, della posizione
mediana.
Se questo è vero, ne segue (almeno
per chi serbi alcuna fiducia
nel
progresso della ragion filosofica) che se
nessun filosofo oggi può dirsi
od
essere un puro platonico od un puro
aristotelico, tutti invece dobbiamo
essere
e dirci neoplatonici, o neoarìstotelici,
ovvero seguaci del terzo in-
dirizzo; il
quale, sia storicamente, sia teoricamente,
vien fuora tostochè
sian
dati i due primi. Noi non possiamo
intrattenerci sopra questa ma-
teria e
corredar di prove isteriche tale assunto,
essondo ben altro il
compito
del nostro lavoro. Ma riteniamo per
sicuro che una storia par-
ticolare 0
generale della nostra scienza, la quale
non sia condotta con
silEatti
criteri, altro alla fin fine non
potrà esser che un lavoro d* in-
tarsio, come
tanti se ne vedono, ovvero un
arbitrio sistematico, dom-
matico
e fftntastico dairnn capo ali* altro.
(Vedi tutto ciò che abbiamo
discorso
a tal proposito ne* Gap. III e
IV di questo Lib. II.) (
potranno
differir nella forma più o manoo
arbitraria
con
che ci è data la dottrina delP
immediatezza. Ma
tutti
ci palesan lo stesso difetto: l'esser
dommatici, Tesser
sistematici;
poiché tutti trascendon T esigenza d'un po-
sitivo e
fecondo psicologismo. L' esagerazione di cotesto
indirizzo
è rappresentato da chi presume conseguir
la
notizia
dell' assoluto con la ragione, ma con
la ragione
che si
lasci guidar dalla fede, e sorreggere
dal senti-
mento. Con
siffatta maniera di speculazione noi non
ci
abbiamo
che vedere. Essa ci rappresenta quella
posi-
zione
metafisica che altrove appellammo DommcUismo
empirico
(p. 251). Dobbiamo dunque rifiutarla. E
dob-
biamo
rifiutarla, sia perchè in sostanza ella
riesce a
negar
la speculazione trascendente, ùa perchè
s'oppone
alle
condizioni più elementari della scienza,
(p. 213.) —
Le
altre forme di Neoplatonismo afferman
l'immediatezza
dell'
oggetto metafisico ponendo l' intùito, ma l'
intùito
che
legittima sé stesso in quanto che,
assumendo virtù
riflessa,
diventa ragione. Secondo tale indirizzo
appunto
è
venuta svolgendosi la speculazione italiana
nel moderno
periodo
della nostra filosofia. Talché noi dovendo,
come
richiede
l'indole stessa del nostro lavoro, tener
conto non
pur
della ragion teoretica, ma eziandio della
ragione
isterica,
verremo accennando alla dottrina del
Rosmini,
del
Gioberti e del Mamiani, che ne sono
i più legittimi
rappresentanti.
Rifacciamoci dal primo come quegli che
per
ragion cronologica e per valore di
speculazione va
innanzi
a tutti.
Al
Rosmini s' é voluto dar titolo d'
idealista piato-
nico.
* Con egual ragione altri potrebbe
dargli titolo di
realista
aristotelico. Il Roveretano corregge davvero
il
neoplatonismo
nella ricerca psicologica ; ma v' è
un punto
vitale
nel quale, come si vedrà, ei si
palesa più che ne-
* È
un titolo in gran parte sbagliato.
Quelle eh' ei dice propriamente
idee
per lui sono eeemplari delV eetenxa
inteUigibiUf non' già eeemplatrici
per «è
medeeime, {ArieU E«p. ed eeam,, Pref.)
Come dunque ò idealista
platonico
?
platonico.
Con ingegno potentemente analitico, temprata
alla
severa speculazione d' Aristotele e deH'
Aquinate *
egli
ha dimostrato ciò che in modo assai
vago eran
venuti
affermando gli aristotelici su la necessità
d^ una
forma
oggettiva nella mente. Ma egli non si
contenta
dell'essere
in quanto essere: lo dichiara altresì
immo-
bile,
immutabile, obbiettivo, inalterabile, se^nplice,
uno,
immescibile,
infinito^ necessario, insussistente, ideale} Ecco
il
puntello ond' egli s' augura di spiccare
il volo inverso
ali
Assoluto. Ma innanzi tutto guardiamo tale
dottrina
sotto
il rispetto psicologico eh' è appuntò il
tema pre-
cipuo del
presente capitolo.
Col
porre l'Essere come oggetto primitivo della
mente,
e col
dichiararlo fornito del carattere d'
universalità, il
Rosmini
taglia i nervi, come dicemmo, ad ogni
maniera
di
sensismo, e nel medesimo tempo corregge
il Critici-
smo: lo
corregge non già mondandolo (com' ei
si vanta)
della
magagna della subbiettività di cui non
sa neppur
liberare
sé medesimo, bensì dimostrando quant*
inutile
fardello
sia quella moltitudine di categorie
originarie
ond' il
Kantismo si distingue fra' moderni sistemi
di
filosofia.
Ecco ciò che forma l'onore della
psicologia
rosminiana.
* Ma qual è il suo difetto? È
il non aver
indagato
fino alla più fonda radice quel eh'
egli stesso
appella
il minimum della cognizione; e quindi
l'aver
fatto
pesare su l'obbietto originario un ingombro
di
note e
d'attributi cotanto copioso, da fargli
smarrire
affatto
il carattere dell' originarietà. E, davvero,
cotest' og-
getto è
egli ideale? Dunque è già beli' e
determinato.
Ór
come un obbietto determinato potrà
esercitare fun-
* Il
prof. Paganini ha mostrato 1* affinità
fra il Rosmini o san Tom-
maso
quant'alla teorica del lume intellettivo.
{Sagg. 9opra «an Tomm,
éC
Aquino e t7 Roeminif Pisa 1857.)
« Vedi
Rinnovam., LUI, e. XXXìX,— Ptieologia, Tol.
I, XI, XXIIi,
ed.
cit. — Nuo. Sagg.^ voi. II, Sez.
II.
* Il
prof. Spaventa ha pasto in sodo
questo gran merito del filosofo
italiano
di fronte al Criticismo nel prezioso
opuscolo altrove citato so la
'
FUo9ofia di Kant e la tua relazione
con la FUotoJia Italiana, Torino 1860.
2Ìoni
di Primo psicologico? Non verremmo cosi
a tur-
bare e
confonder l'ordine primitivo della conoscenza
col
riflesso? Dunque Y essere ideale
nell'organismo della
psiche,
anziché Primo psicologico, sarà il Primo
logico.*
Quanto
poi air attributo della infinità, egli
ha ragione
dove
aflerma con san Tommaso, la natura
del soggetto
dover
partecipare a quella dell'oggetto: e quindi
se a
questo
appartiene il carattere della infinità, non
si vede
perchè
non debba appartenere anche a quello.
Or s' egli
è
cosi, è dunque infinito il pensiero?
Lasciamo agli hege-
hani
cotesta innocua pretensione finché non ce
n' abbiau
dato
valide e serie dimostrazioni."
Se,
inoltre, cotal forma innata è immobile,
immuta-
bile,
immescibUe e inalteràbile, perciò non le
sarà dato
moversi
di per sé stessa. Ella si move
bensì, ella diventa,
ma in
virtù d' una determinazione, in forza d'
un' op-
pliccunone.
Chi recherà ad atto cotest' applicazione?
La
* Lo
Spaventa ha ragione : « V errore
del Roamini non ì il fare
ddV
eteere come eeeere il primo eeientijico
o logico, ma di fame jil primo
peiedogieo:
non U primo pensabile, ma il primo
eonoeeibUe, » (Le prime
categorie
della Log, di Hegel, p. 130, negli
Aui dtUa B, Accad, di Nap.,
voi.
I, 1864.)
' Il
Rosmini stesso prevede questa grave difficoltà,
e tenta rispondere
in più
modi riparando al solito arsenale delle
distinzioni ; ma questa volta
con
assai poca fortuna. {Peieologia, voi. I,
e. XI, ed. cit) In altre opere,
e
anche nel Nuo, Sag., avea chiamato
infinito il pensiero, non però eotto
tuui
gli aepeUi. Ma un inAnito di cotesta
foggia chi vorrà accettarlo?
La
creduta infinità dell* oggetto primitivo
non ò infinità, ma indetermi-
natezza, E
di fatto la nota epeeijicante della
Ittee metaJUiea^ secondo la
sentenza
del Vico altrove riferita (p. 851) è
appunto la indeterminatezza,
la
potenzialità, ma la potenzialità non vuota
e subbiettiva de* Tomisti e
de*
Peripatetici, bensì piena, feconda, oggettiva,
essendo nella sua essenza
un
eonato. Or se questo ò il carattere
dell* oggetto, e se la natura del
soggetto
ha da rispondere a quella della sua
forma, ne seguita che al-
reggette
indeterminato dee far riscontro una facoltà
d*indol6 somigliante.
Ma che
cos*ò un pensiero indeterminato nel suo
oggetto salvo che un
essere
potenzialmente infinito, un subbietto che
tendit ad infinitum, come lo
deRnisce
lo stesso Vico? Dunque 1* indeterminatezza
è il carattere pre-
cipuo della
luce metafieiea, tuttoché in so stessa
ella sia determinata In
quanto
che non cessa, ripetiamo, d* essere
un oggetto; mentre che la
potenzialità
feconda è il carattere del pensiero
inteso come soggetto.
Siciliani.
2Ì
ragione.
* Or bene, la ragione non vi
potrebb' essere
mossa
tranne che da sé stessa, ovvero dal
senso. Dal
senso,
no ; che saremmo sempre impigliati in
una forma
più 0
meno schietta di sensismo, dal quale
indirizzo il
filosofo
di Rovereto rifugge ad ogni patto.
Dunque da
sé
stessa. Ma, si può chiedere: muovesi
ella da sé in
quant'
è soggetto, ovvero in quant' é
oggetto? In quant' è
soggetto,
no. Un soggetto spoglio di forma è
una pò*
tenza
vuota; è la pura potentia, la
purafaeultas degli
scolastici:
e come tale riesce incapace d'esercitar
fun-
zione di
Primo psicologico. Movesi dunque siccome
og-
getto;
movesi in quant' è luce fnetafisica. Or
come si potrà
movere s'
ella é immobile, immutabile, immescibUe,
iikiZ-
terabile? —
Da ultimo, il difetto che in tale
indagine egli
ha
comune con parecchi altri aristotelici, e
pel quale vuol
esser
segnalato come neoplatonico, risguarda l' origine
di
cotesta forma ideale. Donde mai cotal
luce? Piove
dall'
alto, 0 piuttosto rampolla dal basso?
Non dall'alto,
non dall'
assoluto in maniera diretta, egli risponde;
net-
tampoco
dal basso, cioè dall'esperienza. Il Rosmini
qui
ha
ragione: nessuno, crediamo, vorrà fargliene
carico.
Donde
e come, dunque, ella viene? '
• Vedi
Antropologia, cap. VITI. — Sistema
FUotofieo, p. 82.
'
Bisogna confessare che nel punto più
vitale delle sae dottrine,
eh* è
Torigine dell* obbietto primitiro della
monte, questo filosofo fu sempre
titubante
anche ne* suoi lavori postumi. In
alcune opere evidentemente
8*
accosta a san Tommaso, dove dice, per
esempio, che Tessere ideale è
un
cotal raggio ddla divinità, il quale
noi tftdremmo in modo ineffabile
identijì
earai con etaa quando ci si potesse
disvelare la divina e$»enMa. (Atto.
Sagg.,
vol. II.) Altrove ritiene che la
forma intellettiva non ci abbia che
vedere
con Dio ; e • dove pur ci
fosse un* attinenza, difficilmente (egli
sogin»?"®)
ci salveremmo dal panteismo. {FU. dd
Diritto, voi. II, p. 195.)
E con
tutfaO questo el non dubita alTermare,
additando la nota scap-
patoia della
distinzione tra forma reale e forma
idecUe, che Dio si co-
munica al
pensiero idealmeìUe, non già realmente !
Ma che cosa ò mai,
e come
avviene cotesta eomunieagione ideale f Che
8*ella è possibile, come,
in tal
caso, potrete salvarvi dal panteismo
ideale? Il Rosmini parla
chiaro
(Teoeojia, voi. Ili, nel cap. su la
Partecipazione del divino nella
inteUigmza)
ove dice che 1* essere iniziale della
mente e 1* estere divino
sono
addirittura identici. Dunque non v* è
scampo : o egli non riesce a
salvarsi
dal panteismo, ovvero deve attribuire all'
obbietto della mente la
11
Rosmini crede potere attinger la notizia
dell' as-
soluto ponendo
in opera alcuni espedienti, per esempio
il
processo d' dimincunone, d' intcgrcmone e slmili.
Ma
sopra
qual fondamento si basano cotesti processi?
Ap-
punto sul
concetto dell'Essere ideale. Da cotesto
con-
cetto egli
stima possibile trar gli elementi a
comporre
quello
dell' obbietto metafisico. Perciò dagli
attributi
dell'
ente ideale vuol concludere a quelli
dell' essere in
sé:
perciò dal simile vuol procedere al
simile. Or co-
testo è
un processo senza processo: è un
processo ap-
parente,
illusorio, perchè dal simile non si
procede al
simile,
ma si è nel simile. D' altra parte,
per isquisiti
che si
voglian supporre i metodi eh' egli
adopera a tal
proposito,
mai non avverrà che gli attributi
dell' ente
ideale
possano porgere quelli del reale. In
che ma-
niera
convertir le note d'assolutezza, d'universalità
e
d'infinità, che son proprie dell'uno, con
quelle del-
l'altro? E
dove e come poi andare a ripescar
l'attri-
buto della
realtà? Checché se ne dica, a tale
domanda
ei non
risponde, o ricasca nel ginepraio delle
viete ar-
gomentazioni
scolastiche. E mentre crede compiere o
correggere il
celebrato argomento di sant'Anselmo, non
s' accorge
il grand' uomo come restino tuttora
incrolla-
bili le
gravi difficoltà affacciate dal Criticismo.
Pur non
ostante
egli reputa negativa l' idea di Dio.
Or come ne-
gativa se
ci avete saputo disasconder tante
peregrinità
a
questo riguardo? E s'ella é davvero
negativa, non
siamo
già nel Positivismo? E se non é
assolutamente
negativa,
perchè non è tale? perché non può
esser tale?
nota
della realtà alla maniera del Gioberti.
In altra opera postuma
{Ari9t,
Etp, ed etam,, 1. II) le titubanze
non iscemano; perchò quan-
tunque
modifichi in alcune parti la sua
dottrina* V Kssere nondimeno ^W
si
prosenta sempre come ideale^ e crede
confermar la propria sentenza
con r
autorità d'Aristotele. Dalla prima ali* ultima
opera del Rosmini,
dunque,
il problema su la conoscenza s*
aggira sempre nelP equivoco tra
il
Primo pticologieo 6 il Primo logico ;
ne qnindi crediamo che T Ideali-
smo
Rosminiano siasi di mano in mano
accostato air Ontologismo del
Gioberti,
come pensa il eh. prof.
Ferri {Est. tur VHist. de la Phil. en
Italie,
t. I,
e. IV, p. 489.)
La
guisa ond^ il Boveretano crede poter
penetrare
nel
mondo metafisico non sarebbe, a parlar
proprio, un
processo,
una mediazione. Nessuna conversione sarà
mai
possibile
fra due termini simili appunto perchè
fra questi,
ripetiamo,
non è possibile un intervallo. £ dato
ci sia
cotesto
intervallo, è poi necessaria una continuità
ideale;
la
quale, unzichè per comunicazione dell'
oggetto, co-
m' egli
pensa, avviene per eduzione per parte
del sog-
getto. Né
è maraviglia eh' ei non abbia visto
tali ne-
cessità,
chiunque pensi come la filosofia del
Rosmini
partecipa
a quel difetto che, come altrove
notammo, è il
verme
pia micidiale che roda il Kantismo.
Tutto in lui
sembra
immobile, freddo, sterile come il suo
ente ideale.
Psicologia,
ideologia, cosmologia, storia, diritto, politica
e
religione, nel loro insieme, paion quasi
altrettanti
organi,
anziché un organismo, perocché uiun soffio
vitale
imprima forza e movimento a tutte
queste membra.
A lui,
in somma, fa difetto V esigenza del
processo.* —
Eppure
air A. del Nuovo Saggio non sarebbe
mancato
il
fondamento positivo sopra cui avrebbe
potuto in-
nalzar r
edifizio della psicologia, e apparecchiare
cori
la
soluzione d'alcuni problemi cosmologici. Avrebbe
avuto
una gran chiave nella sua teorica sai
Sentimento
fondametìicde,
intomo a cui nessuno, dopo Aristotele,
ha
saputo
discorrere con eguale acume e accuratezza,
come
saggiamente
osserva il Ferri.^ Ma neanche in
questo ei
potè
pervenire a disascondere quel secreto
vincolo che
in
seno all'unità primigenia del Noù;
potenziale annoda
* Però
il Oioberti non a torto rassomigliò
ad uno ttaUauUe il si-
stema
Rosminiano. La forma stessa del suo
iugesrno mostra cotal difetto.
Kcco
perchè non gli fa dato cogliere, come
accennammo (p. 99, 841, 248)
il
valore del metodo Tichiano. Ecco perchè
altra lllosoila della storia
agli
occhi suoi non dovrebb* esser possìbile,
fuorché quella d* Agostino,
del
Bossuet, dello Schlegel, del De Maistre.
Non altro concetto sociolo-
gico, salro
che quello della società divina naitirale.
Non altra cosmolo-
gia che
quella del Tomismo. Non altra fisiologia
e patologia, tranne che
quella
de* Tocchi vitalisti.
« Op. cit.,
t, I, p. 190.
la
visione ideale, la percezione empirica,
nonché il sen-
timento fondamentale.'
I
difetti del Rosmini prese a correggere
il Gioberti;
ma die
neir esagerazione. In maniera invitta egli
mostrò
la
fallacia della posizione dell' ente ideale,
ma cadde nel-
r arbitrario
anche lui quando ingolfossi nel mare
magno
del
suo intùito. Se infatti havvi dottrina
psicologica la
quale
più spiccatamente contraddica al criterio
della
conversione,
e quindi all' esigenza metodica
aristotelica
della
Sdema Nuova, è appunto quella del
Neoplatonismo
che
con entusiasmo senza pari, con ingegno
mirabile e
con
vena fecondissma di speculazione egli prese
ad inno-
vare fra
noi con anima italianamente generosa. A
nes-
sun italiano
oggi potrebb' esser lecito disconoscere i
grandi
meriti del filosofo subalpino : a
nessuno i bene-
fizi
grandissimi che in età assai triste
sepp' egli operar
nella
mente e nell'animo di tutti con le
sue scritture.
' fi
noto come pel Rosmini sia U
tentimeruo intimo e perfettamente
uno
che uniece la eeneitività e V
intelletto. {Nuov. Sagg., Bez. V, e.
I ;
Ariet.
eep. ed eaam.^ L. I, e XXXTl).
Ma in che maniera poi accordare
questa
sentenza con quel! * altra ove dice,
la ragione eeeer quella che
unieee
il eentibile e V intelligibile f
{Pncologia, Tol. I, p. 124, ed.
cit.).
L*
anità de* due elementi qui sarebbe
posteriore, mentre sarebbe ante^
riore
la dualità, e quindi, come dualità
primitiva, inconcepibile. Il che
ci è
confermato da lui stesso dove afferma,
la vitione ideale non aver
relazione
di torta con la percezione empirica,
{Antropologiaf C. VILI). Ora
a me
pare che il Sentimento fondamentale avrebbe
potuto porgrersi a lui
come
base d* una dottrina psicologica
razionalmente positiva, quando
avesse
pigliato a considerarla come unità
Iniziale, come sintesi origina-
ria del
doppio elemento della conoscenza : il
che non apparisce in alcun
luogo
delle sue scritture. Che cos*è, infatti,
il Sentimento fondamentale f
te V
atto onde V anima vivifica il corpo,
{Antropohf L. 2, Sez. 2, C VII),
Or
bene, checché se ne possa dire,
cotesta evidentemente è psicologia
neoplatonica,
e però tutt' altro che positiva. Invece
per noi il Seneo
fondamentale
ha natura di conato, e quindi
rappresenta, anzi incarna il
momento
in che la vita, la ^uvauc; biologica,
superando so medesima,
passa
ad assumere anche valore di pensiero.
In altre parole: l'anima
pel
Rosmini è energia primordiale, ò una
originariamente (Ibi, e. IX) ;
ma è
una come* anima, non già come anima
e corpo, come vita e pen-
siero. E
con questo difetto, eh* egli ha
comune co' platonici e con san-
t'Agostino
come v^emmo (pag. 800 e segg.),
contraddice evidentemente
all'indirizzo
medio arittoulico secondochè noi lo
intendiamo.
Ma chi
è oggimai che vorrà propugnare sul
serio la
sua
teorica psicologica tuttoché sia da
accogliere e svol-
gere non
pochi principii della sua Protologia? ^
Fra le
molte e gravi obbiezioni mosse contro
V on-
tologismo
giobertiano, noi ci restringeremo a
ripetere
quella
semplicissima affacciata poco fa contro il
Ro-
smini, e
che con assai più ragione s' attaglia
al Gioberti.
Come
oggetto primitivo del pensiero, la formula
del-
l' Etite
creante è un oggetto determinato, sia
che si tolga
a
considerar la natura de' suoi membri,
sia che la spe-
cie di
relazione che li rannoda in organismo.
In che
maniera
dunque può essere inizio, principio della
genesi
psicologica?
Anziché il minimum del pensabile, qui
s' avrebbe
il maximum del conoscibile. Or s'
egli é così,
la
scienza, io chiedo, sarà ella generazione,
conversione,
eduzione,
o non più veramente copia, imitazione,
ri-
tratto d' un
vero che non ci appartiene? La
posizione
dell'Intuito
giobertiano è dunque arbitraria, ipotetica,
oscurissima,
come primo d' ogn' altri ebbe a
mostrare
lo
stesso Rosmini.* Perciò la Formula non
può essere
riguardata,
secondochè pretendon gli ontologisti, come
sorgente
d' ogni scienza, criterio d' ogni
scibile, fonda-
mento d'
ogni dimostrazione, come Primo ed Ultimo
del
pensiero.'
Il Nov; degli ontologisti italiani è
la vecchia
dottrina
dell' Intelleito agente^ ma passata
attraversò la
scolastica,
e ricorretta dal pensiero filosofico
cristiano.
È r
IntelligibiHtà, la VerUà di sant'Agostino,
ma deter-
minata,
concreta, reale. È la Reminiscenza
platonica,
ma
fatta viva, presente, parlante al pensiero.
Egli dun-
* Ved.
il nostro opusc. Introduzione allo ttttdio
delle acìenxe naturali
e
ttoriche, Firenze, Celi ini, 1861, e
IV.
■ Ved.
Vincenzo Gioberti e il Panteismo, Lucca,
1858, 3" ed., p. 42.
' Dopo
il Gioberti del prof. Spaventa è
impossibile difendere V intuito
del
filosofo di Torino: se ne persuadano
gli ontologisti. Noi accettiamo la
sua
critica: ma chi ?orrà accettar le
conseguenze eh* «i ne trae, o la
relazioni
eh' egli pone fra Io Ctisiologismo,
in generale, o V Idealismo
assoluto?
Anche qnant*al concetto creativo della /Vo(o/o^
fra Tuno e
r
altro sbtema, come avvertimmo, corre un
abisso. ' «
que è
r esagerazione del Platonismo. È un
iperpsicologi-
smo
avente il suo primo puntello nel
catechismo, né può
quindi
essere accettata dalla ragion filosofica
positiva.*
Sennonché
gli ontologisti si fan forti, come
accen-
nammo, della
celebre sentenza vichiana su la rispon-
denza fra
r ordine logico e Y ordine
ontologico."
Il
nostro filosofo non parla d' ordine logico
e ontolo-
gico, ma
sì d' un Primo logico, e d' un Primo
Vero Me-
* Qui
abbiamo inteso accenDare alla dottrina deir
Intuito come ci
è data
nelle prime opere del Gioberti. Ognuno
sa che nelle scritture pò-
stnme
egli Tiene talora a modificarla sì
che s* accosta al Rosmini, o me-
glio, a
san Tommaso. Per esempio, dice: <
V intiiUo ci dà V Estere eem-
plicemente,
la rijleenone ci dà V Ente
intelligibile e intelligente, » {Protologiaf
voi.
II, p. 419, ed. cit.) E alladendo
al processo psicologico altrove af-
ferma
arditamente: • Eeietenxa^ pensiero, eoedenza i
tuti* uno, Ivariittatif
gradi,
prooeaei della realtà non eono altro
che quelli della coteimua. Questo
paicologitmo
traeeendente i il vero ontologismo,* (Voi.
cit., p. 825.) Si può
dare
contraddizione più spiccata con le prime
opere? Ma, si badi, cotesto
contraddizioni
non sono già di quelle cui alludon
gl'Idealisti assoluti,
quando
fregandosi g^ianieute le mani ammiccano air
agognato e vantato
voltafaccia
del filosofo subalpino!
* Il
Vico dice : « Deum primum verum
tum in essendo, ttim in co-
gnoseendo.
> {De Univ, Jur., I, (a) ).
Da questo lemma è agevole argomen-
tare che
Dio è Primo, sia che tu lo
consideri come essente, sia che come
conoscente.
Qui non v* ha luogo ad
interpretazioni. Ma vi è il lemma VII
che
dice: « Itaque Primum Verum Methaphysieum
et Primum Verum Lo '
gicum,
unum idemque esse. Qui la critica
interpretativa è necessaria,
perchè
qui la contraddizione con l' insieme delle
altre sue dottrine è
pur
troppo evidente. Se la rispondenza cai
allude il Nostro fosse da
interpretarsi
come pretendono ontologisti e nooplatonici,
olla contrad-
direbbe alla
dottrina del conoscere e del metodo ;
la quale in siffatte
ambiguità
dee prevalere nel pensiero del critico,
come quella che costi-
tuisce
propriamente T originalità del Vico. Se
dunque in forza del suo
criterio
la scienza debb* esser frutto d* uno
s?olgimonto riflesso e di ri-
cerca e
di critica essenzialmente eduttiva, parmi
evidente come il rap-
porto fra
r ordine delle cose e quello delle
idee, anziché di corrispondenza
originaria
e di parallelismo primitivo, abbia da
essere invece di rispon-
denza
derivata, e di parallelismo riflesso. In
una parola: cotesto paral-
lelismo,
cotesta equazione, non è un principio,
è un risultato. Nel che
11
fliosofo di Napoli, com* era da
sospettare, interpreta ed invera il benin-
teso
Aristotelismo, perchè è lo stesso
Aristotele quegli che osserva come
la
radice di tutti gli errori de' Platonici
sia per l'appunto la confusione
dell'ordine
logico con l'ordine dell'essere, e però
delle causo reali del-
l'essere,
con lo cause formali della scienza:
KW ou TtdvroL o€a tu
\6yù»
zjporepoiy xaì tVì oÙTc'a vipÓTspx^
{Metaph,, XIII).
tafisico,
considerandoli entrambi come unum idemque.
Siamo
dunque nel panteismo? ovvero in una
dottrina
neoplatonica?
Intendiamoci. Qual debba essere per lui
il
Primo psicologico, s' è visto neir
antecedente capi-
tolo. Or
quali han da essere, in armonia con
le sue
dottrine
psicologiche, il Primo logico e '1
Primo ontolo-
gico? Il
Primo logico sarà, né vi cape dubbio,
un princi-
pio mediato,
risultante, secondario, cioè posteriore al
Primo
psicologico. Se infatti il processo della
psiche
s'
attua ingradandosi in pili gruppi di
facoltà compo-
nenti fra
loro un organismo (p. 321); e se
il processo
conoscitivo
importa una serio di leggi atte a
governare
le
diveree funzioni, che vuol dire le
facoltà stesse avvi-
sate in
relazione co' loro prodotti (rappresentazioni,
fan-
tasmi,
concetti, nozioni, idee, giudizi ec.) ;
avviene che
come,
data una funzione, è già beli' e
dato logicamente
il suo
prodotto e quinci una serie di leggi
che ne regga
lo^'svolgimento;
così, posto il Primo psicologico, non
po-
trebbe a
verun patto mancare il Primo logico.
Ora se
il
Primo psicologico è V essere indeterminato,
eh' è dire
il
Nov; potenziale, in quant' è luce
metafisica; quale sarà
il
Primo logico? Non altro che V essere
nella sua prima
determinazione
riflessa: l'essere in quanto ideale; il
quale
perciò suppone, sotto il riguardo
cronologico, il
sensato
reale, il fatto ; stantechè il senso,
come toccam-
mo, resti
incluso nel circolo psicologico. L'ente
ideale
adunque
è un primo: qui ha ragione il
Rosmini. Ma è
anche
un ultimo; uUimo psicologico, e primo
logico.
Al
qual proposito giova notare che ove
il Roveretano
avesse
riguardato a questa maniera 1' Ente
possibile,
non
sarebbe caduto nell'aperta contraddizione di
con-
siderar
l'essere come ideale^ e come immobile
ad un
tempo
; stantechè se in quanto è luce
metafisica, cioè in
quanto
originario ei non può non essere
indeterminato,
come
ideale invece è mobilissimo, essendo già
beli' e de-
terminato, e
come tale ci esprime lo stesso moto
della
facoltà,
la facoltà in quanto è funzione.
Quale
sarà intanto il Primum Verum Metaphysicum?
Posto
il Primo logico e quindi '1 processo
della logica
e r
orditura de' concetti, il lavoro
speculativo della
mente
non può ad altro pervenire fuorché ad
uno di
questi
due risultati: o air essere indeterminato
riflesso
qual
è, per esempio, V Indeterminato secondo
eh' è po-
sto dair
Hegelianismo quasi chiave di volta dell'
edifì-
rio
dialettico ; * ovvero all' essere
determinato mercè Tar-
tifizio
del metodo compositivo sintetico, d'
integrcurìone;
voglio
dire, all'essere pieno, all'essere fornito
delle note
più
eminenti o delle primalità cui sappia
poggiare il
pensiero
speculativo soccorso dall'esperienza. Ora il
Primo
vero metafisico al quale accenna il
Vico non può
esser l'
ente indeterminato inteso come luce
metafisica,
perchè
questa, essendo essenzialmente indeterminata,
cioè
indeterminata
per necessità di natura in quant'è
oggetto
primitivo
della mente, è quindi un Primo
psicologico an-
richè
metafisico. Non può esser neanco l'
Indeterminato
così
detto dialettico al quale, come voglion
gli Hegeliani,
per
un' assclida e subitaifiea astrandone si
levi la mente
e vi si
estingua, e in grazia di siffatta
estinzione
scoppi
la prima scintilla dialettica. E non
può essere,
sia
perchè cotesto Indeterminato contraddirebbe al
con*
cetto
che il Vico ci porge dell' Assoluto,
sia perchè,
frutto
d'un lavoro onninamente astrattivo, manca
ne-
cessariamente
d'ogni condizione d'obbiettiva e metafi-
sica
sussistenza. Se dunque non è l'
indeterminato né
come
luce metafisica né come posto dall'
astrazione,
che
eoe' altro sarà fuorché l' ente concepito
come de-
terminato
nelle sue primalità essenziali, 1' ente
trascen-
dente, il
Nosse-Velle-Posse infinUum? — Sennonché, per
metafisico
che sia cotesto essere, ninno vorrà
dirlo reale.
Donde
trarre siffatta determinazione? Forse da un
in-
tuito
primigenio? Ipotesi! Dal regno de' fatti
e della
' Il
Primo Hegeliano, dice Spaventa, ò queUo
che non ha altra deno^
minanione
che di non averne alcuna, {Ddle prime
Categ. della Log. di Hegti,
•d.
cit, p. 141. ^ Hbqil, Log.y toI.
II, lxxxtii, trad. del Vera.)
esperienza?
Impresa vana! Dalle viscere dello stesso
pensiero
per astrazione assolila e subitanea?
Illusione!
D' altra
parte, tuttoché entità ideale, non per
questo
sarà
lecito credere che il Primo metatìsico
abbia da
essere
assolutamente astratto, poiché come determinato,
cioè
come concepito e costruito dalla mente,
è pur
mestieri
eh' e' risponda ad una realtà. Egli
dunque è
metafisico^
ma non per questo può cessare
d'essere
identico
al Primo logico. Perchè? Perchè da
questo
appunto
lo trae la virtù speculativa. Il Vico
dunque
ha
ragione : il Primum Veruni Metaphysicum
è unum
idemque
col Primum Logicum, giusto perchè il
pen-
siero vien
costruendo l'uno mediante l'altro. Breve-
mente: egli
è metafisico, perchè ha valore obbiettivo;
ed è
poi unum idemque con l' essere logico
e però col
Primo
psicologico, perchè non è, a dir
proprio, una
realtà,
quantunque per necessità metafisica abbia
un
riferimento
alla realtà. Ma qui si può chiedere
: dunque
il
Primo metafisico non sarà egli né
assolutamente
reale,
né assolutamente ideale, né obbiettivo, né
sub-
biettivo?
Precisamente così. Non è l'una cosa
né l'altra,
ma è
r una e l' altra insieme, stantechè
sia potenzial-
mente
infinito. E poiché come infinito potenziale
non
è
perfetta conversione di sé con sé
medesimo, però fugge,
quasi
diremmo, sé stesso. EgU è, in somma,
un essen-
zial
conato ; e come tale non può
non riferirsi necessa-
riamente ad
una realtà, e in questo senso
possiede na-
tura
metafisica. Dico necessaria tale oggettività,
perchè
il
Primo metafisico, quando sia determinato
dal pen-
siero speculativo,
non è altro che la stessa triplicità
psicologica,
ma riguardata nella sua universalità. Che
cos'è
mai cotesta triplicità universale? È
mentalità in
sé, è
dialettica in sé, è oggettività in
sé. Ella dunque
non
può esser considerata nell' individuo, ma
fuori del-
l'
individuo, in un soggetto appo cui le
primalità del-
l' essere
si convertano e compenetrino: il che
è davvero
impossibile
nell' individuo, come quello che non
è il
pensiero
(voùc) ma la facoltà del pensiero
(vouc ^wa^ust)
secondo
la sentenza aristotelica.* Se il P^imo
metafi-
sico,
inoltre, fosse indeterminato, non avrebbe
alcun
opposto,
quantunque serbasse distinzione come oggetto
di
pensiero. Al contrario éoncepito come
determinato,
e'
tosto diventa obbiettivo ; e così da
Primo vero metafi-
sico assume
virtù di Principio metafisico. Or che
cos' è
questo
principio metafisico? Che cos'è la realtà
alla
quale
ei si riferisce? È l'Assoluto: ma
l'Assoluto che è
davvero
assoluto, come appresso mostreremo.*
'
ÀR1ST., De An.t li, iv. Cfr. anche la Metaph.,
Vili.
'
Secondo l'interpretazione che noi qui
abbiam dato alla sentenza
del
Vico 8i può dire che il Primo
Meta/uico, essendo il vero in attinenza
col
realtf sia il Fatto, cioè il fatto
del pensiero speculativo, il fatto della
scienza
che convertesi col Vero assoluto, il
quale, come vedremo, è il Primo
fatto
per eccellenza. Accade perciò che il
Primum Verum Metaphysicum
debba
riguardarsi come anello di congiunzione fra
la Logica e la Me-
tafisica;
ond'ò che fra queste due scienze,
anziché esserci quella me-
diazione
Hegeliana la quale in sostanza ò una
compenetrazione asso-
luta, ci
è invece conversione; e la conversione
esprime non già identità
nella
difTerenza, ma identità e insieme
differenza. Vi è, in altro parole,
medesimezza
di legge, di forma, e qnìndi
continuità ideale; ma ci è pure
differenza,
differenza essenziale, differenza di contenuto,
e però intervallo
retde.
Ecco perchè il Vico, svecchiando un
principio aristotelico, afferma:
«
Qìullo eh* è metafisico in quanto
contempla le co»e per tutti i generi
del-
V
eteere, la steesa è la logica in
qwanto considera le cose jìer tutti i
generi
di
eignificarle. » Questa relazione fra la
Logica e la Metafisica fu dal no-
stro
filosofo incarnata sotto forma simbolica
nella IHpiniura ; e nell' Iv^ro-
duzione
alla Scienza Nuova la venne determinando
nel concetto del M(»ndo
DILLE
Menti r di Dio. Menti pensiero
spirito, e perciò Psicologìa Lo-
gica e
Ideologia, come vedemmo, formano tutt*un
processo. Un processo
ha da
essere anche V Assoluto. Ma le Menti
e Dio formano anch' essi
un
processo, un organismo, un Mondo: in
quanto che fra que'duo
termini
ci ha da essere conversione. Questo
tutto organico lo dicemmo
proceeto
ideale per parte del primo termine,
cioè delle Menti, nel senso
che ha
da essere mediazione razionale, conoscitiva.
Perciò Primo vero
metafineo
e Principio metafinco. Logica e Metafisica,
Menti e Dio, com-
pongono un
Mondo; un Mondo superiore a quello
della Natura nonché a
quello
dello Spirito, inteso questo come sviluppo
isterico, come storia
che è
Vita Humani Qeneri», Dal tutt' insieme
quindi si vede come il
suo
Primo Vero metafineo non sia nient'
affatto una vuotaggine, un* en-
tità formale
e puramente astratta. È la sua luce
metafieica^ non già
indeterminata,
anzi determinata mediante sé stessa;
determinata me-
diante il
processo eduttlTO. È il risultato
estremo del Noùc attuale e
Veniamo
al vivente rappresentante del Neoplatoni-
smo in
Italia. L' illustre Mamiani ha visto la
necessità
d'imprimere
novella forma e rigor logico alla
dot-
trina
platonica della conoscenza, modificando la
teorica
del
Gioberti, e correggendo quella del Rosmim'.
A spie-
gare perciò
l'elemento universale del pensiero ei si
raccomanda
alla solita àncora di salvezza, l'Intuito
del
l'Assoluto,
ma con V interposmone delle idee; le
quali per
lui
somiglierebbero quasi ad altrettanti spiragli
ond'alla
mente
lampeggia la Divinità. Tutto ciò, del
resto, non
toglie
eh' egli abbia da ammettere doppio
ordin di co- '
noscenze,
percezioni e intellezioni, assai diverse
fra loro
e pur
fra loro collegate per via di
rappresentansia. Ma
non
potendo intrattenerci a riassumer le
ragioni sopra
cui si
regge cotal dottrina, ci ristringiamo a
far poche
osservazioni
guardandola segnatamente sotto l'aspetto
psicologico.
Due ne sembrano i difetti principali: T
in-
vocare
l'intuito dell'Assoluto nello spiegar l'elemento
universale
della conoscenza; 2** non dimostrare per
che
mai
ragioni l' ordine delle percezioni abbia a
rispondere
a
quello delle intellezioni.
Se ne
l'intellezione, come vuole il Mamiani, può
rampollare
in modo alcuno dalla percezione, uè
questa
ci ha
che vedere con quella tuttoché entrambe
devano
esser
congiunte in armonia; la dottrina
psicologica del
rifleASo;
epilogo della scienza psicolo^^ica, e però
Defìnwione e Principio
della
Metafisica. Or la luce in quant* è
oggetto del Noù; potenziale no!
la
dicemmo metafitioa perchè, quantunque superiore
al sensOf è nondi-
meno po9ta
da natura, ò originaria, e quindi
essenzialmente obbiettiva.
La
conclusione dunque parmi chiara : Primo
pticologico, Primo logico' e
Primo
vero metaJUioo non sono tre entità
ruote e formali, giuochetti
d'astrazione,
indovinelli da algthritiij come direbbe lo
stesso Vico, ma
sono
tre anelli d* una medesima catena,
tre momenti dinamici d* una
medesima
energia essenzialmente obbiettiva. Questa (per
concludere contro
i
Neoplatonici ontologisti) parmi V interpretazione
più acconcia del rap-
porto che
il filosofo di Napoli pone fra il
/Vìnto logico e *1 Primo vero
meta/uieo,
e quindi fra T ordine logico e
T ordine ontologico. Ogn' altra
non
riescirebbe a salvarlo dalle contraddizioni
col proprio metodo, e tanto
meno
poi dalle incongruenze con la ragion
filosofica positiva.
Pesarese
parrebbe, come ad altri è parsa, una
specie
d'alcliimia.
Per quanto diverse, le percezioni e
le intelle-
zioni hann'a
convergere si da appuntarsi quasi due
raggi
in un
centro comune, cKè V unità sostaiìzUàe
dello spirito.^
Or non
è questo precisamente ciò che da
ventidue se-
coli va
chiedendo il pensiero filosofico: come mai,
cioè,
se
diverse, elle compongono fra loro unità?
Abbiamo
un
intùito di qua, e un intùito di
là: la percezione che av-
vertendo un
termine estriìiseco lo apprende siccome
forza,
e la
visione, l'intùito ideale^ che con T
interposizione
delle
idee coglie l' Assoluto. Non siamo già
in una for-
ma di
dualismo psicologico che fu ed è
sempre la pie-
tra
d^nciampo d'ogni fatta platonici? Non
abbiamo
qui
sott' occhio Y etemo e gravissimo
difetto del Neo-
platonismo,
la mancanza di processo? Oltre Talchi-
mia
(col dovuto rispetto al grand' uomo)
qui veggiamo
una
macchina a doppio retaggio: senso e
concetti,
esperienza
e luce divina, fatti e Assoluto
splendente
cui lo
spirito inerisce con marginale adesione, e
per via
di
contatto spiìituale. Chi fa tutto ciò?
Come avviene
tutto
ciò? L'illustre di Pesaro ci dice e
ripete a sa-
zietà, che
fra l'ordine delle intellezioni e quello
delle
percezioni
ci ha corrdaeione ordinata e continua,
ri-
spondenza
puntualissima^ squisitissima armonia.* E sta
bene :
chi non è scettico sistematico non
penerà gran
fatto
a riconoscere e sentire cotesta e ben
altre armo-
nie. Ma
quel che ignoriamo, e pur vorremmo
sapere,
è
appunto il motivo di cotesta squisita
rispondenza. Or
questo
motivo, non ci è, o almeno è
impresa non molto
agevole
rinvenirla nelle Confessioni d*un metafisico^
Pe-
rocché s'io
ho da coglier l'Assoluto mercè l'idee,
o,
meglio,
se è r Assoluto quegli che ha
da comunicarmele
*
Mamiaki, Con/ftioni d'un mttaJUieOf voi. I, p.
158, § IT.
*
Idem, eo<L, p. 158.
*
VeggAsi qual debole ragione, per esempio,
egli apponga al quesiÌK>:
€ come
avvenga che ad una data pereenone
rieponda una daUx idea? »
Voi.
cit., pag. 163, § 2^.
non già
graziosamente, anzi inevitabilmente, quale ne
sarà
la conseguenza? Sarà che la ragione
onde questa
0
cotesta percezione ha da rispondere a
quella o quel-
l' altra
intellezione, in altro non si potrà
occultare
fuorché
in un vieto occasionalismo, od in una
vieta e
grossolana
armonia prestabilita. Non v'è scampo.*
' No'
parecchi cangiamenti cai è andata sogrgetta
la mente del Ma-
miani,
sol una dottrina è rimasta immutata
nelle sue scrìttnre, e della
quale
ei si loda più d* una volta. È
la dottrina su la percezione, che il
nostro
egregio amico prof. Ferri dichiara
bellissima. Bellissima sarà:
ma è
altrettanto salda? Forse che Ano dal
1837 il Rosmini con
r
acuta lama della sua crìtica non la
ridusse a polvere nel suo Rinnova-
mento f
Intendiamoci bene. La percezione del
Mamiani non è senso, e
nemmanco,
a dir proprio, giudizio. Che cos*ò
dunque? È e im intuire
V atto
involto nella 8en9axione die congiugne in
uno due termini^ oggetto
eentiio
e avvertito come fortOy e soggetto
tentenìe. » {Oonfeasionif voi. cìt,
pag.
68-64; Meditazioni Carte»., e. VII). Or
bene, che è egli mai co-
testo
intuire? Quar è la natura intima di
quest'atto? È difficile
averne
risposta ben determinata. L'animn, dice il
Mamiani più d*una
volta,
è dotata d^una veduta it^eriore di ti
medeaimaj e questa interior
veduta
è quasi occhio mentalcf pupilla spirituale,
anteriore al fatto
della
percezione. Che cos* è, di grazia,
cotest* oeeAio, cotesta pupilla,
cotesta
veduta interiore f È forse un
giudizio? No, risponde: che alla
funziono
giudicativa devq andare innanzi la
percezione. {Confeenoni,
voi.
cit, p. 150). Che cos*ò dunque? Per
quanto altri voglia andar ri-
cercando no'
copiosi volumi di questo Neoplatonico, mai
non gli verrà
fatto
ripescarne risposta. Ora a noi pare
che tal veduta interiore di si
altro
non possa essere tranne che un
ritorcersi, un geminarsi primitivo,
e
perciò un insieme d'oggetto e di
soggetto, una triplicità iniziale, uu
giudizio.
Sarà giudizio sui generis; sarà giudino
fcUto stnxa riflessione
come
direbbe il Vico; ma, in sostanza, ò
giudizio. Se dunque è tale, non
importa
un oggetto? Or quale sarà l'oggetto dell'
infmor veduta, cioò la
luce
di queir occhio, dì quella pupilla t
V Ente possibile no, certo : e
il
Mamiani
con dialettica stringente e per quattro
differenti capi s' accinge
a far
minare dalle fondamenta la teorica
rosminiana, e in parte vi
riesce.
(Ibi, L. II, e. V). Che cosa
dunque sarà? A quel che ne pare,
neanche
qui egli risponde. E, checché possa
dirne, certa cosa è che so
l'anima
è davvero dotata d'una interna veduta
(la quale perciò è logi-
camente
anteriore alla percezione), a spiegar
questa non si può prescin-
dere da
quella. Se la cosa infatti non
procedesse così, in che maniera
la
percezione verrebbe capace di trascendere i
limiti del puro sensato ?
Brevemente
: l' Io non percepisce, V Io non
avverte un termine esteriore
siccome
/orsa, senza eh' e' /)ereept«ca e avverta
so medesimo. Or che
cos' ò
il percepire sé stesso, tranne che un
atto giudicativo ? Dunque
anteriormente
al fatto della percezione
(com' ei la intende), ci ha da
Se non
che, la più fresca novità delle
Confessioni
è r
intuizione dell' Assoluto ; quindi la
invitta prova
che ne
scende, secondo il Mamiani, su l'esistenza
di
Dio ;
quindi la salda costituzione a priori
della Meta-
fisica.
Innanzi tutto: se cotesta intuizione non
è altro
fuorché
una semplice contiguità, un' adesion
marginale
del
pensiero con l'Assoluto, non è chi in
essa non sap-
pia
ravvisare quel toccamento spirituale de*
Yecchi Neo-
platonici,
dottrina rinverdita, quindici anni avanti
'1 Pe-
sarese,
dall'illustre neoplatonico Pomari.* Vero è
che la sentenza la quale a tal
proposito risulterebbe dal- l'insieme delle
sue dottrine potrebb' esser questa: che il
suo intùito non sia già un atto
originario, potenziale,
essenziale,
bensì tutt' un ordine d' intuizioni per
quante potrann' esser le idee attraverso
alle quali avvien che traspaia l' Assoluto.
Or s' egli è così (né sappiamo dir davvero
s' e' sia così), perché aflFermare più
d'una volta, esser necessaria, inevitabile
uxìl intuizione perenne e im- mediata délV
Etite sortitaci da natura e dalla
essenza dd nostro spirito? * Se l'
intuizione dell'Assoluto é un atto essenziale,
come potrebbe non esser primitivo? E s'
egli é primitivo, non è a reputarsi
anteriore logicamente alla percezione? In
sostanza, se T'Assoluto é quegli che ^presenta
al pensiero, e' s'ha a mostrare fino
dal primo
atto
della mente; la quale perciò sarà
mente, sarà pen-
essere
qualcos'altro che ne sìa la vital
condizione. Evidentemente
r
acuta pupilla speculativa del Pesarese non
s* è profondata nolla na-
tura di
siffatta condizione. E puro con quest*
alchimia e' non dubita cre-
dere d*
avere una buona volta composto in
armonia 1* antica lotta fra
Platonismo
ed Aristotelismo !
' Il
Hamiani dice : « balena con evidenza
V intuito cT una poeitiva,
immota
ed universale realtà^,, indeterminata e
inqualiJiiMta e perciò oeeura
e non
deecrivibile, > {Meditaz, Carte»., p.
229.) Non è egli cotesto V oh-
biette
intelligibile colto dall* intùito, nulla
interpoeita creatura, di che
parlano,
per esempio, i seguaci di sant*
Agostino, e, fra questi, il For-
narì?
(Ved. VelV Armonia Univ., p. 74, 75,
ed. cit.).
*
Meditai, Cartee,, p. 234, 294. Questa
sentenza, come ò chiaro, è
in
aperta contraddizione con quell'altra onde
il Mamiani afferma e ri-
pete, nulla
non v'esser nolla sua dottrina d'innato,
nulla di primitivo.
Vedi
Riep, al eig, dott, Akt», Brentazzoli,
Bologna, 1866.
siero,
solo in grazia di chi le sta
dinanzi. Ora se il yero,
metafisico
o no che sia, non è fatto dalla
mente, ma da
essa
ricevuto, evidentemente il Neoplatonismo del
Ma-
miani
viene a contraddire alla dottrina
psicologica del
Vico,
rompe contro alle severe obbiezioni mosse
al Gio-
berti, e
massimamente soggiace a quella grave
difficoltà
che
Aristotele oppose al suo gran maestro
circa la inu*
tilità
deir esperienza e de' fatti e delle
percezioni, posto
che il
vero e l'universale, in che risiede
propriamente la
scienza,
debba ne' suoi principii derivarci dall'alto
e
dal di
fuori, meglio che dal didentro/
Se non
che, ingegno elegantissimo e ricco di
vena poe-
tica, questo
filosofo spesso indovina. Talora infatti
sem-
bra non
esser l'Assoluto quegli che determina e
significa
se
medesimo nelle idee; bensì la mente
stessa la quale,
generando
cotesto idee, determina idealmente, esprime
e significa
l' Assoluto : tanto che non sarebbe
altrimenti
lo
splendor divino che penetrando quasi
attraverso gli
esilissimi
spiragli delle idee ne promoverebbe
l'intùito,
ma la
stessa virtù riflessa ne verrebbe argomentando
r
esistenza e la natura per necessità
eduttiva.* Ora solo
*
AbisTm M«iaph.y 1. 1. —II Mamianì
potrebbe dire: il mio intiiito
sta in
ciò, che ogn* idea, avendo a
significare per propria natura un obbietto,
debba
importare un' enistenza etema, ed una
$peciaU determinazione ddVente
aMolìtto
e infinito. — Accettiamo anche questa
posizione. Che cosa ne
Terrà?
Poiché gli obbietti tignijiecuiei dallo
idee non potranno esser al-
tro salvo
cho determinazioni ad intra o
determinazioni ad extra del-
r
assoluto, sorge la necessità di spiegare
se 1* intuito s* appunterà verso
le
une, meglio che verso le altre.
Stando alla dottrina della maboinalb
ADS8I0NR
e del toecawtento epirituale, V intuito,
non essendo un atto pene-
trativo,
coglierebbe le seconde anzi che le
prime: e quindi, innanzi ogni
altra
determinazione dell* assoluto, dovrebbe afferrar
quella dell* atto
creativo.
Or se questo è vero, parmi evidente
come la dottrina del
Mamiani
su la conoscenza non si discosti
neppur d*un apice, quanValla
sostanza,
dalla dottrina del Gioberti, il quale
non ha mai preteso che il
suo
intùito abbia da essere un atto
penetrativo. — Ma il termine esterno,
il
sensato (egli dirà) si ha per via
di percenone, — Ad un acuto Qio-
bortiano
qui non tornerebbe guari difAcile cogliere
V autore delle Oon-
fe99ioni
in aperta contradizione con so medesimo.
*
Nelle Con/e99Ìoni è sempre T Assoluto
quegli che s'affaccia ed
eccita
e promovo lo spirito al pensiero, e
solo in qualche luogo (per
per
cotesta via egli avrebbe potuto correggere
il Gioberti,
e
riconoscere insieme la parte di vero
che è pur nelle
dottrine
Rosminiane. Solo per cotesta via
avrebb'egli
inverato
il Platonismo, e dischiuso fra noi un
periodo
novello
di speculazione feconda, razionale, positiva
e,
che
più rileva, conseguente alla storia della
scienza.
E solo
per cotesta via non sarebbe incappato
nella in-
coerenza di
porre l'Assoluto come uiroOt^tc, e in
un'ora
medesima
dichiararlo oggetto d'intùito. Perocché se
con
l'analisi
delle idee ci è dato risalire per
logica neces-
sità fino
a cotesta uttotsjc;, a me pare che
una dottrina
psicologica
0 ideologica, la quale invochi '1
sussidio d'un
intuito,
sia un fuor d'opera addirittura. —
Con ciò stesso
avrebbe
corretto il valor rappresentativo delle
idee,
eh' è
r altra originalità cui pretende il
Neoplatonismo
del
Mamiani. Quale attinenza è mai fra
l'idea e l'ideato?
Non
quella di somiglianza come han creduto
balorda-
mente i
Malebranchiani, egli risponde; ma si quella
d'una
vera e propria significazione. Eccolo
dunque anche
qui,
senza addarsene, alla famigerata wa/jo^ix
platonica
tanto
invocata dal Gioberti nella sua prima
maniera di
filosofare.
Nel che il Pesarese, anziché progredire,
è ri-
masto molto
indietro all' autore della Protólogia nella
quale, com'
é noto, il concetto della piOiSi;
rivelasi im-
prontato
d'una forma novella, e, fino a certo
segno, origi-
nale. Ma
lasciando stare del regresso e dello
scadimento
notevolissimo
che nella specuhizione italiana ci segnano
le
Confessioni d' un Metafisico ove si ponga
a riscontro
lo
dottrine del Mamiani con V ultima
forma cui s' era
levato
r ingegno potentissimo del Gioberti, è
bene qui
accennare
un'ultima osservazione su l' attinenza che
il
Pesarese
pone fra le intellezioni e il loro
obbietto.
68. a
p. 95 e seg., voi. cit.) fa
trasparire la nuora tendenza cni allo-
diamo.
Ma noU* opuscolo dì risposta ni
Bonatelli (Bologna, 1868, p. 49)
questa
tendenza è pid chiara, tuttoché manifestata
foggevolmente e
forse
Inconsapevolmente. Dico inconsapevolmente perchè
nelle Medita-
zioni
rinnovate e* ricasca nella solita
presenaialità, nella tolita marginale
ndenone^
come ci attestano le sentenze qna
dietro riferite.
Le
idee importano il divino, egli dice;
poiché non
sono
fuorché altrettanti simboli, altrettante
significa-
zioni dell'
Assoluto. Se questo è vero ne segue
che, in
quanto
simboli e segni, elle non avran
valore infino a
che
cotesti simboli non siano intesi e
interpretati. Ma
come
la mente potrà giugnere ad intendere
e inter-
pretare
siffatti segni? Mercé l'ordine delle
percezioni.
Or
bene, se l' idea non basta a
significar sé medesima
né a
farsi intendere da sé, evidentemente per
noi
ell'é
come un chiaror confuso, vago,
indeterminato,
insignificante,
e quindi al tutto inutile alla
scienza.
D' altra
parte, se l' ordin delle percezioni é
di sua na-
tura
cosiffattamente limitato da essere incapace
a darci
r
universale, non potrà non riescire anch'
egli d'ingom-
bro inutile
alla mente. Si dirà di poter superare
il fe-
nomeno e
attinger la scienza mercé il connubio
dell'or-
dine
percettivo con l'intellettivo? Questo é per
l'appuntò
ciò
che pretende il Mamiani. Ma, se eoa
fosse, non ved-
remmo ad
assomigliare il regno della scienza e
delle idee
a
quello di natura e delle fisiche
efficienze, ove se a
due
cavalli non vien fatto di tirarsi
dietro un carro vi
potranno
benissimo riescir quattro? Il Mamiani
afferma
non
dimostra la platonica 7ra/)0Tc«: afferma,
non dimostra
la
platonica xotvwvèa. E per tutta
dimostrazione ci an-
nuns^ia
che l'idea é significativa, perché? perché
havvi
un
obbietto nel quale debb' ella
necessariamente termi-
nare. Or
in che modo legittima egli cotesto
obbietto?
Lo
legittima, come s' é visto, dichiarandolo
presente^ po-
nendolo
presente! Questo é proprio il nocciolo
maga-
gnato del
Neoplatonismo. La preserunalUà dell'Assoluto
è
un'ipotesi, un'affermazione arbitraria: ecco
tutto.*
*
Corte dottrine del Mamiani ci ricacciano
addirittura fra i Plotino,
i
Proclo e gli Ammonio, appo cai
facilmente troverebbe riscontro il sno
concetto
del Bene. E chi pigliasse poi a
rovistare attentamente nelle
antiche
scuole, per esempio nel vecchio e
anonimo autore della Teologia
(Rayaibson,'
op. cit., t. II, p. 542), potrebbe
ritrovar più che un germe
della
dottrina sn \*influxu$ divintu che neir
Arabismo e anche nella Sco-
Concludiamo.
Noi abbiam dovuto fare una critica
rapidissima
del Neoplatonismo italiano considerandolo
segnatamente
sotto l'aspetto psicologico, perchè i tre
filosofi
di cui abbiamo toccato ci rappresentano
le posi-
zioni più
serie, le forme principali ond'il
Platonismo
crede
attinger l'obbietto metafisico. Rosmini è
il meno
dommatico,
il meno arbitrario, il piii positivo
e quindi
il
meno platonico fra tutt' i platonici.
Egli pecca nel
porre l'
essere della mente come ideale; e lo
sbaglio di
siffatta
posizione vale a spiegarci le
contraddizioni in cui
spesso
ha inciampato nella psicologia, nonché le
gravi
manchevolezze
nel suo disegno ontologico su le tre
forme
dell'
Essere. Assai piii del Rosmini pecca
il Gioberti nella
dottrina
psicologica affermando l'essere come reale
e,
che
più monta, come recde determinato. Non
meno del
Gioberti
e del Rosmini pecca il Mamiani
ponendo co-
testo reale
come infinito in se, e come presente
al pen-
siero mercè
l' interposizione delle idee. Si direbbe
dunque
che il
Neoplatonismo italiano, in questi tre
filosofi, abbia
progredito
su la via dell' a priorismo e
dell' iperpsico-
logismo.
Essi han dato tre passi, ma indietreggiando
sempre
più; perchè con l'esagerare l'esigenza
platonica
han
trascurato l' esigenza aristotelica, tuttoché
ciascun
d'
essi abbia creduto d' aver impresso oggimai
un ac-
cordo
definitivo fra' sistemi de' due vecchi
filosofi. L'ul-
timo
segnatamente, il Mamiani, mostra d'aver
progredito
assai
più del Rosmini e del Gioberti in
questa via. Sotto
certi
rispetti, infatti, il Neoplatonismo del
Pesarese par
che
confini col Teologismo: talora anzi vi
si confonde,
chiunque
ripensi a quelle cinque differenti maniere
(oltre
la
sesta della comunione ideale ond' abbiamo
parlato)
mercè
cui egli stima debbansi attuare gV
influssi divini. E
Dio
che crea l' anima, e la fa esistere.
Ma è anche Dio
che le
fa intendere presentandosi a lei attraverso
le idee.
È Dio
che le fa ammirare il bello, e
incarnarlo. È Dio che
lastica
tien luogo del processut. — (Vedi lo
stesso Rayaisson , voi. cit., p. 552
—
Vachebot, Hi8t, critique de VÉcole
d'^Alexandrie, T. II, iv.)
le fa
operare il bene e la virtù. Che
più altro? È Dio per-
fino che,
disponendola ineffabilmente, la eccita, la
trae
all'adorazione.
È proprio il regno di Dio su
questa nostra
terra
1 E Y illustre Mamiani potrebbe oggi
ripetere le
pietose
e calde parole del Malebranche: 0
Dieu! exaucez
ma
prière, après que vous Vaurez formée
en mai!
Capitolo
Ottavo,
continua
lo stesso argomento.
{Critica
del NeoarigtoteUsmo),
Notammo
come il principio del conoscere metafisico
immediato
ponga radice, per dirla con le parole
di He-
gel, nel
rapporto d' un nesso primitivo ed
essenziale fra
il
pensiero e T Assoluto, fra il soggetto
e T oggetto/ Àb-
biam
visto come il Neoplatonismo italiano
moderno
propugni
questa connessione sotto tre forme più
o manco
razionali;
e come abbia quindi a tornare assai
difficile
al
Rosmini, e molto più al Gioberti e
al Mamiani, li
potersi
difender dair accusa di panteismo ideale.
Gli
estremi
si toccano anche qui. Con la teorica
dell' intui-
zione e
deir immediatezza i nostri Neoplatonici
riescono,
checché
se ne dica, a' risultati cui perviene
la dottrina
della
mediazimie propugnata dagli altri nostri
viventi
filosofi,
seguaci caldissimi dell'Idealismo germanico.
Dicemmo
qual sia la doppia esigenza onde il
Neo-
platonismo
si divaria dal Neoaristotelismo quant'al
co-
noscere
metafisico (pag. 365). Per la natura
istessa di
questa
doppia esigenza avviene che, come nel
primo,
cosi
pure nel secondo indirizzo sono possibili
più forme,
più
maniere, più metodi, sia che si tolga
di mira il
modo
con che si crede poter attinger
l'assoluto, sia
che il
risultato ultimo a cui si potrà
giugnere. Non
«
Hegel, Log., yol. I, p. 384, §
LXIX.
volendo
tener conto di quella vieta e volgar
maniera
di
mediatezza che, quantunque sotto aspetti
differenti,
fa
sempre un salto mortale quando presuma
levarsi
dall'effetto
alla causa e dal dato alla condizione
del
dato;
possiamo ridurre a due le forme più
generali e
comprensive
di tal mediazione. Esse, al solito,
risal-
gono a
que' due estremi in che dicemmo
sdoppiarsi
r
Aristotelismo: perchè anche nella quistione
metafisica
il
primo di cotest' indirizzi ci è oggi
rappresentato dal
Positivismo
e dal Materialismo; l'uno affermando, nulla
mai
non potersi conoscer di metafisico, e
l'altro innal-
zando a
dignità d' assoluto la stessa materia,
senza
legittimarne
menomamente il concetto. Il secondo poi
vuol
essei^e anch' egli avvisato sotto doppio
rispetto,
potendo
assumere due forme che, per due
differenti
ragioni,
rivestano entrambe carattere iperpsicologico.
Si può
infatti mantener la posizione d' un.
immediato
irradiamento
per virtù d'un principio superiore, gene-
rale e
comune^ e s' ha uq indirizzo averroistico
; il quale,
benché
storicamente sìa come un virgulto sbocciato
nel
giardino
dell'Aristotelismo, può siffattamente svolgersi e
grandeggiare,
come nel fatto è avvenuto, da
toccarsi e
talora
confondersi col Neoplatonismo. Ma, d'altra
parte,
può
assumere forma squisita di scienza, e s'
ha, come
ne'
tempi moderni, una delle tre maniere
dell'Idealismo
germanico
appellate subbiettiva, obbiettiva, assoluta.
Sennonché
è da notare come fra tutt' i
sistemi quello
dell'assoluta
identità serbi '1 distintivo d'esser
natura-
lismo e
ipei-psicologismo insieme, e racchiudere, co'
molti
pregi,
i moltissimi difetti dell'uno e dell'altro
indirizzo.
In
metafisica l'Hegeliano è iperpsicologista.
Perocché
quantunque
non attinga l' assoluto per opera d' un
in-
tuito e
d'un'immediata visione più o meno
spiccatamente
neoplatonica,
dice e crede mostrare di poterlo
cogliere
quasi
d'assalto, come toccammo, cioè per
stibitanea ed
assoluta
astraeione dd pensiero puro. Dice e
crede mo-
strare di
poter dedurre a tìl di logica la
dialettica che
per
lui costituisce la chiave di volta d'
ogni scibile e
d' ogni
ordine di realtà.. Anch' egli dunque
trascende; e
però anch'
egli vizia l'esigenza d'un positivo e
severo
psicologismo.
Ma, oltreché iperpsicologista, l'Hegeliano
è
anche naturalista. Checche se ne dica,
la sua logica
obbiettiva,
la dialettica intrinsecata e compenetrata
con
la
stessa metafisica, non è altro alla
fin delle fini che
imitazione
e ripetizione della stessa natura, delle
stesse
leggi
di natura, tuttoché ridotte al grado
più univer-
sale e
squisito di trasparenza ideale, pura,
assoluta, per
cui la
forma costituisce lo stesso contenuto, e
viceversa.
Il
perché se l'Idealismo assoluto, come
altrove notammo,
è
stato detto con felice espressione esser
V àlgebra dd
naturalisino,
con altrettanta verità può dirsi essere
un'
algebra della psicologia, del pensiero e
delle idee ;
tanto
che ci sarà lecito designar come
indovinello d'alge-
bristi
(direbbe il Vico) quell'assoluto che gli
Hegeliani
con
miracolo non mai visto fanno venir
fuora dalle neb-
biose alture
della dialettica. Possiamo dunque affermare
che
Positivisti e Idealisti assoluti oggi
rappresentino gli
estremi
indirizzi dell' Aristotelismo. E queste due
forme
neoaristoteliche,
tuttoché fra Joro si differenzino toto
cedo
nel metodo e nel concetto della
scienza, nuUameno
si
toccano ne' risultati, massime in quello
risguardante
il
valore e '1 destino dell' umana
personalità.*
* Chi
tien conto della necessità d* ìndole
tutta fisiologica ed empi-
rica
secondochò è intesa da' positivisti e
da* niaterìalisti, e della necessità
tntta
dialettica ideale assoluta com'è concepita
dagli Hegeliani, tosto
8*
accorgerà d' un* altr* attinenza fra queste
due tendenze della moderna
speculazione.
Il dinamismo noli* essere, nelle cose,
nella scienza e nella
storia,
sparisce cosi per 1* una come pet
1* altra dottrina. Meccanismo
ideale,
come dicemmo, e meccanismo fisiologico e
materiale: necessità
logica
e formale, e necessità empirica e
meccanica; ecco tutto. Oggi
dunque
potremmo affermare dell'una e dell'altra
scuola ciò che Aristo-
tele diceva
de' pittagorìci e de' platonici: 'A).Xa yiyovi
roì fiscBri-
fixrcx.
To?c vvv >j ^tXoao^ia {Metaph, I.) Cosi Hegeliani e
Positivisti,
come
avvertimmo nella Introduxione, tuttoché movano
da due punti Uh
loro
interamente diversi ed opposti, riescono
pur nullamanco fid una me-
desima
legge. E come al Platonismo primitivo
tenne dietro la scuola di
Rifacciamoci
da' Positivisti, i quali, ove discoiTono
intorno
al problema del conoscere metafisico, non
mo-
strano
quella serietà scientifica della quale non
pertanto
vanno
lodati quando parlano de' principi!
metodici da ap-
plicarsi
alle scienze. Quant' al problema d'una
realtà
metafisica
e' non sofirono d'esser messi in un
fascio con
gli
scettici sistematici e co' nullisti ;
e, davvero, non han
torto.
I Positivisti infatti ci parlano d'
un Inconoscibile.
Dunque
essi confessano V esistenza d' un obbietto
trascen-
dente. Ma
come legittimano cotest' obbietto? Come ne
determinano
l'idea tosto che ne parlano? I
Positivisti
francesi
ne discorrono, ci piace ripetere anche
qui la
frase,
come d' un oceano immenso^ doni la
daire vision
est
amsi salutaire que formidable.* I
Positivisti inglesi
poi ci
porgono un concetto più determinato di
cotesto
Deus
àbsconditus, àicenàoìo potenza, forzc^ di
cui V uni-
verso è
simbolo e manifestazione}
Il
positivista francese qui, com' è evidente,
s' addi-
mostra pili
positivo, 0 meglio, più negativo
dell'inglese,
e
quindi più timido, più
circospetto, più scettico di
di
Speusippu cbe radiò addirittara il numero
ideale (yortroc, sc^yjtcxo;)
sostitueodoTì
il nunioro sensibile appunto perchè queir
idea come astratta
e
generale parevale cosa inutile (Arist.
Metaph,, XIII. Rataibbon, i!^>eu-
9ippe);
parimente oggi Positivisti e Materialisti,
in luogo dell* /iea, pon-
gono' II
Fatto e la Materia; e cosi mentre
negano V Idealismo assoluto,
mostrano
d'arer con osso doppia ed intima
relazione, una storica e l'altra
teoretica.
La storia del pensiero filosofico
progredisce, non v'ha dubbio:
ma
anche nel progredire si ripete. Ecco
qua -una prova, chi vuol vederla.
* E.
LiTTBi, A, Comte et la Phil. Poeit.,
2« ed., p. 529. Per quanto
negativo,
nullameno questo concetto del Littré su
V Assoluto è una cor-
rezione deir
idea del Orand' Eetere intorno alla
quale con tanta vuotag-
gine avea
finito per arzigogolare il Comte.
* H.
Spencer, Firft Prìnci^ee^ ed. cit., e.
I. Alcune idee di questo
scrittore
su V obbietto metafisico superano quelle
di St. Hill. L* Autore
del
Sietema di Logica parla del soprannaturale,
come notammo in altro
luogo,
da schietto formalista, senza poterlo
quindi legittimare in altra
guisa
che per empirica credenza. (Ved. A,
Comte et Le Potitivitme, p. 15.)
La
relatività del eonoecere per lui non
è, a dir proprio, quella di Spencer,
e
neanche quella de* Positivisti francesi.
Vedi il novero eh* egli stesso
fa de*
diversi modi con che può intendersi
la relatività della conoscenza
nella
PhiL de Hamilton, ed. cit. e. I.
fronte
alla scienza : ma le contraddizioni
in che restano
entrambi
avviluppati son le medesime. Anch' essi
in-
fatti, i
Positivisti, obbediscono e rendono omaggio
al
bisogno
speculativo che punge ed eccita continuo
il pen-
siero
filosofico, stantgchè non solo riconoscono
la realtà
d' un
oggetto trascendente, ma lo determinano, lo
pon-
gono, lo
specificano in qualche modo. Che cos'è,
per
esempio,
l'Inconoscibile onde ci parla l'illustre
Spencer?
È il
fondo occulto delle religioni, e insieme
l'estremo
termine
a cui riescono le scienze. Le
religioni pongono
tale
obbietto per virtù d'istinto: le scienze
lo subiscon
per
legge del proprio svolgimento. Tra fede
e ragione,
perciò,
non v'è antagonismo: l'Inconoscibile n'è l'
ob-
bietto
comune. Conciliarle dunque è possibile,
tosto che
s'abbia
diffinito le idee madri onde scienze
e religioni
sono
inviluppate. E poiché le une in
sostanza Aon fanno
che
riconoscere ciò che le altre contengono
ed espli-
cano istintivamente,
ne segue che lo spirito umano'
per
mezzo della scienza perviene là ond'
egli stesso era
partito
con la fede, cioè all'Inconoscibile.
Il
pensiero del filosofo inglese è chiaro
e spiccato,
ma non
altrettanto vero. Innanzi tutto: perchè le
reli-
gioni e
molto più le scienze non potranno
pervenire a
render
conoscibile in alcun modo l' Inconoscibile
di cui
pur
confessate la realtà? Forse che tale
impossibilità,
ripetiamolo,
non contraddice apertamente all'attività
critica
del vostro pensiero speculativo, alla
stessa esi-
genza del
vostro metodo critico e positivo? Non
dubi-
tate
affermarlo esistente cotesto Inconoscibile.
Giungete
anzi a
determinarlo come forza di cui V
universo è ma-
nifestojsnone.
Or bene perchè non dare un altro
passo?
Perchè
non ispecificar l'attinenza eh' è tra
l'Incono-
scibile e
'1 conoscibile? In altre parole,
domandiamo:
col
porre i termini, non siete già nella
necessità logica
di
mostrarci in qualche maniera la relazione
di essi,
dirci
quale attinenza interceda per avventura tra
la
forjsfa
e la sua manifestazione, quale sia il
vincolo che
annoda
insieme la potenza e l'universo onde
quella
potenza
è simboleggiata? Brevemente: siete qui in
una
forma
di panteismo, o di teismo? Il
Positivista non
risponde;
e pur dovrebbe: dovrebbe se davvero
amasse
mostrarsi
ed esser positivo.
Inoltre,
l'Inconoscibile onde move la fede, e
Fin-
conoscibile
cui giugno la scienza, dice lo
Spencer, sono
una
cosa. Ma perchè? Perchè col prodotto
confondere
due
facoltà fra loro diverse? L'Inconoscibile
della fede
incontra
un limite invalicabile in questa o
cotesta intui-
zione
particolare in cui l'Assoluto è compreso
dal sen-
timento
religioso appo un dato popolo, e
presso una data
civiltà. L'
Inconoscibile delle scienze, invece, è l'
inco-
noscibile di
ragione; e, come tale, non può
restare per-
petuamente
indeterminato, pel solito motivo che, ove
rimanesse
cosi necessariamente, l' indagine positiva an-
nullerebbe
sé stossa; e annullerebbe sé stessa
perchè
r
esigenza critica non sarebbe altrimenti un'
esigenza
invitta,
naturale, un irresistibile e crescente
bisogno
speculativo.
Ora se il contenuto della fede è
condizio-
nato ad
una forma speciale; se per la natura
stessa
della
funzione psicologica ond' ei rampolla riman
chiuso
e
quasi cristallizzato nella particolarità d'un
senti-
mento:
perchè, domandiamo, voler condannare alla
medesima
sorte T Inconoscibile delle scienze? Perchè
così
inesorabilmente pretendere di segnare i
confini alla
ragione
ponendo limiti all' attività del pensiero
specu-
lativo, eh'
è pur la forza più libera
dell'universo? Non
è
anch' ella, cotesta, una forma di
dommatismo ? *
' 11
PositiTÌsto dirà: tosto che voi pigliate
a determinare Vlitco-
no9cihile,
siete già beli* e uscito dalla
scienaa^ e cadrete nella metafisica.
Verissimo:
questo accade, e questo appunto deve
accadere. Altrove mo-
strammo come
ciascuna scienza, come tutte le scienze,
riescano inef-
ftcaci
nel tentare la soluzione di certi
problemi, segnatamente nel de-
terminare il
concetto àeWAt^oluto (lib. II, cap.I). Il
Positivista che è tutto
scienza
e solamente scienza, da una parte ha
paura della speculazione,
mentre dall*
altra sente il bisogno di determinare
in qualche modo cotesto
assoluto,
e lo determina, per esempio, alla
maniera dello Spencer o del
Concludiamo
quant' a' Positivisti. Il Positivismo fran-
cese
rispetto al conoscere metafisico ci dà
un Immenso
indeterminato
; un Incondizionato reale, 11 Positivismo
in-
glese poi,
facendo un altro passo, determina vie
più cotesta
ignota
realtà, e giugne ad affermare che le
forze, la
materia,
il movimento, la vita e l'universo
non siano
fuorché
simboli e rappresentazioni.- Altre affermazioni
d'altre
maniere di Positivismo che pongano T
assoluto
senza
penetrar nel regno della metafisica^ io
non cono-
sco; ne,
a dir vero, sono possibili.*
Littré
con offesa apertissima della logica. Ora,
chi non voglia offendere
non
pur la logica ma neanche il hnon
senso, e insieme salvarsi dalla
contraddizione,
dove altro può penetrare, uscendo dal
regno delle «ctetue,
fuorché
in quello della tiietajUiea^ ma della
metafìsica intesa non già come
scienza
/>rtma, anzi ultimaf Determinare in
qualche modo la Potenza di cui
r
universo è manifestazione; specificaro questo
Immento formidàbile e pvr
•alutare
oltre cui non sa penetrar rocchio
dello Scienze ma della cai
realtà
nessuno che abbia mente sana potrà
dubitare; cotesta impresa,
diciamo,
non è né impossibile nò puerile,
altro che per gli animi volgari,
incuranti
e stupidi. La relatività nel conoscere
non ò muro di bronzo;
non è
oceano assolutamente sconftnato. Il conoscere
metafìsico è pos-
sibile ;
ma ò possibile come aesolato e come
relativo insiememente. È a«-
eolutOf
nel senso che salva il pensiero dal
nullismo metafìsico; ed è re-
lativoj
nel senso che non istringe la mente
entro la rigida catena d* una
formola
sistematica. Se intanto ò vero, come
dice Io Spencer, che tra V In-
conoscibile
delle religioni e V Inconoscibile delle
scienze non esiste antago-
nismOy
no viene che, fra gli altri fini,
la speculazione metafisica debba pre»
figgersi
anche questo: trasformare la fede,
interpretar la credenza, porre
a nodo
il germe delFidea che pure si s
voi ve attraverso le produzioni mi-
tiche,
superare il sentimento riducendo l'immaginazione
a ragione se-
condochò
richiede il processo psicologico (Ved. ciò
che abbiamo discorso
nel
cap. V, lib. Il), e siffattamente
porgere guarentigie sperimentali al-
l'inveramento
della scienza mercè le applicazioni
storiche in generale.
* In
questa rapida critica su la tendenza
metafisica del Positivismo
non
abbiamo tenuto conto dell' Umanismo di
Ausonio Franchi, e del
suo
Dio ddV Umanità che nega il Dio
detta Bibbia {Razionalismo del
popolo,
Ginevra, 1856), e neanche del Fatto
della vita, àeW Istinto ài cui
parla
il Ferrari {Filosofia della Hivol, voi.
11), perchè non ci paion con-
cetti scrii,
né degni di critica seria. Quando s'
è detto che il Dio Umanità^
che la
Vita della storia con tutte le sue leggi
non sono che due fatti
i
quali perciò abbisognan d'una spiegazione,
s'è detto tutto. Ora a co-
testa
qualsiasi spiegazione non sanno e non
vogliono accostarsi questi
due
arditissimi scrittori per paura della
metafisica; e però non sono
positivisti,
L' uno è critico, non Criticista, com'
egli pretenderebbe giac-
Or
bene, la filosofia positiva, la
speculazione razio-
nalmente
positiva, accetta, deve accettar l' una e
V altra
posizione
de' Positivisti inglesi e francesi, perchè
ci rap-
presentano
entrambe uno sforzo di metafisica, perchè
sono
entrambe un preludio alla metafisica. Se
non che
esse
sono una metafisica incosciente, una
metafisica ne-
gativa,
perchè sentono ma non soddisfano l'esigenza
speculativa.
Come dunque soddisfare all'esigenza dav-
vero
positiva nella speculazione trascendente? Eviden-
temente
bisognerà appagarla superando il negativo,
superando
quel sazievole non so, quel non mi
preme
sapere^
quel non si può sapere che ad
ogn' istante e con
incredibile
noia ci ripetono i Positivisti, ma
nel me-
desimo tempo
restare nel positivo. E qual è il
positivo
in
metafisica? Lo dicemmo già, e lo
ripetiamo: schivare
gli
estremi ; perocché il nemico mortale
della positività
metafisica
son le colonne d'Ercole del tutto
sapere, e
del nulla
sapere metafisico (cap. I, 1. II). Se
quindi la
vera
filosofia positiva ha da accettare quel
che il Posi-
tivismo ci
dà e nel medesimo tempo superarlo in
forza
dello
stesso metodo positivo, deve accogliere l'
esistenza
che il
crìticista, il vero Kantiano affinchè sia
tale, dehb' esser tutto d*un
pezzo,
dero accettare anche i sommi pronunziati
della Ragion Pratica,
Ausonio
dunque è un puro critico, un critico
sottile, è il doctor mbtilissimwi
de* dì
nostri, abile scaltri mai a trovare
il pel neir uovo neMibri altrui,
ma non
così nel dare una dottrina, una
teorica propria, fosse pur la teorica
del
giudizio. Il Ferrari invece è scettico
sistematico^ meravig^lioso nell* acca-
tastare
erudizione come nel distrugger sistemi, ma
nullista in metafisica
al
pari d* Ausonio. Costoro perciò son
fuori d* ogni forma di Platonismo
e
d'ogni forma d'Aristotelismo; e se ne vantano;
e se ne gloriano: e
si
sortano pure! Ma non sono fuori della
storia, chi sappia che cosa vo-
glia dire
storia della scienza e della filosofia.
Franchi e Ferrari hanno
esercitato
fra noi quella funzione, parte benefica
e parte malefica, che vie-
ne
esercitando lo scetticismo in certi dati
periodi storici; funzione al
tutto
negativa, ma necessaria (p. 207,e sog.).
Ma la storia dovrebbe insegnar
loro
due cose: che il l)Ì80gno speculativo
è uu gran fatto, e che la
possibiltà
d' una
metafisica positiva non è un sogno. A
questi critici e scettici, di cui
fra
noi oggi non è penuria, opponiamo un
dilemma invincibile do) prof. Ber-
tini
su la possibilità di rintracciare un
principio metafisico. (Ved. La\
FU,
Greca prima di Socrate, esposiz, storico-
critica, ed. cit. p. 13, 320.)
d' un*
ignota realtà in quanto è Potenza e
virtù dell' uni-
verso, ma
legittimarla. Così il metodo positivo,
assumendo
valor
critico e razionale, non più sarà
l'esagerazione d'uno
de' due
estremi indirizzi dell'Aristotelismo, ne contrad-
dirà'altrimenti
alla sua posizione media, anzi varrà
a
confermarla,
ad inverarla, ad esplicarla sempre più.*
L'opposto
indirizzo del Neoaristotelismo dicemmo
esser
THegelianismo.* L'Hegeliano si oppone al
Neopla-
tonico,
perchè non accetta veruna sorta d'
immediatezza
nel
conoscere metafisico. Si oppone al
Positivista e ad
ogni
maniera d' empirismo, perchè non può
accoglier la
nozione
d' un assoluto portoci dalla coscienza
volgare,
empirica
o dommatica ch'ella sia. Qui egli ha
piena-
mente
ragione. Ma qual è la sua via?
Qual è il suo
metodo?
Dov'egli mira? L'abbiamo detto: l'Hegeliano
riconosce l'
assoluto, ma lo riconosce ponendolo, facen-
dolo; e
lo legittima per necessità tutta
dialettica. Lo
pone e
lo fa non perchè ci è, anzi
perchè ci ha da
essere
; e per ciò nessuno potrà dire
eh' e' ci sia prima
che il
pensiero s'accinga a farlo. Di qui
una conclu-
sione
singolarissima: Tutto ciò che esiste, è
anteriore a
quello
per cui virtù solamente egU è
possibile e reale! Ma
non
anticipiamo. Che cos' è dunque l'Assoluto
per i neo-
aristotelici
iperpsicologisti? Là risposta non è sì
facile
per
noi quant' avrebbe da essere per
loro. L' Assoluto
è il
Tutto : è l' assoluta e immanente
relazione : è la
relazione
della relazione: lo Spirito.'
* E
così pure ?a in forno T affermazione
del Littbì: c qui e»t mitapKyn-
e»«n,
iCe»tpa9 po9ÌiivÌ9U; qui ett positiwtefn'ett
pa$ métaphyiieien, » (Princip,
de
Phil. Ponit. par A. Comte, Préf. d^un
ditdple^ p. 60.)
*Noa
senza ragione un nostro acutissimo
hegeliano (Dr Mris, Dopo la
r^aureOf
voi. I.) chiama Hegel V ArÌ9ioule
moderno. Ma qual ò proprio V Ari-
stotole
rappresentato dal filosofo di Stoccarda V
Ecco il punto! U nostro
valoroso
e carissimo professore, questo Oariholdi deW
Hegdianimno come al-
trove r
abbiamo chiamato, non ammette che un
solo Aristotele, il suo
Aristotele!
'L'assoluto,
dice un fodol ripetitore di Hegel,
non è questo o
quello,
r identità o la differenza, ma il
tutto nella differenza e neil' unità
tua, E
il conoscere assoluto poi sta nel
porre i termini, nel mostrar
Sennonché,
in cotest' assoluta relazione, in cotesto
centro eh'
è anche circonferenza, è pur d'uopo
comin-
ciare. Da
qual parte rifarci? Qual è il Primo?
Eccoci
nel
cuore dell' Hegelianismo : nella più alta
e nascosa
fortezza
dove già da un pezzo la breccia
è stata ajierta
per
opera degli stessi tedeschi, massime dal
Trendelen-
burg.
All'assoluto, essi dicono, si perviene solo
per
medicunone.
Ma» cotesto lavoro di mediazione, come
s'inaugura
e perchè? A siffatto processo (ripetiamo
la
frase del medesimo Hegel citata nell'
altro capitolo)
va
innanzi un momento d' assóltUa e subitanea
astra-
zione} Col
subitaneo astrarre il puro pensiero pone.
Che
cosa? Pone Vinse, l'Essere, o meglio
l'Indeter-
minato.
L'indeterminato non è soggetto né oggetto;
non è
pensante né pensato : ma è qualcosa
oltre cui non
si può
andare, e senza cui nulla non sarà
mai possibile, e
mercè
cui tutto sarà attuabile : l' idea
assoluta, l' etema
nozione
{der ewige Begriff.y Ecco Vàbsólute Prius,
il
Vero
primo, e però il vero Fatto.*
La
prima osservazione che qui sorge spontanea
è la
seguente.
Cotesto Indeterminato è cosiffatto, che non
si
può
nemmanco pensare: perocché ove accanto a
lui fosse
come
s* oppongano fra loro, e come e
perchè, opposti, si concilino. (Vkba,
Introd,
alla Log. di ffegel^ voi. I, e.
XI, p. 97). ~ 1/ assoluto, dico un
altro
Hegeliano, non è Tldea, non la
Natura, non lo Spirito, ma è Vldea-
Natura-t^rito;
la rdoMÌone dtlla relaztotie; VindifferenMa
differenxiata
indifferentemente
(Spaventa, Le», di FU.) Il vero
abeolute Priue è 1* atti-
vità, il
pensiero, lo spirito: non TEnte che
come puro essere è Premp-
poHo
cominciamento ; ma il Ponente, vero
Principio, che ò lo Spirito.
{Idem,
FiL. di Gioberti, p. 512).
'
Spaventa ne chiarisce il pensiero cosi:
Io mi levo aU^eeeere per
una
riaoluMtone immediata f per un'auoluta
a$trazione. {Le Categ. della
Log,
di ffegd ed. cit., p. 129).
*
Hrgbl, Log, voi. I, Jntrod. e. Vili,
p. 145.
* L*
Indeterminato per lo Spaventa è il
< pemahile indeterminatOf in-
distinto,
non opposto a niente : non dietinto
in «è, ni opposto ad altro :
senta
relazione ni verso sì, né verso altro
che sia o si possa pensare prima
di
esso; rASSOLUTAMKNTR IRRAZIONALE. » (Op.
cìt., p, 129.) Ora se non v' ha
nulla,
come ci dicon gli stessi Hegeliani,
che non racchiuda almeno un
brìciolo,
un' ombra di razionalità, che cosa
mai sarà cotest* oggetto osso-
lutamente
irrazionale altro che il nulla veramente
dettoV •
chi Io
pensasse, per ciò solo non sarebbe
indeterminato,
non
sarebbe il Primo, non sarebbe assoluto/
Or come
da ciò
che non potete né dovete pensare
altro che
come
assolutamente indeterminato potrà dedursi tutto
ciò
che è determinato? Non è egli cotesto
il più mi-
racoloso de'
passaggi? Diranno: e' si può dedurre per
ragion
degli opposti, e per via di logica
necessità. Si
potrebbe,
io risi)ondo, ove T opposto valesse
il determi-
nato. Ma
la deduzione dell' opposto è possibile,
stante-
che
ponga radice nella natura stessa dell'idea,
né v'è
idea
che non abbia il suo opposto. Invece
la deduzione
del
determinato è impresa davvero impossibile,
perchè
il
determinato è molto piii dell' opposto.'
Forse che la
natura,
per dire un esempio, è l'opposto
dell'idea?
V
altro del pensiero puro? La natura è
il determinato:
e come
tale è qualcosa di concreto, di
vivente, di reale,
di
esistente spaziale e temporaneo. Come
dunque de-
durla?
Qual sorta mai di necessità logica
potrà qui
colmare
1' abisso e far disparire l' intervallo
? Potrete
dedurla,
è vero ; ma solo come concetto d'
un subbietto
spaziale
e temporaneo anziché come realtà
sostanziale,
secondo
l'osservazione d'un dotto tedesco.'
Inoltre, l'
obbietto cui per moto istantaneo e
astrat-
tivo s'
aderge il pensier puro, non può non
essere, di-
cono,
essenzialmente indeterminato per le ragioni
qua
dietro
accennate. Dunque, io concludo, è
necessario un
»
Hbqbl, Log, voi. II, § LXXXVII.
* È
noto come 1* oppo$to nella dialettica
hegeliana è preso per lo
meno
in tre sensi diversi; come contraddittorio,
come contrario, e come
esemplare
semplicemente detto. In altrettanti significati
è presa anche
r
unità degli opposti. Questo linguaggio
singolarmente duttile dell' Hege-
lianismo
è stato notato e coutraddetto da
molti autori. (Cons. p. es. lo
Stahl,
Storia cUUa Filotojia del Diritto ^
il Rosmini, Teotojia, voi. I; il
GiOBBRTi
in più luoghi àeW Introduz. e della
Protologia; il Mamuni,
Confessioni^
voi. I, Meditati, Cartes.y e. VII.
Janbt, Vaohbrot, op. cit.)
Non
senza ragione il primo di questi
scrittori ha detto essere un cama-
leonte la
legge nella quale si fonda la logica
e quindi *1 ternario del-
l'Hcgelianismo.
?
Stahl, Storia della Filosofia del Diritto^
p. 600.
determinante.
Quale potrà esser mai cotesto determi-
nante, salvo
che il soggetto che gli sta di
contro? L'in-
determinato
quindi si determina, e si determina
solo
per
virtù del pensiero: di qui la
gerarchia organica
delle
idee; di qui il moto dialettico nei
suoi diffe-
renti gradi
; di qui lo sdoppiarsi dicotomico,
per dir così,
delle
determinazioni logiche. Or bene, io
domando: come
dirlo
oggettivo cotesto lavorio, come creder eh'
egli ab-
bia una
rispondenza oggettiva se il determinante è
tutto
subbiettivo e relativo e formale così
nel comincia-
mento
come nel processo? Non è dunque
un'ironia la
logica
obbiettiva dell' Hegelianismo? E non ha
avuto
ragione
il Trendelenburg se con la sua grande
autorità
ha
preso a mostrare come l' absolute Prìtts
della dia-
lettica
hegeliana non sia punto dialettico, per
la semplice
ragione
che, s'ei fosse tale, già sarebbe
atto a movera da
se? L'
assolutamente indeterminato, adunque, è
essenzial-
mente
immobile. Che se a moversi abbisogna
del soggetto,
perciò
solo e' non possiede natura d'oggetto, ed
è sfornito
d'ogni
valore obbiettivo; perciò è tutta una
tela di ragno
la
famigerata dialettica; e perciò il primo
momento della
logica
obbiettiva* è una bolla di sapone
indiscernibile e
vagante ne'
cieli della più recondita astrazione.*
* Sono
tre i momenti del pensiero assoluto :
oHrattOj dial^uico e 9pe-
eu^vo,
(Heorl, ZoCf cit. e III).
• €
Fi»»ando VEtaere^ io non mi distinguo
come pensiero dalVJStBere:
io mi
estinguo come pensiero neW Essere: io sono
V Essere. ^ (Spaventa, Le
Prime
Cnteg. ec., ed. cit., p. 133). Oh*
io m* abbia a distinguer dall'Essere
è
indubitato: e me ne distinguo perchè
penso I* Essere. Ma come ho a
fare
per estinguermi come pensiero nell'Essere?
Io voglio f si dice, io mi
risolvo.,..
Sta bene; ma forse perciò si può
dire che cotesto estinguermi
cesserà
d'esser nna faccenda supremamente subbiettiva
o formale? E in che
maniera
poi, dopo essermi estinto neW Essere^
potrò affermare eh' io dunque
non V
Essere? Io son 1' Essere, si
risponde, perchè mi pongo come tale.
Ma
il
pormif il volermi porre^ è un atto
appartenente al processo psicologico
pratico
e operativo, non già al processo
conoscitivo e teoretico. Come
dunque
potrà egli esercitare flmzione dì primo
V — Non per nulla abbiam
detto
essere iperpsicologisti'gM Hegeliani. Essi da
una parte sconvolgono
l'organismo
psicologico, mentre poi da un'altra rendon
la logica infrut-
tuosa e
formale. E tutto dipende dal primo
passo! Quando io affermo:
D' altra
parte il Primo della dialettica hegeliana
non
può
serbar valore di Primo, perchè manca
d'una delle
condizioni
essenziali al processo, anzi ad ogni
processo,
le
quali costituiscon la gran legge così
del sapere come
dell'
essere. La dialettica hegeliana non
racchiude l' ele-
mento della
difiFerenza, che è per l'appunto un'altra
grave
difficoltà mossa contro all'Hegelianismo dal
Tren-
delenburg.
L'Essere è il Nulla, e il Nulla
è l'Essere:
perchè?
perchè cotesti obbietti (risponde acutamente
lo
Spaventa
in nome di tutti gli Hegeliani) sono
entrambi
indeterminati,
e, come tali, identici. Il principio
del-
l'identità
qui è un elemento essenziale, è
condizione
intrinseca,
originaiìa, cosi che costituisce la natura
dei
tennini
stessi. Or donde mai rampollerà egli
il divereo?
Nel
congegno dialettico la difiFerenza per gli
hegeliani
dovrebb'
essere anch'olla primitiva, anch' ella essenzia-
le, anch'
ella originaria, altrimenti ov'essa penetri
da
fuora
ed è, per dir la parola del
Trendelenburg, come
aggiunta^
avrà valore accidentale, secondario e
fenome-
nico lungo
tutto il processo; e però, scambio
d'un dina-
mismo
ideale, nella logica obbiettiva non avremo
altro
che un
idealismo meccanico e formale, un idealismo
fatto
a pezzi, un corpo aggiuntato meglio
che organato.*
V
iUBtre l il non-easerey io faccio un
griudizio, il cui predicato sarà ncgatiiro,
0
positivo. Se negatiro, eccoci alla vuota
identità: A=A. Se positivo,
allora
sarà una determinazione deir essere, ed
eccoci quindi nella ne-
cessità di
tpecificarìo. In entrambo i casi il
congegno dialettico hege-
liano so
n* è beir ito : perchè se nel
primo siamo nel vuoto d* una tau-
tologia, nel
secondo poi la ponzione e V
oppo$inione sono possibili
solamente
o fra termini coniracldittorij o fra
termini contrari. Ma, se con-
traddittori,
r opposizione potrà ella essere altro
che logica? L* organa-
mento della
logica potrà avere un valore metafisico,
lo so anch* io ; ma
ad un
sol patto; purché si giunga, cioè, a
dar ragione dell' una e del-
l'altra
maniera d' opposizione. Or questa ragione
nell'Idealismo assoluto
è
davvero impossibile, come s'è detto. Dunque
siamo sempre nell'etere
d' un
puro mondo formale. Se la vera
oppotixione nel regno della logrica
fosse
impresa possibile, già da ventidue secoli
addietro l' A. del Parme-
nide no
avrebbe dato splendida dimostrazione, né vi
saria stato mestieri
del
suo gran discepolo che mettesse a
nudo l' inefficacia del tentativo.
* V
Euere puro ì V Ettere; e come
taU importa U Non-etstre. lì
Lo
Spaventa in Italia, dopo il Trendelenburg
in
Germania,
avendo visto ove s' annida il verme
velenoso
Non-e$8ere
non i U nulla a98oliUo, ma è U
Non-egaere rfcH* Essere, Pari-
menti il
Ntm^Baere importa V Essere perchè non
è altro che il Non-essere
deW
Essere, Perciò 1* Essere e il Non
essere si pongono e 8* oppongono,
per
indi coneiliarsi nel divenire, (Hegel,
Log-^ voi. II, loc. cit.) Lo Spa-
venta non
ha torto nel dire che tutto ciò
ha Y aria d* uno scherzo, là
dove
parlando, col solito lingnagfirio netto e
incisivo circa la posizione
deir
Essere e del Non-essere, dice: « Eeeo
qui uno, lo stesso uno che non
ha
nome. Chiamiamolo Pietro e poi Paolo.
Dunque Pietro e Paolo sono lo
stesso,
qudlo stesso uno / > È proprio
uno scherzo, un indovinello da algebristi
!
Dunque,
mi si chiederà, nel ^an sistema è
egli ripudiato V elemento della
differenza?
Tutt* altro. 611 Hegeliani anzi in
ogni lor libro, in ciascuna
lor
pagina s* affannano a mostrare e
giustificar co* fatti cotesta legge
tanto
necessaria air organamento della dialettica.
Ma quanto i Gesuiti
non s*
arrapinano anch^essi a parlarci di libertà
di pensiero e di coscienza?
K pure
chi non sa come la libertà vera
per costoro sia la schiavitù al
Sillabo
e al Domma, per cui la ragione
è libera solo in quanto è as-
sorbita
dalla fede? Tal si è il diverso
per gli Hegeliani: un fuor d* opera.
E* ne
parlan sempre, ma alla fin delle fini
poi si trovano ingoiati nel-
r
identico. L'alterità che scorge Hegel nel
suo pensierpuro è (ripeto la
sua
frase) ineffabile e assolviamente vuota. Or
una differenza assoluta-
mente vuota non
è forse indifferenza, cioè non differenza,
identità, vuo-
taggine
addirittura? E dato ci sia cotesta
differenza, sarà ella di na-
tura
metafisica, o non piuttosto logica? E
una differenza non metafisica,
domanderò,
sarà ella vera differenza o non più
veramente semplice di-
stinzione?
Ecco la ragione per cui l'Idealismo
assoluto non può riescire
a
dimostrare l'oggettività della conoscenza, e
salvarsi dal pretto forma-
lismo ond'
è tutto magagnato. Che se poi la
gran pretensione sta nel
volerci
dare la scienza assoluta, e 'sarebbe
d'uopo, ripeto, che la logica,
proprio
come logica, fosse la metafisica; talché
col far l'una si fa-
rebbe anche
l' altra, e così potrebb' esser
risoluto l' arduo problema del-
l'
oggettività. Invece il più valoroso de'
nostri Hegeliani come rispon-
d'egli
a questo proposito? Se n'esce pel
rotto della cuffia dicendo:
« Tale
oggettività non d un problema logico:
la logica ami la presuppone, *
(Spaventa,
Op. cit. p. 165.) La presuppone? Mi
par di sognare! Se
dunque
è così, la conseguenza chiara come il
sole, almeno per noi im-
barbogiti
sempre più nella vecchia logica
aristotelica, sarà questa:
che la
logica, grande o piccola che sia,
subbiettiva od obbiettiva che si
voglia,
non sarà e mai non potrà esser
quella che ci si vuol dare ad
intendere,
la chiave, cioè, del grand' edlfizio,
il fondamento a priori del-
l'enciclopedia,
la vera metafisica del conoscere. Nò
qui vale invocar la
Fenomenologia
qual propedeutica atta a dimostrare 1*
oggettività, come
fa' lo
stesso Spaventa. Cotesta invocazione anzi è
una ragione di più per
dichiarar
la logica degli hegeliani una tela di
ragno. Perchè se la Fe-
nomonalogia
ha da esser la propedeutica necessaria
della Logica, il pro-
cesso a
priori e assoluto nel costruire la
scienza diventerà una parola
Siciliani.
3^
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402
DBLLA DOTTRINA FILOSOFTOA. [LIB. H.
della
nuova loj^ica, s' è provato a schiacciarlo.
Ci è rie-
scito?
— Un vizio magagna tutta la logica
hegeliana, dice
anch' egli;
ed è vizio d'origine, in quanto che
pone ra-
dice nelle
viscere stesse del momento astratto, e
pro-
priamente
nel concetto dell'Indeterminato. L'Indeter-
minato è
un equivalente comune dell' Essere e
del
Non-essere,
dell'Idea e del Pensiero, dell'Astratto e
del-
l'
Astraente. Di fatto, che cosa mai
sono cotesto Essere
e
cotesto Non-essere? Ei son cosa
indeterminata; ma
non
sono lo stesso Indeterminato. Se fossero,
la difiFe-
renza
tornerebbe davvero impossibile (difetto radicale
dell'Idealismo
obbiettivo dello Schelling), perchè avrebbe
a
sgorgare dall'identità. Che se non fossero
la stessa
cosa,
tornerebbe impossibile il contrario, cioè
l'iden-
tità. Essere
e Non-essere, dunque, sono un medesimo,
è
vero, ma solo in quanto indeterminati,
non già in
quanto
indifferenti. Essere e NuUa sono lo
stesso, ma
non
come Essere e NuUa.^
Una
prima osservazione potrebb' esser questa. Se
tra r
Essere e '1 Nulla havvi identità e
diiferenza; iden-
Yuota
di senso, an a priori che non è
a priori, e perciò un* ironia, come
dlcovamo
poco fa.. Ancora: se la Logica in
cotesto processo a priori ha
da
pretuppoire la Ffnomen^ogia, ne segrue che
Tuna di queste due
scienze
non potrà essere altro che imitazione,
ripetizione, copia, copia
anche
ridotta al grado supremo di trasparenza
ideale, ma sempre copia
deir altra;
e quindi s'intoppa nella solita
conseguenza, che cioè la
conge?natura
dialettica hegeliana, anziché una metafisica,
sarà un pretto
formalismo,
un assoluto soggettivismo. Che se la
Logica prewpponendo
necessariamente
la Fenomenologia non può non essere
altro che una co-
pia
trasparentissima di questa, non sappiamo
dir davvero che cosa gli
Hegeliani
avranno da opporre al metodo di certi
Teologisti i quali pi-
gliano a
discorrere della natura di Dio
appoggriandosi nelle leggi psico-
logiche,
ricopiandole, ripetendole e trasportando così
la psicologia nella
teologia.
Del resto, sul significato e sul-
fine e sul valore della Fenome-
nitlogiat
i seguaci di Hegel, com*è noto,
navigano pur troppo in opposte
correnti
neir interpretar la mente del maestro.
È d' nopo dunque che
innanzi
tutto e* s* accordino fra loro e
ci sappian dire se la Logica sia
davvero
la scienza madre, la scienza davvero
o priori, ovvero abbia da
presupporre
qualcos'altro dinanzi a sé. In entrambe
i casi le difficoltà
saranno
insormontabili.
*
Spatbmta, Le prime Categ, ecc. loc. cit.
tità
perchè entrambi indeterminaéi, e differenza
perchè
entrambi
indifferenti; io domando: cotesto indifferente
non è
già di per sé stesso un
indeterminato, cioè non
differente,
cioè non determinato? Dìinqne Isl
differenza
di
cotesto indifferente è una parola com' un'
altra; un
pio
desiderio: perocché, ripetiamolo, se l'
indifferente è
irrélativo,
sarà per sé stesso irrazionale, sarà
il nulla, sarà
il
nulla addirittura : quel nulla che,
come dice il Vico,
non
può cominciar nulla, e nulla terminare
: vuotaggi-
ne, e
voragginel * Ora piuttosto che dirlo
un absclide
Prius
cotesto Indeterminato, non vuol esser anzi
ritenuto
come
un vero capui mortuum, incapace a
costituir la
scienza
perchè incapace a far cominciare il
pensiero?"
Sennonché
il Professore di Napoli, nel corregger
V Hege-
lianismo,
par che voglia uccidere il verme
velenoso pro-
cacciando
mostrare che il diverso ponga radice
nel Nul-
la, ma
nel Nulla inteso non già com' essere
purissimo,
astrattissimo,
scioperato, bensì come astraente, come
NuHa-pensiero
il quale, perciò, non cessa né può
cessare
d' esser
pensiero. Or bene, l' illustre uomo così
non ri-
solve, ma
sposta la grave difficoltà del
Trendelenburg.
Egli
riesce a mettere un po' di calcina
alla breccia, è vero;
ma
senz' addarsene poi n' apre un' altra
non meno fatale
della
prima, perché l' intrusione del diverso è
sempre lì
duro a
chiedergli ragione di sé. Infatti, s'egli
considera
l'Essere
come un in sé, e considera come
un in se
anch' il
Non-essere; non v' è nessuna ragione
al mondo
perchè
non abbia da riguardare anche come un
in se
il
connubio de' due termini. Intanto che
cosa fa il dotto
filosofo
? Giusto nel momento che s' hann' a
decider le
sorti
della logica obbiettiva, giusto nell'
istante supremo
*
RÌ9p, al Oiom, de* Leti., T, IL.
* Si
dirà: è indeterminato anche il vostro
intelli^bile, la {«ce me-
tafisica del
vostro filosofo. Verissimo, io rispondo: ma
tra il nostro
indeterminato
e quello degli Hegeliani corre tanto
divario, quanto fra
un
oggetto posto da natura, e quello
colto d'oMatto; fra T oggetto ori-
ginario
intuito, e r oggetto afferrato por
risoluzione astrattiva. Veggasi
quel
che s*ò discorso nel Gap. V e
VI, di questo Lib. II.
in cui
la logica dee poter rivestire natura
e valore di
metafisica,
egli cangia bruscamente posizione, e invoca
il
pensiero, invoca 1' astraente, invoca V
astrazione, e
cosi
dileguatasi a un tratto V obbiettività,
ci fa divagare
nel
mondo delle pure forme, ed eccoci di
bel nuovo
ricacciati
e ravviluppati per entro alle fitte
maglie della
tela
di ragno! Dunque (mi si chiederà) a
voler pene-
trare sul
serio nel regno metafisico, nel mondo
delle
Menti
e di Dio con metodo razionalmente
positivo, chg
cosa è
da fare? Il da fare è manifesto
: bisognerà che il
connubio
de' due termini, cioè il divenire,
sia quel me-
desimo che
sono cotesti suoi termini, dal cui
annoda-
mento esso
dee pullulare. In altre parole, bisogna
eh' e' sia
da sé,
che sia per sé, che sia mediante
se. Fa d' uopo, in-
somma, che
r Essere (ripetiamo volentieri la bella
frase
del
Trendelenburg) sia dialettico, ma dialettico
davvero,
non da
burla; dialettico nel verace significato
della paro-
la, e
quindi atto a moversi da sé medesimo,
anche senza
il
vostro pensare, anche fuori del vostro
pensare. Cosi gli
Hegeliani
potrebbero schivare qualvogliasi intrusione; e
così
(e solamente così) potrebbero conseguir
quella che
tanto
essi desiderano, la scienza assoluta. Ma
questo non
ha
fatto Hegel; e questo non ha fatto
Spaventa benché
con
tanto acume siasi adoperato a rammendar
lo strappo
micidiale
che con abilità di grande maestro ha
saputo
operare
il dottissimo Trendelenburg nella logica
hegelia-
na. E
perciò il sistema delF identità assoluta
è, e resterà
in
perpetuo, come é stato appellato nella
stessa Germa-
nia, il
monismo del pensiero (monismi^ des
Gedenkes).
Abbiam
detto che l' impossibilità di mostrare il
prin-
cipio della
difierenza nel regno della logica fa
sì che
il
passaggio al mondo della natura si
manifesti arbi-
trario,
illusorio, fallace. L'idea logica, dice
il Vera,
è la
Idea cieca, V Idea senza coscienza né
pensiero, la
nuda
possibilità: in somma é l'Idea, ma
non l'Idea
dell'
Idea. In cotesta imperfezione logica sta
proprio la
ragione
del passaggio alla natura, e quindi
la sua legge,
e la
sua necessità.* Dunque, in altre parole,
perchè
r
inderminato è indeterminato, perciò diventa determi-
nato ;
perchè è possibile, perciò diventa reale
; perchè è
privazione,
perciò h posizione. Eccoci alla tt-ostc?
aristo-
telica. Ma
dicemmo che la privazione non è
negazione,
non è
vaga e astratta indeterminatezza, non è
pretta
potenzialità,
ma energia, principio positivo, e potenza
feconda
(to' ^uvarov). Or Videa deìTIdea di
cui parla
il
Vera, è qualcosa d'assolutamente potenziale
e d'in-
determinato;
è una possibilità logica, il to'
ev^e^opevov,
non
già il tò ^uvktov, e quindi, meglio
che principio po-
sitivo, è
negazione d'ogni principio. Come dunque
prin-
cipia e
fa principiare? Come passa e fa
passare? In-,
somma,
com'è che diventa?*
*
Hegel, Log., voi. cit. Introd. e.
XIII, p. 145.
* *
n divenirey osserra il medesimo traduttore,
compie la a/era dd-
V
E98ere e del Non-esaerey e forma ti
passaggio alla sfera ptù concreta del-
l' Idea,
dove per novelle addizioni V Essere e
il Non-essere diventanoy o
meglio
son divenute {^) qualità, quantità,
essenza. » (Log.^ voi. cit., p. 127.)
Ma
come fatte, da chi Jhtte e perchè
fatte coteste novelle addizioni? Data
la
sfera dell* Essere, del Non-essere e
del Divenire, si passa tosto e
necessa-
riamente
alla sfera concreta del medesimo e
del diverso... Ma come si passa?
Chi vi
dà il diritto d'affermare cotal passaggio?
Torniamo a domandarlo:
siamo
qui fra* contraddittori, ovvero fra*
contrari? Siamo fra nn termine
posto
ed un altro opposto, o non più
veramente fra il puro pensiero e
il
soggetto determinatissimo e vivente che
dicesì naturai Per quanto si
faccia,
la sola relazione logica e la sola
necessità logica torneran sempre
inefficaci,
e però Hegel (secondo la severa
critica dello Stahl) non giunge
mai ad
un mondo reale. « Egli passa dal
puro pensiero alla Natura^ perchè?
Perchè
l'uno dee negare sé stesso ponendo
l'altro, l' opposto. Ora il ca-
rattere
dell'opposto, della Natura, non è la
realtà, la sostanzialità, la
causalità
(attribuiti già allo stesso pensiero puro),
ma è la negazione del-
l'essere
sostanziale, reale, causale. Che cosa
dunque rimane alla Natura?
La
semplice determinazione del tempo e dello
spazio (Ved. Enciclop.
§
247). Or per qual ragione si dovrà
ammettere che questa natura estesa
e temporanea
debba esistere attualmente, che, cioè, sia
reale e non sem-
plicemente
pensata come estesa e temporanea,
socondochè ci accade
ne' sogni?
L'opposto del pensiero puro è la
Natura solo come tempora-
nea ed estesa
: ma per aver 1' opposizione forse
che non basta pensarla
come
tale? « L^ Idealismo oggettivo di Hegel
(conclude lo Stahl) non è meno
di
quello soggettivo di Fichte un puro
mondo di sogni: Tunica differenza
ì che
vi manca ehi sogna, » {FU. del
Diritto, p. 503). — A. quest' ultimo
e
severo giudizio dello Stahl ci piace
qui aggiungere quello d' un altro
Parlando
dell'Idealismo assoluto non possiamo di-
spensarci dall'
accennar poche cose, quant' occorre al
nostro
proposito, sul suo organamento generale, e
su le
sue
relazioni storiche col Platonismo e con
V Aristoteli-
smo in
generale. Gli Hegeliani riconoscono che il
mondo
si
svolge per una legge interna anziché
per un caso o
per
necessità ineluttabile e geometrica, come
pensano gli
Spinozisti
ne' tempi moderni, e come pensavano gli
Epi-
curei in
antico. L' Hegelianismo racchiude una grande
idea;
l'idea del processo, che vuol dh-e
d'un fine da
conseguire
con pienezza di coscienza, di libertà,
di ra-
zionalità.
L'Idealismo assoluto, quindi, anziché cieco
meccanismo
e fatalismo ineluttabile, parrebbe un es-
senziale e
profondo e universale dinamismo. Ma eccoci
al
punto 1 Al di là della natura,
ci si dice, è l' Idea che per
ogni
conto è indeterminata e potenziale :
al di qua poi
ci é
lo Spirito, eh' é l' Idea dell' Idea.
Ora abbiam visto
come
la Natura non si possa movere per l'
Idea, perchè
ninno
potrà mai dare quel che non possiede.
Tanto meno
poi si
potrà movere per lo Spirito, perchè
lo Spirito vien
posteriore
alla natura, e le si sovrappone.
Ck)me dunque
movesi
cotesta Natura? Per necessità logica. E
quale è il
fine,
quale il motivo ond'é spinta, eccitata,
illuminata?
La
razionalità. Or non è ella cotesta
una forma di fata-
lismo cieco
e geometrico che, quant' a' risultati,
non si di-
varia né
pur d'un apice dallo Spinozismo? Qual
differen-
aotoreTole
scrittore su* difetti sostanziali deiridealismo
assoluto. « Non
9% pud
leggere Hegel tenxa chieder9Ì »* ei
ragioni ttd terio. Spesso cade
ntl
fatalismo y nella personificazione, e,
leggendolo, par d* assistere alla /or-
matone d*
una mitologia, alla genesi di un
mondo che somiglia qtuilo
degli
Gnostici, in cui avviene che le idee
piglino corpo, marcino^ e subi-
scano le
piti svariate vicende. >
(SoBRRERt M^langes rf* Histoire religieuse,
pag.
298). A proposito della Logica hegeliana
poi ci sembra notevole
questa
sent-enza d*ano che se ne intende, e
che per il solito è temperatis-
simo
ne* suoi giudizi: « Higd n*a pas
renouveU la seience, comme Venthow
situme
de ses disciples Va parfois prodanU;
il Va dénatwée, malgri les
avertissements
de Kant, et en la faisant la
premiare des seiences, ou pour
mieux
dire la seuU scienoe, U Va tuée,*
(I. Babthìlkmt
Saikt-Hilaibie
Logique
d^Arisiote, Tom. I, pag. GL, Pré&ce.)
za,
infatti, fra la necessità dialettica e
la necessità mate-
matica, fra
lo Stoico V Epicureo lo Spinoziano e
V Idea-
lista
assoluto fuorché la coscienza, in quest'
ultimo, della
razionalità,
eh' è dir la coscienza e la
trasparente vi-
sione di
cotesta superiore, arcana, invincibile, inelut-
tabile
necessità?^
Quanto
poi alle sue relazioni storiche, notammo
già
come r
Hegelianismo distinguasi da ogni altro
sistema
per
la«pretensione di volerli tutti accordare e
tutti com-
piere e
tutti inverare. E poiché guardando al
modo
generale
onde si suol determinare il fondamento
asso-
luto delle
cose, tutte quante le soluzioni metafisiche
possono
esser rimenate ai due indirizzi del
Platonismo
e deir
Aristotelismo, così gV Idealisti assoluti,
con la
dottrina
delia Idea e quindi del metodo
dialettico, re-
putano
d'esser finalmente pervenuti ad accordare
l'esi-
* Nò
Tale che alcuni fra i più
intelligenti Hegeliani^ stimando dMnter-
pretar
meglio la mente del maestro, riguardino
i tre momenti del processo
assoluto,
nonché i tre termini del gran
sillogismo, come in un sol momeìUo^
cioè
nella loro immanenza, nell'attuale ed
assoluta relazione, vomire nella
immanenza
àeWIdea della Natura e dello Spirito-
dandoci così a cre-
dere che
cotesta non è altrimenti la metafisica
della Idea immobile e ir-
rigidita, e
neanche della Mente, e tanto meno poi
dell* Ente, ma si la
metafisica
Tera perchè metafinica dello Spirito. Con
Taggiugnere al con-
cetto del
processo e del reale divenire quello
dell* immanenza, panni che
le
difficoltà, anziché scemare, crescano. Fra
que*tre momenti e que*tre
termini,
infatti, una relazione caueale è
ineyitabile, essendo verità troppo
antica
ed altrettanto irrepugnabile, che la catua
ì per la tua e$9enta
avanti
V effetto (Twv yàp fiéd^v^ wv coriv
l5« xt etrj^oirov xae'
o/BOTfjOov,
ocva^xacov givat tÒ zrpórspoy airtov t«5v
/xct' auro.
Arist.,
Metapk.f 1. II). E questo principio
rlbadiscon oggi per Tia speri-
mentale
tutte le scienze naturali e fisiche,
mostrando ad evidenza come
la
natura fisica, nello svolgimento cosmico,
preceda alla comparsa del
regno
vegetale, il vegetale (secondo alcuni)
all'animale, e air animale
rumano.
Come dunque persistere a farci erodere aW
immanenza del ter-
nario f
Come scaldarsi tanto per darci ad
intendere che V Idea i insieme
Natura
e Spirito- e che la Natura è
insieme Idea e Spirito f È metafisica
positiva
cotesta? o non più veramente un abuso
di logica nonché un'in-
giuria ai
pronunziati più sicuri della moderna
scienza di natura? L'op-
posizione
più salda, più seria, più invitta
all' Idealismo assoluto la fanno
oggi
le discipline sperimentali. R pure gli
Hegeliani non se ne accor-
gono!
Felicissimi loro!
genza
metafisica dell' uno, con quella dell'altro
sistema.
Or è
in questo preteso accordo eh' ei si
palesano iper-
psicologisti
per doppio rispetto. Osservammo come uno
de'
massimi concetti dell' Aristotelismo sia
quello del
moto;
fondamento e sintesi di tutte le
categorie, <xuvo).ov
concreto
di que' due poli (materia e forma)
ond' emerge
la
realtà individua sostanziale e vivente.* Se
non che
lo
Stagirita innanzi ogni cosa osserva il
movimento na-
turale e
spontaneo; osserva il mobile, che nella
sua
realtà
è oggetto d' esperienza.* E poiché cotesto
mobile è
un'attuahtà
imperfetta tendente perciò al proprio
fine;'
avviene
che, posto il moto naturale e
spontaneo, ei tro-
vasi in
grado di coglierne concetto.* Dunque è
1' espe-
rienza che
gli porge come fatto il divenire; ed
è il moto
concreto
e reale in cui egli sorprende insieme
annodate la
materia
e la forma, e nel quale vede
incentrarsi la po-
tenza e
r atto, al modo istesso che nell'
ordine logico il
medio
termine è il vincolo in che s'
appuntano e consi-
stono gli
estremi. In questo dato fondamentale, in
questo
faUo
ei ritrova la medesimezza e la
diiferenza, che poi col
magistero
eduttivo, come osservammo, converte col
vero
ne'
due pronunziati supremi del processo
logico, identità e
contraddizione
: talché in virtii di questo processo
transi-
tando da
atto in atto, salendo da perfezione
in perfezione
e
procedendo dall' indeterminato al sempre
più determi-
nato, poggia
da ultimo al supremo concetto dell'
Atto?
*
n^wTT? |xev fyoLp ov9Ìa. TJtoc éxàarw xf oux
\Jitàp^si a/.X'/i
tÒ Sì
xa9ó>ou xoivóv. Metaph., 1. VII.
* TóSe
yy.p rt tÒ f^soóiievov >? Si
xcvyjaiC} ov. Phys,, IV.
* Twv
a^à^ffwv Z"» e<Tri trspai, ou^fjxca
TfXoc, aXXà twv
vitpi
TO TfXoc. Metaph,j IX.
*
'Optàpiiv Sé y.xi (fx'jsp^q ovra rotaùra
a xtvsé «utx
««UT«.
Phy»., VIII.
'
Arist., Metaphf 1. XI. Perciò anche Aristotele
possiede la sua
dialettica,
ma, come osRervammo, dialettica di natura
eduttira, non già
assolutamente
deduttiva ed a priori com*ò quella
del Platonismo, o me-
glio, del
malinteso Platonismo. Ciò tiene al divario
esistente fra Videa pla-
tonica, e
Vuniverscde aristotelico. La costituzione dell*
una, inteso Platone
in on
certo senso, è logica e formale;
quella dell'altro, invece, è data
Or
l'errore d'Aristotele non si rivela tanto
nel-
r ascendere
inverso l'Atto, quanto nel discender dal-
l'Atto e
passare alla natura. Perciocché tramezzando
fra
l'uno
e l'altro un intervallo davvero infinito,
il passaggio
riescirà
sempre impossibile ove nell'intima costruttura
del
Pensiero puro non si sappia scorgere
la possibilità
e
l'origine del mondo. Qui dunque lo
Stagirita vien
meno a
se stesso; ed è qui cl\e il
discepolo dee cederla
al
maestro. Ma di ciò nell' altro
capitolo, e torniamo
agli
Hegeliani. Che cosa fann'essi di cotesto
metodo?
GÌ' Idealisti
assoluti capovolgono il beninteso metodo
aristotelico,*
movendo innanzi dalla Logica. Ma poi-
ché nella
Logica è impresa vana, come s' é
detto, poter
dalla
medesima natura, ma non per questo
cessa d* esser metafisicafneces-
•aria
e reale (Cons. Bonghi, Metaph. cT
Arìtt,^ trad., 1. Ili, e. Ili), essendo
il
processo della stessa natura, della
sostanza, come diceramn, ma co-
sciente,
trasfigurato: ò Tinduzione e la deduzione
com penetrate e diven-
tate
funzione eduttira (p. 126, eseg.) Se
così non fosse, Aristotele non
avrebbe
scorto una rispondenza fra la apeciUaMÙme
e il movimento in ge-
nerale, nò
detto che la natura è anch* ella
un sillogismo come il pen-
siero.
(Bataisson, op. cit., t. I, p. 488.)
Questo è il fondamento dell* ar-
monia fra
r ordine logico e T ontologico
riprodotta e inverata, come
osservammo
nell'antecedente capitolo, dal nostro- filosofo
(p. 878 e seg.)
Perciò
la costruzione delle categorie aristoteliche
non è faccenda mera-
mente
logica, secondochò venne intesa da' falsi
peripatetici del medio-
evo, ma
è costruzione scientifica, razionale, e
però essenzialmente ob-
biettiva in
maniera che si può agevolmente ricavare
dalla Metafisica
dello
Stagirita. Ne quindi alcuni moderni critici
tedeschi s' appongon
male
nel ritenere che il trattato delle
CaUgorie faccia parte della Me-
tafisica
meglio che della SiUogietica.
* 11
Michelet, per esempio, rifa a modo
suo cotesto metodo paren-
dogli
empirico e troppo eperimentale; il perchè
fu giustamente censurato
dal
Cousin. (Vedi il resoconto De la
Métaph. (T ArisU) Ma il Professore
di
Berlino non poteva col suo gran buon
senso non riconoscere come l'em-
pirismo
d'Aristotele non sia l'empirismo volgare,
bensì un empirismo
eh' ei
dice « totale, in quanto ohe non
comprende una tota faccia delV abbietto^
ma le
unisce e le accorda tutte con la
forza della sua dialettica.... V em-
pirismo
completo d la stessa speculazione:
Aristotele combina questi dtte me-
todi.*
(Exam. de la Metaph. d* Arìst., p.
116.) Or bene, perchè non legit-
timare
viemaggiormente o correggere qaesta combinazione?
Invece è pur
mestieri
confessare che il metodo puramente
dialettico e assolutamente
a
priori degli hegeliani, anziché una correzione,
è addirittura la nega-
zione del
vero metodo aristotelico.
rintracciare
quella opposizione ond'essi abbisognano,
ne
segue che, venendo ad interpretar
l'attinenza tra la
materia
e la forma, tra la potenza e V
atto, e stabilir
quindi
la natura del divenire, sfugge loro
il concetto
»
legittimo del processo, e, sospinti dalla
necessità logica,
pongono
in trono l'identità assoluta (stantechè sia
sem-
pre l'Idea
quella che diventa Natura e poi
Spirito, e
così
elevano a dignità di legge suprema,
di legge es-
senziale, la
immanema del divenire. Essi dunque si
chiariscono
iperpsicologisti neoaristotelici, e però negano
il
beninteso Aristotelismo ; né badano esser
questo me-
desimo
beninteso Aristotehsmo che a sua volta
nega
loro,
nega l' Idealismo assoluto, perchè è lo
stesso Ari-
stotele
quegli che dichiara impossibile il fare
emergere
la
Natura dalla logica, il fatto dalla
nozione, il de-
terminato
dalle forme generali.*
Abbiamo
detto che i seguaci del filosofo di
Stoc-
carda vonn'
esser considerati come iperpsicologisti
anche
sotto un altro rispetto, anche riguardo
al Plato-
nismo. La
dottrina metafisica platonica può esser be-
nignamente
interpretata e corretta, come die segno
di
voler
fare più d'uno de' nostri vecchi
esegeti; e può
esser
intesa altresì in modo severo e in
gran parte er-
roneo, come
fa lo stesso Aristotele, e come fan
tutta-
via alcuni
valorosi espositori dello Stagirita ispirando-
si, più
che altro, alla critica di lui. * L'
interpretazione
e r
esposizione aristotelica della dottrina
metafisica pla-
tonica
riesce in alcuni punti falsa, come là
dove il nu-
mero
matematico vien confuso col numero ideale,
e in
altri
esagerata. Ella in generale si fonda
sul pregiudizio,
' Ec
5/ fAV}^ oo9sv (>) xévvjo'cc); oX>)
^%p ri zapi fVT£(ai
(TXSìpi?
ÒLV^p7)T0Lt. Melaph.y I. I.
' Tal
è, per esempio, il ciottissimo Felice
Raraisson, il quale, se-
gnatamente
nel 2** yolame dell* opera che noi
più Tolte abbiamo citato,
si
mostra critico assai poco benigno verso
le teoriche platoniche nel
porre
a riscontro la Dùdettiea e la
Metajitùsa, E di questo difetto è
stato
giustamente
ripreso dagli stessi francesi fra* quali
Janet. {ÉhuL tur la
DialecHque
dant Platon et dans Hegel, Paris,
1861, p. 87.)
come
nota lo Zeller, che le idee abbiano
da esser lo stesso
che i
sensibili; onde poi la conseguenza su
l'inutilità di
ciò
che Aristotele chiama sensibili etemi, la
facilità di
rilevare
T assurdo delle essente separate,^ il
rimprovero
su la
necessaria vacuità degli eterni parodigmi,
e la irrisa
e,
certo, ridevole mitologia delle idee come
reminiscenze
d' un'
altra vita.* Ora il Platonismo espostoci
da Aristo-
tele
arieggia, per più rispetti, al sistema
dell' assoluta
identità
: di guisa che ov' altri desiderasse
elementi
per
una severa confutazione della dottrina
hegeliana,
dovrebbe
intendere Platone così come lo intese
il suo ce-
lebre
discepolo e come lo stesso Platone si
rivela talvolta
nel
Parmenide e nel Sofista, e saperne
quindi ritrarre
gli
assurdi. Anche nel Platonismo passato per
la trafila
dello
Stagirita si può dire esser la logica
quella che
crea
il mondo, essendo la nozione, il
generale, Punita
indeterminata
che pone il multiplo. Fra il finito
e l'tw/ì-
nito,
fra l' Ente ed il Non-ente, fra 1'
Uno e V Altro
(rauToi,
5dÌ7spoy) nou ci ha chc uu rapporto
di natura
logica;
sia che si parli di fx^juviacc, sia
che di fisOf^ic,
ovvero
d'una relazione intima ed essenziale
emergente
*
"Ere Sol^iisv av aSiivarov ywpc'c
stvae tìj'v ouT^av xai
OH VI
o\J7iOL' wt7« ctw; «y ac cosai ovacat
t»v apxyfAOiTta'»
oZdOLi
X^P**"^ suv. Metaph,, 1. XIII.
'
Quanto al vaJore della critica Aristotelica
cons. lo Zbllkb {Eapo-
•inone
arittotelica ecc., ed. cit., p. 482).
— Vedi anche Tbendblbkbubq
come
intende i n^ùròc àpt^fAoi {PleUonU de
idei» et numerie doetrina
ex
Ariet. iUtutrata, Lipzia, 1826, p. 78
e seg.) — Stillbaum, Prolog, in
Parmenide,
p. 129, ove tocca dell* esposizione
aristotelica. — !. Simon,
Étnd.
tur la Théodieée de Platon et cT
Artet, p. 153 e seg. — Cuosiir,
note
al Tim., p. 860 dorè Platone è
difeso dall* accusa riguardante la
causa
finale. — Jacqitks, Thior. dee Idée*
réfutiee par Ariet, — Lkvbano,
De la
Critique et Ice Idéee Platonicienne» par
Ariat. au premier liv. de
la
Métaph. — Lrclf.bc, Penniee de Platon
preceduti da una Hist. abrégie
du
plaumieme, — Oggimai dunque le
interpretazioni e la difesa in favore
di
Platone sono tante e così evidenti,
che la crìtica aristotelica è ri-
dotta ai
suoi legittimi confini. Molte obbiezioni
Aristotele andò cercando
col
lumicino; ma alcune reggono e reggeranno
contro ogni forma di
Platonismo
come altrove toccammo, e come vedremo
meglio nel pros-
simo
capitolo.
dalla
natura stessa delle idee secondochè appare
nel
Parmenide.
Non è questo il luogo per dire
qual possa
essere
il significato sincero di questo celebre
dialogo e
quale
il metodo più acconcio onde vuol
essere inter-
pretata la
mente di Platone. Ripetiamo che per
lo Sta-
girita,
come per alcuni critici francesi, sembra
che il
filosofo
Ateniese rimonti all' assoluto mercè gli
artifizi
dell'
astrazione, dispogliando le cose de' lor
caratteri
individuali,
risalendo gradatamente a' rispettivi proto-
tipi, e
giugnendo così al minimo della realtà,
cioè al
generale
che per sé stesso è cosa
indeterminata e vuo-
ta.* Ora,
dare al Platonismo cotesto valore tornava
comodo
al discepolo per meglio combattere il
maestro ;
ed era
altresì naturale, atteso che il metodo
adoperato
da
Aristotele, anziché iperpsicologico ed astratto,
come
dicevamo,
si palesa essenzialmente psicologico, speri-
mentale,
induttivo nell'ampio significato di questa
pa-
rola, per
cui la sua metafisica riesciva al
massimo delle
realtà eh'
è l'Atto puro. Così ciò che per
questi in-
terpreti è
il minimum pel malinteso Platonismo, è
il
maximum
pel beninteso Aristotelismo.
Questo
fa oggi l'Idealismo assoluto, ma il
fa con
quella
ricchezza d'espedienti, come giustamente osserva
r
illustre traduttore di Hegel, e con
quella possente
vena
di speculazione, che sanno dar venti
e più secoli
di
storia e di profonda attività filosofica.'
L' Hegeliano
condanna
il metodo aristotelico, lo dice empirico,
e si
studia
invece di seguire e compiere il
metodo dialettico
dell'autore
del Parm^enide; ma nel fatto non fa
che per-
petuare la
vuota posizione del Sofista^ in quanto
che col
TÒ ov
di questo dialogo, che è precisamente
il suo In-
determinato,
e' si riman sempre nelle secche della
logica.'
'
Rayaisson, op. cit., t. II, p. 14.
■
Vera, V Hegelianifime tt la PhUoBopkie, p.
Iò8 e seg.
• Ma
è poi davvero Y Indeterminato la posizione
del Sofista? È egli tale
forse
r«»«er« che ì realmente e aaeolvUamejUe :
rw travre^wc ovt«?
{Soph.,
p. 249)
L' Idealista
assoluto non riesce al minimum platonico,
è vero
: ma comincia dal minimum dell'
essere, perchè
salendo
di slancio, come dicemmo, air
Indeterminato,
coglie
immediatamente (es egreift) l'In -sé {dans
ansich)
che è
Nulla ed Essere, e poi con metodo
dialettico e ge-
nerativo
egli viene sgomitolando, a così dire,
ogni cosa
con
ritmo costante, immutabile, invincibile,
matematico,
monotono,
per indi riuscire al medesimo punto
onde
era
mosso per l' innanzi. E con ciò pensa
d'aver con-
seguito il
vantato accordo fra T Aristotelismo e
il Pla-
tonismo,
mentre in realtà ad altro non riesce
che ad
una
forzata compenetrazione e meschianza del
melenso
e
indiscerniljile tò cv con quel Noùc
immobile, solitario e
tutto
chiuso entro sé stesso di cui
Aristotele parla
nel
XII libro della Metafisica. L' Hegeliano
quindi é
iperpsicologista
per doppio conto. Egli incarna, esplica
logicamente
e compie mirabilmente uno de' due
indirizzi
estremi
dell' Aristotelismo, e insieme interpreta
il Pla-
tonismo con
una critica che somiglia non poco a
quella
d'
Aristotile.
Concludiamo.
Abbiam visto come la forma di me-
diazione
onde i Positivisti mostrano d'aver
coscienza
dell'
Assoluto sia contraddittoria. Essi protestano
di non
saper
nulla, di non poter nulla sapere di
metafisico ; ma
nel
fatto confessano un nescio quid, la
realtà d' un ob-
bietto
trascendente. Lo confessano in maniera
empirica,
e si
contraddicono anche qui, perché, dichiai'andolo
In-
conoscibile,
negano così l' esigenza più vivace della
ricer-
. ca,
negano il metodo positivo, negano la
critica severa e
feconda.
Positivisti, Critici, Scettici o com'
altrimenti si
chiamino
cotesti filosofi déW avvenire, non hanno
e non
vogliono
aver fede nell' indagine d' un sapere
metafisico.
Essi
dunque condannano sé medesimi, il proprio
metodo,
la
ragione e la storia della scienza,
poiché non fanno
che
perpetuare un aristotelismo fiacco, empirico,
unila-
terale,
impotente, negativo. — Ad un opposto
resultato
riesce
il neoaristotelico iperpsicolggista. L'idealista
as-
Bolnto
dice di conoscer l'Assoluto, d'intenderlo
nel senso più stretto di questa
parola, perchè lo fa solo in pen- sandolo,
e ripensandolo il rende a sé stesso
traspa- rente. Chi conosce Bram è già
Bram, dice il filosofo in- diano.* Chi
giugne a pensar Dio, l'infinito, ci
dicon gl'Hegeliani, egli è già Dio, è
già l'infinito. Ma il modo con che
pervengono a pensarlo, il processo di
mediazione, non è processo, non procede,
non cammina, ma sé in sé rigira,
direbbe l'Alighieri, poiché riman sempre
nel mondo del più puro pensiero, del
subbiettivismo, in quel letto di Procuste
appellato formalismo logico, come del- l'
Hegelianismo dice un illustre scrittore
vivente di Ger- mania.' Cotesto processo
quindi é una mediazione bu- giarda, perchè
non é vera e legittima conversione. Quell'ombra,
dunque, di dottrina metafisica, quel vano
conato di conoscenza trascendente che ci
porgono i Positivisti col confessare la
realtà d'unDews absconditus ci rappresenta
una delle forme costituenti la prima
|)0- sùnone speculativa; la quale perciò,
chi guardi alla legge istorica aristotelica
secondo cui si svolve il pensiero filosofico
(pag. 272 e segg.), s'addimostra tutt'
altro che
positivo,
in quanto che ci rappresenta l'esagerazione del
Dommciismo empirico. La dottrina hegeliana
poi neir attingere a modo suo l'
Assoluto e nel determinarlo, ci rappresenta
invece la seconda posizione speculativa, ed
è l'esagerazione del processo deduttivo, in
quanto é Dommatismo sistematico assoluto; e
neanche questo merita nome di positivo.
I Neoaristetelici moderni, dun- que, sia che
per necessità di sentimento e d' opinione
e d'istinto pongano l' Inconoscibile, sia
che a furia di spe- culazione trascendentale
pongano l'Indeterminato come un absdute
Prius, partono dall'ignoto; partono dal-
l'
impensabile. Essi movono dal buio, o
riescono al buio : talché rassomigliano
a que' filosofi di cui parla Aristotele,
i quali fanno nascer tutte cose dalla
notte : ol * CoLEBBOOKE, PhiL dea
HindotUf 2. ed., Ess. II. *
Gbbvihub, Hìh, du IHx*Neuviéme SihUe, Tom.
XIX. Paris, 1 868, p. 86. fx vuxTo'c
7fvvo3vTic. Perciò
i Neoaristotelici, s' appellinQ Hegeliani o
Positivisti, meritano, comecché per ragioni diflFerenti,
il titolo di filosofi della notte ;
mentre i Neo- platonici con le vantate
visioni, intuizioni, splendori, irradiamenti e
influssi divini, ben ci figurano i
filosofi del giorno e della luce. Il
positivo nel conoscere metafisico non istà
nella immediatezza de' Neoplatonici, e
neanche nella media- zione de' Neoaristotelici.
In che dunque vuol farsi con-
sistere? Capitolo
Nono. su LA RICERCA DELL'ASSOLUTO SECONDO
LA RAGION FILOSOFICA POSITIVA. Altrove
notammo come V Essere s' incarni e
sostan- zii ne'tre processi, ideale^
naturale, istoricO'Sociologko: e come il
Vico, a significare l'indipendenza di
ciascuno e insieme la comune legislazione,
siasi ben apposto nel chiamarli a
Mondo delie Menti e di Dio^ Mondo
della Natura^ Mondo dello Spirito »
(p. 257). Avvertimmo al- tresì che le
scienze le quali studiano lo spirito
in sé stesso indipendentemente dallo
svolgimento isterico, si adunan tutte nelle
tre discipline fra loro distinte eppur connesse
in unico organismo, i cui tre
momenti, per così esprimerci, sono il
Primo psicologico, il Primo lo- gico e
'1 Primo vero metafisico (p. 375 e
seg.) Ora il Processo ideale è la
dialettica; la quale vo- lendo essere
avvisata sotto doppio rispetto, ideologico e
metafisico, è davvero, come l'han sempre
designata i Platonici ed i Neo platonici,
una scala; ma una scala a doppio
congegno; una scala ascensiva e discensiva,
come direbbero certi viventi critici
francesi nell' interpretare il Parmenide di
Platone,' In qnanto ascensiva, è ideo-
►
logia ; e V ideologia, se non
avesse alcun valore dialet- tico, altro non
sarebbe che una serie di norme
logiche e un cumulo di leggi e
d'attinenze onninamente for-
mali. Essa
dunque rappresenta il processo eduttivo. Questo
processo muove dal Primo logico, e
riesce al Primo vero metafisico; e vi
riesce col mezzo delle idee (ntpi
iSé(av) che sono il medio per
eccellenza, lo strumento pili acconcio, più
legittimo, e perciò la prova razionalmente
positiva per potere attinger la notizia
del- l'Assoluto.* In quanto poi la
dialettica è discensiva, è metafisica; ed
è metafisica perchè, giunti, come accen- nammo,
al sommo della scala, il Primo vero
meta- fisico assume valore di Principio
metafisico che è an- ch'egli .processo
e conversione con sé e col fuori
di sé. Nel Vico é abbastanza chiara
l'esigenza di que- sto doppio rispetto della
dialettica laddove, nella sim- bolica Dipintura
della Scienza Nuova, pone il pen- siero
e l'essere come formanti un organismo,
un sol mondo, il Mondo delle Menti
e di Dio^ secondo che ci venne
fatto d'avvertire nell'altro capitolo (p.
379).' * Vedi per es. Jankt, Étude
»ur la Dicdectìque ecc., ed. cit. p.
2'28, — Vaoherot, HÌ9t. critique de
VÉcole (TAlex.^ t. I, p. 64. —
NoCTRlsSOir, Expo8Ìtion de la Théorie
pUUonieienne de$ idée», PftHs, 1862, p.
65. ~ Simon, HìH. de VÉcole d'Alex,,
t. I, L II, e. II.
*
Perchè le idee tornino fruttuose han d'
avere un valore dialettico. Cons. a
questo proposito Plat., De Rep., VII:
Sop}i.\ p. 253, ed. cit. — Abist.,
Metaph., 1, 6. — Proclo, Comm, in
Parm., t. IV, 1. 1. Il metodo dia-
lettico
beninteso risale, secondochò notammo, a
Socrate, come quegli che trasferi tale
parola dagli usi della vita (^ta'kéyt'jBxL^
eonvereare), agli usi della scienza. Però
dialettica, nel suo razionale significato, indica
la con- venione della mente, vuoi con
sé medesima, vuoi con altro. Il Vico
intende a meraviglia tale origino istorica,
nonché Tapplicazione speculativa alla scienza,
laddove afferma : V ordine delle
umane cote i d* ouervare le cote SIMILI,
prima per ISPIROASSI, dipoi per provabr
; e ciò prima con V ESKM- PLO
che ti contenta d* una coea^
finalmente con V INDUZIONE che ne ha
hi' eogno di piò: onde Socrate, padre
di tutte le eitte de*filo9ofi, introdueee la
Dialettica con V Induzione che poi
compiè Aristotele col eillogiemo eJte rum
regge senza un universale, {Se, Nuo,
1. II.) Veggasi quel che ab-
biamo
discorso quant* al metodo, p. 246 e
seg. ; 275 e seg. * Ricordiamoci
che per noi la metafisica non ò
sdema aeedlmUi, bensì Il nodo gordiano
della filosofia, e però la chiave della
metafisica, son le idee. Se il
lettore ha badato al processo e alla
genesi psicologica che assai fuggevol- mente
venimmo tratteggiando, avrà potuto indurre
qual sia e qual debba essere, secondo
V esigenza del filoso- fare positivo, r
origine e la natura delle idee.
Coteste
idee
non sono entità puramente formali, né
puri concetti dello spirito. Non sono
essente sparate, almeno quelle intomo alle
quali (come usava dire il Galilei)
possiamo * discorrer noi umanamente; e
però non sono sostanze esteriori, come
Aristotele interpreta i napaStiyyiotrx del filosofo
Ateniese. Non sono concetti innalzati ad
univer-
salita
determinata ne^ quali col chiudersi il
circolo del-
l' essere
si esauriscano ed assolvano le ragioni
delle cose,
com' è
per gl'Idealisti assoluti. Non sono, a
dir proprio, le cose stesse nelle
assolute lor qualità. E, finalmente, non
sono quasi altrettanti simboli, o spiragli
attraverso cui si affaccia al pensiero
l'Assoluto. Le idee costituì-, scono il
prodotto del processo psicologico. Elle
dunque sono una fattura di nostra
mente: son la mente stessa, direbbe il
Vico, ma la mente in quanto è
Magione spie- gata. Ecco le idee umane,
sul cui svolgimento s'imba&a tutto
l'edifizio e tutto il valore della
Scienza Nuova.* Mcienxa ddP à»9oIìUo in
quanto è Critica del Vero. Però
accettiamo anche qui la sentenza che
costituisce, diremmo, la chiave dell*
indiriuMo medio dell* Aristotelismo. Per
Aristotele la Metafisica è «ciennadeU^AatolìUo;
e questa scienza dell'Assoluto è anche
logica, logica in «2, logica in
quanto considera l'essere »n «è, realmente
: to' sgw ov xai x^/^'^l^v. {Metaph.,
XI): il che consuona con la sentenza
del Vico riferita altrove: Quello che
è metafiaica in quanto contempla le
cote per tutti i generi delV e»- aere,
lo tteseo è la logica in quanto
considera le coee per ttUti i generi
di Bignifienrle. Col pensiero d'Aristotele
poi rinverga il concetto del suo mae- stro.
Platone, come ò noto, appella filosofi
quelli a* quali ò dato asseguir la notizia
di ciò che è costante e assoluto
(^cXóaoooc jiasv oc toù àcc xxT«
rauToè wc«i»tw; e;^ovTo; 5«và^«ovi SfxnrtfrOxt.
Bep.y VI, 484, A.)
* A
prima giunta parrebbe che nella dottrina
delle idee il Vico fosse un filosofo
arciplatonico, ma non è. La dialettica
platonica, intesa in un certo senso,
non può menomamente prescindere, come
osserva il Simon, dalla dot- trina della
reminiscenza: La euppreseion de la
remini»cenee en peycologie ut la négation
de la dialectique et de la tkéorie
de» idée» (Op. cit., t, 1, Ma se
le idee sono il moto stesso e
lo stesso esul- tato della energia psichica,
e, come tali, chiudono il cir- colo
della natura e dello spirito, non
però chiudon sé stesse, anzi dischiudonsi,
e col dischiudersi ci mostrano di lor
natura un intimo riferimento all' Assoluto.
Se r uomo, lo spirito, secondo la
nozione del nostro filo- sofo, non è,
a dir proprio, Y infinito attuale e
nemmanco r attuale finito, ma una
potenzialità infinita, una po- tenza che
tendU ad infinitum, ne seguita che
anche, le idee, sue determinazioni, voglion
esser fomite del doppio carattere della
finità e della infinità, sia che le si
considerino nelle intime lor attinenze organiche,
sia che nella lor solitaria immanenza.
Dunque l'idea è genm, è forma
metaphysica, e, come tale, somiglia alla forma
del plasticatore, anziché a quella del
seme.* Ma anche come genere, anche
come forma metafisica l' idea è finita
e infinita: finita in ampiezza e
universalità; infi- nita in perfezione.' Però
tiene del finito, in quanto che un'
idea non è l'altra; e tiene poi
dell'infinito, perchè è p. 241). Or la
dottrina psicologica del Vico, secondo che
noi siamo
Tennti
interpretandola, contraddice ad ogni platonica
reminiscenza, ad ogni maniera d* intùito
iperpsicologico ; anzi non mancano luoghi
ne^qaali egli condanni questa dottrina. (De
Univ.j'ur.^ e. 1, 1.) Quanto alla Scienza e
alla Virtù, dice esser cose che
hisogna edurle dalla mente e dairanimo come
fa T ostetrico (De Coruu PhiL, e.
I). Non è poi nniraffatto plato- nica
nò quant*alla natura, né quant* all'
origine delle idee, perchè le idre, per
lui, non sono gli eterni veri
(essenze separate ed esemplatriei)^ ma sono entità
che significano l'Assoluto in quanto si
riferiscono a ]uì [De Univ., e. y,
1). Non sono quindi appreso direttamente,
ma fatte. Vedi, per es., quel che
dice sul generarsi de* generi e delle
forme metafisicke, le quali a nostris
pueris primulum bua spontk «xpZtcantur
(Ibi, e. XII, ili, 5). E ciò non
pertanto gli hegeliani V han battezzato
o seguitano a battezzarlo per platonico
sviscerato ! Neil' altro capitolo vedremo
fino a qnal segno e per qual
ragione egli possa meritarsi questo titolo. *
Forma» intelligo metaphysioas (pice a
physieis ita diversce sunti «* forma
plaatm a forma seminis. Plastce mim
forma dum ad eam quid fer- matur,
manet idem et semper formato perfeetlor
; forma seminis, dum quo- tidie se
esplicai, demutixtur ae perjicitur magie:
ita ut formfn pkysicct sint ex formis
metaphysieis formatw {De Antiq., c. Il,
§ 2). Vedremo fra poco qual valore
abbia quest'ultima sentenza. * Genera esse
formas, non amplitudine, sed perfezione
injìnitas (Op. cit. C. U, 1). l'altra
e, sotto certo rispetto, tutte le
altre. La legge dia- lettica, dunque, è
la stessa legge universale dell' essere; legge
di conversione; legge d'alterità e di
medesimezza.
Sennonché
cotesta conversione ideale non è semplice opposizione,
e neanche compenetrazione, conciossiachè la
ragione dell'un termine non istia solamente
nell'altro. Il dialettismo si radica, non
già nelle idee come opposte fra loro
o come generate, ma, innanzi tutto,
nel soggetto che le genera. Un'idea
non è universale perchè perfetta, ne
perfetta perchè universale. E non è
finita perchè infinita, né infinita perchè
finita. Questo è l'errore delle dialettiche
a priori che, levando a principio l'
opposi-
zione per
r opposizione, riescono ad un pretto
mecca- nismo ideale. Un' idea è infinita,
o finita, principalmente per sé, e
anche per l' àUra. Se dunque la lor
conversione non è equazione, né semplice
opposizione, ne consegui- tano due cose: V
ch'elle non chiudono il circolo; 2*"
eh' esse importano l' ideato nella pienezza
di sua real- tà. Si vorrà supporre che
anche cotesto ideato sia un'idea? un'idea
madre? E allora avrà luogo il mede- simo
discorso, e saremo sempre daccapo. Si
vorrà giu- gnere all'idea dell'essere mercè
i soliti lambicchi de' raf- finamenti e
assottigliamenti astrattivi? E avremo la nuvola,
non Giunone ! Certo, l' idea dell'
essere non è come le altre, finita
nell'ampiezza, bensì infinita, uni- versale; ma
è vuota, è vacua, né altro è
capace di dare fuorché yffi'kÒLi evvoiaf.
Ella comprende tutto, ma non rac- chiude
nulla : è un Primo logico, non
già un Primo vero
metafisico.
Dunque vuol esser determinata; stanteché debba
cessar d' essere infinita per universalità,
e assu- mer valore d'idea infinita per
perfezione. L' ascensione dialettica perciò è
incalzata dallo stesso principio della conversione;
e la mente deve posare in
quell'ideato che, a dir proprio, sia
un ideato dialettico, ciò è dire conversione
piena, assoluta, vivente, reale.* * 1 Generi
f dice il Vico, aono non per
univer»alità, ma per perfezione inJiniH: e
questo eeeere U brieve e vero 9en§o
del lungo e intricalo F€tnn&' Se r
idea è infinita non per ampiegm ma
per_per- fmone, perciò non va confusa
col concetto; al modo nide di Platone;
e questo intendimento doverti dare alla
famosa Scala ddle Idee onde i
Platonici pervengono alle perfeUianime ed
eteme (Bisp. I, al Oiom. de* Lett.,
II). Quanto al brieve e vero senso
del Parmenide toc- cheremo più giù. Dove
poi il Vico dice: Genera esse formasy
non amj^itu- dinef sed ptr/ectione
injinitas^ tosto SOggiugne : et quia
injinitas^ in uno Deo esse.... Come va
intesa questa sentenza? In quanto le
idee possie- don carattere dMnfinità e
d* assoluta perfezione, elle sono in
Dio; e sono in lui perchè forman
tutte assoluta unità, e assoluta totalità:
uni- totalità. Lo avea detto Galileo
che non era un metafisico : Le
idee, perchè inJinitCf sono una sola
ndV essenza loro e nella mente divina
(Op., ed. Al- bóri, 1. 1, Dial. de*
Mass. Sist,, p. 116). Ha in quanto
possiedon Tubo e r altro carattere,
elle si producono e rìseggon nello
spirito, nel pensiero ; sono il
pensiero; e sono finite e infinite
perchè tale è, ripetiamo, la natura stessa
dello spirito, cioè potenzialità infinita.
Ne viene perciò che, ove le
idee
fossero infinite in atto, non potrebbero
essere altresì finite. E dove fossero
solamente finite e puramente universali,
sarebbero forme vuote e astratte, e
però, contraddicendo air intera dottrina
psicologica del nostro filosofo, cadremmo
nel pretto sensismo. Or le idee, le
nostre idee, non sono infinite e
perfette perchè siano lo stesso Dio o
pertinenze di Dio, ovvero spiragli ond*ei
s* afikccia al pensiero, come dice il
Mamiani col suo lin- guaggio tinto di
certo color poetico; ma son tali
perchè tale per T ap- punto è il
soggetto che le partorisce; il quale
perciò, mediando sé stesso come potenziale
infinito, deve per necessità eduttiva
concludere alla no- tizia deir Assoluto. Di
qui nasce che le idee non possono
essere infinite di fatto, e ce *1
dice egli stesso : enim vero ista
genera nomine tenue infinita, homo enim
ncque nikil est, ncque omnia. Quare
nee de nihilo nisi per ali- quid
negatum, neo de infinito, nisi per
negata finita cogitare potest. Ai enim
omnis triangulus habet angulos cequales
duobus rectis. Ita bene: sed non id
miìU infinitum verum, sed quia habeo
trianguli formam in mentGot imprcssam, cujus
hanc nosco proprietatem, et cu mihi
est archetypus cete- roruh (Op. cit., e. Il, § 16,
17). Fatta dunque Videa, tosto in
essa io riconosco, non già V infinito,
ma il carattere della infinità: hanc
proprie- totem nosco. Per questa proprietà
essa diventa un archetipo, diventa una
misura {archetypus ceterorum); e come
archetipo e misura ella, per me, è
un assoluto; e così è vero, che
Vuom tende a farsi regola deW uni- verso,che
vuol dire tende a farsi assoluto. E
qui toma acconcio il ri- confermare quella
relazione che tra le opere del Vico
altrove procac- ciammo chiarire. Nella Scienza
Nuova Tuomo è regola e misura in
tre
maniere,
secondo i tre momenti dello svolgimento
isterico ; 1° nella fase 0 stato
divino, per credenza e per sentimento;
2« nella fase eroica, per arbitrio,
forza, potere, volere ; 3<> nella
fase umana, per magistero logico e
scienziale, cioè per la ragione
spiegata,^eT le idee {idee umane). Ecco dunque
una prova novella che ci mostra come
la Scienza Nuova, anziché contraddire al
Libro metafisico, lo esplichi e lo
legittimi sempreppiù, al modo istesso che
questo riassume le ragioni metafisiche di
quella. istesso che l'intendimento, secondochè
mostrammo, non è da confondersi con la
ragione. Tanto Videa quanto il concetto
sono una dualità, perchè T una e
l'altro sono conversione, giudizio, e però
medesimezza e distinzione. Ma la dualità
dell' idea è l' universalità e \2l
perfezione; dovechè quella del concetto è l'
estensione e la compren- sione. Nel
concetto^ come vedemmo, ci è sempre
un'orma del fantasma (p. 321); e nell'
idea v' è sempi-e un' orma del
concetto^ cioè il comune, l'universale. Or
chi dirà che il concetto abbia
carattere d'infinità solo perchè sia comune
e universale?* Il circolo, a mo'
d'esempio, in quanto è universale, è
concetto; ma in qijanto racchiude
la
nota essenziale ond' e' si discerne
da ogn' altra no- zione, è quello che
è ; è perfettissimo ; è infinito
; e così lo pensa Dio come
l'uomo.* ' Si vero id contendane etse
injinitum gentu (cioè che i tre
angoli d*aii triangolo rettilineo siano
eguali a due retti, eh' è l'esempio
rife- ritopoco fa dallo stesso Vico),
quia ad eum trianguli archettfputn accom- modari
innumeri trianguli po«8unt, id tibi habeant
per me licet; nam
vocabulum
iÌ9 lubens condono, dum ipti de re
mecum eentiant. Sed enim per- peram
loquuntur, qui decempedam dixerint injinitam,
quod omne extenaum
ad eam
normam metiri poannt, > {De Antiq.^
C. II, 17.) ' Galileo nota
stupendamente questo privilegio del pensiero
là dove distingue V intendere extensive
dair intendere intensivCf confermando così
la
dottrina del Vico. Vintenèive del filosofo
pisano è il perfettamente^ com* egli
stesso dichiara. Ora v* ha cognizioni,
egli dice, le quali, guar- date sotto
il rispetto della inteneìtà e della
perfezione, agguagliano le di-
rine
neUa certezza obbiettiva^ perchè con essa
arriviamo a comprenderne la nec€99Ìtà sopra
la quale non par che posta essere
sicurezza maggiore, {Dial. de'
Mass. Sist,j loc. cit.) Gli esempi co'
quali Galileo procaccia chia- rire tale
idea, son tolti dalla matematica; e
la matematica, anche per lui, è una
fattura della mente; e però la
certezza e la necessità ond'ei parla
scaturisce immediatamente dalle leggi stesse
della psicologia. So che il Neoplatonico
neanche qui si darà pace, ed opporrà
la solita in- Titta necessità di certi
yeri che, vada o Tenga il pensiero,
sono e saran sempre quello che sono.
A questa difficoltà ahhiamo già risposto
(p. 243 e seg.) U due e due
fan quattro (direbbe un neoplatonico alla
Maminni) gli è un yero assoluto e
necessario, né io posso pensare il
contrario; dunque T*ha in lui qualcosa
che non m' appartiene ; e però,o è
Dio, o è pertinenza di Dio. Nient'
affatto! Io non posso pensare il
contrario; ed è yerissimo: ma perchè
non posso pensarlo? Perchè non posso
contrad- dirmi; ecco la ragione immediata.
Il regno della logica non è il
regno Or se tale è V organismo
delle idee, è impossibile
che il
pensiero partorisca e generi un'idea la-
quale sia infinita così nelF ampiezza
come nella perfezione. Se potesse, e'
già sarebbe V infinito in atto. Se
potesse, egli, col farsi, già sarebbe
un fatto. Ma così non si con- traddirebbe?
Non annullerebbe sé stesso anche qui? La
conseguenza, dunque, parmi chiara: il
pensiero, que- sto nostro pensiero con tutto
il suo ^contenuto, non possiede l' essere,
non è l'essere, non si compenetra con r
essere. Questa invincibile manchevolezza d'
essere, questa insuperabile impotenza d' essere,
come ci si ri- vela? quand' è che
ci si rivela? Precisamente nella stessa impossibilità
d'afferrare e fermare il pensiero
nell'o/to. Ed è impossibile poter cogliere
e fermare quest'atto, appunto perchè lo
spirito, pensando, è già un atto, è già
faUo (actum). Or se non è atto,
non ci ha da esser r atto ?
Io penso l'essere; io son l'essere:
eppure non sono la realtà dell'essere!
Dunque la stessa impossibilità a dedurlo
come tale, mi dà il diritto a
concluderne la realtà. Il che accade
per una ragione detta e ridetta, che,
cioè. Essere e Pensiero non sono l'
uno in due (come direbbe lo Spaventa),
non sono l' identico nel diverso, ma
sono il due in wwo, sono piuttosto
il diverso nel- r identico. — E qui ci
è dato scorgere sempre più netta- mente
V errore degV intuitisti e ie^
mediatisti. Cotestoro, come vedemmo, voglion
rintracciare la ragion dell'as-
soluto e
dell' infinito nel pensiero, e ricorrono
ad espe- dienti opposti e contrari. Gli
uni ci dicon che la mente colga
immediate 1' Assoluto ; gli altri,
che lo faccia. Ora chi dice di
vederlo, per me, sogna ad occhi
aperti; e senz' addarsene resta impaniato
nel panteismo. Chi poi dice di farlo,
sogna anche lui e, per di più,
diverte la doli* arbitrio. E perchè
poi non posso contraddirmi? Giusto perchò
lo stesso pensiero è quello die nel
due e due fan quattro pone gli
elementi e le condizioni del giudizio:
le quali io non potrei negare, senza
distrug- gere il mio stesso pensiero. Se
potessi, ne verrebbe che io farei, e
non farei: cioè /arci il nulla t gente
con indovineUi da algebrista, e finisce
per immer- gersi nel nulla : talché anniillando
cotesto assoluto, la sua deduzione riesce
davvero ad \m3i bestemmia.^ 11 Neoplato- nico
s' affida ad un intùito ; e così
esagera V impotenza in cui è il
pensiero d' esser V essere. 11
Neoaristotelico hegeliano, al contrario, s'affida
a sé stesso; e così esa- gera la
potenza del suo pensiero adequandolo all'
essere. Entrambi dunque deducono; ma l'uno
appoggiandosi neh' obbietto intuito, o neW
Ideato presente al pensie- ro; r altro,
movendo dsàV Indeterminato cólto o posto per
astrazione immediata e subitanea. Illusione l'
imme- diatezza dell' uno ! illusione e
arzigogolo logico la me- diatezza dell' al
trol Non intùiti, ne posizioni a
priori: non immediatezza, né mediatezza, ma
conversione, ma
processo
del pensiero con l'essere. Le idee
non sono r Assoluto significativo, l' ente
in quanto sigtii/ica, in quanto presenta
sé stesso al pensiero:' ma é lo
stesso pensiero quello che per sé
medesimo é significativo del- l'Assoluto, in
quanto é Bagione spiegata. Brevemente: se
r idea è mezzo, eli' è il
pensiero, ma è il pensiero in quanto
rappresenta l'Ideato, non già l'Ideato in quanto
s' affaccia al pensiero. Or qui si
compie nella sua vera forma la
funzione eduttiva. Parlando della genesi e
classificazione delle varie di-
scipline
dicemmo, le scienze eduttive ridursi ad
una sola, ed esser la filosofia (p.
232). La filosofia s' intrinseca con tutte
le scienze; e però é anch'olla
induttiva e deduttiva la sua parte. Ma
anch'essa é autonoma, anch'essa è trascendente,
e come tale è di natura eduttiva
; poiché non cessando d'alimentarsi de'
tesori adunati dalle altre discipline,
nondimeno sa e può trovare alimento
in sé
stessa,
e per sua propria virtù. Se le
idee infatti hanno lor fondamento in
natura, nessuna funzione basterebbe * Hine
adeo impiat euriontatit notandi, qui Deum
Optimum Maximum a priori probare ttudeiU:
nam tantundem ettet, quantum Dei Deum
«e /a- oere, et Deum negare, quem
quixrunt. (Vico» De Antiq., C. Ili,
S.) * Màmiani, Lett. al
DoU. BrentoMMoUf p. 55. Digitized by
Google
424
DILLA DOTTBiNA ulosoiioa. [lib. n. a
scioglierle da' viluppi delle sensate
apparenze, ove la stessa mente non
sapesse pai*torirle. Tra il fantasma e l'idea,
tra la forma metafisica e la fisica^
c\ è quel me- desimo intervallo esistente
fra il senso e la ragione. Or tuttoché
le idee pongan radice nella natura e
si muo- vano in questa, nondimeno con
lieve soccorso del senso elle possono
esser generate dalla mente, poiché a
conce- pir r idea del circolo, o
meglio, a fissare il concetto del
circolo nella nota che costituisce la
sua perfezione e trasformarla in idea
o forma metafisica, non v' ha mestieri
di prolungati lavori d'astrazioni e di
generaliz- zazioni. La mente perciò nel
concepirle fa altrettanti giudizi eduttivi.*
Il giudizio eduttivo è diverso, così nella
forma come nel contenuto, dal giudizio
induttivo, e dal deduttivo. Il suo
carattere specificante dicemmo radicarsi innanzi
tutto nella relazione de' suoi termini, e
quindi nell' origine dell' attributo. L'
attributo non è dato dal fatto; e
però non è sintetico a posteriori.
Non è ricavato dal soggetto e
applicato al soggetto stesso come parte
del suo contenuto; e quindi non è
di na- tura analitica. Non è ripetizione
del medesimo soggetto ; e quindi non
è identico. Il giudizio eduttivo serba
in- ' Se pensare, come altrove
mostrammo, è giudicare, e giudicare è un
atto di conversione in quanto che
convertire è scorger la medesimezza e
la differenza ad un tempo; ne viene
che il giudizio è la sintesi di
due
elementi,
convertione del vero col fattOf sintesi
della medesimezza gene-
rica [vero)
e della diversità specifica (fatto). Ora
guardando alla funzione speciale onde la
mente forma concetti e giudizi, ricavammo
esser tre i sommi generi a cui
essi potranno rimonarsi, e li appellammo
induttivi, deduttivi, eduttivi. Questa divisione
è essenziale, perchò si fonda prin- cipalmente
nella differenza del contenuto de* giudizi,
e perchò dà origine alle tre funzioni
metodiche. Si fonda dunque su la
dottrina della cono- scenza e della scienza,
e perciò è razionale e cpmpiuta.
L'atto del giu- dicare, Infatti, ò sempre
identico nella sua forma logica, poiché
è sempre una conversione al pari del
concetto ond' emerge; ma differisce nel
con-
tenuto, ed
ecco r origine delle tre differenze di
giudizi. Tutte quelle in- numerevoli distinzioni
e classi e divisioni e suddivisioni
di atti giudi- cativi fatte da Aristotele
sino al Kant e al Rosmini, sono
spartizioni secondarie, le quali riguardano l'
estensione, la quantità, la relazione, la forma
e l'indole de' giudizi; ma riescon tutte
incompiute. dole essenzialmente sintetica, e
però sgorga dallo stesso pensiero per
virtù e necessità eduttiva. Ma qual
sorta di sintesi è cotesta ? Non è
sintesi a priori nel senso de' Neoplatonici,
perocché l'obbietto non è dato da nessun
intùito o visione trascendentale. Non è
sintesi nel senso dell' Idealismo assoluto
e del Criticismo, per- chè r obbietto
non è posto per mera legge
dialettica, e neanco per non so qual
cieca necessità subbiettiva. * H giudizio
eduttivo è un vero atto sintetico, un
atto
sintetico
trascendentale per eccellenza perchè l'attri- buto
non è nel soggetto, e nondimeno è
posto dal soggetto.* Qual è l'oggetto
di questa sintesi trascendentale? È appunto
ciò che le forme metafisiche possiedon
di co- mune. È ciò che nel concetto
e nelle determinazioni ideali scopriamo d'
infinito, non già nell' ampiezza, ma sì
nella perfezione. La funzione eduttiva
dunque è fun- zione dialettica, dialettica
ascensiva. Perciò eduzione delle idee non
vuol dir la pura e semplice
generalizza- zione delle qualità dell'essere: vuol
dire accrescimento dell' essere ; vuol
dire concentramento dell' essere nella *
I griudizi iintetici a priori di Kant
non sono propriamente apriori, ma si
riducono a giudizi analitici. * Il
processo conoscitivo è, per dir così,
nna catena, gli estremi della quale
sono due sintesi, e però due forme
di conversione ; V una di esse è
originaHay e l'altra finale. Quella
precede, come si disse, ogni riflessione,
e costituisce il Primo psicologico, Y
unidualità primitiva ; la quale, facendo
possibile la formazione de' concetti mercè
il processo psicologico, toglie queir
apparente petizion di principio tra la
necessità per cui ogni giudizio deve
importare il concetto, e la necessità
ondMl concetto debb' essere un atto
giudicativo. La sintesi finale poi riesce
al Primo vero metafieico^i] quale devesi
convertire col Principio metafisico. Avviene
perciò che la sintesi originaria sia
costituita dal pensiero e dal suo
obbietto che è Tessere in quanto
indeterminato; e però è sintesi
naturale
essendo posta dalla stessa natura (p.
848 e seg.). La sintesi finale^ per
contrario, ha per oggetto 1* essere
determinato ideale, e de- terminabile in
quanto reale ; e )»er ciò è
sintesi superiore alla natura essendo
prodotta dallo stesso pensiero. Queste due
sintesi dunque sono due giudizi d'indole
sintetica, ma diversissimo n'è il contenuto
; per la ragione che, se nel
primo d'essi l'obbietto è posto da
natura, nel se- condo è posto dalla
stessa mente. sua idealità. Or se tale
è la natura di questa fun- zione^
accade che il principio ond' ella è
governata non possa esser quello d'
identità, di repugnanza, di causa e
simili ; stantechè qui non si tratti
di logica for- male la cui materia è
costituita, in generale, da' giu- dizi deduttivi,
ne di logica induttiva, i cui giudizi
ri- posano sul principio di causalità e
di sostanza empiri- camente intesi. Se il fine
della logica formale sta nel fissar le
norme del ben pensare, e il fine
della logica induttiva nel porgere i
criteri a fruttuosamente spe- rimentare; è
chiaro esser necessaria una logica la
quale sappia ritrovare il vero facendolo,
se pure s' ammette che la metafisica
abbia da essere una Critica del vero. Ed
è chiaro altresì esser necessario un
principio che sappia guidarci nel processo
di siffatta critica, il qual principio
è appunto, come altrove toccammo, quello della
Conversione (p. 250). Or questa funzione
eduttiva, di natura essenzial-
mente
dialettica, non va dall'effetto alla causa,
né dalla causa all' effetto : non
va dalla sostanza alla determina- zione, né
dalla determinazione alla sostanza. Le idee
non sono effetti, non sono risultati,
né determinazioni dell'As- soluto. Se così
fosse, come sarebbe possibile il transito dialettico?
Il passaggio dialettico (nopsisi) è
solamente possibile dov'è possibile medesimezza
e differenza; do- v'è possibile intervallo e
continuità; dov'è possibile, insomma, conversione
di termini. I termini in quest' or- dine
di cose, da una parte, sono le
idea, la Eagiotie spiegata ; dall'
altra sono le stesse idee, le stesse
forme metafisiche, ma in quanto concludono
nel loro ideato, neir ideato come
Principio e Mente reale, nell' ideato che
basti a sé stesso (ro^izavov), nell'ideato
che nulla suppone, ma che si pone
(ro ocvuttoOstov). Intanto la ra- gione,
tuttoché secondo le leggi altrove notate
del pro- cesso psicologibo debba mover dalla
natura e dal senso, nondimeno, come
tale, è caussa sui (suitas) ; e l'
effetto di tal cagione è la scienza,
le idee, le quali, in quanto forme metafisiche,
si riferiscono all'Assoluto. E cotesto
Asso- luto alla sua volta è Caussa sui
(Aseitas), ma è anche cagione del
mondo in quanto è Mente; e l'effetto
di tal cagione è lo spirito, non
già come Ragione spiegata, come Nove,
come attualità, ma come virtualità, po- tenza,
materia, natura, conato. Ora questa
evidente-
mente è
conversione, e quindi è sintesi eduttiva.
Ed è tale in quanto procede da
causa a causa, in quanto concatenando
caussas caussis (p. 275) le annoda e
di- stingue ad un tempo, perchè in
realtà le s'immedesimano e si distinguono
anche fra loro. 11 perchè, se da
una parte qui abbiamo le idee, le
forme metafisiche, la ragioìie spiegata, la
coscienza, il Vero; mentre dall'altra
abbiamo r Assoluto, r Assoluto in
quanto è mente, in quanto è la
Mente, in quanto è il Fatto per
eccellenza; in una parola, se da una
parte abbiamo quel che il Vico
direbbe le Menti, e dall'altra Dio: ne
viene che in questo Motido delle Menti
e di Dio, in quest' organismo del
pensiero con r essere, il passaggio
dall' un termine all' altro non è
processo deduttivo, né tampoco induttivo,
ma è pro- cesso essenzialmente eduttivo,
perchè anche qui ha luogo la
conversione del vero col fatto, cioè
la conversione delle Menti con Dio,
della logica con V ontologia, dell'
ideo- logia con la metafisica. Sarà un'
alchimia anche questa ? Potrebbe stare.
Ma chi ben la consideri, anziché
un'al- chimia, scorgerà in essa il
fondamento della prova le- gittima, vera,
positiva intorno all'Assoluto.* * Le tre
ordinarie maniere d* argomentare resistenza di
Dio furon ben cento volte dimostrate
deboli, incompiute, fallaci, per la solita
ra- gione che, non racchiudendo processo,
mancano perciò di valore propria- mente
dimottratico. Il cosi detto argomento
ontoìogicOf per es., qaalanque
ne sia
la forma datagli da Anselmo, Cartesio,
Malebranche, Fénelon, Leib- nitz, Gerdil,
Rosmini, Gioberti, Mamiani e simili, non
può concludere alla realtà assoluta, perchè,
comunque e' si squadri, ha sempre nn
valore dedut- tivo. Gli argomenti poi
dettiyì«ico, moralcf ootmologieOf sono sfomiti
d* ogni rigor di prova razionale, in
quanto che si riducono alla forma
induttiva, la quale, in tal caso,
racchiude nna petizion di principio. Laonde
se la deduzione move da un /ntùtto, siamo
nella ipotesi; e la scienza non può accettar
le ipotesi come principi], tnttochò se
ne possa e debba giovare È dunque
vero, è verissimo che l' uomo da sé
e con la propria mente faccia Dio.
E lo fa dapprima col senso, poi
con r immaginazione, da ultimo con la
ragione. Col senso lo vede immediatamente
nella natura, lo sente nella natura.
Con l'immaginazione lo vede attraverso alla natura,
ma lo sente in sé medesimo. Con
la ragione lungo il suo processo come
d'altrettanti mezzi. Se poi muove da
un Indeter- minato f siamo nel formalismo
psicologico, nell* arbitrio logico, e però
si riesce agi* indovintUi da algebristi,
V una forma di deduzione perciò non
dimostra, cbè anzi invoca appunto l'Assoluto
per dimostrare: T altra invece dimostra troppo,
e perciò non dimostra nulla. Dunque V
argomento eduttivo o della eonveraionef che
noi contrapponiamo a qualunque forma di
deduzione e d* induzi one, è prova
legittima, stantechè racchiuda il vero
termine medio, il vero m«szo tra il
mondo e T Assoluto. U solo
Trendelenburg ha parlato d' una forma
di prova eh* ei chiama argomento
logico, il quale potrebbe avere alcun
riscontro col nostro. Ma non poche
sarebbero le difficoltà nelle quali intoppa
il dotto tedesco, chi guardi al
concetto del moto eh* ei
pone a
capo delle categorie. Neil* ordine
psicologico noi moviamo dal Vero che
per necessità eduttiva si converte col
Fatto : e ne ricaviamo che cotesto
FaUo non è già moto, anzi pensiero
per eccellenza, mentalità assoluta. Or bene
s* e* fosse moto, corno saria
possibile una conversione f E mancando
la possibilità della conversione, come
farà, 1* illustre autore delle Bioerche
Logiche, a salvarsi dal pericolo d*
un vuoto formalismo ? Giova qui
rispondere ad un'obbiezione. Si dirà:
cotesto vostro pe- regrino argomento, in
somma delle somme, si riduce ad una
forma d* in- duzione. Dall' effetto, andate
alla causa; dal particolare, al generale; dalla
determinazione, alla sostanza; dal finito,
all'infinito. Brevemente, dal mondo salite a
Dio, sia che consideriate la natura,
sia che lo spi- rito, ovvero le idee. Rispondo:
induzione pura o semplice, 'no; ma
processo induttivo: il quale, compiendosi
nel processo eduttivo, assume quindi valore
d'ar- gomento razionalmente positivo. Dio, a
parlar proprio, non è pura so- stanza,
causa, essere infinito solitario ; nò
il mondo è pura qualità e determinazione,
puro effetto, puro finito posto
dall'infinito. Se Dio fosse cagione
semplicemente presa, il mondo (l'effetto)
ne sarebbe l'atto. Se fosse sostanza,
il mondo ne sarebbe la modificazione.
Chi ci salverebbe dal panteismo ? Se
poi fosse infinito ut «ie, perchè,
domanderò io, se basta a so stesso
ha da porre il finito ? Dio è
tutte queste cose, infinito, causa, sostanza
e simili, ma è tale, perchò
principalmente è idea, pensiero, men- talità.
Or non è anch' egli mente e
pensiero l' Universo ? L* argomento della
conversione, dunque, non va dal mondo
a Dio, non procede dal- i* effetto
alla causa (ohe non procederebbe davvero),
ma va, ma procede
da
causa a causa annodandole insieme. E
le annoda, perchò serbano me- desimezza e
diversità; le annoda, perchè adopra il
mezzo delle idee; le annoda, perchò
educe le idee, e perchò queste idee
converte con 1* ideato. — Un* ultima
osservazione che avrei dovuto fare già
in altro luogo: me- Io vede nelle
sue stesse idee, perchè lo fa come
idea ; e così r uomo (ripeto la
^bella frase del Gioberti) giunge a
rendere a Dio la pariglia. L'idea
dell'Assoluto ha an- ch' egli i suoi
annali ne' diversi momenti della storia
e del processo psicologico. Ma nel far
cotest'idea, e pro- prio quando l'abbiam
fatta, noi somigliamo a quell'arte- fice che
s'affatica e suda e si travaglia nell'
incarnare il tipo che gli splende
dinanzi alla fantasia, mentre la stessa
natura potrebbe offrirglielo vivo e
palpitante nella infinita ricchezza delle
sue creazioni. Novello e arditissimo
Prometeo, il pensiero del filosofo non
abbi- sogna d' alcuna scintilla : la
scintilla della vita s' agita già vivissima
nell'opera stessa delle sue mani. Perocché quando
il pensiero abbia prodotto l'idea
dell'Assoluto, e' tosto s'accorge d'aver prodotto
quello che già e' era, quello che
è il Fatto per eccellenza, e che
non può esser fatto perchè di sua
essenza è il Fare, E così pure
ci accor- giamo di far Dio con la
scienza e con l' attività riflessa, solo
perchè è egli innanzi tutto che fa
noi come potenza, perchè siamo potenza,
perchè siamo termine del suo atto. * glio
tardi che mai. Il Gioberti accenna
una sola volta (quant* io sappia)
al
metodo eduttivo, e lo fa consistere
nell* andare dal particolare al par- ticolare,
dal generale al generale (Protei, voi. I,
p. 159). £ precisamente la funzione
deduttiva come la intende, per esempio,
Stuart Miìl. La edu- zione del Gioberti f
com* ò eTìdente, non ci ha t;he
vedere con la nostra. ' Questa
precisamente è la facoltà della quale,
come dice Cartesio, ci ha saputo
fornire la stessa natura, e con la
quale noi, produeendo Videa di Dio,
conosciamo Dio. (2V<nn^m. Object., X, Rep.) A
questo pro- posito giova notare come il
senso unicamente vero onde TA. delle
Me- dìtaxioni chiamava innata V idea
di Dio e da Dio stesso dicevala
im- pr€$aa neUa mente {Medit. Ili e
V), stia in ciò; che cotesta idea
non può esser finta o supposta o
immaginata, ma ha da essere posta,
cioè tratta necessariamente, razionalmente dal
pensiero come ogni altra idea che
racchiuda necessità obbiettiva e metafisica.
Chi a questa maniera non voglia
intendere il filosofo francese, non
giugnerà mai a salvarlo dalle aperte
contraddizioni nelle quali inciampa senza
rimedio tanto chi voglia interpretare 1*
idea cartesiana dell* infinito ad ueum
Delphini co- me fanno gì' intuitisti, gli
spiritualisti e i teologisti, quanto chi
si piace d' interpretarlo, come fanno gli
hegeliani, con la solita critica ad
libitum^ secondochè altrove dicemmo a questo
medesimo proposito (p. 176). L'idea di
Dio vien fnora mercè queW analin
divina de'penneri %anani (ripetia- Qui
pervenuti, nasce spontanea una considerazione storica."
Posta la natui^a e T origine delle
idee secondo che vonn' essere interpretate
nell'autore della Scienza Nuova, è agevole
scorgere cpm' egli solo ne' tempi mo- derni
abbia accennato ad un accordo verace,
diffinitivo,
in
siffatta quistione, fra il Platonismo e l'
Aristotelismo. Egli consegue cotesto accordo
non già operando una me- schianza od
una specie di combinazione meccanica fra
i due sistemi come tanti sono riusciti
a fare, ovvero ne- gando l'uno in
grazia dell'altro; ma negandoli e correg- gendoli
entrambi, e rispettando e inverando nel
mede- simo tempo tanto l'esigenza peculiare
dell'uno, quanto quella dell' altro
indirizzo speculativo. E tutto ciò egli ottiene
a due patti : I. Accetta dal
Platonismo le idee come infinit(By non
amplitudine^ sed perfectione; ma le accetta
non come poste ci di là dello
spirito, anzi come fatte, come prodotte
dallo stesso spirito. Accetta insomma le
idee, e da divine le fa umane.
Le accetta uma- nandole. Perciò india
l'uomo; fa l'uomo naturalmente divino; pone
il divino anche nel mondo, ma senza che
questa sua NOVELLA METAFISICA INNALZATA SU LE
IDEE UMANE, come vedremo, neghi menomamente l'esigenza
platonica d'un Assoluto presente al mondo. IL
Accetta dair Aristotelismo il gran principio
che
l' essenza
e la ragion precipua ed efficiente
delle cose risegga nelle stesse cose,
non fuori; che insomma le idee siano
anche nelle cose; che costituiscano tutta
la vita, tutta r energia e la
profonda attività della stessa na- tura;
l'essere stesso della storia e del
mondo. Ma nel
medesimo
tempo nega risolutamente gli Universalia
aristotelica
; * e H nega perchè inutili,
anzi perchè esi-
mo anche
qui le belle parole del nostro
filosofo), la quale guidandoci JU
filo
entro i ciechi laberirUi del cuor
delV uomOf saprà darci non già gV
»«-
dovinelli
degli algebristi^ ma la certexxa quant*
i lecito umanamentCj nel co- noscere
metafisico. {Lett. al Solla^ p. 14). *
Vico, De Antiquisa. Gap. II. ziali
alla scienza, all'oratoria, all'arte,
all'educazione della mente e del cuore,
alla politica, alla religione, alla pratica
della vita, alla società, ponendo invece
la forma metafisica piena, il genere
che di sua natura è realtà piena,
realtà salda, realtà comprensiva. Or se
tutto questo è vero, non ha egli
avuto cento e mille ragioni il Mamiani
di sentenziare : il Vico essere il vero
e ardito innovatore della teorica delle
idee? Ma co- teste parole son parole
d' oro per noi, non per chi le
ha cosi felicemente scritte. Pel Mamiani
e per qualsiasi pla-
tonicoe
neoplatonico, invece, le son parole di
ferro, parole di piombo, e anche
peggio. Perchè se il Vico avesse rin- novato
la dottrina delle idee nel senso del
Neoplatoni- smo, in lui, in cotesta sua
teorica, non vi sarebbe né verità, né
ardimento di sorta. Avrebbe svecchiato e
ri- cantato, anche una volta, cose già
vecchie e stantie!* * Per queste
ragioni, e per quelle dette innanzi,
può rodersi come il Vico intenda
benignamente e corno accortamente corregga
la dialet- tica platonica, In ispecie nella
sua parto ascensira, contraddicendo perciò
< agi* indirizzi estremi dell*
Aristotelismo, e legrittimandone sempre più r
indirizzo mediano. Abbiamo detto che,
secondo il metodo dialettico del nostro
filosofo, la realtà d* un essere
cresce in ragion diretta della sua
generalità,
ma della sua generalità ideale, non
già concettuale. Por chi intenda severamente
la dialettica platonica, per esempio pel
Ravaisson, Tessere in lei va scemando
in ragione che procede e sale dal
meno generale al pih generale Or bene,
la prima guisa d* ascensione dialettica, eh*
è la vera platonica secondochò la
intende il Vico (Vedi le sue parole citate
avantt), non s'oppone ali* esigenza del
beninteso Aristotelismo che an;i lo Stagi
ri ta dere accettarla in forza del
suo stesso metodo. Andare da individuo
ad individuo, salire da una forma
inferiore ad una forma superiore, da
un atto ad un altro atto come
fa Aristotele, è pro- cedere dal meno
perfetto al più perfetto ; che vuol
dire, dalla nota «pe- ci/icatue d* un
essere, ad un grado superiore della
sua stessa idealità. Si può dunque
affermare che una secreta parentela esista
fra il processo ideologico
del
Platonismo, e quello dell'Aristotelismo; e
che perciò VuntverBale aristo- telico, inteso
bene, non contraddica all'ic/ea platonica
ove però sia interpre- tata come /orma
metajìsìca. Se questo è vero, non è
niente improbabile che Aristotele aveste
tratportato ne* »uoi libri il metodo
che Platone praticava neW integnamentOf secondochè
congettura il Simon {Theod, de Platon
et , d'Arist.f p. 27. — Ved.
anche Janet, Sur la Dialcctique dans
Platon etc., ' p. 282. — NoURlSSÓN,
Exposition de Ut Théorie platonicienne dea
idée^ ed. cit. II. — RiTTEB, HÌ9t.
de la PhU, ancienne, t. 2, 1.
Vili. Anche il Rosmini accenna a
questo ponto tanto nella Teoeojia quanto
nel suo Ari- Hoteh), — Rigrnarclo poi
al valore della dialettica di Platone,
panni che il modo onde il Vico
dà segno di veleria intendere, sia accettevole.
Chi consi- deri con qualche diligenza
segnatamente il Parmenide e il Sofìgta,
dì leggieri 8* accorgerà che il metodo
dialettico platonico è tale, perchè serba
indole piuttosto eduttiva, anziché deduttiva.
Questo metodo, a dir vero, non ista- rebbe
molto in armonia con la dottrina
dell* avoc^vrìTt^ che è capitale in
altri dialoghi : ma perciò appunto
sarebbe un progresso e una corre- zione
ohe Platone avrebbe fatto a sé
medesimo. Sennonché lasciando di ciò, la
posizione speciale del problema metafisico
pel filosofo Ateniese risguarda precipuamente
la relazione o principio di medesimezza
e d* al- terità, per cui. ribatte le
due soluzioni egualmente erronee che ne
det- tero le due grandi scuole d'
Eraclito e di Parmenide. Questa, direbbe Hegel,
è la funzione ùtoriea di Platone
considerato come JUoao/o greco rispetto alle
filosofie anteriori. L' C7no in sé riesce
inconcepibile; ma non
è tale
anche V Altro in sé? La conclusione
perciò non era difficile; ed è che
nel medenmo ci ha da essere anche
il diverso, e nel diver$Of come tale,
anche il medenmo. Ma forse che Vuno,
come uno, diventa anche V altro f
Ecco precisamente T inganno de* panteisti
d*ogn! colore in ge- nerale, e, in
particolare, Terrore de* critici che interpretano
hegeliana- mente il filosofo greco. Lasciando
stare questo o quel passo di questo
o cotesto dialogo, in lui è chiaro
un principio che basta per tutti: Nesaun
con^ trarlo può mai divenire il suo
proprio contrario. Con tutto ciò non
è altret- tanto chiara in esso 1'
attinenza che ci ha da essere fra*
contrari, ed ecco perché Platone andava
saggiando or la ftcfAWcrt; ed or la
ftediicc. Nondimeno chi non si volesse
attaccare al solo Parmenide e al
Sojuta, come fanno gli Hegeliani, ma
porgere debita ragione anche agli altri dialoghi
e però ali* insieme delle dottrine
platoniche, vedrebbe che 1* esi- genza del
principio della Conversione in lui è
presentita. Dico 1* esigenza non il
principio stesso, e tanto meno la
dimostrazione del medesimo. Secondo tale
esigenza, della quale non sarebbe difficile
rintracciare i germi nel Parmenidef Platone
accorda i contrari, non già compenetrando
il medesimo col diverso, ma convertendoli.
Col che io non intendo affermare che
nel maestro d* Aristotele non sia
facile scorgere una tendenza talora assai
spiccante verso l' Idealismo trascendentale. Se
cosi non fosse, l* esposizione del suo
discepolo sarebbe da ritenersi come al
tutto infe- dele e bugiarda; il che
non fu mai detto, né pensato da
nessuno* storico e da nessun critico. Gli
Hegeliani anzi co ne porgono oggi
splendida prova, come avvertimmo, segnatamente
il Vera, il qnale ha creduto d'aver già
beli* e dimostrato come la dialettica
platonica, tuttoché incompiuta, sia proprio
quella di Hegel, né più nò meno.
Or la. critica seria e non
parziale,
massime quando si tratti de' Dialoghi
platonici, dee farsi con- sistere innanzi
tutto nell* accordare Platone con sé
stesso, per indi ac- cordarlo, se è
possibile, col sistema che ci frulla
nel capo. Ma non tutti fanno così!
Quando 1* hegeliano afferma, per es., che
il to <(aéfvv;c del Parmenide sia
proprio il divenire^ il TO iv
Veesere, e *1 TO ov il tum- essere;
CO testa sarà crìtica sottile, acuta,
maravigliosa. ma non sarà altrettanto vera
né come critica interpretativa, e tasto
meno poi come critica filosofica. Diranno
; questa nostra crìtica rìsulta a fil
di sillogi- smo dall'analisi del Parmenide,
Ma forse che tutto il Platonismo è
nel Parmenide f Certo, soggrinngeranno ;
il Parmenide è svolgimento o com- plemento
necessario di tutti gli altri dialoghi,
e rappresenta perciò la forma schietta,
vera, consegaente della teoria platonica.
Ecco precisa- mentOf dirò io,
un'interpretazione parziale fatta a proprio
comodo ! Inten- diamoci: nel Platonismo,
nella mente di Platone, anche noi
scorgiamo due forme, due periodi, o,
se si Tuole, due momenti di
speculazione: quello in che prevale il
sentimento, V immaginazione e però il
mito e la tradizione ; e V altro
in cui predomina e signoreggia nella
nudità sua la ragione, e la coscienza
speculativa. Svolgimento e processo fra
Tuna e r altra forma ci è, e
ci ha da essere ; e ufRcio
della critica positiva ò il far vedere
che se fra, questa due forme vi
è contraddizioni e contro- sensi, cotesto
contraddizioni non sono cotanto grossolane
quanto sareb- bero, se fosse vera la
critica di certi critici passionati. Tra
la Repvhbiiea
e le
Leggif si dice, hawi un* aperta
contradizione nell* ordine delle ideo politiche:
sogni nelFuna, e sodezza e positività
nelle altre; e cosi pure fra il
Dio del P<xrmenide, e il Dio degli
altri dialoghi. Invece a noi pare che
come le Leggi, per dire un esempio,
non sono altro che la Jiepub- bliea
guardata nella sua opportunità e
possibilità, parimenti il Parmenide non sia
che il Timeo, il Teeteto, il Sofista
ecc., ma considerati come uno sforzo
di potente speculazione per ligittimare e
correggere il medesimo principio metafisico.
Ebbene, a questo medesimo indirizzo, che
traspare dair insieme delle dottrine
platoniche, dovrebbe sapersi ispirare la
cri- tica che volesse esser feconda; perchè
Platone, come ogni grande ingegno, "è
d* uopo compierlo, correggerlo, ma non distruggerlo.
Or questo pre- cisamente fanno gli Hegeliani
con Platone; lo distruggono. E lo di- struggono
per la semplice ragione che nelle lor
mani lo svolgimento e
il
processo del pensiero di questo filosofo,
non è altrimenti svolgimento ma cangiamento,
ma contraddizione, ma negazione. Interpretate
infatti la dialettica del Parmenide commessi
fanno: accade che questo dialogo starà
in aperta contraddizione col principio nel
quale si cardinano il YI 0 M VII
della Repubblica (Trad. Cousin, t. 10,
p. 50), con quello delle Leggi (X
Lib., id.), con qnello del Fedro (t.
C, p. 49), con quello del Fedone
(t. 1, p. 274) e, in gran
parte, con quello del IVWo, intendendo quest*
ultimo ben altrimenti che non abbia
fatto il Martin fra* moderni. E cosi
il Parmenide, girato e rigirato e
rimpastato dalla lor critica, dovrà
evidentemente, anziché inverare e correggere,
contraddire il con- cetto deirÀssoluto, secondo
che ci è descritto nel Dialogo ultimo
citato: nv.Tvip, y.at rotvjTvi?, xat
Srii^iovpyò^ tow xó-t/iaou (IVm., 29, E.)
Ora è
egli possibile questo voltafaccia nella
niente del gran figliuolo d*Àristone massime
neir età prQvetta e grave nella quale
probabilmente scrisse il Parmenide f Non
somiglierebbe, se cosi fosse, a certi
filosoft de* nostri giorni che con
incredibile disinvoltura sacrificano oggi a
Cristo e s* inginocchiano domani al
diavolo, o viceversa? Kd è questa la
critica seria, coscienziosa, onesta in
filosofia? È egli onesto e serio e
coscien- zioso il dire e lo scrivere,
per esempio, che TAssoluto dell* Idealismo assoluto
sia precisamente quello dell* Idealismo
platonico? Oh i miracoli do* riscontri
storici ! Abbiamo detto che la
dialettica ascensìva poggia al Primo vero
metafisico mercè la virtù eduttiva del
pen- siero; e ch'ella stessa poi diventa
discensiva, dove quel Primo vero assuma
valore e natura di Principio meta- fisico.
La intema costmttura di cotesto principio
costi- tuisce quel che noi diciamo processo
ideale. Ma innanzi tratto intendiamoci con
gli avversari d' ogni qualunque metafisica,
ai quali probabilmente non saranno bastate le
cose dette sin qui. La Natura, abbiamo
afiermato più d'una volta, è un
processo ; ed è tale perchè è
numero che Tolge ad unità: il che
ci è confermato oggi splendidamente dalle scienze
fisiche e naturali. D'altra parte lo
Spirito, sia che si consideri nella
genesi psicologica, sia che nella
genesi
storica e sociologica, è anch' egli un
processo, ma in quanto è unità che,
in sé medesima attuandosi, di- venta numero.
Or s'egli è vero che sì la
natura come lo spirito debbono aver di
sé medesimi una ragione tanto rispetto
all'essere quanto all'operare, cotesta ragione,
perchè serbi legittimità di principio, non
può esser numero che volga ad unità,
e nemmanco unità che diventi numero,
se pur vogliamo salvarci dalle strette d'
un circolo vizioso. Dunque non v' è
scampo ; il nescio quid innanzi a
cui ammutoliscono il materialista e il fenomenista,
il ro «vurroOsTov di cui ha tanta
sete lo scet- tico sistematico, V
Inconoscibile la cui realtà è pur
con- fessata dal positivista, e, in somma,
il Deus absconditus de' filosofi deW
avvenire, altra natura non potrà avere fuorché
quella d'esser nel medesimo tempo numero diventato
unità, e unità diventata numero. Così,
e sola- mente cod, cotesto jravTc^wc 3v
attomo a cui si travaglia il pensiero
e la storia, potrà rivestire dignità
di prin- cipio, assumendo insieme valore
essenzialmente dinamico e dialettico. Perciocché
ov' ei non racchiudesse le me- desime
condizioni anzidette, non solo non potremmo sperare
di conoscerlo in verun modo, né egli
ci appar- terrebbe per nessun titolo, ma,
ciò che più monta, e' sa- rebbe di
per sé stesso impossibile addirittura. Che
se poi quelle due condizioni fossero
in lui così come sono per eptro
alla natura e al mondo dello spirito,
non
potrebbe
non riuscire onninamente inutile tanto alle cose
quanto alla scienza. Col solo raddoppiare
i mede- simielementi non soltanto egli
non ispiegherebbe nulla di nulla, ma
avrebbe d'uopo d'essere spiegato egli stesso
innanzi tutto.* Se dunque V Inconoscibile
non é un puro fiato di voce ma
è una realtà, e' debb' essere insieme, a
dir così, natura e spirito, cioè Forza
e Pensiero. Di fatto se la natura
è numero volgentesi ad unità e quindi
conato energia che transita ad atto,
si può chiedere : dond' ella viene,
e com'è ch'essa incomincia? Comincerà da
sé medesima? Dunque dee cominciar come
potenza, e quindi come sintesi confusa
e indeterminata. Or non é egli cotesto
un cominciamento assurdo e grossolano? Avrà
seco qualche idea, si può rispondere
: può esser de- terminata in qualche
modo. Ma, se è com, tale idea o
é * Tanto nel processo ideale quanto
nel processo cosmicOf tanto nel Mondo
quanto neir Assoluto, gli elementi (direbbe
il Vico) sono i medesi- mi; ma diversa
è la relazione dì essi, e quinci
diverso il contenuto che ne risulta.
L' unità e la moltiplicità, il
medesimo e M divertOf riseggono così
nel sensibile come nell' idea ; ma
il diverso dell'uno non è quello del- r
altra. Ecco il profondo dissidio metafìsico
fra il Platonismo e l'Aristo- telismo ;
ed ecco il precìpuo difetto dell'
esposizione delle idee platoniche fatta da
Aristotele, e la parte non vera della
sua critica. {Metaph., I, 6).
Nel
Platonismo il diverso, checché ne dicano
certi critici, serba doppio valore (to'
sts/dov, to' aX^o) al quale ci ha
badato segnatamente lo Stal- Ibaum {Prcleg.
in Parm., I. I, V). Però tutta
la confusione d' Aristotele, secondo che ha
osservato lo Zeller, sta nell' aver egli
trasandato il di- vario che corre fra
la moltiplicità in qìtanto è materia
delle idee, e la molliplicità in
quanto i fondamento del mondo materiale
{0^, cit., p. 482). Vedremo come anche
qui il nostro filosofo, pur legittimando
11 Platonismo,
corregga
col suo concetto metafisico l'Aristotelismo. dentro,
o è fuori di quella potenza. Se
dentro, dunque non è potenza: se
fuori, eccoci al di là della natura. D'
altra parte, se lo spirito è un
atto di fronte alla na- tura, non per
questo ei potrà cogliere e fermare
co- test' atto e afiferrar sé medesimo
come atto, poiché pen- sandosi, come
dicemmo, egli di già é un atto,
è fatto (actuni) ; e perciò, come
la natura non può cominciare da sé,
parimenti lo spirito non potrà finire
in sé. Non è dunque necessario un
atto? Or l'Inconoscibile, il nesdo quid de'
filosofi dell'avvenire che ha da essere
Forza e Pensiero, é per V appunto
cotesto atto; é l'Atto della natura,
in quanto la natura è potenza; ed
é l'Atto dello spirito, in quanto lo
spirito é adus in adu, e perciò infinita
potenzialità. Ma un atto che dee
contenere la natura e lo spirito, e
che quindi ha da essere Pensiero e
Forza, non è per ciò stesso un
Primo e nel medesimo tempo un Ultimo?
Non sarà quel primo e quell'ul-
timo anello
a cui, per dirla con Aristotele,
tutto è so- speso, € al quale tutto s'
indirizza. * Se non che, comunque si
voglia riguardare il con- cetto del multiplo
e quello dell' unità, la relazione
che vi si occulta tien sempre del
quantitativo, dell'estrin- seco, del matematico,
del puramente logico. La ragion metafisica
positiva può andare un po' piiì in
là, potendo volger r occhio a qualcosa
di piii riposto, di più intimo, di
più affine alla nostra natura. Ella
dee muovere dal- l'uomo stesso, dallo
spirito, dalla psicologia, dalle idee, come
abbiam visto nell' altro capitolo ; e
però movere altresì da im immediato,
da un certo eh' é anche un
vero, dal concetto della triplicità
psicologica. La quale essendo soggetto
oggetto e relazione, importa la legge
della medesimezza e della difl'erenza con
sé medesima, e con la natura: importa
una sintesi iniziale e originaria che
sia TÒv avw s;i^ovToc ckpy^rtv, {Metaph.,
II). In altro laogo dice che terra e
cielo sono sospes al suo principio
immobile {Td., VII, 12). Ma couie Ti
stan sospesi? Ecco nno degli errori
metafisici dell' Aristotelismo. insieme unità e
dualità. Or cotesta triplicità psicologica rudimentale,
che incarnandosi nel gemino processo teore- tico
e pratico della psiche umana attinge
dignità d' au- tocoscienza e di Ragione
spiegata, noi possiamo innal- zarla a valore
non già quantitativo, ma essenziale, ciò è
dire non a valore puramente concettuale,
ma ideale.
Ella
quindi ci si presenterà determinata nella
pienezza delle tre somme primalità che
sono il conoscere, il vo- lere^ il
potere. Di queste tre somme primalità
appunto dee potersi essenziare (come osservò
prima del Vico il Campanella) il to'
awroQsrov, affinchè egli possa aver na- tura
di Principio metafisico.* Laonde avviene
che se co- testa triplicità,
psicologicamente avvisata, è processo e moto
e conato, metafisicamente è anche un
processo, ma è un processo già
risoluto; è anche un moto, ma è
moto del moto; è anche un conato,
ma conato che è atto. E a
diventar tutto questo ella non ha
bisogno di passare dal to ao^io-TÒv al
to TcXetov, dall'omogeneo e indeterminato
all' eterogeneo e determinato, dalla sin- tesi
all'analisi,' e però da una facoltà o
funzione in- feriore ed elementare, ad una
facoltà superiore ed at- tuale. Ella non
ha bisogno di farsi, di convertirsi
con seco medesima invocando un sussidio
dal di fuori. Non ha bisogno di
puntellarsi nel senso e di mediarsi
con la natura e d' alimentarsi ne'
fatti e d' arricchirsi del- l'esperienza.
Essa non è intendimento, nettampoco immaginazione.
Non è libero arbitrio, nettampoco pas- sione.
Ella è piena libertà, libertà determinata,
poi- ché è piena e determinata ragione.
Ma non è aitasi ' Non si
confonda V uso che noi qui facciamo
del concetto della triplicità pticologica
nel chiarirci la nozione dell'Assoluto, con
l'abuso fat-
tosene in
passato appo certe scuole di filosofi.
No rammenta un solo esera- pio.
Plotino e gli Alessandrini, por ìspie^rsi
la triplicità delle ipoatati in Dio,
ricorsero alla psicolof^ìa (Vcd. A'«n., 5,
1. 1, e. 10, trad. del Boulliet), e,
come k^ storici sanno, arzigogolarono
mirabilia su la Intelligenza su-
prema onde
rampollano gli ordini del sensibile e
quelli dell' intelligibile. Ma, com' è
agevole vedere, tanto il loro concetto
della triplicità paicoloffiea è discosto dal
nostro, quanto la lor triplice ipostasi
è lontana dal ter- nario che la ragion
positiva, come vedremo, dee riconoscere
nell' Assolato. un processo tuttoché sia
un processo già risoluto? Non vuol
esser dunque anche un organismo, eh' è
dire un processo teoretico e pratico,
e perciò determinazione e genesi interna
ed estema? E ponendosi come Atto, non
ne segue che con sé stessa ella
abbia da porre anche V altro? E
che é mai quest' oZ^ro salvochè un termine
estrinseco e diverso? Il Principio
metafisico, dunque, a cui ci rimanda
il Primo vero metafisico, non può non
esser l' infinito aUiude, e però V
infinito Nasse Vèlie Passe; dinamismo
intimo, intima ed essenzial generazione e
conversione di sé con sé stessa, e
col fuori di sé.* * Il criterio
della conversione non avrebbe valore di
principio ove nou potesse applicarsi anche,
e soprattutto all'Assoluto, assumendo cosi digrnità
di Principio Metafisico. £cco Del suo
linguaggio mezzo scolastico il pensiero del
Vico : Primieramente atabiliaco un Vero
cìie ai converta col Fatto, e quindi
raccolgo in Dio essere V unico VERO
percJtè in lui
eontiensi
tutto il Fatto. Però soggiunge : In
Dio il Vero « converte AD INTRA
col Generato, ad extra col Fatto:
egli solo è la vera in- telligenza
perchè egli solo conosce tutto : la
divina Sapienza è il per/ettis' Simo
Verbo perche rappì'esenta tutto contenendo
dentro di si gli clementi delle cose
tutte f e, conteucndolif ne dispone le
guif>e ossiano forme dell" in- finito,
e disponendole le conosce, e in
questa sua cognizione le fa, e questa cognizione
d' Iddio è tvMa la ragione della
quale V uomo /m una porzione per
la sua parte, E poiché l'Ente è
assoluta conversione del Vero col Fatto
interno (Generato) e col Fatto propriamente
detto (Mondo), ne viene che debb*
essere altresì conversione come pensiero e
come forza, come Causa e Mente,
appunto percJiì unica causa ^ quella
che per produrre V effetXo non% ha
di altra bisogno ; come quella la
quale contiene dentro di sì gli
elementi delle cose che produce, e li
dispone, e sì ne forma e com- prende
la guisa, e comprendendola manda fuori
V effetto, (Ved. liisp. al
Giom. de'
Leu., II). Per quanto questo lingruaggio
possa sembrar vieto e coperto di
muffa scolastica, nullameno tornerà agevole
all'accorto lettore potervi scorgere come in
germe la soluzione positiva del problema
metafisico. In queste tre usate e
abusate parole. Vero, Generato e FaUo,
abbiamo, per così dire, i tre punti
ne' quali s* imperna e gira il
processo idealo che, con- siderato in se
proprio, costituisce la dialettica discensiva.
Qui è la so- stanza, com' è noto,
e, sto per dire, il nocciolo della
teorica cristiana, ma ^levata al supremo
valor razionale e speculativo oud'è capace:
ed è il fine (chi ben consideri
la storia della filosofia cristiana e
non cristiana, ortodossa ed eterodossa) a
cui par che convergano insieme e
riescano il
Platonismo
e l'Aristotelismo nello differenti loro
forme isteriche. Sennonché si badi a
non pigliar come ripetizioni vano certe
analogie e somiglianze di H Vero
dunque è l'Essere; e cotesto Essere-Vero non
sarebbe tale, ove, anziché identità
sostanziale dei- Tessere e del conoscere,
anziché assoluta unità e assoluto monismo,
non fosse invece un' essenzial dualità
e ^nità, essenzial conversione del soggetto
con V oggetto, e quindi medesimezza e
differenza attuale. Qui dunque, innanzi tutto,
il nostro filosofo corregge Aristotele come
quegli il quale disconosce una condizione
eh' è l'interna necessità della stessa
natura dell'Assoluto. Lo Stagirita pronunzia: ecTTtv
>j vó>?o"ec vovìtso; vó/jtc?. Ma
fo^c che l' eccellenza del pensiero starà
nel pensar solamente sé come sé, e
non anche sé come altro? ^ Una
Visione veggente Sé stessa non ^ un
atto sterile e solitario? Vedere non
è anche operare? Pensare non è
generare? Ov'è dunque il gran linguaggio,
che qui il Vico potrebbe aver con
altri filosofi. Mi spiego su- bito. Per
sant'Agostino, per es., intelligibilità e
realtà si compenetrano insieme, e danno
luogo alla natura assoluta formando così
il Vero-EnU fVed. SolU<^,, lib. II.
De vera Relig., XXXVI. De Trìnitat.,
lib. V). Su per giù si può dir
lo stesso d' altri filosofi cristiani
fino a san Tommaso, e anche fino
al Rosmini {Nup. Sag., Sex. VI, P.
IL e. II). Ora la novità del filosofo
napoletano sta nell* avere impresso a
cotesto concetto virtù d'uni- versalità superando
la coscienza religiosa, come vedremo fra
poco, e nel- r averlo applicato a
tutt« le sfere della realtà, nonché a
tutti gli ordini del sapere. Questo
almeno risulta dal modo con che
dobbiamo-interpretare ed
esplicare
con la ragion filosofica positiva il
suo pensiero. Per esempio, nella progressione
degli enti, il filosofo cristiano non
iscorge ombra di processo; ed è un
assurdo per lui tanto che la sostanza
vitale pulluli dalla corpo- rea, quanto che
l' anima razionale sgorghi dall' irrazionale
(Auodst., De An. ec. I, II. De Civ.
Dei, XII. De Jmm. an., 24. Così pure il RosMiin, PncoL,
ed. cit., v. I, XXIII ; Antropologia,
1. IV, e. V). Ora applicando il principio
della Conversione noi abbiam fatto vedere
come e quanto egli riesca originale
nella psicologia ; e nulla diciamo
quando poi si applicasse, come ha
saputo fare lo stesso Vico, allo
svolgimento de* fatti storici, del che
la Sdenta Nuova ò tutta una
dimostrazione. La stessa originalità nel- r
applicarlo al problema metafisico, che vuol
dire alla costrnttura organica
e
catecrorìca dell' essere, come tosto
vedremo. Sicché vorrò concludere che sotto
alla vecchia buccia qui si occulti un
pensiero metafisico spirante, mi pare,
freschezza e originalità. Il difficile, al
solito, sta nel sapere sce- gliere il
punto di mira per guardarlo. * Ecco
in che sta proprio tutta la magagna
della metafisica aristo- telica: se V Atto
non fosse voyjVtc vo/Itso;, cioè
vo>?(T«oc proprio in sé, e s'
avvilirebbe : Tò 9st6xarov Y.ot.1 to'
rifxtwTatov vote, xa/ ou fAsra^aXXci *
«t; ;^«t/90v 7à/9 ^ /x£Ta6o>KÌ. Metaph.,
1. XII, 9. pensiero aristotelico della
facoltà che pone il proprio obbietto e
se ne distingue ? E perchè, mai
non applicarlo anche all' Atto, e
soprattutto all'Atto?* U Essere-Vero dunque
è mestieri che sia anche Verbo, anche
Fatto intemo, anche Generato. Che cos'è
il Generato? Non è
luce
metafisica, non è oggetto indeterminato e
primigenio posto da natura, come nella
genesi psicologica; ma è luce e
colori, è oggetto determinatissimo, perchè
è insieme la natura e ciò che è
sopra alla natura. È dunque il diverso,
il diverso dell'identico; al modo istesso
che il Vero è l'identico del diverso.
Perciò è l'intelligibile che, mentre
adequasi con l' intelligente, se ne
distingue. Perciò è il pensante che,
convertendosi col pensato, è pensiero, e
quindi è in sé medesimo il trinuno.
Se dun- que l'Assoluto è generazione e
dinamismo interiore, per ciò stesso è
Mente: prindpium unum, Mens. Or come potrebb'
esser mente senza esser cagione, attività,
ener- gia,e quindi idea, possibilità,
relatività, infinità, mol- tiplicità ideale? Ma
se qui il nostro filosofo corregge
l'Aristotelismo, invera nel medesimo tempo
il Platonismo. Il Generato del Vico,
in quanto è termine di generazione ad
intra, è appunto la benintesa idea
platonica. Cote$ta idea platonica non è
assoluta Unità, né assoluta Moltiplicità *
Ma, si badi: il difetto metafisico
dell* Aristotelismo non è tale che 1*
annnlli e distrugga addirittara, ed è
appunto per questo che Aristotele non
potrà esser mai in etemo, né un
idealista assoluto, nò un positivista, anzi
così egli si presenta come una
confutazione parlante deir Hegella- nismo, e
del Positivismo. Voglio dire in sostanza
che il principio metafisico
dello
Stagirita non è, propriamente parlando,
erroneo, ma incompiuto; e però è tale
che corregge benissimo sé stesso. In
che modo? Se V Atto ha da esser
davvero quello che dice Aristotele, ne
viene che, metafisica- mente e logicamente,
è impossibile un Actu» pwru» ab^olute.
Gli Alessan- drini se ne accorsero; e
questo è precisamente e principalmente il
lor merito di fronte air Aristotelismo.
La verità della Scuola d'Alessandria e dell*
antico Neoplatonismo sta chiusa in questo
poche parole: [0,in ptaiix JfiTai Twv ci^wv
xarà to tv caurw voitjtov o' vou?.
Vod. Proclo in Parm. 1. V, p.
152. Lo stesso dicasi, come vedremo,
del Platonismo; e così può affermarsi
che Tesigenza della correzione, nel
concetto metafi- sico deU'ano o dell* altro
sistema, sia reciproca. in sè. Non è
l'identico, ne il diverso. Non è il
moto, ne la quiete. È dunque l'una
e l'altra cosa ad un tempo istesso.
È dunque il tò E?a/yv>?; senza cui
ella riescirebbe affatto inintelligibile, e
assurda ; e quindi ci significa il Momento*
nel quale è insieme numero, senza
cessare d'esser altresì unità essenziale:
talché costituendosi centro e circonferenza
ad un tempo, rende siffattamente possibile
l'accordo de' contrari.* E tale accordo
sarà pos- sibile a questo sol patto :
che il Momento sia non pur la Nó»Ttc
vóvjTswc dello Stagirita, ma eziandio
Mente, e perciò Mente e Verbo, Vero
e Generato, e quindi fornito della virtù
onde lo fa ricco il filosofo
Ateniese.' Così inter- pretando il to'
E^otéipvvjc (senza confonderlo col fjura^y.l'kety che
sarebbe confonder la condizione col
condizionato, il Generato col Fatto), non
verremo a contraddire al con-
tenuto degli
altri dialoghi, massime al Sofista ove
la natura dell'Assoluto ci è determinata
come pensiero,^ come mente, e perciò
come pienezza di vita e d' asso- luta
realtà.' * Il Ficino traduce 1*
'E^ai^vvj^ per Mom€ntumindimduum;mii in qae- Bta
parola e* è qualcosa di più,
esprimendoci propriamente V istantaneo ; ed ecco
perchè Platone lo dice di natura
mirabile e etrana: ^ tUTcc aroTróf tc^. *
Partn., 155, E; 157, B. * *AjO
ouv ìttì to' (xxoTTtìv TOUTO, sv w
tÓt' av ety?, ots fiSTa- ^dXktfj Tò
TToìov 5vi ; To' e^at^vyj?. rò ydip
i^at^vrjc Toeòv^j ti Jfocxf a^juatvecv wce?
«xatvou ^«TaSaXXov sìq ixoirspov, ov yxp i'A
ye Tov io-Tavai sttùtoì in asTa^séXXst,
ou5'«x tkj; kiwitsoì? xtvovfx«v>ic «TI fj.tr
OL^iWti' àW Tn i5at^v«c auT>j fvtriz
oironóz Ttf iyìndBrirat jExcTa^u tt^C
xiv>jo'««c rt y.olI «rTOCTEwc, iv
XP^'*^} orjSsvi ouTa, xat te; TavTvjv
5vì xai e'x TauT>JC to rs
xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi ini tò éo-Tavai
xa« tò écTOc «Vi tÒ xivelo'dae. Kcv^uvsùst.
Kat
to ?v 5v7, etnsp «a"Tv?x/ Te xat
xivjÌTat, /xsTa- 6a^^oi av if éy.drtpOL'
fjLÓvwi ydp av outo? àp^ÒTSjoa Trotot'y»* /xeTa6a).>ov
5' sfat^vvjf /xsTaéai^ft, xac ot£.
/xsTa€a»e£, ev ou^evt XP'^'^V *^ ^^^'j
ou5« xtvofT* av tòts, ou5' àv ^rxirt. (Parm.
156., d.) * Te 9: ; TO
7t7vwTXJCvì5 to yiyvtàTìLsv^^ai fCt.TS noinuoc
I Tra^o; :^ àfifòrspov; -^ to' asv
7ra3-/?aa to' ^s 5aT£^ov; ì^ ttzv- TCCTra^tv
ou5sTg/30v ouJiTfi^ov TOUTwv ^fTaXau/Savsev*
(Soph., p. 248,
D.) ^
' Té
dai itpò% Atò;; wc a^>J'9'wc x«vT7Ttv
xat ^w>jv xat >/'vxiQv xa*
^^óv>70'iv tJ paSi(ùi 7re£j3>jo"ò|txjOa
t« TravTsXw; «?vti /x>: Ma
se r Idea è il Generato, e
quindi rispetto al Vero è il diverso
dell'identico (tò jts^oov), ciò nondimeno
rav- visata in sé medesima ella è un
possibile ; e, in quanto possibile, è
anche il medesimo d' un altro diveiso. Poiché
se di sua natura eli' è possibile,
deve impor- tare una moltiplicità opposta,
estrinseca, reale, deter- minata; deve
necessariamente importare il diverso, il quale
sia tale, non solo di fronte all'
ofóro, cioè rispetto al Generato, ma
anche in sé stesso (tò aXXo). E
se non includesse cotesto diverso? Se
non l' includesse, finirebbe d' esser possibile,
e negherebbe sé stesso. Perciocché un possibile,
il quale non si potesse mai recare
ad atto, evidentemente sarebbe un
impossibile addirittura, o al più un
possibile infecondo e fantastico. Laonde,
poiché il Generato é infinita idealità,
e quindi infinita possi- bilità, però devesi
necessariamente convertire col Fatto : é
si converte in quanto lo fa; si
converte in quanto lo pone. Il Vico
dunque ha detto giustissimo: Il Vero
si converte ad intra col Generato, e
ad extra cól Fatto. Or che cos'
è mai cotesto Fatto? È anch' egli
il diverso dell' identico, il diverso
del Generato ; ma é il diverso
in sé proprio (tò a).Xo), il mondo.
Poiché quantunque il Fatto
e il
Generato sieno moltiplicità, nonpertanto l'uno
é , moltiplicità reale, e 1' altro ideale
; talché se la prima si 7r«/oetvac,
innari K^v aiiro ^>j5s (ppovelv ùWoi
(rtfj.'^òv zat oiytov voùv oux <;^ov
àxcvyjTov eoro^ stvat. (Id. 2t9.) Cosi
pare verremo a correggrorOf come altrove
toccammo^ il concetto dell* assolato al
modo che ci è dato nel Timeo
come nxrrìpy come ttocvjtvJc e come
Jyj^toUjO- 70; Toù y.oTfxou. E considerando
nelP Aristotelismo e nel Tlatonismo il
concetto della provvidenza; si potrebbe
cosi accostar fra loro in qualche modo
il Dio immobile e la pura
intelligenza dell* uno, col Dio che è
intelligenza e forza e potenza e
sapienza dell' altro. In Aristotele Dio
non prevede, nò provvede; e pure ha
da movere come causa finale. Il Dio
di Platone, per contrario, vede, prevede,
sa tutto, e provvedo a
tutto.
Ora intendendo ri^ai^wj^ col concetto
Vichiano del Generato^ Iddio vede bensì
e anche provede, ma non per questo
provvede, come diremo più in là. —
Finalmente osserviamo, che, quant' al
significato razionale dell'sHat^vvj;, lo stesso
Aristotele ci potrebbe forse illuminare là
dove dice che per Platone 'Ile
ouVt'a? Ttvò; outt?; auTOÙ tou svoc.
Metuph.f
X, 2. converte con T unità in
quanto si fa uno, la seconda poi
si converte con T uno in quanto
vi si compenetra; e, com- penetrandosi, non
è moltiplicità in sè^ ma è tale
in re- lazione al Fatto. Però la loro
medesimezza, ripetiamolo, riguarda gli elementi
e la legge, essendo che tanto il Fatto,
quanto il Generato, sono una conversione
; mentre
la
differenza ne riflette il contenuto, V
essenza, la natura. Se intanto questo
è vero, chi dirà che fra l' un
termine e r altro corra una semplice
attinenza d' opposizione an- ziché di conversione
! Non intopperemmo così negli as- surdi
dell'Idealismo assoluto? Dunque il Fatto è
pro- cesso, e quindi riproduce la medesima
legge. Egli dee convertirsi con se
medesimo e diventar Vero, per indi convertirsi
col Generato sotto forma di scienza,
che è il grado supremo di conversione
cui si possa innalzare il finito.
Perchè dunque il mondo è Conversione
del Fatto nd Vero? Appunto perchè
l'Assoluto è Conver- sione del Vero col
Generato e col Fatto, La prima di queste
due affennazioni costituisce la Formala
cosmo- logica del Vico: la seconda racchiude
la sua Formala metafisica. Chi accetta l'
una (e bisogna accettarla per- chè è
un fatto) non può ragionevolmente ripudiar l'altra.' *
La coDsegnienza che traesi da questo
discorso è facile; ed è che non
potremo giugnere a spiegare il finito
né intender la sua natura e determinare
in modo positivo il Tincolo che lo
annoda air Assoluto, figu- randocelo come
simbolo, immagine, ritratto, similitudine,
imitazione, partecipazione del Vero, e
simili. Il Fatto è il Vero, sta
bene : ma è il Vero come Fatto
; e però è un Dio contratto
perchè è Infinita potenzia- lità. La
metessi, la crecmone, com' è intesa
dagli ontologisti, non dice nulla, 0
pochissimo. Creare è cavar dal nulla:
ma che cos'è questo cavar dal nulla
t Tutto ciò è ragionare sopra vuote
astrazioni, e lavorar di meta-
fore
poetiche come giustamente diceva Aristotele
contro i Platonici : TovTO siri
ìtevoloystv y.ocl pera^o^à^ \i'yit^ TrocyjTCxa;.
Somi- glianza e partecipazione son relazioni
entrambe insufficienti, anzi erronee in
quanto che l'una pecca per difetto, e
1* altra per eccesso. La prima non
importa nessun vincolo causale ; e
quindi lascia il tempo che trova. La
seconda poi dovrebbe esprimerci qualcosa di
più, se pur non vogliamo dire con
Aristotele ch'ella sia la stessa |xi/xgTcc
pi^orìca battezzata con titolo nuovo. Nel
V della Rep. si dice : aura
//f v Iv i xao'Toy Gol
concetto metafisico che siamo venuti sin
qui rapidamente lumeggiando, il Vico ci
fa capaci d' inter- etvac T>f §e
twv 7r/)afg&)v xa^' coìpidrMv xac à.'k'kri'Koìv
xotvwvta navrot^^v yavTa^ópsva no'kXd yatvff^at
Ixa^Tov. Qui pare che r idea 8i
divida, si rompa, si spezzi nella
moltiplicità fenomenalef e co- stituisca il
positivo del fenomoDO, ma nella forma
inadoquatadeir esten- sione: e siamo quasi
all'idea hegeliana che passa ad tsaer
natura, che si contrappone nella natura,
che jiiventa natura. Perciò la metessi
de* pla- tonici mostra sempre un carattere
di passività anzichò di attività, ap- punto
perchè viene di su, mentre dovrebbe
partire di gii, ed estrinsecarsi per
opera e virtù del Fatto in quanto
è infinita potenzialità. Questo ca- rattere
passivo della metessi platonica si scorge
anche, e non dovrebbe, nel Parmenide:
tÒ elvat ^Wo 7t eTTtv ri p.:'0s5'C
ouTicz; ^era ^povoìj 70Ù Tra/oovTOff (151,
E). La metessi dunque spiegherebbe troppo; perchè
il nesso tra l'idea e la cosa
verrebbe ad esser cotanto immediato,
da non
farci discernere fra 1' una e l'altra
nessun divario essenziale; e così avremmo
V identità come essenziale, e la
diversità come fenomenale. Or se l'Assolato,
perchè davvero sia tale, ha da ossero
innanzi tutto una conversione di sé
con sé stesso, deve risultare indivisibile
e imparabile nella sua stessa moltiplicità
infinita: e se il mondo ha da
essere anche lui una conversione di so
con sé, ne segue ch'egli debb' essere
essenziale moltij^icità, moltiplicità in sé,
diversità in sé; tanto che l'unità
pro- gressiva, che in lui si agita e
vive e spicca sempre più ne' diversi
gradi della realtà cosmica, sia ben
altra cosa dell'unità che dimora in
seno all' Assoluto. Dunque il Vero che
si converte col Fatto, cioè (per
parlare il linguaggio degli ontologisti) l'
infinito che pone il finito è anche
finito, ma non si confonde per vorun
modo con lui. E non può, per
queste duo semplicissime ragioni: 1* perchè,
se cosi fosse, ne' due termini
avremmo una ripetizione sostanziale inutile,
e quindi potremmo cancellar l'uno o l'altro
addirittura, e così finirebbe per aver ragione
il panteista; 2® perchè un infinito
avrebbe a partorire-, produrre o porre
un altro infinito, e cosi negherebbe
sé medesimo. D'altra parte, se il
Fatto devesi convertire con sé medesimo
facendosi Vero, cioè facendosi infinito
essendo poten- Mialità in/inUaf non per
questo si potrà credere eh' ei si
possa identificar con lui, per le due
ragioni detto poco fa. Dunque stiamo
contenti al quia ! né identità
oMolutaf nò aseotuta diversità, ma
conversione. E però le idee platoniche
non sono da intendersi né come
7ra/9a^u7/xaTa, né come vov}^KTa, secondo
che vogliono due schiere d'interpreti. Se
fosse così ne verrebbe, nel primo
caso, che Vid^a dovrobb' esser presente
alla cosa in
maniera,
che questa, tanto nella sostanza, quanto
nel movimento, tanto nella materia, quanto
nella forma, dipenderebbe onninamente dalla
prima, ed altro non sarebbe fuorché una
semplice sua copia; e^allora non avremmo
bisogno d'un Dio artefice, non del
SnfAioxjp'yoi del Timeo, non del deus
ex macchina dall'ontologista, né della magna
Idea degli Hegeliani. Nel secondo caso poi
r idea sarebbe un termine del
soggetto, ma un termine, dirò così, meramente
soggettivo: somiglierebbe quindi, anzi
8areb))e addirittura pretare in modo
razionale e positivo l' intuizione reli- giosa
del Ternario cristiano. La cognizione
immediata e divinativa, in questo e in
ogn' altr' ordine di conoscenze, previene,
come V om- bra la persona, i portati
della speculazione metafisica.
Così
prima ancora che la Scuola d'
Alessandria si pro- fondasse nelle ardite e
vaporose elucubrazioni su la triplice
ipostasi Plotiniana, il mistero della
Trinità al- bergava di già nella coscienza
popolare siccome oggetto d' intuizione, e
cominciava a rivestir forma e valore dommatico
* mercè la Riflessione teologica. L'
Assoluto è uno e trino; è trinuno:
e noi ormai lo sappiamo.* Ma è
egli un trino ipostatico? E qual n'è
l'essenza? L'assoluto importa tre ipostasi:
ecco il mistero, ed ecco la fede.^
Quanto a determinarne l' essenza, la spe- culazione
occidentale, anche sotto forma di
speculazione teologica, non poteva non
interpretare le divinazioni altrettanto spontanee
quanto ricche e feconde della
coscienza
orientale essenzialmente religiosa, con l'in- V
inteìligìbUe del Dio aristotelico, con 1*
intelllgrente formerebbe identità essenziale; e
allora le idee non sarebbero essenzialmente
relative quali appunto sono richieste dall'
economia del sistema platonico, e T
esigenza vera e giusta della metafisica
platonica sparirebbe. Dunque cotesto idee plaioniche
come s'hanno da intendere? Le idee
platoniche sono T'Egac^v;? stesso, ma
concepito come essenzialmente relativo
&\VaUro, ma iiValtro non già come
tò trspoif puro, assoluto, bensì come
70 ìrspov in quanto abbia un
riferimento necessario al rò àWo, A
questa maniera non è altri- menti vero
che, accettando le idee platoniche, debbasi
accettare altresì la dottrina dell' avajtzvYiTcCt
come han detto certi critici moderni:
e neanche si è costretti ad
accettarla> nelle forme nuove ond' è
stata presentata da' moderni neoplatonici,
dal Malebranche fino al Mamiani. «
SiMOX, ffitt. de VEcole d'Alex., v.
1, lib. I; lib. II, e. IV. '
Il tre è il numero che assolve
tutte le condizioni della perfeziono, ed
è perciò che tutto è definito del
tre: to' Tràv y.(xt to Travra rof; TùtTiTt
(fìptfTTat (Arist. De Coelo, I). Vedi
le belle riflessioni del Gio- BRRTi su
la Trinità considerata razionalmente {FU,
della Rivelaz.., XVIII) e di Tommaso
Rossi {Regno di Dio naturale, ecc. li
Studi di Giordano Zocehif ed. cit.) '
Prendiamo la parola tpostcm nel
significato:' istiano non già nel senso
neoplatonico e alessandrino. dirizzo, al
solito, dell' Aristotelismo e del Platonismo. Il
peripatetico nominalista ripone la divina
realtà ed essenza nelle triplicità di
persone, e riguarda l' unità come un
puro nome. Tre sostanze indipendenti e
sepa-
rate, ma
congiunte in unità mentale. Perchè
congiunte? Perchè fomite d' egual potere, d'
egual volere, d' egual conoscere. Il
realista platonico, per contrario, vuol far consistere
l'essenza divina nella realtà in quanto
è unità determinantesi nella triplicità di
persone. Agli occhi del primo, dunque, l'
Assoluto è il tre in uno : agli occhi
del secondo è Vuno in tre: ecco
la lotta interna della riflessione teologica
del medioevo. Ora giusto perchè questa
riflessione è di natura teologica e
dommatica, avviene eh' ella non supera,
non può superare il senti- mento, né
trascender l'intuizione, né solvere il
mistero, né disimpacciarsi dall'aperta
contraddizione. Laonde Nominalisti e Realisti
vecchi nuovi, avvegnaché discordi nella
maniera di determinare l' essenza del
Ternario cristiano, non sanno rimuoversi
d'una linea dall'inse- gnamento dommatico su l'
unità assoluta nella separa- eione delle
tre persone. Se il ternario cristiano,
in quanto germina dall'in- tuizione rehgiosa,
è come l'immagine anticipata della ragione,
in esso deve acchiudersi un vero che
la ragion filosofica dee saper disvelare,
correggere e legittimare. Questo vero non
risguarda già l'unità nella triplicità ipostatica:
riguarda il trinuno assoluto, l'assoluta
tri- plicità considerata, come abbiamo toccato,
nella mede-
simezza di subbietto.
Perocché l' unità di sostanza mai non
tornerà conciliabile con la pluralità di
persone ; e se così non fosse,
il panteista avrebbe già trionfato nel regno
della scienza, né io davvero so dirmi
che cosa mai potrà rispondere il
sottile teologo all' arguto hege- liano, il
quale pretende precisamente questo: che la
di- versità delle persone non dimostri nuli'
affatto la plu- ralità delle sostanze. Il
perché pigliando alla lettera il domma
della Trinità, la teologia cattolica
non si salva dal precipitare nel
tenebroso vuoto dell' assoluta identità.* Il
contenuto del ternario cristiano adunque ci
signi- fica le tre primalità del conoscere,
del volere e del potere, ma nella
relazione del Vero che, convertendosi con
sé medesimo, diventa Generato, e, come
Generato, come Verbo, è infinita idealità
e possibilità del Fatto. Interpretandolo
così accade che l'intuizione religiosa, generatasi
per leggi inerenti allo stesso processo
psi- cologico, rinverghi col concetto metafisico
a cui può elevarsi la ragion filosofica
positiva; e quindi può dirsi che, come
la religione è il preludio naturale e
neces- sario alla filosofia, di pari modo
la speculazione meta- fisica sia la
interpretazione critica e Tinveramento delle intuizioni
spontanee e comuni della coscienza
religiosa. 11 cristianesimo è la religion
razionale per eccellenza, e con essa
oggi- chiudesi il corso e ricorso
delle creazioni propriamente mitologiche e
delle grandi rivelazioni e divinazioni
religiose. Ed è razionale perchè è in
sé me- desima processo, e svolgimento. Che
se anch' ella come tutte le
manifestazioni della storia é un processo,
é mestieri applicare ad essa la
universal legge storica e sociologica della
Scienza. Guardata infatti nella sua storia
ideale, anche la religione é innanzi
tutto divinay indi eroica, appresso umana.
E giugne ad essere umana quando la
forma siasi potuta elevare a cotal
grado di trasparenza, che il simbolo
palesi da sé medesimo l'idea, e il
mito siasi venuto elaborando così che
rac- * Non poco 8* illudono perciò
quo' filosofi ohe, come il Cusano fra
gli antichi e il Rosmini fra i
moderni, si sforzano d'applicare a Dio
il concetto delle categorie col fine
di spiegarsi in qualche maniera il
mistero della Trinità. Io potrò intendere
il Cardinal di Cusa dove mi dice
che Unitcu, Iditas e Identità» siano
quasi i tre momenti dialettici interiori
dell* asso- lato. R potrei forse intendere
il Roto retano quand'ersi studia mostrarmi che
Realtìk^ Jdeaìità e Moralità sieno le
tre forme in che si determina l'essere.
Ma come intenderli quando il primo
d'essi afferma che Vvnità è il Padre,
VegtiaglianMa il Figlio e la connessione
lo Spirito, e quando il secondo
applica alle tre persone quelle sue
tre sparute /orm« ontologiche f chiuda un
vero metafisi(X) o morale che sia. Or
se è tale il valore del sentimento
religioso nello svolgimento
isterico
della civil società, perchè dirlo morbo
della mente, fiacchezza della coscienza
volgare, abberrazione della fantasia? Se
dunque la ragion filosofica vorrà attingere
anche qui forma razionalmente positiva,
ella vi potrà giugnere a questo sol
patto; che il concetto metafisico ond'
è capace, non abbia a contraddire in modo
assoluto ai portati della coscienza
religiosa. £ se la religione dal canto
suo vorrà essere anch' ella po- sitiva
e razionale e perciò rispettabile e
santa, potrà essere tale a questo sol
patto; che sappia porgersi alla ragion
filosofica siccome riprova e guarentigia,
tuttoché di natura istintiva ed empirica,
ai pronunziati della speculazione metafisica.
Anche qui regna la gran legge del concorso
di forze combinate, e del loro
corrispon- dersi tanto necessario alla eccellenza
del risultato. E in tal caso religione
e filosofia, serbando entrambe valor positivo
e medesimezza di contenuto, formeranno un criterio
al cui lume potrà esser giudicata ogn'
altra filosofia e religione. Una critica
religiosa che si diparta da questo
principio, sarà critica infeconda ed
erudita, com' è quella de' Teologisti
cattolici, ovvero critica esi- ziale e
sistematica com' è quella de' mitologi
hegeliani. Tal si è precisamente il
nostro concetto metafisico rispetto al
ternario cristiano, che è il mistero
piii com-
prensivo cui
abbia saputo elevarsi la coscienza
religiosa. L'uno è correzione dell'altro, al
modo istesso che questo è, per così
dire, guarentigia sperimentale del primo.' *
Qui abbiamo dovuto accennare solamente al
simbolo della Trinità, ma nella Sociologia
mostreremo di proposito come la dottrina
del Vico su la natura ed origine
del mito in generale, sia fondata
anch'ella nelle leggri del processo
psicologico, e quindi racchiuda il concetto
e la necessità della interpretazione morale
nell'ordine delle intuizioni religiose, e
mitologiche; deHa qual necessità il Kant,
dopo il Vico, ebbe assai chiara
coscienza {Rdig, daiu le» lini, de In
raiton). Ora ciò che qui preme
osservare questo: s^ col concetto metafisico
del nostro filosofo si può acconcia- mente
interpretare il simbolo del ternario
cristiano, ne scendono due
Concludiamo.
Se è vero che la metafisica è
scienza non assoluta ma dall' assoluto,
stantechè sia possibile attinger notizia
razionalmente positiva circa il fonda- conseguenze:
P che il Libro Metafisico f nel quale
troviamo depositato il germe del concetto
riguardante il procesto ideale, sia
intimamente col- legato con la Seiema Nuova,
appo cui la teorica sul mito
(superiore sotto più riguardi, come vedremo,
a quella de* mitologi e filologi
Tiventi), non è che un' applicazione
della sua dottrina psicologica, della quale
noi ahbiamo svolto i tratti principali:
2° che interpretando col suo concetto metafisico
il simbolo cristiano, in generale, e,
in particolare, quello del ternario, si
viene a contraddire in modo serio e
positivo al panteismo. Anche per gli
Hegeliani il mistero della Trinità, come
ogn' altro mistero, shnboleggia una verità
filosofica. (Heobl, Phil. de
VEaprit, t. I, ItUrod.
del
Vera); nel che siamo perfettamente
d'accordo. Ma l'interpretazione alla quale
costoro sottopongon la simbolica religiosa,
anziché legittimare in qualche maniera la
credenza elevandola a significato filosofico,
l'annul- lano addirittura, perchè la rendono
assai più inintelligìbile e parados- sastica
ch'ella stessa non sia come credenza.
Idea, Natura e Spirito: Padre, Figlio
e Spirito Santo! Ma che cosa ci
ha che veder la Natura? Non è
egli questo precisamente ìl vecchio
concetto degli Alessandrini, di Plotino, che
pretendeva ritrovare nel Parmenide le tre
famigerate ipo- stasi dell' Unità, del
Multiplo, e dell* Unità-multiplo, riponendo
quest'ultimo appunto nell'anima e nella natura
V {Enn. lib. I, e. 8, trad.
Boulliet). L'
interpretazione davvero potitiva e non già
fantastica del contenuto religioso, non deve
e non può contraddire al simbolo
(almeno per quel tanto che esso
contiene di filosofico), perchè contraddirebbe
alla stessa ragione. Or quest' elemento
di verità, contenuto germinalmente nel sim- bolo
cristiano, riguarda per appunto il ternario
considerato in sé; ri- guarda il ternario
assoluto, il ternario com'è richiesto
dall'esigenza metafisica positiva, e non già
il ternario trasport-ato anche nel processo della
natura, e nello svolgimento della storia.
Questa enorme confusione fanno i Teologi,
e la fanno anche gli Hegeliani con
la lor teorica e cri- tica della
simbolica cristiana. Che cos' è il
Dio che eeende nella natura? Che cos'è
il Figlio che si parte dal Padre
per umanar»if Che cosa mai sono il
popolo eletto, i profeti, gl'ispirati, il
mondo latino-cristiano? E che cos' è
la Idea che dall' astratta mansione
dialettica scende anch' ella e passa
mediandosi nella natura e penetra nella
storia? Che cosa sono \6 funzioni
storiche speciali de' popoli privilegiati,
àQ* privilegiati perso- naggiy del mondo
cristiano-germanico? L' Hegolianismo è davvero
una
contraffazione
del più grossolano Cattolicismo! ò una
mitologia anche
lui !
E quanti punti di contatto anche in
questo, e specialmente in que- sto, con
la dottrina sociologica dei Comtiani! Il
Vera ha detto bene: il Positivismo i
una contraffazione delV Heyelianismo. E noi
alla nostra volta crediamo dir benissimo
(col permesso dell' illustre traduttore)
che r Hegolianismo è una contraffazione
evidente del Cattolicismo. Ma di ciò basti:
ce ne rifnrorao altrove più riposatamente. mento
e la ragion delle cose; se è
vero, d'altra parte, che il significato
esteriore della storia della filosofia occidentale
sta nella lotta fra il Platonismo e
TAri- stotelismo, mentre il significato
interno ed essenziale di essi risiede
nella correzione vicendevole de' due
estremi indirizzi aristotelici in quanto
concorrono al trionfo del- l'indirizzo
medio: ne viene che nel concetto del
Pro- cesso ideale e nella relazione de'
tre termini costituenti la dialettica
discensiva che abbiamo sin qui rapida- mente
interpretata nel nostro filosofo, trovasi
non pure il risultato e insieme l'
inveramento delle tre posizioni unicamente
possibili in metafisica delle quali altrove toccammo
(pag. 444), ma l' inveramento altresì della doppia
esigenza deU'ùZga platonica e della
categoria aristotelica. Trovasi la correzione,
come ci sarà dato meglio vedere fra
poco, del Dio platonico previdente e provvidente,
e dell' immobile Dio aristotelico che
nulla
vede,
nulla prevede e niente provvede nel
mondo. E per tutto ciò troviamo
l'accordo fra il principio della me- desimezza
che prevale nel padre della Dialettica,
e'I principio della diversità che predomina
nel padre della Metafisica. Cìotesto accordo
per noi è vero accordo, è vera
conciliazione, appunto perchè, come dicemmo,
è vera correzione: correzione dell'Idea,
dell'essenza che, pur sparata, dovrebb'
esser l' essenza della cosa: cor- rezione dell'
Ji^o il quale, non ostante l'assoluta
immo- bilità sua, dee muovere il mondo
come causa finale. Quest'accordo e questa
correzione trovano lor saldo
fondamento
nel criterio della Conversione, elevato a dignità
di Pilicipio metafisico. E questo medesimo
principio metafisico può e deve assumer
natura, come si disse, di principio
speculativo, di norma, di criterio
essenzialmente isterico, universale e comprensivo,
a poter saggiare e acconciamente pon- derare
la verità delle soluzioni che intomo
al problema metafisico han dato le
diverse scuole, e le differenti filosofie.
Se ci fosse dato fermarci in siffatti
riscontri storici, non sarebbe guari
difficile mostrare come in esso trovi
correzione, per dir qualche esempio, 1'
Ales- sandrinismo; il cui rappresentante, Plotino,
interpre- tando erroneamente il metodo dialettico
del Parmmide e abusando dell' Unità
parmenidea, non potè coglier la
ragione
del vincolo che insieme annoda i suoi
diffe- renti generi del sensibile, co' suoi
generi dell'intelligi- bile, e siffattamente sfumò
nell'iperpsicologismo plato- nico pur credendo d'
inverare l' Aristotelismo.* Questo vincolo e
questo passaggio non potè scorgere
l'ingegno profondo d'Erigena con l'ardito
concetto della yuVic e con le quattro
diverse maniere onde per lui s'attua la
Natura; poiché giunto all'assoluta essenza,
com'è noto, ei se ne ritrasse
invocando in sussidio la teologia rivelata.*
Né il Cusano, per citare un esempio
del Ri- nascimento, tuttoché con mirabile
acume giugnesse a cogliere il concetto
àéìT alteritcLS e delle determinazioni dell'Assoluto,
bastò a dedurre acconciamente e neces- sariamente
l'attinenza verace onde il mondo è a
Dio congiunto,' e anche lui finì con
intender l'atto crea- tivo al modo che
è posto dalla coscienza religiosa. Tanto meno
l'arditissimo Bruno potè imbroccare nel
segno, con la dottrina de' tre
intelletti, quant' all'attinenza tra l'in- telletto
divino e l'intelletto che tutto fa; *
e quindi sfumò in quel suo naturalismo
che potrebbe dirsi un aristotelismo cui
manchi il concetto dell'Atto in sé.
Né il Campanella giunse ad applicare
in maniera dialettica le sue tre
primajità psicologiche all' Assoluto,' come
il Vanini non superò guari la dottrina
della natura e della forma de' peripatetici.
Nello Spinoza poi, meglio
che
dialettica, ci è meccanica e geometria;
poiché il concetto della sostanza unica'
è negazione della tripli- * Simon,
BUt. cit
lib. U, e IV. V e VIL * Haubiau,
PhU. Sool., ed. cit., t. I. '
Nio. DB Cuba, DicU. cU Pot§e9t. *
Bbono, Dial. II, De Prine.j oc. *
Camparblla, MetapKt lib. I, e. Ili,
8. * SpurosA, £th.t I, n. U, 7. cita
e d' ogni processo intimo e dinamico
nelP Assoluto ; onde il pensiero, che
è uno de' due modi universali della
sostanza, riesce, con evidente assurdo,
molto piii che non sia la medesima
sostanza. In opposizione alla sostanza
spinoziana sta la monade del Leibnitz.
Ma se nel concetto monadologico del
filosofo di Lipsia vi è una
divinazione originale che la scienza
moderna è ve- nuta semprepiii confermando,
voglio dire il concetto di- namico, niun
vincolo razionale e dialettico esiste tra
la gran Monade e T universo delle
monadi, come altrove dicemmo.' E per
toccare finalmente de' moderni, niuno, tranne
gli adepti, vorrà creder sul serio
che Hegel col suo ternario assoluto ci
abbia dato un concetto meta- fisico
positivo. Egli anzi ha cancellato aftatto
il concetto della conversione ad intra^
riducendo siffattamente il dinamismo ideale
ad un ideale meccanismo; talché il processo
geometrico della Sostanza spinoziana avrebbe
più d' un'
attinenza col processo formale e dialettico dell'Idea
hegeliana. Alla vera nozione del Processo ideale
non sono pervenuti poi né il
Gioberti, né il Ro-
smini. Il
principio ctisologico del primo è senza
dubbio un processo, come vedremo fra
poco : ma, appunto perchè processo,
non dovrà supporre forse un altro
processo ante- riore, e superiore? La
dialettica giobertiana é Una dialet- tica a
metà; e il creatore del filosofo
subalpino è troppo accosto al suo
concreatore, alla sua iitBì^ic^ al suo
Intel- ligihile relativo che, coni' egli
dice, è l' Idea redw^ata, V Idea per
soìiificata;^ talché potendovisi facilmente con- fondere,
non poteva àgli hegeliani riescir guari
difficile tirarlo all' Idealismo assoluto.'
Il Rosmini finalmente, col concetto dell'
ente iniziale e comunissimo determi- *
Vedi ciò che abbiamo discorso del
Leibnitz nel lib. I, p. 180 e
se^. ■ Gioberti, FU, ddla Rivdaz., p.
805. ' Al Gioberti manca e deve
mancare, come vedremo fra poco, il
vero concetto della dialettica; e Io
confessa egli medesimo là dove si
prova a distinguere una dialettica
interiore, ed una dialettica esterna,
(Protologia, V. I., p. 629, ed. cit.) nantesi
nelle tre forme dialettiche, non è
giunto, e non poteva giugnere neanch'
egli a sciogliere e poi rilegare il
vero nodo dialettico.' Com'è possibile un
processo fra quelle sue tre forme?
Com'è possibile la distinzione categorica
reale del suo essere?
Le
cose discorse ci menano a due
conclusioni quanto chiare, altrettanto irrepugnabili: P
L'Assoluto è il Vero che si converte
ad intra col Generato , e ad extra
col Fatto: dunque la posizione del
Fatto è razionalmente, liberamente necessaria
: 2** U Fatto è V aUrOj è
il di- verso: ed è tale per doppio
rispetto; come termine ^05^0, cioè come
Fatto semplicemente detto, e come Fatto
che si fa ; come sostanza e come
causa : dunque il Fatto è estemo
al Generato, è indipendente da lui,
non come termine posto, bensì come
Fatto che s'invera, come Fatto che si
converte con sé stesso e perciò nel
Vero ; insomma come sorgente perenne
d'attività. Diciamolo in altre parole. Dio
crea il mondo in quanto lo pone
; e il mondo, in quanto è posto
come fatto, si crea. 11 mondo,
adunque, appunto perchè ha natura di Fatto
, appunto perchè ha natura di altro
sotto gemino aspetto, è insieme posizione
e creazione. È posizione, in quanto è
termine di conversione con 1' altro,
ciò è dire con Dio : ed è
creazione, in quanto è subbietto di
conversione con sé e per sé medesimo.
Perciò se il Fatto non è creato ma
è postOy ne viene eh' egli ha
da essere il vero pò- nente, il
vero creante sé medesimo.* * Rosmini,
Teotojia, toL I. ' La parola ponzione
è brutta, io Io veggo; ma qui
non saprei come dire dÌTersamento per
non restare avviluppato negli equivoci ed
esage*
razioDi
in che sono caduti gli ontologisti
con V uso ed abaso deUa parolA Il
mondo nel processo cosmico ci si
presenta sotto tre aspetti. Riguardato come
Fatto, egli è in Dio. Riguar- dato
qual Fatto che s'invera e converte
con sé stesso, è fuori di Dio.
E, finalmente, considerato qual Fatto che si
converte col vero nel regno della
storia e della psico- logia, non si
può dir propriamente eh' e' sia fuori
di Dio né in Dio, ma Dio è
in lui: é in lui nel senso che
il mondo è pensiero, scienza. Ragione
spiegata. Ecco la cor- rezione e insieme
l'accordo del Dualismo e del Panteismo. Non
vi é unica ed assoluta sostanza: né
vi sono due sostanze poste empiricamente.
Vi è bensì una dualità formante unità:
vi é due sostanze formanti organismo. ertaMÌ4me.
Nel g^reco non ini pare ci sia
una voce che possa rendere il con- cetto:
anzi non ci può essere^ chi consideri
come al pensiero ellenico manchi r
idea alla quale accenniamo. Tra VAtto
puro e la dateria prima deir Ari- stotelismo
non ci è vincolo nel signifioato di
potìnofu; ma t* è solamente relazione
di finalità, perchò VAtto non pone,
ma attrae ; e attrae la materia in
quanto essa è jiotoiua, cioò in
quanto è opi^i^ ; e però in
quanto nelle cose Tiene inserito il
deeiderio con perpetua in/ueion% che è
1* interpre- tazione erronea de* vecchi
aristotelici e antiaristotelici (Rjlvaisbok, Me- taph,
ec , T. II, pag. 552). Neanche nel
Platonismo ci è V idea della po- sizione,
e quindi nò pur la parola che
vi risponda ; essendo noto come pel filosofo
d* Atene la materia sia anche eterna
e al tutto indipendente dal- l'ùlea,
cioè un'assoluta recettività, iimeno intendendo
Platone come si fa d'ordinario: nò poi
la fii9t^i^ e la yLl^junii^^ come
toccammo, bastano ad
esprimerci
il concetto della conversione. Il pensiero
ellenico dunque non pervenne a determinar
nettamente l'attinenza (originaria, non finale) tra
l'indeterminato e l'Idea, tra V infinito e
il finito, tra la forma e l'Atto;
e quindi non riusd, com'ò noto, a
superare il Dualismo. Ora trascendere il
Dualismo è uno degli aspetti e però
uno de' fini della lotta fra il
Platonismo e 1' Aristotelismo. L'
Alessandrinismo tentò superarlo, ma evaporò
nel concetto dell' identità assoluta :
e però neanche presso gli Alessandrini
sarebbe facile trovare nò il concetto,
nò la parola che si- gnifichi '1
vincolo originario tra il mondo e
Dio. Gli Hegeliani usano anch'essi, fra
le altre non meno brutte, la parola
poeizione, che anzi costituisce il lor
pane quotidiano. Ma per l' Hegelianismo
poeizione vale determinazione, medùizione,
compenetrazione; e perciò, checché ne
dicano, esprime un rapporto di natura,
per cosi dire, meccanica e formale.
La no- stra posizione è diversa dalle
loro quanto il nostro Generato dalla
loro Idea; quanto la nostra convereione
dalla loro contrappoeizione^ negazione, me- d̀tzione
e che so io. fe inutile avvertire
che le parole bara, asa, vasàb della
letteratura ebraica, esprimon tutt' altro
concetto di quello che noi intendiamo
significare con la parola poeizione. Quest'organismo
è vita, non è morte fqueet' organismo è
profondo dinamismo, non è meccanismo. Ed
è vita e -dinamismo, perchè non è
monismo assoluto; non è mo- nismo
inintelligibile, assurdo, esiziale alla scienza
come alla civil società. E qui ci
corre il debito di rendere giustizia
alla
mente
straordinaria del Gioberti, e correggere
nel me- desimo tempo la sua formola
ctisologica. Anch' egli è tal pasta d'
ingegno che si svolge e s' allarga e
s' in- vera e si corregge; ma non per
questo si contraddice. La novità della
Protólogia non istà nel concetto del creare
inteso come divenire, secondochè vorrebbe
lo Spa- venta. Se così fosse, egli, in
verità, non avrebbe detto nulla di
nuovo; come nulla di nuovo disse nella
Introdu' jrìone col rinverdire la vecchia
idea della creazione. La novità .vera,
la nuova esigenza del filosofo subalpino
sta nel concetto della concreojgione, com'
ei suol dire ; della cancrecunone
intesa non già come fxsOf5«; dell'Idea
verso il mondo e rispetto al mondo,
ma si del mondo verso r Idea, e
rispetto all'Idea. Perciò l'Ontologismo giober- tiano
va corretto ; va fatto più
conseguente con sé stes- so : e,
scambio della celebre formola dell' Ente
creante l' Esistentey è forza porre la
formola metafisica del Vico nella quale
è racchiuso quel vero e compiuto
dialettismo che r ardente scrittore del
Primato andò sempre cer- cando con ansia
febbrile, e non trovò mai : cioè
il Vero che, convertendosi ad intra ed
Generato^ si converte anche ad extra
col Fatto. La sua formola teleologica,
poi, vuol essere anch' ella corretta; e
invece d'aflFermare che V esi- stente ritoma
alV ente (prima maniera), o che V
esistente concrea Venie concreando se stesso
j è d'uopo dire che il
Fatto
si converte nel Vero e col Vero,
e perciò si crea, e perciò si fa
divino. ' * Il concetto ctisolo^'oo
del Gioberti della prima maniera (e
dico marnerà per dir forma nello
stiluppo, non già diversità di contenuto
nella sua dottrina, come Terrebbero gli
Hegeliani), sta nel presentar V atto
crea- tiro siccome prodaconte T esistenza
in quanto la individua. Nella Intro- Mi
si chiederà : la seconda forinola, la
formola cos- mologica esprimente il vero
concetto della creazione, cioè il Fatto
che si converte nel Vero, esiste ella
nel Vico ? ' Esiste, io rispondo,
per chi la sappia ritrovare, e
dedurre ; e dedurla e trovarla è
negozio agevolissimo. Come la si deduce?
Considerando con accuratezza la sua formola metafisica.
Quando egli pone il Fatto siccome
termine di duzione il creare suona, a
dir proprio, individuare. Che cosa in£atti
ò r individuo ? È V Idea pasMta
dalla potenza alTaUo (t. II, ed. cit.
p. 195). Qui t;* ò dol neoplatonismo,
e anche buona doso di panteismo.
Della prima maniera altresì è queir
afTermare con tanta sazietà che T uno
crea ti mi«l- tiplof e che ii
tntdtiplo ritoma aU^tmo: concetti yaghi,
indeterminati ed erronei che ci fanno
pensare a Proclo e a Plotino. Se
il Gioberti fosse rimasto qui, non
sarebbe stato ingegno potente ed
essenzialmente cor- rettivo di sé medesimo.
Non sarebbe stato ingegno progressivo,
fecondo ed esplicativo. Ma se nella
Protologia fosse giunto al concetto del
divenire, più che esplicarsi e* si
sarebbe data la zappa su' piedi; si
sarebbe cod- tradetto: sarebbe passato dal
bianco al nero, dal no al sì,
da Dio alla Idea, e siffattamente
sarebbesi mostrato ingegno leggiero, pensatore
sghengo e
anche
un pò* vanesio. Era egli tale T
ingegno del Gioberti? Lo dica chi può
! Dunque l' A. della Protologia, se
per nostro conforto fosse vissuto, non
sarebbe divenuto Hegeliano; anzi -avrebbe
inaugurato novello periodo filosofico in
Italia conforme all'indole di nostra mente;
ciò che non ha fatto, e non
poteva faro il Mamiani. II Ferri ha
detto benissimo: la teconda JUoaofia del
Gioberti {che racchiude non già un
nuovo 9Ì9tema, eib- bene uno epirito
nuovo)^ inaugura un altro periodo, la
cui aorte i rieeronta al futuro (Hist.
cit., voi. II, p. 204). E davvero,
se fosse vissuto, ci avrebbe dato un
Btnnovn mento filosofico, al modo stesso
che ci dìo il RinnovametUo civile col
quale Inaugurò la nuova Italia, e del
quale Cavour, dovremmo es- serne ormai
convinti, non fece che attuare il
programma. Ciò non pertanto anche nella
Protologia si scopre l'uomo vecchio,
VintuitUta, e però il neopla- tonico
schietto. Non dubita affermare, per
esempio, che Videa pone il finito, e
8i COMUNICA fv. 1, p. 4S4): che
le idee formino in Dio una gela,
la quale 9Ì «quaderna e pa^aa dalV
as9oluto ed relativo merde V atto
della creazione (Id., p. 147): che V
infinito attuale e V infinito potenziale,
anziché due cote, formino una sol
cosa, ma sotto doppio aspetto (p. 440
e seg., special- mente 159): e che
l'infinito potenziale non è né il
finito né 1* infinito, ma la sintesi
di essi (p. 427), non {scorgendo il
grand' uomo come finitò, e infinità
potenziale non siano già due cose, ma
due aspetti d*un medesimo subbit'tto, ciò
è dire il Fatto in quanto è
alterità verso il Generato, e verso se
st-csso. Or le contraddizioni da cui
bisogna salvare il Gioberti nella sua
seconda maniera di filosofare sono queste,
non quelle che ci veggon gli
Hegeliani. E bisogna salvamelo appunto, per
liberarlo dalle tracce d* iperpsicologismo, di
neoplatonismo, di alessandrinismo, d'ara- bismo e
d' hegelianismo che pure contiene.
conversione
col Generato, cioè il Fatto come
Fatto, come posto; con ciò stesso ei
ci dà questo Fatto come sub- bietto
che essenzialmente si converte con sé
medesimo ; cioè come creante sé, come
autogenito, come conato, E come poi
ritrovarla cotesta formola? La ritrova chi abbia
occhi in fronte ; cioè leggendo la
Scienza Nuova. La quale è per
l'appunto un'applicazione di essa, ma è
un'ap- plicazione al mondo de' fatti umani, eh'
è dire d'ima parte, d'un genere, del
sommo genere del Fatto. Che cos'è il
Certo che diventa Vero? Che cos'è V
Autorità che a grado a grado assume
forma e valore di Ragione? Che cos'
è la Filologia che diventa Filosofia?
Che cos'è la storia, l' uomo, lo
spirito che dalla fase divina passa alla
fase eroica, e dall'eroica all'wwana.^ Che
cos'è il pensiero, la Mente che è
Senso^ poi Immaginaeione e poi Ragione?^
Taluno potrebbe dire: di cotesta for- mola
il Vico non fece applicazione al
mondo della na- tura. Neanche questo è
vero. E non vero, i)erchè non solamente
quest' applicazione ci è dato dedurla,
al solito, dal suo principio metafisico,
ma, che più rileva, ei n' ha lasciate
tracce visibilissime, germi assai fecondi
ne' suoi principii cosmologici, come vedremo
appresso. Torniamo al proposito. Dato alla
creazione il significato e il valore
che noi
diciamo,
ne vengon fuora parecchie conseguenze le
quali verremo accennando man mano. La
creazione non è, per parte di Dio,
né una deduzione, per dir così, né
un' in- duzione. Per dedurre il mondo, egli
dovrebbe cavarlo da sé : assurdo
grossolano. Per indurlo, poi, dovrebbe cavarlo
da una materia preesistente, ovvero dal
nulla. Una materia preesistente senz' alcuna
idea, un ricetta-
colo
indeterminato, come lo concepisce il
Platonismo, riesce inintelligibile, e ci
lascerebbe in pieno dualismo. Dal nulla
come tale, nel che sta il concetto
balordo dal pietoso credente, tanto meno.
Si dirà esserci la potenza * Vedi
a qaesto proposito quel ohe abbiamo
discorso nel Cap. V del Ub. U. infinita
attuale? Benissimo : quest'Atto ha da
esser Oene- rato; e, in quanto è
Generato, pone il fatto, educe il
fatto per necessità razionale, e quindi
per legge di conversione. Se dunque lo
educe per necessità intima e razionale,
veg-. giamo scaturire una seconda
conseguenza, ed à che un mondo
particolare, contingente e d' ogni parte
finito e mutabile e scorrevole, senz'
altra necessità fuorché quella d' un
beneplacito divino, contraddice apertamente alla ragion
filosofica positiva, nonché ai risultati
sicuri della moderna scienza fisica,
geologica, cosmologica, astrono- mica. Se il
mondo, anche in sé medesimo, é una
conver-
sione di
sé con sé stesso, non può non
esser necessario nella sua esplicazione e
nelle sue leggi, appunto perché essendo
termine di conversione d'una causa eh'
é men- te, debb' essere anche lui
causa, mente, razionalità. U mondo, in
somma, é posto razionalmente. Dunque Tatto col
quale Dio pone cotesto mondo é
liberamente neces- sario, e necessariamente
libero.* * Dicemmo qual relazione corra
fra libertà e ragioue (Gap. V, Lib.
II). Se Tatto volitivo guardato nella sna
radice, secondo la legge del processo psicologico,
non è altro in generale che uno
«/orso (Tintenderef cotesto sforzo, che in
noi ò impedito perchè essenzial conato,
nelP Assolato non può aver luogo, e
quindi è speditissimo. £cco il fondamento
della necessità della creazione. Ma la
sapienza infinita ! si dirà: chi ne
misura gli abissi? Lasciamo gli abissi:
qui la faccenda è chiara, perchè ce
ne porge gua- rentigia la psicologia :
gli abissi ci sono, pur troppo, ma
non qui ; e qui ci sono, perchè
ce Than messi T ignoranza, il
pregiudizio e T immagina- zione. Nò si
creda che togliendo a Dio la libertà
(anche quella a n«oem(ate
natura),
ella rimanga distrutta altresì nelPuomo.
Innanzi tutto non è vero che si
tolga a Dio U libertà; anzi gli
si dà la libertà vera, dal momento
ohe si concepisce come vera e compiuta
ragione. L* uomo è ^rt»eep«ro<»oiiù: dunque
non è assoluta libertà. Ma Tuomo è
ragionevole: dunque può esser libero; e
come tale, direbbe St. Mill, può
creare d earaUere, eh* è la creazione
davvero umana, tutta nostra, tutta
individuale. — Eccoci dunque (si replicherà)
nel destino : eccoci nel fato, ovvero
neir equazione tra libertà e razionalità
: non se n* esce ! Destino e
fato no, davvero, per- chè qui siamo
nel regno della mentalità; e mentalità
è anche la natura,
come
diceva Aristotele, appunto perchè è natura.
Quant* alla famigerata equazione, poi, è
un'altra faccenda. Per Hegel siffatta
equanone o com- penetrcutione deve nascere
ultima, in quanto che suppone il
processo della Nahiray e perciò suppone
anche la Idea; ed ecco perchè egli
invoca e deve invocare, come ultimo
sostegno, la necessità dialettica che
risale Data al mondo Y attività
creatrice, rimane profon- damente modificato,
trasfigurato, il concetto della prov- videnza.
Se il Vero convertendosi col Generato
si con- verte altresì col Fatto in
quanto lo pone, accade che l'Assoluto
rispetto al mondo debba esser principio
e mente che vede e prevede, ma
non per questo prov- vede. Se come
Generato egli è visione lucentissima, ne viene
che cotesto vedere, che cotesto conoscere,
sia an- che fare, in quanto pone il
mondo come fatto. Ma questo medesimo
vedere è anche un prevedere, in
quanto la visione penetra nella possibilità
del fatto ; in quanto penetra nel
processo, nella conversione stessa del
fatto : ma non può essere un
provvedere, perchè ove così fosse ei
noi porrebbe cotesto mondo, cioè non
si converti- rebbe con lui, bensì lo
creerebbe addirittura; per cui, novello
^t^«ou/)70f, porrebbe il fatto non solo
come r altro da sé (tò itì/)ov),
ma eziandio come un altro in sé
(to aUo), e perciò si compenetrerebbe
con lui; perciò sarebbe anche lui. Che
cosa quindi ne segui-
rebbe?
Precisamente questo: ch'ei farebbe quel che non
può fare; ch'ei sarebbe quel che non
può es- sere; e cod, essendo ad un
medesimo tempo Generato e Fatto, Dio e
Mondo, e non già conversione dell'uno con
l'altro, non sarebbe né l'una cosa né
l'altra, e s'annullerebbe senza rimedio:
contraddizione che soia- air Idea. Anche
per noi tal necessità è dialettica;
ma è dialettica in quanto è razionale
altresì nella sua origine. Ed è
razionale e reggente e non meccanica e
non logica e non astratta, per la
semplicissima ragione ch'ella ritrota la sua
propria sorgita non già in nna
Tuotaldea, anzi in ona mente piena,
pienissima, nella Menu. Nel qaal senso
il Brano non ebbe torto d* affermare,
che la necessità in Dio non sia
cosa ditersa dalla libertà, e ch'egli
operi per neee»9ità di $ua natura: «
Infinita vir- tutf 8Ì ncque a teipta
ySnthir, nee ab alio, tunc neeetntate
9ua naturcB agit. Non agU neeeentate
naturcB alia a te et eua voluntate^
in eorummo- rem quce neceeeitati eubeunt
; eed ipea ett {ut ecepe dieimu») neceetitae.
Agit ergo n^xentatef qua neque ab
intrineeco et per te, neque ab
cxtrineeco et per aliud fruttrari poteet.
Non primo, quia non poteai aliud eeee
atque aliudj non tecundo^ quia ieta
necettitaa rdiquorum omnium lex eet. {De Imm.
et Innwmerab. lib. I ; e. XII.) mente
fi^li Hegeliani hanno la singoiar fortuna
di ca- pire : felicissimi loro ! * •
Ma un Dio non provvidente (si dirà)
non è egli un Dio impotente? Precisamente
il contrario. Egli davvero sarebbe
impotente ove fesse provvidente. E
sarebbe impotente, percbè gli toccherebbe a
far la con- traddizione, il nulla. Se
V atto umano ò libero in quanto
può essere e
può
non essere (libertà (T elezionef libero
arbitrio, eh* è la libertà propria dell'animale
particepg rationi«)^ ne verrebbe che Dio,
prevedendolo, cono- scerebbe ciò che può
essere e può anche non essere:
il che vuol dire, eh* ei
conoscerebbe il nulla. In quest'ordine di
cose Dio può provvedere, e provvedere
sul serio, ma ad un sol patto;
che, cioè, provveda col non provvedere. Provvedere
è procacciare il bene; è procacciare
il bene con tutt* i mezzi,* per
tutte le vie, con tutta la possibile
energia. Ma 8*ei facesse tutto questo,
il libero arbìtrio non {sfumerebbe
addirittura? Certo, Dio vede l'atto umano:
ma come Io vede? Lo vede in
quanto è razio- nalmente libero; e perciò
lo vede in quanto è liberamente
necessario. Dunque lo vede nella sua
razionalità, nella sua idealità, nella sua
per- fezione: che vuol dire lo vede in
so medesimo, non già nell'uomo. An- cora:
se Dio prevedesse le azioni umane, ne
verrebbe questo; che pre- vedendo Tatto
immorale, egli, che è infinitamente buono,
dovrebbe non volerlo. Dunque non dovrebbe
creare, ne porre il mondo. Ma non
abbiamo detto che s'egli ha da esser
davvero l'Assoluto, vero principio dialet- tico,
è d'uopo eh* e* si converta col
Generato, e, convertendosi col Gene- rato, dee
convertirsi necessariamente anche con un
fuori di sèV Perciò una delle due:
Dio è egli provvidente? Dunque è
impotente. È egli pre- vidente delle azioni
pro))rìamente libere? Dunque annulla la
libertà umana, che vuol dire distrugge
l'ente umano. — Da ultimo si dirà: ma
un Dio che non provvede, non è
egli un Dio immutabile, immobile^ seduto
««7 trono deserto d' un^ eternità eilenzioea
e vuota f Anzi egli è perenne
sorgente di moto! Egli è il vero
moto dd moto,h l'assoluto Moto, e
però l'assoluta
Quiete;
il vero Motore ImmobiU. II quale non
potrebb' esser tale, ove non fosse ad
un'ora istessa conversione con sé, e
con Y altro; talché col solo porre il
mondo, egli è già presente al mondo,
egli è già col mondo, ma non è,
e non può esser nel mondo. Non
ci è dunque un mondo di qua, e
un Dio di là. Non ci è un
infinito di su, e un finito di
giù. Non ci è una cagione dall'alto
e un effetto nel basso. Ci è il
Vero e il Fatto, ripetiamolo, formanti
insieme un organismo. Ci è una
dualità in unità; e però differenza e
medesimezza. Brevemente: Dio pone il mondo
non già con un atto, ma lo pone
per ciò solo che egli è; per
ciò solo che esiste. Egli è atto,
è l'atto per eccellenza; e però è
Vero e Generato insieme: dunque, come
tale, non può non creare l'universo.
Ora se lo crea in quanto è, e
non già con un atto, ne seguita
che il mondo ha
da
esser posto come potenziale anziché come
attuale. Da questo nostro discorso può
vedersi come sia mestieri correggere la
causa efficiente e la causa finale
tanto dell' Aristotelismo, quanto dei Platonismo.
Videa platonica, come dicemmo, non
solamente produce la cosa, ma la fa,
ma la scorge nella sua generazione; e
quindi lucidando Se dunque il mondo è
Conversione del Fatto nel Vero, e
quindi creazione intima, attività essenziale,
per ciò stesso è Provvidenza. E poiché
i Sommi Generi delle cose, come
vedremo, son tre, ne viene che la
provvi- denza ha da esser naturale e
tìsica, organica e fisio- logica, umana e
storica. Con la dottrina del Vico si toglie
a Dio la provvidenza ; e così,
mentre si assicura all' uomo la
libertà, gli si lascia intera, assoluta
la re-
sponsabilità
delle proprie azioni. Teologisti, Hegeliani
e Positivisti riconoscon nell' uomo la
responsabilità ; ma nel fatto la
disconoscono. Il teologista la disconosce,
la nega per doppio modo: la nega
col concetto della grazia; la nega col
concetto della colpa originaria che
trasmet- tesi di padre in figlio. L'
Hegeliano poi, tuttoché presenti cotesto
problema adomo delle solite lustre
squisitamente razionali, in sostanza disconosce,
nega, distrugge la li- bertà, stantechè per
lui tutto sia necessità dialettica, logica,
formale. Il positivista, finalmente, com'era
d'aspet- tarsi, r annulla in maniera
grossolana e con assai poca grazia, in
quanto che vi sostituisce la necessità
biologica e meccanica. Nella Scienza Nuova
la libertà è razionale e naturale. La
sua frase consacrata, che vai tutto
un in questa, per così dire, un
disegno già fatto, accade ch^ ella
deMa es- sere essenzialmente esemplare. Per
T Aristotelismo, invece, cotesto dise- gno
non TÌen fatto in quanto è guardato^
ma lo si guarda facendolo. Ecco la
grande idea d* Aristotele. La natura
per lui è un principio essen- zialmente
dinamico. È un principio avente in sé
la propria determina- zione, e quindi
racchiudo in sé germinalmente tutte le
forme successive. e perciò la natura è
principalmente forma, {Metaf.f trad. Bonghi,
e IV, pag. 2:35.) Sennonché tale
concetto dell* Aristotelismo vien guasto
dalla esagerazione ond'è concepita la causa
finale; in quanto che To^osHc^, come
osservammo di sopra, è infuso^ è
determinato dal fine, non già deter- minantesi
di per sé stesso. Ora la correzione
della eansa efjiciente e della causa finale
y tanto nel Platonismo quanto neir
Aristotelismo, sta nella
doppia
formola del Vico. Laonde per chi
accetta questa doppia formola, sono un
controsenso tanto il concetto d* un
Dio solitario assolutamente Imprevidente e
improwidente, quanto quello d'un Dio padre,
generatore e artefice del mondo che
sia veggente, previdente e provvidente in
modo assoluto. V indirizzo mediof e perciò
l'indirizzo davvero positivo della speculazione
sul problema otisologico, sta proprio qui. sistema,
è questa: rèbus ipsis didantS>us.*^ Non
v'è dun- que destino : il destino è
la natura e la ragione ; e ap- punto
perchè il destino è natura, perciò è
lungi d'esser cieca necessità.- Tutto quindi
è provvidenza nella mente del Vico,
perchè tutto è creazione, attività intima,
pro- fonda, spontanea si nel mondo fisico,
e rì nel morale; né senza ragione
volle metterla in cima alle sue
discor verter La provvidenza agli occhi
suoi apre e chiude il circolo della
scienza, non meno che il processo
della Storia. Ella perciò è innanzi
tutto naturale e divina, appresso eroica ,
da ultimo umana. La provvidenza umana
è la stessa ragione, la quale non
può non essere libertà: essa dunque
importa pienezza di responsabi- lità. La
provvidenza è il primo de' tre grandi
princi- pii, 0 sensi comuni ddV umanità:
ed è altresì l'ultimo corollario della
mente del filosofo. La Provvidenza dun- que
è principio e fine della storia
umana, al modo istesso eh' è dedica
e conclusione della Scienza Nuova.*
* E
anche quest* altra : ab ipta rerum
humatuxrum natura. (De Oon$t, Philel e.
XL) * Il coDCotto del Vico è
concetto aristotelico; e così infatti 1*
Afro- dìsio interpretava la neceasìtà Jinea
e naturale d'Aristotele. (Ved. Noo- BI8S0N,
De la UberU et du Haaard, E$8a%
sur Alexandre d'Aphrodina» ec. Paris 1870,
p. 43, 98.) * Ved. Tavola delle
Diteoverte nella Prima Seien»a Nuowu *
Perciò chiama il soo libro una
teologia civile e ragionata déUa Prowedema
divina (Sec. Se. Nao., lib. I) ;
e più d' ana volta si dà Tanto d'aver
prodotto una nuova dimostrazione, una
dimostrazione di fatto ittorieo circa V
esistenza di Dio. Che cor' ò questa
dimoetratione di fatto ietoricot t! la
provvidenza in quanto è Fatto, in
quanto è creazione. & il Fatto che
si converte con so stesso, e mostra
quel che è, quel che contiene, quel
che debb' essere; e così, mostrando sé
stesso, mostra anche Dio. Perciò la
provvidenza non ò Dio che si mostra,
Dio che interviene ; ma ò il
mondo delle nazioni che attuandosi, che
creandosi e edébrando così la propria
ìvatwra, si mostra sensatamente, e si
manifesta come ter- mine di conversione.
Indi è che la provvidenza per lui
non può essere un argomento induttivo
dimostrante l'esistenza di Dio, appunto
perchè ella nel mondo, anziché effetto,
ò una causa. Questa sua dimostra- zione di
/atto ietorico, dunque, è una forma
dì eduzione, non già di sem- plice
induzione : col che confermiamo anche
una volta la natura del metodo
vichiano. Ora se questo è il
significato (significato davvero nuovo e
originale) del concetto della Prowidenaa
n^U' A. della Scienza Nuova, n
concetto ctisologìco inteso al modo che
noi lo in-
terpretiamo
nel nostro filosofo, si presenta come
il ri- saltato del mondo moderno. È la
vita stessa della scienza moderna: è
il gran secreto della filosofia positiva:
ed è l'esigenza massima della Sdenea
Nuova. Chi non Faccetta, deve negare
il presente, dee dare una smentita alla
storia; e sarà condannato a indietreggiare
sino al medio evo, per non dir
già sino alla Grecia. La formola cosmologica
del nostro filosofo corregge e trascende,
anche in questo, il Neoplatonismo italiano
moderno, ponendo non è a merarigliare
s*egli in ciò sia stato franteso e
interpretato assai male, come vedemmo, da
certi saoi critici. Notammo già come
lo Jan- nelli fosse il primo ad
osserrare, che nella Seiefìxa Nuova tale
concetto può intendersi in dne sensi ;
e V acato archeologo napoletano non s'
in- gannata. Talora infatti sembra che la
Provvidenza, pel Vico, abbia a consistere
solamente nelP azione di Dio. È la
Provvidenza, per dirne un esempio, che
eccita Atejo Capitone e Lahtone; il
primo nella gdoèa e tenace cuttodia
de^ vecchi diritti, e il secondo nel
propugnare interprc tOMioni tempre nuove
affindii la romana ffiurieprudenMa potetèc
evtdgerai. {De Univ, Jur,, VII, CGXII). La
provvidenza egli invoca per iepiegare la
rapida e univereale comporta del
Cristianesimo merco la civiltà ro- mana; la
quale perciò altro scopo non avrebbe
avuto nel mondo, fuor- ché quello di
schiuder la via ali* idea cristiana.
(Ibi, OCX VIII). Or tutto ciò contraddice
ali* esigenza del suo metodo, ed è
in aperta opposizione con la sua
dottrina metafisica. Lo stesso religiosissimo
Jannelli, il quale del resto non avea
nò punto né poco subodorato il valore
della filosofia del suo maestro, non
dubita affermare, che se per prowidenxa
neUa Scienza
Nuova
•»* vuole intendere eolo V axione di
Dio eugli uomini, Mora non pare che
n faccia altro che una lemone di
teologia poco neeeeearia ai Cattolici, ami
ai Crietiani e a tutti gli eneeri
ragionevoli. (Op. cit., p. 161.) Provvi- denza
dunque, pel Vico, vuol dire natura.
Provvedere è fare, è creare, ò attuare
; dunque è incessante e vivace
conversione del Fatto nel Vero. Per lui
quindi è Prowidenxa T itetnto, laddove,
parlando dell* origine della pa- rola 2ex,
dice che gli uccelli nidificano pretto
le fonti. {De Vniv. Jur., p. 142 nella
nota.) ^ provvidenza il pudore, onde
procede la frugalità, la tem-
peranza, la
giuttÌMia, e simili {De Contt. Juritpr.,
I[I).*È provvidenza la storia della poesia,
e le false religioni. (Ibi, XIII).
& provvidenza la forma monosillabica
delle lingue (XII). È provvidenza lo
teoppiar de* primi tu- multi deUe plebi
nella terza età del Tempo Oteuro
(XXII). È per provvi- denza {rebut iptit
dietantibut) che le religioni cominciano a
venire in dis- pregio (XXVIII). È prorvìdenn
{rebut iptit dietantibut), 1* origine dell*
arte della guerra e della pace (XXX).
fe provvidenza che le Centi Minori apprendano
dalle Centi Maggiori; ed è provvidenza
la templieità e na- turalcMM Oud*ò
condotto U corto ddC umanità (Sec Se.
Nuo., p. 882). a nudo le magagne
del concetto creativo del Teologismo, nonché
dell' Hegelianiamo e del Positivismo: che
vuol dire, al solito, corregge i due
estremi del filosofare, iperpsi- cologismo
ed empirismo. Di fatto che cos' è
per l' Hege- liano la creazione? È V
identico in guanto si differendo. Dunque
non è vera creazione, svolgimento,
processo; ma ripetizione ritmica e, come
dire, inquadrata sovra
un
medesimo fondo che è la Idea. Pel
Positivista il moto, la vita e l'
essere delle cose non è che trasfor- mazione
di forze, o di materia; trasformazione
fisica, meccanica, biologica; determinismo affatto
meccanico, affatto accidentale, affatto cieco.
Dunque anche per lui la creazione è
ripetizione monotona d'un identico
subietto. Con
la formola cosmologica del nostro filosofo,
inol- tre, si giugne a conciliare le
esigenze legittime del Tei- smo e del
Panteismo su la natura del mondo. Nel
Pan- teismo vi è un'affermazione giusta e
ragionevole; ma vi è pure una
negazione iriragionevole, erronea ed esiziale. L'
affermazione risguarda lo svolgimento d' un
principio interno e divino nel mondo,
e nella natura. La nega- zione poi
riguarda un'efficienza sovramondana, che come intelletto
amore e potenza ponga il mondo e
la natura, e sia presente al mondo
e alla natura. U Teismo gros- solano e
volgare contraddice al Panteismo col porre
l'ef- ficienza sovramondana ; ma non sa
intendere per nulla il divino della
natura; non capisce il divino anche
nel mondo. L'affermazione del Panteismo è
l'esigenza del- l'Oriente, e, in parte,
dell'Occidente; della scuole jonica, eleatica,
pitagorea, stoica, alessandrina ; poi delle
grandi intelligenze d'.Erigena, del Bruno,
dello Spinoza; ed è anche l' esigenza
dell' Hegelianismo. L' affermazione poi
del
Teismo beninteso, è principalmente un
portato della speculazione occidentale, perchè
è 1' esigenza profonda della metafisica
platonica, e della metafisica aristotelica. Panteismo
e Teismo, dunque, oggi sono di
fronte; perchè essendo pervenuti entrambi al
più alto grado di specu- lazione, ci
porgono due forinole nette, chiare,
spiccate: V Essere, il Non-Essere e il
Divenire, da una parte : D Vero,
il Generato e il Fatto, dall' altra.
Or V afferma- zione, r esigenza ragionevole
del Panteismo è inclusa nella formula
cosmologica del Vico, e, che più
importa, vi è anche corretta. L'affermazione
e l'esigenza ragio- nevole del Teismo, poi,
trova correzione e inveramento nella formola
metafisica dello stesso filosofo. Quant'
alla parte negativa, cotesti sistemi sono
da ripudiarsi en- trambi. Se il Teismo
ignora il vero concetto di natura e
però disconosce il divino e perciò
stesso disconosce la creazione autonoma del
mondo; il Panteismo, alla sua volta,
disconosce la vera natura di Dio, e
perciò disco-
nosce la
vera natura dell' uomo, e cosi viene
a distruggere la grandezza e l' eccellenza
dell' umana personalità.^ Se intanto la
creazione è un processo, cioè dire il Fatto
che si converte nel Vero, si può
domandare : in che maniera s' attua
cotesto processo? In altre parole: come avviene
che la creazione diventa provvidenza? Il
modo con che s' attua la creazione
potrà dircelo
solamente
1' esperienza: ce lo potran dire le
scienze di natura, e le discipline
istoriche in generale. Ma anche nella
soluzione del problema cosmologica sbagliano,
tanto quelli che tutto vogliono indurre,
quanto quegli altri che tutto pretendono
dedurre. Oggi non è permessa una dot- trinacosmologica
empirica; e tanto meno è permessa una
cosmologia che, fabbricata a priori, si
rimane cam- pata a mezz'aria. La filosofia
cosmologica potrà attinger valore positivo e
razionale ad un sol patto; che, cioè,
il pronunziato generale ch'ella potrà
fornire alle scienze le quali si
travagliano intorno alla ricerca delle
leggi da Stuart Mill appellate empiriche,
sia del pari, o possa essere, il
risultato complessivo e finale delle
scienze stes- * Giastissime qaiodi le
parole d*aii valoroso sorltlore moderno: «
(Tttt ùonire le panthéitme que tou»
eeux qui retUM ^i>rit de la vrai grandéur
de Vhomme doivent »e riunir et
eombattre, > (Tooqukvillk, De la VemoeraHe
en Amerique, Paris, 1850, 18* ed., T.
Il, P. I, o. VIL) se. La
metafisica positiva altro non sa darci,
salvo che la legge della conversione
come principio della essenzial costituzione
del Fatto. Quant' al modo poi, ella
non sa, ella non può assegnar né
regole ritmiche, né tricotomie a priori
di nessuna sorta. Che se anche qui
per avven- tura è possibile un accordo
e una rispondenza tra la speculazione
del filosofo e V osservazione induttiva
e de- duttiva dello scienziato, in verità
non si cerca di me-
glio. In
cosiiFatto accordo si avrà la guarentigia
più sicura dell' ottimo indirizzo cosi
dell' una come dell' al- tra sfera di
scibile. Se il Fatto à il diverso,
non solo considerato qual termine di
conversione col Generato, ma anche avvisato in
sé stesso, avviene che, nel convertirsi
con sé mede- simo, e' debba manifestare
varietà di momenti e pas- saggi e
transiti, e quindi intervalli e tjontinuità
nel- r esplicazione delle sue forze.
Vuol essere insomma, ri- petiamolo, un vero
processo, che è dire svolgimento, conversione,
creazione, anziché una serie di semplici trasformazioni
e d' increscevoli rimutamenti di forma. Vuol
esser quindi un passaggio incessante ed
essenzial- mente dinamico dalla potenza all'atto,
dall'omogeneo all'eterogeneo, per usare anche
qui la frase dello Spencer, dall'indeterminato
al determinato, e però dal genere
alla specie, e dalla specie all'
individuo, per finire nell' indi- viduo
capace d'essere o di rappresentare insieme
nella sua virtù il genere e la
specie. Tre sono i Sommi Gre- neri
del Processo cosmico; e altrettante le
fermate o, per così dire, i momenti
dell'attività creatrice. Tre sono dunque i
processi speciali e differenti attraverso a cui
il Fatto si fa, e che potremo
appellare Fisico, Orgor nicOf e
Storico-sociologico od umano; e tre sono
quindi gli anelli della gran catena;
Forza, Vita e Pensiero. Fra questi tre
processi ci ha differenza e medesimezza,
e
però
intervalli e continuità: ma né questa
continuità è di natura materiale, né
quell' intervallo é un semphce passaggio
alla maniera che lo intendevano e lo
inten- dono, come notammo, gli aristotelici
empirici, ed i mo- derni materialisti (p.
359). Fra il processo Fisico e il processo
Organico, per esempio, ci è continuità
ideale, e quindi intervallo reale ;
stantechè non sia la Forza che diventi
Vita, né la Vita che diventi
Pensiero, ma è la forza che passa
ad esser vita, e la vita pensiero.
E nel pensiero compenetrandosi non già
sovrapponendosi od assomandosi le prime,
abbiamo nel medesimo tempo r attuazione
della forza, e della vita. Il
passaggio quindi, come accennammo, non è
semplice trasformazione, ma è transito, è
passaggio nello stretto senso della parola (iyipyetò:
aTi>>i;), eduzione (eductio entìs ad
actum)y e perciò creazione. Se intanto
nel passaggio vi ha inter- vallo, cotesto
intervallo non è egli davvero un
salto che fa la natura? L'intervallo
superato dalla stessa natura è precisamente
la conversione del Fatto nel Vero; è r
energia creativa; è il vero passaggio
dal nulla all' es- sere, dalla potenza
all' atto: ed ecco il significato
della creazione ex nihUo. Dunque l'
intervallo per noi non è (come altrove
toccammo) quel che per gli antichi
era i) diastema e il cenon; negazione,
vuoto, nuUa. È anzi
pienezza
d'essere, attuosità vivace, conato (to
Juvarov), perocché ci rappresenta il momento
in cui la continuità ideale tende a
diventar reale. Ai due capi della
catena poi vedemmo esserci due intervalli
; psicologico l' uno, e metafisico l' altro.
U primo dicemmo potersi superare mercé
la dialettica ascensiva, poiché qui il
Fatto, già convertitosi con sé medesimo
e perciò divenuto forza vita e
pensiero, si converte quinci col Vero,
eh' é dire col Primum Verum
metaphysicum : mentre il secondo
é
superato dall'essere stesso con la
dialettica discensiva, secondochè ci addimostrano
la formola metafisica e la formola
cosmologica del Vico. Queste sono le
due leggi universali, o meglio, le
due condizioni dell'attività creatrice di
natura. In virtù di esse é possibile
una scienza cosmologica razionalmente positiva,
poiché in esse sta il nodo di
que' dibattati e YÌtali problemi su la
generazione, su la genesi spon- tanea, su l'origine
delle specie. Né il Platonismo, né r
Aristotelismo, né alcuna dottrina che
risalga a queste due sorgenti, ci
potranno dar mai questa doppia legge. Nell'uno
fa difetto il concetto del processo; nell'altro questo
processo, ripetiamolo, è passaggio empirico>
mec- canico, generativo, ovvero logico e
formale.' Ammessa quindi la legge dell'
intervallo nell' atti- vità creativa di
natura, verremo capaci di correggere
il
vieto concetto cosmogonico del teologismo e
dell'em- pirismo. Il vecchio naturalista contro
il teologista pro- nunzia, che natura non
fadt saltum. A salvare il Deus machina
il teologo risponde, che natura fadt
sattum; e questi salti per lui sono
altrettanti atti immediati del Demiurgo. Ora
la verità non istà dall' una, né dall'
altra parte. Naturalisti, sperimentalisti,
determi- nisti, positivisti hanno ragione a
non credere ai salti; ma non ha
torto il teologo se dice che la
natura pro- cede per creazioni ed atti
creativi diversi. Il positivo qui dove
sta? Neil' accettar l' una e l' altra
afferma- zione, e correggerle entrambe. La
natura, certo, non fa salti; non v'
essendo ragione perché ella non pro- ceda
continua nella ricchezza e fecondità delle
sue pro- duzioni Ma eccoci al punto 1
Questa continuità (conti- nuità materiale, fisica,
sensata) ha luogo entro la sfera *
Ma anche in questa dottrina Aristotele
potrebb* essere difeso, chi lo interpretasse
benignamente. Se pel Platonismo 11 divenire
e il generarsi, ha luogo per 1*
essenza, per l' idea che attua la
cosa e la scorge e la determina;
per Aristotele, al contrarlo, 1*
indeterminato procede al tUterminato qucdUativo
per sua propria energia. Fra i molti
passi che potrei addurre mi contento
di questo che si legge nel Lib.
VII della Metaph.: Uòrtpov ouv iv^i
tic (Ttfatpa uxpot. raqSi Xf oixiu
vK^pct TOtc oXcvdouC} i 01» J* av aoTf
iytyvexoy ti ovtwc tJv, róSt ri; àXXa
tÒ Toióv^c vrifjLaivtiy róSt Sé xai
(upurixivov oux tf(r7(v, àWà trotcì xac'
7evvà ex totJ^s rotov^s • xat orav
7«vv>30i7, Ìt^i
ro$t
rotòvBt. È nna prova di più, come
si vede, della possibilità di rintracciare
e dimostrare nell'Aristotelismo, anche in
siflbtta ricerca, r indirizzo medio della
speculazione filosofica contro gì* interpreti
empirici e contro gì* iperpsicologisti che
il generarsi delle cose in Aristotele
trag- gono in due e contrarie sentenze
opposite. d'una specie, d'un genere, d'un
ordine, anziché nel passaggio dall'uno
all'altro. Se così non fosse, la na- tura
non sarebbe guari natura, non sarebbe
creazione, sibbene ripetizione sazievolmente
monotona d' individui. E non meno ragione
ha il teologo o il neoplatonico che sia,
nel pretender che la natura proceda a
salti; ma non ha niente ragione a
predicarci essere il Demiurgo, proprio lui,
quegli che la fa saltare. È ella
stessa, è la stessa potente e feconda
natura che si muove. E si muove
per qualcosa che non sopraggiugne dal
di fuora, anzi sgorga dal di dentro. Cosi,
e solamente così, è possibile l' autogenesi
del mondo. Chi non sia disposto ad
accettarla, romperà senza rimedio contro
Scilla, o Cariddi; che vuol dire contro
uno de' due soliti estremi. Come
intanto s'inaugura, come si svolge e
come si assolve egli il Processo
cosmico? Capitolo Decimosecondo. delu attività
creativa ne' diversi momenti del processo
cosmico.
Abbiamo
detto che se 1' attività creatrice di
natura
è una
Conversione del FaUo nel Vero, ella
non può
esplicarsi
altrimenti che per gradi, per momenti diversi, e
quindi per intervalli e per continuità
ideale. Il Pro- cesso cosmico, dunque,
è universale. Ed è universale prin- cipalmente
perchè, secondo la frase del Bruno,
racchiude in sé, quasi circolo più
ampio altri piccoli circoH, il tri- plice
processo Fisico, Organico e Sociologico.
Così la legge che governa il tutto
come le parti è sempre la stessa:
è la gran legge del trasformarsi e
del rinte- grarsi perpetuo, progressivo,
incessante delle forze uni- versali e comuni
di natura. Perciò è il numero che Digitized
by VjOOQIC 470 DELLA DOTTRINA FILOSOFICA.
[lIB. H. sempre più volge ad unità;
è T indeterminato, T omo- geneo,
l'indefinito (tò uopiiTòv) che procede al
deter- minato, all' eterogeneo, al perfetto
(tò TsXitov).* Se tale dunque è la
natura di quest' universal movimento che dispiegasi
nel tempo, in che maniera potrebb'
esser un incessante cangiar di forme e
di fenomeni? Se cosi fosse, quest'
universo sarebb' egli un cosmos^ o
non più veramente un increscevole ed
eterna monotonia d'ap- parenze fenomenali, ovvero
un caos? La legge del Pro- cesso
cosmico dunque è legge di creazione;
è legge di
coixyersione,
anziché di semplice trasformazione. Gol Processo
fisico si genera la forza ; e
la forza è subbietto omogeneo, sintesi
confusa, numero e unità generale, uni- totalità
vaga e indeterminata. Cotesto Processo
fisico si sdoppia nel Processo organico
nel quale si genera la vita; e
la vita è numero, eterogeneità essenziale,
essen- zial dualità (vegetale e zoologica).
Nel Processo istorico- sociologico, finalmente,
si genera lo spirito, il pensiero; ed
è un ritomo all' unità, ma come
triplicità. La forza quindi si converte
nella vita, come la vita si converte
nel pensiero. Unità, dualità, dualunità:
Forza, Vita e Pen- siero. Ecco il
Processo cosmico, ed è sempre il
Fatto che si converte nel Vero,
perocché è sempre il conato, il me- desimo,
che si fa diverso per intervallo.
Come intanto * È il vecchio principio
per cui si distingue V indirizzo
medio ari-
stotelico
nella dottrina su le forze fisiche,
organiche e organizzate: *H $i fxJffi^
ffivyet tÒ aTrci^ov * to fiiv yoip
anstpov otTtlsq, -^ Si «vece «s( K^Ttt
TsXoc (I>e (7en. an., I). E più
chiaramente ancora: 'Aft yàp €v Tw
efslivii vppxst xo upOTspov {De An.,
II, ii). La scienza moderna non ha
fatto e non fa che confermare questo
principio aristotelico; ed è quel medesimo
pronunziato che lo Spencer considera sic- come
chiave del processo cosmico. Ma avvertimmo
già 1* aspetta man- chevole delle dottrine
del r illustre scrittore inglese; che,
cioè, se il Pro- cesso cosmico è
davvero una creazione, è forza che
nella sua natura altro non possa
essere che uua teleologia, un processo
essenzialmente
teleologico,
a partire dall'etere, dalla materia
nebulare indeterminata, e scendere giù giù
fino all'atto estremo, alla forza che
diciamo pensiero. Questo dato vitalissimo manca
allo Spencer nonché ai Positivisti e,
come vedremo, a' naturalisti Darwiniani. E
pure, chi ben rifletta, è un concetto
essenzialmente poeitioo^ perchè è un fatto. rivelasi
la prima conversione del Fatto? In
altre parole : in qual modo s' inaugura l'
attuosità creativa del- l'universo? La
natura comincia con Tesser conato.* Ella dunque
comincia come sintesi iniziale e confusa:
ella s' inaugura come materia metafisica.* '
< Natiwa eonando oapit exUtert, >
(YiCO, De Antiqui^., III). * La
nuiteria tnetaJUica alla qaale più voite
accenna confasimente il Vico e che il Rosmini,
come toccammo, non interpreta convenevol- mente,ò
neir ordine cosmico e naturale ciò
che nell' ordine psicologico ò la luce
tnetaJUica. Nel passaggio, nell* intervallo^
in generale, ha luogo
nn
novello conato, eh' è il momento creativo,
il parto {a/orno impedito) della natura;
e quindi racchiude qualcosa d' intimo, d*
universale, di metafisico, d'iperfisico, di
scprassensibile. Ecco perchè talora nel
Vico non v' ha divario nelle parole
conato, momentOf t/orto impedito, luce
meta/i» nea^mcUeria metaJÌ9Ìca,virtue^vi», dvvxfJLi^y
«vT«).ffXJeav, e simili. Però è facile
incontrarvi qualche sentenza di questo
tenore : Lux metaphyeica §eu eduetio
virtutum in actue conatu gignitur. (Op.
cit., C IV). Perciò se si vuole
interpretare a dovere la sua mente,
il valore della parola co- nato, nella
quale pone radice la novità della
cosmologia Vichiana e Leib-
niziana,
è questo : che il conato per
lui sia il principio concreto, reale, vivente
della natura: che sia perciò relazione
la qual comprenda e annodi in
organismo vivente i tre processi, e
per cui risulti come la molla secreta deir
intero Proceeeo eoemólogico, È la relazione
concreta, e reale del Fatto col Vero;
cioè del Fatto che, in quanto divereo
in sé, diventa Vero. In una parola,
è la eoetanxa della natura, come fra
poco vedremo, e perciò è Vdpx^ xivKj
Tcwc d'Aristotele (AfetopA , 1, 1, 8) ma
corretto profondamen- te, e però trasfigurato
e legittimato, stantechè non sia altrimenti
un prin- cipio di movimento ipercosmìco, ma
nn principio essenzialmente eoemico, essenzialmente
naturale ; e perciò è lo stesso
movimento che, in quant' è motOf si
rivela come autogenito. Il Gioberti che
aveva un senso isterico divinativo tutto
suo nel saper cogliere in certe
sentenze l'aspetto origi-
nale d*
una dottrina, non dubitò scrivere che
la teorica de' punti e del i eoncUo
del Vico ì il perno del tuo
eietema; aggiungendo che per questa parte
egli è arietotelico e platonico ad un
tempo. {Protol., v. I, p. 259). Che la
dottrina del conato sia il perno
della sua cosmologia, nessun dubbio; ma
la cosmologia non è la sua
metafisica. È dunque il perno, è la
molla della sua formola eoemoloffica, non
già della sua formola metaJUica: il perno
di questa seconda è ben altro, come
s'è visto ne' tre ultimi ca- pitoli. Che
poi in questo egli sia aristotelico e
platonico insieme, è vero; ma è tale
in quanto corregge, trasforma e compie
i due vecchi filosofi, e perciò in
quanto li accorda. Nel Platonismo il
concetto del conato, al modo che è
inteso dal Vico, non ci è, e
non ci può essere, come si può
ricavare da tutti que' luoghi ne'
quali siamo venuti accen- nando rapidamente
a quel sistema. Può esserci, e vi
è di fatto in Ari-
stotele, ma
confuso e indeterminato cosi che non
si lascia riconoscere facilmente. Al qual
proposito mi sia qui lecita nn*
osservazione isterica. Ma se la natura
comincia con V esser conato, appunto perchè
conato ella dev' esser riguardata sotto
doppio QualcQDo potrebbe confondere questo
conato del filosofo napoletano con la
monade leibniziana, o, pegfifio, con 1*
?pe$(? aristotelica. Lascia-
mo della
prima perchò ne dicemmo qualcosa in
altro luog^o. Qnant'al secondo osserro che
tra Voptl^ii dello Stagirita e il
conato àe\ nostro filosofo, ci è
profondo divario. Accennammo già qualcosa
riguardo al-
r aspetto
esagerato della «aiMo y!iMi2« d'Aristotele.
L'ó^e^cc certamente è designato da lui
qual moto 9pontaneo; e basti per
tutti questo passo: Kcvftrac yoLp to'
xivouufvov t? òpiysrat^ xat 17 xévTio'c;
rtc
opsl^ti
^ t»spytia. {De Xn,^ III)! Ma ò
poi veramente tale, voglio dire
essenzialmente spontaneo cotest* opegi^
d'Aristotele? Non sa- rebbe più tosto un
residuo del maestro passato nella mente
dello sco- lare ? Aristotele, avvertimmo,
rompe la terie predara in due modi
; con 1' intdllgibUe venuto di /uorOf
BvpstOiv, e con la canea Jinale,
cioè, col dender€tb%le [70 òptxTÒv xat
to' voutÓv). Luce per ribtelligenza, dun- que,
e calore per la volontà vengon
d'altronde; e però chi determina tanto .
il peneiero, quanto la tendenna, è il
pensiero divino. {Eih, Eud.^ VII, U). Ora
dunque 1* opeHc'c per Aristotele non
può esser davvero spontaneo, se no si
contraddice. E tant*è vero che la
natura per lui non ò pro- priamente
attiva per so, che non mancò, fk'a'
vecchi aristotelici, chi pi- gliasse a
dimostrare come in Aristotele, in forza
del suo medesimo si- stema, debba aver
luogo la eau«a efficiente. Se Dio
infatti ò canea finale^
per
ciò stesso ha da essere anche canea
efficiente ; tanto pareva ad Am- monio
(il primo a dare tale interpretazione)
che Aristotele dovesse met- tersi in accordo
con Platone. (Yed. Rayaisson, Op. cit.,
T. II,
p. 539). Dunque V ops^i^ noir
Aristotelismo ò ?^e^cc non per essenza
propria, ma in grazia d* un
determinante estrinseco, d* un* infiuenza
eeteriore ; la quale influenza non
essendo stata chiarita nettamente nella sua
natura dal filosofo di Stagira, ha
fatto e fa si che molti i quali
si studiano d* interpretarlo benignamente,
credano d'aver buono in mano per
assumerne le difese, e fino a certo
punto riescono ad aver ragione. Sennonché
il vero concetto dell'o^sHcc, che in
parte risponda al conato del Vico e
rap- presenti perciò r indirixMo medio in
siffatta quistione, sarebbe da riporre piuttosto
nella nozione di svipyna aTf>>i:, la
quale è appunto attiva per sé, ò
attiva per virtù propria, essendo ciò
che esiste in potenza, ma in quanto
s'avvia all'atto; e s'avvia per sé
medesima, non per un al- tro; s'avvia
e procede per propria essenza: 'O^óc
ttQ ouTiav {Me- taph,f lY.) In altre
parole è ciò che, imperfetto, non ha
il fine in so stesso, e quindi
lo cerca. E lo corca non perchè
ne sia attratto (plato- nismo 0
aristotelismo platonico), ma k1 perchè ne
ha bisogno. E se lo cerca e ne
abbisogna, vuol dire che questo fine
non potrà essere un'il- lusione addirittura.
Perciò Aristotele determina il concetto del
moto cosi: Twv apy.^£Mv eiv «tt/
taipoc^^ ov^sjMca tjXoc, àWà t«v tapi
To TsXo;. {Metapk., IX). — Ci slam voluti
intrattenere un mo- mento su questo
particolare non solo per chiarire il
concetto del Vico sul conato^ ma anche
por mostrare 1* attinenza ch'esso ha
col concetto del rispetto. Anche del
Primo cosmologico possiamo dire qael
che dicemmo
del Primo psicologico: egli è una
testa di Giano; ha due facce. Il
conato adunque è due cose, non una:
è punto e momento^ (cf«7ft*i^ ^^v)
materia e moto, estensione e forza: ma
e punto e momento di natura metafisica^
che vuol dir di natura potenziale,
virtuale, soprassensibile, semplice, indivisa,
universale. In altre parole, il conato
e attuosità concreta e reale; ma non è,
a dir proprio, né moto, né
estensione, bensì virtii di
moversi,
e d'estendersi: e come virtù, come
potenziaUtà, esso in generale é un
soggetto identico: Punctum et MoYnentum unum
sunt, e quindi é nel medesimo tempo numero
e unità, dualità e unità, polarità originaria,
e perciò é unitotalità originaria, concreta,
universale. Ora il conato in quanto é
punto, materia, cioè in quant' é soggetto
potenziale, recettivo, indeterminato, omogeneo, indefinito
e indefinibile, é il ro Ssrspov; è
la ^wa/xcc come pura capacità; in
somma é il Fatto semplicemente detto
; il Fatto in quanto è termine
di conversione dialettica coi Grenerato. Al
contrario, in quanto é momento, ciò é dire
materia e moto, estensione e forza,
to' Strtpov e to' notilo e però
to ^warov, é il Fatto in quanto
è ter- mine di conversione cosmologica; è
il Fatto in quanto é conversione di
sé con sé stesso; e quindi é
sostanza semplice, sostanza universale, sostanza
indivisibile in sé, ma divisa nelle
cose che sostiene. Brevemente: il
conato,
guardato come puro Fatto, cioè come
termine posto, é potenza in potenza,
come direbbe Aristotele (^uvfltfii; ^uvot^n);
guardato invece come termine che si pone,
come soggetto che si fa, egli, per
dirla con le significantissime parole del
Vico, é for/pa che si fa dentro moto
aristotelico, il quale, inteso a doTere,
nono tale quale d* ordinario Tiene
interpretato dagli hegeliani. £ ci siamo
trattenuti anche perchè quest'ultimi non
abbiano a pigliare il concetto del
conato per Vopt^i^ giacché nel conato
del nostro filosofo non ci è
necessità dialettiche, nò relaiioui di
finalità come neiriperpsicologismo aristotelico
fecchio e nuOTo. Il conato del Vico
non è propriamente VEatcre, nettampoco il NoH-ctnrc;
dunque non sarà nemmanco U Divenire:
ecco tetto. di sè medesima: perchè?
precisamente perchè SFOR- ZARSI È UN
CONVERTIRSI IN SÈ STESSO; 0 perciò è
sostanza che si sforsa a mandar fuori
le cose. * * Che il ùonato nel
concetto vlchiano sìa la sostanza delle
cose e costituisca perciò il nerbo
della sna formola cosmologica, si pnò
rìca- Yare agevolmente da queste sentenze.
Che cos*è la sostanza? Sattanza, in
genertf d ciò eke »ta 9otto e
90$tiene la eoaa; indivitibile in «^
divisa nelle cote eh* ella fottiene, e
$oUo le dìvite cote, quantunqtu disuguali,
vi
§ta
egualmente, (Risp. al Giom. de* Lett,,
p. 179). Questa deflnizione non ha che
vedere con la definizione Spinoziana :
id quod existit a te et per «e.
Sono entrambe definizioni nominali, e però
vere o falso flnchò non se ne
faccia applicazione. Dal modo con che
applicolla Spinoza, venne fuora il suo
panteismo acosmico geometrizzato, con quella
lunga sequela
d*
assurdi che ognuna conosce. Il Vico
1* applica al Fatto in quanto si fa
Vero, non già al Vero che si
converte col Generato; e perciò riesce a
schivare ogni maniera di panteismo. Infatti
egli dice: Quello che i moto ne*
corpi particolari, neiVunivereo moto non è;
perchè V universo non ha con ehi altro
possa mutar vicinanze,,... Dunque è una
forza OHB fa DRNTBO DI sà MBDESiifo
: questo in s^ stesso sforzarsi, ì
uno in sa strsso convertirsi. Ciò non
pud eseere del corpo, perchè ciascuna
parte del corpo avrebbe a rivoltarsi
contro di sè medesima. Onde questo
sarebbe tanto, quanto le parti dd
corpo si replicassero. Dunque, dico io,
U CONATO non è dd OORPO, ma deU*
UNI Visse del corpo (Ibi). Tutto ciò
è chiarito e confer- mato da quest'
altra sentenza ; Virtus est extensi,
e perciò prior extenso est, soUicet
inextensa. {De Antiq., IV). E spiegando altrove il
valore di quest* ul- timo concetto, dice: Io
mi servo eie* vocaboli di virth e di
potetaa appunto come se ne servono i
meeeaniei, appo i quali sono voci
oelebratissime : con questo perciò di
vario; cA' essi (parla de* Cartesiani
seguaci detta dottrina meccanica) V
attaccano ai corpi particolari, ed io
dico esser dote propria e sola dell*
universo. (Risp. al Oiom. de* LeU.),
E tornando al suo concetto gradito del
conato, dice plh aperto : Nel mondo
vero e reale vi ha un che
invisibile che produce tutte le cose.
(Ibi, p. 165). Ancora: Uno è lo sforzo
delC universo, prrob2 dell* univrrbo :
ed è l* indivisibile centro cui non
è lecito trovare neU* universo (esteso),
e cAe dentro le linee deUa sua direzione
tutti i disuguali pesi sostenendo con
egual forza, tutte le partieo' lari
cose sostiene insiememente ed aggira.
Questa è la sostanza che si SFORZA mandar
fuori le cose. (Ibi, 151). È
impossibile commentare queste sentenze. Ci
vorrebbe un capitolo
per
parola ; e alla fin fine poi
non riesciremmo che ad una freddura,
ad una ripetizione fiacca e sbiadita.
Bisogna dunque farle soggetto di medi- tazione
severa, tramutarsele in sangue, e col loro
sussidio interrogare! fenomeni e le leggi
del mondo sensibile. Posti intanto questi
principi! cosmologici, ecco alcune norme
metodiche per la filosofia della natura
e delle scienze naturali : In fisica
si trattano le cose per termini di
eorpo t di moto; in m^afisioa trcUtar
si debbono per qudli di sostanza e
di co- nato, E come U moto non è
altro realmente che eorpo, cosi il
conato altro realmsnU non sia
che sostanza, (Ibi, 178). L* altro
domma metodico ri- Se questo è il
cardine della cosmologia del nostro filo- sofo,
le conseguenze e le applicazioni che
se ne traggono riescono supremamente
feconde, positive, originali in tutte quante
le sfere delle scienze di natura,
dalP astro- nomia alla fisiologia, dalla
meccanica celeste alla zoologia e alla
zoopsicologia. Noi non possiamo intrattenerci
in queste applicazioni, e ce ne duole.
Ci ristringeremo ad ac- cennarne qualcuna, e
rilevarne V aspetto originale; e in- nanzi
tutto quella risguardante la dottrina del
Cronotopo. Se la sostanza cosmica è
una, indivisibile e divisa nelle cose
a cui sta sotto egualmente per
diseguali che queste siano, i modi
essenziali e primigenii in che ella si
determina, sono lo spazio e il tempo
puri : punto e momentOj virtus
extendendi e virtus movendi. Sennonché
la
virtii d' estendersi, logicamente, va innanzi
alla virtù del moversi, al contrario
di ciò che pensa il Gioberti; poiché,
al solito, se il Fatto come diverso
in sé vuol es- sere un processo
autonomo, avviene che la prima forma di
conversione, la prima individuazione cosmica,
deb- b' essere il punto che divien
momento; debb' esser la virtù d'estendersi
che si gemina, e assume valore di virtù
motrice. Perciò la sostanza in quant'
è virtus exten- dendi, inquant'é pura
capacità, è V altro, è il diverso, è
il Fatto come posto, e però è
lo spazio infinito, la cui prima
determinazione è ciò che domandasi etere
da' mo- derni.* In quanto poi è virtus
movendi, cioè atto, diverso gniardante lo
stadio delle leggi fisiche ò questo :
L* unica ipoteti (cioè fin- zione
speculativa) per la qwd dalla MetaJUica
ndla Fisica discenda giam- mai ti po99a,
netto le matematiche; e che il punto
geometrico eia una SOMI- OLIANZA del
metafieicOf dot della sostanza ; e
eh* ella aia coea che vera- mente t,
ed i indivisibile; che ci dà e
sostiene distesi uguali con egual /orza
: perche per le dimostnxzioni del
Galilei ed altre piene di meraviglittf le
disuguaglianze quanto si vogliono grandi,
ritirandoci al lor principio in- divisibile,
cioì ai puntiy tutte si perdono e
si confondono. (Ibi, 174), ti ap- pena
bisogno d* avvertire che con la sua
dottrina cosmologica ei non fa che
interpretare ed elevare ad altezza
metafisica positiva V esigenza del metodo
Galileiano. Nelle lor relazioni ideali
Galileo e Vico si richiamano a
vicenda. (Ved. il nostro Disc. DanU,
Galileo e Vico, Firenze, Celliul, 1865). *
L'esistenza déìVetere od abaro (come con
ragione vuol chiamarlo
il
nostro valoroso e valente Colonnello
Pozzolinì) che per i fisici è una in
$èj 0 Fatto ohe si fa, la
sostanza è il cominciamento originario,
autogenito della natura, e perciò indipen- dente
da Dio. Ed è affatto indipendente da
Dio nel suo svolgimento, e però nelle
sue leg{2p, appunto per- chè, come fu
mostrato, Dio pone il mondo non già
come attuale, anzi come potenziale. Perchè
dunque il punto diventa momento? Per
necessità della propria essenza: vo' dire
perchè è diverso in se; perchè è
sformarsi che è uno in sé stesso
convertirsi. Se adunque come mate- ria il
conato è confusione, impenetrabilità, pura
ca- pacità; come virtù di moversi, invece,
è cominciamento d' ordine, inizio di cosmos
finteli' atomo, nelP esteso me- tafisico il
quale, essendo medesimezza e differenza in atto,
rappresenta perciò la prima dualità in
cui forza e materia formano un
medesimo subbietto.* ipoteti della quale non
possono in yenin modo prescindere, nella
fonnola cosmologica del Vico, invece, assume
valore di teti. Essi non sanno dir che
cosa sia quest'eeere. Noi sanno oggi^
e noi potranno saper mai: perchè? Per
la semplice ragione ch*ei trascende la
mente: e la tra- scende in quanto che
riguarda un* attinenza della sostanza come
potta, non già della sostanza come
causa, come forza. Perciò riguardando il
dato della creazione, ne Tiene che,
por intendere questo dato in qualche
maniera, bisognerà filosofare; e per
filosofare in modo serio e positivo e
razio- nale bisogna ricorrere alla formoUi
cotmologica del nostro filosofo. Non
V* è
scampo: o questa formola, oppure il
concetto inintelligibile, gros- solano e balordo
d*una materia concepita qual ricettacolo
assoluto e generativo d* ogni cosa :
eh' è propriamente (chiedo perdono a
tutti i materialisti e meccanicisti vecchi
e nuovi) un concetto da cretini! *
Dunque il cronotopo non è, come
pretendono i Leibniziani, la succes- sione e
coesistenza di punti e di momenti;
teorica al tutto empirica la quale non
ispiega nulla di nulla, perchè non
addita la ragione della coesistenza. Non
si può dir nemmeno pertinenza deir
Assoluto in quanto ì V Idea ad
extr(h Videa come potnbUità infinita
(GiOBRBTi, ProtoU,
Sagg.
Ili); ì° perchè non s'intende che
cosa mai sia codest'Idea ad extra; 2^
perchè s*ella è pottihilità infinita, come tale
appartiene al Fatto, il quale in
quanto conato è precisamente un' infinita
po$9ÌbilitiL Non è poi relazione tra U
finito e V infinito (FoRNABi, DeW
Arm. Univ.^ DiaL I) perchè, se così
fosse, dovendo i termini partecipare alla
natura della relazione, ci avrebbe a
essere spazio e tempo anche nell' infinito!
Final- mente non è la prima e
immediata esistenza detta Idea (Spaventa,
Mem, mi Tempo e tulio Spazio, negli
Atti dell' Accad. di Nap.), perchè 1*
Idea è incapace di rivestire spazialità
e temporalità per le ragioni altrove
ac- cennate. Dunque che cos'è cotesto
cronotopo? È precisamente il conato; Abbiamo
detto che V atomo è l' esteso
metafisico. Esso dunque è la compenetrazione
del punto, e del mo- mento : è
il punto divenuto momento ; è la
virtù d' esten- dersi che s' estende in
quanto si move. Neil' atomo per- ciò,
neir esteso metafisico, trova pienissima
applicazione il pronunziato del Vico:
ptmctum et mofnentum unum
sunt
In altre parole: che cos' è V
atomo? È V estrema realtà (non
astrazione) cui possa poggiar la mente. Dunque
è la prima realtà onde move la
natura. Anche in seno all'atomo quindi
si dee verificare ciò che i fisici oggi
riconoscono in molti fenomeni; il principio
della polarità. L'esteso metafisico è
un'essenzial dualità; è forza e materia
in atto; è la determmazione originaria, autonoma
della doppia virtii estensiva e motrice.
Dun- que è la prima conversione del
Fatto, in quanto il Fatto è un
subbietto diverso in sé. Perciò è il
primo momento della creazione propriamente
detta: il mo- mento solenne in cui la
forza, nascendo nella materia (non dalla
materia), si crea.' ma il conato in
qnanto ò polarità essenziale, essenzial
dualità. È la sostanza stessa del
mondo in quanto ha una doppia faccia:
estensione e forza; wirhu extendendif e
virtù» movendi. Ora se il conato è
un su- bietto essenzialmente duplo^ essenzialmente
polare, ì moderni fisici non possono,
non debbono menomamente ripudiarne il
concetto, che anzi accettandolo, giungerebbero
a spiegare più d' una loro ipotesi. *
Chi dunque dice fona, dice ereazione:
ecco il rero dinamismo, il dinamismo
positi?o. Perciò erra tanto il materialista
grossolano quando afferma ch/D la forza
naaea dalla materia, o ne sia una
pura e semplice determinazione ; qnanto
il dinamista puro (Hibn, Cotuiquence» phil.
et
mHaph.
de la Thirmodinamique, Paris, 1868) che
pretende concepire la fona anteriore alla
materia! La forza Don nasce dalla
materia, o per la materia. La forza
si pone, e perciò si crea nella
materia. Il suo nascere è creare nel
Tero senso della parola; è uscire ex
nihilo, E qual è il nulla f Il
nulla del filosofo cattolico, no: cotesto
nuUa ò impossibile, perchè ò inconcepibile.
Dunque è la materia, ma la materia
considerata come puro Fatto, come pura
capaciti, come possibilità. Platone la
diceya ricetta- colo, e diceva benissimo.
Dov'errava? Errava gravemente nel determinare il
modo con che nel contenente sorga il
contenuto. È precisamente Ter- rore del
materialista moderno. La forza, dice
questi, suppone la materia. Certamente! ma
non ò pnra e semplice trae/ormanane o
modiJicoMione o qualità di materia. La
materia in qnanto diventa forza è
conato : e perciò (ripetiamolo) ò
intervallo già superato; ò atto
propriamente detto, e Se intanto l'atomo
è an'essenzial dualità, in esso è l'esigenza
dell'altro atomo, delle molecole, del corpo,
del- l'organismo atomico. Ma ecco tosto nn
dilemma: o l'atomo è semplice, o è
composto. È egli semplice? Dunque non
può dare il composto. È egli
composto? Dunque richiede il semplice.
Dilemma seriissimo, davvero. L'atomo non è
l'una cosa ne l'altra; o, più ve- ramente,,
è r una cosa e l' altra insieme.
Se l'atomo, è conato, momento in cui
la materia e la forza si com- penetrano;
come dirlo semplice? come dirlo composto? Pertanto
se l' atomo è conato, perciò racchiude l'
esi- genza degli altri atomi. Dunque? dunque
l'atomo non ha
figura
in quanto è un esteso metafisico, ma
ha figura in quanto si marita e
si converte con altro atomo: la
figura è un risultato. Or se l' atomo
è virtii d' estensione che si attudij
avviene che, come tale, e' debba essere
attrazione: e s'egli è virtii di
moversi in atto, avviene altre» che, come
tale, e'debb'esser moto essenzialmente rotatorio} Se
dunque 1' atomo in quanto conato è
insieme iden- tico e diverso, perciò è
in sé, e fuori di se; è per
sé, e anche per V altro; abbisogna
dell' altro. Per questa comune proprietà
gli atomi ci rendon quasi immagine delle
idee platoniche, la cui vita sta
nell' essere essen- qaindi è atto
naovo, atto creatÌTo. — Eccoci al miracolo!
sento grridarmi. Precisamente al miracolo :
ma gli è nn miracolo essensialmente
naturale, unlversaie, necessario; e per
consegnenza non ò miracolo. Se dunoue
VeaUto metafinco è la forza in quanto
si genera nella mcUeriiif ne viene
cne VaUnno ha da essere tutt* altro
che inerte. Anzi è la materia, è V
etere, è Y abaro, è quel quid
nebulare primitivo che, da unità
indeterminata, passa ad essere anche forza,
profonda energìa in cui e per cui
sMnaugura il Prooeeeo fieieo. Se così
non fosse, io domando, come farebbe
il chimico ad inten- der le leggi deir
affinità? E se così non fosse, la
moderna dottrina del- Tatonicità non
andrebbe in fumo? ' Questo è il
moro etemo e continuo dell* Aristotelismo,
cagione d'ogni moto, il quale perciò
non può non ettere un moto circolare
nello epaxio {Phye,, Vili, ix), e come
tale è moto naturale d'un elemento
eempliee du
non ha
contrari, {De Cod., I, li). Al Motore
motto bisogna sostituire il Conato ; e
il moto circolare non avente contrari
bisogna darlo all' essenza stessa deir
atomo, dell* eeteeo metafieieo. Ecco una
delle correzioni vitali della cosmologia
aristotelica richieste logicamente daU' indirimco
medio. zialmente relative. L' atomo qaiadì,
in quanto è mede- simezza, è attrazione;
in quanto è medesimezza e di- versità,
è rotazione e circolarità. Dunque può dare
ori- gine al moto per induzione e
rivoluzione, che à moto secondario e
derivato. Or questa legge si verifica
in una lunga serie di fenomeni; luce,
elettrico, calorico, magne- tico.' Si verifica
ne' grandi coi*pi dell' universo. Perchè non
dovrà verificarsi altresì, e principalmente,
in seno alla stessa vita intima degli
atomi ? Attrazione e rota- zione, dunque,
riduconsi ad un sol fatto primitivo,
uni- versale, assoluto. Il conato è moto
essenzialmente ro- tatorio ; e quindi è
la sorgente prima d' ogni e qualun- que
forma di moto. La legge di rotazione
perciò è legge universale; ed è la
sostanza stessa cosi delle grandi, come
delle piccole masse: Questo in se
stesso sforearsiy è uno in se stesso
convertirsi.* Le conseguenze di questa
dottrina cosmologica sono evidenti, originali,
modernissime. n vuoto è un assurdo;
perchè è un assurdo il nulla.' Esiste
dunque V universo infinito ; ed è
tale non come mondi, ben^i come
conato, come sostanza universale
determìnantesi
ne' due attributi essenziali della spazia- lità
e temporaneità pure. È un assurdo il
moto comu- nicato, perchè è un assurdo
che la forza si rompa, si scinda,
si divida: senza dir già che, se
è vero che la forza debb'essere anche
materia, la comuniccmone del moto im- porterebbe
la compenetrazione e insieme la inerzia
degli atomi, ciò che costituisce un
doppio assurdo. — È uYi ' Ved. a
questo proposito la bella Mem. del
Poxzolini {Indumone delU forte finche,
Bologna, 18^8), il Baudrimoni, Atomologie
(1861) e le tre Memorie eu la
atrtUtura cUi* Corpi. (Bordeaux 1864.) *
Ved. la Mem. su la Legge univeraale
di rotazione del nostro amico prof.
Bàrbera, della quale accettiamo in gran
parte la dottrina perchè ci sembra
un'applicazione rigorosa de*principii cosmologici
del Vico. Del Bàrbera merita esser
letto il discorso stupendo sul Newton
e la Filoeofia Naturale (Napoli, 1870).
La Memoria poco fa citata del
Pozzolini, come que- sti due scritti del
Bàrbera, sono i primi segui d' una
riforma seria delle scienze astronomiche e
della filosofia naturale in Italia. ■
Abibt., PAy«., IV, Tiii. assurdo che
il moto universale cominci e finisca,
poiché è un assurdo che il mondo,
che è pur egli necessario come termine
di conversione dialettica^ abbia principio e
fine. È un assurdo un impulso
primitivo impresso da Dio alla materia,
ciò che è V esigenza illegittima del fiacco
Peripatetismo, dell'Aristotelismo platoneggiante: perciò
assurda e gratuitamente ipotetica la base
nella
quale
s'appoggia la teorica Newtoniana su T
origine del moto. — È un assurdo
che la materia diventata forza, ciò è
dire V atomo, tomi ad esser pura
materia; perciò assurdo che la forza
cessi d'esser quella che è nella sua essenza,
e che si sperda, che decresca, o
si menomi in qual si voglia modo.
Sono dunque un assurdo, sono in- dovinelli
da algebrisH quei conti e racconti di
certi facili calcolatori matematici che,
come il teologista e il millenario,
segnano già ne' secoli futuri la fine
e lo spe- gnimento della terra. Ne' loro
problemi essi dimenticano che la forza
è creazione: e dimenticano troppo facil- mente,
che creare vuol non dire annullamento. U
conato adunque, è il vero motore
immobile e mo- bilissimo dell'universo; è
l'universo stesso in quanto è infinita
potenzialità; è V àpxrì xcv)i<rs6>c
intrinsecato, es- senziato con l'universo
stesso.' Come tale l'universo procede di
numero in numero (secondo la frase
del Bruno) svolgendosi come mondi nelle
successioni, e perciò è infinito nel
tempo; e come tale anche l'uni- verso,
come il pensiero nel formarsi il
concetto dell'As- soluto, rende a Dio la
pariglia.^ Cosi il principio cosmo- '
LìtìQUB, Le premier moteur et la nature
dame le tyetòme tTArietote Paris 1852.
V. a qoesto proposito con che
assennatezza crìtica il Barthélemy Saint-HUaire
dÌMOm su la Cosmologia aristotelica
(PAyttgiM
trad,
en /rangaie et aceompagnie dCune paraphraee
et de note» perpetueUe», Paris 1862,
Introd. V. L) * Cosi resta
lesrittimato il concetto su V Universo
e su lo Spaaio del filosofo Nolano.
Egli pone Io spazio come infinito e
però infinito anche r universo che è
nello spazio [DeW Infinito Univereo e
Mondi, DinL I.) L* uniTerso certamente
ò inAnito, ma, ripetiamo, ò tale in
quanto è eo- naio ; e così pure
lo spazio. Perciò Mondo, Univerto, Spazio
ec., sono in- finiti nella successione, che
tuoI dire nella lor potenzialità. logico,
o meglio, il Primo cosmologico del
Vico, in men- tre che corregge la
vecchia cosmologia de' Platonici e degli Aristotelici,
condanna ad un tempo quella de' neo- aristotelici
empirici e degl' iperpsicologisti, legittimando r
esigenza de' meccanici e de' dinamisti,
de' Cartesiani e de'Leibniziani, che vuol
dire della materia e della forza.* I
moderni cosmologi avran fatto moltissimo
quando avranno ridotto ogni fenomeno ad
un ultimo fenomeno.* Essi così
dimostreranno, o meglio, verificheranno la vecchia
divinazione aristotelica. Ma si dovrà
arrestar qui la Cosmologia razionalmente
positiva? No, certo. U suo grande
problema sta nel dimostrare (e dimostrare non
vai mostrare) come quest'ultimo e
irreducibile e universal fenomeno, sia
precisamente la sostanza stessa delle cose,
la vita stessa degli esseri, la vita
dell'uni- verso che il Vico rassomiglia ad
una fiumana onde sgorga acqua sempre
nuova e perenne: H(BC est vita
rerum,
fluminis nempe istar quod idem videtur,
et sem- per alia atque alia aqua
profluit} Se il Processo fisico s' inaugura
col conato in quanto è un esteso
metafisico e risolvesi con l'estrinsecazione della
forza nel seno stesso della materia;
ne viene che tal debba essere altresì
il corpo nella sua sostanza; * È
inutile mostrare come il concetto del
nostro filosofo sul Conato sia una
correzione del conato leibniziano. Mostrammo
già raffiniti tra il Leib- nltz e
il Vico. Con la dottrina del conato
questi filosofi ci rappresentano en- trambi
r indirizzo medio dell* Aristotelismo negli
studi cosmologici. (P. 183.) Ma il
Nostro supera quel di Lipsia, perchè
il suo conato è essen- zialmente un
e«(e«o reale, metafisico, non già
fenomenico, ed apparente. Questo concetto
manca assolutamente nella Monadologia, *
Gens, il LoYR {E§9ai 9ur Videntité
de» agentt qui produigent ec., Paris
1861.) Obovr {Correlation de»
force» phi/9Ìque§, trad. Moigno, 1856). E. Saiqry
{E8»ai»nrVunité de» phenomène» nature!», Patìs
1867.) A. Sroohi {Unità ddle forze
fiticke ec. Roma 1864), Dr BoocHRPORif
[Du principe generale de la PhU.
naturale, Paris 1858). A. Obuyrb {Principe
de PhU, Phyeiqtte ec.) " De
Antiqui»»., p. 109. Gom* è evidente,
è il concotto fisico dell* indi- rizzo
medio aristotelico: La vita universale
della natura non conosce riposo, nò
morte: Kac toOto flèOxvarov xac an'auTrov
xinapytt roi^ ouTtv^ otov ^a)>j Ttc
ouffa toì; fxivtt ^uvio-tùtc notvtv. Phy».,
Vili, i. Siciliani. 8f forza attuata;
monodinafnia ; e però sorgente perenne di
forze
fisiche, meccaniche, chimiche, dinamiche. L'atomo è
sfornito di centro, perchè è centro
egli stesso. Il corpo lo possiede
cotesto centro ; ma è di natura
ideale, e perciò rende immagine dell'
universo stellare nel quale il cen- tro
non è in alcun luogo, e pure è
dappertutto, il moto nel corpo è
monotono ; è un' etema produzione di
forza ; e questa forza non è, a
dir proprio, la vita. Però è un conato
onde V analisi delle forze omogenee e
de' comuni agenti di natura tende ad
elevarsi alla sintesi; ed è (ri- petiamo)
lo sforzo del numero che volge ad
unità. Or la necessità di questo
conato non importa egli un altro intervallo?
Il centro dunque si manifesta nel
vegetabile, e s' inaugura il mondo degli
organismi. Posto il Processo fisico, la
forza, nata già nella materia, qui
nasce in sé stessa, qui rinasce, qui
si rinnova, e qui è vita. Ma
neanche il vegetabile, a dir giusto,
possiede un centro reale. Dun- que il
vegetabile non è vita, bensì passaggio,
e quindi strumento di vita. 11
Processo fisico perciò trae seco il processo
geologico; e la genesi della forza
importa la genesi della terra. Il
processo geogenico alla sua volta importa
il Processo organico (vegetale e animale)
e quindi il Processo paleontologico, entro
cui si vengono accumulando e sovrapponendosi
cento e mille faune e flore. Dalla
roccia cristallina non istratificata e non fossilifera
alle più recenti produzioni geologiche; dal
jeriodo
antizoico al post-pliocene e all' attuale,
rivelasi tutto un processo di forza. È
il Fatto che si fa come forza,
ma in quanto è altresì conato alla
vita.' * DaU* epoca eotoica nella
qaale a* annunzia la prima aara
vitale, e molto più dair epoca
paleozoica alla oenozoiea e da questa
ali* età poti- Urxtarifi (quaternaria),
accade che col processo fisico e
g^logico si marita il
processo
paleontologico, e così ci si manifesta
la continuità della vita at- traverso
le forme organiche passate o presenti.
Or se tutto ò processo e conversione
e perciò successione costante di fatti
regrolati da lejrgi necessarie ed
immutabili, ne viene che i cataclismi,
riferiti a cagioni ipercosmiche, contraddicono
evidentemente alla ragion filosofica positiva, nò
V* ha interpretazione benigna ed ingegnosa
della critica teologica che sappia
legittimare la cronologia mosaica ed
il racconto biblico. Ma a Ma come
avviene egli il passaggio del Processo
fisico air organico, e quindi U
passaggio della forza alla vita? Avviene
per legge di conversione ; la quale
perciò, sup- ponendo r intervallo, importa
la differenza. S'invocano, al solito, anelli
intermedi nel r^no vegetabile. Ma forse che
il vegetabile rappresenta il transito
eflFettivo tra il minerale e l' animale?
SMnvocf no analogie esteriori fra certi
minerali e certe piante. Ma forse che
accanto alle analogie non sorgono
diflFerenze profonde? * S' invoca la eterogenesi,
e se ne traggono disparate illazioni
secondo il sistema che si vuol
propugnare, come se la genera- zione
spontanea possa soggiacere a dimostrazione.*
noi
non ci ò permesso intrattenerci intomo
a questa particolarità. Solamente ci preme
d* aTfertire che il concetto del
procetio^ nella Geo- logia e nella Storia
naturale, forma oggi V onore del
Lyell e del Darwin. Ma se la
Sdenta Nuova ò la dimostrazione, o,
per lo meno, 1* esigenza del processo
isterico, in essa è racchiusa la
verità della moderna geo- logia e zoologia. Quando
il Vico dice che i fllosoA prima
di lui avefaii ricercato Dio, la
scienza, il divino nel mondo della
natura e non per ancho in quello
della storia, ei s' ingannava. La vera
scienza di natura, in generale, sta
nel conoscere principalmente due cose: i^
il doppio processo geogenico e organico
(paleo-zoologico), in modo affatto spe- rimentale;
2* neir annodarli entrambi in guisa
razionale col processo isterico. Or la
scienza di natura condotta a questa
maniera è posteriore a lui, essendo
nata e cresciuta principalmente sotto gli
occhi de' due dotti inglesi poco fa
mentovati, mentr' ei non faceva che
inaugurarla pre- venendone i grandi risultati.
E questi insigni risultati preveniva non già
producendo scoperte geologiche, zoologiche e
paleontologiche, ma incarnando i^el processo
de* fatti umani V esigenza del metodo
isterico, e gettando i germi d* una
dottrina cosmologica nella quale, come s*
ò visto, è racchiusa la necessità del
processo universale, e, iu questo, la necessità
del triplice svolgimento fisico, organico e
storico. * I vecchi naturalisti pretendevano
rintracciare argomenti in favore della
continuità reale fra questi due processi,
notando la struttura mirabUe e squisita,
per es., deirArragonite cotanto affine a
quella d*uno de* più elementari vegetabili;
come se nel cristallo la composizione
semplice, uni- forme, immobile cosi nel
tutto come nelle parti e senza centri
ne* suoi nuclei
ed
elementi, avesse che vedere col composto
organico più rudimentale ! * Il fatto
della eterogenesi è tuttora un* ipoUsi,
e probabilmente re- sterà sempre tale nel
campo della osservazione, ma è ten
nella mente del filosofo. Gli eterogenisti
s'affaticano a dimostrare coi fatto ciò
che già di per so stesso ò fatto
! La genesi spontanea, appunto perchè
tale, non è un fenomeno di
trasformazione d* indole meccanica della
/orna alla vita: essa importa già un
transito, e quindi un intervallo. Come Per
la medesima legge avviene il passaggio
dal ve- getabile air animale. È vecchio
il pregiudizio per cui si è creduto
che Tun ordine d'esseri si congiunga
al- l' altro col digradarsi del processo
superiore, e col per- fezionarsi deU'
inferiore. Il pesce si congiugne con l'
an- fibio ; gli anelli zoologici inferiori
s' annodano co' vege- tabili superiori, e
simili immaginazioni. Oggimai è d' uopo raccomandarci
alla paleontologia, e alla geologia. Queste scienze
ci additano un processo quasi parallelo
ne' due ordini in che viene
sdoppiandosi la vita sin dalle sue origini
primitive.* Il Processo organico dunque non
può danque potrà esser possibile in
tal caso una prova sperimentale seria e
irrepugnabile? Ti sono parecchi sperimenti,
io lo so. Ma come fatti? Quante
e quali cautele sono state adoperate
? La questione della genesi spontanea
ò mal posta. E poiché il naturalista
non ò in grado di porla diversamente
di quel che fa, sarà quindi
necessario abbandonarne la so- luzione ad
altro metodo, ad altra maniera d*
investigazione. In somma
è una
questione essenzialmente filosofica: si diano
pace i travagliati seguaci del Pasteur
e del Poullet! * Neir epoca
j9aZ«oltKeaapparÌ8con le grittogame superiori :
indi, nel- l' epoca nuéoUtica^ le piante
conifere : appresso, nell* età oenoUtica^
le fa- nerogame ; e, finalmente, nelP
età antropolUica, o meglio pott-terxiarta,
si manifesta la flora attuale. Ecco
qui un processo nella flora primitiva.
Il medesimo reggiamo nello svolgimento della
fauna. Co* più modesti tipi vegetabili
s* accompagnano i più bassi tipi
zoologici negli strati inferiori che ci
rappresentano l'età originaria; e, nella
medesima epoca negli strati superiori
veggiamo lu prime forme di pesci, accanto
alle quali appariscon le grittogame. Con
le conifere appaiono i rettili ; e
negli strati superiori additatici dal
periodo eenolitico, appariscon gli uccelli.
Ai rettili ed agli uccelli, dappresso
alle fanerogame teugon dietro e si
manif^tano le forme inferiori de* mammiferi
; e negli strati superiori del
perìodo terziario si rivelano le primo
tracce del regno umano. Alla flora
attuale poi s* ac- compagrna T attuale
fauna; il processo riesce evidente anche
qui, e il ri- scontro ne'caratteri generali,
nella flsonomia e nell* insieme delle
rela- zioni geografiche e biologiche, toma
evidentissimo. Vegetabile e Animale, dunque,
sono due correnti, per cosi dirle,
che movon da una medesima sorgente.
Elle si rassomiglian nella semplicità ed
omogeneità delle for- me primitive ; e
tal riscontro è più spiccato in
ragione che il panteolo- gista ascende
verso il centro comune. Sennonché il
processo nella serie zoologica è assai
più compatto e variato; lo svolgersi
è più rapido, e l'at- tuarsi di questo
svolgimento è più intricato quanto più
ci accostiamo alle recenti formazioni. Tal
è, per es., lo sviluppo che ci
palesano gli arti- colati e i vertebrati,
a differenza del modo con che si
vanno svolgendo
le
classi de* vermi, de* molluschi, de*
celenterati, degli echinodermt non esser di
natura essenzialmente polare. Il vegetabile e
r animale ci rappresentano incarnata la
legge univer- sale della dualità; la quale
movendo dalF unità sintetica iniziale e confusa
e passando per V analisi, riesce ad
una sintesi concreta, determinata, analizzata.
La vita è vita in quanto si
diversifica: è vita in quanto si
etereogenizecu^ Ma dov'è la radice primitiva
ond'emerge questa dop-
pia scala
in cui e per cui la forza,
incarnandosi, diventa vita? Non si discerne
cotesta radice: non si verifica; né si
può verificare. Fin negli strati primigeni
dell' età ar- cheolitica vi è tracce
di vita animale e vegetale. Dunque il
fatto, r osservazione, ci pone sott'
occhio una dualità. Ma una dualità
originaria, ripetiamolo anche qui, non è un
assurdo? Dunque l'analisi, il fatto,
suppone già una sintesi rudimentale, in
cui sia germinalmente contenuta la doppia
forma di vita vegetale ed animale. Or
questo co- mune stipite, che con felice
espressione un illustre vivente naturalista
ha chiamato unità astratta,'^ o non
esiste come realtà sensata, ovvero,
esistendo, non può essere, a dir proprio,
ne vegetabile, né animale, ma l'una
cosa e l'al- tra insieme. S' ella é
una realtà, è destinata a scomparire dal
regno della vita, appunto perché non
é forza né vita. S'ella é una
realtà, sarà un soggetto di natura
indeter- minata, fisica e organica ad un
tempo. In essa la forza
diventa
vita; e quindi, più che anello di
continuità reale, ci rappresenta una
continuità ideale ; e perciò con l'
in- tervallo reale ci significa la virtù
e l'efficacia del conato,* * Ved. H.
SpBircRR, E$$ay$ $ei€ntifìe, polUicalf (md
9peeulativef ed. cit. Veramente ingegnosa è
V analisi che quest* autore fa circa
il modo con che avviene il procetso
zoologico il quale egli talora chiama
|7roee««o di di/- /erenziafzione : e
non meno ingegnosa è quella sul
processo geologico, etno- logico e paleontologico.
Jl difetto sta neir applicare la sua
legge al pro- cesso èoeiologieOf dov* egli
evidentemente abusa delle analogie estrinseche col.
mondo zoologico. Si vegga, per dirne
una, come considera il fatto de* fili
telegrafici che abcompagnauo sempre le vie ferrate,
in relazione a certe leggi biologiche
degli organismi zoologici inferiori. * VoQT,
Le<;on9 tur VEommCf »a place dant
la criation ec., Paris, 1865. ' Sarà
egli il regno de* Protiati cotesto
comune stipite? .\mmettia- molo pure. Ma
tosto sorgo la domanda : in che
maniera il proti%ta, che Sennonché nel
doppio processo attraverso cui rive- lasi la
vita, veggiamo verificai la medesima legge ond'
è governato il processo tìsico : uno
de' termini della dualità supera V
altro. Come nel punio si genera il
momento, e come nella materia si
produce la forza, di pari modo la
vita vegetabile ed animale, secondochè ci
attestano gli strati superiori dell' epoca
archeolitica, non si può dir che
succedano per legge di fUiousione e di
successione, ma neanche procedono in
maniera pa-
rallela e
quasi di fronte. Primo a determinarsi
è il vege- tabile; ma egli procede
sempre un passo indietro rispetto all'
ente zoologico. Il valore e il grado
organico vitale de' tipi vegetali si
sviluppa siflFattamente, che ci addita una
relazione costante con la esplicazione
delle prime tracce di vita animale
palesateci dagli strati inferiori paleontologici
Sennonché tosto 1' attività zoologica si mostra
piii gagliarda; ed ecco appariscono i
pesci. Vi é dunque un processo fra
i pesci e le forme vegetabili pri- mitive
degli strati inferiori. Nell'epoca paleolitica
il pa- rallelismo par che si voglia
ristabilire. Prosegue la pro- duzione de' pesci;
ma vi ha predominio di grittogamo superiori
(felci). Tosto il parallelismo si rompe
: e dove ne' profondi strati dell'
età mesolitica ci é predominio de' rettili
e piante conifere, negli strati superiori
già compariscono gli uccelli. Il parallelismo
si rompe an- cora; si dispaia vie più;
ed ecco che nell'epoca cenolitica, tuttoché
col predominio delle fanerogame si palesino
le forme inferiori de' mammiferi (fra
cui il piccolo mar- supiale è il più
antico), negli strati superiori tralucono già
le prime tracce del processo animale-umano.
11 pa- di per sé stesso ^ò
cotanto semplice, debole, molle ed omogeneo
si sdop- pierà?Come I* omogeneo s*
individua, si differenzia senza nn
interrallo? Come, senza il concetto del
conato, questa iniziale unità, questa unith astratta
e indoterminata passerà a determinarsi
nella dualità del vegeta-
bile e
deir animale? Nella Storia Naturale il
protùta ci rappresenta ciò che nella
Cosmogonia è la materia nebulare: ipoteti
perciò Tuna T al- tra cosa agli occhi
del fisico e del naturalista, ma che
con la nostra formola cosmologica potranno
assumere valore di teti. rallelismo è
già beli' e scomparso nell' età
quaterneria (periodo postpliocene).* Vita
vegetativa, dunque, vita animale e vita
dello spirito non assomigliano già, come
ordinariamente si dice, ad una vasta
piramide di cui la prima d'esse raf- figuri
la base, k seconda rappresenti la
parte mediana, e la terza poi
simboleggi '1 culmine e quasi ne sia
il corona- mento. Cotesto piramidi e scale
e sovrapposizioni e gra- dazioni ascensive
ritmiche sono tricotomie fatte a' gusti degli
Hegeliani; e ci rammentano le tre
anime de' vec- chi scolastici e de' vecchi
peripatetici. Ma nò le tricoto- mie seriali,
né le sovrapposizioni peripatetiche varranno a
significarci mai la natura intima delle
cose e la legge della vita e del
pensiero che è legge di creazione.
Esse al più ci potranno significare un
fatto : cioè, o un processo di
trasformcunane fenomenale, ovvero un intervento
del solito JDeus machina, chiamisi Dio
creante, chiamisi Idea reali^BantesL Son
elle dunque frutto d' osservazione ed esperienza
grossolana, ovvero parto di fantasia e
di lo- gica abusata e sistematica. Il
processo organico zoolo-
* L*
UD de* tormini deUa dualità organica
(vegetale e animale), su- pera dunque P
altro; e siffattamente può dirsi che
il regno zoologico si elevi sul regno
vegetabile, e vi s* adagi. Il
vegetabile quindi nasce pri- mo, e primo
si ferma : poiché mentre V ente
zoologico assolve il processo organico
attingendo perciò 1* unità vitale, il
processo dell* ente vegeta- bile non si
risolve, ma s* arresta. lia vita vegetativa
dunque non è ca- gione, non è
principio, non è sorgente, bensì mezzo,
strumento, condi- zione preposta dalla natura
stessa acciò sia fatto possibile il
processo zoo- logico. E che la vita
animale sorga nétta vita vegetativa, n*
è conferma sperimentale V impossibilità eh*
ella esista senza il* soccorso del
vegeta- bile. In una sfera superiore, in
una superiore dualità, i termini appari- scono
assai più indipendenti : r ente umano
può non aver bisogno d'una delle due
forme di vita vegetale e animale.
Vegetabile ed Animale, dunque, ci
rappresentano una dualità essenziale: una
dualità in cui, col geminarsi del
Processo Fisico, vien fuora il regno
della vita. La forza non si con- verte
seco stessa per assumer valore vitale,
tranne che sdoppiandosi ne* due regni dell*
organismo vegetabile ed animale. Siffatta
dualità quindi ci ò figurata, per così
esprìmerci, da due linee che, movendo
da un centro comune e originario,
divergano e s* allarghino sempre più,
e col divergere convergano, e con
l'allargarsi s'accostino e s'annodino fra
loro per atti- nenze molteplici nutritive,
chimiche, fisiche, meccaniche o dinamiche. gico
che s'incarna e si concreta ne' Molluschi,
ne' Rag- giati, negli Articolati, ne' Vermi
e negl' Infusorii, noa ostante gli
sforzi pazienti, efficaci e nobilissimi de'
na- turalisti, ci presenta pur sempre forme
originarie di- yerse, irreducibili. A che
dunque immaginarle, come
per il
solito costumano fare i moderni
iperpsicologisti aristotelici, quasi fossero uno
svolgimento serrato, fitto e compatto d' una
forma primitiva ? * Ora se il
regno organico non può non esser
nume- ro, dualità; vuol dire eh' ei
non si risolve in sé mede- simo; vuol
dire ch'ei non chiude il circolo; e
vuol dire perciò che nella vita è
pur mestieri che sorga no- vella vita,
e in seno al processo zoologico
rampolli 1 processo iperzoologico. Non
chiude il circolo, abbiamo detto ;
perchè? Non solo perchè è un'
essenzial dualità e quindi come tale
irreducibile, ma anche perchè l' un '
Lo stesso Darwin (per non parlare
delKAgassiz) riconosce quattro 0 cìnqae tipi
irreducibili nel regno della Zoologia, e
altrettanti in quello della Botanica (De
VOrigine det etpècet, trad. frane, p.
669.) Or eia- senno di questi tipi
fondamentoli costituisce anch' egli un processo;
ri- pete anch* egli nel proprio svolgimento
la medesima leggo universale che sopravveglia
al Processo cosmogonico. Però oggi la
teorica Darwiniana, chi ben la comprenda,
non faclie confermare, nel mondo della
vita organica, la nostra formola
cosmologica. La quale viene altresì
confermata in maniera invitta dalla
Paleontologia, dair Embriogenià, dalla
Tassonomia, dalla Morfologia, così nel tempo
come nello spazio geologico ed attuale. A
questo proposito potremmo dire che
rafn/7Aioa»(«,peresempio, sia come il simbolo
per eccellenza di questa legge. Quel
che in lui è permanente, in tutt*
i vertebrati è passeggiero e progressivo.
Perciò il valor della vita
nel
processo zoologico cresce, non altrimenti
che la legge di gravità, col farsi
vieppiù complesse e complessive e diverse
le relazioni biologi- che, anatomiche e
geografiche. 1 tipi fondamentali adunque
attuano la vita, ma non succedendosi,
non isvolgendosi ^Qt JUiaxìone, direbbero
TAgas- siz e lo Spencer, sibbene
movendosi quasi di fronte anch* essi,
e in modo, per si esprimerci,
parallelo. Però il Darwin e THoeckel
fan benissimo a paragonare V esplicazione
del mondo organico al crescere e
diramarsi d'un albero : ma il
difficile pel Darwinismo ove sta ?
Sta nel darci ragione della radice
prima, delle barbe estreme di cotest*
albero, nonché dell* estreme
produzioni
degli ultimi suoi rami. A tal duplice
bisogno i Darwiniani non soddisfano; ed
ecco perchè riescono ad una dottrina
incompiuta di storia naturale, anzi erronea,
tuttoché paia positiva, positivissima agli occhi
loro, come vedremo fra poco. (Ved.
Aqassiz, De Vetpéce et de la da$»,
en Zoologie^ trad. Vogoli, 1869.) de' due
termini di questa dualità zoofitologica
lasciasi indietro il suo compagno; di
maniera che restandoselo, e' non più
chiudere, anzi per ciò ha da
schiudere il cir- colo. Or nella gran
legge del processo universale, schiu- dere
il circolo non vuol dir già rifare
il già fatto. Vuol dir fare: 'vuol
dire far di nuovo, andare più in su,
"rom- pere sempre più i limiti e
rendere spedito lo sforeo im* pedito e
allontanarsi e uscire sempre più dal
nulla: in- somma vuol dir creare. Dunque
il processo iperzoologico, il processo
isterico, non potendo sgorgare in veruna maniera
da un qualche punto in che possano
per av-
ventura
coincider le due linee sovra cui s'è
andata svol- gendo la doppia forma di
vita animale e vegetativa, debb' emerger
necessariamente dal seno istesso d'una delle
due serie; da quella serie la quale,
superando l'altra, si prolunghi e lascisi
indietro la prima. Qui il moto, la
vita è senso, e il senso è
moto. Qui il centro si sdoppia, ed
è pur visibile. La vita muove dal
cuore, per esempio, e, rincirculando, vi
fa ritomo. Sgorga an- che dal cervello,
e, per intime riflessioni moltiplican- dosi
e rincirculando anche qui, va a
rifondei-si nel me- desimo foco ; talché
cotesto foco è centro, e nel mede- simo
tempo circonferenza. Sennonché, l'unità che
qui è visibile e tangibile, é ella
altrettanto intelligìbile? Se fosse davvero
intelligibile, non sarebbe altresì intel- ligente?
Che cosa dunque le manca?... La
dualità qui non solamente rivelasi
nell'orga- nismo, nell'organismo perfetto del
mammifero: ella ri- velasi anche lungo tutta
la serie, in ispecie al sommo della
serie degli organismi zoologici considerati,
per dirla col Lamarck, siccome formanti
unico organismo. Di fatto il processo
zoologico, il mondo animale, la Vita, finisce
col produrre anch' ella una dualità: la
dualità del quadrumane e del bimane.
Eccoci all' estremo con- fine del mondo
animale; all'ultimo sdoppiamento del processo
zoolop;ico. Qui dunque é inevitabile un
novello conato, uno sforso impedito e
superato, il conato su-
premo
della vita. Nella vita insomma si
genera il pen- siero; ed eccoci alla
creazione d'un nuovo genere, d'un Sommo
genere, del Sommo Genere: Humanum Genus. Questo
genere umano è egli un ordine
zoologico? Senza dubbio; è un ordine
zoologico. Ma non è altresì un régno?
È un ordine quant' alle analogie
fisiche, bio- logiche, anatomiche eh' ei
serba rispetto alle altre fa- miglie di
bimani : è un ordine perchè qui
havvi conti- nuità (to' avvi^ù), continuità
materiale, sensata, reale. Ma non è
anche un genere? anzi'l Genere sommo?
Certo è tale ; ed è tale per
una ragione assai semplice e chiara, meno
pel materialista e pel positivista
Darwiniano. Nel Processo fisico la specie
è nel genere, e vi si confonde
; poiché in esso tutto è omogeneità,
tutto monotonia, tutto immobilità nello
stesso moto interno del mondo degli
atomi e della materia fnetafisica. Nel
Processo or- ganico vegetativo, per contrario,
le specie si moltipli- cano; e in esse
incarnasi '1 principio dell'eterogeneità, dell'analisi.
Nel Processo zoologico le si moltiplicano
an- cora, ma si moltiplicano limitando sé
stesse; poiché il generale qui si
compie nella cotnplessità. Solamente nel Processo
isterico e sociologico l'individuo è vero
indivi-
duo, poiché
é genere e specie ad un tempo
istesso. Che cos' é la specie? È
il genere in quanto genera sé mede- simo
: é lo stesso genere che si
moltiplica, e si differenzia.
Dunque
la specie compie il genere. E lo
compie non solo perchè lo sustanzia,
lo concreta e lo individua, ma an- che
perché si porge a lui qual mezzo,
strumento, anello, onde un genere procede
all'esplicazione d'un genere novello. Inutili
dunque gì' intervalli fra gli anelli d'
un genere. Qui è il regno della
trasformazione e della reale continuità, e
la natura non vi procede a salti.
Qui il passaggio riesce insensibile, e
può essere studiato in ma- niera
sperimentalmente positiva: ecco l' onore, il
grande onore del Darwinismo. Or la
specie umana non è anello, non è
mezzo, non è strumento fra due
generi. L' ente umano è specie e
genere in sé, poiché in sé stesso^ personalità.
Ed è personalità perchè è pensiero:
ed è pensiero perchè è triplicità
ori,jinaria. Egli dunque, udir proprio,
conchiude, compendia e chiude il circolo del
processo cosmico. L' origine sua è
modestissima : egli emerge dal mondo
zoologico, e per questo anche lui è
un ente zoologico. Ma non è egli
forse Y Animai politico (Uov TTo^tTtxov)
d'Aristotile? Non è egli forse Y Animai religioso
(Cwv puexTcxov) di Platone? Anch'egli
dunque è un mezzo; ma è mezzo a
sé medesimo: ed è mezzo a sé
stesso appunto perchè è il fine delle
cose. I modernis- simi Individualisti quindi
hanno ragione a predicarci una verità
vecchissima : il regno umano essere
umano
appunto
perchè in esso quot sunt individua
tot suni species. Qui dunque la specie
è genere perchè è vero individuo, ed
è vero individuo perchè è genere.
Olii è in grado infatti di pensare
e pronunziare Y ineflFabile lo entro
cui s' aduna tutto il valore dell'
universo, in lui, individuo, vive
l'universale; in lui, individuo, è l'altro
individuo, e pur se ne distingue. Alla
vita succede il pensiero; o meglio,
nella vita sorge il pensiero. L'essenza
di esso è l' universalità e in- sieme
l'individuazione, medesimezza e diversità, con- versione
in atto; è la conversione che s'attua
sempre più nel tempo e nello spazio.
Ed è sempre il punctum e '1 moìnentum,
è sempre la suprema dualità del mondo cosmico,
è sempre il conato, lo sformo
impedito che qui non si ripete, ma
riappare trasfigurato nella rappre-
sentazione,
nel sentimento, nel fantasma, nella co- scienza.
E qui davvero il punto e '1
momento unum idemque sunt, poiché il
cronotopo torna ad esser puro, ma
traendo seco ben diverso contenuto. Il
cronotopo è già divenuto coscienza,
presenzialità, riflessione, tras- parenza della
stessa natura.... Qua! è dunque la
con- seguenza? Conseguenza chiara, inevitabile: un
gemre superiore all' umano è impossibile,
è assurdo, per la stessa necessità di
natura: rebus ipsis didantibus. Le idee,
le idee umane qui sono per sé
stesse idee divine,
naturcdmente
divine. Ecco perciò ud altro mondo,
un altro cielo, un altro aere! Ecco
perciò un altro pro- cesso, un altro
circolo sconiSnato ! La legge è pur
sem- pre la stessa: ma il conato già
divenuto coscienza, cioè la materia
metafisica già divenuta luce metafisica
crea la società. Il conato qui è
sentimento, e crea la Religione. Il
conato è fantasia, e, come tale, crea
l'Arte. Il conato è libertà, auctorUas
naturaliSy e crea lo Stato e la
Scuola. Il conato è ragione, e crea
la Scienza. Eccoci dunque tornati in
seno al processo e al cir- colo
psicologico, in seno alla genesi e
alla teleologia psi- cologica. Se dunque il
conato qui è Ragione spiegata, ne
viene che cotesto ente iperzoologico,
cotesto ente umanoj surto nel grembo
stesso della natura ej per opera e
attività profonda di natura, ha da
essere il Re e '1 Sacerdote di
se stesso. Ma torniamo ancora al
Darwinismo, alla grande dot- trina del mondo
moderno. Il processo zoologico pel Dar- win
è quasi un albero; immagine, dicemmo,
felicissima. Egli ci mostra come si
dispieghino e crescano e perdu- rino i
rami divem di quest'albero; ma la sua
dottrina non va al di là della
radice, né giugne al di qua de'
ra- mi. Non vede né come la radice
sia unità confusa con- tenente una dualità,
né come gli ultimi rami, adunan-
dosi e
raccogliendosi in due fasci, siano anch'
essi una dualità, ma una dualità
spiegata, la quale perciò rac- chiude r
esigenza dell' unità. La ipotesi, come
altrove dicemmo, é quasi lo strascico
che accompagna sempre la mente del naturalista
e del severo sperimentalista. La ipotesi
xwowisoria su la pangenesi (come il
Darwin la chiama nella seconda sua
opera), é un lampo di speculazione
fisosofica; ma lampo incerto, debole, fuga-
Gissimo,
il quale ci addimostra più aperto il
difetto della dottrina Darwiniana.* Ma nelle
intenzioni del Darwin, e più de' Darwi- niani,
la nuova dottrina zoologica, anziché una
teleo- logia degli enti zoologici, è una
teorica onninamente meccanica del mondo
animale, e, ciò che più duole, empirica.
I Darwiniani oggi sono i Positivisti
della Sto- ria Naturale; e, come i
Positivisti, rappresentano an- ch'essi l'indirizzo
empirico dell'Aristotelismo. Che se r antica
Storia degli animali è anche per essi
un capo- lavoro, non sarebbe tale ov'
ei pensassero come questo * Il
Darwinismo, chi ben Io intenda, è nna
splendida pagina di te- leologia applicata
al mondo degli organismi. Ma non
tutti i naturalisti ^ Jian saputo
cogliere quest* aspetto originale, che anzi
non è mancato chi come il KOllicher
e 1* Hoeckel, abbia accusato il
Darwinismo di favorire
la
teleologia, in Italia, al solito, chi
leva alle stelle il Darwin, e chi
lo ripudia e lo ricaccia giù nel
letamaio senza guari capirlo. Chi Io
innalza alle stelle, gli fa più male
che bene ; e questi sono i
malati di tcimmio- mania. Chi poi lo
caccia nel letamàio fa male a so
stesso, perchè dà segno d* intendersene
assai poco. E neanche gì* Iddii
superiori del nostro olimpo filosofico e
letterario, quali sono il Tommaseo ed
il Mamiani, ci porgono segno d* averne
ponderato V importanza. Il Mamiani
chiamerebbe il Darwinismo nna teleologia
utilitaria ; per cui nella dottrina
del natura- lista inglese J* A. delle
Confezioni ha visto radicato non so
che di Ben- tbamismo. Veramente non ha
tutti i torti T illustre Neoplatonico
se in mezzo a tanta e sì
accanita lotta p€r Vetittenxa ha scorto
incarnato r Utilitarismo. Anche Carlo Darwin
è nn anglo-sassone! Ma ecco quel che noi
osserviamo circa 1* accusa d* UtiHtariamo
lanciata contro alla dottrina Darwiniana. Se
ci ha ordin di fatti ne* quali
si possa e debbasi invocare il
Bentham, il processo zoologico è quel
desso. Quivi regna sovrano r istinto,
e vi impera la forza. Perciò il
domma della naturale elezione è proprio
il principio deir«a»2€, e non dell*
e^ruo-ÒMono. Sennohchò qui co- mincia a
regnare il principio deir«h7e, e qui
ha da finire. Il Wallace, che ad
ingegno potente deve certamente accoppiare
anima bella e gene- rosa, se n* ò
già accorto, quantunque anche lui di
schiatta inglese e, per giunta. Darwiniano.
Darwiniano infatti prima del Darwin, egli
dice che il principio deU*e{«nof» natunde
eeaea il giorno in che appare nelV
uo- mo il tento della eooialità. (Ved.
Sur Vorigine dee raeet humainee et
Van- iiquité
de VHomme, déduitee de la thiorie de
la téleetion naturelUf Gap. IV.) Questa
sentenza dell* illustre Wallace è nna
risposta molto acconcia ed
efficace
ai Darwiniani sistematici d* ogni paese,
che con tanto fanatismo ed esagerazione
parlano oggi delia naturai teienùme, fra*
quali, per es., il Lubbock, anima d*
inglese davvero. (Ved. VHomme avant VHiet.
ec, trad. Barbier,
Paris 1867, pag. 492.) libro del
yecchio di Stagira compiasi in tutte
le altre sue scritture, massime nel
concetto de' tre ordini di vita, e
neir idea di natura cui egli seppe
levarsi. Chec- ché ne sia, la legge
onde l'albero darwiniano si sviluppa e
cresce e sdoppiasi ed estende nei
suoi rami, è legge di pura
trasformazione, nel che sta proprio, giova
ripeterlo, l'indirizzo naturale ed empirico
dell'Aristotelismo in cotest' ordin di cose.
Ecco perchè il naturalista inglese non
riesce a spiegare né còme e donde
mai sorga la ra- dice del suo grand'
albero zoofitologico, né come e dove abbiano
a terminarsi le estreme sue ramificazioni.
Ai Dai'winiani dunque manca il vero
concetto teleologico naturale, perchè ad
essi manca, tuttoché ricchi d' in-
dagini
minute e di preziosissime induzioni
particolari, il moderno concetto della
creazione.' * Che il Darwinismo come dottrina
di storia naturale sia incompinta e,
sotto alcuni riguardi, anche fallace, T
attesta quella moltitudine di principii eh*
esso invoca per imprimerò a so
medesimo un yalore scien- tifico 0
razionale. Egli inroca il principio della
Coneorrenaa vitale, e della lotta per
V etUtenxa, Invoca il principio de*
Mutui rapporti fra gli orga- nimi. Chiama
in sussidio la legge ùeW Atfivitno, e
àeìV Adattainento,
Invoca
la legge della Divergenza de^ caratteri
zoologici; e, Analmente, quella che parrebbe
comprendere ogn* altra della Slexion
naturale. Or tutti questi non sono
principii ; sono condizioni, sono concanse
del gran fatto della DUcendenna modificata.
Ciascuna di tali condizioni potrà be-
nissimo
spiegarci questo o cotesto fatto; ma
non è poi necessaria una ragione
superiore atta a spiegarci esse stesse?
Il Darwin, ripotiamolo, è capace di
mostrare come le specie si modifichino
e conservino, ma non
addita
1* origine di esse, nò la ragion
filosofica della scelta; laonde, il titolo del
suo primo libro, come altri ebbe ad
osservare è un titolo sbagliato addi- rittura.
(Ved. LAgoKL, Révue dee Deux Mondee,
!• marzo 1S68, e nel suo libro
5!c»ence et Philo9ophie,"PAT% 1868, p.
289.) Vero è che i Mutui rap- porti
fra gli organismi avrebbero valore e
fisonomia di principio superiore, il quale
perciò sarebbe anteriore al fatto della
ikelta e della Coneorrema vitale. Questo
anzi ò precisamente il concetto originale
onde il Darwin ha superato la Scuola
del Lamarck. Ma 1* idea del mutuo
rapporto orga- nico, non racchiude forse
quelle del mezzo e del fine ? E
s* egli ò cosi non siamo già nel
campo di quella teleologia che fa
tanta paura ai Darwiniani e della
quale ei non vonno sentir neanche
fiatare? Inoltre, che la dottrina Darwiniana
riesca essenzialmente empirica, ce *1 dimo- stra
r impossibilità di dedurre la necessità
della Diecendenta modificata. Quattro sono
le condizioni per la comparsa d* una
nuova specie : !• ap- parizione d* un
nuovo carattere ; 2o suo determinarsi,
e diffondersi; per Ma se il Darwinismo
è dottrina per sé stessa man- chevole
in quanto non riesce a spiegare in
verun modo le origini delle specie,
non meno manchevole s' addi-
mostra ove
procacci spiegar V origine dell' uomo
con- siderato come subbietto di storia
naturale. I Darwi- niani si studiano
rintracciare un vincolo naturale fra il processo
zoologico e il processo isterico,
applicando il principio della Bivergenga Aé
caratteri, e della Discen- denega
modificata. Ma, senza dir già che gli
stessi zoo- logisti (fra i quali il
Watson) contraddicono a siffatte pretensioni,
alla ragion filosofica positiva riesce
evidente come il principio darwiniano, tanto
felicemente appli- cato dal Darwin alle
manifestazioni successive del pro-
cesso
organico e della vita sia naturali
sia domestiche, tomi insufficiente, anzi
erroneo, quando in modo asso- luto si
voglia applicare al regno umano. Tale
applica-
zione è
stata fatta con ricchezza di notizie
particolari e con vedute ingegnosissime e
affascinanti dal valoroso professor Vogt.
Egli ha visto la necessità di
compiere il principio della Divergenza con
V altro della Conver- genza de' caratteri
zoologici. Questo è il concetto nuo- vo,
bellissimo, ch'egli, fra i naturalisti, ha
introdotto nella Storia naturale ; e l'
antico maestro della Historia Animalium, se
oggi tornasse a vivere, glie ne
rende-
rebbe
giustizia. Uno per lui è il tipo
de' quadrumani il la qaal diffusione
solamente è resa possibile la varietà;
8* ampliarsi» perfezionarsi e fissarsi di
questo carattere ; 4* predominio della
nuova razza so le altre. Or come
e perchè si fissa eg^li cotesto
carattere ini-
ziale? Non
potrebbe non apparire neanche? Ecco dunque
svanita ogni necessità razionale della
DUeendenxa modificata. Essa non e legge,
per-
chè non
racchiude nò pur l'ombra d'universalità, di
necessità, di ra* zionalità. Una specie
poteva non sorgere: perchè? perchè poteva
non apparire, né fissarsi il fortunato
carattere iniziale. E cosi pure poteva non
sorgere il processo zoologico accanto al
processo vegetativo. Poteva, non sorgere il
processo vegetativo-zoologico in grembo al
processo fisico. £ di questo passo
poteva altresì non essere il mondo
totto, e cosi re- stare eternamente
possibile (che vuol dire impossibile) il
gran fatto delia- creazione. Non è
questa la conseguenza ultima alla quale
mona la Storia.
Naturale
al modo che ci è data da' moderni
aristotelici empirici e dai positivisti
Darwiniani? quale, sdoppiandosi per leg^e di
divergenza ne' due rami principali delle
scìmmie del mondo nuovo e del mondo vecchio,
dà luogo siflFattamente alle tre note
famiglie scimmiane. Or qui alla divergenza
dee soccorrere la con- vergenza; che,
in fatti, dalle tre famiglie di
scimmie sor- gon le antropoidi, le
quali sono fornite di caratteri co-
muni. I
due principii dunque s'incontrano, diremmo,
su gli estremi confini del mondo
zoologico, e così chiudono il circolo
del processo animale.* Il concetto del
Vogt su la necessità della Conver' *
Chi volesse abosare, protraeodo ancora
oltre i confini della yita animale, il
principio della ditfergenza, giagnerebbe a
questo risultato:
che,
cioè, il circolo zoologico non dovrebbe
chiudersi mai, e il processo della
vita dovrebV esser costituito da una
serie infinita di termini.
Oltr'a
ciò contradirebbe, nel medesimo tempo,
all'esperienza e alla nostra formola
cosmologica; che vuol diro farebbe contro
al fatto, e alla ragione. Il fatto
è assai semplice. Il regno umano,
qualunque ne sia la specie, palesa
identità ne' caratteri fisici piìi specificanti;
per es. estremità atte all'incesso eretto,
apparato dentario-mascellare inenne
e
simili : e palesa identità eziandio
ne' caratteri morali e»9enMÌali, non essendo
vero oggi mai che tra il bianco
e il negro corra differenza spe-
cifica
essenziale, meno (s'intende) agli occhi
lincei degli Hegeliani, i quali hanno
assoluto bisogno di questo divario
essennale ed immanenUf se no la gran
legge dialèttica se n'andrebbe in fumo!
Col che essi non solo (sia detto
di passata) fanno ingiuria ai fatti
in quanto che il fatto oggi mostra
che il povero negro non è poi
tanto irreducibile quant'essi vannosi immaginando,
ma, che più monta, insultano l'umanità
stessa oltraggiando così quella disgraziata
schiatta a cui siamo legati per natura.
Aristotele certo non andò tant' oltre
col suo concetto su la ne- cessità
della schiavitù! La sua necess'itkertk
naturale, empirica, di /atto;
non
già dialettica, non già assoluta. Son
proprio dommatici cotestoro! son proprio
aristotelici iperpsicologisti fino al midollo
delle ossa! Dunque,
tornando
a noi, attesa la doppia identità di
caratteri, il circolo zoologico si chiude;
ed è un fatto. Ma abbiamo detto
che l'applicazione assoluta
del
principio della divergenza contraddice anche
alla ragione: porchò? Perchè, se cosi
fosse, il numero sf rimarrebbe numero,
l'eterogeneo re-
sterebbe
eterogeneo, l'analisi resterebbe analisi, il
diverso diverso, e cosi tutto sarebbe
negazione di scienza, e cadremmo nel
nullismo. Le origini
del
processo isterico sono, e debbon essere
multiple. Ma, io chiederò, dove non si
uscisse dalla differenza •pecijica, non
rimarremmo chiusi in perpetuo nel regno
zoologico? Non faremmo contro all'essenza
stessa della forza, della natura, della
materia, del conato e della vita
dell'uni-
verso?In
una parola: col perpetuare il processo
zoologico, non verremmo a negare
evidentemente il progresso? genea ne^
confini del processo zoologico è
preziosissimo : esso costituisce Y esigenza
vitale della filosofia della na- tura e
della storia. Ma, eccoci al guaio!
Egli esagera in maniera cotesto principio,
che non si salva dal precipitare nell'errore
opposto a quello cui riescirebbe il
Darwin ove questi presumesse d'applicar la
legge della Diver-
genza anche
al di qua del regno zoologico. Egli
esagera siffattamente la legge della
Divergenza, da credere che le tre
famiglie scimmiane, fra loro diverse per
condi-
zioni
biologiche e geografiche, vadano convergendo
così ne' lor caratteri, che tosto
giungano ad assumere forma simile, relativa
all'umana. Or questo egli non ha di- mostrato;
e, per fortuna^ mai non potrà
giugnere a dimosti-arlo. E non può
dimostrarlo, giusto, perchè d'un principio
vero e fecondo egli ha fatto un'
applicazione addirittura erronea. Le famiglie
scimmiane sono e man- tengonsi multiple
nelle origini loro. Delle antropomorfe già
contiamo due generi ; e fra esse
le distanze si pa- lesano più spiccate
che non paion fra esse medesime
e la
specie umana. Or quest' fwmanum Genus è
uno, come s'è detto, perchè le
differenze specifiche in lui
sono
immaginazioni de' cervelli dialettici e
svolazzato! educati al trascendentalismo
hegeliano. Qui, dunque, su gli estremi
confini del regno della vita è
necessario, è inevitabile un intervallo
assai più netto e spiccato. È necessario,
è inevitabile un ^alto, un salto di
Leucade, perocché debb' esser superato dall'
ultimo e supremo conato di natura; al
modo istesso che in una sfera su- periore,
nella sfera del pensiero filosofico, la
virtù edut- tiva ci rappresenta il
conato estremo della speculazione metafisica.*
* II
Vogt perciò neUa flne del processo
zoologico trovasi in qoene stesse condizioni
in che si ritroTa il Darwin sul
comindaniento ed ori- gine delle specie: si
perdono entrambi nelle ipotesi. Ma il
Vogt diri: il mio metodo è
sapremamente comprensivo, logico, legittimo,
compitis- almo. Da una parte, tre
famiglie scimmiane che sempre più
conrergono neMor caratteri: dall* altra,
guardando la storia de* popoli, tre
schiatte umane. Quelle ascendono Tieppiù
conyergendo fra loro : queste poi,
quanto SlCILIAM. 31 Le leggi dunque
della divergenza e della conver- genaa
di cui ci parlano i Darwiniani, sono
entrambe necessarie alla teorica positiva
della storia naturale; ma vogliono esser
congiunte e legittimate mercè un con- cetto
cosmologico rcunonalmenie posUivo. Innalzando r
una d' esse ad assolutezza, avremmo,
ripetiamolo, una divisione e un
disperdimento sempre più dicotomo del processo
zoologico. Elevando l' altra a dignità
assoluta, ci troveremmo in presenza d' un
vero miracolo. Fac- ciamoli pur fare, io
dico, i miracoli alla natura : noi Siam
qui ammiratori silenziosi e contenti della
ricca fecondità di quest'antica e veneranda
madre. Ma non dobbiamo legittimarne almeno
la possibilità? Uomo e animale certamente
costituiscono un regno
convergente,
come il vegetabile e l'animale. Ma s'
egli è possibile rintracciare un protista
fitozoa nel quale con- vergano le due
serie del processo orgamco ascendendo verso
le origini loro, assai difficile tornerà
il trovare un protista antropoide che
sia nel medesimo tempo uomo e bestia,
e dal quale sia potuto venir
fuora 1' ente più salgono e s*
accostano alle origini, ascendono dirergendo
sempre pi ii fra loro. V* ha dunque
rispondenza squisita di qua, e di là
; e quindi o^ni intervallo è colmato,
nò altro vi esiste fuorché reale e
perfetta conti- nuità. — La rispondenza
davvero sarebbe maravigliosa, ove non fosse
al tutto artiflziale. Il valoroso Vogt
piglia il piede al gorilla, chiede la
mano al chimpansé, toglie il cervello
airorang-outang, chiama in sussidio lo scheletro
delio sciamang, chiede in prestito la
testa del cebo, degli ovi- stiti 0
d*una specie affine, e a rintracciar
la facoltà della favella, po- trebbe, da
buon positivista, chieder aiuto al
pappagallo, segnatamente al ptittaoM eritkcnu.
E così pellegrinando su* lidi Affricani
e poi in Ame- rica, a Borneo, a
Sumatra, a lako, e raccogliendovi le
sparte membra, egli compone l'Adamo, ansigli
Adami, sicché, novello Michelangelo col suo
Mosò, 0 meglio, novello Prometeo col
suo nomo di creta, ci assicura di
trar fuori Tonte umano, la storia, il
pensiero, la civiltà! Ma applichi, di
grazia, con più rigor logico il suo
stesso principio: che cosa ne verrà? Ne
verrà che la stirpe etiopica dovrebb'
esser nata dall' orang-outang, anziché dal
gorilla o dal chimpansé. Giacché ov'ella
provenisse da que- sti, appo cui le
estremità sono perfette relativamente a
quelle dell* orang- outang, io potrò
domandare: in che maniera 1* etiopico
avrebbe estre- mità superiori così mostruosamente
lunghe, ed estremità inferiori così
meschinamente
carnose di fronte alle altre schiatte? umano.
Un essere che non sia uomo né
scimmia, non s' è trovato; né forse
può ritrovarsi, per quanto l'aifannosa attività
del naturalista andrà razzolando per entro
alle antiche caverne africane. L'uomo forma
un regno con- vergente non già con
l'animale in genere, bensì con r animale
che assume l'ultima forma zoologica, ciò
è dire col quadrumane. Esso dunque
devesi concentrare in una delle due
serie, in un de' termini della
dualità superando V altra. Or questa
trascendenza é impossìbile senza un
intervallo ; e però l' uomo è nel
medesimo tempo, come s' è detto, un
ordine ed un regno rispetto ai
quadrumani. Dunque, né immediata provenienza dalle
scìmmie, né discendenza diretta da un
primate che sia stipite comune. All'
una cosa e all' altra si op- pone
evidentemente la diversità di caratteri
esistente fra r uomo e la scimmia.' Ma,
inoltre, vi s' oppongono altre ragioni che
ci é lecito desumer dalle scienze
affini, massime chiamando
in
sussidio la geologia e la fisiologia.
Poiché la famì- glia delle scimmie
appartiene ai quadrumani, ne viene che,
a cagione dell'incesso eretto, elle
deggiono aver trasformato in piede la
mano delle estremità poste- riori. Ora il
tempo richiesto a tal trasformazione, non
avrebbe
a esser lunghissimo? piii lungo, certo,
che noi richiederebbe la trasformazione del
piede in mano? Uno de' risultati
geologici e paleontologici più sicuri intanto
é questo: che bimani e quadrumani
contano presso che la medesima antichità.*
Dunque il tempo che fisiologicamente é
lunghissimo, geologicamente do- vrebb' esser
brevissimo. Geologìa e Fisiologia quindi sì contraddirebbero.
Ma com'è possibile una contraddizione *
svolgimento maggiore de* lobi cerebrali
anteriori e delle circonvo- luzioni ;
straordinaria prevalenza del cranio cerebrale
sai facciale ; con- tinuità della serie
dentaria; differenza nelle estremità e
simili: ecco le differenze enormi, che
sono altrettanti fatti positivi riconoscinti
da tatti gli zoologisti, fra Taomo e
la scimmia. ■ C. LTBI.L,
Principta of Qtólogy etc., voi. II. — PiOTiT, Manuel
de Pai tautologie. in due fatti d'
egual valore, d'eguale importanza spe- rimentale?
In tal caso non è lecito dubitare de'
risul- tati geologici, i quali escludono con
sicurezza di giu- dicio cotesto tempo
lunghissimo. Tanto meno ci potrà esser
lecito contraddire alle leggi di sviluppo
biologico e della capacità organica che
la fisiologia sperimentale insegna richiedersi
alla suddetta trasformazione. Quale sarà
dunque la conseguenza? In ragione de' fatti
e in nome
di due
scienze essenzialmente positive, la conseguenza
è che il fatto non sia potuto
accadere cosi come preten- don gli
scimmiomani seguaci segnatamente del Vogt. Quale
altra ipotesi ci rimane ? Ve ne
sarebbe un'al-
tra, secondo
alcuni: supporre la discendenza, tanto dei bimani
quanto de' quadrumani, da uno stipite
comune, da un pkcentario superiore, da
un Primate il quale, serbando in se
stesso un valore come di specie
originaria, abbia dato luogo, per legge
di divergenza, al gemino ordine anzidetto:
nel che tanto più parrebbe doversi consentire,
in quanto che vi sarebbe una
continuità reale e concreta favorevole
all'ipotesi, eh' è dire la trasforma-
zione pili
agevole del piede in mano. Or se
questa ipotesi è ingegnosa, non però
cessa d'essere ipotesi. Vero o non vero
tutto ciò, siamo sempre alla medesima
difficoltà: dov'è egli cotesto anello
intermedio? Si è perduto perchè debole,
risponde il Darwiniano: si è perduto perchè
ristrettissimo il numero de' suoi individui.
Ra- gioni di stoppa, cotesto, che certo
non meritano l'onore della discussione! Il
filosofo, o meglio la filosofia posi- tiva,
può, nel dimostrar la provenienza del
regno umano dal mondo zoologico, prescindere
da cotesti intermedi: ella non ne ha
di bisogno, anzi li nega. Ma può
non averne bisogno una dottrina che
presume d'esser supre- mamente sperimentale qual
è il Darw^inismo? I Darwi-
niani hanno
assoluto bisogno dell'anello, dell'intermedio; e
r invenzione di cotesto anello per
essi dovrebb' esser davvero Y experimentum
crucis di Bacone. Sinché dun- que non
r avran trovato, ei saran sempre nel
vago d' una ipotesi. Vorremo fare il
caso che gli scimmiomani sieno tanto
fortunati da ritrovar cotesto anello ?
Facciamolo. Che cos'avranno ottenuto? Otterranno,
certo, di spie- gar le somiglianze fra
V uomo e la scimmia, di cui ninno
è, del resto, che voglia dubitare. Ma
non resterà sempre a dar ragione delle
difiFerenze che anch'essi ap- pellano
indispidabUi? Diran forse che cotesto
anello non sia uomo ne scimmia, bensì
l' una e V altra cosa ad un
tempo? Ma tal meschina supposizione non
risolve menomamente il problema, sibbene lo
sposta, e saremo sempre daccapo.* Che
cosa è da concludere quant' all'
unità di ceppo, all'unità originaria
dell'umana specie? Qui non c'è fatti
storici, né jpaleontologici, né geologici,
né fisiolo- * I crani rintracciati
nelle più yetnste caTeme con la lor
forma piatta 0 allangrata, mi paion
anch* essi nn argomento di pan molle.
Quanto a' resti umani poi del periodo
untiario^ e' son sempre umani ;
perchè lo strumento più grossolano e
più semplice di pietra, attesta sempre
1* orma del pensiero, e però è
necessario T intervallo fra Tonte umano dell*
età della pietra, e la scimmia. L*
argomento del microcefalo gioverà tanto meno
: egli ò un* eccezione che conferma
la regola, se pur non si voglia ritenere
per affvzione patologica. Il microcefalo ò
idiota per accidente, o
non
può quindi formare una specie. D*
altra parte esiste una differenza spiccata
fra lui e la scimmia. Non v*ò
scimmia che sia potuta, o possa dovent-ar
uomo. Chi potrà dir lo stesso
dell'idiota per nascita? Nel mi- crocefalo ò
dimostrabile il tipo umano ; che anzi
lo ha dimostrato, fra gli altri, il
Wagner. Im sviluppo in lui s'arresta,
non indietreggia; e perciò ha carattere
di fatto patologico, anxichò di fatto
biologico e na- turale com'ò nella scimmia.
Giunta la scimmia a certo stadio di
sua vita, indietreggia inevitabilmente: lo
dimostrò per via di fatto il Cuvier, e
i moderni Than confermato, e però qui
non siamo in patologia, ma in piena
fisiologia. Come dunque si può elevare
a legge il fatto del mi- crocefalo? —
Qualcuno ha creduto che il Negro
rappresenti, anzi sia ad- dirittura l'anello
di cui si parla. Certo, le
somiglianze sono innegabili: ma chi potrà
dubitare delle profonde differenze? Se il
Negro fosse V in- termedio fra l'uomo bianco
e la scimmia, evidentemente dovrebbe aver qualcosa
di comune. Ora gli stessi naturalisti
ci dicono il contrario, fra i quali
il Vogt, perocché v' ò sempre un
abisso fra il Negro e la scim- mia.
Ripetiamolo: non è dimostrata, e non
si può dimostrare la imme- diata provenienza
dell'uomo dalle scimmie. Non è dimostrata,
né si potrà mai dimostrare la discendenza
diretta da nn primate che ne sia
stipite comune. La legge di pura o
semplice trasformazione è un assurdo anche qui,
e sopratutto qui. gici, né filologici
che bastino. Tutti i risultati di
queste scienze tendono anzi a dimostrare
il contrario; e però non senza ragione
il Wallace, tuttoché monogenista, dichiara
la soluzione di tal problema favorevole
ai po-
ligenisti.
T ha una relazione costante fra la
distribu- zione geografica, e quella della
vita animale e vege- tativa.* £ la
paleontologia dal canto suo dimostra le differenze
originarie delle specie vissute in altre
età.' Altrove mostreremo a quali risultati
possano giungere la filologia e la
linguistica. Ma se non si perviene, e non
si può pervenire a dimostrare l'unità
di ceppo, è pure un fatto, un
gran fatto V unità specifica. Ed è un
fatto necessario per ragione intrinseca
dello stesso processo cosmico in generale,
e del processo zoologico in particolare.
Il regno umano sorge nel regno
zoologico. Dunque non può esser costituito
da una moltiplicità essenziale di specie,
ma debb' essere, come dicemmo, un genere specificato.
Sia pur uìio, siano più, siano molti gli
Adami: che monta? Forse che per
questo risulterà meno irrepugnabile e men
certa la comunanza di na- tura? Sarà
men certa e meno irrepugnabile Y
univer- salità e unicità di fine e di
destinazione cui ci condu- con logicamente
le leggi del Processo cosmico? Tra l'uomo
nero e il bianco tal comunanza va
sempre più rendendosi evidente col
progredire della civiltà. Dun- que le
differenze di specie in essi non sono
essenziali, ma accidentali. E sono
accidentali appunto, perchè scompaiono man
mano, e dovranno scomparire per la
stessa
natura, per la stessa legge del
processo cosmico. Le differenze nel regno
umano, in somma, son pri- mitive: dunque
non riguardano il contenuto, bensì la forma.
Invece là medesimezza, la communis natura
è un risultato progressivo, perché tiene
al fine, perchè tiene al processo,
istorico sociologico : dunque ella è
dote * AoASSiz, De Vetphie, ed. cit.,
cap. I,
iz. • VoOT, Op. cit. — LuBBOCK,
Op. cit.,
p. 492. — PiOTBT, Manuel cit. — Ltbll,
Prino. of Qeology etc. essenziale, non
accidentale: è dote di tutti e di
ciascuno ■ individuo del regno umano. Ma
qui giova ribadire una conseguenza
accennata qua dietro. Se la genesi e
'1 processo, sociologico vanno anch'essi dal
numero all'unità, dall'analisi alla sintesi,
ne viene che ciò che per l'Hegeliano
è un diverso essenjsude (come la pretesa
differenza essetmcde tra il bianco e
il negro), per noi, al contrario,
debb'esser onninamente accidentale. La dialettica
hegeliana perciò nega e deve logicamente
ne- gare il progresso nella eguaglianza
naturale delle stirpi; e afferma e
deve logicamente affermare le differenze essemiàli
e però costanti fra il negro e
il bianco. In- vece la nostra formola
cosmologica, che non pecca d' a priorismo
dommatico e sistematico, legittima il gran domma
della comunione di natura, e ne
mostra la ne- cessità. Diranno che tutto
ciò che è originario e primitivo
debba
essere essenziale e universale? (Cotesto è
linguag- gio da teologisti ; il quale
del resto non ci meraviglia, sa- pendo
come l'Hegelianismo, anche in ciò, sia
una contraf' fazione del Cattolicismo. II
povero Negro dovrà piangere eternamente, in ossequio
alla dura legge dialettica, qual- che
peccato originale : dovrà scontare qualche
colpa na- turale di cui non ha pur
Y ombra di consapevolezza I Di grazia,
chi vorrà accettare oggidì simili
conseguenze? La filosofia positiva, dunque,
è e debb' esser polige- nista quant' air
origine : a questo ci spingono i
risul- tati della scienza moderna. Ma è
la medesima scienza moderna, è la
medesima filosofia razionalmente posi- tiva che
e' impone, fatto un passo di qua
dalle ori- gini, d'esser necessariamente
monogenisti nel senso te- leologico. Giova
ripeterlo : l' uman genere è Humanum
GenuSj
è un sol genere, non per comunanza
di ceppo originario, sì per comunione
e medesimezza di natura. Ed ecco
precisamente l'aspetto più originale della Scienza
Nuova, di cui ci è dato ormai
comprendere il significato razionale. Che
cos' è la Scienza Nuova? È la
filosofia della storia, hanno risposto a
coro filosofi d' ogni colore : è una
scienza che T autore indirizzava a
divinare e ri- velare il futuro.
Precisamente il contrario! La Scienza Nuova
è davvero nuova principalmente perchè pre-
tende
rivelare, anziché il futuro, il passato.
Ella è nuova appunto perchè è la
scienza positiva del vecchio, dell'antico,
del primitivo, dell'originario, cioè del
natu* rde, indagato e scrutato e
ricercato col doppio strumen-
to,come
accennammo, della psicologia e della
filologia largamente intese.* E poiché
è scienza del passato, ^ Questo
doppio strumento, queste due forme di
dimostrazione, come altrove toccammo, ci son
addato dallo stesso Vico. L* una d*
esse è pro- priamente di natura a
potteriori, Taltra è psicologica a priori;
ed entrambe costituiscono II metodo eduttivo
della scienza. La prima è chiarissima nella
Scienza Nuora, e si compone di fatti
filologici, mitologici, storici, statistici,
religiosi, giuridici, politici, economici. Un
esempio singolare di questa maniera di
prora induttiva io troviamo nel £<>
lib. del Diritto Univertale, e segnatamente
nella Storia delle cinque età del
Tempo Oscuro; dalla quale storia risulta
la legge storica e sociologica che,
portata a pii^ largo sviluppo, costituisce
la Seìenxa Nuova. Noi consacreremo appo- sito
capitolo intorno a questa teorica del
Tempo Oécuro^ perchè in essa troveremo
il fondamento legittimo della sociologia
davvero filosofica e positiva. L* altro
strumento poi che il Vico avea fra
mano e sapeva maneggiare in guisa che
non ci ò dato nò pur sospettare
alla lontana, costituisce propriamente la
parto geniale, originalissima del suo
metodo isterico; ed ò quella che noi
dicemmo di natura psicologica, e che
di fironte alla prima serba indole a
priori; ma è un a priori positivo,
positi- vissimo, perchè di natura
psicologica. Ella in somma cojitltuisce, se
cosi potessi esprimermi, un lavoro mentale
da geologo, da paleontologo. Se in- '
fatti
lo spirito dell' uomo in una data
epoca istorìca somiglia, vorre* dire, *
ad una caverna ossifera, bisognerà
studiarlo analizzandolo, anatomizzan- dolo,
decomponendolo. Perciò è necessario dimenticar
noi stossi, e lavo- rare attorno ad
esso in modo tutto ideale dÌ8cendendo
da questa no$tra umana ingentilita naturaf
a queUe affatto fiere ed immani, U
quali oi ^ affatto negato d^
immaginare, e eolamente a gran pena
ci i permeeeo cT intendere, (Sec. Se.
Nuo., p. 141.) Breremento: bisogna aver
presenti noi stossi, ma nel medesimo
tempo dimenticarci : bisogna etordire ogni
eeneo «T uwtanità (sono sue parole) e
ridurei in uno etato di eomma
ignoranjta di tutta V umana e divina
erudizione, (ibi.) Questo, come notammo (p.
833 e seg.), è precisamente ciò eh*
egli dice portare ad un fiato il
vero e il eerto, la fiioeofia e
la filologia. Questo è il metodo
isterico davvero positivo, che è
propriamente metodo di natura eduttiva. E
questo dovrebbero mediterò ed applicare i
nostri sazievolissimi predicatori di certi
metodi storici e critici che al
postutto riduconsi ad un meschino empirismo
I perciò medesimo è scienza del presente,
scienza del- V oggi, e, fino a
certo segno, anche del domani. Ma senza
quella filosofia che non le è
incorporata ma ch'ella presuppone necessariamente,
cotesta Scienza Nuova non sarebbe niente
di tutto ciò. Posta infatti la doppia
for- mola metafisica e cosmologica, i
cui germi giaccion nel Libro Metafisico;
posta segnatamente la gran legge del Processo
cosmico, ella è davvero un poema, è
un gran poema, un poema sul serio,
ma un poema sui generis. Perchè? Per
questa ragione principalmente: perchè è
una
Storia naturale della umanità nell'uomo: perchè
in lei si scruta l'originaria formazione
dell' ultimo Sommo Genere ; perchè
eli' è la celebrazione solenne dello Spirito
che si crea nel regno stesso della
vita ; perchè è la creazione parlante,
vivente, reale del pensiero ch'esce dal
caos delle forze brute fisiche, meccaniche,
biologi- che ; perchè, insomma, rivela il
Fatto che, convertitosi con sé stesso
come forza e come vita, ora
convertesi col Vero come pensiero. Ecco
l'originalità vera del pen- siero Vichiano.
È un pensiero d'una grandezza e d'una potenza,
sto per dire, titanica ! un pensiero
nuovo, nuo- vissimo, anche dopo due secoli
I La Scienza Nuova, dunque, rappresentandoci
la ge- nesi del processo storico e
sociologico, fra le altre cose pronunzia,
legittima, compie e insieme corregge il
Darwi- nismo. Una delle Degnila su le
quali è innalzato il suo gi*andioso
edifizio è lo stato ferino dell'Umanità;
cagione certamente non puerile delle dispute
e delle sètte de' Fe- rini e degli Antiferini
surte fra noi, come toccammo, sotto gli
occhi del Papa e de' cardinali nel
bel mezzo del secolo passato (p. 39
e seg.). Il suo problema dunque è
il gran problema ond' è agitata e
mossa la scienza odierna. È lo stesso
problema che, con significato assai pili
compren- sivo, assai più razionale, assai
più sintetico e profonda- mente sintetico,
agita e muove sotto gli occhi nostri
la
filologia,
la zoologia, la geologia, la paleontologia,
l'an- tropologia, la sociologia, la filosofia
e la storia del Di- ritto, la
filosofia e la* storia delle arti, la
filosofia eia storia delle religioni, come
saggiamente ha detto il De Fèrron (p.
149 e seg.) Il suo problema quindi
si collega con quello stesso di
Lamarck, di Couvier, di Geoffroy de
Saint-Hilaire, di Herbert, di Mathew, d'
Omalius, d' Halloy, di Rafinesque, di
Schaaffausen, di Hooker, de' viventi
naturalisti, de' viventi filologi, de'
viventi mi- tologi, e degli storici d' ogni
maniera. Nella Scienza Nuova infatti il
processo storico-so- ciologico nasce, sorge o
si produce nel processo zoologico; ma
nasce, sorge o si produce creandosi.
Dunque il 6e- stione, r uomo ferino,
per quanto ferino e bestione vo- gliasi
immaginare, importa già un intervallo.*
Come ci si rivela egli cotesto
intervallo? In altre parole: com'è che
s'inaugura il processo isterico? Com'è che
s'inizia il regno dell' umanità ? Al
solito s'inaugura con la gi*an legge
delle polarità, ma nel medesimo individuo:
s'inizia con la legge della dualità,
ma nella coscienza stessa del-
l'individuo.
Ciò che nell' ordine psicologico è
senso e intelligenza, potere e volere.
Autorità e Ragione ; qui, nell'ordine
sociologico e storico, è Libertà e
Pudore: ecco i due Principii éC
Umanità; principii essenzial- mente sociologici.*
* Lo
st-ato ferino pel Vico è an fatto
accidentale, ed è accidentale perchè non
è universale ; ma questa dicemmo
essere un* aporta contrad- dizione in che
cadde tanto lui, quanto il suo
discepolo Duni. Ed ò con- traddizione,
perchè fa contro non solo ai suoi
principii cosmologici, ma anche ali*
esigenza stessa del suo metodo, fe-una
delle contraddizioni duo- que dalla quale
ei pì libera da so medesimo. *
Nessuno prima del Vico aTcva impresso
valore ed importanza isterica a questi
due iftm o prineipìi d^umnnità. Grozio,
per citare un esempio, parla anch* egli-
del pudore; ma non sospetta nò la
neces- sità sociologica e istorìca di questo
fatto, nò il significato psicologico di
questa tondenza, e però non ne fa
uso di sorta'. (Ved. Dt Jwr. M. et paeitf
"2. 19,
3, «10.) Disse la libertà madrt di
qualsivoglia diritto civile (id. 2, e.
5, § 17) ; ma perchè madre ?
— Citiamone un altro esempio. Anche Platone
parla de* due beni. Pudore e
OiuetÌMÌ€L, che Giove impartì agli uomini
[Protag., ed. Cousin, T. Ili, p.
110): ma pel filosofo greco tale tendenza
ò partecipata, è comunicata, mentre pel
Vico è affiatto naturale. Per Platone
riiman»tà si manifesta nella CVttèt, nella
iSepubò^tca; dovecbè Qual valore, infatti,
qual significato hanno queste due parole
nella mente del nostro filosofo? Considerate
sotto il rispetto storico e sociologico,
PudoreLibertas non sono idee, concetti,
nozioni, astrazioni; sono bensì condizioni efficienti
originarie, intime, spontanee, istintive di
nostra natura. Sono i due prificipii
che principian V umanità nell'uomo;
principii ch'ei pone quasi geni tutelari
alle porte ddla storia e delle cose
umane. Sono facoltà, ma facoltà involute,
potenziali; stantechè Tobbietto di esse
non
sia per anche fatto, noh sia per
anche elaborato. Perciò sono giudizi, ma,
al solito, giudm sentUij come direbbe
egli stesso; giudm fatti senza riflessione.
Sono dunque tendenze primigenie, sono
esigenze autogenite; e però ci rappresentano
anch'elle ima sintesi confusa, entro cui
si racchiude infinita virtù esplicativa.
Qual è infatti il principio d'ogni
socialità? Qual è la radice della
socia- lità? £ il concetto stesso d'
umanità.* £ come si deter- mina, come
si esplica dapprima questa tendenza innata e
originaria ad umanarci? Appunto col gemino
senti- mento del pudore e della libertà^
Questa originaria dualità costituisce la
natura stessa dell'uomo, giacché r ente
umano intanto è animale umano, in
quanto non è una cosa, ma due:
(ùov fiU7Ttxoy, e (wov ttoXctcxov. £d egli
è tale fin dalla sua prima origine,
questa essendo per l'appunto la invitta
necessità del processo iperzoolo- pel Vico
ò originaria, tanto cho si manifesta
anche nello stato di natura: il quale
perciò, come altrove accennammo, non ò
quello do' giusnaturalìsti del secolo
passato. Fra la ReptMdiea del filosofo
ateniese, quindi, e la SeienMa Nuova,
anche per questo rispetto t* è un
abisso, checche ne abbiano detto 0
possano dime certi Hegeliani. Per questa
medesima ragione non ò da confonder
menomamente V uomo ferino della Seitnua
Nuova, con gli nomini selvaggi di cui
parlavano tanto spesso gli antichi, se- gnatamente
r A. della RepubUica, Aristotele, Cicerone
e simili. ^ una posizione affatto
diversa, a cui bisogna por mente.
'
HumaniUu ett hominU hominum juvandi
affedio, {De Conti, JurU- prudenHt, 0.
II, l.) * Sed ex latiori genere
Humanitatie heie a nobU aoupta a
duobue prineijnù ootMtal, Pudori et
Libebtatk. {Id, eod,, II, 2.) gico, e
della legge di conversione: rèbus ipsis didantì" bus.^
Or qual è la relazione che stringe
insieme i due Principii d'umanità? È
quella medesima che, posto il processo
isterico e sociale, congiugne in armonia
la so- cietà di ragione (Societas Veri),
e la società dell'utile (Societas ^qui
boni).* È appunto la relazione che
corre fra il certo e il vero,
tra la forma e la materia.* Ma
se questa dualità di principii inauguratori
del- l'umanità nell'uomo è originaria,
accade che, appunto perchè originaria, debba
rivestir forma d'unitotalità e d'incosciente
unità. Or come potrebb' essere unità ove, al
solito, non serbasse natura di conato?
Pudore e Li- bertà quindi sono un
conato ; sono dualità e unità in- sieme
; sono perciò triplicità. Se non che,
questa tripli- cità non è inaugurazione del
processo psicologico teore- tico, bensì pratico;
non del processo conoscitivo, bensì operativo.
E dunque una triplicità originaria di
natura pratica, empirica, istintiva, e dee
quindi serbare, nel medesimo tempo, valore
psicologico e sociologico. L'ente umano
adunque è di sua natura un soggetto
essenzial-
mente
relativo. Egli è in un' ora medesima
in sé stesso, e anche nell'oZ^ro: è
sé stesso, e insieme debb'essere anche l'altro.
Egli insomma, ripetiamolo, non è una,
ma due cose in sé stesso: uomo e
cittadino. E dovendo esser tale fin ^
Qai risiede, come Tedremo, la condanna
della dottrina sociologica del Positivismo,
e della confusione eh* ella fa tra
la storia e la socio- logia, tra la
sociologia e la psicologia, tra la
psicologia e la biologia, nonché 1*
erroneo concetto della Statica toeiale de*
Positivisti francesi. * De Univ. Jwriè
PrineiptOj LX. * Ex vi ip$iu9 humanct
natura de duobu$ hit HumanitcUit prineipii» di«8eramìt$f
^orutn unum, ceu forma, erit Pudor,
alterum, vduti matebia. erit LiherUtf, {De
CoMt, Jur., II, 8.) Trasportando questo
concetto dall'or- dine sociologico a quello
delle idee e della scienza, possiamo
affermare che in tal modo il Vico
abbia posto nella stessa coscienza, nello stesso
indi- viduo, la distinzione, oggi vitalissima,
tra la Morale e *1 Diritto, salvando così
r autonomia d'entrambe queste discipline.
Perciò nò la Morale può dedursi dal
Diritto, come farine i giusnaturalisti
hegeliani e positivisti, nò il Diritto
dalla Morale, come usan fare i
teologisti e, in generale, i filosoft
neoplatonici. Di queste cose discorreremo
nella Sociofogicu dall' origine sua, fin
da che apparve naturale, sdvaggio, ferino^
bestione; perciò in lui il Pudore è
conato, stan- techè col conato incofninciò
in esso a spuntare la virtù deW
animo,^ Per la stessa ragione è tale
anche la Li- bertà, la quale è conato
proprio degli agenti liberi,,,, onde que'
Giganti si ristettero dal veezo cT
andar vagando
per la
gran sélva della terra, e s*
aweisearono ad un costume ttdto contrario,*
Ma se la relazione che annoda i
termini di questa originaria dualità è
quella che corre tra la forma e
la materia in generale, avviene che
il Pudore sia logicamente anteriore alla
Libertà, e la Li- bertà, alla sua
volta, sia cronologicamente, empirica- mente
anteriore al Pudore.' * See, Seitiua
Nuova, p. 248. * Idtmf eod, p.
178. * Perciò dice ohe il Pudore
l U primo antiehitnmo principio d^ uma- nità.
(Sec. Se, Nuova^ e VI.) E gaardADdo
agli effetti di qoesto senti- mento, osserva
ohe il Pudore arreeta la vaga venere^
origina la eocictà matrimonÌ€i!e, donde
emerge la eoeietà (Prim. Se. Nuova,
o. VI); e come inizia la società,
così pure inventa la religione :
Pudor inventar religionie. {De Conti. Jur.,
LXX.) Additando poi la priorità logica
del Pudore di fronte alla Libertà,
dice: Pudor euetoe jurie naturalie {De
Univ. Jur,y LI, 7); «Tura a Pudore
oria, ad Pudorem redeunt, et a
eontemplatione nata, in eontemplatione poetremo
deeinunt (Ihi, OC Vili) : Pudor omnie
divini kumanique Jurie parene (Ihi, GIV,
4): Pudor Jurie naturalie /one {e. Ili): Pudor
exoitator virtutie (id., § 8). Il
senso di libertà, poi, assume dap- prima
nna forma affatto empirica e naturale;
assume forma di potere {poeee)^ di
volere sfornito di ragione, d'arbitrio, di
passione; e, come tale, riesce
cronologicamente anteriore al Pudore^ nò
potrebb* esser diversa- mente ammessa la
relazione intima fra il processo zoologico
e il processo isterico. L' anello vero
perciò fra questi due processi, I*
anello reale fra i
due
mondi, òr «OMO stesso; ma Tuomo
considerato come un poro poeee^ potenza,
potestà naturale. Sennonchò cotesto ò un
momento indiscernibile ; è un intervallo
che tosto ò superato, e il potere
già diventa voUre^ e il volere diventa
oonoeeere sempre per la solita legge
del rehue ipeie dio- tantUnu, àéìVipea
rerum natura. Libertà e Pudore quindi
son come le due facce del conato
umano: Tuna ò intima, secreta, individuale;
Taltra ò sensata, estrinseca, e perciò
di natura essenzialmente sociologica. Or come
tale la libertà ò il primo punto
di tutu le eoee umane (Sec. Se. Nuova^
p. 1 72) ; e perciò ex libertate
eommereiay ex eommereiie humanitae excuUa,
{De Conet, Jur,, c. FV, 2.) E
poichò ò una condizione primitiva, perciò
la dice dote proprissima dell* uomo: NihU
hcmini magie proprium quam oo2imto« (Ibi.,
c. V, 19); ed essendo proprissima
proj>rM(<i d'umana Queste due facoltà
originarie ci rappresentano dun- que il
momento primo della genesi storica e
sociolo- gica. Esse costituiscon la natura
stessa dell' uomo, e rappresentano il
potere ed il volere che diventano li- bertà
e ragione. Guardate nella coscienza
individuale costituiscono il fondamento della
Statica, della vera Statica sociale perchè
sono doti immutabili, condizioni d' umanità
universali e necessarie per ogni età
e per ogni spazio. Guardate poi nel
loro movimento e nel loro successivo
determinarsi in mezzo alle crescenti re- lazioni
degP individui, costituiscono invece il
fondamento della Dinamica, della vera
Dinamica sociale. Momento statico, perciò, e
momento dinamico nel processo iper- natura^
non può etwre tolta nemmeno da Dio,
Or che C08* ò questa natora
umana?
J^ autorità umana, libero uao della
inidonea. (Ibi., p. 127.) L*aonio danqoe
ò Suitat originaria; e da questa
Suita» originaria, da questa Auetoritaa
naturali» rampolla V Autorità del Diritto
Naturale, donde Tori^ne detta famiglia,
delle Genti Maggiori, della Oivitae e
però delle Oenti Minori, Che questa
sia precisamente la relazione fra le
due tendenze origi- narie costituenti i
prineipii d*wnanità neW uomn mercè cui
il processo zoologico si collega con
le origini del procosso storico-sociologico,
ce lo Tengon oggidì confermando la
Paleontologia e la Filologia comparata. Nella
seconda età della pietra tagliata, per
esempio, in alcune abitazioni lacustri
troTÌamo resti e utensili da caccia,
da pesca, da guerra; ma non un
segno di culto e d' adorazione, neanche
nell* età del bronzo. È noto poi
come la filologia comparata sappia rilevare
negli antichi popoli, segnatamente nel
yecchio ceppo indo-europeo, la relazione
fra il marito e la moglie, fra
il padre e la famiglia, fra sacerdote
e padre, ma non quella fra un
ceto ieratico speciale ed il popolo.
— A questo proposito gioTa ossenrare,
che ore il Vico pone Tagricnltura
come prima appari- zione 0 primo segno
d* umanità, non è propriamente caduto
in errore come si potrebbe supporre, e
come diceva il Romagnosi. Il Vico
analiz-
zava parole
non primitivo, ma relativamente secondarie,
e quindi non intendeva parlare dello
stato propriamente originario della società.
Ora la paleontologia ha mostrato che
nell* età della pietra tagliata e
anche ripolita, non v* è segni d*
agricoltura ; e la filologia fa
indurre come la pastorizia segnasse il
primo grado di sviluppo ne' popoli
aborigeni mo- strandoci i nomi degli animali
domestici. Bove, cane, pecora, cavallo e
simili,
sono posteriori alle parole indicanti la
caccia e la pesca, ma an- I
teriori a quelle indicanti propriamente uno
stato agricolo. Se e* è voca- boli
generali d* agricultura, Tapplicazione di
essi ò posteriore. (Moicmbbn. Storia di
Roma, v. I, lib. I, Mil„ 1868.)
A. Pictet, Le» originee indo- européennee,
Paris, 1868. zoologico non han che
vedere con la biologia, non han che
vedere con le leggi fisiologiche. La
storia e la sociologia ripeton le
biologia precisamente come il processo umano
ripete il processo zoologico ; ma tal ripetizione
risgaarda la forma, non già il
contenuto; risguarda il meccanismo, non già
il dinamismo del mondo umano. Or chi
voglia sapere che cosa siano i due
prin- eipii él^ umanità posti a
fondamento della Storia naturcHe dell'uomo,
si faccia a guardarli nel loro
movimento, stu- diarli nel loro processo, considerarli
nello svolgersi della storia, e nell'
organarsi della civil società. Nel corso
della storia due grandi scienze
essenzialmente pratiche si ele- vano sopra
tutte ; il Diritto e la Morale.
Due grandi poteri si dividono il regno
delle leggi ; politico e religioso,
civile e morale. Due grandi forze
mantengonsi vive e lottano e lotteran
sempre sotto forme diverse; la Chiesa
e lo Stato. £ la lotta cresce là
dove ciascuno di questi due grandi poteri
pretende signoreggiar V altro, e vantare
sconfi- nati privilegi segnatamente nel magistero
dell' educa- zione. E cresce altresì quando
un terzo potere s' innalza
sovr'essi
e vuol vincerli, vuol dominarli, vuol
gover- narli; ed è il supremo de'
poteri, il potere de' poteri, il
potere àéllsi Sderusa. Or l'Autore della
Scienza Nuova intravede questa lotta nella
sua stessa radice; scopre questa dualità
nella sua stessa fonte originaria; sor- prende
questa opposizione, che è pur la
molla vitale che muove l' organismo della
storia e delle società, nel momento
istesso nel quale il processo zoologico
supera e trascende se medesimo; e con
la filologia, con la mi- tologia, con
la legislazione comparata si sforza, come può,
di porgerne dimostrazione storica, dimostrazione
di fatto. Egli in somma vede cotesta
opposizione (ripetia- molo) nel fondo stesso
della coscienza, appunto perchè ella
costituisce la natura stessa della
coscienza, appunto perchè è la stessa
coscienza, la vita stessa dello spirito e
del mondo delle nazioni. È dunque
vera, per quanto arditissima, quella sua
nota sentenza: L* umano arbitrio regolato
dalla Sapienza Volgare (comun senso,
giudìzio sentilo) è il Fabbro del
mondo delle nazioni/ Se tutto ciò è
vero, nella Scienza Nuova noi trove- remo
i principii, il metodo, i criteri
bastevoli .per co- stituire una sociologia
razionalmente positiva. Questo . sarà r
oggetto del nostro secondo lavoro che
intimamente ' collegasi col presente libro.
Giova intanto schiuderci la la vìa
determinando più nettamente il fine che
in esso
vorremo
conseguire. Che cos' è questa cosi
detta Sociologia? Che cosa ci esprime
e dev'esprimerci questa brutta ma
significan- tissima parola che con arguta
frase Stuart Mili, come accennammo, ha
chiamato harharismo comodo? La Sociologia,
la vera Sociologia, il cui fondamento più
legittimo è nella Scienza Nuova e
solamente nella Scienza Nuova, ci esprime
innanzi tutto la negazione d' ogni
qualunque filosofia della storia fabbricata
a priori; la negazione d' ogni qualunque
vantata filosofia deW umanità che pretenda
indovinare il futuro po- nendo, anche neir
ordine de' fatti e della realtà, le
fa- migerate colonne d' Ercole, vuoi con una
formola teologica e religiosa, vuoi con
una formola dommaticamente siste- matica.
Squarciare T impenetrabile velo del futuro
è impresa vana: la scienza deve
sapersi alimentare prin- cipalmente del passato,
e del presente; e col sussidio del
presente e del passato può indurre,
può sospettare anche il futuro, ma non
certo incatcuarlo e stringerlo nelle rigide
maglie d'una formola logica e metafisica.
La Sociologia è la ricerca razionale e
scientifica del mondo umano; ed è
razionale e scientifica perchè fondata so- prattutto
nelle leggi del processo psicologico,
nonché in quelle del processo isterico.
Essa dunque sarà la con- ferma (non la
deduzione) della nostra formola cosmolo-
gica
applicata al regno dello spirito e de'
fatti umani: la Conversione dd Fatto
nd Vero^ e col Vero. Formola *
Prim. Scùnua Atioro, Lib. II, cap.
Ili, p. 42. semplicissima, come ognun vede,
la quale per la sua stessa natura
e costituzione lascia libero lo svolgimento de'
fatti umani, libero il corso della
storia.; non tricoto- mia dialettica che
somigli e sia un duro letto di
Procuste com' è quella degli Hegeliani,
né tricotomia puramente storica e biologica
siccom' è quella de' Positivisti. Quali
poi saranno i massimi problemi della
Socio- logia? Innanzi tutto questi: se sia
possibile una legge istorica che nel
medesimo tempo serbi valore psico- logico, e
sociologico: in che maniera co testa
legge produca i tanto sfatati e derisi
Corsi e Ricorsi storici del Vico; pa-
role che
per noi (sia detto di passata)
esprimendo il Mec- canismo e '1 Dinamismo
della storia, cioè le condizioni statiche
e le condizioni dinamiche della
costituzione e dell' organismo della civil
società,^ racchiudon ben altro significato
che non danno ad esse gli odierni
sociologisti inglesi e francesi. Inoltre la
Sociologia deve indagar le ragioni per
cui si forma e per cui vive
l'organismo di questa società : ridurre
a due principalmente tutti quanti i
suoi poteri (politico e religioso),
applicando la legge isterica alla genesi
e svolgimento dell'uno e dell'altro,
indagando
qual possa esser per avventura il
significato razionale della perenne lotta a
cui sono e saranno im- pegnate queste
due possenti forze senza cui svanirebbe la
vita della storia e della società :
vedere come sorga, come proceda e come
signoreggi il potere supremo della Scienza,
e determinare qual soluzione possa ricevere r
arduo problema pedagogico, i cui dati
debbono esi- stere nella storia, e nella
psicologia. L' esigenza finale, occulta e
vivace della Scienza Nuova è appunto
la vitalissima quistione pedagogica; e fu
il primo bisogno che sentì la mente
del Vico nella sua Ragion degli
studii. La scienza dell'educazione pubblica e
privata; la scienza de' limiti ne' poteri
pedagogici dello Stato e della Famiglia,
della Religione e della Società ri- spetto
all'Individuo; la scienza del carattere
individuale e del carattere nazionale;
insomma il gran problema SiciLrANt. 33 etologico,
direbbe Stuart Mill, scaturisce, come
vedremo, dalla dottrina del nostro filosofo,
e potrà esser risoluto con metodo
razionalmente positivo, contraddicendo eoa nel
medesimo tempo alle dottrine sociologiche
estreme dell' Hegelianismo, del Teologismo e
del Positivismo. Se la storia dell'umanità
è l'educazione dell'uma- nità neir uomo e
ne* popoli ; ella debb^ essere
insieme I il fondamento positivo della
educazione nell' individuo,
e
nella specie. La prima esigenza è
chiara nella Scienza Nuova: la seconda
n' è l'immediata conseguenza, n'è il risultamento
finale e necessario. Questi saranno i
problemi capitali che noi tratteremo nella
Sociologia. La quale perciò non sarà
altro che r applicazione del presente
nostro libro, e, nel medesimo tempo,
l'esplicazione de' sommi principii sociologici
della Scienza Nuova. Perictdoste plenum opus
cdete I La conclusione d'un buon
libro, dice un acutissimo crìtico moderno,
ha da esser la coscienza stessa della sua
introduzione.* Nella Introduzione mostrammo come
i due generali indirizzi ne' quali si
raccoglie il pensiero moderno, i due poli
(come altri ha detto) ne' quali
sdoppiasi la moderna speculazione, sieno il
Positivismo e l'Idealismo assoluto; una
forma, cioè, di Scetticismo, e una
forma di Dom- matismo; ma scetticismo
e dommatismo coscienti, siste- matici, n
primo d' essi, quantunque sotto forme
diverse, domina in Francia co' Comtiani,
signoreggia in Inghil- terra co' seguaci
d'Hamilton, di J. Mill, di Stuart
Mill, * SAiKT-Bsim, Cau$erie9 du Lundi,
Tom. Prem., 8* ed., 811, 3f. Ouitoi. d'
Herbert Spencer, d' Alessandro Bain e di
Tommaso Buckle; e trionfa in Alemagna
col novello materialismo uscito da' fianchi
deir Hegelianismo. Il secondo poi ha trionfato
anch' esso in Germaenia per trent'
anni, e oggi
conta
seguaci più o men fedeli, piii o
men sinceri an- che in Italia. Qual è
la ragione di loro comparsa nel mondo moderno?
Vi è egli una ragione? Ci ha da
es- sere. La storia è anch'essa natura,
e come la natura ha i suoi
disegni : la storia è provvidente
come la natura. Per quanto diversi nel
metodo e diversissimi nel fine cui s'
indirizzano, cotesti due estremi a' quali
riesce il moderno filosofare si toccano,
dicemmo, nelle conse- guenze d' ordine
segnatamente storico, politico e reli- gioso,
al modo istesso che si confondono
altresì ne' risul- tati risguardanti V essenza
e la destinazione dell' umana personalità.
Or questi estremi che oggi si
presentano così divisi e che pur si
toccano fra loro e confondono in pia
punti, risalgono, quando siano considerati
stori- camente, ad una medesima sorgiva.
Questa grande e perenne sorgente, nella
quale s'occulta come in germe non pur
l'odierna speculativa, ma l' intero sviluppo della
filosofia occidentale e in parte dell'orientale,
è l'Aristotelismo. In Aristotile mostrammo
riprodursi Pla- tone con tutt' i suoi
pregi, e con tutt' i suoi difetti.
Ma se nel discepolo v' è il
maestro, vi è pur la correzione e
l'inveramento del maestro, massime quant'al
concetto del mondo. L' uno dunque non
intende negare, non in- tende annullar
l'altro; non intende sostìtuirvisij come si piacciono
dirci gli Hegeliani, ma intende
correggerlo,
svolgerlo,
inverarlo. Tal si è la mente vera
d'Aristotele : e tale è il significato
schietto e sincero della sua Me- tafisica
rispetto all' autore del Parmenide. Se
non che in cotest' opera di correzione
e d'inve- ramento, in cotesto lavoro
di ripetizione e di creazione, la
novella esigenza rivelasi anche qui come
una sintesi confusa, indigesta, contraddittoria
nelle sue diverse teo- riche, equivoca nelle
sue diverse dottrine. Inevitabile dunque
nello Stagirìta una feconda moltìplicità d'
indi- rizzi. Tre sono, e tre doveano
esser cotesti indirizzi formanti, a eoa
dire, il sustrato sul quale corre e
ri- corre la storia del pensiero
filosofico. Mostrare ih che maniera cotal
triplice indirizzo abbia saputo alimentare venti
e più secoli di ardita speculazione
filosofica, non potevamo, non essendo questo
l' intento del nostro la- voro. E per
lo stesso motivo non ci fu dato
far vedere come, sotto forme sempre
diverse, il naturalismo e V iper- psicologismo
siensi di mano in mano rinnovellati
attra- verso i differenti periodi della
filosofia occidentale. Sia- mo venuti bensì
accennando, a piii riprese, in che
mai risegga V indiriziso medio nel
quale sta la correzione e l'accordo
deir Aristotelismo col Platonismo; come sia possibile
rintracciarne i germi nel medesimo
Aristotele; e come al lento, ma
immancabile trionfo di siffatto in- dirizzo,
abbian preso e prendano e prenderan
parte
tanto
le forme che dicemmo j>o^va del
filosofare, quanto le forme negative. Ogni
maniera di speculazione soccorre al
progresso e alla ricostruzione della
metafisica, a con- tare dalla piiì
grossolana affermazione dommatica, alla negazione
del più volgare ed em])irico pirronista;
dalla più ardita formola sistematica, al
più sottile sofisma dello scetticismo
sistematico. Ma neanche qui ci poteva esser
concesso dimostrare, senza trascendere i
confini del nostro disegno, il modo
con che in mezzo allo svolgersi de'
due estremi indirizzi siasi venuto
incarnando e pi- gliando quasi persona l'
indirizzo medio. Mostrare in- somma come le
forme positive della metafisica siansi venute
svolgendo, sarebbe stato lavoro di storia,
e di crìtica: al modo istesso che
sarebbe stato lavoro di esposizione far
vedere la monotonia con che si sono succedute
le forme negative del filosofare. Solamente
ci fu mestieri accennare come nell'età moderna,
dopo le divisioni del Cartesianismo nel
quale ripetesi, con elementi di novella
speculazione, la vec- chia sintesi aristotelica,
l' indirizzo medio ci sia rap-- presentato
dal Leibnitz in Germania, e, più
spiccata- mente, dal Vico in Italia; e
come ne' tempi a noi piii vicini
siansi ripetuti gli estremi, e si
ripetan tuttora sotto novelle forme, così
nell'uno come nell'altro paese. È
iperpsicologismo il neoplatonismo italiano
moderno:
ma
forse che sarà meno iperpsicologismo il
sistema jdeir assoluta identità ? È
empirismo e nullismo meta- fisico il
positivismo di Francia ed il materialismo
di Germania: ma sarà meno empirismo lo
scetticismo siste- matico del Ferrari e
certa ibrida forma di criticismo del Franchi
e il nullismo metafisico de' nostri
filosofi del- P avvenire ? * * Vedi
qael che altrove abbiamo discorso circa
le forme negative e le forme po»Uìve
del filosofare e circa la storia
della filosofia in generale (Gap. III.
lib. II.) Lo scetticismo non è da
pigliarsi a gabbo, come par che
facciano tutto giorno dommatici e
sistematici. La sua funzione isto- rica
ha grande importanza, essendo quasi la
molla efficace, tuttoché negativa, del
progresso in filosofia, né y*,ha periodo
storico in cui lo scet- ticismo non
accompagni sempre lo STolgrersi del
dommatismo. Il dom- matismo è syariatissimo
nelle sue forme, e quindi possiede
una storia. Lo scetticismo invece è
immobile, è immutabile; e questo è
insieme il suo pregio, e la sua
condanna. Perciò lo scetticismo non ha
né può avere una storia, appunto
perchè non importa un processo; e non
è processo appunto perchè è negazione.
L* arma dello scettico infatti è sempre
identica a sé stessa. Nel nostro
Ausonio rivive Enesidemo, e nel nostro
Ferrari vi è tutto Sesto Empirico.
Chi si voglia quindi provare o siasi
provato, come il Bissolati (Ved. Tntrod.
alle fgtituxioni Pirroniane^ Imola 1870), a
fare una storia dello scetticismo, altro
non fa, altro non potrà mai fare,
salvochè una rassegna, un racconto monotono
e sazievole d'argomenti identici. L'esigenza
scettica, il metodo teettieOf potrà be-
nissimo
cangiare i punti di m«(a, come
fann'oggi gli schietti positivisti, ma la
sostanza rimane e rimarrà sempre la
stessa. Invece 1* esigenza dommatica è
un fatto al pari dell' esigenza scettica:
ma ò un fatto che si muove; è
un fatto che sì fa. Hegel ripete
Platone, e ripete Erigena; ma non è
nò Platone, né Erigena. Rosmini ripete
Aristotele o San Tom- maso, ma non è
né Aristotele, né San Tommaso. Gioberti
ripete Male- branche, ma non è nient'affatto
Malebranche. 11 Ferrari anch'egli ripete; ripete
Sesto Empirico. Ma come lo ripete?
Facendone la fotografia! Ora se il
dommatismo conta una storia essendo un
processo isterico, e lo scet- ticismo n'é
al tutto sfornito, com'è possibile che
il trionfo stia pel se- condo anziché
pel primo ? La funzione isterica
dello scetticismo dunque è necessaria,
essendo »na ruota della macchina; ma
badisi a non con- fonder la macchina
con la ruota,, ciò che costituisce
appunto l'errore-- di chi spera (vana
speranza!) nel trionfo definitivo del
Pirronismo. Se non che, lasciando del
Leibnitz e del moto filo- sofico d'
Alemagna, peculiar proposito del nostro
libro ' era quello d' additare la
correzione e V inveramento delle due
estreme tendenze (scettica e dommatica) che
nascono e rinascon parennemente nella
storia, e che oggi, assunta forma pia
conseguente e razio- nale, s^addimandano
Positivismo e Idealismo assoluto. D
fondamento di tal correzione e '1
criterio di sif- fatto inveramento, per ciò
che spetta al nostro paese, pone
radice nelle dottrine del filosofo
napoletano, in- terpretate e ricercate con
metodo critico rintegrativo.
Ma, a
far questo, che cosa era d' uopo
mostrare in- nanzi tutto? Era d'uopo
mostrare la possibilità di rin- venire in
lui cotal fondamento. In altre parole,
era d'uopo mostrare se in lui per
avventura fosse alcuna originalità di
speculazione razionalmente positiva: il che
ci parve opportuno innanzi tutto far
vedere in ma- niera indiretta e per
via storica, abbozzando una storia de'
critici e degli espositori delle dottrine
vichiane. Che poi davvero esistano in
lui germi d'originalità metafi- sica, r
abbiam chiarito nel secondo libro di
quest' opera, interpretando le sue teoriche
con una forma di critica che
scaturisce logicamente dalla stessa triplice
paiii- zione de' periodi ne' quali abbiam
diviso quel nostro saggio istorico. Se
pertanto un rinnovamento del pensiero
filosofico italiano è necessario e
inevitabile perchè richiesto dalla ragion
filosofica positiva, perchè domandato dall'
esi- genza del sapere moderno, e perchè
imposto dalle rinno- vate condizioni politiche,
civili, religiose del nostro paese ;
si domanda : come innovarci ?
introducendo forse il Positivismo, o
perdurando nello Scetticismo? Evidentemente
contraddiremmo all'indomabile istinto verso la
scienza: contraddiremmo al bisogno sempre più
acuto e profondo di nostra ragione:
negheremmo la ragione. Vorremo innovarci
seguitando a dirci ed es-
sere
iperpsicologisti? In tal caso dovremo
accettare due condizioni: costruire la
scienza con la ipotesi, con Va priorismo;
e disconoscere i limiti del pensiero
e della scienza stessa, dando così
alla ragione un valore dom- matico,
sistematico, assoluto, anziché critico e
positivo. Chi vorrà oggimai accettare
siffatte condizioni? Dunque Positivismo e
Idealismo assoluto, negazione assoluta di sistema
e assoluto sistematismOy son le colonne
d^ Ercole che la moderna Francia e
la moderna Germania ci vo- gliono imporre:
esse non ci appartengono, e a noi
sarà lecito abbatterle, non per vana
horia nazionale, ma si per necessità
di ragione. Forse che un rinnovamento in
senso hegeliano non ha ormai fatto
fra noi le sue prove per quindici
anni, per vent'anni? Non è stato fa- vorito
con ogni guarentigia di libertà? Non
è stato e non è rappresentato così
nel privato come nel pubblico insegnamento?
E pure T Idealismo assoluto, almeno quant^alla
peculiare esigenza che lo distingue, cioè come
Sistema delP identità assolata^ non ci
è passato in sangue, ne poteva ;
e nonostante gli sforzi nobilissimi di
egregi scrittori, egli è rimasto ne' libri,
e rimarrà ne' libri. — Altrettanto
impossibile riesce un rinnova- mento dsL
positivisti. Piii deir Hegelianismo il
Positivismo è stato accarezzato, favorito
per ogni verso, predicato privatamente,
talora persino officialmente. Ma gF ingegni
severi
vi han reagito, vi reagiscono ; e
T infinita moltitu- dine di que' filosofanti
che han su le labbra cotesto nome pomposo
e bugiardo, è lungi dall' averne ponderato
il valore, le conseguenze, le applicazioni.
Binnovamenti di cotal genere, dunque, sono
impossibili fra noi: e' non sarebbero
legittimi, coscieuti, naturali, autonomi,
efficaci, intimi, storici. —Vogliamo finalmente
ritentare un rin- novamento d'iperpsicologismo da
ontologisti neoplato- nici? Resteremmo quel che
pur troppo siamo stati, e siamo: non
andremmo avanti; torneremmo indietro. Se
dunque la necessità del nostro innovamento
filoso- fico deve poter germinare dalla
passata speculazione, noi dobbiamo rintracciarne
gli elementi nelle opere e nella mente
di chi è capace di rappresentare non
pure il pas- sato, ma, più ancora, il
presente e T avvenire. È d'uopo attingere
ispirazione nelle opere e nella mente
di chi può soddisfare V esigenza
positiva e V esigenza ideale del sa- pere,
ma correggendole entrambe. È d' uopo invocare
gli auspici di chi, incarnando il
medio indirizzo della specula- zione, valga
a rannodarci con la nostra tradizione
scien- tifica, e con lo svolgimento
dell'intera storia della filosofia. Chi
potrebb' esser questi, fra noi, salvo
che V Autore deUa Scienza Nuova? Ecco
l'addentellato piii sicuro e tutto nostro,
dal quale è mestieri s' inauguri il
presente rinno- vamento filosofico italiano. Ma,
nell'invocame gli auspicii,
noi
dobbiamo interpretarlo con la coscienza del
sapere moderno : noi dobbiamo correggere
anche lui ; e correg- gendo, lui
correggeremo poi stessi, e gli altri:
correg- geremo il neoplatonismo, l' hegelianismo,
il positivismo. Brevemente: se rinnovarci è
suprema necessità, di tal necessità è
d'uopo aver pienezza di sentimento e
di coscienza storica. Abbiamo dunque bisogno
d' una base per muoverci, d' un punto
a cui mirare, d' un segno per orientarci,
d' una guida tutta nostra in cui la
nostra mente riconosca sé medesima. Chi
potrebbe risponder meglio a cosiffatta
esigenza tranne colui che seppe con- cepire
il sublime per quanto rozzo e
incompiuto disegno d'una Scienza Nuova? 11
nostro quesito adunque era semplice e
chiaro; ed è questo : Come penserebbe
il nostro filosofo ov' ei tornasse a
vivere in mezzo a noi, nelle nuove
condi- zioni politiche, sociali, religiose, co'
nostri nuovi bisogni, con le nostre
nuove tendenze? In altre parole: come farebb'
egli a risolvere oggi, col suo stesso
metodo, i grandi problemi della scienza?
La risposta riguardante i problemi
speculativi, è nella seconda parte del presente libro.
La risposta poi che concerne i
problemi d' ordine storico, politico, religioso
e pedagogico, la daremo nella Sociologia.
È che sia questa per l' appunto l'
esigenza del suo pensiero ; che sia
questa la necessità del nostro
RinnoTamento,
ce ne porge guarentigia e conferma la .
storia, e U modo con che s'è
venuto attuando e svolgendo il nostro
pensiero filosofico. Noi non possiamo
intrat- tenerci a lumeggiare in qualche
maniera cotesto svolgi- mento. Non possiamo
rilevarne i caratteri, ritrarne la necessità
ne' passaggi, e dichiararne il progresso ne'
diffe- renti periodi, dando così forma
determinata e compiuta al nostro assunto.
Questo faremo quando che sia con ap- posito
lavoro, di cui abbiamo già in pronto
la materia. Ma accennare di volo al
risultamento del nostro pensiero senza por
tempo in mezzo, è cosa che possiamo
fare anche ora; tanto piii, che tal
risultamento, chi ben guardi, traesi
facilmente dalle cose discorse in piii
luoghi del nostro libro. La storia
della filosofia italiana, dunque, a noi
sem- bra doversi dividere in tre difiFerenti
periodi, de' quali stringiamo in pochissimo
i caratteri e le tendenze pe- culiari: Primo
Periodo {Scolast%c(hteologico), S'inaugura con
Boezio Severino (Marciano Capella, Cassiodoro ec),
e finisce con San Tommaso (Tomisti e Scotisti
inclusive).* * Vi è chi col Gioberti
divide la storia della filosoRa italiana
in cinque epoche (Ved. Prìmnto, ed. 2\
1845, P. II, pag. 278); e v'è
chi la divide in quattro età,
cominciando dal VI sec avanti Cristo
(Babtolom- I M RS, Dici, den teienc
philot.) Divisioni di cotal fatta
evidentemente pec-
cano
d'eccesso, in quanto che abbracciano più
e diverse civiltà, e però non riescono
ad imprimere valor razionale e forma
omo^renea allo svolgimento del nostro
pensiero fllosoftco. La storia della
filosofia italiana s* inaugura quando il
popolo di Roma, cessando, secondo il
detto di Hegel, d* essere essenzialmente
umanitario e univertale, comincia ad essere
italiano. Il suo cominciamento <^indi ci
è additato da un nuovo elemento che
sorge in me^zo ai vecchi, e vi
si sovrappone. Quost* elemento nuovo e
Tidea cristiana; i vecchi poi sono il
Platonismo e T Aristotelismo nello diverse lor
forme. Perciò se il 1* periodo della
nostra filosofia è una stracca ripe- tizione
del pensiero greco e romano, è anche
spontaneità, è anche attività, quantunque
Tobbietto di cotesta attività sia un
contenuto di natura Suo carattere precipuo
è quello d' essere una rifles^ sione
teologica, una speculazioìie sul domina; e
quindi ci rappresenta T assorbimento della
Ragione nell'Autorità. Il contrasto s' accende
fra Nominalisti, Realisti e Con- cettualisti;
con le quali tre scuole si riproduce
il vec-
chio
triplice indirizzo aristotelico, ma sotto
novella forma essendoci il nuovo contenuto
dell' idea cristiana. Questo primo periodo
infatti si dischiude modestamente per opera
d' un Nominalista, ultimo de^ Romani ^
primo degli Scolastici : egli imprime
forma al pensiero commentando una parte
dell' Organo aristotelico, e ponendo la
qui- stione degh Universiili eh' ei per
altro non s' attenta di risolvere,
parendogli oggetto d'ofóiom phUosophÙB. Si chiude
poi con l'Aquinate, il quale perciò è
tutt' altro
che
nominalista. L'autore della Somma anzi
rappresenta una forma severa di Concettualismo;
e però ci esprime r indirizzo medio
del filosofare in que' modi e in
quelle condizioni ch'eran permesse alla
Riflessione teologica. La ragione per lui
è un' ancella, ma è anche una
guida; e di fatto in pili cose
egli riesce a correggere i due
filosofi greci. Egli in somma dimostra;
almeno si sforza di di- mostrare. E,
più ancora, dopo il suo maestro
Alberto Magno egli trasferisce la questione
degli Universali dal puro mondo della
logica nelle altre sfere della scienza, '
collegandosi cosi col Rinascimento. Un
progresso dunque nella Scolastica italiana
è evi-
dente,
chiunque ripensi quanto e qual divario
esista fra il punto ond'ella si parte,
e '1 punto ove arriva. Se non che
questo progresso è omogeneo, uniforme,
monotono, e però non è vero processo.
È anzi una giostra intellettuale in
campo chiuso; né quindi sono da
accettarsi le divisioni onninamente religiosa.
Ecco perchè il ricorto medioetaU pel
Vico non è un ricorto nel significato
d* una ripetizione para e semplice
come i più intendono la dottrina
vichiana de*cor«i e rieorti ttoriei, ma
ò insieme ripetizione e innovazione. Questo
dimostreremo con argomenti d'ordine storico
nella Sociologia tanto rispetto alla
fllosofla, qaanto alle altre manifestazioni
della civiltà. a perìodi che della
Scolastica han fatto il Tennemann, il
i Brucker, il Cousin, THaureau, il
Poli. Platonico nella so-
stanza,
questo primo periodo è aristotelico nella
forma: che, davvero, ragion teologica,
essenzialmente domma- tica, non si poteva
proporre siccome fine speculativo il problema
su l'organismo del pensiero e dell'essere, cioè
il sistema, bensì quello del metodo.
Nominalisti, Concettualisti e Realisti, infatti,
discutevan su' generi e su le specie;
discutevan su le idee considerate non già
in sé stesse e nella loro etema
immanenza ed esem-
plarità (nel
che eran tutti cattolici e platonici
almeno in Italia), ma su le idee
considerate siccome oggetto della meììte.
Però l'esigenza più vivace di questo
primo periodo è un' esigenza prevalentemente
ideologica, stan- techè si cercasse la
natura e s' indagasse l' origine del-
l'
universale. Ma un periodo storico è
sempre un organismo : un organismo in
cui v'è cospirazione d'atti, omogeneità
d'
indirizzo, corrispondenza di funzioni. Alla
forma e al contenuto del periodo Scolasticoteologico,
dunque, rispondono e debbono risponder tutti
gli elementi della
civiltà.
Quant' al govei-no del mondo, per
esempio, la Provvidenza pel medioevo sta
nell' immediata azione di Dìo su la
natura, e su la storia. Quant' alla
costi-
tuzione
politica, il potere civile è sommesso
al potere spirituale come il corpo
soggiace all'anima, come la terra al
cielo, come il diritto alla morale,
come il cit- tadino al sacerdote, come,
in somma, la Ragione al-
V Autorità,
A questo primo periodo, nella storia
civile, rispondono le cinque invasioni
barbariche. Ecco, direbbe il Vico, Vetà
divina del nostro pensiero filosofico. Lo spirito
vive fuori di sé : vive tutto
in Dio, nel Papa, nel
Secondo
Periodo {Scolastico ' filosofico), S' inaugura
col Petrarca,* e più con Leonardo
da Vinci, e finisce col Galilei, col
Bruno e col Campanella inclusive. Suo
principal carattere è la negazione della
Sco- lastica, che vuol dire della
Riflessione teologica e dom- mcUica. Non
più omogeneità, monotonia, giostra in
campo
chiuso; ma varietà, eterogeneità d'indirizzi, lotta
in campo aperto. Non più la Ragione
ancella dell'Autorità, ma la Ragione e
l'Autorità congiunte fra I loro, appajate,
accostate, e quasi accoppiate in maniera tutta
meccanica ed estrinseca. Indi le
contraddizioni in quasi tutt'i suoi
filosofi; i quali in mentre che
protestano obbedienza e devozione alla
Chiesa, compiono la riforma filosofica più
radicale e solenne che porga la
storia, prima ancora che in Germania
si fosse risvegliato lo spirito luterano.
La libertà di ragione in Italia
prevenne il \ sentimento della libei*tà
di coscienza surto in mezzo alle genti
teutoniche. In questo secondo periodo
predomina l'esigenza ari- stotelica. Vi è r
indirizzo empirico co' materialisti di Bologna;
vi è l'indirizzo ipersicologico con gli
arabeg- gianti di Padova e co'
platonici toscani; e già traspare r
indirùiizo medio in que' filosofi che
procacciano d'ac- cordare il Plat(rnismo con l'
Aristotelismo : così riprodu- consi ma
con ben altro contenuto, le tre
posizioni sco- * Il Petrarca rappresenta
la prima negazione della scolastica; la qual
tendenza in Ini è eTidonte, assai più
che. nell' Alighieri. Dante ha un'attinenza
ideale con San Tommaso: egli trasferisce
la nuda idea cattolica nel regno della
fantasia, e sta al W Aquino così
come Y im- maginazione alla ragione
dommatica. L* Alighieri dunque ci
rappresenta r attività della ragione che
fa un primo passo al di là del
domma, ma senza ombra di coscienza
speculativa. Il Petrarca invece, considerato come
filosofo, ci esprìme un primo grado
di questa coscienza. — Ved. il no- stro
Disc, avanti citato, DanU Galileo e
Vico, Firenze, 1865. lastico teologiche del
primo periodo. L' esigenza specula- tiva infatti
non è altrimenti ideologica, ma
psicologica. Non pili il problema de' generi
e delle specie; non più r universale
come oggetto del pensiero, ma lo
stesso pensiero: la natura, l'origine e
'1 fine dell'anima. Pre- valendo l'Aristotelismo,
vi prevale anche l'astrologia, conseguenza
logica della cosmologia aristotelica erro- neamente
interpretata, e della dottrina su le
dieci sfere onde risulta composto il
mondo. Pur nuUameno cotesta esigenza
astrologica del Rinascimento, chi ben la
guardi, ci esprime già una prima
negazione; ci rappresenta una' limitazione
del concetto degl' influssi divini diretti^
e della immediata influenza di Dio sul
mondo. Non si nega per anche la
provvidenza, è vero ; ma la si
considera
com' un'
azione mediata. Inaugurazione quindi e svi- luppo
delle scienze di natura: elemento
nuovissimo, esi- genza allora tutta italiana.
— Ora in tanta eterogeneità' e
disparità di pensiero; in cod viva
lotta di tendenze contrarie; in tanta
energia di vita politica, artistica, scientifica,
religiosa, commerciale, industriale e poetica; questo
glorioso periodo isterico è, e debb'
essere an- ch' esso un organismo :
tutto vi corrisponde, tutto ar- monizza, e
il suo peculiar contrassegno sta nell'
esser r età eroica del nostro pensiero
filosofico, politico, nazio- j naie. Si
scoprono perciò mondi novelli su la
terra, e nel cielo. Si fa riviver
la Grecia e Roma nel regno dell'
arte. La vita politica fermenta rigogliosa
nel municipio. Alla Morale che assorbiva
il Diritto èuccede il Diritto che assorbe
la Morale. Alla scienza giuridica, alla
creduta scienza giuridica, l' arte politica;
a San Tommaso, Ma- chiavelli. £ la
religione? La religione allora si presenta qual
semplice mezzo, qual semplice strumento
nelle mani de' potenti e de' reggitori de'
popoli, giusto perchè si reputa un
artifizio, un ritrovato artifizioso dell'uomo. Il
pensiero dunque nel Risorgimento non vive
fuori di sé; vive in sé, vive
anzi troppo d' accosto a sé. Manca perciò
il concetto della morale e della
religione, ma vi è il sentimento etico
e religioso. Manca il vero concetto
del I gitis, ma ve n' è il
senso, la coscienza, la forza. Manca il
concetto della scienza, ma vi è la febbre
della ri-
cerca, la
grande erudizione, la divinazione istorica. Se
non che, quant' al secondo periodo
storico della nostra filosofia, giova
intenderci meglio, poiché nel Rinascimento
pongon radice le ragioni complesse del
no- stro moderno Risorgimento, a spiegarci
il quale, perciò, non occorre uscire
dal nostro paese. Il Rinascimento è I
davvero il nodo gordiano degli storici
spiccioli, degli amminicolatori, de' cosi
detti specialisti, de' monogra- fisti.
Costoro pretendono cogliere il razionai
significato di quella grand' età delineando
quadretti di questo o quel filosofo, 0
scuola di filosofi; tessendo monografie di
questo o quel politico, o scuola di
politici; scrivendo memorie di questo o
quell'artista, poeta, storico, pontefice che sia.
Ma la parte, l'elemento, il quadretto
resterà sem- pre parte, elemento, quadretto
assai poco intelligibile: perchè? perchè al
quadretto manca, dire' quasi, l' aria, manca
la luce, manca la vita che può
solamente sca- turire dalle intime relazioni
col passato, e col futuro. Ristringiamoci
al tema. Come intendere il Ficino e
la sua scuola, per esempio, studiandolo
in sé stesso al modo che s'è
fatto fra noi in questi ultimi anni?
Uome intendere la scuola del Cimento
co' lavori monogra- fici? Lo studio
monografico tornerà profittevole, quando abbia
carattere essenzialmente particolare. La mono- grafia
debb' essere un'esposizione scrupolosa, un
ritratto
fedele
d'un filosofo e d*' una scuola, e
però ha da essere uno studio critico
obbiettivo. Ma tutto ciò non è
scienza del fatto; non è filosofia
della storia; non è critica filosofica.
Or se la monografia vorrà, come
monografia, assumer valore critico generale,
non risica di riescir sistematica, erronea
e fallace nelle conseguenze?' * Gli
studi p. es. del Puccinotti, del
Galeotti e del Conti sul Ficino potranno
essere, e certo, 8ono bellissimi :
ma, a guardarci bene, in simili monografie
▼! ò già tutt' un sistema ; vi
ò un criterio sistematico col quale L'
età del Rinascimento vuol esser considerata
nella I sua sintesi, e perciò va
studiata in relazione al primo I perìodo
della nostra filosofia, eh' è la
Scolastica. Allora la suastragrande varietà
di scuole, di tendenze e d' indi- rizzi
è beli' e spiegata in modo razionale,
perchè ci rap- presenta l'eterogeneità in
atto, per così dire, succeduta alla
omogeneità della inflessione teologica. Gli
estremi del pensiero filosofico qui sono
e debbon esser davvero estremi, cioè
fra loro contrari ed opposti. E tale
sarà pure l' indirizzo medio, cioè
svariatissimo, per necessità tutta storica e
psicologica. Cotesto indirizzo medio, per
esem- pio, comincia ad essere attuato da'
così detti Umanisti, che noi chiameremmo
metodisti, fra' quali citiamo il Ni- ' zolio,
Alessandro Piccolomini, l' Erizzo, l'Aconzio, ed
altri di simil fatta. Accanto a questi
il Da Vinci, il Telesio e tutta
la scuola Telesiana; e dopo questi la
grande Scuola
Galileiana,
o del Cimento. Contro gli estremi
indirizzi del Neoplatonismo e del
Naturalismo e dell'Arabismo tutti costoro
non fanno che inc>amare il concetto
del me- todo, cioè la industria induttiva,
ma ne' fatti d'ordine fisico sensato, e
in parte filologico ed erudito. L'indirizzo medio
perciò s'inaugura con ricercare e
determinare il metodo, non già con
l'edificare un sistema. Questo è il
lor merito comune ; e questo è
anche il loro difetto, stantechè manchi
ad essi la nozione compiuta del me- si
pretende imprimere ralore a tutta la
storia, quando s* interpreta, cosi com*es8Ì
fanno, la scuola platonica toscana, e
le si vuol dare quel valore ch*ei
le danno. Un altro esempio sono gli
studi dello Spaventa sul Bruno e sul
Campanella: studi bellissimi e pieni di
vedute profonde dalVun capo air altro,
e come monografie noi H accettiamo, e
ne caviamo il nostra prò: ma com*
elemento di storia generale, la Agnra
e la Asonomia del Bruno, per esempio,
ò delineata siffattamente, che quando siamo
al si- gniAcato della storia generale
della Alosofla, si toccan con mano lo Gonsognense
sistematiche e parziali della critica
monografica. In una parola io; voglio
dir qoesto: la monograAa ò boli* e
buona, ò suprema- mente utile, ma è
sommamente pericolosa; perchò se come
studio mo- nografico ella può esser vera,
come parte, com* elemento di storia
pu^ riescire falsissima. Altrove noi
proveremo largamente e con esempi no- strani
tale assunto. todo com'è applicato oggidì
da^ metafisici. Se non che l'indirizzo medio
nel Rinascimento ci può esser più
con-
venevolmente
rappresentato da que' filosofi che, trava- gliandosi
attorno alla quistione delP anima intesa
come problema puramente psicologico, fanno
ad un tempo ogni sforzo per
interpretare con benigna critica la
dottrina déiV intdletto possibile e
deìVinteUetto agente^ e fra questi, come
altrove notammo, van rammentati il Nifo,
il Porzio ' (il quale non è nient'
affatto un seguace del Pomponazzi, come
pretenderebbe il nostro collega Fiorentino),
lo IZabarella, il Castellani ed altri
di simil valore. Costoro sorpassano i
confini del senso; trascendono in parte
la modesta indagine psicologica introducendo
la ricerca co- smologica, e rannodano così
il problema dell'anima intel- ligente con r
altro della natura intelligibile. Nessuno
ha I pensato a rilevar nettamente
questo aspetto, e segnalare questa tendenza
tanto evidente in parecchi filosofi di
quell'età. E pur ci sarebbe tanta
mèsse da mietere, i quando non fossimo
signoreggiati dalle prevenzioni siste- matiche del
Neoplatonismo, o dell' Hegelianismo 1 Ma r
eterogeneità, il contrasto, V opposizione
cresce sempre più. Da una parte ella
si esagera, per esempio, con lo
Zimara, col Cesalpini, col Vanini e
simili; i quali ' rappresentando, diremmo
quasi, una mischianza di na- turalismo e d'
iperpsicologismo, palesano la. fiacchezza del
vecchio aristotelismo : dall' altra poi
si esagera con que' filosofi che
presumon d'interpretare convenevol-
mente
Aristotele e Platone, mentre arabeggiano la
lor parie ; e tali» per esempio,
sono il Lagalla, il Liceto ed I altri
di simil fatta. È il Platonismo
toscano, è il Na- turalismo del Pomponazzi,
è l'Arabismo padovano che si prolungano
pur sempre svigoriti e indeterminati. Bruno
e Campanella rappresentano anch' essi
debol- mente r Aristotelismo e '1
Platonismo, ma per una ra- gione assai
diversa. L'esigenza psicologica, propria del Rinascimento,
nei due arditissimi frati assume ben
al- tro valore, e si allarga a
sistema; e così vediamo i due estremi
modificarsi di guisa, che Bruno e
Campanella ci paion quasi filosofi moderni,
e modernissimo il Galilei rappresentante
dell' indirizzo medio nella scienza fisica,
in quanto ci esprime assai vivacemente
l'esigenza induttiva nelle discipline
sperimentali. Bruno, Campanella e Galileo, infatti,
non ripetono Aristotele e Platone, e
neanche in- tendono ad accordarli : essi
piuttosto tendono a correg- gerli, e credono
correggerli, come altrove mostreremo, in tre
diverse maniere. Perciò non a torto
il filosofo Nolano è riguardato oggi
siccome antecedente isterico di Spinoza; il
filosofo di Stilo è ritenuto come
antecedente di Car- tesio; e il Galilei
viene invocato da' Positivisti come uno ùe'padri
del Positivismo, secondo che ci han
fatto grazia dirci il Comte ed il
Littré. Or tutto questo sarà vero;
sarà vera cotesta novità
ne'
tre filosofi: ma sarà vera nel senso
che a tutti e tre manchi qualcosa.
Essi ci rappresentano, vorre' dire, tre* esigenze
solitarie, esclusive e quasi inorganiche.
Nel Cam- panella, per esempio, vi è il
concetto della coscienza e della storia;
ma non vi è quello dello spirito
come sto- ria. Nel Bruno vi è il
gran concetto della ìiatura; ma è un
concetto sifl'attamente annebbiato e
indeterminato che riesce affatto irrelativo,
e nulla non ha né dietro, né
avanti a sé: talché con l'avere
affermato che la prima causa debba
essere insieme efficiente, formale e
finale, e' si chiarisce seguace, non
già d'Aristotele, come vorrebbe il Michelet,*
ma dell'indirizzo naturale dell'Aristotelismo. Il metodo
del Galilei, finalmente, é quello che
debb'essere; un processo induttivo e
critico, ma solamente applicato allo studio
delle leggi fisiche. D'altro canto il
filosofo pisano ha grandissimo valore quando
si pensi com'egli, riducendo le leggi
di natura fisica o meccanica a feno- meni
piÌL 0 manco generali, giugnesse a
scacciare dal regno degli agenti naturali
ogni fantasia astrologica del falso
Aristotehsmo: ma chi dirà eh' e' pervenne a
darei * Métaph, <r Ari8t., ed. cìt.
p. 268. SlClLlAKI. una dottrina cosmologica?
Se dunque i tre filosofi, che sopra
gli altri di quell' età come aquile
volano, ci si pi-e-
sentano
in sé stessi manchevoli, incompiuti e
quasi fra loro inorganici; la conclusione
sarà questa, che in ciascun d' essi
havvi un' esigenza non soddisfatta. Il
concetto"^ del Bruno su la natura
vuol esser corretto : vuol esser compiuto
il concetto psicologico del Campanella; e
dal regno de' fatti fisici il metodo
galileiano è d' uopo tra- sferirlo in quello
de' fatti morali e della storia. Ecco la
triplice esigenza speculativa nella quale
si raccoglie, per così dire, tutto il
significato speculativo del Rina-4 scimento.
A tale esigenza soddisfa il secolo
XVIII con lo dottrine del Vico. Una
relazione ideale, dunque, fra il secondo-
e '1 terzo periodo della nostra
filosofia, è evidente, razionale,
necessaria. PfiBioDO Tbbzo. (Filosofico-positivo e
critico.) Il terzo periodo della nostra
filosofia s'inaugura col Vico avversando e
insieme inverando il Cartesianismo, e finisce
con l' iperpsicologismo da una parte, e
con l' empir rismo dall' altra: l'un de'
quali è rappresentato dal Neo- platonismo de'
nostri ultimi filosofi, e dall' Idealismo
asso- luto importatoci dalla Germania; l'altro,
dallo Scetti- cismo, dal Materialismo, dal
Positivismo. Peculiar distintivo di questo
terzo periodo non è la Ragione
assorbita dall'Autorità, ne l'Autorità e la
Ra- gione irresolute; ma l'Autorità risoluta
nella Ragione; cioè la Ragione che
diventa Autorità, coscienza di sé medesima.
Il pensiero filosofico non vi è mosso
altrimenti da un'esigenza puramente ideologica^
né puramente psi-
cologica; ma
ideologica e psicologica intrinsecate nella storia
(processo istorico-psicologico). Non più il
problema dell'universale e del particolare,
cioè dell'individuazione, ma quello della
lor conversione. Non più il problema dell'
anima e dell' individuo, ma quello
della storia e della società (Scienea
Nuova.) Non più il mondo come piedistallo
d'un Dio solitario; un mondo divino
sol perchè esistente in Dio, creato da
Dio, tendente a Dio: ma un Dio
presente al mondo, e un mondo creante
sé stesso, e però divino in sé
stesso, divino per sé stesso. Non più
la Trinità tedoffica, ma il Triauno
filosofico e razio- nale uscente dal seno
istesso del simbolo religioso, del sentimento,
della coscienza, dell'immaginazione. Non più la
formola disdogica e la formola teleologica
del cate- chismo, bensì la formola
metafisica del Processo ideàley e la
formola cosmologica del Processo cosmico e
della Vita Universale. Non più la
scienza data, ma la scienza fatta; e
fatta non già come assoluta, a priori
e tutta d'un pezzo, ma come produzione
assoluta del pensiero, e della storia.
Non più filosofia della storia a
priori, condotta vuoi con metodo
tradizionale e teologico, vuoi con metodo
sistematico e assoluto; ma benintesa so- ciologia,
beninteso metodo storico e psicologico. Non più
il diritto derivato dalla morale, né
la morale dal diritto; ma entrambe
queste discipline emergenti dal-
l' azione
combinata del pensiero con la storia,
delle idee col fatto, della ragione
con l'esperienza. Però la politica si
palesa alla mente non più come
ispirazione, comando, suggerimento teocratico, e
tanto meno come arte dd riuscire y ma
come scienza, come scienza del Diritto,
come Diritto applicato {Diritto Universale).
Però le forme del reggimento politico
si presentano non più come istituzioni
immobili, immutabili, intangibili; ma come altrettanti
organismi, e quindi come altrettanti
processi. Però la religione non è più
intesa com' effetto d' origine divina, e
neanche come semplice mezzo, come
artifizio, come ritrovato umano; bensì come
processo anch' ella, come produzione
psicologica necessaria nello svolgersi della
storia. Però non più provvidenza immediata,
né astrologia; non più influssi immediati,
né mediati; ma provvidenza naturale,
provvidenza storica, provvidenza umana: rd>us
ipsis dictantibus. Però non più individui predestinati;
non- più famiglie, né razze privilegiate;
non più popoli eletti : ma privilegio
dell' intelligenza, ma trionfo della libertà
in ogni senso e sotto qualunque
forma, nella Famiglia, nello Stato, nella
Chiesa, nella Scuola, nella Società. Dunque,
formola suprema della vita e della storia,
deUa natura e della speculazione, de'
fatti e delle scienze e di Dio
stesso : la Conversione del Vero
cól Fatto, e del Fatto col
Vero. Il terzo periodo della nostra
filosofia ci rappresenta V età umana:
rappresenta l'età delle idee, l'età
della Bagione spiegata. Quale sarà dunque
la conclusione? La conclusione è
chiarissima. Questo terzo periodo importa l'
esigenza, la necessità d' un
Rinnovamento: racchiude l'esigenza e la
necessità d'una filosofia razio- nalmente
positiva. La sintesi confusa del primo
periodo si ripete anche nel terzo; ed
ecco le contraddizioni evi- denti, manifeste,
grossolane, talvolta puerili del Vico.
La medesima sintesi veggiamo ripetersi ne'
nostri ultimi filo-
sofi
neoplatonici; ed ecco le contraddizioni del
Rosmini, ecco i controsensi del Gioberti,
ecco le incongruenze del neoplatonismo del
Mamiani. Ma cotesta sintesi tien dietro
ad un'analisi, tien dietro all'analisi del
Rina-
scimento.
Dunque, tuttoché erronea, ella già segna
un progresso. Perciò le contraddizioni dei
nostri filosofi si risolvono di per sé
medesime; si risolvono e correggono per
necessità storica : le risolve e
corregge la storia ella
stessa;
rebt4S ipsis dictantibus. In altre parole,
il terzo periodo è un ricorso, direbbe
1' Autore della Scienza Nuova; è un
ricorso d'uà corso, cioè un ricorso
del primo periodo. Ma cotesto ricorrere
non è già un sem- plice ripetersi,
bensì é un ripetersi che si rinnova
neces- sariamente, ciò è dir razionalmente :
ecco la ragione del suo verace
progredire. Quale é dunque il problema
che la storia del nostro pensiero
filosofico tende a risolvere? È sempre
l'antico, l' antichissimo problema, or
divenuto novissimo: la correzione e l'
accordo della doppia e vec- chia
esigenza naturale e iperpsicologica, empirica
ed a priori, positiva e ideale. Quale
n' è poi il risulta- mento? È il
trionfo dell'indirizzo medio; è
Finvera- mento successivo, progressivo e
razionalmente neces- sario di tale indirizzo;
ed è quella perennis phUosophia
del
Leibnitz la quale non è fatta, ma
si fa, e sempre più si
farà. Abbiam detto che in questa terza
età la Ragione sommette l'Autorità, trionfa
dell' Autorità, e la riduce ne' suoi
giusti confini. Or nell' ordine de'
fatti che cosa veggiamo? Ci è dato
osservare (noi fortunati 1) la mede- sima
legge. Il grande spirito nazionale trionfa
di Roma ; riduce a ragione l'Autorità;
la fa ragionevole. E questo gran fatto
accade anch' egli per necessità e
provvidenza storica: rebus ipsis didantìbus.
Accade senz'av vedercene; accade senza grandi
rumori; accade senza grandi stre- piti
guerreschi ; accade senza i temuti
fiumi di sangue. Evidentemente il pensiero
filosofico italiano è provvi- denziale I
Egli è già penetrato nella gloriosa
ma altret- tanto ardua, altrettanto spinosa
e travagliosissima età umana! La legge
de' tre periodi, che noi abbiamo a
fugge- volissimi tocchi tratteggiato ne' suoi caratteri
essen- ziali e differenziali, non è, al
solito, una legge dia- lettica, non è
legge a priori, non è legge
sistematicaj non è legge organica nel
significato che vorrebbero darle gli
HegeUani. È una legge, ripetiamolo,
essen- zialmente storica e psicologica: e la
necessità a cui
ella è
informata, anziché dialettica, è anch'essa
di natura storica e psicologica. Non è
dunque una trico- tomia ideale, dialettica, logica
e trascendentale applicata alla genesi del
nostro pensiero filosofico; ma è una
di-
visione
risultante dal fatto stesso della storia,
e qì è confermata dalla genesi deUe
funzioni psicologiche. Interpretando così la
storia della filosofia italiana, il nostro
Binnovamento speculativo non pur si
presen- terà come un' esigenza della Ragion
teoretica, ma come un profondo bisogno
altresì della Ragione storica, I fini
perciò a' quali potrà e dovrà
pervenire lo storico della nostra filosofia
saranno questi: 1" Egli così avrà
dato forma razionale al movi- mento
filosofico del pensiero italiano, a contare
dalle sue proprie origini fino ai dì
nostri: 2** Avrà legittimato la Scolastica
e la Biflessione teologica^ facendole
servire entrambe allo svolgimento isterico
del nostro pensiero filosofico: 3* Avrà
schivato le pretensioni esclusive, le
inter- pretazioni erronee, infedeli e parziali
degli storiografi hegeliani che altro non
veggono, sì nella nostra come nella
universale storia della filosofia, fuorché
il trionfo d'un Aristotelismo o d'un
Platonismo interpretati, ri- maneggiatie
rimpastati a tutto lor comodo e
favore: 4* Potrà giustificare la rinnovata
Filosofia Positiva Italiana correggendo l'Arabismo
vecchio e nuovo, correggendoil vecchio e
'1 nuovo Positivismo, legittimando la vera
esigenza platonica e la vera esigenza
aristote- lica,e dimostrando col fatto il
progresso nel corso del nostro pensiero
filosofico mercè il trionfo dell'indi- rizzo
medio: 5* Finalmente potrà porger modo
alla storia po- litica, alla storia civile
e alla storia letteraria del
nostro paese d' attingere significato razionale
e razionalmente positivo, elevandole a
dignità filosofica legittima. Fuori di
questi principii è impresa vana pretendere
d' impri- mervalore scientifico alla storia
del popolo italiano. INDICE DEGLI
AUTORI GHB DI PBOPOSITO
0 PER
INCIDENTE TRATTANO DELLE DOTTRINE DEL
VIOO (dal 1711 AL 1870).» Giornale de*
Letterati oT Italia, Osserrazioni al
primo libro De Antiqttig' eima Italomm
Sapìentia, T. V, art. VI, t. VIII,
art. X. Venezia, 1711. G. Clbbioo,
JBihl anL e mod. Voi. XVIII, p.
Il», art. Vili, 1722. Concinna, Originia
futidamenta et capiUi prima JurÌ9
Naturalie. Pado- Ta, 1734. Damiano
Romano, Difeta storica delle Leggi Oreche
venute a Roma contro V opinione
moderna del signor Vico, Napoli, 1
736. — Quattordici Lettere evi terno
principio della Scienza Nuota ec. Napoli,
1749. Ganassoni, Memoria in difesa dd
principio dd Vico tu V origine
delle XJI Tatcle. Opasc. del
Galogerà. *RoOADEl, Saggio del Diritto
pubblico o politico del Regno di
Napoli, DdV antico Stato de* popoli d*
Italia Cistiberina. Vedi anche Colan- OELO,
Biblioteca analitica ec. 1 Diamo qui
tale indice tanto in servigio e
compimento della storia e della critica
fatta nel primo libro sn gli
scrittori che han parlato del Vico,
quanto per ehi amasse di ripetere i
medesimi studi, e far le medesimo ricerche
da noi fatte. Di alcuni di questi
autori, come aTrertìmmo, non ahhiam creduto
prezzo deir opera far cenno; d'altri poi
non abbiam potuto, segnatamente d*
alcuni venuti alla luce quando la
prima parte del nostro layoro era già
in eorso di stampa, come per esempio
del Qalatio, del D§ luca, del Sarchi
(traduz. del Libro ì Mstafisieo), del
Laurent e di qualcun altro. Tutti gli
abbiam letti o consultati 0 studiati
secondo ohe richiedeva non solo il
proposito di questa nostra opera, ma
piti ancora quello della seconda che
pubblicheremo intorno ai Prineipii della
Sociologia. Non abbiam potuto. leggere gli
articoli del Wotf e dell' Or««t, la
Prefatiom del Wsbsr alla trad. della
Sdenta Nuovuy ì Fogli $parsi del QOichet e
gli scritti di C. B. MUller e
del Cauer ; ma ne abbiam dato
giudizio traendone notizia da fonti sicure.
Disporremo qnest' indice, quant' ò
possibile, secondo Vordine cronologico, affinchè
sia fatto più chiaro il pensiero a
cui è informata la 1* Parte del
presente lavoro. G. Laui, Novelle
Letterarie, Firenze, 1740. Vedi pure nelle
note al Meursio. FlKETTi, De PrineipiU Jurx$
Naturce et Oentiam adver$tu
Bòbbeatum, Pu/endorjium, Woljium et alio». Venetiis, Bettinellus,
1777. Sommario delle opposizioni del Sistema
Ferino di Vieo alla Sacra Scrittura. —
La faUità dello Stato ferino:
Appendice al Diritto di Natura e delle
OentU E. DuNi, Op., edi?. completa per
cura del Gennarellì. Roma, 1845.
(Scienza del Coetume. — Saggio sulla
Giurisprudenza Universale. — Origine
e progressi del Cittadino di Roma,
1763.) A. BuoNAFEDR, Istoria critica del
moderno diritto di Natura e delle
Genti (stampato la prima volta nel
1766: la 2« ediz. fu fatta a
Perugia in sa lo scorcio del secolo
passato). I. Stbllini, Opera omnia.
Padova, 1788 (specialmente nell'Opera, Do Ortu
et Progressu morum). M. Delfico, Ricerche
sul vero carattere della Giurisprudenza
Romana • de* suoi euUori. Napoli,
1791. M. Pagano, Op. Capolago, 1887.
(I Saggi PoliHei furon pubblicati in
Na- poli neir ultimo decennio del secolo
passato.) V. Cuoco, Platone in Italia.
Milano, 1804 (idem). G. FiLAKGiBBl, Scienza
della Legislazione. Firenze, 1865 (idem). V.
Monti, Prolusione agli ttudii ddV
Università di Pavia. Milano, 1804. U.
Foscolo, Discorso deW origine e deW
ufficio della letteratura, 1805. Vedi nelle
Lezioni d'Eloquenza, ediz. di Napoli,
1838. WoLP, nel Museum der Alterthumwissenschafi.
Berlino, 1807. 6. Orblli, Vico e
Niehuhr. Museo Svizzero, 1816. Anonimo, DelV
antichissima Sapienza degli Italiani, versione
dal latino. Milano, Silvestri, 1816. C.
Iannblli, Sulla natura e necessità della
Scienza delle cose e delle
Storie umane. Napoli, 1817. Anonimo, neìV
Indicatore di Gottinga. 1819. COLANOELO,
Saggio di alcune considerazioni suUa
Scienza Nuova del Vico. Napoli,
1821. G. RoifAGKOSi, Osservazioni sulla
Scienza Nuova. 1821. G. Weber, traduzione
della Scienza Nuova. Lipsia, 1822. G.
Db Cbsarb, Sommario delle dottrine dd
Vico, compilato sulla 8" ediz. della
Scienza Nuova fatta dallo stesso Vico
nel 1744, e pubblicata nelPcdiz. dello
stesso libro del 1826 in Napoli. -S.
Gallotti, Principii «T una Scienza Nuova
di G. B. Vico, prima edizione pubblicata
dall'Autore il 1725 riprodotta e annotata.
Napoli, 18*26. CHE TBATTANO DEL VICO.
537 Michelet, Prineìpca de la PkiloBophic
de VHUtoìre, traduits de la
Scienza Nuova, Paris, 1827;
ripubblicata con le altre
opere a Bmzelles nel 1889. G. Ricci,
néìV Antoloffia del Vleussenx, Firenze, nei
fascicoli N» 88, 92 del 1828 (stadio
critico su la tradazione fatta dal
Michelet). lìivitta Enciclopedica f Fascicolo
d'aprile 1828 (art. sa la tradazione
del Michelet). LBBXiinEB, Initoduction generale
à VBittoire du Vroit. Paris, 1829.
Bietoire
de la Philotophie du Droit. Bruxelles,
1830 (nel Tom. II). Ballanchb, Opere. Paris,
1830, voi. IH e IV. T. JouFFBOY,
Mélangea Philo$opMqu€$. Bruxelles, 1831. V.
CousiK, Oaurs ec, 2« serio, tom. II. Paris,
1831. Introductxon b. VHieioire de la
Phil.f Lea, II, T. Maviani, Rinnovamento
della Filonofia antica italiana, Pari^,
188i. L. T. (LniQi Tonti), Saggio aopra
la Scienza Xuova di 0, B, Vico,
Lu- gano, 1835. '*'. PREDABI, Op. del
Vico con traduzioni e commonti. Milano,
Bravet- te, 1836. G. Febbabi, Op. del
Vico ordinate ed illustrate coW analisi
détta MenU del Vico ec. Milano,
Società Tipografica, 1835-37. Édit. compllte
dee oeuvre* de Vico, en six voi.
Paris, 1885-37. Vico et r Italie. Paris,
1839. - — Eeeai sur le principe et
le$ limites de la Philoeophie de
VBittoirt Paris, Joubert, 1843. Vico et
VItcdie (nella Recue dee Deux ^fond€9,
1888), C. Cattaneo, Vico e V Italia
(nel Politeniico, voi. II). St. MrLL, Sifithne
de Logique, 1» ediz. (nel voi.
II). A. RosviNT, Il Rinnovamento della
Filosofia in Italia propoeto dal
Conte Terenzio Mamiani della Rovere, Milano,
1886. (Vedi pure nella Filo- •ofìa del
Diritto, voi. II, e nella Filosofia
politica.) G98CHEL, Zerstreute Bldtter, nella
Rivista Giuridico-filosofica. Schlous- Singen,
1887. A. Cosmc, Lettera al Mill (vedi
Littrì, Auguste Comte et la
Philosoplie Positive, Paris, 1861). P. loLA,
Studio sul Vico e sulla filosofia della
Storia, letto nell* Accade-miafilosofica di
Sassari, Torino nel 184!. T. Maviani,
LrUere intomo alla Filosofia del Diritto.
Napoli, 1841. 8. Mancini, Intorno alla
Filosofia del Diritto, Lett. al conte
Terenzio Mamiani. Napoli, 1841. C.
Re.kouvieb, Manuel de PhU, moderne. Paris.
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Stridii critici, Venezia, 1848. Studii
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II. BonCHEZ, Jntrod, à la Science de
VHist, Paris, 1844. Anonimo, La Seienoe
nouvélle par Vico, trad. par Tautear
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exdìa Scienza della storia, ossia Santo
della Seiema Nuova di Q. B. Vico.
Napoli, 1844. G. Eocoo, Elogio storico
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1846, yoI. I, Prefazione. S. Centofakti,
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Vedi nell* edizione della Scienza Nuova
fatta a Milano dal Silvestri nel
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Diritto, Lucca, 1851. S. Mancini, Intorno
alla Nazionalità come fondamento del
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Vannucci, Storia antica d* Italia, Firenze,
1851 (voi. I). C. Marini, Giambattista
Vico al cospetto dd secolo XIX,
Napoli, 1852.C. E. MUller, G, B. VicoOleine
^c^/ten Neuhrandehurg. 1854. F. BouLLiKR,
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la Phil, CartUienne, Paris, 1864 (voi.
II). B. Poli, Manuale della Storia
della Filosofia del Tenncmann, voi. IV, Milano,
1855. A. De Carlo, Istituzione filosofica
secondo % principii di G, B, Vico,
divisa in quattro volumi. Napoli, 1855
(1<> volarne). C. Giani, DeW unico
principio e deW unico fine dell*
universo Diritto. Oper.a di G. B. Vico
tradotta e commentata coir aggiunte di
appendici relative alla materia dell* opera
stessa. Milano, 1855. — — Della eguàU
autorità e naturale amicizia di tutte
le scienze. Milano, 1870. Caubr, nel Museo
tedesco, 1857. E. Amari, Critica d*
una Scienza dille Legislazioni comparate,
Genova, Tipografia de* Sordo-Muti, 1857. V.
FoRNARi, DéW Armonia Universale, 1* ediz.
Napoli; 2« ediz. Firenze, 1863. E. Faonani,
Ddla neeessità e ddT uso della
Divinanione tettifieata dalla Scienza Nuova
di G. B. Vico. Alessandria, MDCCCLVII,
2» voi. Ristampata nel 1861 a
Torino. CHE TRATTANO DEL VIGO. 539 V.
GiOBKRTi, Protoloffia, Ediz. del Massari
(voi. I, Saggio ITI), B. ll&zzARELLA,
La Critica dtUa Scienza. Genova, tipi
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«viluppo della JUoBoJia itàliajut d<tl
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TIGO. F. DeLuoa, Saggio ontologico sulle
dottrine delVAquinate e del Vico. Napoli,
1870. F.
Laurent, Op., Études sur VHistoire de
Vhumanité^ tom. XVIII. Porìs, 1870. C. Sarchi,
DelC AiUica Sapienza degV Italiani riposta
nelle Origini ddla lingua latina, col
testo a fronte e Prefazione, Milano,
1870. C. Cantù, nella Storia Universale,
e nella Storia degV Italiani, MlCHAUD,
Biographie universdle, lett. V. PotfBA,
Enciclopedia, lett, V. Frane, Bictionnaire
dea Sciences Phil, (J. B. Vico). Bartholmess,
Dietionnaire dee Sciences PkU., voi. VI. A Terenzio Mamiani
della Rovere Pag. v Avvertenza vii Iktroduzione.
— Positivismp, Idealismo aseoluto e
Filo- sofìa Positiva Italiana 1 STORIA DELLA
SCIENZA NUOVA e critica de' critici,
dejl' interpreti e degli espositori delle
dottrine del Vico. Preambolo 33 Capitolo I.
Periodo degl' imitatori e degli oppositori
. 36 > IL Periodo de'
critici e degli eruditi 53 > III.
Continua il periodo de' critici e degli
eruditi. 81 » , IV. Periodo
degl* interpreti filosofi 95 » V. Continua
il periodo degV interpreti filosofi.
131 > VI. Conclusione. (Conseguenze.
Forma della mente, e carattere
delle opere del Vico. Valore della
nostra critica.) 155 > VII. Vico,
Leibnitz e il Cartesianismo 174 »
VIIL Delle due moderne filosofie, Germanica
e Italiana i . 188 INTERPRETAZIONE DELLA
DOTTRINA FILOSOFICA. Preambolo ' 210 Capitolo I.
Dottrina della scienza e del criterio
.... 216 » IL Del
criterio e del metodo nella scienza .
. 239 Òtà INDICE DELLE
MATERIE. Capìtolo III. Posizione e critica
del Principio specula- tivo Pag.
250 » IV. n Platonismo e V
AHstotelismo nel pro- blema psicologico 278 >
V. Organismo e processo psicologico.
{Fon- damento razionale del processo {storico.)
311 » VL Genesi e teleologia psicologica.
342 » VII. Del conoscere metafisico.
(Critica de^ mo- derni Neoplatonici.) 365 > Vin.
Continua lo stesso argomento.
{Critica del Neoaristotelismo : Positivismo
ed He- gélianismo,) 388 » IX. Su la
ricerca dell* Assoluto secondo la Ra- gion
filosofica positiva 415 » X. Del Principio
metafisico 434 » XL Sul moderno concetto
della Creazione e della Provvidenza 453 »
Xn. Deir attività creativa
ne* diversi momenti del Processo cosmico
469 » XnL Darwinismo, Scienza
Nuova e Sociologia. 492. » XIV.
Conclusione dell' Opera, e idea su la
Sto- ria della Filosofia Italiana 514 Indice
degli Autori che di proposito o per
incidente trattano delle dottrine del Vico
535 ERRATA. Pag. 7, T. 4. operazione
immediata, per operazione mediata, — Pag.
28, T. 9 e^non potrebbe non rieecire,
per e* non potrebbe rietcire, — Pag.
57, T. 6. quel eerto Jiloeofoy per
certo, quelfloeofo. — Pag. 98, v. 12.
tuo*dirc, per vo^ dire. — Pag. 113,
v. 18. Crieto quel centro maeeimo,
por Cristo, qvidl centro massimo, — Pag.
203, ?. 12. jUosofia fisiologica, per
Jìlosofia etisologica, — Pag. 212, T. 16.
assommano la ragione, per assommano le
ragioni, — T&g. 221, v. 29. Firtz,
per iVr««. — Pag. 222, v. 13.
degVim-, ponderabili suW esistenza, per degV
imponderabili e deW esistenza. — Pag.
232, V. 89. Sft^rji vrr(xpx,tt to, per
fyi?:?? V7ra^;^«e
to'. — Pag. 288, 7. 7. Sovsifiit, per
juva/xee. — Pag. 288, v. 9. tovto,
per toùto. — Pag.247,v.84.x— Jiaviafjperxat —
Jtavoiat;. — Pag.253,T.80,7rauTt, per Travri. —
Pag. 269, t. 88. affermazione promessa,
per affermazione promossa, — Pag. 280, T.
37. ù^iirpòi, per wc irpò^. — Pag.
290, V. 19. x**^' auTvJv, per xar'
auTvjy. — Pag. 292. t. 29.
Avto7s tv, per Auto yt to. — Pag.
292, v. 40. Sovo^iisi Zwki'v s^'^V^^' ^®^
SvvdfjLii ^w>7v ?yovTOf. — Pag. 294,
v.3l. rsOo^tov, per fAi9óptoy. — Pag. 295,
T. 8. tfivafjicf, per Svvafiig, —
Pag. 297.
t. 4. TdJ ^9vzx 7tvgG'5a, per to'
nuvroc yiviaOxAi. — Pag. 335, v. 2S.
altro potrebb* es* sere, per altro non potrtbV
essere. — Pag. 845, T. 80. e
perciò era visione, per e perciò visione.^
Pag. 351, v. 20. aXXov «^eu/xaTOtiv,
per aXXwv a?to/iaTwv. — Pag. 862, v.
87. tololtyi?, per Tuvxng. — Pag. 385,
T. 2gL Tra/DOff ta, p«r Tra^ou^ca. —
Pag. 387, v. 34. che le fa iìUendere,
per che la fa intendere. — Pag.
408, y. 18. di coglierne concetto, per
di coglierne il concetto. — Pag.
418, t. 4. es egreift, per es
ergreift, — Pag. 413, V. 4. dans an
sich, per das an sich. — Pag. 417, v. 35.
Jtvoljixffovt, per ^vva/X8VG(. — P&S* 489, v.
41. e s^ avvilirebbe, ^r e* s* avvilirebbe. —
Pag. 441, V. 22. ytuVe?, per f^J7t(.
— Pag. 442. v.25. /*v?5>j, per
iit$è. — Pag. 444, y. 4. ^a£va-5ae,
por yaevjo'^'at. — Pag. 444, v. 87.
rxpoi^vy' |xaTa, per 7ra^a?£t7fAaTa. ^ Pag.
445, y..20. del Dio aristotelico, con; per
del Dio aristotelico che con, — Pag.
468, y. 40, in due e cantra- rie
sentenze apposite, per in due apposite
e contrarie sentenze — Pag. 470, y.
29. yjppxsi ro,v^r vnapxst to. —Pag. 478,
y. 17. to (^trepov, per TO 5«UTe/)0v. -- Pag. 478, y. 22.
to' rra^Xo, per tÒ oiWo, — Pag. 478,
V. 83. delV atonicità, per déV atomicità,
— Pag. 480, y. 19. creare vuol non
dire, per creare non vuol dire. ^
Pag. 504, y. 12. ci son addate, por
ci son additate. — Pag. 520. y.
15. e correggendo, lui; per e correggendo
lui. — Pag. 528, y. 4. chi,
davvero, ragion teologica; per che, davvero,
la ragion teologica.
Pietro Siciliani.
Siciliani. Keywords: la psico-genia di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica
della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di
Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library.
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