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Tuesday, May 21, 2024

 

Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sgalambro

 

Grice e Siciliani: la critica della filosofia zoologica e la psico-genia di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Filosofo italiano. Studia a Otranto, Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto STUDIATI, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con PUCCINOTTI, che influsce molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura, quali: CENTOFANTI, PACINI, CAPPONI, e BUFFALINI. Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne la cattedra di filosofia nel regio liceo di Firenze. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche un corso di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con CARDUCCIi, anch'egli accademico a Bologna ed entra in contatto con FIORENTINO e SPAVENTA. Dirige la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandona la direzione per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente, dall'impostazione eclettica che S. intende dare alla rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da FIORENTINO. A Bologna istitue un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo S." la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana,  si accosta a VICO, tentando di inaugurare una filosofia mediana -- detta della terza via -- che individua una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e  dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni.  Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). SANCTIS confere a S. la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica”  (Firenze); “I principi metafisici di VICO” (Firenze); “Il triumvirato: ALIGHIERI, GALILEI, E VICO” (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in GALILEI (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della filosofia (Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). CALOGERO, Enciclopedia Italiana, Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Invitto e Paparella, “Ri-leggere S.” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina,  Carteggio familiar,  Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce,  P. S. e Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno Galatina Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. SUL  RINNOVAMENTO DELLA FILOSOFIA  POSITIVA IN  ITALIA PBOrESBOBB DI FILOSOFIA NELLA R. UNIVEBSITÀ DI BOLOOKA,QlX   PB0FES80BE   NEL   B.  LICEO DI FIBENZE, FIRENZE, G. BARBÈRA, PRINTBD  IN  ITALY-;atana Quest'opera  è  stata  depositata  al  Ministero  d'Agricoltura,  Industria  e  Commercio per  godere  i  diritti  accordati dalla logge sulla proprietà  letteraria. G.  BarbI'.ra. !',  (rcnuitifi  TERENZIO  MAMIANI  DELLA  ROVERE. Mio  SiQsoR  Conte. Ella  fu  primo  tra  i  moderni  italiani  a  tentare un  rinnovamento  della  filosofia  ^  e  a  Lei pure  spetta  il  vanto  d' aver  continuMa  e  compiuta la  nobile  tradizione  de'  OaUuppi^  de  Bosmini  e de'  Oióbertij  della  quale  per  fermo  rimarranno durevoli  tracce  nella  storia  dd  pensiero  nazionale. A  chi  dunque  meglio  che  dUa,  S.  V.  potrei intitolare  questo  mio  saggio j  il  quale  mira  al  fine medesimo  cui  Ella  indirizzava  il  suo  primo  lavoro? Che  se  talora^  per  quella  libertà  di  giudizio alla  quale  Ella  stessa  educò  le  nostre  menti con  le  sue  dotte  scritture^  troverà  contbaittUi  in queste  pagine  akuni  jprincijpii  da  Lei  propugnati  ^ non  vorfà  perciò  reputare  scemato  qud  senso  di schietta  riverenza  chcy  come  ai  pochi  sommi  onde si  onora  U  paese  nostro,  le  professano  tutt^  i  cid tori  degli  studi  severi.  Anzi  novella  prova  di  questa larga  tolleranza  io  m*  èbbi  testé,  quando,  con  la squisita  gentilezza  che  in  Lei  è  natura,  Le  piacque accettare  V  offerta  di  questa  mia  fatica.  La  quale io  spero  vorrà  giudicare  benignamente:  al  che  mi conforta  pure  il  ricordo  di  certe  argute  parole ch^  Ella  dicevami  ima  volta  chiudendo  un  lungo conversare  circa  le  gravi  divergenze  delle  diverse scuole  filosofiche:  «porro  unum  necessarium ! coscienza  e  fervore  nel  lavoro:  il  resto  verrà da  sé.  » Suo  deditissimo P.  Siciliani. BiTiglìano  presso  Monte  Senario In  questo  salutare  innovamento  politico  d'Italia cui  assistiamo  trepidanti,  un  libro  di  rinnovamento filosofico  dovrebbe  giugnere  opportuno  e  gradito.  Perocché se  tutti  oggi  andiamo  ripetendo  l'arguta  frase d’AZEGLIO  — fatta  ormai  V Italia,  Insogna  far  gV Italiani^—  parmi  sia  d'uopo  cercare  di  rifarci  innanzi tutto  nell'intimo  di  nostra  coscienza,  nella  radice, nella  sorgente  stessa  d' ogni  umano  e  civil  progresso, eh'  è  dire  il  pensiero  filosofico.  Andare  a  Roma,  grazie agli  eventi  fortunati  e  al  nostro  buon  diritto  nazionale, non  è  stato  guari  difficile,  né  sarà  difficile,  speriamo, potervi  restare.  Ma  vi  staremo  senza  dubbio materialmente,  se  Roma,  la  vecchia  Roma,  il  pensiero cattolico  non  si  verrà  anch'esso  riformando  e  svecchiando. La  qual  cosa  certo  conseguiremo  per  gradi e  con  le  arti  che  dovrebbe  saperci  dare  la  sapienza politica,  civile  e  amministrativa  ;  ma  gioverà  non  dimenticar mai  come  l' espediente  più  d' ogn'  altro  efficace e  sicuro  ad  opera  siffatta,  sia  per  appunto  una rinnovata filosofia n  bisogno  di  restaurar  la  filosofia  surse  di  buon'ora neir  animo  degV  Italiani  ;  il*  che  parrebb'  essere  un d^' caratteri  speciali  della  storia  della  nostra  speculazione, sino  da  quando  gli  scrittori  del  Rinascimento, scosso  il  giogo  della  scolastica,  mandavan  fuori  i  lor libri  col  titolo  De  PhilosophÙB  renovatione.  Né  quindi è  a  meravigliare  se  cotal  necessità  sia  venuta  crescendo sempre  più  nelP  animo  e  nella  mente  nostra  col  succedersi degli  anni,  tanto  che  a  siffatta  impresa  nobilissima abbiam  visto  provarsi  gV  ingegni  più  illuminati e  fecondi:  primo  fra  tutti,  in  questo  secolo,  il  Mamiani  col  Binnovamento  della  Filosofia  antica  Ualiana^ e,  poco  appresso,  il  Rosmini  col  Binnovamento  della Filosofia  in  Italia;  indi  il  Gioberti  con  la  Introduzione aUo  studio  dèlia  Filosofia,  con  la  quale  mirava  anch'  egli ad  una  restaurazione  filosofica  nel  nostro  paese;  e,  per ultimo,  il  professore  Spaventa  ha  procacciato  volgere anch'  egli  al  medesimo  intento  le  sue  dotte  scritture, in  ispecie  quella  su  la  Filosofia  dd  Gioberti. Se  non  che  rinnovare,  pel  filosofo  di  Pesaro,  altro non  voleva  dire  se  non  restaurare  certi  principi!  e richiamare  in  vigore  alcune  industrie  metodiche  de' filosofi appartenenti,  la  massima  parte,  all'età  gloriosa del  nostro  Risorgimento.  Talché,  quando  il  Rosmini  gli fece  toccar  con  mano  i  pericoli  ne'  quali  s' era  messo mostrandogli  come  il  Binnovamento  proposto  da  lui conducesse  diritto  ad  una  maniera  di  sensismo,  e'  venne modificando  siffattamente  le  dottrine  propugnate  nel suo  primo  libro,  che  dopo  trenta  e  più  anni  s' é  studiato nelle  Confessioni  d'un  Metafisico  d'inaugurare un  novello  Platonismo,  siccome  forma  di  filosofare acconcia  air  indole  della  mente  italiana.  H  Roveretano poi  non  solo  mirò  a  restaurar  cose  vecchie,  ma  volle produrre  altresì  qualcosa  di  nuovo.  E  pur  nullameno, chi  guardi  ben  addentro  ne'  copiosi  e  disameni  volumi che  seppe  darci  quella  mente  potentissima,  tranne  il •  problema  psicologico  eh'  ei  giunse  ad  illustrare  in guisa  davvero  originale,  ogn'  altra  cosa  in  lui  parrebbe invecchiata  e  quasi  stantia.  Della  stessa  menda  riesce offesa  la  Introduzione  del  Gioberti.  Che  V  ardente  e generoso  autore  del  Primo^  intendeva  svecchiare  (come diceva,  gloriandosene,  egli  stesso)  le  idee  cardinali  di quattro  o  cinque  filosofi  cristiani,  il  cui  sussidio  e autorità  invocava  quasi  ad  ogni  voltar  di  pagina.  Non parlo  qui  del  rinnovamento  eh'  e'  veniva  meditando nella  Protologia:  nella  quale  senza  dubbio  avremmo avuto  germi  fecondissimi  di  vera  e  solida  ristorazione filosofica,  se  a  queir  ingegno  privilegiato  e  supremamente italiano  fosse  stato  pur  conceduto  imprimere valore  diffinitivo,  forma  netta  e  coerente,  alle  diverse dottrine  che  con  ansia  febbrile  andava  saggiando  e trasmutandosele  in  sangue.  Per  contrario SPAVENTA, del  quale  abbiamo  in  grandissimo  pregio  l'ingegno  e l'amicizia,  intese  dare  anch' egli  nuovo  indirizzo  al pensiero  italiano,  ma  battendo  ben  altra  via;  la  via  del- l'Idealismo  assoluto.  E  studiossi  d'inserirci  nell'animo e  nella  mente  i  principii  dell' Hegelianismo,  per  due ragioni:  sì  perchè  egli  pensa  esser  questo  il  vero  e  compiuto sistema  di  speculazione,  almeno  secondo  che viene  interpretato  da  lui  ;  e  sì  perchè  gli  è  parso d'averne  rintracciato  i  germi  in  certi  nostri  filosofi a  cominciare  dal  Telesio,  per  esempio,  fino  al Gioberti. Fer  noi  rinnovare  non  vuol  dir  solamente  richiamare, instaurare,  svegliar  dalP  antico,  né  solamente importare  dal  di  fiiora;  che  sì  nelF  un  caso  come  nelr  altro  il  rinnovamento,  anziché  naturale,  spontaneo, autonomo,  storico,  riescirebbe  artifiziale,  imposto,  incosciente e,  dirò  quasi,  meccanico.  Vuol  dire  bensì far  da  noi:  far  da  noi  con  elementi  che  ci  appartengano, ma  tali  che  serbino  (ciò  che  più  monta)  ^virtù  d' originalità  e  di  verace  modernità.  Vuol  dire  » insomma  esplicare;  né  si  può  esplicare  senza  correggere,  compiere,  inverare. Avremo  sbagliato  strada  anche  noi?  Potrebb' essere! Non  saremmo  i  primi,  e,  certo,  neanche  gli ultimi.  In  qualunque  modo .  ci  sembra  che,  pure  sbagliando, noi  non  resteremo  troppo  indietro  fra  le  mummie, né  avremo  corso  tropp'  oltre  col  pericolo  di  fiac-  \ card  '1  collo.  So  ben  io  che  i  Positivisti  fan  presto  ; ad  innovar  la  filosofia  radiandola  addirittura  da'  libri  ^ e  dandole  il  ben  servito  dalle  nostre  scuole  grandi e  mezzane,  quasi  fosse  un  trattato  di  teologia  dommatica.  Ma  costoro  avrebber  fatto  i  conti  senza  Toste. £  r  oste  in  tal  caso  é  lo  stesso  pensiero,  anzi  la mente  stessa,  dalla  quale  per  nostra  fortuna  mai  non riesciranno  a  sradicare  il  profondo  e  sempre  più  acuto bisogno  del  filosofare  :  senza  dir  già  che,  s' ei  riescissero  ne'  loro  intenti,  scambio  di  sciogliere  V  intricato nodo,  altro  non  avrebber  fatto  che  tagliarlo  di  netto  ; e  che  potessero  giugnere  a  tagliarlo  con  sicurezza ninno  il  crederà,  pensando  come  la  spada  eh'  e'  ci brandiscon  sul  viso  non  par  che  somigli  quella  del gran  discepolo  d'Aristotele! Accennato  il  carattere  generale  ed  il  proposito del  mio  saggio,  toccherò  della  sua  forma  e  del  suo disegno.  Mi  si  potrà  chiedere  :  È  egli  cotesto  vostro saggio  un  lavoro  di  genere  critico,  storico,  monografico, ovvero  dommatico? A  parlar  proprio  non  è  nulla  di  tutto  questo.  Un lavoro  d' indole  dommatica,  per  solito,  dee  racchiuder l'esigenza  d'un  sistema  nuovo,  d'una  dottrina  ori- ginale, se  pur  non  voglia  esser  vana  ripetizione  ed increscevole  imitazione  del  passato.  Ora  un  novello) sistema  filosofico  oggi  sarebbe  impresa  da  muovere a  riso,  od  a  pietà.  Sono  ormai  ventidue  secoli,  e  noi, tardi  nepoti,  ci  andiamo  pur  sempre  aggirando,  ivi sostanza,  fra  il  Platonismo,  e  l' Aristotelismo.  La  qual cosa  non  recherà  maraviglia  a  chi  consideri  bene  la storia  del  pensiero  filosofico,  nella  quale,  volta  e  gira, non  si  può  esser  che  con  l' uno  o  con  l' altro  sistema, ovvero  fra  l' uno  e  l' altro,  e  però  con  tutt'  e  due,  se pur  non  vogliamo  smarrirci  inevitabilmente  e  miseramente in  una  forma  di  scetticismo,  o  di  nullismo. Ai  di  nostri,  dunque,  un  nuovo  sistema  filosofico  p^rmi utopia,  sogno  e,  stavo  per  dire,  ciarlatanismo.  L' ingegno filosofico  oggi  deve  assumer  valore  di  funzione critica  rintegrativa,  nella  quale  si  faccia  luogo  alla concorde  attività  di  due  forze,  la  storia  e  '1  pensiero, che  vuol  dire  il  fatto  e  '1  da  fare. La  monografia  poi,  o  è  d'indole  semplicemente storica  e  obbiettiva,  ovvero  d' indole  critica.  Se  storica obbiettiva,  ella  avrebbe  a  essere,  dirò  così,  un fedel  ritratto,  una  perfetta  immagine  della  mente  d'un filosofo,  0  di  tutta  una  scuola  di  filosofi.  Or  cotesto immagini  e  ritratti,  se  da  una  parte  tornano  inutili e  infruttuosi  stantechè  non  facciano  che  ripeter  sot- t' altra  forma  cose  che  potremmo  leggere  nella  stessa lor  fonte,  dalP  altra  mi  paion  quasi  impossibili,  perchè è  impossibile  penetrar  davvero  nelle  intime  viscere del  pensiero  altrui,  e  farai  dentro  alle  occulte pieghe  della  mente  d' un  filosofo.  H  notissimo  detto di  Kant  si  può  e  devesi  applicare  anche  qui:  quidqtUd recipUur,  ad  modum  recipietUis  recipitur.  Che  se  poi la  monografia  è  di  genere  critico,  ella  riesce  assai pericolosa;  perchè  trattandosi  d'interpretare,  è  pur facilissimo  affibbiare  agli  altri  quel  che  invece  frulla nel  capo  nostro  ;  nel  qual  vizio  intoppano,  com'  è ^  noto,  gli  Hegeliani,  sì  per  la  natura  stessa  del  loro metodo,  e  sì  per  le  secreto  esigenze  del  loro  sistema. Da  ultimo,  un  lavoro  di  genere  puramente  istorico oggi  non  dovrebb'  essere  impresa  molto  ardua  fra tanti  libri  storici  che  ci  piovon  da  tutte  le  parti. Basterà  sposare  un  sistema,  una  dottrina  da  farla servire  qual  criterio  giudicativo;  basterà  un  po'  d' acume critico,  un  po'  di  tedesco  per  le  citazioni  obbligate a  pie  di  pagina,  e  poi  molta  e  molta  dose  di  pazienza e  di  sgobbo  per  raccogliere  e  adunar  notizie  e  teoriche da  farle  servire  al  criterio  giudicativo  che  ci torna  comodo. Per  me  l'ideale  d'un  buon  libro,  l'ideale  d'un  libro serio,  coscenzioso  e  positivo  di  genere  filosofico,  oggi dovrebb'  essere,  diciamo  così,  una  sintesi  di  tutt'  e quattro  cotesti  aspetti  o  condizioni  le  quali,  guardate disgiuntamente  e  solitariamente,  si  palesan  manchevoli  tutte  e  difettose.  Ha  da  essere  perciò,  nel medesimo  tempo,  monografico,  isterico,  critico,  e  anche 

dommatico  sino  a  certo  segno.  Cotesto  ideale  (negozio non  molto  agevole,  come  sanno  coloro  che  se  ne  intendono e  che  possiedono  quel  che  dicesi  gusto  de^  lavori filosofici),  non  può  essere  un  ricamo  sovra  una  stoffa altrui,  e  neanche  un  parto  assoluto  del  nostro  cervello  ; sibbene  ha  da  essere  il  risultamento  di  due  forze  com- binate, come  dicevo  poco  fa  ;  ciò  è  dire  della  mente di  chi  scrive,  e  di  chi  per  avventura  possa  più  spiccatamente rappresentare  il  corso  tradizionale  della scienza.  A  questo  sol  patto  sarà  dato  pervenire  al connubio  fra  la  teorica  e  '1  fatto,  tra  la  scienza  e  la storia  della  scienza,  portandole  entrambe  ad  un  fiato^ come  direbbe  il  filosofo  nel  quale  io  amo  attingere ispirazioni.  Laonde  chi  volesse  oggi  filosofare  con  co- scienza ,  dovrebbe  saper  costruire,  come  dicon  gli Hegeliani  (e  qui  dicon  benissimo)  ;  ma  dovrebbe  co-  ^ struire  senza  tradire,  che  è  per  V  appunto  il  gran guaio  della  critica  hegeliana. Questa  grave  difficoltà  parmi  d' averla  superata, s' io  molto  non  m' illudo,  E  mi  pare  d' averla  supe- rata, perchè  il  mio  libro  è  come  la  sintesi  e  vorre' dir  la  fusione  razionale  e  organica  de'  quattro  aspetti quassù  rammentati  ;  e  tal  sarebbe  la  novità  Cquant'  al disegno  e  alla  forma  del  lavoro)  alla  quale  vorrei pretendere,  se  avessi  coscienza  d' aver  raggiunto  lo scopo.  Cotesto  scopo,  lo  veggo  da  me,  io  non  ho potuto  raggiugnerlo,  perchè  ho  dovuto  costringere e  rannicchiare  il  mio  pensiero  entro  un  dato  numero di  pagine,  affogando  in  nota  molte  e  molte  cose  alle quali  avre'  voluto  pur  dare  ben  altro  svolgimento  e fisonomia.  Però  chiedo  un  po'  di  compatimento  quant'al modo  col  quale  ho  incarnato  il  disegno,  ma  domando severità  di  giudizio  quant'  alle  idee.  Le  quali,  medi- tate da  me  per  tempo  non  breve,  sento  di  poter difendere  contro  chi  vorrà  farmi  V  onore  d' una  cri- tica non  leggiera,  non  velenosa,  non  da  scuola,  né da  sacristia  (alla  quale  non  saprei  rispondere,  né risponderò),  ma  d'una  critica  seria,  onesta,  profittevole. Il  Gioberti  scrisse  che  il  critico  onesto  e  co- I  scienzioso  deve  durar  la  metà  della  fatica  spesa  dal- l' autore  nel  meditare  e  scrivere  un'  opera  di  scienza. |Leibnitz  andava  molto  più  in  là,  e  richiedeva  da'lettori quasi  '1  medesimo  lavoro  sostenuto  dallo  scrittore.  Io non  pretendo,  né  davvero  posso  pretender  l' una  cosa, né  r  altra  :  ma  certo  potrò  desiderare  che,  chi  voglia giudicarmi  con  qualche  serietà,  debba  leggere  e  (se oggi  non  fosse  troppo)  meditare  un  po' le  cose  ch'io dico.  11  che  ho  voluto  qui  avvertire,  perché,  se  può dubitarsi  che  in  politica  esistano  le  cosi  dette  con- sorterie, certo  é  che  tra'  filosofi  cominciano  a  far capolino  certe  fratellanze  le  quali  giudicano  d' un  la- voro a  priori,  guardando  solo  al  titolo  e  al  nome  del- l'autore.  Dio  ci  liberi  dalle  fratellanze  filosofiche! Esse  per  me,  a  dirla  schietta,  sono  altrettante  Com- pagnie di  Gesù  negli  ordini  del  pensiero  e  della  libera speculazione  metafisica. Questo  mio  libro,  e  l' altro  che  terrà  dietro su'  principi  della  Sociologia^  non  é  l' espressione  di nessun  partito,  di  nessuna  setta,  di  nessuna  scuola. Non  é  frutto  di  speculazioni  e  ricerche  passionate,  per- che  io  non  mi  sento  schiavo  di  nessuna  scuola,  servo di  nessun  nome,  né  milito  sotto  nessuna  bandiera più  0  meno  germanica,  italica  o  francese  che  sia. \Baiùmem,  quo  ea  me  cumgue  ducete  sequar:  ecco tutto.  Neanche  sarebbe  una  di  quelle  novità  sba- lorditole alle  quali  siamo  avvezzi  da  dieci  anni  a questa  parte.  Esso  anzi  è  la  più  modesta  cosa  del mondo:  che  per  quanto  il  titolo  paia  ardito,  non  sarà tale  per  chi  ripensi,  come  la  sostanza  delle  dottrine eh'  io  propugno  non  mi  appartenga  in  modo  assoluto. S'altri  mi  darà  dell' ecclettico,  risponderò  d'esser tale  precisamente,  ma  nel  profondo  significato  che costumava  dare  il  Leibnitz  a  questa  usata  e  abusata  pa- rola. E  se  qualcuno  poi  trovasse,  che  questa  o  cotesta dottrina  alla  quale  verrò  accennando  non  sia  propria- mente dell'  autore  eh'  io  dico  d' ormeggiare  nel  metodo e  Dell'indirizzo  filosofico,  tanto  meglio  per  me.  Ri- sponderò come  in  un  caso  simile  rispose  egli  medesimo a  certi  suoi  avversari  :  «  Che  se  finalmente  non  volete »  ricevere  questa  sentenza  come  di  Zcìione^  mi  dispiace »  di  darlavi  come  mia;  ma  pur  la  vi  darò  sola,  e B  non  assistita  da  nomi  grandi.  » €  Le  cose  fuori  del  loro  stato  naturale non  dnrano  né  s' adagiano.  »  —  Vico. Non  intendo  scrivere  la  storia,  e  tanto  meno  far  la crìtica  minuta  del  Positivismo;  indirizzo  che,  come  ognun sa,  non  senza  buon§  e  diverse  ragioni  invade  oggi  e  per- vadeTa  mente  di  molti  filosofi,  di  scienziati,  di  storici  e scrittori  d'ogni  maniera.  Altra  volta  m'avvenne  d'accen- nare alla  parte  debole  di  cotesto,  diciamolo  pure,  sistema filosofico.  E  allora  parvemi,  fra  1'  altro,  di  provar  que- sto: che  il  Positivismo,  secondo  il  concetto  che  se  ne sono  formati  segnatamente  i  Francesi,  non  pur  mancava di  storia,  ma  non  può  averne  avuta  di  nessuna  sorta.* Oggi  poi  dovrò  intrattenermi  a  ragionare  su  le  dir. verse  forme  che  il  Positivismo  ha  preso  e  può  prendere in  avvenire,  giacché  ormai  comincia  ad  avere  anch'egli una  storia,  per  brevissima  che  sia,  da  raccontare;  e [quindi  rilevare  certa  parentela  ch'egli  ha  con  l'Hege- 'lianismo.  Nel  quale  riscontro  probabilmente  meriterò anch'  io,  dall'  alto  giudicatorio  su  cui  siedon  gli  Hege- liani, la  solita  commiserevole  sentenza  che,  com'è  pur *  Vedi  Critica  del  Positivismo,  Bologna,  Tip.  Monti,  1868. 5ICILUM.  1 troppo  noto,  suona  così:  Pover'uomo,  non  ne  capisce niente  di  niente;  non  Im  dramma  di  potenza  speculativa,  ^ ne  briciolo  di  nerbo  dialettico!  Mostrerò,  da  ultimo,  se  . una  vera  forma  di  Positivismo,  ch'io  chiamerò  Filo-  i sofia  Positiva  italiana,  sia  per  avventura  i)ossibile;  e] in  qual  maniera  si  possa,  mercè  sua,  pervenire  a  cor- regger r  uno  e  compiere  V  altro  de'  due  sistemi  suddetti, accogliendo  quelle  parti  veramente  pregevoli  che  in essi  certamente  non  mancano. Comecché  il  Positivismo  non  sia  ne  voglia  essere  un sistema,  pure  quant' all' origine  psicologica,  per  così  dirla, non  mi  sembra  eh' e' s'abbia  a  distinguere  gran  fatto dagli  altri  sistemi  filosofici.  La  ragione  immediata  del  suo apparire  parmi  risegga  nell'  esigenza  di  contrapporsi  ad una  forma  contraria  di  filosofare  creduta  affatto  erronea  ; e  questo  filosofare  in  tal  caso  è  il  dommatismo  metafi- sico. (IJom'  è  chiaro,  cotesta  in  sostanza  è  l'origine  stessa dello  scetticismo,  secondo  che  c'insegna  tutta  una  storia di  ventidue  secoli,  ne'  quali  affermazioni  risolute  souosi contrapposte  a  risolute  e  persistenti  negazioni.  Il  Posi-j tivista,  infatti,  reputa  inconcludente  ogni  speculazione! trascendentale.  Positivismo  quindi  vuol  dire  esigenza! della  prova,  esigenza,  bisogno  della  dimostrazione;  maC della  prova  di  fatto,  della  dimostrazione  sperimentale. Se  non  che,  a  guardarci  bene,  lo  stesso  Positivismo  ma- nifesta già  senz'addarsene  un  bisogno  filosofico,  una  ten- denza speculativa,  un'attività  trascendente  là  dove,  per dirne  una,  procaccia  di  raggiungere  la  così  detta  comples- sità crescente  nel  coordinamento  de' fatti,  e  nel  volere imprimere  forma  gerarchica  all'insieme  delle  particolari discipline.  Col  che  non  intendo  dire  che  il  Positivismo sìa  già  una  metafisica  ;  ma  è  per  lo  meno  una  metafisica incosciente,  come  un  illustre  scrittore  francese,  non  senza cert'  aria  di  meritato  rimprovero,  ha  detto  al  Littré. Per  la  qual  cosa  paimi,  che  il  Positivista  contraddica*^ apertamente  a  sé  stesso  quando  vien  su  gonfio  e  petto- ruto a  dichiarar  guerra  sino  all'  ultimo  sangue  contro a  ogni  maniera  d'indagini  metafisiche;  tanto  che  la tendenza  de' Positivisti  a  filosofare,  tendenza  del  resto naturalissima  e  necessaria,  diventerebbe  atto,  facoltà, vo'dire  diventerebbe  metafisica  vera,  quando  potesse avverarsi  una  condizione.  Mi  spiego  subito.  Io  non  credo offendere  anima  viva  osservando  che  fra'  Positivisti irancesi  sia  un  bel  po'  difficile  trovare  un  solo  che  ab- bia studiato  con  amore,  per  esempio,  la  Ragion  Fura  di Kant,  segnatamente  la  Critica  dd  giudizio:  difficilissimo poi  ritrovare  uno  solo,  fra'Positivisti  italiani  militanti  ^ sotto  le  bandiere  del  Gomte  o  meglio  del  Littré,  che  con pari  amore  e  spassionatezza  d' animo  abbia  letto,  per esempio,  il  Nuovo  Saggio  del  Rosmini.  Prescindendo  dalle mende  svariate  di  che  non  va  esente  il  Criticismo  e nemmanco  il  metodo  psicologico  rosminiano,  io  non  so persuadermi  come,  dopo  aver  letto  e  inteso  a  dovere  lei due  scritture  mentovate,  si  possa  essere  o  dirsi  Positivi vista,  secondo  il  concetto  volgare  che  di  questa  parola ci  ha  dato  e  ci  dà  oggi  chi  piti  ne  parla. Se  non  che  nessuno  immagini  eh'  io  qui  intenda  far  \ un  fascio  del  Positivismo  Francese,  del  Positivismo  In-  \ glese  e,  se  vogliamo,  anche  del  Positivismo  Germanico;  1 benché  quest'ultimo,  assumendo  sempre  più  forma  di schietto  e  nuovo  e  ardito  materialismo,  mostri  esser  già un  sistema  beli'  e  buono,  checché  se  ne  sia  detto  o  vo- glia dirsene  in  contrario.  Ma  di  questo,  fra  poco.  Quan- t' all'  altre  due  forme  di  Positivismo,  ninno  sarà  che  ' ignori  le  polemiche  tanto  gravi,  pacate,  esemplarmente  ' serene  fra  Stuart  Mill  e  Littré  avvenute  or  fa  un  anno.  \ E  molti  conosceranno  le  obbiezioni  che  quel  robusto ingegno  di  Herbert  Spencer  ha  saputo  muover  contro certe  dottrine  del  Comte.  Chi  abbia  vaghezza  poi  di sapere  qual  sia  il  carattere  e  il  resultato  di  queste  due maniere  di  Positivismo,  potrà  innanzi  tutto  guardare  alla forma,  al  fine,  persino  al  titolo  delle  opere  nelle  quali tale  dottrina  è  insegnata  e  propugnata.  Così,  mentre Stuart  Min  ha  fatto  una  logica,  o,  a  dir  meglio,  un  ft Sistema  di  Logica,  che  potrebbe  riguardarsi  addirittura  \ come  un  contr' altare  al  sistema  della  logica  hegeliana;  ; il  Comte,  almeno  nei  primi  volumi  delle  sue  opere,  ci ha  lasciato  (chiedo  perdono  a  tutti  gV  iddii  della  Senna) una  specie  di  rassegna,  ma  di  rassegna  ragionata,  giu- diziosa e,  dicasi  pure,  ingegnosa,  delle  particolari  disci- pliiie,  massime  di  quelle  che  a  lui  tormivan  più  familiari. Ho  detto  nei  primi  volumi,  perchè  nelle  opere  poste- riori, com'  è  noto,  desiderando  compier  V  edifizio,  egli ammannì  un  sistema  di  politica,  un  sistema  di  religione e  d' educazione,  un  sistema  di  morale  positiva,  e  financo d'igiene:  morale  senza  principio,  se  pur  non  vogliamo appellare  così  certa  regola  di  condotta  eh'  egli  espresse con  quella  brutta  parola  d' Altruismo  :  religione  senza Dio,  se  pur  non  vogliamo  piegare  il  ginocchio  e  dar  in- censo a  quella  divinità  chiamata  il  Grand*Essere;  intomo alla  quale,  com'è  noto,  il  fondatore  del  Positivismo  fran- cese finì  per  fantasticare  alla  maniera  de'  neoplatonici Alessandrini  e  del  Ficino.  Checche  ne  sia,  può  dirsi ch'egli  predicasse  bene  quant'a  metodo,  ma  razzolasse male  quant'a  sistema,  perchè  affermava,  anzi  esagerava nella  pratica  ciò  che  sdegnava  e  risolutamente  negava nella  teoria  e  nell'ordine  speculativo;  intendo  il  con- cetto dell'  unità  o  Sistematismo  nd  sapere,  secondo  il suo  linguaggio. Da  questo  primo  riscontro,  che  diremo  esteriore perchè  riflette  la  forma  generale  delle  opere  e  un po'  anche  il  valore  del  metodo  ne' due  filosofi,  si  può ai^omentare  che  il  Mill  guardi  la  scienza  sotto  l'aspetto  ^ subbiettivo,  cioè  come  una  serie  di  concetti,  mostrando così  d'aver  piena  fiducia  in  una  logipit  che  sia  atta  a risolvere  un  problema  distinto  sì  cJaT  problemi  e  sì  dal soggetto  in   che  versano  le  speciali  discipline/  Esiste infatti,  egli  dice,  una  conoscerla  scientifica  déWuomo  in quanfè  un  essere  intéUettude,  morale  e  sodale,  e  quindi una  dottrina  delie  cognidom  détta  coscienza  umana.* Agli  occhi  del  Comte,  per  contrario,  non  esiste  logica tranne  che  intrinsecata  con  la  natura  stessa  di  ciascuna scienza.  Se  volete  conoscere,  per  esempio,  la  logica  della chimica  (egli  dice),  studiate  la  chimica.  Ecco  la  scienza sotto  r  aspetto  puramente  ed  empiricamente  obbietti- vo; in  quanto  che  considera  le  cose  in  sé,  e  solamente come  oggetti.   Tal  difiFerenza,  com'  è  evidente,  non  è lieve,  massime  quando  tengasi  conto  de' risultati.  Il  ri- sultato cui  giugno  il  Positivismo  inglese  è  questo  :  la} metafisica  esser  possibile,  ma  solo  come  ricerca  logica,! come  investigazione   e   analisi  di  concetti.  Il  che,  s'  è| pregio  nella  logica  del  Mill  per  la  fede  eh'  e'  ripone nelle  forze  del  pensiero,  è  auche  il  suo  difetto  massimo, stante  che  siffattamente  ei  chiudesi  tutto  nel  formalismo  ** logico,  secondo  che  altrove  mostrai.' So  che  il  Mill  se  ne  vuol  difendere,  facendo  vedere qual  divario  corra  fra  la  logica  formale  e  quella  eh'  e'  dice logica  della  verità.  Ma  la  pecca  di  nominalista  in  lui è  chiara.  Ed  è  chiara  per  chi  abbia  convenevolmente considerato  quelle  quattro  teoriche,  nelle  quali  il  filosofo inglese  vuol  darsi  addirittura  per  innovatore:  intendo  ' le  dottrine  della  dimostrazione,  della  definizione,  degli assiomi  e  della  induzione.  In  tutto  questo  egli  è  per- *  Vedi  Stuart  Mill,  A.  Comte  et  U  Pontivitme,  Paris,  trad.  pag.  60. "  Op.  cit.  pag.  57. •  Vedi  la  Ont,  del  Po9ÌHv.  innanzi  citata,  VI,  pag.  19. fetto  Baconiano,  checché  ne  dica  egli  stesso.  Perocché, se  la  inente  ne'suoi  concetti,  secondo  questo  filosofo,  è superiore  ai  fatti;  non  però  cessa  d'essere  un  artifizio, logico,  un  artifizio  psicologico,  un  intreccio  a  cui  nulla  ; d' obbiettivo  potrà  mai  rispondere.  E  di  qua  proviene  i poi  un'  altra  conseguenza,  eh'  è  questa.  Se  nella  logica la  posizione  del  Mill  riesce  evidentemente  unilaterale  e subbiettiva,  è  pur  d' uopo  eh'  ella  si  manifesti  impotente anche  nella  scienza  storica,  eh'  è  dire  nell'organamento  ^ razionale   de'fatti    storici.   Ora  se  il  metodo  positivo giunge  a  legittimar  1'  analisi  de'  concetti  e  la   critica delle  idee,  non  bisognerà  dire  che,  come  esigenza  cri- tica, ei  contraddica  a  sé  medesimo  quando  dichiara  di non  potere  in  alcun  modo  studiare  idee  e  concetti  nel- l'obbiettivo lor  significato?  E  donde  questa  impotenza? Dalla  natura  stessa  della  mente,  si  può  rispondere.  Ma, s'egli  è  così,  la  possibilità  della  scienza  si  traduce  in impossibilità  vera.  Che  poi  questo  non  sia  e  non  possa essere,  ne  porge  guarentigia  sicura  il  processo  istorioo delle  scienze  tutte,  e  l' incessante  progresso  ond'  elle  ci dan  prove  luminose.  La  ricerca  in  senso  obbiettivo,  adun-? que,  è  possibile;  dove  che  per  il  Mill  è  addirittura  im-* possibile.  Questa  è  la  parte  debole  del  Positivismo  inglese.  ; L' errore  opposto  è  il  Jifetto  del  Positivismo  fran- cese. Se  per  il  Mill  psicologia  e  logica  sono  scienze  che s' alimentano  di  sé  medesime;  per  il  positivista  francese, al  contrario,  elle  non  sono  che  appendici  della  biologia, al  modo  stesso  che  la  sociologia  é  come  un  allargamento della  storia,  ciò  é  dire  una  generalizzazione   del  fatto istorico,  ma  del  fatto  verificato  mercè  la  deduzione  delle leggi  della  natura  umana.  Qui,  ripetiamo,  la  differenza è  profonda.   La   scienza   della  civil  società,  secondo  il' Positivismo  inglese,  pone  radice  nella  così  detta  Etolo- gia, li' Etologia  è  la  vera  scienza  dell'uomo,  egli  dice.  . Essa  è  una  generalizzazione  non  già  verificata,  ma sì  primiti/vamente  suggerita  dalla  deduzione  détte  leggi della  natura  umana.^  Ora  la  funzione  deduttiva,  nel Positivismo  inglese,  non  è  operazione  immediata,  non  è operazione  secondaria  alla  induzione,  com'  è  nel  Positi- vismo francese,  ma  è  funzione  a  priori,  è  funzione  i cui  risultati  vonn'  esser  giustificati  con  T  osservazione, e  con  la  scrupolosa  ricerca  delle  leggi  empiriche. Brevemente,  dunque:  pregio  singolare  del  Positivismo inglase  è  il  metodo  deduttivo-concreto  (per  usar  la  frase del  Mill)  applicato  alle  scienze  morali  in  generale.  Que- sto metodo  è  costituito  di  due  processi  che  si  svolgono, per  così  dire,  di  fronte  ;  non  già  di  due  parti  d' un  me- desimo processo,  V  una  delle  quali  sia  conseguente  al- l' altra,  com'  è  per  i  Francesi  positivisti.  Per  tal  prero- gativa massimamente  parmi  che  il  Positivismo  del  Mill mostri  accostarsi  all'  indole  della  filosofia  nostrana,  e molto  allontanarsi  dal  Baconianismo  alla  maniera  che questo  metodo  s'intende  da'più.*  Carattere  e  pregio poi  del  Positivismo  francese,  parmi  stia  nel  credere  alla j)ossibilità  d'una  filosofia  come  risultato  di  tutto  quanto il  sapere  umano,  e  quindi  nel  porre  come  inevitabile  o sua  condizione  la  necessità  della  storia.  L'indagine storica,  il  metodo  di  filiazione:  ecco  il  distintivo  del Comtismo,  eh' è  anco  il  massimo  suo  pregio.' Contro  il  Comtismo  è  facile  muovere  la  medesima difficoltà,  quantunque  in  senso  contrario ,  mossa  te- sté contro  il  Mill.  Se  infatti  è  possibile  una  ricerca  e una  critica  storica;  perchè  non  sarà  possibile  una  ri- cerca logica,  una  critica  dei  concetti,  come  tali?  Per- chè dunque  negare  una  logica  e  una  psicologia  supe- f *  Vedi  Stuart  Mill,  Sy^time  de  Logique,  Voi.  H,  pagr.  491. «  Vedi  Op.  cit.  Voi.  cit.,  pag.  461. •  Vedi  CoMTB,  Pha.  Pontive.  Voi.  V,  Lez.  48". . riore  alla  storia?  Se  non  che  delle  due  maniere  di Positivismo,  quella  de' Francesi  va  piii  facilmente  sog- getta a  contradizione;  la   qual  cosa  tiene  alla  doppia origine  storica  per  cui  si  distingue  cotesto  sistema.  Pa- recchi  scrittori   francesi  infatti  hanno  avvertito,  che ove  il  Comte   parla  di  natura  e   di  scienze  fisiche,  è decisamente  sensista,  materialista  e  nominalista  ;  men- tre che  ove  parla  di  filosofia  politica  e  storica  si  mo- stra panteista,  ma  senza  dar  prova  di  quella  specula- zione ingegnosa,  di  quella  mirabile  unità  razionale,  cui sanno  poggiare,  bene  o  male  che  sia,  i  Panteisti  moder- ni.'  Donde  tal  contraddizione?  Dall'essere  il  Comte,  } per  una  parte,  figlio  del  Sensismo  francese  ;  dall'  altra  ì poi  figlio  del  Sansimonismo,  che,  com'  è  noto,  è  forma  j grossolana  di  panteismo.  Per  questa  doppia  tendenza  | i  Positivisti  di  Francia  non  possono  salvarsi  dal  cadere  j nelle  conseguenze  d' uno  de'  due  sistemi  :  materialismo, 0  panteismo.  So  eh' e'  fan  presto  a  difendersi  dall'una taccia  come  dall'  altra.  Ma  la  logica  vale  qualcosa  più delle  parole  e  delle  calde  proteste.  E  veramente  chec- ché se  ne  possa  dire,  uno  degli  scrittori  poco  fa  citati ha  fatto  toccar  con  mano  al  Littré,  che  inevitabile  re- sultato del  Positivismo  è  il  materialismo.*  E  d'altra parte  sappiamo,  come  tutti  i  Positivisti  oggi,  e  propria-  ' mente  i  Gomtisti,  faccian  causa  comune  con  que'  della  \ sinistra  hegeliana,  co'  quali  hanno  intimo  legame,  se-l condo  che  mostreremo.  ' Ho  detto  come  per  ragion  d'origine  al  Positivismo francese  tomi  più  facile  inciampar  nelle  contraddi- zioni. Ne  poi^o  qualche  esempio.  Non  si  vuol  sapere nulla  di  cause  finali!  Ma  non  è  forse  il  medesimo  Lit- *  Vedi  Rbkocttibb,  Annuairephìl  1867  Q  nell^altro  del  1868.  —  Vaohb- BOT,  Metaphi9iq\w  potive.  Tom.  Ili;  Trattenim.  14.  —Jakbt,  Onte  phiL *  Vedi  Janbt,  Op.  cit.  pa^.  116  e  seg. tré  quegli  che,  mentre  grida  contro  il  principio  della finalità,  lo  afferma  là  ove  dice,  per  esempio,  l'essenza stessa  della  materia  oi^anizzata  esser  la  causa  prima della  finalità?  Eccoci  in  pieno  materialismo,  e  in  pieno sistema;  tutto  che  i  Positivisti  non  vogliano  esser  detti né  materialisti,  né  sistematici.  Ancora,  io  domando:  se  per domma  del  metodo  positivo  nulla  è  da  accettare  che  non  # sia  guarentito  immediatamente  o  mediatamente  da' fatti; perchè,  al  di  là  de^  fenomeni  e  dell'  esperienza  e  delle leggi  che  se  ne  traggono,  voler  credere  in  un  obbietto il  quale,  per  inconoscibile  che  sia,  é  sempre  un'  afferma- zione della  ragione?  Domando:  è  egli  atto  di  metodo positivo,  di  critica,  di  ricerca,  il  parlare  di  certo  grande oceano  qui  vieni  battre  notre  rive,  et  pour  lequd  nous n'avons  ni  barque,  ni  voiles,  mais  doni  la  dcdre  vision est  aussi  sahUaire  que  formUàble?  È  egli  atto  di  Posh tivismo  e  di  ricerca  che  sdegni  qualunque  spiraglio  di soprassensibile  e  di  soprannaturale,  parlarci  così  d'un Infinito,  comecché  non  se  ne  riconoscano  tutti  quelli  air tributi  che  il  fanno  tale?  E  se  ponete  la  possibilità  di conoscere  cotesto  vostro  inconoscibile  per  il  quale  dite di  non  aver  barca  né  vele  che  bastino,  ma  la  cui  cMaroi visione  é  pur  tanto  sàkiiare  al  pensiero;  in  che  maniera non  accorgervi  come  tutta  la  storia  della  filosofia  non altro  sia  stata  per  tutt'i  secoli  scorsi  fuorché  una  serie di  risposte,  per  così  dire,  a  cotesta  medesima  domanda che  neanche  voi  dite  illegittima,  né  strana?  Sarann'elle erronee  tali  risposte:  ne  potrò  convenire.  Ma  saran  tutte errori  da  farne  proprio  tavola  rasa? Da  siffatte  considerazioni  ci  é  dato  trarre  una  con- seguenza. Nel   Positivismo   oggi  avverasi  una  legge; quella  legge  che  accompagna  sempre  ogni  novello  indi- rizzo nella  filosofia,  eh'  é  dire  l' opposizione  nel  seno  % stesso  del  sistema.  Ecco  una  ragione  di  più  per  dichia- rare,  che  dunque  il  Positivismo  è  un  sistema  come  tutti  , gli  altri  !  La  cagione  profonda,  dice  il  Littré,  che  divide  / il  Comte  dal  Mill,  è  il  punto  di  vista  psicologico  e  logico nel  quale  s'è  messo  il  filosofo  inglese,  e  la  definizione reale,  obbiettiva,  non  già  formale  né  psicologica,  con  che si  presenta  la  scienza  nel  filosofo  francese.^  Ora  se  il  Po- sitivismo inglese  è  principalmente  un  formalismo  logico,  , e  il  Positivismo  francese  è  essenzialmente  un  empirismo  ! storico;  ne  viene  di  conseguenza  che,  in  virtiì  della stessa  critica  positiva,  noi  dobbiamo  riconoscer  legit-^ tima  una  terza  forma  di  Positivismo,  la  quale  sappia  sebi-  < vare  i  difetti  proprii  dell'una  e  dell'altra  maniera  esclu- siva di  Positivismo,  e  insieme  serbarne  tutti  i  pregi. Tale  appunto  sembra  a  noi  la  filosofia  positiva italiana  inaugurata  dal  Vico  nel  campo  delle  scienze morali,  e,  prima  di  lui,  fondata  già  dal  nostro  Galilei con  ogni  splendore  di  sapere  nel  regno  delle  scienze naturali  e  fisiche.  Di  quest'ultimo  non  parleremo.  Enon  ne  parleremo,  à  perchè  non  possiamo  entrare  in fisica,  e  sì  perchè  ne  abbiamo  altra  volta  discorso.*  Bi- sognadunque  far  capo  dal  Vico,  giusto  perchè  nel  con- cettodella  scienza  che  ci  è  dato  trarre  dal  tutt'  insieme delle  sue  dotrine,  la  ricerca  storica  e  la  ricerca  psico- logica e  logica  includono  già  la  esigenza  d'una  conci- liazione, d'una  compenetrazione  in  un  tutto,  per  così dire,  organico  e  compatto.  Nel  Comtismo,  come  s'è detto,  queste  due  ricerche  scompaiono,  e  si  riducono ad  una  sola.  Nel  Positivismo  inglese  elle  sono  distinte, anzi  diciam  pure  separate  da  ogni  altra,  né  si  sa come  annodarle  insieme.'  La  ricerca,  dunque,  che serbi  carattere   veramente  scientifico  e  positivo  non *  Vedi  «Situare  MiU  et  la  PhU,  PotUive.  Paris,  1867,  pag.  11. "  Vedi  Della  Filoeojia  Pontiva  di  Galileo  Oalilei,  Bologna,  1868. '  Vedi  Syttòme  de  Logiqw,  Tom.  II,  pag.  436. può  essere,  né  assolutamente  storica,  né  assolutamente  ^ logica   e  subbiettiva.   Concetto  e   Fenomeno,   Vero  e  ^ Fatto,  (direbbe  il  Vico)  s' hanno  a   convertire  perché SODO  due  strumenti  indirizzati  ad  unico  fine,  e  come tali  potranno  generar  la  scienza.  Vera  filosofia  positiva, dunque,  vero  metodo  positivo  sarà  e  dovrà  essere,  non quello  che  esclude,  sì  quello  che  include  tanto  la  ricerca  j in  senso  storico  e  sperimentale  proprio  del  Positivismo  \ francese,  quanto  la  ricerca  logica,  la  critica  de'  concetti,  ( secondo  V  esigenza  del  Positivismo  inglese.  Ora  solo  nel  ' filosofo  italiano  é  la  correzione,  il  compimento  e  il  con- nubio legittimo  de'  due  contrari  indirizzi,  come  vedremo. Ho  detto  che  il  Positivismo  inglese  per  alcuni  riguardi avrebbe  più  immediata  relazione  con  la  filosofia  del  Vico. Tal  relazione  sta  nel  modo  col  quale  si  considera  la natura  del  metodo  in  generale.  E  chiedo  permesso  d' in- sistere ancora  un  momento  sopra  cotesto  particolare. Stuart  Mill  pone  un  domma  metodico  che  noi  accettiamo di  gran  cuore.  Nella  scienza  morale,  nella  scienza  del- l'uomo, egli  crede  necessario  un  metodo  costituito  d'un doppio  processo;  in  quanto  che  la  verificatone  a  poste- riori deve  procedere  PARI  PASSU  con  la  dedtmone  a priori.  *  Perciò  osserva:  «  il  fondamento  della  nostra  • confidenza  in  una  scienza  deduttiva  concreta  non  è  U  ra- ffionamento  a  priori  stesso,  ma  V  accordo  de  suoi  resul- tati con  quelli  déW  osservazione  a  posteriori.*  » Queste  per  noi  son  parole  veramente  d'oro.  È  pensie- ro fecondo  pieno  di  verità  che  troviamo  applicato  e  legit- timato nelle  indagini,  in  tutte  le  indagini  fatte  dal  nostro Vico.Dov'  é  proprio  il  difetto  del  filosofo  inglese?  Anche lui  come  il  Comte,  benché  sott'  altro  rispetto,  predica bene,  ma  razzola  male.  U  grave   diietto  dell'  illustre *  Vedi  .S^.  éU  Log.  Voi  II,  pag.  4C2. *  JUd.  Pag.  490. Stuart  Mill  sta  nel  non  avere  un  concetto  compiuto della  storia.  Il  suo  Positivismo  anzi  manca  affatto  del senso  della  storicità.  Quel  suo  a  posteriori,  o  non  è  pro- cesso, 0  al  più  è  un  processo  tutto  formale,  e  tutto  sub- biettivo.  Come  dunque  può  salvarsi  dal  formalismo?  Bi- sognerà quindi  confessare,  come  il  Positivista  inglese  non possa  riescire  ad  applicare  storicamente  la  sua  verissima e  bellissima  sentenza  metodica  poco  fa  rammentata. Ma  se  por  questo  rispetto  ci  allontaniamo  dal  Mill, per  questo  medesimo  ci  accostiamo  al  Comte.  Perocché quantunque  il  pensiero  in  questo  filosofo  non  faccia che  raccogliere,  adunare,  disporre  e  indurre;  non  per- tanto in  lui  troviamo  il  concetto  della  storicità  benché in  maniera  affatto  empirica.  Nel  Positivismo  francese sono  confuse  in  un  tutto  logica,  psicologia,  sociologia, storia,  biologia  e  simili.  Mi  spiego.  Il  Comte  è  o  si dice  inventore  d'una  teoria  storica  applicata  allo  svol- gimento della  scienza  e  della  società.  La  parte  nuova, r  originalità  di  tale  dottrina  (se  si  vuole)  starebbe  in questo;  che  fira  la  legge  storica  e  il  fine  o  risultato della  scienza,  c'è  compenetrazione,  equazione.  E  vera- mente, in  che  consiste  la  scienza  secondo  questo  filo- sofo?Consiste  nel  resultato  complessivo  totale  delle diverse  discipline.  E  qual'è  lo  stato  ultimo,  il  terzo periodo  dello  svolgimento  storico?  È  lo  stato  positivo;  che vuol  dire,  l'esclusione  assoluta  del  teologismo,  del  dom- matismo  e  della  metafisica  in  generale.^  In  tutto  que- sto c'è  un  pregio;  ma  e'  è  pure  un  grave  difetto.  Non trattasi  d' un  vizio  di  formalismo  logico,  come  nel  Mill; trattasi  proprio  d' un  difetto,  d' una  manchevolezza  la quale  consiste  non  soltanto  nel  formular  quella  legge storica,  ma  anche  nel  modo  ond'  ella  viene  applicata, *  Vedi  CoMTB,  Principi»  de  PUH.  Potitive,  Paris,  1868,  Première Lc^on,  e  gli  scritti  del  Littró  sopra  citati. vo'dire  nell'uso  che  se  ne  fa.  Se  il  terzo  periodo  del sapere  è  uno  stato  assolutamente  positivo;  la  filosofia non  altro  sarà  fuorché  il  puro  efietto  della  scienza  ogget- tivamente considerata,  e  così  tra  scienza  e  filosofia  non avremmo  ombra  di  diiFerenza.  E  in  tal  caso  quale  sarà  la^ conclusione?  Questa  a  punto:  essere  impossibile  una  me- tafisica. Né  solo  impossibile  come  scienza  assoluta,  come scienza  a  priori,  sì  pure  come  scienza  fondata  su  la  psico- logia, ma  avente  un  fine  diverso  e  superiore  a  quello  delle altre  discipline  :  ed  eccoci  nel  nullismo  !  Inoltre  ci  è  da osservar  questo.  I  Positivisti  francesi  dicon  che  tutte quante  le  scienze  passano  per  tre  fasi:  teologica,  meta- fisica, positiva.  A  tal  proposito  Stuart  Mill  ha  chiesto  : quando  mai  la  matematica,  per  esempio,  s' é  trovata  nello  ' stato  teologico?  Quando  mai  s' è  creduto  che  se  le  due parallele  non  s'incontrano,  non  possano  incontrarsi  salvo che  per  volontà  di  Dio?  * CJotesta  legge  storica,  dunque,  se  dall'  una  parte  è essenzialmente  empirica,  dall'altra  é  male  applicata. Né  poi  col  dichiarar  cotanto  impotente  la  ragione, com'essi  fanno,  potran  salvarsi  dal  contraddire  ad un  principio,  eh'  io  credo  verissimo,  e  che  non  appar- tieneesclusivamente  alla  loro  scuola.  Chi  consideri^'l principio  ond'  è  guidata  la  classazione  e  la  disposi- zione delle  scienze  secondo  i  Positivisti,  può  agevol- mente accorgersi  come  in  essa  il  processo  sia  que- sto: un  andare  dal  di  fuori,  per  così  esprimermi,  al di  dentro;  dall'astratto  indeterminato,  dal  vago  ge- nerale, all'universale  concreto,  determinato,  specicde; in  somma,  un  andare  dal  semplice  al  complesso.  Tale è  il  processo  nel  corso,  sia  logico,  sia  storico,  delle sei  scienze,  a  contar  dalla  semplicissima  scienza  de'nu- *  Vedi  Stuart  Mill,  A.  Comte  et  U  PotitivUme,  Paris,  1868,  pag.  51. meri,  che  di  nessun'  altra  abbisogna,  lino  alla  Socio- logiaeh'  è  tanto  complessa  da  supporre  la  Biologia, la  Chimica,  nonché  la  Fisica  con  le  sue  altre  cinque suddivisioni,  l'Astronomia,  e  la  Matematica  con  le  sue tre  sottospecie,  e  via  discorrendo.'  Or  io  domando  :  se  cia- scuna scienza,  se  tutte  le  scienze  procedono  secondo  la suddetta  legge,  perchè  mai  giunti  al  pensiero  debb'ella cessare?  Perchè,  dic^,  non  protrarre  la  ricerca  e  quindi imprimerle  forma  davvero  filosofica?  La  filosofia^  essi dicono,  è  scienza  ultima.  Ma  appunto  perchè  ultima, io  rispondo,  ella  potrà  esercitare  funzioni  di  prima! Ripeto,  adunque,  se  al  Positivismo  inglese  fa  difetto  il senso  della  storicità,  cioè  la  viva  realtà  storica  in  quanto processo;  al  Positivismo  francese  manca  il  senso  della psicologia  come  scienza  immediata,  come  immediata condizione  della  storia.  Vero  metodo,  e  quindi  vera  filosofia positiva,  sta  nel  porre  e  nel  sapere  organai^e  in  una sola  funzione  tanto  il  processo  storico,  quanto  il  processo psicologico.  Questa  è  la  posizione  originale  del  metodo filosofico  davvero  positivo.  E  questa  è  la  posizione  del Vico,  della  Scienza  Nuova,  e  però  della  buona  filosofia italiana. Nessun  Positivista  che  sappia  e  voglia  rispettar  la logica  vorrà  dubitare,  come  certe  pretensioni  delle  loro dottrine  contraddicano  apertamente  all'esigenza  stessa del  Positivismo.  È  egli  un  processo  positivo,  o  non  più tosto  essenzialmente  negativo  l'escludere,  per  esempio,  o l'arrestare  in  qual  si  voglia  mo^o  la  ricerca?  Tornando dunque  al  pronunziato  fondamentale  del  Positivismo francese,  io  dico  che  se  ci  è  una  legge  nella  storia  come nel  pensiero,  cotesta  legge  non  è,  non  può  esser  pro- priamente quella  dataci  dai  Positivisti  francesi.  11  pe- *  Vedi  A.  CoMTB,  Syttime  de  Politique  Ponthe.  Tom.  II,  e  nella  Phil. Po9Ìtive,  Première  Le9on. riodo  0  stato  positivo  non  deve  risultare  negativo,  come in  sostanza  accade  nel  Positivismo.  Vuol  essere  anzi^ realmente  positivo,  cioè  razionale,  filosofico,  non  teolo- ,, gico,  né  metafisico.  Ed  è  la  filosofia  positiva  italiana che  sola  può  correggere  il  concetto  storico  del  Comti- smo;  perchè  scoprendo  ne' fatti  la  vera  legge  storica,  o sociologica  che  voglia  dirsi,  e  liberandolo  dall'empirismo, la  storia  non  sarà,  com'  è  pur  troppo  pel  Comte, un  duro  letto  di  Procuste  secondo  che  ci  dicon  gli  stessi francesi. E  veramente,  quant'  alle  applicazioni  storiche,  in generale,  a  me  pare  che  la  Filosofia  positiva  italiana superi  di  gran  lunga  il  Positivismo.  I  Francesi  aspet-  T" tan  tutto  dalla  storia.  Essi  riguardano  l' uomo  principalmente come  essere  morale  e  sociale:  nel  che,  com'è noto,  rasentano  il  socialismo,  e  in  questo  ci  conferme- rebbero tanto  gh  studii  del  Comte,  quanto,  e  più  an- cora, r  influsso  del  Sansimonismo  sopra  di  lui,  dal  quale invano  il  Littré  s' è  sforzato  difendere  il  maestro.*  Il fatto  sociale,  secondo  una  vecchia  idea  tutta  francese, presentasi  a  questi  filosofi  come  un  organismo  compatto e  simmetrico;  in  una  parola,  com' una  gerarchia.  Di qui  la  necessità  d'un  potere  morale:  di  qui  una  religione, una  morale,  un'  educazione  pubblica,  e  simili.  Il Positivista  inglese  poi,  conformandosi  anch'  egli  al  vec-chio genio  e  all'indole  del  suo  popolo,  romperebbe neir  estremo  opposto,  se  volesse  esser  conseguente  a  sé stesso,  e  se  il  gran  buon  senso  di  Stuart  Mill  non  trion- fasse talora  delle  sistematiche  dottrine.  Considerar  la scienza  come  produzione  soggettiva  e  logica;  porre  ad oggetto  di' essa  innanzi  tutto  l'uomo,  non  come  essere sociale,  storico,  essenzialmente  relativo,  bensì  come uomo,  come  individuo,  come  soggetto:  tutto  ciò  fa  pre- 

*  Vedi  LiTTEÉ,  X.  Comte  et  la  PhU,  Potitive,  Pag.  118  e  seg. 

cipitare  logicamente  nell'  Individualismo;  in  tma  specie di  disgregamento  sociale,  eh' è  appunto  la  negazione del  Socialismo.*  Nel  Positivismo  francese  la  società  è  di- namismo esagerato;  nell'  inglese,  per  contrario,  è  esage- rato meccanismo.  Or  anche  qui  la  Filosofia  positivaj italiana,  per  esser  davvero  positiva,  è  chiamata  a  porrei in  armonia  l' Individualismo  e  '1  Socialismo,  mercè  uns nuovo  concetto  antropologico;  voglio  dire  mediante  ilj concetto  della  Psicologia  storica,  i  cui  principii  troviamo! solamente  nella  Scienza  Nuova. Da  questi  brevi  riscontri  emerge  sempre  pia  chiara una  conseguenza.  Dove  nel  Positivismo  inglese  non  è  pos- sibile una  filosofia  o  scienza  della  storia;  nel  Positivismo francese  cotesta  scienza  è  possibile,  ma  unicamente  nel senso  empirico.  Quante  filosofie  storiche  in  Francia  dal 

BossuetalGomtel  Ma  se  in  Inghilterra  abbiamo  discorsi 

storici  e  monografie  storiche  e  ricerche  e  critiche  e  rac- 

conti storici  che  si  potrebbero  paragonare,  come  s'è  fatto, 

a  que'  di  Machiavelli  e  di  Tacito;  filosofie  e  scienze  della 

storia,  sono  titoli  ignoti  ne'  lor  libri.  Tommaso  Buckle, 

che  pur  volle  provarcisi  ne' cinque  capitoli  della  introdu- 

zione alla  sua  storia  dell'  incivilimento  in  Inghilterra, 

ad  altro  non  riuscì  che  alla  negazione  della  filosofia 

della  storia,  checché  ne  dicano  i  Positivisti  inglesi. 

.\bbiamo  notato  come  nelle  due  forme  di  Positivi-» 

smo  ci  sia  differenza,  e  quindi  esclusività  anco  nel  con- . 

cetto  della  Sociologia.  Se  infatti  nel  Positivismo  francese  ; 

la  psicologia  è  essenzialmente  storica,  e  quasi  una  pagina 

aggiunta  alla  Sociologia;  movendo  da  un  tutto  empirico, 

cioè  A2\  fatto  della  comunanza  sociale,  giugno  air  uomo. 

 

 

*  Nella  stirpe  Sassone  prevale  il  sentimento  della  iDdividualità.  L'at- 

tività inglese  In  rapporto  air  universale  si  appoggia  sempre  sopra  so 

medesima,  come  ha  osservato  Hegel:  An  9ich  teWer  feathcUtenden  Indi- 

vidualiUtì, 

e  trova  Y  uoma  ad  essa  congiunto  per  intimo  legame. 

Sociologia, dunque,  è  psicologia;  perchè  uomo  vai  società 

innanzi  tutto.  Nella  Sociologia  v'è  lo  stato  o  il  momento 

statico j  e  v'è  lo  stato  o  il  momento  dinamico.  U  mo- 

mento statico  non  è  altro  che  biologia  ;  per  cui  gli  uo- 

mini son  fra  loro  quello  che  le  formiche  e  i  castori,  e 

quindi  la  biologia,  s' altro  non  vi  fosse,  servirebbe  a  spie- 

gare la  società.  Ma  la  società  è  altresì  storia.  DaUa  storia 

sorge  immediatamente,  essenzialmente,  la  psicologia. 

Se  dunque  la  Sociologia,  come  stato  statico,  rampolla 

dalla  Biologia  ;  come  stato  dinamico  emerge  dalla  Sto- 

ria, e  però  dalla  Psicologia.*  Al  contrario  nel  Positivi- 

smo inglese  la  psicologia  è  indipendente,  troppo  indi- 

pendente forse  dalla  storia  ;  però  ne  seguita  che  la 

Sociologia  altro  non  possa  essere  fuorché  una  semplice  ap- 

plicazione meccanica,  e  quasi  una  sovrapposizione  di  essa.* 

Di  qua  gli  errori  sociologici  delle  due  contrarie  posizioni. 

Nell'una  abbiamo  logicamente  un  potere  pubblico  che 

non  conosce  limiti;  e  quindi  una  gerarchia  sociale.^ 

Neil'  altra  abbiamo  la  teorica  dell'  Individualismo  so- 

ciale, ma  temperata,  ripeto,  dall'ingegno  temperatissimo 

del  Mill.  Or  qui  l' accordo,  vo'  dire  il  positivo,  in  che 

deve  consistere?  Deve  consistere,  al  solito,  nel  negare  il 

concetto  della  sociologia  tanto  come  semplice  applica- 

zione della  nuda  psicologia,  quanto  come  appendice  del 

semplice  fatto  storico.  E  siffattamente  nell'  ordine  delle 

dottrine  storiche  e  sociali  potremo  liberare  la  scienza 

tanto  dall'  arbitrio  individuale  e  tutto  relativo,  quanto 

dalla  necessità  empirica  e  tutta  fisiologica  della  storia 

com'è  intesa  dal  Socialismo  in  generale. 

Rispetto  poi  al  problema  del  sapere  filosofico,  abbia- 

mo notato  che  nel  Positivismo  inglese  la  filosofia  toma 

*  Vedi  CoiiTB,  Politique  PotUivé^  IT.  Littbì  nella  risposta  al  MiU. 

•  Stuart  Mill,  A.  Comtt  et  la  PhU.  Po$itive,  pag.  97. 

Siciliani.  2 

possibile  sol  quando  la  logica  siasi  potuta  elevare  a  sistema ;  parola  che  per  il  Mill  suona  ordine  di  concetti  : mentre  nel  Positivismo  francese  eli' è  reputata  possibile unicamente  laddove  tale  ordinamento  possa  immediatamente rampollare  dalla  scienza  stessa.  Di  qua proviene  che  la  condizione  di  ciascuna  e  di  tutte  le  discipline, per  i  positivisti  inglesi,  sia  la  logica;  stante che  tutte  le  discipline  sono  sommesse  air  autorità  della logica  :  IHrar  consegtienee  è  U  grand' affare  della  vita.*  Pel filosofo  francese,  in  vece,  le  scienze  procedono  indipen- 

denti così,  che  non  son  esse  che  abbian  bisogno  della  lo- 

gica, ma  è  anzi  la  logica  che  abbisogna  delle  scienze. In  altre  parole:  il  soggetto  abbisogna  dell'oggetto,  e  le idee  abbisognano  dei  fatti  e  dell'esperienza,  di  cui non  sono  altro  che  la  riproduzione  fedele.'  Che  cosa  dun- que è  da  concludere?  E  da  concludere  questo:  che  dove il  criterio  del  vero  nella  prima  posizione  è  bensì  nel soggetto  ma  a  maniera  d' aggiunta,  cioè  come  dote  formale, estrinseca,  acquisita  (logica)  ;  nella  seconda  posizione, al  contrario,  tale  criterio  risiede  nelle  stesse scienze,  in  quanto  elle  vannosi  organando  sotto  V  imperio d'  una  legge  storica,  e  consiste  nel  modo  onde  i fatti  fisici,  chimici,  fisiologici,  sociologici  si  succedono  e aggruppan  fra  loro  con  iscambievoli  relazioni.' Posto  così  il  criterio  del  conoscere  filosofico,  accade questo.  Nel  Positivismo  inglese  la  funzione  conoscitiva che  inaugura  la  scienza,  è  l'induzione:  la  quale  appresso rimane  quasi  fosse  un  mezzo,  un  istrumento  in  quanto viene  associata  alla  deduzione,  eh' è  facoltà  nuova,  ma' sempre  di  natura  formale.  Nel  Positivismo  francese,  i per   contrario,   la  funzione  conoscitiva  è  sempre  una; *  Stoabt  Mill,  Sy^tème  de  Logique,  Tom.  I,  pag.  9,  §  5. 

*  LiTTRé,  Risp.  al  Mill,  pag.  10. 

 

*  CoifTK,  Pkitol.  Positive.  Deuxième  Le9on. 

sempre  la  stessa  nella  sua  essenza.  Comincia  induzione 

e  finisce  induzione.  E  se  pur  veste  forma  deduttiva,  ella 

v'  inganna;  stantechè  la  sostanza  è,  e  dovrà  esser  sempre 

di  natura  induttiva.  È,  in  somma,  una  deduzione  essen- 

zialmente induttiva,  se  cosi  posso  esprimermi.'  Talché 

il  Comte,  non  essendosi  in  questo  mostrato  sempre  con- 

seguente a  se  stesso,  è  stato  corretto  dal  Littré,  come 

quegli  eh'  è  venuto  imprimendo  valore  strettamente  po- 

sitivo al  metodo  che  il  maestro  appellò  stibbiettivo,^ 

Or  anche  qui  è  necessaria  una  terza  posizione  cri- 

tica. Il  positivo  non  istà  nel  negare  la  logica  in  grazia 

delle  scienze,  o  nel  ridur  V  una  a  meschino  anello  delle 

altre.  Saremmo,  al  solito,  nell'  esclusivo,  e  nel  negativo. 

Sta  bensì  nel  mostrare  come  né  la  prima  né  le  seconde, 

di  per  sé  medesime  e  separatamente,  possano  esser 

filosofia.  11  monismo,  sentenza  che  avremo  a  ripetere 

a  sazietà,  non  dà  che  monismo.  Al  solo  dualismo  è  con- 

ceduto uscir  dall'identico  vuoto,  dal  monotono,  e  por- 

gere scienza  verace  e  positiva.  ^ 

Da  ultimo,  altra  differenza  vitale  tra  il  Positivismo 

francese  e  il  Positivismo  inglese  abbiamo  detto  essere  il 

modo  ond'  è  considerato  il  punto  di  vista  positivo.  Pel 

Positivista  francese  lo  stato  metafisico  nega  lo  stato  teo- 

logico ;  e  V  uno  e  l' altro  sono  addirittura  e  necessaria- 

mente negati  dallo  stato  positivo.  Al  sorgere  dell'  uno, 

 

*  Vedi  LiTTRÉ,  A.  Comte  et  la  Phil.  Ponit.,  pag.  532. 

*  Nel  Comte  si  manifesta  chiara  la  tendenza  alia  Filosofia.  Lo  di- 

mostra,  per  citare  un  esempio,  il  bisogno  eh' e' sentiva  di  congiungere 

al  metodo  obbiettivo  il  metodo  sufobiettivo:  Notre  cfnutUution  logique  ne 

gnurait  ètre  compia  et  durahle  que  d*  aprle  une  intime  combinaieon  dee 

deux  mithodee.  {Politique  Ponitivc^  pag.  444*1.)  Per  il  Littré  cotesto  domma 

del  sno  maestro  è  peccato  assai  grave.  (Vedi  A,  Comte  et  la  Phil.  Poeitive, 

pag.  532.  e  seg.)  Per  noi  sarebbe  stato  pregio  singolarissimo,  se  il  Comte 

fosse  giunto  a  combinare  in  modo  razionale  i  due  metodi.  Co.munque  sia,  bi- 

sogna tener  conto  di  qnesta  tendenza  metafisica  ch'egli  manifesta  nel  porre 

la  necessità  d'un  doppio   metodo  in  Sociologia.— Vedi  Op.  Voi.  IV,  Lez.  48'. 

in  somma,  deve  sparir  l'altro.  Questo  è  il  concetto  origi- 

nale del  Gomtismo.  Ora  tal  concetto.è  risolutamente  repu« 

diato  dal  Mill.  «  Il  modo  positivo  di  pensare,  egli  afferma, 

non  è  necessariamente  una  negazione  dd  sopranaiuràle....^ 

Se  Vuniverso  ha  avido  un  cominciamento,  U  suo  comwi' 

ciamento  per  le  condizioni  stesse  dd  fatto  è  stato  sopra- 

naturale}  r^  Qui  non  v'  è  compromessi,  né  concessioni  che 

bastino.  L' opposizione  è  troppo  aperta  perchè  non 

risalti  agli  occhi  di  tutti.  Il  Comte  nel  suo  terzo  periodo 

non  fa  che  negare  la  filosofia;  e  il  Mill  risponde  molto 

a  proposito  quando  dice  che  il  modo  positivo  dipemare 

non  istà  nel  negare,  bensì  neir  affermare.  Ma,  come 

affermare?  Ecco  un  altro  difetto  del  Mill.  Egli  afferma, 

è  vero,  il  soprannaturale  ;  ma  evidentemente  V  afferma 

in  maniera  tutta  empirica.  Non  potremmo  dunque  ri- 

torcere contro  di  lui  le  sue  stesse  parole  dicendo,  che 

it  modo  positivo  di  pensare  non  istà  néW  affermare  em- 

piricamente,  cotesto  sopranaturale,  nelP  affermarlo,  cioè, 

col  buon  senso  inglese,  ma  si  nell'  affermarlo,  s'  è  pos- 

sibile, in  guisa  razionale  e  cosciente?  Vedremo  entro 

quai  limiti  sia  questa  appunto  la  posizione  del  Vico. 

Or  che  abbiamo  notato  analogie  e  differenze  fra  le 

due  forme  di  Positivismo  che  oggi  si  coltivano,  e  ar- 

gomentatane, in  forza  del  medesimo  principio  positivo, 

la  necessità  d'  una  terza  forma  di  filosofia  veramente 

positiva;  giova  far  poche  osservazioni  rispetto  a  .certi 

positivisti  i  quali  fan  le  viste  di  non  voler  essere  pro- 

priamente, né  inglesi,  né  francesi.  E  veramente  a  tutta 

prima  non  parrebbero  tali,  perché  non  ardiscon  du- 

bitare della  possibilità  d'un  sapere  metafisico;  ma  a 

guardarli  bene  in  viso,  riescono  anch'essi  ad  un  misto 

dell'una  cosa  e  dell'altra,  che  vuol  dire  son  sempre 

*  Stuart  Mill,  A,  OomU  et  le  Pontivieme^  pag.  15. 

positivisti.  Di  questi  in  Italia  ne  abbiamo  a  josa.  E  ne  ab- 

biamo a  josa  tanto  più,  quanto  che  aman  chiamarsi  ora 

critici,  ora  scettici  prudenti,  ora  storici-filosofi  e  che  so 

io;  ma  non  soffrono  per  nulla  d'esser  detti  metafisici,  filo- 

sofi, e  nemmanco  veri  e  propri  positivisti.  Costoro  dun- 

que vonn'  esser  battezzati  col  titolo  che  si  meritano:  del 

qual  titolo  non  si  potranno  menomamente  lamentare  e 

tenercene  broncio,  perchè  li  designa  per  quel  che  sono, 

e  per  quel  che  valgono.  Appelliamoli  dunque  filosofi  dd- 

V  avvenire.  Essi  hanno  fede  nell'attività  profonda,  inces- 

sante dello  spirito,  della  storia;  hanno  fede  nel  presente 

progredire  delle  scienze:  però  hanno  fede  in  una  filo- 

sofia; ma  in  una  filosofia  eh' è  di  là  da  venire,  perchè 

di  cotesto  lor  filosofare  positivo  altro  non  ci  han  sa- 

puto dire  fin  qui  ne' loro  opuscoli  e  ne' loro  articoli  da 

giornale,  se  non  eh'  egli  verrà,  e  verrà  di  sicuro  1 

Cotesto  non  è  linguaggio  seno.  Non  è  linguaggio 

d'uomini  che  dicono  d'aver  fede  nelle  forze  di  ra- 

gione. La  filosofia  è  scienza,  ma  è  altresì  una  religione, 

per  chi  voglia  intenderla  sul  serio.  Com'  è  naturale,  dun- 

que, alla  contraddizione  essi  aggiungono,  senz'accorgersi, 

r  equivoco.  Perocché  cotesta  attività  dello  spirito,  cote- 

sto vantato  concorso  di  forze  e  divisione  del  lavoro,  non 

ha  egli  pure  i  suoi  confini?  Le  scienze  speciali  (si  dice)  _ 

non  possono  uscire  dalla  loro  sfera  speciale  per  elevarsi 

àUa  ricerca  delle  r dazioni  generali^  senz'annullarsi.  Ora, 

io  domando  :  se  nessuna  scienza  in  particolare  può  avere 

cotesta  pretensione;  pò trann' averla  tutte  insieme?  Ecca 

il  problema  che  i  neopositivisti,  checché  ne  dicano,  non 

hanno  peranco  risoluto.  D'  altra  parte  i  filosofi  (essi 

soggiungono)  col  continuo  divagare  nel  mondo  delle 

ipotesi  e  dell' a  priori,  non  son  capaci  neanch'essi  a 

darci  buona  e  positiva  filosofia.  Dunque,  io  concludo 

(e  badino  alla  conclusione  cotesti  fibsofi  dell'  avvenire) 

che  né  per  opera  delle  scienze,  né  per  opera  dei  me-  • 

tafisici  potrà  nascere  mai  il  vero  filosofare.  Non  può.) 

nascere  dalle  prime,  come  farfalla  dal  suo  bozzolo, 

perché,  ripeto,  ciascuna  scienza,  secondo  che  ci  dicono  i 

neopositivisti,  annullerebbe  sé  stessa  nel  momento  stesso 

che  presumesse  trapassare  i  propri  confini.  Tanto  meno 

poi  nascerà  per  opera  de'  filosofi  metafisici,  essendo  or- 

mai un  fatto  innegabile  la  loro  impotenza,  attraverso 

ventidue  e  più  secoli  di  speculazione,  come  ci  ricantano 

da  un  pezzo  essi  stessi  gli  Avveniristi  in  filosofia! 

 

La  conseguenza,  al  solito,  è  a  bastanza  chiara:  la 

filosofia  essere  d' ogni  parte  impossibile  !  Oh  perché 

dunque  baloccarci  con  le  vantate  forze  di  ragione,  con 

questa  gonfiata  attività  del  pensiero  e  della  storia?  Non 

è  dunque  vero  che  contraddicendovi  miseramente  non 

potrete  dirvi  nemmanco  filosofi  dell'avvenire,  ma  scet- 

tici d'un  presente  che  sdegnate  e  d'un  futuro  che  igno- 

rate? Per  esser  davvero  positivi,  é  d' uopo  cominciare  a 

render  attuale  quel  che  si  crede  possibile.  Cominciatela  I 

a  fare,  dunque,  co  testa  benedetta  filosofia  s'  egli  é  veroj 

che  avete  fiducia  nella  sua  possibilità!  Un  possibile  che 

non  si  raggiunga  mai,  domando,  non  é  per  ciò  stesso 

un  impossibile  addirittura? 

Ma  noi  (soggiungono)  non  amiamo  trastullarci  con 

le  ipotesi  su'principii  e  su' fini  delie  cose!  E  qui  i 

filosofi  dell'avvenire  mi  rendono  immagine  di  chi,  pur 

volendo  ad  ogni  costo  imparare  il  nuoto,  a  nessun  patto 

vuol  piegarsi  ad  entrare  nell'  acqua  per  paura  d' an- 

dare a  fondo!  Ora  a  me  pare  che  l' operosità  veramente 

critica  e  positiva,  non  istia  già  nel  guardar  con  le  mani 

in  mano  chi  é  nell'acqua  e  si  sforza  al  nuoto,  ma  nel 

buttarsi  giù  e  lottare  con  l' acqua,  e  con  sé  medesimo. 

In  altre  parole,  non  istà  nel  lasciar  fare  alle  scienze  e 

alla  storia,  ma  nel  fare  noi  stessi  qualche  cosa;  nel far  pronto,  energico,  fiducioso,  in  bella  compagnia  con  # 

la  storia,  e  con  le  scienze. 

Se  non  che,  rammentando  una  vecchia  sentenza,  ci  ri- 

petono: la  filosofia  non  può  elevarsi  cdle  relazioni  gen&rcili 

sema  ilfondamerUo  d^ particolari,  ^eperò  si  richiedono  a 

vicenda.  Precisamente  questo  1  io  rispondo.  È  appunto  co- 

testo richiedersi  a  vicenda  che  costituisce  la  condanna 

de'  filosofi  dell'  avvenire.  Se  le  scienze,  come  s' è  detto, 

non  possono  esser  filosofia  senz'  annullare  sé  stesse  ;  la 

filosofia  non  può  a  sua  volta  assumer  carattere  posi- 

tivo, senza  l'aiuto  efficace  delle  scienze.  Dunque?  dun- 

(ine  non  è  per  nulla  vero  (badisi  alla  conclusione)  che 

la  filosofia  abbia  a  nascere^  che  abbia  a  germogliare 

propriamente  dalle  scienze.  È  vero  bensì  che  queste 

varranno  ad  eccitarla,  a  determinarla,  a  sempre  più 

fecondarla,  anche  a  correggerla,  ma  non  costituirla. 

Persuadiamoci:  per  nessun  miracolo  al  mondo,  e  in 

verun  ordine  di  cose,  il  numero  è  valso  mai  e  mai 

non  varrà,  come  numero,  a  darci  l'unità.  Fu  e  sarà 

sempre  pazzia  il  pretendere  che  dal  meno  s'abbia  a 

cavare  il  più.  Mi  spiego  brevemente. 

In  tal  questione  abbiamo,  per  così  dire,  due  poli; 

scienze  di  là,  e  filosofia  di  qua:  quelle  inefficaci,  e 

questa  impotente.  Donde  ha  da  partire  lo  scoppio  della 

scintilla?  I  Positivisti  dicono,  dal  primo  polo:  i  Me- 

tafisici, e  a  prioristi  assoluti,  dal  secondo.  La  filosofia 

positiva  risponde  :  né  dall'  uno,  né  dall'  altro.  La  scin- 

tilla scoppierà  dall'incontro,  cioè  dal  contrapporsi  di  '* 

essi.  S' egli  è  così,  la  conseguenza  chiara,  evidente  che 

ne  scende,  è  questa:  La  filosofia  non  è  una  specie  di 

appendice  o  di  giunta  alle  scienze,  come  pretendono  i 

Francesi.  Non  è  un  formalismo  logico  vuoto,  come  si 

pensano  i  nepoti  di  Francesco  Bacone.  E  nemmanco 

una  costruzione  tutta  a  priori,  assoluta  e  indipendente 

dalle  scienze,  come  pretendono  gli  Hegeliani.  I  nepoti 

del  Galilei  e  del  Vico,  per  contrario,  credono  che  l'in-  ' 

gegno  filosofico  valga  qualcosa  anco  per  sé  stesso.  Cre- 

dono eh'  ei  sappia  in  qualche  maniera  alimentarsi  e  vi- 

vere anche  da  sé,  e  in  sé  medesimo.  Se  da  una  parte  I 

r  ajpriorismo  assoluto  è  vuotaggine  (e  qui  siamo  co' po- 

sitivisti); credere,  dall'altra,  che  la  filosofia  abbia  a  ri- 

sultar tutta  quant'  è  dalle  scienze  alla  maniera  d' una 

formula  chimica'  dalle  sole  analisi  ed  esperimenti  chi- 

mici, più  che  vuotaggine  cotesta  per  me  é  ignoranza. 

Così  la  scienza,  ripeto,  sarebbe  non  più  che  un  aggre- 

gato meccanico,  un  aggregato  inorganico  e  senza  signifi- 

cato razionale.  Porre  fondamento,  adunque,  non  vuol 

dir  nascere  o  risultare:  non  vuol  dire  che  l'una  cosa 

sia  cagione  e  tutta  la  cagione  deli'  altra,  la  quale  poi 

ne  sarebbe  1'  effetto.  Vuol  dire  benà  che  la  prima  è 

tanto  necessaria  alla  seconda,  quanto  la  condizione  al 

condizionato.  È  la  carrozza,  sono  i  cavalli  che  mi  por- 

tano in  giro.  Ma  se  i  cavalli  mi  portano,  son  io  che  vado, 

son  io  che  cammino,  son  io  che  corro,  son  io  che  go- 

verno la  quadriga.  La  ragione,  la  sola  ragione  è  l'auriga  ì 

di  quel  cocchio  di  cui  parla  Platone  nel  suo  Fedro.      1

I  Positivisti,  inoltre,  stimano  che  tra  scienza  e  filo- 

sofia corra  quella  medesima  parentela  eh'  é  tra  '1  tutto  e 

le  sue  parti.  Questo  dico  e  credo  anch'io,  senz'essere 

positivista  francese,  inglese  o  americano.  Ma  cotesto  tutto, 

domando,  è  egli  superiore,  o  inferiore,  è  anteriore  ovvero 

resultante?  Anteriore,  dicono i  Dommatici.  Resultante,! 

affermano  i  Positivisti.  Né  l'uno,  né  l'altro,  rispond'  io.  * 

Se  resultante,  mostrateci  come  saprete  schivare  il  pe- 

ricolo di  darci  un'  enciclopedia,  un  ordinamento,  anche 

ingegnoso  com'  é  la  distribuzione  delle  scienze  fatta  dal 

Comte,  ma  eh' è  sempre  ordinamento  empirico;  stante- 

che  il  tutto  non  é  vero  tutto,  ma  é  tutto  in  quanto  é 

parti,  e  però  queste  parti  non  sono  elementi  organici  di 

quello.  Brevemente:  la  vostra  gerarchia  sarà  sempre  un 

accozzo,  non  già  un  organismo  attuale  e  nemmeno  possi- 

bile: per  la  semplice  ragione  che  nella  parti,  o,  per 

cosi  dire,  nelle  cellule  ond'  ei  deve  resultare,  non  e'  è 

vita,  non  metodo  d'alcuna  sorta. 

Finalmente  i  filosofi  dell'  avvenire  consentono  che  la 

filosofia,  più  die  una  raccolta  e  un  dizionario,  abbia  da 

essere  una  critica,  cioè  una  continuazione  del  lavoro  delle 

scienze,  elevatesi  ad  una  sintesi,  ad  un  concetto  superiore. 

Ma,  ecco  la  difficoltà:  come,  senza  un  criterio,  elevare  a 

critica  r  attività  filosofica?  Non  è  ella  cotesta  un'  altra 

condanna  del  Positivismo?  Questo  criterio  noi  potrete 

ricavare  dalle  scienze,  sia  che  le  consideriate  numerica- 

mente, sia  che  complessivamente.  Esse  noi  contengono 

numericamente,  che  altrimenti  sarebbero  già  filosofia. 

Noi  conterranno  neanco  nel  loro  insieme,  perchè  baste- 

rebbe, se  così  fosse,  accozzarle,  basterebbe  accostarle  in- 

sieme, acciò  potessero  comporre  un  organismo  ;  nel  modo 

istesso  che  T  organismo  della  civil  società,  secondo  la 

grossolana  dottrina  dei  giusnaturalisti  francesi  del  secolo 

passato,  generavasi  dall'  accozzo  delle  volontà,  non  si 

sa  perchè  né  come,  ond'  essi  caddero  nel  meccanismo 

sociale  del  Rousseau.  Senza  un  criterio  non  v'è  crìtica: 

è  precetto  elementare  dì  logicar,  per  non  dire  già  dì 

buon  senso.  Così  pure  la  filosofia  non  può  esser  consì^ 

derata  come  corUintumone  del  lavoro  détte  scienze^  senza 

cadere  nel  difetto  di  ripetizione  inutile,  infruttuosa.  Il 

concetto  superiore  a  cui  sperate  levarvi,  non  è  sintesi 

vera,  bensì  ripetizione  d' analisi  sotto  mentite  sembianze 

di  sintesi.  Il  concetto  superiore,  in  sostanza,  è  sempre 

inferiore,  posteriore  e  quindi  resultante.  Dunque  la  fa- 

coltà critica  de'  filosofi  dell'  avvenire  non  è  veramente 

critica,  perchè  non  è  veramente  originaria,  ma  derivata. 

Qui  pervenuti,  qualcuno  ci  chiederà:  Qual  relazione  ; 

corre  tra  Positivismo  ed  Hegelianisrao?  C  è  egli  una  re-  ; 

lazione? 

Che  una  relazione  vi  sia  ce  lo  dicono  gli  stessi  odierni 

hegeliani.  E  se  noi  dicessero,  basterebbe  pensare  a  che  mai  | 

siasi  ridotta  la  loro  estrema  sinistra  per  andarne  con- 

vinti. So  che  a' Positivisti  non  piace  chiamar  Positi- 

vismo quel  nuovo  Materialismo  di  Grermania  uscito 

da' fianchi  dell'Idealismo  assoluto.  Tal  confusione  ad 

essi  non  piace,  perchè  mentre  il  primo  è  di  per  sé 

stesso  una  fiera  protesta  contr'ogni  sorta  sistemi,  il 

secondo  (come  di  sopra  toccammo)  è  un  sistema  beli'  e 

buono.  Ma  non  son  io  che  faccio  coteste  confusioni:  è 

la  logica  stessa.  Dato  che  tra  Feuerbach  e  Littré,  per 

esempio,  sia  differenza  di  metodo  e  di  principii  (e  il 

divario  certamente  è  infinito),  io  chieggo:  dov'è  poi 

la  differenza  ne'  resultati?  Io  veggo  negazione  dall'  una 

parte,  e  negazione  dall'  altra  :  ecco  tutto.  11  nuovo  mate- 

rialismo, dunque,  cotesto  virgulto  nato  e  cresciuto  nel . 

giardino  dell'  Idealismo  assoluto,  è  l' anello  che  pone  una 

relazione  fra  il  positivismo  e  1'  hegelianismo.  Tra'  quali 

perciò,  se  profonda  è  la  differenza  nel  metodo,  evidente 

e  grande  è  la  concordia  ne' resultati  e  nelle  conseguenze 

ultime.  Così  che  non  ci  reca  nessuna  maraviglia  il  ve- 

dere oggi  alcuni  hegeliani  scaldarsi  tanto  per  mostrare 

a  fil  di  logica  come  i  positivisti  debbano  ormai  consa- 

crarsi hegeliani,  perocché  l' hegelianismo  altro  non  fac- 

cia che  compiere  il  positivismo:  e  positivisti,  di  ri- 

mando, arrapinarsi  fuor  di  maniera  per  convincere  gli 

hegeliani,  che,  a  voler  rispettare  la  logica,  non  già  il 

positivista  in  hegeliano,  ma  sì  l'hegeliano  abbiasi  a 

trasformare  in  positivista.* 

*  Il  Prof.  Vera,  VApotioìus  Gentium  dell' hegelianisrao,  come  lo  ap- 

pella un  sao  scolare,  chiama  il  positivismo  una  contrafazione  dell'  bege- 

A  me  qui  non  importa,  punto  vedere  quale  delle 

due  onorate  e  onorande  schiere  abbia  ragione.  Solo 

mi   giova  far  notare  come  gli  hegeliani  ragionino   e 

sappiano  ragionare,  quando  segnatamente  siano  usciti 

dal  nascoso  mondo  del  pensiero  puro,  dove  per  me  (e 

vo' credere  anco   per  loro  stessi)  concentrasi  tutto  il 

buio  della   dialettica.  Importa   altresì  notare  ch'essi 

sanno  intendere  la  storia,  almeno  in  gran  parte;  che  • 

nella   storia    hanno  gran  fede,   appunto  perchè   non; 

l'hanno  perduta  in  sé  medesimi: e,  finalmente,  che  non  '■ 

solo  mostrano,  ma  dimostrano  la  legge  del  progresso.  . 

Di  queste  cose  i  positivisti,  né  sanno,  né  vogliono  far 

nulla.  E  in  ciò  l' intervallo  che  li  separa  dagli  hege- 

liani é  davvero  infinito.  Ma  quant'a  resultati  e  a  con- 

seguenze, ripeto,  ei  s'  assomigliano  come  due  gocciole 

d'acqua.  Per  qual  ragione?  C'è  una  ragione?  Ci  deb- 

b' essere.  Gli  uni  distruggono  col  negare,  col  non  fare; 

gli  altri  distruggono  con  l' affermare  sciorinando  quella 

compatta  e  fittissima  rete  dialettica  nella  quale  si  ri- 

sica di  restare  impaniati,  se  ali  robuste  non  ci  soccor- 

rano. Non  credo,  infatti,  che  sia  per  mera  accidenta- 

lità storica  se  quasi  in  un  medesimo  tempo,  con  la 

difi'erenza  di  pochi  lustri,  abbiano  cominciato  a  regnare 

questi  due  sistemi,  o  metodi,  o  indirizzi  di  filosofare 

che  si  voglian  dire.  I  positivisti  anzi  ci  assicurano  come 

una  delle  cagioni  del  sorgere  del  positivismo  fosse  ap- 

punto la  stanchezza,  la  noia  dello  spirito  moderno  verso 

le  annebbiate  speculazioni  germaniche:  nella  quale  sen- 

tenza ci  confermerebbero  quegli  hegeliani  divenuti  oggi 

lianìsmo.  (Vedi  Phil.  de  VÉsprit.  Introd,  pag.  LXIX.)  Ai  Comtisti  certo 

non  piacerà  questa  parola  del  Vera,  perchè  si  rammentanq  della  sentenza 

del  loro  maestro:  L* hegelianismo  è  nn  fitichUme  généraliU  et  gyttematUé, 

enveloppé  d*un  appareil  doetoral  propre  à  donner  le  ohange  au  vulgaire. 

—  Vedi  CoMTK,  dmr»  de  Phtl  Pont,  Voi.  V,  Lez.  52%  pag.  4'2. 

schietti  positivisti.  Ma,  lasciando  delle  relazioni  storiche, 

non  è  difficile  ritrovare  un'  attinenza  ideale  fra  i  due  si* 

sterni.  Altra  volta  vennemi  detto,  adoperando  una  figura, 

la  quale  non  dispiacque,  che  l'Hegeliano,  a  ben  guardarlo, 

non  è  altro  che  un  Positivista  in  guanti  gialli:  nel  modo 

ìstesso  che  il  Positivista  è  un  Hegeliano  vestito  da  con- 

tadino. £  veramente,  se  il  positivismo  giugnesse  ad 

aver  coscienza  di  sé  e  diventare  filosofia,  pensiero  me- 

tafisico, speculazione;  e' non  potrebbe  non  riescire  ad 

altro  che  all'  hegelianismo.  So  che  questo  discorso  non 

andrà  a' versi  di  certi  positivisti  cui  troppo  ripugna 

sentire  affermare  (come  infatti  affermava  poco  fa  un 

Hegeliano)  che  il  positivista,  pur  non  volendo,  prima  o 

poi  ha  da  cascare  nell'idealismo  assoluto,  e  molti  vi  sono 

di  già  cascati. 

Né  é  da  meravigliarsene  ;  perché,  ripeto,  se  il  posi- 

tivista si  risolverà  a  farla  da  filosofo,  recando  ia  atto 

quella  filosofia  che  alcuni  di  loro  credono  pur  possi- 

bile ;  r  unica  porta  eh'  e'  si  troveranno  dischiusa  di- 

nanzi agU  occhi,  altra  non  potrà  essere  salvo  che 

quella  che  mena  all'Idealismo  assoluto.  Se  da  una 

parte,  infatti,  si  reputa  possibile  cotesta  filosofia,  e  dal- 

l' altra  la  si  desidera  di  tal  forma  e  di  tanta  perfezione 

e  certezza  da  non  invidiar  punto  l' eccellenza  della  geo- 

metria; qual  edifizio  più  stupendo  e  più  saldo  e  più 

geometricamente  ordinato  e  compatto  della  dialettica 

hegeliana?  Qual' orditura  più  razionale  e  tale  che,  al 

pregio  inestimabile  della  universalità  e  della  compren- 

sione, sappia  congiungere  una  mirabile  semplicità  e 

faccia  insieme  conseguire  una  soluzione  compiuta  in 

ogni  problema  che  agiti  la  mente  umana? 

Ma  e'  é  di  più.  A  chi  ben  consideri,  l' Idea  degli 

hegeliani  è  il  Fatto  stesso  dei  positivisti  ;  ma  il  Fatto  guar- 

dato in  sé,  il  fatto  considerato  fuori  le  condizioni  del 

tempo  e  dello  spazio,  cioè  come  legge.  Al  contrario, 

il  Fatto  de' positivisti  è  V Idea  hegeliana,  ma  Videa 

considerata  fuori  di  sé,  V  Idea  come  tempo  e  come 

spazio,  come  natura  e  come  storia,  come  fenomeno, 

0  al  più,  come  fenomeno  determinato  in  una  legge, 

ma  legge  sempre  fenomenale,  perchè  intrinsecata  pur 

sempre  col  tempo  e  con  lo  spazio.  Brevemente:  il 

fatto,  che  il  positivismo  corona  e  mitria  come  assoluto 

signore  della  scienza,  è  V  idea  in  quanto  è  legge  a  sé 

stessa,  in  quanto  è  legge  in  sé.  La  formula  del  Positi- 

vismo (fatto  e  legge  del  fatto\  che  con  tanta  sazietà  ci  è 

stata  predicata  e  ci  si  predicherà  ancora  per  un  pezzo, 

non  è  se  non  Tldea  guardata  nella  sua  superficie  sen- 

sata. La  legge  dd  fenomeno^  ha  detto  Hegel,  è  la  cosa 

in  se,  in  quanto  è  apparsa  neW  esistema.  Depuratelo 

cotesto  fatto;  studiatevi  di  mirarlo  in  se  stesso,  in  tutta 

la  sua  nudità;  poi  rivestitelo,  rimpolpatelo,  fatelo  cam- 

minare, fatelo  procedere,  consideratelo  a  traverso  le 

diflFerenti  sue  stazioni,  rilevandone  sempre  la  legge  iden- 

tica, necessaria,  universale,  fatale  :  e  così  avrete,-siatene 

certi,  una  forma  d' Idealismo  assoluto,  la  quale,  se  non 

è  quella  di  Hegel,  poco  ci  mancherà.  La  differenza, 

dunque,  tra  l'uno  e  l'altro  indirizzo,  è  questa:  dove 

il  Positivista  dice  :  Tutto  è  Fatto  e  l^ge  del  Fatto  ; 

l'Hegeliano  risponde:  Tutto  alla  fin  fine  è  Idea  e  legge 

dell'Idea.  Però  il  secondo  ha  più  coraggio  del  primo, 

e  dice:  «Non  vi  spaurite  1  la  mia  Idea  è  precisamente 

quello  che  nelle  vostre  mani  diventa  Fatto  :  voi  la  guar- 

date con  gli  occhi  della  fronte,  e  la  ricercate  col  micro- 

scopio, col  telescopio,  con  le  bilance,  co'  reagenti,  perchè 

ne  studiate  l' aspetto  più  grossolano  ed  estemo,  la  fac- 

cia: noi  la  guardiamo  in  vece  con  gli  occhi  della  mente, 

col  pensiero  puro,  in  se  stessa,  nell'  astratta  mansione 

dialettica,  perchè  ne  vogliamo  indagar  l'ultimo  fondo,  t» 

Tra  schietto  Positivismo,  dunque,  e  schietto  Hege- 

lianismo  ci  ha  intimo  legame.  Per  questo,  ripeto,  i 

settatori  dell'  una  come  delP  altra  scuola,  fan  di  tutto 

per  trascinarsi  a  vicenda.  Per  questo  la  sinistra  hege- 

liana si  viene  sempre  più  alleando  col  Positivismo  fran- 1 

cese.  £  per  questo,  finalmente,  gli  uni  e  gli  altri  con- 

sentono in  un  risultato  finale,  sia  che  co'  primi  s^  abbia 

a  credere  d' aver  tutto  spiegato,  sia  che  co'  secondi  si 

pretenda  che  nulla  si  possa  mai  capire  de'  problemi  ve- 

ramente metafisici  del  sapere  umano.  Le  colonne  d' Er- 

cole, comecché  in  senso  diverso,  sono  il  termine  d'  en- 

trambi. E  può  dirsi  che  lo  stesso  Hegel  ne  consacrasse 

il  ben  auspicato  connubio  con  quel  famigerato  principio 

che  i  Positivisti  potrebbero  ormai  accettare  ad  occhi 

chiusi:  Was  veniunftig  ist,  das  ist  toirldich;  und  was 

wirklich  ist,  dctó  ist  verniinftig, 

E  ora,  concludendo,  dobbiamo  ripetere,  rispetto  a 

questi  due  indirizzi,  quel  medesimo  che  qua  dietro  siam 

venuti  osservando  riguardo  alle  due  forme  di  Positivismo. 

I  Positivisti  han  ragione  quando  dicono  a'  filosofi:  Siate} 

positivi.  Ma  han  torto  marcio  quand'  e'  gridano  :  Smet-  ^ 

tete  d' essere  metafisici  1  L' esser  positivi,  e  poi  piantare  j 

siccome  principio  il  non  dover  mai  sorpassare  la  rela- 

tività; ciò  vuol  dire  esser  negativi;  vuol  dire  contrad- 

dizione.  Il  pregio  dell'  Hegelianismo  l' abbiamo  accen- 

nato; è  il  concetto  della  scienza  e  del  processo.   Ora 

l'esigenza  nuova  qual  è?  È  questa:  combinare  le  due 

tendenze,   combinarle   escludendo   insieme  il  negativo 

dell'uno,  e  il  dommatico  dell'altro.  E  bisogna  esclu- 

der r  una  e  l' altra  cosa,  giust'  appunto  per  conseguire 

davvero  il  positivo.  Desidenamo  dunque  essere  del  no-! 

stro  tempo?  Se  ciò  desideriamo,  non  potremo  rinunziare, 

né  alla  tendenza  positiva,  e  tanto  meno  allo  spirito  filo- 

sofico che  all'età  moderna  é  venuto  imprimendo  l'Hege- 

 

 

lìanìsmo.  Hegelianismo  per  me  vai  più  che  Hegel,  e  vai 

più  che  i  suoi  creduti  apostoli;  non  altrimenti  che  il 

cristianesimo  è  assai  più  che  cattolicismo,  assai  più  che 

r  immobile  schiera  de^suoi  pontefici.  Hegeliani  oggi  dpb- 

biaiP^  eg^y  tntti;  come  tutto  il  mondo  non  può  non 

eeaere  cristiano.  Se  dunque  Hegelianismo  e  Positivismo 

sono  due  sistemi,  due  poli  (come  altri  ha  detto)  della  <^ 

presente  speculazione  europea,  ci  ha  da  essere  una  via 

di  mezzo;  una  via  di  mezzo  nella  quale  cotesti  estremi 

non  siano  estremi.  CI  ha  da  essere  una  via  di  mezzo 

in  cui  ridèa  sia  anche  il  fatto,  e  il  fatto  idea  per  legge  ,. 

di  conversione,  non  di  compenetrazione  o  d' identità  as- 

tuta, ne  d'empirica  differenza.  £  questa  per  Tap- 

))unto  è  la  nostra  via:  via,  come  ognun  vede,  assai 

larga;  via  regia;  in  su  la  quale  ci  sarà  facile  incon- 

trarci con  tutti,  e  da  buoni  amici  darci  una  cordiale '^'^ 

stretta  di  mano.  E  a  percorrere  cotesta  via  abbiamo 

invocato  1*  autorità  d'  un  gran  nome  italiano;  abbiamo 

invocato  la  scorta  del  nostro  Vico. 

Che  e'  entra  ora  egli  il  povero  Vico  !  ci  dirà  con 

una  smorfia  di  sprezzo  qualche  bell'umore  hegeliano  o 

positivista.  Perchè  andarlo  a  svegliare  dopo  due  secoli  ! 

E'  c'entra  per  due  semplicissime  ragioni;  e  le  dico 

subito.  Fra  tutti  gli  scrittori  dell'  Italia  moderna,  il  solo 

Vico  rappresenta,  per  così  dire,  l' uomo  vecchio  e  l' uomo 

nuovo;  il  medioevo  e  il  secolo  decimonono.  Egli  solo 

dunque  rappresenta  la  contraddizione;  ma,  intendia- 

moci bene,  la  contraddizione  che  per  intima  necessità 

si  risolve  da  se  stessa.  Nella  mente  infatti,  e  però  nelle 

scritture  di  lui,  la  tendenza  a  sciogliere^  tal  contrad- 

dizione è  evidente,  energica.  In  lui  dobbiamo  studiare 

noi  stessi,  se  pur  vogliamo  rigenerarci  nella  scienza. 

Ma,  più  che  nella  scienza,  dobbiamo  rigenerarci  nel 

metodo  in  generale,  eh'  è  la  seconda  ragione  per  cui 

è  d'uopo  rifarci  da  questo  filosofo.  Quanti  altri  filo- 

sofi non  abbiamo  avuto  in  Italia,  d'ingegno  forse  più 

vasto  e  più  comprensiTO  e  certo  più  analitico  del  suo? 

Eppure  nessuno  meglio  di  lui  ebbe  coscienza  del  vero  | 

metodo  nel  sapere.  Stuart  Mill,  com'  ho  avvertito,  dice 

die  il  grande  affare  della  vita  gli  è  il  tirar  conseguen- 

ze. Da  buon  inglese  e'  non  poteva  smentire  sé  stesso 

dicendo  diversamente.  L'italiano,  chiamisi  Vico  o  Ga- 

lileo, Tizio  0  Sempronio,  pare  che,  prima  di  questo,  vo- 

glia sapere  qualcos'  altro.  Come  s' ha  a  fare  per  tirar 

conseguenze  ? 

Gran  problema  della  scienza  è  il  me^o.  Qui  ap- 

punto sta  principalmente  l' originalità  del  Vico;  qualun- 

que possa  essere  la  serie  di  errori  in  cui  egli  sia  caduto. 

Se  qualche  ingegno  erudito  e  severo  prendesse  ad 

c^qporre  criticamente  i  giudizi  e  le  interpretazioni  che 

tanti  e  tanti  scrittori  son  venuti  facendo  delle  opere 

del  Vico,  massime  della  Scienza  Nuova  in  cui  si  rac- 

chiudono e  piglian  quasi  persona  tutte  le  sue  dottrine, 

probabilmente  si  troverebbe  d'aver  imbastito  una  sto- 

ria degU  studii  filosofici  e  storici  e  anco  giuridici  in 

Italia,  a  contare  dal  1750,  se  non  pure  dal  1725,  insino 

al  dì  d' oggi.  E  sarebbe  certamente  lavoro  desiderevolisr 

Simo,  potendo  così  presentare  tutte  le  produzioni  scien- 

tifiche del  nostro  paese  come  aggruppate  attorno  a  un 

centro  luminoso,  qual'  è  appunto  l' opera  maggiore  del 

filosofo  napoletano.  Perocché  il  moderno  pensiero  filo- 

sofico italiano,  e  potremmo  dir  anche  la  nuova  Italia,  me- 

glio che  con  altri  libri  s' inaugura,  per  così  esprimerci, 

con  la  Sdenta  Nuova,  La  quale  se  da  una  parte,  per 

chi  l'abbia  meditata  con  amore,  è  tale  da  onorarci  in- 

finitamente a  cagione  delle  divinazioni  originali  ne' nuovi 

studii  filosofici  e  storici  ;  dall'  altra,  s' io  non  m' illudo, 

ai  palesa  come  il  libro  più  acconcio,  per  tutto  il  corso 

storico  del  nostro  pensiero  filosofico,  a  più  fedelmente 

rappresentare  la  forma  nativa  e  ritrarre  l' indole  vera 

dell'ingegno  italiano. 

StltlLIAKt.  3 

Siccome  io  qui  non  presumo  di  far  tale  istoria,  ho 

Toluto  nondimeno  apporre  tal  titolo  a  questo  primo 

libro,  affinchè  altri,  eccitato  per  avventura  dalla  trat- 

tazione d'un  tanto  profittevole  soggetto,  ne  tolga  il 

carico  ;  mentr'  io  vo'  ristringermi  a  far  una  critica  delle 

principali  sentenze  e  delle  interpretazioni  emesse  intomo 

alle  dottrine  vichiane  dai  numerosi  critici  ed  espositori 

italiani  e  stranieri.  Il  che  non  solo  tornerà  utile  anzi 

necessario  al  disegno  del  mio  lavoro,  ma*  acconcio  al- 

tresì a  rendere  omaggio  a  tutti  coloro  che  nello  studio 

del  Vico  m' han  preceduto.  Così  pure  avrò  il  destro 

d' accennare  alle  dottrine  filosofiche  de'  nostri  ultimi 

scrittori  ;  imperciocché,  bene  o  male  che  sia,  un  periodo 

filosofico  s'è  oggimai  compiuto  in  Italia;  e,  bene  o  male 

clie  sia,  se  ne  sono  scritte  e  se  ne  scrivono  più  storie: 

talché  parmi  tempo  di  giudicare  con  ispirito  di  mode- 

stia, ma  con  altra  tanta  franchezza,  anche  la  mente 

de' nostri  maestri,  traendo  profitto  dalle  verità  e  dagli 

errori  in  che  per  avventura  sian  essi  caduti. 

In  fin  del  libro  i  lettori  troveranno  un  elenco,  che 

a  me  sembra  compiuto,  di  tutte  le  opere  nelle  quali, 

sia  di  proposito  sia  di  passaggio,  parlasi  del  Vico.  Quan- 

tunque abbia  dovuto  leggerle  tutte  coteste  opere,  e  al- 

cune anche  meditare,  non  di  tutte  potrò  discorrere  con 

egual  misura.  Di  quelle  pochissime  non  potute  leggere 

darò  anche  notizia,  e  avrò  cura  di  citarne  la  sorgente. 

Di  cert' altri  autori  poi  non  ho  creduto  far  neanco 

menzione;  del  Poli,  per  esempio,  che  ne' SupplemenH 

al  Tennemann  ha  fatto  un'  esposizione  cotanto  empirica 

e  pesante  e  senz'ombra  di  critica  delle  dottrine  vi- 

chiane, da  non  potermene  giovare  in  verun  conto.* 

Non  parlerò  del  libro  del  Marini,  autore  traboccante 

d' entusiasmo  cattolico  verso  il  filosofo  napoletano,  ma 

certamente  ingegnoso,  erudito  e  sempre  pieno  di  fede 

*  Comincia  dal  chiamarlo  tommo  fra  gli  eclettici  italiani  del  seco- 

lo XVIII!—  Vedi  Manuale  deUa  5i.  delln  FU.  di  Tbnnemkahn.  MUano, 

1855,  Tol.  4,  pag.  662  e  seg. 

nel  vero.  Nemmanco  terrò  parola  de'  copiosi  volumi  del  | 

Rocco,  e  del  Fagnani.  L' un  de'  quali,  pieno  anche  lui  di 

vnoto  e  smaccato  entusiasmo  verso  l'autore  della  Scienza 

Nuova,  non  sa  vedere  briciol  d' errore,  ma  tutto  verità 

elettissima,  tutto  armonia,  tutto  profumo  di  sapienza  nel 

suo  filosofo  :  r  altro  poi,  non  meno  ingegnoso  del  primq, 

confesso  di  non  averlo  potuto  capire.  Che  se  intendere  il 

Vico  è  impresa,  come  ci  dicon  tutti,  non  molto  agevole; 

pensate  quando  V  espositore  od  interprete,  nello  svolgerne 

ed  applicarne  le  dottrine,  usi  linguaggio  indeterminato,  e 

finisca  per  intrigarsi  in  un  viluppo  d' idee  vaghe  e  con- 

fuse, com'  appunto  il  Fagnani  con  la  sua  scienza  della 

Divinazione.  Né  il  Rocco,  dunque,  né  il  Fagnani,  né  altri' 

di  simil  fatta  potevano  darmi  appiglio  a  critica  di  sorta. 

Da  ultimo  avverto,  com' io  non  intenda  propriamente 

far  un'  intiera  esposizione,  e  tanto  meno  procedere  ad 

una  critica  compiuta  degli  autori  su'  quali  terrò  parola. 

Noterò  quello  che  potrà  giovare  al  mio  scopo,  accen- 

nando quelle  cose  che  potrò  accogliere,  e  fermandomi 

un  po'  sopra  quelle  dottrine  in  cui  mi  sarà  parso  eh'  e'  sì 

discostino  dal  vero  nel  combattere  le  teoriche  del  Vico, 

o  che  ben  s'appongano  nell' interpretarle,  o  che  ab- 

bian  colto  giusto  nel  correggerle  od  esplicarle. 

 

A  voler  disporre  con  qualche  ordine  logico  i  diversi 

autori  che  dal  quarto  lustro  del  secolo  scorso  fino  a'  dì 

nostri  sonosi  occupati  delle  dottrine  vichiane,  gioverà 

distinguerli  in  tre  diverse  categorie: 

 

r  degV  imitatori  ed  oppositori; 

2*  degli  eruditi  e  critici  propriamente  detti; 

3*  degT  interpreti  filosofi. 

Gotesta  divisione  non  é  capricciosa,  ne  immaginata  a 

priori.  Essa  risponde  davvero  a  tre  differenti  periodi 

di  tempo,  nel  primo  de'  quali  prevalgono  appunto  gl'imi- 

tatori e  gli  oppositori  delle  suddette  dottrine,  e  dura 

sino  a' primi  anni  del  secolo  che  corre.  Nel  secondo  pre- 

dominano gli  eruditi  e  i  critici;  e  questo  finirebbe  verso  1 

il  1840.  Nel  terzo  finalmente  primeggiano  gì'  interpreti 

filosofi,  i  quali  ad  ogni  patto  vogliono  interpretai'e  il 

Vico  secondo  che  detta  loro  il  proprio  sistema.  Cote- 

st' ordine  e  cotesto  progressivo  moltiplicarsi  d'inter- 

preti, di  critici  e  d' espositori,  ci  farà  toccar  con  mano 

un  fatto  assai  consolante  àgli  occhi  di  tutti  noi;  e  que- 

sto fatto  è  che  gli  studii  sul  Vico  sono  venuti  sempre  più 

progredendo  nell'  analisi  critica  col  succedersi  degli  anni, 

e  viemaggiormente  crescendo  nell'animo  degl'italiani 

e  degli  stranieri  Y  amore  verso  il  nostro  filosofo.  D  vero 

concetto  e  il  valore  della  Scienza  Nuova  è  andato  così 

generandosi  e  maturando  col  tempo  nella  mente  e  nel- 

l'animo di  tutti;  e  potremo  quindi  persuaderci  una  volta 

più  di  quella  verità  avvertita  fino  dal  primo  discepolo 

del  Vico,  Emmanuele  Duni,  che  la  Sdenta  Nuova,  opera 

prematura  pel  tempo  in  eh'  ella  comparve,  non  fosse 

intesa  nel  suo  verace  significato,  o  intesa  assai  male. 

Lb,  Scienza  Nuova  dunque,  se  da  una  parte  è  il  libro  vera- 

mente italiano,  libro  italiano  per  eccellenza;  dall'altra! 

è  da  ritenevi  come  opera  essenzialmente  moderna.  E 

se  cosi  non  fosse,  non  si  capirebbe  per  qual  ragione  i 

lavori  critici  sul  nostro  filosofo  sian  venuti  sempre  più 

accumulandosi,  massime  nel  terzo  periodo  che  abbiamo 

designato  col  titolo  degli  autori  critici  e  interpreti  filosofi. 

Capitolo  Primo, 

periodo  degl'  imitatori  e  degli  oppositorl 

Non  parlo  della  censura  né  degli  elogi  fatti  alle 

dottrine  del  Vico  mentr'e'visse:  per  esempio,  della  let- 

tera di  Giovanni  Clerico  sul  Diritto  Universale;  della 

critica  del  Giornale  de*  Ldferati  cP  Italia  a  proposito  del 

Libro  Metafisico,  nella  qual  critica  alcune  obbiezioni] 

non  può  dirsi  che  manchino  d'acume  e  verità;  e  final- 

mente  dell'  articolo  del  giornale  di  Lipsia  cui  il  Vico 

rispose  acerbamente  quando  fu  biasimato  d'aver  fattoi 

servire  al  Cattolicismo  le  proprie  dottrine.  Ma  ciò  che 

innanzi  tutto  giova  notare  è  questo;  che  comparsa 

appena  la  Scienza  Nuova,  parecchi  levaronsi  contro 

dichiarandola  avversa  alla  religione;  e,  fra' molti,  sarò 

contento  rammentarne  due:  Damiano  Romano,  autore  | 

d'alcuni  lavori  non  affatto  spregevoli,  e  il  Finetti, 

professore  a  Padova,  mente  sottile  più  che  acuta,  in- 

gegno largo  più  che  profondo,  scrittore  mezzanamente 

erudito  ma  poco  efficace,  autore  d'un  lodato  Corso  dii 

Diritto  di  Natura  e  déUe  Gentì,  nel  quale  si  legge 

tutt'  un  capitolo  contro  il  Vico.  Il  Romano  die  fuori, 

fra  le  altre,  due  scritture  che  si  collegano  IVa  loro  in- 

timamente per  lo  scopo  a  cui  le  indirizzava.  Nel- 

l'una difende  contro  il  Vico  l'origine  tutta  greca  delle 

leggi  delle  XII  Tavole  ;  '  nell'  altra  piglia  a  confutare 

il  principio  della  Scienj^a  Nuova  riguardante  l' ori- 

gine del  linguaggio,  e  a  mostrare  contrario  addirittura 

alla  religione  cristiana  tutto  il  sistema  del  filosofo  na- 

poletano.* E- a  vedere  infatti  se  le  dottrine  giuridiche 

del  Vico  racchiudessero  germi  di  vera  e  propria  rivo- 

luzione scientifica,  basti  dire  che  nel  1768  il  Romano 

pubblicava  il  suo  libro  su  YOrigine  della  Società  dedicato  a 

Maria  Teresa  d'Austria,  nel  quale  può  scorgersi  com'  egli,  \ 

oltre  Rousseau  e  tutt'i  Naturalisti,  intenda  confutare 

anche  l' autore  della  Scienza  Nuova.  E  giova  notare  lo 

spirito  con  che  scriveva  quest'accanito  oppositore  del 

Vico.  Nella  dedica  all'Augustissima  Maria  egli  dice: 

«  Se  vi  degnate  per  poco  di  sventolare  il  mio  Prodotto, 

questi  stessi  sentimenti  vostri  vi  troverete  inculcati  ed 

espressi.  Sostengo  in  esso  la  indipendenza  dell'  autorità 

monarchica  da  qualsivoglia  giudizio  umano...;. e  la  di- 

fendo dagl'insulti  de' Naturalisti,  che  si  sono  sforzati 

 

*  Vedi  Damiano  Romano,  Difesa  storica  delle  Leggi  Oreche  venute  a 

JRoma  contro  V  opinione  moderna  del  signor   Vico,  Napoli,  1786. 

*  Quattordici  Lettere  std  terzo  principio  della  Scienza  N^uova  ec.  1749. 

e  si  sforzano  di  richiamare  il  genere  umano  allo  stato 

della  natura.  »  Di  sotto  a  queste  parole  ignobilmente 

servili  del  povero  filosofo  piaggiatore,  escon  due  conse- 

guenze; la  prima,  che  il  Romano  avesse  tanto  acume 

da  scorgere  ov' il  diavolo  tien  la  coda;  la  seconda, 

che  fra  le  dottrine  del  Vico  s' ascondessero  idee  e  prin- 

cipii  non  comuni,  né  poco  avversi  agli  Augustissimi  piag- 

giati dal  Romano.  In  ogn'  altra  sua  scrittura,  per  esempio 

'  nella  Scienza  del  Diritù)  Fubhlico^  e  meglio  in  quella  su 

lo  Stato  naturale  insujf^iente  per  la  sicurezza  delVuomo 

dopo  la  prevaricazione  délVuomo,  egli  è  in  un  indirizzo 

affatto  contrario  a  quello  del  Vico.  Basti  citare  infatti 

alcune  parole  del  primo  capitolo  dell'opera  su  V Origine 

della  Sociefày  le  quali  accennano  ad  un  pensiero  dia- 

metralmente opposto  ai  principii  e  al  metodo  del  Vico: 

«  L'uomo  non  è  naturalmente  portato  alla  società  civile; 

e  in  conseguenza  non  ebbe  la  società  civile  la  sua  origine 

immediata  o  mediata  dalla  natura.*  »  Dopo  ciò  il  let- 

tore capirà  qual  valore  possano  avere  le  due*  scritture 

del  Romano  poco  fa  citate,  specie  le  quattordici  lettere 

sul  terzo  principio  della  Scienza  Nuova. 

 

Non  parlo  di  Giovanni  Lami,  scrittore  toscano  assai 

fecondo  ma  non  men  loquace  e  borioso,  storico  erudi- 

tissimo, filosofo  assai  leggiero,  teologo  di  gran  nome, 

collaboratore  infaticabile  nelle  Novelle  Letterarie  e 

degno  traduttore  del  Meursio;  nelle  cui  note,  toc- 

cando del  Vico,  lo  condanna  nella  questione  su  le 

XII  Tavole,  e  poi  non  so  quali  e  quante  empietà  sai 

scorgere  nelle  altre  sue  dottrine.  Tanto  meno  vo'  in- 

trattenermi a  parlare  di  Appiano  Buonafede,  il  quale 

credendo  encomiare  V  autore  della  Scienza  NuovOj  con 

tutta  boria  nazionale  il  contrappone  ai  Grozio,  ai  Sel- 

denio,  agli  Hobbes,  agli  Spinoza,  ai  Montesquieu  e  ad 

altri  parecchi  i  quali,  egli  dice,  annullano  la  ragione 

col  distrugger  la  religione.  Il  Vico,  agli  occhi  del  Buo- 

Vedi  pag.  81. 

nafede,  non  fece  che  innalzare  nn  edifizio  stupenda 

in  favore  della  rivelazione,  e  scrivere  unicamente  per 

condannare  gli  errori  del  suo  tempo.  In  una  parola, 

altro  in  lui  non  seppe  vedere  tranne  che  il  senso  della 

religiosità  elevata  a  speculazione.* 

Più  vivo  interesse  ha  per  noi  l'opposizione  mossa 

dal  Finetti,  che  non  quella  del  Lami,  del  Romano,  od 

altri  che  sia.  Ma  non  si  può  rammentare  il  Finetti 

senza  che  il  suo  nome  risvegli  quello  di  Emiiianuele 

Duni  col  quale  scese  in  lizza  e  battagliò  fieramente.  Na- 

poletano d'origine,  il  Duni  professò  nella  Sapienza  di 

Roma  verso  la  metà  del  secolo  passato.  Fu  scrittore, 

se  non  molto  profondo,  assai  pregevole  (checché  ne 

dica  il  Ferrari)  per  lucidezza  singolare  d'idee,  grande 

chiarezza  e  facilità  di  dettato.  Fino  dal  bel  principio 

si  mostrò  seguace  caldissimo  e  pieno  d' entusiasmo  delle 

dottrine  del  Vico,  tanto  che  nel  dedicare  al  Ministro 

Tanucci  il  suo  Saggio  suUa  Giurisprudenza  Univer- 

sale, fa  la  sua  profession  di  fede  con  queste  parole: 

«  In  mezzo  ad  un  tempestoso  mare  di  scritti,  co;ifesso 

il  vero  di  non  aver  trovato  altro  ricovero,  che  di  sal- 

varmi nel  porto  della  sapienza  dell'incomparabile,  e 

(dicasi  pur  francamente)  del  gran  filosofo,  filologo  e 

giureconsulto  Giambattista  Vico,  gloria  eterna  della 

nostra  napoletana  nazione  e  maestro  di  quanti  mai  fu- 

rono ingegni  più  scórti  e  illuminati.'  » 

Se  il  Duni  non  apportò  alcuna  interpretazione  ar- 

dita nelle  tante  applicazioni  eh'  egli  fece  delle  dottrine 

del  suo  maestro,  ne  fu  nullamanco  imitatore  sempre  facile, 

chiaro,  disinvolto,  massime  ne'  suoi  studii  sul  Diritto  1 

Romano.  Talora  si  mostra  superficiale,  come  là  dove 

 

 

*  Vedi    Appiano  Bconafedb,  Istoria  critica  cUl  moderno  diritto  di  ' 

fiatura  e  ddU  genti,  libro  stampato  la  prima  Tolta  dopo  il  1766  senza* 

data  DÒ  luogo,  e  poi  riprodotta  a  Perugia  negli  ultimi  anni  del  secolo 

scorso. 

*  Vedi  r  ediz.  completa  in  dao  grossi  Tolumi  delle  opero  del  Duni  ' 

&tta  dal  Gonnarelli  in  Roma  nel  1845. 

non  gli  riesce  di  cogliere  la  vera  teorica  della  conoscenza 

secondo  il  Vico,  avvegnaché  ne  parii  piii  volte,  e  più 

volte  la  difenda  dagli  attacchi  del  Finetti.'  Ma  spesso 

è  acuto,  come  quando  parla  delle  due  fonti  del  Diritto 

'  Universale  (vero  e  certo,  ragione  e  autorità)  tuttoché  non 

sappia  vedere  qual  relazione  corra  fra  questi  termini. 

Ciò  nullameno  intende  a  maraviglia  questo  punto  :  che 

VAidorità  pel  Vico  altro  non  sia  che  la  stessa  Bagionef 

ma  la  ragione  più  o  meno  ingannata,  la  quale  è  madre 

del  diritto  delle  Genti  e  civile  ossia  volontario  ;doYecchè  la 

ragione  (Ratio)  è  in  quella  vece  il  pensiero  puro  e  indipen- 

dente da'  fatti.*  Ma  ciò  che  poi  sveglierà  più  vivo  inte- 

resse é  la  dottrina  onde  questo  dotto  storico  giusnaturali- 

sta  difese  il  Vico,  e  per  la  quale  vuol  esser  rammentato 

a  preferenza  di  tutti  i  critici  e  seguaci  del  filosofo  na- 

poletano; dico  la  dottrma  risguardante  l'origine  del- 

l'uomo. Egli  merita  elogi  per  aver  sostenuto  in  Italia 

con  parola  coraggiosa  e  libera,  una  lotta  accanita  con- 

tro Teologi  e  Tradizionalisti  in  nome  della  Sdenea 

Nuova.  Il  suo  avversario  fu  appunto  il  Finetti.  Sotto 

gli  occhi  del  Papa  e  dei  cardinali,  adunque,  nella  Sa- 

piìinza  di  Roma,  nel  bel  mezzo  del  secolo  XVIII,  sur- 

sero  due  sette  chiamate  dei  Ferini  e  degli  Antiferini; 

l'una  delle  quali  propugnava  l'orìgine  ferina  dell'uomo, 

dovechè  l' altra,  con  la  Bibbia  alla  mano,  oppugnavala 

gagliardamente.  Era  senza  dubbio  l' esigenza  del  Darwi-. 

nismo  che  affacciavasi  allora  sotto  forma  astratta, 

speculativa  e  quasi  divinativa,  per  opera  della  Scienza 

Nuova,  Se  non  che  occorre  notare  sin  da  questo  mo- 

mento una  delle  contraddizioni,  anzi  la  massima  con-r 

traddizione  del  Vico,  cioè  la  nota  distinzione  tra  popolo 

eletto  e  popoli  imbestiati  dopo  il  diluvio.  Contraddizione 

palese,  com'è  evidente;  perocché  la  legge  storica  su 

la  quale  si  cardina  la  Scienza  Nuova,  con  tale  odiosa 

distinzione  non  è  altrimenti  una  legge,  appunto  perchè 

*  Vedi  Seiefua  del  Co»tume^  pag.  97. 

*  Vedi  Saggio  $uUa  Qiurisprudtnua  untvtnaltt  p.  64. 

manca  del  carattere  d'universalità.  Di  tali  contraddi- 

zioni nel  Vico  troveremo  più  d'  una.  Ma  i  primi  cri- 

tici e  seguaci  delle  sue  dottrine  non  erano  atti  a  risol- 

verle, e  depurare  il  vero  dalla  mischianza  di  certe  idee 

assai  poco  omogenee  fra  loro.^ 

Ora  questa  medesima  contraddizione  passa  nella 

mente  del  suo  discepolo  Duni;  il  quale  perciò  difen- 

dendosi dagli  attacchi  del  Finetti,  dice  :  a  Io  già  mi  di- 

chiarai nel  mio  Saggio,  e  qui  ripeto  lo  stesso,  che  non 

intendo  di  ragionare  dell'  origine  e  creazione  del  mondo, 

e  molto  meno  della  nazione  ebrea;  ma  soltanto  del- 

l' origine  delle  nazioni  gentili*  » 

Il  Finetti  poi  nel  contraddire  al  Duni  e  quindi  al  Vico 

quant' all' origine  dell'  uomo,  presentavasi  armato  di  tutte 

quelle  svariate  pruove  che  sanno  dare  la  Bibbia  e  la 

costante  tradizione  degli  scrittori'cattolici.  Contraddiceva 

alle  affermazioni  sia  de'  poeti  sia  degli  storici  antichi  ai 

quali,  dietro  l'esempio  del  suo  maestro,  affidavasi  il 

Duni;  e  chiamava  i  primi  indegni  di  fede,  mentre  di-  , 

chiarava  i  secondi  ignoranti  e  grossi  d' ingegno.  Però 

negava  risolutamente  quelle  tre  note  circostanze  onde 

accompagnasi  lo  stato  ferino  siccom'è  concepito  dal 

Vico:  vita  affatto  solitaria,  mancanza  di  linguaggio, 

uso  di  venere  vaga.  11  Duni  invocava  anch' egli  l'au- 

torità degli  oratori,  degli  storici  e  dei  filosofi  più  illu- 

stri dell'antichità,  massime  di  Platone,  d'Aristotile,  di 

Cicerone;  e  più  che  altro  faceva  rilevare  il  fatto  dei' 

popoli  ferini  contemporanei.  Ma  le  scienze  naturali  non 

avean  peranche  cominciato  a  spandere  alcun  raggio  di 

luce  in  proposito,  ne  poi  l'ingegno  del  Duni  avea  tan- 

t*  ala  da  elevarsi  a  comprendere  que'  germi  di  principii 

*  Nelle  lettere,  per  esemplo,  del  di  Gheminghen  a  Tommaso  Alfano, 

in  eoi  si  discorre  sol  Talore  del  programma  pubblicato  dal  Vico  avanti 

il  1720  al  sao  Diritto  Universale,  leggiamo  queste  parole:  e  Son  curioso 

di  Tederò  come-  1*  Aatore,  trattando  della  ragione  amana  corrotta,  la  • 

possa  connettere  con  la  moral  cristiana,  e  far  quella  principio  di  que- 

sta l  >  Vedi  Op.  di  Vico,  ediz.  Predar!,  pag.  762. 

*  Vedi  Op.  cit.  Risposta  al  Finetti,  pag.  40. 

cosmologici  sparsi  nel  LS}ro  Metafisico,  e  in  questi  at- 

tingere forza  a  meglio  interpretare  e  propugnare  le  ap- 

plicazioni fatte  dal  Vico  nella  Sdenisa  Nuova.  La  con- 

traddizione, dunque,  passata  dal  maestro  al  discepolo  * 

e  il  non  aver  saputo  cogliere  il  principio  cosmologico 

del  Vico,  fece  sì  che  tale  polemica,  nel  modo  ch'era 

sostenuta  dal  Duni,  apparisse  inefficace  e  manchevole. 

Debole  e  manchevole  infatti  ci  sembra  questa  ma- 

niera di  ragionare  :  «  Voi  vorreste  che  i  primi  fondatori 

delle  nazioni  fossero  stati  dotati  d' innocenza  di  costumi. 

Ma,  caro  signor  censore,  come  potete  voi  spiegare  le 

origini  dell'  idolatria,  la  barbarie,  l' immanità  negli  usi 

delle  orride  loro  religioni  piene  di  duro  materialismo? 

Come  l'immanità  delie  loro  leggi  e  costumi,  le  cui  re- 

ligioni si  sono  per  lungo  tempo  conservate  finanche  nei 

tempi  della  maggior  loro  cultura,  per  qui  tacere  le  ori- 

gini delle  lingue,  delle  poesie,  della  frode  e  cose  simili? 

Come  finalmente  i  progressi  di  tali  nazioni  di  cui  ne 

abbiamo  le  memorie  troppo  sicure,  e  non  soggette  alla 

minime  dubbiezze?  Ma,  giacché  i  monumenti  e  la  sto- 

ria degli  antichissimi  e  de'  presenti  barbari  popoli  sono 

per  voi  sogni,  favole  e  delirii,  perchè  non  ci  dite  con 

quali  altri  principii,  origini  e  progressi  di  cose  umane 

debbasi  ragionare  di  questo  mondo,  degli  uomini,  deUe 

nazioni,  delle  tante  umane  istituzioni,  delle  origini  e 

progressi  delle  umane  industrie  nelle  colture  delle  co- 

gnizioni, alle  tante  maravigliose  invenzioni,  nei  governi 

e  polizia  de'  popoli  ed  in  tante  altre  maraviglie  che  os- 

serviamo nel  gran  teatro  di  questo  mondo  degli  uomini? 

Come  non  sapete  che  i  costumi  e  le  leggi  umane  deb- 

bano necessariamente  trarre  loro  origine  e  progressi 

daUe  idee  degli  stessi  uomini?  Come  potete  negare  il 

vario  corso  di  tali  costumi,  che  di  grado  in  grado  spo- 

gliandosi del  materialismo,  li  troviamo  di  fatto  più  puri 

nell'  età  avanzata  che  nella  fanciullezza  di  tutte  le  na- 

zioni.* » — Io  non  dico  che  tutto  ciò  non  sia  vero:  dico 

*  Vedi  Risp.  al  Finetti,  pag.  41. 

che  il  Duni,  a  difendere  invittamente  la  sentenza  del 

suo  maestro,  avrebbe  dovuto  movere  dai  principii  co- 

smologici e  psicologici,  i  cui  germi  non  mancano  cer- 

tamente nelle  opere  del  Vico. 

Gasuista  acutissimo,  quanto  insolente,  il  Finetti  sor- 

rideva a  sentir  elogiare  e  difendere  questa  dottrina 

della  Scienza  Nuova;  e  tutto  pieno  d'entusiasmo  reli- 

gioso rispondeva  con  XXIII  obbiezioni  cavate  dai  libri 

santi.'  Quindi  esclamava:  «  Dottrine  veramente  altissime  ! 

religiosissimi  e  ammirevoli  pensamenti  !  Tra  le  varie  cose 

onde  pretende  il  Vico  di  far  grandemente  spiccare  la 

divina  Provvidenza,  una  è  quel  capriccioso  di  lui  corso 

delle  nazioni  sulle  regole,  diciam  così,  del  trel  II  Duni 

andrà  in  estasi  a  tal  pensamento  ;  e  pure  a  me  è  sog- 

getto da  ridere,  spezialmente  quando  si  pretende  con 

à  costante  ternario  di  far  spiccare  la  divina  Provvi- 

denza ;  essendo  chiaro  eh'  ella  rìsplende  nella  grandezza 

ed  importanza  de'  fini  e  nella  idoneità  e  giusta  propor- 

zione dei  mezzi,  e  non  già  nel  far  correre  le  nazioni 

pe'  numeri  di  tre  o  quattro.  Un  tale  giuoco  non  sembra 

certamente  degno  dell'  infinita  sapienza  di  Dio.*  »  E  al- 

trove, allargando  la  sua  critica,  aggiunge  :  «  La  maniera 

di  filosofare  inventata  dal  Vico  è  tale,  che  può  porgere 

delle  armi  per  oppugnare  la  Religione....  e  non  poco 

corredo  a  chi  voglia  farne  uso  per  impugnare  e  met- 

tere in  dubbio  la  Sacra  Scrittura  e  la  divina  rivela- 

zione....; »  tanto  che  paragonandolo  al  Boulanger,  uno. 

degl'increduli  de  suoi  tempi  (com'  egli  stesso  nota),  non 

dubita  porre  a  riscontro  le  dottrine  dell'uno  con  quelle 

dell'altro  per  otto  diflferenti  capi. 

Com'  è  chiaro,  il  Finetti  non  ebbe  tutt'  i  torti  se  gli 

venne  in  grave  sospetto  la  Scienza  Nuova.  Avea  torto 

bensì  nel  confondere,  come  il  Romano,  tale  dottrina  del 

Vico  difesa  dal  Duni,  con  quella  de' filosofi  francesi 

 

'  Vedi  Sommario  delle  oppoeizioni  del  Sietema  Ferino   di  Vico  alla 

Sacra  SeriUura,  p.  XI,  XII. 

*  Op.  clt  pag.  IX. 

de' suoi  tempi.  Ed  è  a  confessare  che  questo  mede- 

simo torto  hann'  avuto  di  poi  parecchi  altri  critici,  an- 

che viventi,  laddove  parlano  della  dottrina  su  lo  stato 

ferino  propugnata  nella  Sdeiiza  Nuova»  Avvertiamo  una 

volta  per  sempre  che  lo  stato  di  natura  del  Vico  noa 

ci  ha  che  vedere  con  quello  de'  giusnaturalisti  vis- 

suti nella  seconda  metà  del  secolo  XVII,  e  nella  prima 

del  XVIII.  E  tornando  al  Finetti,  a  meglio  capire  la 

maniera  della  sua  critica,  nonché  il  carattere  delle  sue 

opposizioni,  giova  qui  rammentare  certe  parole,  da  lui 

stesso  riferite  con  aria  di  trionfo,  d'un  personaggio"^ 

napoletano.  Il  quale,  stato  già  scolare  per  più  anni  del 

Vico,  raccontava  come  il  suo  maestro  in  Napoli  fosse 

ritenuto  per  uomo  veramente  dotto,  ma  che  poi  fosse 

stimato  pwsfjso  a  cagione  delle  sue  stravaganti  opinionL 

Il  Finetti  si  degna  dirci  d' aver  chiesto  a  quel  gentiluomo 

partenopeo  se  quando  il  Vico  scrisse  la  Scienjsa  Nuova 

fosse  dotto,  0  non  più  veramente  pazzo.  <i  Oh  allora 

era  divenuto  affatto  pazzo!»  dice  rispondesse  costui. j 

Concludendo  :  questa  polemica  tra  un  filosofo  teologo 

e  un  discepolo  del  Vico,  dietro  a'  quali  senza  dubbio 

v'erano  due  schiere,  due  scuole  e  due  partiti,  ci  mo- 

stra come  nella  Scieììza  Nuova  ci  dovesse  essere  qual- 

cosa d'originale,  e  come  fin  d'allora  scrittori  di  filo- 

sofia e  di  storia  e  di  diritto  se  n'  accorgessero  tosto.  E 

che  cotesta  polemica  non  fosse  molto  pacata  e  serena, 

ce  lo  dicono  le  due  sètte  de'  Ferini  e  degli  Antiferi- 

niy  nelle  quali  si  divisero  i  propugnatori  delle  due  dot- 

trine. Talché  può  dirsi  in  generale  che  le  dottrine  del 

Vico  fin  di  principio  siano  state  parte  accolte  e  studiate, 

parte  accanitamente  discusse  e  avversate  da  uomini  ìn- 

 

'  Ho  Toloto  accennare  a  tal  particolare  per  un  altro  motivo.  Uno  degli 

ultimi  critici  del  Vico,  il  Cantoni,  come  vedremo,  pensa  che  la  seconda 

Seiemm  Nuova  segni  appunto  il  decadimento  dell*  ingegno  del  Vico.  So 

ciò  che  il  Finetti  racconta  è  vero,  il  Cantoni  potrà  avere  una  ragiono 

di  più  a  credere  che  le  opere  latine  fossero  state  scritte  dal  Vico  men- 

tr*  era  dotto^  e  poi  da  pauzo  scrivesse  la  Sdenta  Nuova,  segnatamente 

la  seconda,  stantechè  la  pazzia  naturalmente  andò  progredendo! 

gegnosi  e  iUustri  professori  di  Università,  coin'  erano 

il  Dani  e  il  Finetti.  Nel  qual  giudizio  ci  conferma  inoltre 

il  sapere  come  le  dottrino  del  filosofo  napoletano  ve- 

nissero accolte,  interpretate  e  insegnate  altresì  dal  Con- 

cini^ nella  Università  veneta,'  e  come  nel  medesimo 

giro  d'anni  facessero  lo  stesso  con  le  loro  pubblica- 

zioni il  Ganassoni,  il  Rogadei,  il  Gaglio,  il  Bisso,  e  ili 

Natale.*  E  dopo  questo  movimento  scientifico  inaugu- 

rato dalle  dottrine  del  Vico  nella  mente  di  molti  sia 

per  averle  questi  accettate  e  difese  ciecamente,  sia 

per  averle  respinte  assolutamente,  meglio  che  opposi- 

zioni dirette  incontriamo  ripetizioni  più  o  manco  in- 

gegnose, come  per  esempio  nello  Stellini,  nel  Cuoco, 

nel  Pagano. 

 

Comecché  noi  citi,  è  impossibile  che  Iacopo  Stellini 

abbia  ignorato  aiFatto  le  opere  del  Vico;  egli  amicis- 

simo del  veneto  Conti,  e  questi  amico  e  ammiratore 

profondo  del  Vico.  Ma  sebbene  imitatore,  non  riuscì  a 

far  progredire  d'un  passo  le  dottrine  della  Scienza 

Nuova.  Nella  quale  non  essendo  difficile  argomentare 

il  concetto,  per  esempio,  della  morale  considerata  se- 

gnatamente sotto  l'aspetto  di  processo  storico,  egli 

avrebbe  potuto  comporre  la  scienza  del  bene  e  del- 

l'onesto  con  disegno  ben  diverso  da  quello  eh' e'  me- 

desimo adoperò  in  quel  suo  sconfinato  corso  di  morale. 

Al  tutto  subbiettiva  infatti  è  per  lui  la  morale.  E 

se  nello  studio  delle  facoltà  psicologiche  vuol  darsi 

a  credere  seguace  dell'esperienza  e  dell'osservazione 

storica,  nullameno,  a  guardarci  bene  addentro,  della 

psicologia  e'  non  seppe  sul  serio  fare  alcun  uso  sto- 

rico, tanto  che  pose   come  sorgente  della  morale   e 

*  Vodi  C^CInJ^a,  Origini»  fundamenta  et  capita  prima  Jurit  Xaturali*. 

Padora,  1784. 

'  Pel  Ganassoni  Tod.  Oposo.  del  Calogerà,  la  Memoria  in  difesa  del 

principio  del  Vico  so  T  origine  delle  XII  T&xoìq.  —  "RoGAD^h  Saggio  dd 

diritto  pulbìico  e  politico  del  Regno  di  Napoli:  e  specialmente  DdV  an-' 

tico  Stato  de'  popoli  d' Italia  CÌ9tiberina.  ~  Vedi  anche  nel  Colangblo, 

BiìAioteca  analitica  ec     • 

de'  costumi  il  contrasto  e  l'accordo  delle  facoltà.  Ma 

in  che  mai  risiede  la  vita,  l'organismo  di  esse?  Lo 

IStellini  non  sospetta  neanche  la  possibilità  di  questo 

problema.  Copia  bensì  la  legge  del  Vico  nel  disegnare 

U  corso  storico  onde  la  barbarie  procede  a  civiltà; 

ma,  piii  che  legittimarla  con  pruove  storiche,  non  fa 

che  illustrarla  con  vaghe  affermazioni  psicologiche.  Così 

pure,  se  con  tutta  facilità  copia  i  corsi  e  i  ricorsi  storici 

della  Scienza  Nuova,  spesso  gì'  intende  materialmente,  e 

I  talora  persino  in  significato  intieramente  contrario  al- 

l'insieme delle  dottrine  vichiane,  come  quando  ci  dice 

e  ci  assicura  che  il  primo  stadio  dell'umanità  fosse  stato 

una  specie  d'età  dell'oro,  età  d'innocenza,  età  di  nes- 

sun bisogno  fisico  né  morale.* 

In  verità  bisogna  confessare  che  lo  Stellini  somi- 

glia la  scimmia  la  quale  pur  pretende  ritrarre  la  pa- 

tente virtii  e  le  fiere  e  sublimi  bellezze  del  leone  : 

barbogio  Chinese,  che  mentre  vuol  imitare  l'Europeo, 

pili  che  rifarlo,  non  riesce  che  a  contraffarlo  !  Né  questo 

mio  linguaggio  rechi  maraviglia  ad  alcuno.  Come  infatti 

maravigliarsene,  se  i  poemi  omerici  per  lui  non  rappre- 

 

'  sentavano  che  una  medesima  età  ?  se  degl'  istinti  po- 

polari, per  quanto  volesse  parlarne,  mai  rfon  pervenne 

a  comprendere  il  gran  valore  e  la  vital  funzione  nel- 

r  opera  della  storia?  se  nelle  morali   disciphne  me- 

'  todo  unicamente  accomodato  disse  quello  delle  scienze 

fisiche?  Fiacco  imitatore,  lo  Stellini  volle  nonpertanto 

dissimularne  gli  artifizi,  ma  non  ebbe  virtii  a  produrre 

sol  un  concetto  originale,  e  nessuna  dottrina  della 

Scienza  Nuova  vantaggiare  d'alcuna  ingegnosa  inter- 

pretazione. E  pure  il  Bomagnosi  ebbe  cuore  a  dichia- 

!  rarlo  superiore  al  Vico:  gli  stranieri  traevano  in  folla  a 

visitarlo,  e  finì  per  aver  titolo  di  Socrate  novello! 

Ma  seguace  piii  amoroso  del  Vico  e  assai  più  intel- 

'  Chi  non  roglia  ricorrere  a11*edÌ2.  di  Padova  delle  opere  dello 

Stellini,  può  leggere  queste  idee  nel  VolgarinMamento  fatto  dal  Valbbiaxi 

dell*  Origine  e  pr agretto  de*  coetumi^  4>  ediz.  Siena,  1829. 

ligente  fu,  al  pari  del  Duni,  il  Pagano,  di  cui  il  solo 

nome  è  ricordo  pietoso  ad  ogni  anima  gentile  e  aperta 

ai  sensi  di  libertà.  Come  nel  Duni,  così  pure  nel  Pa- 

gano le  idee  vichiane  leggiamo  esposte  con  chiarezza  e 

facilità,  ma  anche  con  troppa  imitazione;  che  anzi  è 

da  confessare  come  in  lui  faccian  difetto  alcuni  pregi 

del  Dunf,  per  esempio  là  dove   pone  questi  principii  : 

—  che  lo  stato  della  primitiva  barbarie  non  fosse  gene- 

rale ;  che  la  gelosia,  piuttosto  che  un  certo  vago  senso 

religioso,  spingesse  T  uomo  al  matrimonio  ;  e  che  tra  la 

barbarie  originaria  e  la   barbarie  medievale  il  Vico 

non  iscorgesse  divario  di  sorta: — il  che,  come  vedre-1 

mo,  a  noi  non  sembra  punto  vero.  Ma  grave  errore 

del  Pagano  è  quello  di  volere  interpretare  la  storia  in 

un  senso  troppo  fisiologico;  e  questo  tiene  alla  efficacia 

che  nella  sua,  mente  esercitò  la  filosofia  francese  di 

quell'età.  E  alla  stessa  cagione  forse   è  da  riferire 

s' ei  non  seppe  vedere  come  il  processo  storico  non  sia . 

né  possa  essere  unilaterale,  ma  complesso,  organico, 

dovendo  abbracciar  tutte  le  manifestazioni  e  tutti  gli 

elementi  d' una  data  storia  e  civiltà.  Per  le  quali  cose 

non  possiamo  accettare  la  sentenza  ond' altri  ha  pro- 

nunziato, che  i  Saggi  del  Pagano  siano  la  interpretp,- 

zione  più  fedele  della  Sciema  Nuova:  tanto  piii  che 

il  Pagano,  intendendo  in  maniera  grossolana  al  pari 

dello  Stellini  la  dottrina  del  corso  e  ricorso,  non  dubita 

sostenere  che  le  nazioni  tutte  a  per  lo  stesso  movimento 

onde  son  rimenate  alla  luce  della  cultura,  ricadono 

nelle  tenebre  della  natia  barbarie.  »  Nel  che  non  s'ac- 

corge quel  nobile  e  sventurato  ingegno  come  il  ricorso 

del  Vico  sia  anche  progresso,  e  come  il  suo  svolgimento 

abbia  luogo  in  età  diflFerente  da  quella  in  che  accade  t 

il  corso  della  civiltà;  mentre  al  contrario  in  un  medesimo 

popolo ,  per  esempio  nel  greco,  egli  vede  insieme  un  | 

eorso  e  un  ricorso  storico.*  Il  Pagano  dunque  non  iscorge 

*  Vedi  Mario  Pagano,  Op.  edlz.  Capolagro,  Gap.  VI.  Saggio  VI, 

il  modo  con  che  il  suo  maestro  intese  coordinare  i  diversi 

momenti  de'  grandi  periodi  della  storia  eh'  ei  disse  corsi 

e  ricorsi  storici.  Non  riesce  a  salvam  dall'errore,  nel 

quale  intoppò  lo  Stellini,  d'ammettere  una  prima  età 

storica  non  ferina,  ma  innocente.  Non  sa  vedere  l' er- 

rore del  Vico,  oggi  assai  grave,  delle  catastrofi  e  dei  ca- 

taclismi fisici  onde  gli  uomini  furon  da  prima  scossi  e 

menati  a  civiltà.  Finalmente,  come  origine  assoluta  delle 

famighe  ponendo  il  ratto  delle  donne  per  opera  degli 

uomini  forti,  non  s' avvede  che  nelle  dottrine  del  mae- 

stro, più  che-  cagione,  cotesta  era  semplice  occasione, 

non  altrimenti  che  le  suddette  catastrofi  e  cataclismi 

di  natura.  Ma  è  da  notare  che  fra  tanti  errori  egli 

talora  sorpassa  il  maestro,  non  che  i  mitologi  suoi  con- 

temporanei, quando  sostiene,  per  esempio,  che  i  Greci, 

\  quant'  a  mitologia,  non  facevano  che  vestir  poetica- 

mente racconti  d' origine  primitivamente  orientale.* 

Né  a  quel  tempo  erasi  ancor  difi'usa  quella  febbre, 

che  tutti  oggi  invade,  dell'  orientalismo  indiano.  E  Vin- 

cenzo Cuoco,  benché  seguisse  il  Vico  nelle  esagerate 

,  interpretazioni  del  suo  Platone  in  Italia,  romanzo  fatto 

sul  gusto  délVAnacarsi  del  Barthélemy;  ne  divina  ta- 

lora qualche  idea  originale  come  quando  pone,  a  dirne 

solo  quest'esempio,  un'origine  spontanea  anzi  che  co- 

municata e  artificiale  alle  manifestazioni  storiche,  reli- 

giose, mitologiche,  poetiche  e  poUtiche.  Così  mercé  il 

Pagano  e  il  Cuoco,  entrambi  ingegnosi  discepoli  del 

Vico,  temperavasi  quella  dottrina  del  maestro  che,  come 

vedremo  in  altro  luogo,  potrebb'essere  interpretata  con 

opposti  e  contrari  significati.  E  vuoisi  che  il  Cuoco 

meditasse  e  anche  scrivesse  un  lavoro  sulla  Sdenta 

\  Nuova,  ma  che  da  sé  medesimo  avesse  poi  distrutto, 

forse  per  que'  motivi  politici  che  sì  crudelmente  gli  fu- 

nestaron  l'animo,  il  quale,  non  meno  del  Pagano,  egli 

ebbe  pieno  di  carità  patria.  Del   Cuoco  in   sostanza 

*  Op.  cit.  Saggio  I,  Gap.  XXIII. 

non  abbiamo  ne  interpretazioni,  né  esplicazioni  del 

pensiero  che  informava  la  Sdenta  Nuova,  degne  d'esser 

rammentiite.  È  bene  anzi  avvertire  com'  egli  ne  acco- 

gliesse alcune  idee  al  tutto  erronee:  quella,  per  esem- 

pio, d'  un'  antichissima  sapienza  italica,  anteriore  alla 

romana  e  alla  greca  per  cui  riteneva  che  gli  Etruschi, 

sparsi  un  tempo  per  tutte  le  terre  italiane,  avessero 

costituito  un  popolo  solo.  Non  pertanto  il  Cuojo  dà 

s^ni  evidenti  d'avere  studiato  la  Scienza  Nuova  ed 

essersene  giovato,  chi  consideri  quanto  egli  imitasse  e 

ripetesse  le  idee  del  Vico,  ma  sempre  in  modo  inge- 

gnoso, acuto,  geniale,  sul  corso  della  civiltà,  su  la  co-l 

stituzione  di  Roma  e  su  la  legislazione  in  universale. 

Chi  dovea  più  d' ogn'  altro  valersi  del  Vico  in  fatto  I 

di  principii  legislativi  fa  il  Filangieri.  Il  quale,  se  stu- 

•  diasse  le  opere  del  nostro  filosofo,  e  se  in  grande  ve- 

nerazione avesse  alcuni  principii  di  lui,  ce  lo  atte-  . 

sta,  da  una  parte,  una  lettera  del  Goethe  scritta  da 

Napoli  nel  1787,*  e  dall'altra  le  citazioni  ch'egli 

stesso  £a  e  le  dottrine  eh'  e'  non  di  rado  toglie  dalla 

Sdenta  Nuova.  Dalle  opere  del  Vico  infatti  esce  lumi- 

nosa la  prova  dell'  esistenza  d' un  elemento  universale 

e  assoluto  nelle  leggi  guardate  lungo  il  processo  isto- 

rico,  e  per  cui  la  legislazione  nella  storia  non  è  altro 

che  la  incarnazione  dell'idea  del  Diritto;  della  quafe 

egli  aveva  additato,  come  vedremo,  il  principio  -nel- 

r  opera  sul  Diritto  Universale.  Perciò  nella  Scienza 

Nuova  avverte  che  la  filosofia  del  Diritto  considera 

Vuomo  guai  ddb'  essere mentre  la  legislazione  censi-  ' 

dera  V  uomo  quale  è  per  farne  buoni  usi  neW  umana 

società}  Ora  appunto  la  seconda  parte  di  questa  sen- 

tenza tolse  a  studiare  il  Filangieri,  e  però  diciamo  che  la . 

scienza  della  legislazione  altro  non  sia,  chi  ben  guardi,  ' 

che  un'  applicazione  di  questo  concetto  vichiano.  E  vera- 

mente, se  ad  applicare  ottime  leggi  al  civile  consorzio 

*  Vedi  nel  Cintohi,  Studi  oritiei,  ec.  pag.  276. 

•  Vedi  Degnità  VI,  VU. 

è  necessaria  l'esperienza;  e  se  l'arte  dello  sperimento 

non  è  possibile  in  siflFatt'  ordin  di  cose  tranne  che  me- 

diante la  storia;  perocché  se  la  storia  elevata  a  filo- 

sofia è  atta  a  mostrare  che  i  fatti  legislativi,  guardati 

nella  loro  idea  e  nelle  attinenze  con  altri  fatti  pos- 

8on  essere  considerati  come  altrettanti  esperimenti  che 

la  civiltà  va  seco  medesima  operando:  se  tutto  ciò  è 

vero,  .è  da  concludere  che  l' antecedente  logico  della 

Scienea  deUa  LegislcusAone  sia  per  l' appunto  la  Scienea 

Nuova.  Laonde  non  parmi  che  il  Lerminier  s' apponga, 

dicendo  il  Filangieri  seguace  del  Montesquieu,*  per  la 

semplice  ragione  che  il  medesimo  Filangieri  ebbe  co- 

scienza di  non  dover  battere  le  vie  già  con  tanta  gloria 

calcate  dal  filosofo  francese,  com'egli  stesso  ci  assicura. 

Filangieri  non  intese  a  ricercar  leggi,  né  a  descriver  | 

costumi  :  volle  anzi  levarsi  alla  teorica  dei  costumi  e  • 

delle  leggi.  Ora  cotesta  teorica,  come  vedremo,  è  inutile 

cercarla  nel  Montesquieu  ;  ed  è  inutile  cercarvela  anche 

per  confessione  degli  stessi  Francesi.  Ripeto  quindi  che 

la  Scienza  della  Legislazione,  chi  la  guardi  nella  origi- 1 

nalità  del  suo  disegno,  è  di  fattura  tutta  italiana,  e 

possiamo  designarla  perciò  come  una  pagina  (splendida 

pagina  in  vero!)  della  Scienza  Nuova. 

 

Ciò  non  pertanto  è  da  confessare  come  il  Filangieri 

talvolta  s'accosti,  forse  anche  troppo,  al  fare  del  Ro-j 

magnosi,  il  cui  pensiero  mostra  d'  avere  tanta  affinità 

con  la  filosofia  francese.  In  gran  parte  meccanica  e 

artificiale  riesce  infatti  la  sua  dottrina  storica,  alla 

quale  si  riferisce  la  legge  ch'egli  espone  su  le  Religieni 

e  eh'  è  pure  una  debole  imitazione  attinta  nel  Vico  ;  1 

ma  è  tal  legge,  ch'io  starei  per  dirla  disorganata. 

Filangieri  è  da  lodare  per  piil  conti,  massime  per  aver 

I  saputo  cogliere  il  vero  di  quel  principio  vichiano  sulla 

incomunicabiUtà  originaria  dei  miti  presso  popoli  dif- 

ferenti: *  col  che  mostra  d'  aver  attinenze  sempre  piiì 

 

 

'  ItUroduction  generai  eo.  Gap.  XV,  pag.  188. 

*  Vedi  Scienxa  ddla  Legialanone,  Gap.  VI. 

apffini  con  gli  altri  seguaci  e  imitatori  d'  un  comune 

maestro  e  d'  un  ispiratore  comune,  quali  abbiam  visto 

essere  stati  per  differenti  guise  il  Duni,  il  Cuoco,  il 

Pagano. 

Se  non  che,  come  la  tendenza  alla  pura  imitazione 

eccita  spesso  la  critica,  parimenti  la  critica  efficace! 

e  produttiva  viene  più  spesso  eccitata  dalla  critica 

infeconda  e  negativa.  Così  Melchiorre  Delfico  quan- 

tunque più  volte  citi  '1  Vico  e  ne  accetti  perfino  al-  ) 

cune  dottrine  su  la  Giurisprudenza  romana,  si  pre- 

senta come  negazione  dì  lui  quando  si  pensi  che  il 

Vico  fu  primo  interprete  critico  del  Diritto  Romano,  e 

dicasi  pure  della  Storia  romana.  Il  dubbio  critico  e  fe- 

condo dell'uno  su  le  origini  di  Roma  e  delle  XII  Ta- 

vole, diventò  dubbio  scettico  nell'  altro.  Egli  infatti 

giunse  a  dire  che  la  comune  opinione  sulla  grandezza 

romana  devesi  ridurre  al  solo  ingrandimento  de' con- 

fini, ottenuto  spesso  con  mezzi  rei  ed  infami.*  E  se 

il  Gravina  appoggiandosi  all'  autorità  di  Cicerone  fin 

da' primordi  del  secolo  XVIII  appella  Diritto  per  ec- 

cellenza il  Diritto  Romano;  il  Delfico,  in  su  lo  scorcio  1 

dello  stesso  secolo,  non  teme  affermare  che  Roma, 

tuttora  barbara  e  ignorante,  avea  già  veduto  a'  suoi 

fianchi  gli  Etruschi,  i  Sabini,  gli  Umbri,  celebri  già 

per  leggi  e  per  giustizia,  gli  Equi  e  gli  Equicoli, 

così  appellati  perchè  giusti.  Che  cosa  ne  fecero  i  Ro- 

mani se  non  distruggerli,  piuttosto  che  imitarli?'  Le 

grandi  lodi  poi  fatte  in  ogni  tempo  ai  frammenti 

delle  XII  Tavole,  egli  chiamava  letterario  fanatismo. 

Il  tanto  encomiato  Diritto  Civile  riguardava  come  ri- 

saltato delle  interpretazioni  dei  Giurisprudenti  e  delle 

dispute  forensi.  Incertezza,  arbitrio,  volontà  di  conser- 

vare r  aristocratico  dispotismo  diceva  essere  il  carat- 

tere proprio  del  Diritto  Romano.  Che  se  Roma  cadde, 

 

*  Vedi  Riocrehe  nU  vero  earattere  della  Oiurttprudenxa  Romana  e  dei  \ 

9uoi  cultori.  Firenze,  2"  ediz.  1796,  Introd.  pag.  27. 

non  cadde  perchè  oppressa  dal  pondo  dell'  estrema  sua 

grandezza,  ma  per  mancanza  di  base  e  difetto  di  solida 

architettura  nell'edifizio.  E  conchiudendo  poi  la  prima 

parte  del  suo  libro,  afferma  che  :  (c  la  giustizia  di  Roma 

fu  in  principio  quale  può  essere  neUa  barbarie;  d'indi| 

quale  dev'  essere  nell'  anarchia,  nella  confusione  delle 

leggi,  e  nella  generale  corruzione.*  »  Talché  in  ogni  età 

al  pensiero  del  Delfico  Roma  si  presenta  in  antitesi  con 

la  ragione  e  con  la  umanità:  la  giurisprudenza  per  lui 

è  il  fatale  retaggio  eh'  ella  ci  lasciò,  e  i  secoli  ne  hanno 

moltiplicato  le  specie.* 

 

Vedremo  altrove,  che  se  il  Vico  fu  primo  a  studiare 

con  riservatezza  guardinga  e  saviamente  scettica  la  sto- 

ria del  popolo  e  del  Diritto  Romano  assai  cose  distrug- 

gendo accolte  già  e  sanzionate  dall'  autorità  di  molti 

secoli;  non  però  cadde  in  quell'  aperto  e  desolante  scetti- 

cismo che,  uccidendo  i  fatti  nella  storia,  spegne  ad  un 

tempo  la  fede  nell'  animo  di  chi  ne  interpreta  il  signi- 

ficato, com'è  appunto  il  caso  del  Delfico.  Il  Vico  anzi 

pervenne  a  dimostrare,  come  vedremo,  una  legge  d' in- 

timo progresso  nelle  successive  manifestazioni  storiche  ' 

del  Diritto  Romano.  E  questo  evidentemente  contrad- 

dice al  dubbio  scettico  del  Delfico. 

Così  può  dirsi  chiuso  il  primo  periodo  degli  scrit- 

tori che  han  discorso  di  questa  o  quella  dottrina  del 

nostro  filosofo.  Nel  qual  periodo,  ciò  che  ha  molto  valore  | 

per  noi,  è  la  polemica  fra  il  Duni  e  il  Finetti:  il  resto  è 

lavoro  d'imitazione  piii  o  meno  fedele  che  solamente  nel 

Filangieri  comincia  ad  assumere  forma  d' esplicazione  ' 

originale.  E  questa  tendenza  imitativa,  che  finisce  con  lo 

scetticismo  giuridico  e  storico  del  Delfico,  ci  mostra  poi 

quanto  sia  vera  quell'osservazione  fatta  da  parecchi  sto- 

rici nostrani,  che  la  snervata  filosofia  firancese  principal- 

mente scemasse  originalità  agli  scrittori  italiani  d' allora, 

togliendo  loro  il  poter  discemere  qual  novità  di  principi! 

avesse  introdotto  il  Vico  nel  regno  della  scienza  e  della 

storia  umana. 

Tra  il  secolo  XVIII  e  il  secolo  XIX  possiamo  dire 

che  corra  un  abisso.  Nell'ordine  puramente  speculativo 

ci  è  di  mezzo  il  Criticismo;  e  nell'ordine  delle  idee  stori-  1 

che  e  giuridiche,  come  in  quello  de'  fatti  politici,  abbiamo 

i  filosofi  giusnaturalisti  francesi,  e  la  grande  Rivoluzio- 

ne. Con  la  Scienza  Nuova  noi  avevamo  già  prevenuto 

l'esigenza  critica,  dal  puro  mondo  dell'attività  psicolo- 

gica trasferendola  e  compiendola  nel  regno  dell'  attività 

storica;  e  nell'ordine  delle  idee  avevamo  sorpassato  al- 

tresì la  Rivoluzione,  perchè,  ammesso  il  processo  istorico 

al  quale,  secondo  la  Scienza  Nuova,  deon  soggiacere  tutti 

i  fatti  e  tutte  le  idee,  non  v'è  pagina  in  questo  libro  dove 

non  si  senta  la  necessità,  e  non  si  tocchi  con  mano,  per 

così  dire,  lo  scoppio  d'un  radicale  innovamento  negli  or- 

dini del  consorzio  civile,  politico  e  sociale.*  Brevemente: 

nei  tempi  moderni  veggiamo  accadere  nel  nostro  pen- 

siero quello  stesso  che  venne  verificandosi  nell'  età  del 

Risorgimento.  Co' nostri  vecchi  filosofi  noi  avevamo  ardi- 

tamente sorpassato  la  Riforma,  nel  modo  stesso  che  con 

le  nostre  scuole  politiche  (sempre  nell'  ordine  dell'idee) 

*  Nella  Sociologia  mostreremo  che  co*principii  del  suo  Diritto  C7ni-1 

vende  il  nostro  filosofo  Compie  la  dottrina  della  Socialità  di  Orozio, 

corregge  i  prìncipii  e  quindi  le  consegoonze  der  Naturalimno  speculativo  e 

wteta/meo  di  Spinoza,  inrera  il  Natwali«mo  empirico  di  Hobbes,  contraddice 

al  TeoeraiÌ9wu>  della  scuola  di  Bossuet,  alio  Scetticismo  giuridico  di  Bayle, 

di  Pascal  e  di  Montaigne,  e  previene  le  idee  principali  di  Montesquieaj 

e  di  Rousseau  legittimandole  nel  suo  concetto  istorico. 

avevamo  già  sorpassato  le  tendenze  nonché  i  bisogni 

politici  di  quell'età.* 

Col  primo  schiudersi  del  nuovo  secolo,  adunque,  non 

può  non  ischiudersi  un  periodo  novello  di  studi  assai 

più  severi  circa  le  dottrine  del  Vico  ;  talché  V  abisso 

fra' due  secoli  poco  fa  accennato  per  noi  non  esiste,  e 

in  ogni  modo  la  Scienza  Nuova  avrebbe  trionfato  nel- 

r  animo  nostro  come  nelle  nostre  menti:  avrebbe  trion- 

fato nella  nostra  storia  civile  come  nel  nostro  pensiero 

filosofico,  quand'  anche  il  gran  fatto  della  Eivoluzione 

non  ci  avesse  scosso.  Ci  saremmo  arrivati  da  per  noi  J 

forse  più  lenti,  ma  certo  più  securi.  D  segnale  dunque 

de' nuovi  studi  s'inaugura  cqu  coscienza  più  chiara  sul 

valore  delle  dottrine  vicinane,  e  tal  segnale  ci  è  dato  in- 

nanzi tutto  da  im  poeta  assai  splendido  nella  forma  quale 

fu  Vincenzo  Monti,  e  da  un  poeta  assai  potente  e  insieme 

potentissimo  prosatore  quale  si  fu  Ugo  Foscolo.  Nel  1803 

in  una  delle  nostre  più  illustri  Università,  il  Monti 

pronunziava  quella  beUissima  sentenza  che  poi  tutti  hsìn 

ripetuto  e  ripetono  parlando  del  Vico:  La  Scienza 

Nuova  è  come  la  montagna  di  Golfonday  irta  di  scogli 

e  gravida  di  diamanti.  E  quindi  soggiungeva:  Chi 

amasse  di  chiamare  a  rivista  le  idee  generatrici  e  pro- 

fonde delle  quali  si  è  fatto  saccheggio  nel  Fico,  tesse- 

rebbe lungo  catalogo,  e  nuderebbe  a  moUe  riputa^zioni.* 

Ma  il  Monti  sente  la  verità  e  grandezza  delle  idee 

vichiane  com'  un  poeta.  Il  Foscolo  dà  un  nuovo  passo 

e  va  molto  più  innanzi  allora  che  nel  1805,  nel  celebrato 

discorso  d'apertura  all'insegnamento  letterario  nella 

stessa  Università  Pavese,  piglia  a  trattare  con  l' usata  ' 

maschiezza  d'ingegno  il  vasto  soggetto  dell' origine  e 

dell'  ufficio  della  letteratura;  nel  quale  prova  insieme 

quant'  avesse  studiato  le  opere  del  nostro  filosofo,  e 

come  sotto  novelle  forme  si  possa  applicarne  le  dot- 

*  Ferbari,  Cforto  augii  aeriUori  Politiei  italiani^  pag.  846. 

*  V.   Monti,  Proluaùme  agli  atudi  delV  Univeraità   di  Pavia,  MUa- 

no,  1804.  Pag.  58  e  59. 

trine  anche  nei  temi  letterari.  Ugo  Foscolo  avea  colto 

il  valore  d'alcune  sentenze  psicologiche  sparse  nei  lihri 

del  filosofo  napoletano  ;  e  da  queste  appunto  ei  seppe 

trarre  il  concetto  posto  come  principio  fondamentale 

del  suo  ragionamento.  Egli,  infatti,  ricorre  ai  bisogni 

dell'uomo  nel  rintracciar  Torigine  delle  lettere;  e  quindi 

reputa  necessario  investigarne  la  natura  psicologica 

studiando  le  facoltà  stesse  dell'  uomo.'  Che  poi  avesse 

meditato  e  inteso  le  altre  dottrine  del  filosofo,  lo  mostra 

il  modo,  per  dire  un  esempio,  con  che  egli  discorre  \ 

ea  l'origine  e  su  la  natura  della  parola;  la  quale,  tra- 

ducendo quasi  lo  stesso  linguaggio  del  Vico,  dice  essere 

ingenita  in  noi  e  contemporanea  dia  formazione  dei 

sensi  estemi  e  delle  potente  mentali.  Seguace  del  nostro 

filosofo  anche  si  palesa  quand'  accenna  fuggevolmente 

a  certe  idee  (per  esempio  a  quelle  del  diritto  e  del 

dovere)  le  quali,  manifestandosi  dapprima  idoleggiate 

con  simboli  ed  immagini,  si  snodano  poscia  e  parlan 

quasi  da  sé  stesse  nella  nuda  verità  di  ragione.  Seguace 

altresì  quando  tocca  delle  origini  del  consorzio  sociale 

e  dell'imperio  civile:  del  che  poi  egli  stesso  ci  assi- 

cura dove,  accennando  a' poeti  filosofi,  dice  che  delie 

verità  sui  principii  di  tutte  le  nazioni  vedute  dal  VicOy 

egli  s' è  studiato  dimostrare  e  applicare  le  conseguenze 

alla  storia  dei  nostri  tempi}  Dottrine  del  Vico,  finalmen- 

te, applica  nel  discorso  su  le  De^cazioni  nella  Chioma  ' 

di  Berenice,  secondo  che  confessa  da  sé  medesimo. 

Ma  alla  Scienza  Nuova  volge  tosto  gli  occhi  con  ben 

altro  acume  di  critica  il  napoletano  Cataldo  lannelli; 

la  qual  critica,  come  vedremo,  esagerandosi  nel  Roma- 

gnosi,  finisce  per  esser  perdutamente  scettica  nel  Fer- 

rari. Di  tutte  le  opere  o  studi  fatti  su  la  Scienza  Nuova 

quella  che  più  d'ogn' altra  merita  d'esser  letta  e  me-  ! 

ditata  è  appunto  l' opera  del  modesto  impiegato  della 

•  Vedi  Ditearto  delV  origine  e  deW  ufficio  detta  LettercUura^  nel  vo- 

lume deUe  Lesioni  <r  Eloquenza,  edizione  di  Napoli  1888,  pftg.  28. 

*  Vedi  op.  cit.,  paf .  89. 

Biblioteca  Borbonica  sa  la  natura  e  necessità  della 

scienza  delle  cose  e  della  storia  umana.  Il  Michelet  lo 

ha  chiamato  discepolo  legittimo  del  Vico;  e  il  Roma- 

gnosi,  credendo  correggere  la  frase  dello  scrittore  fran- 

cese, ha  voluto  designarlo  come  legittimo  giudice  dei 

Vico,  Lo  lannelli,  per  noi,  è  giudice  e  discepolo  insie* 

memente. 

Se  la  Sdenea  Nuova,  come  ci  dicon  tutti,  è  una  sin- 

tesi prematura  pel  secolo  in  che  apparve;  il  libro  detto 

lannelli  ne  sembra,  per  così  dire,  l'analisi.  Per  esempio, 

la  bella  dottrina  de'  nessi^  specie  quelU  di  successione  ■ 

e  di  comunicamene  sociale,  non  è  altxo  che  l'esplicazione 

di  quella  del  Vico  su  lo  svolgimento  originario  e  spon- 

taneo delle  diverse  civiltà.  Or  quest'analisi  dello  lannelli 

era  logicamente  necessaria;  che  anzi  tutte  le  odierne 

ricerche  filologiche  paleografiche  paleontologiche  mito-^  , 

logiche  e  storiche,  a  ben  guardarle,  non  sono  che  l'ana- 

lisi più  minuta  e  più  accurata  di  quella  sintesi  primitiva 

e  possente  cui  seppe  levarsi  il  pensiero  nella  Sdenea 

Nuova.  Sicché  tanto  il  Vico  con  la  sintesi,  quanto  lo 

lannelli  con  l' analisi,  può  dirsi  abbiano  anticipato  quel- 

r  attività  prodigiosa  e  fervente  cui  ci  è  dato  assistere 

oggidì  nel  regno  della  scienza  e  della  storia. 

 

Ma  lo  lannelli  è  anche  giudice  legittimo  del  suo 

maestro.  Se  l'analisi  infatti  è  svolgimento  della  sin- 

tesi, n'è  pur  la  correzione;  e  ben  s'  appose  il  Roma- 

gnosi  nel  dichiarare  lo  lannelli  maestro  di  logica  sto-l 

fica,  segnalando  l'opera  di  lui  come  organo  scientifico 

degli  studi  storici:  il  che  quanto  sia  vero  può  vedersi 

nel  Gap.  IV,  dove  non  è  scoperta  fatta,  accennata  o 

divinata  nella  Scienza  Nuova,  ch'ei  non  accolga  o  in-l 

terpreti  con  sa»io  giudicio,  né  v'  ha  principio  storico,  filo- 

logico, politico,  legislativo  e  mitologico  eh'  ei  non  accetti. 

Se  non  che,  accettare  per  questo  scrittore  non  vuol 

dire  già  imitare.  Egli  imita,  ma  imita  interpretando  e 

giustificando;  accetta,  ma  accetta  correggendo  ed  espli- 

cando. E  tal  si  è  pure,  come  vedremo,  il  carattere  della 

critica  di  presso  che  tutti  gli  scrittori  di  questo  se- 

condo periodo. 

Lo  lannelli  invero  distingue  la  filosofia  della  storia 

dalla  critica  de^  fatti  storici  ;  e  afferma  che  se  dell'  una  ' 

troviamo  i  prindpii  nel  Vico,  dell'altra,  che  pur  n'esce 

oom'  una  conseguenza,  quel  certo  filosofo  non  si  potè  oc-  ' 

cupare  gran  fatto.  Quest'osservazione  è  verissima;  ma 

non  men  vera  dovrà  sembrare  la  considerazione  che  ne 

possiamo  trarre.  E  questa  considerazione  è  la  seguente: 

se  la  scienza  storica  moderna  come  ricerca  analitica  che 

informa  di  se  tutto  il  sapere  de' dì  nostri  fii  prevenuta, 

già  mezzo  secolo  addietro,  da  un  seguace  e  dal  piiì 

acuto  fra'  seguaci  del  Vico  ;  è  pur  mestieri  che  (come 

suole  accadere  in  ogni  periodo  storico)  dall'  analisi 

oggi  si  possa  e  debbasi  risalire  alla  sintesi^  col  fine  di 

sempre  più  legittimarla,  e  svolgerla.  Questa  sintesi  à 

appunto  la  Sciema  Nuova;  alla  quale  perciò  dobbiamo 

r^alire,  ma  risalirvi  con  tutta  la  ricchezza  del  pen- 

siero moderno,  dell'analisi  moderna,  inverandola  in  ciò 

che  merita,  e  dimenticandone  quelle  parti  che  sono 

in  evidente  contraddizione  con  la  scienza  d' oggidì.  Ora 

seguitiamo. 

Quel  che  lannelli  appella  Istoriosofia  (scienza  delle 

cose  umane)  non  è  altro,  a  guardarla  bene,  se  non 

l'esigenza  massima  della  Scienza  Nuova.  Di  che  cosa 

ella  s'occupa  fuorché  di  giudm,  di  ricerche,  à^ analisi? 

Il  nome  stesso  d^ Istoriosofia  ci  addita  il  fine  che  propo- 

nevasi  l' autore  in  siffatta  scienza  :  non  filosofia,  bensì 

amore  di  ricerca,  di  testimonio  (e^Tw».  Ora  tal  ma- 

niera dì  scienza  cosi  unita  e  si  intimamente  congiunta  e 

legata  cotta  Scienza  dd  Vico,  ci  manca:  come  dunque 

si  potevan  intendere  i  suoi  principii?  *  lannelli,  com'  è 

evidente,  ha  ragione.  Se  la  Scierusa  Nuova  e  la  Isto- 

riosofia assomigliano,  com'  egli  dice,  alla  fisica  e  alla 

matematica,  ne  viene  che  questa,  separata  da  quella, 

■  Vedi  Iaknelli,  Sulla  natura  e  neee99ità  ec  Napoli,  1817,  Gap.  II,  §  1.  '. 

debba  riuscire  al  tutto  vuota  e  superficiale;  al  modo 

stesso  che  la  seconda,  scompagnata  dalla  prima,  si  mo- 

stra umile,  oscura  e  affatto  incerta.  Unitele,  perciò,  ed 

elle  sapranno  operare  i  prodigi  dell'ingegno  umano. 

Così  la  Istoriografia  e  la  Scienza  Nuova  amicate  in- 

sieme, sapranno  comporre  una  disciplina  profonda  e 

degna  della  virilità  ad  genere  untano. — Tutto  ciò  è  vero, 

e'ci  conferma  nel  giudicio  espresso  poco  fa  sul  carattere 

di  questo  critico  valoroso:  egli  è  vero  scolare,  e  vero 

giudice  del  suo  maestro.  Se  il  Vico  è  sintesi,  cioè  filo- 

sofia della  storia,  abbisogna,  per  così  dire,  dello  lannelli, 

abbisogna  dell'  analisi,  della  critica.  Insomma  la  Sdenea 

Nuova  ha  d'uopo  della  Scienza  dei  fatti,  ieWistoriograficL 

Nel  primo  scrittore  quindi  è  l'esigenza  del  secondo,  come 

in  questo  v'è  altresì  il  bisogno  di  quello,  e  però  si  com- 

piono a  vicenda.  Se  tale  dunque  è  la  critica  dell'  acuto 

lannelli,  ognun  vede  quant'  erroneo  fosse  il  giudizio 

ond'al  Komagnosi  piacque  chiudere  i  suoi  Cenni  sopra 

quest'autore,  dichiarando  troppo  spectdativo  il  disegno 

storico  del  suo  libro.  Ma  perchè  troppo  speculativo  s'ei 

non  esclude  minimamente,  né  il  poteva,  quelle  indagini 

di  che  r  autore  della  dottrina  su'  Fattori  dell'  incivili- 

mento dei  popoli  pensava  di  poter  fare  tavola  rasa? 

Gli  appunti  che  lannelli  muove  alla  Scienza  Nuova 

riduconsi  a  questi:  non  esser  ella  intiera  e  perfetta 

come  scienza,  bensì  disordinata,  confusa,  indigesta;  né 

tutte  vere,  esatte  e  provate  quelle  massifne  elementari 

sovra  cui  è  fondata;  alcune  di  queste  anzi  essere  addi- 

rittura false,  altre  oscure  ed  ambigue.  Oscuro  e  ambi- 

guo, per  esempio,  il  significato  della  Provvidenza,  come 

quello  che  talora  par  che  racchiuda  V azione  reale  diDio\ 

su  '1  mondo,  tal' altra  la  persuasione  negli  uomini  circa 

tale  azione.^  Questa  difficoltà  che  primo  d'ogn' altro 

egli  mosse  contro  la  Scienza  Nuova,  e  che  ci  mostra 

in  lui  sempre  più  chiara  l' esigenza  critica,  è  grave  assai; 

ma  appunto  perchè  grave,  ella  non  può  esser  risoluta 

fuorché  interpretando  la  mente  del  Vico  mercè  un 

<TÌterio  filosofico  tratto  dalle  viscere  stesse  d'alcuni 

supremi  principii  i  cui  germi  giacciono  incolti  nel  libro  ' 

De  Antiquissima  Itàlorum  Sqpimtia.  Questo  non  fece 

lo  lannelli.  £i  non  curò,  come  non  han  curato  presso  che 

tutti  gli  altri  critici,  di  scoprire  nel  Vico  le  fondamenta  ' 

d'una  dottrina  metafisica,  e  costruirvi  su  una  filosofia. 

Crede  inoltre  confusa,  nel  Vico,  l'origine  degli  Dei; 

per  cui  gli  pare  che  egli  stia  or  con  Lattanzio,  ora 

con  Platone.  Imperfette  quindi  e  arbitrarie  la  teogonia 

e  la  cronologia  teogonica,  e  tali  da  doverle  rifare  on- 

ninamente da  capo  :  che  non  sempre  Giove  sarà  il  primo 

Dio  a  formarsi,  né  sempre  Nettuno  sarà  l'ultimo;  non 

sempre  Mercurio  sarà  il  portatore  di  leggi  agrarie 

ai  famoli  ammutinati,  né  Diana  emergerà  sempre 

da'  fonti,  né  Apollo  dalle  bellezze  civili  dei  popoli,  né 

Vesta  guarderà  sempre  le  biade,  né  Ercole  diboscherà 

la  gran  selva  per  seminarvi,  e  nemmanco  Satiimo 

presiederà  costantemente  all'arata  e  seminata  campa- 

gna. Osserva  come  il  suo  maestro  parli  poco  e  male 

del  Tartaro,  degli  Elisi,  degl'Iddii  Inferi  e  dell'altra 

vita  ;  e  lo  corregge  su  la  natura  d'una  costante  e  pro- 

fonda persuasione  d'una  vita  avvenire.  Non  tutte  pre- 

cise ed  esatte  reputa  le  idee  su  l' origine  e  formazione 

della  lingua;  né  la  lingua  per  lui  procede  sempre  pari 

passo  con  la  scrittura,  perché  l' una  non  dipende  da' biso- 

gni onde  l'altra  è  originata.  Mostra  da  ultimo  d'inten- 

dere acconciamente  il  maestro  quando  parla  dell'ante- 

riorità del  linguaggio  poetico  (non  già  delle  forme  poe- 

tiche e  del  verso)  rispetto  al  linguaggio  prosaico. 

Questi  i  pregi  dello  lannelli  come  seguace  e  come 

giudice  del  Vico.  Ma  in  lui  non  mancano  i  difetti.  Se 

di  fronte  al  suo  maestro  egli  ci  rappresenta  1'  analisi; 

come  analisi  ei  non  può  non  riuscir  manchevole  e  in- 

compiuto. E  che  sia  così,  basti  rammentare  qual  con- 

cetto mostri   egli   d'  avere   della  scienza   delle  cose 

timane  che  definisce  per  V  esatta  conosceva  del  nesso 

e  subordincusdone  détte  umane  cose  fra  loro,^  e  qual  fine 

si  possa  con  lei  conseguire,  fine  che  ha  da  consistere 

nel  saper  come  le  cose  succedono  e  come  e  quando  coe- 

sistano: parole  tutte  queste  che  parrebber  dettate  da 

un  positivista  de' nostri  giorni  1  Quando  poi  stabilisce 

che  la  scienza  del  Nesso  deva  raccogliersi  in  quattro 

capi  0  nessi  (d' origine,  di  coesistenza,  di  successione  : 

e  di  comunicazione)  rispondenti  mirabilmente,  secondo 

lui,  alle  quattro  parti  della  Storia  ideale  etema  del  Vico, 

la  quale  perciò  debb' esser  la  stessa  Scienjsa  delle  cose 

umane  storicamente  e  non  già  scientificamente  conside- 

rate;* in  tutto  questo  ei  ci  mostra  che  se  il  discepolo 

compie  il  maestro,  vuol  esser  compiuto  egli  stesso,  e 

in  gran  parte  rifatto.  A  lannelli,  d'altro  canto,  non 

fu  dato  cogliere  quel  concetto  originale  del  Vico  sul 

cominciamento  della  storia  eh'  ei  dice  romanzesco  e 

strano,  non  sapendosi  a  verun  patto  capacitare  dell'ab- 

brutimento primitivo  della  schiatta  umana:  col  che  dà 

segno  d' essere  inferiore  al  Duni.  Scherza  poi  e  sorride, 

come  fan  volentieri  pressoché  tutti  gli  altri  interpreti, 

su  lo  scoppiar  del  fulmine  a  cui  più  d'una  volta  accenna 

il  filosofo  napoletano;  né  s'avvede  come  nella  Sdenta 

Nuova  cotesta  non  sia  vera  cagione,  bensì  occasione 

svegliatrice  d^unuinità  nell'uomo  imbestiato:  e  nean- 

eh'  egli  riesce  a  salvarsi  dalla,  contradizione  in  che  in- 

cagliarono il  Vico  e  '1  Duni  rispetto  all'  origine  del 

popolo  eletto.  Finalmente  non  intende  la  lingua  di- 

vinai perchè  non  sa  cogUere  il  valore  di  quell'altra 

idea  che  le  nazioni  vìvessero  per  lunga  pezza  mute, 

e  solo  parlassero  per  gesti  e  cenni:  il  che  si  oppone 

(egli  dice)  al  fatto,  e  al  diritto;  al  fatto,  perché  non v'è  popolo  senza  lingua;  al  diritto,  perchè  a  vivere  in società  condizione  imprescindibile  é  la  parola.   Qui, com'  è  evidente,  il  discepolo  è  molto  più  indie^ maestro. Ma  quest'  acuto  è  benemerito  seguace  del  Y\ un  altro  pregio  che  noi  dobbiamo  segnalare stri  lettori.  Esplicando  alcune  dottrine  della  Scienza Ntwva,  e'  prevenne  i  Positivisti  nel  rilevare  una  legge nello  svolgimento  storico  delle  scienze;  e,  ciò  che  pili monta,  li  prevenne  correggendoli.  Il  processo  isterico del  conoscere  per  lui  è  quello  del  Vico,  ma  considerato, al  solito,  in  maniera  analitica.  Egli  pone  cinque  età nel  corso  e  nella  evoluzione  della  Scienza;  le  quali, chi  ben  guardi,  ci  ricordano  le  tre  età  storiche  del maestro,  e  si  modellano  su  lo  svolgimento  naturale  delle tre  facoltà  conoscitive  :  Senso,  Immaginazione  e  Ragione. Or  r  ultima  età,  che  per  i  Positivisti  è  negativa  tutto che  la  battezzino  per  positiva,  in  lui  riesce  davvero  po- sitiva. Nell'età  della  vecchiezza  e  della  ragione,  infatti, egli  vede  nascere  la  Telosofia,  Scienza  dei  fini;  e  vede sorgere  Y Etiólogia,  Scienza  delle  cagioni.*  Questi  due concetti,  massime  il  secondo,  ci  son  oggi  ripetuti  tal  \^ quali  da  Stuart  Hill,  e  da  lui  stesso  posti  a  fonda- mento della  Sociologia.  H  Positivismo  francese  poi,  con la  tricotomia  positiva  de' suoi  tre  stati,  non  volendo saper  nulla,  com'  è  noto,  nò  dell'  una  ne  dell'  altra  cosa (ciò  è  dire  né  di  finalità  né  di  causalità)  si  contraddice evidentemente,  e  col  fatto  si  palesa  negativo  e  nullo nel  momento  stesso  che  presume  d' esser  profondamente positivo.  E'  miflomigliano  a  Stenterello  che  si  dà  l'aria  di padrone,  giusto  quando  senz' addarsene  è  assai  più  in giù  dell'ultimo  servo  di  casal  II  vero  positivo  sta  nella quinta  età  di  cui  parla  lannelli. Ma  la  critica  su  la  dottrina  del  Vico,  che  con  tanto senno  avea  saputo  'inaugurare  quest'  egregio  scrittore, scade  a  un  tratto  nel  Romagnosi.  Ognuno  infatti  si maraviglierà  nel  leggere  che  cosa  pensasse  del  nostro filosofo  egli,  l'autore  dell'opera  su  V indole  e  s\x^ fattori délV  incivilimento,  nelle  sue  Osservazioni  suUa  Scienza Nuova.  *  Io  non  so  maravigliarmene  punto ,  specie quando  considero  che  il  concetto  cardinale  sopra  cui si  sostiene  l'opera  dianzi  citata  del  Komagnosi,  è  la negazione  assoluta  del  principio  in  che  tutta  si  regge la  Scienza  Nuova.  L' incivilimento  per  lui  essendo  sempre I  dativo  non  mai  naiivo,^  lo  trascina  alla  dottrina,  o  a  dir meglio,  all'ipotesi  del  così  detto  popolo  Auto-civile, L'esistenza  d'un  popolo  siffatto,  chi  ben  rifletta,  con- traddice al  suo  stesso  principio;  perocché  se  l'incivili- mento è  nativo  nel  popolo  Auto-civile,  non  si  capisce perchè  non  possa  esser  tale  anco  negli  altri,  negli  altri considerati  almeno  quant'  alla  loro  esistenza  originaria. Né  qui  parlo  del  modo  con  che  nelle  Vedute  eminenti SfdV incivilimento  riguarda  il  genere  umano,  figurandoselo come  xxnHndividua  personalità.  Or  queste  dottrine  con- traddicono al  Vico,  distruggon  la  Scienza  Nuova,  annul- lano il  vero  e  il  grande  significato  di  questo  libro.  Ecco dunque  perchè  il  Komagnosi  non  poteva  avere  in  molta stima  il  metodo,  nettampoco  i  principii  di  lui.  Quant' alle critiche  speciali  poi,  non  mi  paion  cosa  molto  seria, come  si  potrà  giudicare  da  queste  che  verrò  accen- nando così  per  semplice  saggio. Discutere  su  le  favole  antiche  pel  Romagnosi  è  im- presa fnwtife,  inopportuna  e  stravagante;  però  conclude che  il  Vico,  avendo  preso  la  strada  delle  favole  e  dèlie teogonie  per  giungere  alla  storia,  ha  preso  la  via  pii^ disperata  da  non  cavarne  costrutto  alcuno.  Ma  quale altra  via  men  disperata  di  questa  saprebb'egli  addi- tarci per  avventura  !  Quant'  allo  stato  ferino  dell'  uma- nità, domanda:  ma  perchè  figurar  V  uomo  primitivamente bestione,  ferino,  girovago?  Se  Vico  in  ciò  (soggiunge anche  luì  come  il  Finetti  con  una  smorfia  di  sprezzo) *  Vedi  Oputeoli  ani  vari  argomenH  di  Diritto  JUoeoJleo,  Prato,  183o, Le  Oètervaxioni  9tdla  Scieruta  Nuova  furono  scritte  nel  1821. ■  Vedi  DtW Indole  e  dei  Fattori  delV  incivilimeutOt  §  IX. 

 

 

fu  cmtesignano  di  Bousseau,  gli  rimane  una  cattiva  glo- ria!* Crede  poi  falso  il  circolo  similare  nel  corso  mo- rale e  politico  dei  popoli,  e  dà  prova  di  non  averne colto  l'intimo  significato  quand'afferma:  «  Se  «que- sto circolo  può  all'  ingrosso  verificarsi  nella  forma  dei governi,  non  si  verifica  punto  nello  stato  reale  delle popolazioni,  nelle  quali  la  decadenza  e  il  risorgimento non  sono  una  morte  ed  un  rinascimento  morale  e politico,  ma  piuttosto  metamorfosi  simili  a  quelle  che reggiamo  nei  bruchi.  Insomma  non  si  ricomincia  a6 ovo;  ma  à.  ricomincia  da  un  nòcciolo  superstite  e  mo- dificato dalle  circostanze  antecedenti  e  conseguenti, le  quali  avendo  distrutto  ciò  che  era  incompatibile, formano  un  tipo  fondamentale  d' un  altro  genere  di vita^  i> Queste  osservazioni  hann'  anch'  elle  un  aspetto  di verità  ;  ma  se  il  Romagnosi  avesse  meditato  la  Sdevusa Nuova  con  più  amore  e  men  disprezzo  e  meno  boria  a  lui, del  resto,  tanto  naturale,  avrebbe  visto  che  il  Vico  altro non  intese  dire,  come  vedremo,  se  non  quello  precisa- mente eh'  egli  stesso  ha  detto  qui  assai  male  e  senz'  al- cun  metodo  filosofico.  E  perchè  poi  reputa  impossibile  la similarità  de' circoli  storici?  Perchè  intese  anch' egli, in  modo  volgare,  come  parecchi  altri,  il  valore  di  cosi fatta  legge.  Ei  non  poteva  persuadersi  come  nella  sto- ria ci  sia  ritorni  e  ripetizione  di  forma  (meccanismo); ma  non  s'avvide  che  se  pel  Vico  nella  storia  ci  è  ri- petizioni, cotesto  ripetizioni  non  sono  possibili  senza veraci  innovazioni  (dinamismo). 

Io  non  so  capacitarmi  come  l' ingegno  potentissimo del  Romagnosi  non  penetrasse  nell'  intimo  della  Scienza Nuova.  Non  so  capacitarmi  com'ei  facesse  una  critica 

*  Certo  U  Romafirnosi  non  TÌde  che  se  il  Vico  prevenne  Roasseau  e tutti  qnei  giasnataralisti  del  secolo  XVIII  i  quali  sì  volentieri  ciarlavano sa  lo  ttato  di  natura,  li  prevenne  correggendoli,  cioè  legittimando  ra- zionalmente cotesto  stato  natarale,  col  porre  in  opera  ben  altri  prin- eipii  di  psicologia  e  di  storia  cho  non  eran  quelli  de' saddetti  filosofi. 

debole  e  scucita  cosi  che  gira  sempre  attorno  senza 

mai  coglier  la  sostanza  delle  dottrine  del  Vico.  U  che 

senza  dubbio  terrà  alla  forma  della  sua  filosofia,  della 

quale  il  Rosmini  pose  in  evidenza  i  molti  e  sostanziali  i 

difetti,  e,  nonostante  le  calde  e  lunghe  difese  del  Nova, 

i  giudizi  del  Roveretano  restano  pur  oggi  intatti  e  verL 

Il  Romagnosi,  in  ima  parola,  non  poteva  pregiar  la 

Scienza  Nuovii,  perchè  le  sue  dottrine  putiscon  di  mecca- 

nismo. Artificiale  e  meccanica  è  in  lui  la  dottrina  sul 

governo  dello  stato,  ch'ei  paragona  al  cervello  dell'ani- 

male. Artificiale  e  meccanica  la  dottrina  dei  Tesmo- 

fori  in  politica  e  in  religione  ;  le  quali  per  lui  sono 

bensì  strumenti  benefici  al  popolo,  ma  nelle  mani  dello 

stato.  E  dottrina  presso  che  meccanica  quella  de'  suoi 

Fattori  dell'  incivilimento.  *  Perfino  la  terminologia 

eh'  egli  adopera  ne  palesa  l' indole  della  mente  e  delle 

idee:  storia  naturale  dei  popoli,  fisiologia  degli  stati, 

funzioni  meccaniche  e  dinamiche  della  società,  dina- 

mica e  meccanica  morale,  e  simiU.  * 

Come  passaggio  della  critica  empirica  e  negativa 

del  Romagnosi  alla  critica  scettica  del  Ferrari,  si  pre- 

senta la  traduzione  e  l' anaUsi  che  della  Sdenjsa  Nuova 

die  alla  Francia  6  alla  eulta  Europa  l' illustre  Miche- 

let. Agli  occhi  degl'Italiani  questo  scrittore  ha  due 

grandi  meriti:  d' aver  fatto  conoscere  il  nostro  filosofo 

isin  dal  1827  fuori  d'Italia,  e,  che  più  monta,  d'averlo 

fatto  capire  nella  sua  verità  mercè  quell'  arte  facile, 

disinvolta  e  con  quel  fare  schietto  e  rapido  con  cui,  tra- 

ducendola, seppe  imprimere  alla  Scienga  Nuova  forma 

netta  e  fedele.  Se  non  che,  per  quanto  il  Michelet  non 

sia  crìtico  interprete  (né  egli  vi  pretende)  ma  critico 

espositore,  non  pertanto  i  suoi  giudizi  son  tutti  co- 

*  Si  yegga  la  definizione  che  ne  dà  nello  Leggi  dtlV ineivUimento,  §  43. 

*  Il  Ferrari  ha  rilevato  con  molta  esattezza  la  differenza  tra  Vico 

e  Bomagnosi  nel  lihro  La  menu  di  Romagnoti.  E  noE  a  torto  poi  il 

chiarissimo  professor  Ferri  pone  il  Romagnosi  come  primo  ponHvi^ta 

In  Italia.  —  Ved.  RÌ9t.  de  la  PhU.  lud.,  Tom.  1«%  Paris  1869. 

scienziosi  e  pressoché  tutti  pieni  di  verità.  Eccone  un 

saggio.  Ci  ha  due  Scienze  Nuove,  egli  dice;  ma  se  le 

Scienze  Nuove  son  due,  la  prima  d' esse  è  insieme  I 

r  ultima  parola  dell' autore  ;  ultima  quant' alla  sostanza 

delle  idee.  Un'altra  osservazione  è  questa:  carattere 

e  intento  supremo  di  codesta  Scienza  Nuova  è  quello 

d'essere  una  filosofia,  e  nel  medesimo  tempo  una  storia 

dell'umanità.  E  un'altra  riflessione  che  merita  sia 

ricordata,  è  la  seguente:  il  concetto  d'una  perfezione 

stazionaria  accennata  dal  Vico  nella  Scienza  Nuova  e 

riprodottasi  poscia  in  tanti  libri,  non  riappare  altrimenti 

nella  seconda  Scienza  Nuova.  Mi  giova  notare  con  ispe- 

dalità  quest'  ultimo  pensiero  del  Michelet,  per  correg- 

ger la  sentenza  di  tutti  quegl'  interpreti  i  quali  per 

d  lungo  tempo  ci  han  detto  e  ridetto  che  dei  corsi  e 

ricorsi  entro  cui  il  Vico  chiuse  V  umanità  (per  dir  la 

parola  consacrata),  ei  non  abbia  parlato  fuorché  nella 

seconda  Scienza  Nuova.  Non  ne  ha  parlato  mai,  in  nes- 

sun libro,  in  veruna  pagina  de'  suoi  libri  I  La  staziona- 

rietà (sia  detto  unU  buona  volta  per  tutte)  non  è  con- 

cetto vichiano.  Io  noi  trovo  esplicito,  né  implicito  in 

lui  ;  e  non  iscaturisce  in  verun  modo  dall'  insieme  delle 

sue  dottrine.  Il  concetto  del  corso  e  ricorso  storico, 

adunque,  alla  maniera  volgare  ch'é  inteso  da' più,  è 

concetto  che  assolutamente  ripugna  al  pensiero  e  alle 

scritture  del  nostro  filosofo. 

Ma  non  tutti  i  giudizi  del  Michelet  ci  paiono  ugual- 

mente giusti.  Ei  non  giugno  a  spiegar  convenevol- 

mente, per  esempio,  il  concetto  storico  del  nostro  filo- 1 

sofo  su  la  forma  del  governo  monarchico;  tanto  meno 

que'due  principii  accennati  piii  d'una  volta  nella  iScien^^a 

Nuova  e  nel  DvrìUo  Universale  su  la  necessità  in  che 

può  ritrovarsi  un  popolo  di  consentire  a  lasciarsi  gover- 

nare ov'  ei  non  sappia  governarsi,  e  su  l' affidar  l' im- 

pero del  mondo  alla  solerte  prudenza  dei  migUorì.  Il  Mi- 

chelet seppe  delle  opere  del  Duni,  ma  forse  non  potè 

leggerle:  così  parrebbe  almeno  dal  modo  con  che  lo 

SrnuAiii.  ff 

cita  fiiggevolmente  solo  una  volta.  Se  quindi  avesse  cono- 

l  scinto  il  Duni,  avrebbe  dato  al  Jus  Gentium  del  Vico  il 

suo  proprio  valore.  E  s'inganna  poi  quand' aflFerma,  che 

il  Libro  Metafisico  sia  la  sola  scrittura,  le  cui  dottrine 

non  fossero  state  trasportate  nella  Scienza  Nuova,  del 

che  lo  riprende  giustamente  il  Predari.  Ma  il  Miche- 

let ci  compensa  di  cotesti  erronei  giudizi  laddove  con 

acume  non  ordinario  confessa  di  riconoscere  nel  Vico  U 

metafisico  sottile  ,e  profondo.  E  poi  ci  dà  prova  sicura 

d'animo  spassionato  e  libero  da  ogni  boria  nazionale, 

quando,  egli  francese,  francamente  dichiara  essere  il 

Vico  r  antagonista  per  eccdlenaa  del  CartesianismOy 

l'avversario  più  illuminato  e  più  eloquente  dello  spi- 

rito del  secolo  XVIII.'  Anche  quest'osservazione  è 

d'ogni  parte  vera  e  luminosa;  perocché  se  carattere  di 

quel  secolo,  come  giustamente  si  crede,  fu  la  negazione 

assoluta,  la  negazione  in  tutto  e  di  tutti,  distintivo,  al 

contrario,  delle  dottrine  del  Vico  si  fu  quello  di  tutto 

restaurare,  e  tutto  affermare  mercè  l'opera  del  me- 

todo isterico.* 

 

E  poiché  siamo  a  parlare  de'  Francesi,  occorre  far 

menzione  degli  altri  che  in  quel  paese,  nell'epoca  di 

che  trattiamo,  non  reputarono  tempo  perso  volger  la 

mente  al  nostro  filosofo.  E  primo  fira  tutti  il  Lerminier, 

*  Vedi  Prtncipet  de  la  PhU.  de  VHiat,  traduite  de  la  Scietua  Nuova 

de  J.  B.  Vieoy  BruxeUes  1839,  pag.  lxxi.  — La  prima  Ediz.  è  del  1827. 

*  La  ridazione  fatta  dal  Michelet  détte  occasioce  iu  Italia  ad  una 

critica  del  Kicci    pubblicata  nolV  Antologia  del  Vieusseax  (Anno  1838»  1 

N.  88,  e  92).  Il  Ricci  mostra  come  lo  storico  francese  altro  non  desse 

alla  Francia  che  ì  frantumi  della  Scienza  Nuova,  e  per  cinque  diversi 

capi  ne  rileva  la  incompiutezza.  Oltre  a  questo  pregio,  negli  articoli  del 

Btcci  re  n'  è  un  altro  ;  Taver  posto  in  chiaro,  meglio  forse  che  non  facess^i 

il  Dani,  il  significato  della  parola  Autorità^  che  ne*  libri  del  nostro  filo- 

sofo non  è  di  lieve  momento,  e  mostra  che  talora  egli  assume  questa 

parola  nel  senso  del  Gius   Komano  come  sorgiva  de*  diritti  pubblici  e 

privati;  talora  com*effotto  del  consenso  d*  una  nazione  in  un  dato  prin- 

cipio; tal*  altra  come  potestà,  come  potere  ch*ò  negazione  di  ragione  e 

di  coscienza  speculativa.  Notiamo  altresì  come  il  Ricci  è  quegli,  fra*  cri- 

tici, che  più  insiste  su  l*  ufficio  del  Seneualiemo  nelle  idee  storiche  delj 

Vico.  Ved.  Art.  I,  pag.  85. 

come  quegli  che  nelle  due  principali  sue  scritture  ne 

discorre  sempre  con  entusiasmo,  con  amore  e  grande  ve- 

nerazione. Ben  s' appone  a  designar  la  Sciema  Nuova 

come  il  monumento  sublime  e  hieearro^  in  cui  è  viva  la 

impronta  delle  fofrme  e  dei  colori  dd  medio  evo,  e  che 

gittato  in  meeeo  ed  secolo  XVIIlj  fa  del  Vico  centro 

dette  antiche  tradizioni,  e  insieme  precursore  déUa  Scienza 

Nuova:  *  talché  non  a  torto  fino  dal  1829  lo  considerò 

come  il  vero  predecessore  de'  Wolf,  de'  Niebuhr,  e  degli 

Hegeliani.  Se  non  che  non  sempre  questo  dotto  e  simpa- 

tico scrittore  dà  nel  vero,  come  quando  lo  dichiara  padre 

dell' JEfcfewswto  moderno,^  o  come  laddove  osserva  che 

nella  storia  del  mondo  egli  trasportasse  quella  di  Roma. 

Lerminier  non  vide  che  di  questa  seconda  istoria  ei  gio- 

V06SÌ  a  meglio  intender  la  natura  della  prima,  alle  storie 

tutte  e  perfino  alla  storia  universale  trasferendo  gli  ele- 

menti essenziali,  originari,  universali  costituenti  la  na- 

tura umana.  Assai  meglio  avrebbe  detto  d'aver  egli  tras- 

ferito la  psicologia  nella  storia,  anzi  che  la  storia  di 

questo  0  quel  popolo  alla  storia  di  altri,  ovvero  a  quella 

di  tutt'i  popoli  in  universale.  Né,  d'altra  parte,  il  Vico 

intese  applicare  una  legge  alla  storia  in  generale;  er- 

rore, come  vedremo,  dei  Teologisti  e  degli  Hegeliani: 

intese  bensì  applicarla  ai  popoli  considerati  nelle  indi- 

viduali lor  tradizioni  e  civiltà.  Tanto  meno  poi  é  lecito 

creder  eh'  egli  ponesse  identità  fra'  tempi  eroici  primi- 

tivi e'  '1  medio  evo:  bensì  è  vero  eh' e'  vi  discemesse  un 

moto  perenne  di  ripetizione  essenzialmente  progressiva. 

Altrove  il  Lerminier,  parlando  del  Machiavelli,  os- 

serva come  r  autore*  della  Scienza  Nuova  correggesse 

lo  spirito  storico  del  Segretario  fiorentino,  mercé  una 

pciitica  ideale  e  platonica.  '  Questa  sentenza  in  parte 

è  vera;  e  dico  in  parte,  poiché  si  può  chiedere  se 

co'  suoi  principii  applicabili  alla  politica,  il  Vico  abbia 

•  Vedi  Introd.  gin.  à  VHitioire  du  Droit,  cap.  Xm. 

*0p.  cit.  pag.  167. 

•  Vedi  JKrt.  de  la  Phtl,  du  Droit,  Tom.  U,  pag.  102. 

corretto,  o  non  piuttosto  compiuto  ciò  che  nel  Machia- 

velli è  solamente  arte  politica.  Tutt'  insieme  dunque  può 

dirsi,  che  se  la  critica  del  Lerminier  non  è  molto  acuta 

né  molto  sicura  in  alcuni  giudizi,  ella  riesce  nondimeno 

a  cogliere  con  lucidezza  tutta  francese  la  natura  e  '1 

fine  della  mente  e  deUe  opere  del  nostro  filosofo.' 

 

Su'  giudizi  del  Lerminier  riguardanti  le  idee  giurì- 

diche e  politiche  del  Vico  torneremo  in  altra  occasio- 

ne. Qui  giova  notare  come  in  Francia,  quasi  nel  mede- 

simo tempo  in  che  gli  scrittori  di  cui  abbiamo  accennato 

facevan  conoscere  il  nostro  filosofo,  altri  presero  a  par- 

lame  come  il  Gousin,  Teodoro  Jouffroy,  il  Ballanche. 

Tutti  ripeton  le  usate  lodi,  e  qualche  giudizio  del  Gou- 

sin, al  solito,  a  volerlo  sottilmente  esaminare,  non  riesce 

molto  esatto.  Quando  vuol  fard  credere,  per  esempio, 

che  il  Vico,  benché  combattesse  Gartesio  ne  seguiva 

nuUameno  la  filosofia  generale^*  ognuno  capisce  com'ei  si 

studi  attaccare  al  gran  carro  del  cartesianismo  perfino 

il  Vico;  quasi  che,  anco  a  detta  del  francese  Miche- 

let, non  ne  fosse  stato  anzi  V  avversario  piii  terribile. 

E  va  lungi  dal  vero  quand'  osserva,  che  tutto  ciò  che 

è  nel  Bossuet  e  nel  Vico  trovasi  in  Herder;  '  quasi  che 

si  possa  ignorare  che  Fautore  della  Metacritìca  contro 

il  Kant  non  fosse  altro  che  un  buon  sensista,  il  quale 

'  perciò  non  dubitava  credere  che  dall'  organismo  pul- 

lulasse ogni  nostro  pensiero  e  facoltà:^  nella  quale 

sentenza  ci  conferma  il  suo  traduttore  francese  il  Qui- 

net.  U  Gousin  poi  dice  il  vero  laddove  pone  l'Herder 

'  come  compimento  del  Vico  quant'  al  concetto  della  na- 

tura e  della  efficacia  che  la  natura  dispiega  sulla  storia. 

Ma  avrebbe  dovuto  avvertire  che  s'egli  è  compimento 

 

*  Eccone,  per  esempio,  una  prora  nella  seguente  arguta  osserraxione: 

<  Quand  n<nu  voyont  Vioo  rentier  nevi  au  iorrent  du  dix-teptième  et   du, 

dix'huiHhne  aiècU  paur  enfomttr  U  dix-neuvihnef  nouB  pouwma  à  coup  •ùr 

lui  décemer  le  nom  dt  genie  originai,  Pag.  168.  Tom.  cit. 

*  Vedi  CoiTBiK,  down  eie,,  2*  Serie  Tom.  II,  p.  882. 

*  HiH.  gin.  de  la  phtl.  le^  XI. 

^  Vedi  HiBOBB,  mst.  Ub.  I,  Cap.  II. 

del  Vico,  Herder  stesso  vuol  esser  compiuto  col  Vico 

quant'  al  modo  razionalmente  organico  ond^  il  filosofo 

italiano  usa  guardare  i  fatti  storici.  Quel  medesimo  con- 

cetto che  forma  tutto  l' onore  di  Herder,  costituisce  la 

sua  condanna.  Con  V  idea  della  natura,  infatti,  Herder 

non  poteva  rintracciar  le  fila  del  vero  progresso  della 

storia,  appunto  perchè  il  processo  di  natura  non  è  pro- 

gresso. E  se  con  tanto  entusiasmo  ei  discorre  sul  princi- 

pio della  tradizione  umana  che  per  lui  costituisce  Tin- 

tdUUo  dd  genere  umano;  a  tal  principio  egli  stesso 

contraddice  quando,  per'  esempio,  esce  in  quella  nota 

apostrofe  a' popoli  orientali,  nella  quale  ha  pur  cuore 

di  rallegrarsi  della  loro  immobiUtàl  Se  dunque  è  vero 

che  Herder  per  un  verso  compie  il  Vico,  è  verissimo  che 

per  un  altro  il  secondo,  non  solo  compie,  ma  corregge 

il  primo. 

 

Molto  più  vero  del  Cousin  ci  sembra  V  acuto  Joufiroy 

nell'  ingegnoso  riscontro  eh'  ei  fa  tra  Bossuet,  Vico  ed 

Herder,  quando  rassomiglia  il  nostro  filosofo  ad  una  gran 

hice,  che  in  mezzo  a  fosca  nube  diffondesi  a  larghi  sprazzi. 

E  parlando  del  Montesquieu  coglie  il  vero  dove  afferma, 

che  se  questi  cerca  lo  spirito  delle  istituzioni,  il  filosofo  ' 

italiano  vi  si  profonda  tanto  da  scrutarne  le  leggi  :  leggi 

non  solo  delle  istituzioni,  ma  di  tutto  ciò  che  può  espri- 

mer r  umano  pensiero  ;  leggi  dello  stesso  pensiero  entro 

cui  ed  in  cui  le  altre  tutte  di  natura  sì  compendiano 

e  consistono.*  Non  basterebbe  tale  osservazione  a  pro- 

var come  Jouffroy  penetrasse  a  meraviglia  nel  midollo 

della  Scienza  Nuova?  Gloria  del  Vico  (afferma  poco  piii 

giù)  è  r  aver  concepito  come  lo  svolgersi  e  '1  vivere  del- 

l' umanità  soggiaccia  ad  una  legge  ;  e  questa  legge  è 

d'uopo  indagar  nella  storia.  Osserva  ancora  che  nella 

Scienza  Nuova  ha  luogo  una  lotta,  una  lotta  continua^ 

fra  '1  metodo  geometrico  e  il  metodo  induttivo;  ed  è 

cotesta  lotta  che  ne  turba  ad  ogni  passo  V  andamento 

«  Vedi  JoUFFBOT,  MOangt»  phUoeaph.,  Bruxelles,  1881,  pag.  65. 

e  la  composizione.  E  anche  questo  è  vero  ;  ma  non  sa- 

rebbe vero  dove  se  ne  volesse  concludere  che  dunque 

coiai  lotta  non  si  risolva  a  nulla,  stantechè  il  metodo  del 

Vico  non  sia  propriamente  metodo  geometrico,  né  metodo 

pOramente  induttivo  ;  il  che  certo  avrebbe  visto  quel  dotto 

filosofo,  se  dello  scrittore  napoletano  non  avesse  cono- 

sciuto altro  che  la  Scienza  Nuova,  come  noi  sospettiamo. 

Verissima,  finalmente,  è  V  osservazione  con  cui  Joufifroy 

chiude  il  suo  studio  critico  su  le  tre  grandi  opere  da 

lui  esaminate,  dicendo  che  T  opera  del  Vico  è,  senza 

contraddizione,  la  plt^  historique  et  la  plus  nud  faUe 

delle  altre  due. 

Del  Ballanche  diremo  solo  eh'  ei  mostrossi  lodatore  e 

fanatico  ammiratore  del  Vico  di  guisa  che  volle  imitarlo 

vestendone  i  pensieri  poeticamente.  Ma  il  nostro  filosofo 

a  lui  piaceva  massimamente  per  la  importanza  e  va- 

lore ch'ei  porge  al  senso  religioso  :  piacevagU,  insomma, 

pel  carattere  ortodosso  che  ne  informa  le  scritture. 

Come  poteva  dunque  risparmiare  il  biasimo  all'autore 

della  Scienza  Nuova  d' aver  posto  fuori  del  processo  tra- 

dizionale quello  della  civiltà,  e  dato  a  questo  un'  origine 

affatto  naturale  e  spontanea?  ^ 

Ed  ora  tornando  in  Italia,  ci  è  dato  assistere  ad  un 

movimento,  diremo,  febbrile  nello  studiare,  nell'  inter- 

*  Vedi  Ballanohe,  Opere,  Parigi,  1880  nel  Voi.  III.  —  Notiamo  qui  di 

passaggio  e  per  ragion  cronologica,  come  prima  ancora  che  in  Fran- 

cia si  divulgasse  la  fama  del  Vico,  in  Germania  era  apparsa  una  tra- 

dazione  della  Scienza  Nuova  fotta  da  G.  E.  Weber.  La  prefazione  che 

ir*ò  premessa  non  è  molto  faroroTole  al  Vico,  ed  è  scritta  con  passione.^ 

Ha  ai  passionati  giudizi  del  traduttore  tedesco  vennero  poscia  ripa- 

rando dapprima  il  GOscbel,  profondo  ammiratore  delle  dottrine  del  no- 

stro lilosofo  eh*  egli  contrapponeva  ad  Hegel,  e  poi  il  Moller,  ed  il  Cauer. 

Il  modo  col  quale  il  G{)sobel  parla  del  Vico,  nonchò  le  difese  del  Mailer  1 

contro  gli  attacchi  d*un  anonimo  scrittore,  sono  molto  rilevanti.  Singo- 

lare il  giudizio  d'alcuni  Tedeschi  sulla  Dipintura  che  il  Vico  premise 

alla  seconda  Scienza  Nuova.  Agli  occhi  di  Weber  cotesta  dipintura  parve 

sciocchezza;  a  quelli  del  G<tochel,per  contrario,  è  sembrata  mirabil  cosa, 

e  quasi  compendio  delle  dottrine  storiche  fondamentali  del  nostro  Alosofo. 

—  Vedi  i  giudizi  del  Cantoni  sopra  questi  tre  autori  ne'  suoi  ShuU  critiei  ! 

t  eomparativit  cap.  XVIII. 

pretare  e  svolgere  le  dottrine  del  Vico.  Gli  studi  critici 

e  r  edizioni  crescono  e  s'incalzano  dal  1835  in  giù.  Primo 

fra  tutti  è  da  ricordare  il  dotto  toscano  L.  T.  (Luigi  \ 

Tonti)  che  fuori  d^  Italia  pubblicava  un  libro  di  critica 

su  la  Scienza  Nuova.  Ei  non  conobbe  gli  studi  del  Fer- 

rari che,  giusto  quell'anno,  con  ardimento  giovanile  po- 

neva mano  alla  grande  edizione  milanese  delle  opere 

del  Vico.  Il  Tommaseo  lodò  il  libro  del  Tonti  otto  anni 

avanti  eh'  egli  stesso  pubblicasse  i  suoi  Studi  Critici  sul 

medesimo  autore  ;  ma  se  il  Tonti  avesse  conosciuto  i  la- 

vori del  Ferrari  nonché  quelli  dello  lannelli,  l'opera  sua 

certamente  sarebbe  riuscita  più  feconda  nei  particolari. 

Suo  merito  è  d' aver  saputo  esporre  le  più  astratte  e 

confuse  dottrine  della  Scienza  Nuova  in  forma  chiara, 

semplice,  schietta  e  senza  pretensioni:  e  ad  ingegno  to- 

scano, rapito  troppo  presto  ai  severi  studi,  tale  arte  non 

potea  far  difetto.  Versato  nella  erudizione  storica  e  giu- 

ridica egli  ha  cura  di  rilevar  le  attinenze  fra  il  Ma- 1 

chiavelli  e  '1  Vico,  tra  il  Vico  e  il  Gravina,  e  tra  '1  Vico 

e  i  giusnaturalisti  di  poco  anteriori  a  lui.  Le  pruove  filo- 

logiche e  filosofiche  riguardanti  la  dottrina  mitologica 

della  Sdenea  Nuova  sa  coglier  giusto  e  nettamente  di- 

chiarare.* Ma  nella  terza  parte  del  suo  libro,  eh'  è  ap- 

punto la  parte  critica,  dice  ritrovar  nel  filosofo  napole- 

tano due  difetti,  su' quali  discorre  a  lungo:  1*  d'aver  egli 

dato  all'umanità  le  leggi  stesse  dell'individuo,  poco  ol 

punto  considerando  quelle  che  risultano  dal  consorzio 

civile  (difetto  oggi,  come  vedremo,  apposto  al  Vico  anche 

dal  Mamiani):  2*  d'essere  stato  incerto  su  l'ultima  de- 

stinazione dell'umanità.' 

Quant'  al  primo  appunto,  a  noi  non  sembra  vero  che 

il  filosofo  di  Napoli  abbia  ragguagliato  l'individuo  al- 

Yumanitàf  bensì  ai  popoU,  alle  nazioni  :  non  al  genere, 

bensì  alla  specie.  Di  fatto,  anzi  che  di  genere  umano, 

e' ci  parla  di  tradizioni,  di  popoli,  di  nazioni  e  civiltà  che 

*  Vedi  Saggio  9opra  la  Seienna  Nuova.  Lugano,  lSd5,  pag.  47. 

*0p.  cit.  pag.  200. 

sorgono  e  dechinano  ;  e  fu  lo  lannelli,  e  più  ancora  i  so- 

I  cialisti  francesi  che  intesero  la  cosa  a  tal  modo,  non  già 

r  autore  della  Sdenea  Nuova.  Così  pure  è  da  rispondere 

alla  seconda  difficoltà.  Come  autore  della  Scienza  Nuova 

non  può  dirsi  eh'  e' fosse  certo,  ne  incerto  sul  destino  del 

mondo,  perchè  cotesto  scopo  trascendeva  i  confini  del 

soggetto  su  cui  versava  la  sua  mente.  La  Scienza  Nuova 

è  scienza  della  storia  :  è,  innanzi  tutto,  scienza  dei  fatti 

umani;  ma  de' fatti  umani  passati,  non  già  futuri.  Or 

la  filosofia  della  storia  indaga  il  passato,  il  quale  a  no* 

stro  bell'agio  possiamo  ricercar  ne' suoi  modi,  nelle  sue 

leggi,  nelle  sue  relazioni  di  tempo  e  di  spazio,  ma  non 

può,  non  dee  spinger T occhio  nell'avvenire,  che  solo  ci  è 

dato  a  mala  pena  indovinare.  La  destinazione  del  mon- 

do, adunque,  è  soggetto  di  ben  altra  scienza.  Che  se  il 

Vico  giugno  a  mostrare,  come  vedremo,  una  legge  anche 

nel  futuro;  i  modi  speciali  e  le  speciali  forme  di  essa 

ci  riescon  assolutamente  ignote;  e  però  il  Ubro,  come  il 

metodo  di  lui,  riveste  indole  meditativa,  indagativa,  non 

già  speculativa,  dialettica,  a  priori^  ontologica  e  che  so 

io.  Il  perchè  non  ci  fa  maraviglia  se  anche  il  Tonti  parla 

come  d' un  grand'  errore  dove  accenna  alla  dottrina 

de'  corsi  e  ricorsi  storici  del  Vico. 

Questo  lavoro,  del  resto,  è  scritto  in  modo  che  in- 

voglia a  leggerlo  d' un  fiato.  Sotto  quelle  parole  appa- 

rentemente calme,  serene,  spesso  anche  fredde,  ma 

sempre  chiare  e  talora  eleganti,  sentesi  certo  calor 

vitale  che  manifesta  la  fede  nelle  dottrine  intomo  a 

cui  medita  lo  scrittore.  Belle  senza  dubbio  le  conside-'^ 

razioni  sul  movimento  civile  e  scientifico  in  Francia 

ed  in  Germania  verso  la  seconda  metà  del  secolo  XVIII; 

pieno  di  verità  il  riscontro  tra  i  filosofi  francesi  e'I 

Vico  :  e  quello  tra  Vico  ed  Herder  segnatamente  mostra 

com'egli  intendesse  appieno  la  distanza  che  separa^ 

Hegel  dal  Vico  nel  concetto  storico  in  generale.* 

*  n  Tonti  fa  il  primo  ad  accorgersi  che  il   Gans  nella  sua  Storia 

Ma  r  amore  e  V  interesse  degli  studi  sul  Vico  va 

sempre  più  crescendo,  e  due   edizioni  di  tutte  le  sue 

opere   s'imprendono   dal  Ferrari   e   dal  Predari   nel 

medesimo  anno  e  nella  medesima   città.  '   Il  Predari 

sperava   di   riuscir  meglio  nella  nobile  impresa;   ma 

arrestossi  ad  im  primo  volume  entro  cui  raccolse  tutte 

le   scritture  latine,  e   vi   adunò  note   e  schiarimenti  I 

infiniti  che  non  mancano  di  pregi.  Per  esempio,  egli  pone 

in  chiaro  i  legami  esistenti  fra  V  Orazione  su  la  Bagùm  \ 

degli  stujii,  il  Diritto  Universale  e  il  Libro  Metafisico;^ 

nel  che  ha  spiegato  tanta  accuratezza,  che  nessun  cri- 

tico posteriore  ci  è  parso  T abbia  saputo  superare.*  In- 

gegnosa r  osservazione  su  lo  scritto  De  mente  heroica^  \ 

eh'  ei  dice  potersi  considerare  com'  esordio  oratorio  a 

tutte  le  opere  del  nostro  filosofo.  La  verità  di  questcT  giu- 

dizio si  farebbe  chiara,  se  la  Mente  eroica  del  Vico  non 

aspettasse  pur  sempre  la  pietà  d'un  traduttore,  e  pili  an- 

cora d'un  interprete  fedele,  essendo  libro  di  molto  valore,^ 

stante  che  ritragga  la  natura  ddla  mente  rivelatrice  e  la 

virtù  dell'  ingegno  inventivo  per  eccellenza.  Egli  inoltre 

vede  giusto  dove  chiama  erronea,  come  sopra  avver- 

timmo,  queir  asserzione  del  Michelet  riguardante  il 

Libro  Metafisico;  al  qual  proposito  nota  felicemente  che 

la  maggior  parte  delle  idee  di  quesf  opera  circolano^  a\ 

eoA  dire,  per  tutte  le  parti  vitali  détte  successive  sue 

scritture.  Vere  anche  quelle  riflessioni  su  l'analisi  e 

su  la  sintesi;  le  quali,  com'è  noto,  il  Vico  piglia  in. 

ben  altro  senso   che  non  facessero  Cartesio,  Spinoza 

e  Leibnitz.  E  parmi  poi  che  questo  dotto  commenta- 

tore sia  riuscito  anche  a  sciogliere  certo  nodo  in  che 

delle  saccessioni  applica  il  sistema  del  Vico  nella  Storia  del  diritto  pri- 3 

Tato  delle  famiglie.  Op.  cit.,  pag.  198. 

*  Vedi  Op.  del  Vico  con  tradozioni  e  commenti  di  Franoksoo  Fri-  \ 

DAU.  Milano,  Braretta,  1885.  —  Op.  del  Vico  ordinate  ed  illastrate  col- 

r  analisi  storica  della  mente  di  Vico  in  relazione  alla  Scienza  della  ci- 

viltà da  OnnsiPPK  Fbrbart.  Milano,  Società  Tipografica,  1885-87.—  Edi- 

tion  complète  des  oKiTres  de  Vico  en  six  toI.  Paris,  1885-87. 

abbiam  visto  intrigarsi  tutti  quelli  che  han  parlato  del 

metodo  del  Vico.  Si  sa  quant'  egli  condannasse  il  me- 

todo geometrico  nelle  scienze  morali.  Ma  forse  che  con 

ciò  intese  condannare  quello  stretto  ardine  geometrico  che 

troviamo  commendato  segnatamente  nel  Diritto  Uni' 

versale?  No,  certo.  Con  vari  argomenti  il  Predari  mo- 

stra come  il  Vico  abbia  celatamente  avversato  la  sintesi 

;  cartesiana;  quella  sintesi  che  nel  linguaggio  de^ primi 

cartesiani  suonava  propriamente  analisi.  Non  s'ha  dun- 

que a  confondere  col  metodo  propriamente  matema- 

tico la  dimostrazione  geometrica  da  lui  tanto  celebrata 

e  creduta  necessaria  anco  nelle  scienze  morali:  non 

\methodum  geometrìcam,  sed  demonstrationem  ipsam  inh 

jportandam.  Non  il  metodo,  ma  sì  l'efficacia  del  metodo 

geometrico  vuol  esser  trasferita  nelle  scienze  morali. 

Siffattamente  il  Predari  ha  chiarito  assai  meglio  del 

Ferrari  cotesto  punto.  Col  metodo  geometrico  la  mente 

del  matematico  s' ìsola,  si  astrae,  si  chiude  in  sé  me- 

desima, e  lavora  componendo.  Ecco  la  sintesi  di  Car- 

tesio, almeno  come  la  intendeva  il  Vico.  Ora  questa 

sintesi  in  sostanza  è  l'analisi  di  cui  egli  parla,  e  ch'egli 

stesso  condanna,  appunto  perchè  non  vuol  già  isolare 

il  pensiero  nello  stesso  pensiero,  ma  diffonderlo  nella 

etoria.* 

 

Ed  ora  eccoci  al  Ferrari.  Nel  Ferrari  veggiamo  rac- 

colti tutt'  i  meriti  e  tutt'  i  difetti  dei  critici,  degP  inter- 

preti, de'  seguaci,  degli  espositori  e  degli  oppositori  del 

Vico  passati,  presenti  e  fors'  anco  futuri.  Di  lui  tocche- 

remo anche  in  altro  luogo.  Qui  diremo  solamente  quanto 

basti  per  apprezzar  la  critica  fatta  al  suo  maestro^ 

com'ei  chiama  il  Vico.  Innanzi  tutto  notiamo  questo: 

chi  vuole  studiar  le  opere  del  nostro  filosofo  non  può 

'  Dobbiamo  lamentare  che  il  Predari  non  abbia  mandato  a  compi- 

mento (a  quel  che  noi  sappiamo)  la  sua  edizione,  che  certo  sarebbe  stata 

migliore  dell*  altra  del  Ferrari,  del  quale  ei  mostra  le  moltissime  e  ta- 

lora incredibili  mende.  Nò  poco  pregoToli  ci  sembrano  poi  le  molto 

correzioni  storiche,  filologiche,  e  cronologiche  allo  stesso  Vico,  nonchò' 

gli  emendamenti  alle  citazioni  di  lui 

fare  a  meno  dell'edizione  del  Ferrari;  ma  chi  desideri 

intenderlo,  si  guardi  bene  dal  leggere  anche  per  isvago 

l'analisi  della  mente  eh'  egli  ne  fa,  prima  d' avere  stu- 

diato il  Vico.  Il  gran  merito  del  Ferrari,  e  perciò  la 

parte  piii  profittevole  della  sua  grande  edizione,  è  quel 

riscontro  continuo  ed  esatto  delle  note  comparative,  delle  1 

illustrazioni,  de'ravvicinamenti  ond'ella  è  piena,  massime 

neUe  due  Scienze  Nuove.  La  parte  positiva,  paziente, 

fruttuosissima  de'  suoi  studi  è  appunto  questa.  Nessuno 

ha  potuto  far  altrettanto,  e  tutti  dobbiamo  essergli 

grati  per  averci  messo  in  grado  di  potere  studiare  age- 

volmente questo  filosofo.  Altro  suo  merito  è  quello  d' aver 

sorpreso  il  Vico  in  più  contraddizioni  :  massime  in  quella,  1 

in  lui  evidentissima,  tra  l'uomo  credente  e  il  filosofo 

della  storia.  Merito,  da  ultimo,  l'aver  saputo  eccitare 

nell'  animo  di  tutti  ammirazione  ed  entusiasmo  per  l' in- 

gegno e  gli  studi  del  filosofo  napoletano;  e  stupenda  per 

verità  e  per  calore  singolare  è  TanaUsi  a  cui  sottopone 

la  mente  di  lui.  La  Mente  del  Vico  del  Ferrari  è  una 

monografia  unica  nel  suo  genere:  acuta,  ingegnosa,  ani- 

mata, afiascinante  dall' un  capo  all'altro.  Nelle  sue  mani 

il  pensiero  del  Vico  rende  immagine  sto  per  dire  d' un 

organo  che  l' anatomista  riduce  in  frammenti,  in  cel- 

lule, ed  in  ciascun  frammento,  in  ciascuna  cellula  va 

rintracciando  l'aura  vitale.  £  il  Ferrari  supera  se  stesso, 

ripeto,  quando  descrive  e  con  vivacissimi  colori  piglia  a 

pennelleggiare  nello  stesso  pensiero  del  suo  filosofo  l'in- 

tima lotta,  il  segreto  contrasto  fra  l' uomo  vecchio  e  ' 

l'uomo  nuovo.* 

Tutto  questo  è  vero.  Ma  il  Ferrari  è  scettico,  scet- 

tico sistematico,  scettico  tutto  d'un  pezzo I  Una  prima 

*  Carlo  Cattaneo  arrerte  cotesto  pregio  del  Ferrari.  H  Ferrari,  egli 

dice,  tmmagind  un  nuovo  ramo  d*  ideologia  ;  loiciate  le  aeiranoni  deW  uomo 

generico,  prete  a  studiare  il  pensiero  epedjioo  nelle  menti  grandi  e  origi' 

noli.  Egli  ama  ^[uaei  studiare  V  architettura  ne*  monumenti  di  Boma  e 

é^ Egitto^la  vegetazione  neUe  selve  tropicali f  le  roeeie  nelle  Mpi  o  ntXP  Etna; 

la  guerra  nelle  marcie  di  Cesare  o  di  Napoleone,  —  Vedi  Vico  e  V  Italia, 

nel  Poliucnieo,  Voi.  II,  pag.  257. 

domanda  perciò  potrebb'  esser  questa  :  poteva  egli  in- 

tendere la  fede  profonda  del  suo  maestro  nella  filosofia, 

nella  vita  della  storia  umana  e  nella  perenne  e  progres- 

siva attività  del  pensiero?  No:  nella  mente  del  Vico  ei 

dovea  scorgere  specchiata  la  forma  del  proprio  ingegno, 

la  immagine  propria,  1'  arruffio  singolare  delle  proprie 

idee,  le  contraddizioni  palpabili,  i  paradossi  evidenti, 

scintillanti  onde  porgono  spettacolo  ingegnoso  e  pur 

gradito  le  sue  scritture.  Dovea  ritrovarci  l' agitazione 

furiosa  del  proprio  sentire.  Dovea  scorgervi  un  fatalismo, 

una  forza  cieca,  estranea  e  quasi  attergata  che  spinge 

la  mente  del  Vico  ad  estrinsecarsi,  per  esempio,  in 

quattro,  nò  più  né  meno  di  quattro  periodi.*  Così  agli 

occhi  di  questo  -critico  il  nostro  filosofo  non  è  che 

una  lunga  serie  di  contraddizioni;  sicché  riesce  im- 

potente nella  speculazione  filosofica  e  povero  d'  ogni 

vigor  metafisico,  appunto  perché  incapace  a  sciogliersi^ 

dal  dubbio,  e  conseguir  la  scienza.  Trentanni  di  lavoro 

ignorato  partorirono  la  Scienza  Nuova,  egli  dice.  Or  bene, 

sopra  cotest'  amplissima  tela  di  trent'  anni  il  Ferrari  si 

accinge  a  far  le  sue  prime  prove.  Vi  lavora  con  entu- 

siasmo febbrile  ;  ma  in  sostanza  non  riesce  a  far  altro  che 

anatomia,  perocché  in  ultimo  costrutto  non  sa  darci 

che  ossa  spolpate,  nervi  nudi  e  distratti,  muscoli  spo- 

stati e  lacerati,  visceri  frantumati,  cranio  spaccato,  cer- 

vello polverizzato.  Ecco  precisamente  il  Vico  del  Fer- 

rari. Chi  saprà  riconoscerlo?  Io  no,  certo;  e  ne  porgo 

qualche  esempio  che  prendo  a  caso.  Quanto  alla  psUxh 

logia^  egli  dice,  Vuomo  pd  Vico  rimane  sempre  nel- 

*  Che  il  Ferrari  abbia  riflettuto  sé  stesso  nel  Vico,  si  può  credere  che 

lo  confessi  egli  medesimo  con  aria  d*  ingenuità  da  fargli  onoro,  quando, 

rispondendo  a  certa  crìtica  acerba  mossagli  contro  da  Guglielmo  Librì,  si 

loda  d*  essere  stato  il  primo  a  giovarsi   delle  varianti  e  delle  ritratta-  i 

zioni  del  Vico  per  designare  lo  svolgimento  storico  delle  suo  proprie  ' 

dottrine.  U  Vico,  egli  dice,  mi  offriva  ufC occanone  unica,  peréhì  U  9ue  opere 

non  tono  che  una  lunga  nerie  di  varianti.  Variante  pel  Ferrari  suona  con- 

traddizione. Vedi  nella  II*  Lett.  ai  Redattori  del  Journal  dea  Savana  in  ' 

risposta  alle  censuro  del  Libri. 

r  attitudine  in  cui  era  stato  coUocato  da  Platone  e  da Cicerone  :  sempre  le  idee  divine  che  si  svegliano  óJX  oc- casione delle  sensazioni:  sempre  quella  doppia  natura di  spirito  e  di  materia  e  la  stessa  esitazione  di  Carte- 

siOy  Malébranchej  Leibnitz  a  colmare  V  abisso  che  le  56»' 

para:  sempre  V  induzione  che  si  avanza  oMa  scoperta,  e 

la  ragione  che  dà  V  ordine  e  la  riprova:  sempre  infine 

con^astate  le  usurpaziofii  geometriche  del  metodo  car- 

tesiano.^ 

Chi  non  direbbe  che  il  Ferrari  abbia  assai  ben  poco 

Dieditato  il  Libro  Metafisico  e,  più  che  il  libro,  la  mente 

del  suo  autore?  Queste  parole  basterebbero  a  mostrar 

chiaro  il  modo  con  che  quest'uomo  tanto  ingegnoso 

conduce  la  sua  critica.*  A  veder  poi  con  qual' esattezza 

parli  di  storia  della  filosofia,  basti  quest' afiermazione  : 

aver  il  Vico  studiato  il  Leibnitz,  dal  Leibnitz  essere  stato 

condotto  a  ricostruire  le  tradizioni  italiane  nel  Libro  ' 

Metafisico,  d'avere  accolta  la  sua  Monadologia,  e  simili. 

Or  dove  son  le  pruove  di  tutto  ciò?  Il  Ferrari  non  è  un 

pedante,  non  è  uno  scolastico  :  egli  non  ha  bisogno  di 

provare  1  Fatto  sta  che  il  Vico  non  cita  mai  né  opere, 

né  dottrine,  né  sentenze  di  Leibnitz,  di  cui  rammenta  ap- 

pena il  nome,  il  solo  nome  due  volte;  e  vedremo  quando, 

dove  e  perchè  lo  rammenti.  Vera  bensì  è  l' osservazione 

che  gli  scritti  latini  del  Vico  racchiudano  il  suo  sistema 

metafisico,  da  lui  sempre  supposto  e  non  mai  esposto.* 

Ma  non  possiamo  indirizzare  allo  stesso  Ferrari  que- 

sto medesimo  rimprovero?  Perchè  lo  avete  sempre 

supposto  cotesto  sistema,  e  non  indagato  e  giustificato 

e  corretto  mai  ne'  vostri  lunghi  commenti?  *  Dice  che  il 

«  Vodi  La  Mente  dd  Vico.  Ediz.  Mil.  Voi  I,  pag.  112. 

'  n  mede«Ìmo  tenore  di  critica  egli  segue  nei  Proemi  al  Diritto  < 

UnivenaU  e  al  Libro  Me^JUieo,  voi.  II  e  III. 

'  Vedi  Prefaz.  alla  Mente  dd  Vico,  pag.  9. 

*  n  Ferrari  ayrebbe  avuto  grand*  attitudine,  se  lo  scetticismo  non 

avesse  ridotto  in  polvere  fosforica  il  suo  ingegno,  a  comprendere  ed 

esplicare  la  dottrina  metafisica  del  suo  maestro.  Talvolta  ne  dà  segni 

evidenti,  per  esempio  laddove  afferma  che  V  intima  unione  tra  la  finoa 

Vico,  avendo  isolato  nelle  fasce  della  sua  metafisica  il 

corso  delle  nazioni,  andò  a  rovinare  contro  le  vaste  fé- 

derajnoni  della  civiltà  moderna.  D  critico  e  V  interprete 

qui  vien  meno,  e  in  quella  vece  abbiamo  il  politico 

federalista  che  ad  un  suo  preconcetto  si  studia  subordi- 

nare un  principio  del  maestro.  E  quando  afferma  che 

col  circolo  similare  questi  rovescia  perpetuamente  le  nor 

eioni  dalla  Monarchia  aUa  barbarie,  sarà  lecito  chiedere 

al  Ferrari,  se  questo  principio  possa  esser  rigorosamente 

dedotto  dall'  insieme  delle  dottrine  del  Vico,  o  se  più  ve- 

ramente non  esista  una  splendida  legge  di  progresso,  un 

processo  in  quel  suo  ternario  storico  e  nella  successione 

delle  forme  politiche  come  ei  le  considera?  Ma  eccola 

contraddirsi  quando  afferma  che  il  Vico  arresta  U  corso 

delle  nazioni  alle  grandi  monarchie.  Questo  à  vero  :  ma 

perchè  dimenticare  che  la  grande  monarchia  pel  Vico 

è  la  Monarchia  civile;   quel  reggimento  politico  nel 

quale  il  mondo  moderno  (dopo  il  ricorso  storico)  si 

ferma  e  devesi  fermare,  appunto  perchè  è  il  governo, 

r  impero  della  ragione  spiegata?  Nella  seconda  Scienza 

Nuova,  egli  dice,  il  Vico  giunge  a  distruggere  Omero. 

Ma  non  Tavea  già  beli' e  distrutto  nella  Prima,  per 

non   dire   anche  nel  De  Constantia   PhUologia  dove 

il  dubbio  traspare  evidentissimo?  Per  un'  anomalia  U 

genio  del  Vico  profetizzò  le  verità  dd  secolo  XIX.  Be- 

nissimo: oh  perchè  dunque  non  avete  spiegato,  com-! 

mentato,  fecondato,  ravvivato  cotesto  verità?  Perchè 

non  ci  avete  presentato  V  uomo  nuovo  svestendolo  delle 

vecchie  ciarpe?  Sono  forse  il  dubbio  e  lo  scetticismo 

sistematico  le  verità  del  secolo  XIX  ? 

L'esagerazione  del  Ferrari  passa  il  segno  là  dove 

afferma  che  nella  Scienza  Nuova  il  suo  maestro  siasi 

inalzato  a  creare  geometricamente  la  storia  deU'umanUàf 

a  farla  con  la  meditagione,  a  farne  una  storia  ideologica^ 

e  la  metaJUica  eo9t%tui»eé  tutta  la  forza  e  la  grandetta  dd  9%Hema  di  Vico, 

e  quasi  una  geometria  umanitaria.  Io  stimo  V  ingegno 

potente,  vivacissimo  del  Ferrari,  e  leggo  e  leggerò  sempre 

con  trasporto  i  suoi  libri.  Ma  c'è  egli  una  ragione  di 

cotesta  critica  che  comincia  col  caos  e  finisce  nel  caos? 

La  ragione  e'  è,  ed  è  tutta  nei  suoi  principii  filosofici. 

Tutto  ciò  che  v'è  di  fisiologico,  di  fisico,  di  naturale, 

d'istintivo,  di  meccanico  nelle  dottrine  vichiane,  tutto 

questo  egli  ha  saputo  organare  a  sistema,  e  con  ardire  e 

con  ingegno  senza  esempio  nella  storia.  Questo,  vedremo*, 

è!il  suo  sistema  storico,  eh' è  in  sostanza  T  espressione 

più  esagerata  del  Positivismo  applicato  nella  storia. 

Suo  principio  è  la  contraddizione:  non  la  contraddir 

zione  già  risoluta  razionalmente  com'  è,  per  esempio^ 

nella  mente  degU  Hegeliani;  bensì  la  contraddizione 

empirica,  la  contraddizione  intesa  come  fatto,  la  con" 

traddizione  immanente.  Per  questo  suo  principio  il  Fer- 

rari dovrà  occupare  un  luogo  distinto  nella  storia  della 

filosofia  contemporanea,  appunto  perchè  nella  forma 

oom'ei  lo  presenta  è  un  principio  originale.  Ed  egli 

se  ne  tiene,  se  ne  gloria.  Giorno  di  festa  fii  per  lui 

quando  alla  mente  gU  apparve  chiara  V  applicazione 

di  tale  idea  alle  dottrine  poUtiche  degli  Stati  considerati 

nelle  loro  scambievoli  opposizioni  e  ne'lor  contrasti. 

La  mia  gloria  (diceva  un  giorno)  si  fonda  appunto  su 

la  scoperta  di  questa  legge.  E  questa  legge  egli  è  venuto 

applicando,  com'  è  noto,  in  tutte  le  sue  scritture,  dalla 

Mente  del  Vico  alla  Storia  detta  China.  Ora  io  domandò 

con  questa  filosofia  poteva  egli  penetrar  davvero  nella 

mente  del  suo  maestro?  * 

*  NeU*£WMt  $ur  U  principe  et  lee  limite»  de  la  Ph*L  de  VBieL  (Paris^ 

Joobert  1848)  il  Ferrari  rìdaoo  a  quattro  i  difetti  cardinali  del  Vico  : 

l**  Il  Vico,  egli  dice,  ha  trafportato  nella  vita  deUe  naziom  V  armonia  pre- 

9tabilita  di  Leibnitz,  Sarà  vero  in  certo  senso:  in  che  senso?  in  che' 

maniera?  2<*  Ha  foOto  delia  Scienza  Nuova  una  generalizz€tzione  della  Storia 

nomano.  Ma,  come  se  lo  stesso  Vico  chiamò  la  istoria  n^mana  tenuieeimo 

Saggio  della  storia  universale?  Z^  Ha  coneiderato U  eieiema  eoeiale  solo  nel 

patriziato,  e  però  i  plebei  non  eesere  altro  che  bimani  eenza  matrimonio  nd 

rdigioni.  Ma  perchè  non  fate  che  la  vostra  critica  penetri  in  quo*  due 

io  il  Ferrari  è  bene  far  menzione  del  Cattaneo, 

/e  a  proposito  d'un  altro  libro  dello  stesso  Fer- 

^risse  un  articolo  pieno  di  serietìi  e  dottrina,  come 

re  usava  quel  forte  e  versatile  ingegno.*  Psicologo 

K>  w/tico  più  che  scettico,  con  la  sua  critica  egli  comin- 

cia a  riprender  V  andamento   pacato  e  sereno   dello 

.  lannelli.  Il  Cattaneo  è  come  Y  anello  fra  il  Ferrari  e 

'il  Tommaseo.   Noi   non  possiamo,  egli  dice,  studiare 

con  profitto  lo  spirito  umano  in  sé,  nella  sua  essen- 

za, bensì  nelle  sue  elaborazioni  storiche,  e  nelle  situa- 

zioni più  numerose  e  diverse  che  si  possa.  Però  biso- 

gna studiare  il  poliedro  ideologico  nel  fluissimo  numero 

di  sue  faccey  e  da  questo  terreno  tutto  storico  e  speri- 

metitàle  dovrà  sorgere  la  vera  cognizione  dell'uomo;  la 

quale  indarno  si  cerca  nei  nascondigli  della  coscienza. 

Lo  studio  dell'  individuo  nella  società,  V  ideologia  so- 

dale: ecco  una  sentenza  piena  di  verità  per  cui  il  Cat- 

taneo si  chiarisce  assennato  seguace  del  Vico.  E  che 

egli  abbia  inteso  il  pensiero  del  filosofo  napoletano  lo 

pruova  l'altra  osservazione  su  le  successive  trasforma- 

zioni storiche  del  diritto,  per  cui  nella  Scienza  Nuova 

a  troviamo  fusa  la  dottrina  d^l'  interessi  come  cam- 

peggia nel  Machiavello  con  la  dottrina  della  ragione 

i  esposta  da  Grozio,    togliendo  eoa  la  contraddizione 

che   divideva  la  storia  dalla  filosofia.'  »  Che  se  anche 

il  Cattaneo  s'  addolora  al  pensiero  dei  Circoli  fatali^ 

che  il  Vico  ebbe  in  comune,  secondo  lui,  col  Machia- 

mipremi  principii  d'umanità,  PuDOR  e  Libbrtas,  che  sono  il  cardine  della  ' 

Scienza  Nuova,  e  per  cui  anch*  il  servo,  anch*  il  bimane  un  bel  giorno 

diventa  uomo,  personalità  ?  é'*  Cade  col  Machiavelli  nd  »iHema  delU  dué 

fati,  V  ima  harharay  V  altra  eivtU,  No,  introduce  nn  nuovo  sistems  nelle 

due  differenti  fasi,  Tuna  tpantanea  e  raltrart^faMo;  e  questo  non  è  cir- 

colo fatale,  identico,  ma  progressivo.  Dice  poi  che  il  Vico  eroit  que  la 

vdonU  peut  eorrompre  Vceuvre  de  la  roMon  (pag.  105).  Qui  evidente- 

mente il  Ferrari  non  ha  saputo,  né  poteva  col  suo  scetticismo,  intender* 

e  comporre  in  organismo  i  principii  psicologici  del  suo  maestro. 

*  Firbàri,  Vieo  et  VltaUe.  Paris  1889. 

*  CiTTRinBO,  nel  Politeonieo.  Voi.  II,  257. 

*  Vedi  Periodico  oit  pag.  264. 

velli  e  col  Campanella,  una  consonanza  mirabile  però  sa 

trovare  fra  i  più  recenti  sistemi  umanitari  e  quello  del 

Vico,  agli  occhi  del  quale  la  Provvidenza,  con  V  occa- 

sione degV  interessi  delle  inique  passioni,  trae  la  giustizia 

effettuandola  gradatamente  nel  mondo  delle  nazioni. 

Laonde  osserva  come  prima  di  Fichte,  segnatamente 

prima  di  Schelling,  a  lui  fosse  dato  riguardar  la  ragione  ' 

qual  facoltà  che  occasionalmente  si  sveglia  nell'uman 

genere.' 

•CONTINUA  IL  PERIODO  DE' CRITICI  E  DEGLI  ERUDITI. 

Co'  suoi  Studi  Critici  V  illustre  Tommaseo  segna  il 

passaggio  al  terzo  periodo,  e  quindi  ad  una  terza  classe 

di  scrittori  che  si  sono  occupati  del  Vico.  Critico  e  filosofo, 

infatti,  egli  stabilisce  V  anello  fra  i  puri  critici  e  gì'  in- 

terpreti filosofi  negli  studi  riguardanti  il  nostro  autore: 

Imitazione  e  riproduzione,  come  negli  scrittori  del  primo 

periodo,  non  era  possibile  nell'ingegno  versatile,  dut- 

tile, acuto  ed  elegante  del  Tommaseo;  e  tanto  meno 

possibile  in  lui  una  critica  scettica  alla  maniera  del 

Ferrari.  Piena  la  mente  e  l'anima  di  fede  e  di  pro- 

fondo sentire,  questo  scrittore  è  anche  filosofo,  e  vi 

pretende.  Egli  ha  scritto  libri  di  filosofia;  ha  inter- 

pretato, e  non  di  rado  con  sottigliezza  scolastica  ha 

difeso  il  princìpio  speculativo  del  Rosmini,  e  propu- 

gnatolo con  ardore  giovanile.  Nessuno  dunque  può  ne- 

gare a  quest'ingegno  artistico  e  severo  buona  dose 

di  virtù  speculativa.  Sarà  filosofo  scologizzante,  sarà 

filosofo  più  che  rosminiano,  ma  è  filosofo,  oltre  che 

critico  de'  più  sottili:  è  filosofo  e  critico,  e,  senza  con- 

Nel  PoUteenico  cit.,  pag.  276. 

trasto,  quant'  a  proprietà  di  linguaggio  occupa  oggi  1 

primo  seggio  fra  i  viventi  scrittori  del  nostro  paese. 

Nessuno  meglio  di  lui  poteva  farsi  a  rilevar  le  bellezze 

nella  parte  letteraria  ed  estetica  delle  idee  del  no- 

stro filosofo.  E,  facile  a  spigolare  ne'  campi  altrui,  an- 

che in  questo  egli  è  andato  scegliendo  fior  da  fiore,  e 

ne  presenta  cotal  mazzo  che  lascia  scorgere  l'arte  di  chi 

n'  ha  fatto  la  scelta.  Chi,  prima  di  lui,  avea  saputo  ritrar 

r  indole,  per  esempio,  di  certe  composizioni  poetiche  del 

Vico,  additar  la  possente  originalità  nello  stile,  la  sel- 

vaggia lobustezza  della  parola,  la  forma  singolare  del- 

l' ingegno,  e  segnatamente  l' animo  e  tutto  il  carattere 

morale  dell'uomo?  Una  delle  più  notevoli  pagine  della 

prosa  italiana,  egli  osserva,  è  la  nobile  immagine  di 

donna  egregia  lodata  dal  Vico  :  ed  è  verissimo  ;  e  vere  ed 

argute  non  meno  ci  paion  quelle  considerazioni  su  la 

storia  del  Caraffa,  nella  quale  spesso  questi  è  dipinto 

non  qncd  era  ma  guai  doveva  essere,  per  meritare  le  lodi 

del  Vico.  La  dignità  del  lodatore  si  vendica  per  tal  modo 

della  indegnità  del  lodato j  e  la  lode  diventa  condaivna.^ 

Ma  il  Tommaseo,  ho  detto,  è  anche  ingegno  specula- 

tivo, e  spesso  è  felice  nell'intravedere  il  vero  di  certe  idee 

filosofiche  del  Vico.  Ecco  un'acuta  riflessione:  Fólibio  e 

gli  antichi  deducono  osscì-va^ioni  generali  da*  fottio  U  Mct- 

chiavelli  trae  consiglif  il  Vico  determina  leggi.  Ma  le  SUE 

LEGGI  NON  PANNO  FORZA  ALLA  PRATICA,    anzi  egli 

dice  cìie  l'uomo  dee  nelle  teorie  r attenersi  come  cavallo 

aìiimosoy  per  poi  nelle  pratiche  cose  correr  di  maggior 

lena}  Altra  bella  osservazione  è  quando  nota  come  da 

Platone  egli  traesse  non  l'idea,  sì  la  ispirazione  della 

sua  storia  ideale.  Il  che  mi  piace  avvertire  col  Tommaseo 

contro  chi  pretende  rimontare  sino  al  filosofo  ateniese 

a  ripescarvi  un  antecedente  alla  Scienza  Nuova!  Veris- 

simo altresì  che  le  due  Scienze  Nuove  paiono  entrambe 

due  grandi  edifici  secondo  la  medesima  idea  architettati  : 

*  Tommaseo,  Studi  Critici.  Venezia,  1843  Voi.  I,  pag.  89. 

6  questo  avverta  chi  ha  creduto  vedere  nella  seconda 

di  esse  non  so  che  stravaganze,  follie  o  puerilità.  Con 

salde  ragioni  poi  contro  parecchi  critici  del  Vico  egli 

dimostra  come  nelle  opere  di  lui  si  manifesti  potente, 

vera,  chiara  l'idea  del  progresso;  perchè  se  aUe  cose 

umane  vide  un  corso  e  ricorso  in  orbita  fissa,  non  disse 

che  V  orbita  non  si  potesse  più  e  più  sempre  cól  volger 

de' tempi  allargare^  E  non  meno  della  critica  che 

riguarda  per  diretto  il  Vico,  preziose  paionmi  anche 

quelle  undici  appendici  indirizzate  ad  illuminare  il  testo 

dove  il  filosofo  napoletano  sorge  principal  figura:  dico 

le  appendici  sopra  lo  Stellini,  il  Grozio,  il  Romagnosi,  il 

Foscolo,  sul  gius  sacro  e  sul  gius  Romano,  su  le  origini 

sociali,  su  gli  Sciti,  Illirici,  Slavi,  sul  Niebuhr  ed  altri. 

Il  Tommaseo  vuol  esser  rammentato  ed  encomiato 

eziandio  per  un  altro  lavoro  speciale  sul  Diritto  Univer- 1 

sale,^  È  un  esame  critico,  al  solito,  assai  condensato 

e  sparso  di  riflessioni  ingegnose,  d'opportuni  e  fedeli 

riscontri  e  di  felici  divinazioni  nel  penetrare  le  idee  del 

filosofo.  Ma  è  pur  d'uopo  confessare  che  se  come  cri- 

tico nessuno  può  entrargli  innanzi  per  sobrietà  e  giu- 

stezza di  giudizi,  come  filosofo  non  tutti  sapranno  accet- 

tarne ogni  sentenza.  Molte  interpretazioni  e  parecchie 

confutazioni  eh'  ei  move  al  Vico  noi  non  potremmo  acco- 

gUere:  quella  per  esempio  dove,  accennando  alla  luce 

metafisica  del  nostro  filosofo,  si  studia  vederci  non  pili 

che  Tessere  ideale  del  Rosmini,'  e  T  altra  onde  presume 

che  dal  concetto  della  Trinità  egli  traesse  l' ordinamento 

delle  facoltà  umane,  e  nel  medesimo  concetto  scorgesse 

radicarsi  la  metafisica,  la  morale  e  fin  la  giurispruden- 

•  Op.  cit.,  pag.  125.  fe  anche  del  Tommaseo  quesV  altra  bellissima 

osseryazionc  :  Dalle  proprie  averUure  il  Vico  dedusse  H  mondo  invecchiato  : 

ma  ^gìi  medesimo  ci  vieta  di   crederlOf  egli  che  pronunziò:  mundus  enim 

jaTenescit  adhuc;  interpretazione  luminosa  deUa  sua /rantesa  dottrina  delh* 

legje  de  ricorsi,  e  risposta  sufficiente  a  dà  lo  accusa  di  negare  al  genere 

umano  ogni  forza  (T  avatuamenfo.  —  Dizionario  Estetico»  Voi.  I,  pag.  398. 

•  ^kudi  Filosofici,  Voi.  II.  Venezia  mdoooxl,  pag.  118  o  segg. 

l«  Stwli  OrUici,  Voi.  I,  pag.  30. 

za.*  Sbaglio  grave,  dice,  Taver  negato  la  trasmigrazione 

I  delle  civiltà  da  popolo  in  popolo  innalzandovi  mura 

di  bronzo.*  Errore  gravissimo  poi  da  restame  scan- 

dalizzati, più  che  uno,  mille  Tommasèi,  gli  par  la  sen- 

tenza, che  dopo  il  diluvio  gli  uomini  si  disumanas- 

sero 1  *  E  qui  r  illustre  critico  si  fa  forte  delle  censure 

^  del  Lami,  del  Romano  e  del  Finetti  e  di  tutti  gli  opposi- 

tori del  primo  periodo,  co' quali  dopo  un  secolo  e  mezzo 

par  ch'ei  si  trovi  in  pieno  accordo.  Il  Tommaseo  non  po- 

teva penetrare  nelle  dottrine  speculative  del  Vico,  e  da 

quéste  trarre,  più  che  dai  due  o  tre  passi  d'autori  lettini 

o  dagli  urli  dell'uomo  bestiale  assordante  l'aria  e  le 

selve,  nuove  dottrine  e  vere  su  le  origini  dell'  umanità, 

non  discordanti  oggi  co' risultati  delle  scienze  naturali. 

Come  si  vede,  con  una  critica  sempre  acuta  nelle 

sue  osservazioni  tuttoché  non  sempre  vera  ne' suoi  giu- 

dizi, il  Tommaseo  è  stato  il  primo  fra  noi  ad  espri- 

merci '1  bisogno  d' interpretare  in  maniera  filosofica  le 

dottrine  del  nostro  filosofo  ;  ma  non  vi  giugne,  né  il 

poteva,  perchè  non  gliel  permettevan  né  le  esigenze 

della  fede  tanto  salda  e  vigorosa  nell'  animo  suo,  né  la 

filosofia  schiettamente  Kosminiana  nella  quale  è  uso  at- 

tingere i  principii  filosofici  e  i  criteri  metodici.  Usciamo 

ora  un'altra  volta  dal  nostro  paese,  e  vediamo  se  nel 

giro  degli  anni  di  che  parUamo  gli  studi,  i  giudizi  e  la 

stima  circa  il  nostro  filosofo  sian  venuti  sempreppiù 

progredendo  anche  presso  altra  letteratura  come  presso 

di  noi. 

L'illustre  Renouvier  avrebbe  stimato  manchevole 

la  sua  storia  della  filosofia  moderna  ove  anch'  egli  non 

avesse  accennato  all'autore  della  Scienza  Nuova.  11 

Vico,  egli  dice  ripetendo  un'aflFermazionedel  Michelet, 

•  ToMMAsio,  Studi  Filotojiciy  Voi.  cit.,  pag,  129. 

•  Studi  Gritici,  Voi.  cit.  pag.  78. 

•  Due  o  tre  pa$9Ì  d*  autori  latini  e  H  troppo  reU^oto  rispetto  di  tutu 

torta  tradizioni  in  tali  togni  tmarrirono  tale  ingegno.  —  Vedi  Op.  cit. 

Voi.  cit.  pag.  8S. 

del  CDUsin,  del  Lerminier,  dello  JoufiFroy  e  d'altri  fran- 

cesi, ha  fatto  alla  scienza  una  rivelazione  nuova  creando 

la  filosofia  della  storia;  talché  dopo  la  morte  de' due 

martki  suoi  compatrioti  Bruno  e  Campanella,  ei  ci  si 

presenta  davvero  qual  rivelatore  d'un  mondo  nuovo.* 

Un'  altra  osservazione,  di  cui  è  bene  prender  nota,  è 

quella  dov'  egli  afferma  che,  quant'  a  Cartesio,  il  Vico 

ebbe  pieno  diritto  a  biasimarne  l'incompiutezza  del 

metodo,  egli  che,  considerando  come  scienze  la  poesia, 

^  la  storia  e  la  filologia,  potè  gettar -le  basi  d'un 

metodo  novello  supremamente  sperimentale,  storico  e 

comprensivo.  Ma  quali  sono  propriamente  i  principii 

filosofici  del  Vico?  Ha  egli  una  serie  di  principii  meta- 

fisici? Il  Renouvier  non  risponde  a  questa  domanda,  e  si 

tiene  contento  nell'  affermare  solamente  eh'  egli  ama/va 

la  metafisica  di  Descartes. 

Sarebbe  questo  il  luogo  di  rammentare  il  Bouchez;  * 

ma,  fra  tutt'  i  francesi,  questi  è  l' unico  scrittore  che 

del  Nostro  abbia  parlato  in  guisa  assai  meschina,  tanto 

che  a  veder  come  lo  cita  e  come  n'  espone  le  idee,  fa- 

rebbe sospettare  di  non  averlo  letto,  o  che  ne  abbia 

solamente  discorso  per  sentita  dire.«£  noi  non  avremmo 

tirato  fuori  il  nome  di  questo  debolissimo  filosofo  della 

storia  e  tenutone  conto,  se  nel  suo  libro  non  si  vedesse 

confermata  certa  notizia  della  quale  giova  prender  nota. 

Citando  un  vecchio  periodico  di  Francia,  il  Bouchez  dice 

come  le  opere  del  Vico  fossero  quivi  note  già  sino  dai 

primi  lustri  del  secolo  passato.  I  francesi  dunque  molto 

probabilmente  non  ignoravano  il  primo  libro  del  Diritto  \ 

Universale  e,  che  più  monta,  neanche  il  secondo  nel  ' 

quale  è  racchiusa,  com'  è  noto,  la  sostanza  della  Scienza 

Ifuova.  La  qual  cosa  abbiam  voluto  qui  avvertire  col 

fine  di  rinfiancare  vie  piii  la  sentenza  d'alcuni  critici 

su  l'origine  delle  molte  affinità  fra  alcune  idee  del  Vico, 

*  RBiroinriBB,Jfaraii««Z  de PhUot.  moderne  ;  Paris  et  Uipsig  1 842  pag.  368. 

'  BouoHBZ,  Inltrod.  è  la  Scietkce  de  VHiet,  ec.  Paris,  1814. 

e  quelle  di  certi  filosofi  e  storici  francesi  anteriori  alla 

rivoluzione,  massime  del  Tm^ot  e  del  Condorcet. 

Nel  tempo  di  cui  parliamo  (1844)  novella  traduzione 

comparve  in  Francia  per  opera  dell'  autrice  anonima  del 

Saggio  sulla  formaeUme  dd  damma  eaftólico.  E  anche 

qui  e'  è  progresso;  perchè  se  la  traduzione  det Michelet, 

come  si  disse,  è  una  riduzione  non  molto  fedele  e  man- 

cante di  critica,  la  traduzione  di  che  discorriamo,  oltre 

d'esser  propriamente  traduzione,  è  poi  fornita  d'un 

lungo  lavoro  su  le  opere  e  su  le  dottrine  del  Vico,  pre- 

gevole soprattutto  per  V  analisi  cui  è  sottoposto  il  pen- 

siero del  nostro  filosofo.*  L' autore  di  questa  prefazione 

s' accorge  subito  ov'è  il  nodo  delle  dottrine  e  del  metodo 

vichiano.  Cotesto  nodo,  evidentemente,  è  nella  distin- 

zione e  insieme  nella  relazione  tra  il  vero  e  il  certo,  tra 

la  ragioìie  e  Vautoritcu^  E  innanzi  tutto  osserva  come  la 

parola  autorità  pel  Vico  voglia  dir  volontà,  coscienza, 

1  voce  interiore,  sorgente  di  quel  conoscere  ond' all'uomo 

non  riesce  additar  le  ragioni  scientifiche  e  universali. 

Brevemente;  la  coscienza  è  autorità  anzi  la  piìi  grave 

delle  autorità.  La  ragione  poi  è  facoltà  che  giugno  a 

dimostrar  la  cosa  scientificamente,  e  quindi  produce  il 

vero.  E  poiché  tutto  ciò  che  1'  uomo  dimostra  è  fatto 

da  lui  e  però  ha  natura  finita,  ne  segue  che  il  vero 

debb'  essere  inferiore  al  certo.  V  è  pertanto  differenza  tra 

il  vero  metafisico  e  '1  vero  matematico:  questo  è  nostra 

fattura,  e  quindi  è  vero;  quello,  in  vece,  non  ci  appar- 

tiene come  nostro  effetto,  e  in  conseguenza  riguardo  a 

noi  è  solamente  un  certo.  Ora  siccome  conoscere  vuol 

dire  scomporre  ed  astrarre  per  cavarne  gli  elementi; 

così  di  Dio  non  potremo  aver  nozione  vera,  ma  certa, 

stantechè  non  ne  sia  dato  scomporre  ciò  eh'  è  essenzial- 

mente uno,  né  ritrovar  cause  di  ciò  che  è  causa  per  sé. 

È  necessario  adunque  un  modo  nuovo  di  conoscere  Dio; 

*  La  lunga  ed  elaborata  prefazione  a  coi  alludiamo  si  vaole  scrìtta 

da  un  celebre  storico  firancese  (A.  M.)  amico  della  traduttrice. 

*  La  Seience  NouveUe,  trad.  etc.,  Paris,  1844,  pag.  ltii. 

e  però  necessaria  una  nuova  facoltà.  Questa  facoltà  è  ap- 

punto il  volere,  che  si  rivela  col  mezzo  della  coscienza. 

La  nozione  di  Dio  quindi  è  un  fatto  di  coscienza  e  di  au- 

torità, perchè  autorità  e  coscienza  tornano  il  medesimo. 

Ho  voluto  accennar  brevemente  queste  osservazioni 

non  solo  a  mostrare  che  la  prefazione  di  cui  parliamo 

non  è  da  annoverarsi  fra  le  solite  ampolle  messe  in  fronte 

alle  traduzioni  delle  opere  di  grandi  autori,  ma  a  far 

Tederò  altresì  come  in  essa  racchiudansi  interpretazioni 

davvero  ingegnose.  Il  traduttore  poi  avverte  la  confu- 

sione fatta  dal  Vico  tra  Zenone  lo  stoico  al  quale  è 

attribuita  la  dottrina  del  punto  metafisico,  e  quel  Ze-I 

none  à^Elea  che  riguardava  i  corpi  siccome  aggregati 

d'infinito  numero  d^ atomi  o  di  punti.  Nota  essere  esclu- 

rivo  del  Vico  quel  concetto  per  cui  si  considera  il  corpo 

siccome  |?wn^o  metaifisico  esteso.  Osserva  (e  qui  prego  gli 

altri  critici  H  tener  conto  di  tale  osservazione)  che  il 

Vico  non  volle  né  poteva  respinger  l' idea  del  progresso, 

attesoché  avrebbe  contraddetto  alla  propria  metafisica: 

le$  cercle4  doni  il  entoure  Vhutnanité  doit  nécessairement 

marcher  en  avant.^  La  qual  sentenza,  che  cioè  nel  padre 

della  scienza  storica  rifulga  chiarissima,  chi  sappia  di- 

scemerla,  l'idea  del  progresso,  è  sostenuta  in  modo 

splendido  da  un  altro  francese  vivente,  dal  De  Ferron 

come  appresso  vedremo. 

Fra  le  idee  originali  del  Vico  il  traduttore  pone 

anche  questa  :  V  uniformità  originaria  di  civiltà  appo 

differenti  popoli  più  come  eftetto  della  comune  natura  e 

dell'  unità  di  fine  che  ne  presiede  allo  svolgimento,  anzi 

che  come  resultato  di  comunicazioni  dirette  avvenute 

fira  popoli  diversi.'  Riferisce  al  Vico  la  scoperta  de'  tipi 

fantastici  di  differenti  classi  d'uomini  contro  chi  non 

vi  sapeva  scorgere  altro  fiiorchè  personificazione  di  forze 

naturali.  À  lui  medesimo  riferisce  l' aver  dimostrato  sto- 

ricamente il  processo  delle  tre  forme  politiche  generali, 

*  La  Science  Nouvdle,  pag.  OVli. 

aristocrazia,  democrazia,  monarchia  ;  V  aver  avuto  co- 

scienza come  né  T  eloquio  né  la  civiltà  latina  fossero 

provenute  di  Grecia;  e,  anziché  divinato  (come  vorreb- 

bero alcuni  tedeschi),  aver  egli  dimostrato  in  gran  parte 

i  suoi  principii  storici,  né  solamente  dato  impulso  alla 

presente  filosofia  della  storia,  ma  avere  concorso  pro- 

priamente a  svolgerla,  a  costituirla:  al  qual  proposito 

notiamo  come  il  traduttore  giustamente  rivendichi  al 

Vico  il  merito  attribuito  a  Champollion,  d' aver  inter- 

I  pretato  e  svolto  le  conseguenze  del  celebre  passo  di  San 

Clemente  Alessandrino.  Fa  vedere  poi  come  in  pili  cose 

ei  mirasse  più  giusto  e  più  sicuro  dei  suoi  successori 

quant'  alla  storia  del  Diritto;  per  esempio,  su  la  tanto 

vitale  distinzione  fra  popolo  e  plebe,  non  veduta  da 

!  Livio,  e  comprovata  dopo  il  Vico  dal  Beaufort  e  dal 

Niebuhr.  Mostra  quindi  essere  assolutamente  nuovo  il 

modo  con  che  V  autore  della  Scienza  Nuova  considera 

e  risolve  la  questione  circa  l'origine  delle  XII  Tavole; 

nel  che  lodiamo  la  forza  e  la  maniera  ingegnosa  on- 

d' anch'  egli  sa  difenderne  la  verità.  Verissimo,  final- 

mente, quel  giudizio  su  la  dottrina  risguardante  Omero 

e  i  poemi  omerici,  accorgendosi  come  il  Vico  non  in- 

tendesse con  tal  dottrina  negare  un  Omero  personale  che 

'impresse  forma  esteriore  ai  suddetti  poemi,  ma  negare 

bensì,  nel  che  egli  ebbe  ed  ha  ragione,  un  Omero  che 

fosse  creatore  de'  medesimi,  come  vedremo  a  suo  luogo. 

Tali  sono  i  pregi  di  quest'assennato  lavoro  critico 

che  va  innanzi  alla  seconda  traduzione  della  Scienza 

Nuova.  Ma  non  vi  mancano  difetti  ;  e  ne  cito  qualche 

esempio.  Come  non  iscorger  l' attinenza  fra  il  vero  e 

il  certo  del  Vico?  Come  non  veder  che  1'  autorità  altro 

non  è  che  la  stessa  ragione  considerata  quale  obbietto 

che  propone  sé  a  sé  medesima,  essendo  due  termini  co- 

testi che,  come  altrove  diremo,  van  soggetti  anch'essi 

alla  legge  di  conversione?  Se  questo  avesse  inteso  il 

traduttore,  non  avrebbe  affermato  che  dell'  assoluto  non 

si  possa  aver  nozione,  ma  sentimento.  Nella  Ragione  e 

jìeW Autorità  del  Vico  egli  forse  ha  voluto  scorgere  qual- 

cosa della  Ragion  pura  e  della  Ragion  pratica  del  Kant,  ' 

G  certo  non  s' è  intieramente  ingannato.  Ma  non  s' in- 

canna egli  quando  si  piace  di  scendere  a  conclusioni  cosi 

immediate  col  Criticismo?  Che  poi  tanto  in  metafisica 

quanto  in  geometria  il  punto  sìsl principio  d^ estensione; 

che  però  la  matematica,  sia  come  dire,  copia  materiale 

atta  a  farci  conoscere  il  tipo  immateriale  eh' è  appunto  la  < 

metafisica;  e  che  tutto  ciò  stabilisca  un  rapporto  nuovo  e 

mai  non  visto  prima  del  Vico  fra  il  conoscere  metafisico  ed  1 

il  matematico;  le  son  cose  alle  quah  non  è  lecito,  per  no- 

stro avviso,  mover  dubbi.  Or  come  in  tutto  questo  e'  entra 

^li  il  panteismo?  Il  punto  vai  forse  la  circonferenza? 

Certo,  punto  metafisico  è  lo  sforzo,  l' anima  del  mondo  : 

od  è  anche  un  modo  dell'Assoluto.  Ma  che  natura  di 

modo  è  egli  mai  cotesto?  Anch' il  Vico  definisce  tal 

modo  come  disposizione  dell'  assoluto  (dispositio  Dei)  : 

ma  qnal  genere  disposizione  è  ella  cotesta?  Sarà  de- 

terminazione intrinseca?  Eccoci  al  panteismo!  £  quando 

siamo  al  panteismo,  io  confesso  di  non  intender  più 

nulla  del  Vico,  né  delle  sue  dottrine,  e  nemmanco  di 

questa  scrittura  del  traduttore  francese.  Non  parmi 

dunque  giusto  affermare  che  la  filosofia  del  Nostro  ad 

altro  non  possa  riuscire  salvo  che  ad  una  forma  di  pan- 

teismo. Forse  che  tutto  al  mondo  si  può  ridurre  a  tre 

modi,  come  vorrebbe  il  critico,  della  sostanza  divina? 

Intendo  come  quelle  tre  note  idee  del  Vico,  Quiete^  Co- 

nato e  Moto,  ove  formino  soggetto  unico,  semplice,  immu- 

tabile, possano  facilmente  condurre  all'assoluta  identità. 

Ma  ecco  dov'appunto  è  necessaria  la  crìtica;  una  critica 

mercè  cui,  chi  ne  voglia  interpretar  con  sincerità  di  giu- 

dicio  le  dottrine,  è  in  obbUgo  di  porre  in  accordo  la 

teorìa  in  discorso  con  altra  serie  d' idee  evidenti,  si- 

cure, né  soggette  a  dubbie  interpretazioni,  che  pur  tro- 

viamo sparse  nelle  opere  del  nostro  filosofo. 

Un  altro  appunto  potrebb'  esser  questo.  L' anonimo 

traduttore  accenna  al  metodo  educativo  ond'il   Vico 

gettò  qualche  barlume  nel  libro  sulla  Ragion  degli  skidi. 

Diremo  appresso  perchè  la  sentenza  pedagogica  che  il 

Vico  pone  a  fondamento  di  questo  libro  tomi  d'ogni  parte 

erronea:  ma  forse  per  questo  potrà  esser  lecito  al  critico 

di  fermarsi  al  primo  uscio  che  gli  vien  fatto  incontrare? 

Più  che  dell'  orazione  De  nostri  temporis  studiorwm 

rixHone,  non  avrebb'egli  potuto  e  dovuto  ricavare  i 

I  principii  pedagogici  del  filosofo  dalle  sue  stesse  dottrine 

di  psicologia  e  di  diritto,  che  certo  non  gli  sarebbe  man- 

cata stoffa  bastevole  al  fatto  suo?  Finalmente,  quanto 

all'appunto  su  la  monarchia,  è  vero  esser  questa  l'ul- 

tima forma  politica  che  apparisca  nel  processo  storico 

I  dello  Stato  secondo  il  Vico  ;  ma  non  è  la  più  perfetta 

1  né  in  sé  stessa,  ne  secondo  i  principii  della  Scienza 

Nuova,  come  abbiamo  avvertito  parlando  del  Ferrari. 

£  qui  poiché  siamo  tra' Francesi,  giova  dire  quale 

stima  facesse  Augusto  Gomte  del  massimo  libro  del 

nostro  filosofo.  Come  si  rileva  dalla  corrispondenza  epi- 

stolare col  Mill,  il  padre  del  Positivismo  francese  studiò 

il  Vico  nell'ottobre  del  1844;  e  prima  di  tutto  si  chiama 

contento  per  non  averlo  letto  innanzi,  che  altrimenti 

sarebbe  stato  entravo  ou  dérmigé  mofnentanémeni!  Af- 

ferma poi  che  il  suo  giudizio  sul  Vico  è  quel  medesimo 

ch'egli  stesso  formulò  riguardo  al  Montesquieu  e  al  Con- 

dorcet  :  *  il  che  basterebbe  a  mostrare  con  qual  disposi- 

zione d'animo  ei  pigliasse  a  leggere  la  Scienza  Nuova.* 

Vedremo  altrove  qual  differenza  corra  tra  l' opera  su 

lo  Spirito  deUe  Leggi,  e  la  Scienza  Nuova:  quant'al 

libro  del  Condorcet  fin  d'ora  diciamo  nulla  o  pochis- 

simo aver  che  vedere  le  intuizioni,  del  resto  felicissime, 

di  questo  filosofo  con  le  indagini  storiche  particolari, 

positive  e  analitiche  del  Nostro.  E  ancora,  chi  vogUa  un 

altro  segno  del  modo  come  il  Gomte  leggesse  il  nostro 

filosofo  e  qual  frutto  ne  traesse,  osservi  questo,  che  alcune 

Degnità  del  filosofo  napoletano  a  lui  parvero  indicare 

*  A.  Gomte,  Op.,  Voi.  IV. 

*  LiTTRii,  Augutte  Cùmte,  pag.  460. 

un  primo  passo  verso  U  sentimento  detta  vera  i 

eione  sociale.  Non  era  naturale  che  il  Comte  si  feri) 

li  a  que' generali  assiomi  delle  Degnità  ove  pare' 

intravedere  il  germe  della  evoluzione  sociale?  Ma  ttjr- 

marsi  a  cotesti  germi,  e  non  accorgersi  qual  fecondo  svol- 

gimento abbian  essi  ricevuto  dal  medesimo  autore,  è 

lo  stesso  che  accorgersi  del  seme  e  non  veder  l'al- 

bero! £  come  poi  non  iscorgere  la  sua  stessa  legge  dei 

tre  stati  ad  ogni  pagina  della  Scienza  Nuova?  E  come 

aver  cuore,  ciò  che  più  monta,  di  proclamarsene  inven-  ^ 

tore?   Giunto  appena  alle  Degnità^  chiude  gli  occhi 

per  non  vedere;  e  non  vuol  vedere  ciò  che  l'italiano 

avea  già  visto  molto  più  profondo  di  lui,  e  prima  di  lui  ! 

 

Sennonché  egli  stesso  ne  riconosce  i  meriti,  me-j 

riti  ch'ei  crede  superiori  a  quelli  del  Montesquieu,  e 

conclude  annunziando  che  la  dottrina  del  Vico  potrà 

deciderlo,  in  una  seconda  edizione  dell'opera  sua,  a 

consacrare  une  ou  deux  pages  à  Pappréciation  de  Vico. 

Manco  male  che  principal  inerito  effettivo  del  filosofo 

italiano  gli  sembra  esser  quella  maniera  profonda  con 

la  quale  nella  Scienza  Nuova  è  intesa  la  filosofia  storica  | 

del  linguaggio  !  Ma  chi  per  poco  abbia  studiato  il  nostro 

filosofo,  non  saprà  dubitare  che  per  l'appunto  questa  dot- 

trina particolare  in  lui  si  collega  intimamente  con  altre 

di  maggior  valore,  stantechè  una  filosofia  storica  del  lin- 

guaggio importi  già  una  filosofia  della  storia,  e  quindi 

una  scienza  dei  fatti  storici:  Or  se  nell'una  ci  è  meriti 

eflFettivi,  non  sarann'anco  nell'altra  cotesti  meriti?  Ecco 

il  positivista  fi*ancese  che,  pur  non  volendo,  viene  a  rico- 

noscer la  gloria  (gloria  ch'egli  sperò  d'aver  tutta  sfron- 

data nella  lettera  al  Mill)  di  chi  un  secolo  avanti  a  lui 

e  con  ogni  splendore  di  scienza,  inaugurava  tra  noi  la 

rerace  filosofia  positiva. 

E  qui  è  anche  il  caso  d' accennare  all'  illustre  Stuart 

Mill,  il  quale,  un  anno  prima  che  il  Comte  gli  desse  no- 

tizia de' suoi  studi  sul  Vico,  pubblicava  il  Sistema  di  Logi- 

ca, e  accennava  al  filosofo  napoletano  là  dove  stabilisce  i 

principii  del  metodo  dedtdHvo^nverso,  o  metodo  storico. 

L' azione  reciproca,  egli  dice,  delle  circostanze  che  ge- 

nerano i  caratteri  degli  esseri  umani,  e  degli  esseri 

umani  che  modificano  quelle  circostanze  o  esterne  con- 

dizioni, induce  necessariamente  un  circolo  di  moto,  od 

un  progresso.  Quantunque  nel  mondo  astronomico  le 

posizioni  successive  de' corpi  celesti  producano  cangia- 

menti variabili,  questi  cangiamenti  sono  ricondotti  nelle 

condizioni  ordinarie  e  nell'ordinaria  monotonia,  in  virtù 

del  sistema  solare.  Il  moto  de'  corpi  celesti,  insomma,  è 

essenzialmente  orbitale.  Ma  non  è  anco  possibile  un 

moto,  una  linea  che  non  rientri  in  se  medesima?  È 

possibile.  Ora  il  moto  della  storia  a  quale  di  questi  due 

tipi  è  a  riferirsi?  «  Uno  degli  autori  (egli  dice)  che  per 

i  primi  hanno  considerato  la  successione  degli  avveni- 

menti storici  come  sommessi  a  leggi  fisse  ed  han  cer- 

cato scuoprire  queste  leggi  mercè  un  esame  analitico 

della  storia,  il  Vico,  il  celebre  autore  della  Scienza 

Nuova,  ha  adottato  la  prima  di  queste  alternative.  Egli 

ha  concepito  i  fenomeni  dell'  umana  società  come  pro- 

cedenti nella  stessa  orbita,  passando  periodicamente  per 

la  medesima  serie  di  cangiamenti.  Quantunque  tal  ma- 

niera di  vedere  non  manchi  di  verosimiglianza,  non 

potrebbe  sostenere  un  esame  serio  :  e  quelli  che  al  Vico 

sono  succeduti  in  tale  ordine  di  speculazione,  hanno 

generalmente  accettato  l'idea  di  progressione  traiettoria 

invece  di  un'  orbita  o  d' un  ciclo.*  * 

 

Come  si  vede,  è  il  solito  appunto  ond'  il  Vico  fu  ed  è 

anc'oggi  accusato  da  molti.  Ma,  come  il  Comte,  cosi  pure 

il  Min  probabilmente  lesso,  o  meglio  sfiorò  una  sola  delle 

opere  del  filosofo  italiano;  perocché  non  sarebbe  difficile 

mostrare,  se  qui  fosse  luogo,  com'  il  moto  storico  del 

Vico,  nel  giro  de' fatti  storici,  sia  precisamente  quello 

che  il  positivista  inglese  addimanda  progressività;  e 

sarebbe  facile  poi  far  vedere  com'egli  non  sia  caduto 

*  Stuart  Mill,  Sy9t  dt  Logique,  Voi.  Il,  cap.  8. 

in  quel  doppio  difetto  non  .saputo  schivare  dal  Mill: 

dico  il  difetto  d'  un  vero  concetto  storico,  e  quello 

di  credere  che,  ammessa  pure  una  progressività  negli 

affari  umani  (per  dir  com'  egli  dice),  questa  non  abbia 

a  costituire  questione  di  metodo  nella  Scienza  Sociale, 

bensì  un  teorema  della  scienza  stessa.  Ora  a  me  pare  che, 

ritenuto  innegabile  un  cangiamento  progressivo  nella 

schiatta  umana,  l'oggetto  della  scienza  non  può  riuscire 

identico  a  sé  stesso,  non  è  immobile,  né  immutabile; 

per  cui,  ammesso  che  la  natura  del  metodo  tiene  alla 

natura  dell'oggetto,  non  siamo  altrimenti  in  una  que-' 

stione  teorematica,  ma  di  metodo  altresì.  Il  concetto 

adunque  della  Scienza  Sociale  corre  i  destini  del  concetto 

della  scienza  storica.  Questa,  come  sarà  megUo  veduto, 

è  una  delle  pecche  del  Positivismo  inglese. 

Ma  nel  Mill  e'  è  tal  pregio,  come  altrove  accennam- 

mo, che  il  diresti  seguace  addirittura  del  nostro  Vico,  i 

tantoché  il  VI  libro  della  sua  Logica  si  potrebbe  credere  I 

un'applicazione  d'alcuni  sommi  pronunziati  della  Scienza 

Nuova.  Parla  anch' egli  di  legge  storica;  d' una  legge  di 

trasformazioni  successive,  d' una  progressione  nelle  con- 

vinzioni intellettuali  dell'umanità.  Più  ancora  :  la  possibi- 

lità d'una  vera  Scienza  Sociale  e'  non  sa  farla  consistere 

in  altro  salvo  che  in  queste  due  condizioni:  1»  nel  deter- 

minare cotesta  legge,  ma  in  maniera  empirica,  cioè  come 

resultato  di  pura  osservazione  ed  esperienza  storica; 

2*'  nel  saper  convertire  poi  cotesta  medesima  legge  in 

teorema  scientifico,  deducendola  a  priori  dai  principii  di 

nostra  natura.*  Orchi  non  vede  come  qui  l'illustre  in- 

glese avrebbe  potuto  confessare  che  a  tali  quesiti  erasi 

già  risposto  in  Italia  un  secolo  e  piii  avanti  che  in  In- 

ghilterra fosse  pubbUcato  il  Sistema  di  Logica?  Chi  non 

vede  quanto  ingiustamente  abbia  egli  prodigato  al  Comte 

tutti  gli  onori  del  metodo  storico?  Qua  dietro  abbiamo 

sospettato  che  né  il  Mill  né  il  Comté  si  ebbero  per  av- 

Stuabt  Hill,  Syti.  de  Logique.  Voi.  IT,  p&g.  580. 

ventura  notizia  diretta  o  almeno  accurata  delle  opere  del 

Vico.  Se  così  non  fosse,  né  questi  avrebbe  fatto  tanto 

rumore  della  sua  legge  sociologica  e  menatone  vanto 

come  di  peregrina  scoperta,  ne  quegli,  fatta  la  cerna  an- 

che lui  dei  meriti  del  positivista  francese,  avrebbe  oggi 

affermato  che  proprio  al  Comte  s' appartenga  V  onore 

di  questo  concetto:  che  ciascuna  classe  distinta  di 

coficepimerUi  umani  passi  per  tre  stadi,  teologico,  meta" 

fisico  e  positivo.^  Avrebbe  visto,  insomma,  che  la  legge 

storica  del  filosofo  italiano  è,  come  dire,  un  organismo 

vivente,  tutt'  un  sistema,  di  guisa  che  nessun  elemento 

di  civiltà  può  rimanerne  inori  ;  e  sarebbesi  accorto  per- 

ciò che  la  parte  o  l'aspetto  vero  della  legge  sociologica 

la  quale  egli  accetta  e  celebra,  s' appartiene  al  nostro 

filosofo  italiano,  dovechè  la  parte  erronea  ch'egli  stesso 

ripudia,  potrà,  quando  se  n'abbia  gusto,  formar  la  glo- 

ria della  presente  filosofia  francese.* 

Ed  ora  lasciando  inglesi  e  francesi  torniamo  in  Italia, 

dove  ci  si  presenteranno  scrittori  ne' quali,  fatte  le  de- 

bite eccezioni,  piii  che  la  critica  erudita  e  storica  e 

letteraria,  predomina  il  senso  della  interpretazione  spe- 

culativa, e  sentesi  l' esigenza  filosofica  nello  studio  delle 

dottrine  vichiane.  Si  comincia  a  capire  che  nelle  opere 

del  Vico  e'  è  pure  i  getmi  d'una  filosofia  da  svecchiare 

e  da  fecondare.  Si  comincia  a  vedere  che,  oltre  la 

.  Scienza  Nuova,  c'è  pure  il  Diritto  Universale;  e  che 

oltre  il  Diritto  Universale  c'è  anche  il  libricciolo  su 

r  antichissima  sapienza  degl'  italiani. 

'  Stcart  Mill,  à.  Comte  et  le  Po8Ìtim«me,  pag,  13. 

'  Che  Staart  Mill  nel  pronunziare  siffatti  giudizi  non  aresse  cogni- 

zione esatta  del  filosofo  italiano,  si  può  sospettare  anche  dal  linguaggio 

pieno  di  maraTiglia  eh*  egli  usa  noir  ultima  edizione  della  sua  Logica 

ove,  parlando  della  Storia  deW  Tncivilimento  del  Buckle,  dice  un  gran  mu- 

tamento rgnt>r»i  avverato  dopo  la  pubUicaiione  di  tale  storia,  aTcndo  que- 

sto scrittore  poeto  il  gran  princìpio  per  cui  la  storia  è  aommesea  {dVim- 

pero  di  leggi  univeraali.  Ma  non  è  questa  per  1*  appunto  la  grande  sco- 

perta della  Scienza  Nuova  almeno  quant*al  suo  principio?  E  tutte  le 

leggi  su  la  costanza  de*  fatti  sociali  trovate  dal  Buckle  e  più  dal  Que- 

tulut,  non  sono  forse  altrettante  applicazioni  sociali  di  quel  princìpio? 

Ma  prima  di  procedere  innanzi  giova  rispondere  ad 

mia  difficoltà  non  diffìcile,  a  nascer  nella  mente  di  qual- 

che pedante.  Si  domanderà:  perchè  insieme  co' puri  cri- 

tici ed  eruditi  in  questo  secondo  periodo  avete  messo  filo- 

sofi di  gran  nome?  La  risposta  è  facile  e  chiara:  primo, 

perchè  tale  è  l'ordine  cronologico  di  cotesti  filosofi; 

secondo,  perchè  costoro  han  parlato  o  accennato  alle 

dottrine  del  Vico,  adoperando  una  critica  più  presto 

erudita  e  storica  che  filosofica.  Qui  non  potevamo 

disporre  e  coordinare  gli  autori  in  ragione  delle  opere 

scritte  e  per  gli  studi  eh'  essi  han  coltivato  e  per  la 

forma  del  loro  ingegno,  bensì  pel  valore  della  critica 

ch'essi  hanno  esercitato  su  le  dottrine  del  nostro  filo- 

sofo. Nessuno  ha  dato  segno  d'elevarsi  ai  veri  prin- 

dpii  di  queste  dottrine,  non  perchè  non  sapessero,  ma 

sia  perchè  alcuni  di  essi  non  ebbero  tal  fine  parlando 

del  Vico,  sia  perchè  non  han  creduto  ad  una  filosofia  ' 

di  quest'autore.  Nondimeno  a  contar  dai  primi  fino 

agli  ultimi  scrittori  appartenenti  a  questo  secondo  pe- 

riodo, dallo  Jannelli,  per  esempio,  al  secondo  traduttore 

francese  della  Sdenta  Nuova,  è  evidente  un  progresso 

mercè  cui  la  critica  sul  nostro  filosofo,  da  erudita  e  sto-  \ 

rica  e  filologica,  viene  assumendo  gradatamente  valore 

sempre  più  filosofico;  di  modo  che  T ordine  logico,  in 

questo  nostro  saggio  di  storia  sulla  Scienza  Nuova, 

risponde  perfettamente  all'  ordine  cronologico. 

La  critica  nel  senso  d' interpretazione  filosofica  sarà 

quind'  innanzi  il  carattere  per  cui  si  distingueranno  gli 

autori  a' quali  verremo  accennando  nel  seguente  capitolo. 

 

 

periodo  degl'  interpreti  filosofi. 

Il  terzo  periodo  degli  studi  sul  filosofo  napoletano, 

se  è  vero  che  ha  da  risolversi  logicamente,  come  s'è 

detto,  in  una  critica  filosofica,  doveva  esser  dischiuso 

propriamente  da'  filosofi  come  quelli  i  quali,  più  che  fer- 

marsi alle  applicazioni,  costumano  anzi  risalire  ai  prin- 

cipii  e  alle  ragioni  di  esse.  Or  le  ragioni  e  i  principi! 

(  della  Scienza  Nuova  giacciono  sparsi,  quasi  germi  fe- 

condi, nelle  opere  latine  del  nostro  filosofo  ;  e  a  queste 

vediamo  accennare  più  spesso,  e  ad  esse  volgersi  più 

che  ad  altro  la  mente  degli  scrittori  che  noi  verremo 

adunando  ed  esaminando  in  questo  terzo  periodo. 

Primo  di  tutti,  infatti,  al  Libro  Metafisico  ricorre 

r  illustre  Terenzio  Mamiani  ;  e,  trovatovi  il  criterio  del 

vero  e  del  fatto  che  è  come  il  nodo  vitale  di  tutte  le 

teoriche  vichiane,  nel  Binnovamento  dell'  antica  filosofia 

I  italiana  viene  applicandolo  a  quella  dottrina  ch'ei  disse 

della  hvtuijsione.  Sennonché,  un  criterio  qual  è  questo 

di  valore  essenzialmente  universale,  come  vedremo,  un 

criterio  che  nelle  più  elevate  questioni  di  metafisica 

assume  qualità  e  forma  di  principio;  nelle  mani  del  filo- 

sofo pesarese  invece  piglia  natura  e  proporzioni,  per 

cosi  dire,  di  norma  psicologica,  o  ideologica  che  sia: 

né  quindi  ebbe  torto  il  Rosmini  se  in  cosiffatto  innesto 

operato  dal  Mamiani  vide  annidarsi  difetti  non  pochi, 

né  lievi  magagne,  confessate  oggi  tacitamente  e  nobil- 

mente dall'  autore  delle  Confessioni  d*  un  metafisico. 

Vedremo  a  suo  luogo  se  quando  il  Vico  propose  quel 

criterio,  non  intendesse  né  punto  né  poco  uscir  da'  ter- 

mini della  Intuizione,  come  allora  pensavasi  '1  Ma- 

miani.* Il  quale,  ove  oggi  tornasse  a  parlarne,  certo 

ne  discorrerebbe  in  ben  altri  sensi  e  co' riguardi  di  buon 

platonico,  più  che  di  filosofo  naturale  seguace  della 

filosofia  del  comun  senso,  al  modo  che  con  sì  acceso 

entusiasmo  prese  a  fare  trentacinque  anni  addietro.*  Del 

•  Vedi  Del  Rinnovamento  della  FU.  antica  Itah,  Parijri.  1884,  pag.  474. 

*  Difatto  nelle  Con/esnoni  (voi.  I,  pag.  597)  il  ManiiaDi  designa  il 

filosofo  napoletano  come  il  vero  e  ardito  rinnovatore  della  teorica  delle 

idee,  ma  non  dice  come,  non  dice  perchè,  e  non  giustifica  in  alcun  luogo 

ed  in  vernn  modo  tale  affermazione.  Nò  Teramente  il  poterà,  stantechè 

rimanente  il  merito  a  cui  egli  può  e  dee  pretendere 

panni  questo.  Primo  d'  ogni  altro  ei  richiamò  alla 

mente  degl'italiani  non  pur  la  dottrina  su  l'anzidetto 

criterio,  ma  eziandio  alcune  teorie  cosmologiche  sparse 

nel  libro  De  Antiquissima  Itàlorum  sapientia.  Tale  si  è 

quella  de'  punti  metafisici  come  generatori  di  solidi,  in 

quanto  ci  significano  una  forza  unica  che  in  ciascun 

corpo  meditiamo  sotto  la  concezione  d'  un  punto:  tale 

queir  altra  su  la  continuità  che  questa  forza  infonde  a 

tutte  cose:  *  tale  anco  la  idea  del  conato  motore  iden- 

tico per  tutto:  tale  il  concetto  della  incomunicabilità 

del  moto  onde  ogni  particola  materiale  si  può  dir  che 

possieda  in  proprio  il  principio  motivo  già  ricevuto  da 

tutto  il  subbietto,  talché  il  moto  sia  da  ritenere  per  al 

tutto  spontaneo:'  tale,  finalmente,  l'idea  della  impos- 

sibilità del  vuoto  assoluto,  e  1'  altra  che  il  divisibile 

accusi  r  indivisibile,  l' indefinito  e  l' immutabile  in  seno 

alle  fenomeniche  e  divise  realtà.' 

Ognun  vede  quant'il  Mumiani  del  Rinnovamento 

cogliesse  giusto  in  queste  idee  cosmologiche  del  Vico. 

Dopo  trenta  e  piii  anni  però  egli  è  ritornato  a  parlarne, 

ma  troppe  cose  nella  nuova  cosmologia  scordandosi  della 

vecchia.  Ristringendoci  infatti,  per  ora,  al  concetto  isto- 

rico,  se  dell'  antico  maestro  invocato  sei  lustri  innanzi 

ei  pur  si  rammenta,  se  ne  rammenta  sol  per  addolorarsi 

anch'  egli  che  il  Vico  fosse  stato  l' autore  della  dottrina 

^  Corsi  e  ricorsi  storici  (malaugurata  dottrina!)  né  sa 

darsi  pace  pensando  come  mai  nella  mente  di  quel 

sommo  tal  gravissimo  errore  fosse  potuto  capire.  Al  con- 

trario oggi  egli  stima  d'aver  gettato  le  basi  alla  filosofia 

storica,  mercè  l' idea  dell'  finità  organica  del  mondo 

isterico.  Ma,  diciamolo  con  buona  pace   dell'illustre 

U  sua  teorica   neopIatoDìca  delle  idee  sia  diametralmente  opposta  a 

quella  che,  come  redremo,  scaturisce  dall*  insieme  delle  dottrine  richiane. 

*  Dd  Rinnovamento^  ec  pai|^.  297. 

nomo,  cotesto  a  noi  sembra  ed  è  un  concetto  assolutar 

mente  vìchiano.  Per  tre  fattori,  infatti,  dice  il  Mamiani, 

il  mondo  de' popoli  forma  unità  organica;  e  sono  questi: 

1*  natura  comune  e  perpetua  negli  uomini;  2<'  diversità 

di  schiatte;  3«  diversità  di  luoghi  abitati.*  Trascurando 

il  terzo  fattore,  perocché  il  concetto  etnografico  tragga 

seco  r  altro  del  clima  e  de'  luoghi  abitati,  è  chiaro  che 

medesimezza  e  differenza  abbian  da  essere,  in  ultimo 

costrutto,  i  fattori  dell'  unità  organica  nella  storia.  Or 

ciò  che  a  me  pare  facesse  il  Vico,  e  che  il  Mamiani 

forse  non  giugno  nemmanco  a  sospettare,  è  appunto 

r  aver  dimostrato  per  via  di  fatto,  vuo'  dire  filologica- 

mente e  storicamente,  esser  queste  precisamente  le 

universali  ragioni  del  processo  isterico  e  del  verace 

progredire  della  civiltà.  Ma  il  Pesarese  non  ha  torto 

se  reputa  freschissime  intuizioni  del  suo  cervello  cose 

viete  e  stantie,  massime  oggi  che,  buttatasi  dietro 

le  spalle  la  sua  vecchia  e  modesta  filosofia  naturale, 

ha  voluto  levarsi  tant'  alto  da  produrre  non  so  che  ar- 

gomenti ontologici  e  metafisici  a  dimostrar  l' iiidefinUo 

e  immancabile  progredimento  nel  regno  de'  fatti  umani. 

Se  la  novella  filosofia  platonica  abbialo  d*àvvero 

dilungato  dal  Vico,  può  vedersi  da  questo.  Havvi  nella 

Scienza  Nuova  un'idea  vera,  infinitamente  conforte- 

vole, ed  è  che  un  popolo  decaduto  possa  da  sé  medesimo  I 

rilevarsi  a  vita  novella:  e  il  può,  stante  che  nella  mente 

dell'autore  l'uomo  è  attività  profonda,  attività  essen- 

zialmente spontanea.  L'  autore  delle  Confessioni  intanto 

respinge  risolutamente  cotesto  principio  ;  e  lo  respinge 

perchè  crede  che  cotesto  popolo  non  possa  risorgere 

salvo  die  per  altrui  virtù.  *  Or  io,  col  dovuto  rispetto  al 

grand'  uomo,  vorre' chiedere:  qual  progresso  è  egli  più 

naturale,  quello  della  vecchia  Scienza  Nuova,  o  puro 

quello  del  nuovo  filosofo  delle  Confessioni?  Non  dico 

*  Mamiani,  Con/ei9Ìon%  <f  un  metaJUico.  Firenze,  1865,  toI.  II,  libro  V, 

Aforismo  Vili,  458. 

*  Idem,  eodem,  paragr.  224. 

poi  quanto  facciano  contro  alle  esigenze  storiche  poste 

dalla  Scienza  Nuova  nonché  al  concetto  della  naturai 

provvidenza  che  ne  scaturisce,  que'  cotal  influssi  divini 

ormai  famigerati  del  Mamiani,  quelle  funzioni  storiche 

di  certi  popoli,  quelle  preordinazioni  storiche  e  civili  I 

di  certi  altri,  e  quelle  quattro  età  nelle  quali  e'  si  piace 

divider  la  storia  non  solamente  passata,  ma  benanco 

avvenire! 

 

Al  Mamiani  tien  dietro  il  Rosmini,  V  acutissimo 

fra'  moderni  pensatori  d' Italia,  e  al  Rinnovamento  del 

pesarese  contrapponendo  un  altro  ^innovamento,  coglie 

il  destro  d'intrattenersi  anch' egli  su  le  dottrine  del  Vico.* 

 

Con  vigor  dialettico  irresistibile,  difendendo  sé  stesso 

da  certa  critica  mossagli  contro  dal  Mamiani,  questi  egli 

colpisce  a  morte  e  lo  conquide  in  tutte  quelle  dottrine 

mezzo  sensistiche  cui  nella  seconda  parte  del  suo  Rin- 

novamento accenna  il  pesarese.  Or  in  mezzo  a  tal  cri- 

tica accade  che  il  Rosmini  faccia  parola  del  Vico,  e  lo 

difende  dall'interpretazione  di  sensismo  e  d'empirismo  1 

ch'altri  volesse  dargli.*  Questo,  secondo  noi,  é  il  merito 

del  Rosmini  rispetto  al  Vico.  Avrebbe  potuto  averne 

anche  un  altro ,  se  in  senso  puramente  conoscitivo  | 

e  psicologico  non  avesse  interpretato  il  criterio  della 

conversione  del  vero  col  fatto,  al  quale  consacra  note 

lunghe  e  in  gran  parte  noiose.  Ma  se  cotesta  interpre- 

tazione possa  accordarsi  con  l'insieme  delle  dottrine 

del  nostro  filosofo,  vedremo  in  altro  Capitolo.  Qui  é 

d'uopo  solamente  notare,  che  se  in  questa  polemica 

r  un   de'  due   filosofi  interpretò   cotal  criterio ,    come 

 

•  Giova  osservare  come  neUe  sue  prime  scritture  il  Rosmini  non  abbia 

citato  U  nome,  nò  mai  rammentato  alcuna  dottrina  del  Vico.  Lo  cita 

bensì  nella  Filoaojia  Politica  e  nella  Filosofìa  del  Diritto  dove  segnata- 

mente cbiarisoe  ♦»  rnol  ribattere  il  concetto  ù*  ordine  a  cni  accenna 

Fautore  del  Diritto  Univeraaìe;  mentre  poi  nel  Binnoramentoy  libro  an-  | 

tenore  ai  due  menzionati,  b'  intrattiene  a  lungo  sul  nostro  filosofo.  Si  può 

dire  perciò  che  il  Roveretano  conobbe  e  lesse  le  opere  del  Vico  un 

pò*  tardi,  e  solo  eccitatovi  dal  Mamiani.  Ecco  una  ragione  della  critica 

«pesso  stiracchiata  con  la  quale  crede  tirar  dalla  sua  il  nostro  filosofo. 

'  RoBXiNi,  Jl  Rinnovamento^  etc.,   libro  III,  cap.  XXXV,  pag.  406. 

s'è  detto,  neJ  significato  di  regola  psicologica,  l'altra 

giunse  ad  interpretarlo  siffattamente  da  fargli  pren- 

der fisonomia  tutta  teologica,  astratta,  scolastica.  Né 

questo  solamente  fa  il  Rosmini.  Con  una  critica  sot- 

tilissima, al  solito,  ei  tien  dietro  lentamente  a  tutti  i 

passi  del  Mamiani,  e  discorrendo  anch'  egli  delle  dot- 

trine cosmologiche  sparse  nel  Libro  Metafisico,  ado- 

pera ogni  sforzo  a  dimostrare  come,  anziché  le  inter- 

pretazioni date  a  tal  proposito  dal  suo  avversario,  sian 

le  sue  proprie  interpretazioni  quelle  che  tornano  più 

vere  e  legittime  alla  mente  del  Vico,  e  eoa  lo  riduce 

I  al  panteismo,  al  dualismo,  al  materialismo,  al  fata- 

lismo, all'ateismo  e  che  so  io.*  Il  che  non  poteva  riuscir 

gran  fatto  difficile  al  Rosmini,  stante  certa  confusione 

ond'il  Mamiani  espone  quella  dottrina  cosmologica  in 

favor  della  quale  invocava  l' autorità  del  Vico  ;  ma  ap- 

punto col  Vico  alla  mano  il  Roveretano  attacca  il  Pesa- 

rese, e  se  ne  libera  di  leggieri. 

 

Se  il  Rosmini  in  molte  cose  ha  ragione  di  riprendere 

e  correggere  V  avversario,  non  molta  ragione  parmi  egli 

abbia  nel  modo  con  che  egli  stesso  interpreta  il  filo- 

sofo napoletano.  L'autore  del  Nuovo  Saggio  confessa 

di  non  cai)ire  che  cosa  mai  vogha  significare  quella 

materia  metrifisica  a  cui  il  Vico  attribuisce  il  conato.  Che 

cos'è,  donv^nda,  cotesta  materia  metafisica?  È  forse 

alcun  che  di  reale  e  sussistente,  cioè  la  sostanza  de* 

corpi,  ovvero  è  una  mera  astrazione  della  mente?  Egli 

s' attiene  a  questa  seconda  interpretazione,  e  afferma 

che  la  materia  metafisica,  il  mondo  metafisico  del  Vico 

è  mondo  d' idee,  mondo  di  cose  ottime,  mondo  di  virtù 

indivisibili:  nel  che  gode  poterlo  dichiarare  non  solo- 

platonico,  ma  eziandio  malebranchiano  !  '  Poi,  tirando- 

l' acqua  al  proprio  mulino,  non  dubita  affermare  come 

cotesta  materiu  metafìsica  del  Napoletano  altro  non  sia 

fuorché  la  materia  comune  intelligibile  di  san  Tommaso,, 

'  Rosmini,  Op.  cit.  pagr.  448  o  sey. 

*  Op.  cit.,  pag.  14o,  nota  4. 

che  per  lui,  com'  è  noto,  vuol  dire  VEnte  possibile,  C!osi 

che  (egli  conclude)  quanflo  il  Vico  dice,  quella  sua  ma- 

teria metafisica  essere  sostanjsa  de^  corpi,  con  ciò  egli 

intende,  e  noi  dobbiamo  intender  con.  lui,  la  idea  della 

sostanza  de' corpi.  Eccolo  dunqne  il  povero  Vico  non  pur 

dichiarato  malebranchiano,  ma  seguace  devoto  altresì 

della  scolastica!  Si  può  dar  di  peggio?  Giova  poi  notar 

qui  un  altro  punto  di  discussione  sopra  cui  torneremo 

altrove.  Si  sa  qual  divario  ponga  il  Rosmini  tra  so- 

stanza ed  essenza  :  Y  una  delle  quali  per  lui  essendo 

r  attività  e  T  altra  intelligibilità  dell'  essere,  ne  segue 

che  le  sostanze  sian  da  considerarsi  come  create,  e 

come  eterne  le  essenze,  perchè  queste  non  sono  che  le 

cose  in  quanto  logicamente  possibili.  Or  la  confusione, 

egli  osserva,  delle  due  parole  d'essenza  e  di  sostanza, 

è  quella  che  rende  oscurissime  le  dottrine  del  Vico  :  la 

qual  confusione  potrà  cessare  solamente  quando  il  co- 

nato di  cui  ragiona  quel  filosofo,  sia  tolto  in  significato 

d' essenza,  meglio  che  di  sostanza.^  Sopra  questo  punto 

noi  ci  rifaremo  in  altro  luogo:  basti  qui  l'aver  mostrato 

in  poche  parole  come  il  Rosmini  interpretasse  alcune 

dottrine  del  Nostro. 

Ammiratore  sviscerato  del  Vico  fu  Vincenzo  Gio- 

berti, si  che  mai  non  gli  accade  rammentarne  il  nome 

senza  metterlo  accanto  a  quelli  d'Agostino,  di  Malebran- 

che, di  Leibnitz.  Non  meno  del  Rosmini  interpreta  an- 

ch' egli  a  suo  modo  la  relazione  tra  l' ordine  ontologico, 

e  r  ordine  logico.  Crede  verissimo  il  criterio  del  fare  il 

vero,  ma  solamente  applicato  a  Dio;  perocché  il  vero 

umano  non  essendo  un  fatto,  un  parto  umano,  bensì  un 

fatto,  un  parto  divino,  seguita  che  la  ccniversime  del 

Vero  ed  Fatto  è  quella  déW  ideale  col  reale.  Ora  la  me- 

desimezza ddV  ideale  col  reale  si  verifica  nd  giro  deh 

VEnte  e  non  in  quello  ddV Esistenza.^  È  qui,  come  ve- 

dremo, l'esagerazione  dell'ontologismo  giobertiano,  per- 

'  RosinKi,  Rinnovamento,  pag.  455  e  seg. 

*  GiOBiBTi,  Inirod.  aUo  Hudio  ec.  Losanna.  1848,  tom.  I,  pag.  269. 

:ìffi  .*••-.'  ':  :  &TaiH&  della  scienza  nuova.  [lib.  i. 

che  qui  pone  radice  quella  ipotesi  (me  1  perdonino  tutti 

i  Giobertiani  della  bassa  e  della  media  Italia)  su  l' ori- 

gine delle  idee.  Merito  del  Gioberti  pertanto  è  l'aver 

primo  e  meglio  d' ogn'  altri  avvertito  quella  distinzione 

messa  in  chiaro  dal  Vico  nello  studiare  il  vecchio  idioma 

latino  fra  essere  ed  esistere;  l'essersene  poi  servito, 

com'è  noto,  nella  confutazione  del  panteismo;  e,  ciò 

che  più  monta  notare,  all'uso  improprio  fattone  da 

Cartesio  contrapporre  costantemente  anco  nelle  opere 

postume,  checché  ne  abbian  sognato  e  vadan  sognando 

certi  nostri  hegeliani,  l' uso  proprio  e  il  senso  in  che 

quelle  due  voci  furon  dapprima  adoperate  dal  Vico. 

Ma  i  tre  filosofi  de' quali  abbiam  toccato  sin  qui, 

parlando  e  discutendo  intorno  al  Vico  non  accennarono 

a  veruna  dottrina  storica  di  lui.  Ad  essi  quindi  tien 

dietro  Silvestro  Centofanti;  il  quale,  comecché,  nella 

|sua  I  ormala  logica  della  filosofia  deUa  storia  non  citi 

il  Vico,  nullameno  fin  dalle  prime  pagine  i  lettori  pos- 

sono facilmente  accorgersi  quant'  abbia  studiato  in 

queir  autore  e  fattene  proprie  le  dottrine  storiche  po- 

nendole sotto  nuovo  punto  di  lume.  Il  libro  del  Cen- 

tofanti sarebbe,  a  dir  proprio,  un  saggio  di  metafisica 

storica.  Mente  maschia,  scrittore  di  genio,  a  fondamento 

della  scienza  storica  egli  pone  tale  un'  idea  che  ha  fiso- 

nomia  tutta  vichiana.  Considerando  infatti  la  realtà  sto- 

rica nella  sua  genesi  ideale,  nella  sua  relazione  causale, 

la  storia  al  Centofanti  appar  com'  un  processo  ascensivo 

dall'idea  empirica  all'idea  filosofica,  e  però  un  legame 

universale  stringe  tutt'  i  fatti  umani  così  nel  tempo  come 

nello  spazio.*  Laonde  al  modo  istesso  che  nell'ordin 

de'  fatti  risulta  necessaria  l' idea  d' una  società  che  com- 

ponga ima  famiglia  civile  ;  parimenti  nell'ordin  de' con- 

cetti la  scienza  non  fa  altro  che  contemplar  la  vita  gene- 

rale del  mondo,  la  vita  di  questa  famiglia  sociale  univer- 

sale. E  poiché  il  fatto  è  di  tre  nature,  psicologico,  sociale 

*  Centofanti,  Una  /ormala  logica  ec,  Pisa,  1845,  pag.  63. 

e  coBmico  ;  ne  seguita  che  nel  primo  d' essi  è  la  potenza 

del  secondo,  e  però  così  Y umanità  è  nell'individuo,  come 

r  individuo  compiesi  nell'  umanità.  Il  Centofanti ,  da 

ultiino,  si  chiarisce  seguace  del  Vico  anco  là  dove  osserva 

che  le  genti  sparse  per  la  terra  e  dapprima  ignote  V  una 

all'altra,  per  necessità  psicologica  e  quindi  sociale  en- 

trano appresso  nelle  relazioni  d'un  viver  comune. 

Parlando  di  questo  scrittore  v'è  da  osservare  un'altra 

ooBa.  Poiché  il  fatto  sociale  per  lui  si  rannoda  col  fatto 

cosmico  e  per  necessità  teleologica  si  compie  in  questo  ; 

ne  segue  che  la  formola  proposta  dal  filosofo  pisano  è 

formola  essenzialmente  teleologica.  Così  veramente  che, 

non  essendo  ella  in  sostanza  se  non  la  dottrina  dei  Nessi 

dello  Jannelli  guardata  nell'ordine  ideale,  si  può  dire 

che  per  questo  rispetto  il  Centofanti  compia  in  certo  1 

modo  il  Vico  e  lo  Jannelli  insiememente.  Sennonché 

nel  suo  libro  hawi  un  difetto  ;  intendo  l' abuso  d' una 

formola  puramente  speculativa,  per  la  quale  poco  in- 

telligibili ne  risultan  le  dottrine.  Che  cosa  vuol  dire, 

per  esempio,  qneìY  innaUare  il  fatto  istorico  a  grado  di 

passibilità  filosofica?  E  un  altro  difetto  della  sua  for- 

inola parmi  questo  :  il  non  aver  determinato  nettamente  ' 

il  suo  concetto  teleologico;  rispetto  a  cui  forse  non  pochi 

dubbi  potrebbe  sollevare  la  filosofia  positiva. 

Ma  se  il  Centofanti  amò  guardare  il  concetto  isto- 

rico nella  sua  nudità  ideale,  un  altro  toscano  suo  col- 

lega nella  stessa  Università  pisana,  il  Carmignani,  da 

erudito  e  dotto  giureconsulto  prese  a  considerarne  la 

parte  giuridica,  la  nozione  del  giure  nella  sua  Storia 

déUa  Filosofia  del  Diritto,  Comecché  non  molto  pro- 

fondo, pure  fra  tutti  gU  scrittori  italiani  di  materie  giu- 

ridiche il  Carmignani  ha  questo  merito:  d'essere  stato 

il  primo  a  far  avvertire  il  valore  delle  dottrine  giuri- } 

diche  razionali  sparse  a  larga  mano  nel  Diritto  Uni- 

versale del  Vico,  e  dimostrarne  l'anteriorità  e  superio- 

rità rispetto  a  quelle  della  Scuola  Storica  di  Germania. 

Altrove  ci  verrà  fatto  citare  qualche  bella  sentenza  di 

questo  scrittore:  qui  ci  piace  prender  nota  solamente 

delle  bellissime  parole  con  le  quali  egli  chiude  la  sua 

storia  :  Carne  la  filosofia  rajdonale  degli  antichi  nacque  in 

Italia,  così  la  filosofia  dd  Diritto  col  suo  vero  criterio  per 

opera  del  Vico  vi  nacque:  che  il  5wo  vero  punto  di  par- 

tenza è  nell'opera  di  questo  illustre  italiano,  e  si  può  dire 

agV  Italiani.,.,  rivolgete  tutte  le  forze  del  vostro  ingegno 

a  scrutare  profondamente  nella  filosofia  del  Diritto  del 

Vico;  ad  afferrarne  lo  spirito;  ad  impossessarvi  de^ brevi 

e  fuggitivi  lampi  di  luce  che  vi  s'incontrano  e  convertirli 

in  principii  necessari  a  dare  alla  società  umana  le  isti- 

tuzioni  più  acconce  a  favorire  i  progressi  della  perfet- 

tibilità e  della  ragione.^ 

Ma  più  che  del  Carmignani,  d'un  altro  giurecon- 

sulto e  anche  filosofo  è  mestieri  tener  conto;  del  dottis- 

simo Emerico  Amari.  Questi  è  il  critico  più  giudizioso 

che  abbia  saputo  discorrere  con  chiara  veggenza  su  le 

I dottrine  giuridiche  della  Scienza  Nuova  sotto  l'aspetto 

filosofico.  Quel  suo  copioso  volume,  in  ciascuna  pagina 

del  quale  egli  invoca  l' autorità  del  Vico  e  con  larghezza 

di  niente  ne  svolge  le  diverse  teorie,  dovrebb' esser  fatto 

oggetto  di  studio  da  chi  ami  penetrar  davvero  nel  pen- 

siero del  filosofo.*  È  uno  de'  libri  più  gravi  che  siano  stati 

pubblicati  fra  noi  in  quest'  ultimi  anni.  Non  v'  è  pensiero 

nelle  opere  del  nostro  filosofo,  né  sentenza  circa  le  costi- 

tuzioni civili  e  il  Diritto  in  generale,  ch'ei  non  abbia  av- 

valorato, chiarito,  applicato.  Ma  non  potendo  qui  rile- 

var tutt'  i  pregi  di  quest'  opera,  come  pur  vorremmo,  ci 

ristringiamo  ad  accennarne  alcuni,  e,  primo  d' ogni  altro, 

questo.  Egli  dimostra  in  più  luoghi  e  in  più  maniere, 

che  la  scienza  della  legislazione  comparata  è  tutta  rac- 

*  Cabmionami,  Storia  deUe  orioni  e  de'progrean  ddla  FUofofia  dd  Di- 

ritto,  voi.  II. —Altrove  dice:  La  JUo$ofia  del  DiriUo  non  ti  era  elevata 

mai  prima  del  Vico  aW  altezza  razionale  a  cui  egli  con  la  originalità  dd 

»uo  genio  la  tpinte,  Lib.  VI,  cap.  IV,  p.  39 

*  K.  Amari,  Critica  d^  una  eeienna  dette  legidamoni  comparate  Ge- 

nova, 1857. 

chiusa  come  in  germe  nelle  opere  del  Vico,  segnatamente  • 

nella  Scienza  Nuova.  Sicché  a  voler  determinare  conve- 

nevolmente il  carattere  per  cui  l'opera  delF Amari  si 

disceme  da  ogn'  altra  in  cui  si  discorra  del  nostro  filo- 

sofo, si  potrebbe  affermare  che  il  suo  libro  sìa,  per 

cosi  dire,  una  specie  di  commento  esplicativo  e  interpre- . 

tativo  di  quelle  dottrine  vichiane  risguardanti  la  parte 

filosofica  e  storica  della  legislazione  comparata.  Che  se 

ai  lettori  paresse  men  che  vero  cotal-  nostro  giudizio,  noi 

gr  inviteremmo  a  leggere  e  meditare  il  libro  veramente 

ingegnoso  dell'Amari,  nel  quale  poi  troverebbero  un  al- 

tro merito,  ed  è  questo.  A  preferenza  di  molti  critici  del 

Vico  egli  ha  veduto  come,  le  opere  di  lui,  nonostante 

la  diversità  de' titoli,  sian  tutte  informate  dalla  virtìi 

d'unico  e  fecondo  principio,  sì  che  sembrino  elementi 

d'  un  tutto,  parti  d'  una  scienza  sola.*  Il  che  abbiam 

voluto  ricordare  contro  coloro  che  le  opere  e  le  dot- 

trine del  filosofo  napoletano  credono  fatte  a  pezzi.  ! 

Ma  anche  l' Amari,  com'  è  naturale,  ha  i  suoi  difet- 

ti! Suo  principal  difetto  è  il  non  aver  interpretato  in 

modo  veramente  filosofico  alcune  dottrine  del  maestro, 

d'averlo  spesso  inteso  alla  lettera,  come  nel  concetto 

della  provvidenza,  e  di  ntjn  esser  giunto  a  coglierne 

talora  la  parte  originale  mettendo  da  banda  certe  sen- 

tenze erronee  come  qualcuna  riguardante,  per  esempio, 

la  questione  delle  XII  Tavole:  su  la  quale  noi  ci  rifa^ 

remo  in  altro  lavoro  dove  mostreremo  la  debolezza  de- 1 

gli  argomenti  co'  quali  cred'  egli  d' aver  invalidato  tale 

dottrina  del  Vico.  Difetto  ci  sembra  altresì  il  non  ac- 

cettare quel  principio,  eh'  è  uno  de'  cardini  della  Scienza 

Nuova:  non  doversi  credere,  cioè,  che  il  Diritto  sia 

uscito  da  Ufia  prima  nazione^  da  cui  le  altre  lo  abbiano 

ricevuto;  per  cui  nessun  valore  potrà  spiegare  agli 

occhi  suoi  quella  ragione  accettata  dal  Vico  a  tal  pro- 

posito, ed  è  che,  dove  tal  diritto  fosse  comunicato  e  non 

 

E.  Amari,  Op.  cit.  pag.  259,  537  nella  Dota  3. 

*  piuttosto  originano  e  intrinsecato  negli  nmaui  costami, 

la  natura  comune  degli  uomini  non  procederebbe  se- 

condo leggi  naturali/  E  di  qua  proviene  poi  se  V  Ama- 

ri, intendendo  im  po'  grossolanamente  il  concetto  di 

provvidenza,  vien  trascinato  a  riconoscer  nella  storia 

e  nella  civil  società  uomini  e  popoli  eletti,  destinati  a 

I  compiere  grandi  e  speciali  funzioni  storiche:  il  che  dav- 

1  vero,  più  che  altro,  sembraci  contrario,  come  vedremo, 

iJlo  spirito  della  Scienza  Nuova. 

Per  quest'ultime  ragioni,  dunque,  considerato  l'Amari 

come  critico  filosofo,  noi  dovremo  annoverarlo  fra'  com- 

mentatori che  han  lasciato  il  Vico  qual  era,  cioè  mezzo 

filosofo  e  mezzo  teologo  quant'a  filosofia  della  storia. 

Cattolico  sviscerato,  con  lenti  da  teologo  ei  s' è  fatto  a 

guardare  certe  dottrine  della  Scienza  Nuova  ;  e  col  teolo- 

gismo  interpreta  infatti  la  teorica  de'  Corsi  e  Ricorsi, 

e  perciò  quella  sul  progresso.  Debole  critico  per  ciò 

medesimo  e'  ci  pare  quando  su  l' origine  del  linguaggio 

afferma,  il  Vico  sembrargli  infinitamente  ardito  perchè, 

interissimo  cristiano^  giugne  là  dove  il  pagano  Platone 

non  giunse,  dove  non  osò  spingersi  Rousseau,  né  seria- 

mente precipitarsi  Mqndeville  o  Lametrie}  Noi  vedremo 

questo  esser  anzi  un  concetto  propriamente  originale 

del  filosofo  napoletano  e  pieno  di  verità. 

Essendomi  avvenuto  qui  d'accennare  ai  giurecon- 

sulti che  in  questo  3»  periodo  han  discorso  del  Vico,  è 

da  avvertire  che,  prima  già  del  Carmignani  e  dell' Ama- 

|ri,  il  Mancini  e'I  Mamiani  accennaron  più  volte  ai 

'  principii  giuridici  del  Nostro  nella  polemica  eh'  ei  ten- 

nero su  la  Filosofia  del  Diritto.*  Su  l'interpretazione 

ch'essi  danno  al  concetto  del  diritto  posto  dal  Vico 

ritorneremo  altrove,  e  la  mostreremo  sbagliata  da  cima 

1  a  fondo  non  tanto  nel  Mancini  quanto  nel  Mamiani.  Qui 

ad  onore  del  primo  dobbiamo  osservare  come  fra  tutti 

*  Vico,  Seconda  Scienza  Nuova,  DegDÌtà,  CV. 

•  Amibi,  Op.  cit.  pag.  829. 

-*  Mancini  e  Mamiani,  Lett,  tuUa  FU.  dd  Diritto,  Napoli,  1S41. 

gli  scrittori  giureconsulti  italiani  egli  abbia  un  merito 

singolare  rispetto  al  Vico.  Fin  dal  prim'anno  di  questa 

seconda  metà  del  secolo  ei  s'avvide  come  dalle  opere 

del  nostro  filosofo  si  possa  trarre  un  gran  concetto,  il* 

concetto  delle  nazionalità.*  Il  Vico  non  parlò  mai  di  na- 

zionalità com'oggi  la  intendiamo,  e  tanto  meno  di  na- 

zionalità  italiana;  e  pure  ella  scaturisce  a  fil  di  logicai 

dalla  sua  dottrina  sul  Tempo  Oscuro.  Il  Mancini  osserva 

com'il  Vico  una  volta  sola  ardisca  lodare  se  stesso 

neir  Autobiografia  là  ove  rammentando  il  novello  prin- 

cipio del  Diritto  naturale  delle  genti  fondato  su  la  na- 

tara  comune  delle  Nazioni,  non  dubitò  scrivere  di  sé 

medesimo  queste  memorabili  parole  :  Per  questo  suo  tro- 

vato 5'  intende  Vico  esser  nato  per  la  gloria  della  patria  ; 

e  in  conseguenza  ddVItcdia.  Sennonché  il  Mancini  a  tal 

proposito  ha  discorso,  com'  era  da  prevedersi,  in  modo 

ampolloso  e  poco  preciso,  contentandosi  di  cogliere  il 

concetto  della  Nazionalità  nelle  opere  del  filosofo  col 

guardar  solamente  alle  estrinseche  attinenze,  per  esera- 

pio  al  titolo  della  prima  edizione  della  Scienza  Nuova, 

a  qualche  sentenza  sparsa  qua  e  là  nel  Diritto  Univer- 1 

sale,  e  ad  altro  siffatto.  Egli  dunque  non  risalì  ai  prin- 

cipii  e  alla  filosofia  storica  di  questo  filosofo  a  potervi  | 

rintracciare  l'origine  ideale,  per  così  chiamarla,  del 

principio  della  nazionalità. 

Dal  tutt'  insieme  degli  scrittori  giureconsulti  di  que- 

sto periodo  scorgerà  chiaro  il  lettore  quant'  ei  superino, 

nello  interpretar  le  dottrine  giuridiche  del  Vico,  gli 

autori  di  questo  medesimo  genere  a  cui  abbiamo  ac- 

cennato nel  primo  e  anche  nel  secondo  periodo.  Tutto- 

ché non  filosofi,  pure  questi  giusnaturalisti  manifestano 

tendenza  filosofica  nella  lor  critica;  e  però  segnano 

anch'  essi  un  progresso  in  siffatfordine  di  studi.' 

'  S.  Hakoini,  Intorno  alla  Nazionalità  come  fondamento  dd  Diritto 

ddU  gentiy  Prelezione  ec,  Tonno,  1851. 

 

'  Il  D*  Ondbs  Reggio  accenna  anch' egli  al  Tico  più  d'una  rolta  nella 

■oa  Jntrodwt,  ai  prineipii  deUe  umane  eooietà,  e  talora  pretende  correg- 

Innanzi  di  passare  a  discorrere  de'  filosofi,  ultimi  in- 

terpreti del  Vico,  facciamo  notare  come  l' illustre  Vau- 

I  nuoci  con  V  usato  impareggiabile  suo  stile  in  parecchie 

pagine  dell'  antica  storia  di  Roma  si  è  intrattenuto  sul 

Vico,  dimostrando  com'egli  precorresse  francesi  e  in- 

glesi nel  far  rovinare  quel  fantastico  edificio  fabbricato 

da  tanti  e  per  sì  lunghi  secoli  su  le  origini  e  su  la 

storia  di  Roma,  e  facendo  altresì  vedere  che  se  il  Vico  fu 

precorso  da  alcuno,  questi  fu  un  italiano.*  Crede  an- 

ch' egli  che,  agitando  questioni  fino  allora  intentate,  quel 

filosofo  cominciasse  una  grande  rivclueime  d^idee,  e 

compiesse  da  sé  sólo  V  opera  di  più  generazioni  d* ingegni. 

Rileva  nettamente,  il  modo  col  quale  spiegò  le  diffi- 

coltà e  le  contraddizioni  degli  antichi  racconti  in  ge- 

nerale, notando  com'egli  ponesse  le  fondamenta  alla 

vera  filosofia  della  storia  romana,  appoggiandosi  in 

ispecie  sul  corso  delle  leggi  romane,  sul  significato  del 

patriziato  e  della  plebe,  e  sul  modo  con  che  questa 

diventò  popolo.  In  tutte  le  indagini  su  Roma  lo  dice 

sublime,  ispirato.  ' 

Anch'  egli  si  duole  che  il  Vico,  nel  condurre  i  primi 

mortali  dallo  stato  di  natura  alle  istituzioni  romane, 

 

 

^erlo  come  quando  vuol  mostrare,  contro  la  sentenza  del  Vico,  che  i 

.  selvaggi  hann'  avuto  benissimo  Videa  di  proprietà,  mentre  la  propria 

de  beni  nella  Scienza  Nuova  non  è  annoverata  fra  i  prìncipH  primi99imi 

d'umanità  al  pari  del  matrimonio,  delle  sepolture  e  simili  (pap.  57).  Ma 

il  selvaggio,  domandiamo,  ha  egli  idee,  o  non  più  veramente  istinti? 

Per  avere  idee  non  è  necessario  un  processo,  e  quindi  la  storia,  la  so- 

cietà, la  civiltà?  1  principii  veri  d'umanità,  come  vedremo,  pel  Vico 

sono  due  principalmente;  tutti  gli  altri  non  sono  che  mezzi  e  condizioni 

d' nmanità.  Ma  nel  cervello  del  cattolicissimo  D'Ondes  cotesto  cose  diffi- 

cilmente entreranno.  Nondimeno  egli  è  da  lodare  qnando  mostra  che  il 

principio  del  Diritto  pel  filosofo  napoletano  è  V utile  inalzato  alV  idea  dd  ' 

giu&to.  Anche  il  Carmignani  e  TAmari  e  specialmente  il  Mancini  accen- 

nano a  tal  concetto  vichiano. 

*  È  noto  come  fin  dal  1677  il  Lancbllotti,  ne*  suoi  Farfalloni  degli 

'  antichi  ttorieif  prevenisse  il  Vico  in  questa  maniera  di   critica.  Curioso 

che  dopo  un  secolo  il  libro  suo  fosse  stato  tradotto  in  francese  e  stampato 

A  Londra  nel  1770.—  Vedi  Vankucci,  St.  antica  d'Italia,  voi.  I,  pag.  884. 

•  Atto  Vaknucoi,  Op.  cit.,  voi.  I,  pag.  886. 

cadesse  in  romanzi.  Ma  qui  il  Vannucci,  com*  è  chiaro, 

pone  due  estremi  fra' quali  c'è  davvero  un  abisso:  stato 

di  natura  di  qua,  e  civiltà  romana  di  là.  Chi  vorrà 

dunque  maravigliaci  se  anche  a  lui  certe  idee  del  Vico 

fossero  parse  non  altro  che  romanzi?  Checché  ne  sia, 

questo  valentuomo  ha  poi  il  merito  d' aver  tenuto  conto 

del  Duni,  e  d'aver  saputo  apprezzare  degnamente  il  va- 

lore de' suoi  studii.  Di  fatto,  ritiene  anch' egli  (come 

noi  stessi  notammo)  che  tutte  le  opere  del  Duni,  specie 

quelle  su  l' origine  e  su'  progressi  del  cittadino  e  del 

governo  di  Roma,  altro  non  siano  che  un  commento^ 

un'applicazione  e  un'esplicazione  delle  idee  del  filosofo 

napoletano  :  Il  Duni  non  ha  un'  idea  che  non  sia  dd 

Vico;  e  nota  com'egli  abbia  reso  grandissimo  servigio 

al  suo  maestro  applicandone  i  fecondi  principii  a  tutte 

le  quistioni  del  Diritto  e  a  tutt'i  fatti  d'ordine  poli- 

tico e  civile.  Osserva  poi  come  i  Sansimonisti  (e  noi  di- 

ciamo anco  i  Positivisti  odierni),  imparassero  dal  Vico] 

a  divider  la  storia  in  grandi  periodi  sociali  coordinan- 

done i  fatti  sotto  le  idee  madri  onde  sono  prodotti.  Nota 

finalmente,  come  il  Niebhur  trovasse  nel  nostro  filosofo 

l'occasione,  l'impulso,  la  chiave  a  novelle  invenzioni,  e 

crede  tesi  difficile  a  sostenersi  che  il  celebre  storico  igno- 

rasse il  Vico.  Le  reminiscemse  della  Sciema  Nuova  (egh 

conclude)  s'incontrano  ad  ogni  momento  nella  storia  ro-s 

mana  del  dotto  tedesco.*  Veniamo  ora  ai  filosofi  pro- 

priamente detti. 

Ne'  prim'  anni  di  questa  seconda  metà  del  secolo  il 

Boullier  s'è  intrattenuto  del  nostro  Giosefo  nella  sua  sto- 

ria sul  Cartesianismo,  e  aflerma  innanzi  tutto  com'  egli, 

non  altrimenti  che  Huet,  esagerasse  la  povertà  dell'eru- 

dizione di  Cartesio  e  il  disprezzo  di  lui  per  la  storia.  Un 

altro  francese,  l' acuto  Renouvier  come  vedemmo,  osserva 

in  vece  eh'  egli  ne  avea  tutto  il  diritto  nel  produrre 

tal  giudizio;  e  noi  stiamo  col  Renouvier.  Né  vale  che  il 

Boullier  si  scateni  tanto  contro  il  filosofo  di  Napoli,  che 

'  Atto  Vaskucci,  Op.  cit.,  toI.  1,  pag.  894. 

pel  Vico  non  è  quistione  di  maggiore  o  minor  pre- 

valenza d'  erudizione,  ma  è  quistione  principalmente 

di  metodo.  Il  metodo  positivo  è  il  metodo  psicologico 

e  storico  ;  è  la  psicologia  intesa  storicamente,  e  quindi 

la  storia  intesa  psicologicamente.  Ora  il  metodo  Car- 

tesiano è  assolutamente  psicologico:  ecco  dunque  una 

delle  ragioni  per  cui  il  Vico  levossi  contr'al  Carte- 

sianismo. Il  BouUier  crede  anch'  egli,  la  metafisica  del 

Nostro  essere  uìie  esquisse  d^une  méthaphysiqm  dont  les 

traits  principaux  sonò  empruntés  à  Pythagorcs  à  Platon 

et  aussi  à  Leibnitz,^  Ma  dove  son  le  ragioni?  Certo,  in 

qualsia  moderno  sistema  toma  facile  rivedere  più  o  men 

chiaro  il  concetto  del  numero  Pitagorico,  la  monade 

Leibniziana,  l' idea  Platonica,  la  categoria  Aristotelica  e 

simili.  Il  difficile  sta  nel  mostrare  in  che  maniera  quelle 

che  diconsi  rimembranze  siano  insieme  arganate,  cioè 

in  che  guisa  compongano  fra  loro  un  vero  organismo. 

Il  modo  col  quale  il  Boullier  interpreta  la  metafi- 

sica del  Vico  è  leggiero  e  talora  grossolano.  Il  suo 

metodo,"  egli  dice,  è  metodo  ontologico,  non  diverso  da 

quello  liei  suo  compatriota  Giordano  Bruno,  perchè  con 

esso  ci  trasporta  immediate  in  seno  all'essere  primo. 

E  qui  vorremo  chiedere  al  Boullier:  con  qual  locomotiva 

avvien  egli,  di  grazia,  cotesto  immediato  trasferimen- 

to? Un'altra  enormità  tutta  francese  poi  è  questa:  il 

principio  del  sistema  Vichiano  esser  Videntité  du  vrai 

et  du  fait  oti  du  vrai  et  de  Vétre:  voUà  le  premier  prin- 

cipe de  son  système}  Non  basterebbe  tale  affermazione 

per  giudicare  la  critica  di  quest'autore?  Ma  c'è  ancora 

qualche  altra  enormità  ;  per  esempio,  che  il  Vico  s' ac- 

cordò co'  Cartesiani  ^owr  faire  de  Dieu  Vunique  cause  de 

tous  les  mouvements  de  Vàme  et  du  corps,  e  che  al  pari 

de' Cartesiani  egli  riduca  gli  animali  a  puro  meccani- 

smo !  ^  Circa  la  teoria  sn^ punti  metafisici  poi  dice  sia  la 

*  BouLLiBR,  Hi9t.  de  la  PhU.  Oartitiennet  Paris,  1854,  voi.  II,  pag.  528. 

parte  più  notevole  della  metafisica  vichiana,  ma  vuole 

che  r  esteso,  quando  tu  il  ravvisi  nella  sua  essenza,  ri- 

8^ga  in  Dio,  non  però  in  Dio  considerato  nel  suo  atto.  Col 

che,  com'  è  evidente,  il  Boullier  toglie  alla  dottrina  del 

nostro  filosofo  ogni  originalità,  riducendola  al  cosmo- 

logismo  Cartesiano.  Che  s' egli  nondimeno  giudica  con 

assennatezza  il  valore  della  Scienza  Nuova,  ci  fa  poi 

cascar  la  penna  di  mano  ove  pretende  che  tra  questa 

e  le  MeditaeUmi  di  Renato  non  sia  opposizione  di  sorta, 

salvo  che  di  metodo.  Sicché  mentre  il  Michelet  dichiara 

essere  il  Vico  l'avversario  piii  terribile  del  Cartesiani- 

smo, il  Boullier  vuole  eh'  egli,  pur  combattendolo,  resti 

nnllamanco  suo  fedelissimo  seguace  !  *  Di  tutt'  i  francesi 

solo  questo  scrittore,  fatta  però  eccezione  del  Bouchez,  è 

quegli  che  non  sa  penetrare  più  in  là  della  buccia  nelle 

idee  del  nostro  filosofo.  E  pur  dà  segno  d'averlo  stu- 

diato e  meditato  con  amore  grande;  ma  certo  non  senza 

grande  passione. 

 

Veniamo  ora  agli  ultimi  scrittori  italiani  che  sonosi 

dati  cura  del  nostro  filosofo,  e  che  nella  storia  della 

Scienza  Nuova  spiegano  per  noi  interesse  maggiore.  Son 

quasi  tutti  filosofi,  come  avvertimmo  già;  e  ne  parlere- 

mo brevemente,  al  solito,  secondo  l' ordine  cronologico. 

Innanzi  a  tutti  ci  si  presentano  i  Giobertiani;  e  l'esage- 

razione della  interpretazione  giobertiana  e  cattolica  ce 

r  addita  da  prima  Alfonso  De  Carlo  ne'  suoi  quattro  i 

volumi  di  filosofia  secondo  i  principii  del  Vico,  de' quali 

volumi  è  a  nostra  notizia  unicamente  il  primo  dove  si 

discorre  di  Protologia.  Uomo  sinceramente  cattolico, 

sinceramente  liberale  e  passionato  seguace  del  filosofo 

subalpino,  il  De  Carlo  volle  servirsi  del  nome  del  Vico 

perchè  gli  fosse  consentito  insegnar  le  dottrine  giober- 

iiane  quando  nel  vecchio  Keame  faceasi  più  tristo  e  in- 

solente il  dispotismo  de' Borboni.  Questa  ci  sembra 

r  orìgine  del  suo  libro,  o  meglio  del  titolo  vistoso  e  falso 

•  BouLURB,  Op.  cit.,  Tol.  cit.  psg.  584. 

di  cotesto  SUO  libro.  Perocché  non  sapremmo  altrimenti 

spiegarci  come  nelle  600  pagine  d'un' opera  che  s'in- 

titola dal  Vico,  si  parli  e  si  propugni  dall' un  capo  all'al- 

tro le  dottrine  del  Gioberti,  anzi  che  quelle  proprie  del 

filosofo  napoletano. 

Ma  più  che  altri  merita  qui  d'esser  menzionato  l'illn- 

(  stre  Fornari,  come  quegli  che  fin  da' primi  anni  di  que- 

sta seconda  metà  del  secolo  ha  mostrato  neUe  sue  dot- 

trine quanto  siasi  dovuto  ispirare  al  Vico,  benché  di 

rado  gli  faccia  l'onore  di  citarlo.  Il  Fornari  oggi  fra 

noi  è  il  filosofo  artista  per  eccellenza.  Quanta  efficacia 

di  stile!  Quanta  eleganza  di  parola  nelle  sue  pagine  1 

Speculare  sottilmente  ei  non  sa,  o  meglio,  non  vuole. 

Nella  sua  mente  l'idea  nasce  viva,  nasce  sempre  incor- 

porata in  una  forma,  incarnata  in  una  figura.  Il  che  non 

ci  reca  maraviglia  in  lui,  autore  delia  stupenda  opera  su 

I  r  Arte  del  dire,  né  ci  sorprende  il  magistero  dello  scri- 

vere veramente  sovrano.  Come  scrittore,  il  Fornari 

segna  un  progresso  nelle  sue  stesse  opere.  Ne'  Dialoghi 

su  l'Armonia  universale,  per  esempio,  predomina  il  tono 

classico,  e  nell'  Arte  del  dire  v'  è  qua  e  là  non  so  che 

di  leccato  che  stanca.  Ma  l' arte  vera,  quell'  arte  che 

sa  far  tutto  e  tutto  nascondere,  si  palesa  mirabile  nel 

suo  libro  in  corso  di  stampa  su  la  vita  di  Cristo  :  tal- 

ché non  senza  ragione  il  Tommaseo  pensa  che,  quanto 

a  fattura  e  a  stile,  cotesta  opera  del  Fornari  sia  il  primo 

libro  del  secolo.  Col  Fornari  si  può  dissentire;  e  noi 

pur  troppo  dissentiamo  da  lui  per  moltissimi  conti.  Ma 

chi  non  vorrà  ammirarne  l' ingegno  poderoso  e  non  di 

rado  originale  checché  ne  predichino  certi  hegeliani? 

Sennonché,  lasciando  deljFornari  scrittore,  conside- 

riamolo come  filosofo  rispetto  al  Vico.  In  fondo  egli  é  un 

Giobertiano;  ma  il  Giobertismo  in  lui  é  modificato  sì 

che  altri  penerebbe  a  riconoscerlo.  Però  noi  diremmo 

seguace,  poiché  quando  il  Gioberti  scriveva,  la  mente  del 

Fornari  erasi  già  formata.  Egli  é  anche  cattolico,  es- 

senzialmente cattolico;  ma  dubito  forte  se  i  Gresuiti  vor- 

ranno  stargli  in  compagnia.'  Nella  sua  mente  l'idea 

cristiana  è,  per  cosi  dire,  ciò  che  il  mito  indiano  di- 

venta nella  fantasia  greca.  Però  noi  crediamo  che  uno 

stndio  lungo  e  amoroso  delle  dottrine  vichiane  ch'egli 

celatamente  ormeggia,  ha  dovuto  spiegar  molta  effica- 

cia su  la  forma  singolare  del  suo  pensiero.  La  Vita 

di  Cristo^  a  quel  che  parrebbe,  è  tutt'  un  disegno  di  filo- 

sofia storica;  ma  di  filosofia  storica  nel  senso  cristiano. 

È,  in  sostanza,  il  concetto  del  Bossuet,  ma  affatto  in- 

novato e  trasfigurato;  perchè  nel  Bossuet,  vuo'dire  nel 

vecchio  concetto  cattx)lico,  è  quasi  ombra  ciò  che  nel 

Fomari  è  corpo,  corpo  vivente,  vivente  organismo.  Da 

sincero  cattolico  egli  dunque  ha  studiato  il  Vico,  in  lui 

s' è  ispirato,  e  alla  luce  d' alcuni  suoi  principii  ha  in- 

terpretata la  stoiìa.  In  modo  ingegnoso  ei  rannoda  (vero 

o  non  vero  che  sia  è  un'  altra  quistione)  i  due  grandi 

fatti  dell'  universo,  creazione  e  redenzione,  considerando 

Cristo  quel  centro  massimo  inverso  a  cui  s' accolgono 

e  da  cui  partono  tutt'  i  raggi  d' ogni  qualunque  civiltà, 

d'ogni  qualunque  religione.  Qui  nel  fondo,  com'  è  chiaro, 

e'  è  il  Bossuet,  e  nella  forma  e'  è  qualcosa  del  Vico.  E 

che  il  Fornari  arieggi  alla  Scienza  Nuova,  il  dimostra 

quella  legge  delle  sei  giornate,  passim  stcunwd  di  civiltà, 

per  le  quali  ei  vede  passare  i  popoli  e  le  famiglie 

umane  a  cominciar  da  Babilonia  fin  a  Roma.  E  che 

poi  la  imiti  in  senso  tutto  cattolico  ce  '1  dimostra  un 

principio  ch'egU  vi  attinge  e  che  nel  tempo  stesso 

crede  correggere.  <i  Fu  deUo  gravido  di  sderusa,  (egli 

dice)  gravido  di  tutta  una  scienza  nuova  il  detto  di  Criam- 

battista  Vico,  Che  Vuomo  ignorante  fa  sé  medesimo  cen- 

tro e  misura  delle  cose.  E  forse  la  filosofia  della  storia 

sard)be  stata  piik  intiera  infino  dalla  nascitay  se  U  filo- 

*  Queste  parole  noi  scrivoramo  dieci  mesi  addietro,  ed  ora  abbiam 

listò  col  fatto  come  darrero  i  Gesuiti  non  vogliano  saperne  dell*  ultimo 

libro  del  Fornari.  IWilarcheo  della  CivUtà  CaUolica  lo  ha  ripudiato  fa- 

cendone una  critica  veramente  puerile;  ma  il  prof.  Acri  con  una  difesa 

dotta  elegante  e  gentile  lo  ha  fatto  invece  ben  volere  ed  ammirare  a  chi 

meno  n'era  disposto.  Filarcheo  ha  reso  nn  buon  servigio  al  Fomari. 

SiciLuni.  8 

sofo  avesse  conceputa  intiera  quella  verità;  dicendo^  che 

la  mente  ddPuomOy  chiusa  in  sé  dal  peccato,  ritiene 

chiudo  in  sé  medesima  l'universo}  »  Ecco  un'interpre- 

tazione tutta  cattolica,  essenzialmente  cattolica,  d'un 

principio  fondamentale  della  Scienza  Nuova:  equi  co- 

ni' è  naturale,  siamo  davvero  agli  antipodi  con  l'illustre 

abate  napoleta-no.  Che  poi  il  Vico  abbia  lasciato  certa 

salda  impronta  nella  mente  del  Fomari,  anche  per  ciò 

che  risguarda  i  principii  di  cosmologia,  ce  lo  fa  sospet- 

tare la  sua  dottrina  sul  tempo  e  su  lo  spazio  come  in 

altro  luogo  diremo:  e  lo  stesso  ci  mostra  l'aver  egli 

creduto  compiere  e  correggere  il  nostro  filosofo  nella 

definizione  che  questi  ha  dato  su  la  natura  delle  fa- 

coltà: *  nelle  quali  correzioni  ov'il  Fornari  fosse  riuscito, 

io  non  saprei  scorgere  davvero  in  che  mai  s'abbia 

a  far  consistere  l' originalità  del  Vico.  Ciò  che  dunque 

v'ha  di  vigorosamente  speculativo  e  direi  quasi  d'ar- 

chitettonico nel  Fomari,  mostra  una  certa  impronta 

vichiana  :•  tutto  il  resto  rimane  estraneo  alle  dottrine 

speculative  del  nostro  filosofo  secondochè  noi  le  in- 

tendiamo. 

 

E  oltre  che  al  Vico,  egli  sembra  essersi  ispirato  al- 

tresì a  Tommaso  Rossi  che  il  Vico  non  dubitò  appel- 

lare mente  divina;  tanto  che  al  Fomari  dobbiamo  se 

oggi  alcuni  giovani  napoletani  son  venuti  richiaman- 

doci alla  memoria  le  ignorate  dottrine  di  questo  filosofo, 

fra'  quali  notiamo  l' egregio  signor  Giordano-2iOCchi. 

Ne' suoi  studi  sul  Rossi  egli  per  primo  ha  rilevato  accu- 

ratamente alcune  attinenze  fra  la  metafisica  di  questo 

filosofo  e  quella  del  Vico,  dimostrando  come  in  su' pri- 

mordi del  secolo  XVIII  l'uno  compiesse  l'altro,  segnata- 

mente nelle  dottrine  cosmologiche,  come  l'altro  inte- 

grasse l'uno  col  concetto  storico,  e  com' entrambi  si  fos- 

sero opposti  non  pure  aUa  filosofia  spinoziana  e  lockiana 

allora  in  gran  voga,  ma  anche  in  gran  parte  al  metodo 

*  FoRNART,  Della  Vita  di  Critto.  Firenze,  1869,  cap.  V,  pag.  325w 

*  Idem,  DeW  Armonia  Univertale,  2'*  ediz.  Firenze,  1863,  pag.   74. 

cartesiano.'  Un  altro  scrittore  poi,  il  Galasso,  accenna 

più  volte  con  acume  ed  opportunità  alle  idee  metafisiche 

del  Vico  nella  sua  critica  all'  Hegelianismo  ;  e  piii  chiaro 

e  più  di  proposito  ne  parla  nell'altro  suo  lavoro  sul 

metodo  storico  dello  stesso  filosofo.*  Ma  non  sempre  in 

lui  la  chiarezza  e  la  semplicità  nel  concepire  e  nel- 

l'esporre  le  idee  eguagliano  i  molti  pregi  dello  stile  in 

guisa  che  i  lettori  ne  possano  trarre  tutto  il  valore. 

Non  ultimi  si  presentano  gli  Hegeliani  ad  invocare 

le  dottrine  del  Vico,  e  proclamarsene  seguaci.  L' illu- 

stre B.  Spaventa  lo  appella  suo  cavai  di  battagUa;  e 

non  ha  torto.  Altrove  io  dissi  quanto  la  presente  filo- 

sofia italiana  debba  a  quest'  ingegno  acuto  e  vigoroso.' 

Da  quindici  anni  a  questa  parte  egli  è  stato  il  primo 

ad  accorgersi  come  nelle  opere  del  filosofo  napoletano  ! 

s'asconda  un  pensiero  filosofico  profondo  e  originale. 

Che  se  altri  prima  di  lui  ha  detto  lo  stesso,  egli  solo 

però  ha  mostrato  come  davvero  l'autore  della  Scienza 

Nuova  debba  meritar  titolo  di  filosofo,  anzi  di  metafi- 

*  sico.  Del  che  dobbiamo  essergli  grati,  massime  pensando 

com'  altri  della  medesima  scuola  abbia  avuto  ed  abbia 

cuore  d'appellare  il  Vico  una  mediocrità  filosofica! 

 

L'Hegelianismo  è  tal  sistema  il  quale,  guardato  sotto 

certo  punto  di  lume,  ti  par  davvero  non  altro  che  un 

espUcamento  della  Scienza  Nuova  :  sicché  agli  Hegelia- 

ni, abili  s'altri  mai  nel  cogliere  anco  i  più  fuggevoli 

riscontri  storici,  non  dovea  riesch:  difficile  ritrovare  nel 

Vico  tutt'  i  germi  dell'  Idealismo  assoluto.  Di  fatto,  il 

vero  pregio,  il  valore  massimo  di  lui  (osserva  il  pro- 

fessore Spaventa)  sta  nel  porre  lo  spirito  siccome  l^ero 

sviluppo  di  $è  stesso.  Ecco  il  nodo,  egli  dice,  tutto  il 

nodo  della  Scienza  Nuova. 

 

Qui  Spaventa  ha  ragione.  Dov'è  che  comincia  il 

*  GlORDANO-ZoccHi,  Studi  aopra  Tommaso  Robbì^  Napoli  1865. 

•  Galasso,  Dd  nstema  Hegdiano^  Napoli  1867.   Del   metodo  Btorìeo  i 

del  Vico  nella  Rivitta  Boiogneae,  1868,  Fase,  del  giugno. 

'  Vedi  la  nostra  Memoria,  Oli  Hegeliani  in  Italia,  Bologna,  1868.  t 

SUO  torto  ?  Laddove  pretende  interpretare  a  metà  il 

pensiero  del  filosofo.  Tutto  ciò  che  si  piglia  da  Hegel 

e  si  trasferisce  nel  Vico  ci  sta  a  maraviglia  :  a  maravi- 

glia insino  a  che  non  si  trascende  la  storia,  e  il  finito. 

Di  là  dalla  storia  comincia  quella  intricata  speculazione 

dialettica  assoluta  di  cui  nel  Vico  non  ce  n'è  ombra, 

almeno  intesa  nel  senso  hegeliano.  La  storicità;  ecco  il 

gran  pregio,  l'onore  del  Vico:  e  quest' è  pure  uno 

de'  pregi  dell'  Hegelianismo.  Ma  qui  proprio  è  l' abisso. 

Ciò  che  pel  Vico  infatti  è  idea  umanoj  nell'  Hegelia- 

nismo è  pensiero  considerato  nella  sua  assolutezza.* 

Mondo  naturale  e  mondo  umano,  provvidenza  naturale 

e  provvidenza  umana,  che  cosa  sono  pel  Vico?  Non 

sdtro  che  la  differenea  reale  ddV  assòluta  indifferenza^ 

£  che  cos'è  mai  cotesta  indifferenza  assoluta?  Si  sa: 

è  la  Idea.  Ma  e'  è  egli  nel  filosofo  napoletano  cotesta 

vostra  Idea?  Sì,  certo:  è  V unità  dello  spirito  che  in- 

forma e  dà  vita  a  quésto  mondo  di  Nazioni}  Addio 

dunque  concetto  dell'Assoluto  nel  Vico  !  Addio  concetto 

del  Vero  eh' è  l'Essere,  e  dell' Essere- Vero  ;  dell'asso- 

luta Causa  e  dell'  assoluta  Potenza!  Qui  mi  sparisce 

dagli  occhi  la  modesta  persona  del  nostro  Don  Giam- 

battista, e  in  sua  vece  levasi  la  gran  figura  di  Giorgio 

Federigo  Hegel  di  Stoccarda.  Non  s' ha  piii  la  Scienza 

Nuova,  bensì  la  Logica  obbiettiva:  non  più  il  metodo 

i  psicologico-storico,  ma  il  dialettico  :  non  piiì  un  modesto 

speculare,  bensì  un  sapere  trascendentale:  non  più  una 

scienza  dell'Assoluto,  ma  la  scienza  Assoluta  addirittura. 

E  qui,  com'  è  naturale,  non  e'  è  accordi  che  tengano. 

Il  solo  Spaventa  inoltre,  non  pur  fra  gli  Hegeliani, 

ma  fra  tutti  quelli  che  hanno  preso  a  parlare  ex-professo 

I  del  Vico,  ha  intraveduto  V  originalità  della  psicologia  vi- 

'  chiana.  Ha  visto  come  il  concetto  di  sviluppo  in  luì  sia 

uno  schema  sotto  tre  diverse  forme:  !•  Come  schema  lo- 

 

*  B.  Spaventa,  Sul  caraiUre  e  sviluppo  della  FU,  Italicma,  pag.  31. 

*  Idem,  Lezioni  di  FUosoJia,  Napoli,  1862,  pag.  85. 

*  Idem,  Prohu,  cit.  pagr.  27. 

gico;  2»  Come  schema  psicologico,  o  individuale  ;  3*  Come 

schema  della  psiche  concreta  e  vivente  si  nei  popoli  e 

sì  nell'  umanità.*  Tutto  questo  è  vero.  È  vero  nella  sto- 

ria, nella  psicologia  e  nel  pensiero,  cioè  nella  logica;  e 

dobbiamo  rallegrarcene  vivamente  con  V  illustre  profes- 

sore napoletano.  Ma  che  cotesto  medesimo  schema  ab- 

bia da  essere  pel  Vico  lo  schema  altresì  della  totalità  del 

reale  e  di  THo  stesso  (com'  è  certo  per  Hegel),  questo  è 

per  r  appunto  ciò  che  a  me  non  pare,  né  secondo  ragio- 

ne, e  nemmanco  secondo  l'autore.  ìì  concetto  dell'  Unità 

dello  Spirito  nelle  due  filosofie  hegeliana  e  vichiana  si 

assomiglia  certo  quant'al  processo:  nel  che  siamo  He- 

geliani anche  noi  e  piii  Hegeliani  dello  stesso  Hegel,  se 

pur  fosse  possibile.  Ma  cotesta  grande  Unità  dello  Spi- 

rito che  pel  filosofo  di  Stoccarda  è  un  Ultimo,  pel  Vico 

è  un  Penultimo  ;  e  perciò  stesso  non  può  essere  neanche 

un  Primo.  E  qui  pure,  com'  è  evidente,  parmi  opera  persa 

ogn' invocazione  d'accordi,  e  vano  qual  si  voglia  dialet- 

tico almanacchio.  E  di  qua  proviene  come  non  di  rado 

il  prof.  Spaventa  creda  imperfezione  ed  errore  nel  Vico 

ciò  che  davvero  è  imperfezione  ed  errore  nell'Idealismo 

assoluto,  precisamente  come  gli  accade,  per  dirne  una,  là 

dove  pretende  scorger  le  così  dette  età  storiche  anco  nel- 

r  umanità,  considerata  come  tale,  meglio  che  nei  popoli, 

ai  quaU  solamente  vuol  esser  applicata  cotesta  legge  se- 

condo il  vero  senso  datole  dal  Vico:  il  che  osserviamo 

tanto  più  volentieri,  in  quanto  che  egU  stesso  biasima  gli 

Hegeliani  per  aver  esagerato  oltre  misura  cotesto  prin- 

cipio.' Da  ultimo  è  da  notare,  ad  onore  del  valoroso 

prof,  di  Napoli,  com'ei  sia  de' pochissimi  che  col  Tom-  ' 

maséo,  col  traduttore  anonimo  francese,  col  De  Ferron  e 

qualche  altro,  abbia  inteso  a  dovere  e  pienamente  le- 

gittimata la  dottrina  de'  Corsi  e  ricorsi  storici.' 

n  nostro  eh.  collega  ed  amico  professor  Fiorentino 

*  B.  SPAYBifTA,  Legioni  di  Filo9ofia  ec.  pag.  94  e  seg. 

*  Idem,  eodem,  pag.  99. 

*  Idem,  eod.,  pag.  100. 

ha  parlato  anch'  egli  del  Vico  ;  e  ormeggiando  lo  Spa- 

venta, ne  ha  parlato  da  schietto  e  fedele  hegeliano  co- 

in'  era  da  prevedere,  in  una  serie  di  lettere  indirizzate 

alla  egregia  e  compianta  Marchesa  Florenzi.  Consen- 

tiamo con  lui  quando  irrompe  contro  gli  eterni  enco- 

miatori del  Vico  ;  che  d' alcuni  di  cotesti  lodatori  a  buon 

prezzo,  impotenti  inneggiatori  al  genio  di  lui,  a  bella 

posta  non  abbiamo  voluto  far  parola,  e  ne  avremmo 

avuto  larga  mèsse  da  mietere.  E  battiamo  le  mani  altresì 

air  amico  nostro  in  tutto  quant'  egli  acutamente  viene 

osservando  su  la  dottrina  del  Vico  risguardante  l'origine 

e  la  natura  delle  religioni,  e  in  ciò  ch'ei  dice  sopra 

certe  grossolane  contraddizioni  proprie  del  nostro  au- 

tore, perchè  crediamo  anche  noi  con  lui,  col  Ferrari,  con 

lo  Spaventa  ed  altri,  che  nel  filosofo  napoletano  e'  è,  a 

1  dir  così,  due  uomini,  il  vecchio  e'I  nuovo.  Non  meno 

vere,  finalmente,  ci  paion  quelle  sue  considerazioni  sul 

.  modo  con  che  il  nostro  filosofo  riguardava  il  Diritto 

Romano,  e  belle,  se  non  tutte  vere,  quelle  altre  sul 

processo  psicologico  delle  facoltà  inteso  alla  maniera 

del  Vico.  Ma  non  sapremmo  convenire  in  parecchie  al- 

tre cose,  alle  quali  con  l'usata  franchezza  e  brevità 

verremo  accennando. 

Come  ogni  fedele  hegeliano  anche  l'amico  nostro 

vuol  ritrovare,  al  solito,  gli  antecedenti  del  Vico;  e  lo 

rimonta,  nullameno,  sino  alla  Repubblica  di  Platone! 

Avrebbe  potuto  ricacciarlo  anco  fino  agli  Egizi,  ove  forse 

avrebbe  ripescato  qualcosa  di  più,  come  confessa  lo  stesso 

Vico  quando  si  prova  a  rintracciar  le  origini  storiche 

del  suo  storico  ternario.  In  Platone,  dice  il  Fiorentino,  ci 

era  Vico,  ma  non  tutto,  né  sviluppato;  ci  erano  i  semi  che 

fecondati  germinarono,  e  dMa  ReptÀblica  fecero  baiUar 

fuori  la  Scienza  Nuova.  Fra  gli  hegehani  il  Fiorentino 

è  quegli  che  meno  degli  altri  intoppa  nel  difetto  di  far 

la  storia  a  furia  di  riscontri  storici;  i  quali  per  inge- 

gnosi che  paiano  non  riescono  sempre  positivamente 

veri.  E  non  più  che  ingegnoso  ci  sembra  questo  di  cui 

si  parla.  Noi  crediamo  che  ciò  che  veramente  distìngue 

r  ingegno  e  le  dottrine  del  Vico  non  sia  un  indirizzo  I 

platonico,  anzi  piuttosto  aristotelico:  il  che  risulta  da 

tatto  r  insieme  delle  sue  dottrine,  meglio  che  da  questo 

o  quel  passo  isolato  e  stralciato  dagli  altri  a  tutto  pro- 

prio comodo  e  servigio.  Ma  perchè  s^ha  a  risalire  alla 

Repubblica  di  Platone  massime  quando  si  parla  della 

Scienza  Nuova?  Per  affermar  questo  l'amico  nostro 

s' appoggia  principalmente  nelle  forme  del  reggimento 

politico,  le  quali  pel  Vico  sono  tante  quante  le  facoltà 

dello  spirito  :  sentenza,  com'  è  noto,  propria  di  Platone 

e  poi  di  tutti  quant'  i  politici,  e  che  ritroviamo  sco- 

pertamente ormeggiata  nel  nostro  filosofo.  Ora  che  un 

divario  profondo  per  valore  e  significato  razionale  sia 

da  scorgere,  come  vedremo,  tanto  nel  concetto  psicolo- 

gico quanto  nel  concetto  dello  stato  del  filosofo  ateniese 

rispetto  a  quello  del  Vico,  ninno  il  saprà  negare  che 

abbia  meditato  il  principio  storico  sopra  cui  tutta  è 

fondata  la  Scienza  Nuova.  Io  dunque  non  so  capacitar- 

mi, e  mi  son  maravigliato  meco  stesso,  come  mai  il  no- 

stro collega  sia  potuto  venire  in  questa  sentenza,  che 

la  Bepubblica  e  la  Sdema  Ntwva  si  fondano  sopra  un 

disegno  comune.  Ma,  di  grazia,  dove  son  le  ragioni?  E 

dato  ci  siano  cotesto  ragioni,  come  non  accorgersi  che 

il  processo  psicologico  secondo  la  mente  del  povero  pe- 

dagogo di  VatoUa  è  diametralmente  opposto  a  quello 

proprio  del  gran  figliuolo  di  Aristone;  e  quindi  diffe- 

rente la  genesi  delle  forme  politiche  dello  Stato  nei  due 

filosofi?  E  che  cosa  ci  ha  che  vedere  il  concetto  plato- 

nico della  Oittà  con  quello  della  Cittàj  deUe  Genti  Minori 

che  scaturisce  dal  processo  isterico  della  Scienza  Nuova? 

Eppoi,  per  accennar  qui  ad  un  altro  ordin  di  cose,  quanto 

r  immobilità  delle  idee  platoniche  non  si  discosta  dal- 

l'attuosità  profonda,  intima,  vivace  che  il  Vico  attri- 

buisce al  suo  Ente-Vero?  D' altra  parte,  non  è  lo  stesso 

Fiorentino  che  avverte  come  il  Vico  medesimo  facesse 

una  breve  critica  alla  Bepubblica  stantechè  in  essa 

ruomo  sia  considerato,  non  qual  è,  anzi  qual  dovreb- 

b'  essere?  0  perchè,  dunque,  chiamar  comune  il  disegno 

delle  due  opere?  In  altra  sua  scrittura,  parlando  del 

Parmenide  e  della  dialettica  platonica,  il  Fiorentino 

dice  che  il  Vico  vi  attinse  lo  schema  della  Scienza  Nuo- 

va.  Anche  qui  la  interpetrazione  critica  dà  in  fallo.  Si 

sa  oggimai  (e  dirlo  al  Fiorentino  sarebbe  come  portar 

nottole  ad  Atene)  che  nel  Parmenide  e  nella  Bepub- 

I  blica  tanto  il  carattere  generale  quanto  il  processo  tor- 

nino fra  loro  assai  diversi.  Come  va  dunque  che  il  dise- 

gno della  Scienza  Nuova,  eh' è  comune  con  quello  della 

RepubbUca,  è  anche  lo  schema  della  dialettica  esposta 

nel  Parmenide?  In  somma,  io  non  dubito  che  una  rela- 

zione esista  fra  Vico  e  Platone:  non  dubito  che  riscontri 

se  ne  possan  fare  in  infinito.  Ma  prima  di  tutto  biso- 

)  gnerebbe  stabilire  a  qual  Platone  s' assomigli  il  Vico, 

j  a  quello  del  Sofista,  del  Timeo  o  all'altro  della  Repub- 

'  blica,  del  Fedro,  ovvero  a  quello  del  Parmenide?  Per^ 

quanto  mgegnosi,  dunque,  cotesti  riscontri  sono  sempre 

estrinseci,  analogie  secondarie,  esteriori,  e  quindi  spesso 

fallaci  con  cui  gli  hegeliani  abbarbagliano  d  ma  la- 

sciano sempre  il  buio  che  trovano. 

 

In  fine  della  prima  lettera  poi  egli  afferma  che  la 

metafisica  per  Vico  versa  nel  vero  e  non  ha  processo. 

Non  ha  processo?  Or  come,  s' egU  stesso,  lo  stesso  Vico, 

primo  fra  tutt'  i  filosofi  dell'  evo  moderno  e  mezzo  se- 

colo avant'  il  Kant  appose  alla  metafisica  questa  me- 

morabile definizione:  Critica  dd  vero?  E  se  la  critica 

vichiana  non  è  processo,  o  per  lo  meno  esigenza  di  esso» 

che  cos'  è  mai^  Senonchè  nella  seconda  lettera,  com'era 

naturale,  col  suo  retto  senso  il  Fiorentino  contraddice 

apertamente  alla  prima  quando  mostra  come  il  princi- 

pio sopra  cui  '1  Vico  fondò  l' opera  sua,  riesca  differente 

dal  principio  di  Platone.  Di  cotesto  disdirsi  non  ci 

doliamo:  ci  rallegriamo  anzi.  E  ce  ne  ^rallegriamo  per- 

chè, s'egli  è  co^,  il  comune  disegno  della  Repubblica 

e  della  Scienza  Nuova,  eh' e' vagheggia  nella  prima 

lettera,  sfuma  del  tutto  o  per  lo  manco  è  ridotto  a 

termini 'convenienti.  E  molto  men  vera  poi  ci  sembra 

quest'  altra  sentenza:  Che  l'autore  della  Scienza  Nuova, 

avvistosi  della  inconvenienza  d'ammettere  una  Mente 

Sovrana,  facesse  capo  ad  una  psiche  vivente  e  defini- 

ta. Ma  la  psiche  vivente  di  cui  parla  il  nostro  amico 

non  contraddice  nà  punto  ne  poco  alla  realtà  di  quella 

Mente,  anzi  ne  legittima  vie  più  la  necessità.  Il  Vico 

dunque  non  vide  mai  cotesta  inconvenienec^  né  poteva 

mai  vederla:  ne  vide  per  contrario  la  massima  conve- 

nienza; convenienza  dettata  non  pur  dalla  ragione,  ma 

anche  dal  fatto;  e  cotesta  convenienza  di  fatto  esce 

laminosa,  come  risultato  finale,  dall'intiera  Scienza 

Nuova,  cioè  dire  dalla  natura  intima  del  processo  isto- 

rico.  E  neanche  sembraci  al  tutto  vero  l'affermare  che 

rispetto  a  questa  Mente  infinita  il  Vico  ricopi  il  celebre 

argomento  di  Cartesio  e  d'Anselmo,  o  il  concetto  del 

^Bene  di  Platone.  Nel  Vico  c'è  qualcosa  di  piii.  C'è 

tale  un'  idea  dell'  Ente  che  non  è  quella  del  vecchio  ' 

monoteismo.  E  perchè  e'  è  questa,  v'  è  altresì  un  con- 

cetto originale  su  la  natura  del  finito. 

Verissimo  poi  dove  osserva  (3*  Lettera)  che  nel 

libro  Metafisico  il  nostro  filosofo  volle  dar  l'aria  d'una 

veneranda  antichità  a  concetti  nuovi  ed  in  gran  parte 

da  lui  la  prima  volta  proposti.  Ma  non  è  per  nuUa^esatto 

il  dire  ch'egli  desistè  dallo  scrivere  la  seconda  e  la 

terza  parte  del  suddetto  libro  a  cagione  della  critica 

mossagli  contro  dal  Giornale  de'  Letterati.  Le  altre  due 

parti  ch'egli  andava  meditando  e  su  le  quali  usava 

talora  intrattenersi  col  suo  Paolo  Doria,  non  erano 

e  non  potevan  esser  che  applicazione  e  svolgimento 

della  prima.  Era  precisamente  il  Diritto  Universale  che 

poi  venne  a  luce  dopo  dieci  anni;  ed  era  la  Scienza 

Nuova  che  comparve  dopo  tre  lustri.  A  noi  dunque 

non  pare  che  il  Vico  si  riconsigliasse  con  seco  medesimo 

dopo  le  critiche  dei  Letterati,  nel  senso  che  avesse  can- 

giato indirizzo.  La  qual  cosa  tanto  più  crediamo,  quanto 

che  la  seconda  e  la  terza  opera  dianzi  rammentate, 

non  si  discostano  né  pur  d' un  minimo  dalla  sostanza 

(dico  dalla  sostanza)  del  Libro  Metafisico.  Giambattista 

Vico  fa  tutto  d'un  pezzo,  sempre;  nò  la  sua  mente 

ebbe  uggia  d'un  vero  oggi  per  correr  dietro  ad  un 

altro  domani,  come  il  palato  e  la  lingua  fanno  dei  cibi. 

Certo  il  suo  pensiero  fu  un  processo  ;  processo  conti- 

nuo, svolgimento  incessante;  ma  sempre  d'un  colore, 

sempre  d' una  fisonomia,  sempre  d' una  indole.  Percioc- 

ché la  mente  del  vero  filosofo  debba  progredire,  ma 

progredire  non  già  contraddicendosi,  bensì  conciliando 

sé  con  sé  stesso  e  con  le  cose  e  con  le  idee,  co'  fatti, 

con  la  storia,  con  la  coscienza  e  perfino  col  senso  co- 

mune. Prima  del  Fiorentino  il  Ferrari  avea  detto  lo 

stesso;  ma  neanch'egli  in  ciò  seppe  coglier  nel  vero 

come  dicemmo  a  suo  luogo. 

 

Fra  tante  belle  riflessioni  l'amico  nostro  non  sa 

fare  a  meno  talvolta  delle  ormai  grinzose  tricotomie 

hegeliane  ;  com'  é,  per  esempio,  là  ove  parlando  del 

genio  della  civiltà  latina,  la  pone  a  riscontro  con  la 

greca,  e  pretende  anch' egli  ritrovar  legami  dialettici 

necessari,  ideali,  con  una  civiltà  anteriore  (divina)  e 

con  una  civiltà  posteriore  (umana),  stantechè  il  mondo 

latino  rappresenti  per  sé  stesso  l'età  eroica.  Coteste 

dialettiche  storiche  hanno  già  fatto  lor  tempo:  e  ci 

vuol  ben  altro  che  analogie  ritmiche  cosi  inquadrate 

e  geometrizzate  come  quelle  degli  hegeliani  a  ritrarre 

il  positivo  de'  fatti  storici.  Al  qual  proposito  da  ultimo 

notiamo,  come  anch' egli  abbia  talora  prestato  facile 

orecchio  a  certe  conclusioni  dei  filologi  moderni,  quando, 

per  esempio,  vuol  circoscrivere  troppo  in  sé  stesso  il 

popolo  di  Roma.  Certo  il  Vico  non  vide,  né  potea  ve- 

'dere  le  attinenze  fra  latino,  greco  ed  ariano.  Ma  quant'a 

ciò  egli  non  fa  quistione  d' originarietà,  bensì  di  svolgi- 

mento autonomo  di  civiltà.  E  qui  ha  torto  il  Fioren- 

tino; e  non  meno  avrebbe  torto  il  Mommsen  se  questi 

anzi,  come  vedremo,  non  rassodasse  e  vie  più  confer- 

masse  la  sentenza  del  Vico  a  tal  proposito.  Il  nostro 

filosofo  ebbe  coscienza  chiara,  per  esempio,  di  questo 

fatto,  che  V  idioma  latino  non  è  potuto  uscire  dal  greco  ; 

del  che  vedemmo  essersi  accorto,  fra  gli  altri,  il  tradut- 

tore anonimo  francese  della  Scienza  Nuova.  Ne  vor- 

reste più  da  un  uomo  vissuto  due  secoli  fa? 

 

Concludendo,  quant'al  Fiorentino,  noi  abbiamo  in 

pregio  grandissimo  V  ingegno  e  gli  studi  del  nostro  va- 

loroso collega,  e  ne  abbiam  dato  prova  altra  volta:  ma 

qui  non  è  questione  d' ingegno  e  d' erudizione  isterica, 

bensì  di  critica,  d'interpretazione.  Chi  vorrà. accettare 

i  risultati  d^una  critica  parziale,  unilaterale  e  non  di 

rado  infedele  qual  si  è  quella  dei  critici  hegeliani  in 

generale?  Anche  nel  suo  Pomponaeeij  come  nel  lavoro 

sul  Vico  di  che  parliamo,  tirando  V  acqua  al  proprio  mu- 

lino egli  cade  nel  solito  difetto  (come  altrove  notammo 

e  come  è  stato  mostrato  dal  Frank  e  dal  Fontana)! 

sia  con  lo  studiarsi  di  porre  sotto  acconcio  punto  di 

lame  questa  o  cotesta  dottrina  d' un  autore,  sia  col  de- 

bilitare e  spregiare  quella  d' un  altro  ove  per  avventura 

non  faccia  comodo.  Non  così  nel  suo  Bnmo,  il  piii  bel 

lavoro  dell'amico  nostro  considerato  (già  s'intende)  come 

lavoro  di  critica;  perchè  in  esso  l'apprezzamento  critico 

ci  sembra  men  passionato  e  meglio  condotto.  Dal  qual 

fatto  altri  forse  potrebbe  concludere  che,  nell'indirizzo 

della  critica,  il  Giobertismo  non  dà  in  quelle  esagera- 

zioni cui  di  solito  riesce  l'Idealismo  assoluto. 

E  qui  chiedo  poter  interrompere  un  istante  l' ordine 

cronologico  impostomi  sino  da  principio  per  far  men- 

zione d'un  altro  valoroso  hegeliano,  ultimo  venuto  a 

parlare  del  Vico.  È  questi  il  professor  Vera,  il  bene- 

merito volgarizzatore  dell'  Hegelianismo,  e  delle  scrit- 

ture hegeliane.  £  innanzi  tratto  osservo  che  le  relazioni 

ch'egli  scorge  fra  Vico,  Herder  e  Bossuet  ci  paion  tutte 

▼ere,  ma  non  certo  nuove,  perchè  fatte  già  da  altri, 

come  s'è  visto,  sin  dai  primi  lustri  del  secolo.  Delle  altre 

osservazioni  quella  che  piii  lodiamo,  essendoci  parsa  toc- 

cata  con  fedeltà  e  maggior  dirittura  di  giudizio,  è  la 

interpretazione  circa  il  concetto  del  Diritto  Universale, 

in  cui  ha  saputo  accennare  altresì  con  verità  al  triplice 

elemento  del  diritto,  dominio,  libertà  e  tutela.*  Lodiamo 

non  meno  l' illustrazione  a  proposito  della  dottrina  del 

vero  e  del  certo,  la  giusta  relazione  veduta  fra  questi 

due  termini,  e  segnatamente  lodiamo  T  aver  chiarito  la 

natura  vera  del  processo  psicologico  secondo  il  Vico. 

Le  quali  cose,  del  resto,  dovean  tornare  agevolissime 

ad  un  hegeliano,  in  virtù  di  certa  affinità  che  alcune 

dottrine  del  nostro  filosofo  mostrano  avere,*  come  di- 

cemmo, con  quelle  dell'Idealismo  assoluto.  Ma  ecco  su- 

bito, per  esempio,  una  sentenza  che  respingiamo  (come 

abbiam  fatto  col  Fiorentino),  su  la  relazione  tra  Vico 

e  Platone,  perchè  generata  dalla  solita  febbre  degU 

antecedenti  e  dei  riscontri  storici  che  ci  fa  travedere  e 

spesso  anco  vaneggiare  I  Gli  estremi  si  toccano  anche  qui 

secondo  il  motto  volgare.  Perocché  non  è  stato  scrittore 

cattolico  0  teologizzante  il  quale,  parlando  del  Vico,  non 

fosse  risalito  al  divino^  al  cristianeggiante  Platone  per 

ripescarvi  annidata  qualche  Degnità  o  alcun  che  di  luce 

intelligibile  di  cui,  per  vero  dire,  non  è  difetto  neanche 

nel  Vico.  E  vedemmo,  per  esempio,  il  Tommaseo,  in  ciò 

temperatissimo,  contentarsi  d' aifermare  solamente  che 

il  Vico  s' ispirasse  nel  filosofo  ateniese.  Ora  il  Vera 

vien  fuori  anch' egli  a  dirci  lo  stesso,  anzi  più  dello 

stesso,  ma  certo  con  intendimento  assai  diverso,  affer- 

mando addirittura  che  il  Vico  potè  giugnere  alle  sue 

scoperte  solo  seguitando  le  dottrine  di  Platone stìi-, 

diando  la  teorica  platonica  delle  idee,  comprendendo 

V  importanza  e  la  funzione  deWidea  deW  universo.  Ch'ei 

r  abbia  studiato  e  fino  a  certo  segno  se  ne  sia  ispirato, 

come  vuole  il  Tommaseo,  ne  potrò  convenire:  che 

r abbia  ^^tto  poi  ne  dubito  assai;  e  in  ispecie  dubito 

.  *  Vsiu,  ItUroih  aOa  Ftlo9ofia  deUa  Storia.  Firenze,  1869,  pag.  70. 

che  abbia  voluto  seguirlo  pel  fine  che  dice  il  Vera,  il 

quale  è  noto  qual  valore  porga  alle  idee  platoniche,  e 

come  queste  idee  egli  pretenda  legare  al  carro  della 

Idea  del  maestro.*  Che  cos'è  infatti  cotesta  idea  rispetto 

all'universo?  È  il  principio  della  storia  ;  perocché  ella 

sia  che  governa  tanto  la  vita  delle  nazioni,  quanto  la 

vita  dell'  organismo  animale.  E  che  cosa  poi  vuol  dire 

tutto  ciò?  E' vuol  dire  che  c'è  una  storia  ideale  delle 

nazioni,'  e  che  quindi  da  Platone  al  Vico  non  v'ha  che 

un  breve  passo.  Può  darsi  che  questo  sia  hegelianismo, 

idealismo  assoluto,  fatalismo  ideale,  o  come  altrimenti 

piacerà  chiamarlo;  ma  filosofia  del  Vico  che  nasca  sin- 

cera dalla  Scienza  Nuova,  no  davvero,  a  II  mondo  ha 

una  storia  ideale,  perchè  l' idea  è  principio  della  storia  : 

e  la  storia  in  tanto  è  ideale  pel  Vico,  in  quanto  l'idea 

(la  Idea)  rivela  e  scuopre  se  medesima  nella  storia.  » 

Prima  d'ogni  altro  ci  sarebbe  da  chiedere  al  valoroso 

hegeliano  :  In  qual  senso  cotesta  Idea  può  esser  prin- 

cipio della  storia?  E  intesici  sopra  cotal  punto  (e  pro- 

babilmente non  giugneremmo  ad  intenderci  mai)  ci 

sarebbe  da  pretendere  poi  un'  altra  risposta:  Che  è  mai 

l'Idea  per  l'autore  della  Scienza  Nuova? 

Se  non  che,  quand'egli  aflFerma  che  il  Vico  seguita 

le  teoriche  di  Platone,  dimentica  che  più  d' una  volta 

lo  stesso  Vico  dice  e  confessa  d' essersi  allontanato  da  I 

Platone.  Al  Fiorentino  abbiamo  ricordato  la  immobi- 

lità delle  idee  platoniche  e  '1  concetto  che  dell'  Essere 

ci  porge  il  nostro  filosofo:  lo  stesso  rammentiamo  al 

Vera.  Si  dirà  che  il  Vico  da  sé  medesimo  invochi  Platone 

e  lo  annoveri  fra  i  quattro  suoi  maestri?  Verissimo; 

ma  è  vero  altresì  che  fra'  quattro  maestri  e'  è  anche 

Tacito,  il  quale  per  ben  due  volte  egli  dice  di  voler 

seguire,  meglio  che  Platone,  quant'  al  considerar  l'uomo 

nella  sua  realtà.  Ci  è  anche  Grozio  che  a  dignità  di 

vera  scienza,  come  tutti  sanno,  cominciò  ad  innalzare  il 

*  Vbra,  Introd.  à  la  Phtl,  de  Hegel,  cap.  IV. 

*  Idem,  Introd,  alla  FU.  deUa  Storia,  pag.  68. 

concetto  del  Diritto  naturale.  E  e'  è  finalmente,  e  sopra 

tutto,  Bacone.  Quale  sarebbe,  di  grazia,  la  Idea  di  Ba- 

cone, di  Tacito  e  di  Grozio?  Tornando  a  noi,  dunque, 

il  Vico  seguendo  le  dottrine  di  Fiatone  non  avrebbe  a 

essere  che  un  metafisico  platonico  ;  nel  modo  stesso  che 

il  Vera,  seguendo  le  dottrine  di  Hegel,  è  un  metafisico 

hegeliano.  Ma  nulla  di  tutto  ciò.  Il  professor  Vera  fa  qui 

una  grande  scoperta,  e  intoppa  in  una  grande  contrad- 

dizione. Egli  scuopre  che  nel  Vico  non  ci  ha  ombra  di 

metafisica  ;  spiega  in  che  maniera  quel  povero  maestro 

di  rettorica  non  ne  intendesse  neppure  il  nome  (sic),  e 

come  anzi  avesse  confuso  la  metafisica  con  la  lingua  (sic).^ 

Or  la  conclusione  più  legittima  che  altri  potrebbe  facil- 

mente cavare  da  cotesto  discorso  tutt' altro  che  serio, 

sarebbe  questa:  che  come  il  Vico  tuttoché  seguace  di 

Platone  non  è  nient'  affatto  un  metafisico  ;  parimente  il 

traduttor  Vera,  benché  seguace  svisceratissimo  di  Hegel, 

non  meriti  neanche  lui  né  pur  per  ombra  titolo  di  meta- 

fisico. Non  so  se  tal  maniera  di  ragionamento  regga  al 

martello  di  sublime  e  riposta  dialettica:  ma  regge  di 

certo  alla  logica  del  comun  senso,  e  mi  basta.  Per  gU 

hegeliani,  e'  si  sa,  la  metafisica  s' incentra  e  s' impernia 

tutta  nella  Idea:  e  chi  agli  occhi  loro  non  sia  cotanto 

fortunato  da  giungere  a  contemplare  le  risplendenti 

fattezze  di  questa  Dea,  può  andarsi  a  riporre  e  mai  non 

isperi  di  meritar  nome  di  metafisico.  È  questione  di 

titolo  0  meglio  di  saluto.  Padroni  a  darlo  e  a  renderlo 

il  saluto:  ma,  datolo  una  volta,  non  siete  altrimenti 

liberi  di  non  riceverne  uno  anco  voi.  Non  sarebbe  pro- 

prio il  caso  di  rammentare  agli  hegeliani  e  a  tutti  quelli 

che  negano  al  Vico  il  titolo  di  metafisico,  V  arguta  ri- 

sposta del  vecchio  contadino  al  cameriere  in  giubba 

e  guanti  bianchi? 

Come  ognun  vede,  in  questo  il  Vera  è  in  aperta  oppo- 

sizione con  gli  altri  hegeliani.  È  in  opposizione  special- 

*  Vira,  Introd,  alla  FU.  della  Storia,  pag.  77. 

mente  con  lo  Spaventa  che,  com'  è  noto,  non  è  cosi 

tenacemente  agganciato  al  maestro  da  confondere  asso- 

latamente Hegel  con  hegelianismo  (due  cose  che  molti 

hegeliani  oggi  distinguono)  e  nuli' altro  scorger  nella 

filosofia  italiana  che  sottigliumi  teologici  innestati  a 

meschine  vuotaggini  scolastiche.  Ingegno  acuto  e  insie- 

me largo  egli  ha  studiato  con  grande  amore  non  pure 

i  nostri  filosofi  del  Risorgimento,  ma  quelli  altresì 

dell'età  moderna;  e  non  gli  ha  mai  battezzati  teologi, 

né  dato  loro  titolo  di  mediocrità  filosofica.  Égli  è  cri- 

tico severo,  interprete  dell'idealismo  assoluto  superiore 

À  qualunque  più  sviscerato  seguace  di  Hegel  giust' ap- 

punto perchè  non  si  è  cristallizzato  e  quasi  mummifi- 

cato, come  fa  il  Vera,  col  suo  maestro.  Ed  ecco  la  ra- 

gione per  cui  lo  Spaventa  non  isdegna  scrivo-e  che  il 

Vico  è  anche  un  metafisico,  che  nelle  sue  scritture  e'  è 

pure  una  metafisica,  né  va  quindi  a  cercare  col  fiiscel- 

lino  certi  meschini  argomenti  per  negargli  un  valore 

speculativo  com'è  appunto  quello  del  Vera  là  dove 

^li,  attaccandosi  quasi  a'rasoj,  pronunzia:  È  certo. che 

aprendo  i  libri  di  Vico  e  quelli  di  Fiatone  e  di  Aristotele 

e  raffrotUando  le  loro  ricerche  sulle  idee,  Vico  rimane  al 

paragone  di  molto  inferiore.  Certo,  Vico  non  é,  né  Ari- 

stotele, né  Platone  ;  ma  forse  che  gli  otto  libri  politici 

dell'  uno  e  la  Repubblica  dell'altro  sono  la  Scienza  Nuo- 

va? Che  cosa  pensereste  di  chi  pigliasse  a  biasimar  Ga- 

lileo per  non  avere  scoperto  nel  sole  i  metalli  che  oggi 

sappiamo?  La  questione  è  se  i  germi  d'una  metafisica 

in  lui  per  avventura  ci  siano:  lo  svolgimento  viene  da 

sé  ;  ed  é  opera  della  critica  rintegratrice.  Ora  il  Vera 

non  ha  creduto  far  né  l'una  cosa  né  l'altra;  né  svolgere 

né  interpretarne  i  principii,  anzi  negare  ogni  loro  im- 

portanza, e  di  qui  ognuno  può  argomentare  qual  va- 

lore possa  avere  la  sua  critica. 

Pronunziata  dunque  la  sentenza,  che  il  Vico  non 

pervenga  né  punto  né  poco  al  concetto  della  metafisi- 

ca; passando  alle  questioni  storiche  il  Vera  ne  trae 

dby  Google 

lunga  serie  di  conseguenze  che,  secondo  lui,  sono  altret- 

tanti errori,  e  perciò  altrettanti  biasimi  al  Vico.  Qui 

non  possiamo  indugiare  a  mostrar  che  cosa  accettiamo 

e  che  respingiamo  di  questa  critica.  Gioverà  intanto 

assommarla  ne'  seguenti  capi,  a'  quali  verremo  man 

mano  rispondendo  in  luoghi  opportuni.  11  eh.  traduttore 

di  Hegel  dunque  dice: 

!•  La  storia  ideale  del  Vico  non  è  vera  costruzione 

ideale  della  storia,  e  però  non  è  vera  filosofia  della 

storia;  bensì  una  generaUzzazione  d'alcuni  fatti  parti- 

colari, e  quindi  insufficienti,  come  per  esempio  quello 

del  nascere,  crescere  e  morire,  dall'individuo  trasportato 

alla  storia. 

2^"  Egli  non  vide  come  accanto  alle  analogie  sorgan 

le  diflferenze;  e  come  queste  la  vincano  sopra  quelle. 

S""  La  sua  legge  storica  non  tocca  minimamente  il 

contenuto,  la  sostanza,  bensì  la  superficie,  la  forma  dello 

Stato  ;  e  però  non  riesce  ad  un  resultamento  scientifico. 

4"*  Non  seppe  levarsi  all'idea  d' umanità,  né  a  quella 

di  progresso;  negò  anzi  implicitamente  il  progresso. 

5*  Perciò  il  concetto  de^  corsi  e  ricorsi  è  concetto 

assolutamente  antistorico,  e  distrugge  la  storia. 

 

6*  Per  esser  conseguente  a  sé  stesso  egli  avrebbe 

dovuto  far  correre  e  ricorrere  nel  corso  storico  anche 

la  vita  selvaggia. 

T""  Lascia  fuori  della  storia  buona  metà  della  storia 

medesima,  e  però  del  genere  umano. 

8'  La  dottrina  vichiana  del  Diritto  non  racchiude 

lo  svolgimento  sempre  progressivo  della  idea  del  giure, 

la  quale  per  lui  è  tutta  rannicchiata  nel  Diritto  romano. 

§•  La  storia  universale,  il  medio  evo  non  sono  agli 

occhi  suoi  altro  che  copia  e  riproduzione  della  civiltà. 

IO»  La  Scienza  Nuova  esclude  dalla  storia  e  però 

non  ispiega  il  cristianesimo,  nettampoco  la  Riforma. 

!!•  Il  Vico,  insomma,  non  comprese   in  che  modo 

V  idea  possa  essere  neUa  storia. 

La  critica  che  ne  fa  il  chiarissimo  traduttore,  di- 

ciamolo  pure,  non  è  molto  seria,  e^  per  più  rispetti 

riesce  incompiuta.  Scambio  di  liberare  quel  filosofo 

dalle  contraddizioni,  dai  controsensi,  dagli  equivoci,  ' 

dai  vecchiumi,  e  poi  studiarsi  di  ricostruirne  il  pen-  , 

siero  e  compierlo  imprimendogli  vita  e  gagliardia  no- 

vella; e'  ce  riia  distrutto  addirittura,  o  meglio  ha 

creduto  distruggerlo.  E  lo  ha  distrutto  riportando  ad 

Hegel  quel  po' di  buono  che  neanch'egli  ha  saputo  e 

voluto  negargli.  Poniamo  infatti  che  sian  tutte  legittime 

le  accennate  difficoltà:  che  cosa  ci  rimarrebbe  della 

Scienza  Nuova?  Nulla;  nulla  precisamente.  S'egli  dun- 

que è  così,  non  si  capisce  come  cotesto  filosofo  hegeUano 

abbia  voluto  sciupar  venticinque  lunghe  pagine  di  stam- 

pato pel  gusto  puerile  eli  ripresentare  agli  occhi  nostri 

lo  agl'adito  spettacolo  d'un  cadavere!  Altra  volta  egli 

inneggiò  al  filosofo  napoletano  :  inneggiò  segnalandolo 

all'  Europa  come  fondatore  della  filosofia  della  storia, 

ddla  critica  filosofica  delle  lingue,  ed  altro  simile.  E  que- 

sto scrisse  nel  1856  a  Londra,  e  credo  abbia  ripetuto 

anche  a  Milano  pochi  anni  addietro.  Oggi  poi,  come  s'è 

visto,  il  Vico  per  lui  sembra  esser  poco  più  che  un 

umanista  del  secolo  XIV!  Dunque  è  da  dire  che  una 

delle  due  volte  almeno  egli  abbia  dovuto  leggere  il  nostro 

filosofo  armandosi  d' occhiali  color  fumo,  ma  solo  resta 

a  sapere  se  cotesti  occhiali  abbia  egli  adoperato  nella 

prima,  ovvero  nella  seconda  volta.  Avvertiamo  pertanto 

che  il  decimo  appunto  fatto  dal  Vera  è  giustissimo: 

era  stato  affacciato  da  altri  critici  prima  di  lui,  e  l' ac- 

cennammo anco  noi  stessi  fino  dal  bel  principio.  La 

Scienza  Nuova  non  ispiega  il  cristianesimo:  ecco  una 

delle  manchevolezze  o  contraddizioni  da  cui  bisogna 

salvare  questo  libro,  ma  senza  fargli  perdere  il  va- 

lore e,  per  così  dire,  la  fisonomia  nativa  end'  è  rive- 

stito. Senonchè  qui  ci  sarebbe  da  chiedere:  forse  che 

il  cristianesimo,  questo  gran  fatto  della  civiltà  umana, 

è  stato  meglio  inteso  e  spiegato  dagli  hegeliani?  A  me 

pare  che  a  tal  proposito  il  nostro  filosofo  siasi  voluto 

 

SlCILIARI  9 

governare  precisamente  al  modo  che  oggi  fanno  i  po- 

sitivisti circa  questo  o  quel  problema  metafisico,  la- 

sciandolo in  disparte.  Egli  era  fervente  cattolico,  cat- 

tolico di  buona  fede.  Ma,  per  cattolicissimo  ch'ei  fosse, 

fra  le  sue  dottrine  ha  lasciato  cotal  serie  di  criterii^ 

da  mettere  in  grado  chi  voglia  e  sappia  leggerlo,  d' in- 

j  t^rpretare  il  cristianesimo  in  significato  non  pura- 

mente cattolico  ed  assolutamente  soprannaturale,  e 

neanche  in  senso  meramente  hegeliano  e  al  tutto 

mitico  da  pareggiarlo  addirittura  ad  un'  invenzione  af- 

fatto fantastica  o  favolosa.  Al  qual  proposito  mi  piace 

aggiungere  un'altra  osseiTazione.  Oggi  appunto  un 

esperto  hegeliano  ed  un  espertissimo  cattolico,  fra  noi, 

si  studiano  imprimere  al  concetto  isterico  due  significati 

al  tutto  opposti  e  contrari  :  il  Vera  col  suo  ultimo  libro, 

il  quale  al  postutto  è  una  ripetizione  della  filosofia  sto- 

rica di  Hegel,  e  il  Pomari  con  la  sua  Vita  di  Cristo, 

che,  come  sopra  toccammo,  è  una  filosofia  della  storia 

levata  alla  sintesi  più  alta  ed  elegante  cui  sappia  pog- 

giare la  mente  d'  un  acuto  pensatore  cattolico.  Sono 

due  estremi  cotesti,  che  in  parecchie  conseguenze  si  toc- 

cano, come  vedremo.  Or  fra  questi  estremi  non  ci  ha 

da  essere  anche  qui  una  via  di  mezzo? 

 

Ma  basti  degli  Hegeliani;  e  veniamo  a  toccare  de- 

gli ultimi  scrittori  i  quali,  comechè  non  tutti  filosofi, 

secondo  lo  stretto  significato  di  questa  parola,  nulla- 

meno  si  distinguono  pel  carattere  ond' abbiamo  desi- 

gnato il  3»  periodo  dì  questo  nostro  abbozzo  isterico, 

ciò  è  dire  pel  carattere  della  interpretazione  filosofica 

nel  discorrere  eh'  essi  han  fatto,  sia  di  proposito  sia  pur 

di  passaggio,  intomo  alle  dottrine  del  Vico. 

Innanzi  tutto  occorre  accennare  a  quattro  altri  vi- 

venti scrittori  assai  diversi  fra  loro  per  dottrine  e  forma 

d'ingegno,  cioè  al  Bertini,  al  Conti,  al  Franchi,  al  Maz- 

zarella; poi  all'egregio  Cantoni,  critico  ed  erudito;  ap- 

presso all'illustre  storico  vivente  della  medicina;  per 

indi  concludere  con  una  rassegna  d' alcuni  dotti  fran- 

cesi che  in  quest'ultimi  anni  volsero  la  mente  al 

nostro  filosofo.  L'illustre  prof.  Bertini  ha  toccato  rapi- 

damente del  Vico  in  un  suo  scritto  su  le  prove  metafìsicfie 

éTuna  realtà  sovrasensihile,^  Con  l'usata  castigatezza 

di  forma  e  severità  d' ingegno  egli  accenna  ad  un  sol 

punto;  del  quale  non  pertanto  ci  piace  prender  nota, 

8Ì  perchè  tra'  viventi  filosofi  italiani  di  grande  autorità 

ci  paion  le  sue  parole,  si  ancora  perchè  l' idea  cui  egli 

accenna  racchiude  un  valore  speciale  per  la  nostra  isto- 

ria filosofica  del  secolo  passato.  Parlando  delle  dottrine 

della  conoscenza  del  Kant,  egli  dice:  «  questa  dot- 

»  trina  kantiana  fece  tornare  alla  memoria  de'  tede- 

»  schi,  e  in  particolare  del  Jacobi,  ciò  che  già  avea 

»  scritto  poco  prima  il  Vico  nel  suo  libro  De  Antiquis- 

»  sima  Itàlorum  sapientia:  che  cioè  il  vero  è  il  fatto, 

»  e  che  non  si  ha  vera  e  piena  conoscenza  se  non  delle 

»  cose  di  cui  noi  siamo  gli  autori.  Anche,  il  Vico  trat- 

n  teggiava  un  ideale  di  scienza  divina  e  assoluta  che  | 

»  ha  molta  analogia  colla  intuizione  intellettuale  desi- 

»  derata  e  descritta  da  Kant,  e  con  questo  paragonava 

»  la  scienza  umana,  la  quale,  secondo  il  Vico,  anziché 

»  scienza,  si  dovrebbe  chiamare  cogitcUio,  ossia  uno  stu- 

»  dio  di  andar  raccogliendo  quei  pochi  elementi  delle 

»  cose  che  è  dato  a  noi  dì  conoscere.  i>  È  una  relazione 

*  Vedi  negli  Atti  ddV  Accademia  di  Torino,  Maggio,  1866. 

celesta,  tra  Kant  e  Vico,  della  quale  giova  tejier  conto;  e 

abbiam  voluto  farlo  citando  le  parole  del  valoroso  Bertini. 

Augusto  Conti,  pensatore  profondamente  cattolico 

e  altrettanto  onesto  e  sincero  nelle  sue  convinzioni,  ha 

voluto  consacrare  intera  una  lezione  alle  dottrine  del 

I  nostro  filosofo  nel  suo  Specchio  della  storia  generale  della 

filosofia.  Chi  conosce  i  principi!  filosofici  dell'  illustre  ed 

elegante  scrittore  toscano  saprà  indovinar  subito  quale 

esposizione  egli  faccia  del  Vico,  e  sospettare  in  che  senso 

ne  interpreti  le  dottrine.  Può  dirsi  eh'  e'  sia  il  rovescio 

degli  hegeliani;  perchè  si  studia  di  tirar  tutto  dalla 

sua  parte  l' A.  della  Scienza  Nuova,  segnalandolo  natu- 

ralmente com'  uno  de'  tanti  anelli  della  sua  filosofia  pe- 

renne. Io  non  istarò  qui  a  negare  ne  che  il  Vico  sia 

cattolico,  né  che  la  critica  del  prof,  pisano  sia  fatta 

male.  Sarà  anzi  critica  savia  e  coerente:  ma  è  tutto 

il  Vico  della  prima  maniera  quello  eh'  ei  ci  dà,  perocché 

niente  vi  sappia  discemere  che  non  si  ritrovi  più  o 

men  palesemente  in  Agostino,  in  Tommaso,  in  Anselmo 

e  simili.  Però  nel  Vico  nulla  ci  é  di  nuovo,  nel  senso 

del  filosofo  samminiatese,  salvo  che  il  concetto  d'una 

filosofia  civile.  Né  potrebb'  esser  diversamente,  ammessa 

la  maniera  con  che  suol  procedere  in  tale  esposizione  cri- 

tica appoggiandosi  per  lo  pili  in  certe  aflFermazioni  gene- 

rali e  duttilissime  del  nostro  filosofo,  qual  è,  per  esempio, 

questa:  Dio,  com'è  U  principio  ddV essere,  così  è  anche 

del  conoscere.  Quante  mai  conseguenze  non  si  potreb- 

bero far  rampollare  da  cosifiatto  principio  !  Un  giober- 

tiano,  per  esempio,  vi  mostrerebbe  com'  ei  si  sgomitoli 

tutto  nelle  note  formolo  e  cicli  creativi  e  concrea- 

tivi assoluti  e  relativi  di  cui  al  solito  egli  ha  piena  la 

bocca;  dovechè  un  hegeliano  non  mancherebbe  darvi 

pruova  di  tal  destrezza,  da  sciorinarvi  sotto  gli  occhi 

a  fil  di  logica  tutta  la  rete  delle  sue  leggi  dialettiche. 

Nel  Vico  c'è  parecchie  di  cpsi  fatte  sentenze;  né  al 

Conti  poteva  riuscir  difficile  tirarle  alla  sua  filosofia 

comprensiva.  Ma  egli  dice  benissimo  dove  osserva  che  i 

prìncipii  del  Vico,  anzi  che  condurre  al  panteismo,  lo 

combattono;  e  in  ciò  noi  conyeniamo  pienamente.  Or 

non  sarebbe  stato  mestieri  dimostrar  come  non  vi  con- 

dncano  e  conte  lo  possan  combattere?  Consentiamo 

altresì  col  dotto  scrittore  in  tutte  quelle  saggio  rifles- 

sioni eh' e' sa  fare  su  l'indole  comprensiva  e  storica 

del  metodo  vichiano.  Ma  non  sapremmo  concedergli 

che  la  dottrina  dei  corsi  e  ricorsi  apparisca  solo  nella 

seconda  Scienza  Nuova.  È  quistione  di  fatto  eh'  ei  po- 

trà risolvere  col  ridar  un'  occhiata  al  sommario  della 

1*  Scienza  Nuova.  Farà  male  anche  a  lui  cotesta  dibat- 

tuta e  combattuta  dottrina;  ed  è  forse  per  questo  ch'egli 

procaccia  di  trovar  modo  a  scusarne  l'autore:  ma,  più 

che  scusarlo,  avrebbe  dovuto  e  potuto  difenderlo.  Crede 

anch' egli  poi,  erroneamente,  come  il  Ferrari,  che  il 

Vico  s'ispirasse  alla  teorica  delle  monadi  di  Leibnitz;* 

ma  contro  il  Ferrari  mostra,  e  fa  benissimo,  quanto  il 

Vico  fosse  lungi  dal  confonder  la  causalità  con  l' iden-  ( 

tità  ideale.  Finalmente  osserviamo  che  i  principii  ond'  il 

Vico  resiste  al  Cartesianismo  e  che  il  Conti  riduce  a  tre, 

sono  da  lui  debitamente  interpretati,  meno  T  ultimo 

poco  fa  menzionato;  che  Dio,  cioè,  essendo  principio 

dell'  essere,  è  anche  principio  del  conoscere.  Accettando 

questa  sentenza  accetta  anco  l' altra  tanto  familiare  al 

Vico,  per  cui  la  metafisica,  la  matematica  e  l'etica  siano 

da  Dio.'  Anche  cotesta  è  afi'ermazione  generale,  onde 

nnlla  può  concluderai  finché  non  si  giùnga  a  mostrare 

come  precisamente  accada  che  quelle  scienze  rampol- 

lino da  Dio.  Per  ciò  medesimo  accoglie  e  ripete  quel- 

r  altro  pensiero  che  il  sommo  della  certezza  risegga 

nella  metafisica;  contraddicendo  cosi  a  ciò  eh'  egli  stesso 

ana  pagina  innanzi  aveva  accettato  dal  Vico  :  la  cer- 

tezza somma  potersi  l'aggiugnere  unicamente  con  le 

matematiche.  —  Bisogna  pur  confessare  che  con  la  sua 

critica  il  Conti  ha  lasciato  il  Vico  dove  appunto  l' avean 

*  A.  CoNTf,  Storia  della  Filotofich  Firenze  1864,  Lez.  XX,pag.  405. 

'  Id«m,  eod.  pag.  420. 

condotto,  per  esempio,  il  Duni,  Tlannelli,  il  Tommaseo, 

r Amari,  il  Rosmini  e  tutti  gl'interpreti  filosofi  catto- 

lici. E  noi  non  sapremmo  fargliene  carico:  con  la  sua 

maniera  di  filosofare  non  poteva  far  diversamente. 

Anche  l'illustre  Franchi,  scettico  ingegnoso,  one- 

stissimo, sincero,  e  critico  furibondo,  pare  talora  siasi 

data  la  pena  di  leggere  qualche  libro  del  Vico;  e  ne  parla 

I  in  due  luoghi  neUe  sue  Letture  sulla  storia  della  filosofia 

moderna.  È  noto  come  il  Vico  più  volte  accenni  a  Ba- 

cone, nella  Scienza  Nuova,  nel  Libro  Metafisico,  nel- 

^  r  Orojsiotie  sugli  studi,  e  fin  nelle  sue  Vindicue  contro 

gli  Atti  degli  eruditi  di  Lipsia.  Lo  rammenta  sempre 

con  parole  amorose  e  riverenti,  annoverandolo,  com'è 

noto,  fra'  suoi  maestri.  Il  valoroso  Ausonio  reputa  esa- 

gerati cotesti  elogi,  massime,  die'  egli,  quando  si  pensi 

a  Gralileo.  Non  possiamo  qui  intrattenerci  sul  valore 

speculativo  di  Bacone:  il  divario  e  le  somiglianze  fra  lui 

e  il  nostro  Galilei  accennammo  altrove.*  Ma  gli  elogi  del 

Vico  al  filosofo  che  primo  ebbe  coscienza  della  teoria 

sperimentale  (dico  della  teoria)  non  dovrebbero  parere 

esagerati  a  nessuno:  il  Franchi  anzi  avrebbe  dovuto 

chiamarsene  contento,  se  avesse  badato  all'indirizzo  sto- 

rico e  però  sperimentale  cui  è  tutta  volta  la  Scienza 

Nuova.  Né  qui  giova  gran  fatto  invocar  l'autorità  di 

Cartesio,  dicendo  ch'ei  fece  appena  menzione  di  Ba- 

cone; del  Newton  che  noi  nominò  mai;  del  Locke  che 

lo  citò  solo  una  volta,  non  come  filosofo,  bensì  come 

storico.  Questa  anzi  è  una  ragione  di  più  per  apprez- 

zare gli  elogi  che  ne  fa  il  Vico.  Qual  è  il  motivo  princi- 

pale onde  r  autore  della  Scienza  Nuova  encomia  tanto 

spesso  r  autore  del  Nuovo  Organo?  Questo,  parmi;  l'esi- 

genza in  Bacone  a  dimostrar  con  esperimenti  la  verità 

già  concepita,  e  quasi  preveduta  col  pensiero.*  La  ra- 

gione dunque  ond'  al  Vico  piaceva  Bacone,  ci  mostra 

com'  egli  sapesse  intendere  e  pregiare  la  mente  del  filo- 

*  Vedi  la  nostra  memorìa  su  Galileo.  Bologna.  1868. 

*  Vico,  Vindìeke^  nve  NoUb  in  Ada  erudiUìrvm  lAptitnna,  §  9. 

sofo  inglese.  E  dico  intendere  e  pregiare,  perciocché 

-egli  non  iscorgeva  nel  Nìmvo  Organo  quel  rachitico 

sperimentalismo  che  ci  san  vedere  i  positivisti,  e  per  cui 

solamente  e  con  tanto  calore  costoro  invocano  a  maestro 

il  conte  di  Sant'Alban.  Di  che  proviene  poi  un'altra  ri- 

flessione ;  ed  è  che  dalla  citazione  del  Vico  testé  riferita 

è  manifesto,  come  gli  sperimenti  non  sieno  la  sorgiva, 

bensì  la  riproduzione,  la  conferma  di  ciò  che  in  qualche  ' 

maniera  si  è  innanzi  concepito  ;  e  per  cui  i  diritti  dello 

spiritò  restano  salvi  di  fronte  a  qualsiasi  forma  d'empi- 

rismo. D'altra  parte,  poiché  senza  sperimenti  ciò  che  s'è 

speculato  riesce  al  tutto  sterile  e  vuoto,  ne  segue  che  non 

senza  buone  ragioni  nella  Scienza  Nuova  il  metodo  di 

iilosofare  del  Nuovo  Organo  è  detto  essere  il  metodo 

più  accertato.  Avea  dunque  torto  il  Vico  nel  profondere 

•encomii  al  Gran  Cancelliere?  Esagerazione  é  il  dire, 

nell'  Autobiografia,  essere  stata  grande  fortuna  per  lui 

aver  avuto  notizia  del  libro  del  Signor  di  Verolamio? 

Ma  e'  é  di  pili.  Il  Franchi  reputa  Bacone  padre  di  quella 

storia  che  l' autore  del  nuovo  Organo  disse  letteraria,  e 

senza  cui  la  storia  del  mondo  pare  vagli  come  la  statua* 

di  PoUfemo  priva  dell'  occhio.  Or  come  va  che  l' acutis- 

simo critico  non  s' è  accorto  esser  la  Scienza  Nuova  pre- 

cisamente cotest'  occhio  dato  dal  Vico  al  Polifemo  di 

Bacone?  E  non  é  ella  cotesta  un'altra  relazione  fra' due 

filosofi?  E  non  è  in  questa  relazione  appunto  il  motivo 

degli  encomii  esagerati?  —  Il  Franchi  parla  del  Vico 

anche  a  proposito  del  Cogito  di  Cartesio.  È  noto  come 

l' autore  della  Scieìiea  Nuova,  ragionando  di  questo  cri- 

terio, facesse  menzione  altresì  del  detto  di  Sosia:  quum 

cogito,  equidem  certe  idem  sum  qui  semper  fui.  Ne  parla 

€ome  fatto  inconcusso  inverso  a  cui  le  lance  dello  Scet- 

ticismo, per  acutissime  che  paiano,  rimangono  spuntate 

appunto  perchè  il  dubbio,  essendo  anche  pensiero  e 

quindi  importando  identità  personale,  racchiude  cer- 

tezza. Il  Franchi  domanda  (e  nel  domandare,  dà  segno 

di  stupire  in  che  maniei'a  la  penna  d'un  Vico  abbia 

potuto  scrivere  tali  enormezzel):  che  cosa  mai  ci  ha 

che  vedere  il  motto  volgare  di  Plauto  col  principio 

filosofico  di  Cartesio?  Ma,  buonissimo  e  valoroso  Au- 

sonio, trattasi  per  T  appunto  di  questo  I  La  posizione 

Cartesiana  è  ella  davvero  un  principio,  o  no?  È  egli 

un  vero,  o  non  piuttosto  un  certo? 

Tra  i  filosofi  vi  è  anche  il  Mazzarella,  che  in  que- 

st'  nltim'  anni  ha  parlato  del  Vico  nella  sua  Storia 

della  Critica,  e  ne  ha  considerato  l'ingegno  critico  in 

relazione  alla  critica  anteriore  e  posteriore  all'autore 

della  Scienza  Nuova.  Con  la  solita  chiarezza  e  sempli- 

cità e  dirittura  di  pensiero  egli  ha  saputo  mostrar  che 

cosa  rappresenti  il  filosofo  di  Napoli  nella  Storia  della 

Critica  :  !•  il  disprezzo  della  critica  meramente  erudita: 

2<'  la  necessità  di  congiungere  insieme  filologia  e  filo- 

sofia; 3-  la  critica  non  di  libri  né  di  fatti,  sì  delle  idee 

della  mente  umana,  col  fine  di  rintracciar  la  storia 

anteriore  alla  storia  scritta,  e  porre  così  il  vero  fonda- 

mento al  metodo  critico  con  l'analisi  delle  idee  umane.^ 

11  Mazzarella  inoltre  sa  rilevar  nettamente  alcune  at- 

tinenze, che  a  noi  paion  vere  e  ingegnose,  tra  Cartesio 

e  Vico,  tra  il  metodo  dell'uno  e  quello  dell'altro.  Né 

manco  ingegnosi  ci  sembrano  que'  riscontri  tra  il  Vico 

risguardato  come  filosofo  delia  storia,  e  Bossuet, Schlegel, 

Herder  ed  Hegel.*  Ma  anch'  egli,  al  solito,  vuol  con- 

dannarlo a  motivo  de'  suoi  bestioni  e  del  rombo  dei  ful- 

mini e  dell'  idea  del  progresso  cui  l' autore  della  Sdema 

Nuova  (egli  dice)  non  seppe  levarsi! 

Uno  degli  ultimi  lavori  sul  Vico  è  quello  dell'  egre- 

gio nostro  amico  prof.  Cantoni.  Nel  quale  se  i  pregi 

non  mancano,  non  mancano  pure  i  difetti;  difetti  so- 

stanziali che  tengono,  anziché  all'ingegno  dell'autore, 

all'affrettata  composizione  del  Ubro,  secondo  che  con- 

fessa egli  medesimo,  e  fors'anco  all'affrettata  medita- 

zione di  esso.  Ne  facciamo  qui  menzione  solo  per  ra- 

*  Mazzarella,  Storia  defla  Oritiea,  GeDora,  1866-68,  Voi.  I,  Oap.  XV. 

•  Id.  eod.  Gap.  XX. 

gion  cronologica,  perchè  davvero,  considerato  il  fine  e 

l'indole  della  critica  cui  egli  è  venuto  informando  il 

suo  libro,  avremmo  dovuto  annoverarlo,  non  meno  che  il 

Mazzarella,  fra  gli  autori  del  secondo  più  che  del  terzo 

periodo.  Nei  suoi  Studi  critici  e,  cofnparatìvi  il  Cantoni 

non  vuol  farla  da  filosofo;  e  veramente  ad  altro  in  so- 

stanza ei  non  mira,  salvo  che  a  rilevar  le  differenze  delle 

dottrine,  giudicandole,  più  che  altro,  da'  resultati.  Ora 

il  vero  giudizio  crìtico  nelle  quistìoni  filosofiche  non  istà 

forse  nel  conti^apporre  dottrine  a  dottrine,  rifacendo  e 

ricomponendo  e  quasi  ricreando  nel  proprio  cervello  il 

pensiero  di  cui  si  piglia  a  far  un'  esposizione  critica?  Ci  è 

gran  confusione  nel  metodo  del  Vicol  dice  il  Cantoni;  e 

dice  verissimo.  Ma  la  vostra  critica  appunto  avrebbe  do- 

vuto chiarircela.  C  è  malintesi  ad  ogni  capitolo  !  Vero  an- 

che questo:  ma  voi  avreste  dovuto  studiarvi  d'intenderli. 

C'è  contraddizioni  ad  ogni  pagina!  Sì,  certo:  ma  avreste 

dovuto  risolverne  alcune,  ripudiarne  altre,  e  poi  accor- 

dare l'autore  con  sé  medesimo:  ecco  quale  sarebbe 

stata  la  critica  feconda  e  non  solamente  scettica  e  va- 

gliatrice. Ma  io  vo' farla  da  semplice  espositore,  sog- 

giungerà il  Cantoni.  Bene:  s'egli  dunque  è  così,  il  vostro 

lavoro  è  un  fuor  d' opera,  un  fuor  di  tempo.  Di  cen- 

sure ed  esposizioni  alla  maniera  di  lannelli,  del  Roma- 

gnosi,  del  Ferrari,  del  Tommaseo  ne  abbiamo  assai. 

Perchè  una  di  più? 

A  quel  che  mi  pare  il  bravo  Cantoni,  pigliando  a 

scrivere  il  suo  libro,  non  guardò  bene  al  fine*  cui  era 

in  obbligo  d' indirizzare  il  suo  studio.  Oggi  non  è  lecito, 

panni,  scrivere  un  lavoro  critico  prefiggendosi  un  fine 

a  piacere.  Dato  un  autore,  dato  un  filosofo,  il  fine  dee 

palesarsi  già  da  sé  medesimo;  deve  scaturire  principal- 

mente dall'esigenza  critica  e  dalle  relazioni  storiche, 

logiche,  0  ideali  in  che  può  trovarsi  la  dottrina,  il  sistema, 

la  filosofia,  in  somma  lo  scrittore  che  si  piglia  a  studia- 

re. E  il  Cantoni  forse  non  ebbe  seriamente  considerato 

un  altro  punto;  ed  è  che  fino  dal  1712  cominciarono  len- 

tamente  gli  studi  critici  su  le  dottrine  del  Vico;  cioè  fino 

da  quand'  egli  rispose  alle  benevole  censure  fattegli  da 

un  amico  sopra  una  certa  sua  orazione,  per  non  parlare 

delle  critiche  mossegli  contro  dal  Giornale  di  LcUeraU. 

E  tali  studi  critici,  come  s' è  visto,  sono  andati  man 

mano  accumulandosi  fino  ad  oggi,  crescendo  sempre  di 

numero  e  d'importanza.  Or  che  cosa  avrebbe  dovuto  fare 

il  Cantoni  ?  Avrebbe  dovuto  trarre  motivo  al  suo  libro 

anche  dall'  esigenza  di  tutta  intiera  la  critica  fatta  sul 

suo  autore.  A  questo  modo  il  libro  sarebbe  tornato 

profittevole,  compiuto,  e  forse  non  isfornito  di  qualche 

originalità  nel  disegno.  —  L'opera  del  nostro  amico,  ripe- 

to, ha  molti  pregi.  11  Capitolo,  per  esempio,  che  agli  oc- 

chi nostri  varrebbe  tutto  il  libro,  è  quello  dove  l'autore 

pone  a  riscontro  le  idee  del  Vico  su  la  storia  e  sul  Di- 

ritto romano,  con  quelle  della  Scuola  Storica  tedesca.  Ma 

neanche  in  questo  ci  è  parso  eh' e' sia  riuscito  ad  interpre- 

tare certi  concetti  del  filosofo  napoletano  in  guisa  da  de- 

durne tutto  ciò  che  di  vero  han  detto  oggi  i  tedeschi  :  il 

che  s'egli  avesse  fatto,  non  avrebbe  sostenuto,  per  esem- 

pio, che  quant'  à  leggi  agrarie  il  nostro  filosofo  siasi  im- 

hrogliato!  Lodevoli  anco  ci  sembrano  alcune  confutazioni 

al  Ferrari;  l'aver  per  esempio  osservato  (ma  non  dimo- 

strato) che  libertà  e  necessità  nel  Vico  non  si  contraddi- 

cono. Vero  poi  che  in  questo  filosofo  manchi  la  coscienza 

del  proprio  metodo  ;  e  verissimo  che  la  psicologia  è  di 

suprema  necessità  alla  filologia;  canone,  com'egli  dice, dis- 

prezzato dai  più  degli  odierni  filologi  di  Germania,  Vero 

altresì  che  il  metodo  del  Vico  sia  sperimentale,  ma  non 

però  assolutamente  sperimentale;  e  verissimo,  finalmen- 

te, che  il  concetto  d'una  Volker  Psycólogiey  di  che  i  tede- 

schi menan  vanto,  trovasi  tale  e  quale  nelle  opere  del  no- 

stro filosofo,  non  già  come  vaga  esigenza,  ma  come  viva 

applicazione.  Al  Cantoni  poi  dobbiamo  esser  grati  di 

averci  fatto  sapere  i  giudizi  che  sul  Vico  han  dato  i 

tedeschi,  segnatamente  quelli  del  Goschel  nei  suoi  Fogli 

sparsi:  giudizi  dati  col  fine  di  contraddire,  come  no- 

tammo,  all'hegelìanismo:  giudìzi  assennati  e  molto  di- 

versi da  quelli  datici  dal  pedante  E.  Weber  nel  preludio 

alia  sua  traduzione  della  Scienza  Nuova. 

Ma  il  pensiero  originale,  originalissimo  in  tutto  il  libro 

del  Cantoni,  è  il  modo  col  quale  è  giudicata  la  seconda 

Sdenta  Nuova.  Con  questa  Scienza  Nuova,  egli  dice, 

il  Vico  rimtegava  e  distruggeva  V  opera  propria.  Ho  detto 

pensiero  originale,  perchè  da  due  secoli  in  qua  non  è 

surto  in  mente  ad  alcuno.  Ma,  di  grazia,  che  è  mai  cote- 

sta  decadenza  deiringegno  del  Vico  nella  seconda  Scienza 

Nuova?  Sarà  follia,  come  ripeteva  il  teologo  Finetti 

ne*  suoi  sproloqui  contro  il  filosofo  napoletano?  Ovvero 

sarà  indietreggiamento  cretino,  allucinazione,  sogno?  La 

seconda  Scienza  Nuova  è  un  apriorismo,  un  sistema- 

tismo!  Ecco  tutto  il  peccato,  il  gran  peccato  del  Vico, 

secondo  il  Cantoni. 

Che  nella  prima  Scienza  Nuova  prevalgano  V  indu- 

zione e  l'analisi  comparativa,  non  è  a  dubitare.  Ma 

for^  che  predominio  d' un  indirizzo  metodico  vorrà  si- 

gnificare diversità  di  principii?  È  bene  che  il  Cantoni 

ascolti  dalla  bocca  stessa  del  Vico,  giudice  unicamente 

legittimo  in  questo  proposito,  la  risposta  alle  afl'rettate 

censure.  Ecco  le  sue  parole:  Nella  Scienza  Ntwva 

prima  se  non  nella  materia  errammo  certamente  neU 

Vordine^  perchè  trattammo  de  principii  delle  Idee  divi- 

samente da'  principii  delle  Lingue;  che  erano  per  natura 

tra  loro  uniti;  e  pur  divisamente  dagli  uni  e  dagli  altri 

ragionammo  dd  metodo  con  cui  si  conducessero  le  ma- 

terie di  queste  Scienza:  le  quali  con  altro  metodo  dove- 

vano fil  filo  uscire  da  entrambi  i  detti  Principii....  Tutto 

ciò  si  è  in  questi  libri  emendato.  * 

Udiste?  In  queste  poche  parole  non  pur  ci  sono  ac- 

cennati i  caratteri  essenziali  del  metodo  vichiano  (eh'  è 

induzione  e  deduzione  compenetrate  in  unità  di  processo, 

come  vedremo),  ma  ci  è  detto  chiaro  altresì  come  tutto 

 

<  Vigo,  Framm.  di  Prof.  aUa  8'  ed.  della  Seienna  Nuova.  Voi.  V. 

tutto  il  divario  fra  le  due  Scienze  Nuove  in  altro  non  istia 

fuorché  in  una  maggiore  accuratezza  metodica  della 

seconda  rispetto  alla  prima.  È  questione  dunque  d'  or- 

dinamento razionale,  questione  di  metodo,  di  conte- 

nuto  no.  Or  s'egli  è  vero  che  nel  metodo,  nella  for- 

ma risiede  innanzi  tutto  la  sdeneoy  ne  viene  che  nella 

seconda  Scienza  Nuova,  con  la  perfezione  del  metodo, 

s'  ha  d' avere  altresì  maggior  compiutezza  e  perfezione 

anco  nelle  dottrine.  E  pure  il  Cantoni  non  ha  visto  ne 

runa  cosa,  né  l'altra!  E  con  la  esplicita  confessione 

del  Vico  stesso,  poco  fa  rammentata,  gli  è  anche  sfug- 

gita la  intrinseca  ed  essenziale  armonia  che  insieme 

congiugne  ed  assorella  le  due  Scienze  Nuove. 

L'altra  sentenza  non  meno  originale,  che  nessuno 

invidierà  al  Cantoni,  risguarda  il  modo  col  quale  ei 

considera  il  Libro  Metafisico.  Questo  libro  agli  occhi 

suoi  non  ha  capo  né  coda;  é  un  cumulo  di  fantastiche- 

rie; un  romanzo  da  non  far  punto  onore  all'autore  del 

De  Constanlia  Jurisprudeniis  ;  libercolo,  in  somma,  il 

cui  valore  al  postutto  non  é  che  un  solenne  pregiudizio 

di  certi  italiani  che  hanno  ingegno  losco  e  mente  an- 

nebbiata. Sarà  pur  vero  cotesto:  ma  se,  da  una  parte, 

il  primo  libro  dei  filosofo  napoletano  non  é  che  una 

vera  anomalia,  e  l' ultimo,  dall'  altra,  ci  segna  la  vera 

decadenza  del  suo  pensiero;  domando,  che  cosa  ne  resta? 

Non  altro,  in  fede  mia,  che  l'empirismo;  una  serie 

d'incoscienti  divinazioni  e  d'osservazioni  empiriche,  a 

raccor  le  quali  non  facea  mestieri  certamente  d'  un  inge- 

gno superlativo  :  e, s'egli  é  così, non  s'intende  in  che  ma- 

niera tanti  insigni  scrittori  abbiangli  tributato  gloria 

infinita,  né  perché  questo  nostro  secol  de'  lumi  abbia 

voluto  porgergli  titolo  di  genio. 

Entrar  ne'  particolari  del  libro  del  Cantoni  ci  è 

davvero  impossibile:  sarebbe  il  caso  di  rifarlo  da  cima 

a  fondo,  almeno  per  ciò  che  riguarda  lo  dottrine  filo- 

sofiche. Ci  ristringiamo  ad  accennar  di  volo  qualche 

giudizio  che  prendiamo  a  caso.  Egli  afferma  risoluto 

che  il  Vico  fa  un  fascio  della  Morale  e  del  Diritto.  Que- 

sto han  detto  altri,  e  questo  diremmo  anche  noi  se 

con  occhio  superficiale  e  grossolano  guardassimo  tutte 

le  sue  dottrine.  Mi  spiego  tosto.  Il  motivo  di  questa 

confusione  operata  dal  Vico,  dice  il  Cantoni,  risiede 

nell'aver  egli  fatto  dipendere  le  due  scienze  poco  fa 

rammentate  da  un  concetto  unico,  cioè  dal  pudore  (Pu- 

dore Or  come  non  vedere  che  in  tutt'e  quattro  le 

opere  del  filosofo  napoletano  accanto  all'  idea  del  Pu- 

dore sorge  costantemente  l'altra  della  Libertà?  E  non 

è  precisamente  in  quest'originario  dualismo  psicologico 

e  morale  della  natura  umana  (Pudor  e  Lxberias)  eh'  è 

d'uopo  saper  rintracciare  la  distinzione  fra  la  scienza 

del  diritto  e  quella  dell'obbligazione  etica,  anziché  fer- 

marsi in  certe  sentenze  mezzo  scolastiche  ed  ascetiche 

sparse  sopratutto  in  su  '1  principio  del  2*  lib.  del  Diritto 

Universale?  —  Il  Vico  appella  Dio  il  giusto,  il  buono,  il 

vero,  il  santo.  Errore!  esclama  il  Cantoni;  coteste  essendo 

idee  di  relazione,  dovechè  Dio  è  un  essere  in  sé  e  per  sé.* 

Ma  forse  che  cotesto  essere  in  sé  e  per  sé  lo  appellereste 

ingiusto, non  vero, non  buono,  né  santo?  E  poi,  se  un  hege- 

liano pigliasse  a  dimostrarvi  che  Dio  altro  non  é  salvo 

che  relazione,  la  relazione  per  eccellenza,  che  cos'  avreste 

a  rispondergli? — Quant' all' origine  dell'umanità  il  Can- 

toni fa  un  mazzo  dell'  Hobhes  del  Puffendorf  del  Rous- 

seau e  del  Vico,  appellando  romanzo  la  dottrina  su  lo 

stato  di  natura,  precisamente  come  fin  dal  secolo  scorso 

vennero  battezzandola  il  Romano,  il  Finetti,  il  Buona- 

fede, e  poi  lo  lannelli,  il  Romagnosi,  il  Tommaseo  :  ro- 

manzo però  (egli  aggiunge)  da  cui  l'autore  della  Scienza 

Nuova  ha  tratto  eonseguenze  del  tutto  diverse.  Starà 

bene,  io  rispondo:  ma  se  coteste  conseguenze  sono  di- 

verse, non  vuol  esser  tale  anch'  il  principio  ond'  elle 

rampollano?  il  quale  perciò  in  apparenza  solamente 

potrebb'  esser  confuso  con  quello  eh'  è  proprio  de'  gius- 

«  Cahtohi,  Q,  B.  Vico,  Studi    critici  e  comparativi.   Torino,   1867, 

naturalisti  del  secolo  scorso? — Parlando  della  libertà 

che  pel  nostro  filosofo,  come  s' è  detto,  costituisce  uno 

de'  due  principii'd' umanità^  il  Cantoni  avverte  accon- 

ciamente ch'ella  pel  Vico  si  manifesta  come  proprietà 

e  come  difesa.  Ma  queste  due  parti  od  aspetti  del  Di- 

ritto, egli  soggiunge,  sono  evidentemente  piuttosto  conse- 

guenze che  fondamcfito  della  Società.  Errore  grave,  come 

ognun  vede  ;  errore  massiccio,  massime  di  fronte  ai  lumi 

e  alle  conclusioni  cui  è  pervenuta  oggi  la  scienza  giuri- 

dica; perocché  i  diritti  originari  pel  Vico,  secondochè 

lo  intenderebbe,  il  Cantoni,  sarebbero  dati  graziosa- 

mente dalla  società,  sarebbero  compartiti  dallo  Stato 

meglio  che  inseriti  nell'animo  per  opera  della  stessa  na- 

tura. —  Né  poi  lo  intende  meglio  dove  afferma  che  que- 

sto filosofo  riguardava  i  popoli  come  originari  del  luogo 

dove  abitano.^  La  sentenza  adottata  dal  Vico  a  tal  pro- 

posito è  precisamente  l' opposta.  Buon  credente,  catto- 

lico di  buona  fede,  egli  accettava  la  dispersione  falegica; 

e  il  fatto  dello  stato  ferino  quindi  reputava  come  pro- 

dotto per  ragione  della  colpa  originaria  (ragione  al 

tutto  accidentale  e  secondaria)  non  già  per  ragion  tm- 

turale  e  necessaria  come  appunto  avrebbe  dovuto  ri- 

guardarlo se  fosse  stato  conseguente  ai  suoi  medesimi 

criteri  metodici,  nonché  ai  suoi  principii  filosofici,  se- 

condochè altrove  mostreremo.  Tale  affermazione  del 

Vico,  adunque,  è  erronea  ;  é  evidentemente  contraditto- 

ria.  Ora  non  solo  il  Cantoni  non  ha  levato  di  mezzo 

tal  contraddizione  pur  accordando  la  mente  del  filosofo 

con  sé  stessa,  ma  non  ne  ha  visto  nemmanco  la  pos- 

sibilità. Altri  forse  potrebbe  sospettare  ch'egli  abbia 

confuso,  nell'autore  della  Scienza  Nuova,  il  concetto 

dell'  autoctonicità  con  l' idea  di  svolgimento  autonomo 

de'  popoli  primitivi. 

Qual  è  la  ragione,  chiederà  qualcuno,  di  questa  cri- 

tica tanto  affrettata  e  superficiale  in  un  libro  non  man- 

*  Cantoni,  O.  B.  Vico,   Studi  critici  e  comparativi,  Torino,   1807. 

pag.  881. 

canto  di  pregi,  in  un  libro  scritto  e  meditato  a  bella  po- 

sta su  le  dottrine  del  Vico  ?  La  ragione  è  tutta  subbietti- 

va,  e  si  radica  nell'  indirizzo  stesso  della  mente  e  delle 

idee  di  questo  critico.  A  giudicare  dal  presente  lavoro,  bi- 

sogna pur  dire  che  il  Cantoni  non  ha  fede  in  una  filo- 

sofia. Pili  che  critico  egli  è  un  positivista;  non  sapen- 

domi persuadere  come  il  vero  critico  possa  fare  a  meno 

d'una  filosofia,  senza  cui  ogni  critica,  anche  giudiziosa, 

parrai  <lebba  riuscire  ad  un  artifizio  puramente  anali- 

tico. Come  dunque  poteva  egli  aver  in  pregio  le  dot- 

trine filosofiche  del  nostro  scrittore  quand'  anco  avesse 

voluto  e  saputo  rintracciarle  con  amore,  interpretarle 

con  giudicio,  svolgerle  debitamente  secondo  i  veraci 

bisogni  della  scienza  moderna?  Come  pregiarne  il  si- 

steniatismo  (ripetiamo  la  sua  parola)  del  Libro  Meta- 

fisico e  della  seconda  Scienza  Nuova?  Come  scemere 

un'attinenza  vitale  fra  l' una  e  l'altra  opera?  Ma  basti 

del  Cantoni. 

In  quest'  ultimi  anni  l'illustre  Puccinotti  ha  felice- 

mente compiuto  la  sua  storia  della  medicina  che  altri 

ha  meritamente  appellato  monumentale.  Chi  pigliasse 

a  meditar  nelle  opere  di  quest'  insigne  e  venerando 

scrittore  che  ad  anima  nobile  e  incorrotta  congiugne 

severità  e  robustezza  di  mente,  s' accorgerebbe  di  leg- 

gieri come,  per  quanti  possan  essere  i  difetti,  un  filo 

segreto  ne  annodi  le  parti  e  stringa  insieme  le  dottrine 

così  che  ne  risulti  un  vero  e  compiuto  sistema  di  me- 

dicina e  di  storia.*  La  Patologia  Induttiva,  entro  cui  i 

medici  e  i  naturalisti  avvenire  sapran  ritrovare  i  germi 

d'una  restaurazione  della  patologia  sinceramente  ita- 

liana in  quanto  che  non  contraddice  ma  compie  la  no- 

vella dottrina  cellulare  e  organica  che  oggi  fa  tanto 

rumore,  si  presenta  come  una  patologia  essenzialmente 

storica  e  fisiologica.  Chi  di  fatto  sia  disposto  ad  acco- 

glier la  teorica  del  Puccinotti  sul  morbo,  non  potrà 

*  Vedi  il  nostro  opuscolo  Intorno  alla  Storia  della  Mtdieinn  di  Fran- 

w«eo  Pueeinott».  liOttera  al  prof.  A.  C.  De  Heis.  Firenze,  Barbòra,  1864. 

logicamente  ripudiare  i  suoi  principii  fisiologici  tera- 

peutici igienici  e,  che  più  monta,  il  suo  disegno  storico; 

<lel  che  porgeremmo  dimostrazione  se  questo  fosse  il 

luogo.  Tutto  in  lui  è  un  organismo;  ed  ecco  perchè  la 

tìua  Storia  è  propriamente  una  filosofia  ddVidea  détla 

salute  fra  gli  uomini,  attraverso  le  differenti  età  della  sto- 

ria. Nel  profondo  concetto  di  questo  scrittore,  adunque, 

la  patologia  dee  riprodurre  la  fisiologia  nelle  essenziali 

sue  condizioni  ;  al  modo  istesso  che  il  disegno  d' entrambe 

queste  discipline  ha  da  rispondere  al  loro  processo  iste- 

rico, riprodurlo,  compierlo,  inverarlo.  Si  può  dissentire 

dal  Puccinotti  ;  dissentire  in  parecchi  punti  anco  essen- 

ziali delle  sue  dottrine:  ma  ninno  dubiterà  ch'egli  sia 

'  stato  il  primo  a  gettar  le  fondamenta  d' una  storia 

filosofica  della  medicina;  la  quale  non  potrebV esser 

davvero  filosofica,  ove  non  rispondesse  ad  una  patologia 

e  ad  una  fisiologia  egualmente  filosofiche.  La  Patologia 

Analitica  del  Bufalini  è  incapace,  per  la  stessa  intima 

costruttura  del  suo  organismo,  di  partorire  un  concetto 

storico;  e  ninno  infatti  degli  organicisti  italiani,  e  neanche 

lo  stesso  Bufalini,  ci  han  saputo  dare  sin  qui,  e  non  pote- 

vano darci,  una  storia  secondo  le  esigenze  del  mistioni- 

smo,  come  quello  che  di  per  se  medesimo  si  presenta 

esclusivo,  empirico,  negativo.  In  che  maniera  dunque  ci 

è  arrivato  egli  il  Puccinotti?  Ci  è  potuto  arrivare  per 

due  motivi;  primo,  perchè  tale  è  l'esigenza  stessa  della 

sua  Patologia  induttiva;  secondo,  perchè  nel  rintrac- 

ciare lo  svolgimento,  il  processo  isterico  dell'  idea  igie- 

nica e  patologica,  egli  seppe  attingere  ispirazioni  e 

lumi  nella  Scienza  Ntiova,  da  questa  trasportando  nel 

regno  della  medicina  la  legge  isterica  universale  rin- 

tracciata dal  filosofo  napoletano.  Brevemente:  il  Puc- 

cinotti nella  sua  Storia  non  ha  fatto  altro  che  appli- 

care il  concetto  cardiiiale  della  Scienza  Nuova  ad 

uno  de'  rami  dell'  umana  enciclopedia  ;  allo  svolgi- 

mento della  idea  della  salute  fisica  dell'uomo.  Ecco 

precisamente  ciò  che  forma  l'onore  e  il  merito  di  questo 

valentuomo  quando  sia  considerato  come  stoi\ 

medicina.^  \^ 

 

Ora  ci 'Converrà  di  bel  nuovo  uscir  d'Italia 

dare  in  Francia,  donde  questa  volta  ritorne^-emo  \ 

più  contenti  che  altri  non  penserebbe.  Rendiamo  ^ 

stizia  ai  Francesi:  in  quest'  ultimi  anni  essi  han  discoK*o 

del  nostro  filosofo  meglio  che  per  tutto  questo  secolo 

non  facessero  il  Michelet,  il  Lerminier,  il  Gousin,  lo 

JouflFroy,  il  Bouchez,  il  Comte,  il  Renouvier,  il  tradut- 

tore anonimo  della  Sciema  Nuova^  ed  altri.  Il  progresso 

della  critica  su  le  dottrine  del  Vico,  da  tre  anni  a  questa 

parte,  è  assai  più  notevole  in  Francia  che  in  Italia.  Ce 

ne  dan  prova  il  Franck,  il  De  Ferron,  il  Vacherot. 

Il  Diritto  Universale  non  era  stato  mai  preso  in 

esame  accurato  e  coscienzioso  dai  Francesi,  ne  dagF  Ita- 

liani. Questo  ha  fatto  il  Franck;  e  lo  ha  fatto  in  modo' 

che  noi  avremo  a  lodarcene  pienamente.* 

*  Il  chiarissimo  professor  Ferri,  nella  sua  pregevole  storia  su  la  filo- 

sofia moderna  italiana,  ha  chiamato  filosofia  del  numero  la  filosofia  del 

Puccinotti.  Questa  frase  è  vera,  e  felicemente  trovata;  ma  fino  a  un  certo 

segno.  Il  concetto  del  numero,  quant*  a  noi  sembra,  non  ò  tolto  pro- 

priamente come  principio  dal  Puccinotti,  bensì  come  criterio,  come  espe- 

diente, come  il  massimo  espediente  metodico  sperimentale,  avvisato  nella 

sua  forma  astratta.  Equivale,  insomma,  a  ciò  che  lo  stesso  Puccinotti 

suole  appellar  metodo  della  squadra  e  del  compatto.  Diremo  che  questo 

per  avventura  sia  schietto  pitagorismo?  Diciamolo,  se  cosi  piace:  mail 

nmmero  per  lui  non  sembra  esser  Tarchetipo  assoluto,  Tassoluto  mo- 

dello per  Imitazione  del  quale  sian  fatte  le  cose,  e  nemmanco  la  sostanza, 

il  vero  essere  della  realtà:  sentenze,  com*  è  noto,  in  cui  si  dividono  gli  an- 

tichi e  i  moderni  storici  e  critici  neirinterpretare  il  primitivo  pitagorismo. 

(BKwnm^LaFil  Greca  prima  di  Socrate,  p.  176)  Ora  il  Puccinotti  non 

potrebbe  segrnire  in  modo  esclusivo  Puna  o  Paltra  sentenza,  attesoché  si 

contradirebbe  in  due  differenti  maniere.  In  biologia  egli  è  dinaniista; 

qnantanque  il  suo  dinamismo  non  abbia  che  vedere  con  quello  dei  no- 

«tri  vecchi  medici  di  mez^o  secolo  addietro:  in  filosofia  poi,  a  dir  tutto 

in  una  parola,  egli  è  un  buon  credente  cattolico,  un  filosofo  essenzial- 

mente cristiano.  Ma  ove  abbracciasse  il  concetto  del  numero  in  uno 

de'  dae  suddetti  significati,  non  cadrebbe  evidentemente  nel  meccanismo 

da  una  parte,  e  nell'ateismo  o  in  una  forma  di  dualismo  ontologico 

daU'altra?  K  siffatte  conseguenze  non  ripugnano  troppo  tanto  all' insieme 

delle  dottrine  quanto  alla  coscienza  di  questo  scrittore? 

*  Altro  buon  segno  del  progresso  de'  nostri   studi  sul  Vico  son  le 

induzioni  del  Diritto  VnivertaU  pubblicate  fra  noi  in  quest'  ultimi  anni 

L' opera  sul  Diritto  Universale,  dice  il  Frank,  mostra 

il  genio  dd  Vico  che  crea  una  filosofia  del  diritto  su  la 

quale  edificherà  più  tardi  la  Sciensa  Nuova.  Che  questo 

libro  racchiudesse  i  germi  d' una  filosofia  del  diritto,  Io- 

sapevamo  già,  e  il  nostro  Carmignani  ce  ne  avea  posto 

su  r  avviso  :  ma  siamo  contenti  che  oggi  venga  a  ridir- 

celo un  dotto  francese,  tanto  più  che  un  altro  fran- 

cese, Paolo  Janet,  non  ne  ha  voluto  tener  conto  neUa 

sua  storia,  e  nessun  conto  ha  creduto  fame  altresì 

lo  Stahl  nella  bellissima  Storia  su  la  filosofia  del 

diritto.  Il  Franck  dunque  coglie  giusto  ove  dimostra 

come  quest'  opera  sia  fondata  su  la  relazione  in  che  si 

annodano  insieme  filosofia  e  filologia,  metodo  essenzial- 

mente vichiano,  come  lo  chiama  egli  stesso.  Indovina 

poi  ed  espone  con  chiarezza  l'origine  al  tutto  psico- 

logica a  cui  il  nostro  filosofo  fa  risalire  il  triplice 

diritto  originario  (libertà,  dominio,  tutela)  e  per  cui  ^li 

merita,  dice  il  Franck,  d' esser  segnalato  a  preferenza 

di  tutti  i  giusnaturalisti  suoi  contemporanei  od  a  lui 

per  opera  del  (ìianif  del  Pomodoro  e  del  Sarchi;  T ultima  delle  quali  die 

occasiono  al  Franck  di  scrìvere  il  suo  lavoro  critico  pubblicato  nel  Jonmal 

Idea  S.xvnnt9j  1866-67.  La  traduzione  del  Giani  è  proprio  affogata  in  infi- 

niti commenti  cho  il  medesimo  traduttore  oggi  forse   non  accetterebbe 

se  rivesse,  avend*  egli   inteso    quest^opera   coni*  avrebbe  potuto   inten- 

derla uno  scolastico.  Non  manca  di  pregi  la  traduzione  del  Pomodoro,  e 

vince  le  altro  per  esser  compinta.  Il  Sarchi  si  è  contentato  di  tradurre 

il  primo  libro;  ma  vi  ha  premesso  un'introduzione  che  il  Franck  ha  lo- 

dato. Il  concetto  precipuo  del  Sarchi  è  questo:  la  filosofia  politica  fra  noi 

essere  stata  fondata  dal  Machiavelli  mercè  il  concetto  di  libertà,  e  dal 

Vico  mediante  quello  di  provvidenza.  Ma,  come  accordare  libertà  e  prov- 

videnza? Kcco    il   nodo  a  cui  il  Sarchi  non  ha  badato,   né  punto,  nò 

poco.  —  \i  giusto  qui  avvertire  come,  prima  del  Carmignani  e  deirAmarì, 

il  Mamiani  ed  il  Mancini  accennassero  qua  e  colà  ai  principi!  giuridici  del 

Vico   [Utt,  intomo  alla  FU.  del  Diritto,  Napoli,   1841).  Dopo  le  trada> 

zioni  poco  fa  rammentato,  niun  altro  fra  noi  ha  parlato  del  Diritto   Uni- 

vermle^  tranne  roi:rregio   prof.  Luchini  nella  sua  Critica  della  penalità^ 

condotta  secondo  i  principii  del  filosofo  napoletano.  Egli  ha  messo  a  ri- 

scontro ia  dottrina  del  Nostro  con  le  teoriche  di  Kant,  del  Bentham,  del 

Romagnosi,  del  Rossi  e  della  Scuola  toscana,  e  se  ne  dichiara  seguace. 

Vedremo  nella  «Socto^ofTtd  s'egli  siasi  apposto  nello  mterpretar  la  teorica 

della  penalità  dell*  autore  del  Diritto  Univtrtale, 

anteriori.  Di  fatto,  porre  a  fondamento  della  società  un 

doppio  bisogno  materiale  e  morale,  eh' è  dire  l'istinto  al 

bene  essenzialmente  morale  e  all'utile  tolto  nel  significato 

di  equo-buono;  dimostrar  Funo  anteriore  logicamente 

all'  altro  e  questo  mostrar  co'  fatti  anteriore  a  quello 

per  sola  ragion  cronologica;  trame  quindi  il  principio 

giuridico  ed  etico  d' una  doppia  società  (soci^as  veri  e 

sodetas  (squi-boni)  ;  far  consistere  la  natura  d'entrambe 

in  uno  scambio  di  beni  materiali  e  morali  fra  gì'  indi- 

vidui; porre  il  concetto  di  giustizia  come  proporzione 

onde  questi  beni  vonn' esser  distribuiti,  ri  che  quan- 

d' anco  non  esistesse  un  bene  di  genere  morale  ma  solo  * 

beni  materiali  ci  avrebbe  a  essere  ciò  nullamanco  una 

misura  secondo  la  quale  siffatti  beni  devano  andar  ripar- 

titi, e  quindi  la  necessità  del  medesimo  concetto  di 

giustizia  anche  nelle  attinenze  puramente  materiali  fra 

gli  uomini:  presentare  siffattamente  la  scienza  del  di- 

ritto, dice  il  Franck,  vuol  dire  creare  addirittiu*a  la  filo-  ' 

sofia  delie  relimoni  civili  e  sociali,  la  benintesa  Sociologia. 

Due  sono  perciò  le  regole  fondamentali  dell'umana 

condotta  che  scaturiscono  da'principii  del  Vico:  ope- 

rare di  buona  fede  rispettando  la  verità  in  tutto,  ed 

esser  utile  ai  propri  simili.  —  ("onvien  confessare,  di- 

ciamolo di  passata,  che  ove  il  Franck  avesse  tenuto 

conto  principalmente  di  questi  criterii,  non  avrebbe 

speso  molte  parole  a  biasimare  il  Vico  a  proposito  del- 

l'esagerato  concetto  che  questi  ebbe  intorno  alla  carità, 

la  quale  talora,  com'è  noto,  egli  confonde  con  la  giustizia. 

Altro  pregio  insigne  di  questo  scrittore  è  l'aver  sa- 

puto cogliere  i  veri  principii  del  Diritto  punitivo  del  ' 

nostro  filosofo,  mostrando  com'  egli,  col  tener  d' occhio 

nella  sua  dottrina  non  pure  il  colpevole  ma  anche  i 

diritti  e  gì'  interessi  della  società,  compia  nel  medesimo 

tempo  le  due  opposte  teoriche  penali;  quella,  cioè,  dei 

sistematici  platoneggianti  che  nel  comminar  la  pena 

mirano  soltanto  all'  ammenda  del  colpevole,  e  l' altra 

degli  ntilitarii  e  positivisti  che  della  parte  morale  non  ^ 

sanno  tener  conto,  ne  punto,  ne  poco.  Ma  sopra  tale 

argomento  ci  rifaremo  altrove  di  proposito.  Seguitando 

intanto,  parmi  che  il  pregio  massimo  della  crìtica  di 

questo  scrittore  stia  nel  modo  col  quale  considera  i  pria- 

•cipiì  delia  politica;  prìncipii  che,  quantunque  nello 

stato  di  germe,  possiamo  rintracciare  nel  Diritto  Um- 

versale.  La  politica  del  Vico,  egli  osserva  giustamente, 

è  tutta  fondata  sul  Diritto,  ma  in  armonia  con  la  storia. 

Sentenza  verissima  e  feconda,  che  il  Franck  avrebbe 

dovuto  rifletter  meglio  dove  censura  il  Nostro  per  al- 

cune applicazioni  eh'  ei  venne  facendo  alla  storia.  Lad- 

dove il  Vico,  egli  dice,  s' accinge  ad  applicare  il  me- 

todo allo  studio  del  Diritto,  urta  evidentemente  ad  un 

doppio  scoglio  ;  da  una  parte,  quand'  egli  chiede  soc- 

corso alla  sola  ragione,  risica  di  confondere  e  spesso 

confonde  il  dominio  della  giurisprudenza  con  quello 

della  metafisica;  dall'altra  poi,  quando  chiede  aiuto 

alla  storia,  altro  non  fa  che  aggirarsi  in  mezzo  alle 

istituzioni  e  ai  destini  del  popolo  romano,  quasiché  la 

storia  di  questo  popolo  fosse  la  storia  universale.  In 

altre  parole  il  Franck  dice  così  :  il  Vico  da  una  parte , 

svapora  nell'a  priorismo  e  dà  nelle  astrazioni;  mentre 

poi  dall'  altra  intoppa  nell'  empirismo. 

Il  Franck  dice  benissimo.  Nel  filosofo  napoletano 

questa  doppia  tendenza  è  manifesta.  Ma  anziché  difetto 

cotesto,  perché  non  dirlo  pregio?  Non  é  egli  stesso,  in- 

fatti, che  non  rifinisce  d'incelare  il  metodo  vichiano 

appunto  perché  consiste  nel  connubio  della  filosofia  con 

la  filologia,  della  metafisica  con  la  giurisprudenza,  della 

ragione  con  l'autorità?  Or  l'esigenza  d'un  doppio  or- 

gano, d' un  doppio  strumento  nel  metodo,  non  é  la  con- 

dizione legittima,  e  propriamente  la  parte  vitale  d' una 

dottrina,  doveché  gli  errori  d' appUcazione  hanno  valore 

Affatto  secondario?  Il  non  aver  poi  riflettuto  a  questo 

ha  fatto  sì  che  il  Franck  giugnesse  ad  una  conseguenza 

non  vera,  dicendo  che  il  Montesquieu,  quant'al  metodo, 

vinca  e  superi  il  filosofo  italiano.  Paragoni,  somiglianze, 

analogie,   riscontri   fra  questi  due  scrittori  non  sono 

possibili.  Montesquieu  non  ebbe  neanche  sentore  àeV  n 

metodo  vichiano;  ed  ecco  perchè  l'opera  su  lo  Spirito 

ddle  leggi  non  è  una  filosofia  della  storia,  non  è  la  Scienza 

Nuova,  né  quindi  credo  che  lo  scrittore  francese  siasi 

ispirato  né  punto  né  poco  neir  italiano,  come  inchine- 

rebbero a  supporre  il  Lerminier,  il  Carraignani,  l'Amari 

ed  altri.  Il  senso  delle  storicità,  come  primo  fra  tutti 

osservò  il  Ferrari,  manca  affatto  nel  Montesquieu;  e 

manca  in  lui,  come  tutti  oggimai  ritengono,  il  compi- 

mento razionale  filosofico;  vi  mancano  insomma  i  prin- 

cipii,  0,  per  dir  la  parola  che  usano  gli  stessi  Francesi 

a  tal  proposito,  vi  manca  il  carattere  détta  raziofialità.^j 

L' ultimo  libro  nel  quale  si  parli  cou  serietà  scien- 

tifica del  nostro  filosofo,  è  quello  del  De  Ferron,  inge- 

gnoso e  abilissimo  scrittore.  Nessun  francese  meglio  dì  1 

lui  ha  saputo  cogliere  il  significato  razionale  della  Scienza  I 

Nuova,  comprenderne  il  metodo  isterico,  e  pome  l'autora 

in  quel  seggio  che  gli  spetta  fra  i  pensatori  dell'  evo 

moderno.   Tracciata  la  storia  dell'idea  del  progresso,^' 

egli  entra  a  discorrer  su  la  scienza  de'  fatti  storici 

qual'  era  concepita  prima  del  Vico,  sul  Diritto  Romana 

rispetto  alle  dottrine  di  lui,  su  la  Scienza  Nuova  di 

fronte  alla  critica  moderna,  e  con  erudizione  eletta, 

acconcia,  sobria  e  non  affollata,  prende  a  trattare  la 

'  Il  Canuignani  dice  benissimo  dove  affernia  che  il  metodo  del  Mon-  ) 

tesqaien  rassomiglia  al  microscopio,  in  mentre  che  quello  del  Vico  rende 

imagine  del  telescopio.  (Storia  della  FU,  del  Diritto^  lib.  III.)  Che  poi  il 

difetto  di  razionalità  costituisca  la  parte  debole  deiropora  del  filosofa 

francese,  è  cosa  ormai  detta  e  ridetta  e  provata  fino  dal  secolo  passato, 

e  confermata  sempreppifi  dai  moderni.  Non  potendo  trattenerci  in  questi 

particolari,  rimandiamo  i  lettori  al  giudizio  che  in  proposito  danno  i 

seguenti  scrittori,  e  che  torna  conforme  al  nostro  espresso  poco  fa:  Duxi, 

Saggio  mila    Giuritpr.   univ.,  pag.  57.  —  FlLAKOlRRI,  Se.  della  Legialaz.^ 

lotrod.  —  MaCKINTOSH,  Vige,  nur  Vétude  du  Droit  de  la  nature,  ec.  pag.  22,-t 

—  RoTTBSKAg,   Emil,  1.  V.  —  Fra  i  moderni   poi  cons.   Lebminirr,   Biat,^ 

ginér,   oc,   pag.   1 75.  —  Barkt,   Hiwf.  dea  idéen  morale»  et  politiquea  en 

France  en  XVI JI  Siede.  —  Jakrt,  Hiat.  ec.  yol.  II,  pag.  516.  —  DaFAO,^; 

De  la  méth.  d*olaervation  aux  aciencea   mor.  et  poi.,,   pag.   860,  nota  XL. 

Qneit*  ultimo  anzi  dice  mancare  affatto  nel  Montesquìon  una  teorica. 

quistione  su  Tetà  dell'oro,  e  l'altra  su  T orìgine  e  sul 

valore  de'  poemi  Omerici.  Il  buon  senso  del  De  Ferron 

nel  saper  rilevare  in  siffatte  quistioni  il  merito  del  no- 

stro filosofo  a  me  sembra  davvero  mirabile.  Con  dirit- 

tura di  giudicio  intende  la  relazione  fra  il  diritto  civile 

e  '1  diritto  filosofico  ;  e  con  tal  chiave  nelle  mani  riesce 

ad  interpretar  debitamente  la  storia  ideale  che  l' autore 

della  Scienza  Nuova  seppe  cogliere  nello  svolgimento  del 

gius  romano.  Uno  per  lui  è  il  sistema  del  Vico;  onde  le 

due  Scienze  Nuove  non  sono  da  riguardarsi  altrimenti 

che  come  detix  rédadions  éCun  ménte  sujet:  al  che  do- 

vrebbe por  mente  il  nostro  Cantoni.  Ritiene  egli  pure 

che  lo  Champollion  non  discoprisse,  bensì  confermasse 

pienamente  la  dottrina  del  Vico  su  la  storia  della  scrit- 

tura, tale  essendo  infatti  la  triplice  scrittura  egiziana 

geroglifica,  jeratica  e  demotica.  Dimostra  ch'egli  prima 

d'ogn' altri  ritrovò  e  compose  in  armonia  parecchie 

dottrine  accettate  oggi  e  rassodate  difinitivamente  dalla 

scienza,  quali  sono,  per  citarne  qualcuna,  la  formazione 

del  dramma  satirico  riguardato  come  sorgente  d'ogni 

poesia  drammatica,  l'anteriorità  del  linguaggio  poetico 

al  linguaggio  prosaico,  e  simili.  Da  ultimo  fa  rilevare 

come,  non  contento  d' avere  scoperto  la  legge  secondo 

cui  si  vanno  svolgendo  nel  corso  isterico  le  grandi  ci- 

viltà nonché  le  forme  semplici  del  reggimento  politico, 

profondasse  la  mente  nel  ricercare  e  determinare  il 

carattere  d' un'  epoca  anteriore  alla  città  ed  alle  ari- 

stocrazie feudali,  epoca  che  costituisce  appunto  l'età 

divina.  La  quale  osservazione,  fatta  da  un  francese, 

dovrebbero  oggimai  spassionatamente  meditare  i  posi- 

tivisti francesi  che  non  rifiniscon  di  celebrare  la  sco- 

pei'ta  della  legge  sociologica  del  loro  maestro! 

Ma  nel  De  Ferron  incontriamo  riflessioni  che  non 

ci  è  venuto  fatto  ritrovare  in  verun  critico.  Base  della 

città,  die'  egli,  fondamento  del  formarsi  delle  nazioni 

per  r  A.  della  Scienza  Nuova  non  è  Y  istinto  della  so- 

ciabilità, come  credevano  i  giusnatnralisti  suoi  contem- 

poranei.  Se  tale  istinto  può  aver  creato  la  iaiiiiglia  e 

le  tribiì,  non  però  basta  a  fondar  la  città ,  non  riesce 

a  condurre  un  popolo  ad  una  data  costituzione  poli- 

tica. È  necessaria  dunque  una  l'orza  estrinseca,  senza 

cui  r  uomo  rimarrebbesi  nello  stato  pastorale.  Ora  co- 

tal  forza  estrinseca  e  tutta  naturale  consiste  nel  fatto 

del  successivo  migrare  delle  tribù  da  alcuni  centri;  nel 

loro  successivo  aggrupparsi  in  dati  luoghi;  nel  fissare 

lor  sedi,  ond'  è  resa  possibile  l'agricùltura;  e  finalmente) 

nel  fatto  delle  conquiste,  le  quali  hanno  virtù  di  creare 

e  rendere  sempre  più  stabili  e  quasi  organiche  le  na- 

zioni sedentarie.  Tutto  questo,  dice  benissimo  il  De  Fer- 

ron,  scaturisce  a  fil  di  logica  dalle  dottrine  del  Vico. 

Diciamolo  ora  con  parole  nostre:  T  organismo  sociale,"' 

la  società,  è  da  natura;  è  nella  natura:  l'organisiifo  dello 

Stato,  in  vece,  è  sottoposto  a  processo  ;  questo  processo 

tiene  ad  arte;  ma  quest'  arte  è  fondata  aqch'ella  in  na- 

tura. La  relazione  storica,  dunque,  ecco  il  concetto  del 

Vico  che  il  De  Ferron  ha  interpretato  a  meraviglia.*  , 

Altra  osservazione  assai  notevole  parmi  questa.  Non 

v'è  stato  né  v'  è,  die' egli,  chi  i;on  abbia  celebrato  il 

filosofo  di  Napoli  qual  padre  della  filosofia  della  sto- 

ria; mais  on  se  garde  d'exposer  sa  méthode  historique, 

aristoteliemie,  i  cui  principii  son  oggi  venuti  applicando  , 

in  diverse  ricerche  storiche  il  Macaulay,  il  Michelet,  il 

Guizot.'  Con  queste  parole  il  De  Ferron  mostra  d' aver 

pienamente  compreso  il  metodo  della  Scienza  Nuova; 

metodo  essenzialmente  aristotelico,  checché  ne  abbian' 

detto  e  si  piaccian  dire  certi  hegeliani.  Ed  ecco  per- 

ché egli  s'  allontana  da  parecchi  altri  critici  nell*  ap- 

prezzare il  concetto  vichiano  sul  progresso  ;  rispetto  al 

quale  consente  con  Y  anonimo  traduttore  francese,  col 

Tommaseo,  con  lo  Spaventa  e  con  altri,  per  citare  qui 

'  È  uno  de'  principii  su'  quali  è  fondata  la  Sociologia  del  Comte  e 

ch'eglif  spesso  appella  contenBo,  cospirazione  {Coum  de  PhiU  posity  voi.  V). 

Sarà  anche  questa  una  scoperta  del  Positivista  francese? 

*  Db  Ferron,  Op.  cit.  Voi.  I,  pag.  137,  107. 

tre  nomi  che,  quantunque  discordanti  nel  resto,  con- 

vengono ciò  nondimanco  nel  credere  che  nel  Vico  esista 

r  idea  del  progresso.  E  a  chi  neghi  o  dubiti  che  cote- 

sto concetto  ritrovasi  nella  Scienza  Nuova,  il  De  Fer- 

ron  è  pronto  a  rispondere:  cela  parati  impassible  a 

PRIORI,  car  le  progrès  décovUe  de  son  sy stèrne;  mais 

en  otUre  U  le  prodame  formellemeYU}  Si  dirà  che  il 

Vico  non  vide  1'  elemento,  la  molla  principalissima  del 

progresso,  cioè  la  trasformazione  dei  rapporti  econo- < 

mici  fra  i  popoli?  Ma  lo  scadimento,  il  ritorno  della 

barbarie,  sopra  cui  tanto  insiste  il  nostro  filosofo  e  per 

cui  rendesi  necessaria  un'  invasione,  non  sono  forse  (ri- 

sponde quest'  egregio  critico)  altrettanti  mezzi,  altret- 

tante condizioni  di  progresso?  Come  si  vede,  tutt'i  giu- 

dizi del  De  Ferron  riescono  assennati,  opportuni,  pieni 

di  verità,  e  e'  invoglia  ad  accennarne  qualcun  altro. 

Egli  paragona  il  Vico  al  Cuvier,  e  la  Scienza  Nuova 

par  che  gli  renda  immagine  della  geologia;  per  cui  non 

dubita  affermare,  che  la  critica  moderna  sia  stata  creata i 

dal  filosofo  italiano.  Perocché  cotesta  critica  è  quella  che 

debb'  essere  ;  cioè  non  assolutamente  obbiettiva,  ma  sub- 

biettiva  altresì,  stantechè  ad  apprendere  il  passato  e 

comprender  la  vita  della  storia  non  solo  sia  mestieri 

d' investigarla,  ma  di  sentirla  eziandio.  Or  s' egli  è  così, 

l'ingegno  critico  e  storico  non  deve  assumer  necessa- 

riamente una  forma  artistica?*  Discorrendo  inoltre  del- 

l' età  dell'  oro,  la  quale  col  metodo  inaugurato  dal  Vico 

non  è  altrimenti  possibile  immaginarla  dietro  ma  in- 

nanzi a  noi,  conclude  con  questa  notevole  sentenza: 

 

*  Voi.  cit.  pag.  138.  Questo  infatti  proclama  il  Vicopiìie  piti  volte; 

o  basti  leggere,  per  esempio,  il  titolo  doir  ultimo  Oap.  della  Seienta 

Nuova^  VAAMtoma  F/,  e  la  Concloiione,  in  principio  della  quale  egli  accenna 

alla  quarta  specie  di  Repubblica  cui  allude  Platone. 

*  E  tale  è  yeramon te  l'ingegno  del  Vico,  come  hanno  osservato  se- 

gnatamente il  Tommaseo  e  il  Lcrminier  con  tratti  pieni  di  verità  e  di 

1  eloquenza.  {Introd.  gin.  à  VUUt.  du  DroU.  Bmxelles  1830,  pag.  278.)  No- 

tevolissime poi  le  parole  colle  quali  il  Manzoni  scolpisce  T  indole  dello 

ingegno  Vichiano  {Due,  tuW Adelchi^  213),  nonché  i  giudizi  del  Parma  e*^ 

del  Canal.  —  Vedi  nel  Tommaseo,  Studi  CWa'ei,  p.  117. 

«  Se  àUro  servigio  non  avesse  egli  reso  tranne  quello  di 

liberarci  daW  argomento  che  serve  di  base  e  di  pretesto  \ 

ci  socicdisìno  utopista  e  al  Cesarismo  (eh' è  ttM  uno)t 

per  questo  sólo  bisognerebbe  riguardarlo  cmne  uno  de' più 

grandi  benefattori  deh'  umanità.^  »  Notiamo  finahnente 

la  risposta  eh'  egli  indirizza  a  coloro  i  quali  rimpro- 

verano il  Vico  d'  avere  spogliato  la  storia  della  sua 

poesia,  e  allontanatala  dall'ammirazione  verso  le  grandi 

cose  e  gli  uomini  grandi.  Il  Vico  fu  il  primo  a  spiegare 

la  storia  mercè  l' attività  di  tutti  gli-^uomini,  delle  mol- 

titudini, del  senso  comune.  Come  i  vecchi  poeti  su  la 

scena  tragica,  così  i  vecchi  storici  su  la  scena  del  mondo 

altro  non  sapevano  presentarci  fuorché  principi  e  im-* 

peratori:  ma  il  Vico  è  il  grande  introduttore  de' popoli 

su  la  scena  della  storia;  egli  ha  scoperto  la  dottrina  che 

sóla  può  fondare  la  democrazia,  mostrando  i  suoi  giusti 

diritti  nel  governo  dd  mondo}  Di  quest'  ultima  e  bellis- 

sima interpretazione  noi  terremo  conto  nella  Sociologia. 

La  critica  del  De  Ferron  su  la  dottrina  del  Vico 

riguardante  Omero  e  i  poemi  Omerici,  non  è  men  vera 

e,  per  le  conseguenze  che  ne  sa  trarre,  invincibile.  Le 

.  analisi  e  le  notizie  intomo  agli  studi  fatti  sopra  tale 

argomento  dal  1780  ad  oggi,  per  quanto  brevi,  sono  al- 

trettanto piene  ed  esatte.  Fra  le  altre  cose  chiarisce 

molto  acconciamente  questo  punto;  che  il  Wolf  non  co- 

nobbe altro  che  una  parte  della  grande  quistione  su  Tori- . 

gine  de'  poemi  Omerici,  appunto  perchè  volle  trattarla 

sotto  l'aspetto  esclusivo  della  letteratura  greca.'  Non 

sono  i  critici  seguaci  del  Vico  (egli  osserva  acutamente) 

che  oggi  debbono  dimostrare  la  impersonalità  d'Omero; 

sono  per  contrario  i  seguaci  d' un  Omero  individuale  che 

han  da  farci  vedere  come  mai  sia  possibile  cotesto  Omero 

di  fronte  alle  epopee  nazionali  ed  essenzialmente  popo- 

lari scoperte  e  analizzate  in  questo  secolo.  Ma  il  critico 

•  Db  Fbbron;  Théor,  du  prog,  VoL  cit.  pag.  198. 

•  Idem,  eod.  Pag.  229. 

•  Pag.  209. 

francese  non  avv.erte  un'  altra  ragione  ond'  al  Wolf  non 

riesci  comprendere  tutto  il  valore  della  dottrina  del  Vico 

sopra  Omero,  la  quale  noi  additeremo  in  altro  capitolo. 

 

Tutte  queste  ed  altre  cose  detteci  oggi  con  tanto  giu- 

dizio dal  De  Ferron,  in  Italia  sapevamo  già.  Dei  grandi 

meriti  del  nostro  filosofo  mai  non  v'è  stato  fra  noi  chi  ne 

abbia  dubitato,  tranne  qualche  losco  hegeliano,  come  ve- 

demmo. Non  pertanto  abbiam  voluto  riferirle  perchè, 

rammentate  da  un  illustre  e  vivente  scrittore  francese  nel 

quale  il  buon  senso  è  pari  all'  erudizione  e  alla  dottrina, 

a  noi  torneranno  piii  gradite,  e  certo  men  dure  e  piii  vere 

agli  orecchi  de^li  stranieri. 

Il  Vacherot  è  stato  1'  ultimo  francese  che  abbia  ac- 

cennato al  Vico,  e  lo  ha  fatto  con  quella  nettezza  ed 

eleganza  di  linguaggio  eh'  egli  sa  adoperare  in  tutte  le 

sue  scritture.  La  Scienza  Nuova;  ecco  il  titolo  (egli 

dice)  che  davvero  si  conviene  all'  opera  del  Vico.  Il  fine 

segreto  a  cui  egli  mira  è  quello  di  ritrovar  V  immuta- 

I  bile  'nel  variabile,  V  unità  nella  diversità,  la  legge  nel 

fatto.  L^idea  fissa  del  Vico,  in  altre  parole,  è  quella  pre- 

cisamente di  rinvenire  negli  annali  del  mondo  questa 

legge;  onde  poi  da  una  parte  scaturisce  la  necessità  del 

metodo  comparativo,  e  dall'  altra,  cQme  risultato,  la  legge 

delle  tre  età.^  Senonchè  il  Vacherot  vuol  che  il  filosofo 

italiano  abbia  a  dividere  la  sua  gloria  col  Montesquieu, 

perocché  entrambi  questi  filosofi  a  lui  sembrano  seguaci 

dello  stesso  metodo,  dell'osservazione.  Innanzi  tutto  qui 

è  da  notare  un  progresso  tra  il  Franck  e  il  Vacherot; 

•  perchè  se  l'uno,  come  s'è  visto,  dichiara  superiore  il 

'Montesquieu  al  Vico,  1'  altro  si  ristringe  a  metterli  alla 

pari.  Ma  l'autore  del  libro  su  lo  Spirito  delle  Leggi 

non  ha  forse  ben  altri  titoli  a  cui  possa  pretendere?  E 

d'altra  parte  il  metodo  dell'uno  è  egli  tale  da  confon- 

dersi con  quello  dell'altro,  come  dianzi  abbiamo  detto 

parlando  del  Franck? 

*  Vaohibot,  Seienee  et  Cotueienee.  Paris,  1870. 

Ci  piace  conchiudere  con  una  sentenza  del  De  Ferron, 

della  quale  brameremmo  che  i  lettori  prendessero  nota 

per  quando  verremo  a  trattare  il  problema  sociologico. 

La  Scienjsa  Nuova^  egli  dice,  è  una  rivelcusione  nella  poli-  * 

tìca,  ndla  filosofia^  nella  storia,  nelle  arti^  Ed  è  veris- 

simo. Questo  libro,  che  dicemmo  rappresentar  la  vera 

forma  dell' ingegno  italiano  ed  esser  tutto  cosa  nostrana, 

è,  per  cosi  dire,  un  poema:  è  il  poema  della  storia. 

Cosi  abbiamo  creduto  sempre  e  sempre  ripetuto  noi  altri 

italiani,  a  cominciare  da  Vincenzo  Cuoco  che  primo  di 

tutti  con  tal  nome  ebbe  a  designare  la  Sciefusia  Nuova, 

fìno  a  Giuseppe  Giusti  che  in  un  sonetto  ne  ritrasse  \ 

r  intimo  significato  profondamente  poetico.  Ma  è  un 

poema  di  fatto;  è  un  poema  che  si  fa:  poesia  vivente 

nella  quale  ci  è  dato  assistere  al  trionfo  del  pensiero, 

al  trionfo  della  personalità  così  degl'  individui  come  I 

delle  nazioni.  Potrebb' esser  dunque  tutto  un  empirismo 

cotesto  libro?  E  il  metodo  col  quale  è  condotto,  potreb- 

b' esser  un  metodo  puramente  positivo  e  grettamente 

storico  al  modo  che  questa  parola  vien  intesa  oggi 

da'  più?  Dove  sono  e  quali  sono,  dunque,  i  suoi  principii? 

Disegnata  così  a  fuggevoli  tocchi  la  storia  della 

Scienza  Nuova,  e  fatta  rapidamente  la  critica  degli 

scrittori  che,  sia  di  proposito,  sia  per  incidenza  hanno 

parlato  intorno  alle  dottrine  del  nostro  filosofo,  veniamo 

alle  conclusioni.  Dissi  già  che  di  tutti  non  avrei  potuto 

né  voluto  discorrere,  perocché  non  tutti  ne  valevan  la 

pena,  né  tutti  importavano  al  mio  disegno;  e  poi  non 

mancai  d' avvertire  che  neanche  di  ciascuno  avrei  fatto 

*  Db  Frrkox,  Op.  cit.,  voi.  cit.,  p.  232 

la  compiata  esposizione,  stantechè  mi  premesse  toccar 

diamente  di  certe  sentenze  e  di  certe  interpretazioni 

/  conclusioni  atte  a  farmi  rilevare  il  significato  e  il 

valore  e  la  continuità  della  critica  circa  il  Vico,  facen- 

dola servire  perciò  ai  fiiù.  del  mio  libro.Jfea  questi  fini 

non  era  ultimo  quello  d*  accennare  con  siffatto  spediente 

alle  dottrine  del  filosofo  napoletano.  Al  qual  proposito 

mi  sia  permesso  ripetere  anche  qui,  che  uno  studio 

monografico  ed  espositivo  circa  tale  autore,  a  me,  come 

ad  altri,  sarebbe  riuscito  non  più  che  una  pedanteria, 

sia  considerando  l'infinito  novero  di  sì  fatti  lavori  crì- 

tici espositivi,  monografici,  sia  guardando  alla  natura 

stessa  delle  opere,  all'  indole  delle  dottrine,  nonché  alla 

,rforma  speciale  della  mente  di  lui.  Le  sue  teoriche  filo- 

;  sofiche  non  costituiscon  di  per  sé  stesse,  a  dir  proprio, 

un  sistema;  formano  bensì  un  corpo  di  dottrine,  non 

però  svolte,  determinate,  organate  in  unità  ra/àonale, 

ma  frammiste  ad  elementi  eterogenei.  Infruttuosa,  dun- 

que, e  al  tutto  inutile  sarebbe  stata  una  trattazione 

monografica  di  esse.  Ma,  d'  altra  parte,  se  è  vero  che 

elle  son  venute  assumendo,  come  s' è  visto,  certo  valor 

sistematico  nella  mente  e  nelle  scritture  de'  suoi  seguaci, 

imitatori,  oppositori,  critici  ed  interpreti;  panni  che 

l'aspetto  più  profittevole,  il  modo  più  utile,  positivo  e 

fors'anco  nuovo  d'esporre  i  concepimenti  originali  del 

filosofo  napoletano,  fosse  quello  appunto  di  guardar  le 

dottrine,  la  mente  di  lui,  nel  suo  reflesso;  guardarla, 

^er  così  dire,  attraverso  il  pensiero  altrui,  attraverso  le 

differenti  esplicazioni  de'^ critici:  di  guisa  che  maritando 

la  nostra  critica  con  quella  degli  altri,  potessimo  venir 

capaci  di  ripensarle  in  noi  medesimi,  e  con  le  nostre 

proprie  ispirazioni  ricreare  e  quasi  rinverdire  e  compier 

nella  nostra  mente  le  originali  sue  divinazioni,  mo- 

strando, come  tosto  faremo,  in  che  maniera  egli  avrebbe 

pensato  con  la  sua  mente,  e  in  qual  modo  avrebbe 

adoperato  le  sue  medesime  industrie  metodiche  se 

oggi  vivesse.  Ecco  giustificata,  non.  pur  la  necessità, 

ma  la  forma  altresi  di  questa  prima  parte  del  nostro 

lavoro. 

Or  che  cosa  è  da  argomentare  da  questa  rapida 

storia  e  da  questa  breve  critica  fatta  sin  qui?  Due  cose, 

panni  :  1*  il  valore  e  Y  importanza  dimostrata  sempre  ,. 

più  chiara  nelle  dottrine  di  questo  filosofo  ;  2«  la  posi- 

zione speciale  della  nostra  critica  rispetto  a  quella  degli 

altri,  e  di  fronte  alle  dottrine  stesse  del  Vico. 

Le  ti'e  differenti  classi  di  scrittori  che  abbiam  visto 

succedersi  e  occuparsi  del  nostro  filosofo  nei  tre  diversi 

periodi  sin  qua  discorsi,  ci  mostrano  come  per  ispazio 

dintorno  a  un  secolo  e  mezzo,  tanto  in  Italia  quanto 

fuori,  non  pur  la  stima  e  V  amore,  ma,  che  più  rileva, 

il  senso  critico  e  i  risultamenti  della  critica  sien  venuti 

crescendo  vie  più  nell'animo  e  nella  mente  di  tutti. 

Filosofi  d'ogni  scuola  ne  han  pariate:  razionalisti  e 

cattolici,  materialisti  e  spiritualisti,  sperimentalisti  e 

idealisti,  teologi  ed  hegeliani.  Molti  han  creduto  poterlo 

invocare  interprete,  chiamarlo  auspice  del  proprio  siste- 

ma ;  molti  segnalarlo  come  inauguratore  d'  un  peculiare 

indirizzo  speculativo.  Abbiam  visto  poi  scrittori  d'ogni 

genere  e  d' ogni  valore  encomiarlo  vivamente  ;  e  letterati  I 

€  giuristi,  naturalisti  e  storici,  stranieri  e  nostrani  salu- 

tarlo pensatore  potentemente  originale.  Tutti  se  ne  sono 

occupati  ;  se  ne  occupano  ;  si  che  neanc'  oggi  la  critica  cessa 

di  ricercare  nel  profondo  pensiero  novelli  aspetti,  lumi 

nuovi,  e  nuove  e  peregrine  divinazioni.  Ci  sarà  dunque 

lecito  chiedere  (uè  tale  domanda  parrà  vana  e  puerile, 

né  superba)  se  possa  per  avventura  sembrare  effetto 

di  meschina  boria  nazionale  il  segnalare  oggi  l' autore 

della  Scienza  Nuova  come  il  nostro  Cartesio,  il  nostro 

Kant,  il  nostro  Socrate,  caposcuola  della  scienza  e  della  . 

moderna  filosofia  italiana  ?  Non  ce  ne  porgon  diritto  gli  ' 

studii  critici  che  abbiam  vista  succedersi  e  incalzarsi 

pel  non  breve  spazio  di  cencinquant'  anni  ?  Questo 

quant'  alla  prima  considerazione.  Veniamo  alla  seconda. 

Ne'  tre  periodi  ne'  quali  abbiam  diviso  la  storia  della 

crìtica  su  le  dottrine  del  Vico,  non  pur  ci  sembra  occul- 

tarsi un  legame  logico,  ma  esser  evidente  altresì  una 

successione  progressiva,  rispondente  air  ordine  cronolo- 

gico secondo  cui  son  apparsi  gli  scrittori  de'  quali  s' è 

parlato.  E  invero,  nel  primo  periodo  predomina  T  imita- 

zione, nel  secondo  prevale  la  critica  erudita,  in  mentre 

che  nel  terzo  primeggia  l'interpretazione  filosofica.  Que- 

•  sta  progressione   è  generale,  in  quanto  che  risgufirda 

;non  pur  le  idee  storiche  o  giuridiche  od  etiche  del  no- 

'stro  filosofo,  ma  le  dottrine  metafisiche  altresì.  11  Duni 

e  il  Franck,  per  dime  una,  toccano  entrambi  de'  suoi 

principii  giuridici.   Ma  quanto  non  è  diversa  la  stima 

eh' e' ne  fanno?  Qual  progresso  fra  la  critica  del  Tonti 

e  quella  del  traduttore  anonimo  francese  della  Scienza 

Nuova?  fra  il  Pagano  e  '1  De  Ferron?  tra  le  interpre- 

tazioni del  Filangieri  e  quelle  dell'Amari?  fra  le  censure 

dell'  lannelli  e  quelle  del  Ferrari,  od  uno  dei  filosofi 

del  terzo  periodo?  La  medesima  differenza  progressiva 

scorgiamo  fra  gli  oppositori.   Il  Finetti  e  il  Romano, 

per  esempio,  son  gli  oppositori  nel  primo  periodo;  op- 

positore anche  il  Romagnosi,  appartenente  al  secondo 

massime  nelle  sue  Osservazioni   alla  Scienea  Nuova; 

oppositore  altresì  '1  Vera  che  appartiene  al  terzo.  Ma 

l'esigenza  della  loro  opposizione   è   infinitamente   di- 

^  vei*sa.  Nei  primi  è  al  tutto  empirica  e  grossolana,  ed  è 

j  sostenuta  dalla  fede  e  dal  principio  d'autorità;  nel  se- 

1  condo  s' eleva  sì  che  assume  certa  forma  razionale  o, 

se  vuoisi,  di  buon  senso  ;  nel  terzo,  finalmente,  cotesta 

opposizione  attinge  valore  di  speculazione  propriamente 

filosofica,  tanto  da  negare  al  Vico  una  metafisica.  La 

stessa  diflerenza  poi   fra  gli  autori  di   un  medesimo 

periodo.  Ci  è  divario,  per  esempio,  fra  la  imitazione 

dello  Stellini,  e  quella  del  Duni  ;  molto  piii  fra  la  imi- 

tazione del  Pagano,  e  quella  del  Filangieri  nel  primo 

periodo.  Che  se  il  Foscolo  accenna  ad  un  risveglio  della 

coscienza  critica  circa  le  dottrine  del  Vico  schiuden- 

done perciò  il  secondo   periodo,   eli'  è  come  V  ombra 

 

che  precede  la  persona,  in  quanto  che  tale  critica  si 

allarga  sempre  più  per  opera  di  lannelli,  del  Ferrari, 

del  Predari,  del  Tommaseo,  e  via  segui.  Finalmente  il 

modo  col  quale  nel  terzo  periodo  ne  tratta,  per  esem- 

pio, il  Mamiani  del  Rinnovamento,  non  è  quello  del 

Rosmini;  né  la  maniera  con  che  ne  parla  il  Roveretano 

potrà  mai  esser  confusa  con  quella  onde  ne  discorre 

lo  Spaventa. 

Un  certo  vincolo,  adunque,  ed  un  progresso  in  questi 

autori  parmi  evidente;  e  tal  progressione  è  racchiusa 

nelle  tre  parole  che  siam  venuti  adoperando  nel  desi- 

gnare  il  carattere  de'  tre  periodi;  esigenza  d' imitazione,' 

di  critica  semplicemente  detta,  e  d'interpretazione  o- 

critica  filosofica.  Ecco  le  tre  fasi  cui  è  andato  soggetto  i 

il  pensiero  del  nostro  filosofo.  Col  che  non  si  pretende/ 

già  che  tutto  sia  imitazione  nel  primo  periodo,  e  tutto 

critica  nel  secondo,  e  pura  interpretazione  nel  terzo. 

Coteste  tricotomie  così  rigide,  misurate  e  geometrica- 

mente disposte,  noi  volentieri  lasceremo  agli  hegeliani 

che  tanto  ne  abusano.  Si  pretende  bensì  che  uno  di 

questi  caratteri  prevalga  in  ciascun  periodo;  nel  terzo 

de'  quali  Y  imitazione  e  la  critica  rìveston  significato 

propriamente  filosofico.  Or  quale  sarà  la  conseguenza 

legittima  che   dovremo  traiTe   da  questo  discorso? 

 

La  conseguenza  mi  par  facile  e  chiara.  Se  è  vero 

che  il  pensiero,  storicamente  considerato,  non  è  opera 

vana,  sterile  e  quasi  un  lavoro  penelopeo;  se  è  vero 

che  la  storia,  comunque  la  si  riguardi,  è  un  processo 

onde  la  mente  nostra  non  si  può  stralciare  né  in  modo 

alcuno  prescindere,  stanteché  il  presente  si  rannodi  col 

passato  e  ne  scaturisca;  se  è  vero,  da  ultimo,  che  in  tanto 

la  critica  riesce  feconda  e  la  scienza  mostrasi  progressivn, 

in  quanto  sappiano  entrambe  giovarsi  del  passato,  vuoi 

raccogliendo  i  buoni  frutti  di  chi  ci  ha  preceduto  nel- 

r  indagine  del  vero,  vuoi  legittimando  e  compiendo  i 

risultamenti  cui  si  è  pervenuti,  od  anche  schivando  gli 

errori  ai  quali  per  avventura  siasi  inciampato:  ne  se- 

guita  che,   per  necessità  logica  e  storica,   la  forma 

ideila  nostra  critica  ha   da  rivestir  carattere  e  natura 

^filosofica,  diventando  critica  razionale,  critica  vagliatrice, 

interpretazione  liberamente  metafisica.  Se  non  che,  le 

maniere  onde  può  esser  condotta  cotesta  interpretazione 

posson  esser  divei*se,  e  perfino  opposte  fra  loro.  Filosofi 

cattolici,  infatti,  ontologisti,  psicologisti,  hegeliani,  po- 

sitivisti, come  vedemmo,  credono  interpretare  con  di- 

rittura e  sincerità  il  pensiero  del  Vico,  dovecchè  in 

sostanza  non  riescono  ad  altro  che  al  teologismo,  al 

tradizionalismo,  all'idealismo  assoluto,  all'empirismo, 

al  nullismo,  tanto  in  filosofia  quanto  nelle  applicazioni 

di  essa,  adoperando  un  magistero  critico  non  di  rado 

esiziale,  spesso  erroneo,  sempre  infedele  verso  V  autore 

che  studiano.  Fate  d' interpretare,  a  mo'  d' esempio,  i 

sommi  pronunziati  di  questo  filosofo  co' criteri  del  Gio- 

berti, del  Rosmini,  del  Tommaseo,  dell'Amari,  del  CJonti, 

del  Fornari,  e  simili  :  egli  perderà  tosto  l'originalità  che 

lo  distingue;  sì  che  vi  avrete  dinanzi  l'uomo  vecchio, 

vi  avrete  lo  scrittore,  tuttoché  ingegnoso,  delia  tradi- 

zione cattolica;  e  la  Scienza  Nuova  altro  per  voi  non 

sarà,  che  una  filosofia  in  senso  teologista,  ortodosso,  cat- 

tolico, secondo  ch'ebbe  a  dire  quel  cardinale  cui  il  po- 

vero Vico  umiUò  (disgraziato!)  il  suo  libro.  Studiatevi 

d' interpretarlo  co'  criteri  dell'  Idealismo  assoluto,  come 

fan  gli  hegeliani;  e  ne  avrete  sformato,  anzi  radiato  ad- 

1  dirittura  ogni  nativa  fisonomia,  sì  che  la  Scienza  Nuova 

agli  occhi  vostri  assumerà  forma  assolutamente  specula- 

tiva; sarà  una  filosofia  dello  spirito  fabbricata  a  ^^^iorì; 

sarà  una  scienza  della  storia  condotta  a  furia  di  metodo 

^.dialettico.  In  entrambo  i  casi,  io  domando,  che  cosa  di- 

venterà nelle  vostre  mani  la  mente  del  filosofo  napole- 

tano? Una  delle  due:  ella  diverrà  schiava  del  Teologismo, 

ovvero  ancella  dell'Idealismo  assoluto;  nell'un  caso  vi 

si  presenterà  povera  d'ogni  originalità;  nel  secondo  man- 

cante di  verità.  Interpretatelo,  invece,  con  una  critica 

puramente  erudita,  mezzo  storica  e  mezzo  speculativa. 

com'è  quella  di  lannelli,  o  del  Romagnosi:  ne  saprete 

rilevare  così  molti  pregi,  ne  scoprirete  molte  magagne, 

ne  porrete  a  nudo  molte  manchevolezze;  ma  certo  non 

giugnerete  ad  imprimere  forma  razionale  ai  principii 

su'quali  si  regge  la  Scienza  Nuova.  Che  se,  finalmente,; 

vorrete  provarvi  d'interpretarlo  con  le  norme  d'una- 

critica  fiacca  e  slombata  e  puramente  analitica,  cioè- 

co'criterii  del  positivismo,  come  avrebbe  inteso  di  farei 

il  Cantoni,  o  peggio  ancora  con  le  ispirazioni  d' uno  scet-l 

ticismo  sistematico  secondo  che  ha  fatto  il  Ferrari  o  fa- 

rebbe il  Franchi,  avrete  annullato  medesimamente  il 

pensiero  di  questo  filosofo.  Il  quale  perciò  si  presenterà 

com'  una  follia  per  i  contemporanei,  com'  errore  per  i 

posteri,  come  anomalia  per  lo  storico,  come  ingegno  de- 

caduto  pel  critico,  come  contraddisnone  puerile  pel  posi- 

tivista, mentre  agli  occhi  di  tutti  non  sarebbe  altro  che 

anacronismo  vivente,  energia  senaa  scopo,  genio  sema 

popolo,  come  precisamente  ha  detto  il  Ferrari. 

 

Col  Teologismo  perciò  tale  interpretazione  critica  rie- , 

scirà  inevitabilmente  dommatica,  tradizionale,  eunuca,  in- 

feconda e  cieca.  Con  TldeaUsmo  assoluto  risulterà  anche 

dommatica,  e  di  più  unilaterale,  esclusiva,  infedele,  e,  ; 

quant' ai  resultati,  vi  getterà  nell'abisso  d'un  meccanismo 

ideale,  nel  buio  desolante  d'un  ideale  fatalismo.  Final- 

mente con  lo  Scetticismo,  qualunque  ne  sia  la  forma  e  la 

natura  e  la  gradazione  (critica  pura,  metodo  critico,  posi- 

tivismo), siffatta  interpretazione  tornerà  povera,  sterile, 

inconcludente,  negativa,  assolutamente  nulla.  Dunque 

nessuna  di  queste  tre  maniere  di  critica  può  elevarsi 

a  valore  davvero  positivo,  e  positivamente  razionale. 

Le  son  misure  e  strettoie  incomportabili,  in  mezzo  a 

cui  la  mente  del  nostro  filosofo  restando,  a  dir  così, 

affogata  e  strozzata,  non  può  non  ribellarsi,  e  non  isfug- 

gire  ad  ogni  magistero  di  critica  che  non  sia  efficace, 

comprensiva,  feconda,  seriamente  filosofica,  e  mode- 

stamente metafisica.  £  dove  non  fosse  così,  che  cosa 

avremmo  nell'autore  della  Scienza  Nuova  fuorché  un 

fiacco  hegeliano,  od  un  positivista  meschino,  ovvero  un 

ontologista  vaporoso  ,  o ,  peggio  ancora ,  un  teista 

grossolano? 

Stringiamo,  dunque:  a  tre  patti,  e  solamente  a  que- 

sti tre  patti,  sembra  a  noi  che  la  interpretazione  cri- 

tica del  nostro  filosofo  possa  attingere  un  valore  legit- 

timo, ed  un  significato  razionalmente  positivo: 

!•  Interpretando  le  sue  dottrine  così  ch'elle  non  si 

abbiano  a  contraddire  e  distruggere  a  vicenda  formando 

fra  loro  quasi  una  massa  inorganica  ed  eterogenea,  come 

abbiam  visto  accadere  ai  teologisti,  agli  ontologisti,  ai 

filosofi  cattolici  in  generale: 

T  Interpretarle  rì  fattamente,  che  non  si  giunga 

a  disformare  in  guisa  il  pensiero  di  questo  filosofo,  da 

trasfigurarne  o  scancellarne  ogni  naturale  e  propria  fiso- 

nomia,  come  incontra  pur  troppo  agli  hegeliani; 

 

3»  Finalmente  guardarci  dall' interpretarle  in  guisa 

al  tutto  empirica;  nel  qual  caso  verremmo  a  negar  loro 

ogni  valore  di  speculazione  metafisica,  come  per  l'ap- 

punto avviene  ai  critici  puri,  agli  scettici,  ai  positivisti. 

f  Brevemente:  cotesta  interpretazione  non  può  esser 

!  ne  assolutamente  dommatica,  né  assolutamente  scettica  ; 

j  ma  scettica  e  dommatica  insiememente.  Vuol  esser  cri- 

1  tica  rintegratrice,  critica  organica,  e  tale  che  sappia  in 

un  medesimo  tempo  conseguire  tre  cose:  districar  l'au- 

tore da' viluppi  di  certe  grossolane  contraddizioni  la  più 

parte  religiose;  liberarlo  dalle  pretensioni  esclusive  e 

dommatiche  d'una  speculazione  campata  a  mezz'  aria;  e, 

finalmente,  salvarlo  dallo  spirito  negativo  d' una  critica 

puramente  erudita,  o  d'una  critica  da  positivisti.  La 

necessità  di  queste  tre  condizioni  a  me  sembra  evidente. 

Ella  non  pure  sgorga  legittima  da  tutta  la  storia  sin 

qui  tracciata  della  Scienza  Nuova,  ma  ci  è  poi  guaren- 

tita dalla  ragione  stessa,  come  in  uno  de'  prossimi  ca- 

pitoli vedremo.  Intanto  facciamo  di  dare  un  primo  passo, 

presentando  con  brevità  e  come  in  una  sintesi  la  spe- 

culazione del  nostro  filosofo. 

Tutte  le  idee  del  Vico  parmi  si  possano  assommare 

in  due  concetti  originali;  il  primo  de' quali  costituisce 

il  sustrato,  il  cardine  della  Scienza  Nuova,  mentre  il 

secondo  forma  la  sostanza  delle  opere  latine,  segnata- 

mente del  Libro  Metafisico.  Questi  concetti  originali 

sono: 

!•  r  aver  mostrato  una  legge  conlbrme  cui  procede 

il  corso  de'  fatti  umani  e  storici,  ponendo  in  opera  il 

metodo  non  puramente  isterico,  ma  storico-psicologico: 

2*'  l'aver  dimostrato  cotesta  medesima  legge;  cioè 

mostratala  razionalmente,  idealmente,  avvalorando  così 

la  prova  istorìca  mercè  la  speculazione  filosofica  sul 

processo  e  costituzione  dell'essere  in  universale. 

In  una  parola:  l'aver  mostrato  un  fatto,  e  T averne 

dimostrato  Videa;  che  vuol  dire,  aver  saputo  scorge^f 

l'idea  nel  fatto,  schivando  gli  errori  del  teologism^ 

e  dell'  idealismo  assoluto  :  ecco  per  l' appunto  la  novità 

del  filosofo  napoletano.  Molti  scrittori  di  cui  s' è  discorso 

han  veduto  più  o  meno  esattamente  l'importanza  del 

primo  concetto  ;  e,  facendo  giustizia  al  filosofo  di  Napoli, 

non  han  dubitato  attribuirgli  l'onore  della  scoperta, 

checché  ne  dicano  i  GomtianL  Ma  nessuno,  quant'  io 

sappia,  ha'  pur  sospettato  com'  in  lui  esista  anch'  il 

secondo,  dal  quale  rampolla  propriamente  la  vera  di- 

mostrazione che  rinfianca,  rassoda  e  legittima  il  primo. 

Spieghiamoci  in  altre  parole.  La  Scienza  Nuova  rac- 

chiude il  processo  della  storia;  e  propriamente  parlando 

ella  contiene  lo  svolgimento  della  storia  naturale  del- 

V  umanità.  Ma,  a  guardarlo  con  occhio  superficiale, 

cotesto  processo  parrebbe  difettoso  ne'  suoi  estremi,  cioè 

nel  suo  principio  e  nella  sua  fine.  Intendo  dire  che  la 

Scienza  Nuova  appar  manchevole  nell' indagar  l'origine, 

e  nel  determinare  il  fine  del  genere  umano.  Se  non  che, 

a  guardarci  bene  addentro,  e'  son  difetti  codesti  affatto 

apparenti;  difetti,  se  vogliamo,  deUa  Scienza  Nuova 

considerata  qual  libro  d'applicazione  d'una  teorica,  non 

già  nella  mente  di  chi  la  concepì  e  di  chi  la  scrisse. 

Nella  mente  e  nelle  altre  scritture  di  questo  filosofo 

può  rintracciarsi  la  risposta  tanto  all'  uno,  quant'  al- 

l' altro  quesito  :  e  noi  potremo  e  dovremo  tramela  per 

necessità  logica.  La  Scienza  Nuova  quindi  abbisogna  delle  \ 

opere  latine,  non  essendo  ella  altro  se  non  l'esplicazione 

empirica,  sperimentale,  concreta,  storica  del  secondo 

de'  due  concetti  rammentati  poco  fa.  Il  quale  perciò  è 

presupposto  sempre  dalla  prima  all'ultima  pagina  di 

quel  libro,  e  quindi  sarà  mestieri  saperlo  speculare  nel- 

r  insieme  delle  sue  dottrine,  divinarlo,  ricostruirlo,  rior- 

ganarlo e  vivificarlo  a  quel  modo  che  nel  regno  zoolo- 

gico farebbe  un  moderno  Cuvier  col  soccorso  d' una  tibia, 

d' un  femore,  d' una  mascella,  d' un  cranio.  E  innanzi 

tutto  gioverà  qui  toccar  rapidamente  del  carattere  pro- 

prio dell'ingegno  e  delle  opere  del  Vico,  per  indi  ac- 

cennare, nei  capitoli  che  seguiranno,  alle  relazioni  che 

pur  esiston  tra  lui  e  la  filosofia  del  suo  secolo  nonché 

quella  de'  nostri  giorni. 

Considerare  la  genesi  della  mente  del  Vico  in  quattro 

fasi,  in  tre  periodi,  in  tre  o  due  momenti,  come  abbiam 

I  visto  fare  da  alcuni  critici,  non  solo  ò  metodo  artifi- 

ziale,  ma  inutile  e  anch' erroneo.  Per  una  simile  divi- 

sione il  Ferrari  giugne  quasi  a  vedere  nel  pensiero  di 

lui  fatalismo  e  cieca  necessità:  e  forse  di  cotesto  fata- 

lismo e  di  cotesta  necessità  avrà  egli  scòrto  qualche 

traccia  fin  nelle  lettere  al  padre  Solla  e  al  monaco  Giac- 

chi !  Una  divisione  a  periodi,  per  esempio  quella  del  Can- 

toni, è  altrettanto  artifiziale  quanto  erronea.  Di  fatto, 

nell'  ultimo  perìodo,  come  dicemmo,  altro  egli  non  sa 

vedere  tranne  che  un  decadimento  di  quell'  ingegno  so- 

vrano ;  decadimento  quando  per  l' appunto  ei  concepisce, 

rintegrandolo,  il  disegno  della  seconda  Scienza  Nuova  1 

Ma  se  decade  nella  seconda,  non  è  già  beli'  e  decaduto 

anche  nella  prima,  ammesso  che,  come  vedemmo,  con 

r  autorità  del  medesimo  Vico,  nessun  divario  essenziale 

di  principii  corra  fra  l'una  e  l'altra?  Regola  generale: 

se  cotesto  divisioni  fosser  vere,  ciascuna  fase  dovrebbe 

mostrare  un  carattere  speciale,  ciascun  periodo  do- 

vrebb' esser  determinato  da  una  forma  peculiare.  Or 

questo  appunto  nel  Vico  non  si  verifica  in  modo  al- 

cuno. Nel  Libro  Metafisico  son  evidenti  i  germi  del 

Diritto  Universale;  come  nel  secondo  libro  del  Din^o( 

Universale,  massime  nel  capitolo  XII,  abbiamo  intera, 

benché  in  germe  anch'  essa,  la  Scienza  Nuova  :  al  modo 

istesso  che  nell'  orazione  su  la  Ragion  degli  studi  ci  è  I 

i  segni  d'un  novello  metodo  della  giurisprudenza,  il 

quale  poi  assume  significato  più  complesso,  e  valore 

essenzialmente  comparativo  nel  De  Constantia  jurispru-  » 

dentiSj  come  fra  gli  altri  ha  saputo  rilevare  V  Amari.^ 

Non  fasi,  dunque,  non  periodi,  non  momenti  nello 

svolgersi  del  suo  pensiero;  e  quindi  non  fatalismo  nella 

sua  mente,  né  diversità  essenziale  di  principii  nelle  sue 

diverse  opere.  Ripetiamolo  anche  una  volta:  l'ingegno 

del  Vico  è  processo,  é  svolgimento;  ma  processo  con-  \^ 

seguente  a  sé  stesso,  svolgimento  che  s'allarga  bensì  e 

riveste  forma  vie  meglio  determinata,  ma  senza  negarsi 

e  contraddirsi  e  annullarsi  nei  pronunziati  filosofici  fon- 

damentali della  sua  metafisica.  Niuno  quindi  può  aver 

diritto  d' affermare  eh'  ei  cangiasse  nelle  sue  dottrine  ; 

ma  tutti  abbiamo  ragione  di  pensare  ch'ei  si  cor- 

reggesse e  compiesse  per  propria  virtii.  Chi  é  che  potrà 

aver  buono  in  mano  per  credere  eh'  ei  negasse  addi- 

rittura tutt'  un  ordin  d' idee  per  abbracciare  un  altro 

affatt' opposto  e  contrario?  Nella  febbrile  e  profonda 

ed  ignorata  agitazione  del  suo  pensiero  egli  corresse  e 

compiè  se  medesimo  depurando  le  proprie  idee  da  certe 

forme  eterogenee,  estrinseche,  accidentali,  secondarie  ;  le 

quali  se  ciò  non  pertanto  accompagnaron  sempre  la  sua 

coscienza  cattolica,  non  rispondevano  certamente  né  al- 

l'insieme  deUe  sue  dottrine,  né  all'esigenza  vivace  del 

suo  metodo,  né  al  bisogno  acutissimo  in  lui  deUa  stori- 

cità. Solo  in  questi  limiti  ha  luogo  lo  svolgimento,  e,  se  si 

vuole,  il  cangiamento  del  suo  pensiero.  Sbaglia  grossa- 

mente perciò  chi  ha  detto  che,  ove  quel  filosofo  tor- 

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166  STORIA  DILLA  SCIENZA  IXVOYA.  [lIB.  I. 

nasse  a  vivere  oggi  in  pieno  secolo  decimonono,  e'  sa- 

rebbe uno  schietto  e  fervido  hegeliano,  come  pur  troppo 

s' è  detto  e  si  ripete  del  povero  abate  Gioberti.  Cotesti 

critici  a  quattro  quattrin  la  calata,  cotesti  facili  mani- 

polatori delle  convinzioni  altrui  e  dell'  altrui  coscienze, 

non  han  riflettuto,  non  riflettono,  come  tra  la  necessità 

(evidentissima  nel  Vico)  di  superar  la  coscienza  religiosa 

rompendo  e  trascendendo  i  legami  d' una  cieca  fede,  e 

r  indossar  la  cappa  magna  d' Idealista  assoluto,  ci  corra 

davvero  un  abisso!  AgU  occhi  di  costoro  par  che  non 

esista  per  nulla  al  mondo  questo  salutare  principio: 

che  se  Y  onestà  è  necessaria  in  politica  e  in  religione, 

altrettanto  necessaria  ella  ha  da  essere  anch'  in  filosofia. 

Talché  quell'andazzo  di  certuni,  oggi  tanto  corrivi  e 

inchinevoU  a  vedere  in  altrui  quel  che  sono  stati  o 

sono  essi  medesimi  distinguendo  in  un  filosofo  un  primo, 

un  secondo  e  un  terz'  uomo  (ciò  eh'  ei  dicon  maniere  di 

filosofare,  quasi  che  si  trattasse  di  pittura  o  di  musica!), 

senza  fallo  dee  farci  argomentare  una  di  queste  due 

cose:  0  leggerezza  di  speculazione,  o  disonestà.  Questo 

non  ha  luogo  nel  Vico.  In  filosofia  ei  non  fu  né  debole 

e  cangiante  come  i  colori  dell'  iride,  né  disonesto.  Non 

fu  una  giubba  rivolta,  per  usar  qui  la  frase  del  Giusti. 

E  dopo  questa  tirata  da  moralisti,  torniamo  in  via. 

Ogn' ingegno  inventivo  è  mosso  da  un  peculiar  bi- 

sogno. L' esigenza  della  mente  del  Vico  è  un'  acuta  esi- 

genza storica  e  giuridica  insieme  :  questo  é  il  carattere 

sincero  delle  sue  scritture  ;  e  questo  è  pure  il  criterio 

a  convenevolmente  interpretare  la  natura,  il  fine,  il 

significato  di  esse.  La  Ragion  degli  studi  é  una  specie 

;  d' introduzione,  di  propedeutica  nella  quale  il  pensiero 

dell'  autore  comincia  a  far  le  sue  prove.  *  Due  sono  le 

*  Singolare  che  la  monte  di  questo  filosofo  si  cominciasse  a  stoI- 

gere  col  problema  pedagogico  sa  V  edacazione  nnÌTersale,  mostrando  cosi 

fino  dal  bel  principio  una  tendenza  seriamente  pratica  e  positiva  di 

speculazione.  La  DiMerUutione  mi  metodo  degli  9tudii  (die' egli  stesso) 

ì  un  ahbotzo  dcU*  opera,  ohe  poi  lavorò,  De  Univerei  Jurie  Uno  Principio, 

di  cui  ì  cqtpendiee  V  altra   De  Conetantia  Jurieprudentie.   (Vedi  Autobio- 

idee  principali  di  questo  libro:  metodo  negli  studi,  e 

metodo  nella  giurisprudenza.  Neil'  una  come  nell'  altra 

cosa  è  manifesto  il  concetto,  il  bisogno  della  storicità. 

Senonchè  V  esigenza  istorica  eh'  ei  palesa  là  dove  parla 

del  rinnovamento  degli  studi  in  generale,  è  un'  esigenza 

fittizia  che  scaturisce  dalla  tradizione,  dall'  autorità  sto- 

rica, meglio  che  dalla  i*agione  storica,  secondo  che  questa 

vuol  essere  intesa  nelle  opere  posteriori.  Egli  in  buon 

conto  pretende  rinnovare  il  metodo  degli  studi  mo- 

vendo, più  che  da'  suoi  medesimi  grincipii  psicologici  e  1 

giuridici,  come  dovrebbe,  da  un'  idea  tutt'  affatto  plato- 

nica. Vorrebbe  vedere  in  sostanza  una  repubblica  pla- 

tonica nelle  Università.  Vorrebbe  sottoporre  l' insegna- 

mento ad  unità  di  metodo  e  di  prìncipii.  Ora  questo 

concetto  pedagogico  evidentemente  contraddice  alla  sua 

stessa  filosofia,  ed  è  uno  de' suoi  errori  più  gravi  (errore 

creduto  altissima  verità  da  alcuni  suoi  critici  cattolici, 

segnatamente  dal  Tommaseo)  perchè  non  ci  addita  svol- 

gimento, ma  indietreggiamento  di  pensiero,  e  quindi  pa- 

lesa difetto  di  progresso,  di  rigor  logico  nella  speculazione, 

appunto  perchè  con  questo  concetto  ei  s'oppone  ad  un'al- 

tra serie  di  dottrine  assai  chiare  in  lui,  dottrine  segnata- 

mente d' ordine  psicologico.  Ohe  cosa  dunque  è  chiamato 

a  far  qui  il  critico,  l'interprete  filosofo?  Evidentemente 

è  chiamato  a  levar  di  mezzo  tale  contraddizione;  non 

solo  perchè  la  s' oppone  ad  altre  sue  dottrine,  com'  ho^ 

detto,  nm  perchè  fa  contro  alla  ragione  stessa,  al  sa- 

pere moderno,  ai  moderni  principii,  ai  nuovi  bisogni  cui 

oggi  deve  informarsi  la  costituzione  della  civil  società  e 

della  pubblica  e  privata  educazione  ed  istruzione.  Ecco 

qua  uno  de' molti  esempi  ne' quali,  depurata  e  corretta 

una  dottrina  del  nostro  filosofo,  nuUameno  resta  intera 

la  fisonomia,  il  carattere  della  sua  mente.  Un  cattolico, 

per  esempio  il  Tommaseo  che  loda  e  accetta  nel  Vico 

il  principio  in  discorso  non  s'accorgendo  della  contrad- 

grafia,  pag.  359.)  Ecco  anche  qui  ana  proTa  della  continuità,  e  quindi 

d'un  processo  nei  suo  pensiero. 

dizione,  ed  un  positivista  che  appoggiandosi  ne'  criteri 

psicologici  e  giuridici  di  questo  filosofo  lo  traesse  ad 

un  polo  opposto,  cioè  alla  dottrina  dell'  Individucdismo 

nel  problema  pedagogico,  1%  falserebbero  ad  un'  ora  me- 

desima, e  per  due  opposte  ragioni  ;  tanto  che,  scambio 

di  rinnovare  e  legittimar  la  sua  mente,  la  distruggereb- 

bero addirittura.  —  Quanto  poi  al  metodo  della  giuri- 

sprudenza, il  Vico  pone  un  concetto  nuovo,  in  virtù  del 

quale  il  libro  in  discorso  ha  relazione  intima  coì'DiriUo 

Universale»  Egli  accenna  ad  una  cert'  analisi  informata 

a  nuova  critica;  e  quest'  analisi  è  il  metodo  isterico  che 

appresso  applica  splendidamente  allo  studio  del  Diritto 

Romano. 

Vera  introduzione  alle  sue  scritture  è  il  Libro  Me- 

tafisico.  Qui  l'esigenza  isterica  si  tocca  con  mano,  tut- 

toché sbagliata  nell'applicazione;  ma  non  è  meno 

evidente  il  bisogno  filosofico  e  speculativo.  Il  Libro  Me- 

tafisico è  stato,  a  così  dire,  una  specie  d' indovinello 

agli  occhi  de'  suoi  critici  ed  espositori.  Chi  ci  ha  scòrto 

davvero  tutta  l' antica,  1'  antichissima  sapienza  della 

gran  madre  Italia;  e  chi  non  ha  saputo  vederci  nulla 

addirittura,  se  non  forse  una  serie  d' incongruenze  da 

cima  a  fondo.  Però  non  s'è  abbastanza  avvertito,  esser 

l'autore  stesso  quegli  che  c'istruisce  in  tomo  al  vero 

carattere  e  significato  di  questo  libro.  Più  volte  ei  lo 

cita  appellandolo  il  Libro  Metafisico;  e  più  d' una  volta 

avverte  i  lettori,  in  esso  star  chiusa  la  sua  metafisica: 

metaphysicam  complectitur,^  E  chi  pensi  che  le  occa- 

sioni a  scriverlo  furon  due,  il  Cratilo  di  Platone  (come 

avverte  egli  medesimo)  e  la  lotta  ingaggiata  contro  il  me- 

todo cartesiano  (il  che  agevolmente  si  lascia  scorgere  dal- 

l'insieme del  libro  nonché  dal  bisogno  istorico  che  spinge 

la  sua  mente,  contrapponendosi  così  al  cartesianismo) 

non  penerà  a  capacitarsi,  che  con  esso  egli  studiavasi  mo- 

strare per  via  di  fatto  come  guardando  filosoficamente 

 

 

*  Vico,  De  Univ.  jwr.  Uno  Prino.  e  te,  Proloq.  §  7. 

una  lingua  se  ne  possa  trarre  qualche  germe  di  meta- 

fisica, procacciando  così  d' attingere  dal  fatto  isterico  il 

concetto  filosofico.  Illusione  !  si  dirà.  E  io  ne  convengo. 

Ma  forse  che  anche  cotesta  illusione  non  vale  a  mo- 

strarci l'indirizzo  originale  della  sua  mente  ?  Nullamanco 

non  è  a  credere  che  tanto  egli  errasse  ne'  principii 

quanto  illudevasi  certamente  nel  fatto  speciale,  cioè 

nella  materia  filologica  in  che  accaddegli  applicare  la 

sua  dottrina  ;  la  qual  materia  fu,  com'  è  noto,  la  favella 

latina.  Perocché  s'egli  è  vero  che  nelle  parole  origina- 

rie riman  quasi  improntata  l' immagine  del  pensiero  ; 

qual  mezzo  più  sicuro  por  cogliere  qualche  spiraglio  di 

cotesto  pensiero  salvo  l'analisi  della  parola?  Ciò  che  il 

Vico  tentava  col  latino  due  secoli  addietro,  oggi  si  è  I 

tentato,  per  esempio,  col  proto-ariano.  Nella  coscienza 

Ariana,  per  dime  una,  conoscimento  vai  nascimento; 

perchè  di  fatto  lo  spirito  nasce  conoscendo,  e  nascendo 

non  può  non  conoscere  ;  dovecchè  pel  selvaggio  pensare 

suona  parlarsi  nel  ventre.  Ricordare  è  innovare  il  pen- 

siero, e  quindi  importa  la  virtù  del  riflettere;  non  al- 

trimenti che  Tatto  del  volere  è  atto  d'amare,  atto  di 

scegliere,  e  quindi  racchiude  il  concetto  di  libertà.* 

Tutto  ciò  è  intuizione,  è  pensiero  spontaneo  iniziale 

originario,  e  non  pertanto  riesce  mirabile  nell'  esattezza 

e  verità  dell'idea  per  cui  tanto  va  innanzi  all'altre 

la  coscienza  proto-ariana. 

Or  se  la  parola  è  l' espediente  più  efficace,  il  mezzo 

più  fedele  per  conoscer  la  forma  sotto  cui  si  presenta 

il  pensiero  quaranta  secoli  addietro,  e  fino  a  certo  se- 

gno è  atta  a  rivelarci  la  storia  e  la  cultura  intellet- 

tuale primitiva  d'un  popolo;  ninno  dirà  che  il  Vico, 

facendo  tale  applicazione  al  latino,  siasi  ingannato  nel 

metodo,  come  pur  troppo  errava  nel  soggetto  di  sifiatta 

applicazione.  Al  qual  proposito  è  da  avvertire  che  il 

professor  Vera,  biasimando  cotesto  metodo  che  primo 

PlOTET,  Origini  indo'ewropee.  BuRKOUF,  Saggio  aul   Veda, 

d'ogn' altri  '1  filosofo  napoletano  creò  recandolo  in  atto 

nel  suo  Libro  Metafisico,  giugne  a  negarne  persino  la 

possibilità  nonché  l'utilità,  contraddicendo  così  eviden- 

temente ai  risultati  più  sicuri  e  meglio  accettabili  della 

moderna  filologia.*  Non  il  principio,  giova  ripeterlo,  né 

il  metodo  del  Vico  danno  in  fallo  :  sono  fallaci  bensì  le 

applicazioni  di  esso,  quelle  in  ispecie  fatte  nel  Libro  Me- 

tafisico. Che  se  la  sua  mente  privilegiata  avesse  avuto 

il  benché  menomo  sentore  del  sanscrito,  non  avrebb'egli 

fatto  miracoli  meglio  che  gli  odierni  filologi  non  fan- 

n'oggi?  Egli  era  precisamente  su  la  medesima  via;  ma, 

di  più,  era  fornito  di  ben  altri  e  più  saldi  e  più  ric- 

chi strumenti. 

Il  Libro  Metafisico  fu  severamente  giudicato  dal 

Qiomale  de?  Letterati.  Dico  severamente  non  tanto  per 

le  difficoltà  particolari  affacciategli,  quanto  per  l'ob- 

biezione riguardante  il  disegno,  la  condotta  stessa  del- 

l'opera,  e  quindi  '1  fine  al  quale  mirava  l' autore.  Quan- 

t'alle  critiche  particolari  que' valorosi  eruditi  non  avevan 

tutt'i  torti:  la  storia  del  pensiero  filosofico  condotta 

solamente  con  l'analisi  delle  parole,  massime  dov'elle 

rappresentino  rozze  civiltà,  è  impresa  inefficace  e  vana. 

Obbiezione,  come  si  vede,  assai  grave  ed  acuta,  alla 

quale  il  Vico,  checché  ne  dicesse,  non  ebbe  che  rispon- 

dere sul  serio.  Torto  essi  ebbero  bensì  nell'attaccar  la 

condotta  dell'  opera,  per  le  ragioni  poco  fa  riferite  :  nel 

che  meritano  scusa,  non  sapendo  a  che  mai  dovesse 

andare  a  parare  la  mente  di  quel  sommo.  Ma  qual 

compatimento  meritano  certi  critici  odierni  che  dalla 

Scienza  Nuova  potrebl)ero  e  dovrebbero  torre  misura 

per  ponderare  il  valore  del  Libro  Metafisico  anche  a 

guardarlo  solo  come  un  semplice  tentativo? 

Godiamo  qui  nel  dichiarare  come  l' illustre  Spaventa, 

fra  tutti,  abbia  saputo  imbroccar  giusto  nel  determinare  il 

significato  del  Libro  Metafisico.  Biasimando  egli  piace- 

*  Ykra,  Introduzione  alla  FU.  della  Sl,  Pireoze  1869,  pag.  66. 

volmente,  al  suo  solito,  certi  nostri  Bramani  italiani  che 

in  questo  libricciolo  sanno  subodorar  non  so  quanti  e 

quali  profumi  di  sapienza  pitagorica  etnisca  ed  egizia, 

con  Fusate  acume  osserva,  che  cotest' antica  sapienza 

in  esso  racchiusa  altro  a  dir  proprio  non  sia,  che  la 

metafisica  stessa  che  agitavasi  nel  pensiero  del  Vico.* 

Noi  accettiamo  pienamente  e  in  generale  questo  giudizio; 

ma  neghiamo  che  siffatta  metafisica  abbia  da  esser 

proprio  quella  ch'ei  suppone  di  poterne  cavare.  Il  Vico, 

egli  dice,  ha  una  metafisica;  ma  incorporata  colla 

Sdenea  Nuova,  Voler  comprendere  Vico  colla  sua  vec- 

chia metafisica  (Italorum  Sapientia)  è  non  capir  niente. 

Quindi  V  oscurità.*  Col  professore  di  Napoli  noi  credia- 

mo che  il  Vico  abbia  una  metafisica;  checché  si  piac- 

cia affermare  il  suo  collega  professor  Vera:  ma  diciamo 

che  il  difetto  di  quell'autore,  se  pur  è  difetto,  risiede 

non  già  nell'averla  incorporata,  anzi  nel  non  averla 

incorporata,  cioè  nell'averla  supposta,  presupposta,  co- 

me toccammo;  e  quindi,  se  è  tale,  bisognerà  pur  rin- 

tracciarla giacché  c'è.  In  secondo  luogo  crediamo,  che 

non  si  possa  giugnere  a  capir  di  lui  niente  davvero 

senza  qualche  lume  di  questa  così  detta  sua  vecchia  me- 

tafisica, fuor  della  quale  senza  dubbio  la  Scienza  Nuova 

parrebbe,  come  qui  potrebbe  dire  il  Ferrari,  una  sdoc- 

chcBea  napoletana.  Il  Vico  dunque  é  oscuro,  oscurìssimo  : 

r  han  detto,  e  lo  dicon  tutti  ;  ma  é  tale  ùon  per  la  sua 

vecchia  metafisica,  ma  perchè  con  essa  non  si  vuol  in- 

terpretare la  Scienza  Nuova.  In  una  parola,  se  vi  fosse 

incorporata,  non  potrebb'  essere  oscuro,  anzi  trasparente 

e  chiaro,  per  usar  qui  un'altra  frase  dello  Spaventa. 

A  chi  ha  detto  poi  che  con  siffatto  libro  il  Vico  in- 

tendesse scrìvere  una  specie  di  storia  della  filosofia,  si 

può  far  riflettere  che,  dov'egli  avesse  mirato  a  tal  fine, 

non  gU  sarebbe  venuto  meno  l'ingegno,  né  l'erudizione. 

Di  certo  avrebbe  fatto  assai  meglio  che  non  fece  Appiano 

•  Spayekta,  Lenoni  di  FiL,  ec.  Napoli,  1868,  pag.  48. 

*  ì<iem,  eod,^  pag.  154. 

Buonafede  o  GioTan  Maria  Lampredi  circa  la  filosofia 

degli  Etruschi.  In  sostanza  io  voglio  dir  questo  :  il  Vico 

cercava,  anche  in  filosofia,  un  altro  sentiero;  e  nel  cer- 

care cotesto  nuovo  sentiero  filosofava.  Ma,  nel  filoso- 

fare, dapprima  credè  eh'  altri  avesse  filosofato  al  pari 

di  lui;  del  che  poi  si  ridisse  compiutamente.  D  Libro 

MetafisicOy  dunque,  va  considerato  non  già  come  una 

storia  della  filosofia,  bensì  come  un  tentativo,  come 

una  specie  di  saggio  di  filosofia,  ma  saggio  di  filosofia 

condotto  con  metodo  isterico,  mercè  cui  quel  filosofo 

pretendeva  risalire  ai  germi  primitivi  racchiusi  nelle 

primitive  parole,  non  già  con  metodo  dialettico,  a  priori, 

assolutamente  razionale,  o  puramente  psicologico.  Per 

questo  principalmente  egli  è  F  antagonista  per  eccetterusa 

del  Cartesianismo,  come  han  detto  gli  stessi  francesi. 

K  per  questo  può  dirsi  che  il  suo  Libro  Metafisico  sia 

com'  un'introduzione  alle  opere  posteriori.* 

Poiché  dunque  in  siftatto  libro  vi  è,  come  s' è  detto, 

un  doppio  carattere,  storico  e  filosofico,  però  è  possibile 

rintracciarvi  i  germi  d'una  filosofia  che  serbi  natura  iste- 

rica, indole  positiva,  carattere  essenzialmente  compren- 

sivo. Quattro  sono  i  concetti  ne'  quali  possiamo  tutta 

assommare  la  sua  metafisica: 

a)  Il  concetto  del  sapere,  non  come  sdenta  asso- 

luta, bensì  come  prodtmone  assoluta  del  pensiero;  e  quindi 

un  criterio  il  (Juale,  assumendo  forma  e  valore  universale, 

possa  diventar  principio,  il  principio  stesso  del  sapere. 

b)  Un  fondamento  positivo  alla  psicologia  riposto 

nel  concetto  di  sviluppo,  di  generazione  delle  funzioni 

psicologiche  ;  e  però  le  condizioni  a  risolvere  in  maniera 

positiva  la  dibattuta  quistione  su  l'origine  delle  idee, 

nonché  quella  risguardante  le  produzióni  storiche,  filolo- 

giche, mitologiche  e  religiose  delle  diverse  civiltà: 

*  Che  sia  piccol  di  mole  non  importo,  non  essendo  fatto  ad 

DdpKini.  Al  qnal  proposito  glorerebbe  meditare  ciò  ohe  TA.  medesimo 

seppe  rispondere  al  Oior,  de*  Leti,  quando  fa  accasato  appnnto  del  di- 

fetto di  brevità  nel  delinear  il  disegno  della  sna  metoflsiea.  Risp.  2*,  §  2. 

c)  Il  concetto  d' un   fondamento   assoluto  delle 

cose,  non  già  nel  significato  ontologico  scolastico  e  teo- 

logico, sì  nel  senso  d' un  Assoluto  inteso  com'  attività 

essenziale,  Mente  e  Causa,  Spirito,  Atto  assoluto  e  asso-  | 

luto  centro  al  mondo  presente,  ma  senza  che  col  mondo  j 

s'abbia  a  confondere  e  intrinsecare,  schivando  così  da 

una  parte  un  volgare  ontologismo,  dall'altra  un  as-^ 

sur  do  panteismo: 

d)  Finalmente  un  nuovo  concetto  della  sostanza 

cosmica,  e  però  dello  spazio  e  del  tempo,  della  storia 

naturale  e  della  storia  umana;  nel  quale  resti  salva 

tanto  r  esigenza  della  dottrina  meccanica,  quanto  quella 

della  dottrina  dinamica.* 

Tutto  ciò  vedremo  poco  per  volta.  Qui  frattanto  gio- 

verà toccare  d'alcune  relazioni  tra  la  filosofia  del  Vico,  e 

quelle  che  tenevano  il  campo  all'età  sua;  acciò  che  non 

s'abbia  a  ripetere  che  anche  in  metafisica  egli  fosse 

stato  una  cometa  solitaria  nel  cielo  della  scienza,  un  inge- 

gno senz'  antecedenti,  com'  han  preteso  e  pretendono 

certi  suoi  critici.  Co'  quali  elogi,  com'  è  chiaro,  dandogli 

essi  tutta  la  vena  della  spontanea  divinazione,  gli  tol- 

gon  perciò  ogni  coscienza  riflessa,  ogni  attività  consape- 

volmente indagatrice,  e  se  lo  immaginano  e  ce  '1  dipin- 

gono come  il  sonnambulo  che  passeggia  solitario  e  non . 

visto  in  mez7:o  alla  numerosa  falange  de'  matematici, 

de' naturalisti,  de' fisici  e  de'sensisti  del  secolo  XVIIl. 

*  In  qoeste  quattro  idee  sono  i  germi  d* un  sistema;  ma  d*  un  sistema 

filosofico  non  assoluto,  nò  donimatico,  bensì  d*un  sistema,  o,  a  dir  prò-  « 

prie, d'una  dottrinala  quale  mentre  che  lascia  molte  questioni  aperte, corno  | 

direbbe  Stuart  Mìll,  chiude  nondimeno  il  rarco  allo  scetticismo.  Questo  av- 1 

rerte  lo  stesso  Vico  nella  Conclusione  dell*  opera  indirizzata  a  Paolo  Doria: 

Habetf  $apientis9Ìme  PauUc  Doria,  Metaphyneam  humana  imbeeillUate  dignam, 

qua  homini  neque  omnia  vera  permittat,  neque  omnia  negatf  9ed  aliqua.  E  che 

tali  dottrine  ciò  nondimeno  abbiano  una  forma  e  compongano  fra  loro 

unità  organica,  egli  medesimo  ce  lo  avverte  laddove  mostra,  la  sua  me- 

tafinea  etter  compita  topra  iìMa  la  «va  «dea,  avente  porciò  capo,  orga- 

nismo e   sangue.  Vedi  nella  Risp.  1"  al  Giornale  de^  Letterati, 

U  Vico  nacque  e  visse  in  mezzo  al  Cartesianismo, 

e  segnatamente  in  sul  finire  di  quel  giro  d' anni  in  cui 

tal  sistema  lottando  con  sé  medesimo  sdoppiavasi,  per 

cosi  dire,  in  quelle  molteplici  direzioni  filosofiche  for- 

manti, giusta  la  frase  d^  un  illustre  critico,  un  cammino 

eccentrico,  *  il  cui  risultamento  reggiamo  rappresentato 

nelle  scuole  di  Malebranche,  di  Geulingc,  di  Berkeley, 

di  Spinoza,  di  Locke,  di  Leibnitz.'  Non  guardando  per 

ora  al  postulato  cartesiano  tolto  siccome  inizio  del  filo- 

sofare, è  noto  che  gli  errori  cui  detter  luogo  i  sistemi 

ne'  quali  sdoppiossi  tale  indirizzo  filosofico,  ponn'  essere 

assommati  negl'  infrascritti  :  l' aver  posto,  in  generale"^ 

il  concetto  dell'  Assoluto  non  già  come  fine,  anzi  come 

principio  del  sapere:  l' aver  troppo  diffidato  della  realtà, 

de' fatti,  dell'esperienza,  della  storia:  aver  annullato  o 

dispregiato  lo  studio  delle  cagioni  finali,  tutto  som- 

mettendo  alla  causa  efficiente,  e  le  leggi  della  natura 

spirituale  spiegando  con  quelle  della  natura  corporea: 

aver  ridotto  ad  assoluto  meccanismo  il  mondo  fisico, 

donde  le  dottrino  dell'occasionalismo,  dell'incomuni- 

cabilità di  sostanze  e  dell'  armonia  prestabilita  intesa^ 

alla  maniera  volgare  de' Wolfiani."  In  una  parola,  il 

*  Bitter,  Hìh,  de  la  PhU.  mod.,  voi.  I,  pag.  416. 

*  Per  Cartenanitmo  intendo,  com'è  facile  capire,  quelle  diverse  di- 

rezioni (non  meno  di  quattro)  le  quali,  parte  svolgono  e  compiono,  parte 

trasformano,  e  parte  impugnano,  yìh  che  T  indirizzo  del  filosofo  francese, 

le  sue  dottrine  cosmologiche,  ontologiche  e  teologiche. 

'  In  questa  critica  si  può  dir  che  consentano,  in  generale,  i  principali 

storiografi  moderni.— Vedi  Rittrr,  op.  cit.,  voi.  cit— Cousin,  Fragm,  de  2a 

Phil.  CarténennCf  pag.  160  e  segg.  Coure  ec,  2*  serie,  t.  I,  lez.  XI,  p.  244. 

— Rbnouvikb,  Man,  de  Phil  mod,,  liv.  II.— Boullieb,  HììU  de  la  Phil. 

Carte»,,  t.  IL  —  Sohmidt,  St,  della  FU.,  pag.  177  e  segg.  —  Saibset,  Orit, 

et  hùt.  de  la  PA»l.,  pag.  130  e  segg.  —  Fouoheb  de  Carbil,  Lettre»  ««r- 

Cartesianismo,  per  grandissimo  che  possa  essere  il  me- 

rito di  chi  l'inaugurò  e  di  chi  vennelo  attuando  ne' suoi 

diversi  indirizzi,  non  pervenne  al  vero  concetto  dell'  as- 

soluto, della  costituzione  del  mondo,  e  della  natura  dello  > 

spirito.  Uno  de'  suoi  pregi,  come  s' è  detto,  è  la  posi- 

zione del  pensiero  qual  inizio  di  scienza  indipendente 

da  ogni  qualunque  autorità  :  ma  di  ciò,  com'  è  noto, 

Cartesio  non  può  vantarsi  d' essere  stato  primo  divul- 

gatore e  sostenitore  nel  regno  della  scienza.' 

Vero  pregio,  pregio  massimo  dell'autore  delle  Me- 

ditazioni sta  neir  aver  considerato  come  originaria 

virtù  dell'anima  l'attività  stessa  del  pensiero;  aver 

posto  r  anima  come  il  pensiero  stesso,  e  però  come  sog- 

getto e  obbietto.'  Senonchè  il  pensiero  per  lui  non  era 

altro  che  rappresentazione,  e,  come  tale,  unione  a  dir 

cosi  meccanica,  incosciente,  immediata  di  due  oppositi 

elementi,  dell'universale  e  del  particolare,  dell'infinito  e 

del  finito.  Come  dunque  potev'  egli  riuscire  al  vei'o  or- 

ganamento del  sapere  filosofico,  posto  un  fatto  empirico, 

Dt$c  et  le  Cartinanimne,  Introd.  —  Franchi,  St.  detta  FiL  mod.,  Tol.  1, 

letlnrs  9,  10,  11.  —  Jaitbt,  (Euw,  phiL  de  LeibnitZj  ToL  I.,  Introd.  —Trn- 

mtiiAinf,  Su  ddla  FU,,  voi.  II,  p.  84. 

'  La  riforma  cartesiana,  cosa  arvertita  presso  che  da  tutti  gli  sto- 

riografi, non  giunse  nuova  fra  noi,  tanto  clie  la  si  riguardi  come  rinno- 

ramento  filosofico,  quanto  che  come  reazione  scolastica.  ATevamo  avnto 

già  il  Petrarca,  poi  il  Da  Vinci,  la  scuola  Telesiana,  poi  la  scuola  Gali- 

leiana. (Vedi  Libri,  HUt.  de»  •eienc,  math.,  t.  III.  ~  PncoiiroTTi,  Sl  della 

Med,^  voi.  ult.)  Potremmo  dire  altresì  che  TAconzio,  come  osserva  giusta- , 

mente  il  Franck  [Diet,  de»  »eiene.  phiL)  fosse  stato  in  Italia  il  devander  \ 

del  metodo  cartesiano.  Avevamo  avuto  anche  il  Bruno;  e  segnatamente 

il  Campanella,  le  cui  opere  non  dovettero  esser  del  tutto  ignote  a  Cartesio, 

come  nota  il  Bitter  {Hi»t.  de  la  phU.  mod.,  voi.  I,  pag.  14, 85).  Ma  anche 

qui,  al  solito,  s*  inciampica  neir esagerazione  quando  si  vuol  risalire  fino 

a  sant'Agostino  a  ripescar  1*  antecedente  del  pronunziato  Cartesiano  !  Nò 

io  mi  ci  vo'  opporre,  sapendo  che  in  quel  Santo  Padre  e'  è  pur  troppo 

r  esigenza  cartesiana  (Vedi  per  es.:  De  Lib.  Arò.,  lib.  II,  cap.  8;  e  spe- 

cialmente De  Civii.  Dei,  lib.  XI,  cap.  26).  Ma  il  valore  della  posizione  è 

tanto  diversa  ne*  due  filosofi,  quanto  diversi  i  tempi  in  ch*ei  vissero, 

trattandosi  ben  più  che  di  certezza  d'esistenza.  Il  Cousin  poi,  com'è 

noto,  va  fino  al  No»ee  te  ipeum  di  Socrate  !  Contentiamoci  di  questo,  che 

non  è  poeo:  un  eclettico  ne  potrebbe  far  di  peggio. 

•  DiBOARTBS,  Médit.  2,  art.  7.  Lettre»,  U  II,  U».  Obi.  répotue»,  I,  4. 

posta  una  dualità  empìrica?  E  in  che  maniera  spiegare 

nel  pensiero  l'unione  del  finito  con  l'infinito?  Ma  che 

davvero  l' idea  di  Dio  sia  innata  e  a  priori  nella  nostra 

mente  com'  egli  stesso  afferma,  *  al  modo  eh'  è  innata, 

non  nata,  cmmcUa  l' idea  di  noi  medesimi  (ciò  eh' è  pro- 

prio la  novità  di  Cartesio)  è  ancor  cosa  da  dimostrare. 

È  ella  possibile  nel  nostro  pensiero  l'idea  dell'infinito 

veramente  detto?  L'essere  adegua  il  conoscere,  dicono 

certi  interpreti  hegeliani;  e  poiché  nel  conoscere  v'è 

r  infinito,  il  pensiero  è  dunque  infinito  :  ecco  la  novità 

vera  di  Cartesio,  su  la  quale  s' imbasa  propriamente  la 

filosofia  moderna.  —  Ma  il  pensiero  è  egli  propriamente 

l'essere,  come  si  vorrebbe  darci  ad  intendere?  Non 

potrebbe  stare  che  cotesta  fosse  un'affermazione  arbi- 

traria di  Cartesio,  fatta  legittima,  più  che  altro,  dal 

desiderio,  nonché  dall' artifiziosa  interpretazione  che  gli 

hegeliani  porgono  all'entimema  cartesiano?  .Diranno 

non  ci  essere  artifizio  di  sorta  in  questa  loro  inter- 

pretazione. Ma  non  è  forse  egli  stesso,  Cartesio,  il  quale 

a  chiare  note  ci  dice  in  che  senso  parli  d'innatismo, 

afiermando,  la  natura  stessa  averci  fornito  d'una  facoltà 

mercé  cui  produceìido  queUPidea  possiamo  conoscere 

Dio?*  Checché  ne  sia,  era  d'uopo  rivedere,  chiarire  e 

correggere  in  gran  parte  la  posizione  cartesiana  del 

pensiero.  Questo  quant'  al  Descartes,  come  iniziatore  del 

novello  indirizzo.  Quanto  poi  agli  esplicatori  del  Carte- 

sianismo, in  generale,  era  d' uopo  restituire  alla  scienza'' 

il  concetto  delle  cause  finali  invocando  segnatamente 

lo  studio  della  storia;  porre  l'assoluto  come  obbietto 

•  Descartes,  Médit.  8«. 

■  Vedi  nella  Troinhn.  oljection9f  Z"  Rép,  :  e  nella  Rép.  à  M.  Begiut. 

Non  ignoro  che  nella  Meditaz.  3^  e  5"  egli  dice  apei-tamente,  Tidea 

di  Dio  essere  innata  in  quanto  ci  ^  imprenta  da  lui  medesimo.  E  qoi  è 

chiara  la  contraddizione  tra  ciò  eh*  egli  afferma  in  queste  Meditazioni, 

e  le  illustrazioni  eh*  egli  stesso  ne  dà  nelle  Risp.  alle  obbiezioni  poco  fa 

indicate.  Bisogna  dunque  levarla  di  mezzo  tale  contraddizione;  è  fuori 

dubbio.  Ma  perchè  pretendere  di  leTarla  con  T  identificare  Dio  e  pen- 

siero, facendo  contro  cosi  a  tutte  lo  esigenze  della  metafisica  cartesiana  ? 

anziché  come  principio  di  ricerca;  accomunare  in  un 

subbietto  dinamico  universale  tanto  la  costituzione  del 

mondo  fisico,  quanto  quella  del  mondo  morale  ;  e  quindi 

statuir  le  norme  d'un  metodo  non  geometrico,  non 

puramente  psicologico,  né  assolutamente  a  priori  nella, 

costruttura  della  Scienza  Prima. 

Questo  per  V  appunto  presero  a  fare  il  Leibnitz  in 

Germania  e,  poco  appresso,  il  Vico  in  Italia.'  Non  vorrei 

che  i  lettori  stimassero  inconcludente  il  ravvicinamento 

di  questi  due  nomi,  e  inutile  e  vuoto  un  riscontro  delle 

loro  dottrine.  Non  è  cotesto,  intendiamoci,  uno  de'  soliti 

riscontri  onde  rigurgitano  certi  libri  odierni  appo  cui 

non  di  rado  si  dà  per  concreta,  storica,  reale  un'atti- 

nenza meramente  logica,  o  ideale  che  sia.  Il  riscontro  tra 

il  filosofo  di  Napoli  e  il  filosofo  di  Lipsia  è  tutto  ideale  ; 

ma  la  ragione  di  esso  pone  radice,  meglio  che  in  qual- 

che riposta  e  fatai  legge  dialettica,  in  queste  due  ragioni 

principalmente:  !•  nella  forma  e  natura  stessa  di  lor 

mente  :  2*  nelle  condizioni  della  filosofia  del  secolo  XVII. 

E  innanzi  tratto  ricordo  anche  qui,  non  esser  possibile 

dimostrare  che  il  filosofo  italiano  siasi  ispirato  nel  filosofo  ) 

di  Lipsia  ormeggiandone  metodi  e  dottrine,  com'  altri 

hann' affermato.'  Nullamanco  l'affinità  fra  alcune  dot- 

*  Il  Vico  ebbe  coscienza  della  propria  posizione  specalativa,  e  sciente- 

mente opponevasi  alP  esagerazioni  ed  errori  cui  ruppero  le  diverse  dire- 

zioni e  scuole  nate  dair  indirizzo  cartesiano.  £gli  conobbe  lo  opere  di  Spi- 

no}^, di  Locke,  di  Malebranche,  e  Tisi  oppose.  Quant'a  Spinoza,  cfr.  Op. 

voi.  Ili,  12, 80,  221  ;  V,  49,  138,  573  ;  VI,  99.  --  QnanV  a  Locke,  IV,  40, 

U40;  VI,  5.  —  Quant'al  Malebranche,  II,  95,  96, 149,  161;  VI,  107,  113; 

lU,  232.  Non  è  dunque  niente  vero  ciò  che  è  stato  affermato  da  un 

hegeliano  che  il  Vico,  posto  eh*  abbia  speculato,  speculasse  incoscia- 

mente  e  senz"  alcuna  relazione  alla  storia  della  scienza. 

*  In  tutte  le  suo  scritture  ne  rammenta  il  nome  appena  appena  due 

volte  a  proposito,  non  già  di  qualche  dottrina  filosofica,  ma  delle  con- 

troversie fra  Newton  e  Ldbuìtz.  Una  di  queste  citazioni  è  nella  seconda 

S<-ieruM  Xuova;  T altra  in  una  lettera  al  Gaeta  scritta  nel  1737.  Egli 

dunque  rammenta  il  nome  di  Leibnitz  sette  anni  prima  di  morire,  e,  che 

più  rileva,  lo  rammenta  dopo  che  vennero  alla  luce  il  Libro  Metafìnco, 

il  Diritto  Univeraale,  e  la  prima  Scienza  Nuova.  Ne  ricorda  perciò  il  solo 

nome  quando  la  sua  mente  erasi  già  rafferma  e  assodata  in  un  sistema. 

Come  dunque  potò  imitarlo  V  Come  essersene  ispirato? 

trine  dell'uno  e  alcune  teoriche  dell'altro  filosofo  è  pure 

un  fatto  evidente.  Come  spiegarla?  Cotest'  affinità  per 

me  è  al  tutto  originaria  ;  e  tiene,  ripeto,  parte  alla  forma 

e  alle  esigenze  del  loro  ingegno,  parte  all'opposizione  che"^ 

le  diverse  direzioni  Cartesiane  venivan  risvegliando  nella 

lor  mente,  massime  il  metodo  geometrico  e  la  cosmo- 

logia meccanica  di  Cartesio,  il  concetto  psicologico  del. 

sensismo  inglese,  il  concetto  della  sostanza  Spìnoziana, 

ilTeosofismo  e  l'Occasionalismo  di  Malebranche.  Io  so 

che  alcuni  storiografi,  segnatamente  francesi,  attaccano 

al  gran  carro  del  Cartesianismo  anche  questi  due  filosofi. 

Ma  checché  se  ne  sia  detto  e  se  ne  dica,  essi  a  me  paion 

oppositori,  oppositori  veraci  delle  diverse  scuole  che 

venner  pullulando  dal  famigerato  entimema.  Quant'al 

Leibnitz,  infatti,  basti  rammentare  il  concetto  della 

monade  fornita  del  suo  doppio  carattere  di  rappresen- 

tazione originaria  e  riflessa,  tuttoché  cotal  dottrina  per 

piii  conti  dia  in  errore.*  Quant'  al  Vico  poi,  vedemmo 

come  gli  stessi  francesi  non  dubitino  segnalarlo  come 

antagonista  per  eccellenza  del  Cartesianismo.  Però  ninno 

creda  che  con  questo  noi  pretendiamo  stralciare  addi- 

rittura ogni  attinenza  fra  questi  filosofi  e  il  movimento 

Cartesiano,  che  sarebbe  ignoranza  grossolana.  Vogliamo 

anzi  stabilirvi  una  relazione  piii  intima,  più  vera,  con- 

siderandoli non  già  come  puri  esplicatori  e  tanto  meno 

come  seguaci,  ma  piuttosto,  ripetiamo,  come  oppositori 

e  correttori  di  esso.  Perocché  se  tutto  il  mondo  mo- 

derno filosofico  è  Cartesiano,  è  Cartesiano  nello  spirito, 

nella  tendenza.  Cartesiano  nell'  esigenza  psicologica  an- 

ziché nelle  dottrine  metafisiche:  al  modo  stesso  che 

se  vogliam  oggi  con  tutta  serietà  applicar  la  mente 

alla  ricerca  filosofica,  dobbiamo  esser  hegeliani,  ma 

senza  metterci  su  gli  omeri  l'edificio  pesante,  comec- 

ché splendido,  di  quel  sistema,  nonché  della  lunga  serie 

delle  sue   applicazioni  alle  scienze  speciali:  al  modo 

 

*  Appartiene  al  Leibnitz,  com*  è  noto,  qnesta  sentenza  :  che  m  ciò 

che  ha  di  buono  il  Cartenanitmo  non  è  che  V  anticamera  dé,la  Jiloeofio, 

ìstesso,  finalmente,  che,  a  contar  dalla  scuola  alessan- 

drina e  dalla  scuola  stoica,  tutt'i  periodi  filosofici  e 

tutt'  i  filosofi,  pel  corso  di  venti  e  più  secoli,  si  mostrano 

platonici  e  aristotelici  quant'al  concetto  della  scienza 

e  del  sapere  filosofico  consistente  nell'universale,  non 

tutti  però  innalzando  un  piedistallo,  né  all'idea  piato* 

nica,  né  alla  categoria  aristotelica.  ' 

Mentre  che  dunque  dura,  frastagliatosi  in  più  di- 

rezioni, il  moto  Cartesiano,  con  metodo  più  vasto  e  com- 

prensivo due  filosofi  prolungano  il  novello  indirizzo,  e 

si  presentano  come  veri  inauguratori  e  innovatori  della 

filosofia  moderna.  Leibnitz  e  Vico,  incominciando  a  cor- 

'  Il  Cartesianismo,  come  avvenne  anche  del  Platonismo  e  dell' Ari- 

stotelismo in  antico,  e  come  delPHegelianisnio  ne*  tempi  nostri,  influì 

sa  la  mente  di,  tntf*  i  filosofi  del  sec.  XYII,  e  quindi  anche  su  quella 

del  Vico;  ma  v'influì  al  modo  stesso  che  la  scintilla  fa  rispetto  a  ben 

disposta  materia.  Nel  Vico  troviamo  la  correzione  de*  diversi  indirizzi 

Cartesiani,  ma  senza  eh*  ei  ve  n*  escludesse  nulla  d' accettabile  e  di  vero. 

Giovanni  Locke,  tnttochò  nato  da  Cartesio,  combatte  Cartesio,  ma  ri- 

mane esclusivo,  schietto  sensista.  Gassendi  lo  combatte,  ma  rimane  em- 

pirico ed  erudito.  Mo^re  e  Poiret  lo  combattono,  ma  rimangon  mistici. 

Lo  combatte  Bayle,  lo  combatte  Pascal,  ma  per  diventare  scettici.  Lo 

combatte  Spinoza,  a  riesce  ad  una  forma  assurda  di  panteismo  natu- 

rale. 11  Vico  anch*egli  combatte  Cartesio  direttamente,  qua  e  là  nelle 

sue  scritture,  e  indirettamente  sempre,  in  ogni  pagina  della  Scienza 

Nuova,  mercè  il  vietodo  Utorico  in  filosofia;  ma  non  riesce  a  nulla  di  tutto 

questo.  Il  metodo  isterico  del  Vico,  perciò,  è  una  reazione  energica  contro 

il  metodo  puramente  psicologico,  matematico  e  geometrico  de*  Cartesiani. 

E  con  questa  gran  leva  nelle  mani,  chi  non  vede  com*  e*  dovesse  riuscire 

V  antagonÌ9ta  più  spiccato  e  il  più  potente  correttore  della  filosofia  del 

secolo  XVII?  Nel  secolo  XYIII,  per  contrario,  veggiamo  ripudiare  i  quat-1 

tro  risultati  del  Cartesianismo;  ontologismo,  panteismo,  idealismo  e  mo- 

nadismo volgarmente  inteso.  Veggiamo  ripudiare  ogni  sintesi,  e  adorare, 

unico  Dio,  r  analisi  (Condilacchiani,  Scozzesi  ec).  Anche  cotesta  è  rea- 

zione; ma  reazione  affatto  negativa.  Il  Vico  è  in  mezzo  alla  prima  e  alla 

seconda  tendenza,  senz*  esser  l*  una  cosa,  nò  1*  altra.  Ecco  la  sua  posizione 

storica  come  filosofo,  rispetto  alla  filosofia  cartesiana.  Che  se  tra  1*  affer- 

mazione e  la  negazione  dee  sorgere  necessariamente  Fattività  critica, 

questa  s*  ha  da  palesar  prima  sotto  forma  isterica,  e  poi  sotto  forma 

speculativa  e  psicologica.  Ed  ecco  un  legame  intimo ,  comecché  ideale,  fra 

il  Vico  e  il  Kant.  Storicamente,  il  secondo  suppone  il  primo  ;  logicamente 

poi,  r uno  suppone  1*  altro:  e  nel  Vico  infatti  troveremo  tanto  che  basti  ^ 

a  gìQstiflcare  tale  esigenza  critica  e  psicologica. 

rreggere  il  postulato  cartesiano,  impugnano  ad  un  tempo 

il  concetto  della  sostanza  Spinoziana,  la  dottrina  mec- 

canica di  Cartesio,  il  materialismo  di  Gassendi,  l' idea- 

lismo e  r  occasionalismo  di  Malebranche,  il  sensismo  di 

 

j^Locke  e  però  lo  scetticismo  di  David  Hume.  * 

 

Non  vogliamo,  né  il  potremmo,  entrar  ne'  partico- 

lari di  queste  dottrine;  le  quali,  del  resto,  sono  a  tutti 

note  per  le  dotte  e  svariate  ricerche  storiche  fatte  oggi 

in  proposito.  Solo  avvertiamo  che  se  tale  è  l'importanza 

dei  due  filosofi,  gioverà  prender  nota  d'alcune  loro  atti- 

nenze, tanto  pili  che  un  riscontro  fra  essi,  quant'io  mi 

sappia,  non  è  stato  mai  fatto.  Dobbiamo  contentarci 

di  pochi  cenni,  bastevoli  al  nostro  intento. 

Quanto  vasta  e  splendida  l' intelligenza  del  Leibnitz. 

tanto  è  profondo,  ma  oscuro,  esitante  il  pensiero  del 

Vico.  Dell'uno  fu  detto  poter  egli  solo  rappresentar 

tutta  un'  accademia  di  scienze  ;  mentre  dell'  altro,  sem- 

plice umanista  al  cospetto  del  pubblico,  fu  sovente  ri- 

pensata con  meraviglia  l'erudizione  parca  dapprima, 

affollata  poi,  né  molto  sicura,  tuttoché  illuminata  sempre 

dallo  splendore  d'inattesi  principii.'  Il  Leibnitz,  mate- 

matico acutissimo  e  scopritore  del  calcolo  differenziale 

in  un  tempo  che  il  Newton  scoprivalo  anch'  egli  :  il  Vico 

non  andò  più  in  là  della  quinta  proposizione  d' Euclide  ! 

Quegli,  conoscitore  di  lingue;  questi,  infelice  scrittore, 

*  Il  piti  chiaro  e  puro,,  e  in  pari  tempo  il  piti  semplice  tipo  deUa 

nuova  jUoBoJia  ì.  Leibnitz,  In  esso  si  ved-e  riunitOf  come  in  un  JiorCf  eid  che 

ri  ha  <V  essenziale  nelle  due  serie  di  sistemi  da  Cartesio  sino  a  Spinota^  e  di 

Herbert  e  di  Locke.  (Schmidt,  op.  cit.,  pap.  208.  Vedi  anche  Jaitkt,  Op.  di 

fAnbnitx,  ?ol.  I,  Intr.)  È  noto  come  fin  da'  primordi  del  nostro  secolo  il  De 

Biran  in  Francia  ponesse  in  chiaro  il  valore  della  novità  del  Leibnitz/ 

nonché  della  polemica  di  questo  filosofo  contr*  al  Cartesianismo  :  ma 

della  confutazione  che  sgorga  anche  dalle  dottrine  del  filosofo  di  Napoli i 

contr'al  medesimo  sistema,  nessuno  si  è  mal  brigato  far  motto.  In  ciò 

pure,  come  vedremo,  il  Leibnitz  è  stato  assai  piìi  fortunato  del  Vico. 

*  Il  Giornale  de*  Letterati,  giudice  non  sospetto,  affermò  che  in  ogni 

linea  delle  opere  del  Vico  è  chiuso  un  concetto.  Il  Tommaseo,  fra  le  tant<e 

acute  osservazioni  in  proposito,  come  vedemmo,  fa  anche  questa:  non 

esser  pagina  in  questo  filosofo^  dove  non  arda  qualche  splendore  insolito 

d'idea  e  di  parola.  Studi  Critici,  vol.  I,  pag.  119. 

avverso  perfino  all'idioma  francese  che  non  volle  im- 

parar mai.  L' uno  cercato  da'  grandi  sin  nella  sua  vec- 

cliiaia:  ricco,  onorato,  cortigiano  e  corteggiato,  fondatore 

d' accademie,  cultore  e  favoreggiatore  delle  arti  belle, 

conoscitore  d'arti  utili,  teologo,  legista,  politico,  diplo- 

matico, viaggiatore  in  tutte  parti  d'Europa.  L'altro,  nulla 

di  tutto  ciò  :  si  credè  poeta,  e  fu  pedagogo  ;  sperò  di- 

ventar professore  di  Diritto,  e  fu  maestro  di  rettorica 

per  tutta  la  vita;  e  mai  non  uscì  dal  paese  natale,  se 

non  per  andare  a  Vatolla,  e  vivervi  oscuro  e  ignorato 

per  nove  anni.  Storiografi  entrambi,  ma  l' uno  di  fatto, 

l' altro  titolato.  L' ingegno  del  primo  si  manifestava  in 

date  occasioni  :  contro  Bayle  indirizzava  la  Teodicea, 

e  contro  Locke  i  Nuovi  Saggi  su  l' intendimento  umano. 

L'ingegno  del  secondo  procedeva,  come  dicemmo,  per 

interno  impulso,  ne  fece  buona  prova  nelle  controversie, 

come  incontrògli  nelle  Risposte  al  Giornale  de'  Letterati. 

L'uno  scrivea  di  filosofia  alla  sfuggita,  meno  i  lavori 

di  storia;*  e  bastavagli  qualunque  occasione  per  ap- 

prender tutto,  e  tutto  assimilare  con  facilità  sorpren- 

dente: il  pensiero  dell'altro  svolgevasi  con  lentezza  fati- 

cosa; tardo  nel  concepire,  impicciato  nel  correggere, 

noioso  e  ritondante  nel  ritoccare.  Ecco  la  forma  della 

mente;  ed  ecco  le  esteriori  condizioni  della  vita  cotanto 

diversa  ne'  due  filosofi.  Chi  potrebbe  pur  sospettare 

nell'intimo  de' lor  pensieri  un  barlume  d'affinità?  E 

pure  un'  affinità  è  manifesta. 

La  novità  del  Leibnitz,  come  s' è  detto,  è  il  con- 

cetto della  monade  ;  quella  del  Vico  è  il  concetto  d'una 

legge  isterica  :  quindi  l' idea  fondamentale  comune  alla 

Scienza  Nuova  e  alla  Monadologia  risiede  in  un  in- 

temo principio  di  vita,  d'attuosità,  di  divino,  esistente 

nella  storia  e  nel  mondo.  La  natura  dello  spirito,  per 

entrambi,  è  quella  d' un  essere  finito  eh'  è  ad  un'  ora 

stessa  potenzialmente  infinito:  si  che  l'uno  dalla  natura 

*  Vedi  KiTTER,  Hint.  de  ìa  Phil.  mod.,  voi.  II,  pag.  230. 

deli^uomo  e  1^ altro  dall'osservazione  istorica  traggon  la 

legge  universale  del  progredire.*  Entrambi  scorgono 

grand'  affinità  fra  la  teologia  e  la  giurisprudenza  ;  *  e 

nel  nome  complesso  di  giurisprudenza  discoprono  altri 

rami  di  sapere,  ne  sentono  il  bisogno  di  studi  compara- 

tivi, di  che  il  Vico  die  bellissimi  saggi  nel  Diritto  Uni- 

versale, mentre  il  Leibnitz  sperò  di  scrivere  un  ThecUrum 

{legale  col  fine  di  rintracciare  il  parallelismo  delle  le- 

gislazioni; ond'ebbe  a  dire  che  la  giurisprudenza,  in 

ispecie  il  diritto  che  n'è  quasi  l'anima,  più  che  scienza 

speculativa,  sia  disciplina  isterica.*  Talché  se  quant'  al 

Diritto  Romano  altri  afferma  che  il  Leibnitz  ne  giudicò 

meglio  de'  moderni  Y  originalità  e  le  speciali  qualità,  il 

Vico  siffatta  originalità  non  pur  la  giudicò,  ma  la  di- 

mostrò, come  altrove  ci  sarà  dato  vedere.  Ancora  :  se 

Tun  dei  due  filosofi  inaugura  la  scienza  linguistica  e 

r  altro  crea  la  critica  filologica,  amendue  col  possente 

pensiero  salgono  alla  possibilità  d'un  vocabolario  men- 

tale universale  :  amendue  reputano  la  filologia  e  l' eti- 

mologia strumenti  necessari,  mercè  cui  la  mente  si 

possa  levare  a  qualche  sentenza  universale.*  Leibnitz 

primo  d' ogni  altro  presentì  la  necessità  di  porgere  no- 

vella forma  all'Etica,  ponendo  una  difierenza  fra  la 

Morale  e  il  Diritto;  difierenza  che  poscia  a  maggior 

perfezione  condussero  i  seguaci  del  Tommasio  :  il  Vico 

presentì  anch' egli  tale  indipendenza,  ma  inoltre  sentì 

chiara  la  necessità  d' investigare  1'  universal  ragione 

del  diritto  in  maniera  storica;  talché  se  per  l' uno  fine 

massimo  del  giure  è  il  perfezionamento  in  generale,'  per 

l'altro  questo  grandioso  concetto  del  diritto  forma  quasi 

*  Leibnitz»  Op.  VI,  l,pag.  332.  Dut.  —  Vico,  Scienza  Nuova,  passim. 

'  Vico,  De  CormU  Juri9.,  Parte  I.— Leibnitz,  Nox>a  meth,,  ec,  pag.  180. 

■  Leibnitz,  Meth,  nova  ditte,  dpcend.  juritpr,,  P.  II,  §  29.  Amendne 

si  presentano  al  pubblico  con  questioni  di  metodo;   ricerca  degl* ingegni 

veramente  grandi,  anziché  da  filosofi  pedanti  e  scolastici,  come  si  crede. 

'  Nella  Ragion  degli  Hudi  v'  ha  i  criteri  per  lo  studio  della  ginrisprndenza. 

*  Vedi  quant' al  Leibnitz  Mimoire»  de  VAeadfmie  de  Berlin^  voi.  I,art.  1. 

'  Leibnitz,  Xouv.  Et»,  I,  pag.  277. 

il  sustrato  della  Scienza  Nuova,  si  che  vede  svolgersi 

cotale  idea  anche  attraverso  gli  antichi  poemi. 

Quant'  alla  fisica  poi,  alla  res  extensa  di  Cartesio, 

agli  atomi  fisici  del  Gassendi,  contrappongon  gli  (domi 

di  sostanza,  gli  atomi  metafisici,^  i  punti,  i  momenti  me- 

tafisici e  lo  sforzo  impedito  nell'essenza  stessa  dell'uni- 

verso.' Per  questa  medesima  ragione  entrambi  parlano 

linguaggio  somigliante  circa  la  natura  delle  matemati-i 

che.  Di  fatti  contro  Cartesiani  e  Hobbesiani  il  Leibnitz 

mostra  la  inefficacia  di  siffatte  scienze  nelle  indagini 

propriamente  filosofiche,  e  al  di  là  del  calcolo  aritmetico 

e  geometrico  crede  esserci  luogo  ad  un  altro  e  più 

rilevante  calcolo  che  tiene  all'  analisi  delle  idee;  stan- 

techè  nella  sostanza,  die' egli,  ci  abbia  sempre  qualcosa 

d' infinito.'  La  medesima  insufficienza  del  metodo  geo- 

metrico scorge  anche  il  Vico  in  più  luoghi  delle  sue  scrit- 

ture; e  lo  reputa  difficile,  anzi  impossibile  alla  mente 

del  metafisico.^  Col  che  essi  anticipano  alcune  idee  di 

Kant  in  proposito. 

*  Lbibnits!,  %ff.  noìit;.  etc,  tomo  II,  pag.  126. 

*  Vico,  Risp.  1«  al  GiomaU  de'  Letterati,  L*  affinità  de*dne  filosofi, 

come  si  vede,  è  mirabile  anche  nel  linguaggio:  punti  metaJUici,  conato 

(«VTf^i'X^'av)  tramezzante  la  potenza  e  Tatto  (Lbibkitz,  Op.  II,  1, 

pag.  19),  0,  come  direbbe  il  Vico,  la  Quiete  e  il  Moto;  per  cai  la  matte- 

ria, anziché  passiva,  ò  per  entrambi  una  forza  viva  (Op.  cit,  pag.  817). 

Anche  i  punti  matematici  per  entrambi  non  sono  che  simboli  de*  metaji- 

tici;  e  i  punti  jieiei  per  tutt'e  due  riescono  indivisibili,  ma  solo  in  appa- 

renza. La  ragione  poi  ond*essì  adoperano  la  parola  punto  è  la  idede- 

sima;  ed  è,  che  il  punto  racchiude  infinito  numero  di  relazioni.  Finalmente 

si  potrebbe  dir  propria  anche  del  Vico  la  nota  sentenza  del  Leibnitz: 

eonatue  e*t  ad  motum,  ut  punctum  ad  epatium,  (Id.  eod.  II,  2,  pag.  8;  e 

pel  Vico  vedi  nelle  Risposte  al  Oior.  de*  Lett.) 

 

*  In  omnibu»  èubetantiis  aliquid  eet  infiniti;  unde  fit  ut  a  nobie  per- 

/ecte  intelligi  potint  sciite  notionee  incompUtfr,  qualee  eunt  numeromm, 

figurarumj  aliorumque  hujuemodi  modorum  a  rebus  animo  abstractorum. 

Lkibxitz,  Op.,  ediz.  cit.,  V,  pag.  143. 

 

*  Vedi  neW Autobiografia,  AìtroY e  dice  che  la  matematica  è  la  più  certa 

di  tutte  le  scienze,  perchè  prova  per  cause  [De  Antiq,  Ital.,  cap.  I,  1), 

ma  il  metodo  di  essa  riesce  esiziale,  sterile  e  pericoloso  quando  si  voglia 

adoperare  nelle  altre  discipline  (Risp,  al  Gaeta,  pag.  99),  disastroso  poi 

nella  fisica,  neir  educazione  degT  ingegni  (/&»',  passim),  utile  solamente 

neir  ordinare  anziché  nello  scoprire  (De  Antiq.,  Ital.  cap.  VII,  §  4). 

Entrambi  poi  riconoscono  in  Dio  le  stesse  primalità: 

potenza,  volontà,  intelligenza;*  e  se  nell'uno  troviamo 

il  principio  che  Dio  creando  non  possa  produrre  altro 

che  il  migliore  e  il  più  perfetto  de' mondi,*  nel  Vico 

tale  dottrina  si  lascia  argomentare,  come  vedremo,  dal- 

l' insieme  delle  sue  dottrine.  Quant'  alla  storia,  V  un 

d' essi  riconosce  un  progredire  continuo  nel  tutto,  e  la 

possibilità  del  regresso  nelle  parti;'  dovechè  l'altro, 

meglio  determinando  e  dimostrando  cotal  concetto,  pone 

la  dottrina  dé*c(/rsi  e  ricorsi  storici,  in  cui  sono  rac- 

chiuse le  idee  di  progresso  e  regresso,  governati  da  una 

medesima  legge.  Che  se  è  stato  detto  esser  d'uopo 

risalire,  meglio  che  al  celebre  Discorso  del  Bossuet,  alla 

metafisica  del  Leibnitz  per  ritrovare  un  concetto  spe- 

!  culativo  che  fosse  come  il  vero  antecedente  della  filosofia 

della  storia,  s'è  detto  giusto;  atteso  che  veramente  il 

filosofo  di  Lipsia,  col  sommettere  al  principio  della  ragion 

sufficiente  l' ordine  delle  cose  fisiche  e  morali,  dischiuse 

la  via  alla  dottrina  del  Determinismo  universale,  pe- 

rocché tutto  per  lui  si  annodi  nel  mondo,  tutto  si  cor- 

risponda, tutto  armonizzi.  Nel  Vico  veggiamo  questa 

medesima  esigenza  ;  ma  nello  stesso  tempo  ne  troviamo 

la  correzione.  Perciocché  se  anche  per  lui  il  passato  è 

gravido  del  presente,  al  modo  stesso  che  il  presente 

partorisce  il  futuro;  non  tutto  però  nel  mondo  delle 

nazioni  é  avvinto  a  leggi  fatali  e  cieche,  perché  nel 

regno  dello  spirito  vi  è  agli  occhi  suoi  la  ragione,  v'  è 

pur  la  libertà,  sicché  tutto  il  processo  isterico  per 

l'Autore  della  Scienza  Nuova  non  é  altro,  in  sostanza, 

j  che  la  soluzione  del  problema  della  libertà,  sia  che  tu  la 

consideri  negl'  individui,  sia  che  negli  Stati.  Dinanzi  alla 

mente   d'entrambi,  dunque,  risplende  chiara  la  legge 

della  continuità  nel  giro  de' fatti  umani  e  storici. 

Né  si  creda  che  l' affinità  fra  ^  i  due  filosofi  non  si 

*  Lribnitz,  MonaU.,  Op.,  ediz.  Erd.,  pag.  705.— Vico»  De  Univ.  Jur, 

*  Idem,  Theod.,  8. 

*  Idoin,  eod.,  8. 

lasci  scorgere  altresì  nelle  contraddizioni  e  non  di  rado 

anche  nelle  strettoie  fra  cui  gi  resta  impigliata  la  co- 

scienza religiosa.  Ei  cominciano  a  scrivere  innanzi  d'aver 

fissato,  determinato  e  organato  le  proprie  idee  ;  di  modo 

che,  se  l' uno  fin  quasi  ai  quarant'  anni,  fino  alla  com- 

parsa delle  Meditazioni,*  va  fluttuando  non  libero  da 

incongruenze,  T  altro  va  tentennando  fino  alla  terza  ^ 

edizione  della  Scienza  Nuova.  Onde  non  è  a  meravi- 

gliare se  tutt'  e  due  si  contraddicano  quant'  al  concetto 

di  creazione  ;  perchè,  se  V  uno  ponendo  la  moltiplicità 

delle  monadi  come  primitiva  ed  esistente  per  necessità 

metafisica,  dice  nullamanco  esser  Dio  quegli  che  sceglie 

r  ottimo  fra  i  mondi,  e  immagina  delle  monadi  create 

par  des  fidgurcUiotis  continudles  dalla  divinità;*  l'altro 

poi,  stabihto  il  criterio  della  conversione  in  senso  me- 

tafisico, non  dubita  parlarci  del  miracolo  della  creazione, 

e  dell'annullamento  del  mondo!  —  Quanto  aiprincipii, 

in  generale,  si  palesano  entrambi  eclettici  ;  ma  è  d' uopo 

intenderci  nell'  applicar  loro  cotesto  nome.  Sono  eclet- 

tici appunto  nel  significato  e  nel  valore  che  lo  stesso 

Leibnitz  dav'  a  tal  voce;  nel  qual  valore  ci  conferme- 

rebbero molte  sentenze  del  Vico.  Sono  eclettici,  io  dico, 

non  perchè  raccolgano  in  un  tutto  ciò  che  si  presenta 

come  vero  squadernato  ne'  differenti  sistemi,  eh'  è  pre- 

cisamente il  fiacco  e  volgare  eclettismo  sfornito  d' ogni 

originalità;  ma  sì  perchè,  aggiugnendo  anch'essi  qual- 

che altra  cosa  di  proprio,  riescono  a  comunicare  novello 

impulso  a  tutti  gli  ordini  delle  scienze.'  —  Rispetto 

alle  fonti  del  conoscere,  o  fondamenti  del  sapere,  alla 

doppia  sorgente  vichiana  del  vero  e  del  certo  risponde 

'  Meditationea  de  cognitionet  veritate  et  ideiti f  1684. 

 

*  Lribnitz,  Monad,f  ediz.  cit.,  pagr.  708. 

'  Vedi  questa  sentenza  del  Leibnitz  nelle  Lettre*  à  Rémond  de  Mont- 

mort,  edlz.  Erd.,  pag.  701.  e  ne*  Nouv,  £»».,  Hb.  I.  Nel  Vico  poi  troviamo 

molte  affermazioni  del  tenore  seguente:  Chi  ai  trae  fuori  da  questi  prin- 

eipii,  guardi  clC  ei  non  traggati  fuori  deìV  umanità,  E  eh*  egli  poi  sia 

eolettico  in  questo  senso,  anziché  nel  significato  voluto  dal  Cousin,  dal  < 

Lerminier,  dal  Michelet,  dal  Romngnosi,  dal  Ferrari  e  dal  Poli,  apparirà 

meglio  dal  complesso  o  dalle  tendenze  delie  suo  dottrine. 

la  doppia  serie  di  prìncipii  razionali  e  sperimentali 

ammessa  dal  Leibnitz;  agli  occhi  del  quale  le  verità  del 

prim'  ordine  riposando  sul  principio  d' identità,  e  quelle 

del  secondo  su  la  coscienza,  non  patiscono  quinci  di- 

mostrazione, appunto  perchè  immediate  ;  immediazione 

^  a  priori,  e  immediamoìte  a  posteriori.^  Quanto  poi  al 

metodo,  ripetiamo,  essi  accettano  il  postulato  carte- 

siano, ma  l'accettano  nel  significato  d'inizio  anziché 

di  principio  essenziale  e  costitutivo  della  scienza,  non 

essendo  al  postutto  che  l'espressione  d'un  fatto.* 

Ma  non  senza  ragione  l' autore  della  Scienza  Nuova 

è  venuto  dopo  1'  autore  della  Monadologia;  come  non 

senza  ragione  al  secolo  XVII  è  succeduto  il  secolo  XVIII. 

Per  più  riguardi  '1  Vico  si  lascia  indietro  Leibnitz;  e 

questo  è  un  terzo  motivo  per  non  credere  ch'ei  l'or- 

meggiasse. Egli  infatti  giugno  a  salvarsi,  chi  ne  penetri 

convenevolmente  il  pensiero,  da' seguenti  difetti:  1*»  Se 

il  Leibnitz  si  oppose  nel  medesimo  tempo  all'innatismo 

cartesiano  e  al  nulla  innato  di  Locke,  non  perciò  riesci 

a  stabilire  la  dottrina  della  conoscenza,  tuttoché  si 

studiasse  mettersi  in  mezzo  a  questi  due  sistemi.  Rico- 

nobbe certe  primitive  inclinazioni,  certe  predisposizioni, 

certe  idee  virtuali,  non  propriamente  beli' e  formate. 

Ma  che  cosa  mai  sono  cotesto  idee  virtuali?  Lo  spirito, 

in  altre  parole,  è  innato  a  sé  stesso:  ecco  la  novità 

leibniziana,  quant'  al  problema  del  conoscere.  Ma  come 

è  innato  a  sé  stesso  ?  Una  risposta  più  soddisfacente  a 

*  Lribnitz,  Nouv.  £«9.,  IV,  9,  2,  pag.  400  e  segg.,  ediz.  cit. 

'  C*est  une  propotition  de  fati  fondée  par  une  expèriemce  imme- 

diate^ et  ce  n'ett  pas  une  propotitton  nécestatre.  (Lkibkitz,  Nouv.  Eu., 

IV,  2,  1,  pag.  881.)  —  Il  Vico  poi  osserva  che  il  postalato  cartesiano  c<m- 

/onde  la  eoacienza  con  la  tcienxa  (De  Antiq.  Ital.  cap.  I,  §  2),  riesce  im- 

potente contro  gli  teettici  (Ibi.),  Iwnuga  la  vanità,  è  metodo  individuale 

inettOf  e  ae  pud  eswr  buono  a  rinvenire  i  certi  »egni  e  indubitati  del  mio 

€9»cref  non  può  eaner  buono  a  ritrovarne  le  cagioni  (Risp.  II.  al  Oior, 

de*  Lett.f  §  4).  Questo  criterio  dunque  ha  solamente  valore  come  di 

norma  direttiva  de*  fatti  immediati,  tanto  per  V  uno  quanto  per  V  altro 

filosofo.  Sono  pregevoli  le  osservazioni  del  Bitter  in  proposito.  Hit,  dt 

la  Phil.  mod.  voi.  cit.,  pag,  9Ì. 

tal  quesito  la  troveremo  nel  Vico.  2*  Si  salva  dall'  idea 

volgare  dell'atto  creativo  ammessa  dal  Leibnitz.  Gol 

che  non  intendo  affermare  che  nel  filosofo  di  Napoli 

non  vi  sia  pure  cotesto  concetto  volgare  della  creazione: 

dico  solo  che,  riguardo  a  tale  dottrina,  la  coscienza  reli- 

giosa in  lui  è  vinta  dalla  coscienza  speculativa  meglio 

che  nel  Leibnitz.  3"  Corregge  il  doppio  carattere  della 

facoltà  rappresentativa  della  monade;  insudiciente,  tanto 

che  si  consideri  come  originaria  quanto  che  come  riflessa, 

a  spiegare  segnatamente  la  conoscenza.  4»  Non  cade 

nel  concetto  della  indipendenza,  della  incomunicabilità 

e  moltiplicità  inconcepibile  degli  enti  semplici.  5»  Si 

salva  dalla  dottrina  d'  un'  armonia  prestabilita  intesa 

in  maniera  estrinseca,  passiva,  accidentale,  cioè  posta 

immediatamente  dal  divino  arbitrio,  per  cui  ella  riesce 

affine,  sotto  alcuni  rispetti,  con  la  teorica  dell'  Occa- 

sionalismo.' 6»  Finalmente  il  filosofo  italiano  supera  il 

tedesco  pel  gran  concetto  della  storicità  inteso  in  tre 

modi:  a)  come  fondamento  d'una  scienza  nuova  su  le 

origini  e  sul  progresso  de'  popoli  ;  6)  come  fondamento 

e  insieme  compimento  vitale  del  sapere  metafisico  ;  e)  da 

ultimo,  come  centro  attorno  a  cui  s' accolgano  e  si  rin- 

tegrino  a  vicenda,  attingendo  siffattamente  un  valor 

razionale,  tutte  quelle  scienze  che  risguardan  la  vita 

dello  spirito  considerato  storicamente,  e  il  cui  risultato 

è  racchiuso  appunto  in  quella  disciplina  che  con  bar- 

barismo comodo,  secondo  l'arguta  frase  di  St.  Mill, 

oggi  appelliamo  Sociologia. 

 

In  una  parola,  si  può  affermare  che  tanto  la  Scienza 

*  Giova  osservare,  secondo  il  giudizio  d*  alcuni  critici  segnatamente 

del  Ritter,  che  a  simile  conseguenza  conduce  direttamente  il  concetto 

volgare,  il  concetto  Wolfiano  deir  armonia  prestabilita  anziché  quello 

che  si  potrebbe  trarre  dalla  monadologia  leibnizicna  quando  fosse  in- 

terpretata con  animo  benigno.  Fra  le  monadi  esiste  intima  relazione, 

ciascuna  d*esse  rappresentando  tutte  le  altre.  La  monade  è  unità,  e 

come  tale  ra  innanzi  alla  dualità.  Dunque  V  armonia  ù  prestabilita  perchè^ 

è  intima  ed  essenziale  alle  cose,  non  perche  posta,  o  sovrapposta  per 

immediata  opera  di  Dio.  Il  volgare  concetto  WoUiano  dell'  armonia  presta- 

bilita non  è  sinceramente  leibniziano  ;  e  tanto  meno  appartiene  al  Vico. 

Nuova  quanto  la  Monadologia  esplichino,  inverino  e 

correggano  il  Cartesianismo.  Ma  può  aifermarsi  non 

meno  che  la  prima  di  queste  due  scritture  corregga  a 

sua  volta  la,  seconda,  e  la  compia. 

Sin  qui  abbiamo  considerato  i  due  filosofi  sotto 

doppio  riguardo  ;  in  sé  medesimi,  e  in  relazione  al  Car- 

tesianismo. Ci  sarà  permesso  ora  considerarli  di  fronte 

al  moto  filosofico  moderno,  segnatamente  rispetto  a 

quelle  due  forme  di  filosofia  che  la  speculazione  è  ve- 

nuta assumendo  ne'  due  paesi  d' Europa  i  quali  sem- 

brano meglio  disposti  a  tal  maniera  d'indagini. 

 

 

Capitolo  Ottavo, 

delle  due  moderne  filosofie. 

Abbiamo  detto  come  per  due  ragioni,  l' una  subbiet- 

tiva  e  r  altra  istorica,  il  Vico  e  il  Leibnitz,  tuttoché 

ignoti  r  un  r  altro  e  diversi  per  luogo,  tempo  e  condi- 

zioni di  vita  e  d' ingegno,  ci  palesino  cert'  affinità  di 

indirizzo  speculativo.  Ciò  che  molti  hanno  affermato 

del  filosofo  di  Lipsia,  di  non  mostrar  carattere  spic- 

catamente germanico  ma  europeo,  potrebbe  dirsi  pari- 

menti, ^  forse  con  più  ragione,  del  filosofo  napoletano 

rispetto  all'Italia.  Ingegni  universali  e  supremamente 

comprensivi,  ci  rappresentano  entrambi  1'  universalità 

nel  concetto  filosofico,  massime  quand'  e'  siano  avvisati 

riguardo  al  tempo  in  che  vissero,  e  di  fronte  al  Car- 

tesianismo che  presero  a  correggere  ed  innovare.  Pos- 

siamo dir  quindi  che  nelle  loro  dottrine  essi  ci  esprimano 

com'  una  sintesi  vasta  tuttoché  confusa,  e  dischiudan 

così  due  diversi  periodi  filosofici  ne'  due  paesi  che 

nella  eulta  Europa  sembrano  più  acconci  alla  profonda 

speculazione;  dico  il  periodo  filosofico  germanico,  e 

r  italiano.  Quant' al  Leibnitz,  tale  sentenza  invero  non 

troverebbe  molte  opposizioni,*  se  non  forse  per  parte 

d'  alcuni  hegeliani,  i  quali,  com'  è  noto,  non  credono  di 

scoprir  terra  salvo  che  nel  Kant,  e  propriamente  nella 

dottrina  su'  giudizi  sintetici  a  priori  e  su  1'  attività  ori- 

ginaria del  pensiero  come  sorgente  delle  categorie. 

Quanto  poi  alla  moderna  filosofia  italiana,  io  per  me 

non  saprei  risalire  piii  in  là  del  Vico,  per  tre  ragioni 

principalmente:  la  prima,  che  in  lui  ritrovo  elementi 

metafisici  originali  ad  una  riforma  filosofica,  più  che 

in  altri  filosofi  antichi  o  più  recenti  di  lui:  la  seconda 

che  a  lui,  meglio  che  ad  altri,  s'  accosta  la  forma  e 

r  indole  e  la  natura  dell'  ingegno  italiano,  come  quella 

che  mostra  di  non  essere  molto  inchinevole  a  sbale- 

strare troppo  in  su,  o  affogar  troppo  in  giù,  almeno 

per  quanto  riguarda  la  speculazione  metafisica:  la  terza 

poi  è  questa,  che  solamente  rimontando  a  lui  sarà  pos- 

sibile ricondurre  come  in  un  centro,  per  così  dire,  ideale 

que'  diversi  indirizzi  a  cui  è  riescito  nel  presente  secolo 

il  nostro  pensiero  filosofico.  Ci  è  il  Bruno,  mi  si  dirà 

subito.  Ed  io  lo  so:  ma  so  pure  esser  egli  una  cometa, 

com'  ebbe  a  cliiamarlo  Hegel  ;  una  cometa  assai  più 

solitaria  che  non  sia  stato  il  Vico.  E  poi  '1  frate  Nolano 

è  panteista,  checché  ne  dica  il  Ritter  ed  uno  de'  suoi  bio- 

grafi di  Francia;  e  il  panteismo,  qual  che  ne  sia  la  forma 

anche  passata  per  la  sottil  trafila  de'  nostri  hegeliani, 

non  par  cibo  pel  nostro  stomaco,  né  soddisfa  all'  esi- 

genza modesta  di  nostra  mente,  appunto  perchè  pecca 

d' eccesso.  Che  se  noi  vogliamo  dir  panteista,  ad  ogni 

modo  parmi  non  si  possa  accettare  come  rappresentante 

del  pensiero  nazionale,  stantechè  la  forma  della  specu- 

*  Più  d'una  volta  il  Willin  osserva  che  la  filosofia  germanica  data 

dal  Uibnitz.  (ITiat.  de  la  Phil.  Allem.y  t.  I,  Introa.  p.  18.)  Della  mede- 

sima sentenza  sembrano  lo  Schmidt,  di  cui  abbiamo  riferito  neir antece- 

dente capitolo  un  giudizio  a  questo  proposito,  il  Cousin  e  lo  Janet  nelle 

opere  innanzi  citate,  il  Rcmusat  [De  la  Phil.  Allem.),  e  specialmente  lo 

storiografo  Barchou  de  Pcnhotìn,  il  quale  inoltre,  quant'  alla  nniversa- 

lità  dell' ingegno,  chiama  Leibnitz  il  filosofo  conciliatore  per  eccellenza, — 

I  Vedi  Hit.  ds  la  PhU.  depuU  leibnitzjiuqu'a  Hegel;  Voi.  2.  p.  181 ,  Paris  1836. 

lozione  in  lui  non  s'addimostri  pienamente  determinata. 

Il  Bruno  rappresenta  T indole  stessa  del  Rinascimento: 

la  lotta,  r  opposizione,  T  aiFermazione  di  più  cose  con- 

trarie, e,  in  somma,  l'eterogeneità  del  pensiero:  talché 

nel  leggerlo  e  meditarlo  non  sai  dire  se  1'  assoluto  in 

lui  sia  la  natura,  ovvero  un  quid  superiore  alla  natura. 

Ci  è  anche  il  Campanella,  altri  soggiugnerà.  Ma,  a  non 

imboscarci  qui  in  troppe  sottigliezze,  basti  notare  come 

I  nel  frate  di  Stilo  faccia  difetto  l'aspetto  istorico,  manchi 

I  il  concetto  e  quindi  '1  bisogno  della  storicità,  eh'  è  per 

l'appunto  la  febbre  del  secol  nostro,  e  il  pregio  mas- 

simo del  Vico.  E  poi  quel  senso  universale,  eh' è  proprio 

la  novità  del  filosofo  calabrese,  è  concepito  in  maniera 

quasi  meccanica,  nel  che  conviene  lo  stesso  Spaventa. 

Finalmente  il  Campanella  è  un  filosofo  ddia  restaura^ 

zione  cattolica,  secondo  che  con  verità  ha  saputo  desi- 

gnarlo il  medesimo  Spaventa;  e  tanto  meno  quindi  potrà 

servire  ad  un  disegno  istorico  di  filosofia.  —  Vi  è  pure  il 

Pomponazzi.  Ma  l'originalità  del  filosofo  mantovano  è 

doppia;  e  riguarda  il  gran  valore  ch'egli  (a  preferenza 

r  di  tutt'  i  filosofi  del  Rinascimento)  dà  al  concetto  della 

vita  pratica,  secondo  l' osservazione  del  Ritter  ;  e  l' esser 

egli  poi  uno  schietto  materialista,  come  credono  i  più. 

Ora  un  concetto  pratico  della  vita  senz'un  concetto 

teoretico  rispondente,  non  istà;  né,  d'altra  parte,  il 

materialismo  ci  sembra  dottrina  che  possa  scorgere  i 

passi  del  critico  nella  storia  del  pensiero  italiano.  Il 

Pomponazzi  schietto  materialista  é  una  cometa,  non 

meno  del  Bruno  panteista.  —  Citiamo  ancora  un  altro 

nome:  il  gran  Galileo.  Ma,  comecché  egli  giugnesse  ad 

accordare  mirabilmente  una  canna  di  quell'organo  che  a 

lui  parve  scordato,  ninno  dirà  che  il  massimo  restaura- 

tore della  scienze  fisiche  fosse  un  metafisico. — Vogliamo 

invocare  san  Tommaso?  Dapovolgeremmo  la  storia; 

come  precisamente  incontr' agli  odierni  tomisti  e  scola- 

gizzanti. —  Ci  è,  finalmente,  il  Cusano,  che  potrebb' es- 

ser davvero  segnalato  come  l'antecedente  della  nostra 

moderna  filosofia,  massime  considerando  que'  due  prin- 

cipii  ond'ei  si  disceme  da  ogn' altro  filosofo:  cioè  il 

concetto  negativo,  ma  altrettanto  necessario  in  filo- 

sofia, della  dotta  ignoranza;  e  il  concetto  positivo  del- 

l'Alterità opposta  all'Unità,  nonché  della  connessione 

intima  (coinplicatio)  di  tutto  nel  tutto.  Ma  Niccolò  di 

Cusa,  non  ci  appartiene. 

Chi  volesse  quindi  rimontare  più  in  su  del  Vico,  non 

potrebbe  fermarsi  a  questo  piìi  che  a  cotesto  filosofo 

del  Rinascimento;  sia  perchè  la  filosofia  d' alcuni  d'essi 

non  racchiude  in  sé  tutte  le  esigenze  del  moderno  pen- 

siero italiano;  sia  perchè  certi  altri  evidentemente  danno 

in  errori,  e  però,  scambio  d'illuminare,  ci  abbuierebbero 

il  cammino;  sia  finalmente  (ciò  che  più  monta)  perchè 

l'impossibilità  di  risalirvi  si  radica  sopratutto  nel  ca- 

rattere stesso,  nella  stessa  natura  di  quel  periodo  filo^ 

sofico  e  della  speculazione  di  que' filosofi.  Mi  spiego. 

Nella  storia  del  nostro  pensiero  filosofico  l' età  del  Ri- 

nascimento ci  rappresenta,  come  dire,  il  conato  vivace, 

l'energia  profonda  e  la  forza  per  quanto  rigogliosa  della 

speculazione,  altrettanto  indisciplinata  e  intemperante. 

Or  chi  pigliasse  a  risalirvi,  sarebbe  costretto  guardar 

que'  filosofi  nel  loro  insieme,  avvisarli  nel  significato 

complessivo  delle  svariate  ed  opposte  loro  tendenze,  e 

queste  venir  ragunando,  integrandole  e  compiendole  nel 

Vico.  U  che  quando  potessimo  qui  fare,  non  mancherebbe 

neanche  a  noi  modo  a  riempiere  più  capitoli  di  riscon- 

tri ideali  fra  lui  e  il  Vanini,  il  Campanella,  il  Bruno, 

e,  più  in  su,  il  Ficino,  il  Pomponaccio,  l'Achillini,  il 

Nifo,  lo  ilabarella,  il  Cesalpino,  il  Porzio,  e  simili.  Ma 

che  cosa  avremmo  concluso  di  po&itivo  con  le  facili 

architetture  de'  riscontri  ideali?  Un  vincolo  ideale  tra 

il  Vico  e  il  Rinascimento  si  può  forse  più  agevolmente 

I rinvenire  considerando  i  suoi  principii  psicologici;  ma, 

quant'a  metafisica,  ei  si  collega  direttamente,  come 

s' è  detto,  col  Cartesianismo.  —  A  chi  poi  talentasse  mo- 

vere da  qualche  filosofo  posteriore  al  Vico,  e  sia  per 

esempio  il  Galluppi,  evidentemente  comincerebbe  senza 

antecedenti  nostrani,  e,  a  spiegarselo,  dovrebbe  riferirsi 

alla  scuola  Scozzese,  al  Locke,  al  Criticismo  e  che  so  io. 

Vogliamo  dunque  ritrovare  un  centro,  sia  pur  ideale, 

a  cui  riferirci  nello  studiare  con  intendimento  critico  il 

nostro  moderno  periodo  filosofico?  Non  e'  è  altra  via  che 

questa:  far  capo  dall'Autore  della  Sdenta  Nuova.  Chi 

sapesse  o  potesse  additarcene  altra  più  acconcia,  gliene 

sapremmo  grado.  Torniamo  intanto  al  nostro  proposito. 

Anche  sotto  un  altro  rispetto  il  Leibnitz  appare  più 

fortunato  del  Vico:  egli  esercitò  efficacia  grandissima 

su  la  Germania  e  su  T  Europa.  Checché  infatti  ne  dica 

il  Ritter  a  tal  riguardo,  è  noto  come  dal  concetto  mo- 

nadologico  partisse  quella  doppia  direzione  in  clie  poi 

s' è  venuto   svolgendo  il  pensiero  filosofico  tedesco.  * 

•  Si  può  dire  che  Wolflo,  Reimarus,  Baumcarten,  Bilfinger,  Meyer, 

e  potremmo  anche  citare  i  nomi  di  Mendelssonn,  Winckelmann,  Lessine, 

Herder,  Hamann  Ano  ad  Eberhard  e  al  Platner,  svolgessero  un  aspetto  del 

concetto  leibniziano  ueirarte,  nella  religione,  nella  filosofia,  nella  storia,  in 

parte  esagerandolo,  opponendosi  a  vicenda,  e  a  vicenda  compiendosi.  Kant 

poi,  che  non  manca  d'aver  attinenza  col  Lambert  e  col  Tetens,  i  quali  a 

lor  volta  per  mezzo  del  Wolfianismo  si  ricollegano  col  Leibnitz,  ne  ri- 

piglia r  altro  aspetto,  e  genera  siifattamente  un  indirizzo  assai  più  ori- 

ginale e  più  rigoglioso;  il  quale  movendo  dalla  posizione  del  Criticismo 

e  passando  pel  Subbiettivismo  Fichtiano,  giugne  all'Idealismo  obbiettivo 

di  Schelling,  chiudendo  il  proprio  circolo  nell'  Idealismo  obbiettivo  e  as- 

soluto di  Hegel.  Il  Gioberti  fra  noi  s'avvide  d'una  relaziono  tra  Leibnitz 

e  Kant  laddove  osservò  che  quel  filosofo,  attribuendo  ad  ogni  monade 

creata  la  prerogativa  delia  monade  increata^  spianti  la  strada  alla  Jtlo- 

Hojìa  critica  donde  u»ci  poi  il  panteismo.  {Errori  FU. fip.  443.)  La  ragione 

data  qui  dal  Gioberti  non  sarà  molto  accettabile;  ad  ogni  modo  egli  s'ac- 

corse deir  esistenza  e  della  necessità  d' un  legame  fra  i  due  filosofi.  Anche 

Spaventa  ha  osservato  che  il  Leibnitz  prevenne  il  Kantismo  in  maniera  o/V>- 

ristica  e  popolare  col  suo  concetto  della  monade.  (La  FU.  di  Oiohertif  p.  103.) 

Più  chiaro  e  più  accoucio  di  tutti  sembraci  il  modo  col  quale  il  Chalibosus 

pone  relazione  fra'  successori  di  Leibnitz.  Kant,  egli  osserva,  col  con- 

cetto della  cosa  in  s?,  col  noumeno,  nega  Leibnitz;  la  scuola  di  Jacobi 

con  r  ide&  d*  un  contenuto  razionale  accessibile  solo  al  sentimento,  s' op- 

pone all'idealismo  critico  di  Kant,  e  nel  medesimo  tempo  all'idealismo 

subiettivo  di  Fichte;  mentre  la  scuola  di  Herbart  col  realismo  delle  mo- 

nadi e  col  realismo  psicologico,  si  oppone  all'idealismo  obbiettivo  e  as- 

luto  di  Schelling  e  di  HegeL  (Willm,  Op.  cit.,  p.  87.)  Questi  due  gruppi 

rappresentano  un  doppio  svolgimento  del  pari  esclusivo  del  concetto  mo- 

Men  fortunato  del  Leibnitz  il  Vico  non  ispiegò  gran- 

d' efficacia  in  Italia,  nettampoco  in  Europa,  per  le  ra- 

gioni ormai  dette  e  ridette  da' suoi  critici  ed  espositori. 

Ma  anche  in  questo  gioverebbe  guardarci  dal  cadere  in 

esagerazioni.  Posta  la  storia  della  Scienza  Nuova  da  noi 

tracciata,  nessuno,  crediamo,  vorrà  più  oltre  dubitare  che 

l'azione  del  filosofo  italiano  fosse  stata  nulla,  così  ne' suoi 

contemporanei,  come  ne'  suoi  seguaci.  Legami  intimi, 

vincoli  speculativi  necessari,  storici,  nou  vi  sono  ;  e  quindi 

è  inutile  cercarvi  continuità  e  processo  veramente  detto. 

Il  Genovesi  e  '1  Galluppi,  per  dire  un  esempio,  tutto- 

ché non  ignorassero,  in  ispecie  il  primo,  le  opere  di  lui, 

scrissero  non  pertanto  come  s' egli  non  fosse  esistito  al 

mondo  mai.  Verso  il  sesto  lustro  del  presente  secolo,  in 

quella  che  co'  seguaci  di  Hegel  comincia  a  declinare  il 

moto  filosofico  originale  di  Germania,  e  in  Francia  come 

in  Inghilterra  odonsi  i  primi  rumori  del  Positivismo, 

vedemmo  come  anche  fra  noi  si  cominciasse  a  sentir 

più  acuto  il  bisogno  al  filosofare.  E  cosi  il  Mamiani 

(il  Mamiani  del  Rinnovamento),  e  quasi  nel  medesimo 

anno  il  Rosmini,  si  provano  a  rannodar  gli  anelli  della 

nostra  tradizione  filosofica,  ma  con  efficacia  assai  lieve. 

E  dico  lieve,  perchè,  quantunque  ella  ingagliardisse  vie 

più  col  crescer  degU  anni  e  col  succedersi  de' nostri  filo- 

sofi, non  pertanto  pretendere  di  stabilire  in  essa  tradi- 

zione un  vero  processo  ed  una  continuità  logicamente 

progressiva,  a  me  sembra  vana  impresa  e,  fino  a  certo 

punto,  anche  infruttuosa.  Giova  ripeterlo:  a  voler  rin- 

tracciare alcun  filo  di  cotesta  tradizione  in  maniera  posi- 

tiva, ciò  è  dire  storica,  né  soltanto  ideale,  io  per  me  non 

iscorgo  altra  via  tranne  quella  che  noi  abbiamo,  anziché 

percorsa,  additata;  intendo  la  via  che  dal  Vico  ci  mena 

ai  nostri  ultimi   filosofi,  ma  per  mezzo  de'  giusnatu- 

oadologico;  ma  vi  ò  certamente  un  progresso  fra  1  rappresentanti  del 

primo  e  qaelli  del  secondo.  Vedi  per  le  notizie  particolari  di  questo 

periodo  fllotollco  tedesco  il  Barohoc  dr  Ponhoem,  Hìh,  de  la  Phil.  depuU 

UibnitK  juMqu'à  Hegel.  —  BuuLE,  Hi9t.  de  la  PhU,,  voi.  Vili. 

ralisti,  de'sociologisti,  de'critici  e  degli  storici  attraverso 

i  tre  differenti  periodi  già  discorsi.  Altre  vie  ci  saranno, 

io  lo  so;  ma  tutte  artifiziali,  tutte  pericolose,  tutte  vuote 

0  rigonfie  de'  soliti  riscontri  ideali  che  agli  occhi  dello 

storico  e  del  critico  positivo  valgono  fin'  a  certo  segno. 

Con  la  qual  cosa  non  è  a  credere  che  noi  pretendiamo 

dare  alla  filosofia  italiana  caratteri  e  prerogative  eh'  ella 

non  ha,  né  può  avere  di  fronte  a  quella  di  Grermania. 

Il  professore  Spaventa  osserva,  che  la  filosofia  italiana 

non  costituisce  processo,  né  assomiglia,  per  così  dire,  ad 

un  filo  che  si  sgomitoli  necessariamente  e  razionalmen- 

te, com'  é  quello  che  in  organismo  vivente  e  palpitante 

annoda  l' Idealismo  critico  con  l' Idealismo  assoluto, 

mercé  l'Idealismo  subbiettivo  di  Fickte  e  l'Idealismo 

obbiettivo  di  Schelling:  non  é,  in  somma,  unevolturìone 

strettamente  logica,  un  dispiegamento  serrato,  compatto, 

e  come  chi  dicesse  inquadrato  e  chiuso  tutto  in  sé  me- 

desimo com' una  severa  dimostrazione  geometrica.  Il 

professore  di  Napoli  dice  benissimo.  Questo  oggi  dicon 

tutti;  e  questo  medesimo  ripetiamo  anche  noi.  Sola- 

mente chiederemmo:  non  potrebbe  stare  che  cotesto 

filar  compatto  e  processuale;  che  coteste  filiamoni  se- 

riali, com' ha  detto  lo  Spencer  ai  Positivisti  francesi; 

che,  in  somma,  coteste  annodature  organiche,  conside- 

rate (già  s'intende)  nell'ordine  istorico,  fossero  per 

avventura  altrettante  immaginazioni  del  nostro  cervello, 

meglio  che  relazioni  di  fatto  a  cui  ci  spinga  la  ragione, 

meglio  che  attinen/ie  concrete  in  cui  ci  confermi  la 

storia?  Annodamenti,  giunture,  articolazioni  intime  for- 

mano di  certo  il  pregio  massimo  della  Scienza;  costi- 

tuiscono r  essenzial  condizione  del  sistema  ;  sono  la  vita 

della  ragione,  avvisata  come  funzione  filosofica  e  meta- 

fisica. Ma  si  vorrà  dire  che  tutto  ciò  sia  anche  pregio 

e  condizione  vitale  ove  dall'ordine  astratto  e  teore- 

tico e  individuale  si  discenda  in  quello  delle  applica- 

zioni e  della  storia,  per  esempio  ad  un  periodo  storico 

nel   quale  ci  sia  dato  assistere  all'opera  svariata  di 

 

molti  ingegni,  al  lavoro  molteplice  di  più  menti  fra  loro 

diverse  per  infinito  numero  di  condizioni,  condizioni 

differenti  per  luogo,  tempo,  educazione,  carattere  indi- 

viduale, e  civiltà?  È  egli  pregio,  di  grazia,  o  non  più  ve- 

ramente difetto  il  prendere  un  dirizzone  e  andare  sino 

in  fondo  diritto  come  fil  di  spada?  E  dov'è,  dunque, 

la  necessaria  moltiplicità  di  direzioni,  e  quella  ricchezza 

d'aspetti  differenti,  e  quella  varietà  di  vedute  e  di  metodi 

e  dottrine  in  cui  risiede,  a  dir  proprio,  il  moto  e  l' essere 

e  la  vita  feconda  della  storia?  I  quattro  filosofi  di  Ger- 

mania costituiscono,  come  dire,  una  mente  sola,  un  sol 

pensiero;  formano  quasi  un  sol  uomo  che  svolga  e  deter- 

mini la  propria  attività:  e,  in  effetti,  come  un  sol  uomo 

essi  hanno  saputo  filar  sillogismi  e  tesser  la  scienza 

cosi  da  comporre,  sto  per  dire,  una  catena  salda  e  com- 

patta di  soli  quattro  anelli.*  Per  contrario  la  filosofia 

italiana  non  ci  pone  sott'  occhio  nulla  di  simile.  Ella  non 

è  un  processo,  o  al  più  è  un  processo  distratto,  rotto, 

saltellante,  fatt'a  pezzi  e  a  bocconi,  Qual  relazione 

mai  tra  Vico  e  il  Galluppi?  tra  Galluppi,  Rosmini  e 

Gioberti?  tra  Gioberti  e  lo  scettico  Ferrari?  fra  Ausonio 

critico  radicalissimo,  e  il  cattohcissimo  Conti?  fra  il  neo- 

platonico Mamiani  e  il  severo  storico  Bertini  ?  fra'  nostri 

Hegeliani  e  i  nostri  redivivi  Tomisti? 

 

Riconosciamo  francamente  i  pregi  del  periodo  filo- 

sofico germanico;  e  non  meno  francamente  riconosciamo 

i  difetti  della  nostra  moderna  filosofia  considerata  sotto 

r  aspetto  storico.  Ma  ci  si  permetta  una  confessione,  ed  è 

che  noi  saremmo  tentati  a  scegliere  più  presto  questi  di- 

fetti, anziché  que'pregi  ;  per  la  semplice  ragione  accennata 

poco  fa,  che  gli  uni,  nella  mancanza  d'unità  e  d'un'euriti- 

mia  stecchita  e  geometrica,  ci  presentano  il  fecondo  moto 

*  Ecco  come  il  Remnsat  riduce  quasi  a  forma  geometrica  V  anda- 

mento progressivo  del  pensiero  germanico,  o  meglio,  de*  quattro  filosofi 

in  discorso  :  L*  idea^  dice  Kant,  non  prova  che  «d  «fe««a  :  V  idea^  ripigìiè 

Firkte^ produce  Veuere:  Videa,  soggiunte  Schelling^  riproduce  V  e«itcrc  :  V  idf^, 

eondwe  Hegel,,  >  Vetsere.  (De  la  Phil.  ÀUem,,  p.  45.) 

del  fatto  istorico,  dovecchè  gli  altri,  nell'  evoluzione 

serrata  e  compassata  di  loro  speculazioni,  ci  traggono  e 

e'  incatenano  allo  spirito  dommatico,  esclusivo,  unilate- 

rale del  filosofare,  e  perciò  medesimo  racchiudon  la  morte 

del  pensiero  appunto  perchè  presumon  di  chiudere  il 

circolo  dello  stesso  pensiero.  Non  dimentichino  gli  ama- 

tori de'  periodi  storici  filati  e  serrati,  come  la  storia 

della  scienza  e  delle  grandi  età,  presso  cui  rifulse  più 

splendido  il  pensiero  filosofico,  stia  tutta  contro  di  loro. 

Si  rammentino  che  nell'  età  gloriosa  del  Rinascimento  in 

Italia  cotesto  filar  sottile  di  speculazione,  cotesto  fitto  an- 

nodarsi di  più  scuole  e  stringersi  e  allacciarsi  di  più  filo- 

sofi impersonandosi  quasi  in  un  sol  filosofo,  non  ebbe 

luogo.  Non  ebbe  luogo,  checché  se  ne  dica,  nel  più  celebrato 

periodo  che  ci  presenti  la  storia  del  pensiero  umano,  il 

periodo  della  filosofia  greca,  né  prima  né  dopo  Socrate; 

ma  in  esso  il  critico  vede  una  moltiplicità  sempre  più 

crescente  e  feconda  da' primi  Ionici  agli  ultimi  Stoici,  agli 

ultimi  Scettici,  agU  ultimi  Neoplatonici,  tuttoché  quelle 

scuole  così  differenti  si  fossero  succeduta  sotto  l' impero 

d'una  legge  universale,  storica  e  psicologica  insieme.^ 

*  Questa  legge  conforme  alla  quale  si  venne  svolgendo  il  pensiero  spe- 

culativo nelle  scuole  greche,  possiamo  trovarla  accennata  dal  Laerzio 

(come  hanno  osservato  il  Brandis  e  il  Ritter)  là  dov^egli  afferma  che 

presso  quei  popolo  la  filosofia  sMniziò  con  la  nozione  d*una  pluralità^  indi 

venne  progredendo  con  quella  d*  un' assoluta  um'rà,  e  appresso  cercò  di 

stabilire  una  relazione  fra' due  concetti.  E  questi  caratteri,  in  generale, 

ci  additano  veramente  la  scuola  ionica  e  pitagorea,  la  scuola  eleatica 

e  poi  quelle  d'Anassagora  e  d'Empedocle;  ma  sempre  in  maniera  esclu- 

siva, grossolana,  oggettiva  e  naturale.  La  comparsa  di  Socrate  segna 

un  ricorto  della  medesima  legge,  ma  con  ben  altro  significato  e  indirizzo 

razionale.  Accanto  a  lui  vediamo  sorgere  la  Sofistica:  il  che  vuol  dire  che, 

oome  in  ogni  ritorno  istorico,  nel  2fi  periodo  della  filosofia  greca  ha  luogo 

un  doppio  lavoro  di  demolizione  e  di  ricostruzione;  l'uno  rappresentato 

da'  Sofisti»  l'altro  da'  Socratici.  Ond'è  che  la  sofistica  né  vuol  esser  avuta 

in  dispregio,  come' fanno  alcuni  fra'quali  il  Ritter,  e  nemmanco  esage- 

rarne il  valore  e  l'importanza  isterica  secondochò  fanno  altri,  per  esem- 

pio l'Hermann,  col  porre  i  Sofisti  a  capo  d'un  periodo  novello  di  filoso- 

fare. Nella  storia  del  pensiero  greco  (passaggio  al  2o  periodo),  tanto 

vale  un  Sofista,  quanto  un  Socratico;  appunto  perchè  se  la  negazione  del 

primo  non  è  annullamento  di  speculazione,  l'affermazione  del  secondo  non 

Un  vincolo  storico,  reale,  positivo,  cosciente,  lo  tro- 

viamo fra  Platone  e  Aristotele.  Al  di  qua  e  molto  più 

al  di  là  de'  due  luminari  non  ci  ha  che  relazioni  ideali, 

gran  numero  delle  quali  è,  piò  che  altro,  l'effetto 

della  critica  armeggiona  di  certi  storiografi;  essendo 

già  note  le  spostature  a  comodo  che  son  venute  muli- 

nando certe  fantasie  hegeliane  dietro  l'esempio  del 

maestro,  ponendo,  per  dime  una,  dopo  la  scuola  Zeno- 

niana  d' Elea  quella  d'  Eraclito,  con  aperta  smentita 

della  storia,  de'  fatti,  della  cronologia  e  de'  dati  storici 

più  sicuri,  e  considerando  Socrate,  per  dirne  un'altra, 

come  logicamente  posteriore  ai  Sofisti,  mentre  è  noto 

.come  il  gran  figliuolo  dell'umile  Fenareta  fosse  loro 

contemporaneo!  Rammentiamoci  che  cotesti  lambicchi 

e  distillatoi,  cui  si  pretende  sottoporre  la  storia,  non 

ti  può  dir  neanche  posizione  sistematica,  ovvero  esplicazione  organica  d'nn 

dato  ordln  d' idee.  Ma  la  ricostmzione  rappresentata  da  Socrate  è  essen- 

zialmente psicologica  ed  etica,  non  più  naturale,  empirica  ed  estrinseca  ; 

stantechè  in  loi,  come  incontra  in  ogni  ricorto  ttoricOf  ripetesi  il  ca- 

rattere della  pluralità  oggettiva  (però  come  eoncetH,  i  quali  importano 

la  coscienza),  e  quindi  in  Platone  ed  Aristotele  si  ripetono,  ma  trasfl- 

gorati,  gli  altri  due  caratteri.  Platone  infatti  pone  V  unità  assoluta  in 

8Ò,  mentre  che  Aristotele  si  studia  ritracciare  una  relazione  fra  quel- 

la mmo  e  il  moluplieet  sforzandosi  di  levare  il  dissidio  fra  1*  immanenza 

deU*a8ffoInto  nel  mondo,  e  la  permanenza  del  mondo  neir  assoluto  avvi- 

sato in  sé  stesso.  Dopo  il  *i<*  periodo,  al  solito,  un  altro  ricorto^  ma  di- 

verso da' due  primi;  essendo  che  ben  altre  e  assai  più  complesse  e  più 

disparate  cagioni  promossero  la  filosofia  greca,  neoplatonica  e  giudaica. 

1!  prof.  Bertini  nel  suo  ultimo  lavoro  ha  accennato  con  verità  a'  tre  ca- 

ratteri per  cai  si  distinguono  i  tre  periodi,  o  meglio  i  tre  ricorsi  del 

perìodo  filosofico  del  pensiero  greco:  nel  ì"  delquali  predomina  il  natura- 

lismo; nel  2«  primeggia  la  dialettica  e  T antropologia;  nel  3"  finalmente 

prevale  il  tradizionalismo  e  il  misticismo.  Quel  che  importa  notare  è 

questo;  ohe  cotesta  legg«,  sia  che  la  s'intenda  nella  forma  datale  dal 

Bertini,  o  in  quella  da  noi  rapidamente  accennata  seguendo  V  idea  di  Dio- 

gene Laerzio,  non  è  legge  dialettica^  a  priori^  oMoluta  e  neanche  orga- 

nica, nel  senso  che  pretendono  gli  storiografi  Hegeliani.  È  una  legge  a 

cui  soggiacciono,  come  vedremo,  tutte  quante  le  scienze  ;  ma  è  di  natura 

essenzialmente  psicologica,  perchè  ritrova  nella  psicologia  ogni  suo  fon- 

damento, precisamente  come  la  gran  Ugge  tetoriea  del  Vico,  della  quale 

essa  non  è  altro,  com'è  facile  capire,  che  un'applicazione  allo  svolgi- 

mento del  pensiero  filosofico  greco. 

ebber  luogo  nel  periodo  della  Scolastica,  appo  cui  No- 

minalisti e  Realisti,  Tomisti  e  interpreti  aristotelici 

arabi,  greci,  latini  e  italiani,  comecché  avvinti  al  giogo 

della  fede,  compieron  ciò  nullamanco  tale  un  lavoro  di 

riflessione  teologica  svariata,  senza  cui  sarebbe  stata  im- 

presa vana  ogni  risorgimento  nel  secolo  XV  e  XVI;  il 

perchè  un  dotto  critico  non  dubita  segnalare  il  risultato 

generale  del  periodo  scolastico  come  la  prima  insur- 

rezione dello  spirito  moderno  contro  V  autorità.^  E  ri- 

cordiamoci, finalmente,  che  cotesta  vagheggiata  e  acca- 

rezzata maniera  di  processo  non  ha  avuto  luogo  nel 

periodo  supremamente  ricco  e  rigoglioso  del  Cartesia- 

nismo nel  secolo  XVII.* 

Se  adunque  tali  sviluppi  compatti  e  serrati,  e  questo 

considerare  più  scuole  come  una  sola  scuola,  e  più  menti 

com'una  mente,  e  più  sistemi  come  un  sistema,  non 

ha  potuto  aver  luogo  in  veruno  de'  più  segnalati  periodi 

storici  della  filosofia,  non  è  da  concludere  che,  se  pur 

nei  tempi  moderni  ciò  ha  potuto  verificarsi  in  Germania 

dal  1760  al  1830,  non  altro  sia  stato  che  una  bella  ec- 

cezione? Ora  un'eccezione  non  vale  a  confermarci  nella 

regola?  0  presumeremmo  forse  d'elevare  a  dignità  di 

legge  un'eccezione?  Se  non  che,  cotesto  innalzare  a  leggi 

le  eccezioni  non  ci  arreca  punto  maraviglia.  La  preten- 

sione di  chi  celebra  la  misurata  compattezza  della  specu- 

lazione germanica  è  una  conseguenza  che  pullula  im- 

prescindibilmente dalle  viscere  del  sistema  nel  quale, 

per  la  necessità  di  una  stessa  legge,  il  concetto  dell'  in- 

dividualità sfiima,  assorbita  dal  generale,  e  riducesi  ad 

apparenza,  a  fenomeno,  ad  accidente,  così  nell'ordine 

ideale  e  speculativo,  come  nell'  ordine  civile,  politico  e 

sociale.  —  Ma  dunque  (mi  si  chiederà  qui)  vorreste  voi 

*  Barthblkmy  Saint-Hilairb,  i>0  la  Log,  d^Ari»U^  T.  U,  19^. 

'  n  Barchou  de  Penho^ln  dice  anche  lui  non  di  rado,  come  il  Boul- 

lier,  qualche  enormità  tutta  francese.  Per  esempio  questa,  che  Cartesio, 

Spinoza  e  Malebranche  formino  una  mrd4>nlmn  icuofa^  e  una  ntf^itm  dot' 

trino/  — Vedi  Op.  cit.,  p.  101. 

discredere  ad  ogni  processo  istorico  nel  pensiero  filoso- 

fico? Tutt'  altro!  L'esigenza  del  processo,  in  tutto,  non  è 

meno  salda  e  men  vivace  nella  nostra,  che  nella  vostra 

mente.  In  noi  non  sistematici  assoluti  eli'  è  piii  vera, 

più  legittima,  più  pratica,  positiva  :  ecco  la  nostra  pre- 

tensione. Sarà  puerile  o  troppo  ardita  cotesta  pTeten- 

sione  :  ma,  fra  tante  pretensioni  che  c'è  al  mondo,  e  delle 

quali  si  mostrano  cotanto  ricchi  gli  annali  della  filo- 

sofia, non  ci  potrà  capir  anche  questa?  Un  processo  nel 

pensiero  filosofico,  tanto  nella  storia  universale  come 

ne'  suoi  differenti  periodi  e  sin  nelle  diverse  scuole  d'un 

sol  periodo,  ci  ha  da  essere;  e  ci  ha  da  essere  appunto 

perchè  la  storia,  anche  agli  occhi  nostri,  è  sempre 

l'opera  d'un  disegno.  Ma  poiché  l'incarnazione  di  co- 

testo disegno  non  è  soltanto  effetto  di  pensiero  inco- 

sciente, ma  è  la  risultante  di  condizioni  molte,  svariate, 

complesse  per  numero  e  complicate  per  natura,  fra  cui 

signoreggiano  le  intuizioni,  prevalgono  i  sentimenti,  pri- 

meggiano le  tendenze  istintive;  ne  seguita  che  il  pro- 

cesso non  può  manifestare,  come  si  pretenderebbe,  una 

forma  squisitamente  organica  e  seriale,  Ei  debb'  essere 

incompiuto,  com'  avviene  d' ogn'  altro  fatto  storico.  Or 

s'egli  è  incompiuto,  non  bisognerà  pur  compierlo?  E  chi 

potrà  compierlo,  chi  potrà  integrarlo  fuorché  il  pensiero 

che  lo  studia  e  sommette  alla  propria  speculazione? 

Un  processo  dunque  ci  ha  da  essere;  ma  ha  da 

essere  insieme  obbiettivo  e  subbiettivo,  storico  e  specu- 

lativo, essendo  l' opera  combinata  non  già  dalla  nostra 

fantasia,  com'  è  vezzo  di  certi  storiografi  che  annodano, 

per  esempio,  Cartesio  e  Kant  co' fili  ch'ei  sanno  mae- 

strevolmente rimaneggiare  a  tutto  lor  profitto,  bensì 

r  opera  combinata  fra  il  pensiero  che  fa,  e  il  pensiero 

che,  facendo,  vede,  scopre  e  progredisce  e  sale  sempre 

più  in  su.  Spieghiamoci  meglio.  Non  si  tratta  di  com- 

binare fra  loro  le  diverse  menti  de' filosofi  d'un  dato 

periodo:  si  tratta  di  combinar  tutto  il  periodo,  o,  per 

lo  meno,  i  risultati  di  tutta  la  speculazione  d' un  dato 

periodo  filosofico,  con  noi  medesimi,  cioè  con  la  nostra 

mente,  co'  bisogni  della  presente  speculazione.  Nel  primo 

caso,  plasmando  a  nostra  immagine  e  simiglianza  una 

data  serie  di  dottrine  e  di  filosofi,  la  storia  sarebbe 

fatta  da  noi  :  nel  secondo,  invece,  ella  sarebbe  fatta  mercè 

una  doppia  forza,  in  virtù  d'una  doppia  leva;  cioè  da 

sé  stessa,  e  anche  da  noi.  Non  è  quindi  la  storia,  la 

storia  come  storia,  quella  che  possa  e  deva  render  com- 

patto organando  appuntino  il  processo;  il  quale  perciò 

non  può  esser  costituito  nella  sua  forma  organica  da  più 

scuole  e  da  più  menti  considerate  queste  alla  maniera 

d'una  scuola  od' una  mente;  bensì  dev'esser  fatto  tale 

da  chi,  venendo  dopo,  è  deputato  a  raccoglierne  l'ere- 

dità. Se  non  fosse  così  che  cosa  ne  seguirebbe?  Ne 

seguirebbe  che  per  nessun  miracolo  al  mondo  sapremmo 

salvarci  da  questa  conseguenza:  che,  cioè,  la  storia 

della  scienza  s' identificherebbe,  si  compenetrerebbe  con 

la  scienza  stessa;*  e  quindi  per  inevitabil  necessità  do- 

vremmo giungere  ad  uno  di  questi  due  corollari:  cre- 

dere, cioè,  0  che  il  sapore  filosofico  1'  avremmo  oggi 

beli' e  conseguito,  o  che  noi  conseguiremmo  giammai, 

essendo  indefiniti  i  limiti  della  storia.  Dimodoché  do- 

vremmo, com'è  evidente,  imbrancarci  o  con  gli  Hege- 

liani, ovvero  co' Positivisti.  E,  se  co'  primi,  non  avremmo 

torto  dijicantar  su  tutt'i  tuoni  d'aver  già  piantato  le 

colonne  d'Ercole;  né,  se  co' secondi,  c'inganneremmo 

menomamente  nel  predicare  illusorie  le  speranze  d' un 

sapere  propriamente  scientifico  e  metafisico. 

 

La  condizione  dunque  del  processo  istorico  del  pen- 

siero filosofico  non  istà  nell'esserci  fUicusione  e  continuità 

ne' suoi  rappresentanti:  basterà  che  ci  sia  svolgimento 

e  progresso,  e  quindi  vincoli  ideali  ove  sieno  impossi- 

bili gli  storici;  i  quali  non  di  rado  è  impresa  ben  vana 

il  cercare,  non  potendo  esistere,  o,  pur  esistendo,  non 

 

*  È  questo,  coni*  è  noto,  ano  de*  dommi  supremi  deU*  Hegeliauismo, 

(Tedi  Hrocl,  Logique^  Introd,  §  XIII)  e  del  Positivismo,  tuttoché  il  si- 

gnificato ne  sia  diverso.  —-Vedi  CoirrB  e  Littbì  nelle  Op.  innanzi  citate. 

 

sarebbero  che  eccezioni.  Anche  noi  quindi  crediamo  che 

nella  storia  della  filosofia  c'è  attinenze;  ma  aggiungiamo 

che  c'è  anche  salti:  e  se  c'è  attinenze  e  salti,  la  conse- 

guenza (conseguenza  buona  solamente  per  noi,  anziché 

per  gli  aggomitolatori  e  sgomitolatori  de'  periodi  storici) 

è  questa,  che  una  critica  è  necessaria;  necessaria  una 

critica  filosofica  atta  a  scoprire  le  une,  e  colmare  gli 

altri.  Tornando  ora  al  proposito,  nella  storia  della  filo- 

sofia italian«r  ci  è  salti,  per  esempio,  fra  Bruno  e  il 

Vico,  fra  il  Vico  e  il  Galluppi,  fra  il  Galluppi  e  il 

Rosmini  e  il  Gioberti:  ma  non  ce  ne  maraviglieremo 

per  ciò,  sapendo  che  se  questo  non  è  pregio,  non  può  dirsi 

nemmanco  difetto.  Poiché  il  punto,  ad  ogni  modo,  sta 

nel  vedere  se  tomi  possibile  scoprirvi  una  progressione 

ideale;  e  questa  per  appunto  debb' esser  l'opera  con- 

corde de'  viventi  filosofi,  e  il  frutto  d' una  storia  savia- 

mente critica. 

Nulla  infatti  è  inutile  nella  storia  della  scienza,  e 

tantp  meno  in  quella  della  filosofia.  Agli  occhi  dello 

storico  spiegano  egual  valore  tanto  il  moto  speculativo 

attuatosi  dal  Leibnitz  ad  Hegel,  quanto  quello  che,  pur 

con  varietà  d'indirizzi,  è  venuto  effettuandosi  fra  noi  dal 

Vico  al  Gioberti.  Nello  svolgersi  di*questi  due  periodi 

filosofici  potremo  verificare  una  gran  legge;  la  legge 

medesima  che  presiede  alla  storia  generale  del  pensiero 

filosofico.  Mi  spiego  subito  e  in  brevi  termini,  anticipando 

un'  idea  che  altrove  giustificherò.  Platonismo  e  Aristote- 

lismo sono  due  parole  di  significato  altamente  compren- 

sivo per  la  storia  della  filosofia  occidentale.  Non  sola- 

mente elle  racchiudono  una  legge  che  ritrae  la  natura 

del  processo  isterico  della  filosofia,*  ma  cotesta  lor  legge 

è  anche  principio,  un  principio  d'indole  teoretica.  Non 

v'  è  infatti,  né  v'  è  stato  filosofo,  il  quale  non  si  possa 

dir  seguace  dell'  uno  o  dell'  altro  indirizzo,  ovvero 

d'entrambi,  ma  accordati  e  accostati  insieme  in  uno 

*  Tedi  la  nota  di  qaesto  medesimo  Cap.  a  pa^.  196. 

de'  tanti  modi  tentati  e  ritentati  già  fino  da  antico,  a 

contare  da  Cicerone  a  Boezio,  da  Boezio  a  Bessarione, 

e  dagli  altri  molti  che  nel  Rinascimento  si  provarono 

in  simili  accordi,  fino  al  Rosmini.  D'altra  parte  chi 

pigli  per  poco  a  filosofare  con  serietà  scientifica  an- 

ziché da  burla,  come  par  che  vogliano  fare  oggi  critici  e 

positivisti,  non  può  a  meno  di  non  riconoscer  nelle  cose 

un  fondamento  assoluto.  Ora  tal  fondamento  assoluto  non 

può  esser  posto  tranne  che  in  uno  di  questi  tre  modi:  o 

nel  senso  dell'  idea  platonica,  o  nel  significato  della  cate- 

goria aristotelica,  ovvero  in  una  terza  maniera  nella  quale 

tomi  possibile  un  accordo  fra  l'esigenza  dell'uno,  e  quella 

dell'  altro  indirizzo.  Qual  debba  esser  la  natura  di  tale 

accordo  e  come  porlo  in  opera,  diremo  altrove.  Qui  giova 

avvertire  che  siffatta  legge  non  solo  racchiude  il  nodo, 

per  così  dire,  della  storia  della  filosofia,  tanto  guai-data 

neir  insieme  del  suo  svolgimento  universale  quanto  nei 

suoi  particolari  periodi,  ma  costituisce  ad  un  tempo  la 

vera  scienza  della  storia  del  pensiero  speculativo,  appunto 

perchè  forma  il  triplice  aspetto  sotto  cui  può  esser  con- 

siderata in  sé  medesima  la  mente  del  filosofo  nella  so- 

luzione del  problema  metafisico.  Si  dirà  per  avventura 

che  cotesta  maniera  di  considerare  la  storia  del  pensiero 

filosofico  sia  merce  hegeliana?  Può  darsi  che  in  appa- 

renza la  si  dimostri  tale.  Ma  fin  d'ora  avvertiamo  che 

cosiffatto  principio  è  superiore  all' hegelianismo  stesso, 

in  quanto  costituisce  il  criterio  col  quale  potrà  esser 

giudicato  il  valore  speculativo  di  quel  sistema. 

 

Tornando  al  proposito,  posto  il  Cartesianismo,  Leib- 

nitz  e  Vico  non  potevan  essei-e,  e  nel  fatto  non  sono, 

né  puri  platonici,  né  puri  aristotelici.  Essi  bensì  ci  espri- 

mono il  conato  verso  un  accostamento  scambievoli  dei 

due  indirizzi;  tale  essendo  il  valore  della  loro  universa- 

lità, e  di  quella  sintesi  confusa  ond'  inaugurano,  come 

avvertimmo,  i  due  periodi  moderni  della  filosofia  te- 

desca e  italiana:  i  quali  perciò,  rappresentando  l'ana- 

lisi, costituiscono  il  lavoro  a  cui  necessariamente  con- 

duce  quella  sintesi.  Invero  dopo  Leibnitz  in  Germania 

e  dopo  il  Vico  in  Italia,  la  filosofia  assume,  tanto  nel- 

l'uno quanto  nell'altro  paese,  il  vecchio  contenuto,  ma 

sotto  novelle  forme:  da  una  parte,  la  filosofia  fondata 

nel  sentimento,  e  l'idealismo  assoluto;  dall'altra,  lo 

psicologismo  scolastico,  e  l'ontologismo:  indirizzi  più 

0  meno  esagerati  del  platonismo  e  dell'  aristotelismo. 

E  lasciando  qui  de' due  aspetti  vieti  della  filosofia  ger- 

manica e  dell'italiana,  le  due  forme  che  in  esse  ad- 

dimostrano più  spiccata  originalità  rassomigliano  quasi 

a  due  correnti  che  riescono  a  due  punti  fra  loro  op- 

posti e  contrari,  e  sono  la  filosofia  ctisiologica,  e  quella 

dell'assoluta  identità.  Se  nella  prima  vi  è,  come  s'è 

detto,  processo  e  continuità  di  sviluppo  ;  nella  seconda 

non  manca  già  un  carattere  comune  tra  i  suoi  propu- 

gnatori, n  Teismo  fra  noi  è  venuto  assumendo  evi- 

dentemente forma  sempre  più  netta,  meno  impaccia- 

ta, men  grossolana;  perchè  se  il  concetto  religioso, 

per  dime  un  esempio,  agli  -occhi  del  Galluppi  e  del 

Rosmini  e  del  Gioberti  costituisce  un  elemento  essen- 

ziale nell'organamento  del  loro  sistema,  la  rdigion  civile 

di  cui  ci  parla  il  Mamiani,  è  una  parola  com' un' altra; 

una  parola  che  non  dice  nulla,  o  pochissimo;  e  pure 

ha  fatto  e  fa  tanto  comodo  all'  autore  !  Questo  processo 

e  questo  risultato  della  filosofia  itaUana  è  come  una 

risultante  di  più  forze:  fra  cui  è  da  notare  innanzi 

tutto  r  educazione  storica  tradizionale  e  cattolica,  la 

forma  e  natura  speciale  dell'ingegno  italiano  non  così 

facile,  come  dissi,  a  dar  negli  estremi,  e  segnatamente 

gl'influssi  della  stessa  filosofia  germanica.  Queste  ed 

altre  cagioni  partoriscono  il  movimento  filosofico  in 

Italia  nel  nostro  secolo.  Il  pensiero  filosofico  nostrano 

(e  qui  han  ragione  gli  Hegeliani)  è  venuto  promosso, 

eccitato  dal  pensiero  germanico  ;  a  quel  modo,  potremmo 

dire,  che  le  diverse  forme  di  filosofia  nel  XV  e  XVI 

del  nostro  Risorgimento  vennero  eccitate  dal  sùbito 

risvegliarsi  della  filosofia  greca  e  platonica;  da'  com- 

Aatori  arabi  e  aristotelici  delle  scuole  di  Padova, 

/bologna,  di  Firenze.  Il  Criticismo  esercita  grande 

Zone  sili  GaJluppi;  e  le  tre  forme  dell'Idealismo  ger- 

n/anico,  subbiettivo  obbiettivo  ed  assoluto,  spiegano 

alla  lor  volta  influssi  potenti,  immediati  sul  Gioberti  e 

sul  Rosmini,  come  ci  dimostrano  la  Protologia  del  primo 

e  Ja  Teosofia  del  secondo,  e  anche  in  gran  parte  sul 

Msaniani.  Ma  se  è  vero,  com'  è  verissimo,  che  i  nostri 

filosofi  han  procacciato  d'ormeggiare  i  Tedeschi,  e  questi 

sono  valsi  ad  eccitare  in  quelli  piìi  gagliarda  la  virtù 

speculativa;  è  altrettanto  vero  che  gì' Italiani  mai  non 

cessaron  di  combattere  le  pretensioni  sistematiche  as- 

solute del  Germanismo;  e  questo  è  un  altro  carattere 

comune  che  li  distingue.  Si  può  dire,  in  somma,  che 

il  pensiero  italiano  sia  venuto  affilando  le  armi  nella 

fucina  dello  stesso  avversario:  ecco  tutto. 

Di  chi  sarà  il  trionfo?  Chi  canterà  gl'inni  della 

vittoria  ? 

Parliamoci  tondo  e  netto.  Il  trionfo  dell'  Ontologi- 

smo e  del  Neoplatonismo,  come  ci  è  dato  da'  nostri  filo- 

sofi, è  un'  illusione  ;  ma  non  sarà  meno  illusione  il 

trionfo  dell'  Idealismo  assoluto.  Noi  dunque  non  faremo 

festa  ne  all'  uno  ne  all'  altro,  né  batteremo  le  mani  alla 

vittoria  del  Grermanismo  né  dell'Italianismo,  per  la 

semplice  ragione  che  in  siffatt'  ordin  di  cose  le  credute 

vittorie  ci  paiono  sogni  di  menti  ammalate.  Queste  due 

scuole,  queste  due  filosofie  (ci  sia  permesso  stringerle 

entrambe  sotto  due  concetti  o  indirizzi  distinti)  ci  rap- 

presentano la  speculazione  ardita  del  nostro  secolo;  ma 

per  opposte  ragioni  si  dilungano  entrambe  dalla  casti- 

gatezza della  sintesi  ontologica,  discostandosi  in  pari 

tempo  dalla  severità  del  metodo  istorico  e  psicologico. 

Sennoncthè,  oggi  segnatamente,  chi  ben  le  guardi,  elle 

cercano  allearsi  e  compiersi  a  vicenda,  giusto  perchè 

rappresentano  e  riproducono  anch'esse  l'antica  lotta 

fra  r  Aristotelismo  e  il  Platonismo,  tanto  in  sé  stessa 

e  nel  loro  insieme,  quanto  nelle  loro  particolari  divi- 

sioni,  esprìmendoci  perciò  il  bisogno  perenne  e  crescente 

di  quell'accordo  sperato  sempre,  ma  non  attinto  mai. 

Questo  panni,  dunque,  tutto  il  significato  del  loro  svol- 

gimento; e  questo  mi  sembra  il  problema  alla  cui  so- 

luzione elle  s' affaticano  da  un  secolo  e  mezzo  a  questa 

parte.  Non  è  egli  giusto  quindi  affermare  che  chi  spera 

nel  trionfo  assoluto  dell'una  su  l'altra  spera  invano,  e 

chi  s' affida  in  certi  accordi  e  temperamenti  in  sostanza 

esclusivi  e  unilaterali  non  ispera  peggio?  Citiamone  un 

esempio.  Il  Gioberti  dello  Spaventa,  lavoro  (checché  se 

ne  dica  dagli  hegelianissimi)  d'una  potenza  critica  vera- 

ramente  singolare  fra  noi  dopo  i  libri  del  Rosmini,  nelle 

intenzioni  dell'  autore  dovrebb'  essere  un  accordo  tra  la 

filosofia  italiana,  e  la  così  detta  filosofia  moderna  Euro- 

pea. Lasciando  stare  quel  moderna  e  molto  piii  Y  europea 

(frase,  la  quale  a  me  rammenta  quella  che  han  su  la 

punta  della  lingua  i  Pontefici  di  Roma  quando  costoro 

menan  vanto  de'  creduti  e  desiderati  dugento  milioni  di 

cattolici),  io  chiederei,  se  il  fare  assorbire  à  quel  modo 

eh'  egli  ha  fatto  il  filosofo  italiano  dal  filosofo  tedesco, 

sia  da  dirsi  accordo,  o  non  più  veramente  un  solenne 

trionfo  del  secondo  sul  primo,  e  quindi  '1  trionfo  asso- 

luto del  divenire  sul  creare? ¥*  allora  dov'è  mai  l'ac- 

cordo fra  le  due  filosofie? 

Un  accordo,  come  suona  la  parola,  è  necessario,  ed 

è  razionale;  che  posta  l'analisi,  posto  il  lavoro  anali- 

tico di  quel  doppio  indirizzo,  una  sintesi  ne  dovrà  sgor- 

gare di  necessità.  E  il  fatto  stesso  ce  ne  porge  prova 

e  guarentigia.  Il  Mamiani,  l'autore  delle  Confessioni^ 

ha  pronunziato,  fira  le  altre,  questa  gran  verità:  d'aver 

egli  concluso  e  chiuso,  fra  noi,  un  periodo  filosofico  nel 

quale  egli  stesso,  col  Galluppi  e  col  Rosmini  e  col  Gio- 

berti, è  venuto  cogliendo  allori  molti,  e  ben  meritati. 

L'À.  delle  Confessioni  ha  detto  benissimo:  ha  chiuso  dav- 

vero un  periodo  ;  ma  solo  ha  dimenticato  avvertirci  che 

in  esso  egU  ha  chiuso  anche  sé  medesimo.  Chi  consi- 

deri infatti  il  suo  neoplatonismo,  per  quel  tanto  che 

contiene  di  correzione  verso  gli  altri  nostri  filosofi, 

l'illustre  Pesarese  ha  merito  grande;  ma  avvisato  in 

sé  stesso  cotesto  neoplatonismo,  specie  quant'  alla  parte 

psicologica,  è  già  morto  in  sul  nascere.  E  doveva  esser 

così,  almeno  per  chi  voglia  ammettere  che  la  storia 

della  filosofia  non  possa  esser  ripetizione  inutile  e  in- 

fruttuosa di  teoriche  trascendentali.  D'altra  parte  l'He- 

gelianismo,  checché  se  ne  voglia  dire,  ha  oggimai  esau- 

rito la  propria  vitalità  con  lo  scindersi  nello  tre  note 

scuole  di  destra,  sinistra  e  centro.  Oggi  dunque  non  è 

impossibile  raccorre  i  frutti  di  così  lungo,  di  così  osti- 

nato lavoro,  e  di  lotte  e  contrasti  e  discussioni  infinite 

attuatesi  nei  due  paesi,  appo  cui  l' ingegno  europeo 

serba  piii  acconcia  e  vigorosa  virtù  speculativa.  A  tale 

impresa  hann'  influito  efficacemente  i  nostri  hegeliani, 

r  opera  dei  quali  riguardata  stòiicamente,  io  non  du- 

biterei chiamarla  provvidenziale.  Nelle  mani  di  questo 

infaticabile  artefice  che  appelliamo  storia,  i  nostri  he- 

geliani sono,  mi  si  lasci  dir  così,  un  istrumento,  un 

mezzo,  acciocché  nel  possibile  accordo  delle  due  filo- 

sofie abbia  a  trionfare  il  vero.  Più  che  apostoli  e  messia 

e  predicatori  della  buona  novella,  com'  essi  medesimi  si 

piaccion  segnalarsi,  sia  col  tradurre  le  opere  di  Hegel, 

come  fa  il  Vera,  sia  col  modificarne  e  interpretarne  le 

dottrine,  come  fa  Spaventa,  e'  mi  paion  la  condizione 

imprescindibile,  efficace,  perché  il  pensiero  filosofico 

possa  innovare  sé  stesso  nella  pienezza  d' una  coscienza 

speculativa  chiara,  intima,  vivace,  sceverando  dal  vero 

quel  carattere  arbitrario  di  costruzioni  dommatiche  il 

quale  accompagna  i  pronunziati  dell'  Idealismo  assoluto. 

L' Hegelianismo  é  cosa  nostra:  lo  ha  detto  il  profes- 

sore Spaventa;  ed  é  verissimo.  Ma  é  cosa  nostra  in 

quanto  è  anche  un  assoluto  realismo;  realismo  obbiet- 

tivo nel  vero  senso  della  parola,  non  già  campato  a 

mezz'aria,  com'è  quello  di  Hegel,  il  quale  perciò  usurpa, 

non  legittima  il  significato  della  obbiettività. 

Ripetiamolo:  se  la  filosofia  ha  bisogno  d'innovarsi 

esi-  i 

stro  \ 

ica.  i 

diventando  positiva  e  razionalmente  positiva,  tale  esi 

genza  del  pensiero  italiano  e  tedesco,  pia  che  dal  nostro 

cervello,  ha  da  scaturire  dalla  stessa  ragione  istorica 

Osservando  lo  svolgersi  di  queste  due  forme  del  pen- 

siero filosofico  moderno,  è  facile  accorgersi  com'elle 

assomiglino  (ci  si  permetta  un  paragone)  al  cammino 

di  due  linee  le  quali,  partendo  lontane  fra  loro,  nondi- 

meno si  vadano  accostando  sempreppiù.  L'una  s'è  mossa 

prima  dell'  altra  ;  e  assai  più  spedita  e  più  rapida  ne'  suoi 

passi  e  difilatamente  ha  percorso  assai  più  lungo  tratto 

che  non  abbia  guadagnato  la  seconda.  Questa  poi  s' è 

mossa  dopo,  e  spesso  è  venuta  sviando  e  svagando  per 

più  e  diverse  ragioni;  ma,  non  altrimenti  che  ne' feno- 

meni elettrici  d'induzione,  passo  passo  ne  ha  sentito 

gì'  influssi,  e  le  si  è  venuta  più  e  più  avvicinando.  Un 

punto  di  coincidenza,  dunque,  fra  queste  due  linee  con- 

vergenti è  necessario;  ma  la  grave  difficoltà  sta  nel 

trovare  cotesto  punto.  Usciamo  di  figura.  Se  i  due  pe- 

riodi filosofici  nel  dischiudersi  per  opera  del  Leibnitz 

e  del  Vico  mostrano,  come  vedemmo,  cert' affinità 

spontanea  e  incosciente,  è  pur  mestieri  che  cotest' affi- 

nità s'abbia  da  palesare  altresì  nel  loro  chiudersi;  ma 

s' ha  da  palesare  cosciente,  riflessa,  e  quindi  promossa, 

eccitata,  ricercata  e  partorita  dalla  stessa  ragione  come 

funzione  filosofica.  E  pensiero  moderno  debbe  aver 

coscienza  di  tale  affinità:  né  può  averla  se  non  la 

cerca;  né  può  cercarla  efficacemente  se  non  la  pone.' 

*  Ninno  si  meraTigli  se  fra*  vari  indirìzzi  moderni  della  filosofia  noi 

qui  non  abbiamo  tenuto  conto  altro  cbe  della  speculazione  tedesca,  e 

dell*  italiana.  L' ingregno  inglese  procede  sempre  a  un  modo,  ne  da  due 

secoli  A  questa  parto  ò  mai  uscito  dalle  orme  segnategli  dal  suo  Bacone, 

e  poi  dal  Locke,  da  Hume  e  dalla  Scuola  scozzese.  Spencer  e  Mill  ce  *1 

dicono  chiaramente  ;  ne*  quali  filosofi  è  pur  chiaro  un  progresso  rispetto 

ai  loro  antecessori,  ma  è  un  progresso  monotono,  omogeneo.  L*  ingegno 

francese  poi,  dopo  le  grandi  tracce  lasciategli  dal  Cartesianismo,  si  è 

svolto  sempre  fra  11  Sensismo  eil  un  acquoso  Spiritualismo  ;  né  la  scuola 

eclettica,  i  cut  ultimi  rappresentanti  oggi  fan  tanto  onore  alla  Francia, 

ha  nulla  di  veramente  originale.  )£  una  bella  eccezione  in  quel  paese  la 

scuola  e  gli  studi  iniziati  dal  Main^de  Biran.  Se   dunque  originalità  di 

 

 

Italia  e  Glermania,  madri  d'ogni  grande  filosofia  e  dìvi- 

natrici  delle  più  ardite  concezioni  metafisiche,  per  ne- 

cessità isterica  hann'a  risalire  alle  loro  primitive  sor- 

genti moderne,  Leibnitz  e  Vico  ;  ma  risalirvi  (intendia- 

moci) con  tutta  quell'opulenta  ricchezza  che  a  noi 

porge  il  lavoro  di  specukzione  compiutasi  nello  spazio 

di  due  secoli.  Il  trionfo  ha  da  esser  comune,  perchè 

comune,  quantunque  diviso,  è  stato  il  lungo  lavoro. 

Se  non  fosse  cosi,  la  conseguenza,  per  le  menti  che 

con  ansia  febbrile  e  con  ignorati  e  crudeli  tormenti 

ma  con  altrettanta  fede  si  travagliano  invittamente 

nella  ricerca  d'ogni  parte  spinosa  della  verità,  sa- 

rebbe dura  davvero,  sarebbe  sconfortevole.  E  la  con- 

seguenza è,  che  la  storia  sarebbe  un'  ingiustizia  :  ingiu- 

stizia altrettanto  manifesta  e  insopportabile,  quanto 

inesplicabile.  Ancora  :  se  questi  due  periodi,  queste  due 

filosofie  di  cui  si  parla,  non  avessero  quelle  attinenze  e 

quel  valore  e  quel  fine  che  noi  diciamo,  elle  assomiglie- 

rebbero a  due  forze  distratte,  inconsapevoU,  naturali, 

sciolte  da  ogni  legge,  libere  da  ogni  ragione;  sì  vera- 

mente che  le  analogie  e  le  differenze  e  l'intero  loro 

svolgimento  sarebbero  tutte  cose  accidentali,  estrinseche, 

meccaniche,  fortuite,  e  perciò  stesso  empiriche,  perciò 

stesso  inesplicabili,  perciò  stesso  insignificanti,  non  al- 

trimenti che  que'  riscontri  ingegnosi  ma  vani,  ma  incon- 

cludenti, che  alcuni  storici  sanno  scorgere  fi-a  la  storia 

d'un  popolo,  e  quella  d'un  altro,  fra  la  China,  per  esempio, 

e  l'Europa,  tra  Confucio  e  Pitagora,  fra  il  Celeste  Impero 

e  il  Teocratismo  papale,  come  fa  il  nostro  Ferrari.  Or  noi 

domandiamo  alla  coscienza  di  tutti  gl'indefessi  indagatori 

del  vero;  domandiamo  alla  coscienza  degli  amici  sinceri 

e  de'  sinceri  nemici  della  filosofia  :  È  egli  mai  possibile 

speculazione  oggi  è  possibile,  è  d' uopo  ricercarla,  quantunque  sotto 

forme  diverse  e  con  risultato  e  valore  differente,  nell*  ingegno  tedesco  e 

italiano.  So  che  gli  Hegel ianissimi  sorrideranno  di  gran  cuore  a  queste 

parole.  Ma  io  qui  vo* restringermi  a  chiedere,  se  da  quarantanni  a 

questa  parte  fuori  d*  Italia  ci  sìa  stato  filosofo  che  possa  reggere  al  para- 

gone dell'ingegno  del  Rosmini,  miracoloso  per  acutezxa  speculativa. 

che  la  storia,  massime  la  storia  del  pensiero  filosofico, 

abbia  da  essere,  o  un'  opera  cotanto  ingiusta,  ovvero  un 

artifizio  cotanto  sterile,  infruttuoso  e  meccanico? 

Concludo  per  ciò  che  riguarda  il  nostro  filosofo 

nonché  la  seconda  parte  del  nostro  lavoro.  Si  è  detto 

e  si  dice  che  il  Vico  non  ispiegò  efficacia  di  sorta  nel 

soQ.  secolo.  E  poi  s' aggiunge  che,  quand'  ei  venne  sco- 

perto (e  fu  vera  scoperta)  noi  già  l' avevamo  sorpassato. 

Sarà  vera  V  una  cosa  e  l' altra.  Ma  gli  uomini  grandi 

e  ì  grandi  ingegni,  se  vogliamo  stare  all'  osservazione 

di  Stuart  Mill,  i  quali  per  difetto  di  favorevoli  oc- 

casioni non  poteron  lasciare  traccia  alcuna  di  sé  nella 

loro  età,  spesso  sono  stati  di  gran  valore  per  i  posteri.* 

Tale  per  noi  è  il  Vico;  e  tale  si  é  pure  la  sua  Scienza 

Nuova.  S'ei  nulla  valse  pe'  nostri  padri  (il  che  non  è 

vero),  vale  moltissimo  per  noi.  Solamente  in  lui  potremo 

rannodar  gli  anelli  della  nostra  tradizione  scientifica: 

in  lui  ricongiugnere  il  nostro  Rinascimento  col  nostro 

moderno  Risorgimento.  Per  andare  avanti  debitamente, 

come  suona  il  motto  volgare,  è  d' uopo  dare  un  passo 

indietro  :  Chi  vuol  salire,  pigli  V  aire.  Se  questo  é  vero, 

se  questo  é  necessario  in  tutto;  non  sarà  altrettanto 

vero,  altrettanto  necessario  in  filosofia? 

Con  sifi'atti  intendimenti  noi  prendiamo  ad  interpre- 

tare il  principio  filosofico  della  Scienza  Nuova.  L' acuto 

Littré  lia  detto  benissimo:  Tout  annonce  gu'on  ne  verrà 

plus  aucune  grande  éruption  métaphysigue,  comparàble 

à  celles  qui  otit  signaU  Vére  moderne  depuis  Descartes, 

et  qui  ont  abouti  à  HegeV  Ma  la  conseguenza  vera  non 

è  quella  che  ne  trae  il  positivista  francese,  bensì  quella 

che  ne  ricaviamo  noi  :  e  tal  conseguenza  é  la  necessità 

di  critica,  la  necessità  di  ritomo  critico  su  la  feconda 

speculazione  degli  ultimi  grandi  filosofi,  e  quindi  la  ne- 

cessità d'un  accordo  fra  essi. 

 

'  St.  Mill.  SytL  de  Log.,  toI.  2,  pag.  545. 

*  LiTTRi,  Princ  de  Phtl.  Poeit.,  Pré/,,  pag.  59,  Paris,  1868, 

Il  concetto  della  Scienza  e  '1  concetto  del  Criterio  si 

richiamano  a  vicenda,  poiché  non  si  può  determinar  l'uno 

senza  additare  nel  medesimo  tempo  il  significato  del- 

l' altro.  La  prova  più  facile  e  megUo  convincente  di  tale 

affermazione  ci  è  data  dalla  storia  della  filosofia;  non 

v'essendo  sistema,  non  dottrina  filosofica,  nella  quale 

que'  due  concetti  non  rispondan  fra  loro  per  caratteri 

comuni,  e  per  note  affini  ed  omogenee.  E  poiché  applicare 

il  criterio  vai  come  imprimere  forma  al  conoscere,  onde 

poi  risulta  il  metodo;  è  naturale  che,  tanto  l' idea  della 

scienza,  quanto  quella  del  criterio,  abbiano  a  racchiu- 

dere altresì  la  nozione  del  metodo.  Se  non  che,  scienza 

metodo  e  criterio  sono  tre  concetti  dipendenti  dalla 

soluzione  d' un  medesimo  problema,  del  problema  della 

conoscenza:  nel  quale  perciò  si  radica  propriamente, 

direbbe  il  Trendelemburg,  l' ultima  differenza  de'  siste- 

mi. Sono  dunque  tre  aspetti  diversi,  sono  tre  diverse 

determinazioni  d'un  medesimo  subbietto;  le  quali  noi 

non  possiamo  definire,  ma  espUcare,  stanteché  la  defi- 

nizione, secondo  il  detto  di  Campanella,  sia  come  la 

conclusione  e  quasi  l' epilogo  della  scienza  stessa.  Nel 

circolo  della  riflessione  infatti  la  mente,  ripiegandosi 

in  sé  medesima  si  compie,  si  pone,  si  determina,  cioè 

si  definisce;  e  si  definisce  perchè  si  è  venuta  esplicando; 

e  con  r esplicarsi  mostra  col  fatto  che  cos'è  mai  T in- 

tendere, quali  vie  abbia  percorso,  e  con  che  guarentigie 

si  possa  pervenire  ai  risultamenti  più  sicuri  del  sapere. 

Nondimeno  ci  è  cose  che  noi  potremo  sapere  fino 

da  ora  ;  voglio  dire  le  condizioni  del  sapere.  In  che  mai 

dobbiamo  fondare  la  scienza?  In  che  porre  i  limiti  del 

sapere  metafisico?  I  più  de'  filosofi,  com'  è  noto,  si  fanno 

tosto  a  rispondere:  «  su  la  natura  e  sul  valore  dell'uomo 

stesso.  »  Ma  il  punto  è  precisamente  questo:  qual'  è  mai 

la  natura,  qual  è  il  valore  dell'  uomo  ?  La  risposta  più 

seria  e  positiva  a  tale  domanda,  se  non  vogliamo  per- 

derci nelle  solite  ciance  trascendentali,  panni  questa: 

che  l'uomo,  l'uomo  quale  ci  è  dato  da' fatti  e  dalla 

storia,  non  l' uomo  concepito  sotto  forma  di  spirito  del 

mondo  {der  WéUgeisf),  non  sia  tutto,  e  nemmanco  nulla  :  * 

di  che  ci  porgono  guarentigia  nel  medesimo  tempo  la 

coscienza,  l'esperienza  e  la  ragione.  Ora  se  questo  è  vero, 

due  conseguenze  n'emergono  innegabili;  la  prima,  che 

la  scienza,  tolta  nel  significato  di  sapere  metafisico, 

non  può  esser  né  propriamente  negativa,  né  propria- 

mente assoluta;  la  seconda,  che  non  si  può  esser  siste- 

matici e  dommatici,  non  essendo  noi  tanto  fortunati  da 

possedere  una  formola  assoluta  entro  cui  mostrar  chiusa 

la  ragione  ultima  e  propriamente  essenziale  delle  cose. 

Ma  diremo  perciò  che  il  filosofare  altro  non  possa  essere 

fuorché  una  pura  e  semplice  ricerca  sfornita  di  qual  si 

voglia  risultamento  metafisico  che  sia  positivo,  sicuro, 

determinato?'  Che  se  anche  per  noi  filosofia  suona ri- 

'  Homo  quia  neque  nthU  e«(,  neqite  omnia^  nee  nihil  percipit,  nec  in,' 

Jinitum,  —  De  sntiqaiss.  Italoram  sapientia,  cap.  Ili,  16. 

*  Filosofo  dommatieo  e  filosofo  nttematioo  a$8oluto  per  noi  suona  il 

medesimo,  anche  ammesso  che  un  sistema  possa  esser  costruito  per  sola 

Tìrtù  di  ragione,  e  innalzato  (se  fosse  possibile)  ad  evidenza  matematica, 

secondo  che  pretendon  gli  Hegeliani.  Il  dommatismo  volgare,  teologico, 

fondandosi  in  un  principio  estrinseco  alla  ragione,  è  da  ripudiarsi  per 

difetto;  ne  conveniamo.  Ma  il  dommatismo  sistematico  de*  metafisici  as- 

solati col  pretender  troppo,  anzi  tutto,  non  è  da  ripudiarsi  per  eccesso  ? 

Différiscon  ne'  mezzi  infinitamente,  io  lo  so  ;  ma  il  risultato  è  il  mede- 

cerca  e  amor  di  sapere,  nondimeno  è  ricerca  effettiva, 

è  ricerca  non  solo  atta  a  raccogliere  il  fatto,  ma  tale  che 

sia  un  fare  altresì  ella  medesima,  cioè  una  funzione  cri- 

tica, ma  efficace,  positiva,  attuale,  come  può  e  debb'es- 

sere  dopo  il  Kant;  funzione  quindi  capace  non  già  a  ri- 

mandarci al  futuro,  cioè  ai  risultati  della  storia,  sibbene 

a  saperci  dire  qualcosa  anc'  oggi  su'  grandi  e  terribili 

problemi  di  nostra  esistenza,  del  mondo,  della  vita,  della 

società.  Se  la  scienza  è  possibile,  come  alcuni,  positivisti 

cominciano  a  credere,*  non  vuol  essere  in  qualche  ma- 

niera attuale?  Poiché,  giova  bene  ripeterlo  anche  qui, 

un  possibile  che  mai  non  esca  dalla  nuda  possibilità,  in 

realtà  non  è  alti*o  che  un  impossibile! 

È  da  dire  perciò  che  tanto  V  idealista  assoluto  o 

l'ontologista  Giobertiano,  i  quali  in  una  formola,  tut- 

toché diversissima,  ti  assommano  la  ragione  d'ogni  umano 

e  divino  sapere,  quanto  il  positivista  e  il  puro  critico 

che  ogni  sapere  metafisico  dichiarano  impossibile,  escano 

tutti  dal  positivo,  perchè  chiudon  l'indagine,  e  spen- 

gono siffattamente  ogni  bisogno  critico  nel  pensiero.  E 

così  neir  uno  come  nell'  altro  caso,  la  mente  si  rimane 

impigliata  in  un'  affermazione  supremamente  domma- 

tica:  dommatica  positiva  (sistematica)  nel  primo,  dom- 

matica  negativa  (esclusione  della  metafisica)  nel  secondo. 

Or  la  filosofia  intanto  può  assumere  forma  e  valore  di 

speculaziope  positiva,  in  quanto  riesce  a  schivare  non 

pure  il  donmiatismo  (il  sistema  assòluto  propriamente 

detto),  ma  eziandio  l'assoluto  positivismo  (scetticismo, 

nullismo  metafisico).  Fra  questi  contrari  il  filosofo  che 

Simo,  perchè  Tano  con  la  credenza  e  l'altro  con  la  dimostrazione  pre- 

samono  darci  tutto  il  vero.  Entrambi  quindi  negano  1*  attività  speculatÌTa; 

il  primo  la  nega  dichiarando  la  ragione  impotente,  il  secondo  la  nega 

reputandola  esauribile  anzi  esaurita  e  soddisfatta.  Che  nel]*  insieme  delle 

dottrine  del  Vico  non  vi  sia  pretensione  di  gUtema  propriamente  detto, 

Tabbiam  visto  riportando  (pag.  173)  alcune  parole  della  Conchu.  del 

Libro  MetaJUieot  e  meglio  si  può  vedere  laddov*egli  accenna  ai  dom- 

matici  del  suo  tempo  ch'erano  i  Cartesiani.—  De  Antiqui^,  etc.,  Gap.  I,  §  2. 

'  Vedi  la  Conclus.  dell'ultimo  libro  del  Taine  suìV Intelliyenza, 

 

voglia  esser  davvero  positivo,  sa  di  non  esser  domma- 

tico;  ma  poi  sa  qualche  altra  cosa.  Egli  sa  di  non  po- 

ter esser  mai  dommatico,  non  mai  sistematico  assoluto. 

Sa  di  non  saper  tutto,  e,  che  più  monta,  può  giugnere 

a  conoscere  la  ragione  per  cui  deve  ignorare  qualche 

cosa.  È  il  caso  del  sapere  del  non  sapere,  appunto  per- 

chè se  ne  ha  coscienza.  —  E  non  è  ignoranza  cotesta? 

mi  si  dirà.  —  Sì,  certo,  è  ignoranza:  ma  è  ignoranza 

dotta,  direbbe  il  Cusano. 

Tre  ci  sembrano  adunque  le  condizioni,  tre  i  carat- 

teri precipui  del  filosofare  che  voglia  riescire  seriamente 

e  razionalmente  positivo;  e  sono  questi: 

A)  La  speculazione  filosofica  non  può  esser  fon- 

data sopra  elementi  che  non  siano  sperimentali,  ma  di 

esperienza  intema  ed  esterna.  Tutto  è  processo,  genesi, 

attività  nel  pensiero;  stantechè  tutto  in  lui  sia  generato, 

tutto  edotto  mercè  i  dati  sperimentali.  Né  questo  vuol 

dire  sensismo,  psicologismo  grossolano,  nettampoco  ma- 

terialismo ed  empirismo,  come  potrebbe  parere  a  tutta 

prima;  perocché  non  per  nulla  ne'  ricchi  annali  della 

moderna  filosofia  esistono,  chi  voglia  meditarli  sul  serio, 

i  Nuovi  Saggi  del  Leibnitz,  la  Critica  della  Ragion  pura 

e  quella  sul  Giudizio  di  Kant,  il  Nuovo  Saggio  del  Ros- 

mini, e  qualche  altro  libro  di  questo  genere,  ma  non 

certo  d' egual  valore.  Fatti  dunque  (ripetiamo  anche  noi 

co'  Positivisti)  e  leggi  de'  fatti  ;  ma,  aggiungiamo,  la 

ragione  anche  degli  uni  e  dell'altre. 

B)  La  filosofia  non  meriterà  titolo  di  positiva,  dove 

pretenda  procedere  scompagnata  dall'  altre  scienze,  e 

far  da  sé.  Come  nella  soluzione  de'  grandi  problemi  que- 

ste non  bastano  a  sé  stesse,  parimenti  non  v'  è  ragione 

a  credere  che  anche  quella  da  sola  non  abbia  a  soggia- 

cere alla  medesima  condizione.  Che  se  mossa  da  antico 

orgoglio  presuma  d'essere  scienza  di  tutto,  per  ciò  ap- 

punto eli' abbisogna  di  tutto;  abbisogna  di  tutt'i  fatti, 

di  tutta  r  esperienza,  del  concorso  di  tutte  quante  le 

sfere  e  discipline  dell'  lunana  enciclopedia.  Il  perchè  non 

si  può  dire  in  modo  assoluto  esser  la  metafisica  quella  che 

generi  le  scienze;  vecchia  pretensione  del  teologismo 

che  ci  ricaccerebbe  nel  più  fitto  medio  evo:  ma  nean- 

che si  può  aflFermare  esser  le  scienze  quelle  che,  come 

altrove  notammo,  possano  di  per  sé  sole  partorire  la 

filosofia.  A  due  patti  la  funzione  filosofica  riesce  posi- 

tiva: quando  sia  generata  dalle  scienze,  e  quando,  ge- 

nerata che  sia  in  qual  si  voglia  modo,  possa  e  sappia 

come  ogni  produzione  organica  viver  da  sé,  e  far  vi- 

vere. Non  è  dunque  vero  che  all'altre  discipline  ella 

porga  principii  e  dispensi  metodi  e  partecipi  criteri.  Ri- 

ceve anzi  dal  di  fuori  tutte  queste  cose;  ma  per  legit- 

timarle, organarle,  ricrearle  :  il  che  non  può  esser  rico- 

nosciuto dal  positivista  conseguente  a  sé  stesso,  senza 

ch'egli  inciampichi  in  contraddizioni  per  quanto  evidenti 

altrettanto  inevitabili. 

C)  Il  terzo  carattere,  conseguenza  da' due  primi,  è 

questo;  che  concepita  così  la  filosofia  di  fronte  alle  altre 

scienze,  ella  riesce  positiva,  ma  non  però  cessa  di  posse- 

dere un  valore  metafisico.  Diventa  metafisica,  non  meta- 

fisica teologica,  né  metafisica  a  priori  e  tutta  d'un  pezzo; 

orditura  dialettica  ideale  somigliante  a  rete  d' acciaio  che 

stringa,  affoghi  e  strozzi  tutto  ciò  che  tocca  o  ricopre. 

Diventa  bensì  metafisica  atta  a  costruire  sé  stessa,  ma  in 

quanto  costruisce  anche  le  scienze;  in  quanto,  in  somma, 

é  attività  filosofica  d'un'  attività  anteriore,  dell'attività 

scientifica,  sperimentale,  molteplice,  essenzialmente  ana- 

litica e  particolare.  Non  é  quindi  lecito  confondere, 

né  identificare  queste  due  sorgenti  d'attività,  sia  ridu- 

cendo la  prima  alla  seconda,  sia  facendo  che  questa 

venga  tutta  assorbita  in  quella.  Evidentemente  con- 

traddiremmo ad  un  fatto;  contraddiremmo  al  bisogno 

potente  in  ogni  tempo,  in  ogni  luogo  per  la  specula- 

zione. Perocché  non  è  possibile  (per  dirla  con  le  me- 

morabili parole  di  Kant)  che  V  uomo  rinunei  alla  me- 

tafisica, come  non  rinunzia  cMa  respiratone  anche  con 

la  paura  di  respirare  uri  aria  malefica. 

Queste  condizioni  che  noi  poniamo  alla  ricerca  filo- 

sofica sono,  quanto  semplici,  altrettanto  positive.  Non  è 

a  dirsi  eh'  elle  precludano  e  arrestino  in  modo  alcuno  la 

funzione  critica,  secondo  che  incontra  tanto  ai  nemici 

d'ogni  sistema,  quant'  ai  sistematici  assoluti.  Nel  deter- 

minare infatti  la  natura  e  '1  fine  della  scienza,  i  primi 

ci  dicono:  «  non  bisogna  tentar  V  impossibile  prefiggen- 

doci '1  fine  di  conoscere  VinconoscìbUe,  Tassoluto.  »  Ecco 

posta  al  sapere  una  condizione  essenzialmente  negativa, 

perchè  contraddice  alla  natura  stessa  del  pensiero  e  del- 

l' attività  critica.*  I  secondi  poi,  cioè  i  sistematici,  so- 

stengono che  la  scienza  non  solo  può  e  deve  attingere 

r  assoluto,  ma  ha  da  ridurlo  trasparente  così  da  ade- 

quarlo, da  conoscerlo  sicuti  esty  altrimenti  vai  come  nulla 

conoscere.*  Ma  se  cotesto  conoscere  (metafisicamente) 

il  tutto,  fosse  un  bel  sogno;  non  ne  verrebbe  che  nulla 

*  I  poBitWisti  credono  anch*  essi  no  fatto  il  bisogrno  specalativo  ;  e 

come  fatto  noi  negano.  Ma  dopo  aver  distinto  quel  che  in  esso  ?*  ha  di 

permanente,  cioè  la  presenza  perpetua  dell'infinito  nollo  spirito,  da  ciò 

che  è  transeunte,  eh'  è  dire  1*  inutile  sforzo  a  risolverò  problemi  per  se 

medesimi  insolubili,  sogrgiungono :  e  Se  l'Assoluto  è  qualche  cosa,  non  può 

essere  che  una  realtà. Ora og^ni  realtà  si  conosce  mercè  l'esperienza,  la 

quale,  del  resto,  non  potendosi  applicare  all'Assoluto,  ci  fa  piombare  In 

un  circolo  senza  uscita.  Dunque  la  metafisica  e  una  fase  tratmtorta  dello 

•pirito  umano,  »  (Littré,  Prineip.  de  Phtl.  Posiu  Prófac.  p.  53, 1868.)  In- 

nanzi tutto  domandiamo,  se  condizione  permanente  del  fatto,  che  nel 

caso  nostro  è  il  bisogno  della  speculazione,  ò  la  presenza  nel  pensiero 

d'un  infinito,  non  sarà  appunto  per  ciò  possibile  una  ricerca  metafisica? 

Quant'all'inutile  sforzo  poi  non  approda  fondarsi  nella  storia,  non  potendo 

in  siffatt'  ordin  di  cose  indurre  legittimamente  dal  passato  al  futuro. 

Finalmente,  quant'al  circolo  senz'uscita,  osserviamo  che  l'assoluto  è  reale, 

realissimo,  ma  non  di  realtà  sensata  e  tangibile  ;  e  non  è  vero  che  ogni 

realtà  non  si  possa  altrimenti  conoscere  se  non  per  l'esperienza  ;  errore 

capitale  del  Positivismo.  Queste  ed  altre  risposte  han  dato  al  Littré  i 

medesimi  francesi,  specialmente  Janet,  Caro,  Vacherot,  Rénouvier,  Pillon, 

Reville,  Laugel.  A  noi  piace  rammentargli  un'altra  bella  sentenza  d'un 

filosofo  poco  fa  citato  non  certamente  benevolo  ai  matefisici:  Una  me- 

tajinca  è  tempre  enttita  e  tempre  eneterà  nell*  umanità^  perche  etto  ì  ine- 

rente  alle  invettigagioni  della  ragione  umana  che  epecìda.  —  E.  Kant,  Critica 

ddUi  Ragion  Pura^  noli' Introd.  alla  2.*  odiz.  §  1. 

"  Niente  ni  conosce  te  tutto  non  ti  conotce.  —  Spaventa,  Lex.  di  FU. 

p.  154.  —  Vrba,  specialmente  nell' /n<rod.  à  la  PkU.  d'Hegel. 

davvero  potremmo  dir  di  conoscere  appunto  perchè  non 

conosciamo  tutto?  Ecco  anche  qui  posta  una  condizione 

al  sapere  affatto  negativa,  comecché  paia  essenzial- 

mente e  supremamente  positiva.  Certo  è  positiva;  ma 

è  positiva  solo  nel  desiderio,  solo  nelle  intenzioni  e 

pretensioni  de^  sistematici,  non  già  nel  fatto,  non  già 

ne' risultati  della  scienza  ch'ei  ci  ammanniscono. 

 

Al  contrario,  condizioni  positive  del  filosofare  ci 

sembran  quelle  da  noi  poco  fa  rammentate,  massime 

la  prima  ;  nella  quale,  se  non  escludiamo  la  possibilità, 

non  ammettiamo  né  pur  Timpossibilità,  l'assoluto  difetto 

d'un  conoscere  metafisico.  Escludiamo  bensì  l'autorità: 

e  dicendo  autorità  intendiamo  dir  tutto  ciò  che  non  sia 

ragione;  come  dicendo  ragione,  intendiamo  dire  altresì 

la  storia,  i  fatti,  la  natura,  la  tradizione  scientifica,  ma 

avvisate  queste  cose  come  altrettanti  mezzi  ond'ella  si 

manifesta  e  progredisce  e  riconosce  sempre  piii  chiara 

l'opera  propria  nel  lungo  e  faticoso  lavoro  deUa  storia. 

Capitolo  Primo, 

dottrina  della  scienza  e  del  criterio. 

Si  è  detto  e  si  dice  che  il  sapere,  le  scienze,  l'en- 

ciclopedia, siano  quel  che  sono  le  cose  stesse:  un  orga- 

nismo. E  s'è  detto  benissimo.  Ma  che  è  egli  mai  l'or- 

ganismo? Che  cos'  è  la  vita? 

Se  neanche  per  noi  è  vero  che  l' organismo,  in  ge- 

nerale, abbia  a  rampollare  dalla  virtù  d'un  principio 

vitale,  come  credevano  i  vecchi  fisiologi  dinamisti,  nul- 

lamanco  è  verissimo  ch'egli  ha  da  raccogliersi,  per  così 

dire,  in  un  principio,  e  integrarsi  in  una  forma  d' unità. 

Se  cosi  non  fosse,  il  concetto  d' organismo  tornerebbe 

altrettanto  inintelligibile  nel  pensiero  quanto  impossibile 

nell'ordine  della  realtà.  La  vita  è  innanzi  tutto  unione 

iniziale,  concorso  rudimentale  delle  comuni  efficienze 

di  natura  chimica,  fisica  e  meccanica;  appresso  vuol 

esser  anche  unità,  unità  resultante^  unità  vera,  stan- 

techè  vivere  non  sia  che  generazione  incessante,  in- 

cessante attività,  e  quindi  processo  essenzialmente  te- 

leologico. Simigliantemente  nella  vita  delle  scienze, 

condizione  imprescindibile  è  un  principio;  e  questo 

principio  ha  da  emei^ere  dal  loro  medesimo  seno,  ma 

non  per  sola  virtù  di  esse.  Perocché,  dicemmo,  non 

più  che  in  due  modi  e  per  due  ragioni  la  filosofia  po- 

trebbe scaturir  dalle  scienze;  o  perchè  racchiusa  in 

ciascuna  d'  esse,  o  perchè  contenuta  nel  loro  insieme  : 

non  v'è  scampo.  Se  vero  il  primo  caso,  ciascuna  sarebbe 

già  filosofia,  e  basterebbe  a  sé  medesima.  Se  vero  il  se- 

condo, servirebbe  conoscerle  tutte  per  possedere  altresì 

la  filosofia,  e  dirci  filosofi;  o,  che  torna  il  medesimo, 

basterebbe  accozzarle  tutte,  basterebbe  possederle,  per 

aver  l'organismo  del  sapere.  Coteste  supposizioni  sono 

entrambe  erronee;  e  quindi  sorgente  unica  e  assoluta 

del  filosofare  non  possono  esser  le  scienze,  comunque 

le  si  voghan  considerare. 

La  conseguenza  che  vien  fuori  da  questo  nostro  di- 

scorso ci  sembra  assai  logica  e  altrettanto  chiara.  La 

Scienza,  il  sapere  per  via  di  scienza,  non  istà  nello  svol- 

gimentó  d^un  principio  (Gioberti  e  Rosmini).  Non  istà 

nemmanco  in  un  principio  che  legittimi  sé  stesso  in  quanto 

si  faccia  sistema,  si  svolga,  s'attui,  si  realizzi  (Fichte, 

Schelling,  Hegel).  Né,  finalmente,  consiste  in  un  racco- 

gliersi successivo,  in  un  progressivo  adunarsi  verso  un 

principio  di  là  da  venire,  ed  emergente  dalla  virtù  stessa 

di  cotesto  successivo  e  progressivo  adunamento  di  par- 

ticolari (Positivisti).  Nel  primo  caso  il  principio  sarebbe 

dato,  vuoi  per  intuito,  vuoi  pel  verbo  della  società,  della 

tradizione,  dell'autorità;  e  così  moveremmo  sempre,  o 

da  un  a  priori,  ovvero  da  una  condizione  estrinseca  e  su- 

periore al  pensiero.  Nel  secondo  sarebbe  posto  indipen- 

dentemente  dall'  esperienza,  e  riesciremmo  ad  una  posi- 

zione formale,  arbitraria,  relativa,  subbiettiva.  Nel  terzo, 

finalmente,  dovrebb'  essere  indotto;  e  faremmo  opera 

vana,  non  potendo  dal  meno  indurre  il  più.  Nelle  due 

prime  posizioni  costringeremmo  nelle  catene  d'un  si- 

stema e  nelle  strettoie  d'una  formola  la  vita  libera,  lo 

svolgimento  autonomo  delle  scienze:  in  mentre  che 

nella  terza  contraddiremmo,  come  s' è  detto  nel  Pream- 

bolo, all'  esigenza  speculativa  e  metafisica  della  ragio- 

ne, eh' è  dire  ad  un  fatto;  sì  che  dovremmo  reputare 

affezione  morbosa,  malattia,  quel  bisogno  acuto,  crescente 

d'una  scienza  superiore  intomo  a  cui  si  travaglian  le 

menti  più  robuste  che  ci  presenti  la  storia  del  pensiero 

umano  da  Platone  a  Leibnitz,  da  Aristotele  a  Kant. 

Che  cosa  dunque  ha  da  essere,  o  meglio,  che  cosa 

può  esser  la  scienza?  Ha  da  essere  bensì  adunamento 

successivo,  induttivo,  integrativo  delle  particolari  disci- 

pline; ma  fatto  per  opera  dell'attività  organatrice,  del- 

l'energia eduttiva  del  pensiero.  Ond'  accade  che  se  un 

criterio  a  questa  composizione  organica  è  necessario, 

cotesto  criterio  ha  da  sorgere  innanzi  tutto  dalle  viscere 

stesse  del  processo  isterico  della  scienza  (Positivismo)  ; 

ma  soltanto  il  pensiero,  soltanto  l'attività  riflessa  della 

mente  potrà  imprimergli  forma,  valore  e  dignità  di  prin- 

cipio (Hegelianismo).  Poiché  se  è  vero  che  il  pensiero 

nasce  dalla  storia,  nondimeno  la  supera.  S'è  vero  che 

abbisogna  assolutamente  di  fatti,  U  trascende.  E  s'  è 

vero  eh'  egli  riesce  impotente  senza  1'  esperienza,  ciò 

nullameno  la  compie.  La  chimica,  1'  astronomia,  nel 

loro  processo  istorico,  son  venute  progredendo  a  questo 

o  a  quel  modo,  secondo  questa  o  quella  legge.  Or  in 

cotesta  legge  appunto  giace  il  criterio  atto  a  farci  pon- 

derare con  giusta  misura  il  valor  razionale  della  scienza 

stessa.  Ma  a  levare  a  dignità  di  principio  siffatto  cri- 

terio non  bastan  le  scienze  stesse,  ne  basta  la  storia; 

perchè  noi  permettono  i  confini  entro  cui  ciascuna  di 

esse  ha  da  svolgersi;  noi  consentono  i  metodi  che  eia- 

scuna  ha  da  porre  in  opera  conforme  la  natura  del 

proprio  obbietto;  e  noi  concede  l'indole  del  fine  inverso 

a  cui  ciascuna  si  va  travagliando.  Infatti  un  ordine  di 

cognizioni  piglia  forma  di  scienza,  quando  può  assu- 

mere valore  d'individualità;  ed  è  individualità,  quando 

riesca  autonoma  nel  metodo,  e  indipendente  nelle  con- 

clusioni. Or  quest'  autonomia  e  questa  scambievole  in- 

dipendenza tengono  alla  peculiarità  del  fine  cui  cia- 

scuna scienza  studiasi  di  pervenire.  Talché,  dove  una  di 

esse  vahchi  per  avventura  i  propri  confini,  ella  smar- 

risce il  segno  cui  mira,  si  confonde  con  le  altre  disci- 

pline, e  turbando  l' ordine  e  le  scambievoU  dipendenze 

delle  diverse  sfere  di  cognizioni,  finisce  per  negare  il 

proprio  obbietto,  e  per  annullare  sé  medesima.  E  s'an- 

nulla, perchè  pretende  diventar  generale,  in  mentre  che 

per  vivere,  cioè  per  essere  quella  che  è  (scienza),  ha 

da  mantenersi  particolare,  anzi  rendersi  vie  più  parti- 

colare. S'annulla,  perchè  pretende  assumer  valore  d'iji- 

dagine  metafisica,  mentre  vuole,  mentre  debb' esser  ri- 

cerca limitata  e  speciale.  S'annulla,  in  somma,  perchè 

presume  diventar  filosofia,  mentre  vuole  e  debb'  essere 

scienz3.. 

Di  questi  medesimi  diritti  e  di  questi  medesimi  do- 

veri ha  da  godere  la  così  detta  Scienza  Prima.  Anch'  ella 

è  autonoma  nel  suo  metodo,  perchè  anch'olla  è  indi- 

pendente nel  suo  fine.  E  in  vero,  tutto  il  nodo  della  que- 

stione riguardante  le  sorti  della  metafisica  parmi  con- 

sista nel  vedere,  se  di  là  da' fini  peculiari  attorno  a  cui 

travagliansi  le  discipline  speciali,  sia  possibile  ricercare 

un  fine  superiore,  universale,  e  diverso  dagli  altri.  L'im- 

poesibiUtà  a  proporci  cotalfine  dovrebbe  tenere  all' ob- 

bietto, ovvero  al  soggetto.  Or  né  tutte  le  cose  è  dato 

all'uomo  scandagliare  in  tutt'  i  lor  fini  e  sotto  tutti  gli 

aspetti,  né  il  pensiero  è  da  reputarsi  fonte  esaurita  o 

esauribile  mai  d'attività  indagatrice  e  speculativa.  Un 

sapere  superiore  adunque  è  possibile,  prestandosi  a  ciò  , 

tanto  le  condizioni  del  soggetto,  quanto  quelle  dell'og- 

getto,  voglio  dire  del  pensiero  e  dell'essere.  Ed  è  quindi 

possibile  una  scienza  la  quale,  anziché  rappresentare  un 

puro  e  semplice  risultamento  di  tutte  Y  altre  sfere  di 

cognizioni,  assuma  nel  medesimo  tempo  natura  di  risul- 

tamento e  forma  di  principio.  Solo  in  questo  senso  la 

filosofia  può  esser  detta  a  priori.  E  solo  in  questo  si- 

gnificato ella  può  esser  la  ricerca  ddF  assòluto  nelle 

cose,  0,  eh' è  il  medesimo,  la  ricerca  dell'unità  nella 

vita  dell'essere  e  del  pensiero.  Di  guisa  che  nel  men- 

tre riesce  intimamente  collegata  con  l' enciclopedia  se- 

condo l'attinenza  che  congiugne  il  condizionato  alla 

propria  condizione,  nullamanco  se  ne  distingue  essen- 

zialmente in  grazia  del  fine  al  quale  è  indirizzata. 

 

Se  dunque  la  filosofia  è  possibile  al  solo  patto  che 

sia  un'  indagine  del  fine  de'  fini  scrutati  nelle  differenti 

materie  dalle  diverse  discipline,  vuol  dire  ch'ella  è  scienza 

inferiore  e  insieme  superiore  alle  altre,  ma  sotto  aspetto 

diverso.  È  inferiore,  in  quanto  essa  ha  da  conoscere  i 

lor  fini;  e  col  conoscerne  i  fini  non  è  lecito  che  ne 

ignori  i  mezzi,  che  vuol  dire  ha  da  conoscer  le  scienze 

tutte,  ha  da  presupporle  come  essenzial  condizione  di 

processo  :  talché  conoscendole  nei  lor  mezzi  e  più  nei  lor 

fini,  accade  che  queste  si  presentino  precisamente  come 

le  virtù,  cioè  indimsibtli,  secondo  la  bella  osservazione 

del  nostro  filosofo.*  Ma  é  poi  superiore;  ed  é  superiore 

perché,  ripetiamo,  dee  possedere  anch' ella  un  proprio 

fine  da  scrutare.  E  così  resterà  pur  sempre  vera  quella 

vecchia  sentenza  cui  seppe  levarsi  la  speculazione  del 

pensiero  greco  circa  l'obbietto  dalla  metafisica:  rxvryiv 

To3v   nptùroìif  a^j^wv   xat  atrt<av  «cvac   Ostapvjrtxriv,^  Nel  che 

com'è  noto,  consentirono  i  filosofi  tutti,  platonici  o 

aristotelici  che  fossero,  e  consente  non  meno  chi  non 

sia  scettico  dichiarato;  perocché  senza  l'universale  la 

'  Vico:  Scientìa  namque  eàdem  natura  aunt  qua  virtuUt.  (De  Mente 

Heroica.  Op.  voi.  VI,  p.  119.) 

'  Abist.,  Afetaph.  I,  2.  Al  medesimo  concetto  giunge  Socrate,  quan- 

tunque per  esclusione,  nel  Teeuto,  vedi  pref.  del  Consin  al  dettò  dialogo. 

scienza  è  davvero  impossibile.  Che  se  anche  i  Positi- 

visti ci  parlano  spesso  e  volentieri  dell'  universale,  cote- 

sta  loro  universalità,  chi  ben  la  guardi,  è  complessità, 

cioè  l'universale  implicato  nel  particolare,  non  istac- 

cato  da  esso,  né  ad  esso  superiore.  Ond' avviene  che  il 

sapere  complesso  di  cui  si  vantano  costoro  non  è  l' as- 

soluto sapere,  o  meglio,  non  è  il  sapere  qualcosa  d' as- 

soluto ;  poiché  ristringendosi  a  voler  conoscere  non  altro 

che  leggi,  non  pervengono  aUa  ragione  di  queste  leggi, 

né  alla  ragione  de'  fatti,  stanteché  le  leggi  non  siano 

altro  che  fatti.* 

Ma  se  una  scienza  superiore  alle  altre  é  possibile  in 

quant'è  possibile  la  ricerca  d'un  fine  corrispondente,  tal 

superiorità  riesce  sempre  essenzialmente  relativa.  Ond'  è 

che  la  boria  de'  metafisici  e  de'  teologisti  nel  segnalarci 

la  filosofia  col  titolo  di  scientia  scientiarum  oggi  vuol  es- 

sere attenuata  e  corretta.  EU'  é  scienza  delle  sdenee  non 

perché,  come  dicemmo,  possa  imporre  alle  altre  metodi 

e  principii;  sì  perché  da  queste  debb'ella  accoglier  ciò 

che  dall' accertata  lor  induzione  risulta  sicuro,  o  con 

sicurezza  conghietturato,  ovvero  con  esperimenti  attivi 

guarentito.  A  tal  riguardo  le  scienze  dominano  la  filo- 

sofia; e  la  dominano  sol  perché  possono,  debbono  imporle 

i  propri  Insultati.  E  qui  l' antica  genitrice,  anziché  si- 

gnora, debb'essere  ancella:  tanto  che,  se  un  Giorgio  Hegel 

pretenda  per  avventura  sorpassare  la  virtù  del  calcolo 

e  la  potenza  del  telescopio  dell'  astronomia,  all'  astro- 

 

'  L*  illustre  H.  Spencer  dice  che  la  filosofia  debb'  esser  la  cogninont 

eompletamente  unificata  (Firtz  Principlet^  2*  ed.  Londra  1867,  Somm.  e 

Condas.).  Altrove  la  chiama  cognizione  del  più  alto  grado  di  generalità: 

ù  KnowUdge  of  the  highett  degree  of  genercdily  (Ibi,  p.  181).  Altrove  an- 

cora osserva  che  la  filosofia  è  costituita  in  guisa  da  levare  a  piCi  alta 

generalità  le  generalità  delle  scienze;  e  quel  che  le  generalità  d*una 

scienza  fanno  rispetto  ai  particolari,  lo  stesso  facciano  le  generalità  filosofi- 

che rispetto  alle  prime  (Ibi,  p.  134).— Siamo  sempre  al  medesimo  difetto. 

Che  cos*  è  quest'  unijìccuione  t  Che  cos*  è  V  alto  grado  di  generalità  t  £ 

pure  lo  Spencer,  fra  tutti  i  positivisti,  è  il  più  chiaro,  il  più  lucido  sì  nel 

concepire  come  nell* esporre  la  propria  dottrina;  ma  nel  fissare  T oggetto 

della  filosofia,  come  si  vede,  è  anch*  bgli  assai  vago  e  indeterminato. 

nomo  sarà  pur  lecito  sorriderne,  e  compatirlo.  Semion- 

chè  r  ipotesi,  la  parte  opinabile,  conghietturale,  è  pro- 

pria delle  discipline  particolari,  massime  di  quelle  d'or- 

dine fisico.  L'ipotesi  è,  per  dirla  così,  lo  strascico  che 

aqcompagna  sempre  la  mente  dello  scienziato  :  è  l' om- 

bra ishe  tien  dietro  all'induzione,  e  spesso  la  precede. 

E  non  potendo  ella  aver  luogo  in  quelle  notizie  indut- 

tive emergenti  da  un'  esperienza  immediata  e  stretta- 

mente particolare,  piglia  forma  generale,  e  rappresenta 

ed  esprime  la  ragione  d'una  data  serie  di  fatti.  Cosi 

avviene  che,  non  cessando  d' essere  ipotesi,  han  pure  un 

valore  universale  la  dottrina, per  esempio, degl'imponde- 

rabili sull'esistenza  dell'  etere  in  fisica,  la  teorica  del- 

l'atomicità in  chimica,  della  gravità  in  fisica,  del  prin- 

cipio biologico  in  fisiologia.  Or  la  filosofia  è  sdenea  dette 

scienze  anche  nel  senso  eh'  ella  è  chiamata  a  raccogliere  e 

legittimare  in  guisa  razionale  e  metafisica  siffatti  risultati 

d'indole  ipotetica  che  l'esperienza  non  può,  o  tarda  a  ve- 

rificare. Ella  dee  compierli,  deve  integrarU  ;  e  a  tale  scopo 

si  studia  metterli  in  relazione  al  fine  peculiare  e  supe- 

riore ch'essa,  come  indagine  metafisica),,  procaccia  di  con- 

seguire. In -questo  caso  la  filosofia,  anzi  che  ancella,  è 

signora  di  se  :  e  dove  qualche  Buchner  presumerà,  tra- 

passando i  limiti  segnatigli  dall'esperienza,  di  trastullarsi 

con  quella  famigerata  astrazione  d'un  Dio  materia  eh'  è 

insieme  forza,  o  d' un  Assoluto  forza  eh'  è  insieme  esten- 

sione, il  filosofo,  non  altrimenti  che  il  suddetto  astro- 

nomo di  Hegel,  potrà,  dovrà  sorridere  alle  affrettate 

conclusioni  di  lui.  Che  in  tal  caso  cotesto  Buchner  qua- 

lunque non  è  altrimenti  un  naturalista  e  sperimenta- 

tore paziente  e  riservato  con  in  mano  la  squadra  e  '1 

compasso,  la  bilancia  e  '1  microscopio,  ma  è  un  siste- 

matico fatto  cieco,  e  tramenato  anche  lui  dalla  solita 

boria  de' metafisici  e  de' dommatici. 

 

Di  qua  poi  nasce  che  la  filosofia  davvero  positiva 

non  sa,  non  vuol  parlare  d'alberi  genealogici,  ne  d'en- 

ciclopedia; non  di  piramidi  nelle  scienze  alla  maniera  dei 

sistematici  assoluti,  net^mpoco  di  scale,  di  coordina- 

menti e  sistemcufWfii  e  gerarchie  nel  sapere  a  mo'  dei 

Positivisti  francesi.  Tutte  queste  soompartizioni  gerar- 

chiche e  genealogiche  riescon  sistematiche  e  artifiziali; 

e  sono  quindi  altrettante  catene  alla  libera  individualità 

di  ciascuna  scienza:  il  perchè  non  diciamo  che  il  sapere 

umano  somigli  ad  alberi,  né  a  piramidi,  ma  piuttosto, 

applicando  qui  un  profondo  concetto  del  Bruno,  ad  al- 

trettanti circoli  fra  loro  annodati,  e  quasi  toccantisi  per 

la  circonferenza.  Il  centro  è  comune  a  tutti,  ma  non  ri- 

siede in  alcuno.  Che  se  altri  volesse  servirsi  d'una  figura 

meglio  appropriata,  potrebbe  assomigliare  V  economia  e 

la  costituzione  delle  scienze  a  quella  porzione  del  sistema 

nervoso  che  domandasi  della  vita  organica,  cioè  al  gran 

simpatico;  appo  cui  l'unità  della  vita  pone  radice  per 

entro  ad  una  moltitudine  di  centri  e  di  fochi  vitali  e  di 

gangli  sparsi,  difiusi  per  V  organismo,  indipendenti  fra 

loro,  e  pur  collegatissimi  nel  fine  della  vita  organica. 

L'assolutismo  nelle  scienze  partorisce  il  medesimo 

efietto  che  nella  vita  sociale:  rallenta  e  dissecca  e  spegne 

addirittura  l'attività  individuale.  Tiranna  infatti  è  la 

divisione  enciclopedica  del  Gioberti;  la  cui  tripUce  scom- 

partizione fondasi  tutta  ne'  due  membri  della  nota  for- 

mola  ctisiologica,  nonché  nella  relazione  di  essi.*  Che 

se  nelle  opere  postume  ei  ci  parla  d'una  scienza  il  cui 

fine  ha  da  esser  V  analisi  del  principio  costiltdivo  ddlo 

spirito,^  cotesto,  al  solito,  è  a  riguardarsi  com'una  di 

quelle  felici  inconseguenze  in  che  non  di  rado  sdruc- 

ciolò quella  mente  privilegiata.  E  se  nelle  opere  postu- 

me al  concetto  della  Ontologia  venne  sostituendo  quello 

della  Protologia;  cotesto  principio  protologico,  inteso 

come  fondamento  e  come  criterio  enciclopedico,  non  ap- 

pare men  dommatico  del  principio  ontologico  che  neUe 

prime  opere  egli  poneva  siccome  base  della  distribuzione 

organica  delle  scienze.  La  Protologia,  egli  dice,  è  la  filo- 

'  GiOBBBTi,  Introd,  alla  FU.^  voi.  Ili,  pag.  5  e  segg.,  ed.  cit. 

■  Idem,  ProUÀogìa,  toI.  1.  Saggio  1.  De'  Principii,  p.  96. 

sofia;  e  la  filosofia  è  scienza  di  Dio  e  di  tutte  quante  le 

cose  in  quanto  a  Dio  si  riferiscano,  e  con  lui  si  connet- 

tono,* —  Tiranna  e  dispotica  non  meno,  anzi  più,  la  divi- 

sione enciclopedica  di  Hegel.  Nella  qyale  poiché  i  tre  mo- 

menti della  scienza  devon  esser  quelli  della  stessa  Idea, 

avviene  che  il  processo  logico  debba  riescire  identico  al 

processo  reale,  non  altrimenti  che  la  logica  è  sostanzial- 

mente identica  all'ontologia,  e  ciascuna  scienza  servire 

alla  legge  dialettica  qual  riprova  e  conferma  della  for- 

mola  ideale  assoluta.  Se  è  vero,  com'  è  verissimo,  che 

r  Idealismo  assoluto  non  è  altro,  a  guardarlo  bene,  che 

V algebra  del  naturalismo,  come  con  espressione  felicissima 

fu  designato  da  un  filosofo  francese,*  dov'  è  piii  possibile, 

io  chiederò,  l' autonomia  di  ciascuna  scienza?  Non  deve 

anzi  costringerle  così  e  forzare  i  risultati  ad  obbedire  al 

supremo  principio?  Il  processo  di  Hegel,  ha  detto  un 

critico  eh'  è  insieme  filosofo  e  naturalista  di  prima  riga, 

è  essenzialmente  suicida  (essentiaUy  suicidai);  e  quindi 

la  classificazione  che  ne  scaturisce  è  senz' alcun  fonda- 

mento serio  e  positivo.' 

E  al  modo  che  non  sono  da  accettarsi  gli  alberi 

genealogici  de'  metafisici  dommatici,  non  è  a  far  buon 

viso  neanche  alle  classificazioni  gerarchiche  onde  ci  par- 

lano i  positivisti.  Perchè  se  gli  uni  riescono  ad  annul- 

lare la  individuale  autonomia  delle  varie  sfere  dello  sci- 

bile col  porre  in  cima  alla  piramide  una  scienza  madre 

ond'  ogn'  altr'  abbia  a  rampollare,  ad  un  risultato  somi- 

gliante riescon  gli  altri,  laddove,  scambio  di  porre  in 

principio  cotesta  scienza  tiranna  cui  tutte  le  altre  son 

deputate  a  servire,  la  pongono  in  fine  di  tutte.  Tal  si  è 

per  V  appunto  la  Sociologia,  com'  è  intesa  da  positivisti 

*  Il  prof.  Spaventa  dice  che  il  pregio  della  distribazione  enciclope- 

dica del  Gioberti  è  V  unità  concreta  della  SeienMa  cui  perviene  il  JU080/0 

subalpino  (Introd.  alle  Lez.  ec.  p.  149).  Cotesto  ò  precisamente  il  sao 

difetto  ! 

 

-*  Saissbt,  Gritique  et  Hitt.  de  la  PAtf.,* Paris,  1866. 

 

'  H.  Spemobb,  E9%ay9  Scientifica  Politicai,  and  Speculative^  Londra,  1868. 

Voi.  I.,  p.  128. 

 

francesi.  Ma  intorno  a  questa  dottrina  giova  spendere 

poche  parole. 

La  genesi,  e  quindi  T  ordinamento  delle  umane  disci- 

pline, tiene  al  concetto  stesso  della  scienza  e  a  quello  se- 

gnatamente della  filosofia;  ond'il  significato  differente 

di  questo  vale  ad  imprimere  a  quella  diverso  valore,  non 

che  diversa  estensione.  La  genesi  delle  scienze,  per  i 

positivisti,  riesce  empirica.  Perchè?  perchè  tale  è  il 

concetto  eh'  ei  ci  danno  della  filosofia.  Or  una  divisione 

enciclopedica  che  torni  razionalmente  positiva  può  solo 

conseguirsi  quando  soddisfi  a  questa  condizione;  ch'ella, 

cioè,  risulti  ad  un'ora  dalla  storia,  e  dalla  psicologia; 

0  meglio,  che  possa  rispondere  tanto  al  processo  iste- 

rico, quant'  al  processo  psicologico.  Ai  Positivisti  vien 

meno  tale  condizione,  tuttoché  sia  da  riconoscere  i  molti 

pregi  del  loro  concetto  enciclopedico.  Fra  essi,  quelli 

che  meritino  special  menzione  a  tal  proposito  sono 

due,  il  Comte  e  lo  Spencer.  Il  primo  considera  la 

genesi  delle  scienze  in  modo  assolutamente  obbiettivo 

e  storico:  il  secondo  in  maniera  affatto  subbiettiva, 

psicologica,  ideale.  Ma  tanto  l'uno  quanto  l'altro,  se- 

gnatajnente  il  primo,  sono  lontani  dall'  aver  determi- 

nato il  criterio  del  vero  ordinamento,  e  della  vera  ge- 

nesi razionale  dell'  enciclopedia.  Nel  positivista  francese 

primeggia,  al  solito,  il  principio  della  continuità,  della 

dipendenza  assoluta,  e  d'  un  vincolo  indissociabile  e 

strettamente  gerarchico  fra  le  discipline  più  semplici 

ed  elementari,  e  quelle  piìi  composte  e  complesse.  Nel- 

r inglese,  al  contrario,  predomina  il  principio  opposto; 

quello  dell'  indipendenza,  dell'  autonomia,  e  dell'  indivi- 

dualismo nella  differente  costituzione  delle  divei*se  sfere 

di  conoscenze.  Di  modo  che,  dove  per  l' uno  il  criterio 

classificativo  sgorga  dalla  natura  e  dall'ordine  stesso 

delle  proprietà  delle  cose  ;  per  l' altro  consiste  nel  modo 

come  s'apprendono  cotesto  proprietà.  Ristiingiamoci 

per  ora  al  Comte.  La  gerarchia  del  sapere,  secoudo  lui, 

risulta  di  sei  scienze,  composte  e  disposte  conforme 

la  legge  della  generalità  decrescente,  e  della  ci*escente 

complessità.  Però  la  matematica,  disciplina  più  d^  ogni 

altra  semplice,  universale  e  astratta,  costituisce  l'im- 

prescindibile condizione  di  tutte  le  altre;  talché  com'è 

la  prima  a  nascere,  così  ha  da  esser  la  prima  a  for- 

mare l'educazione  della  mente.  La  Fisica  sociale  poi 

riesce  la  pia  complessa  fra  tutte;  ed  è  l'ultima  a  com- 

parire sia  nell'  ordine  logico,  sia  nell'ordine  storico.* 

I  difetti  della  dottrina  enciclopedica  francese  possiamo 

ridurtì  a'  seguenti  :  1*  Il  non  aver  impresso  il  verace  ca- 

^rattere  ad  alcune  scienze;  per  esempio  alla  matematica,  a 

proposito  della  quale  Stuart  Mill  domanda,  come  avver- 

timmo, se  per  avventura  ella  sia  da  considerarsi  come 

teologica  0  metafisica,  ammesso  che  anche  storicamente 

ella  debba  nascer  prima  delle  altre.  Ne  poi  è  vero  che  la 

scienza  dell'  astratta  quantità  numerica  e  spaziale  nasca 

pura  (come  dovrebbe,  secondo  il  Comte),  ma  pura  e  insie- 

me applicata,  secondo  che  molto  acconciamente  osserva 

in  proposito  lo  Spencer.  2**  Il  considerar  come  un  cou- 

ronnement  de  Védifìce  la  Sociologia:  ond' accade  che  la 

scienza  de' principii,  non  potendo  essere  altro  che  una 

semplice  appendice  di  essa  e  di  tutte  le  altre  discipline, 

resta,  non  che  falsato,  annullato  ogni  concetto  di  filo- 

sofia. 3*"  Il  segnalare  alcune  scienze  come  assolutamente 

irreducibili,  massime  la  matematica;  la  quale  invece, 

considerata  come  scienza,  suppone  le  leggi  del  ragio- 

namento  e  quindi  la  logica,  secondo  che  in  maniera 

 

*  CoMTK,  Cour%  de  PhiU  Po9Ìt.y  2«  L09.  —  La  Sociologia  è  la  «ctence  la 

jAuB  élevéCf  et  qui  couronne  V oeuvre,  Littbì,  Parole*  de  PhU,  Pont,,  2«  ed., 

1868,  p.  70.  —  Lo  stesso  Littró  afiferma,  che /aire  de  ehaque  eeience  pctrti- 

cidiire  un  menthre  de  la  «cienee  generale,  eat  une  grande  revolution  epéctUa' 

Uve,  (Op.  cit.,  pagr.  23.)  Sarebbe  stata  davvero  gran  rivolazione  cotesta 

0T6  il  Comte  non  fosso  riascito  anch^  egli  ad  affogar  le  scienze  le  une 

nelle  altre,  annullando  così  V  indipendenza  di  ciascuna.  Del  resto  lo  sforzo 

della  metafisica  è  stato  sempre,  chi  ben  guardi,  quello  d*  informare  ad 

organismo  le  rarie  discipline.  Non  vi  ò  riuscita  appunto  perchè,  in  tale 

organamento,  chi  ha  Toluto  incatenarle  troppo  fra  loro,  e  chi  troppo  spic- 

ciolarle e  renderle  indipendenti,  quasi  edifizio  a  frammenti.  U  Comte  rie- 

sce ineritabilmente  al  primo  difetto. 

invitta  ebbe  a  dimostrare  fin  dal  secolo  XVII  il  Leib- 

nitz;  mentrechè,  come  includente  nozioni  astratte  (spazio, 

quantità,  grandezza)  suppone  l'ideologia,  la  psicologia 

e  la  logica.  4*  Finalmente,  massimo  difetto  di  questa 

dottrina  francese  è  quel  sostenere  a  marcia  forza  che  da 

una  scienza,  o  gruppo  di  scienze,  abbia  a  ncisceme  e  quasi 

pullularne  un  altro  gruppo,  e  cosi  via. 

Di  tale  dottrina  lo  Spencer  ha  fatto  una  critica 

quanto  seria  altrettanto  severa;  e  ne  ha  avuto  ben 

donde,  massime  dove  ci  fa  toccar  con  mano  che  la 

legge  regolatrice  dello  svolgimento  storico  del  sapere 

non  sia  nuli'  affatto  quella  di  filicmone  secondo  che  pen- 

sano i  Gomtiani,  come  altrove  accennammo.  Se  cosi 

fosse,  egli  dice,  ne  seguirebbe  che,  dov'  esiste  un 

dato  gruppo  di  scienze,  non  sarebbe  possibile  un  altro  ; 

mentre  nel  fatto  in  un  primo  gruppo  o  momento,  ci  son 

tutte,  e  tutte  in  un  secondo,  e  tutte  in  un  terzo,  svol- 

gendosi come  di  fronte,  anziché  per  successione  seriale. 

E  la  critica  dello  Spencer  poi  ci  sembra  ancor  più  so- 

lida ove  dimostra,  che  se  il  primo  gruppo  di  scienze 

può  esser  detto  strumento  e  condizione  del  secondo,  e 

questo  condizione  del  terzo,  ninno  potrà  confonder  la 

condizione  con  la  cagione  véramente  detta  :  sicché  giunge 

ad  una  conclusione  affatto  opposta  a  queUa  cui  rie- 

scono i  Gomtiani,  ed  è  che  la  psicologia,  per  esempio, 

non  possa  dirsi  appendice  della  biologia,  né  la  sociologia 

semplice  appendice  della  storia;  nel  che  egli  concorda 

pienamente  col  MilL* 

Ma  se  la  genesi  enciclopedica  ne'  positivisti  francesi 

è  manchevole  per  più  conti,  non  meno  difettosa  ci 

sembra  quella  del  medesimo  Spencer.*  Suo  massimo 

*  Hbrbkrt  Spknobb,  The  (ioMificatifm  of  the  Scieneee,  2«  ed.,  1869, 

p.  25.  —  St.  Mill,  ^»t.  de  Log.,  voi.  II,  p.  486. 

".  Egli  distiogoe  tre  gruppi  di  gcienze  :  AetraUe,  Attratto-conoreU  e 

Conerete,  Le  prime  stodiano  i  fenomeni  relativi  a  noi  (Logica  e  Mate- 

matica), e  ci  dan  le  leggi  delle  forme  :  forme.  Le  seconde  ricercano  i  fe- 

nomeni in  sé  (Meccanica,  Fisica,  Chimica  ec.),  e  queste  porgon  le  leggi 

dt*  fattori  : /aetort.  Le  ultime,  finalmente,  ai  travagliano  intomo  ai  fe- 

difetto  è  quello  appunto  ond'  è  magagnato,  come  av- 

vertimmo, il  Positivismo  inglese;  il  formalismo.  La  sua 

genesi  enciclopedica,  infatti,  non  mostra  alcuna  rispon- 

denza ne  col  processo  isterico,  né  col  processo  obbiet- 

tivo delle  cose  stesse.  Non  diciamo,  si  badi  bene,  che  co- 

testo sia  difetto  essenziale  nella  dottrina  dello  Spencer.  È 

tal  difetto  che  in  forza  di  certi  suoi  principii  egli  potrebbe 

schivare,  massime  quando  si  volesse  tener  conto  della  sua 

bella  teorica  sul  Progresso.  Ma  di  questi  principii  ei  non 

ha  fatto  applicazione  alla  genesi  delle  scienze;  e  però 

Stuart  Mill  ben  a  ragione  gli  ha  mosso  rimprovero  di  non 

aver  riconosciuto  e  distinto  la  fase  empirica  dalla  fase 

scientifica  nello  svolgersi  d'una  scienza.*  Altro  difetto 

è  che  la  filosofia,  nella  generazione  enciclopedica  dello 

Spencer,  non  trova  luogo,  a  meno  che  non  vada  confusa  con 

la  logica,  con  la  psicologia  o  con  la  sociologia;  il  che  per 

lui  non  dovrebb' essere.  Perchè  se  l'oggetto  delle  nostre 

conoscenze,  com'ei  dice,  è  doppio,  cioè  il  conoscibile  e  l'tV 

conoscibile,  ne  seguita  che,  dato  l'obbietto,  è  già  bell'e  data 

la  possibilità  di  una  scienza  che  gli  si  travagli  attorno. 

Ora,  onde  viene  e  dove  riesce  mai  cotesta  scienza  il  cui 

obbietto,  comecché  inconoscibile,  pur  nullameno  esiste? 

Vien  prima  della  logica,  ovvero  dopo  la  sociologia?  Se 

prima  della  logica,  studierà  anch'ella  non  altro  che  forme? 

Se  dopo  la  sociologia,  non  s'occuperà  d' altro  che  di  pro- 

dotti ?  E  nell'un  caso  come  nell'  altro,  io  chiedo,  non  isfu- 

merà  l'indipendenza  e  l'autonomia  e  la  superiorità  della 

filosofia  rispetto  alle  altre  discipline?  La  genesi  dunque 

delle  scienze,  nella  dottrina  del  filosofo  inglese,  è  una 

genesi  fatta  per  comodo;  una  genesi  metodica  anziché 

scientifica,  la  quale  non  soddisfa  alle  esigenze  del  pen- 

nomeni  in  sé,  ma  considerati  nella  loro  totalità  (Astronomia,  Geologia, 

Biologia,  Psicologia,  Sociologia),  e  danno  le  leggi  de'  prodotti  :  prodwst», 

(Ved.  The  Cla$$.,  loc.  cìt.).  Ora  se  il  pensiero  umano  non  istudia  altro 

che /orme, /attor»  e  prodotti,  ne  viene  che  alla  filosofia  non  ò  dato  far  altro 

salvo  che  unificare  complMamente  qnesta  materia  già  per  gradi  unificata 

mercè  T  opera  lenta  e  progressiva  delle  scienze.  {Firet  Prine.,  p.  181.) 

'  St.  Hill,  A.  Comte  et  la  Fil  Poeit,,  p.  50  e  segg. 

siero  filosofico.  —  Massimo  pregio  dello  Spencer,  a  tal  ri- 

guardo,  è  l'aver  mostrato  il  consenso  scambievole  fra'  di- 

versi gruppi  di  scienze.  Questo  è  anche  il  pregio  della  dot- 

trina del  Comte,  io  lo  so  :  ma  con  la  profonda  differenza, 

che  dove  il  francese  non  sa  vedere  fra  le  discipline  altro 

che  un  nesso  di  causalità  e  filiaeione  compatta;  T inglese 

in  quella  vece  ne  scorge,  con  più  verità,  un'  attinenza 

meno  stretta,  men  rigorosa,  più  libera.  Egli  scorge  il 

vincolo  che  corre  fra  la  condizione  e  '1  condizionato. 

Come  ognun  vede,  tanto  la  teorica  del  positivismo 

francese  circa  la  divisione  delle  diverse  branche  del  sa- 

pere, quanto  l' altra  del  positivismo  inglese,  trascendono 

il  positivo,  riescono  entrambe  esclusive,  e  perciò  stesso 

negative.  La  prima  annulla  addirittura  la  genesi  psico- 

logica delle  scienze;  la  seconda  ne  trascura  la  genesi 

obbiettiva  e  storica.  Ora  in  che  ha  da  consistere  il 

positivo  in  siffatta  quistione  ?  Evidentemente  nel  serbar 

tanto  r  uno,  quanto  l' altro  aspetto.  Giacché  davvero  le 

genesi  e  quindi  la  divisione  enciclopedica  perchè  riescano 

positive,  han  da  esser  fondate  nella  storia,  e  nella  psico- 

logia. Che  cosa  infatti  risguarda  la  genesi  ideale  del- 

l'enciclopedia? Riguarda  le  scienze  stesse  avvisate  sotto 

doppio  aspetto  ;  cioè  in  sé  stesse,  e  nelle  lor  mutue  re- 

lazioni. Dunque,  a  distribuirle  convenevolmente,  vuoisi 

tener  V  occhio  innanzi  tutto  alle  funzioni  diverse  ond'è 

possibile  la  scienza;  né  v'ha  quindi  altro  espediente  fuor- 

ché ricorrere  al  processo  conoscitivo.  A  questa  maniera 

il  fondamento  più  sicuro,  immediato,  e  quindi  il  crite- 

rio più  razionale  della  genesi  enciclopedica,  é  la  genesi 

stessa  della  cognizione.  E  s'egli  è  vero  che  la  scienza 

guardata  nella  sua  forma  non  è  altro  che  un  esplica- 

mento  di  concetti,  d'idee  e  di  giudizi,  é  naturale  che 

la  genesi  e  la  divisione  dei  vari  ordini  di  sapere  devano 

radicarsi  nella  stessa  genesi  e  divisione  de'  giudizi.' 

'  Non  potendo  qui  entrare  in  minate  ricerche  d'ideolo^a,  diciamo 

solamente,  tre  nature  di  giudizi  esser  possibili;  i  quali,  con  linguaggio 

men  soggetto  alle  tante  difficoltà  solite  a  nascere  a  questo  proposito. 

Quanto  poi  alla  genesi  storica  delle  scienze,  poiché 

la  storia,  il  regno  de' fatti  umani  non  è  che  produzione 

chiamiamo  tnduuiviy  dedtutivif  edutHvi.  Adoperando  siffatto  parole,  non 

solo  intendiamo  accennare  alla  natura  della  relazione  che  stringe  ì  ter- 

mini del  giudizio,  né  solamente  ali* origine  di  essa,  ma  eziandio  alle  tre 

funzioni  o  metodi  che  si  adoperano  ne*  differenti  ordini  di  scienze  e  di 

cognizioni.  Nel  giudizio  induttivo,  per  esempio,  tal  relazione  è  al  tutto 

empirica,  e  di  fatto.  Nel  giudizio  deduttivo  è  razionale  ;  stantechè  il  pre- 

dicato, con  artifizio  d*  analisi  deduttiva,  si  tragga  dal  seno  stesso  del 

soggetto.  Nel  giudizio  ednttivo,  finalmente,  ha  luogo  tanto  Tuna 

quanto  1'  altra  operazione,  cioè  V  induzione  e  la  deduzione,  ma  compe- 

netrate; e  tal  compenetrazione  si  radica  nell'intima  virtii  dello  stesso 

pensiero,  previo  il  processo  psicologico.  Questa  è  la  funzione  raziocina- 

tiva; funzione  essenzialmente  eduttiva:  la  quale,  se  inevitabilmente  sup- 

pone le  altre  due  funzioni,  ne  è  però  il  compimento.  £  tale  in  sostanza  il 

vero  metodo  aristotelico,  comò  noteremo  più  giù. 

Or  la  genesi  ideale,  e  quindi  1*  organismo  e  la  divisione  delle  scien- 

ze, trova  il  suo  fondamento  e  il  suo  criterio  immediato  nella,  genesi  stessa 

delle  funzioni  psicologiche.  Tre  forme  irreducibili,  dunque,  tre  gradi,  e 

però  tre  gruppi  distinti  di  scienze  sono  possibili: 

Io  SoiBNZR  iNDCTTiYE  {d^  oMervoxione),  Ogni  lor  pregio  e  progrosso 

sta  nel  poter  divenire  sempre  più  sperimentali,  sempre  più  attive,  col 

riprodurre  la  natura,  e  som  metterla  ali*  esperimento.  Il  lor  carattere 

quindi  risiede  nello  sdoppiarsi,  nel  moltiplicarsi,  nel  suddividersi,  e  ren- 

dersi sempre  più  particolari.  Né,  chiamandole  induttive,  intendiamo  negar 

ad  esse  il  magistero  deduttivo;  che  non  è  possibile  discorso  scientifico 

al  quale  possa  far  difetto  1*  artifizio  della  deduzione.  Intendiamo,  dire 

che  la  deduzione  di  questo  primo  gruppo  di  scienze  è  sempre  di  natura 

induttiva,  perchè  move  dalla  induzione  e  sopr*  essa  tutta  si  regge,  fe, 

in  somma,  la  deduzione  al  modo  che  1*  intende,  per  esempio,  il  Littré 

e  in  grran  parte  anche  Bacone,  e  che  non  è  nuli'  affatto  1*  induzione  so- 

cratica e  aristotelica  benintesa. 

Il<»  SoiRNZB  DKDUTTivB  {di  tpeéulaxwne).  Lor  pregio  e  progresso 

consisto  nel  potersi  maritare  di  mano  in  mano  col  primo  gruppo,  e 

nel  trovare  applicazione  ai  fatti,  rendendo  così  vie  più  razionali  le  di- 

scipline induttive.  Lor  carattere  poi  è  quello  d'essere  in  minor  nu- 

mero delle  prime,  rlducendosi  infatti  alle  matematiche  pure,  e  alle  ma- 

tematiche applicate  a  qnal  si  voglia  ordine  d*  oggetti  (per  ciò  che  riguarda 

la  categorìa  dello  spazio  e  della  quantità),  nonché  a  quelle  scienze  d'ordine 

morale  alle  quali  si  può  applicare  il  metodo  dedtoHvo-inverto  di  St.  Mill. 

Neanche  a  queste  può  mancar  1*  artifizio  induttivo;  ma  cotesta  lor  in- 

duzione è  sempre,  diremmo,  di  natura  deduttiva. 

Ilio  SoHNZi  EDUTTlTi  {d^  %ntegraxùm«f  0  tpeculaxiane  tnueendentaU), 

In  queste  si  adunano  i  caratteri  de'  grruppi  precedenti.  Non  sono  molte, 

né  poche  di  numero,  rìdacendosi  in  sostanza  ad  una  soli^  ma  svariata, 

feconda,  moltiplice  nelle  sue  applicazioni.  Suoi  pr^gi  sono:  l^  il  potersi 

e  il  doversi  vie  più  intrinsecare  con  le  altre  scienze  ;  o  meglio,  il  poter 

>6  resultato  d'azioni  e  reazioni  fra  il  mondo  fisico  e 

quello  dello  spirito,  e  quindi  d'  una  doppia  serie  di 

leggi,  naturali  e  psicologiche,  modificate  dalle  diverse 

<^ndizioni  di  tempo  e  di  luogo,  secondo  che  ha  mo- 

strato, fra  gli  altri,  il  Buckle  ;  *  ne  viene  che  il  processo 

istorico  ha  da  rispondere  bensì  al  processo  psicologico,  e 

la  genesi  storica  delle  scienze  dee  certamente  ritrarre 

la  lor  genesi  ideale,  ma  non  per  questo  sarà  lecito 

<ìonfonder  F  una  cosa  con  V  altra.  Il  Littré  distingue 

la  costitujsione  d'una  scienza  dalla  sua  evoluzione:  e 

trasferir  queste  in  so  medesima  unificandcle  completamente,  come  dice 

benissimo  Io  Spencer:  2o  non  potendo  moltiplicare  so  stessa,  crescere 

sempre  più  nell*  ordine  delle  applicazioni.  Tal  si  è  per  1*  appunto  la  filo- 

sofia :  nella  quale  deyon  raccogliersi  le  altre  scienze,  ed  esserne  come  vi- 

vificate e  indirizzate  a  novello  fine. 

Da  questa  nostra  genesi  e  divisione  encicl(^dica  emergono  più  con- 

segaenze,  fra  cui  segnaliamo  le  principali.  Se  è  vero  che  le  diverse  sfere 

di  cognizioni  van  sempre  più  rendendosi  particolari,  è  anche  verissimo 

eh'  elle  nel  medesimo  tempo  debbono  andare  assumendo  carattere  e  va- 

lore sempre  più  generale.  V  investigauione  della  natura  (dice  Io  Spencer) 

ci  rivela  un  numero  crescente  di  specialità;  ma  simultaneamente  rivela  più 

e  pitk  le  generalità  entro  le  quali  cadono  queste  specialità.  {The  Classi/, j 

ed.  cit.,  p.  11). —  Inoltre,  i  diversi  gruppi  di  scienze,  secondo  che  emer- 

gon  dal  nostro  criterio  psicologico,  son  fra  loro  connessi,  ma  nel  medesimo 

tempo  autonomi  e  indipendenti.  Son  connessi,  perchè  il  primo  gruppo  è 

condizione,  strumento  e  mezzo  rispetto  al  secondo,  e  U  secondo  rispetto  al 

terzo;  mentre  il  terzo  è  mezzo  e  fine  ad  un  tempo.  Sono  indipendenti,  poi, 

perchè  ciascun  di  essi  è  fornito  di  caratteri,  qualità,  fini  e  metodi  propri. 

—  La  nostra  genesi  enciclopedica,  finalmente,  porge  la  misura  e  M  criterio 

per  definire  i  limiti,  per  giudicare  il  valore,  e  per  assegnar  la  posizione  di 

dascuna  disciplina  nell*  ordinamento  dello  scibile.  Ponete,  per  esempio, 

il  30  gruppo  in  luogo  del  1<»;  il  l**  in  luogo  del  2<*;  0  questo  in  luogo  del  l'' 

o  del  8<>,  attribuendogli  caratteri  e  valore  non  propri:  avrete  falsato  la 

natura  delle  scienze  ;  le  avrete  confuse  ;  ne  avrete  guasta  V  ìndole,  tur- 

bando cosi  tutta  r  economia  razionale  del  sapere. 

Questa  dottrina,  essenzialmente  psicologica  e  quindi  razionalmente 

positiva,  contraddice,  com'  è  evidente,  alla  distribuzione  enciclopedica 

de*  sistematici,  per  esempio  a  quella  del  Gioberti  e  di  Beerei  ;  e  nel  men- 

tre racchiude  i  pregi  della  classificazione  de*  Positivisti  inglesi  e  fran- 

cesi, ne  corregge  insieme  i  difetti.  Ma  i  pregi  e  la  verità  d*  un  criterio 

ordinativo  non  può  vedersi  altro  che  nelle  sue  diverse  applicazioni,  nelle 

•quali  non  possiamo  intrattenerci.  Solo  notiamo  che  tal  dottrina  ò  un*  in- 

terpretazione de*  principi!  psicologici  del  nostro  filosofo,  come  vedremo. 

*  T.  BuCKLS,  History  of  OivUiMation  in  England^  voi.  I,  cap.  2». 

fa  benissimo.  Ma  nella  sua  dottrina  cotal  distinzione  à 

un'inconseguenza.  La  costituzione  d'una  scienza  muove 

dalla  ragione  :  la  evoltmone  di  essa,  per  contrario,  è  frutto 

della  storia.  Or  se  F  una  cosa  non  è  V  altra,  è  da  con- 

cludere che  la  scienza  è  superiore  alla  storia.  Perchè 

dunque  compenetrarvela?  D'altra  parte,  non  è  punto  vero 

che,  vuoi  nella  genesi  ideale  o  psicologica  delle  scienze, 

vuoi  nella  lor  genesi  storica,  procedasi  dalla  parte  al 

tutto,  dal  semplice  al  composto,  dal  rudimentale  e  irre- 

ducibile al  complesso,  come  vogliono  i  Francesi.  È  vero 

bensì  che  dal  tutto  si  va  al  tutto,  cioè  dal  tutto  iniziale 

al  tutto  attuale,  o,  come  direbbe  lo  Spencer  in  suo  lin- 

guaggio, dall'  omogeneo  slVeferogeneo,^  La  genesi  storica 

del  sapere,  infatti,  rassomiglia  quella  della  società  stessa: 

nella  quale  dapprima  i  poteri  dello  Stato,  per  esempio, 

anziché  distinguersi  fra  loro,  formano  un  potei'e  unico  ; 

e,  anziché  individui  liberi,  vi  esiste  un  solo  individuo. 

Parimenti  le  scienze  forman  dapprima  una  scienza  ;  uno 

le  possiede,  uno  o  pochi  le  insegnano,  come  uno  è  quegli 

che  comanda.  Però  diciamo  che  la  genesi  storica  di  esse 

procede  per  tre  momenti  (vecchio  concetto  aristotelico) 

cioè  :  Sintesi  iniziale  e  confusa,  poi  Analisi,  e  poi  Sintesi 

finale.  Nel  primo  di  cotesti  momenti  non  s' ha  una  data 

serie  di  scienze,  come  dice  il  positivista  francese.  S' ha 

bensì  tutte  le  scienze,  ma  fomite  d' un  carattere  comu- 

ne ;  il  qual  carattere  sta  nel  comporre  il  sapere  traen- 

done le  ragioni  da  tutt'  altra  fonte  che  non  è  Y  intimità 

stessa  dello  spirito.  In  questo  primo  momento,  in  somma, 

*  La  legge  secondo  cui  lo  Spencer  chiarisce  la  sua  teorica  del  pro- 

gresso con  tanta  sapienza  ed  erudizione  da  lasciar  maravigliata  la  mente 

d*ogni  lettore,  si  potrebbe  applicare  benissimo  alla  genesi  delle  scienze 

intesa  storicamente.  Egli,  come  8*ò  detto,  non  ha  fatto  quest'applicazione. 

Ma  ci  è  da  sospettare  che,  facendola,  rieacirebbe  incompleta,  com*  è  in- 

completo il  principio  su  cui  è  basata.  Il  procedere  daW  omogeneo  alV  ete- 

rogeneo è  davvero  un  processo  :  ma  è  processo  che  non  risolve,  mancan- 

doci un  terzo  momento  necessario  a  compiere  il  primo  e  *1  secondo.  Oltre 

questo  difetto,  il  principio  dello  Spencer  ha  V  altro  di  non  esser  nuovo, 

anzi  vecchissimo,  perchè  risale  ad  Aristotele  :  *Aft  70?^  sv  tw  iffS^C 

\jncf.p^st  To  vfpÓTtpov,  De  An.  II,  m. 

lo  spirito  è,  come  dire,  fuori  di  sé,  nella  natura,  nel- 

r  autorità,  e  quindi  la  scienza  è  quasi  indotta;  ma  tale 

induzione  dapprima  è  affatto  empirica,  naturale,  gros- 

solana, divina,  direbbe  il  Vico.  Nel  secondo  momento 

ci  ha  distinzione,  analisi,  astrazione  :  e  qui  la  mente, 

accostandosi  a  sé  medesima,  deduce.  Nel  terzo,  final- 

mente, il  pensiero  possiede  sé  stesso,  perchè  possiede 

l'altro:  egli  é  filosofia  perchè  è  scienza;  ed  è  scienza 

vera  perchè  è  filosofia.  Ci  è  dunque  rispondenza,  ci  è  ar- 

monia fra  la  genesi  ideale  e  la  genesi  stòrica  della  scien- 

za, non  già  compenetrazione,  come  vorrebbe  il  Comte. 

Anche  noi  quindi  crediamo  in  una  legge  di  succes- 

sione nell'attività  del  pensiero;  né  respingiamo  una  di- 

sposizione gerarchica  e  genealogica  del  sapere.  Ma  né 

r  uua  è  assoluta  filiazione,  né  1'  altra  è  composizione 

organica  e  compatta  sì  che  le  scienze  che  seguono  altro 

non  possan  essere  fuorché  semplici  appendici  di  quelle 

che  precedono.  È  vero:  il  pensiero  nella  storia  as- 

sume innanzi  tutto  forma  teologica.  £  quando  accada 

eh'  egli  abbia  carattere  metafisico,  il  suo  contenuto  sarà 

sempre  di  natura  mitologica,  religiosa,  tradizionale,  ri- 

velata, essendo  sempre  un  prodotto  d' autorità.  Appresso 

riveste  forma  naturale  ;  stanteché  sorgano  le  scienze  le 

quali,  svolgendosi  com' elementi  particolari  del  papere, 

si  vanno  liberamente  determinando  con  metodo  appro- 

priato a  ciascuna  di  esse.  In  un  terzo  periodo,  final- 

mente, piglia  forma  complessa  e  insieme  universale  come 

nel  primo;  toa  non  più  sotto  forma  teologica,  né  me- 

tafisica ed  a  priori,  bensì  filosofica;  appunto  perché  è 

deputato  a  raccoglier  la  ricca  eredità  accumulatasi  negli 

antecedenti  periodi.  Or  se  è  vero,  come  dicemmo,  che 

il  pensiero  è  superiore  alla  storia  tuttoché  emerga 

dalla  storia,  non  è  men  vero  che  la  speculazione  ri- 

flessa trascende  anch'olla  le  scienze,  comecché  dalle 

scienze  sia  venuta  germogliando.  CJondanniamo  dunque, 

anche  noi,  la  metafisica  che  si  presenta  com' elabora- 

zione teologica  riflessa.  Condanniamo,  per  dirla  col  Lit- 

tré,  quel  punto  di  vista  metafisico  eh' è  trasformaeiane 

del  punto  di  vista  teologico.  Ma  potremmo  condannare 

quella  metafisica  eh' è  insieme  critica  e  inveramento 

del  punto  di  vista  positivo?  In  altre  parole,  condan- 

niamo rìsolutamente  la  metafisica  fatta  a  priori;  ma 

non  meno  risolutamente  neghiamo  che  la  terza  fase^  il 

terzo  stato  della  scienza,  abbia  da  esser  positivo  nel 

senso  che  i  Francesi  tolgon  questa  parola.  Lo  staio 

positivo  de'  Gomtiani,  afferma  un  giudice  non  sospetto, 

non  è  che  un'ignoranza  confessata  della  causa:  an 

avowed  ignoring  of  cause  àltogether^  Ed  è  veramente 

così.  L'attività  riflessa  della  ragione  intanto  giugno  ad 

esser  funzione  critica  feconda  e  profittevole,  in  quanto 

riesce  a  superare  il  positivo  mediante  il  positivo.  Or  è 

tejnpo  d' interrogare  il  nostro  filosofo. 

Che  cosa  ci  lascia  indurre  il  Vico  tanto  riguardo 

al  concettx)  della  scienza  in  generale,  quanto  rispetto 

alla  costituzione  e  coordinamento  delle  umane  disci- 

pline? Rifacciamoci  da  questo  secondo  punto. 

Ei  non  parla  di  formolo  dommatiche,  né  d'alberi 

genealogici.  Anzi  ci  avverte  come  in  certo  senso  la 

metafisica  abbia  da  esser  subordinata  aUa  fisica;  la 

quale  dà  per  vero  ciò  che  sperimentalmente  possiamo 

imitare}  Sennonché  qui  è  da  far  piìi  osservazioni.  Una 

scienza  è  indipendente  nel  metodo  e  autonoma  nel  pro- 

cesso. Questo  è  il  nostro  pensiero.  Ma  potrebb' esser 

'  Sprncrb,  The  daasif.  of  The  Scienc,,  2*  ed.,  p.  87. 

*  De  Anttq.  hai,  Sap,^  nella  Condunone,  Si  dirà  che  per  lai  la 

scienza  tovrana  sìa  la  teologia:  ed  è  t ero;  ma  è  sovrana  solo  in  quanto 

è  la  piil  oerta.  Ora  il  eerto  nelle  sue  dottrine  non  è  il  vero,  ciò  ò  dire 

un  prodotto  di  ragione,  bensì  un  effetto  di  persuasione,  un  prodotto 

di  natura  empirica  inseritoci  nell*  animo  dall*  autorità.  Quanto  egli  poi 

si  mostri  avverso  alle  scompartÌEioni  sistematiche  delle  scienze,  vuoi 

nel  senso  pontivteta,  vuoi  nel  senso  metajUieo  dommatico^  può  vedersi  là 

dove  con  sottile  ironia  parla  de'  Cartesiani  (dommatici  del  suo  tempo) 

i  quali  unum  Metaphyeicam  «Me  docent  qua  notte  indubium  det  verum^  et 

ab  eOf  TAKQUiM  a  fontr  teeunda  in  aUa»  teientiae  derivari.»,,  quare  me- 

taphyeieam  eeterie  »eientu9  fundo»^  euique  9uum  aatedere  exietimant.  Op. 

oit,  cap.  I,  §  II,  1. 

anche  tale  nelle  sue  ultime  conclusioni?  No,  certo: 

stantechè  queste,  essendo  di  natura  universale,  hann'  a 

dipendere  dal  lavoro,  anziché  d^una,  di  tutte  quante 

le  umane  discipline.  Più  ancora:  potrebb'ella  dirsi  in- 

dipendente rispetto  alle  condizioni  logiche  e  formali? 

Nettampoco:  se  così  fosse,  tornerebbe  impossibile  l'unità 

della  enciclopedia.  Finalmente  si  potrebbe  osservare, 

con  lo  Spencer,  che  a  sapere  se  i  corpi  esistano  la 

fisica  non  abbisogni  nuli' affatto  della  metafisica.  Ed 

è  vero.  Ma  evidentemente  cotesta  notizia,  più  che  ra- 

zionale, è  notizia  empirica.  Or  bene,  quando  il  fisico 

volesse  darsi  dimostrazion  razionale  del  soggetto  o 

della  materia  eh'  egli  ha  fra  mano,  e  cod  legittimare 

il  postulato  onde  move  il  suo  pensiero,  non  diverrebbe 

per  ciò  solo  un  filosofo?  Diverrebbe,  io  credo.  Nel 

processo  della  scienza,  dunque,  v'ha  un  momento  nel 

quale  il  fisico,  od  altri  che  sia,  non  può  far  a  meno 

della  speculazione  metafisica.  Se  a  tal  esigenza  egli 

sappia  e  possa  per  avventura  soddisfare  da  sé,  tanto 

meglio  :  vuol  dire  che,  oltre  d' esser  fisico  e  fisiologo  e 

geologo  e  simili,  egli  è  anche  filosofo.  Ma  ov'  egli  non 

senta  questo  bisogno,  con  che  diritti  e  ragioni  disco- 

)ioscere  ogni  valore  alla  ricerca  filosofica?  Il  vincolo 

che  tutte  aduna  e  stringe  le  scienze  son  le  norme  logi- 

che ;  la  necessità  logica  che  scaturisce  dall'  intima  costi- 

tuzione dello  stesso  pensiero.  Intesa  quindi  come  logica, 

la  filosofia  precede  e  accompagna  le  sfere  diverse  del 

sapere;  ma,  in  quant'è  metafisica,  ella  tien  dietro  ad 

esse,  e  ne  é  il  risultato  finale.  E  anche  in  ciò  siamo 

Aristotelici.* 

*  Mei.,  V.  --  Tal  si  è  pure  la  sentenza  del  Vico.  In  questo  senso  egli 

afferma  che  ninna  geienta  bene  incomineia  »e  dalia  mektfieiea  (logica)  non 

prenda  i  prineipii;  perchè  ella  ì  la  eeienna  che  ripartieee  alle  altre  i  lor 

propri  eoggetti;  e  poichi  non  pud  (in  quanto  metafisica)  dare  U  9W>,  dà 

loro  immagini  del  euo.  Onde  la  Geometria  ne  prende  U  punto  e  V  dieegna  ; 

VArUmetiea  V  uno,  e  *l  moltiplica  ;  la  Meccanica  il  conato,  e  V  attacca  ai 

corpi.  (Risp.  al  Oiomale  de^Lett.)  In  queste  parole  parmi  chiaro  T  ufficio 

della  filosofia,  in  generale,  rispetto  alle  altre  scienze.  Filosofia  è  logica. 

Veniamo  al  concetto  della  scienza;  ma  gioverà  fare 

innanzi  tratto  un'  osservazione  storica.  Dicemmo  com'  il 

Vico  sia  tra  Cartesio  e  KAnt,  vuoi  storicamente,  vuoi 

teoreticamente.  Posizione  puramente  psicologica  è  quella 

del  primo;  puramente  logica  e  psicologica  quella  del 

secondo,  la  cui  dottrina  perciò  molto  acconciamente  è 

stata  detta  Idealismo  crìtico,  o  Criticismo  ideale.  Nella 

posizione  cartesiana,  avvertimmo  anche  questo,  il  pensiero 

non  è  altro  che  un  fatto  (pag.  185-86):  la  coscienza  tras- 

cendentale di  Kant  poi  tiene  doppio  rispetto;  è  una  e 

molteplice,  è  diflferenza  e  medesimezza,  in  quanto  importa 

il  doppio  elemento  formale  e  materiale  nella  cognizio- 

ne. Ora,  per  quanto  diverse,  queste  due  posizioni  han 

comune  un  carattere;  quello  d'esser  solitarie,  astratte, 

puramente  suhbiettive,  e  quindi  insufficienti  ;  nel  che  ci 

confermerebbe,  s'altro  mancasse,  il  resultato  puramente 

speculativo  cui  pervennero  le  scuole  diverse  inaugurate 

da  que'  due  filosofi.  L' analisi  della  Ragion  pura  alla  fin 

fine  a  che  mai  riesce  ?  A  metterci  in  guardia  dell'assoluto 

di  ragione,  rilevandone  i  paralogismi  e  le  antinomie,  e 

facendoci  assistere  scontenti  e  umiliati  a  quell'inutile 

ideale  che  ci  rende  immagine,  a  dir  cosi,  dell' acqua  di 

Tantalo  :  per  cui  s'è  detto  che  l'autore  del  Criticismo,  sem- 

pre per  quell'  esigenza  d' un  ideale  rimastogli  in  tronco, 

scambio  di  chiudere,  apri  anzi  le  porte  ad  una  varietà 

di  scetticismo,  come  osserva  il  B.  Saint-Hilaire  :  nel  che 

tutti  convengono,  perfino  Hegel,  il  quale  appunto  con 

l'idealismo  obbiettivo  e  assoluto  cercò  soddisfare  aU' in- 

soddisfatto bisogno  della  Ragion  pura.^  Cartesio  poi  dove 

psicologia,  metafisica  e  simili.  Come  logica  eli*  è  scienza  madre,  in 

quanto  è  universale  condizione  d*  ogni  disciplina.  Che  poi  in  senso  di 

metafisica  debba  riguardarsi  come  risultato  finale,  ci  è  avvertito  dnl  me- 

desimo filosofo  dove  accenna  alla  relazione  eh*  ella  ha,  per  esempio,  cou 

la  geometria:  Geometria  e  Metaphy$iea  mum  verum  tMccipity  et  aecepttun 

(e  però  elaborato)  in  iptam  Metaphynctim  refundit.  De  Antiq.y  101. 

 

*  Giusta  quindi,  per  tal  motivo,  Taccusa  fatta  al  Criticismo  dallo  stesso 

B.  Saint-Hilaire:  Kant  a  voulu /aire  une  revolution}  il  na  guère  en/anté 

qu'iine  anarokie  plue  fatale.  Log.  d' Axist.,  Pref.  p.  CXLVUL 

si  riduce  egli?  Alla  necessità  d' invocare  il  solito  Deus  ex 

machina,  tornatogli  insufficiente  il  criterio  delPevidenza 

e  deir  idea  chiara  e  distinta  ;  *  senza  dir  già  eh'  egli 

medesimo  annunziava  il  Cogito  qual  semplice  ritrovato 

atto  a  soddisfare  il  bisogno  di  sua  mente,  non  già  pel 

fine  d' insegnare  agli  altri  un  metodo  a  ben  governare 

il  pensiero  :  seulement  (son  sue  precise  parole)  de  faire 

voir  en  quelle  sorte  fai  tàché  de  conduire  la  mienne. 

Nella  posizione  del  Vico,  per  contrario,  è  schivato 

nel  medesimo  tempo  tanto  il  fatto  empirico  di  Carte- 

sio, e  quindi  V  indirizzo  dell' ecclettismo  e  di  quel  timido 

spiritualismo  che  da  lui  hann'oggi  redato  i  Francesi, 

quanto  lo  scetticismo  al  quale  pur  tiene  aperto  il  fianco  il 

criticismo,  nonché  quella  serie  di  posizioni  che,  nate  dal 

Kant,  riescono  all'  Idealismo  assoluto.  Con  qual  mezzo? 

Con  un  mezzo  semplicissimo.  Col  criterio  del  vero  e  del 

fatto  ;  ma  elevato  a  dignità  e  valore  di  principio.  L'osser- 

vazione che  il  Vico  fa  a  Cartesio  è,  quanto  agevole,  altret- 

tanto efficace.  Neanche  gli  scettici  dubitano  di  pensare, 

egli  dice:  essi  aifermano  solo  che  del  pensiero  non  si 

possa  avere  scienza,  bensì  cosdensa}  Ora  il  pensiero  car- 

tesiano è  un  eerto,  non  già  un  vero;  quindi  ha  natura  di 

segno,  d'indizio  certo  (rsxfxyj/jtov),  della  cui  certezza  ninno 

al  mondo  non  ha  mai  saputo  né  voluto  dubitare.  Di  qui 

si  vede  come  la  sua  posizione  speculativa  non  istia  già 

nell'aflFermare  una  verità  di  fatto,  sì  nell' indagarne  l'ori- 

gine, la  genesi,  la  guisa:  cioè  nel  far  la  critica  del  vero 

che  appare  alla  coscienza,  perché  sdre  est  tenere  genus 

seu  formam  qua  res  fiat.  E  si  vede  come  il  criterio  vi- 

chiano  del  fare  il  vero  acchiuda  una  dottrina  schietta- 

mente aristotelica,  eh'  è  dire  la  ragion  vitale  di  quel- 

*  Yed.  le  bello  riflessioni  del  Rsnottvzkb  in  proposito.  EnsaU  de  Ori- 

tiqne  generale^  toni.  Il,  part.  3. 

'  I  difetti  che  nella  posizione  Cartesiana  scorge  il  nostro  filosofo  gli 

abbiamo  già  riferiti  (p.  186).  II  Gioberti  non  s'ingannava  nel  dire  che 

Oarteno  non  ebbe  il  menomo  sentore  de*  teeori  che  n  acchiudono  nel  SUO 

Cogito.  (Protol.  VOLTI,  p.  250.) 

l'artifizio  logico  secreto,  naturale,  onde  la  mente  nel 

discorso  rinviene  il  medio  termine.  La  mente  sa  perchè 

fa:  AtTtov  Sort  vójfjffef  >?  i^épytia}  Or  di  cotesta  attività 

occulta,  superiore  ed  essenzialmente  eduttiva,  sensisti, 

scettici,  empirici,  positivisti  non  hanno  coscienza.  Essi 

ignorano  cogikdionis  causs€e,  seu  quo  poeto  cogitalo  fiai^ 

*  ilTTff  ff9.ittpòit  OTt  ra  ?ov«p£i  ovra  tiQ  ivspysiav  àva- 

'^òiJLstfx  gUjOtcxerai.  Airtov  5'ò?i  vónii^  >j  èvipynx.  ÌItt'  $5 

ève py  e  loti  >i  Sxivafii^'  xa<  dtd  tovto  TrotoùvTéf  ^e^vwo'xouo'ev. 

Metaph,  IX. 

 

*  Z>«  Antiqui^.  ItaLf  cap.  L  §  II.  Anch'  egli  quindi  è  scettico  la  sua 

parte:  e  debb' essere,  in  forza  del  suo  medesimo  criterio.  Ritiene  infatti 

che,  quantunque  la  mente  conosca  sé  stossa,  ignora  nondimeno  la  pro- 

pria genesi  :  Dutn  «e  mens  cognoscttp  non  facit;  et  quia  non  /acit^  neacit 

genvs  quo  «e  cognoscit.  (Ibi,  §  I,  17.)  Con  la  qual  sentenza  potrebbe  sem- 

brare cb'ei  cada  in  contraddizione  con  sé  stesso;  ma  riflettendo  che  la 

mente  che  «»  conotce  qui  ya  intesa  non  come  facoltà,  bensì  come  potenza 

(della  qual  distinzione  ragioneremo  appresso),  la  contraddizione  si  dile- 

gua. Così  pure  è  da  intendersi  quell'altra  sentenza  ove  dice  che  l'occhio 

Tede  le  cose,  e  pur  non  vede  sé  stesso;  che  a  veder  so  medesimo  egli 

abbisogna  d'uno  specchio;  e  però  chiama  insufficiente  l'idea  chiara  e  di- 

stinta di  Cartesio.  Dal  tutt' insieme  quindi  possiamo  argomentare  tre 

conseguenze  :  1°  Che  la  posizione  del  Vico  non  è  né  dommatica  nò  scettica, 

ma  essenzialmente  critica;  e  Critica  del  vero  per  eccellenza  egli  definisca, 

ricordiamolo  anche  qui,  la  metafìsica  :  2»  Che  a  pervenire  al  sapere  scien- 

tifico non  basti  il  eerto,  il  fatto,  l'indizio,  nò  il  criterio  che  il  vero  sia 

il  fatto;  ma  è  d'uopo  che  cotesto  criterio  sia  levato  anche  a  principio: 

3"  Che  a  Ini  non  manca  il  nuovo  pensiero,  il  nuovo  Cogito  reoo  bum, 

come  vorrebbe  Spaventa;  anzi  possiede  chiara  l'esigenza,  per  lo  meno, 

della  critica  psicologica,  bastevole  a  prevenire  il  Kant.  Dico  esigenza, 

perché  il  problema  critico  a  lui  si  presenta  sotto  1'  aspetto  isterico,  ciò 

che  forma  la  sua  novità  ;  e  avvertimmo  come  V  aspetto  storico  importi  già 

r  esigenza  psicologica.  Se  poi  si  vuol  dire  che  a  lui  manchi  il  Cogit*» 

nel  significato  di  mediazione  assoluta  e  però  di  perfetta  trasparenza  deWes- 

aercf  Spaventa  ha  ragione.  Ma  questo  per  noi,  anziché  difetto,  é  pregio 

grandissimo.  E  qui  il  filosofo  di  Napoli  é  tanto  dappresso  a  quel  di 

Kcenisberg,  quant' altri  non  s' immagina.  Dommatici  e  sistematici,  hege- 

liani e  ontologisti  cattolici,  unisconsi  ad  una  voce  nel  battezzare  scet- 

tico l'autore  del  Criticismo.  Perciò  gli  Hegeliani  credono  compierlo  di- 

cendo, che  la  Ragion  Pratica  ò  siffattamente  collegata  con  la  Ragion 

Pura,  che  la  prima  in  sostanza  non  sia  altro  che  l' incarnazione,  il  com- 

plemento della  seconda,  ma  che  questa  di  per  sé  stessa  inevitabilmente 

meni  allo  scetticismo.  Io  non  vo'  negar  tutto  questo.  Osservo  solo  che 

due  sono  i  grandi  concetti  di  Kant:  1*  che  non  si  possa  giungere  al 

vero  sistema,  alla  dottrina  propriamente  dommatica^  2*  che,  ciò  non 

Non  si  può  ridire  il  mal  governo  che  s' è  fatto  e  se- 

guita a  farsi  del  criterio  vichiano.  In  molti  libri  leg- 

giamo: criterio  del  vero  è  il  fatto;  e  da  tutti  è  stato  inteso  • 

0  in  modo  materiale  ed  empirico,  ovvero  in  significato 

trascendentale  e  assoluto.  Se  così  fosse,  quel  filosofo 

avrebbe  consacrato,  da  una  parte,  ogni  sorta  d'empirismo 

e  di  materialismo  ;  e  dall'  altra  avrebbe  fatto  ragione  ad 

ogni  maniera  di  panteismo.  La  formula  vera,  la  vera  po- 

sizione della  scienza  e  del  pensiero,  per  lui,  non  è  questa: 

Criterio  dd  vero  essere  il  fatto  ;  bensì  quest'  altra  :  La 

conversione  del  vero  col  fatto.  Fra  la  prima  e  la  seconda 

ci  è  un  abisso  addirittura.  E  per  veder  cotesto  abisso 

e  ritrarsene,  è  mestieri  penetrar  Bell'insieme  delle  sue 

dottrine  con  la  luce  del  medesimo  principio.  La  chiave  di 

volta  d' ogni  positiva  speculazione,  e  quindi  il  vero  Deus 

intus  adest  della  mente  di  questo  filosofo,  e  però  il  bandolo 

a  strigar  tanti  nodi  che  avviluppano  il  suo  pensiero,  è  ap- 

punto cotesto  criterio,  secondo  che  noi  lo  interpretiamo. 

11  criterio  ha  da  esser  egli  un  segno,  un  indizio  del 

vero,  0  piuttosto  un  primo  vero?  Ha  da  esprimerci  un 

dato,  un  fatto,  o  pur  V  essenza  del  vero,  la  condizione 

originaria  e  trascendente  del  conoscere? 

Intendendolo  al  primo  modo,  la  scienza  tornerà  im- 

possibile, e  trionfa  lo  scetticismo  ;  perocché  non  ci  sal- 

veremo dal  noto  circolo  eh' è  questo:  «  per  conoscer  la 

ostante,  non  si  cada  nollo  scetticismo,  appunto  perchè  egli  non  crede 

che  il  non  esser  sistematici  Teglia  dire  essere  scettici  addirittura. 

(V.  Critica  dtUa  Ragion  Pura,  2*  P.,  Gap.  IV.)  Per  me  la  riyoluzione 

operata  dal  filosofo  prussiano  nel  regno  della  speculazione,  cioè  quan- 

ta alla  natura  del  sapere,  sta  tutta  qui.  Il  Vico  in  ciò  lo  prevenne:  almeno 

era  su  la  medesima  strada.  Quindi  può  dirsi  che  entrambi  condannino 

le  due  posizioni  esclusiye  del  Si^temaH^mo  e  dello  Soetticinno. 

verità  è  necessario  il  criterio;  e  per  ayer  il  criterio  è 

necessaria  la  verità.  »  Pigliandolo  poi  nel  secondo  modo, 

difficilmente  schiveremo  un  sistema  esclusivo  e  domma- 

tico.  Il  vero  criterio,  dunque,  ha  da  esser  Tuna  cosa  e 

l'altra;  indizio  e  principio.  Come  indizio,  come  postu- 

lato atto  a  conquider  lo  scetticismo  e  inaugurare  la 

scienza,  e' consiste  nel  porre,  come  si  è  detto,  il  fatto  qual 

criterio  del  vero  ;  né  e''  è  altra  via.*  Come  principio,  sta 

nel  porre,  dall'una  parte,  la  conversione  del  vero  cól 

fatto,  e  dall'altra,  come  appresso  mostreremo,  la  con- 

versione del  fatto  nd  vero,  applicandolo  all'  essere  e  a 

tutte  le  categorie  dell'essere.  Or  in  questa  seconda 

forma  assume  egli  davvero  natura  di  principio?  Di 

certo,  l'assume;  giusto  perchè  importa  l'essenzial  con- 

dizione dell'essere  stesso.  Ma  non  anticipiamo. 

Abbiam  detto  che  di  questa  dottrina  del  Vico  s'  è 

fatto  mal  governo.  Mostrammo  già  come  primo  fra  tutti 

ne  discorresse  il  Mamiani,  e,  poco  appresso,  il  Rosmini. 

Giova  qui  riassumer  le  ragioni  della  controversia  fra' due 

filosofi.  Il  Mamiani  accogliendo  questo  criterio,  come  si 

disse,  osserva  che  con  esso  il  Vico  non  intende  pro- 

por  nulla  che  esca  da'  termini  della  intuinone  (secon- 

dochè  allora  diceva  l'A.  del  Rimiovamento),  ma  conside- 

rare in  essa,  oltr'  a'  caratteri  universali,  alcune  doti 

più  particolari,  col  fine  di  proferire  a  un  tempo  mede- 

simo il  criterio  della  certezza,  e  '1  criterio  della  scienza. 

In  altre  parole  egli  dice  :  col  suo  criterio  il  Vico  intende 

guardare  non  pure  al  formale  della  cognizione,  ma  ezian- 

dio al  materiale  obbiettivo.*  Tutto  questo  è  vero  ;  ed  è 

verissimo  che,  tranne  la  natura  fisica  e  quella  degli  atti 

del  mondo  estemo,  tutt'  altro  pel  filosofo  napoletano  sia 

produzione  del  pensiero,  com'avviene  dell'algebra  e  della 

geometria.  È  fuori  dubbio  altresì  che  il  criterio  per  lui 

non  pure  ha  da  esser  segno  del  vero,  ma  anche  principio. 

*  «  Nee  ulla  »ane  alia  patct  via  qua  eeepticit  re  ipaa  convelli  poétit,  niti 

ut  veri  criterium  9Ìt  id  ip»um  fecitte*  t  —  De  Antiquisi,  Ttaì,,  cap.  1,  §  III. 

•  ìiAìttAVif  Rinnovdm,  ec,  p.  474. 

Sennonché  FA.  del  Rinnovamento  non  vide  allora  ciò  che 

avria  potuto  e  dovuto  veder  oggi  V  A.  delle  Confessioni. 

Non  vide  che  l'aspetto  originale  di  tal  dottrina  non  istà 

nel  riguardare  il  criterio  vichiano  qual  semplice  segno  ed 

inizio  di  scienza,  ma  qual  principio,  qual  legge  dell'es- 

sere stesso  in  universale.  Laonde  non  avendone  còlto 

altro  che  il  significato  psicologico,  accadde  che  alla 

possente  lima  del  Rosmini  non  poteva  tornar  guari  dif- 

ficile ridurre  in  polvere  cotesto  criterio  al  modo  che  ma- 

neggiavalo  il  Mamiani.' 

Se  non  che  è  da  confessare  come  neanche  il  Rosmini 

dal  canto  suo  valesse  a  cogUere  né  la  dottrina  in  discorso 

né  quella  parte  di  vero  che,  con  altrettanta  verità  quanto 

calore,  propugnava  il  Pesarese.  È  noto  che  il  criterio  pel 

Rosmini  ha  da  essere  un  principio,  e  dev'  esprimere  la 

verità  prima,  l'essenza  della  verità.  Or  qual  è  l'essenza 

del  vero?  Eccotelo  ricorrere  al  solito  rifugio  àeW Ente 

idmle!  Ma  se  cotesta  potrà  dirsi  condizione  di  cono- 

scenza, non  però  é  principio  di  scienza,  criterio  del  sa- 

pere per  via  di  scienza.  Che  cosa  potrà  insegnarci  mai 

con  la  sua  vuotaggine  l'essere  possibile?  l^ou  è  dunque 

cotesto  il  criterio  di  cui  parlava  il  Mamiani,  e  tanto 

meno  quello  del  Vico. — Non  potendo  indugiare  in  mi- 

nute osservazioni  sul  modo  con  che  il  Rosmini  interpreta 

la  dottrina  di  che  parliamo,  osserveremo  solamente  che 

sapere  il  vero,  pel  filosofo  di  Napoli,  non  é  solo  un  cono- 

scere il  vero,  come  vuole  il  Rosmini,  ma  è  porre,  è  fare,  é 

creare  il  vero;  altrimenti  per  nessun  miracolo  al  mondo 

giugneremmo  ad  averne  notizia.  Conoscere  pel  Vico  non 

 

 

*  RosMiKT,  Rinnovami,  ddla  FU.  in  Ttalia,  Milano,  1836,  cap.  XXXV. 

Gioverebbe  Ieg(?ere  in  questo  copioso  volarne  del  Roveretano  qnel  lungo 

capitolo  e  que*  prolissi  cementi  nonché  quelle  sette  conseguenze  che  la 

invitta  dialettica  Rosminiana  seppe  cavare  dal  criterio  secondochè  in- 

tendevalo  il  Mamiani.  A  lui  bastò  congegrnare,  al  solito,  una  di  quelle 

sue  tavole  sinottiche  nelle  quali  ei  dimostra  di  quanta  e  qual  vena  ana- 

litica fosse  ricca  la  sua  mente,  per  metter  Tavversario  col  suo  criterio 

accanto  ad  Elvesio,  ad  Epicuro  e  ad  altrettali!  Ved.  Tav.  Sinottica  (WSitt. 

FU.j  intomo  al  criterio  della  cert&ma^  voi.  cit.,  p.  318. 

è  vedere,  non  è  patire,  non  è  semplicemente  appren- 

dere. È  vedere,  patire,  apprendere,  appunto  perchè  il 

pensiero  è  essenzialmente  un  conoscere.  In  una  parola, 

se  il  vero  non  si  conosce  facendolo,  non  si  conosce 

nuU'aifatto;  non  s'intende.*  Quand' è  infatti  che  di- 

ciamo di  pensare?  Giusto  quand'abbiamo  idee.  Avere 

idee  importa  cólligere  dementa  rei;  ex  quibus  perfecHs- 

sime  exprimatur  idea.  Il  vero  è  l' idea,  ma  l' idea  in- 

nanzi che  sia  tale:  è  l'idea  germe,  l'idea  potenza,  la 

stesso  spirito  in  potenza,  il  pensiero  non  per  anche  at- 

tuatosi come  tale:  in  una  parola  è  il  senso  che  si  leva 

a  dignità  d' intelletto.  Raccolta  l' idea,  fatta  l'idea,  cioè 

dispiegatasi  la  meìite,  eccoti  il  vero-fatto.  Mi  si  doman- 

derà in  che  maniera  il  Vico  chiami  esterni  gli  elementi 

onde  risulta  l'idea?  Perchè,  rispondo,  l'eduzione  del- 

l'idea suppone  la  formazione  del  concetto;  e  il  concetto 

suppone  una  serie  di  atti  induttivi  che  appresso  deter- 

mineremo. Tutto  ciò  è  come  estemo  all'idea;  è  condi- 

zione, non  causa  del  suo  processo. 

Senonchè  col  raccorre  gli  elementi  esterni  la  mente 

pone  qualcosa  di  proprio:  pone  se  stessa  come  pensiero; 

diventa  ella  stessa  le  cose  ;  diventa  tutte  le  cose.  Ond'  è 

agevole  vedere  come  il  criterio  del  Vico  sia  il  princi- 

pio del  metodo  geometrico,  che  per  lui,  ricordiamoci,, 

suona  genetico.  Mi  spiegherò  con  un  esempio.  Come 

si  hanno  gli  assiomi,  le  verità  prime  e  necessarie,  se- 

condo i  positivisti?  Mercè  1'  esperienza,  risponderebbe 

il  Mill.  L' assioma  che  due  rette   non  cTiiudono  spazio 

*  «  Leggere  è  raccogliere  gli  elementi  della  tcriUura  onde  le  parole  tono 

composte  ;  con  V  intendere  è  COLLIORBB  elbmbnta  RBI,  KX  QUIBUS  PRRrBCTis- 

31VA  RXPRIMATOR  IDRA.  Donde  è  lecito  conghietturare  che  gli  antichi  ittt- 

liani  conveniseero  in  queeto  pensiero  :  Vbrum  rssr  ipsuv  factum.»  Qual  è 

cotesto  fatto?  È  il  pensiero,  il  vero-fatto:  perchò  ricevuto,  indotto,  rac- 

colto, e  anche  edotto  dalla  mente.  In  tale  questione  il  nostro  filosofo, 

contro  il  solito,  non  manca  di  chiarezza.  Egli  infatti  dice:  e  AUora  il  vero 

9Ì  converte  col  /atto,  quando  trae  il  9uo  essere  dalla  mente  d^  lo  eonoece  ; 

HI  QDOD  YERUM  00GNO8CIT0R  SUUM  K8SR  A  MBNTB  HABBAT  QUOQaR  A  QOA 

cooKosci'TOR.»  De  Antiqui^,,  cap.  I,  De  Origine  et  ventate  Scientiaruni.. 

Sgorga  immediate  dall'esperienza.  Che  se  apparente- 

mente si  origina  dal  pensiero,  cotesto  pensiero  in  tal 

caso  non  è  altro  salvochè  una  ripetizione  dell'espe- 

rienza :  è  r  immaginazione  che  allarga  i  limiti  del  fatto. 

Ma  questa,  evidentemente,  se  è  una  maniera  di  sapere, 

non  è  il  vero  conoscere;  perchè  cotesto  conoscere  non 

sarebbe  una  mia  fattura,  sibbene  imitazione,  copia  del- 

l'esperienza.  Che  cosa,  invece,  vi  direbbe  il  Vico  a  tal 

proposito?  Direbbe:  non  istate  a  immaginarvi  due  rette 

portevi  già  dall'  esperienza  e  poi  prolungate  all'infinito: 

fatevele  da  per  voi  medesimi  coteste  rette.  Ma  come  farle  ? 

Generandole  entro  voi,  per  voi  stessi,  con  elementi  speri- 

mentali; e  così,  più  che  l' immagine  del  fatto,  avrete  la 

vera  definizione,  e  però  la  genesi  del  fatto.  Concepite 

il  punto  come  prolungato  verso  un  altro  punto  :  eccovi  la 

linea.  Or  se  due  rette  hanno  in  comune  due  punti,  po- 

trann'elle  chiudere  spazio?  Non  potranno.  Questo  pre- 

cisamente è  il  vero-fatto,  il  vero  da  me  stesso  fatto,  da 

me  stesso  prodotto,  da  me  stesso  generato.* 

Per  non  chiamare  il  vero  fattura  di  nostra  mente, 

il  Roveretano  si  puntella  nel  solito  argomento  de'  ca- 

ratteri della  verità:  immutabilità,  assolutezza,  eternità, 

necessità,  università  e  simili.  Ma  ci  sarà  lecito  chiedere  : 

*  «  Men«  humana  eontinet  dementa  verorum  quce  digerere  et  eomponere 

poMt'ti  et  ex  quibu$  dUpontU  et  compoeitie,  exittit  verum  quod  demoiutraiU 

{teientice)  ut  demontiratio  eadem  ae  operatio  «i/,  et  verum  idem  ao  faetum.  > 

Ve  Antiq.f  cap.  Ili,  4.  Né  Yale  che  il  RosmÌDi,  chiamando  in  soccorso 

lo  stesso  Vico,  dica,  questi  elementi  esser  le  idee  e  coteste  idee  crearti  ed 

eccitarti  da  Dio  negli  animi  degli  uomini.  Per  questa  frase  VA.,  della  Scienza 

iVuova  è  stato  battezzato  Malebranchiano  !  Ma  come  non  vedere  che  in 

quel  luogo  il  filosofo  intende  parlare  del  senso  dato  a  questa  dottrina  da 

coloro  che  eteogitarono  tali  locuzioni,  le  quali  ei  non  accetta  perchè  non 

sempre  accetta  il  significato  delle  parole  latine,  come  osserva  lo  stesso 

Rosmini  a  proposito  del  Verum  e  del  Faetumf  Bastino  queste  parole:  e  Par, 

igitur  eet  ut  qui  ha»  loeutione*  excogitarint,  ideas  in  hominum  animi*  a 

Deo  oreari  exeitarique  eunt  opinati,  *  Cap.  VI,  2.  Fa  meraviglia  che  il  Ro- 

smini non  siasi  accorto  come  quattro  righe  più  giù  V  autore  contraddica 

apertamente  a  Malebranche  {Malebranckii  doctrina  arguitur^  ibi.,  §  4)  : 

e  come,  se  fosse  vera  V  interpretazione  eh*  ei  ne  dà,  il  Vico  avrebbe  sciu- 

pato addirittura  il  senso  verace  e  originalissimo  del  suo  criterio. 

una  proposizione  d' Euclide  serba  ella  questi  ed  altret- 

tali caratteri  perchè  ve  li  abbia  inseriti  la  mente  di 

Euclide  come  tale,  o  non  piuttosto  il  pensiero  medesimo, 

il  pensiero  in  quanto  è  identico  appo  tutt'  i  pensanti, 

identico  nelle  sue  leggi  essenziali,  identico  nelle  condi- 

zioni logiche  originarie?  Nella  proposizione  4 -j-  4  =  8 

havvi  necessità.  Perchè?  Perchè  lo  stesso  pensiero 

ne  ha  messo  gli  elementi.  Ma  perchè  vien  fiiora  8  e 

non  10?  Precisamente  perchè  ci  abbiam  posto  il  4  -h  4: 

cangiate  questo,  e  avrete  cangiato  anche  quello.  E 

perchè  serberà  egli  un  valore  universale  tanto  da  non 

parer  fatto  né  d' ieri  né  d'oggi,  né  intuito  solamente 

in  Francia  o  in  Australia,  nell'  età  della  pietra  ripolita 

0  nel  bel  mezzo  del  secolo  XIX?  Appunto  perchè  il 

pensiero  è  anch' egli  necessario,  universale  nelle  sue 

native  condizioni  in  ciascun  individuo  che  in  qual  si 

voglia  tempo  o  luogo  sia  capace  di  pronunziar  4  -f-  4. 

Le  critiche  dunque  che  altri  potrebbe  trarre  dal  Ro- 

Hmini  là  dov'  ei  si  studia  d' interpretare  a  suo  modo 

la  mente  del  Vico  rispetto  al  problema  del  conoscere, 

tornano  tutte  vane,  tutte  manchevoli. 

Ma  veniamo  al  più  sodo.  Il  criterio  del  nostro  filosofo 

si  porge  altresì  come  il  fondamento  più  saldo  della 

dottrina  della  prova.  Nel  conoscere  per  cause,  egli  dice  . 

seguendo  lo  schietto  Aristotelismo,  sta  la  vera  scien- 

za: il  che  si  riduce  al  medesimo  criterio  della  con- 

versione del  vero  col  fatto.*  Che  cos'  è  in  sostanza  il 

provare  per  cause?  Al  solito  è  un  raccoglier  gli  ele- 

menti della  cosa.*  Provar  dunque  per  cause,  e  con- 

vertire il  vero  col  fatto,  suona  il  medesimo.  Un  esem- 

pio. Il  principe  Alberto,  dice  St.  Mill,  morirà.  Perchè? 

Non  perchè  tutti  gli  uomini  (egli  risponde)  sian  mor- 

tali ;  si  perchè  tutti  quelli  a  me  noti  e  che  son  vissuti, 

*  «  Probare  per  cauMaat  e/Jhere  eat,  Effecttu  eH  verum  quod  eum  facto 

eonvertitur.  *  (De  Antiq.  Cap.  Ili,  2).  —  <  Chi  aa  per  via  di  caute  i  U  jnà 

sapiente.  »  Akibt.,  Meta/.  Trad.  Bonghi^  Lib.  I,  Cap.  II,  2. 

*  <  Probare  a  eauwU  rH  elementa  rei  eolìigere.  »  Ibi. 

son  già  beli'  e  morti. — Or  tutto  ciò,  io  domando,  signi- 

fica egli  provare,  o  non  più  veramente  collegare  un  fe- 

nomeno ad  un  altro  fenomeno?  £  s'egli  è  così,  non 

ne  viene  che  l'esigenza  della  prova  si  riman  sempre 

insoddisfatta  riguardo  all'uno  de' due  fenomeni  invo- 

cato per  ispiegar  l'altro?  Per  contrario,  alla  domanda 

se  il  principe  Alberto  morirà,  come  risponderebb'egli 

il  Vico?  Risponderebbe  invocando  bensì  un  fatto,  ma  un 

fatto  eh'  è  insieme  cagion  vera,  idea,  concetto,  principio, 

cioè  la  natura  stessa  dell'  uomo.  Se  intanto  la  prova  legit- 

tima si  radica  nella  causa;  se  il  vero  sapere  è  sapere  per 

via  di  cause,  è  già  beli' e  dimostrata  inefficace  non  pur  la 

teoria  sillogistica  del  positivista  che  nella  proposizione 

particolare  vuol  rannicchiar  la  sorgente  della  prova, 

ma  eziandio  l' altra  degl'  idealisti,  formalisti  e  ìntuitisti 

che  la  ripongon  nella  proposizione  universale  entro  cui 

giaccia  racchiusa,  come  in  bozzolo,  l' idea  bisognevole  di 

prova.  La  dottrina  che  a  questo  proposito  è  possibile 

trarre  dal  nostro  filosofo  non  solo  ci  dice  perchè  Tizio 

morirà,  ma,  pili  ancora,  perchè  sian  morti  i  morti,  e 

perchè  abbian  da  morire  i  morituri.  Ella  mostra  come  la 

causa,  il  vero,  l' idea,  si  convertano  col  fatto  :  come  il 

fatto  provi  la  causa;  come  la  causa  generi  il  fatto. 

Tal  si  è  la  legge  del  discorso  scientifico.  Il  quale  perciò 

non  è  funzione  deduttiva  che  dal  generale  scenda  al  parti- 

colare, 0,  come  vorrebbe  il  Mill,  dal  generale  proceda  al 

generale  ;  e  nemmanco  è  funzione  induttiva  che  dal  par- 

ticolare salga  al  generale,  o  che  un  fatto  congiunga  ad 

un  altro  fatto.  Le  tre  funzioni  che  accennammo  parlando 

della  genesi  delle  scienze  han  tutte  natura  di  sillogismo, 

ma  sotto  tre  forme,  tre  gradi,  tre  processi  differenti.  Il 

processo  sillogistico  è  monco  nell'  induzione  ;  è  incompiuto 

nella  deduzione;  ma  è  compiuto  e  perfetto  solamente 

nell'  eduzione,  nella  quale  troviamo  i  due  elementi  della 

iK)noscenza  compenetrati  dalla  stessa  virtù  nativa  del 

pensiero.  Il  sillogismo  dunque  è  funzione  essenzial- 

mente edidliva.  Esso  importa  già  la  posizione  del  faUo,  e 

 

importa  la  determinazione  del  vera;  però  la  mente  scorge 

la  conversione  d' entrambi,  e  compenetra  in  uno  i  due 

processi  per  sé  medesimi  incompiuti,  induzione  e  dedu- 

zione. E  qual  è  la  relazione  fra  queste  tre  funzioni,  tal  si 

è  pure  la  relazione,  come  dicemmo,  fra  le  scienze  e  la 

filosofia.  Se  è  vero  che  questa  ha  bisogno  assoluto  di 

quelle,  non  sarà  men  vero  eh'  ella  è  indirizzata  a  com- 

pierle, a  trasformarle  in  proprio  elemento.  Talché  una, 

a  dir  proprio,  è  la  scienza  umana:  uno  sarà  quindi  il 

metodo  quantunque  s' incarni  sotto  tre  forme  distinte. 

D  vero  non  può  non  esser  che  uno.* 

*  Dalle  cose  discorse  fin  qui  risulta,  e  meglio  risalterà  in  seguito, 

una  conseguenza  che  ci  preme  ribadire.  11  metodo  che  noi  interpretiamo 

nel  Vico,  a  guardarlo  in  relazione  alla  storia  della  filosofia,  è  metodo 

(chiodo  perdono  a  tutt*  i  platonici)  essenzialmente  aristotelico.  Il  metodo 

deUo  Stagirita,  quando  si  voglia  intenderlo  a  dovere,  non  è  nò  induuivo^ 

nel  senso  che  da*  più  si  piglia  questa  parola,  né  9ÌHogÌ9iico^  nel  signifi- 

cato degli  scolastici.  Pur  troppo  è  stato  inteso  nel  primo  e  nel  secondo 

modo  per  più  secoli  e  presso  parecchie  generazioni  di  filosofi  ;  ;na  ciò  tiene, 

come  Tedremo  in  un  prossimo  capitolo,  a  que'  due  indirizzi  contrari  ed 

erronei  secondo  cui  è  stato  interpretato  rAristotelismo.  Bacone,  per  es., 

non  cessava  di  credere  e  d*  appellar  «illogittieo  il  metodo  dello  Stagi  ri  ta  ; 

nel  che  tanto  s*  illuse  quel  grand' uomo,  che  a  poco  a  poco  giunse  a 

scrivere  d'averla  creata  lui,  proprio  lui,  la  vera  induzione!  Oggimai 

tutti  sappiamo  quanto  valga  cotesta  sua  induzione  ;  oggi  che  lo  stesso 

Macaulaj  ne  ha  sfrondato  i  meriti  (£«t.  polU.  etc.  p.  212);  ogg^i  chele 

stesso  St.  Hill  ha  creduto  ripudiarla  e  correggerla  (SysU  de  Log,^  voi.  II, 

p.  462);  oggi  eh* è  noto  come  ne  abbiano  scritto  il  Liebig,  Kuhno  Viscer, 

il  Remusat,  per  non  parlare  del  furibondo  De  Maistre.  Anche  Galileo 

avversava  a  morte  il  metodo  aristotelico:  ma,  com'è  agevole  accor- 

gersi, egli  intendeva  parlare  del  metodo  averroistico  e  scolastico  (Ofr. 

segnatamente  Man.  SUt.,  Giornata  li,  p.  120.— Lett.  del  80  Die.  1610). 

E  più  d*  una  volta  anche  il  nostro  Vico  sbeffeggia  le  inutilità  de*  generi 

oriHoteìici  (De  Antìquiee.,  Gap.  Il,  5);  ma  anch*egli  è  nel  medesimo  caso 

del  Galilei.  Si  vorrà  dire  ch'ei  non  capisse  Aristotele.  Diciamolo  pure: 

il  punto  sostanziale  è  questo,  che  l'insieme  delle  sue  dottrine  lo  dimostrano 

assai  più  da  presso  ad  Aristotele  che  ad  altri  non,  parrebbe.  Per  citare 

un  altro  nome,  anche  St.  Mill  parla  contro  il  metodo  sillogistico  del 

filosofo  greco;  ma  non  sarebbe  difficile  mostrare  come  il  vero  metodo 

aristotelico  sia,  più  che  non  paia,  quello  stesso  metodo  deduuivo^nverto 

ond'  il  Mill  crede  aver  superato  antichi  e  moderni,  e  d*  aver  corretto 

Bacone  e  Aristotele  nella  teorica  della  prova. 

Io  ho  voluto  chiamare  e  chiamo   eduxione  il  processo  razionale  e 

oosciente  del  pensiero,  non  per  vano  desiderio  di  parole  nuove,  sì  perchè 

Ragionando  su  la  natura  del  metodo,  non  possiamo 

far  a  meno  d' interpretare  un'altra  sentenza  del  Vico, 

che  costituirebbe  difficoltà  assai  grave  agli  occhi  de'  teo- 

logisti,  e  il  Rosmini  appunto  ne  ha  cavato  partito. 

Il  nostro  filosofo  parla  anche  d'  una  scienza  divina 

qual  regola  delP umana;  e  all'una  riferisce  le  leggi  ed 

i  processi  dell'  altra.*  Senz'  andarci  assottigliando  in 

discussioni  e  distinzioni  poco  profittevoli,  l' interpreta- 

zione  più  acconcia  ne  sembra  questa.  Quando  si  parla 

di  scienza  divina  siccome  norma  dell'umana,  è  al  tutto 

arbitrario  dar  a  creder  che  1'  uomo  abbia  da  intuire 

o  coglier  nulla  del  sapere  divino  :  il  tempo  di  codeste 

trascendenti  intuizioni  ormai  dovrebb'  esser  passato.  Si 

vorrà  dir  piuttosto  che  alla  mente  sia  possibile  conce- 

pire in  alcun  modo  un  tipo,  comporsi  un'idea  di  scienza 

non  ne  sia  fatto  un  fiascio  con  la  volgare  induzione  de'  Positiyisti  o  con 

la  loro  dedazione,  eh*  è  sempre,  come  dissi,  di  natura  induttiva  (Lit- 

TBé,  A,  Comte  et  la  Phil.  Potiti  p.  532  e  segg.),  e  tanto  meno  poi  col 

metodo  sillogistico  degli  scolastici.  Il  metodo  legittimo  d'Aristotele, 

ripeto,  non  è  deduzione,  nò  induzione,  bensì  eduzione.  Ce  ne  dan  prora 

tutte  le  sue  scritture,  massime  i  libri  naturali;  ed  esempio  splendido  ne 

porge  fin  la  Sillogistica,  dove  il  così  detto  metodo  sillogistico  dorrebbe 

mostrarsi  più  spiccante  che  mai  se  darrero  fosse  il  suo.  Bellissimo  esem- 

pio anche  abbiamo  ne*  due  primi  capitoU  della  Metafisica,  dove  niuno  dirà 

ch'egli  specifichi  il  concetto  della  scienza,  in  generale,  con  industria  indut- 

tiva 0  deduttiva  che  sia.  L'induzione  aristotelica  qui  è  induzione  socratica, 

giusta  l'acuta  osservazione  del  Bonghi  (Meta/.  (TAritt»,  Introd.,  p.  XXXIX). 

Perciò  egli  adopera  l'induzione  ordinaria  sólo  in  quanto  move  da  criteri 

comuni  su  la  natura  della  scienza;  ma,  giunto  a'principii  che  han  da 

costituirla,  nonchò  alle  somiglianze  e  differenze  fra  le  varie  discipline, 

cotesta  induzione  da  positivisti  sparisce,  o  meglio,  diventa  processo 

eduttlvo,  diventa  compenetrazione  d' atti  induttivi  e  deduttivi.  Se  non 

fosse  così,  non  avrebbe  potuto  stabilire  il  noto  principio  :  Kac  òlo^  Si 

tràTa  imvrìiJLVi  5tavo>}TCx>j,  ri  x  fitriy^o^Tx  ti  ^caviac,  ntpi 

aiTcaec  xxt  ^px^i  sVtiv,  if  o^xpi^ivripa^,  -il  dn'koìjvripaiy 

{Mttaph.\,\), 

Or  questo  precisamente  ò  U  metodo  che  il  Vico,  certo  in  modo  assai 

confuso,  esitante,  arruffatissimo,  adopera  nelle  sue  ricerche;  nò  quindi 

il  De  Ferron  s' ò  apposto  male  nel  dichiararlo,  come  vedemmo,  metodo 

essenzialmente  aristotelico. 

*  Dice  anzi  così:  H  mio  criterio  i  in  me  aeeieurato  daUa  eeienga  Hi 

Dio,  eiCl  fonU  e  regalia  dT  ogni  vero.  (Risp.  II  al  Oior.  de^Lett.) 

eh'  ella  non  possiede,  ma  che  pur  va  con  infinito  pro- 

cesso e  per  gradi  accostando  sempre  più.  Talché  quando 

sentiamo  il  metafisico  teologista  e  Tontologista  affermare 

la  scienza  divina  essere  norma  e  regola  dell'  umano  sa- 

pere, mostrando  credere  con  ciò  d'averne  contezza  vuoi 

per  virtù  d'un  rapido  volo  d'intuito,  vuoi  per  notizia 

chi  sa  come  e  da  chi  graziosamente  rivelataci,  e'  non 

dicon  nulla  di  serio,  nulla  di  positivo  addirittura.  Per 

affermar  tutto  questo  con  tanta  sicurezza,  non  do- 

vremmo possederla  cotesta  scienza?  Non  dovremmo 

anzi  dominarla  e  rimaneggiarla  a  nostra  posta  così  come 

l'agrimensore  fa  del  suo  compasso? 

Norma  vera,  norma  che  noi  dominiamo  davvero, 

norma  già  nota  al  mondo  prima  d'ogni  altra,  semplice, 

evidente,  inconcussa,  è  per  l'appunto  la  matematica. 

Della  quale  l'A.  della  Scienza  Nuova,  non  altrimenti 

che  Leibnitz,  Galileo,  Boezio,  Cicerone,  Aristotele,  Pla- 

tone, Pitagora,  è  grandemente  innamorato,  e  sempre 

ne  parla,  e  sempre  con  passione  viva  ne  esalta  i  pregi* 

La  contraddizione  ch'altri  vede  nel  porre  ch'ei  fa  qual 

modello  del  sapere  or  la  scienza  divina  or  la  matematica, 

è  affatto  apparente.  Che  nell'un  caso  parla,  o  intende 

parlare,  deìVidea  massima  della  scienza,  della  scienza  di- 

vina, la  quale  altro  non  potrà  essere  salvo  che  la  per- 

fetta conversione  del  Vero  col  Fatto,  la  compenetrazione 

assoluta  dell'oggetto  col  soggetto.  Nell'altro,  invece,  di- 

scorre non  già  dell'idea  massima,  bensì  d'un  tipo,  d'una 

forma  che,  più  d'ogni  altra  accostandosi  alla  prima,  più 

fedelmente  la  esprima  e  la  rappresenti.  Tal  si  è  per  ap- 

punto la  matematica.  Tipo  infatti  del  sapere  squisita- 

mente razionale  per  lui  è  la  scienza  dell'astratta  quan- 

tità; tant'è  vero  che  Dio  stesso,  die' egli  in  suo  lin- 

guaggio, non  altrimenti  opera  nel  mondo  delle  forme 

reali,  di  quel  che  faccia  il  matematico  nel  mondo  delle 

figure.*  Questo  parmi  '1  significato  più  acconcio  da  dare 

Ved.  Risp.  n  al  CHorn.  de'  LetU,  §  IV. 

a  tal  sentenza  del  Vico  se  non  vogliamo  farlo  cadere  in 

aperta  contradizione  con  seco  medesimo;  non  già  che  Dio 

e  la  sua  scienza  abbian  da  esser  davvero  norma  imme- 

diata, origine  e  sorgente  del  sapere  umano  1  È  un  para- 

gone, è  una  figura  e  nulla  più. 

E  poiché  intende  a  questa  maniera  la  scienza  di- 

vina, perciò  riesce  a  salvarsi  dagli  estremi  cui  per  vie 

diverse  rompon  l' idealista  assoluto  e  il  teologista  onto- 

logo.  Pel  primo  scienza  umana  e  scienza  divina  son  tut- 

t'uno:  pel  secondo  ce  n' è  tal  divario  quanto  fra  il  finito 

e  V  infinito.  Se  non  che  Rosmini  e  Gioberti  nelle  opere 

postume,  ormeggiando  gli  aprioristi,  pongono  anch'essi 

medesimezza  fra  V  una  e  Y  altra  scienza,  distinguendo 

solamente,  specie  il  Rosmini,  la  materia  dalla  forma,  e 

questa  reputando  identica,  e  quella  diversa  nelle  due 

scienze.*  Ma,  s'egli  è  così,  divario  essenziale  non  ci  è, 

né  ci  può  essere;  stanteché  l'essenziale  nel  conoscere, 

più  che  nella  materia,  stia  nella  forma.  Invece  secondo 

la  dottrina  del  Vico  può  dirsi,  che  se  tra  l'una  e  l' altra 

scienza  non  corra  assoluta  identità,  non  vi  possa  esser 

nemmanco  assoluta  difi'erenza.  Il  pensiero  divino  co- 

nosce, perché  raccoglie  gli  elementi;  e  nel  raccorli  reci' 

meivte  li  pone.  Il  pensiero  umano  va  raccogliendoli  an- 

che lui,  e  nel  raunarli  idealmente  li  pone.  E  tale  vera- 

mente appare  la  sua  sentenza  là  dove  osserva  che  il 

conoscere  umano  si  discerne  dal  divino  quanto  il  solido 

dal  piano,  quanto  1'  effige  in  rilievo  dal  monogramma.* 

*  Rosmini,  Teosofia^  toI.  I,  cap.  Vili.  --  Gioberti,  ProtoUy  voi.  II. 

*  Altra  difficoltà,  secondo  alcuni  critici,  sarebbe  questa.  Se  vero  sapere è  il  sapere  per  cagioni,  se  conoscere  Tal  produrre,  se  pensare  è  fare  ;  com*  è possibile  arere  scienza  dell*  assoluto  senza  farlo,  senza  produrlo?  Cono- scere Dìo  a  questa  maniera  non  è  un  assurdo?  anzi  una  bestemmia,  a detta  del  medesimo  Vico?  —  Per  tutta  risposta  io  to*  riferire  alcune  sue  pa- role le  quali  racchiudono,  panni,  il  significato  sincero  di  sua  mente,  chec- ché ne  possa  dire  in  contrario  egli  stesso:  <  Volete  {^o' Qf^W)  insegnarmi una  verità  ecientijiea  t  Assegnatemi  la  cagione  che  tutta  si  contenga  dentro di  me,  sicché  io  m*  inltenda  a  mio  modo  un  nome^  mi  stahUisea  un  assio- ma del  rapporto  ék'  io  faccia  di  due  o  p^  idee  di  cose  astratte,  e  in  con- segueAa  dentro  di  me  contenute  :  partiamoci  da  un  finto  indivisibUe  :  fer- Dalle  cose  discorse  ci  sarà  dato  cogliere  il  significato universale  del  Criterio  della  Conversione,  scandagliarne il  valor  razionale,  e  vedere  quant'  ei  riesca  fecondo  nel- r  applicazione.  Perocché  criterio  del  vero,  criterio  del certo,  criterio  psicologico,  criterio  logico  e  simili,  mai  non approderanno  a  nulla  quando  non  possano  risolversi  nel criterio  della  scienza,  che  vuol  dire  nel  principio  stesso della  scienza.  Qual  è  cotesto  principio?  Qui  dobbiamo contentarci  d'additare  a  fuggevoli  tocchi  il  risultato  spe- culativo della  nostra  dottrina,  applicandolo  alla  storia. Conversione  suona  processo,  e  importa  quindi  molti- plicità  e  varietà  di  momenti,  d'intervalli,  d'istanti.  Im- porta differenza  di  gradi,  e  diversità  di  termini;  onde vale  a  ritrarci  la  natura  stessa,  la  stessa  intima  costrut- tura  delle  cose.  A  questo  modo  il  criterio,  da  semplice 

norma  psicologica,  da  semplice  criterio,  passa  ad  assu- 

mere forma  e  valore  di  principio  scientifico  universale, 

appunto  perchè  ritrae  la  natura  stessa  delle  cose.  Sen- 

miamoci  in  un  imaffinato  inftnitOf  e  voi  mi  potrete  dire  :  fa*  del  proposto 

teorema  una  dimòetranone,  che  tant*  i  dire  quanto  :  fa'  véro  ciò  che  tu  vuoi 

eonoacere;  ed  t'o,  in  eonoecere  il  vero  che  mi  avete  proporlo,  il  farò;  talchi  non 

mi  reeta  in  conto  alcuno  da  dubitarne,  perchè  io  §te»»o  V  hofaUo,  »  (Risp.  II, 

§  IV.)  Ecco  qui  descrittaci  con  esattezza  mirabile  la  funzione  edattiT» 

del  pensiero  ftlosofico  positivo.  Conoscer  TAssoluto  per  via  d*an  intimo 

lavoro  di  riflessione  eduttira  non  è  impresa  impossibile,  né  assorda;  e 

conoscerne  e  provarne  resistenza  per  via  di  causa  non  vuol  dire  crearlo, 

come  suppone  il  Vico.  Vuol  dire  bensì  che  noi  possiamo  comporcene  l'idea, 

creandolo,  educendolo  come  ideale  per  virtù  del  pensiero.  Vuol  dire,  in  som- 

ma, esser  necessario  adoperare  qudV  analiei  divina  de*pen»ieri  umani..,,  la 

quale  guidandoci  JU  filo  entro  i  ciechi  laberinti  del  cuor  deU^uomo^  ci  potrà 

dare  non  già  gV  indovinelli  degli  Algehrieti,  ma  la  eertena  quant^  è  lecito 

umanamente  sul  problema  ftnale  e  sull'assoluto  fondamento  delle  cose. 

[Lett.  al  SoUa^  voi.  VI,  p.  14.)  Che  cosa  sian  cotesti  indovindli  da  Al- 

gebrieti,  fatevele  dire  da'  Teologi  e  dagli  Hegeliani,  che  l' avrebbero  a 

sapere  !  ** 

nonché  il  concetto  di  conversione  non  potrebbe  rivestir 

forma  di  principio,  ove  con  esso  noi  non  potessimo 

correggere  altri  due  criteri  che  sono  due  estremi  :  l' as- 

soluta identità,  e  l'assoluta  diversità.  Quando  si  tratti 

d'investigar  la  natura  e  scrutar  la  costituzione  essen- 

ziale dell'essere  considerato  in  sé  stesso,  a  me  non  riesce 

concepirla  altrimenti  salvo  che  sotto  tre  forme,  o  posi- 

zioni che  si  voglian  dire  ;  e  son  queste  : 

1*  Che  i  termini  della  conversione  ìestino  essen- 

zialmente diversi,  opposti,  non  conciliati;  o  al  più  con- 

ciliati in  maniera  empirica  (Dommatismo  empirico): 

2»  Che  cotesti  termini  in  sostanza  siano  essenzial- 

mente identici  (DommcUis^mo  razionale  e  metafisico; 

Sistema  assoluto): 

3**  Che  siano  l'una  e  l'altra  cosa  insieme;  diversi 

in  quanto  identici,  identici  in  quanto  diversi  (Dottrina 

filosofica  positiva). 

So  che  i  positivisti,  poco  benevoli  a  tal  maniera  di 

speculazioni,  sorrideranno  a  questo  linguaggio  per  loro 

poco  men  che  sibillino.  Ma  non  v'  è  riso  che  basti  a  di- 

struggere i  fatti,  e  la  storia.  Tutta  la  storia  passata  e 

anco  futura  del  pensiero  speculativo  s'è  aggirata  e 

s' aggirerà  in  perpetuo  sopra  que'  tre  punti  ;  per  cui  chi 

voglia  in  qual  sia  modo  filosofare,  non  può  non  imbat- 

tersi in  una  delle  tre  posizioni  anzidette. 

Nella  prima  d'  esse  i  termini  della  conversione,  as- 

solutamente ed  essenzialmente  diversi,  convertonsi;  ma 

in  guisa  aflFatto  estrinseca,  meccanica.  De'  due  termini 

l'uno  é  assolutamente  fuori  dell'altro;  sì  che  paion 

solamente  fra  loro  congiunti,  quasi  attaccati,  addossati 

r  un  r  altro  non  si  sa  come,  non  si  sa  perché.  Dunque 

alterità  empirica,  empirica  diflFerenza:  differenza  reale 

fra  essi,  non  già  svolgimento  di  forme,  né  di  contenuto; 

non  diversità  di  momenti,  d'atti,  di  funzioni,  ma  di 

stato.  Si  direbbe  che  non  ci  sia  altro  che  suoni  acuti 

di  qua  e  suoni  gravi  di  là,  ma  sempre  fra  loro  scordanti, 

non  sapendosi  ritrovar  quella  nota  fondamentale  e  co- 

mune  che,  temprandoli  insieme,  Taglia  a  comporli  in 

armonia.  Però  qui  non  ci  ha  moto,  non  vita,  ma  realtà 

fredda,  immobile,  stecchita.  AèA;BèB;CèC; 

r  essere  è  T  essere  :  ecco  tutto. 

Nella  seconda  i  termini,  come  essenzialmente  identici, 

si  convertono,  ma  solo  in  apparenza.  Si  convertono  solo 

per  ripeter  sé  medesimi.  Si  convertono  perciò  in  quanto 

si  compenetrano:  il  che  non  vuol  dir  conversione,  ma 

identità  assoluta.  Ciò  svolgimento,  processo,  sviluppo, 

varietà  di  momenti;  ma  è  svolgimento  formale,  sviluppo 

fenomenico,  semplice  varietà  non  diversità  di  momenti  : 

quindi  ripetizione,  monotonia,  necessità  meccanica  ma- 

teriale, 0  meccanismo  ideale.  Nulla  di  nuovo,  fuorché  il 

fenomeno.  Una  la  sostanza,  ma  infinitamente  molteplici 

le  superfici.  L' essere,  l' essenza  delle  cose  è  identità  con- 

creta, identità  sostanziale.  Qui  dunque  e'  è  difetto  di  fe- 

condità vera  nell'essere;  dimodoché  la  conversione  è 

compenetrazione  di  termini  in  una  varietà  infinita  di 

momenti  reali  e  tutti  fenomenici.  A-=B;  B-C;  C-D: 

l'Essere  é  il  Diventare. 

Nel  terzo  caso,  finalmente,  la  prima  e  la  seconda  po- 

sizione sono  conciliate.  Né  tal  conciliazione  accade  mercè 

i  soliti  principii  superiori,  e  i  soliti  terzi  armonici,  e  i  so- 

liti dialettismi  che,  quanto  piii  voglion  accordare,  tanto 

più  facilmente  scordano  alterando,  sciupando,  guastando 

la  natura  dei  termini  che  intendono  trarre  ad  armonia. 

Sono  bensì  conciliate,  perchè  legittimate  entrambe;  né 

potrebbon  esser  fatte  legittime,  ove  ciascuna  d' esse  non 

serbasse  l' individuale  esigenza  che  la  distingue.  Voglio 

dire  che  fra'  termini  della  terza  posizione  non  v' è  im' as- 

soluta identità;  e  non  v' essendo  assoluta  identità,  e' sono 

distinti;  e  distinto  eziandio  ne  risulterà  il  processo. 

Laonde,  anziché  compenetrazione,  fra  essi  ci  è  conver- 

sione ;  anziché  assorbimento  dell'  un  nell'  altro,  rispon- 

denza. Or  come  sarebb'ella  possibile  tal  conversione  ove 

fra' termini  non  fosse  opposizione?  Essi  perciò  hanno  un 

limite  in  sé,  e  quindi  un  intervallo.  E  non  ostante  i  li- 

miti  e  gr  intervalli  e'  pur  si  toccano,  ma  senza  confon- 

dersi: e  non  potranno  confondersi  perchè  la  lor  diffe- 

renza non  è  di  forma,  anzi  di  sostanza.  Qui  dunque  non 

v'è  noiosa  e  monotona  ripetizione:  ci  è  vita  vera,  ori- 

ginalità, novità,  fecondità  d'essere.  A  si  converte  con  J?, 

non  perchè  l'uno  sia  l'altro,  non  perchè  siano  identici, 

ma  sì  perchè  sono  distinti.  Or  come  potrebbero  esser 

distinti  senza  un  fondamento  comune  ? 

Per  astratto  che  paia  questo  nostro  linguaggio,  non 

potrà  essere  oscuro  a  chi  abbia  qualche  dimestichezza 

con  ispeculazioni  di  cotal  genere;  né  dubbia  od  oscura 

tornerà  la  conseguenza  che  ne  trarremo.  Ed  è  che  il 

criterio  della  conversione,  sia  che  Tobbietto  di  essa 

vogliasi  intendere  come  assorbimento  o  compenetra- 

zione de' suoi  termini,  sia  che  come  assoluta  alterità; 

riesce  sempre  infecondo,  sterile,  esclusivo,  irrazionale,  o 

al  pili  apparentemente  razionale.  Dunque  la  posizione 

metafisica  piti  legittima  e  positiva  sarà  la  terza;  ed  è 

quella  appunto  che  si  trae  dalle  dottrine  del  Vico.  Spie- 

ghiamoci pili  netto,  e  confermiamo  qui  anc'  una  volta 

il  concetto  della  Scienza  e  del  Criterio. 

Nella  prima  posizione  la  scienza  non  è  possibile  a 

verun  patto.  Ella  pecca  per  difetto.  Ella  pecca  per  non 

saper  essere  scienza  metafisica  in  modo  alcuno  e  sotto 

nessuna  forma:  però  essa  è  nulla  perchè,  metafisicamente, 

è  scienza  del  non  sapere.  Tale  sembra  voglia  esser  la 

missione  storica  degli  odierni  positivisti:  Far  la  scienza 

del  non  sapere  metafisico!  In  sostanza  e' non  fanno  che 

riprodurre  la  posizione  di  Sesto  Empirico,  modificandone 

la  forma:    nxvri   lòyra   lóyo'j   CTOv   àvrcxcIo'Oae.    E   poichè 

 

tal  posizione  è  negazione  dell'  esigenza  metafisica,  però 

cot^t'  indirizzo  deve  assumere  più  forme,  maniere  di- 

verse, metodi  differenti,  rappresentandoci  così  gli  sforzi 

inefficaci  del  pensiero,  ed  esprimendoci  '1  conato  infrut- 

tuoso della  mente.  Ella  quindi  piglia  forma  di  credenza, 

la  cui  più  alta  e  sistematica  espressione  è  il  credo  quia 

absurdum;  e  piglia  forma  altresì  di  senso  comune,  d' ana- 

lisi,  d'osservazione,  di  classificazione,  d'indagine  par- 

ticolare, induttiva,  sperimentale,  psicologica.  Tal  si  è 

quella  lunga  serie  di  tentativi  più  o  men  razionali  che 

dal  monoteismo  informe,  cui  nella  religione  s'eleva  il 

pensiero  attraverso  un  teologismo  pia  o  men  riflessivo 

si  va  innalzando  e  negando  se  stesso,  e  vuol  essere 

scienza  d'autorità,  di  fatti,  di  coscienza,  d'istinto,  di  sen- 

timento, d'esperienza.  Quindi  è  Tradizionalismo,  Psico- 

logismo, Spiritualismo,  Materialismo,  Filosofia  del  senstis 

naturce  communis,  Filosofia  del  sentimento,  Scetticismo. 

Tutte  filosofie  entro  cui  più  o  meno  spiccatamente  s'an- 

nida il  Positivismo,  perocché  tutte  consentano  nel  co- 

gliere il  diverso,  l' essere  come  diverso,  alla  guisa  che 

lo  presenta  il  fatto.  Però  non  sanno  spiegarlo,  non  sanno 

intenderlo.  E  quindi  l'oggetto  del  sapere  metafisico  per 

esse  riman  sempre  tale,  sempre  diversità  empirica. 

Nella  seconda  posizione  il  concetto  della  scienza  è 

possibile:  tanto  possibile,  tanto  facile,  che  pecca  per 

eccesso  ;  pecca,  come  dicemmo,  per  voler  essere  scienza 

ciSSoliUa,  e  quindi  finisce  per  diventare  scienza  del  nulla: 

scienza  dell'  essere  che  s' annulla.  Tal  si  è  l' Idealismo 

assoluto,  e  tali  tutti  que' sistemi  che  gli  sono  affini: 

la  teorica  del  tutto-idea,  dell'  idea-tutto,  che  pone  il 

contenuto  dell'essere  come  assoluto,  identico,  univer- 

sale. Il  divenire  è  legge;  legge  essenziale,  legge  supre- 

ma :  per  cui  gli  Hegeliani  oggi  non  fanno  che  ricantar 

sott' altra  forma  la  posizione  d'Eraclito:  nàvra  yj^pti 

òifSiy  psvsi:  ripetizione  monotona,  monotono  ritornello» 

ond'  agli  occhi  di  costoro  (secondo  l' osservazione  d' un 

tedesco)  tutto  è  vecchio,  tutto  è  saputo,  e  nulla  di 

nuovo,  nulla  di  spontaneo,  nulla  d'originale  non  sarà 

mai  possibile  nell'essere  stesso.*  L'identico  nel  diverso, 

ma  nel  diverso  fenomenico,  apparente  :  ecco  la  formola 

dell'  Idealismo  assoluto  quando  l' Hegeliano  voglia  esser 

conseguente  a  sé  medesimo.' 

'  Stahl,  St.  dilla  FiL  dd  Diritto^  voi.  II»  p.  300. 

'  Non  mi  facciano  il  viso  dell* arme  i  miei  buoni  amici  Hegeliani,  se 

Nella  terza  posizione,  finalmente,  la  scienza  intesa 

come  sapere  metafisico  non  è  un  nulla,  dicemmo,  e 

neanche  il  tutto.  Non  è  metafisica  negativa,  e  nemmanco 

scienza  assoluta.  La  divisa  dunque  della  vera  filosofia 

positiva  è  il  gran  principio  Leibniziano,  che  troviamo 

verificato  anche  nelle  dottrine  del  Vico  :  Tutti  i  sistemi 

esser  veri  in  ciò  che  affermano;  tutti  essere  falsi  in  ciò 

che  negano.  Perciò  il  carattere  che  la  distingue  risiede  e 

spicca  sopratutto  nell'accettare  quel  che  le  posizioni  con- 

trarie ed  opposte  affermano,  e  nel  negare  precisamente 

ciò  ch'elle  negano.  Essa  nega  la  loro  esclusività,  le 

corregge,  e  le  invera.  Quindi  riesce  filosofia  positiva,  in 

quanto  è  produzione  de' fatti  e  del  pensiero  ;  risultamento 

d'un  lavoro  costante  e  combinato  fra  l'esperienza  e  le 

idee,  fra  la  natura  e  lo  spirito,  fra  la  storia  e'I  pensiero. 

Più  che  sperienza,  in  lei  tutto  è  sperimento  :  tutto  con- 

versione incessante,  attuosa,  e  quindi  fiducia  profonda 

nel  reale  come  nell'ideale,  fede  vivace  nella  storia  come 

nella  ragione.  La  filosofia  positiva  dunque  è  positiva  non 

perchè  neghi  la  metafisica,  come  pretende  il  Positivista, 

ma  si  perchè  nega,  dall'  una  parte,  la  metafisica  dom- 

matica,  l' assoluto  sapere,  1'  assoluto  a  priori;  mentre 

dall'  altra  nega  lo  stesso  Positivismo,  eh'  è  in  sostanza 

il  nullismo  metafisico.  Or  se  la  funzione  filosofica  se- 

riamente positiva  non  è  quella  che  nega  bensì  quella 

rol  mio  corto  cervello  non  arrÌTando  ad  afferrare  il  secreto  vìncolo  dia- 

lettico dello  due  parole,  abbia  qai  considerato  il  divergo  come  efìOmero 

ed  accidentale  rispetto  a\V identico.  Ma  non  son  essi  medesimi  che  pronun- 

ziano, legge  suprema  esser  V  ikdifperbnza  dippersnziata  indifprrintr- 

MEirrE?  Or  che  ci  dicon  queste  parole?  Traducendole  in  linguagt^io  un 

po'più  umano,  8*ò  possibile,  ci  significano  precisamente  questo  : /(Z«n(»efì 

fatta  diverta  in  modo  identico.  E  che  cosa  Tuol  dire  identità  fatta  diverta 

in  modo  identico  f  Vuol  dire  identità  nella  divereità^  nò  più,  nò  meno. 

Dunque  T essenziale  ò  sempre  T identico!  Però  non  si  sono  ingannati 

coloro  che,  nella  stessa  Germania,  hanno  rassomigliato  il  sistema  di  Hegel 

ad  un  serpentone  si  morde  la  coda.  (Ved.  presso  Lbrminirr,  Bi$t.^  de 

hi  Phil,  du  Droitf  Voi.  II)  Nò  sonosi  ingannati,  nel  medesimo  paese,  nel 

dire  che  1*  Idealismo  assoluto  ci  rammenta  la  eometta  di  MUnchhausen 

la  quale  sonava  da  so  !  (Staul,  Op.  c«(.,  voi.  cit,  p.  499). 

che  afferma,  ella  nega  appunto  il  puro  astratto,  nega 

il  puro  concreto,  e  cosi  afferma  la  vita  e  l'armonia 

d' entrambi  ricercandola.  Non  siamo  dunque  hegeliani 

anche  noi?  non  siamo  anche  noi  positivisti?  Noi  affer- 

miamo, infatti,  quel  ch'essi  affermano;  ma  siam  pronti 

a  negare  la  loro  negazione.  I  primi  afferman  l'identità 

com' essenza  delle  cose;  e  però,  se  voglion  esser  conse- 

guenti, devon  negare  la  differenza  in  quanto  essenziale 

ella  medesima.  I  secondi  affermano  una  relazione  tutta 

estrinseca  e  stavo  per  dir  meccanica  fra  le  cose;  la  iden- 

tità astratta,  la  differenza  reale,  immediata  e  però  sola- 

mente empirica,  data,  mostrata  dal  fatto,  ma  non  legit- 

timata dalla  ragione:  perciò  essi  negan  l'identità  come 

essenziale  nell'  essere,  perchè  non  capiscon  Y  essere,  né 

loro  importa  guari  capirlo.  Or  la  filosofia  è  positiva, 

Imperché  afferma  l'elemento  positivo,  voglio  dire  l'af- 

fermazione d' etrarabe  queste  due  posizioni  ;  2»  perchè 

.negando  l'elemento  negativo  contraddice  alla  negazione 

di  esse.  L' ingegno  filosofico  positivo  sarebbe  un  imper- 

donabile e  meschino  anacronismo  e  contraddirebbe  a  sé 

medesimo,  ove  non  accettasse  il  positivo  che  è  nell'  una 

e  nell'altra  di  queste  contrarie  posizioni  cui  è  giunta  la 

moderna  filosofia  europea.  Ma  se  la  nòstra  posizione  è 

davvero  moderna,  non  però  cessa  d' essere  antica  :  ed  è 

antica  senz'  esser  vecchia.  Essa  è  la  medesima  esigenza 

di  quelle  due  grandi  dottrine  attorno  a  cui  s'affatica 

da  venti  secoli  la  speculazione  occidentale.  Aristotelismo 

e  Platonismo.  Aristotele  e  Platone  non  si  contraddi- 

cono. Essi  concordano,  s'  altro  mancasse,  nel  concetto 

della  scienza;  e  gli  opposti  indirizzi  ond' abbiamo  parlato 

sin  qua  in  modo  puramente  astratto  e  teoretico,  non  ap- 

partengono ad  essi,  ma  di  essi  ci  rappresentano  appunto 

r  esagerazione.  Dunque  la  correzione  piii  seria  ed  efficace 

del  Platonismo  e  dell' AristoteHsmo  sta  nella  terza  po- 

sizione. La  quale  perciò,  in  mentre  cha»giustifica  la 

storia  della  filosofia,  la  innalza  ad  unità  razionale,  e  le 

imprime  una  forma  razionalmente  positiva. 

 

 

In  che  veramente  consiste  tal  forma  razionale  e  po- 

sitiva di  speculazione  metafisica? 

 

Ella  consiste  nel  porre  tre  ordini  di  realtà,  ma  si- 

gnoreggiati da  un  medesimo  principio.  A  questi  tre 

ordini  di  realtà  il  Vico,  certo  per  significarne  1  indipen- 

denza e  la  distinzione  essenziale,  die  titolo  di  mondi: 

Mondo  delle  Menti  e  di  Dio  (Processo  ideale); 

 

Mondo  della  Natura  (Processo  naturale); 

Mondo  delle  Nazioni  (Processo  istorico),* 

*  Il  concetto  de'  tre  proce»9Ì  è  simboleggiato  ne*  Tre  mondi  della  IH-  . 

pintura  messa  in  fronte  alla  Scienza  Nuova.  Taluno  potrà  sorridere  pen- 

sando a  questo  schema  simbolico;  e  sorrida  a  sua  posta!  Non  è  mancato 

invece  chi  lo  abbia  preso  sul  serio  come  in  (Jermania  U  GOoschel,  il  quale 

ha  saputo  scorgervi  un  concetto  metafisico  originale,  tantoché  ne*  suoi  i 

Fogli  «parti  ne  ha  parlato  in  opposizione  ali* Hegelianismo  (Ved.  Cantoni, 

St.  Critici).  Ma  ci  è  una  ragione  seria  per  cui  il  Vico  pone  in  fronte  alla 

Scienza  Nuova  cotesto  suo  schema?  Ovvero  ò  una  fantasia  platonica  e 

mezzo  teologica,  uno  scherzo  da  erudito,  un  giuoco  da  letterato,  un  va- 

neggiamento d' un  contemplatore  solitario  e  fantasioso  V  Una  ragione 

e*  è  ;  ed  è  quanto  seria  altrettanto  chiara.  Cotesto  schema  simboleggia 

appunto  la  sua  dottrina  metafisica,  i  cui  germi  dicemmo  trovarsi  nelle  ^ 

opere  latine.  Avvertimmo  già  che  una  metafisica  nella  Scienza  Nuova 

c'è,  ma  vi  è  supposta,  vi  è  presupposta,  non  già  incorporata  con  essa, 

come  crede  il  prof.  Spaventa.  Come  fate  a  sapere  (mi  si  chiederà)  che 

cotesta  metafisica  ci  è,  ma  vi  è  supposta?  Lo  potrò  sapere  per  più  vie. 

Lo  so,  perchò  lo  induco  dair  insieme  delle  dottrine  spiegate  in  quel  li- 

bro. Lo  so,  perchò  guardo  alle  attinenze  infinite,  tacite  ed  espresse,  fra 

la  Scienza  Nuova  e  le  altre  opere.  Finalmente  Io  so,  perchò  V  autore  stesso 

me  lo  dice  e  me  lo  fa  intender  chiaramente  con  la  sua  Dipintura,  Che 

cosa  infatti  vorrà  significare  mai  cotesto  schema  simbolico?  lì  con- 

cetto de*  tre  mondi  racchiude  in  sostanza  quello  de*  tre  processi  dell*  es- 

sere; col  che  il  Holitario  del  secolo  JF/// anticipava  d*  un  secolo  THege- 

liauismo,  ma  nel  medesimo  tempo  lo  correggeva.  Ora,  chi  applichi  al  tri- 

plice processo  il  criterio  della  Convernone  del  vero  col  fatto,,  nel  mentre 

può  imprimer  valore  di  principio  a  cotesto  criterio,  si  avvede  che  pro- 

prio in  quella  Dipintura  giace  nascosto  il  nòcciolo,  per  così  dire,  della 

monte  del  Vico,  e  però  la  chiave  maestra  della  sua  dottrina  metafisica. 

Questo  schema  da  una  parte  è  come  il  risultato  delle  opere  latine  ridotto 

a  concretezza  sensata,  e  presentato  sotto  forma  simbolica  ;  mentre  dal- 

r altra  e*  si  presenta  come  Tantecedente  immediato  della  Scienza  Nuova, 

e  figura  quasi  il  perittero  degli  antichi  edifizi.  Che  sia  cosi  non  e*  é 

bisogno  di  perderci  in  istudìati  arzigogoli.  Il  fine  per  cui  egli  prepone 

al  suo  libro  la  Dipintura  è  detto  nello  stesso  titolo:  la  Dipintura  pro- 

posta al  frontispizio  serve  per  T INTRODUZIONR  delV  Opera.  Dunque,  ridicia- 

molo, in  lui  c'è  una  metafisica;  e  questa  metafisica  non   ò  incorporata 

Or  se  tre  sono  gli  ordini  della  realtà,  in  questi 

per  prima  cosa,  vuol  esser  fondata  la  genesi  e  V  ordina- 

mento delle  difiPerenti  parti  che  compongon  la  filosofia. 

La  prima  di  queste  parti  riguarda  il  processo  ideale,  il 

processo  in  sé  medesimo  considerato,  V  essere  attuale, 

r  infinito  attuale.  Ella  è  metafisica  e  logica,  due  cose  in 

una;  ma  senza  che  fra  loro  ci  sia  quella  pretesa  equa- 

zione che  a  marcia  forza  ci  voglion  vedere  gì'  Idealisti 

assoluti.  Se  è  vero  che  la  metafisica  è  anch'  essa  una  lo- 

gica, non  è  vero  che  la  logica  sia  la  metafisica.  —  La 

seconda  parte  è  la  filosofia  della  natura,  la  quale  versa 

nel  finito  attuale  senza  che  s'abbia  da  imporre  alle 

fisiche  discipline.  Ella  non  fa  che  applicare,  in  accordo 

co'  risultati  sicuri  dell'  esperienza,  il  solito  criterio  della 

conversione,  per  cui  non  potrebb' esser  detta  costru- 

zione a  priori,  —  La  terza  parte,  finalmente,  è  la  filo- 

sofia dello  spirito  sotto  tre  forme,  o  processi:  storico, 

sociologico  e  psicologico.  L'  obbietto  di  essa  non  è  il 

finito,  ne  l' infinito,  ma  il  finito  che  tende  all'  infinito, 

Vinfiniio  potenziale.  Ora  il  problema  di  tutt'e  tre  queste 

parti  è  quello  stesso  di  ciascuna,  ma  sotto  forma  pe- 

culiare. Esso  consiste  nel  mostrar  l' identico  nel  diverso 

e  viceversa;  cioè  nel  mostrare  la  conversione  del  Vero 

nella  Scienza  Nuova,  ma  è  tutta  in  quello  schema  che  9ervc  per  intro- 

duzione deW  Opera.  Perciò  chi  voglia  intendere  il  suo  libro,  s'  ha  da  stu- 

I  diare  d*  intendere  innanzi  tutto  la  Introduzione  che  vi  è  preposta.  E  pure 

quanti  sono  che  ci  abbian  badato  ?  Quanti  sono  anzi  che  non  ci  abbiano 

riso  V  Ma  che  cotesto  invece  sia  negozio  da  non  pigliarsi  a  gabbo,  ce  lo 

dice  egli  medesimo  là  dove  rÌ9tringendo  TI  db  a  deW  Opera  inuna^omma 

hrieviisima,  accenna  che  cosa  rappresenti  in  sostanza  la  sua  figura.  Che 

poi  intendesse  racchiudervi  una  dottrina  metafisica,  lo  avverte  chiaro 

nella  lunga  nota  in  su  la  fine  della  Spiegcutione^  dove  per  fare  intendere 

al  lettore  la  heUezaa  detta  Divina  Dipintura^  gli  pone  sotV  occhio  V  or- 

'  rore  e  la  bruttezza  d*  altre  dottrine  contrarie,  per  es.   lo  Spinozismo,  il 

■  Determinismo  storico,  lo  Scetticismo,  il  Sensismo,  V  Epicureismo  e  simili. 

Dunque  (giova  ribadirlo  bene)  di  sotto  a  que*  sìmboli,  che  a  taluno  son 

parsi  fantasia  da  poeti,  la  critica  seria  e  indagatrice  ha  da  scorgere  due 

;  concetti:  !«  U  concetto  della  Conversione}  S*»  il  concetto  de* tre  /Voce»»». 

Questo  è  il  punto,  e  quello  è  la  leva;  e  con  quel  punto  e  con  questa 

leva,  chi  no  avesse  la  fona,  potrebbe  muovere  terra  e  cielo. 

col  Fatto,  della  forma  con  la  materia,  dapprima  in  sé 

stessa,  poi  nella  natura,  poi  nello  spirito  e  nella  storia. 

Questa  è  precisamente  la  divisione  razionale  e  po- 

sitiva della  filosofia.  Ed  è  razionale  e  positiva  perchè 

mentre  racchiude  il  vincolo  secreto  de' tre  processi,  nega 

insieme  la  pretensione  de' sistematici  assoluti,  agli  occhi 

de' quali  la  genesi  del  pensiero  è  identica  a  quella  del- 

l'essere. Per  noi  invece  fra  l'una  e  l'altra  non  v'è  iden- 

tità, ma  conversione.  Ed  è  questo,  come  vedremo,  il 

significato  sincero  della  nota  sentenza  vichiana  su  la 

relazione  fra  l'ordine  logico  e  l'ordine  ontologico. 

A  conclusione  intanto  di  tutto  ciò  che  siam  venuti 

discorrendo  ne' precedenti  capitoli  su  la  scienza  e  sul 

criterio  della  scienza,  dobbiamo  vedere  in  che  modo  il 

criterio  delle  tre  posizioni  ond' abbiamo  innanzi  discorso 

valga  altresì  a  farci  interpretare  la  storia  della  filoso- 

fia, e  intender  la  genesi  e  determinare  la  peculiar  na- 

tura de'  differenti  sistemi  filosofici. 

Non  si  può  esser  filosofo  senza  essere  storico  della 

filosofia,  e  viceversa.  Scienza  e  storia  della  scienza  sono 

due  aspetti  d'un  medesimo  subbietto;  ma  sotto  diverso 

punto  di  lume.  Sono  due  aspetti  che  non  si  confondono 

fra  loro,  ma  si  distinguono;  e  si  distinguono  appunto, 

perchè  s' hanno  a  compiere  a  vicenda.  Questa  è  legge 

universale  di  ciascuna  scienza,  ma  segnatamente  della 

filosofia.  La  necessità  della  storia  d' una  scienza,  infatti, 

è  in  ragione  inversa  della  sua  compiutezza  e  costituzione. 

La  storia  della  matematica  è  una  curiosità,  un'  erudi- 

zione agli  occhi  del  matematico.  Erudizione  e  curiosità 

la  storia  della  chimica  e  della  fisica  pel  chimico  e  pel 

fisico  puramente  sperimentale.  Ma  potrebb'  esser  sem- 

plice curiosità  la  storia  delle  scienze  induttive  quando 

si  pigli  a  considerarle  nelle  loro  questioni  generali  come 

ha  fatto  il  Whevrell?  Sarà  semplice  erudizione  la  storia 

del  Diritto  pel  giusnaturalista?  Erudizione  e  curiosità 

la  storia  del  sentimento  religioso  studiato  nelle  differenti 

civiltà?  Tanto  meno  dunque  la  storia  del  pensiero  filo- 

sofico  potrebb'esser  pel  filosofo  una  quistione  di  curiosità. 

Una  filosofia  che  divelta  e  stralciata  dal  suo  passato 

non  sappia  annodarglisi  e  continuarlo  e  correggerlo,  piii 

che  filosofia  è  romanzo;  più  che  speculazione  seria,  uto- 

pia. Un  agrimensore  cui  manchi  il  terreno  da  sottoporre 

a  misura;  un  pilota  senza  naviglio  sopra  cui  possa  ado- 

perar lo  scandaglio  e  la  bussola:  tale  per  me  è  il  filo- 

sofo senza  la  storia  de'  sistemi  filosofici. 

Sennonché,  studiar  questi  sistemi  nella  storia  per 

noi  non  è,  come  per  gli  ecclettici,  studiare  la  scienza 

stessa.  La  storia  è  mezzo  efficacissimo,  strumento  essen- 

zialissimo,  condizione  vitale  per  la  scienza,  ma  non  ca- 

gione. Ora  perchè  lo  studio  de'  sistemi  abbia  valore  di 

strumento  efficace,  è  d'  uopo  saperlo  non  pur  maneg- 

giare, ma  indirizzarlo  ad  un  fine  altresì.  Per  l'una  cosa  e 

l'altra  un  criterio  è  imprescindibile.  Dond' emerge  cote- 

sto criterio?  Dalla  storia,  dicono  alcuni.  Ma  allora  la  sto- 

ria sarebbe  la  scienza  stessa!  Dalla  mente,  risponde  altri, 

cioè  dal  sistema.  Ma  in  tal  caso  la  mente,  il  sistema  sa- 

rebbe la  storia  !  Né  dall'una,  dunque,  né  dall'  altra  sor- 

gente in  modo  esclusivo  può  emergere  il  criterio,  sibbene 

da  entrambe.  In  che  maniera?  Hoc  opus,  hic  labor. 

Perchè  il  criterio  possa  riescir  davvero  profittevole 

dee  metterci  in  grado  d' interpretare  in  qualche  modo  la 

storia.  Dee  farci  comprendere  il  suo  problema;  dee  farci 

intendere  il  suo  fine.  Ora  per  interpretare  la  storia  della 

filosofia  innanzi  tutto  è  mestieri  disporla,  ordinarla;  or- 

dinarla secondo  il  fatto,  più  che  secondo  le  ispirazioni 

di  nostra  fantasia.  Ma,  daccapo,  come  disporre  e  ordi- 

nare senza  un  criterio?  Ecco  la  necessità  della  psico- 

logia. La  quale  sedendo  in  mezzo,  per  così  dire,  alla 

storia  e  alla  filosofia,  cioè  in  mezzo  ai  fatti,  ai  sistemi 

che  ci  porge  la  storia  e  alla  teorica  che  può  darci  il 

pensiero,  costituirà  l' unica  sorgente  del  criterio.  E  il 

segno  men  fallace  a  ponderarne  la  verità  e  legittimità 

è  il  vedere  se  ci  ha  rispondenza  fra  lui  e  l' ordine  cro- 

nologico nonché   i   caratteri  presentatici  dalla  storia 

delle  diflFerenti  dottrine.  Tal  rispondenza  ci  può  fallire 

in  due  modi,  e  per  due  ragioni;  o  perchè  la  materia 

non  si  presti,  ovvero  perchè  il  principio  tolto  siccome 

regola  torni  inapplicabile  ed  erroneo.  Neil' un  caso  la 

storia,  come  scienza,  è  fatta  impossibile  per  sé  stessa: 

nell'  altro  è  fatta  impossibile  da  chi  la  studia  per  non 

aver  saputo  imbroccar  nella  scelta  del  criterio.  Di  fatto, 

per  vedere  se  uno  storico  della  filosofia  erri  lungi  dal 

vero,  non  e'  è  che  guardare  alla  composizione  del  suo 

disegno.  Quand'  ei  prediliga  alcune  figure,  e  metta  V  una 

anziché  l'altra  sotto  certi  punti  di  lume,  e  faccia  risaltar 

questa  più  che  quella  scuola,  e  rintani  giù  fra  le  ombre 

un'  altra,  o  tiri  un  velo  sopra  una  terza,  egli  per  noi  è 

storico  da  scuola,  storico  da  gabinetto,  storico  a  proprio 

servigio,  storico  esclusivo,  perchè  esclusivo  il  criterio  col 

quale  interpreta  la  materia  eh'  egli  ha  fra  mano.  Tutti 

gli  Hegeliani  senza  eccezione  danno  in  questo  difetto. 

Senonchè  la  storia  de^  sistemi,  eh'  è  appunto  la  mate- 

ria sopra  cui  lavora  lo  storico,  può  davvero  prestarsi  ad 

uno  studio  che  serbi  valor  razionale? — I  fini  dello  storico 

sono  diversi.  Principalissimo  è  quello  di  legittimare  il 

proprio  sistema  (giacché  non  si  può  prescindere  da  una 

dottrina),  ricostruendo  così  e  ricomponendo  gli  anelli 

della  tradizione  scientifica.  Egli  dunque  innanzi  tutto 

è  chiamato,  giusta  l'osservazione  del  Ritter,  a  determi- 

nare i  periodi  della  storia.  Ma  sono  essi  possibili  cotesti 

periodi?  Sì,  certo,  risponde  il  medesimo  Ritter;  e  ce  ne 

garantisce  la  vita  e  la  natura  stessa  dell'  individuo,  che 

vuol  dir  la  psicologia.*  Ma  se  è  possibile  determinare  i 

*  «  Noua  pentùfiB  que,  camme  dan»  la  tic  de  ehaque  homme  il  jf  a  de» 

période»  dan»  le»  quelle»  il  a  tantfìt  più»  tcmtót  moin»  eonjianee  de  lui- 

mime  {la  vici»»itxule  du  eommeil  et  la  veille  en/oumit  un  exemple  trh  «en- 

»ible)f  de  mime  au»»i  dan»  la  vie  de  Vhumanité  enti^re,  le  développement 

e»t  «Olimi*  à  la  periodieiti.  Ceat  pour  VhahUe  kietorien  un  probUme  du  più» 

kaut  intéra  que  de  trouver  le»  périodee  de  ee  diveloppement  et  «Te»  déter- 

miner  le»  caracth^e».  >  (Hist.  rol.  I,  p.  28.)  E  altroTO,  parlando  del  perìodo 

della  filosofia  greca,  dice  il  suo  processo  esser  e  eon/orme  au  déveloj^- 

ment  iiUelìeetuel  de  Vhofinne,  don»  Vindividu  eomme  dan»  Veipèoe,  ear  la 

civili»ation  tend  toujour»  de  la  circonférence  au  oenlre,  »  {j>.  ibi,  157.) 

periodi  storici  perchè  la  materia  si  presta  a  tal  fine, 

come  farebb'egli,  il  Ritter,  a  rilevare  e  ponderare  ac- 

conciamente i  caratteri  delle  differenti  scuole  e  sistemi 

senza  il  sussidio  d'una  norma  anteriore  e  superiore 

alla  storia?  Eccoci  ricascati  nella  solita  necessità  d'un 

criterio  che  valga  ad  imprimere  forma  razionale  alla 

storia  :  senza  di  che  lo  storico  potrà  esser  pregevole  per 

erudizione,  prezioso  per  esattezza  storica,  saggio  e  con- 

scienzioso  per  fedeltà  critica,  ma  non  per  questo  avrà 

valicato  i  confini  dell'  empirismo.  Tale  è  il  Ritter  fra  gli 

storici  contemporanei  della  filosofia.  Egli  è  critico  sa- 

vissimo, checché  ne  dica  la  scuola  di  Hegel.  È  interprete 

coscienzioso,  indipendente,  scrupoloso,  accuratissimo;  ma 

non  è  filosofo.  A  lui  fa  paura  il  dommatismo  ;  fa  paura 

il  sistema  nella  interpretazione  istorica  :  e  non  ha  torto. 

Ma  non  si  può  essere  storico  filosofo  senz*  esser  dom- 

matico  e  sistematico?  Il  gran  pregio  del  Ritter  sta  nel 

carattere  d' indipendenza  eh'  ei  dà  alle  differenti  scuole. 

Ma  un  principio  sopra  cui  s'incardini  la  sua  critica,  e 

gli  porga  ragione  di  tale  indipendenza,  a  lui  manca 

assolutamente. 

11  criterio  mercè  cui  lo  storico  potrà  render  utile 

lo  studio  della  storia  ed  elevarla  insieme  a  dignità  scien- 

tifica, sta  neir  interpretar  la  successione  e  la  genesi  e 

le  attinenze  de'  sistemi  filosofici  ponendo  in  opera  il  cri- 

terio delle  tre  posizioni  che  noi  abbiamo  accennato. 

Queste  tre  posizioni  (e  altre  non  sono  possibili)  invocate 

a  chiarirci  nel  magistero  della  critica  e  della  interpre- 

tazione della  storia,  non  costituiscon  già  un  criterio  em- 

pirico, né  un  criterio  d' indole  eclettica;  tanto  meno  un 

criterio  dommatico,  sistematico,  ricostruttivo.  Non  è  cri- 

terio empirico,  perchè  non  sono  i  fatti  storici  (e  nel  caso 

nostro  i  fatti  storici  sono  i  sistemi  filosofici)  che  lo  par- 

toriscano, 0  lo  spieghino;  ma  egli  stesso  è  che  spiega 

la  comparsa  delle^differenti  scuole  e  dottrine  filosofiche 

nel  regno  della  storia.  Non  è  poi  criterio  eclettico  per- 

chè non  iscaturisce  dalla  storia,  né  da' sistemi;  anzi  ci 

fa  capaci  d' interpretar  V  una  e  giudicar  gli  altri  senza 

esser  sistematici  :  sentenza  che  per  taluno  avrebbe  faccia 

di  paradosso,  ma  non  è.*  Finalmente  il  nostro  criterio 

non  è  sistematico,  perchè  non  isgorga  dalle  viscere  stesse 

di  alta  metafisica,  né  quindi  importa  ombra  di  necessità 

dialettiche,  a  priori,  metafisiche.  Ma  qui  dobbiamo 

intenderci  con  gli  storici  hegeliani. 

Qual  è  il  criterio  storico  di  Hegel?  È  il  principio 

stesso  cella  sua  filosofia;  V  identità  assoluta.  Una  infatti 

per  lui  è  la  filosofia,  uno  il  sistema  ;  e  le  dottrine  par- 

ticolari non  altro  che  forme  diverse  d'  un  medesimo 

contenuto.*  11  dommatismo  sistematico  nella  storia  de'  si- 

 

*  La  H;nola  del  Cousin  scimmiottando  Hegel,  com'è  noto,  Terrebbe 

far  germinare  la  filosofia  dalla  storia,  o  considera  perciò  come  elementi 

organici  necessari,  aempiici  e  irriducihili  solo  quattro  sistemi;  Sensismo, 

Idealismo,  Scetticismo,  Misticismo.  Da  questi  fa  risultare  la  storia  d'ogni 

tempo  e  ln)go;  o  da  essi  medesimi  vuol  far  germogliare  la  filosofia:  La 

teoria  deve  emergere  dalla  storia.  [Court  ec.  Ber.  2*  t.  II,  p.  109-353.)  Or 

80  la  storia  in  ogni  grand*  età  e  in  ogni  periodo  filosofico  presenta 

qne*  soliti  qiattro  demetiti  organieif  ne  segue  che  la  teoria,  dovendo  pul- 

lulare appuiÉo  da  essi,  altro  non  potrà  esser  che  un  accozzo  eterogeneo 

e,  meglio  che  un  eclettismo,  un  sincretismo.  Se  gli  elementi  infatti  sono 

contraddittorìi  ed  eterogenei,  non  dovrà  esser  tale  altrosì  V  insieme  che 

ne  verrà  fuom  V  Che  se  per  tale  accozzo  è  mestieri  d*  un  criterio,  eccoci 

tosto  fuori  della  storia;  e  allora  non  sarà  altrimenti  vero  il  gran  domma 

che  la  teoria  abbia  da  emerger  dalla  stessa  storia.  —  Altro  difetto  del 

Cousin  è,  che  iella  sua  divisione  non  trovan  luogo  parecchi  sistemi,  come 

per  es.  il  Critclsmo,  e  Y  Idealismo  assoluto:  1*  uno  perchè  non  è  sistema, 

e  nemmanco  icetticismo;  l'altro  perchè,  sotto  il  riguardo  psicologico, 

sarebbe  P  unione  di  due  sistemi,  secondochè  avverte  egli  stesso.  Inoltre 

non  giunge  a  determinar  nettamente  la  fiinzione  dello  Scetticismo  nella 

storia,  e  distinruerla  dalla  funziono  che  esercita  il  Misticismo,  il  quale 

definisce,  le  eotf>  ds  désespoire  de  la  raièon  humaine:  quasi  che  il  secondo 

fosse  un  atto  legativo  cosciente,  com'è  il  primo,  e  non  già  positivo  in 

qnanto  che  imprta  fede,  contemplazione,  sentimento  e  simili.  Finalmente 

chi  non  vorrà  legare  p^li  Eclettici  che  il  Misticismo,  il  Sensismo  e  lo 

Scetticismo  siaio  da  riguardarsi  come  altrettanti  sistemi  V  —  Ecco  a  che 

mena  un  criteri)  erroneo  su  la  divisione  e  genesi  de'  sistemi  filosofici. 

Non  s' intende  h  storia,  e  poi  si  precipita  senza  rimedio  in  una  teoria 

affatto  sincretici  e  però  assurda. 

 

*  *  La  storci  della  filosofia  mani/estaf  ne*  vari  sistemi  che  sono  ap- 

parsi,  una  sola  i  medesima  filosofia  che  ha  percorso  diversi  gradi,  e  prova 

che  i  prineipii  particolari  di  ciascun  sittema  non  sono  che  parti  d*  un 

solo  e  medesimo  utto.  >  (Hbgel,  Log.  Introd.  §  XIII,  trad.  Vercu  —  Wilmx, 

stemi  non  potrebbe  risaltare  più  evidente,  più  rigoroso, 

più  universale,  più  assoluto.  Noi  innanzi  tutto  neghiamo 

risolutamente  che  le  vario  dottrine  non  possan  essere 

altro  fuorché  momenti  diversi  d* una  filosofia.  Dov'è  iden- 

tità di  contenuto,  a  dirne  un  esempio,  fra  Idealismo  e 

Materialismo?  Tra  Teismo  e  Panteismo  naturale  o  ideale 

che  sia?  Ci  vuol  davvero  la  pupilla  lincea  degli  hege- 

liani a  vedere,  o  meglio,  a  travedere  siffatte  ideatità  di 

contenuto  !  D' altra  parte,  se  posta  la  evoluzione  della 

idea  0  contenuto  dello  spirito  ne  seguita  (come  dicono) 

che  la  filosofia  ha  da  esser  identica  alla  storia:  non  è 

egli  codesto  un  principio  degno  d' un  eclettico  francese? 

Non  è  la  negazione  più  aperta,  più  schietta  del  progresso 

in  filosofia,  meno,  s'intende,  fino  al  ] 831,  epoca  memo- 

randa in  che  con  la  sua  bacchetta  d'acciaio  il  gran 

negi-omante  del  Nord  ebbe  diffinitivamente  segnato  e 

chiuso  in  perpetuo  il  circolo  della  filosofia?  S'egli  è 

così,  la  dottrina  ^é*  circoli  e  de'  ricorsi  storbi  che  il 

Vera  dice  esser  l' errore  madornale  della  Sdenzii  NuovOj 

per  me  sarebbe  anzi  una  conseguenza  logica,  imme- 

diata, inevitabile  dell'  Hegelianisrao,  almeno  quant'  al 

pensiero  speculativo.* 

Hi9t.,  voi.  IH,  p.  439).  La  successione  istorica  de'  sistemi  perciò  riesce 

identica  a  quella  delle  determÌDazioui  logiche  della  Idea:  il  perchè  in 

fondo  a  tuttM  sistemi  non  si  occulta  altro  che  un  medesioo  oontenuto. 

*  Chi  consideri  bene  le  dottrine  e  applichi  con  acciiiatezza  le  esi- 

genze del  metodo  vichiano  alla  storia  de' sistemi,  si  accorgerà  tosto  corno 

nella  filosofia,  guardata  storicamente,  ci  abbia  da  esser  moIiipUcità  di  mo- 

menti, e,  che  più  monta,  diversità  di  contenuto;  del  che /a  storia  dt'Ila 

filosofia  greca,  come  accennammo  (pa?.  19«,  197)  porge  splendido  esem- 

pio. Ma,  si  badi,  ciò  non  toglie  punto  che  ci  abbia  da  esser»,  come  di  fatto 

ci  è,  differenze  di  forma.  Se  i  ritomi  e  i  rieorgi  «tarici  nm  importassero 

anche  in  filosofia  un  contenuto  nuovo  pur  occultato  sotto  vecchia  forma, 

che  cos'  altro  sarebbe  la  storia  del  pensiero  filosofico  salvo  che  an'  og- 

;,Mo8a  e  sterile  ripetizione  d'un  medosiuio  uggiosissimo  spettacolo'?  Nella 

storia  de' sistemi,  più  che  in  altre,  il  moto  e  lo  svolgim4Qto  storico  non 

somiglia  ad  una  linea  retta,  come  dicono  alcuni,  e  mmmanco  ad  un 

circolo,  come  pretendono  altri.  La  storia  della  filosofia  3  linea  retta  e 

circolo  insiememente.  È  linea  retta,  chi  guardi  al  contenuto  ;  ed  è  poi 

circolo,  chi  consideri  la  forma,  cioè  la  parto  meccanica  do'  fatti;  giac- 

che la  storia,  lo  dicono  e  lo  credon   tutti,  ò  fornita  alch'ella  del  suo 

Un'  altra  osservazione  contro  gli  Hegeliani  poiché 

ci  calza.  Se  V  ingegno  filosofico  (quello,  ben  inteso,  de- 

gl' imperturbabili  e  severi  negromanti  in  filosofia)  rac- 

chiude in  sé  tanta  virtù  e  tal  vena  architettonica  da 

costruire  con  lavorio  tutto  a  priori  il  sistema  della 

scienza  dell'essere  e  del  conoscere;  la  conseguenza  parmi 

chiara,  irrepugnabile  :  ed  é  che  la  storia  della  filosofia 

non  potrà  non  riescire  affatto  inutile  e  insignificante. 

A  che  sciupar  tempo,  a  che  sprecar  la  nostra  attività 

critica  a  studiar  ne'  bozzetti  piii  o  manco  smorti  e  me- 

lensi e  sconci  e  abortivi  che  ci  presenta  la  storia,  se 

abbiamo  già  dinanzi  agli  occhi  in  marmo  vivo  e  quasi 

palpitante  il  Davide  e  '1  Mosè?  —  Dicono:  «  Noi  invo- 

chiamo la  storia  de' sistemi,  é  vero,  ma  per  semplice  gua- 

rentigia del  sistema:  la  invochiamo  com' una  riprova  di 

fatto,  com'  una  conferma  sperimentale....  »  Conferma  di 

che?  Della  costruzione  a  priori,^  Dunque  codesta  vostra 

costruzione  è  una  congegnatura  inefficace  !  —  D' altra 

parte,  se  il  sistema  giace  ascoso  e  beli'  e  apparecchiato 

nella  storia  e  non  fa  che  germinare  da  essa,  in  questo 

caso  non  sarà  inutile  la  vostra  costruttura  ideale,  a 

priori?  Brevemente,  una  delle  due:  La  costruzione  a 

priori  del  sistema  é  ella  assoluta?  Dimque  è  faccenda 

inutile  la  storia  de'  sistemi.  Il  sistema  giace  egli  beli'  e 

apparecchiato  nella  storia?  Dunque  inutile  ogni  alma- 

 

 

meccanismo.  Ora  dunque  per  noi  il  pensiero  fllosofico  ò  daTvero  pro- 

gressivo; è  progressivo  sul  serio;  progressivo  noi  verace  senso  della 

parola  progresso,  appunto  perchè  si  svolge  anche,  e  sopratutto,  nel  suo 

contenuto.  £  qui,  com*  è  chiaro,  noi  rispetto  agli  Hegeliani  siamo  addirit- 

tura a:rU  antipodi;  e  non  è  altrimenti  il  nostro  povero  don  Giam- 

battista quegli  che  non  ebbe  la  fortuna  (sic)  di  scoprire  la  gran 

Ugge  dd  progredire  della  utnanità,  ma  è  proprio  il  loro  Hegel  cui  toccò 

la  sventura  (abbiano  pazienza!)  di  non  conoscerla,  anzi  di  negarla  co- 

testa  legge;  o  almeno,  riconosciutala  da  Talete  fino  al  1831,  Tha  poi 

negata  a  tutt*i  secoli  avvenire,  condannandoli  senza  scam(H>  a  ruminare 

eternamente  la  medesima  formola  metafisica!  Il  concetto  del  vero  prò- 

gre99o  è  concetto  propriamente  impossibile  nella  mente  degli  Hegeliani, 

come  vedremo  nella  Sociologia. 

 

»  MiOHKLiT,  Exam,  Crit,  de  la  Mèi.  d'Arisi.,  Paris,  1836,  p.  305. 

nacchìo  architettonico  dialettico  a  priori.  Nel  primo 

caso  voi  sarete  altrettanti  Dii;  e  noi  non  v'intendiamo, 

perchè  confessiamo  di  non  esser  capaci  d' intendere  un 

linguaggio  e  un  pensiero  sovrumano.  Nel  secondo  poi 

sarete  eclettici,  o  positivisti;  e  noi  vi  superiamo. Non  v'è 

scampo.  Se  la  storia  de'  sistemi  ha  da  servire  di  per  sé 

sola  a  darci  la  filosofia;  se,  d'altra  parte,  la  congegna- 

tura  a  priori  ha  da  essere  assoluta  e  tutta  d'un  pezzo: 

come  legittimarle  entrambe?  perchè  invocar  la  neces- 

sità d'entrambe?  Intendo  l'eclettico  che,  non  sapendo 

rinvenir  filo  d' energia  speculativa  ne'  bisogni  intimi  del 

suo  pensiero,  viene  a  chieder  soccorso  alla  storia.  Intendo 

non  meno  il  positivista  che  con  le  mani  sotto  le  ascelle 

tutto  aspetta  dalla  storia  appunto  perchè  non  ha  briciol 

di  fede  nelle  native  forze  della  ragion  filosofica,  e  sorride 

agli  sforzi  ne'  quali  nobilmente  altri  si  prova.  Ma  come 

potrò  intender  gli  hegeliani  che  invocan  la  storia  nel 

momento  istesso  che  vantano  la  singoiar  pretensione 

di  costruir  l' edifizio  scientifico  a  priori  rifacendosi  dal 

tetto  ? 

 

Che  cosa  dunque  è  da  concludere?  Precisamente 

r  opposto  di  ciò  eh'  essi  pretendono  :  che  ne  la  storia 

contiene  il  sistema,  né  la  mente  può  costruirlo  e  de- 

durlo  a  priori.  Né  induzione,  al  solito,  né  deduzione 

neanch'  in  quest'  ordin  di  cose.  La  possibilità  d'  una 

dottrina  metafisica  può  germinare  dall'  azione  combi- 

nata delle  due  forze;  dalla  storia  de' sistemi  interpretati 

a  dovere,  e  dalla  energia  intima  del  pensiero  specula- 

tivo. Or  tutto  ciò  potrebb'  egli  esser  possibile,  se  questo 

pensiero  non  fosse  ad  un  tempo  e  dentro  e  fuori  della 

storia?* 

*  Lo  Schmidt  divìde  la  storia  de*  sistemi  filosofici  morendo  dal  con- 

cetto della  filosofia  elio  per  lui  è  teienza  del  fondamento  ultimo  del  nottro 

pentierOf  e  delV  a$§oluto,  E  poiché  cotest'  obbietto  si  può  concepire  in  tre 

gaise,  cioè  obbiettivamente,  sabbio ttiv amente  e  neirun  modo  e  nell*  altro 

riconoscendoli  entrambi  come  identici,  però  ne  deduce  1*  opposizione 

de*  sistemi,  e  la  divisione  della  storia.  La  prima  e  più  generale  divisione 

è  questa;  1»  filosofia  grreca  ;  2o  filosofia  nuova  avanti  Kant  ;  S*"  filosofia 

Il  nostro  criterio  non  è  niente  di  tutto  questo.  Non  è 

empirico,  non  è  eclettico,  non  è  sistematico,  non  è  dom- 

matico.  E  positivo,  e  razionalmente  positivo.  Ed  è  tale 

perchè  piglia  di  mira  non  già  i  sistemi  propriamente 

detti,  anzi  le  posizioni  ultime,  più  semplici,  irreducibili 

del  filosofare,  squadrandole  sotto  doppio  rispetto  ;  sotto 

il  rispetto  della  scienza,  e  del  suo  oggetto.  Le  posizioni 

possibili  dell'  ingegno  filosofico,  di  fronte  al  sapere  me- 

tafisico, dicemmo  esser  tre:  !•  impossibilità  della  metafi- 

sica (Scetticismo);  2»  sua  attualità  (Sistema  beir  e  com- 

piuto); 3»  sua  possibilità  (Critica).  Anche  tre,  dicemmo, 

le  posizioni  del  suo  oggetto,  cioè  le  possibili  soluzioni  del 

problema  metafisico.  Dunque  tre  han  da  essere  i  sommi 

generi  sotto  cui  la  storia  può  venir  adunando,  disponen- 

do, ordinando  le  dottrine,  gì'  indirizzi,  i  metodi,  le  esi- 

genze speculative  formanti  le  specie  e  sottospecie,  le 

recente  dopo  Kunt  {St,  della  FU.,  p.  16).  Innan^ù  tutto  questa  è  una  di- 

Tisione  essenzialmente  sistematica,  e  riesce  alla  filosofia  dell*  identità:  il 

che  solo  basterebbe  a  condannarla.  Il  concetto  inoltre  nel  quale  è  fondata 

•  è  superlativamente  esclusivo;  tanto  cbe  rimaui^on  fuori  del  corso  isterico 

interi  periodi  di  speculazione  occidentale,  per  non  parlare  della  filosofia 

orientale.  Così  precisamente  egli  tratta,  per  esempio,  la  scolastica:  la 

quale,  tuttoché  non  si  possa  dire  speculazione  metafisica,  non  però  cessa 

d'essere  8peéulazione,quantunque  in  servigio  della  teologia  e  del  domma. 

K  poi,  come  mai  dalla  filosofia  greca,  con  un  salto  più  che  mortale,  si 

piomba  a  Cartesio  ?  Dov*  è  qui,  non  dico  la  verità,  ma  la  realtà  del  pro- 

cesso storico  della  filosofia?  Un'altra  domanda.  Lo  Schmidt  pone  Videntìtà 

come  contrassegno  del  8^  periodo  della  filosofia.  Ma,  con  qual  diritto,  con 

che  verità  qualificar  tutt*  i  filosofi  di  cui  egli  parla  nel  suo  S"*  periodo  col 

carattere  dell*  identità  ?  Come  si  vede,  lo  Schmidt  cade  nel  1*  a  pr»art«mo 

hegeliano,  ma  senza  far  pompa  de*  grandi  pregi  di  Hegel.  Tranne  V  op- 

posizione fra'  sistemi,  nonché  la  triplice  maniera  onde  in  essi  è  concepito 

l'assoluto,  ei  confessa  dì  non  saper  altro  per  via  a  priori  di  concreto,  di 

particolare  circa  la  storia  delle  scuole  e  delle  dottrine  filosofiche:  dovec- 

cbò  Hegel  non  pnr  move  dalla  logica,  come  s'ò  detto,  e  dalle  alture 

logiche  procaccia  dedurre  i  sistemi  ed  i  momenti  della  storia,  ma  più  an- 

cora li  costruisce;  li  costruisce  indipendentemente  dalla  storia.  Il  metodo 

dello  Schmitd,  quindi,  avrebbe  una  parte  accettabile,  un  aspetto  vero; 

che,  cioè,  r  indagine  storica,  per  lui,  non  riescirebbe  un  di  più  affatto 

inutile,  come  in  sostanza  dovrebb' essere  per  Hegel.  Se  non  che  cotesto 

bel  pregio  svanisce,  tost<t  che  si  pensi  all'  erroneità  ed  esclusività  dom- 

matica  del  principio  onde  move  la  sua  speculazione.  (Op.  cit.,  p.  23.) 

divisioni  e  suddivisioni  de'  vari  sistemi  che  ci  presenta 

il  fatto  istorico  della  filosofia.  Non  v'  ha  dottrina  che  no 

resti  fuori:  né  v'è  sistema  che  il  nostro  criterio  non  in- 

terpreti e  legittimi.  Esso  racchiude  una  legge;  anzi 

guardato  psicologicamente  è  legge  egli  medesimo:  quindi 

è  processo,  è  ternario,  è  tricotomia,  come  direbbero  gli 

hegeliani,  ma  basata  in  un  fatto,  fondata  in  una  neces- 

sità psicologica.  È  legge  ;  ma  è  una  legge,  vorre'  dire,  li- 

bera; libera  nelF  ordine  delle  applicazioni,  È  una  trico- 

tomia mobile,  variabile,  raoltiforme.  È  un  ternario  pro- 

gressivo da  applicarsi  liberamente  fin  dove  si  può,  senza 

che  neppur  d'un  minimo  la  storia  abbia  a  restare  for- 

zata ne' suoi  responsi,  compulsata  ne' suoi  principii,  vio- 

lentata nelle  sue  conseguenze.  Il  nostro  criterio,  dun- 

que, non  è  un  letto  di  Procuste  perchè  non  iscaturisce 

dall'  alto;  anzi  lascia  dischiuso  il  corso  istorico  all'  atti- 

vità speculativa,  sì  che  lo  svolgimento  de' sistemi,  più 

che  un  circolo,  sia  davvero  quel  che  debb' essere;  un 

processo. 

Si  può  egli  applicare  alla  storia  de'  sistemi  cotesto 

criterio?  Ovvero  è  atto  solamente  a  significarci  la  ge- 

nesi ideale  delle  posizioni  del  pensiero?  È  atto  all' un :i 

e  all'  altra  funzione.  Anche  qui,  come  nella  genesi  en- 

ciclopedica e  nella  distribuzione  delle  scienze,  no  n  è 

lecito  confondere,  ma  neanche  separare  l' aspetto  ideale 

dall'aspetto  istorico.  Non  è  egli  vero  che,  teoricamente 

parlando,  chi  voglia  filosofare  non  può  imbattersi  in  altro 

che  in  una  delle  tre  soluzioni  sopra  indicate  circa  il  pro- 

blema metafisico?  Or  bene,  il  fatto  istorico  non  ci  mostra 

sistema,  non  ci  addita  dottrina,  che  ad  una  di  esse  più 

0  men  direttamente  non  abbia  a  ridursi.  Intanto  ove  il 

nostro  criterio  non  si  potesse  applicare  alla  storia,  che 

cosa  ne  verrebbe?  Questo:  che  da  una  parte  la  filosofia 

mancherebbe  d'ogni  valore  scientifico,  e  la  storia  di  essa, 

dall'  altra,  non  potrebbe  assumere  forma  e  significato  ra- 

zionale di  sorta.  Ma  come  applicarlo  cotesto  criterio?  Qui 

ffiace  Nocco!  diceva  il  buon  padre  Cesari.  Poiché  qui  ap- 

punto  è  mestieri  saper  cansare  due  scogli  del  pari  esiziali 

e  funesti:  il  fatalismo  isterico  degli  hegeliani,  e  quel- 

r  accidentale,  queir  arbitrario,  quel  succedersi  empirico 

e  arruffellato  dei  sistemi  onde  non  sanno  darsi  conto 

né  ragione  gli  altri  storici  della  filosofia. 

I  sistemi  filosofici  (Hegel  qui  ha  ragione)  non  for- 

mano già  successione  fortuita  ;  ma  neanche  compongono, 

come  altrove  toccammo,  organismo  d'ogni  parte  ser- 

rato e  compatto.  Nella  storia  della  filosofia  e  quindi 

fra' differenti  suoi  pei-iodi,  ci  è  continuità,  ma  ci  è  pure 

discontinuità;  vi  è  intervalli  fra'  quali  non  sempre  esi- 

stono annodamenti  e  articolature,  ma  spesso  giunture 

e  saldature  esteriori  ;  né  sempre  scorgiamo  connessioni, 

ma  successioni.  Or  in  questi  passaggi  la  storia  ci  pre- 

senta le  forme  negative,  le  forme  transitorie  della  me- 

tafisica, le  quali  perciò  non  sono  sistemi,  non  sono  forme 

positive  come  quelle  dianzi  accennate.  Tali  sono,  per 

noi,  il  misticismo  e  *'l  sincretismo ,  l' eclettismo  e  lo 

scetticismo,  il  criticismo  e  '1  positivismo,  e  qualunque 

altra  forma  nella  qual  si  racchiuda  un'  esigenza  meta- 

fisica non  soddisfatta.*  Or  se  la  storia  della  filosofia 

*  Pongo  in  questa  categoria  1*  Eclettismo  francese,  non  l' Eclettismo 

secondo  il  concetto  leibniziano  altrove  accennato.  E  pongo  poi  nel  no- 

Tero  delle  forme  negative  di  metafisica  anche  il  Criticismo,  non  per  ciò 

eh*  egli  contiene  di  positivo,  per  es.  i  risaltati  su  la  critica  del  giu- 

dizio, il  principio  della.  Ragion  pratica  e  simili,  ma  solo  pel  risultato 

negativo  cui  pervenne  il  Kant  rispetto  al  problema  metafisico.  Sotto 

questo  riguardo  il  Criticismo  è  il  vero  Positivismo;  il  quale  perciò  non 

è  che'  una  contraffazione  grossolana  del  primo;  nn  Criticismo  inco- 

sciente. Entrambi  infatti  convengon  nel  dichiarare  impossibile  la  me- 

tafisica: ma  nel  primo  indirizzo  cotesto  giudizio  ò  un  risultato  critico, 

in  mentre  che  nel  secondo  è  una  pura  affermazione;  affermazione  pro- 

messa, più  che  altro,  dalla  storia  e  dalle  lotte  inefficaci  de' sistemi,  come 

dicono  i  Positivisti.  Chiamando  perciò  forma  negativa  di  metafisica 

il  Criticismo,  intendo  guardare  questo  sistema  in  attinenza  con  la  solu- 

zione fondamentale  della  scienza  prima,  con  la  scienza  dell'assoluto, 

rispetto  a  cui  si  sa  a  che  cosa  riescisse  la  Rngimi  pura.  E  questo  modo 

col  quale  consideriamo  il  Kantismo  è  confortato  dalla  nota  sentenza  di 

Schelling  che  noi  crediamo  verissima:  La  Critica  dd  Kant  l  un'opera 

uniea  perchè  ì  il  fondametUo  di  tutti  i  tittemif  ^enza  eh' eìla  eia  per  9Ì 

«tewa  un  nttcma.  (Syst.  de  Pldéalìsme  trascendantal.  pag.  HO.) 

fosse  per  avventura  quel  che  vorrebbe  Hegel,  io  sfide- 

rei tutti  gli  hegeliani  a  giustificare,  ad  intender  coteste 

forme  negative  nelle  quali  talora  s'incarna  T attività 

speculativa  del  pensiero  umano.  Per  essi  la  storia  do- 

vrebb'  esser  tutta  uno  svolgimento  perpetuo,  crescente 

e  mai  non  defettibile  di  forme  positive.  L' Idealismo  as- 

soluto, dunque,  non  ispiega  coteste  forme  negative;  non 

ispiega  gli  errori  in  filosofia,  al  modo  istesso  che  non 

giugne  a  spiegare  il  male  nell'ordine  morale.  Stando 

anzi  alla  legge  e  alla  necessità  dialettica,  non  dovrebbe 

avvenir  tutto  l'opposto?  Al  contrario  movendo,  come 

vedremo,  dalla  psicologia,  cioè  dalla  genesi  psicologica,  i 

passaggi  e  gli  intervalli  nella  storia  della  filosofia  son 

già  beli'  e  spiegati,  ed  entro  certi  limiti  anche  giustifi- 

cati; e  così  avremo  spiegato  e  giustificato  le  forme 

negative  del  pensiero  metafisico  considerandole  come 

strumenti  e  condizioni  delle  forme  positive,  appunto 

perchè  siffattamente  non  siamo  spinti  da  una  superna 

necessità  dialettica,  ma  guidati  da  una  legge  essenzial- 

mente psicologica  e  storica. 

Sennonché,  se  due  son  le  serie  delle  posizioni  nel 

processo  isterico  della  filosofia,  una  però  è  la  legge  che 

le  governa  e  per  cui  elle  formano  un  sol  organismo, 

un  sol  processo.  Vi  è  tra'  viventi  storici  chi  nella  storia 

della  filosofia  distingue  due  serie  di  sistemi,  sistemi 

erronei,  e  sistemi  veri,  ì  quali  ultimi  per  lui  formano 

la  filosofia  perenne.  Quelli  negano,  separano,  confon- 

dono; questi  affermano,  distingtcono,  accordano.*  Ma 

quali  sono  i  veri?  È  egli  possibile  anzi,  nella  storia,  un 

sistema  vero?  E  quali  poi  sono  i  sistemi  erronei?  Il 

panteismo,  il  dualismo,  lo  scetticismo,  ci  si  risponde.  Ma 

da  quando  in  qua  è  diventato  sistema  lo  scetticismo?  ' 

Neppur  quello  di  Sesto  Empirico,  portato  alla  forma 

più  squisita  di  negazione  dal  Ferrari,  potrà  meritare 

cotesto  titolo.  Perchè  fame  dunque  una  famiglia  con 

*  Tale,  per  esempio,  è  la  dottrina,  del  prof.  Conti.  Ved.  ^.  <UUa 

FU,,  Tol.  I,  Introd, 

gli  altri  due,  rispetto  a  cui  diflFerisce  essenzialmente  per 

la  funzione  peculiare  eh'  egli  esercita  nella  storia  ? 

E  perchè  poi  appellar  negativi  il  dualismo  e  il  pan- 

teismo? Forse  che  essi  non  racchiudon  parte  di  vero? 

Questione  di  parole!  si  dirà.  No,  davvero,  quistione  di 

sostanza,  io  rispóndo.  Dicendo  sistema  lo  scetticismo, 

e  accomunandolo  col  panteismo  e  ch)1  dualismo,  noi 

avremo  alterato  profondamente  la  congegnatura  de' si- 

stemi, avremo  travisato  il  valore  della  storia^  ne  saremo 

in  grado  di  coglier  alcun  vincolo  razionale,  verun  legame 

organico  fra  sistemi  veri  e  sistemi  erronei.^ 

*  Per  la  maniera  con  che  questo  valoroso  scrittore  considera  le  forme 

positive  e  le  forme  negative  del  filosofare,  avviene  che  il  disegno,  ond' è 

architettata  la  sua  storia,  torna  esclusivo,  unilaterale,  parziale,  tuttoché 

egli  quasi  ad  ogni  voltata  di  pagina  si  piaccia  chiamarlo  comprenaivo. 

Noi  intenderemmo  il  pensiero  del  Conti  quand'egli,  a  spiegare  e  scriver 

la  storia  della  filosofia,  avesse  ormeggiato,  per  esempio,  il  Gioberti,  il 

Rosmini,  e  come  questi  avesse  diviso  tutta  la  storia  e  la  filosofia  in  due 

grandi  scompartimenti;  sistema  ortodosso,  e  sistemi  eterodossi;  di  qua 

la  verità,  e  di  là  V  errore.  A  questo  modo  sarebbe  stato  conseguen- 

tissimo  alle  idee  cattoliche.  E  poiché  T  errore,  secondo  V  osservazione 

del  Rosmini,  non  è,  nò  può  esser  sistema,  nò  quindi  aver  leggi,  non 

avrebbe  chiamato  aiatemi  quelli  eh*  ei  dice  sistemi  negativiy  nò  si  sarebbe 

aiikticato  a  mostrarli  regolati  da  una  leg?e.  La  quale  pel  Conti,  chi  ben 

guardi,  non  è  norma  isterica,  non  ò  criterio  fecondo  e  profittevole  nella 

interpretazione  de*  sistemi,  ma,  al  più,  una  veduta  della  mente  esco- 

gitata  per  comodo  di  studio.  Qual  vincolo,  per  dirne  una,  qual  processo 

fra  panteismo  e  dualismo  ?  fra  questi  e  lo  scetticismo,  siano  qualunque 

la  forma?  Non  è  vero, dunque,  che  ci  sia  una  leggo  la  quale  guidi  Ter- 

rore, ed  un'altra  che  sopravvogli  alla  verità:  come  non  è  vero  che 

nella  storia  de*  sistemi  siano  due  correnti,  Tuna  che  sbocca  e  perdesi 

negli  abissi  dello  scetticismo,  e  1*  altra  che  finisce  e  riposa  tranquilla  e 

serena  nella  perenni»  philotopMa  guarentita  e  sorretta  da*  cinque  eriterii. 

La  legge  ò  una,  ma  si  applica  in  due  modi:  come  una  è  la  corrente  che 

procede  sempre  incanalata  per  entro  a  un  medesimo  alveo,  ma  che  ta- 

lora, straripando,  allaga  le  campagne,  e  spianta  dalle  piìi  fonde  radici 

le  selve  annose,  e  non  di  rado  stagna  e  si  corrompe  e  inverminisce, 

e  tal' altra  precipita  sì  che  trascina  e  inghiotte  no' suoi  gorghi  le  pic- 

cole e  fragili  barchette  delle  menti  umane.  Ma  è  sempre  la  medesima 

onda,  sempre  la  medesima  corrente  che  muove  da  un*  identica  sorgente  ; 

la  natura  umana.  Al  qual  proposito  giova  osservare  come  nò  filosofi  hege- 

liani, nò  filosofi  cattolici  potranno  intendere  convenevolmente  la  storia 

del  pensiero  filosofico  e  spiegare  naturalmente  le  sue  forme  negative,  per- 

chò  sì  gli  uni  come  gli  altri  trascurano  la  psicologia.  I  primi,  come  s*  ò 

Il  nostro  criterio  non  ha  nulla  d' estraneo  alla  storia 

e  alla  psicologia;  nulla  d'a  priori  nel  senso  domma- 

tico,  sistematico,  religioso.  È  un  a  priori,  se  si  vuole; 

ma  un  a  priori  di  natura  essenzialmente  psicologica. 

Or  che  cosa  con  la  psicologia  potremo  conoscer  d' an- 

ticipato su  la  genesi  de' sistemi  filosofici? 

Anche  qui,  non  altrimenti  che  nella  dottrina  su 

l'ordinamento  deUo  scibile,  come  poco  fa  osservammo, 

è  d' uopo  distinguer  la  genesi  ideale  e  psicologica,  dalla 

genesi  storica  nelle  dottrine  filosofiche.  La  genesi  ideale 

de'  sistemi  si  radica  nella  natura  e  sviluppo  delle  stesse 

funzioni  psicologiche  considerate  in  sé  medesime,  cioè 

neir  individuo  come  ^)rocesso  conoscitivo.  La  genesi  isto- 

rica  poi  tiene  anch'  ella  al  processo  conoscitivo,  ma 

considerato  nella  specie,  nella  successione  storica  e 

sociologica.  Dall'  una  non  può  esser  dedotta  l' altra, 

perchè  nella  seconda  intervengono  cagioni  assai  più  com- 

])lesse  che  non  troviamo  nella  prima.  Or  dalla  psico- 

logia noi  potremo  conoscere  anticipata  la  genesi  ideale 

dei  sistemi,  non  mai  la  genesi  storica.  E  in  che  consiste 

ella  cotesta  notizia  anticipata?  Semplicemente  in  questo: 

che  nel  determinare  il  fondamento  assoluto  delle  cose, 

il  pensiero  filosofico  non  giugno  di  tratto  alla  verità  che 

gli  è  consentita.  Dapprima  ei  la  comprende  in  maniera 

empirica,  e  per  virtii,  come  dire,  estrinseca  ;  puntellan- 

dosi, per  esempio,  nel  senso,  nella  natura,  nell'espe- 

rienza, neir  autorità  e  simili.  Poi  la  concepisce  in  una 

maniera  affatto  opposta,  ponendo  in  opera  tutta  la  ener- 

gia della  propria  speculazione.  Finalmente  per  una  terza 

guisa  eh' è  il  connubio,  l'accordo,  l'inveramento  delle 

due  prime.* 

detto,  movono  da  un  ordine  superiore,  dalla  dialettica;  i  secondi  invo- 

cano il  deus  ex  machina  della  colpa  originaria.  Essi  dunque  restau  fuori 

della  storia  e  della  psicologia,  perchè  le  trascurano  entrambe. 

*  Questa  legge  per  cui  ricorre  la  storia  della  filosofia  e  che  ò  rac- 

chiosa,  come  specie  nel  genere,  nella  legge  storica  del  Vico,  fu  già  divi- 

nata da  Aristotele,  e  da  lui  primamente  applicata  alla  storia  della  filo- 

sofia antisocratica  e  so-jratica    L*  A.  della  Scimxa  Nuova  non  fa  che 

Questa  divisione  risponde  perfettamente  alle  tre  po- 

sizioni del  problema  metafisico;  anzi  è  come  il  sustrato, 

lo  scheletro  intemo  e  fondamentale  delle  tre  forme  po- 

sitive del  filosofare.  Risponde  altresì  alla  legge'  dalla 

quale,  come  vedemmo,  è  governata  la  genesi  enciclope- 

dica, nonché  la  distribuzione  gerarchica  delle  scienze.  La 

filosofia,  infatti,  origina  e  progredisca  come  ogn' altra 

disciplina.  È  primamente  induttiva,  e  poi  deduttiva;  ma 

giunta  ad  esser  eduttiva,  le  supera  tutte,  le  trasfigura, 

applicare  il  medesimo  principio  a  tutte  le  manifestazioni  della  ciriltà, 

alla  storia  in  generale  :  e  perciò  Io  Stagirìta  è  il  suo  più  legittimo  ante- 

cedente. Il  Michelet  ha  detto  che  V  esposizione  migliore  della  filosofìa  da 

Talete  a  Platone  sia  qnella  d'Aristotele  (Exam,  <rit.  de  la  Métaph,  d*Art«t.f 

ediz.  eit.,  p.  121).  Lasciando  stare  se  com' esposizione  sia  tale  (e  tale 

non  si  può  dir  oggi,  almeno  per  ciò  che  spetta  al  Platonismo),  certo  è 

«:he  Aristotele  ci  ha  dato  il  vero  modello  del  metodo  col  quale  è  da  scri- 

ver la  storia  della  filosofia.  Egli  non  va  né  terra  terra  come  certi  nostri 

critici  a  cui  fan  paura  le  leggi  nnirersali,  nò  svolazza  attraverso  le 

nnvole  come  fan  gli  storiografi  sistematici.  Neil'  interrogare  la  storia 

dol  pensiero  filosofico  egli  ha  con  sé  due  cose:  1°  un  criterio  logico;  2"  un 

irincipio' d' indole  psicologica  e  storica.  Il  criterio  col  quale  saggia  il 

valore  delle  differenti  scuole,  sta  nelle  quattro  sue  cagioni  di  là  delie 

quali  non  è  possìbile  immaginare  altre.  II  principio  poi  è  una  legge 

P'iramento  psicologica,  non  dissimile  da  quella  per  esempio  del  Laerzio 

da  noi  altrove  accennata  (p.  196).  Per  questa  legge  la  filosofia  move 

innanzi  tutto  dall'unità,  ma  confusa  ed  estrinseca:  poi  tendendo  all'uni- 

versale, cade  nell'arbitrario,  ed  è  filosofia  dell*  opposizione  :  finalmente 

ritorna  all'unità,  ma  in  grazia  della  moltiplicità.  Va  insomma  dall'in- 

dividuo particolare  al  generale,  e  dal  generalo  ali'  individuo  pieno  e 

uniTersale.  Questo  principio  aristotelico  ò  stato  messo  in  chiaro  dal 

Kavaisson  {Metaph.  ri'  ArUu^  tom.  I.  lib.  II,  e.  II,  specialmente  p.  845,  481). 

Abbiamo  detto  esser  cotesta  una  legge  di  natura  puramente  psicologica, 

perchè  nel  processo  delle  facoltà  il  pensiero  dapprima  versa  nell'unità 

empirica,  nella  materia,  nel  sensibile;  poi  nelle  opposizioni  e  astrazioni 

dell'  intendimento  ;  e  da  ultimo  in  una  unità  superiore ,  eh'  è  unità 

di  ragione.  Altrove  abbiamo  additato  la  medesima  legge  sotto  forma 

astratta  :  SirUen  iniziale  e  eonfu9ay  Analiai^  e  Sintesi  finale  fp.  282).  Ma 

il  difetto  d' Aristotele  dove  sta?  Nel  non  aver  avuto  coscienza  del  vin- 

colo secreto  die  dev'esistere  fi-a  il  criterio  logico,  merce  cui  la  mente 

dello  storico  dee  ponderare  il  valore  de'  differenti  sistemi,  e  '1  princip-'o 

di  natura  storica  e  psicologica  eoi  quale  egli  deve  saper  diaporre  e  or- 

ganare la  storia  ne'  suoi  diversi  periodi.  E  appena  bisogno  d'  avvertire 

che  criterio  e  principio  per  noi,  come  s' è  visto,  son  la  stessa  cosa,  ma 

guardata  sotto  doppio  aspetto. 

le  comprende  e  le  trasforma  in  proprio  nutrimento,  in 

proprio  sangue,  e  però  le  innalza  a  filosofia.* 

Sennonché  quant'  al  succedersi  de'  sistemi  filosofici, 

al  loro  intrecciarsi,  modificarsi,  sdoppiarsi,  ricomporsi  e 

riaffacciarsi  sotto  novelle  forme,  nulla  non  potremo  sa- 

pere con  la  psicologia.  Nulla  non  sappiamo  anticipata- 

mente quant'  alle  forme  negative  del  filosofare,  che  nel 

processo  isterico  s'  avviluppano  svariatamente  con  le 

forme  positive  :  il  quale  avviluppamento  s' affaccia  così 

molteplice  e  spesso  impensato  e  strano,  che  molti  appel- 

lano confusione,  caos  e  disordine,  anziché  processo  orga- 

nico e  razionale,  la  storia  della  filosofia.  Ecco  la  neces- 

sità inevitabile  dell'  osservazione,  de'  fatti,  della  ricerca 

storica  e  della  distribuzione  dei  periodi  nella  storia 

de' sistemi.  Ed  ecco  la  necessità  di  applicare  ad  essi  i 

lumi  della  psicologia. 

Or  questa  divisione  e  questa  genesi  de' sistemi  filosofici 

di  che  abbiamo  parlato,  non  é  che  un'  applicazione,  un 

aspetto  della  gran  legge  storica  e  sociologica  scoperta 

dal  Vico.  Il  quale  infatti  direbbe  che  l' ingegno  specu- 

lativo, procedendo  per  tre  fasi,  periodi,  epoche,  età  o  ri- 

corsi, riveste  dapprima  foima  naturale,  carattere  divino  e 

però  accidentale,  estrinseco,  fantastico.  Appresso  riveste 

carattere  eroico,  nel  quale  il  conato  e  lo  sforzo  della 

mente  del  filosofo  col  suo  razionalismo  dommatico  rap- 

presenta ciò  che  il  primitivo  eroe  nella  moltitudine;  e 

anche  questo,  tuttoché  staccatosi  dal  divino,  non  cessa 

d'esser  passeggero,  esclusivo,  individuale.  Finalmente 

*  Perciò  se  la  Metafisica  nel!'  ordine  logrico  è  \&  prima  fra  le  scienze, 

come  dice  Aristotele,  è  V  ultima  nell'ordine  cronologico  (asrà-yvTcxà)  per- 

chè abbisogna  di  tutte,  come  altrove  mostrammo  (p.  221).  Così  la  filosofia  è 

scienza  generale,  non  percbò  le  rimanenti  discipline  altro  non  siano  fuorché 

altrettante  coneeguenae  di  essa,  ma  nel  senso  ch*ella  tiene  il /^rimo  poeto: 

Kaì  xa9o).ou  outwc  Jt'  npoirrì.  {Met.,  VI.)  E  tiene  il  primo  poeto 

sotto  due  sensi,  e  per  due  ragioni  divecse  ;  come  logica,  cioè,  e  come  spe- 

culazione critica  positiva.  Come  logica,  dicemmo  esser  condizione  univer- 

sale d'ogni  scibile  ;  come  speculazione  positiva,  e  posteriore  alle  altre 

scienze,  viene  ultima,  e,  come  ultima,  ò  anche  prima:  npùtrri  f  1X0709(01. 

assume  carattere  umano;  ed  è  umano,  perchè  rappre- 

sentando la  correzione  de'  due  primi  indirizzi,  non  può 

non  esser  positivo  nel  senso  che  noi  porgiamo  a  questa 

parola.* 

*  Il  Vico  infatti  accenna  ad  una  Aorta  naturale  de*  nttemi  {De 

Univ.,  CLXXXIII,  4)  la  quale  poi  nella  sna  mente  assume  forma  di  etoria 

ideale  della  filosofia  (Prima  Seienna  Nuova,  e.  XXI.  Seconda  Scienza  Nuova, 

lib.  II  :  D*  intomo  aUa  logica  degli  addottrinati^  p.  288).  Ma  tanto  la  storia 

ch*ei  dice  naturale^  quanto  l'altra  chiamata  t(iea?e, appartengono  al  do- 

minio della  psicologia,  perchè  ponno  essere  spiegate  mercè  una  legge  psi- 

cologica. Così  nella  storia,  egli  dice,  dapprima  ha  luogo  l'indagine  delle 

ooM  naturali^  poi  delle  morali,  da  ultimo  delle  razionali.  Quindi  Fisici, 

Moralisti,  Teologi:  per  esempio  Empedocle,  Socrate,  Platone.  La  mente 

parte  dal  simbolo,  anzi  vi  nasce:  indi  trasporta  il  simbolo  ad  indicare  il 

vero  Jieieo^  poi  il  vero  tiu>raf«,  appresso  il  vero  metafinoo.  Or  questa  genesi 

a  cui  egli  accenna,  si  applica  evidentemente  tanto  al  processo  delle  scienze, 

quanto  a  quello  della  filosofia;  e,  di  più,  risponde  appnntìno  alla  storia 

e  al  processo  ideale  de' metodi.  I  metodi  per  lui  sono  ìtq  ;V  Induzione^  il 

Sittogiemo,  il  Sorite.  {De  Antiquiee.,  e.  VII,  §  IV,  14.)  È  bene  avvertire 

com'ecfli,  discorrendo  del  Sorite^  sbagli  nell'attnbuire  a  Socrate  quella 

forma. d'induzione  cui  allude  nel  Libro  metafìtico;  e  non  meno  sbaglia, 

come  osservammo,  quando  chiama  sillogistico  il  metodo  aristotelico.  Ma 

questi,  com'  ò  chiaro,  sono  sbagli  di  storia,  inesattezze  di  fatto,  non  già 

di  dottrina.  Ciò  che  importa  è  che  sin  nel  Libro  metaJUico  egli  sa 

scorgere  un  vincolo,  un  processo,  e  quindi  un  progresso  fra  le  tre  posizioni 

metodiche  del  pensiero:  Induzione,  Dedazione,  Eduzione,  rispondenti  alla 

storia  delle  scienze,  come  a  quella  della  filosofia.  Giova  perciò  intenderci 

bene.  L' Induzione,  per  lui,  è  un  artifizio  sintetico,  ma  d'indole  empirica; 

ondo  la  mente  non  facendo  che  raccogliere,  adunare,  procede  dall'effetto 

alla  causa,  e  quindi  è  analisi,  diremmo,  sintetica.  (Inductio,  pioura  àna- 

lytica;  Stllooismus,  stntrtioa.  Ved.  De  Conet,  PhUologim,  cap.  IV.)  Il 

Sillogismo  invece  è  un  artifizio  deduttivo,  è  ainteei  analitica  per  cui  la 

mente  procede  dalla  cagione  all'effetto;  ma  è  incerto  nel  euo  procedi- 

mento  e  però  inetto  a  scoprire  {De  AntiquÌ9$.,  cap.  II,  VII,  4).  Questo  è 

quel  metodo  eh*  ei  condanna  ne'  Cartesiani,  ed  è  quel  9ÌUogi»mo  debole 

oÌ79iv'/ì^  i7uXXo7(7]txo;  che  Aristotele  biasimava  in  Platone  (>lna/.  Poet.,!,) 

Finalmente  il  Sorite,  per  lui,  è  tutt' altro  di  ciò  che  ne  dice  la  logica  or- 

dinaria. II  Sorite  non  è,  a  dir  proprio,  nò  sintesi,  né  analisi.  Non  è  ana- 

lisi sintetica  che  dall'effetto  ealga  alla  cagione,  e  nemmeno  è  sintesi 

analitica  che  dalia  causa  eeenda  all'effetto.  Invece  è  funzione  che  oofuxi- 

tena  caute  con  caute:  Qui  utitcb  borite  gauss  ab  oaussis,  ouiqur  proxi- 

MAif  ATTBXIT.  {De  AntiquÌ89„  De  certa /acultate  eciendi,  15.)  Perciò  il  Sorite 

essendo  la  funzione  sillogistica  nella  forma  pid  compiuta,  presuppone  e 

racchiude  in  sé  l'analisi  e  la  sintesi,  la  deduzione  e  l'induzione,  e  di  fronte 

a  queste  debb*  esser  superiore  e  posteriore.  Dunque  la  funzione  discor- 

siva che  egli  appella  Sorite  e  che  pone  nel  terzo  momento  della  storia 

Se  tutto  questo  che  noi  siamo  venuti  sin  qua  discor- 

rendo è  vero,  quale  ne  sarà  la  conseguenza?  Sarà  che 

tanto  nella  storia  deUa  filosofia,  quanto  nel  succedersi 

de'  sistemi,  il  progresso  non  è,  come  ci  predicano  i  posi- 

tivisti, un'  illusione  de'  filosofi  di  mente  ammalata  e 

nebulosa,  ma  un  fatto  storico  e  psicologico  ad  un  tempo  ; 

una  storica  e  psicologica  necessità.  I  diff'erenti  sistemi,  ci 

dicono  i  filosofi  deW  avvenire^  possono  conferire  al  pro- 

gresso non  come  cagioni  determinanti,  ma  come  sem- 

ideale  de*  metodi,  non  è  altro  che  il  processo  ednttiro  di  cai  altrove  ab- 

l)iaino  discorso.  Neir  annodar  cau»e  con  carne  sta  V  invenzione  del  ter- 

mine medio,  e  perciò  la  conversione  dd  vero  col  fatto  (p.  215-46).  Se  non 

che  talora  anche  in  ciò  egli  si  contraddice  !  ifferma,  per  es.*,  che  V  analisi 

(la  qaale  abbiam  visto  essere  per  lui  posteriore  alla  sintesi,  e  però,  come 

artifizio  deduttivo,  posteriore  ali*  induttivo),  sia  il  metodo  puramente  cri- 

tico de*  Cartesiani  ;  e  non  senza  ragione  lo  condanna,  perchè  esclusivo  e 

solitario.  Ma  più  volte  poi  dice  esser  tale  anche  il  Sorite;  cioè  un  ar- 

tifizio puramente  critico  e  analitico.  {De  AnUqxUss,^  e.  VII,  §  IV.  —  Ds 

Nos.  Temp.  Stud.  Jiat,,  Argum.  —  RUp,  i*  al  Glor.  de'  Lett.,  §  IV.  --  /?« 

Oonst.  PhiloL,  e.  XIV.  —  Sec.  Se.  Nuo.,  p.  239.)  Ma  non  abbiam  vist  ) 

com'egli  medesimo  ponga  il  Sorite  dopo  Vlnduzimie  che  è  analisi-sinte- 

tica, e  dopo  il  SiUogismò  che  è  sintesi-analitica?  Come,  dunque,  se  è  po- 

steriore e  superiore,  potrà  esser  non  altro  che  pura  critica  e  pura  ana- 

lisi, e  perciò  anteriore  e  inferiore?  Non  è  contraddizione  palpabile  cotestaV 

A  levar  di  mezzo  siffatti  controsensi,  bisognerà  stare  alla  definizione 

eh' ei  medesimo  ne  porge  del  Sorite:  funzione  che  concatena  cause  con 

ca«we,  non  già  effetti  con  causcy  o  eause  con  effetti.  Ella  compenetra,  come 

dicemmo,  in  un  medesimo  circolo  l'analisi  e  la  sintesi,  l'artifizio  indut- 

tivo e  '1  deduttivo  (p.  245).  fe  insomma  il  nwtodo  ch'egli  sposso  ap- 

pella geometrico  (2*  Risp.  al  Oior.  de'  LcU.,  §  IV).  È,  ripetiamo,  il  metodo 

ednttivo,  genetico,  il  quale  non  è  geometrico  in  quanto  debba  essere 

tolto  cosi  com'  è  dalla  matematica,  ma  nel  senso  che  dalla  geometria 

s'ha  da  pigliar  la  dimostrationCf  cioè  la  guisa  per  far  la  scienza.  Lo 

dice  egli  stosso;  non  m^hodus  geometrica^  sed  demonsb'otio.  E  dopo  ciò 

auguriamoci  che  alcuni  suoi  crìtici  non  vorranno  maravigliarsi  più  oltre 

ch'egli  abbia  voluto  appellar  geometrico  il  metodo  proprio  della  sua 

Scienza  Nuova!  {i^  Se.  JVuo.,  p.  140-50).  Uno  de' continovi  lavori  di  questa 

scienza  d  dimostrare  FIL  PILO....  lo  spiegarsi  delle  idee  umane  (ih.  p.  44). 

Concludendo:  Col  porre  la  genesi  psicologica  de* metodi  e '1  processo 

isterico  delle  tre  funzioni  metodiche,  il  nostro  filosofo  ci  ha  dato  in- 

sieme la  dottrina  su  la  genesi  positiva  delle  scienze,  secondo  l'inter- 

pretazione che  noi  altrove  abbiamo  accennato  (p.  230),  e  sopra  questa 

legge  si  modella  eziandio  la  storia  ideale  della  filosofia^  com'egli  dice,  o 

la  storia  naturale  de' sistemi  JUoéoJtci.  Sono  germi  cotesti,  io  lo  veggo; 

ma  germi  fecondissimi. 

plici  condizioni  del  progredire;  cioè  com' errori  che  si 

combattano,  e  che  nel  combattersi  a  vicenda  si  correg- 

gano. —  La  contraddizione  qui  è  palpabile  ;  e  non  è  la 

prima  né  l'ultima  nella  quale  intoppino  i  positivisti. 

I  sistemi  filosofici  non  sono  che  errori,  e  pur  si  correg- 

gono !  Ma,  so  correggonsi,  in  clie  maniera  saran  tutti 

un  errore?  È  possibile  correzione  senz'una  parte  di  vero? 

Or  se  racchiudon  parte  di  verità,  certo  non  avrebbe  a 

parere  impresa  disperata  poterli  assommare;  per  la 

semplice  ragione  che  se  la  mente  umana  è  quella  che 

ha  potuto  partorirli  e  poi  di  mano  in  mano  correggerli, 

ella  medesima  potrà  venirli  adunando  in  organismo,  nel 

che,  come  si  disse,  è  necessario  un  criterio  superiore/ 

Abbiamo  detto  esser  triplice  il  processo  delle  cose 

governato  da  un  medesimo  criterio,  il  quale  perciò  as- 

sume valore  di  principio  :  la  Conversione  del  vero  col 

fatto.  Ora  il  primo  processo  a  cui  è  d'  uopo  fare  co- 

testa  applicazione  è  appunto  la  storia,  perocché  lo  spi- 

rito nasce  nella  storia,  e  la  fa.  E  poiché  nel  medesimo 

processo  isterico  é  racchiuso  il  processo  psicologico  il 

quale  n'  è  il  fondamento  più  immediato  in  quanto  é  la 

*  I  sistemi  si  combattono,  è  vero:  essi  rappresentano  il  transito  a 

verità  ;  e  anche  questo  è  verissimo.  Ma  ciò  fanno  non  tanto  perchè  sono 

errori,  non  tanto  perchè  lottano,  qaanto  perchè  racchiudono  in  sé  mede- 

simi un  elemento  di  speculazione  e  perciò  di  verità  metafisica.  In  una 

parola,  essi  lottano,  ma  non  per  distruggersi  a  vicenda,  sì  per  legittimarsi, 

e  compiersi.  Giova  ripeterlo  anche  qui:  Positivismo  e  Idealismo  asso- 

luto mancano  del  vero  concetto  del  progresso  nella  storia  de'  sistemi. 

L*  uno  considerandoli  come  produzioni  fantastiche  della  mente,  crede 

che  poco  alla  volta  essi  finiscano  per  divorarsi  a  vicenda  senza  verun 

incomodo  degli  spettatori;  dovecchò  l'altro,  avvisandoli  come  organi  e 

vegetazioni  d' una  medesima  pianta,  nega  loro  ogni  ulteriore  progresso 

giunto  che  sia  a  vedere  sbocciato  quel  fiore  nel  quale  sono  contenuti 

in  atto  rami,  fronde,  foglie,  tronco  e  radici  della  pianta.  Questo  fiore, 

si  sa,  non  può  essere  altro  che  la  filosofia  dell'identità.  Ora  a  me  pare 

che,  se  hegeliani  e  positivisti  vorranno  per  poco  tenersi  conseguenti  a  sé 

stessi,  la  storia  della  filosofia  agli  occhi  loro  non  potrà  essere  altro 

che  un  caput  mortuum;  sempre  per  la  solita  ragione,  che  gli  uni  hanno 

intera  fiducia  nella  costruzione  ideale  della  metafisica,  mentre  gli  altri 

non  ne  hanno  punto,  anzi  la  negano.  Caput  mortuuml  nò  più,  né  meno. 

La  logica  è  inesoraWle. 

stessa  nostra  coscienza,  perciò  la  prima  applicazione 

di  quel  principio  riguarda  la  genesi  psicologica.  Ma, 

innanzi  tutto,  che  cosa  ci  dice  la  storia  della  psicologia 

rispetto  al  problema  psicologico? 

Capitolo  Quarto. 

platonismo  e  aristotelismo 

nel  problema  psicologico. 

Il  nodo  al  quale  per  ragioni  più  o  manco  immediate 

si  rappicca  la  soluzione  de'  piii  vitali  problemi  delle 

scienze  morali,  e  stavo  per  dire  anche  quelli  della  me- 

tafisica, è  il  problema  psicologico,  che  un  moderno  filo- 

sofo ha  giustamente  appellato  problema  generatore.^ 

La  psicologia  segue  anch'  ella  una  legge  cui  vediamo 

soggiacere  ogn'  altra  parte  della  filosofia.  Pigliando  a 

considerare  il  problema  psicologico  sotto  l' aspetto  teo- 

retico, ci  accorgeremo  tosto  della  possibilità  d' una  dop- 

pia soluzione,  che  si  riferisce  a  due  sistemi  fra  loro 

opposti  e  contrari:  i  quali  sistemi,  per  quanto  si  voglian 

fregiare  di  titoli  vistosi  e  facciano  pompa  di  nomi  pili 

0  meno  appariscenti,  ci  rivelano  sempre  alla  fin  fine  l'esi- 

genza del  materialismo,  ovvero  quella  dello  spirituali- 

smo. Se  pigliassimo  poi  a  guardare  il  medesimo  pro- 

blema sotto  r  aspetto  isterico,  sarebbe  agevole  il  vedere 

come  quelle  due  soluzioni  mettan  capo  a'  due  maggiori 

filosofi  dell'antichità,  Platone  e  Aristotele,  ne'  quali  s'im- 

batte sempre  la  mente  dello  storico  quando  meno  se  '1 

crede.  Che  se  oltr'  ai  due  massimi  filosofi  di  Grecia  to- 

gliessimo ad  esame  anche  la  teorica  psicologica  degl'  in- 

signi rappresentanti  della  sapienza  cristiana.  Agostino 

e  Tommaso,  i  quali  non  fanno  che  ormeggiare  i  due 

Fichte,  Doetrine  de  ki  Seienetf  trad.  Grimbl^t,  pag.  110. 

greci  quanto  le  necessità  del  domma  comportavano, 

avremmo  beli'  e  fissato  l' obbietto  e  determinato  i  con- 

fini della  critica  intorno  alle  principali  soluzioni  date 

sul  problema  in  discorso,  e  fors'anco  avremmo  tirato  le 

somme  linee  d' un  intero  disegno  isterico  della  scienza 

psicologica  fino  all'  età  del  Rinascimento^  I  quattro  filo- 

sofi menzionati  comprendono  in  germe  tutte  le  posi- 

zioni psicologiche  possibili,  meno  una;  meno  quella, 

cioè,  che,  nulla  serbando  di  filosofico  e  di  psicologico, 

si  riduce  tutta  a  negozio  di  biologia,  come  vorrebbero 

certi  moderni  fisiologisti. 

Nella  storia  della  filosofia,  infatti,  avviene  quel  me- 

desimo che  in  ogn'  altr'  ordin  di  cose  morali  :  le  prime 

tracce  dello  sviluppo,  i  germi  del  processo,  come  germi, 

s'annidan  tutti  nelle  origini.  Nelle  origini  la  virtù  spon- 

tanea e  divinatrice  dell'  ingegno  emerge  vigorosa  e  po- 

tente così  che  basta  ad  alimentare  i'  attività  analitica 

di  più  secoli,  ed  eccitar  1'  ansia  e  '1  bisogno  speculativo 

di  più  e  più  generazioni.  Le  origini .  riflesse  della  spe- 

culazione occidentale  pongono  lor  prima  radice  nel  pen- 

siero greco  ;  massime  in  quel  perìodo  in  cui  Platone  e 

Aristotele  rappresentando,  per  così  dire,  1'  analisi  in 

cui  sdoppiossi  e  ingagliardì  la  sintesi  socratica,  giun- 

gono a  toccar  l'apice  della  riflessione  metafisica  sotto 

duo  forme  distinte;  distinte  nell'idea,  diverse  nella 

forma  e  anco  nello  stile,  ma  atte  ad  integrarsi  e  com- 

piersi a  vicenda.  Il  vivente  storico  inglese  della  Grecia 

ha  detto  che  la  speculazione  europea,  nonché  gran 

parte  dell'orientale,  altro  non  sia  stata  in  sostanza 

fuorché  un  commentario  intricato  e  perpetuo  de'  due 

massimi  filosofi.  A  compiere  il  concetto  avrebbe  potuto 

•e  dovuto  aggiugnere  che  in  cotesto  commentario,  in 

cotest'  analisi,  tanto  più  evidente  appare  il  progresso, 

quanto  più  intenso  é  lo  svolgersi  delle  dottrine,  e  più 

fitto  e  più  variato  il  succedersi  delle  scuole.  Chi  dun- 

que pigliasse  a  far  la  storia  critica  del  Platonismo  e 

dell'Aristotelismo,  e'  sarebbe  già  in  grado  di  far  la  sto- 

ria  della  filosofia:  in  cui  lo  scetticismo  avrebbe  quella 

funzione  e  queir  ufficio  che  gli  spetta;  ufficio  senza  fallo 

assai  rilevante,  ma,  come  dicemmo,  di  semplice  stru- 

mento più  che  d' artefice;  funzione  di  mezzo,  d' espe- 

diente, d'incentivo  piii  che  d'elemento  vitale  della  scien- 

za. Se  infatti  v'  ha  cosa  nella  quale  consentano  appieno 

i  due  massimi  filosofi,  è  questa:  che  il  concetto  del  sa- 

pere, del  sapere  per  via  di  scienza,  debbasi  appuntare 

neir  universale,  stante  che  dall'  universale  possa  emer- 

gere unicamente  la  possibilità  della  metafisica  (pag.  22  )) 

Ecco  perchè  tale  possibilità  è  già  beli'  e  dimostrata, 

s' altra  prova  mancasse,  dal  fatto  storico,  dalla  storia 

della  filosofia.  Ecco  perchè  lo  scetticismo,  siane  qua- 

lunque la  forma,  è  distrutto,  o  meglio,  è  ridotto  al  suo 

legittimo  valore,  dall'esistenza  atessa  e  dallo  svolgimento 

cui  son  venuti  soggiacendo  il  Platonismo  e  l'Aristotelismo. 

Ed  ecco  perchè,  ripetiamolo,  questi  due  grandi  sistemi 

racchiudono  un  significato  supremamente  comprensiva 

per  due  rispetti  diversi,  l'uno  storico  e  l'altro  teore- 

tico, e  per  due  diverse  ragioni  altrove  accennate  (p.  201). 

Sul  carattere  precipuo  del  Platonismo  ci  sarebbe  a 

sperare  che  né  critici,  né  storici  qund'  innanzi  avessero 

a  discutere  più  oltre.  Volumi  in  foglio  scrissero  antichi 

e  riscrissero  moderni,  sia  per  determinare  il  concetto 

platonico  del  Bene,  sia  per  isgroppare  que'  tanti  viluppi 

su  la  natura  delle  idee,  sia  per  ispecificar  l' attinenza 

peculiare  fra  esse  e  Dio,  o  per  lumeggiare  il  processo 

della  dialettica  e  chiarir  la  forma  verace  del  metodo 

filosofico  platonico,  o,  finalmente,  per  additare  il  rap- 

porto fra  '1  pensiero  e  l' obbietto  sovrassensibile  di  esso. 

Pare  che  i  più  oggi  consentano  a  ritenere,  il  distintivo 

platonico  star  nella  teorica  dell'  esemplarismo,  e  quindi 

nella  dottrina  (vera  o  no  che  sia)  delle  idee  avvisate 

oom' eteme  conoscibilità,  e  com^  eterne  e  assolute  specie 

delle  cose,  *  11  che  tanto  più  avrebbe  a  parer  vero,  in 

^Ytìov    wjTTioòc    To  (zé^iov    (iTxpct^ityt/y.)   iS\tntv.    Tm.  —   Cfr. 

quanto  che  il  punto  attorno  a  cui  s'aggira  la  critica 

dello  Stagirita  sta  tutta  qui:  Videa  non  pure  esser 

Buperiore  alle  cose,  ma  tutta  al  di  là  e  tutta  al  di  fuori 

delle  cose.  Né  le  tre  scuole  d' interpreti  che  hanno  a 

capo  Herbart  Hegel  e  Bitter,  e  che  in  Germania  oggi 

dividonsi  '1  campo  della  critica  sul  significato  essenziale 

e  speculativo  de'  dialoghi  platonici,  dissentono  guari  in- 

torno a  cotesto  particolare,  quantunque  tutt'  e  tre  rie- 

scano a  dissidii  profondi  nell'  applicar  la  critica  non 

tanto  erudita,  quanto  d'interpretazione  filosofica. 

Difficoltà  pili  gravi  porge  T  Aristotelismo  ;  col  qual 

nome  intendo  abbracciare  tanto  Aristotele,  quanto  la 

interminabile  tratta  de' suoi  commentatori.  Queste  dif- 

ficoltà senza  fallo  tengono  all'  indole  stessa  della  dot- 

trina aristotelica,  all'esser  eUa,  per  così  dire,  bifronte, 

racchiudendo  i  germi  di  due  contrarie  ed  opposte  dire- 

zioni speculative:  cosa  che,  ove  non  fosse  universalmente 

riconosciuta,  basterebbe  a  comprovarcela,  s' altro  man- 

casse ,  la  critica  che  neanc'  oggi  ha  smesso  e  certo 

mai  non  ismetterà  la  speranza  di  porre  in  accordo  lo 

Stagirita  con  sé  medesimo.  Eertanto,  riconosciuta  l' am- 

biguità e  r  indeterminatezza  del  sistema  aristotelico  non- 

ché il  difetto  d' impasto  omogeneo  in  parecchie  sue  teo- 

riche; considerato  come  Aristotele  uscito  del  tirocinio 

platonico  dovea  serbare,  come  serbò  evidenti,  alcune 

tendenze  già  inseritegli  nell'  animo  dalla  viva  e  potente 

e  drammatica  parola  di  chi  seppe  concepire  e  scrivere 

il  Protagora  e  '1  Filébo;  tenuto  conto  sopratutto  del- 

l'opposizione  gagliarda  e  severa  ch'ei  mosse  contr'al 

maestro  ;  e,  finalmente,  considerato  lo  svolgersi  così  va- 

rio, così  intricato,  così  opposto  ne' suoi  resultamenti 

cui  r  Aristotelismo  andò  «oggetto  attraverso  civiltà  di- 

verse, tempi  diversi,  luoghi  divedi  :  non  avrebbe  a  parer 

Stallbacm,  ne*  ProUgom,  al  Parmenide,  I,  Sez.  2.  —  Rosmini,  Aritt.  eep. 

ed  esam.f  Introd.  —  Zkllbr,  DeU^  espogiz.  aritt,  della  fil,  di  PUxtone, 

c.  rV.  —  Tbbndelsnburo,  Plut.  de  id.,  p.  60.  —  H.  Mabtik,  Éhui.  mr  le 

Tim,,  Tol.  1,  Àrgom,  —  CousiN,  Du  vrai,  du  beau  et  du  bien,  loz.  IV. 

troppo  ardito  T  argomentare,  come  dal  tatt'  insieme  delle 

sue  teoriche,  in  ispecie  dalle  tendenze  molteplici  degli 

esegeti  d'ogni  età,  cotest' indirizzi  devan  essere  tre,  me- 

glio che  due.  De'  quali  indirizzi  noi  chiameremo  il  primo 

ip&rpsicólogko;  il  secondo.  Triturale  oàempirico;  e  il  terzo 

medio,  ovvero  aristotelico-platonico  propriamente  detto. 

Dal  significato  stesso  di  queste  parole,  ognuno  s'accor- 

gerà come  il  nostro  criterio  diflferenziale,  e  la  divisione 

riguardante  gì'  indirizzi  della  dottrina  aristotelica  non- 

ché le  diverse  esegesi  a  cui  elle  conducono,  sia  per  noi 

principalmente  di  natura  psicologica;  e  non  può  non 

esser  tale.  Aristotele,  infatti,  non  cessando  d' essere 

Aristotele,  è  anche  mezzo  platonico.  Un  criterio  diflFe- 

renziale,  dunque,  circa  le  dottrine  de'  due  filosofi,  non 

potrebb' essere  attinto  in  altra  sorgente  salvo  che  in 

quella  della  psicologia,  dove  appunto  riluce  piii  netto 

il  dissidio,  checché  ne  dica  il  Ravaisson,*  tra  i  due 

filosofi  della  Grecia.  D' altra  parte  cotesta  nostra  divi- 

sione non  solo  si  porge  come  criterio  a  discemere  e 

giudicar  le  diverse  scuole  aristoteUche,  ma  ci  sommini- 

stra modo  altresì  per  valutare  l' esplicazione  storica  del 

Platonismo  al  lume  di  quel  terzo  indirizzo  che  noi  pen- 

satamente abbiamo  appellato  medio.  11  quale,  se  con  gli 

altri  due  l' abbiam  detto  aristotelico,  non  è  meno  plato- 

nico perciò.  Cotesto  indirizzo  medio,  infatti,  non  è  ori- 

ginario, ma  secondario.  Non  è  nato  fatto,  ma  capace 

di  farsi,  di  generarsi,  d'assumere  fattezze  proprie  e 

fisonomia  sempre  più  individuale  e  spiccata  nel  corso 

della  storia.  Però  più  d'uno  storico  della  filosofia  ha 

paragonato  1'  Aristotelismo  e  '1  Platonismo  a  due  fiumi 

che  risalgono  verso  due  sorgenti  diverse;  e  meglio 

avrebber  detto  due  correnti  distinte  d'  un  medesimo 

fiume,  le  quali,  scorrendo,  sempre  più  si  rimescolano 

e  conifondono  per  entro  a  un  medesimo  alveo.  Nel- 

r  Aristotelismo  quindi  ci  è  il  Platonismo,  o  meglio  ci 

*  E9$ai  de  Ifitaph,  d'  ÀrUt,  Tom.  I,  Introd.  p.  Y. 

è  germi  di  due  maniere  di  Platonismo,  legittimo  e 

spurio.  Il  Platonismo  spurio  in  sostanza  è  Arabismo; 

e  la  cagion  prossima,  X  origine  immediata  di  esso  non 

risale  già  alla  dottrina  platonica,  come  altri  ha  creduto 

cogliendo  a  frullo  qualche  sentenza  qua  e  là  sparsa 

ne' dialoghi  del  filosofo  ateniese;  ma  risale  al  medesimo 

Aristotele;  e  ciò  per  due  diverse  ragioni.  La  prima 

delle  quali,  come  ha  osservato  un  illustre  storiografo,* 

si  radica  nell'opposizione  che  lo  Stagirita  ingaggiò  con- 

tro il  maestro  ;  e  questa,  più  che  cagione,  noi  diremmo 

sia  stata  occasione,  incentivo  alla  dottrina  averroistica. 

La  seconda  poi  vuoisi  riferire,  come  toccammo,  all'in- 

determinatezza e  ambiguità  della  stessa  dottrina  ari- 

stotelica su  l'intelletto;  tant' è  vero  che  Alessandro 

d'  Afrodisea,  intendendolo  in  parte  sotto  l'aspetto  em- 

pirico, potrebbe  aver  fatto  più  sdrucciola,  per  parte  sua, 

la  strada  all'Averroismo.'  Se  dunque  tale  è  l'Aristo- 

telismo di  fronte  al  Platonismo,  si  può  dire  che,  ove  altri 

pigliasse  a  far  una  storia  compiuta  del  primo  conforme 

al  criterio  che  noi  diciamo,  farebbe  anche  la  storia 

del  secondo,  cioè  del  Platonismo  vero,  del  Platonismo 

legittimo,  appunto  perchè  nell'uno  e' è,  anche  1'  altro, 

ma  corretto,  o  a  dir  meglio,  compiuto  per  più  d'un 

rispetto.' 

Ora  che  i  tre  indirizzi  non  siano  per  avventura  tre 

fantasie  del  nostro  cervello,  potrebb'  apparir  manifesto 

dalle  sentenze  diverse  che  noi  potremmo  agevolmente 

venir  adunando  nel  medesimo  Aristotele,  se  potessimo, 

anche  a  far  bella  mostra  di  peregrina  ma  non  difficile 

erudizione,  ingolfarci  in  esami  di  esegesi  minuta  e  par- 

ticoleggiata,  e  se  il  Rosmini  non  avesse  già,  meglio  che 

*  Renan,  Averrhoé»  et  VAverr.^  pag.  42. 

*  Ravaisson,  op.  cit.,  toro.  IT,  p.  296  e  segg. 

*  Il  Bonghi  parlando  della  metafisica  d'Aristotele  osserva,  c^  tutti 

qtianti  %  »Ì9temi  fino  a  Carteno  ei  »%  »ono  tpecehiati  dentro^  e  ci  hanno 

jwù  o  meno  riconoeciuto  il  proprio  vieo,  (Lett.  al  Rosm.,  Trad.  della  Me- 

taf.,  p.  Vili).  Il  Nourisson  dice  fino  a  Leibnitz.  {Tabi,  de»  progrU,  ec., 

2*  ediz,  1S59  nella  Condu$,)  Perchè  non  dire  fino  ad  Hegel  addirittura? 

ogn'  altri,  posto  in  sodo  con  maniera  davvero  magistrale 

r  esistenza  nello  Stagirita  de'  due  primi  indirizzi.  Ma 

una  prova  più  chiara  potrebbe  averla  chi  guardasse 

al  modo  con  che  sonosi  venute  svolgendo  e  diramando 

e  poi  intricando  e  vie  più  ravviluppando  fra  loro  le  va- 

rie scuole  aristoteUche  non  solo  per  tutte  quelle  dieci 

età  che  il  nostro  Patrizi  distingue  nella  storia  degli 

esegeti  aristotelici,  ma  eziandio  per  tutto  il  periodo 

che  corre  dall'  epoca  del  Rinascimento  fino  agli  ultimi 

critici  tedeschi  hegeUani  e  non  hegeliani,  Michelet, 

Franti,  Zeller,  Trendelenburg.  Da  Teofrasto,  per  esera- 

pio,  a  Stratone  di  Lampsaco  incomincia  a  prevalere 

di  già  r  indirizzo  naturale,  pigliando  forma  sempre  più 

empirica  di  guisa  che  si  potrebbe  dire  non  v'essere 

stacco  assoluto  fra  questo  indirizzo  aristotehco,  e  quelle 

scuole  che  vi  tenner  dietro,  segnatamente  l'Epicurea 

e  la  Stoica.*  11  Nominalismo  del  medioevo  che  il  Ro- 

smini più  acconciamente  appellerebbe  Bealisfno  ari- 

stotelico, nonché  il  naturalismo  d'alcuni  peripatetici 

del  secolo  XV  e  XVI,  ci  palesano  anch'  essi  l' indirizzo 

empirico.  '  I  Positivisti,  finalmente,  credono  anch'  essi 

oggidì  potersi  agganciare  allo  Stagirita,  ne  in  verità 

avrebbero  gran  torto  se  troppo  facilmente  non  dimen- 

ticassero come  accanto  all'Aristotele  positivista  ci  sia 

un  Aristotele  filosofo  anzi  metafisico  propriamente  detto. 

D'altra  parte,  il  Neoplatonismo  e  più  l'interminabile 

serie  dei  commentatori  arabi  o  arabeggianti  che  smar- 

rivansi  in  quella  grossolana  forma  di  panteismo  ])sico- 

logico  annidatasi  nella  dottrina  dell'intelletto  agente 

così  balordamente  interpretata  in  Aristotele,  non  ci 

palesano  schiettissimo  l'indirizzo  iperpsicologico? 

Fra  questi  estremi  quanto  evidente  nella  storia  al- 

*  Ravaisson.  Op.  cit.»  tom.  II,  p.*  4",  lìb.  1,  e.  1. 

•  RosMiivi,  ArUu  eiip.  ed  etam.y  Introd.  pagf.  46.  —  Roussblot,  Étud^ 

tvr  la  Phil.  dan»  le  moì/en  àgef  l»  p.*,  pa«r.  80.  —  Saint-RinÌ  Taillak> 

DntB»  Seot  Erigene  et  la  Phil,  Seolwtt.,  p.  101.  -  CousiN,  Fragni,  de  PkiU 

du  fnoyen  Age,  p.  72. 

trettanto  necessaria  in  teoria  è  la  posizione  mediana. 

Ella  si  studia  porre  nn  accordo  fra  l'esigenza  fondamen- 

tale del  Platonismo,  e  quella  dell' Aristotelismo;  fra  l'uni- 

Tersale  in  sé,  e  Y  universale  anche  nel  mondo.  Se  non 

che  è  facile  vedere  come  questa  posizione  abbia  a  ren- 

dere immagine,  diremmo  quasi,  del  ferro  magnetico  il 

quale  senza  posa  oscilla  fra  mezzo  al  polo  positivo  e 

al  polo  negativo.  Tale  davvero  è  l' indirizzo  medio,  un 

ferro  magnetico  :  per  cui  non  è  impresa  agevole  stabi- 

lire, per  esempio,  se  certi  realisti  e  certi  nominalisti 

dell'  evo  medio,  de'  quali  il  Rosmini  con  l' usata  pazien- 

tissima industria  andò  scovando  più  e  diverse  famiglie, 

sLin  da  dichiararsi  aristotelici  meglio  che  platonici.* 

 

L' indirizzo  medio  nelle  dottrine  filosofiche,  massime 

parlando  di  Platonismo  e  d' Aristotelismo  avvisati  nel 

loro  svolgimento  istorico,  spicca  per  questo  contrassegno: 

d'  esser  la  molla  maestra,  per  così  dire,  del  progresso 

nello  sviluppo  del  pensiero  speculativo.  Or  s'egli  è 

tale,  non  debb'  esser  rappresentato  da  que'  filosofi  che 

*  Pretendono  alcuni  storici  ctie  il  Nominalismo  non  dlfForìsca  punto 

dal  Concettualismo  (per  es.  il  Cocsin,  (Euvres  cT Abelardo  Introd.,  p.  XCVI 

in  ciò  confutato  meritamente  dal  Rosmini,  Atìm,  ec.  p.  22.)  Meno  a?7en- 

tato  degli  altri  il  Roverotano  si  contenta  designare  il  secondo  com*  una 

gpecie  del  primo.  E  sia  pure.  Ma  se  fra  Tun  sistema  e  T  altro  non  fosse 

alcun  diyario,  dovremmo  porre  in  un  fascio,  non  diciamo  con  quanta  ve- 

rità, i  nomi  di  Roscellino,  di  Guglielmo  di  Champeaux  e  d'Abelardo? 

Per  noi  la  differenza  delle  tre  direzioni  filosofiche  medievali  è  precisa- 

mente quella  che  esiste  fra  le  tre  posizioni  dell'  universale  rispetto  alle 

cose  :  ante  rem,  in  re,  poH  rem.  Non  dico  già  che  tra  Nominalismo  e  Con- 

cettualismo corra  quel  medesimo  divario  che  pur  troppo  intercede  fra  essi 

presi  insieme,  e  quella  specie  di  Realismo  per  cui  si  distingue, 'per  es., 

Anselmo  d*  Aosta.  Ma  la  differenza  è  pur  evidente,  essendoci  differenza, 

parmi,  tra  V  ammettere  e  'I  negare  Vunivenalenel  concetto.  Checche  se  ne 

dica,  la  scuola  di  Roscellino  è  nominale  pura.  Quella  di  Guglielmo  di 

Champeaux  è  schiettamente  realista.  Ma  un  barlume  di  vero  progresso 

nella  scolastica  traluce  nel  Concettualismo.  Esso  ci  rappresenta,  almeno 

compera  possibile  in  quell'età  e  in  quelle  condizioni  della  scienza,  l'in- 

dirizzo aristotelico  medio.  Il  Concettualismo  è  tanto  superiore  al  Nomi- 

nalismo, quanto  Io  spirito  all'esperienza,  -le  idee  ai  fatti,  il  senso  al 

pensiero.  Il  Rimuaat  e  il  Nouritaon  han  saputo  rilevare  a  meraviglia  i 

meriti  di  questo  indirizzo  nel  periodo  scolastico.  (Abìlakd,  Tom.  1,40, 

II,  24.  —  Tahleaux  de»  progrì»,  ed.  cit.  p.  257.) 

la  critica  non  radamente  finisce  per  battezzare  con  titoli 

diversi  e  disparati  e  talvolta  anche  opposti,  non  altri- 

menti che  gli  zoologisti  adoperano  riguardo  a  certe 

specie  zoologiche  le  quali,  in  via  di  formazione  spe- 

cifica, non  possiedon  per  anche  caratteri  netti,  spiccati 

e  ben  determinati?  Tal  si  è  agli  occhi  nostri,  per  dire 

un  esempio,  Alessandro  Afrodisio;  il  quale,  tuttoché 

meritasse  titolo  di  secondo  Aristotele,  ninno  però  vorrà 

dichiarare  schietto  aristotelico.  S'egli  infatti,  combatte 

la  dottrina  atomistica  degli  Epicurei  nonché  quella 

delle  forme  seminali  degli  Stoici,  é  questa  una  buona 

ragione  perché  non  sia  detto  seguace  dell'  indirizzo  ari- 

stotelico empirico.  E,  inoltre,  se  contro  Avveroé  piglia 

a  corregger  la  dottrina  dell'  intelletto  possibile,  ciò  di- 

mostra com'  ei  non  sia  nuli'  afiatto  un  iperpsicologista, 

e  per  la  stessa  ragione  non  é  a  confondersi  co' puri 

platonici.  Che  se,  finalmente,  opponendosi  allo  stesso 

Aristotele  procaccia  dimostrare  come  la  specie  anziché 

nell'individuo  sia  nel  pensiero,  con  ciò  si  manifesta  chia- 

ramente seguace  dell'indirizzo  mediano.  L' Afrodisio 

dunque,  se  potessi  designarlo  così,  sarebbe  il  concet- 

tualista per  eccellenza  fra  gli  esegeti  ellenici,  e  quindi 

potrebbe  rappresentarci  l'antecedente  ideale  del  Con- 

cettualismo mediqevale.  Egli  per  primo  nella  storia  del- 

l' Aristotelismo  ci  esprime  il  bisogno  d' accordare  le  due 

opposte  direzioni  aristoteliche,  restando  egli  stesso  ari- 

stotelico, e  però  non  arabo,  né  sensista.  —  Si  potrebbe 

facilmente  dimostrare,  se  qui  fosse  luogo,  che  il  mede- 

simo indirizzo  ci  esprime  e  la  medesima  funzione  eser- 

cita san  Tommaso  nel  medioevo;  talché  nell'età  me- 

dioevale il  D' Aquino  rappresenta  ciò  che  l' Afrodisio 

fra'  primi  commentatori  greci.* 

*  Parlando  di  sau  Tommaso  il  Bonghi  dice:  Quello  che  m'ha  fatto 

molto  maravigliare,  e  di  cui  non  mi  $on  reso  cofUo  pienamentef  ^  come 

•'  accordi  in  tanti  luoghi  coW  A/roditeo^  tema  perft  citarlo  mai,  ìé  accordo 

^  tale  che  non  pud  ewer  casuale.  (Op.  cìt.  LeU.  al  Rosm.«  p.  XUI.)  È  vero, 

san  Tommaso  non  conoscerà  che  di  nome  rAfrodisio.  Lo  conosceva  per 

mezzo  d*A7erroé;  eppure  tanto  spesso  trovasi  d'accordo  con  lui  neir  in- 

Altri  esempi  più  spiccati  potremmo  averli  nel  Ri- 

nascimento; esempi  di  filosofì  che  a  tutta  prima  non 

paiono  stare  né  di  qua  ne  di  là.  Tali  per  noi  sono,  a 

dime  questi,  il  Porzio,  lo  Zabarella,  il  Lagalla,  il  Castel- 

lani; e  non  esiteremmo  annoverarvi  anche  il  Sessano, 

come  quegli  che  finì  per  combatter  l'Averroismo  e 

dar  molto  da  pensare  a'  seguaci  dell'  indirizzo  empirico 

fra'  quali  in  cima  a  tutti  siede  il  Pomponazzi  *  Che  se  il 

Patrizzi  e  più  il  Ficino,  fra  gli  altri,  si  palesano  schietti 

neoplatonici,  cotesto  lor  platonismo  non  va  certamente 

confuso  con  l'Arabismo.  Anche  noi  crediamo  che  certi 

Platonici  e  certi  Peripatetici  arabeggino  la  lor  parte, 

e  tanto  s'assomiglino  fra  loro  quanto  due  gocciole 

d'acqua.  Ma  perchè  pretendere  porli  in  un  mazzo? 

La  lor  mente  muove  da  sorgive  diverse;  così  che,  in- 

terpretando a  lor  modo  Aristotele  e  Platone,  gli  uni 

spesso  vaporano,  come  s' è  detto,  in  una  forma  confusa 

di  panteismo  psicologico,  in  mentre  che  gli  altri  svo- 

lazzano sì  da  restare  immersi  e  balordicci  in  mezzo 

agli  splendori  d' un  misticismo  il  quale  se  non  è  pan- 

teismo poco  ci  corre.  Arabismo  quindi  non  è  Plato- 

nismo; 0,  se  si  vuole,  è  i)  fiacco,  è  il  grossolano  Plato- 

nismo venuto  fuori,  come  to^tommo,  attraverso  la  critica 

male  interpretata  d'  Aristotele  contro  il  suo  maestro. 

Se  dunque  la  storia  dell'Aristotelismo  è  lì  pronta  a 

mostrarci  incarnate  nelle  sue  scuole  tre  diverse  tendenze, 

ciò  vorrà  dire  più  cose.  Vuol  dire  che  queste  tre  tendenze 

debbono  esistere,  ma  esistere  come  in  germe  nelle  dot- 

trine e  nella  mente  stessa  del  Caposcuola.  Vuol  dire 

terpretare  il  JUo$ofo,  che  davvero  tale  consenso  non  può  esser  ccituale. 

Quale  n'  è,  dunque,  la  ragione  ?  Il  Bonghi  non  ne  avrebbe  fatto  le  mera- 

viglie se  avesse  pensato  eh*  eran  tutt'  e  due  nel  medesimo  indirizzo,  nel- 

r  indirizzo  aristotelico  mediOf  per  quante  possano  esser  le  differenze. 

 

*  Molti  filosofi  italiani,  che  d'ordinario  sono  mossi  iu  fascio  col  Pom- 

ponazzi 0  con  gli  schietti  averroisti  ovvero  co'  puri  platonici  (come 

appunto  il  Nife)  a  noi  paion  seguaci  più  o  mono  spiccati  dell'indirizzo 

medio,  quando  siano  interpretati  con  benignità  di  giudizio,  e  senza  le 

traveggole  d'una  critica  sistematica. 

ch'elle  hann'a  distinguersi  e  sdoppiarsi  e  correre  il  palio 

del  processo  istorico.  E  vuol  dire,  perciò,  che  a  questo 

ior  successivo  distinguersi  ha  da  presiedere  una  legge 

di  progresso  che  per  passi  lenti,  ma  sicuri,  valga  a  ri- 

condurre r  analisi  alla  verità  della  sua  sintesi  primi- 

tiva. Aristotelismo  e  Platonismo,  ripetiamolo,  non  sono 

a  dir  proprio  due  filosofie  ;  né  sono  due  serie  di  filosofi 

gli  Aristotelici  veri  ed  i  veri  Platonici.*  Sono  ben»  due 

filosofie  que'  due  commenti  così  opposti  fra  loro  e  con- 

trari, che,  fondandosi  in  un  concetto  b  empiricamente 

naturale  o  esageratamente  iperpsicologico  del  pensièro, 

vennero  fabbricandosi  col  succedersi  de'  secoli,  con  l'in- 

calzarsi de'  filosofi,  e  con  1'  avvicendarsi  delle  scuole. 

Non  seguiremo  perciò,  a  questo  proposito,  la  sentenza 

del  Buhle,  del  Bitter,  del  Renan  tb  d'  altri  storici  che 

altro  divario  non  sanno  scorgere,  fra'  peripatetici  del 

Rinascimento,  se  non  quello  eh'  è  possibile  riconoscere 

fra'  commentatori  d' un  medesimo  caposcuola.  Come 

confonder  l'Achillini  col  Porzio?  e  il  Porzio  col  Nifo? 

e  il  Nifo  con  lo  Zabarella  e  col  (3ontarini?  e  tutti 

questi  con  lo  Zimara  e  con  altri  di  simil  tenore? 

Il  criterio  innanzi  stabilito  ci  può  far  comprendere 

perchè  mai  tutti  quelli  che  han  sempre  sospirato  un 

accordo  fra  l' uno  e  l' altro  sistema,  risentano  piii  del- 

l' indirizzo  platonico  anziché  dell'  aristotelico  ;  e  perchè 

accanto  a  Bessarione,  al  Mirandolano,  al  citato  Gonta- 

rini,  al  Mazzoni,  e  a  tutti  gli  altri  che  credono  toccar 

col  dito  il  vagheggiato  accordo,  non  manchino  i  Donato, 

i  Folieta.  i  Buratella  che  reputino  pazzia  cosiflFatto 

accordo.  I  primi  ci  dimostrandoci  fatto  che  nell'Ari- 

 

*  Una  prora  estrinseca  che  fra  il  Platonismo  e  1*  Aristotelismo  pri- 

mitivi non  V*  è,  masdme  in  certi  ponti  di  metafisica,  divario  sostan- 

ziale, potrebb*  esser  tolta  dalla  maniera  ond'  Aristotele  conduce  la  crìtica 

inverso  alla  fllosofia  del  sno  maestro.  Lo  Scbleiermacher  Tha  chiamata 

critica  da  maestro  di  scuola:  e,  per  alcuni  rispetti,  non  a  torto.  Lo  Zeller 

infatti  ha  mostrato  ad  evidenza  come  il  discepolo  stiracchi  non  di  rado 

il  maestro  per  meglio  abbatterlo.  —  Ved.  Op.  cìt.  trad.  dal  Bonghi  spe- 

cialmente nel  Cap.  iV. 

stotelismo  c'è  il  Platonismo,  e  però  l'indirizzo  medio; 

i  secondi  poi  che  nello  Stagirita  ci  ha  i  germi  delle  altre 

opposte  e  contrarie  direzioni.  Un  accordo  è  possibile  ; 

ma  non  fatto  a  maniera  ^meccanica  e  per  sovrappo- 

sizione, come  si  pensano  certi  viventi  neoplatonici  col 

trasferire  all'un  filosofo  ciò  che  si  crede  faccia  difetto 

all'  altro,  e  dando  per  esempio  ad  Aristotele  l' idea  pla- 

tonica, e  a  Platone  il  concetto  della  Juva^c?  o  della 

ytvevii  aristotelica.  Il  discepolo  ha  pur  egli  la  sua  idea, 

cgme  al  maestro  non  manca  la  virtù  del  fatto  e  il  valore 

dell'esperienza.  L'accordo  quindi  è  opera  della  storia; 

ed  è  r  opera  travagliosa  della  critica  rintegratrice. 

La  quale,  rotondando  le  sporgenze  e  ammorbidendo  le 

angolosità  che  pur  troppo  si  lasciano  scorger  ne' due 

filosofi,  li  modifica,  li  rimpasta,  li  trasfonde  1'  uno  nel- 

r  altro  e  li  trasfigura  siffattamente  che  ci  scompaian 

dagli  occhi  Aristotele  e  Platone,  senza  che  perciò  abbia 

a  scomparire  ed  estinguersi  quell'eterna  e  vivace  esi- 

genza cui  levossi  il  pensiero  indoeuropeo  fin  da' primi 

momenti  della  sua  riflessione  speculativa  e  metafisica. 

Ripetiamolo  anche  qui.  Il  risultamento  finale  del- 

l'Aristotelismo e  del  Platonismo  non  è  già  il  trionfo 

dell'uno  su  l'altro,  od  al  contrario.  È  il  trionfo  d'en- 

trambi, per  una  ragione  altrove  rammentata  a  proposito 

delle  due  moderne  filosofie.  E  que' critici  che  tanto 

sudano  e  s'  arrovellano  a  mettere  in  trono  vuoi  un 

Aristotele  passato  attraverso  i  lambicchi  d'una  critica 

infedele  ed  eunuca,  vuoi  un  Platone  rimpannucciato 

co' cenci  d'un  troppo  vieto  tradizionalismo,  negano, 

senz'  addarsene,  la  storia.  Negano  la  storia,  perchè 

disconoscono  gran  parte  del  lavoro  storico  già  com- 

piutosi per  opera  degli  esegeti  ellenici,  arabi,  alessan- 

drini, latini,  italiani  del  Risorgimento.' 

 

*  Reca  marayiglia  davvero  il  pensare  come  in  questa  maniera  di  critica 

incappino  perfino,  parlando  d'Aristotele^  gli  hegeliani  più  assennati  quando 

affermano,  per  esempio,  che  aìVidea  topra  le  cose  di  PlaUme  AnstoteU 

SOSTITUÌ  Videa  delle  coae^  o  la  forma.  Basterebbe  già  la  parola  909Htu\  a  far 

cangiare  ftsonomia,  non  pure  airAristotelismo  e  al  Platonismo,  ma  a  tutta 

Premesse  queste  considerazioni  generali,  veniamo 

alla  quistione  psicologica.  U  problema  psicologico  al 

quale  si  connette  ogn' altro,  è  quello  che  risguarda  la 

relazione  fra  V  anima  e  '1  corpo.  Se  cotesta  relazione 

interviene  fra  mosso  e  movente,  per  usare  l' antico  lin- 

guaggio, s'ha  l'indirizzo  platonico;  il  quale  j>wò  trovar 

riscontro  con  la  posizione  iperpsicologica  della  esegesi 

de'  commentatori  averroisti.  Se  è  relazione  di  potenza  e 

Aleuto,  pigliando  l' atto  come  determinazione  o  semplice 

la  storia  della  scienza.  B  tal  si  è  infatti  il  linguaggio  tenuto  nella  ìot 

critica  da  Hegel,  dal  Michelet,  dal  Franti,  dallo  Zeller,  ne'  quali  attingono 

ispirazione  i  nostri  hegeliani.  Ma  dicendo  che  Aristotele  sostituì  oc,  non 

sembra  che  lo  Stagìrita  abbia  inteso  di  negare  addirittura  V  idea  plato- 

nica? Giacché  a  poter  sostituire  bisogna  innanzi  negare;  e  per  mettere 

qualcosa,  è  d^uopo  averne  levato  qualche  altra.  Ora  il  vero  si  è  che  Ari- 

stotele, oltre  la  specie  come  predicabile,  il  che  costituisce  proprio  la 

novità  sua  di  rimpetto  a  Platone,  riconosce  altresì  la  specie  separata^  la 

specie  in  sé,  là  forma  in  sé,  spoglia  di  materia.  La  qual  forma  in  sé 

(s  Zi  poi  aurvj  x^-^'  aur^fv  vj  uo^^tj)  è  altrettanto  chiara  in  Aristo- 

tele,'quanto  la  forma  mista  alla  materia  (ùtgjùti^jvvj  (uterà  rrì;  vItiq).  lì 

divario  fra*  due  ftlosoft  perciò  non  risguarda  la  prima,  vo*  dir  la  specie 

per  eccellenza,  ma  si  la  seconda,  cioè  la  cosa  contenente  la  specie.  Di  che 

si  vede  come  per  lo  Stagirita,  oltre  l'insieme  de' due  elementi  (to  au  voXov) 

ci  sia  ben  altro  ancora.  Al  di  là  del  to'  slSoz  sv  fn  uXv),  infatti,  vi 

ha  l'essere,  vi  ha  la  ragion  delle  cose,  tÒ  tìSo;,  (Ved.  Metaph.  X,  2).  In- 

tanto, che  cosa  ti  fanno  i  critici  hegeliani  ?  Essi  pigliano  quel  che  loro 

toma  comodo.  Pigliano  il  to'  oùvoXov,  e  il  resto  considerano  come  un  caput 

mortnumj  o  sentenziano:  Ècco  qua  il  vero  Aristotele!  Che  sia  l'Aristotele 

del  loro  cervello,  è  chiaro,  né  vi  cape  ombra  di  dubbio.  Che  sia  l'Ari- 

stotele che  ci  porge  la  storia,  lo  neghiamo  risolutamente;  né  ci  man- 

cherebbe modo  a  darne  dimostrazione,  se  questo  fosse  il  luogo.  Si  dirà 

che  quel  caput  mortuum  sia  come  il  Deus  ex  machina  dì  Cartesio?  una 

contraddizione?  Innanzi  tutto  potrebbe  stare  ch'ella  non  fosse  tale:  e  tale 

infatti  non  la  reputarono  i  nostri  vecchi  critici  del  Rinascimento,  né 

tale  è  creduta  oggi  da'  massimi  e  più  severi  interpreti  moderni,  qual  è 

Trendelenburg  in  Germania,  Rosmini  in  Italia,  Ravaisson  e  B.  Saint- 

Hilaire  in  Francia.  Checché  ne  sia,  la  critica  seria  e  feconda  starebbe 

appunto  nel  levar  di  mezzo  la  contraddizione,  ma  senza  negare  nò  ra- 

diare in  Aristotele  l'esigenza  platonica;  se  no,  risicheremo  d'incespicare 

nel  solito  scoglio,  quello  cioè  di  far  la  storia  zoppicando,  e  far  cammi- 

nare la  macchina  con  una  sola  ruota.  Nessuno  de'  quattro  critici  poco 

fa  rammentati,  fra'  moderni,  e  neanche  fra  gli  antichi  il  nostro  Simone 

Porzio  per  esempio,  avrebbero  detto,  né  dicono,  sostituì.  Avrebbero  dette 

aggiunse,  a/mpìè,  eon-ewT,  iiirern,  t'  simili. 

modificazione  della  potenza,  avrai  la  posizione  empirica 

dell'Aristotelismo,  il  cui  rappresentante  più  logico,  più 

originale  nell'  età  del  risorgimento  dicemmo  essere  il 

Pomponaccio.  Se  cotest' attinenza,  per  ultimo,  è  quella  di 

forma  e  di  matefia,  ma  intesa  in  maniera  che  la  prima 

tuttoché  rampolli  dalla  seconda  non  però  sia  come  assor- 

bita da  questa  e  ne  dipenda  in  modo  assoluto,  ma  anzi  la 

superi,  la  informi  di  sé  e  basti  ad  alimentarsi  di  sé  me- 

desima; in  tal  caso  avremo  una  terza  posizione,  la  cui  esi- 

genza é  pur  manifesta  in  Aristotele,  e  nella  quale  pone 

radice  la  soluzione  più  acconcia  del  problema  psicologico. 

L' indirizzo  iperpsicólogico,  nome  che  d' ordinario 

scambiasi  con  l'altro  di  platonico,  ha  natura  dedut- 

tiva, e  costituisce  il  metodo  degli  spiritualisti  di  tutt'  i 

tempi  :  nelle  cui  mani  la  psicologia  assorbe  siifattamente 

la  fisiologia,  da  ridurla  alle  umili  condizioni  di  sem- 

.plice  appendice  della  prima.  L'indirizzo  aristotelico 

empirico  ha  natura  puramente  induttiva;  ed  é  il  me- 

todo de'mateiialisti  d'ogni  età,  nonché  di  certi  moderni 

biologisti  e  positivisti,  agli  occhi  de' quali  la  scienza 

dell'  anima  é  com'  un'  ultima  pagina,  una  modesta  ap- 

pendice della  fisiologia,  ovvero  una  specie  d'enume- 

razione, come  direbbe  Hegel,  di  ciò  che  é  l'anima,  di 

ciò  che  in  lei  avviene,  di  ciò  eh'  ella  opera.  *  L' indi- 

rizzo medio,  finalmente,  facendo  giusta  parte  e  ragione 

tanto  alla  psicologia  quant'  alla  fisiologia,  interpreta  il 

rapporto  fra  la  potenza  e  l' atto  col  sussidio  del  me- 

todo genetico  ;  e  così  giugno  a  salvare  ad  un'  ora  me- 

desima i  diritti  dello  spirito  e  quelli  della  materia. 

A  siffatto  risultamento  ci  mena  la  critica  e  la  sto- 

ria delle  differenti  soluzioni  date  a  quest'  arduo  pro- 

blema. Rifacciamoci  brevemente  dal  Platonismo. 

Il  concetto  psicologico  del  gran  figliuolo  d'  Aristone, 

se  é  parso  profondo  a  molti  in  quanto  che  mira,  come 

direbbe  il  Cousin,  a  congiugner  la  natura  intelligibile 

*  Phil,  de  VEnprit,  trad.  del  Vera,  T.  1,  1868,  p.  72. 

con  la  materiale  maritando  due  mondi  opposti  nell'anima 

razionale  e  sensitiva,*  pur  nullameno  e' riesce  manche- 

volissimo chi  pensi  come  anima  e  corpo  al  filosofo  di 

Atene  s'  affacciassero  dislegati,  scissi,  e  solamente  ap- 

paiati così  fra  loro  com'  il  nocchiero  col  suo  naviglio.* 

Nessun  vincolo  secreto,  adunque,  nessun  nodo,  né  om- 

bra di  processo  nelle  funzioni  psicologiche  pel  padre  del 

Platonismo.'  Di  qua  proviene  che  per  lui  la  mente,  vi- 

vendo d' una  vita  superiore,  non  abbisogna,  a  dir  pro- 

prio, di  pareli^;  il  pensiero  essendo  già  per  sé  stesso 

un  discorso  con  sé  medesimo  :  Sto^UyaSat^  Perciò  stesso 

una  divisione  razionale  e  organica  degli  atti  psicologici 

teoretici  nella  dottrina  platonica  è  impossibile  :  '  laonde 

quant'  all'  essenza  propria  e  specificante  l' anima,  piut- 

tosto che  generarsi,  si  compone;  o,  come  osserva  accon- 

ciamente un  acuto  scrittore,  si  raccozza,  non  si  esplica.® 

Il  concetto  psicologico  dunque  del  primitivo  Plato- 

nismo é  tanto  incompiuto,  quanto  incompiuto  si  palesa 

quello  della  sua  cosmologia,  nonché  l' altro  delle  rela- 

zioni fra  il  mondo  e  gli  etemi  paradigmi. 

Il  processo  psicologico  é  assai  meglio  determinato 

neir  Aristotelismo.  Ed  é  tale  in  grazia  della  dottrina 

dell'entelechia,^  e  della  relazione  fra  la  materia  e  la 

*■  L'  anima  uriiana  è  formata  alla  stessa  maniera  dell*  anima  del 

mondo.  {Tim.,  trad.  Coubin,  voi.  12,  p.  120  e  specialmente  123  e  segrg.) 

È  qualcosa  d' intermedio  fra  il  mondo  sensibile  e  V  idea.  (Zeller,  Eapo- 

»tx.  arìatotelica  della  jUoBofia  platonica.^  p.  304.) 

*  Di  qui  la  celebre  definizione  dell*  uomo  alla  quale  han  fatto  e  fauno 

buon  viso  tutti  gli  spiritualisti:  Avro^f  tu  toO»  (Tw^aro;  OLpy^ov 

(àjÀo'koyTntTafisv  «vO^owttov  govai  etc.  Ved.  nel  Primo  Alcib.f  51. 

•  Chaigkbt,  De  la  Paycologie  de  Platon^  Paris,  1862,  p.  232  e  segg. 

*  Ved.  nel  Soph,,  trad.  del  Cousin,  Tom.  XI,  p.  230. 

'  La  classazione  accennata  nella  Repub.  (Lib.  IV  e  IX)  si  riferisce 

agli  atti  morali;  e  lo  stesso  può  dirsi  dell'altra  simboleggiata  nel  mito 

poetico  del  Fedro.  Solo  nel  Teeteto  havvi  un  principio  di  divisione  teo- 

retica delle  funzioni  psicologiche,  ma  anche  questa  manchevole. 

•  BONQHI,  Storia  del  concetto  deWAnipia  neUe  varie  scuole  antiche  e 

del  medio-evot  pag.  288,  nei  Saggi  di  FU,  Civile^  Genova  1852. 

■'  Arist.,  2)« i4».,  II,  e.  I,  §  VI:  W\j'/ri  sanv  «vtc>«x***  **^/'**'''*' 

arà^y.roc  yuTtprou  Sovy.jjLH  Zwvj'v  j^^ovto?. 

forma.  Tale  anche  dove  si  rifletta  al  valore  che  Aristotele 

porge  al  senso  come  rappresentazione  com' elemento 

essenziale  del  pensiero,*  nonché  all'ufficio  eh'  egli  attri- 

buisce all'immaginazione  (>3stxaT«a)  come  facoltà  me- 

diana fra  senso  e  ragione;*  anticipando  così  la  dottrina 

su  la  relazione  che  il  Kant  stabilì  fra  questa  facoltà 

e  le  altre  due  estreme  funzioni  dello  spirito.  Con  que- 

ste idee  fondamentali,  checche  ne  dicano  coloro  che  col 

B.  Saint-Hilaire  non  rifiniscono  d'incelare  la  psicologia 

platonica,"  Aristotele  creò  la  psicologia  come  scienza 

indipendente  dalla  biologìa,  gettando  insieme  le  basi 

della  zoopsicologia  che,  nelle  mani  segnatamente  del 

Darwin  e  dell' Agassiz,  oggi  comincia  ad  assumere  di- 

gnità e  significato  razionale.  Ecco  dunque  uno  degli 

esplicamenti ,  una  delle  correzioni  dell'Aristotelismo 

verso  il  Platonismo  neU'  àmbito  delle  ricerche  psicolo- 

giche. Nel  Timeo  Platone  riguarda  l'animo  qual  moto 

originario  e  spontaneo  fàuToxtv»Toc);  Aristotele,  meglio 

avvisandosi,  estende  siffattamente  cotal  virtii  da  riferirla 

altresì  all'  animale.^  E  questo,  senza  dubbio,  fu  un  passo 

gigantesco. 

Ma  se  nel  filosofo  di  Stagira  vi  ha  passi  cCoro  ad 

ogni  pie  sospinto,  non  per  questo  vi  manca  la  scòria. 

La  sua  psicologia,  come  quella  del  suo  maestro,  è  man- 

chevole ;  ed  è  manchevole,  perchè  riesce  tale  altresì  la 

costituzione  della  sua  cosmologia.  Il  sistema  dell'uni- 

verso per  lui  è  quasi  una  catena  di  cui  gli  anelli  prin- 

cipali '  rappresentati  dalla  forma  e  dalla  materia,  dalla 

potenza  e  dall'atto  (5uvx/:xtc  ed  ivtpyéia),  si  ripetono, 

s' ingradano  e  moltiplicano  viepiù  col  distendersi  di  essa. 

*  Akist.,  Ve  An.f  lib.  I,  cai).  L  ^ 

*  Idem.  Ta  y.iv  ovv  e*trìvì  rò  vokjtcxov  «v  toìc  (por.vróÌ9fia9t  voti. 

De  An.,  III. 

*  B.  SAnrr-HiLAiRK,  Tmité  de  VAme^  Introd. 

*  Abist.,  Melaph.  X. 

*  Intendiamo  accennare  a*  due  princìpii  intemi  che  per  Aristotele 

costituiscon  r essere  e  sono  anzi  Tessere;  a  differenza  degli  altri  4no 

ntemi  che  ne  costituiscono  i  Jimiti.  (Meutph.f  II,  5,  7*%*.,  II  ) 

È  una  scala  in  cui  per  moto  continuo,  dallo  stato  di 

sonno  e  di  stupore,  la  potenza  s'aderge  al  più  alto 

grado  dell'attività  pura.*  In  cotesta  relazione  trovasi 

precisamente  la  materia  corporea  di  fronte  agli  esseri 

vegetabili  e  sensitivi  ;  il  vegetabile  e  '1  sensitivo  rimpetto 

all'essere  intellettivo;  e  T intellettivo  inverso  agi' intel- 

ligibili.' Ma  in  che  risied'egli  cotal  passaggio?  Tutto 

ciò  che  agisce  non  può  non  essere  un  ente  in  atto,  cioè 

la  specie  che  operando  sopra  un  ente  potenziale  vien 

così  traendolo  dal  nulla.'  La  forma  dunque  che  ger- 

moglia dalla  materia  è  davvero  il  passo  d^oro  nella 

cosmologia  aristotelica;  come  il  passaggio  empirico  e 

al  tutto  materiale  e  puramente  generativo  dall'  uno 

all'  altro,  n'  è  la  parte  inaccettabile  ed  erronea.  La 

potenza  non  movesi  da  sé  per  intima  energia,  ma 

solo  in  virtii  del  movente,  della  forma.  Il  potenziale, 

in  una  parola,  non  giugne  all'attualità,  salvo  che  per 

mozione  d'un  attuale.*  Or  com'è  possibile  che  la  po- 

tènza riesca  anteriore  all'atto,  se  in  realtà  è  sempre  un 

atto  quello  che  ha  da  movere  il  termine  correlativo  ? 

Che  se  l'atto  è  antecedente  alla  potenza  e  la  precede 

altresì  di  tempo  ;  ^  non  è  egli  chiaro  che  cotesta  po- 

tenza abbia  a  riescire  affatto  vuota  e  sterile  e  infeconda, 

posto  eh'  ella  abbisogni  sempre  d' un  atto  che  la  tragga 

ad  atto? 

•  Ma  c'è  di  più.  Se  l'originalità  d'Aristotele  risiede 

neir  aver  visto  l' elemento  formale  intrhisecarsi  col  ma- 

teriale ;  e  la  forma  in  quanto  reale  costituire  perciò  la 

sostanza  (ouVJa);  e  questa  esser  non  altro  che  processo. 

V?  fuo-c;,  wTTff  rin  trvvtyjia    XavOoévscv  to'  TtsBóptov  aur&ìv  xat 

tÒ  ^ttjoy  wOTi/Owv  ««TTt'v.  Hi»U  Anim.f  Vili. 

*  Arist.,  Metaph.  Ili,  8. 

*  Idem,  De  Oenerat.  Aninu,  II,  1. 

*  "O  ffTTÌv  VI  xcv)}(7(;  «V  Tw  xtv>jTw,  Stj'koy'  i'»Ts\éyr^si<x,  yoip  eVre 

TOUTOÙ  uttÒ  toù  xcvy}tcxoù,  xat  vi  Toù  xcvvjTcxou  évépytta.  ovk 

y.Xkvì  è  Tri.  Metaph,,  XI. 

»  Idem.  Metaph.  Vili,  8. 

atto  immanente  nelle  cose  (viv??*?)  donde  poi  emerge 

il  doppio  aspetto  o  doppia  determinazione  dell'indi- 

viduo (7eveT^at  aa>wc,  7ivj(T5a£  rt):  la  parte  fiacca  di 

sua  dottrina,  invece  sta  nell'aver  posto,  com'ho  toccato, 

medesimezza  di  natura,  fra  le  due  supreme  determina- 

zioni degli  enti  nell'ordine  delle  sensate  realtà,  onde  poi 

accade  che  rimanga  difettosa  tutta  la  cosmologia.  La 

potenza  avvisata  in  sé  medesima  è  Sivafii^,  In  quanto 

fluisce  verso  l'atto  è  tvspysia.  In  quant'è  atto,  stato, 

riposo,  stasi,  è  5VT«>ex«ta.  In  quanto  poi  transigi  ad 

atto  novello  ripiglia  valore  d' Bvspyùv.,  e  così  di  seguito. 

Il  moto  (KlvYiTit:),  il  conato^  come  direbbe  il  Leiljnitz, 

il  conato  0  lo  sforzo,  come  direbbe  il  Vico,  costituisce 

l'essenza  di  tutti  questi  tennini  diversi;  in  lui  s'in- 

centrano potenza  ed  atto;*  il  perchè  formando  fra  loro 

continuità,  compongono  un  sol  ente  capace  di  passare 

attraverso  stati  o  momenti  in  sé  stessi  diversi  per  in- 

trinseca eccellenza.  La  produzione  si  fa  sempre  nella 

medesima  specie,  ed  all'  univoco.  * 

Or  se  cotest'  appunto  è  la  natura  del  passaggio, 

non  è  egli  chiaro  che  le  cose  devan  liescire  identiche 

nella  sostanza?  Non  é  chiaro  che,  ov'  elle  progrediscano, 

cotesto  lor  progresso  altro  non  sarà  che  trasformazione, 

ninno  potendo  affermare  che  trasformarsi  vai  progre- 

dire ?  E  s' é  così,  a  qual  fine  e  con  che  ragioni  mover 

critica  al  maestro,  nella  cui  dottrina  il  mondo  non  è 

che  parvenza,  fenomeno,  ombra  vaniente  e  passeggera? 

Nella  dottrina  cosmologica  aristotelica,  dunque,  il  prò- 

cessus  è  al  tutto  apparente.  Apparente  e  fallace  la  spon- 

taneità e  r  intrinseca  attuosità  delle  forze.  Né  san  Tom- 

maso ebbe  torto  d' affermare,  contro  gli  arabeggianti 

dell'età  sua  i  quali  così  appunto  interpretavano  Aristo- 

tele, che  una  forma  sostanziale  novella  mai  non  appare, 

*  "iÌTxs  \sins70n   TO   'key^Biv  slvxc    xat    ivépystav    xat    fivj 

9*  ecyae,  Metaph,,  XI. 

*  Mrtaph.  XI,  3. 

ove  la  vecchia  non  isparisca;  e  che  la  generazione, 

concepita  qual  moto  continuo  e  come  incessabile  tras- 

formazione d' un  subbietto  identico,  renda  le  forme  no- 

velle affatto  accessorie  e  accidentali.'  Se  quindi  il  genie 

possente  d'Aristotele  seppe  scorgere  e  dimostrare  una 

delle  grandi  leggi  della  realtà,  vo'  dir  la  continuità  tra 

forma  e  materia  (tò  (ruv-^sf),  la  relazione  intima  fra  la 

^uvaj^xì;  e  r  £VTf>èX5*«»  ^  P^rò  il  profoudo  concetto  della 

£V5/>7sia;  non  però  giunse  a  vedere  quell'altra  condi- 

zione, non  meno  imprescindibile  della  prima,  la  quale 

seguendo  una  vecchia  frase  pitagorica  potremmo  ap- 

pellar legge  ddV  intervallo  {StitTTviiia), 

I  medesimi  pregi  e  le  stesse  manchevolezze  nella 

sua  psicologia.  L' uomo  è  tu vo>ov  :  dunque  è  materia  e 

forma  ad  un'ora  medesima.  L'anima  intellettiva,  quindi, 

è  atto.  E  la  potenza  di  quest'atto?  È  il  senso....  La- 

sciando le  induzioni  favorevoli  che  si  potrebbero  fare 

circa  tal  dottrina  d'Aristotele  interpretando  il  concetto 

del  senso  ch'ei  chiama  generale,  si  potrebbe  domandare: 

in  che  sta  la  relazione,  e  qual'  è  mai  la  natura  del  pas- 

saggio fra' due  -termini?  Se  ci  è  continuità,  in  che  ma- 

niera il  senso  può  diventar  ragione,  l'esteso  inesteso, 

la  materia  pensiero?  Se  poi  non  v'.è  continuità  (né  ci 

può  essere  una  volta  eh'  ei  medesimo  invoca  la  mente 

dal  di  fuora^),  com'  è  che  alla  fin  fine  si  ritrovan,  por 

cosi  dire,  sovrapposte  le  tre  anime  che  sono  anch'  elle 

forma  e  materia,  atto  e  potenza? —  Trendelenburg  e 

Rosmini,  fra  gli  altri,  han  messo  a  nudo,  com'  è  noto 

•  Summay  Pars  I,  LXXXVI,  iv,  e  —  fe  bene  arvertire  come  gli  sto- 

riografi hegeliani,  imbattendosi  in  questa  dottrina  Aristotelica,  credano 

scoprir  le  Indie  e  vi  s'aggancino  tenacemente,  senz'addarsene  ch'ei  s'ag- 

ganciano, anziché  al  vero  e  genuino  Aristotele,  ad  nn  tronco  arabo  !  E'  non 

s'accorgono  come  già  da  sette  secoli  siano  stati  mlnerati  da  quel  mo- 

desto fraticello  che,  primo  e  meglio  d' ogn'  altri,  mise  a  nudo  le  maga- 

gne dell' Averroismo  ove  dimostra  Averroè  peripatetiofn  philotopJUm  de- 

pravatore Ved.  Opusc.  Contra  AverroytUy  specialmente  a  pag.  225  o  segg.  ; 

e  nella  Sommay  q.  LXXIX. 

*  Aribt.,   Or  Gerterot,  Anim.,  II,  3. 

questo  sconcio  aristotelico.  L' un  d' essi  non  capisce  in 

che  maniera  lo  Stagirita  interrompesse  la  serie  pre- 

clara, e  però  si  studia  correggerlo  facendo  che  la  mente 

in  potenza  (tw  Travra  7£vs<j5a)  pulluli  tutta  dalle  sotto- 

poste facoltà  sensate.*  L' altro  poi,  non  meno  accorta- 

mente del  primo,  reputa  impossibile  cotesta  scaturi- 

gine, attesoché  il  disprigionarsi  dell'  intelligenza  dal 

puro  senso  e  dalla  potenza,  così  com'è  intesa  dal  padre 

della  Storia  Naturale,  terrebbe  propriamente  del  mira- 

coloso.* Anche  qui,  dunque,  bisognerà  dir  che  Aristo- 

tele non  riesce  a  vedere  in  che  mai  risegga  l'intimità 

del  processo.  Laonde  se  l' attività  della  natura  per  lui 

pone  radice  nella  specie  come  forma  reale,  e  quella 

dell'anima  razionale  risiede  nella  specie  come  idea  o 

mezzo  del  conoscere  (nel  che  sta  proprio  l'originalità 

psicologica  aristotelica)^non  perciò  vennegli  fatto  d' im- 

primer compattezza  ed  omogeneità  in  quella  tela  del 

suo  maestro  che  a  lui  pareva  scucita  e  fatta  a  bran- 

delli, 0,  com'  egli  usa  dire,  composta  d'episodi  a  mo'  di 

una  cattiva  tragedia.'  Non  chiarì  acconciamente,  in- 

somma, come  nell'ordin  de' fatti  la  potenza  non  pur 

vada  innanzi  all'  atto  e  sia  l' atto  medesimo  posto  come 

potenza,  non  altrimenti  che  la  potenza  è  l'atto  me- 

desimo non  per  anche  salito  a  questo  valore;  ma,  piii 

ancora,  che  la  potenza  abbia  tale  e  cotanta  efficacia, 

che,  posta  una  volta,  per  tutta  sua  propria  virtii  debba 

transitare  all'atto  senza  l'intervento  d'altro  subbietto 

che  sia  atto.  Se  cosi  non  fosse,  che  cosa  ne  seguirebbe? 

Questo,  di  sicuro:  che  la  potenza  non  sarebbe  altri- 

menti potenza,  ma  impotenza.* 

*  Trkndelenburq,  Ar%9t,  in  III,  5,  De  Anim.f  2. 

*  Rosmini,  Àrvft.  esp.  ed  emm.  L.  III,  Gap.  XVII. 

'  Oux  ioty.in  <y  Yi  (fvmq  ènnvoSiM^Tni  oJca  ex  t«wv  ^atyof/E'v&iv 

wTTTsp   fjLO^Qripd  T/9«7w5«a.  Metaph.^  XIV. 

^  Ci  sia  qui  permessa  un'osservazione  su  la  quale  ci  rifaremo  pid 

riposatamente  in  altra  occasione.  Alcuni  fra  i  più  acuti  filosofi  aristote- 

lici del  Rinascimento,  in  ispecie  quelli  cfie  non  avevano  interesse  a  ti< 

rar  lo  Staijirlta  A'orso  il  Platonismo  come  certi  commentatori  neoplatonici 

Poiché  dunque  lo  Stagirita  non  imbroccò  giusto, 

e  sott'  ogni  riguardo,  nel  concetto  cosmologico  della  so- 

stanza, vo'  dire  nel  processo  genetico  dell'  individuo  ; 

non  poteva  neanche  coglier  netto  il  processo  psicolo- 

gico della  conoscenza,  ne  tampoco  l'altro  che  dicemmo 

istorico  e  sociologico.  Laonde  possiamo  concludere  che 

il  gran  maestro  d'Alessandro,  quant'al  problema  psico- 

logico, legò  soprattutto  alla  nostra  eredità  una  doppia 

esigenza:  V  il  concetto  del  metodo  ch'egli,  svolgendolo 

e  compiendolo,  trasse  da  Socrate  ;  2*"  il  concetto  dell'  in- 

tima attività  della  natura  in  generale.*  Col  che,  come 

vedremo,  Aristotele  meglio  che  Platone  sarebbe  l' ante- 

cedente ideale  più  legittimo  del  Vico. 

Ma,  lasciando  de'  due  massimi  filosofi  di  Grecia,  ho 

detto  che  avrebbe  tirato  le  somme  linee  d' un  compiuto 

disegno  storico  della  psicologia  chi  pigliasse  a  fecondare 

e  svolgere  que'  germi  psicologici  che  a  larga  mano  tro- 

viamo sparsi  ne'  due  massimi  filosofi  del  mondo  cri- 

stiano, Agostino  e  Tommaso.  Il  padre  de'  padri  sta  cosi 

al  dottore  de'  dottori  della  Chiesa,  come  il  filosofo  di 

Atene  a  quello  di  Stagira;  con  la  giunta  delle  neices- 

sità  cui  spignevali  '1  domma  cristiano.  Se  infatti  può 

0  tanto  meno  poi  trarlo  allo  schietto  materialismo,  come  non  dubitavano 

fare  alcuni  della  scuola  Bolo^ese  e  Padovana,  ma  si  studiavano  bensì 

d*  intenderlo  benignamente  e  correggerlo  alla  guisa  che  per  più  riguardi 

s'è  studiato  di  fare  il  Rosmini;  costoro,  dico,  s'accorsero  dove  per  av- 

ventura appiattavasi  il  tarlo  che  magagnava  la  dottrina  psicologica  del 

vecchio  maestro,  o  dissero  V  anima  intellettiva  esser  atto  bensì  della 

sensitiva,  ma,  più  che  atto,  lo  appellarono  actw  in  actu:  t6Ss  d' un  tó^j, 

direbbe  lo  stesso  Aristotile.  Dissero  l'anima  intellettiva  forma;  forma 

sostanziale  uscente  dalla  sensitiva,  identica  a  questa i  ma  insieme  dì- 

versa,  e  però  autonoma  e  indipendente.  Col  che,  mi  pare,  avrebbero  at- 

tinto il  vero  concetto  della  genesi  psicologica,  ove  alla  generazione  ari- 

stotelica avesser  sostituito  un'altra  legge  superiore  alla  prima,  della  quale 

parleremo  appresso.  So  che  ad  altri  parrà  indovinello  questo  actwi  in  actu  : 

ma  allora  non  sarà  meno  indovinello  la  suddetta  frase  del  medesimo  Ari- 

stotele, e  r  altra  petuiero  de\  pernierò;  quella  dolio  Schelling  e  di  Platone, 

idea  deW  idea;  quella  di  Hegel, /omia  ddla  forma;  quella  di  Fichte,  fo 

delV  Io;  quella  del  Gioberti  e  del  Cusano,  moto  del  motOf  e  via  discorrendo. 

*  KARTUt*,  De  la  Pittfcoìntfie  dWrittt,,  p.  11*2.  —  C.  Wa Din VGTOS,  P*y- 

co/.  d'^Arint.  Conclus. 

direi,  come  s' è  mostrato,  che  i  due  filosofi  greci  furon 

primi  a  chiarire,  da  una  parte,  la  necessità  di  due  op- 

posti elementi  psicologici  in  un  tutto  (esigenza  psico- 

logica platonica),  e,  dall'altra,  la  necessità  d'un  intimo 

annodamento  de' medesimi  in  una  compiuta  unità  (esi* 

genza  aristotelica);  con  pari  sicurezza  può  affermarsi 

che  al  medesimo  segno  volsero  gli  occhi  i  due  filosofi 

cristiani.  L'  Aquinate,  di  più,  si  propone  di  rinvenire 

in  tale  dottrina  un  accordo,  e  fino  a  certo  segno  vi 

riesce,  non  pur  fra'  due  greci  filosofi,  ma  eziandio  fra 

sé  medesimo  e  '1  suo  maestro  africano,  tanto  eh'  egli 

stesso  talvolta  s'accorge  di  tirarlo  più  del  dovere  ai 

propri  pensamenti,  come  del  resto  incontra  ad  ogni 

critico  che  senta  di  poter  fare  da  sé  anco  quand'  abbia 

le  mani  nella  pasta  altrui. 

Qual  era  infatti  l'esigenza  cristiana  di  fronte  alla 

filosofia  greca  rispetto  al  problema  psicologico?  Era 

la  necessità  di  porre  un  fondamento  razionale  non  solo 

a  que'  dommi  che  come  lor  precipua  condizione  doman- 

dano il  concetto  dell'  anima  nel  senso  di  natura  indivi- 

duale piena,  concreta,  vivente  e  cosciente;  ma  eziandio 

a  quegli  altri  pronunziati  cristiani  che  la  natura  del- 

l' uomo  deggion  supporre  spirituale  in  sé,  ed  immor- 

tale. Or  bene,  i  due  filosofi  cristiani,  non  senza  profonda 

ragione  e  necessità,  si  studiaron  per  l'appunto  di  ri- 

trarre, ciascuno  dal  proprio  maestro,  il  vero  che  i  due 

greci  filosofi  racchiudevano,  e  che  soccorreva  pur  tanto 

a  viepiù  legittimare  i  diversi  insegnamenti  dommatici 

della  fede.  Così  avvenne  che  Agostino,  badando  più 

che  altro  a  rassodar  que'  dommi  che  ove  l' anima  non 

fosse  di  natura  spirituale  e  dal  corpo  indipendente 

parrebbero  più  che  misteriosi  e  inintelligibili,  teneva 

l'occhio  al  concetto  platonico:  in  mentre  che  l' Aqui- 

nate, procacciando  ritrovar  salde  basi  ai  dommi  che 

segnatamente  importano  il  concetto  d'una  compiuta 

individualità  e  personalità  umana,  guardava  al  con- 

cetto aristotelico.  A  questa  maniera  (juelle  menti  pri- 

vDegiate,  traendo  profitto  dalla  speculazione  greca,  si 

pensavano  d'  accordar  le  necessità  della  fede  co'  bisogni 

della  ragione,  levando  così  ogni  dissidio  fra  le  leggi 

psicologiche,  e^i  fatti  d'ordine  superiore. 

Se  non  che  co'  pregi  essi  redavan  prure  i  difetti  dei 

loro  maestri.  Difetto  in  Agostino,  checché  ne  dicano  al- 

cuni francesi,  è  quel  medesimo  che  abbiam  riscontrato  nel 

filosofo  ateniese  ;  la  mancanza  di  processo.*  Col  che  non 

dico  già  che  non  iscorgesse  anch'  egli  uno  svolgimento 

nelle  diverse  funzioni  psicologiche,  essendo  noti  que'  sette 

gradi  attraverso  cui  l' Ipponese  vedeva  esplicai'si  l' ani- 

ma,' nel  che  si  vantaggia  non  poco  sul  suo  maestro.  Dico 

bensì  che  sifi^atto  processo  in  lui,  non  meno  che  nel  suo 

maestro,  si  palesa  incompiuto  e  quasi  inorganico,  non 

avend'egli  scorto  intimità  di  sorta  fra'l  senso  e  la  ragione, 

ponendovi  anzi  intervallo  infinito  alla  maniera  per  l' ap- 

punto di  Platone.  In  altre  parole  :  il  processo  per  lui  ha 

luogo  solamente  nel  mondo  intellettivo,  e  non  anche  nel 

sensato;  sì  che  giugne  a  parlare,  come  oggi  il  Rosmini, 

d' un  senso  intellettuale,  E  tanta  efficacia  spiegava  agli 

occhi  suoi  la  virtii  deduttiva  e  sì  netta  parevagli  l'in- 

.  dipendenza  della  psicologia  dalla  biologia,  che  il  sentire 

per  lui  è  anche  un  intendere,  al  modo  istesso  che  l' in- 

tendere è  anche  sentire,  comecché  nulla  non  ci  abbia 

che  vedere  col  senso  veramente  detto.'  Così  il  sensato 

*  Al  nostro  assunto  non  importa  vedere  qua' dialoghi  di  Platone  co- 

noscesse il  filosofo  d'Ippona.  E  neanche  cMm porta  stabilire  s*  ei  sia  se- 

guace de*  Neoplatonici  meglio  che  de' Platonici,  come  vuole  il  Nourisson 

[Phil,  deSt.  AugtutHny  Paris  1865,  voi.  IT,  pag.  101),  ovvero  degli  Ales- 

sandrini, segnatamente  di  Plotino,  come  crede  aver  dimostrato  II  Bonl- 

liet  col  confronto  de'  testi  {Trad.  des  Ennéadea,  Tom.  II).  Noi  ci  acco- 

stiamo alla  sentenza  del  Saisset,  il  quale  ha  mostrato  che  Agostino  co- 

nobbe assai  bene  il  filosofo  Ateniese  (Trad.  de  la  Citi  de  Dmw,  Introd., 

pag.  XLI).  Conobbe  il  Timeo:  e  tanto  bastava  a  queir  ingegno  potente 

e  fecondo  per  cogliere  l'intero  disegno  del  Platonismo.  Del  resto,  par- 

lando di  Agostino  rispetto  a  Platone,  più  che  della  filosofia  e  delle  teo- 

riche, noi  intendiamo  parlare  d' indirizzo  generale,  nel  quale  convengono 

Platonici,  Neoplatonici,  Alessandrini  e,  non  meno  di  questi,  sant'Agostino, 

*  Agost.,  De  quaiuU.  Anim.,  pag,  77,  ed.  Mignc. 

»  Idem,  eod,,  XL. 

per  Agostino  è  quello  che  per  Platone:  passione  del 

corpo  come  corpo  (non  del  corpo  animato)  confuso 

perciò  con  l'impressione  eh' è  affezione  al  tutto  fisio- 

logica: donde  poi  nella  presenzialità,  come  Platone, 

fa  egli  risiedere  1'  attinenza  fra  l' anima  e  '1  corpo.* 

Sennonché  il  filosofo  cristiano  si  vantaggia  sul  greco 

quant'  al  concetto  stesso  dell'  anima  razionale.  Si  van- 

taggia non  solo  perchè  col  modificare  profondamente 

la  dottrina  della  reminiscenza,  mondandola  un  po'  dal- 

l' invogha  mitica,  ebbe  cura  di  sostituirvi  l' intuizione 

onde  la  mente  vien  capace  di  cogliere,  nuUa  interpo- 

sita  creatura,  il  lume  dell'  etema  ragione  qual  puro 

lume,  o  intelligibilità  pura;'  ma,  piii  ancora,  se  '1 

lascia  dietro  assai  lungo  spazio  mercè  il  concetto  d' un 

atto  intellettivo  posto  come  originario,  radicale,  au- 

tonomo, il  quale,  costituendo  T  assenza  stessa  del  pen- 

siero (mens),  è  capace  di  comporre  una  triplicità  nel- 

r  unità  della  conoscenza.  Quest'  unotrino  psicologico, 

meglio  che  inerenza  d'un  soggetto,  è  anzi  egli  me- 

desimo un  soggetto,  è  il  soggetto.'  Dove  così  non  fosse, 

e  l'anima  non  avesse  notizia  primigenia  di  se  stessa, 

come  potrebb'  ella  conoscer  le  cose,  posto  che  a  cono- 

scer le  cose  condizione  imprescindibile  è  conoscere  in- 

nanzi tutto  sé  medesima?  Or  cotesta  coscienza  ori- 

ginaria, netta,  spiccata,  autonoma,  è  per  appunto  la 

grande  novità  ónde  l' ardente  africano  vola  sopra  tutt'  i 

filosofi  cristiani  del  medio-evo,  e  della  quale  il  Rosmini 

si  è  celatamente  servito  nella  parte  originale  della  sua 

teorica  su  la  conoscenza.  Qui  davvero  Agostino  si  pre- 

senta quale  antecedente  del  postulato  cartesiano,*  ne'  li- 

miti che  altrove  accennammo  (pag.  175).  Ma  è  da  con- 

*  RiTTER,  Hùt,  de  la  PhU.  ChreU,  voi.  II. 

«  De  Trinit.  XII.  —  Conf^,,  Vili. 

*  Vedi  le  belle  rifleesioni  del  Bonghi  a  questo  proposito  nella  Storia 

del  concetto  ddV  anima  ec,  e  del  Rosmini  neir  opera  Deìle  «entenite  de*  Fi- 

losofi intomo  alla  natura  ddl*  anima,  p.  101. 

*  Yed.  segnatamente  Dr  Civit.  Dei,  lib.  XI,  cap.  26.  —  De  Lih.  Arh. 

lib.  II,  cap.  a. 

fessare  che,  per  benigni  che  fossero  stati  e  sieno  gì'  in- 

terpreti, specialmente  i  Francesi,  che  in  questi  ultimi 

anni  presero  a  chiarire  la  psicologia  del  vescovo  di 

Ipponà,  la  fimzione  del  senso  pel  gran  padre  della 

Chiesa  resta  fuori  il  circolo  della  ragione.  Veniamo  al 

D' Aquino. 

 

Checché  ne  abbia  detto  il  Gioberti,  san  Tommaso  è 

perfettamente  aristotelico,  massime  nella  dottrina  psico- 

logica, ma  senza  esser  seguace,  a  parlar  proprio,  del- 

l'indirizzo  iperpsicologico,  e  tanto  meno  dell'indirizzo 

empirico  dell'Aristotelismo.  Egli  chiarisce,  anzi  cor- 

regge la  confusa  ed  ambigua  dottrina  aristotelica  su 

r  intelletto  agente  e  su  T  intelletto  possibile,  non  sa- 

pendo scorgere  fra  il  primo  e  '1  secondo  una  distinzione 

essenziale;  col  che  abbatte  d'un  colpo  quelle  estreme 

e  contrarie  tendenze  aristoteliche,  l'una  delle  quaH  pone 

troppo  al  di  là  e  al  di  sopra  di  noi  l'intelligenza, 

mentre  l'altra,  ponendolo  troppo  al  di  sotto,  lo  iden- 

tifica con  l'intelletto  possibile.*  L'anima  per  lui  è  atto 

del  corpo;  e  così  accetta  pienamente  la  definizione 

dello  Stagirita,  com'egli  medesimo  confessa:  ed  è  al- 

tresì peripatetico  perfetto  ove  dichiara,  l'uomo,  an- 

ziché spirito  0  corpo,  esser  ?uno  e  l'altro  insieme- 

mente.*  Però  si  può  dire  che  il  Tomismo  correggesse 

la  dottrina  peripatetica  su  la  sovrapposizione  delle  tre 

anime  non  già  che  perpetuasse  tale  errore,  com'  è  stato 

detto  da  alcuni  storici.'  L'anima  per  l'Aquinate  non 

sente  perchè  razionale,  com'  é  per  Agostino;  sente  per- 

chè é  anche  corpo  e  organismo.  Intendere  perciò  non 

 

 

*  Summ,,  q.  LXXIX.  Sicut  in  omnia  riatura,  ita  et  in  anima  ett  ali' 

quid,  quod  est  omnia  fitri,  et  (diquid  quod  est  omnia  facete,  E  parlando 

delle  due  forme  d*  intelletto,  avverte  che  nec  tamen  eeqtiitur  quod  eit  du- 

plex intelligere  in  homine;  quia  ad  unum  inteUigere  oportet  utraque  ista- 

rum  nctionum  eoneurrere.  (Quceet.y  DispìU,  q.  de  An.  art.  4.)  Vedi  anche 

gli  Opusc.  DdV  Intelletto  e  ddV  Intelligibile,  volgarizzati  dal  Rossi,  0pu9e 

^Uoeofici  $celti  ec,  Firenze,  Le  Monnier  1864,  pag.  421  e  segg. 

*  Snmm.,  Par.  l,  LXXV,  LXXVI,  art.  1. 

'  JouRDAiN,  La  Phil.  de  S.   Tfiom.   D'Aquin,  tomo  I,  cap.  V. 

vai  sentire  anche  come  intendere,  ma  è  puro  intendere: 

così  che  s' egli  è  sentire,  è  tale  innanzi  tutto  perchè  è 

corpo.  L' anima  razionale  dunque  vien  su  dalla  potenza  : 

e  la  potenza  è  materia.'  È  egli  materialismo  cotesto? 

No,  certo.  Se  l'anima  è  atto  del  corpo,  non  vuol  dir 

già  eh'  ella  sia  rispetto  all'  organismo,  come  1'  eflFetto 

alla  sua  cagione.  Vuol  dire  bensì  che  il  corpo  non  è 

puro  corpo.  Vuol  dire  che  la  potenza  non  è  pura  ed 

inerte  potenza,  come  vedemmo  richiedere  uno  de'  due 

indirizzi  del  suo  maestro  Stagirita.  Vuol  dire,  in  somma, 

che,  in  quanto  potenza,  ella  è  forma  iniziale,  forma  in- 

coata,  ma  forma.* 

Di  che  si  vede  come  V  Angelo  delle  scuole,  pur 

tenendosi  fedele  alle  orme  aristoteliche,  non  sia  né 

realista  schietto,  né  tampoco  nominalista,  ma  piuttosto 

tragga  al  concettuahsmo  ben  inteso  :  nel  qual  metodo, 

come  toccammo,  egli  era  stato  prevenuto  già,  per  non 

parlare  di  Teofrasto  e  Temistio,  dal  più  fecondo  de' greci 

commentatori,  Alessandro  Afrodisio,  come  quegli  che 

innanzi  ogn'  altri  ebbe  ad  appellar  l' anima  non  solo 

atto  e  perfezionamento  del  corpo  (T£>f  cor*»;),  ma  anche 

potenza  del  corpo  (d^jv^im  tow  jw/xaro;).'  E  nello  stesso 

metodo  fu  poscia  ormeggiato  da  parecchi  filosoh  del 

Rinascimento  :  da  quelli  segnatamente  che  tra  V  anima 

e  '1  corpo  introdussero  un'  attinenza  di  causalità  reci- 

proca, stante  clie  la  natura  partorisca  la  forma  in  quanto 

é  potenza  anch'  ella,  ma  potenza  attuosa  ;  e  la  forma 

(juinci  rigeneri  e  ravvivi  la  materia  in  quanto  la  compie. 

Se  non  che  il  Tomismo,  scordando  spesso  l'ottimo 

indirizzo  d'Aristotele,  tìgge  gli  occhi  nella  materia,  e 

in  questa  presume  riporre  talora  la  ragione  e  '1  principio 

dell'  individualità.  Errore  del  quale  secondo  alcuni  sto- 

rici tornerà  sempre  vano  il  voler  difendere  il  dottore 

Angelico,  quando  si  consideri  che  la  materia,  perchè  si 

'  Idem,  eoci.,  XG:  educitur  e  potentia  imtterice. 

*  Ib.,  LXXVI. 

*  Ved.  ueirOp.  cit.  del  RAyAiSHUN,  T.  II,  p.  296  e  sogg. 

porga  qual  principio  d'individuazione,  ha  pur  bisogno 

d'esser  determinata,  suggellata,  segnata:  or  da  che  cosa 

mai  può  esser  ella  improntata  sadvo  che  dalla  forma? 

ciò  che  formava  appunto  il  nòcciolo  della  opposizione 

degli  Scotisti.*  Del  buon  indirizzo  aristotelico  inoltre  si 

dimentica  san  Tommaso  dove,  rasentando  l'aristote- 

lismo emJ)irico,  si  mostra  così  titubante  su  la  verace 

natura  del  senso,  che  la  potenza  per  lui  non  è  così 

piena  e  così  feconda  come  pur  domanderebbe  la  pro- 

duzione dell'atto;  e  quindi  sente  necessità  di  chieder 

sussidio  a  un  lume  piovutoci  addosso  non  sai  dir  come 

*  Io  qui  non  intendo  propugnare  la  teorica  sa  T  indìvidnazione  di 

san  Tommaso.  Son  anch'  io  del  parere  che  gli  Scotistl  non  aressero  poi 

tatt*  i  torti  neir  opporrisi,  perchè  davvero  non  mancano  sentenze  nel 

Tomismo  che  debbano  andar  soggette  ad  una  critica  severa.  Ma  fa  me- 

raviglia il  pensare  come  non  tutti  che  ne  han  parlato  siansi  dati  cura 

d' interpretare  con  benignità  siffatta  dottrina;  e  più  meraviglia  il  ve- 

dere come  r  abbian  trattata  male  anco  i  più  versati  nella  filosofia  sco- 

lastica e  nello  studio  deir  Àquinate,  qual*  ò,  per  esempio,  lo  Jourdain 

che  tanto  nel  1®  quanto  nel  2*  voi.  dell*  opera  poco  fa  citata,  si  mette 

a  sfatar  V  Angelico  in  modo  poco  serio  per  le  contraddizioni  nelle  quali 

secondo  lui,  cade  1*  autore  della  Somma,  e  per  V  inanUà  con  che  tratta 

siffatta  questione.  Si  dice  e  si  scrive  che  il  principio  d*  itulividwuione 

per  TAquinate  stia  nella  materia;  e  se  davvero  fosse  così,  non  s*  avrebbe 

torto  a  dargliene  biasimo.  Ha,  a  voler  interpretare  con  dirittura  di  giu- 

dizio la  dottrina  tomistica,  non  è  proprio  e  sempre  la  materia  quella 

in  cui  è  da  riporsi  tal  principio,  slbbene  ciò  che  in  un  ente  ha  ragione 

di  primo  subbietto.  Ecco  le  parole  deirAquinate:  Ulud  qntodtenet  ratio- 

nem  primi  tubieeti,  est  oausa  individuationie  et  divieionin  tpeciei  in  eup- 

poeitis.  E  qual'  è  questo  primo  «ubbietto  t  Est  id  quod  in  alio  recipi  non 

potesL  Or  le  forme  separate,  per  ciò  che  non  ponno  esser  ricevute  in 

altro,  hanno  ragion  di  primo  subbietto;  però  s'individuano;  e  però  In 

et«  tot  »unt  epeeies,  quot  eunt  individua,  (Ved.  De  nat.  materia,  e  8.)  Or 

la  materia  è  ella  principio  di  distinzione?  Si,  certo:  ma  in  quanto  e  sin 

dove  ha  funzione  di  primo  subbietto.  Nella  dottrina  tomistica,  dunque, 

il  principio  d' individuazione  non  sarebbe  nò  la  forma  né  la  materia,  ma 

or  l'una  or  l'altra  secondo  che  quella  o  questa  esercita  funzione  di 

primo  subbietto.  So  che  i  dubbi  non  per  questo  si  diradano,  né  gli  op- 

positori cessano.  Ma  io,  ripeto,  non  difendo  in  tutto  tal  dottrina,  sib- 

bene  chiarisco  la  interpretazione  da  darsene,  e  la  critica  da  fame.  —  Vedi 

in  proposito  le  lettere  dell'  egregrio  Aless.  Bbrntazzoli  assai  dotto  nella 

filosofia  di  san  Tommaso:  Di  un  ulteriore  e  definitivo  esplicamenio  ddla 

FlIoHofin  /tcnlasttra  ec,  Bolo^'na,  ISCl. 

né  perchè,*  invocando  così  un  atto  immediato  di 

creazione.  Se  l'anima  è  forma,  atto  puro,  potrebbe 

esser  generata  dal  corpo?  Non  potrebbe,  risponderà 

Tommaso:  ciò  eh'  è  immateriale  è  impossibile  che  ram- 

polli per  via  di  generazione  ;  la  quale  non  è  altro,  a  dir 

proprio,  che  trasformazione.  Ma  potrebb'  esser  fatta 

della  sostanza  divina?  Tanto  meno;  perchè  questa  non 

è  che  un  atto  purissimo.'  Eccotelo  dunque  anche  lui 

all'  intervento  del  solito  DetAS  ex  machina;  alla  neces- 

sità d' un  atto  peculiare  di  creazione  ex  niMlo,  Or  non 

vi  sarebb'egli  altra  via  al  nascimento  dell'anima  fuori 

di  queste  due,  generazione  o  creazione  estranea  e  divi- 

na? —  CJom'è  evidente  l'A.  della  Somma  (non  altrimenti 

che  l'A.  della  OUtà  di  Dio  risguardo  a  Platone)  eredita, 

co'  grandi  pregi,  anch' i  difetti  della  dottrina  aristotelica. 

Il  concetto  della  individuahtà  è  concetto  capitale 

nella  storia  della  psicologia.  È  propriamente  la  radice 

prima  onde  pullula,  chi  ben  guardi,  tutto  il  pensiero 

moderno  filosofico,  politico,  religioso.  La  teorica  della 

individuazione,  perciò,  è  l' addentellato  più  acconcio  per 

cui,  nella  storia  delle  soluzioni  riguardanti  il  problema 

psicologico,  il  medioevo,  segnatamente  il  Tomismo,  si 

congiugne  con  l' età  e  co'  filosofi  del  Rinascimento.  Non 

ostante  i  pregi  e  i  meriti  grandi  che  l'Aquinate  può 

vantare  verso  l'Aristotelismo  e  più  verso  il  Platonismo, 

la  sua  dottrina  doveva  esser  corretta  mostrando  che  il 

principio  d' individuazione  non  istà,  a  dir  proprio,  nella 

forma,  né  tampoco  nella  materia,  ovvero  nell'una  o 

nell'altra  secondo  la  ragione  del  primo  suòbietto.  Meglio 

ponendo  il  problema  psicologico  si  dovea  mostrare  che 

1'  anima  è  individuale  non  perchè  informi  una  materia, 

ma  sì  perchè,  materia  ella  medesima,  diventa  forma; 

perchè  l' anima  si  fa  coscienza;  perchè  la  coscienza  em- 

pirica attinge  valore  d'autocoscienza  e  di  libero  pen- 

*  Summa,  !•  2»,  CXI,  art.  2:  impre9no  divini  luminii  in  noòw,  re- 

fidgentia  divincB  cIoritoiM  in  anima, 

•  Summa,  P.  I.  LV,  v;  XC,  ii. 

siero,  nel  cui  regno  non  v'  ha  materia  e  organismo  che 

lo  spirito  non  vinca  e  sorpassi,  né  fantasma  o  imma- 

gine eh'  ei  non  superi  e  sottoponga  a  sé  stesso. 

Ora  produrre,  o  almeno  compiere  cotal  dimostrazione 

in  maniera  positiva  ponendola  sotto  novelli  punti  di 

luce,  non  era  possibile  senz'  il  concetto  della  storicità, 

essendoché  appunto  in  seno  alla  specie,  in  seno  al  co- 

mune e  alla  moltiplicità  appaia  e  si  determini  e  spicchi 

vie  più  la  nota  della  differenza,  tuttoché  cotal  differenza 

germogli  nelP  individuo,  e  sempre  per  natia  virtù  del- 

l' individuo.  A  tal'  opera  spiegarono  grand'  efficacia  in- 

nanzi tutto  i  nostri  filosofi  del  Risorgimento.  Altrove 

mostreremo  come  in  tal'  epoca  si  riproduca  il  medesimo 

triplice  indirizzo  della  scolastica,  ma  con  esigenza  ben 

diversa,  perché  la  storia  è  tale  artefice  che  mai  non 

ricopia  sé  stessa.  Qui  notiamo  solamente  che  nel  me- 

dioevo le  tre  tendenze  aristoteliche,  le  quali  abbiamo 

appellato  iperpsicólogica,  empirica  e  media,  riproducono 

nel  Risorgimento  l'esigenza  del  Realismo,  del  Nomi- 

nalismo e  del  Concettualismo,  ma  trasformandola.  Se 

per  queste  tre  scuole  la  ricerca  filosofica  versava  su 

la  natura  dell'  universale  dapprima,  e  poi,  massime  con 

r  Aquinate,  su  la  natura  del  medesimo  universale  ma 

in  relazione  col  particolare  (principio  d' individuazione)  ; 

per  i  filosofi  del  Rinascimento,  in  vece,  ella  risguardava  in 

modo  precfpuo  la  natura  intellettiva  dell'anima,  nonché 

il  rapporto  fra  il  pensiero  e  l'organismo.  Essi  modifi- 

cano profondamente  tanto  il  Platonismo  quanto  l' Ari- 

stotelismo; così  che  alcuni,  specie  quelli  che  rappre- 

sentano r  indirizzo  medio ,  non  intendono  ristringere 

l'intelletto  nel  puro  senso,  ma  lo  allargano  si  che, 'ri- 

collegando il  problema  psicologico  al  problema  cosmo- 

logico, si  sforzano  di  rannodar  l'anima  in  quanto  in- 

telligente con  la  natura  in  quanto  intelligibile.* 

*  Noi  avremmo  buono  in  mano  a  dimostrare,  se  qai  fosse  luogo,  che 

r  indirizzo  medio  aristotelico  nel  Rinascimento  fa  rappresentato,  sebbene 

in  maniera  incerta  e  assai  confusa  come  portava  il  carattere  di  quel- 

Il  Rinascimento  apparecchiava  la  moderna  psicolo- 

gia, ma  non  la  costituiva.  E  non  la  costituiva  perchè 

il  problema  psicologico  non  può  ricevere  acconcia  solu- 

zione quando  sia  troppo  confinato  nelle  pure  indagini 

psicologiche.  V'era,  per  esempio,  chi  studiavasi  di  pro- 

*  vare  V  immortalità  dello  spirito  e  chiarire  le  ragioni  e 

i  modi  ond'  il  pensiero  nel  suo  operare  s'  addimostra 

indipendente  dal  corpo.  E  v'  era  poi  chi  facevasi  ad  in- 

vocare il  sussidio  de' soliti  influssi  divini  come  fanno 

anc'oggi,  a  tre  e  quattro  secoli  di  distanza,  i  nostri 

neoplatonici.  Or  io  non  dirò  che  il  problema  su'  destini 

dello  spirito  possa  esser  risoluto  così  facilmente  quan- 

t' altri  s' immagina.  Dirò  che  alla  psicologia  potrà 

dirivare  qualche  sprazzo  di  luce  non  già  mostrando 

(inutile  tentativo!)  che  l'anima  sia  indipendente  dal 

corpo,  ovvero  che  Dio  faccia  piovere  il  suo  influsso  su 

r  intelletto  arzigogolando  in  che  guisa  lo  irraggi,  lo  il- 

^  lumini  e  lo  riscaldi;  ma  procedendo  per  altra  via;  pro- 

cedendo per  una  via  men  soggetta  alle  angustie  del- 

l'empirismo,  0  meno  aperta  alle  facili  speculazioni 

dell' a  priorismo.  Se  Dio  influisce,  comunque  si  voglia, 

su  l'anima,  altro  ei  non  potrà  fare  che  modificarne 

l'operazione:  cangiarne  la  natura  non  può  davvero. 

Che  se,  d' altra  parte,  si  giugno  a  dimostrare  l' indi- 

pendenza dal  corpo,  non  per  questo  s' avrà  dimostrato 

ch'ella  sia  proprio  immortale,  se  pure  non  vogliamo 

r  età,  da  parecchi  filosofi  ;  fra'  quali  notiamo  il  Contarini,  il  Porzio,  lo 

Zabarella,  il  Gaetano  (De  Vio),  il  De  Spina,  lo  Scaino  fra  gì'  interpreti, 

0  anche  il  Sessano.  Il  quale,  nella  forma  ultima  da  lui  data  alla  dottrina 

8U  r  anima,  si  può  dire  che  si  rannodi  col  D'Aquino  e  perciò  anche  con 

TAfrodisio;  onde  il  Bonghi  ha  detto  benissimo  affermando  che,  nell' in- 

terpretare Aristotile,  il  Sessano  segue  appunto  il  commontatore  greco 

{Meta/,  rf'Arwt.,  Leti,  ed  Roam.  p.  XIII).  Questi  ed  altri  vecchi  nostri  filo- 

sofi andrebbero  studiati,  interpretati,  e  naturalmente  anche  corretti  se- 

condo il  criterio  che  abbiamo  appellajto  medio.  Specialmente  andrebbe 

studiato  il  povero  Nìfo  cosi  malconcio  e  sfatato  dal  nostro  collega  Fio- 

rentino: al  quale  il  Franck,  del  resto,  ha  saputo  dire  che  il  Sessano  non 

pure  fu  il  piò,  Maggio  metafisico  del  suo  tempo,  ma,  più  ancora,  che  il 

Pomponazzi  trovò  appunto  nel  Nifo  un  contraddittore  imbarazzante,  e 

d'una  grande  autorità.  — (Joum,  dee  Sav.  Magg.  1869.) 

acconciarci  alla  celebre  quanto  inutile  distinzione  del 

Pomponazzi  dell'Io  fisico  e  dell'Io  intellettivo,  e  del- 

l' anima  propriamente  mortale  e  impropriamente  im- 

mortale! Al  pili  potremmo  giugnere  a  dir  questo;  che 

r  anima  non  finisca  così  come  finisce  il  corpo,  cioè 

disgregandosi  e  trasformandosL.  Ma  cotesta  soluzione 

non  è  affatto  negativa? 

Tutt' insieme  dunque  la  speculazione  del  Rinasci- 

mento, per  quanto  riguarda  il  problema  psicologico,  era 

piuttosto  negazione  anziché  affermazione  :  negazione  del 

medioevo,  e  apparecchio  a  novelle  affermazioni.  Nean- 

che il  Pomponaccio,  il  più  schietto  seguace  dell'  indi- 

rizzo aristoteUco  naturale^  potrebb' esser  detto  materia- 

lista nello  stretto  senso  della  parola.  Il  significato  vero 

del  suo  libro  su  la  immortalità,  diciamolo  di  passata,  è 

quello  di  porre  sott'  occhio,  da  una  parte,  le  magagne 

delle  viete  dimostrazioni  su  la  natura,  e  sul  fine  e  su 

r  origine  dell'  anima;  e  manifestare,  dall'  altra,  il  bi- 

sogno di  prove  più  salde,  e  però  la  necessità  in  cui 

trovavasi  il  pensiero  filosofico  di  tentare  ben  altre  so- 

luzioni, e  schiudersi  altre  vie.  Qual'  era  una  di  queste 

vie?  La  durata  dello  spirito,  come  personalità,  doveva 

esser  indagata  nella  medesima  essenza  e  costituzione 

intima  del  pensiero.  £  a  tal  fine  che  cos'  era  neces- 

sario? Era  necessario  lo  studio  del  processo  isterico; 

appunto  perchè  l'intima  costituzione  del  pensiero  si 

rivela  da  sé  medesima  nello  svolgimento  della  vita 

dello  spirito;  e  la  vita  dello  spirito  è  appunto  la  storia. 

In  altre  parole  :  era  necessario  vedere  per  via  di  fatto, 

cioè  col  processo  storico,  come  l' essenza  dello  spirito 

risegga  tutta  nelP esser  egli  un  conato,  un'attività  pro- 

fonda che  sempre  più  si  estrica  da'  viluppi  di  natura  e 

di  sé  stesso;  che  sempre  più  si  determina  in  sé,  e  si 

compenetra  con  la  natura  e  con  sé  medesimo  ;  e  come 

per  siffatta  qualità  egli  sia  capace  di  trascender  la 

natura,  di  sorpassare  l'organismo,  di  superare  anche 

sé  medesimo,  pur  rimanendo  sempre  una  personalità. 

Ed  eccoci  pervenuti  alia  conclusione  dove  in  questo 

capitolo  desideravamo  giugnere,  e  per  la  quale  abbiam 

dovuto  fare  sì  lungo  giro  da  risalire  fino  alla  doppia 

sorgente  storica  del  concetto  psicologico.  Se  per  più  e 

diverse  ragioni  ne  il  Platonismo  né  l'Aristotelismo  pri- 

mitivi non  pervennero,  in  generale,  a  determinare  il  vero 

concetto  dello  spirito  quantunque  ne  apparecchiassero 

gli  elementi  da  secoli  molti,  il  che  non  è  poco  ;  se  i  due 

massimi  rappresentanti  della  filosofia  cristiana,  tuttoché 

introducessero  due  nuovi  concetti  in  siffatta  questione, 

non  però  giunsero  a  salvarsi  da  incongruenze  manifeste  ; 

se,  da  ultimo,  cop  lo  sdoppiarsi  dell'Aristotelismo  nel 

Risorgimento  fu  messa  a  nudo  la  fallacia  delle  vec- 

chie posizioni,  l'insufficienza  d'im  argomentare  fiacco 

e  barcollante  esprimendoci  così  l'esigenza  di  prove 

novelle  in  siffatte  indagini:  è  chiaro  come  all'uscire 

del  medio  evo  importasse  rannodare  i  quattro  concetti 

attorno  a'  quali  vennero  travagliandosi  per  sì  lunghi 

secoli  co'  lor  proseliti  i  quattro  filosofi  cui  siamo  venuti 

accennando,  correggerli,  esplicarli,  compierli,  e  statuire 

una  dottrina  positiva  circa  la  genesi  psicologica.  In 

altre  parole:  importava  accettar  l'esigenza  psicologica 

platonica  risguardante  il  connubio  del  doppio  mondo 

sensato  e  razionale:  ma  occorreva  anche  correggerlo 

mercé  il  concetto  della  triplicità  intima,  originaria  cui 

poggiò,  primo  fra  tut^i.  Agostino.  Importava  altresì  ac- 

cettar r  esigenza  aristotelica  del  processo  psicologico,  e 

nel  medesimo  tempo  modificare  profondamente  e  trarre 

a  maggior  compimento  il  concetto  della  generazione 

psichica  dello  Stagirita  mercè  il  concetto  di  creazione; 

il  che  tentò  fare,  e  lo  fece  da  par  suo,  l' Aquinate  :  ma 

più  ancora  importava  correggere  il  concetto  creativo 

de' Tomisti  e  de' filosofi  cristiani,  in  generale,  cancel- 

lando in  esso  queir  immediatezza  divina  eh'  è  un  dato  di 

fede  anziché  di  ragione,  avvisandolo  invece  com'  essenzial 

condizione  dello  spirito.  Questo,  possiamo  dire,  si  stu- 

diaron  di  fare  tutt'  insieme  parecchi  filosofi  italiani  de| 

Rinascimento,  o  per  lo  meno  ne  sentivano  la  necessità.  ^ 

Nessuno  vi  riesci  compiutamente,  per  la  ragione  qua  ^ 

dietro  accennata,  d'  aver  voluto  ristringer  tale  ricerca  ^^ 

negli  angusti  confini  della  psicologia.  Ad  essi  mancava 

un  altro  grande  concetto.  Mancava  un'altra  posizione, 

per  cui  si  distingue  infinitamente  il  Rinascimento  dal 

tempo  moderno.  Mancava  l'esigenza  di  riguardare  il 

pensiero  innanzi  tutto  come  genesi  psicologica,  e  questa 

genesi  psicologica  poi  considerare  qual  fondamento  im- 

mediato della  genesi  storica.  Però  non  è  da  meravi- 

gliare se  alla  scuola  de'  nostri  politici  facesse  difetto 

la  vera  nozione  del  diritto  sopra  cui  si  puntella  uni- 

camente la  scienza  politica,  nonché  il  concetto  vero 

della  individualità,  senza  cui  non  può  sorgere  né  per- 

petuarsi lo  Stato  libero.  Né  fa  meraviglia  se  i  teologi 

assorbissero  il  gius  nella  morale,  e  se  una  riforma  re- 

ligiosa allora  non  potesse  fra  noi  essere  effettuata  nel- 

r  ordine  civile,  comecché  fosse  già  in  gran  parte  pe- 

netrata nella  mente  de'  nostri  filosofi. 

Mostrammo  come  il  Vico  si  colleghi  col  Cartesiani- 

smo; e  dicemmo  che  co'  nostri  filosofi  del  Risorgimento 

ei  si  congiugne  logicamente,  più  che  per  le  quistioni 

metafisiche,  per  la  ricerca  psicologica.  In  lui  si  compie 

la  posizione  cartesiana,  e  si  riproducono  e  ringiovani- 

scono i  vecchi  principii  improntati  del  sentimento  della 

viva  realtà.  Vi  é  dunque  un'  attinenza  ideale,  vi  é  un 

legame  logico  tra  la  posizione  del  Vico,  della  Scienza 

Nuova,  e  quella  de' filosofi  del  Risorgimento.  Alla  ri- 

cerca psicologica  nuda,  astratta,  empirica  e  subbiettiva, 

deve  tener  dietro  necessariamente  la  ricerca  informata 

alla  esigenza  della  storicità.  Ecco  perchè  a  ricostruire  la 

storia  del  pensiero  italiano  e  rannodare  il  secolo  XVIII 

co'  secoli  anteriori,  non  avremmo  guari  bisogno  né  di 

Cartesio  né  del  Cartesianismo,  se  non  fosse  per  alcune 

questioni  cosmologiche  e  ontologiche.  Egli  si  ricongiugne 

co'  filosofi  del  Rinascimento  in  tre  modi,  come  nel  pros- 

simo capitolo  mostreremo;  ma  di  più  li  trascende  in- 

 

finitamente,  perchè  se  è  vero  che  nel  medio  evo  il  pen- 

siero filosofico  riponeva  l'essenza  dello  spirito,  a  così 

dire,  furori  di  §è,  mentre  nel  Rinascimento,  attraverso 

forme  diverse,  inchinava  a  riporlo  sotto  di  se;  è  natu- 

rale che,  col  sentire  la  necessità  del  processo  istorico, 

novello  sentiero  egli  avesse  a  dischiudersi,  rintracciando 

quell'essenza  nel  seno  stesso  dello  spirito  siccome  centro 

e  insieme  processo  della  storia.  Gli  storici  della  filo- 

sofia italiana,  ripetiamolo  anche  qui,  non  potranno  far 

a  meno,  quando  voglian  discoprire  un  vincolo  ideale 

fra  le  due  epoche,  di  questa  relazione  alla  quale  siamo 

venuti  accennando,  e  su  la  quale  ci  rifaremo  più  ri- 

posatamente in  luogo  più  acconcio. 

Capitolo  Quinto. 

ORGANISMO    E    PROCESSO    PSICOLOGICO. 

{Fxmdamenio  razionale  del  processo  istorico.) 

I  punti  sostanziali  ne'  quali  possiamo  stringer  la 

dottrina  psicologica,  seguendo  le  orme  del  nostro  filo- 

sofo, son  questi: 

!•  Concepire  in  maniera  compiuta  e  vera  la  natura 

della  facoltà  psichica  in  generale. 

2«  Distinguere  nelle  funzioni  psicologiche  due  pro- 

cessi, conoscitivo  e  operativo,  ma  formanti  unico  orga- 

nismo, unico  circolo. 

3*  Riguardar  gli  atti  psicologici  come  una  molti- 

plicità  di  funzioni  distinte  e  per  sé  stesse  irreducibili; 

ma  nondimeno  determinate  e  recate  in  atto  dalla  virtù 

d'  unico  principio  originario. 

4*  Finalmente,  porre  siccome  base  razionale  e  im- 

mediata del  processo  istorico  lo  stesso  processo  psico- 

logico. 

Col  primo  di  questi  concetti  il  nostro  filosofo  si  col- 

lega  dirittamente  con  Aristotele,  e  con  gli  Aristotelici 

del  Rinascimento  seguaci  dell'  indirizzo  medio;  e  nel 

medesimo  tempo  corregge,  in  ordine  alla  psicologia,  quel 

vecchio  domma  del  falso  Aristotelismo  e  del  malin- 

teso Platonismo  che  suona  così:  niente  moversi  da  sé, 

che  non  sia  mosso.  Col  secondo  e  col  terzo  imprime 

forma  razionale  e  organica  alla  scienza  dello  spirito 

tanto  contro  Averroisti  e  Neoplatonici  che  troppo  distac- 

cano i  due  elementi  onde  risulta  V  ente  umano,  quanto 

contro  quegli  Aristotelici  empirici  che,  troppo  affogando 

r  uno  neir  altro,  finiscono  per  confonder  la  sfera  della 

psicologia  con  quella  della  biologia:  ma,  sì  nel  primo 

come  nel  secondo  caso,  egli  serba  Y  esigenza  psicologica 

platonica  che  dicemmo  consistere  nella  distinzione  dei 

due  elementi,  nonché  V  esigenza  aristotelica  la  quale 

riguarda  il  processo  nelle  funzioni  psicologiche.  CJon  gli 

stessi  concetti  onde  corregge  nella  quistione  psicolo- 

gica il  Platonismo  e  l'Aristotelismo,  previene  l' esigenza 

del  Criticismo  intomo  al  doppio  ordine  della  Ragion  teo- 

retica e  della  Ragion  pratica,  e  insieme  la  invera  e  la 

compie.  Col  quarto  concetto,  finalmente,  imprime  signi- 

ficato razionale  e  positivo  al  fatto  storico,  e  crea  la 

Scienza  Nuova. 

Innanzi  tratto  intendiamoci  sul  metodo  acconcio  a 

simili  indagini. 

Tommaso  Buckle  osserva  che  i  filosofi,  parlando 

su  la  natura  dell'anima,  non  sanno  pigliar  le  mosse 

altro  che  o  dalle  sensazioni,  o  dalle  idee;  riuscendo  così, 

nell'un  modo  e  nell'  altro,  ad  un  metodo  solitario,  astratto, 

inefficace,  inconcludente.*  Sennonché  egli  stesso,  il  Bu- 

ckle, non  giugno  a  salvarsi  dal  primo  difetto.  11  suo  me- 

todo isterico,  differente  dal  deduttivo  inverso  raccoman- 

dato dal  Mill,  é  addirittura  un  metodo  empirico;  onde 

inciampa  in  quel  sensismo  ch'egli  condannando  vorrebbe 

causare.  Checché  ne  sia,  l'osservazione  é  degna  d'un 

*  HUtory  of  Civilization  in  England,  voi.  I,  cap.  Ili. 

positivista  inglese  ;  e  noi,  pur  correggendola,  non  dubi- 

tiamo farla  nostra.  A  schivare  infatti  tanto  le  conse- 

guenze d'un  gretto  empirismo,  quanto  le  arditezze  d'un 

magro  e  sfumante  idealismo,  è  forza  movere  non  dal  fatto 

della  sensazione,  eh' è  cosa  estrinseca  e  quasi  soprav- 

venuta allo  spirito,  e  nemmanco  dalle  ideej  le  quali  in 

sostanza  non  sono,  per  noi,  fiiorchè  produzioni  di  lui; 

ma  da  lui  stesso  ;  dallo  stesso  spirito  in  quanto  pensiero. 

Bisogna  movere,  in  somma,  dal  centro,  anziché  dalla 

circonferenza;  dalle  facoltà,  ma  dalle  facoltà  concepite 

quali  sono  in  realtà,  cioè  come  funzioni.  A  tal  uopo  è 

necessario  adoperare  un  metodo  che  non  escluda,  ma 

che  sappia  includer  le  esigenze  di  tutt' i  metodi;  em- 

pirico, naturale,  sperimentale,  psicologico  astratto,  fisio- 

logico, e  simili.  In  una  parola,  è  necessario  il  metodo 

genetico  ;  il  quale,  rispetto  alla  psicologia,  è  ciò  che  il 

metodo  eduttivo  è  rispetto  all'ordine  del  conoscere.' 

*  Il  metodo  col  qnale  i  Positiristi  presamono  di  far  la  scienza  psico- 

losrica  è  al  tutto  empirico  e  artificiale;  ma  qui  non  intendo  porre  in  nn 

fascio  psicologi  positÌYisti  inglesi  e  francesi,  com*ha  fatto  il  Vacherot. 

{Betf.  de»  Deux  MondeSf  die.  1869.)  Spencer,  Mill  ed  Alessandro  Bain  stimano 

(come  notammo  nell'Introd.,  p.  6)  che  la  psicologia  è  superiore,  indipendente 

dalla  biologia,  precisamente  come  la  deduzione  è  indipendent-e  e  superiore 

air  induzione  pel  Mill,  e  come  la  Sociologia  è  indipendente  dalla  storia 

tanto  pel  Mill  quanto  per  lo  Spencer.  I  Francesi,  al  contrario,  facendo 

della  Psicologia  una  semplice  appendice  della  Biologia,  non  sanno  con- 

cepir r  nna  senza  1*  altra.  lì  ri'y  a  point  de  p9yeolog%e  en  déhors  de  la 

biologie.  (LiTTRÉ,  A.  Oomte  et  St.  Mill,  p.  29  e  segg.)  Tale  anche  è  per 

essi  la  deduzione  rispetto  air  induzione,  la  psicologia  rispetto  alla  storia, 

la  Dinamica  rispetto  alla  Statica  Sociale.  Sennonché,  qualunque  ne  sia 

la  differenza,  le  due  scuole  intoppano  in  due  errori  diversi;  nel  formalismo 

empirico  Tuna,  e  nel  materialismo  Tal  tra:  e  così  entrambe  rendono  im- 

possibile la  scienza  della  psiche.  Rifacciamoci  brevemente  dagP  Inglesi. 

Qual  debb*  essere,  secondo  St.  Mill,  il  fine  della  psicologia?  Non 

altro  che  la  ricerca  diretta  delle  ntceeeeioni  mentali,  (Sjfét,  de  Log,  tom.  II, 

p.  484.)  E  quaV  è  la  legge  più  semplice,  più  generale  cui  si  riducono  i 

fenomeni  psichici?  Quella  àéiV anaoeiazione  delle  idee;  la  grran  legge  os- 

serrata  da  Hume.  [La  PhU.  de  Hamilton^  cap.  Vili.)  Innanzi  tratto  si 

può  osservare:  La  legge  dell*  associazione  è  legge  empirica,  e  quindi  ò  un 

fatto:  ma  qual  n'è  la  ragione?  Senza  questa  ragione  potreste  uscire  dal- 

l'empirismo?  st.  Mill  non  ispiega  cotesto  fatto,  ma  1*  accetta  dair  espe- 

rienza. —  Altro  difetto  gravissimo,  conseguenza  del  primo,  è  questo;  che 

Il  metodo  genetico  applicato   alla  ricerca  psicolo- 

gica attinge  valor  positivo  e  insieme  razionale,  quando 

la  legge  d*  associazione  nou  racchiude  necessità  psicologica  di  sorta.  È 

una  legge  men  che  empirica,  e  può  mancare.  Dunque  una  notizia  scien- 

tifica circa  la  natura  psicologica,  per  lui,  è  impossibile.  — 'Più  ancora:  il 

prodotto  ddV  anaociaziowi  è  un  fatto  «t*  generi»:  egli  stesso  ne  conviene. 

{DUaertation  and  DiicuMiona,  III,  104.)  Or  bene,  come  spiegare  cotesto 

9ui  generi»  con  la  pura  legge  d*  associazione  ?  Ci  ò  qui  rispondenza,  ci  ò 

proporzione  tra  V  effetto  e  la  causa?  —  Finalmente,  come  spiegare  con  la 

semplice  associazione  il  gran  fatto  della  coscienza  f  Bisognerà  dunque 

concludere  che  la  legge,  la  quale  St.  Mill  dice  esser  la  più  semplice  e  ge- 

nerale fra  tutte  quelle  d' ordine  psichico,  importi  qualche  altro  fatto  ante- 

riore, 0  irreducibile.  La  psicologia  contemporanea  inglese  quindi  cade  nel 

formalismo  empirico.  E  se  riesce  a  distinguer  la  psicologia  dalla  biologia 

e  dalla  storia  (eh*  è  il  suo  pregio),  non  riesce  a  trovare  fra  V  una  e  le 

altro  vincolo  di  sorta.  —  Tocchiamo  ora  della  scuola  psicologica  de* Posi- 

tivisti francesi. 

Il  Littré  riguarda  la  psicologia  qual  semplice  appendice  ed  appli- 

cazione della  biologia;  e  vuol  quindi  trattarla  con  metodo  analogo.  Ma 

fa  una  distinzione  acuta  e  ingegnosa  di  cui  giova  tener  conto,  perchè 

forma  la  sua  stessa  condanna.  Egli  pone  un  divario  profondo  tra  la  fa- 

coltà e  il  suo  prodotto.  Logica,  ideologia,  psicologia  (egli  dice)  non  si 

distinguon  menomamente  dalla  biologia  quando  siano  avvisato  come 

funzioni;  ma,  guardate  nei  lor  prodotti,  se  ne  differenziano  in  infinito. 

Parimente  il  linguaggio,  come  facoltà,  è  faccenda  biologica  ;  ed  ha  la  sua 

ragione  in  una  delle  circonvoluzioni  anteriori  del  tessuto  cerebrale,  secon- 

dochè  ci  assicuran  oggi  gli  sperimenti  fisiologici  :  ma,  come  grammatica, 

se  ne  discosta  per  grand*  intervallo,  o  nou  ci  ha  che  veder  niente  con  la 

biologia.  —  Che  cosa  rispondere  ?  Rispondiamo,  troppo  antica  e  troppo 

vera  esser  oggimai  la  sentenza  aristotelica,  che  tra  la  natura  della  causa 

e  quella  dell'  effetto  non  possa  esserci  divario  essenxiaie.  Or  negli  esempi 

quassù  arrecati  il  divario  essenziale  e*  è:  gli  st>essi  positivisti  non-  ar- 

discono dubitarne.  Come  dunque  spiegarlo  cotesto  divario?  È  egli  pos- 

sibile spiegarlo  senza  riconoscer  la  differenza  fra  le  due  scienze  non 

solo  quant' a* prodotti  psicologici,  ma  anche  quant*alle  facoltà?  Como 

funziono  il  linguaggio  non  appartiene  egli  anche  al  quadrumane?  Ora  in 

forza  di  che  cosa  riesce  tanto  profondamente  diverso  il  risultato  nel  bimane 

che  ha  pur  comune  col  quadrumane  la  funzione?  Si  dirà  in  forza  del- 

l' unione,  del  numero,  dell*  attrito  nella  specie,  nella  società?  Ma  non 

vivono  in  società  anche  alcune  famiglie  di  quadrumani?  Eppure  quella 

funzione  non  ha  dato,  e  mai  non  darà  il  risultato  che  pur  dovrebbe!  Àn- 

cora: se  il  prodotto  fosse  tant^  diverso  dalla  facoltà  solo  per  ragion  del- 

l' associazione  e  del  contatto,  che  cosa  ne  verrebbe?  Che  1*  uomo  sarebbe 

fornito  di  qualità  e  doti  essenziali  non  per  so  stesso,  cioè  non  perchè 

individuo,  ma  per  altri  e  da  altri,  cioè  perchè  membro  della  società.  Or 

tutti  sanno  che  la  £eicoltà  della  parola,  cosi  intimamente  annodata  col  pen- 

siero, non  e  dote  accidentale ìn& eÈsenzi<de  dell'uomo;  dell* uomo  in  quanto 

soddisfi  al  bisogno  sperimeDtale.  QuaP  è  V  esperienza 

vera  nel  campo  della  psicologia  ?  Un  fatto  :  ma  un 

fatto  che  sia  condizione  logica  di  tutti  gli  altri  fatti;  il 

fatto  per  eccellenza,  il  fatto  de'  fatti,  il  faUo  che  si  foj 

efletto  e  cagione  ad  un  tempo  istesso,  la  coscienza.  La 

coscienza  è  un  fatto:  ma  chi  presumerà  spiegarlo  con  le 

sole  leggi  fisiologiche?  D' altra  parte,  dir  coscienza,  come 

da  un  pezzo  ci  predicano  gli  spiritualisti  francesi,  desi- 

gnandola come  fatto  per  eccellenza,  come  il  fatto  più  saldo 

della  psicologia,  è  dire  un  bel  nulla  ove  non  si  pervenga 

a  risolvere  questo  doppio  quesito:  P  Se  la  coscienza  è 

un  fatto,  conie  si  fa?  2»  Perchè  si  fa?  Il  nocciolo  della 

psicologia,  come  scienza,  sta  tutto  qui.  E  niuno  potrà 

sperare  di  scioglier  cotesto  nodo,  se  non  giugno  a  ri- 

spondere all'obbiezione  che  il  Vico  move  contro  al 

Cogito  caitesiano:  la  coscienza  essere  un  fatto  certo, 

non  un  fatto  vero.  Or  s'egli  affaccia  tale  difficoltà,  non  è 

da  supporre  eh'  egli  medesimo  ne  abbia  in  pronto  la 

risposta?  In  altro  capitolo  abbiamo  già  visto  come  ri- 

ìndÌTÌduo,  non  già  in  quanto  membro  della  società.  Se  dunque  il  prodotto 

della  facoltà  non  è  accidentale  ed  estrìnseco  ma  intimo  ed  ossenzialo, 

ne  viene  che  quaFc  la  natura  dell'uno,  tal  debV esser  anche  quella  dell'al- 

tra; e  cosi  la  distinzione  del  Littré  sfuma  e  dilegua.  Inoltre,  ore  la  natura 

del  prodotto  fosse  quella  stessa  della  facoltà,  e  la  facoltà  fosse  faccenda 

al  tutto  biologica,  ninno  ci  salverebbe  da  una  schietta  dottrina  meccanica. 

Ora  i  positivisti  francesi  (al  contrario  degV  inglesi)  affogan  la  psicologia 

nella  biologia,  e  perciò  la  negano;  e  col  negarla  precipitano  logicamente 

nel  materialismo.  Talché  se  la  psicologia  inglese,  nelP  ordine  sociolo- 

gico, mena  alla  dottrina  dell'  JndividualinnOf  e  quella  de'  francesi  non  si 

salva  dalla  dottrina  del  Socìalitmo;  è  da  concludere  che  il  metodo  psico- 

logico de'  Positivisti,  sia  nell'  una  scuola  sia  nell'altra,  anziché  positivo  e 

razionale,  riesca  affatto  negativo  ed  erroneo,  come  vedremo  in  Sociologia. 

Tale  altresì  (diciamolo  di  passata)  è  il  metodo  del  Taine.  Più  formalista 

ancora  del  Mill,  ei  vuol  far  rivivere  lo  schietto  nominalismo  nel  regno 

della  psicologia.  Quale  snellezza,  quanta  eleganza  nella  forma  e  nello 

stile  di  questo  facile  e  simpatico  scrittore  !  ma  quanta  e  qual  super- 

ficialità d'analisi  e  di  ragionamento!  Chi  ne  voglia  una  prova,  legga, 

por  esempio,  ciò  eh'  egli  dice  sul  concetto  della  personalità  e  della  co- 

scienza, e  vegga  con  che  leggerezza  confonda  potenza  e  facoltà  nella 

ricerca  psicologica.  Il  Taine  è  degno  discendente  dell'abate  Condillac. 

(Vedi  De  VlnuUigenee,  Paris  1870,  t.  I,  lib.  IV,  cap.  UI,  t.  II,  llb.  I, 

cap.  II,  §  8.) 

sponde  (p.  186-236).  Meglio  il  vedremo  qui  interpre- 

tando e  svolgendo  il  suo  pensiero. 

Io  prego  positivisti  e  fisiologi  a  non  digrignarmi  i 

denti.  La  psicologia  non  è  un'ultima  pagina  della  neu- 

rologia, come  or  non  è  molto  ebbe  a  proclamarla  un 

fisiologo  d'alta  rinomanza;  e  pur  nullameno  non  cessa 

d' essere  anch' ella  una  fisiologia.  La  psiche  è  anch'essa 

un  organismo,  una  generazione  come  la  vita,  perchè 

una  medesima  legge  di  formazione  ha  da  presiedere  ad 

entrambe.  Ma  solamente  si  pretende  che,  se  comune  è 

il  processo  e  quindi  la  legge,  diversissimo  abbia  a  ri- 

sultarne il  contenuto. 

Che  cos'.è,  infatti,  il  processo  fisiologico?  Se  i  fisiologi 

odierni  ci  riflettessero,  s'accorgerebbero  tosto  d'esser 

d' accordo  col  vecchio  Aristotele.  Il  processo  fisiologico 

in  sostanza  non  è  che  l' attuazione  del  numero  nel- 

r unità:  le  forze  naturali  e  comuni  trasformantisi  in 

efficienza  dinamica  vitale  e  risultante.*  L' anima  dunque 

è  la  reàUà  ultima  dell'organismo.' — Che  cos'è  invece 

il  processo  psicologico?  È  imita  che  si  pone  e  s'attua  in 

sé  medesima  :  unità  che  si  realizza  nel  numero  ;  che  si 

fa  numero.  Però  è  anima,  è  principio  vitale  che  diventa 

*  A  BIST.  De  Pari,  Ànim,,  II. 

*  Aristotele  ha  ragione  d*  affermare,  V  anima  non  esser  una  potenza 

di  cui  il  corpo  sia  T  attuazione,  ma  VaUo  del  corpo  nel  senso  di  realtà 

ultima  di  Ini:  Où  to  toì^ol  «OTtv  ivr s\i j^itof,  ^u^^^»  *^^'  «ut»? 

(TtàpLOtrò^  Tivof.  {De  An.,  II.)  Perciò  eUa  non  è  actu»  oorporis  organici 

nel  significato  di  principio,  cbè  saremmo  sempre  nell*  averroismo  e  nel 

neoplatonismo  ;  bensì  ò  atto  in  quanto  è  il  risultato  estremo  e,  come  tale, 

è  anche  principio.  Brevemente:  V anima  è  principio  del  corpo,  T anima 

principia  V  organismo;  ma  non  come  attoy  bensì  come  potenza  feconda, 

reale  (to  ^vvaTOv)  tuttoché  rudimentale.  Chi  non  voglia  interpretare 

così  il  concetto  dell' anima  nelP  Aristotelismo,  cade  senza  rimedio  nelle 

contraddizioni  in  cui  sMmpastojavano  e  s*  impastojan  tuttora  i  Tomisti, 

non  escluso  il  Rosmini.  Il  quale,  diversamente  dall'interpretazione  che  noi 

diamo  a  questo  concetto  aristotelico,  pone  V  anima  non  già  come  atto  del 

corpOf  anzi  come  principio  che  produce  quegli' atto  {Psicologia^  Novara  1858, 

voi.  I,  cap.  IX,  art.  IV,  §  223).  Posto  ciò,  la  conseguenza  su  1*  origine 

dell'anima  quale  sarà?  Sarà  altrettanto  arbitraria  e  ipotetica,  quanto 

inevitabile  e  chiara:  cioè  la  necessità  d'un  atto  d'immediata  creazione. 

(Op.  cit.,  voi.  cit.,  cap.  XXIIIt  —  Antropologia^  lib.  IV,  cap.  V.) 

spirito,  è  senso  che  diviene  intelletto,  è  istinto  che 

sale  a  coscienza,  è  bisogno  cieco,  cieca  tendenza  che 

assume  valore  di  volontà  morale,  e  di  libera  perso- 

nalità.* 

Come  sta  dunque  la  biologia  alla  psicologia?  Come  la 

vita  al  pensiero;  come  la  parte  inferiore  della  pianta, 

come  le  radici,  alla  parte  superiore,  al  tronco,  a'  rami, 

alle  fronde,  alle  frutta,  a'  fiori.  Ma  fra  Tuna  e  l'altra 

di  queste  parti  ci  è  un  nodo;  ci  è  il  nodo  vitale.  Ap- 

punto in  questo  nodo  vitale  s'immedesimano  entrambe, 

e  si  divariano.  Ed  è  cotesto  nodo  che  non  sanno  scorgere 

e  tanto  meno  sgroppare,  per  quanto  facciano,  materiali- 

sti, positivisti  e  interpreti  empirici  del? Aristotelismo.  In 

questo  nodo  vitale  si  toccano,  senza  confondersi,  due 

sfere,  due  organismi,  due  vite,  due  contenuti.  Questo 

nodo  vitale  è  insieme  forma  e  materia,  atto  e  potenza. 

È  forma  d' un'  anterior  materia  eh'  è  l' organismo,  il 

processo  biologico;  ed  è  materia  d'una  forma  po- 

steriore e  superiore  eh'  è  l' organismo  delle  facoltà,  il 

processo  psicologico.  Il  processo  di  natura  infatti  si 

assolve  dal  potenziale  all'  attuale,  dall'  indeterminato 

al  determinato,  e  partorisce  l' individuo  :  il  processo 

psicologico  si  assolve  dal  potenziale  aitu^jde^  àU'aUtude 

determinato,  cioè  dall'individuo  alla  personalità,  e  cosi 

genera  la  coscienza.  Verissimo  quindi  l'altro  concetto 

aristotelico:  il  pensiero  e  la  natura  esser  come  l'analisi 

e  la  sintesi  che  camminano  in  senso  contrario,  ma  go- 

vernati da  una  medesima  legge.' 

Or  la  scienza  della  psiche  dee  rintracciare  il  nodo  in 

cui  si  toccano  i  due  processi,  investigandone  la  genesi 

<  Sotto  quest*  altro  aspetto  Aristotele  dice  Terìssimo  che  I* anima, 

anziché  armonia  di  parti  o  risultanza  di  moti  diversi,  ò  per  sé  stessa 

attività,  accordo,  e  qnindi  capace  a  regolare  ogni  moto.  Non  ò  numerp 

ma  unità;  unità  della  forma  e  dell'atto:  Tò  yàp  tv  vìolÌ  to  etvae 

ir>ffova;i^«i!l;  \iytxaiy  to  xvpiov  in  fvTf>f;i^sta  jctc.  (Id.  Eod.)  — 

È  Vachu  in  aetu  degli  Aristotelici  del  Risorgimento  segnaci  deir  indi- 

rizzo medio,  per  esempio  ^del  Gontarini,  come  aTrertimmo. 

*  RàTAiBSOX,  Métaplu  d'Aritt.,  t.  I,  p.  483. 

psicologica.  Lo  spirito  è  essenzialmente  processo,  è  ge- 

nerazione, ma  non  trasformazione.  Non  va  dalla  parte 

al  tutto,  come  avviene  delle  combinazioni  meccaniche; 

ma  dal  tutto  al  tutto,  dal  tutto  potenziale  al  tutto  at- 

tuale, dal  di  dentro  al  di  fuori,  da  una  sintesi  origi- 

naria e  confusa,  ad  una  sintesi  analizzata.*  Voglio  dire 

che  il  processo  psicologico  s'inaugura  non  già  con  que- 

sta o  cotesta  facoltà,  anzi  con  tutte  le  facoltà.  Le  quali 

perciò  non  sono  funzioni  determinate  e  specificate  sin 

dalla  loro  origine,  ma  convengon  tutte  nell'  essere  al- 

trettante potenze,  e,  come  tali,  formano  unica  potenza 

originaria,  eh' è  conato  essenziale,  sforzo  incessante.* 

Che  cosa  sia  questo  conato,  si  vedrà  nell'  altro  capi- 

tolo. Qui  dobbiamo  considerar  le  facoltà  psicologiche 

come  ce  le  presenta  il  fatto,  cioè  come  una  moltipli- 

cità  di  funzioni. 

Che  cos'è  la  facoltà  psicologica?  È  un  passaggio 

dalla  potenza  all'  atto.  Ella  ci  esprime  la  pronta  ne- 

cessità di  fare,  di  determinarsi,  d'  attuarsi  ;  e  quindi 

vuol  dire  facilità,  prontezza,  solerzia,  agevolezza  di 

fare.'  Or  la  facoltà  intanto  significa  pronta  e  spontcmea 

solerzia  di  fare,  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto;  in 

quanto  si  fa  come  funzione;  in  quanto  si  pone  come 

*  Anche  in  ciò  la  psicologia  somiglia  alla  fisiologia,  ma  non  tì  si 

confonde.  L*  organogenia  s' inaugura,  meglio  che  con  uno,  con  tutti  gli  or- 

gani ad  un  tempo.  Per  esempio  i  centri  primitiTi  multipli  del  sistema 

nervoso,  che  la  microscopia  ci  pone  sott*  occhio,  chiarisce  e  conferma 

quest'  assunto.  Cfr.  Vulpian,  Physìologie  gfn.  et  comp.  du  syaL  nere.  — 

LhittS,  SyH.  New.  cerebro-spinale.  —  Glkibbrrg,  Intinto  e  Libero  cwbitrio^ 

trad,  del  Langillotti,  Nap.  1868. 

*  Oonatum  uni  menti  attrihuimu»f  quce  libero  arbitrio  prcedita  pottH 

BUB8TARB....  eoque  pacto  potett  motitm  subsistrre  et  stare  in  conato  [De 

Univ.  LXXV,  4).  Ne*  corpi  e*  è  moto,  secondo  il  concetto  cosmologico 

del  Vico,  ma  nell* animo  e*  è  moto  e  eoncUo:  o  meglio,  il  moto  qui  as- 

sumendo natura  di  conato  è  moto  del  moto,  e  quindi  è  aetw  in  actu. 

*  Expedita  seu  expromtn  f'iciendi  solertia  (De  Antiquisn,  TtaU  Sap.^ 

cap.  VII,  1).  Facoltà  suona  anche  proprietà,  ma  proprietà  cosciente  :  di- 

stinzione confermataci  dal  comun  linguaggio  che  attribuisce  la  proprietà 

alle  cose,  ma  predica  dell*  nomo  \h  facoltà.  Vedi  le  belle  riflessioni  dello 

JouFPRoy  in  proposito  {^filang.  Phil.,  ed.  Bruxelles,  p.  267). 

attività:  FacuUaùes  sunt  eorum,  quce  fadmus.  Ecco  il  con- 1 

cetto  psicologico  piìi  originale  del  Vico.  Il  germe  di  que- 

sto concetto  è  schiettamente  aristotelico;  *  ed  è  la  chiave 

ond'  egli,  anticipando  la  moderna  psicologia,  preveniva 

il  Fichte,  e  insieme  ne  correggeva  V  esagerazione.* 

Dunque  la  facoltà  posta  come  funzione  psicologica 

che  fa  sé  stessa  in  quanto  fa  il  proprio  obbietto,  è  il  ' 

passo  d'oro  del  Libro  Metafisico.  Ad  esso  rispondono 

altri  due  che  troviamo  nel  Diritto  Universale  e  nella 

Scienza  Nuova;  e  tutt'e  tre  riescono  a  comporre  l'or- 

ganismo del  processo  psicologico.  Tale  organismo,  in- 

fatti, parmi  racchiuso  in  queste  due  sentenze:  !•  che 

r  uomo  è  innanzi  tutto  SensOy  appresso  Immaginazione 

e  quindi  Ragione:  2*»  che  l'uomo  è  un  Potere,  un  Volere 

e  un  Conoscere  potenzialmente  infinito.^ 

 

 

•  ÀRlST.  De  an.^  Ili,  4. 

•  DoTe  stanno,  a  mo*  d'esempio,  i  colori,  i  sapori, gli  odori,  il  tatto? 

Se  il  senso  è  facoltà,  ne  segue  che  tu  in  sostanza  hai  a  far  i  colori  nel 

vedere,  tu  i  sapori  nel  guastare,  tu  i  suoni  nelP  udire,  tn  gli  odori  nel- 

r  annusare,  tu  stesso  il  freddo  e  '1  caldo  \iel  toccare.  Nam  si  «enatu  fa- 

cultates  sunt,  videndo  colore»,  sapores  gustando,  sono»  nudiendo,  tangendo 

frigida  et  calida  rerum  facimua.  {De  Antiquisa,  e.  VII,  3.)  Parimenti  con 

le  immagini  e  con  le  rappresentazioni  la  yirtù  fantastica  partorisce  il 

proprio  obbietto,  e  si  fa;  di  modo  che  scegliendo  il  meglio  di  natura 

ed  elevandolo  a  valore  di  tipo,  a  questo  vien  conformando  V  opera  d*  arte. 

De  medio  lectam  {formam)  ttupra  fidem  extoUunt,  et  ad  eam  auos  heroaa 

con/ormant.  (Ibi,  2.)  E  la  memoria,  potenza  che  rifa  e  penetra  so  mede- 

sima, non  potrebbe  rifarsi  e  penetrarsi  ove  innanzi  non  si  fosse  fatta; 

ne  quindi  può  esser  quella  magra  e  sterile  ritentiva  di  che  ci  parlano 

i  sensisti.  L' intelletto  è  facoltà  anche  lui,  perchè  col  determinarsi  viene 

a  geminarsi  nel  giudizio,  e  perciò  vede  ;  e  vede,  perchè  occhio  dell'  intel- 

letto è  il  giudizio  :  Judicium  eat  oculus  intellectu»  ;  né  potrebbe  intellet- 

tivamente vedere,  se  non  intendesse;  nò  intendere,  ove  anch'agli,  al 

solito,  non  facesse  il  proprio  obbietto.  Intellectus  verna  faeultaa  est,  quo 

quum  quid  intelligimua,  id  verum  facimua,  (Ibi,  5).  In  tutto  questo  il 

Vico  ormeggia  Aristotele.  Per  es.  la  visione,  secondo  lo  Stagirita,  è  Vatto 

dd  colore;  l'udito  è  V  aUo  del  auono.  (Ravaisson  Metaph,  d^  Ariat.,  t.  I, 

p.  427.  —  Aeist.  De  An.  I.) 

•  Il  primo  di  questi  due  principii  è  evidentemente  aristotelico,  per- 

chè dall*  ou^SvitTiq  al  voù^,  com'  è  noto,  ricorrono  parecchi  gradi  e  sfu- 

mature componenti  tutte  un  unico  processo:  ^ója,  ^àvTacr|ua,  s<xo3v, 

f^pòvn^i^y  tnuTTTniivì  {Log.  d^Ariat*,  Barth.  Saint-Hilairk,  tomo  II, 

par.  II,  sez.  XI.)  Il  secondo  poi  è  anche  aristotelico,  e  risponde  all'  in- 

In  quest'organismo  psicologico  abbiamo  due  serie 

diverse  di  funzioni,  e  sei  gruppi  di  facoltà;  teoretiche 

e  conoscitive  le  une,  operative  e  pratiche  le  altre.  Sen- 

SO;  Immaginazione  e  Ragione  formano  il  processo  della 

Ragion  conosciHva:  Conoscere,  Volere  e  Potere  compon- 

gono il  processo  della  Bagione  operativa.  Uno  è  il  circolo 

psicologico,  ma  incarnantesi  attraverso  gemina  forma; 

perocché  lo  spirito,  come  ogn'  altra  unità  originaria, 

si  determina  e  si  ostrica  per  dualità.  Il  Senso. da  una 

parte,  e  il  Potere  dall'  altra,  son  facoltà  rudimentali, 

empiriche,  sintetiche,  ma  di  sintesi  grossolana.  Elle  ci 

esprimono,  secondo  il  concetto  aristotelico,  un  medesimo 

principio,  ma  sotto  due  condizioni  diverse,  precisamente 

come  l'intendimento. e  la  volontà.*  Il  senso  che  solle- 

vasi dapprima  a  valore  di  percezione  empirica,  poi  di 

rappresentazione,  poi  di  concetto,  poi  di  nozione  e  di 

idea;  e  il  potere  naturale  eh' è  dapprima  istinto  fisio- 

logico e  poi  istinto  psicologico,  poi  desiderio  e  pas- 

sione, poi  arbitrio,  quindi  volontà  e  libertà;  queste 

due  serie  di  funzioni,  io  dico,  si  vanno  sempre  pili 

accostando  fra  loro,  e  somigliano  (per  usar  la  frase 

dello  Stagirita)  alle  due  branche  d'un  angolo,  e  rie- 

 

telletto  teoretico  e  intelletto  pratico;  ma  altri  molti  prima  del  Vico 

n'aTean  dato  cenno,  per  esempio  sant'Agostino  (eh*  egli  stesso  cita  a  que- 

sto proposito),  il  Campanella  {Metaph.,  lib.  1,  cap.  8,  art.  8),  e  potremmo 

citare  anche  la  triplice  forma  d'intelletto  del  Pomponaccio,  nonché  quella 

del  Bruno.  Antecedenti,  dunque,  ce  ne  sarebbero  a  buon  dato.  Ma  non 

bisogna  dimenticare  che  la  novità  psicologica  del  filosofo  napoletano 

risiede  nell'uso  ch'ei  fa  di  questi  due  concetti;  T applicazione  storica 

di  essi,  da  una  parte,  e,  dall'  altra,  il  considerar  le  facoltà  psicologiche 

come  altrettante  funzioni  d' unico  principio.  L' una  cosa  riesce  evidente 

a' più  superficiali  lettori  della  Scienza  Nuova;  l'altra  s'induce  dal 

complesso  delle  sue  dottrine.  —  Un'  altra  osservazione.  Quando  il  Vico 

nel  Libro  Metajieico  riduce  a  tre  le  operazioni  della  mente  {Percezione, 

Giudizio  e  SiUogi»tno\  più  che  alle  facoltà,  evidentemente  guarda  a'  pro- 

dotti di  esse;  più  che  alla  Psicologia,  tien  l'occhio  alla  Logica.  Nella 

Scienza  Nuova  poi  considera  le  tre  facoltà  conoscitive  (Senso,  Immagi- 

nazione, Ragione)  in  attinenza  col  processo  isterico,  nel  quale  fantasia  e 

immaginazione  hanno  grande  importanza.  Ma  sia  eh'  egli  consideri  le 

facoltà,  sia  che  i  loro  prodotti,  il  processo  ha  sempre  una  medesima  legge. 

«  Abtibt.  De  An,  III,  7. 

SCODO  entrambe  ad  un  termine  superiore,  eh' è  il  co- 

noscere, ma  al  conoscere  come  Ragione;  al  conoscere 

in  cui  le  sottostanti  facoltà  diventan  la  stessa  ragione, 

in  quanto  che  sono  da  essa  legittimate.* 

 

'  Non  potendo  entrar  nell*  analisi  particolareg^ata  delle  funzioni 

teoretiche,  ristrinsriamo  qui  In  nota  i  diversi  gradi  e  passaggri  del  pro- 

cesso conoscitiTO  secondo  i  tre  grappi  segnati  i  dal  Vico:  (Senso,  Imma- 

ginazione, Ragione:  Percezione,  Giadizio.  Sillogismo): 

I.  a)  Sensazione.  —  Importa  la  necessità  d*  un  principio  sensiente,  e 

d*on  termine  sentito;  ma  entrambi  indistinti  e  formanti  unità  incon- 

sciente  e  confusa.  L*obbietto  (il  termine  del  sentire)  non  è  poeto,  ap- 

punto perchè  non  ò  appreso  come  oppoeto;  ma  è  come  sovrapposto  e 

sopravvenuto  da  fuori.  Il  eeneo  dunque  è  il  principio  del  conoscere,  ma 

principio  iniziale,  estrìnseco,  occasionale,  e  come  tale  suppone  un  prin- 

cipio intrinseco,  ed  essenziale:  sicché  quantunque  paia  estrinseco,  è 

nondimeno  incluso  nel  circolo  psicologico. 

b)  PRRCEZIONB  EMPIRICA  (Coeeìenza  empirica),  —  Necessità  d'  un 

principio  percettivo,  e  d*  un  oggetto  percepito  ;  ma  percepito  come  puro 

oggetto,  cioè  come  oggetto  indeterminato  e  oppoeto  al  soggetto  che  lo 

percepisce  sotto  forma  al  tutine  empirica  (!<»  carattere  dell' «tUc  umano). 

e)  Rappresentazione  semplice.  —  Necessità  d' un  oggetto  deter- 

minatOf  singolo,  e  però  fornito  di  qualità  {/antaema).  Il  fantasma  si  pre- 

senta necessariamente  come  un  opposto  più  determinato  appunto  perchè 

è  opposto,  ma  è  un  opposto  tuttora  empirico. 

d)  Rappresentazione  immanente.  —  K  la  rappresentazione  sem- 

plice che  si  fissa  (Memoria  empirica:  Betentiva).  Ella  perciò  richiede  un 

fantasma  indeterminato,  e  quindi  segna  un  primo  grrado  dì  vera  oppo- 

sizione, la  quale  ha  luogo  fra  il  soggetto  e  V  oggetto.  Appresso  il  fan- 

tasma, assumendo  forma  generale  e  comune,  importa  la  necessità  d*un 

eegno  atto  a  fissarne  le  proprietà  {Immaginazione  rintegratrice). 

e)  Rappresentazione  riproduttrice.  —  Riproduce  e  trasforma  il 

prodotto  della  facoltà  anteriore.  È  un  grrado  di  memoria,  ma  superiore 

alla  semplice  retentiva,  e  però  abbisogna  del  linguaggio.  {Tmmaginaxione 

volontaria  —  Immaginanone  riproduttrice). 

II.  /)  Immaginazione).  (Immaginazione  eombinatriee.  Fantaeia),—  L'og- 

getto è  già  divenuto  vera  immagine  (  Univereah  poetico).  Necessità  quindi 

della  parola  propriamente  detta  {verbo). 

L'Immaginazione  è  funzione  essenzialmente  mobile,  contraddittoria. 

Il  suo  oggetto  è  insieme  determinato  e  indeterminato,  particolare  e 

universale,  ideale  e  reale.  Se  dunque  la  sua  natura  sta  nell'  opposizione, 

ella  non  può  non  costituire  il  passaggio  necessario  ad  un  2°  gruppo  di 

facoltà  conoscitive,  che  comprendiamo  nella  parola  Lttendimento. 

g)  Intendimento.  •—  L'  obbietto  è  il  fantasma,  ma  divenuto  con- 

eetto:  perciò  è  davvero  posto, perchè  opposto {objeetum  propriamente  detto). 

h)  GiODizio.  —  £  di  sua  natura  una  dualità,  e  quindi  importa  dop- 

pio elemento  (  Vero  e  Fatto),  Questa  dualità,  a  cominciare  dal  Senso  fino 

Ciascun  gruppo  di  funzioni  conoscitive  forma  an- 

ch' egli  un  processo  ;  e  anche  in  questo  le  facoltà  psichiche 

somigliano  alle  funzioni  organiche,  perchè  come  queste 

non  s' intenderebbero,  ove  si  prescindesse  dal  concorso  di 

tutte,  eh'  è  dire  dal  concetto  della  cospircunone  organica. 

Ogni  grado,  perciò,  ogni  forma  in  che  viene  a  specifi- 

carsi ciascuna  funzione,  è  com'un  apparecchio  della 

facoltà  che  le  tien  dietro,  al  modo  istesso  che  questa 

è  complemento  della  prima.  Tutte  fra  loro  stan  così 

come  la  materia  alla  forma,  come  la  potenza  all'  atto, 

e  propriamente  come  1'  » vre^sx"»  e  1'  s\épystei  aristotelica. 

Or  tale  apparecchio  e  complemento  scambievole,  pro- 

gressivo e  sempre  piiì  ascendente,  sarebbe  impossibile 

senza  una  serie  di  leggi  d'ordine  meccanico  e  natu- 

rale. Queste  leggi  costituiscon  quel  determinismo  che 

la  psicologia  non  potrebbe  oggi  disconoscere,  senza  ne- 

gare le  occulte  attinenze  eh'  eli'  ha  con  la  fisiologia. 

Leggi  meccaniche,  come  in  fisiologia,  si  verificano  altresì 

nel  regno  dello  spirito,  nella  storia,  nella  psicologia.  E 

non  è  certamente  errore  il  parlare  d'una  statica  e  di 

una  meccanica  psicologica,  come  fa  la  scuola  Herbar- 

tiana  che  nella  interpretazione  de'  fenomeni  psichici  ha 

preteso  introdurre  il  calcolo;  ma  errore  parmi  il  non 

vedere  come,  accanto  alla  statica  e  alla  meccanica,  ci 

sia  pure  una  dinamica:  dinamica  d'ordine  superiore,  a 

spiegar  la  quale  non  v'  è  calcoli  né  leggi  d' equilibrio 

che  valgano.  Se  di  tal  distinzione  avesse  tenuto  conto 

r  Herbart,  non  sarebbe  venuto  alla  nota  quanto  erronea 

sentenza,  che  ragione  e  libertà  non  abbian  niente  di 

air  Immaginazione,  va  sogrgretta  ad  un  processo -sempre  più  evidente.  Nel 

giudizio  i  termini  della  dualità  stanno  di  fronte,  irresoluti;  e  perciò  V  op- 

posizione segna  la  necessità  e  quindi  *1  momento  della  risoluzione. 

 

i)  Sommi  generi  di  gtddizi  (  Induttivo^  Deduttivo,  EduUivo).  —  Co- 

stituiscono anch'  essi  fia  loro  un  processo.  Nella  sua  terza  forma  il  giu- 

dizio non  è  altrimenti  giudizio  e  opposizione,  ma  converriont  de*  due  ter- 

mini, e  quindi  passaggio  necessario  alla  funzione  raziocinativa. 

III.  k)  Ragione.  -—  L' oggetto  è  il  concetto  divenuto  nozione,  la  no- 

zione divenuta  idea,  e  quindi  metodo  e  scienza.  Tre  forme  di  metodo: 

tre  sfere  di  scienze.  (Vedi  p.  230  e  scgg.) 

primitiYG,  ma  sieno  entrambe  un  fatto  psicologico  risul- 

tante da  cagioni  precedenti,  che  vuol  dire  estrinseche.* 

Noi  riconosciamo  leggi  di  statica  e  leggi  di  mecca- 

nica nel  processo  psicologico.  Riconosciamo  un  mecca- 

nismo e  un  determinismo  onde  la  psicologia  per  intimi 

vincoli  riesce  ad  allearsi  con  la  biologia,  e  condanniamo 

quello  spiritualismo  che,  campato  a  mezz'  aria,  sdegna 

qualunque  parentela  od  attinenza  col  regno  delle  leggi 

biologiche.  Ma  di  là  dal  meccanismo  sarà  pur  d' uopo 

riconoscere  un  dinamismo  :  un  dinamismo  puro,  indipen- 

dente da  ogni  dato  fisico  e  materiale,  perchè  pensiamo 

che  se  condizioni  d' indole  meccanica  debbono  aver 

luogo  fra  le  potenze  componenti  un  dato  gruppo  di 

facoltà,  fra  gruppo  e  gruppo,  invece,  è  da  supporre  V  esi- 

stenza di  leggi  e  condizioni  d' indole  dinamica.  Come 

dimostrare  tutto  ciò?  mi  si  chiederà.  —  Quant'alla  ne- 

cessità delle  leggi  meccaniche  nel  processo  psicologico, 

io  rispondo,  ninno  oggi  vorrà  dubitare.  La  fisiologia  e 

la  zoopsicologia  se  ne  rendon  mallevadrici.'  Quanto  poi 

all'esistenza  delle  condizioni  puramente  dinamiche,  una 

dimostrazione  diretta  e  sperimentale  è  impresa  vana. 

Solamente  se  ne  potrebbe  indurre  la  necessità,  come 

vedremo,  indagando  la  relazione  esistente  fra  il  pro- 

cesso psicologico,  e  il  processo  cosmologico  ;  eh'  è  dire 

fra  la  genesi  dello  spirito,  e  quella  della  natura.  Qui 

dobbiamo  notare  che,  ove  un  occulto  dinamismo  non 

esistesse  nel  processo  psicolosfico,  tornerebbe  davvero 

impossibile  dar  ragione  di  certi  fenomeni  psicologici, 

massime  di  quelli  risguardanti  le  facoltà  superiori. 

Chi  dirà  che  bastino  le  legaci  meccaniche  a  spiegare, 

per  esempio,  il  passaggio  dal  senso  all'ultimo  grado 

*  Dici,  des  Scienc.  Phil.  —  WiLsr.  ffUt.  cit.,  voi.  lY. 

•  Dopo  gli  ultimi  studi  sul  cervello  ninno  dubita  osrjrimai  della  ne- 

cessità delle  varie  parti  cerebrali  nelle  funzioni  psicbicbe.  Cfr.  Flourkns, 

De  la  Pkrénologief  60.  ;  Pgjfeol.  comparhy  1865. —  H.  Tainb,  7>e  V  Intel- 

ligenee^  voi.  II,  llb.  I,  cap.  III.  —  Lauoel,  Probi,  de  V  Atne,  —  Litthé, 

Revue  de  Phil.  Potit.,  settembre  1868.  —  Consulta  anche  le  op.  «it.  di 

VuLPiAN  e  di  Lhuts. 

dell'  immaginazione,  cioè  all'  intendimento,  nonché  il 

passaggio  dall'intendimento  alla  ragione?  Fra  il  ter- 

mine sensato  dell'  intuizione  e  '1  fantasma  e'  è  un  abisso. 

Un  abisso  tra  il  fantasma^  tra  il  fantasma  anche  salito 

ad  universale  poetico^  ed  il  concetto.  Un  abisso  ancora 

fra  il-  concetto,  e  la  nozione,  l' idea,  V  universale  pro- 

priamente detto.  Bisogna  credere,  perciò,  che  dall' un 

gruppo  all'altro  di  funzioni  psichiche  non  esista  con- 

tinuità, ma  transito  ;  non  passaggio  immediato,  ma  in- 

tervallo. Or  bene,  come,  altro  che  per  miracolo,  l' una 

facoltà  potrebbe  trasformarsi  nell'altra?  Non  è  dunque 

la  facoltà  che  si  trasforma  e  diventa  ;  ma  è  lo  spi- 

rito che  si  forma,  che  si  determina  nel  multiplo  e  me- 

diante il  multiplo  delle  facoltà.  Laonde  attraverso  e  al 

disotto  a  questa  multiplicità  di  funzioni,  è  mestieri  sup- 

porre una  facoltà  madre  che,  come  facoltà  deUe  facoltà 

compia  i  diversi  passaggi  e  intervalli,  e  sia  come  il 

principio  dinamico  dell'organismo  psicologico.  Ma  di 

questo  faremo  parola  nel  prossimo  capitolo  dove  ricer- 

cheremo la  genesi  del  processo  psicologico.  Seguitiamo. 

Quel  che  s'è  dettò  del  processo  conoscitivo,  dicasi 

pure  del  processo  operativo  e  pratico  dell' organisriio  psi- 

cologico. Una  medesima  legge  governa  tanto  la  genesi 

del  conoscere,  quanto  quella  dell'operare.  I  diversi 

gradi  e  momenti  del  processo  operativo  rispondono  a' di- 

versi gradi  e  momenti  del  processo  conoscitivo.  L'operare 

infatti  è  determinato  dal  conoscere  per  necessità  tutta 

psicologica.  Come  dunque  potrebbe  non  riprodurre  la 

medesima  legge?  * 

*  Il  processo  pratico  suppone  il  teoretico,  stantechò  la  funzione  yo- 

litiva,  alla  quale  si  riferisce  ogn' altra  facoltà  d'ordine  operativo,  sia 

funzione  essenzialmente  secondaria.  Accenneremo  qui  i  diversi  passag^ 

di  questo  processo  secondo  i  tre  gruppi  (no««ey  oeU«,^oMe)  additatici  dal 

Vico;  ma  ci  ristringeremo  a  notarne  i  difTerenti  gradi  seguendo  l'ordine 

ascensi vo,  tuituraU  e,  per  cosi  dire,  cronologico. 

L  a)  Istinto  fisiolooigo.  —  Risponde  alla  Sensazione;  anzi  è  la 

sensazione  stessa,  ma  sotto  l'aspetto  riflesso,  attivo,  comecché  inco- 

sciente. In  esso  quindi  si  ripeton  le  medesime  condizioni,  non  altro  essendo 

fuorché  unità  incosciente  e  confusa  fra  Vagente  e'I  motivo  dell'azione. 

Additato  così  con  fuggevoli  tocchi  il  doppio  aspetto 

onde  risulta  il  processo  psicologico,  potremo  intendere 

ormai  quella  dottrina  del  nostro  filosofo  a  cui  più  di 

una  volta  venimmo  alludendo  nelP  abbozzar  la  storia 

della  Scienza  Nuova:  dico  la  dottrina  del  Vero  e  del 

Certo,  che  ha  riscontro  con  V  altra  della  Bagione  e  dd- 

VAidorità,  11  vero  è  produzione  di  Ragione;  il  certo  è 

produzione  d^ Autorità,^  Ma  come  nelP  ordine  conosci- 

b)  Istinto  uitano  (il  poste  del  Vico  nel  sao  primo  grado  empi- 

rico). —  Si  ripeton  le  condizioni  della  Percezione  sensata.  I  due  termini 

qui  cominciano  a  distingaersi  ;  ma  VigUnto  non  è  por  anche  desiderio. 

L'istinto  anche  qui  è  immohile,  è  cieco,  e  pnr  nonostante  è  umano.  Ed 

è  umano  principalmente  perchò  non  può  rimanere  istinto^  ma  dehb*  esser 

superato  dal  desiderio,  dee  diventar  desiderio. 

 

e)  Dbsidebio.  ~  Risponde  alla  Rappresentazione,  e  n'  è  T  attività. 

Il  motivo  dell*  azione  è  determinato,  particolare.  Quindi  fra  questo  motivo 

e  r  agente  havvi  necessità  empirica,  immediatezza. 

d)  Passignk.  —  Risponde  ai  primi  gradi  deirimmaginazione,  e,  come 

questa,  è  mobile  e  varia;  e  perciò  è  meno  indeterminata  che  non  sia  il 

desiderio.  Il  Desiderio  è  uno,'  la  Passione  ha  più  forme.  L'obbietto  che 

la  determina  non  è  il  particolare,  e  neanche  il  generale.  Appartiene  al- 

r  individuo  considerato  non  come  individuo,  ma  com'  elemento  di  società. 

Segna  dunque  un  passaggio  ;  il  passaggio  dal  desiderio  al  libero  arbitrio. 

II.  e)  LiBRRo  ARBITRIO. — L*  obbietto  è  generale,  astratto  ;  perciò  è 

più  mobile  della  Passione,  e  quindi  costituisce  il  passaggio  dalla  necessità 

empirica  alla  necessità  razionale  (libertà  volgarmente  intesa).  Risponde 

alla  Immaginazione  imitatrice  e  riproduttiice  eh*  è  tuttora  schiava  della 

natura;  al  modo  istesso  che  il  libero  arbitrio  è  dominato  da  un  motivo 

tuttora  eteronomo. 

/)  Dbtkrminazionk  (passaggio  del  libero  arbitrio  alla  Libertà).  — 

Risponde,  più  che  all'Immaginazione  (combinatrice),  alle  varie  forme  del- 

l' Intendimento.  Varietà  d*  obbietti. 

g)  SuK  DIVBRSR  POBMB  {contrarietàf  contraddizione j  dezione).  — 

Anche  qui  ha  luogo  un  processo  come  neU*  Intendimento.  L*  elezion  ra- 

zionale non  ò  più  libero  arbitrio,  ma  Libertà. 

III.  h)  Libertà.  —  È  determinata  dalla  Ragione  :  perciò  importa  la 

necessità  razionale.  Libertà  quindi  è  dovere  appunto  perchè  è  ragione. 

Ma  può  tornare  ad  una  delle  tre  forme  d'arbitrio,  stantechè  la  neces- 

sità, ond'è  signoreggiata,  sia  necessità  morale. 

»)  Personalità.  —  È  T  Autorità  che  si  converte  con  la  Ragione.  È 

il  risultato  del  processo  psicologico,  e  rappresenta  il  circolo  delle  facoltà 

perchò  le  suppone  tutte,  e  le  contiene  in  atto.  1&  dunque  la  circonfe- 

renza, cioè  rio  pienOf  attuale.  Qual  n*è  il  centro?  (Vedi  nel  Gap.  seg.) 

*  n  concetto  à^ÀtUorità  è  una  delle  idee  cardinali  dell'opera  sul 

Piritto   UniversaJle.   Noi'  qui  ne  parliamo  per  incidenza;  perchè  questa 

tivo  è  mestieri  che  il  vero  si  converta  col  fatto,  così  nel- 

r  ordine  pratico  il  certo  fa  d'uopo  che  si  converta  col 

vero.  In  altre  parole,  se  il  processo  teoretico  guardato 

psicologicamente  è  una  conversione  del  vero  col  fatto; 

il  processo  operativo,  al  contrario,  guardato  storica- 

mente, è  una  conversione  del  certo  col  vero.  La  rela- 

zione che  il  Vico  pone  tra  il  Vero  e  '1  Certo,  somiglia 

quella  che  nell'Aristotelismo  tiene  la  forma  verso  la  ma- 

teria, ma  considerata  nel  processo  isterico.  Risponde 

altresì  alla  relazione  eh'  egli  medesimo  scorge  tra  la 

filologia  e  la  filosofia.  La  filologia  porge  i  placiti  del- 

l' umano  arbitrio  (placita  humani  arbitri)  ;  la  filosofia 

indaga  i  principii  necessari  di  natura  (necessaria  na- 

turcey  Perciò][aiferma  :  «  La  Filosofia  contempla  la  Ra- 

gione onde  viene  la  Scienza  del  Vero:  la  Filologia 

osserva  V  Autorità  deW  umano  Arbitrio  onde  vien  la 

Coscienza  del  Certo.^n  Or  la  Ragione,  producendo  il 

dottrina  dovendo  esser  considerata  principalmente  sotto  T aspetto  istorico 

(nel  che  sta  tutto  il  suo  pregio  e  la  sua  norità),  dovrà  quindi  formare 

oggetto  d' interpretazione  e  dì  studio  nella  Sociologia.  Qui  dobbiamo 

avvertire  solamente  che,  quantunque  i  siguiiìcati  della  parola  Autorità 

pel  Vico  sian  diversi  (Autorità  polìtica,  religiosa,  monastica,  incononiica, 

civile  e  simili)  nullameno  tutte  le  specie  d'autorità,  chi  interpreti  bene 

la  sua  mente,  hanno  d' aver  per  fondamento  originario  queir An^ontò  alla 

quale,  propter  rerum  novitateìn^  ei  volle  dare  un  titolo  nuovo,  e  V  appellò 

AUCTOttlTAS  NATURALIS,  ACCTOEITAS   ì>tATURMj[De  Univ.   Jur.,   XCI).   PerciÒ 

la  definisce:  Humana:  natura:  proprietae  (Ib.  XC).  Perciò  non  dubita 

chiamarla  divina.  Perciò  la  designa  come  T  unità  vivente  delle  tre  fun- 

zioni costituenti  l' ordine  pratico  psicologico:  noBsCf  velie,  posse  (Ib.  XCU). 

Perciò,  finalmente,  la  dice  Suitas;  e  la  Suitas  nell'uomo  vale,  per  lui, 

ciò  che  in  Dio  VAseitas  (Ib.  XCUI).  Vedremo  altrove  esser  questa  una 

dottrina  originale  onde  l'autore  della  Scienza  Nuova  prevenne  la  moderna 

filosofia  del  Diritto.  Del  che  niuno  de'  critici  di  cui  parlammo  ha  avuto 

sentore,  tranne  il  Carmignani  e  l'Amari;  ma  l'uno,  come  dicemmo,  ne 

parla  superficialmente,  e  l'altro  in  senso  tutto  cattolico  e  tradizionale. 

*  De  Constantia  Jurispr.,  Proem.,  4. 

*  Sec.  Se.  Nuova,  lib.  I,  p.  98,  X.  — Si  noti  qui,  a  maggiore  schiari- 

mento del  metodo  vichiano,  che  la  Filosofia  è  quella  che  contempla,  e 

la  Filologia  quella  che  ossa-va.  Secondo  il  nostro  linguaggio,  quella  de- 

duce, e  questa  induce.  Or  la  Scienza  Nuova  non  fa  propriamente  l'una 

cosa,  né  l' altra.  Essa  pone  in  opera  entrambe  cotoste  funzioni,  e  le 

couipenctra  in  una  terza  che  dicemmo  essere  il  ma),àstoro  eduttivo. 

vero^  costituisce  il  processo  della  coscienza  ;  in  mentre 

che  r Autorità,  producendo  il  certo  e  legittimandosi 

nella  ragione,  forma  il  processo  dell'autocoscienza,  e 

partorisce  il  concetto  della  personalità  (Proprietas  sui; 

Suikis).  Sotto  l'aspetto  isterico,  perciò,  l'Autorità  è  il 

libero  arbitrio  che  diventa  libertà,  e  quindi  Ragione: 

sotto  l'aspetto  psicologico  è  lo  stesso  libero  arbitrio 

già  divenuto  ragione.  Ond'  è  che  come  il  certo  non  è 

il  vero  ma  una  parte  del  vero^  così  V  Autorità  non  è 

Ragione,  ma  è  partecipe  di  ragione.*  —  Che  cosa  è  da 

concludere  da  tutto  ciò  ?  Che  il  processo  pratico,  riguar- 

dato psicologicamente,  comincia  là  ove  finisce  il  teore- 

tico. Questo,  infatti,  s' inaugura  col  senso,  e,  sempre  più 

ascendendo,  si  risolve  nella  ragione.  Quello,  invece,  move 

dalla  ragione  avvisata  come  semplice  colioscere,  e,  tran- 

sitando pel  volere,  finisce  nel  potere;  ma  nel  potere 

divenuto  già  attività  concreta,  piena,  reale,  vivente, 

stantechè  il  libero  volere  importi  la  ragione.  Che  se 

tra  conoscere  ed  operare,  fra  coscienza  e  autocoscienza, 

0  (per  usare  il  linguaggio  del  nostro  filosofo)  tra  Ra- 

gione e  Autorità,  fra  il  Vero  e  il  Certo  e  tra  filosofia 

e  filologia  havvi  un  processo;  è  necessaria,  è  inevitabile 

una  conversione  fra'  due  termini.  Dunque  1'  Autorità 

devesi  poter  elevare  a  dignità  di  Ragione;  al  modo 

istesso  che  la  ragione  operativa  debbe  aver  coscienza 

di  sé  medesima  anche  come  ragion  conoscitiva.  Or  che 

è  ella  mai  cotest'  Autorità  convertitasi  in  ragione  se 

non  l'autocoscienza?  E  non  è  appunto  quest'Autorità 

autocoscente  quella  che,  assolvendo  l' uno  e  l' altro  pro- 

'  Ut  autem  VBRUM  constai  RATiONE,  ita  criltuu  nititur  auotoritate, 

vd  noHra  $en»uum  quat  dicitur  aUTO^i'a,  vel  aìtorum  dicti»,  qua  in  tpeei^e 

dicitur  AUOTORlTAS,  cx  quorum  alterutra  naicitur  PRRSCASIO.  Sed  ipta  aucto- 

RITA8  e«t  ^ar»  ^rwofrfam  RATiONis.  {De  Univ.  Jur.y  Proloq.,  7.)  Vedi  le  di- 

verse applicazioni  del  Vero  e  del  Certo:  (Ibi,  LXXXII,  LXXXJII,  OLII,  5.) 

Il  primo  scolare  del  Vico.  Emanuele  Dani,  come  arrertimmo,  fin  dal  se- 

colo passato  colse  giusto  in  questa  dottrina  del  suo  maestro,  massime 

quant*  al  valore  e  alla  relazione  de'  suddetti  concetti.   (Tedi  Saggio  di 

Oiuriprndenza    Unirrr^aU,  ed.   cit.,  p.  CVIII). 

cesso,  costituisce  l'essere  veramente  umano  (universale)? 

E  che  cos'  è  l' ente  umano,  che  cos'  è  VHumaniiaSj  per 

cui  l'individuo  è  davvero  individuo,  subbietto  verace- 

mente universale,  fuorché  la  personalità?  E  che  cos'è 

la  persona  se  non  queir  unità  vivente  e  operante  del 

triphce  diritto  originario  (tutèla^  dominio  e  libertà)  nella 

quale  s' incarna  e  s' impersona  la  triplice  funzione  del 

Potere,  del  Volere  e  del  Conoscere?* 

Col  concetto  su  la  relazione  fra  il  processo  conosci- 

tivo e  '1  processo  operativo  dell'organismo  psicologico 

il  Vico  non  solo  previene  l' esigenza  Kantiana  del  dop- 

pio ordine  di  ragione,  ma,  che  più  monta,  la  supera. 

La  previene  distinguendo  la  Ragion  pura  (Batio)  dalla 

Ragion  pratica  (Autoritas).  E  dovea  distinguerla,  per- 

chè i  due  processi  conoscitivo  e  pratico,  tuttoché  for- 

manti unico  organismo,  hanno,  come  s' è  visto,  origine, 

natura,  e  andamento  diverso.  La  supera  poi,  in  quanto 

che  scorge  la  conversione  (ripetiamolo)  non  pur  fra 

l'una  e  l'altra  ragione,  ma  eziandio  nell'una  e  nell'altra 

guardate  ciascuna  in  sé  stessa.  Come  processo  conosci- 

tivo la  Ragione  dee  convertirsi  con  sé  stessa;  e  non 

potrebbe,  ove  non  divenisse  anche  Autorità.  Come  pro- 

cesso pratico  l'Autorità  non  potrebbe  neanch' ella  con- 

vertirsi con  sé  medesima,  s'  ella  stessa  non  divenisse 

Ragione.  Li  altre  parole:  il  conoscere  non  potrebb' es- 

ser vero  conoscere,  ove  non  fosse  un  processo,  una  con- 

versione de'  tre  gruppi  di  funzioni  teoretiche  innanzi 

discorse.  L'operare  non  sarebbe  vero  operare,  se  an- 

ch'egli  non  fosse  una  conversione  de'  tre  gruppi  delle 

funzioni  operative.  Finalmente  il  processo  conoscitivo 

*  De  Univ.  Jur.  LXXXVl,  XC,  XCII.—  Di  qui  nasce  il  concetto  del 

gitu  e  della  libertà  secondo  le  dottrino  Yichiane,  come  altrove  mostre- 

remo. Ma  già  i  lettori  prevedono  qnal  uso  noi  saremo  per  fare  di  cotesta 

dottrina  nelle  questioni  polìtiche,  giuridiche,  religiose  e  pedagogiche. 

Posto  il  concetto  àdV Auctoritcu  naturalU^  e  dell*  Autorità  in  generale 

come  particeptf  RaHonUy  cioè  come  facoltà  che  devesi  convertire  con  la 

Ragione,  ognuno  saprà  argomentare  qual  valore  giuridico  abbian  per 

noi  r  autorità  politica  e  1*  autorità  religiosa  nelle  teoriche  sociologiche. 

 

 

 

e  '1  processo  operativo  non  sarebbero  tali,  ove  non  fos- 

sero essi  stessi  una  conversione  tra  se  medesimi.  Così  il 

circolo  è  compiuto;  e  così  rimane  sbandita  ogni  maniera 

di  dualismo  e  di  formalismo  nel  regno  della  psicologia. 

Or  la  mancanza  di  processo  è  precisamente  il  tarlo 

che  rode  le  dottrine  del  Kant.  Posto  il  noumeno  come 

un'incognita,  posta  la  conoscenza  com'una  specie  di 

combaciamento  meccanico  anziché  come  processo  dina- 

mico del  fatto  con  l'idea  e  della  materia  con  la  forma; 

non  poteva  non  chiudersi  ogni  via  per  intendere  il  fe- 

nomeno, e  salvarsi  dal  cadere  in  quella  specie  di  scetti- 

cismo metafisico  del  quale  altrove  toccammo  (p.  238). 

Senza  esempio  nella  storia  della  filosofia  egli  dimostra 

la  necessità  di  certe  condizioni  superiori  all'  esperienza 

nel  fatto  del  conoscere.  Ecco  la  massima  sua  gloria.  Ma 

non  perviene  a  spiegar  cotesto  fatto,  perchè  non  giunge 

a  risolvere  il  dualismo  tra  la  sensibilità  e  l' intelletto 

col  discoprirne  il  germe  comune  eh'  egli  stesso  )ion  du- 

bita chiamare  sconosciuto.^  D'altra  parte,  dal  disegno 

della  Critica  della  Ragion  Pura  egli  trae  quello  della 

Critica  della  Ragiofi  Pratica,  Nell'una  move  dal  senso, 

e,  attraverso  l' intendimento,  giugne  alla  ragione.  Nel- 

r  altra  tiene  un  cammino  opposto,  perchè  dal  concetto 

di  libertà  scende  nelle  facoltà  inferiori.  Or  1'  errore 

non  istà,  certo,  in  questo  cammino,  in  questo  circolo  ; 

ma  piuttosto  nell'  aver  interrotto  cotesto  circolo.  Donde 

avrebbe  dovuto  partire  nell'  organar  1'  edifizio  della 

Ragion  Pratica  ?  Precisamente  da  quel  punto  ove'  pon 

termine  la  Ragion  Pura,  Egli  invece  fa  un  salto;  salto 

mortale;  perchè  voltando  le  spalle  alla  ragion  pura  (né 

poteva  altrimenti),  si  basa  nel  concetto  di  libera  cau- 

salità.* Ov'  è  dunque  il  processo  fra  l' un  ordine  e  l' al- 

tro? Ov'  è  r  unità,  r  organismo  del  circolo  psicologico? 

Nella  distinzione  Kantiana  e'  è  del  vero.  Ed  è  che 

la  Ragion  Pura  è  facoltà  passiva  in  quanto   ha  per 

*  Kant,  Orit,  de  la  Raiaon  Aire,  p.  57,  terza  ed.,  Tissot. 

>  Idem,  Crit.  de  la  Maieon  Pratique^  p.  98,  220, 

termine  il  fenomeno,  tuttoché  s'  addimostri  attiva  nel 

concepire  e  disporre  e  costruir  questo  fenomeno  me- 

diante quella  mirabile  tela  delle  categorie.*  La  Ragion 

pratica,  al  contrario,  è  profondamente  attiva,  stante- 

che  con  r  atto  del  puro  volere  ella  ponga  il  noumeno^ 

Se  non  che  il  grand'  uomo  non  vide  che  né  la  Ragion 

pratica  è  assolutamente  attiva,  né  la  Ragion  pura  è 

assolutamente  passiva.  Il  conoscere,  certo,  serba  carat- 

tere di  passività  ;  non  altrimenti  che  V  operare  ha  ca- 

rattere d'  attività.  Ma  sono  tali  in  modo  relativo.  Sono 

tali,  cioè,  in  quanto  T  ordine  pratico  sopravviene  a 

compiere  il  teoretico,  non  già  nel  senso  che  nel  se- 

condo abbiasi  a  conseguire  ciò  eh' è  riescito  impossibile 

nel  primo,  vo'dir  la*  posizione  del  noumeno.  Che  cos'è 

infatti  cotesto  noumeno  nell'ordine  pratico?  Perchè  la 

Ragion  pratica  s'  ha  da  porre  qual  puro  volere,  cioè 

com'un  fatto  a  priori?  Insomma,  che  cos'è  questo  ro- 

lere  che  vuole  sé  stesso? 

A  tal  grave  quesito  il  Criticismo  non  risponde,  checché 

ne  abbia  detto  poco  fa  uno  della  scuola  della  Morale  In- 

dipendente che  in  ciò  crede  poter  ormeggiare  il  filosofo 

prussiano.  Che  anzi,  se  la  legge  morale  procede  dalla  li- 

bertà come  volontà  indipendente  e  superiore  a  qualsi- 

voglia motivo,  cioè  come  autonomia  che  trascenda  ogni 

eteronomia;  è  da  confessare  che  un  principio  siffatto  è 

condizione  ni  tutto  subbiettiva,  e  quindi  sorgente  mu- 

tabile appunto  perchè  assolutamente  libera.  Un  atto 

assofuto  di  volere,-  il  volere  come  volere,  io  non  l'in- 

tendo. Non  intendo  il  voglio  perchè  voglio^  giusto  perchè 

non  capisco  un  atto  che  sia  razionale  e  insieme  scisso 

e  quasi  staccato  dalla  ragion  pura.  Brevemente:  non 

intendo  una  Ragion  pratica  che  non  sappia  né  possa 

convertirsi  con  la  Ragion  teoretica.''  Se  la  radice  del 

*  Kant,  Orìt,  de  la  liaison  Pure,  ed.  cit.,  p.  158  e  segg. 

*  Idem,  Orit,  de  la  Raiaon  Pratique,  cap.  II,  p.  325. 

*  Secondo  il  Kant  la  Ragion  pura,  oltr'  esser  fornita  dell*  uao  tpe- 

culiiivoy  ha  eziandio  un  tntereaae  pratico  ;  il  quale  consiste  semplicemente 

dovere  sta  nel  sapere;  la  volontà  di  sua  natura  sarà 

sempre  una  funzione  secondaria,  non  mai  primaria  :  si 

che,  ove  nel  processo  istorico  si  svolga  da  sé,  in  tal  caso 

ella  si  determina  non  già  come  libertà,  ma  come  potere, 

come  desiderio,  come  passione,  come  libero  arbitrio. 

Laonde  se  il  filosofo  prussiano  sente  la  necessità  d' un 

reale  nel  suo  formalismo  critico,  cotesta  necessità  per  lui 

non  può  racchiudere  il  vero  concetto  del  dovere,  perchè 

importa  una  tendenza  cieca.  Non  è  dunque  un  atto  etico 

veramente  detto,  ma  un  bisogno  assolutamente  empirico. 

Dal  che  si  vede  agevolmente  non  essere  al  tutto  vero  ciò 

che  aflFermano  due  serie  di  critici  rispetto  alla  natura 

de'  due  ordini  di  ragioni  poste  dal  Criticismo.  Alcuni 

credono  esserci  contradizione  perchè,  mentre  Ja  Ragion 

pura  è  indirizzata  solamente  (tuttoché  con  artifizio  for- 

male) a  regolare  V  esperiènza,  la  Ragion  pratica,  invece, 

è  destinata  a  ricostruire,  a  costituire;  e  costruisce  mercè 

la  posizione  del  noumeno,  del  libero  volere,  reintegrando 

siffattamente  i  postulati  distrutti  nell'ordine  teoretico. 

Altri  pensano,  fra*  quali  Spaventa,*  che  la  contraddi- 

zione non  istia  già  fra  le  due  Ragioni,  ma  in  ciascuna 

d'esse.  Per  noi  è  vera  l'una  e  l'altra  sentenza,  ma  in 

questo  senso;  che  la  contraddizione  del  Criticismo  non 

istà,  come  abbiam  detto,  nel  porre  due  sfere  diverse  di 

ragioni;  due  ordini  di  processi  psicologici,  ma  si  nel 

non  aver  risoluto  nessun  de'  due.  La  contraddizione 

esiste  non  pure  in  ciascuna  delle  due  sfere,  ma  anche 

tra  l'una  e  l'altra  ad  un  tempo;  con  la  differenza,  che 

nell'  un  caso  eli' è  essenziale,  dovechè  nell'altro  è  secon- 

daria. Togliete  quella,  e  avrete  insieme  levato  questa. 

Togliete  il  dualismo  e  '1  formalismo  nella  Ragion  pura, 

avrete  parimente  riparato  al  formalismo  e  al  dualismo 

della  Ragion  pratica.  Perciò  sommettete   a  processo 

nel  determinaref  non  già  ne)  eogtituire  la  Ragion  pratica.  (Ibi,  p.  825.) 

La  Ragion  pura  pratica  »i  eoHituiace  da  «2.  Ecco  il  grave  difetto  del 

Kantismo  nell* ordine  morale. 

«   FU,  di  Kant  e  «uà  relaxione  coUa  FU,  /tal.,  Torino,   1860,  p.  67. 

Puna  e  1'  altra,  e  avrete  schivata  la  contraddizione;  e 

invece  delle  Idee  sulla  Storia  Universale^  idee  che  paion 

come  disorganate,  avrete  l'organismo  della  Scienza 

Nuova.^  Or  la  contraddizione,  che  per  tre  divers^e  ma- 

niere offende  il  Criticismo,  potrà  essere  tolta  unicamente 

quando  dalla  dualità,  onde  non  si  potè  liberare  il  Kant, 

sappiasi  risalire  all'  unità  sua.  Qual  sia  questa  radicale 

unità  da  cui  move,  ed  alla  quale  ritoma  il  processo 

psicologico,  diremo  fra  poco.  Torniamo  al  Vico. 

La  Ragion  pratica,  l'Autorità,  VAuctorUas  naturalis^ 

che  per  lui  costituisce  la  base  del  processo  pratico  in 

tutt'e  tre  i  momenti  in  che  questo  si  svolge,  non  è  già 

un  primo  staccato  da  un  altro  primo  al  tutto  formale, 

ma  è  un  secondo  che  si  converte  con  un  primo^  e  per 

tale  conversione  formano  entrambi,  anziché  dualità  ir- 

resoluta, unidualUà,  Per  l'Autore  della  Scienza  Nuova  la 

ragione,  in  quanto  ragione,  è  una  non  due,^  Non  due 

perciò  le  sorgive  onde  rampollano  i  ragionamenti  ;  bensì 

*  Il  significato  della  storia  pel  Kant  si  riduce  a  questo.  Come  gli 

uomini  si  son  costituiti  in  società  per  ischivar  la  guerra,  cosi  tutt*  i 

popoli  tendono  a  stabilirsi  in  federazione  universale  {Idée  de  eeque  pour- 

rait  ètre  Vhiètoire  universelle  dana  le»  vuee  d^n  eitoyen  du  monde,  1784). 

La  P  sentenza  è  un  errore  degno  degli  Hobbesiaui:  la  2"  è  un'utopia 

la  quale  partorisce  1*  altra  della  Pctce  universnlcf  e  V  altra  ancora  d*  una 

Chiena  filoeofica  il  cui  fine  dovrebb'  esser  quello  di  sorvegliare  alla  mo- 

rale del  genere  umano  (Vedi  nella  Relig,  dana  lee  lim.  de  la  raiwn).  Sennon- 

ché è  impossibile  spiegar  la  stona  col  porne  V  origino  in  una  condizione 

accidentale,  in  una  necessità  euipirica  qual'  è  appunto  la  guerra.  II  fatto 

isterico  può  essere  spiegato  col  risalire  alle  leggi  psicologiche,  e  scoprirne 

il  processo.  Or  poteva  egli,  il  Kant,  prefiggersi  tal  fine  s*  ei  non  seppe 

levare  il  dissidio  fra  le  due  Ragioni  e  mostrarne  la  conversione  V  Da  ciò 

anche  dipende  quel  proporre,  air  attuazione  del  progresso,  mezzi  affatto 

artiflziali  com'è  la  federazione  universale,  la  chiesa  filosofica,  e  simili. 

*  «  Con  lo  apiegarai  delle  umane  idee^  i  fatti,  i  diritti  e  le  cose  umane 

si  andaron  sempre  più  dirozzando,  prima  dalla  acrupoloaità  delle  auperatì- 

zioni,  poi  dalla  aolennità  degli  atti  legittimi  e  dalle  angustie  delle  parole, 

finalmente  da  ogni  eorpìdenxa;  per  ridursi  al  loro  puro  e  vero  principio 

che  è  loro  propria  aoatanza.  *  Or  qual  è  questa  aoatanza  propria,  qual  è 

questo  principio  vero  e  puro  àe^ fatti  e  de'  diritti  umani^  eh'  è  dire  del- 

l' ordine  pratico?  È  la  aoatanza  umana,  la  noatra  volontà  determinata 

dalla  noatra  mente  con  la  Forza  del  Vrbo  che  ai  chiama  Coscienza. 

{Prima  Se.  Nuova,  lib.  II,  p,  44-5.) 

due  le  maniere  del  ragionare.  Di  fatto,  se  lo  spirito  in 

quant'  è  conoscere  (Batio)  produce  il  vero  e  dà  la  scienza  ; 

e  in  quant'  è  operare  (Auctoritds)  produce  il  certo  e  cosi 

esplica  e  conferma  la  prima,  ovvero  la  prenunzia  e  Y  an- 

ticipa ;  ne  viene  che  tra  Y  ordine  teoretico  e  Y  ordine 

pratico  una  conversione  è  necessaria.  In  che  risiede 

r  intima  natura  della  volontà?  Intelletto  e  volontà,  nel- 

r  ordine  psicologico  spontaneo,  hanno  radice  comune: 

per  cui  se  r  atto  del  volere  non  è  propriamente  atto 

d' intendere,  e  nondimeno  lo  sforzo  d' intendere  :  è  lo 

stesso  conoscere,  ma  in  quanto  si  realizza  come  Ragione 

universale,  come  operare  umano,  autonomo,  razionale. 

La  ragione  dunque  è  facoltà  di  conversione  per  eccellen- 

za ;  e  quindi  lo  spirito  dee  conformarsi  al  naturale  ordin 

delle  cose.  E  che  è  mai  il  naturale  ordin  delle  cose?  È 

la  Datura,  l'essenza,  il  valore,  l' essere  stesso  delle  cose.* 

Ora,  conformarsi  all'essere  delle  cose,  non  vuol  dire 

convertirsi  con  lui,  diventar  lui?  Col  concetto  d' ordine 

adunque  il  Vico  determina  la  natura  non  del  solo  co- 

noscere ne  del  solo  operare,  ma  la  natura  d' entrambi; 

cioè  della  Ragione  vivente  e  concreta;  della  Ragione  co- 

mune, universale,  imiana.  La  quale,  supponendo  già  il 

concetto  d'ordine,  cioè  dire  supponendo  il  processo 

Qpnoscitivo,  importa  anche  il  processo  operativo  come 

risultato  necessario  dell'  essenza  umana.* 

*  Con/ormatìo  eum  ipso  ordine  rerum  e$t  et  dicitur  batio.  {De  Univ, 

Jur.^  Proem.j  7.)  Questa  con/ormatio  mentis  suppone  già  il  processo  cono- 

scitÌTO,  e  quindi  il  criterio  della  Convernone  del  vero  col  fatto.  Ella  dunque 

è  risultamento  delle  funzioni  teoretiche,  e  insieme  principio  delle  fun- 

zioni pratiche.  È  la  sostanza  umana  determinata  con  la  Forza  del   Vero. 

*  Il  Rosmini  nella  FU.  del  Diritto  (voi.  I,  sez.  II,  X)  fa  la  critica 

del  concetto  d*  ordine  com'  è  inteso  dal  Vico.  Il  Finetti  area  fatto  lo 

stesso  fin  dal  secolo  scorso  nelle  sue  polemiche  col  Dnni  e  col  Concinna. 

{De  Prineip.  Jur.  ec,  tom.  II,  cap.  VI.)  Ma  né  V  uno  nò  1* altro  s*è  accorto 

come  la  facoltà,  che  per  Vico  dee  conformarsi  air  ordine  naturale,  non  sia 

il  puro  conoscere  e  neanche  il  solo  operare;  cioè  non  la  Ratio  e  nemmanco 

VAuetoritas,  ma  la  Ragione  per  eccellenza,  la  Ragione  in  quant' è  risultato 

finale  e  quindi  princìpio  del  doppio  processo  psicologico.  £  la  ragione,  in- 

somma, in  quanto  è  conversione  essenziale  con  la  natura,  con  la  storia, 

con  lo  Stato,  col  supremo  suo  fine,  e  della  quale  il  Duni  dice  che  dove 

Concludiamo  quant'  al  processo  pratico.  La  ragion 

pratica  non  contraddice  alla  teoretica.  Intanto  eli' è 

pratica,  in  quanto  è  comando  ;  ma  è  comando  della  ra- 

gione fondata  nel  concetto  del  fine  razionale,  che  vuol 

dire  d' un  fine  il  quale  iraponesi  come  legge,  e  perciò 

come  imperativo.  Cotesto  fine  imperante,  manifestato  o 

imposto  dalla  ragione  (e  tutto  ciò  per  noi  è  ragion 

pratica),  inevitabilmente  importa  la  necessità  etica,  il 

cui  soggetto  è  la  volontà:  ond'  è  che  tra  la  volontà  e  il 

suo  fine,  eh'  è  appunto  il  bene  morale,  òorre  una  sin- 

tesi necessaria.  Che  se  l' imperativo  per  Kant  è  la  stessa 

volontà  in  quanto  è  libera  da  ogni  movente  particolare 

e  d'ogni  particolare  interesse;  anche  per  noi  cotesto  im- 

perativo è  il  volere  libero  da  ogni  qualunque  motivo, 

meno  da  quello  che  scende  dalla  ragione,  o  per  mezzo 

della  ragione;  ma  di  quella  ragione  pura  o  conoscitiva 

la  quale,  essendo  il  vero  convertentesi  col  fatto,  intende 

e  legittima  il  fenomeno.  Fra  lei  e  '1  noumeno  non  esiste 

un  abisso,  com'  è  pur  troppo  pel  Criticismo.  E  in  questo 

senso  non  ha  torto  Hegel  d'affermare  che  libertà  è 

ragione,  e  ragione  è  libertà.  Il  motivo  dell'  azione,  in- 

fatti, è  intrinsecato  con  la  ragione;  scaturisce  non  già 

dall'  estemo,  come  incontra  nelle  azioni  di  natura  mec- 

canica, ma  dall' intemo.  L'agente  dunque  è  razional- 

mente libero;  e  però  è  liberamente  necessario.  Il  per- 

chè se  una  sintesi  necessaria  annoda  il  volere  col  suo 

fine,  è  pur  mestieri  che  la  volontà  si  converta  con  la 

ragione,  e  produca  la  virtù.  Così  nella  sfera  pratica, 

non  diversamente  che  nella  teoretica,  il  criterio  è 

sempre  il  medesimo  :  la  conversione  del  vero  col  fatto, 

eh'  è  dire  della  legge  con  la  volontà.  E  poiché  la  legge 

neir  ordine  etico  partorisce  il  dovere,  e  la  volontà  nel- 

r  ordine  giuridico  produce  il  diritto;  perciò  accade  che 

la  Morale,  nella  dottrina  del  nostro  filosofo,  deve  stare 

al  Diritto  cosi  come  il  vero  sta  al  fatto,  come  la  Ra- 

non  c'^  uniformaziont,,  non  e'?  ragione,  (Vedi  noi    Saggio  di   Giuritprw 

denzn   Umvermle^  ediz,  cit.:  voi.  cit.  Gap.  VI.> 

gione  air  Autorità.  Sono  due  sfere  di  fatti  diversi;  due 

ordini  di  scienze  differenti  per  origine,  e  per  applica- 

zione. Il  Diritto  non  iscaturisce  dalla  Morale,  ne  tam- 

poco la  Morale  potrà  emerger  dal  Diritto.  Se  cosi  fosse, 

l'una  di  queste  scienze  annullerebbe  l'altra,  assor- 

bendola. Esse  dunque  non  s'identificano,  ma  si  con- 

vertono.* 

Tal  si  è,  come  rapidamente  l'abbiamo  descritto,  l'or- 

ganismo psicologico  ne'  suoi  elementi  e  nella  sua  natura. 

Ma  quest'  organismo  può  e  debb'  esser  considerato  ri- 

guardo a  due  soggetti,  che  sono  l'individuo  e  la  specie, 

cioè  dire  psicologicamente  e  storicamente.  Nell'individuo 

ci  è  dato  studiarlo,  come  chi  dicesse,  nella  condizione 

statica,  cioè  nel  suo  equilibrio,  nella  sua  compiutezza, 

a  cagione  delle  mutue  relazioni  onde  i  due  processi  ri- 

chiamansi  a  vicenda.  Psicologicamente,  infatti,  il  pen- 

siero inaugura,  determina  e  compie  il  processo  pratico. 

Lo  inaugura  come  senso  in  quanto  eccita  il  potere:  lo 

determina  come  rappresentazione,  immaginazione,  in- 

tendimento che  sveglia  e  sprona  il  volere:  lo  compie, 

finalmente,  come  ragione,  la  quale  costituisce  l'essenza 

stessa  della  libertà.  La  Ragione  dunque  è  l'atto,  la 

forma  dell'Autorità;  come  l'Autorità  è  la  potenza  e  la 

materia  della  Ragione.*  Io  voglio  ed  opero  perchè  cono- 

sco :  né  per  altro  potrò  conoscere  se  non  perchè  debbo 

operare.  La  ragion  del  volere  pone  sua  radice  nel  cono- 

scere ;  come  la  ragione  e  '1  fine  del  conoscere  altro  po- 

trebb'  esser  che  Y  operare.  Chi  vuol  conoscere  per  cono- 

scere è  un  mezz'  uomo.  E  la  scienza  per  la  scienza  è 

frase  ch'io  non  intendo,  come  non  la  intendeva  nem- 

meno Aristotele.^  I  due  processi,  adunque,  ne'  quali  si 

sdoppia  e  determina  l' organismo  psicologico  nell'  indi- 

viduo, s' importano  a  vicenda,  e  tutt'  insieme  compon- 

•  Sotto  il  rapporto  psicolosrico  può  dirsi,  come  più  d*una  volta  ar- 

verte  il  nostro  filosofo,  che  ex  Rottone  Auctontas  ipm  orta  ett.  (De  Univ. 

Jur.,  XCIV.) 

*  Rayaisson,  Em,  9ur  la  Mitaph.  ec.  T.  I,  1.  T,  cap.  II. 

gono  un  sol  circolo.  In  questo  circolo  per  1'  appunto  sta 

l'autogenesi  dello  spirito. 

Al  contrario  nella  storia,  che  vuol  dire  nella  specie 

avvisata  come  un  individuo  attraverso  il  tempo,  l'orga- 

nismo psicologico  ci  è  dato  considerarlo  quasi  in  via 

di  formazione,  cioè  sotto  il  rapporto  dinamico,  e  perciò 

nelle  condizioni  del  movimento.  Avviene  infatti'  in  que- 

st'ordin  di  cose  quel  che  la  scuola  di  Lamarck  pen- 

sava del  regno  zoologico.  Nell'organismo  compiuto,  nel 

mammifero,  ci  è  tutta  la  scala  zoologica,  ma  in  atto; 

al  modo  istesso  che  nelle  differenti  specie  d'organismi 

inferiori  abbiamo  l'organismo  perfetto,  ma  come  squa- 

dernato nella  successione  seriale  de'  diversi  momenti 

del  suo  sviluppo.  Se  questa  dottrina,  secondochè  al- 

trove diremo,  non  è  al  tutto  vera  in  ordine  alla  storia 

naturale,  è  verissima  nella  storia  umana.  La  condi- 

zione statica  non  può  verificarsi  nell'  ordine  de'  fatti, 

massime  de' fatti  storici.  Nel  regno  della  realtà,  anziché 

quiete  ed  equilibrio,  tutto  è  moto  incessante,  sviluppo, 

attrito,  disequilibrio  perpetuo:  onde  la  Statica  sociale 

de'  Sociologisti  non  è  che  un'  astrazione  del  pensiero.  Il 

processo  psicologico  adunque,  avvisato  staticamente,  è 

tipo,  è  realtà  compiuta,  alla  quale  c'innalziamo  scru- 

tando la  natura  dell'individuo,  investigando  le  leggi  della 

psicologia.  Un  processo  psicologico  in  via  di  formazione 

non  è  altrimenti  Statica,  ma  Dinamica.  Ora  il  processo 

psicologico  è  r  atto,  il  tipo  del  processo  isterico;  e  quindi 

vana  impresa  è  il  pretendere  d' imprimer  ÌForma  di 

scienza  alla  storia,  senza  porvi  a  fondamento  imme- 

diato la  psicologia.  La  storia  non  fa  che  ripeter  la 

psicologia;  ma  al  modo  che  la  circonferenza  ripete  il 

centro.  Che  è  mai  la  circonferenza  fuorché  lo  stesso 

centro  considerato,  direbbe  il  Gioberti,  fuori  di  sé?  Tal 

è  la  specie  rispetto  aU'  individuo  ;  tal  si  é  pure  la  storia 

di  fronte  alla  psicologia.*  Ciò  che  nell'  una  si  compie 

*  Vedi  le  belle  riflessioni  del  Noubisson  in  proposito.  (La  nature 

humainef  Ess.  de  Fsycol.  appliquée,  Paris  1865,  p.  431  e  se^g.) 

attaraverso  lunghi  secoli,  nell'  altra,  cioè  nell'  individuo, 

s' assolve  attraverso  una  serie  d' anni  e  di  differenti  età. 

E  ciò  che  sono  i  secoli  per  la  storia  e  gli  anni  e  le 

diverse  età  per  l' individuo,  sono  per  la  coscienza  at- 

tuale que'  diversi  momenti  necessari  aftinché  ella  possa 

recare  in  atto  la  doppia  fimzione  del  conoscere  e  del- 

l' operare. 

Ma  per  quante  sian  le  differenze,  la  legge  è  sempre 

una;  non  essendo  possibile  che  le  note  essenziali  alla 

specie  manchino  ai  membri,  manchino  agli  elementi  di 

essa,  ciò  è  dire  agP  individui.*  Perciò  nella  storia  tanto  il 

processo  teoretico  quanto  il  processo  pratico  s'inau- 

gura cod  come  nell'  individuo.  U  senso,  lo  vedremo  in 

altro  luogo,  sale  a  ragione  attraverso  le  funzioni  in- 

termedie dell'immaginazione  e  dell'intendimento.  Il 

potere,  l'istinto  (il  che  verificheremo  nella  sociologia) 

assume  valore  di  Ubertà  mercè  la  successione  delle 

moltiplici  forme  cui  soggiaccion  le  passioni  e  le  deter- 

minazioni del  libero  arbitrio,  e  siffattamente  crea  il 

Diritto  e  lo  Stato.  Così  la  storia  è  una  correzione  lenta 

ma  incessante,  ma  progressiva  di  due  forze  che  mai 

non  posano,  Autorità  e  Rag^ne.*  La  molla  occulta  del- 

*  Ce  qui  9e  paage  dan»  Vévolvtion  4e  Vindividu  est  la  tacine  de  ce  qui 

se  passe  dans  VévoìuHon  de  Vétte  eoUectii*.  (Littbé,  PatoUs  de  Phil.  Posit. 

2*  ed.)  Ognan  vede  che  questo  principio  non  è,  come  ci  dicono  i  Po- 

sitivisti di  Francia,  una  loro  invenzione  peregrina.  È  uno  de*  con- 

cetti fondamentali  della  Scienza  Nuova;  ed  è  insieme  la  correzione 

del  Comtismo,  per  la  ragione  più  volte  rammentata  che  la  psicologia 

pel  Vico  non  iscatnrìsce  dalla  storia,  ma  è  anzi  la  storia,  cioè  la  scienza 

istorica  quella  che  dee  tórre  a  modello,  a  criterio  la  psicologia. 

*  Tutte  le  opere  del  Vico  sono  una  dimostrazione  continua  di 

quésto  concetto.  Lasciando  delle  facoltà  d*  ordine  conoscitivo,  basta 

meditare  le  diverse  forme  attraverso  cui  procede  VAutotità,  per  vedere 

come  davvero  ella  sia  potenzialmente  ragione.  Vi  è  progresso,  per  dime 

un  esempio,  fra  le  tre  forme  d*  autorità  monasHcOf  economica  e  eivUe  (De 

Univ.  Jut.  LXXIII  e  segg.)  ;  e  vi  ò  progresso  nella  storia  dell*  autorità 

considerata  nelle  diverso  maniere  del  reggimento  politico  {Ptima  Se,  Nuova, 

p.  IH  e  segg.  —Sec.  Se.  Nuova,  p.  236,  342  e  segg.,  471,611  e  segg.) 

Scoprire  la  conversione  dell'  Autotità  con  la  Ragione,  è  una  delle  sue 

principali  esigenze,  e  quindi  uno  de'  precipui  aspetti  della  Scienza  Nuova. 

r  umano  progredire,  infatti,  sta  nella  faticosa  conver- 

sione d' entrambe.  Perchè  sé  la  storia  è  la  vita  del  ge- 

nere umano,*  il  processo  di  questa  vita,  lo  svolgimento  di 

quest'organismo  altro  non  potrà  essere  fuorché  il  ridursi 

di  quella  dualità  a  valore  d' unità.  Il  processo  istorico 

adunque  non  fa  che  ripetere,  ma  sotto  forme  sempre 

diverse,  il  processo  psicologico  :  talché  se  la  psicologia, 

come  ha  detto  il  Michelet,  é  quasi  la  storia  in  miniatura, 

cioè  la  storia  come  raccolta,  adunata  e  quasi  concen- 

trata in  un  sol  punto;  la  storia  alla  sua  volta,  secondo 

l'osservazione  altrove  accennata  del  Cattaneo,  altro  non 

sarà  che  la  psicologia  stessa  in  più  vaste  proporzioni,  e 

sotto  aspetti  molteplici  e  svariatissimi.  Ma  quel  punto, 

quel  centro  (ripetiamo  la  figura),  vai  tutta  la  circonfe- 

renza; vai  più  che  la  circonferenza.  Se  la  psicologia 

infatti  nasce  dalla  storia,  chi  vorrà  dire  che  la  prima 

non  possa  essere  altro  fuorché  una  semplice  appendice 

della  seconda?  La  psicologia  è  superiore  alla  storia, 

come  il  presente  è  superiore  al  passato.  E  le  leggi 

psichiche  sono  anteriori  a  quelle  del  fatto  istorico,  al 

modo  istesso  che  il  criterio  e  la  norma,  in  generale, 

sono  anteriori  alla  materia  interpretata  e  giudicata.' 

Perciò  dice  che  il  suo  libro  è  anche  nn».  JUotoJia  deW  autorità  {Sec.  Se. 

Nuova^  p.  148,  171)  atta  a  ridurre  a  leggi  certe  V  umano  arbitrio  di  ma 

natura  incertÌ9»imo  (p.  174). 

*  Vita  generila  humani  Hiètoria  est,  [De  Univ.  Jur.  XCXIX.) 

*  Il  Taine  dice  benissimo  dove  osserva  che  la  pttyeologìt  ««  à  ehaque 

départentent  de  Vhintoire  humaine  ce  que  l^i  physiologie  generai^  e»t  h  la 

phyaiologie  partictdiire.  de  ehaque  esplce  ou  doAèe  animale.  {De  Vlntelli- 

gence,  t.  I,  Pref.  p.  7.)  Che  oggi  la  psicolog^ia  debba  esser  condizione 

essenziale  alla  scienza  del  fatto  storico,  ninno  è  che  ne  dubiti.  Ma  la 

questióne  ò  ben  altra,  e  di  ben  altro  valore  che  non  crede  il  Taine. 

Come  s' ha  da  considerar  la  psicologia  rispetto  alla  storia,  e  perciò 

r individuo  rispetto  alla  specie'?  Ecco  il  punto!  Predicarci  la  necessità 

della  psicologia  nella  indagine  del  fatto  storico  è  un  bel  nulla,  se  innanzi 

tratto  non  si  stabilisca  qual  relazione  corra  fra  le  due  scienze.  Mi  spiego 

subito.  Se  Io  svolgersi  delle  concezioni  religiose,  delle  creazioni  artistiche 

e  letterarie  e  delle  scoperte  scientifiche  in  un  dato  periodo  istorico  e 

presso  un  dato  popolo  non  sono  in  realtà  altro  che  un'  applicazione,  un 

caso  particolare  di  quelle  medesime  leggi  che  in  ogn'  istante  regolano  lo 

svolgimento  psicologico  di  ciascun  nomo  ;  brevemente,  se  il  fatto  storico 

H  nostro  filosofo  non  pure  colse,  ma  dimostrò  la  re- 

lazione tra  r  uno  e  V  altro  ordin  di  fatti,  e  fece  quel 

che  non  giunsero  a  fare  i  nostri  platonici  e  aristotelici 

del  Rinascimento;  ciò  che  non  fece  tutto  il  Cartesia- 

nismo; ciò  che  dopo  di  lui  non  seppe  fare  il  Critici- 

smo in  ordine  alla  storia;  ciò  che  non  han  fatto,  né 

sanno  fare  i  Positivisti  e  gli  Idealisti  assoluti;  i  quali 

trascendono  il  positivo  perchè  disconoscono  la  difficile 

arte  de'  confini  nella  scienza  del  mondo  e  della  storia. 

Alla  sua  mente  lampeggiò  il  vero  concetto  dell'  ente 

umano:  il  concetìo  àeW  individuo  universale  vivente, 

concreto,  reale;  e  sotto  doppia  forma  venne  applicando 

il  suo  massimo  criterio  della  conversione  del  vero  col 

foHo  nel  conoscere,  e  del  certo  col  vero  nell' operare. 

Recò  in  atto  quindi  non  una,  ma  due  grandi  leve,  la 

psicologia  da  una  parte,  e  la  critica  de'  fatti  storici  dal- 

l'altra;  la  filosofia  e  la  filologia;  e  perciò  un  a  priori  di 

natura  puramente  psicologica,  e  un  a  posteriori  indagato 

pazientemente  con  oculata  osservazione:  e  così  gettando 

le  basi  del  vero  metodo  storico  razionalmente  positivo, 

riesci  a  comporre  la  scienza  dello  spirito.  Però  Storia 

e  Psicologia  non  sono  due  cose,  ma  una.  Esse  formano 

la  vera  scienza  dello  spirito,  quando  sian  portate  ad  un 

fiato,  com'  egli  dice  con  significantissima  frase.  Ecco  il 

grande  valore  della  Sdensfa  Nuova,  per  quanti  possano 

essere  i  suoi  difetti  nella  forma,  n^l  disegno,  nelle  con- 

clusioni, nelle  applicazioni.  Lo  dichiara  egli  stesso  :  «  il 

mio  libro  è  wrxR  filosofia  deW umanità.  »  Perchè  filosofia? 

non  è  che  un'applicazione  delle  lejrgi  psicologiche:  ne  viene  che  nella 

psicologìa  solamente  possiamo  ritrovare  il  criterio,  il  principio,  la  teorica 

da  applicare  nella  intorpretaziono  del  fatto  isterico.  Dnnqne?  Danque 

(mi  par  chiaro)  la  psicologia  è  anteriore,  e  superiore  alla  storia.  Or  io 

non  so  davvero  come  siffatta  conseguenza  possa  accordarsi  co'princìpii 

del  Taine,  specie  con  quello  ond'ei  ci  dichiara,  che  il  fatto  della  co- 

scienza non  è  altro  che  vm  fantamna  metajinco!  Il  problema  storico  è 

problema  psicologico:  lo  sappiamo  anche  noi  da  un  secolo  e  mezzo  a 

questa  parte.  Quel  che  non  sappiamo  è  il  modo  col  quale  il  valoroso 

estetico  francese  potrà  giugnere  a  risolvere  cotesto  problema  col  suo 

Positivismo. 

perchè  ne  inve^iga  le  coffionV  Or  le  cagioni  imme- 

diate e  positive  del  processo  istorico,  non  s'hann'  a  ra- 

dicar tutte  nel  processo  psicologico,  eh'  è,  dire  nella  na- 

tura umana  ?  *  Volere  investigar  le  ragioni  della  storia 

nonché  i  principii  della  sociologia  invocando  la  dicdeUica 

immanente  détta  Idea  come  fan  gli  Hegeliani,  ovvero 

r  opera  della  Provvidenza  immediata  come  fanno  Onto- 

logisti  e  Teologisti  ;  è  uscir  dalla  Storia,  dalla  natura 

umana,  dalla  psicologia  ;  ed  è  rendere  il  processo  storico 

un  processo  affatto  meccanico  e  arbitrario.  Un  principio 

estrinseco  e  superiore  che  non  emerga  dalle  viscere 

stesse  della  storia,  ma  che  alla  storia  si  sovrapponga  e 

s'imponga,  che  cosa  dee  produrre?  Da  una  parte,  mec- 

canismo, e  arbitrio  dall'altra.  Ed  è  anche  un  uscir  dalla 

storia,  dalla  psicologia  e  dalla  natura  umana,  queir  in- 

vocare i  soU  fatti  siccome  leggi  empiriche  riferendole  a 

cagioni  tutte  estrinseche,  tutte  mutabiU  tutte  acdden- 

taU,  come  sono  il  clima,  la  razza,  l'educazione  e  cento 

e  mille  condizioni  esteriori  e  secondarie  di  cui  ci  par- 

lano i  positivisti  e  i  filosofi  dett*  avvenire. 

 

Il  fondamento  razionale  positivo  del  processo  istorico 

dunque  è  l'organismo  psicologico,  ma  ravvisato  come 

processo.  Questa  precisamente  è  l' esigenza  più  legitti- 

ma, la  condizione  più  salda  del  metodo  istorico  che  sca- 

turisca dalle  opere,  dalle  dottrine,  dalla  mente  del  Vico. 

Metodo  isterico  è  anch'esso  metodo  genetico,  metodo 

eduttivo.  E  metodo  genetico  vuol  dir  metodo  essenzial- 

mente psicologico.  Ne  segue  perciò  che  la  legge  isterica 

delle  tre  età  {Divina,  Eroica,   Umana),  pone  sua  ra- 

*  Ved.  Prim,  Se  Nuav.y  p.  248. 

*  Le  tre/any  o  stati  del  PositÌTismo  francese  non  sono  che  un  fatto, 

una  legge  empirica,  non  la  ragione,  non  il  principio  delia  storia.  Lo  con- 

fessa lo  stesso  Littré;  il  quale  perciò  avendo  visto  la  necessità  di  correg- 

gere e  compiere  anche  in  questo  il  maestro,  alle  tre  fasi  del  Comte  sosti- 

toisce  le  cinque  forme  di  civiltà  calcate  sopra  altrettante  facoltà  psi- 

cologiche. (Vedi  A.  Comte  et  la  Phil,  Pont.)  Cosi  il  Littré  ritoma  al 

Vico,  cioè  al  concetto  psicologico,  quantunque  sbagli  nella  scelta  della 

strada. 

dice  non  già  in  un  fatto  parHccHare  quale  sarebbe  il  na- 

scere, il  crescere  ed  il  perire  dell'individuo,  come  ve- 

demmo pretendere  il  Vera  (p.  128),  ma  sì  neljo  stesso 

organismo,  nello  stesso  circolo  delle  funzioni  psicolo- 

giche. Ciò  che  dunque  è  processo  teoretico  e  pratico 

deUe  facoltà  e  quindi  conversione  del  vero  col  fatto  e  del 

certo  col  vero  nell'  individuo  ;  nella  specie,  nella  comu- 

nanza civile,  assume  forma  e  valore  d' organismo  e  di 

processo  isterico.  Ecco  perchè  nello  svolgimento  della 

storia  e  delle  diverse  civiltà,  lo  stato,  la  fase,  o  (secondo 

il  linguaggio  del  Vico)  V  età  divina  ritrova  sua  ragione 

intima,  immediata,  nel  predominio  ed  esplicazione  deUe 

due  funzioni  elementari,  empiriche  e  naturali,  che  sono 

il  Senso  ed  il  Potere.  La  fase  eroica^  per  contrario,  è 

V  incarnazione  del  Volere  e  dell'  Immaginazione.  E,  final- 

mente la  fase  umana  è  V  attuazione  e  quindi  il  trionfo 

e  la  signoria  della  Ragione  spiegata,  la  quale  neU'  or- 

dine della  vita  civile,  politica  e  sociale  si  traduce  nel 

trionfo  della  libertà.  La  storia  dunque  è  un  organismo 

come  la  psicologia;  e  quindi  le  leggi  psicologiche  sono 

il  criterio  interpretativo  principale  del  fatto  isterico. 

Questo  è  il  vero  concetto  della  VoUcer  Psycólogie  per 

VA.  della  Scienza  Nuova.  Dove  sta  il  difficile?  Ap- 

punto nel  far  cotesti  interpretazione;  appunto  nel- 

r  applicare  le  leggi  psicologiche  alla  storia.  In  tale 

applicazione  occorre  schivare  (come  vedremo  in  So- 

ciologia) que'  due  gravissimi  errori  ne'  quali  rompono 

Hegeliani  e  Positivisti:  cioè  l'universalismo  nel  com- 

porre la  filosofia  della  civiltà,  e  il  particolarismo  e  '1 

determinismo  nel  fissarne  le  leggi.  Due  perciò  sono  le 

condizioni  razionali  per  la  scienza  della  storia:  V  appli- 

care al  fatto  isterico  le  leggi  psicologiche  ;  ma  applicar- 

le, non  già  all'  umanità,  come  fanno  i  seguaci  di  Hegel, 

bensì  a'  popoli,  alle  schiatte,  alle  tradizioni  :  2**  tener 

conto  delle  mille  cagioni  estrinseche  ed  irraziouaU  che 

in  modi  infinitamente  diversi  e  molteplici  turbano  lo 

svolgimento  della  storia;  ond' emerge  la  necessità,  ripe* 

tiamolo,  della  psicologia  e  della  crìtica  storica  nello 

stabilire  i  principii  deUa  filosofia  dello  spirito. 

Or  cotesto  metodo,  oltreché  nelle  dottrine  metafisi- 

che, anche  nelle  teorie  storiche  e  sociologiche  risulta 

logicamente,  come  vedremo,  dallMndirizzo  medio  del- 

l'Aristotelismo rappresentatoci,  ne'  tempi  moderni,  dalla 

Sdenta  Nuova.  Nella  Sdenta  Nuova,  e  perciò  nel  me- 

todo isterico  e  psicologico  del  Vico,  abbiamo  la  con- 

danna più  severa  e  la  confutazione  di  fatto  degli  estremi 

indirizzi  aristotelici  rinnovatisi  in  questo  secolo  per 

opera  dell'  Hegelianismo  e  del  Positivismo  nel  regno 

degli  studi  storici  e  sociologici. 

Ma  qual  è  la  genesi  e  quindi  la  teleologia  del  pro- 

cesso psicologico?  That  is  the  question! 

Capitolo  Sesto. 

genesi  e  teleologia  psicologica. 

Lo  spirito  ha  le  sue  leggi  come  la  natura;  ed  è 

anch'  egli  un  organismo  come  la  natura.  Perciò  dap- 

prima è  Sintesi  iniziale,  come  si  disse,  poi  Analisi,  poi 

Sintesi  finale.  Spencer  direbbe  che  l' organismo  psicolo- 

gico procede  dall'  omogeneo  indeterminato,  all'  etero- 

geneo; e  dall'eterogeneo  (avrebbe  dovuto  aggiungere;,  fa 

ritomo  all'  omogeneo,  ma  all'  omogeneo  determinato  e 

universale.  —  Fin  qui  abbiamo  studiato  la  psicologia  nel 

fatto.  Movendo  da  una  dualità  empirica,  cioè  dal  senso 

che  iniziando  il  processo  teoretico  s' eleva  a  dignità  d'in- 

telletto, e  A^X  potere  che  preludendo  al  processo  pratico 

assume  valore  di  libera  volontà,  abbiamo  sorpreso  l'orga- 

nismo psicologico  nel  momento  stesso  dello  sviluppo, 

dell'analisi,  dell'eterogeneità, della diflFerenza e  moltipli- 

cità  delle  sue  funzioni.  Or  è  d' uopo  rimontare  all'ori- 

gine psicologica.  È  d'  uopo  ricercar  la  cellula  madre  di 

quest'organismo.  È  d'uopo  investigare  il  centro  di  questo 

cìroolo,  la  sintesi  origìiiaxia  di  quest'analisi  che  a  noi 

porge  la  coscienza. 

La  genesi  dello  spirito  vuol  esser  guardata  in  tre 

modi,  sotto  tre  forme,  per  tre  fini  diversi  :  psicologi- 

camente, logicamente,  ideologicamente.  La  Psicologia 

studia  lo  spirito,  ma  in  quanto  è  un  multiplo  di  funzioni, 

d*  operazioni,  di  facoltà.  La  Logica  studia  lo  spirito,  ne 

ricerca  le  funzioni  psicologiche,  ma  in  quanto  producono, 

generano,  partoriscono.  L' Ideologia,  finalmente,  studia 

anch'  essa  lo  spirito,  ne  indaga  le  funzioni  psicologiche, 

ma  guardandole  ne'  lor  prodotti  generali  La  Logica  dun- 

que siede  in  mezzo  all'  una  e  all'  altra  scienza.  Ella  studia 

non  altro  che  relazioni  :  studia  le  relazioni  fra  la  causa 

e  l'effetto,  le  attinenze  tra  la  forza  e  le  sue  produzioni, 

e  quindi  raccoglie  leggi  universali,  attinenze  necessarie, 

poiché  se  lo  spirito  si  differenzia  appo  gl'individui  per 

attività  ed  energia  di  potenza  e  per  moltiplicità  di  risul- 

tati, non  differisce  menomamente  per  le  leggi  alle  quali 

dee  soggiacere  ciascun  individuo.  La  Logica  è  universale, 

obbiettiva;  e  quindi  indipendente  dal  soggetto,  non  al- 

trimenti che  la  matematica.  Or  queste  tre  scienze  che 

r  analisi  immoderata  delle  scuole  ha  ridotto  a  frantumi, 

non  sono  che  tre  aspetti  d'un  medesimo  subbietto:  d'un 

subbietto,  cioè,  avvisato  P  come  forza  e  potenza:  2**  come 

atto  e  risultato  ;  3**  finalmente  come  potenza  in  quanto 

diventa  atto,  e  però  come  relazione  dell' un  termine 

verso  l'altro.  Psicologia,  dunque.  Logica  e  Ideologia 

dovranno  condurci  ad  una  medesima  conseguenza  nel 

problema  su  la  gencHi  psicologica. 

Nel  processo  psicologico  dicemmo  esserci  un  primo 

ed  un  ultimo  atto.  Questo  primo  e  quest'ultimo  atto, 

anziché  facoltà,  come  pretendon  gU  Spiritualisti,  anzi- 

ché semplici  condizioni  psicologiche  riducibili  alla  fin 

fine  alle  funzioni  biologiche,  come  ci  predicano  i  Posi- 

tivisti,* sono  invece  facoltà  delle  facoltà.  E  son  tali  per- 

*  Per  esempio  Sr.  Mill  {La  PhU,  de  Hamilton,  trad.  CazeUes  1869, 

e.  Vili,  p.  188).  —  H.  Taink  (2>«  VintelUgence,  T.  II.  1.  1,  e.  II,  §  VIII). 

 

 

 

che  runa  d' esse  è  originaria,  e  V  altra  è  complementare  ; 

perchè  la  prima  è  potenza,  e  la  seconda  è  atto  :  perchè,  in 

somma,  quella  è  T  Io  in  quant'  è  coscienza  primitiva,  e 

questa  è  V  Io  in  quant'  è  pienezza  di  personalità,  auto- 

coscienza. Or  è  mestieri  ammettere  che  la  coscienza,  in 

quant' è  facoltà  détte  facoltà,  esista  dapprima  come 

potenza  originaria;  preesista  com' energia  irreducibile; 

preceda  come  atto  che  sia  tutto,  e  nulla;  e  vaglia  quindi 

a  costituir  la  natura  stessa  di  quell'ente  che  nella  scala 

zoologica  diciamo  ente  umano,  E  innanzi  tratto,  s'egli  è 

vero  che  le  fimzioni  psicologiche  convengon  tutte  nell'es- 

sere un  conato  di  natura  essenzialmente  teleologica,  è 

d'uopo  che,  attraverso  a  tutte  e  in  fondo  a  ciascuna,  si 

occulti  un  atto  rudimentale,  radicale,  comune,  essenzial- 

mente generatore,  contenente  universale  e  indeterminato 

del  doppio  processo  psicologico  teoretico  e  pratico.  D' al- 

tra parte,  se  il  fatto  ci  addita  una  dualità  empirica, 

concreta  ed  elementare,  cioè  il  senso  e  il  potere  ;  ne  viene 

che  queste  due  facoltà,  sia  che  le  si  guardino  nel  loro 

obbietto  e  natura,  sia  che  nel  fine  cui  sono  indirizzate, 

ci  rappresentino  due  opposti,  ci  esprimon  due  contrari; 

e,  come  tali,  abbisognano  d'un  soggetto  comune  in  cui 

(secondo  l'esigenza  dell'Aristotelismo)  elle  sussistano 

originariamente.  La  duaUtà  empirica  e,  per  così  dirla, 

sensata,  ci  rimena  infatti  $ui  una  dualità  superiore  e 

trascendente,  la  quale  a  sua  volta  non  può  non  essere 

altresì  unità,  unità  confusa,  unidualità  anteriore,  e  della 

quale  possiamo  dire  ciò  che  Aristotele  afferma  delle 

parti  avvisate  in  riguardo  al  tutto.  Se  la  parte  poten- 

zialmente e  cronologicamente  precede  il  tutto;  attual- 

mente e  logicamente  il  tutto  dee  preceder  la  parte.* 

^Xou  xai  >f  uX>i  TT^c  ouVtac"  Jtar'  «vT«Xj;^tiav  5'  u^7«/oov  5«a- 

XxtBivroi-  y(/.p  x«t*  £vTi>JX«*av  «(T']at.  (Met.  V.)  Ecco  la  ragiono 

(sia  detto  di  passata)  onde  la  Psicologia  differisce  in  immenso  dalla 

Zoopsicologia,  checché  ne  dicano  il  Darwin,  V  Agassiz,  il  Vogt  ed  altret- 

tali. Neir  ordino  zoopsicologico  la  dualità  empirica  del  »etuo  e  dell'  i»Hnto 

esiste;  ed  è  unità  confusa,  è  unidualità:  ma  riman  sempre  tale,  sempre 

Questo  tutto  originario,  quest'  unità  la  quale  anche 

come  primigenia  è  numero,  cioè  unìdualità  e  però  facoltà 

déHe  facóUà,  è  ciò  che  con  antica  ma  significativa  pa- 

rola il  Vico  suole  appellar  mente,  mens.^ 

 

Alla  medesima  conseguenza  ci  conduce  la  logica  e 

r  ideologia.  Rammentiamoci  della  dottrina  su  la  cono- 

scenza. Se  neir  ordine  del  conoscere  il  fatto  è  il  dato,  il 

fenomeno,  ciò  eh'  è  posto,  la  cieca  percezione;  insomma, 

ciò  che  non  può  esser  conosciuto  di  per  sé  stesso:  il 

vero,  per  conta'ario,  è  V  elemento  ideale,  astratto,  vuoto, 

formale,  a  priori  ;  ma  a  priori  in  quant'  origina  imme- 

diate dal  seno  stesso  del  pensiero.  In  che  sta,  dunque,  il 

 

nello  stato  potenziale:  mentre  neir ordine  psicologico,  cioè  umano,  ella 

diventa  atto,  numero,  e  quindi  il  Senso  e  il  Potere  vi  assumono  anche 

valore  di  sentimento  e  di  coscienza.  Se  dunque  è  così,  chi  vorrà  credere 

che  quella  dualità  sia  puramente  animale  come  nella  Zoopsìcologia  ?  Se 

fosse  tale,  non  dovrehhe  restar  sempre  la  medesima,  come  incontra  nel  soar- 

getto  zoopsicologico?  Dunque  (la  conseguenza  parmi  chiara)  quella  dualità 

neir  ente  umano  deve  importare  qual  cos'altro  che  non  sia  puro  Senso, 

né  puro  Istinto. 

*  Quel  che  latinamente  egli  chiama  men«  cmimi  è  essenzialmente  pen- 

siero; e  pensare  per  lui  è  manifestare  sé  a  sé  medesimo:  Mens  cogitando 

se  extbet  {De  AsUiqHÌ9.,  Cap.  VI).  Or  la  mente  è  principio  unico  di  tutte 

le  facoltà:  principium  unum  Men»;  e  I*  occhio  di  lei  é  appunto  la  ragione: 

eujw  oculua  Ratio  {De  Univ.  Proem.,  4).  Dunque  ciò  eh'  è  di  là  e  dentro 

e  dietro  a  quest'  occhio  eh'  é  la  Ragione,  é  appunto  la  MenU;  la  quale 

perciò  è  anteriore  a  tutti  i  gradi,  a  tutti  i  momenti  del  processo  cono- 

scitivo. Se  non  che  lo  spirito,  in  quant'ò  menUf  vede  anch'essa;  altrimenti 

come  si  farebbe  a  dirla  mente?  Ma  allora  soltanto  ella  disceme,  allora 

soltanto  é  oechiof  e  perciò  era  visione,  quando  diventa  ragione  epiegata,  e 

quindi  processo  teoretico.  —  Per  intender  meglio  il  significato  della  mente, 

ricordiamoci  del  »ene%u  intemtu,  del  eennu  eui,  della  eoecienta,  cwn-eeientia, 

di  cui  egli  parla  in  più  luoghi  delle  sue  scritture.  In  ispecie  è  da  riflet- 

tere quando  afferma,  la  coscienza  essere  insieme  univereale  e  pai-ticolare  ; 

e  il  senso  intimo,  individuaUt  e  insieme  comune,  fi  da  riflettere  dove 

accenna  ad  una  facoltà  naturale  e  epontanea  ond'  é  fornita  la  eomuiune 

natura  degli  uomini.  È  da  riflettere,  finalmente,  e  specialmente,  ove 

parla  di  certi  giudizi  istintivi  eh'  egli  chiama  giudizi  fatti  sknza  bifles- 

8I0NK.  (Vedi  Prim.  e  See.  Se  Nuow%  passim.)  Or  di  sotto  a  questo  lin- 

guaggio esce  chiara  una  conseguenza;  la  necessità,  cioè,  di  riconoscere 

come,  attraverso  a  tutte  le  diiferenti  forme  psicologiche,  esista  un  punto 

centrale  onde  s' irradiano  e  dove  si  riconducon  tutte  le  funzioni  dello  spi- 

rito. Quest'esigenza  psicologica  nel  Vico  parmi  evidente  per  ciò  che  s*  è 

detto,  e  per  ciò  che  ancora  diremo. 

conoscere?  Nella  conversione  de' due  elementi.  Intendere 

è  legere;  e  legere  è  cdligere  dementa  rei,  cioè  coUigere  il 

vario  sensato,  il  fatto.  Questo  fatto  dunque  vien  raccolto 

e  innalzato  a  dignità  di  vero  e  quindi  ad  unità,  appunto 

quando  la  mente,  generando  sé  stessa,  conosca  insieme  la 

guisa  onéPtma  cosa  è  fatta.  Or  in  cotesta  genesi  hawi  un 

intimo  vincolo  per  cui  V  eiFetto  è  anche  causa,  e  la  causa 

eflFetto;  ed  è  questa  quella  tal  funzione  eduttiva  onde 

la  ragione,  annodando  cause  con  cause,  e  però  conver- 

tendo il  vero  col  fatto  e  viceversa,  rintraccia  il  medio 

termine,  e  fa  la  scienza  (pag.  242-3).  Se  intanto  il  co- 

noscere è  un  atto  di  sintesi  ond'il  vero  è  forma,  predi- 

cato, categoria,  ma  non  per  anche  attributo  e  però 

cognizione,  mentre  il  fatto  è  materia  e  parvenza  feno- 

menale; ne  segue,  esser  davvero  una  grande  scoperta 

della  moderna  psicologia  quella  fatta  dal  Kant  e  le- 

gittimata in  gran  parte  dal  Rosmini,  ma  presentita  dal 

nostro  filosofo;  che,  cioè,  pensare  sia  essenzialmente 

giudicare.*  Che  cos'  è  infatti  il  giudizio  fuorché  il  pre- 

dicato assumente  forma  evalore  d'attributo?  Dunque, 

anziché  nel  cogliere  il  puro  vero,  o  nell'  apprendere  il 

puro  fatto^  il  giudizio  risiede  nel  concetto.  Ma  che  è 

egli  mai  il  concetto  salvochè  la  conversione  del  vero 

col  fatto,  considerati  questi  com' elementi  essenziali 

nella  sfera  dell'intendimento?  *  Ora,  tornando  al  pro- 

posito, comecché  il  vero  e  '1  fatto,  convertendosi,  gene- 

rino il  concetto  e  quindi  il  giudizio,  e  col  giudizio  fac- 

*  Kant,  Orit.  de  la  Raùon  Pure.  Log,  Tra»cend.,  L.  1.  —  BosMiin, 

Nuo,  Sagg,  voi.  II,  Sez.  V,  e.  I. 

*  L' atto  del  conoscere  ò  m'rtò  di  vedere  il  tutto  di  eitueheduna  omo, 

e  dì  vederlo  tutto  ineieme^  ehi  tanto  propriamente  tuona  intblliobri,  e  allora 

veramente  ueiam  Tintblletto.  (Vedi  Lett.  al  Sotta,  p.  12.)  È  agevole  scor- 

gere, por  tutto  ciò  che  abbiamo  detto  qui  e  altrove  (p.  241, 275  e  segg.), 

quanto  nel  Vico  sia  chiara  Tesigeriza  kantiana  deirunirà  eintetica  detTapper- 

eezione,  non  che  quella  della  percezione  intellettiva  Rosminiana,  e  meglio 

ancora  (per  qaèl  che  diremo),  V  altra  del  Sentimento  fondamentale.  Ma  in 

grazia  del  suo  criterio,  al  solito,  si  può  riuscire  a  schivare  il  tubbietti- 

viemo  e  il  formaliemo  dell'uno  e  delPaltro  filosofo  adoperando  il  metodo 

deduttivo. 

cian  possibile  ad  un  tempo  la  coscienza  e  l'esperienza; 

nuUamanco,  a  somiglianza  delle  funzioni  ond'  essi  ram- 

pollano, restan  sempre  una  dualità,  ma  dualità  origina- 

ria; stantechè  non  potendo  T  uno  emerger  dalP  altro, 

né  r  altro  dalF  uno,  debbano  coesistere  entrambi  nella 

coscienza.  Se  non  che,  una  dualità  originaria  non  è  forse 

un  assurdo?  Senza  dubbio,  un  assurdo.  Dunque  è  ne- 

cessaria certa  unità  iniziale,  intima,  primigenia,  appo 

cui  1  vero  e  il  fatto  sussistano  germinalmente  come 

in  grembo  ad  una  sintesi  confusa. 

Alla  medesima  conclusione  potrebbe  giugnere  chi 

pigliasse  a  guardar  Y  intero  processo  logico,  cioè  le  fun- 

zioni teoretiche  tanto  nel  lor  movimento,  quanto  ne'  lor 

risultati.  Percezione,  Giudizio  e  Sillogismo  son  tre  gradi, 

tre  momenti,  tre  forme  distinte  d'una  medesima  funzione 

eh' è  la  Mente.^  Nella  percezione  la  Mente  si  manifesta 

come  unità  immediata  appo  cui  oggetto  e  soggetto  sian 

tuttora  confasi.  Nel  giudizio,  invece,  predomina  l'analisi, 

la  differenza;  perchè  i  termini  standovi  fra  loro  di  fronte 

l'un  r  altro  e  quasi  irresoluti,  avviene  che  la  mente  deb- 

basi  palesare  come  dualità.  Ma  poiché  il  giudizio  im- 

porta necessariamente  un  ritorno  sopra  sé  stesso,  e 

questo  ritomo  appunto  costituisce  il  sillogismo  ;  accade 

che  in  questo  ritomo,  nel  sillogismo,  la  mente  si  palesi 

come  unità  e  dualità  in  atto,  come  triplicità  attuale, 

come  mente  spiegai'a.  Or  se  T  organismo  logico  e  l'ideo- 

logico son  anch'essi  un  processo  non  altrimenti  che 

l'organismo  psicologico;  se  il  risultato  finale  di  cotesto 

processo,  la  funzione  terminativa  di  cotest' organismo  è 

•  €  Tre»  mentit  operationes:  Pkroiptio,  JUDIOIDM,  Batiooinatio.  Tri- 

bua  artilM  diriguntvr:  Topica,  Critioa,  Mbthooo.  {De  AntiquUe.<,  e.  VII, 

§  IV.)  La  pereeptio  qui  non  debb*  essere  tolta,  a  dir  proprio,  secondo  il 

valore  che  a  questa  parola  danno  gli  Scozzesi.  (Vedi  Jouffbot,  (Euvr, 

compi,  de  T.  Eeid,  Tol.  I,  Préface,  p.  CCXVIII),  nottampoco  poi  nel  senso 

Tolgare  ed  empirico,  altrimenti  contraddirebbe  airintera  dottrina  psicolo- 

gica del  nostro  filosofo.  II  percbò  se  il  fatto  della  percezione  pel  Vico  ò 

primitiro  nel  rispetto  cronologico,  non  è  tale  sotto  il  rispetto  logico.  Ella 

importa  necessariamente  un  fatto  anteriore;  il  fatto  originario  della  Mente, 

mente  spiegata  e  quindi  ritorno  del  giudizio  e  però  sil- 

logismo; ne  segue  che  il  principio  originario,  rispon- 

dente al  risultato  finale,  ha  da  esser  la  mente,  ma  la 

inente  non  {spiegata,  bensì  la  mente  potenziale,  rudi- 

mentale, incoata.  In  altre  parole,  debb' essere  un  giu- 

dizio; ma  un  giudistio  fatto  senea  riflessione.  Laonde  la 

percezione,  comecché  paia  la  più  semplice  ed  elemen- 

tare fra  tutte  le  facoltà,  non  pertanto  è  anch' ella  di 

natura  complessa.  È  tale,  cioè,  che  importa  inevitabil- 

mente un  giudizio  primitivo,  giust'  appunto  perchè  tro- 

vasi anch'  ella,  non  già  fuòri,  anzi  dentro  al  circolo  psi- 

cologico. Cosi  dunque,  giova  ripeterlo,  le  tre  discipline 

che  studian  k)  spirito  sotto  i  tre  possibili  aspetti,  cioè, 

!•  come  facoltà,  forza,  causalità;  2«  come  prodotto,  ef- 

fetto, risultato;  3«  come  relazione,  e  perciò  come  sub- 

bietto  di  leggi  necessarie,  formali,  universali  :  tutt'  e 

tre  queste  discipline,  diciamo,  convergono  ad  una  me- 

desima conclusione;  la  necessità,  cioè,  d'ammettere  un 

centro  comune,  originario,  indipendente  e  superiore  alla 

biologia,  nel  quale  risalga  non  pur  l'origine  delle  fa- 

coltà psicologiche,  ma  la  primordiale  sorgiva  altrem 

delle  produzioni  del  pensiero  in  generale. 

 

Ciò  posto,  qual'  è  la  natura  della  mente?  Qual'  è  la 

costituzione  intima  di  quella  cellula  madre  (ripetiamo  il 

paragone)  entro  cui  sta  il  gran  segreto  del  problema  psi- 

cologico, e  perciò  di  tutte  quante  le  morali  discipline  ?  ' 

 

Se  la  mente  è  giudizio  fatto  senea  riflessione,  la  sua 

natura  debb' esser  quella  d'intuizione,  d'appercezione, 

di  visione  immediata,  di  conoscenza  diretta  e  spontanea, 

la  quale,  determinandosi  nella  riflessione,  s'incarni  e 

s'attui  come  processo  psicologico,  logico,  ideologico. 

Dunque  è  il  giudizio  fatto  senea  riflessione  quello  che  poi 

 

*  Neanche  ai  Positivisti  può  sfuggire  la  grande  importanza  del  pro- 

blema in  discorso.  Con  Fusata  penetrazione  St.  Mill  afferma:  «  Quando 

noi  tappiamo  ciò  che  un  filosofo  considera  come  rivelato  neUa  Goecienza^ 

noi  già  abbiami)  la  chiave  della  sua  metafinca.  »  —  {La  PhUosophie  de 

Hamilton,  trad.  Cazellen,  1869,  p.  127.) 

 

 

diventa  scienza:  è  la  Mente  queUa  che  diventa  Magione 

spiegata:  è  il  i^oùc  potenziale  che  diventa  NoJc  attuale 

e  riflesso.  Ecco  il  valore,  il  significato  che  noi  porgiamo 

alla  dottrina  aristotelica  del  doppio  intelletto.  Al  qual 

proposito  ci  sia  permessa  un'  osservazione  storica. 

 

Ci  guarderemo  bene  dall'  entrare  nelle  interminabili 

dispute  su  r  intelletto,  e  voler  ponderare  le  svariate  sen- 

tenze degli  Aristotelici  che  per  si  lunghi  secoli  hann'  af- 

faticato la  mente  d' infinito  numero  di  critici,  di  storici 

e  d'interpreti.  La  dottrina  più  duttile,  più  ambigua,  fra 

tutte  quelle  dello  Stagirita,  dicemmo  esser  la  dottrina 

psicologica.  Non  v'  è  stato  interprete  il  quale  non  l' abbia 

tirata  a  sé  mettendo  fuori,  com'  è  noto,  buon  gruzzolo 

di  testi  a  proprio  favore.  GÌ'  iperpsicologisti,  per  esem- 

pio, attaccandosi  alla  celebre  frase  della  mente  ventUa 

di  fuora,  la  traggono  al  Neoplatonismo,  all'  Alessandri- 

nismo, all'Averroismo.*  Gli  empirici,  al  contrario,  a 

cagione  della  famosa  tavola  rasa,  lo  tirano  al  materia- 

lismo, e  al  sensismo  più  o  men  grossolano.*  Contesti 

dunque  si  concluderà  ben  poco.  Anche  noi,  per  esempio, 

saremmo  pronti  a  metterne  fuori  parecchi,  e  volgerli 

ai  nostri  sensi.  Ma  la  quistione  qui  non  è  d'esegesi. 

 

 

'  Il  pensiero  d' Aristotele,  a  tal  proposito,  è  por  troppo  chiaro  :  Nel- 

Vuotno  V  irUeUigenaa,  il  f^où^,  viene  ad  aggiugnern  al  $en%o  come  dal  di/uora 

ed  è  divino:  ).g«7rtTat  $i  tÓv  voùv  /iao'vov  5v^a5«v  inttvtévw  xa« 

^stov  eivae  /xovov.  (De  Oener.  An.,  II,  8.)  Nondimeno  può  essere  in- 

terpretato benignamente. £  benignamente  possiamo  interpretare,  per  es.,  la 

sua  mente  in  potenza  che  contiene  tutte  le  specie  (xaì  Swafiei  tocovtov. 

De  Anim.,  Ili,  4).  Benignamente  altresì  la  dottrina  del  suo  Senso  generale  : 

Ev  éxdvrrì  '^oip  tov  ovtoc  xoLTviyopia.  ivri  rò  avoéXo^ov,  »j 

SJJQv  èv  fjirìy,ei^  outcj^  ev  o^aTSC  rò  ófia.'kòv^  t(T^i  fiv  dptBfità 

to'  ae/oiTTo'v,  sv  $s  XP°?  "^^  Xevxóv.  (ifttopA.,  XIV.)  Quanto  al  Not?^ 

venuto  di  fuora  veggasi  V  interpretazione  cui  accenneremo  più  in  giù. 

 

*  Anche  qui  è  chiara  la  celebre  sentenza  aristotelica  nel  De  An.  Ili,  4. 

Ma  anche  qui  si  può  e  si  deve  interpretarlo  benignamente  ;  perchè  se  la 

tavola  rcua  d*  Aristotele  fosse  né  più  né  meno  che  la  etatua  condillachiana, 

con  quella  sentenza  lo  Stagirita  avrebbe  apertamente  contraddetto  ad  altre 

aifermazioni  che  ci  dicon  tutt*  altro.  (Gfr.  De  An.  111,4,  b.  —  Anal.  poeL^ 

I.  2,8.  —  JIfótapA.  I,  VII,  4.)  Vedi  pure  le  sentenze  raccolte  dal  Rosmini 

in  proposito.  {Nmo,  Sagg,^  lib.  I  e  II.  —  Ariet.  c«p.  ed  eeam^  lib.  I.) 

bensì  di  correzione.  Bisogna  correggere  nell'Aristoteli- 

smo i  due  estremi  e  contrari  indirizzi  mercè  l' indirizzo 

che  appellammo  medio,  11  primo  difetto  degli  Aristo- 

telici, quant'alla  ricerca  psicologica,  non  istà  nell'avere 

spartito  r  intelligenza  in  due  ;  ma  sì  nel  tion  aver  ap- 

plicato anche  in  ciò  la  dottrina  della  forma  e  deUa  ma- 

teria. Il  Noùf  passivo,  nell'organismo  psicologico,  ha 

ragion  di  materia^  essendo  di  sua  natura  indeterminato 

e  confuso.  Il  Nov;  attivo,  invece,  ha  natura  di  forma^ 

essendo  un  atto,  o  meglio,  una  potenza  che  s' attua. 

Non  è  egli  dunque  un  medesimo  soggetto,  comecché  sia 

guardato  in  due  momenti  diversi?*  Altro  difetto  è  quel 

porre  il  voù;  potenziale  come  comunicante  col  senso,  e 

renderne  affatto  indipendente  il  vovc  riflesso.  Ora,  piii 

che  all'uno  o  all'  altro  intelletto,  il  senso  a  noi  sembra 

necessario  al  passaggio  dal  primo  al  secondo:  talché, 

implicato  nel  processo  psicologico  non  in  quanto  oggetto 

né  in  quanto  soggetto  ma  qual  semplice  mezzo,  é  lecito 

considerarlo  com'  estraneo  al  Noù?  potenziale,  e  quasi  a 

lui  sopravvenuto.* 

 

*  A  questo  medesimo  difetto  tiene  qnell*  altro  d*  attribuire  qualità 

essenziali  diverse  ai  due  intelletti  (\pv;^ììc  7SV0;  ff t5/oov,  De  An.  II,  8), 

e  talora  anche  origine  diversa  (//*.,  1.  Ili,  5). 

 

*  Si  vede  perciò  come  per  noi  cotesto  Nou?  possibile  faccia  ogni  cota 

in  quant*  ò  condizione  universale,  principio  immediato  e  fondamento  del- 

J*  intero  organismo  psicologico,  logico  e  ideologico  :  mentre  il  NotJc  attuale 

*t  fa  ogni  eotay  in  quanto  che,  producendo  idee  e  concotti,  fa  e  produce 

so  stesso,  fa  e  riproduce  la  natnra,  e,  mediante  la  scienza,  fa  e  riproduce 

perfino  TAssoluto  rendendo  così  a  Dio  la  parigliay  per  dirla  con  una  delle 

potenti  frasi  del  Gioberti.  Però  V  intelletto  potenziale  ò  pattivo;  passivo  nel 

senso  che  non  è  facoltà,  nel  senso  che  non  si  fa,  ma  che  è  fatto,  fatto  dalla 

natura,  corno  diremo  fra  poco.  L*  intelletto  agente,  per  contrario,  è  attivo 

perchè  si  fa;  perchè,  a  dir  proprio,  è  facoltà.  E  poiché  non  può  farsi  e  deter- 

minarsi ed  attuarsi  tranne  che  specificandosi,  perciò  il  Nove  attivo  non  può 

non  esser  necessariamente  numero,  multiplicità,  varietà  di  facoltà,  e  quindi 

essenzialmenteprocesso.— Macome  il  NotJ;  potennale  diventerà  attuale f 

Non  è  necessaria  la  luce  difuora  che  lo  determini?  —  Non  è  necessaria.  Al 

ripiegarsi  della  Mente,  al  geminarsi  del  Noù?  potenziale,  bastano  due  con- 

dizioni; una  intima  allo  spirito, e  però  efficiente;  Taltra  t^teriore e  materiale. 

È  necessario,  cioè,  1°  un  conato  novello  dello  stesso  spirito  ;  il  che  è  possibile 

essendo  egli  per  propria  essenza  un'attività  incessante,  intrinseca,  sponta- 

nea :  2<*  un  snssidio,  il  sussidio  del  senso,  della  percezione  empirica,  del- 

 

Pertanto  il  Noù;  potenziale  presenta  due  caratteri  fra 

loro  opposti  e  contrari.  È  indeterminato  rispetto  al  Noù; 

attuale;  ma  è  altresì  determinato,  in  quanto  che  possiede 

un  oggetto.  Qual'è  quest'oggetto?  Quello  che  il  Vico 

appella  luce  meta/isica,  vero  metafisico:  sonanti  frasi  che 

non  dovrebbero  far  paura  a' nostri  lettori,  perchè  quan- 

tunque cotesta  luce  metafisica  di  cui  parliamo  sia  l'og- 

getto primitivo  del  j^ensiero,  non  ci  ha  che  vedere  con 

gli  a  priori  del  Neoplatonismo.  Ella  serba  la  mede- 

sima natura  del  pensièro,  perchè  è  lo  stesso  pensiero, 

ma  colto  nella  sua  indeterminatezza.  Perciò  è  forma 

formarum,  somigliante  alla  luce  fisica  di  cui  possiamo 

aver  notizia  solo  mediante  un  mezzo  opaco  e  formato 

che  valga  a  rifletterlo.* 

 

 

r  esperienza.  Il  ìiovi  attuale  quindi  non  fa  che  travagliarsi  perpetuamente 

attorno  air  una  e  ali*  altra  condizione,  e  produrre  la  scienza.  Si  travaglia 

intomo  alla  prima,  perchè  la  mente,  affermazione  per  eccellenza,  è  il  germe 

vivent-e  della  scienza  e  del  principio  di  contraddizione  eh'  è  fondamento 

d'ogni  dimostrazione  e  d'ogni  assioma  (fvVsi  yàp  àpx^  *^^  ^wv 

aXXov  cc^cu/xaruv  auT>?  aavT6)v,  Met.  1.  III).  E  s'aggira  poi  attorno 

alla  seconda,  cioè  al  senso  e  all'  esperienza,  perchè  dee  verificar  la  prima, 

cioè  dove  inverare  il  principio,  o,  eh'  è  il  medesimo,  dee  convertire  il  vero 

col  fatto^  il  voù;  potenziale  con  l'esperienza.  Perciò  il  voù;  attuale  è  la 

conversione  per  antonomasia,  massime  quando  assuma  valore  di  Ragione, 

Perciò  stesso  la  scienza,  diciamolo  anche  una  volta,  non  può  essere  un 

magistero  deduttivo,  nettampoco  un  artifizio  meramente  induttivo. 

 

*  e  Metaphtfatei  enim  claritat  eadem  eat  numero  ae  illa  lueÌ9  quam  non 

nin  per  opaca  cogno»eimu».  Si  enim  in  clathratam  fenestram  qua  lucem  in 

aedee  tuimittitf  intente  ac  diu  intueari»  ;  deinde  in  eorpue  omnino  opacum 

aciem  oculorum  eonpertae;  non  lucem  «ed  lucida  ckuhra  tibi  videre  videaria. 

Ad  hoc  imitar  metaphtfeieum  verum  illustre  c«(,  nullo  fink  ooNOL0Drr(TR, 

NTTLLA  FORMA  disorrnitur;  quia  est  infìnitìim  omnium  formorum  principium  : 

phy9Ìea  mtnt  opaca,  nempe  formata  et  finita  in  quibu»  metaphyeid  veri  lu- 

men videmue.  {De  Antiquie,  c.  Ili,  §  8.)  Come  si  vede,  anche  in  ciò  il  Vico 

non  fa  che  inverare  l' Aristotelismo.  Che  in  Aristotele  infatti  ci  sia  il  con- 

cetto del  Noùc  potenziale  come  noi  l' intendiamo,  e  però  anziché  passivo, 

come  parrebbe,  sia  fornito  anch'  egli  d' attività  stantechò  possieda  un 

oggetto  somigliante  alla  luce  che  fa  essere  in  atto  i  colori,  si  può  vedere 

dalla  seguente  sentenza:  xa<  c;iv  6  fiìv  toioùto^  voùc,  tm  Travra 

yiyvtiBony  6  aev,  tm  TravToe  Ttocsèv,  w;  i^ic  tcc,  oiov  to  ftc^' 

TjOoVov  yàp  Tcv«  xai  tÒ  ^oSc  noist  ra  ^uvaucc  ovra  j^^ow/xara 

syspystoe,  ;^pw^aTa.  {De  An.  III.  e.  V.)  Ma  il  carattere  di  tale  obbietto 

anche  per  Aristotele  è  sempre  quello  d'essere  indeterminato:  cv^ov  ìttcv 

Or  donde  viene  e  dave  va  cotesta  luce?  Come  sus- 

siste nel  pensiero? 

 

Bispondiamo  rapidamente  e  senza  molto  imboscarci 

in  arzigogoli  ideologici  e  scolastici.  Per  noi  la  mente  è 

intùito;  e  l'intùito,  è,  per  così  dirlo,  l'ultimo  atto,  o  la  po- 

tenza finale  di  natura,  del  senso,  della  vita.  Adunandosi 

e  quasi  raccogliendosi  nell'  organismo  le  naturali  effi- 

cienze generano  l'individuo.  È  dunque  necessario  che 

l'atto  finale  di  cotesta  genesi,  il  momento  estremo  di 

siffatto  processo  onde  rampolla  l' individuo  come  tale,  sia 

luce  metafisica,  intuito  :  un  atto,  cioè,  la  cui  potenza  sia 

la  stessa  natura,  ma  la  natura  unificata,  la  natura  fiotta 

una.  Ecco  perchè  pensiero  e  natura,  giusta  la  bella  sen- 

tenza del  vecchio  filosofo,  son  come  l' analisi  e  la  sin- 

tesi procedenti  in  senso  contrario;  *  onde  il  fine  dell'una 

non  può  non  esser  principio  dell'  altra.'  Ma  se  la  na- 

tura è  forza,  cioè  soggetto  essenzialmente  dinamico,  non 

è  mestieri  che  anch'olla  sia  intelligibile?  ' —  Se  non  che 

 

 

iytpytice.  twv  ovtuv  npiv  voeoSv  {Metaph.,  VI,  7.)  Ed  è  indeterminato 

non  essendo  altro  che  \&  tpecìe  in poteruta  {^SvvifAtt  ra  ttiri)^  a  luogo 

della  tpeeie  (tÓttov  c(^(Cv)  Ibi» 

 

*  Aribt.  MeUpb.  VU,  IX. 

 

•  Oa^vsrai  to'  ia/^axov  «v  r^p  oèvaXuo'cc  tsptirov  ecvat  tv 

TTf?  'VffvcVci.  Eth.  Nie.  III. 

 

'  Prendiamo  la  parola  irUdUgibiU  nel  significato  aristotelico,  cioè 

come  essere  dello  cose,  come  essere  determinato  (tò  t<  iv  ccvac)i  ma 

spoglio  di  materia  tuttoché  non  isfornito  di  potenza,  secondo  la  nota 

distinzione  deirAquinate.  Non  è  quindi  intelligibile  in  qaant*è  puramente 

ideale,  possibile  e  insussistente,  secondo  che  ama  interpretarlo  il  Bosmini; 

mainquanVèideale  e  reale  insieme,  sussistenza;  anzi  la  sussistenza  del 

reale  per  eccellenza,  e  però  propriamente  intelligibile:  ^iy^  Si  ouViav 

aveu  uXy}c,  to  ti  ivt  (voci.  (IfetopA.,  VI,  7).  Perciò  la  dottrina  compiuta 

dell'intuito  parmi  debba  farsi  consistere  neir  accordare  due  cose  ;  !<>  la  mente 

in  potenua  d'Aristotele,  2**  V  ettere  ideale  del  Bosmini;  ma  levando  1  difetti 

che  certo  non  mancano  nelle  loro  dottrine.  Difetto  d'Aristotele,  come  avver- 

timmo, ò  la  mente  che  vien  difuora.  Difetto  del  Bosmini,  poi,  è  V  immobilità 

originarla  e  la  presenza  non  legittimata  del  suo  Ente  poetibile  dinanzi  alla 

mente.  Anche  per  noi  la  mente  vien  di  fuori  ;  ma  questo  di  fuori  è  la  natura 

in  generale.  È  un  di  fuori  nel  senso  eh'  ella  serba  intimi  vincoli  con  la 

natura  e  col  sensibile,  e  sorge  per  virtù  propria,  ma  col  mezzo  del  sen- 

sibile. Tal  si  è  l'interpretazione  che  potremmo  dare  a  questa  celebre  frase 

aristotelica,  nò  ci  mancherebbero  testi  in  proposito  per  confermarla;  tanto 

la  natura  non  può  essere  intelligibile  in  quant'  ò  sem- 

plice realtà,  ma  in  quant' è  potenza  attuosa,  conato, 

processo,  divenire.  Or  in  che  maniera  potrebb' esser 

tutte  queste  cose  ove  non  includesse  una  legge,  un  ritmo, 

una  misura,  una  forma  di  moto,  un  moto  ordinato?  Che 

s'ella  è  per  sé  stessa  intelligibile  in  quanto  che  espli- 

candosi mostra  sé  medesima  e  si  fa  intendere  ;  eviden- 

temente non  potrebbe  fai-si  intendere  ove  non  impor- 

tasse tre  condizioni,  ciò  è  dire  un  principio,  un  mezzo, 

ed  un  fine.  Se  dunque  la  natura  è  potenza  attuosa  e 

quindi  per  sé  stessa  intelligibile,  ha  da  essere  altresì 

))otenzialmente  intelligente.  E  sarà  intelligente  attuale 

ove  quelle  tre  condizioni  siano  insieme  compenetrate 

in  unità:  quando,  cioè,  il  principio  sia  soggetto,  il  fine 

oggetto,  il  mezzo  relazione. 

 

Che  cos'è  dunque  lo  spirito  nell'atto  suo  radicale, 

nel  suo  momento  originario? 

 

È  soggetto,  oggetto  e  relazione:  pensante,  pensato 

e  pensiero.  Però  l' intima  sua  struttura  è  insieme  dua- 

lità e  unità,  difi'erenza  e  medesimezza,  e  quindi,  come 

si  disse,  triplicità;  ma  triplicità  sotto  forma  di  sintesi 

iniziale  e  confusa.  Ne  segue  perciò  che  l' intuito,  la 

mente,  il  NoJ;  potenziale  altro  non  possa  essere,  per 

noi,  fuorché  il  momento  istesso  in  che  la  natura  di- 

venta pensiero;  il  momento  per  cui  l'anima  attinge 

forma  e  sostanza  d'intelletto.  Ora  il  primo  pensiero 

non  potrebb'  esser  triplicità,  non  potrebb'  esser  sintesi 

primitiva,  quando  non  fosse  V  intelligibile  divenuto  al- 

tresì intelligente.  Dunque  la  Mente  è  la  natura  in- 

carnatasi come  individuo;  l'intuito  è  l'individuo  che, 

trascendendo  sé  medesimo,  assume  valore  di  coscienza. 

 

 

più  che  interpretazione  somigliante  ne  dettero  alcuni  aristotelici  del  Rina- 

scimento, fra  cai  meritano  d*  esser  menzionati  il  Porzio  e  lo  Zabarella 

come  quelli  che  considoramno  la  luce  intelligibile  quasi  di8»eminata  tuHle 

/arme  materiali^  e  Dio  come  influente  sa  V  irUdletto  potnbihf  non  in 

quanto  intéUigente,  ma  solo  in  quanto  intelligibile.  (Vedi  Kosmini,  Peieol,, 

voi.  I  —  Ddle  Sentenze  de'  FU  ec,  XX.  —  Rinnooam.  h.  II,  LUI.) 

Possiamo  dire  perciò  che  cotesto  Noù?  potenziale  ci 

renda  immagine  della  testa  di  Giano.  Con  una  delle  sue 

facce  ccrtesto  Giano  guarda  al  processo  della  sostanza; 

guarda  alla  natura  in  quanto  piglia  valore  d'individuo: 

dovechè  con  l'altra  inaugura,  geminandosi,  il  processo 

psicologico,  del  quale  son  due  forme  essenziali  il  processo 

sociologico,  e  il  processo  storico.  Se  non  che,  lasciando 

per  ora  del  processo  della  storia  e  della  sociologia,  im- 

porta notare  come  dalla  costituzione  primitiva  del  pen- 

siero, secondochè  noi  l'abbiamo  designata,  emergano, 

fra  le  altre,  alcune  conseguenze  risguardanti  l'essere 

individuale,  l'origine  e'I  fine  dell'anima.  lUfacciamoci 

dalla  prima. 

 

La  triplicità  originaria,  o,  eh'  è  il  medesimo,  il  se- 

creto vincolo  fra  oggetto  e  soggetto,  costituisce  la  ra- 

dice prima  della  individualità,  e  però  il  fondamento 

cardinale  della  libera  determinazione.  Se  infatti  il  N^uc 

potenziale  è  due  cose  e  non  una,  cioè  mente  e  luce,  ne 

segue  che  in  quant'è  niente  è  soggetto;  e  come  soggetto 

non  può-non  esser  reale,  moltiplioe,  diverso,  individuale: 

in  quant'è  luce,  poi,  è  oggetto;  e  come  oggetto  deve  ser- 

bar carattere  indeterminato,  comune,  universale.  Ora  il 

concetto  di  persona  risale  appunto  al  connubio  di  que- 

sti due  elementi  primitivi.  E  invero,  come  mai  l' in- 

dividuo potrebb' esser  in-dividuo  se  non  fosse  ogget- 

to, fornito  perciò  della  nota  d'universalità?  E  come, 

d'altra  parte,  potrebb' esser  davvero  universale  ove 

non  fosse  nello  stesso  tempo  un  soggetto  concreto,  vi- 

vente, particolare?  Il  particolare  è  il  fatto;  e  al  pari 

del  fatto  e'  sarà  vero,  quando  assuma  valore  universale, 

non  ismettendo  d'esser  particolare.  Similmente  l'uni- 

versale è  il  vero;  e  al  pari  del  vero  sarà  un  fatto, 

quando  rivesta,  anche  come  universale,  natura  di  par- 

ticolare. La  conversione  del  particolare  e  del  generale 

non  può  farsi  che  nell'origine  stessa  del  pensiero.  Or 

se  tutto  ciò  è  indubitato,  come  potranno  salvarsi  dal- 

l'errore più  esiziale  all'umano  consorzio,  eh' è  l'annui- 

lamento  del  vero  concetto  di  persona,  tutte  quelle  di- 

verse famiglie  di  filosofi  che  altrove  riducemmo  ai  due 

indirizzi  estremi  del?  Aristotelismo?  Gli  aristotelici  em- 

pirici e  naturalisti  e  positivisti,  infatti,  distruggon  la  per- 

sonalità perchè  negano  il  Nou;  potenziale  come  diverso 

dal  senso;  perchè  lo  riducono  al  senso.  Ma  la  distrug- 

gono altred  gP  iperpsicologisti  antichi  e  moderni,  cioè 

gli  Averroisti  e  gli  Hegeliani:  i  primi  perchè  separando 

i  due  elementi  credono  il  soggetto  abbia  a  partecipare 

deir  oggetto  posto  fuori  e  sopra  dell'individuo  ;  i  secondi 

perchè  fanno  assorbir  l'individuo  entro  a  quell'oceano 

immobile  e  sconfinato,  ch'essi  addimandano  Spirito  Uni- 

versale. La  quale  affinità  di  risultati  non  avrebbe  a 

recar  meraviglia,  chiunque  sappia  come  la  dottrina  del- 

l'in^eZZ^^  agente,  e  l'altra  non  meno  speciosa  dello 

Spirito  Vniversàlej  rappresentino,  sotto  forme  diverse 

di  speculazione,  T  Ipeppsicologismo  aristotelico. 

 

Da  questa  prima  conseguenza  poi  nasce  una  seconda  di 

massimo  rilievo.  Posto  il  Noù;  potenziale  non  già  come 

passivo,  anzi  come  fornito  originariamente  d'attività 

spontanea  in  quanto  che  nella  sua  nativa  indetermina- 

tezza è  pur  determinato  da  un  oggetto;  si  riesce  a  schivare 

così  quell'errore  supremo  a  cui  rompono,  per  vie  diverse, 

i  suddetti  filosofi  seguaci  de' due  opposti  indirizzi  aristo- 

telici, e  che  riflette  i  destini  dell'anima  e  dell'umana  per- 

sonalità. Se  infatti  nella  mente,  nel  NoJc  potenziale  ri- 

siede la  ragione  della  individualità  e  quindi  la  radice 

prima  della  personalità,  ne  segue  che  lo  spirito,  essendo 

coscienza  originaria  e  quindi  soggetto  superiore  all'orga- 

nismo, non  può,  tuttoché  sgorgato  dall'organismo,  finire 

così  come  finisce  la  funzione  organica.  Se  l'organismo, 

come  dicemmo,  è  numero  che  diventa  unità,  o  meglio, 

unione  d'indole  dinamica  (p.  316),  è  chiaro  com'ei  non 

possa  altrimenti  finire,  salvo  che  disgregandosi  e  trasfor- 

mandosi. Il  suo  fine  è  semplice  ritomo;  è  ritomo  pro- 

priamente detto  :  il  suo  progresso  è  regresso  nel  signifi- 

cato di  monotono  rifacimento.  Per  contrario  lo  spìrito 

è  unità  e  numero  sin  dal  momento  ìstesso  eh'  egli  è 

pensiero.  Dunque  non  può  altrimenti  finire  fuorché 

attuandosi  vie  piii  e  compiendosi  come  individuo,  come 

coscienza,  anziché  annullandosi  come  tale  per  vivere  in 

grembo  all'  universale  d' una  vita  che  non  é  vita.  Il  suo 

finire  non  significa  ritornare,  ma  persistere.  11  suo  pro- 

gredire non  è  regredire,  ma  incessante  determinarsi.  Non 

è  insomma  un  monotono  rifarsi,  un  ripetersi  come  la 

specie:  é  uà  perpetuo  farsi:  un  perpetuo  rinnovellarsi 

dell'  individuo  in  sé,  e  per  sé  medesimo.  Che  sia  così, 

ce  ne  fa  capaci  T  essenza  stessa  del  finito,  delle  forze, 

della  natura.  Perché,  davvero,  se  la  natura  é  conato 

essenziale,  non  verrebbe  evidentemente  a  contraddire  a 

sé  medesima  ov'  ella  non  superasse  il  senso  e,  trascen- 

dendo il  fantasma,  non  se  ne  distaccasse  rendendosene 

indipendente?^ 

 

*  A  questa  maniera  di  prora  intende  accennare  Platone  dove  afferma 

che  r  immortalità  non  è  nò  un  eato  di  cui  saremmo  felici  ore  ci  toccasse, 

nò  una  aperanM  della  quale  è  pur  bollo  lusio^^are  noi  medesimi:  x3c).oV 

7a/9  o'  xtv'Tuvoc,  X3tì  jr^vj  rà  roiavra  tò^mp  ffTroé^scv  eaurù. 

{Fed.^  ed.  Stallbanm,  p.  42.)  Che  se  altri  ci  chiedesse  notizia  su  la  pecnliàr 

forma  della  nostra  esistenza  sovramondana  e  sul  modo  con  che  il  NoJ; 

attuale  sarà  unito  con  T  Assoluto,  noi  risponderemmo  francamente  di 

non  ne  saper  nulla.  WpoaithOfW  razionalmente poA/etVo,  in  siffatta  quistione 

in  che  consiste?  Consiste  in  ciò;  che  il  Noù;  attuale,  in  quanto  pienezza 

di  coscienza  e  di  personalità,  finisco  di  necessità  neir  Assoluto,  cioò 

finisce  col  non  finire;  e  quindi  il  soggetto  j>of<>«»ùifmeiUe  tn/ìntro, qual  si 

è  appunto  lo  spirito,  non  può  finire  come  finiscon  gli  altri  soggetti  finiti,  i 

quali  finiscono  appunto perchò  non  sono  propriamente  aoggeui.  Orda  cotesto 

pentivo  si  dipartono  tanto  coloro  che  nella  soluzione  di  siffatto  problema  ci 

vogliono  dar  troppo,  quanto  quegli  altri  che  finiscono  col  non  darci  nulla 

addirittura.  Escon  dal  positivo  razionale  o  fecondo,  per  cadere  nel  dom- 

matico  tradizionale,  i  Teologistt  col  loro  inferno,  paradiso,  purgatorio, 

eternità  delle  pene,  e  che  so  io.  Escon  parimenti  da  questo  positivo,  per 

cadere  neira  priorinno  dommatico  e  sistematico  .e  nel  Nullismo,  gli 

Hegeliani  con  la  teoria  dell*  individuo  accidentef  fenomenico  e  pataeggiero, 

£d  escono  finalmente  dal  positivo  gli  stessi  Positivisti  per  cadere  nel  ne- 

gativo, sia  che  dicano  col  Littré  esser  davvero  impossibile  indovinar  nulla 

intomo  a  siffatto  problema,  sia  che  affehnìno  col  Feuerback  di  saperne 

ogni  cosa  quando  sia  risoluto  co*  principii  dello  schietto  materialismo. 

31a  sopra  questo  tema  ci  rifaremo  altrove.  Qui  ci  basti  d'aver  accennato 

ad  una  maniera  non  troppo  usata  di  provare  la  immanenza  necessaria 

della  personalità  come  coscienza  individuale. 

Questo  quant'al  destino  dell'anima  umana.  Che  cosa 

potrà  dir  la  filosofia  positiva  nuant' all' origine  sua? 

 

Tutto  nell'ordine  psicologico  move  dal  senso;  ma 

nulla  non  può  nascere  per  ragion  del  senso.  Se  lo  spi- 

rito è  essenzialmente  pensare  e  giudicare,  e  quindi, 

come  s' è  detto,  luce  metafisica,  intuito,  mente  e  però 

triplicità;  ne  conseguita  ch'ei  nasce  a  sé  stesso,  ch'ei 

genera  sé  stesso  come  pensiero.  Ecco  il  vero  significato 

dell'  innatismo,  dell'  idee  innate,  dell'  innate  facoltà. 

Questa  conclusione,  circa  l' origine  psicologica,  contrad- 

dice, al  solito,  tanto  al  Materialismo  che  non  sa  ele- 

varsi più  oltre  delle  pure  leggi  meccaniche,  quanto  a 

quell'astratto  e  nebuloso  Spiritualismo  che,  incapace  di 

scendere  nel  regno  de'  fatti,  non  sa  penetrare  nell'  espe- 

rienza, ed  alimentarsene.  Però  la  filosofia  positiva,  nel 

problema  su  l' origine  del  soggetto  psicologico,  non  vuole, 

non  può  accettare  il  principio  della  trasformazione 

della  materia  come  pretendon  gli  aristotelici  empirici 

rappresentati  oggidì  dagli  Hegeliani  di  parte  sinistra  ;  e 

non  può  del  pari  accettare  il  principio  (pur  ridotto  a 

forma  squisitamente  razionale  e  metafisica)  d'una  crea- 

zione estrinseca,  immediata,  superiore,  secondoché  sti- 

mano, il  tomista,  il  teologist^,  l' averroista,  il  neoplato- 

nico, r  ontologista.  Dottrine  ipotetiche  entrambe,  elle 

non  sanno  reggere  al  martello  della  critica.  La  prima 

riesce  insufficiente  a  spiegare  il  fatto  del  penciero:  la 

seconda  torna  inutile  a  legittimarne  la  natura. 

Tra  il  senso  e  V  intelligenza  ci  ha  intimo  nesso  ;  ma 

ci  ha  da  essere  pure  indipendenza  e  diversità.  Anche 

qui  si  verifica  ciò  che  ha  luogo  attraverso  a  tutti  i  dif- 

ferenti gradi  della  scala  de' sommi  generi  cui  si  riducon 

le  forze  di  natura:  si  verifica,  vo'dire,  quella  doppia 

legge  che  altrove  appellammo  della  continuità  ideale^  o 

degl'  intervalli  reali,  Havvi  continuità  perchè,  posto  il 

senso,  posta  la  natura,  è  possibile,  anzi  è  necessario 

l'intelletto:  si  che  può  dirsi  che  dall'uno  scaturisca 

l'altro.  Ma  ci  è  pure  intervalli,  perocché  se  l'intelletto 

germina  dal  senso,  o  meglio  nel  senso,  non  per  questo 

potrà  esser  lecito  confonderlo  col  senso.  Ci  spieghe- 

remo brevemente. 

Dicemmo  come  l'esigenza  massima,  il  principio  che 

qualifica  V  Aristotelismo  sia  quello  che  si  riferisce  alla 

relazione  tra  la  potenza  e  Tatto.  Gli  Aristotelici  empirici 

(per  esempio  gli  Hegeliani  di  parte  sinistra),  ci  dicon 

che  la  potenza  diventa  atto;  e,  applicando  siffatto  pnn- 

cipio  alla  psicologia  col  fine  di  determinare  l' attinenza 

fra  l'anima  e  '1  corpo,  affermano  che  l'anima  debba 

rampollare  dal  corpo  in  forza  della  leggQ  del  diventare. 

Che  cos'  è  per  essi  il  diventare?  È  il  to  7$ vo?  tolto  in 

significato  al  tutto  empìrico  e  sperimentale;  il  quale 

perciò  vuol  dire  trasformazione,  generazione,  ripetizione 

e  quindi  passaggio  incessante  (attraverso  infinito  nu- 

mero di  forme)  d'un  soggetto  identico,  d'un  fondamento 

universale  ma  concreto  e  sensato,  qual  è  appunto  la 

Materia.^ 

Gli  Aristotelici  iperpsicologisti  poi  (fra'  quali  sono 

d'annoverarsi  gli  Hegeliani  di  destra),  ci  dicono  an- 

'  È  questa  la  teorica  propugnata,  come  altrove  toccammo,  da*  moderni 

Materialisti  tedeschi.  Essa,  com'  è  noto,  è  rappresentata  dal  Feuerbach,  è 

divulgata  e  sostenuta  con  incredìbile  superficialità  dal  Di' BUchner  (Foror 

ei  Matth-e,  trad.  Gamper,  Leipzig  1868.  Science  et  Nature  etc  trad.  De- 

landre, Paris,  1866),  ed  è  applicata  dal  Moleschott  alle  scienze  fisiologiche. 

Ho  appellato  Arùtoteliei  empirici  questi  moderni  materialisti  usciti  dal 

fianco  sinistro  doirHegelianismo,  perchè  davvero  considerati  st>orlcamente 

e*  non  fanno  che  svolgere  V  indirizzo  naturale  deirAristotelismo.  Bel  qual 

fatto  hanno  coscienza  essi  medesimi,  segnatamente  il  Moleschott,  il  più 

ingegnoso  fra  tutti,  quando  afferma  che  Vunion  de  laphilosophie  et  de  la 

acience  ne  e^eH  rialieée  qu'une  foie  don»  ArÌ9tote,  {La  Oirculation  de  la 

Vie,  Paris  1866,  t.I,p.  10.)  Ora  s'intende  agevolmente  comò  pel  Moleschott 

questo  connubio  della  Filosofia  con  la  Scienza  nella  mente  dello  Staglrita 

si  compiesse  tutto  a  scapito  della  metafisica.  Aristotele,  egli  dice,  è  co- 

noscitore delle  .opere  d*  arte,  degli  uomini  e  degli  animali  [Ibi).  Eviden- 

temente il  dotto  fisiologo  riconosce  in  Aristotele  l'autore  d'una  Bettorica, 

d'  una  Storia  degli  animali,  e  degli  otto  libri  su  la  Politica.  Ma  perchè 

dimenticar  r  autore  della  Ptieologia,  della  iSi'HoywKca,  dell' £Wea  e  segna- 

tamente della  Metafisica  t  Non  è  vero  dunque  che  T  Aristotelismo  de' Po- 

sitivisti, do'  Materialisti  e  degli  Hegeliani  di  sinistra  è  addirittura  falso, 

erroneo,  mutilato  storicamente  o  teoreticamente  V 

ch'essi  che  ìsl potenza  diventa  atto;  ma  il  loro  diventai^e, 

anziché  grossolana  ed  empirica  trasformazione,  è,  per 

cosi  dire,  un' addizione  ideale,  cioè  posizione  e  contrappo- 

sizione, determinazione,  individuazione  progressiva,  ma 

d' un  soggetto  unico,  universale,  intimo,  trascendente, 

assoluto,  eh' è  appunto  l' Idea.^  Ora  il  soggetto  del  di- 

ventare, tanto  per  l'empirismo  quanto  per  l'iperpsico-' 

logismo  aristotelico,  cioè  tanto  per  la  sinistra  quanto 

per  la  destra  hegeliana,  è  sempre  uno,  sempre  iden- 

tico a  sé  stesso,  chiamisi  Idea,  chiamisi  Materia.  Ecco 

dunque  la  ragione  per  cui  ne'  risultati,  massime  nella 

soluzione  del  problema  psicologico,  le  due  scuole  s' ac- 

cordano a  meraviglia.  Di  fatto,  l'anima'  per  gli  uni 

na^e  dalla  materia,  è  materia,  e  finisce  nella  materia: 

per  gli  altri  nasce  in  virtù  dell'  idea,  è  l' idea,  e  finisce 

nell'Idea.  Qual  è  dunque  il  fine  supremo  dell'anima?  Non 

altro  che  un  ritomo,  un  estinguersi  nell'  Idea,  o  nella 

Materia:  ecco  tutto.  L'intima  parentela  tra  il  Positivi- 

smo e  r  Hegelianismo  non  potrebb'  esser  più  evidente  I 

Seguaci  dell'  indirizzo  medio  dell'  Aristotelismo,  a  noi 

pare  che  l' interpretazione  legittima  della  sentenza  ari- 

stotelica in  discorso  non  sia  questa,  che  cioè  la  potenza 

diventi  atto;  ma  quest'  altra,  che  la  potenza  passi  ad 

essere  atto.  Se  non  fosse  così,  tutto  affogherebbe  sotto 

il  pesante  domma  dell'identità  assoluta,  né  vi  sarebbe 

differenza  di  contenuto  fra  le  cose  in  generale,  e  nem- 

manco  fra  il  senso  e  l'intelletto  in  particolare.  Or  se 

questo  fosse,  anziché  progresso  avremmo  processo;  e 

'  La  materia  e  la  forma,  la  pot&Ma  e  V  atto,  la  forma  e  il  contenuto, 

non  ooetitHÌacono  altro  che  due  momenti  deWIdea,  (Hbgsl,  Log.,  Tol.  I, 

§  XUI  e  segg.  Vedi  anche  neir  Introd.  del  Vera,  Cap.  XII,  XIII.)  L*  Idea 

perciò  s*  occulta  eeaenxialmenu  in  entrambo  i  momenti  ;  con  questo  sem- 

plice divario,  che  nell*  atto  essa  è  piìi  determinata,  più  individuata,  più 

enudeata  (direbbe  con  parola  significantissima  Vittorio. Imbriaui)  di  quel 

che  non  sia  nella  materia  e  nella  potenza.  Dunque,  io  concludo,  la  difTe- 

renia  non  istà  nel  quali,  ma  nel  qoaktvm  ;  e  perciò  diventare  non  altro 

Tale,  a  dir  proprio,  che  traeformanL  Ecco  il  punto  di  coincidenza  de*  due 

estremi  indirizzi  aristotelici;  ed  è  pur  quello  nel  quale  per  logica  necessità 

debbono  consentire  (checché  se  ne  dica)  la  destra  e  la  sinistra  Hegeliana. 

quindi  monotonia,  eterno  e  indefinito  cangiamento  di 

forme.  Tutto  quindi  si  ridurrebbe  ad  un  meccanismo 

materiale,  ovvero  ad  un  meccanismo  ideale;  e  leggo 

universale  del  mondo  sarebbe  o  la  necessità  empirica  e 

fisiologica,  ovvero  la  necessità  dialettica  :  fatalismo  cieco 

nell'  un  caso  come  nelF  altro.  Invece  l' essenza  del  pro- 

cesso cosmico  per  noi,  come  vedremo,  sta  nel  canato 

secondo  eh'  è  inteso  dal  Vico.  Ma  come  il  conato  po- 

trebb' esser  conato  ove  non  includesse  l' intervallo,  la 

diversità  vera,  cioè  la  diversità  di  contenuto?  Conato 

è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola  (irjìpytx 

otTf)>?;);  è  transito,  non  trasformazione;  eduzione  (edu* 

dio  entis  ad  a4ium)  ma  eduzione  intrinseca,  e  quindi 

conversione  del  fatto  ìid  vero,  cioè  dire  conversione 

della  potenza  nelP  atto ,  creazione  intima ,  creazione 

spontanea.  La  potenza  dunque  recasi  ad  atto  non  in 

quant'  è  potenza ,  ma  in  quanto  cessa  d'  esser  po- 

tenza, e  passa  ad  esser  atto;  cioè  in  quanVè  potenza 

feconda.  E  come  potrebb' esser  feconda  (tò  ^warov),  ove 

non  fosse  privajsfione  («rrf/jvjTc;)?»  Or  tutto  ciò,  come 

sarebb'  egli  possibile  senza  la  doppia  condizione  della 

continuità  ideale  e  dell'intervallo  reale? 

Torniamo  all'  assunto.  L' intelletto  nasce  dal  senso  : 

è  vero.  Ma  forse  che  nascere  vài  risultare?  Se  così  fosse, 

r  intelletto  non  essendo  altro  che  un  risultato,  starebbe 

rispetto  al  senso  così  oomQ  precisamente  nella  storta 

del  chimico  sta  un  sale  rispetto  agli  elementi  onde 

risulta,  cioè  all'  acido  e  alla  base.  Or  questo  (chi  noi 

'  Questo  è  il  senso  che  noi  diamo  al  principio  aristotelico  della  pn- 

«astone.  {Metaph.,  l.IX.)  Anziché  principio  negativo^  la  pr«ea«i<m«ò  principio 

essenzialmente  affermativo;  e  così  la  interpretarono  gli  Alessandrini,  se- 

gnatamente Proclo  e  Plotino,  come  osserva  il  Michelet.  (Kxam,  ec., 

p.  298.)  Ed  è  affermativo  in  quanto  include  necessariamente  il  diverto; 

il  diverso  come  tale,  non  già  il  diverso  come  semplicemente  oppoHo 

secondo  che  vorrebbe  lo  storiografo  hegeliano.  [Ibi,  p.  258.)  Se  in  altro 

senso  si  volesse  interpretare  la  privtmone,  non  so  come  si  potrebbe  ri- 

spondere alle  serie  difflcoltà  cho  a  questo  proposito  affaccia  il  Rosmini 

contro  lo  stesso  Aristotele.  {ArÌ9t.  e«p.  ec,  p.  404.) 

vede?)  è  pretto  sensismo.  Vorranno  accettare  tal  con- 

clusione gli  Hegeliani,  maestri  in  Aristotelismo  ammo- 

dernato? E,  accettandola,  in  che  mai  si  distingueranno 

da'  Positivisti?  Tra  V  Hegelianisrao  e  '1  Positivismo  è  un 

breve  passo!  L' abbiam  detto,  e  lo  ripeteremo  a  sazietà.* 

Dunque  non  è  il  senso  che  come  senso  trasformasi 

in  pensiero.  E  non  è  la  Idea  che,  quasi  immergendosi 

nel  sensibile  e  straniandosi,  ami  celarsi  nel  senso,  nella 

natura,  e  farsene  un  mezzo  attraverso  cui,  passando, 

giunge  da  ultimo  a  rimirar  sé  medesima  specchiata  nella 

pienezza  del  proprio  splendore  e  chiarità.  Il  senso  è  forza 

che  s'attua;  è  conato  che  transita;  è  natura  che,  sa- 

lendo, assume  valore  di  pensiero  :  ma  non  è  Idea-Natura 

che  diventi  coscienza.*    Piii  chiaramente:  Videa  per 

'  E  questo  passo  brevissimo  gli  Hegeliani  lo  daranno,  io  ne  son  sicuro: 

che  anzi  non  manca  fra  noi  chi  l'abbia  già  beli' e  dato.  Il  mio  collega 

professor  Fiorentino,  per  esempio,  non  dubita  scrivere  con  tutta  se- 

rietà, che  il  «eiwo  diventa  riJUtnone  in  virth  della  riprtizionb  (frase  di 

schiettissimo  conio  condillachiano)  ;  e  che  poi  o(d  ripeterei  si  fieea^  ei  deter- 

mina, ti  epecchia.,.,  e  in  cotesto  fieearù  e««o  ««  trae/orma,  e  la  luce,  inith 

leniva^  impromieaj  balena  allo  epirito.  Ma,  se  col  ripetere  »i  tran/orma^ 

non  è  proprio  inatile  qualunque  /tK»  improvvisa  e  qual  si  voglia  balenio  f 

Nascere  improwieof  balenare^  e  trat/ormarei,  a  me  pare  contradizione.  Del 

resto  non  potendoci  intrattenere  su  ciò,  noi  ci  permettoremo  di  rammen* 

tare  all'amico  nostro  le  tanto  belle  e  tanto  gravi  e  severe  analisi  del  Rosmini 

in  proposito,  massime  quelle  che  si  leggono  nella  Psicolotfia  (Voi.  Il,  od.  No- 

vara, LXXX);  e  solamente  per  nostro  conto  poi  facciamo  riflettere  che,  a 

guardare,  con  la  speranza  di  qualche  baleno,  e  contemplare  e  ripetere  per 

secoli  0  secoli  il  senso  per  indi  volerlo  trae/ormare  e  cavarne  la  specie,  ù 

tempo  sprecato  addirittura.  Il  più  perfetto  quadrumane,  per  esempio,  ripete 

U  tento  infinito  nnmero  di  volte.  Or  bene,  qual  balenìo  di  luce  ha  mai  potuto 

lampeggiare  agli  occhi  suoi?  Perchè  dunque  il  senso,  ripetendoti^  non  si 

tratforma  anche  in  lui?  E  se  non  si  trat/orma,  non  vuol  dire  che  nel 

senso  del  quadrumane  manchi  qualcosa  che  devesi  celare  necessaria- 

mente e  primitivamente  nel  bimane?  —  Le  riflessioni  che  altrove  abbiamo 

fatto  contro  il  Littró  a  questo  medesimo  proposito  (p.  813  e  segg.) 

8'  attagliano  benissimo  anche  agli  Hegeliani  che  con  armi  e  bagaglio 

passano  oggi  nel  campo  de*  Feuerbach  e  do'  Bilchner. 

•  Netta  tfera  della  «entibilità  (dice  Hegel)  »'  incontra,  eia  come  con- 

tenuto,  eia  come  determinabilitàf  tutti  i  momenti  pivi  profondi  dello  spirito. 

(Phil,  de  V Esprit,  t.  I,p.  19,  trad.  del  Vera).  E  altrove:  V  Idea  etema  è 

immanente  neUa  natura,  o,  eh*  è  lo  ttesso,  lo  tpirito  rieiede  e  agisce  virtual- 

mente in  lei.  (Ibi,  p.  87.) 

noi  non  riappare,  bensì  appare.  Non  è  potenza  che 

quasi  attergata  allo  spirito  per  dialettica  necessità  in- 

cessantemente si  sforzi,  si  determini,  diventi;  ma  è  lo 

stesso  conato  di  natura  che  si  determina,  che  procede, 

che  s' avanza,  e  che  per  efficacia  e  yirtù  propria  si  fa 

e  s'aderge  a  dignità  di  ragione.  Però  non  è  vero  che 

r  anima  sensitiva  trasformandosi  diventi  intellettiva  e 

la  generi;  ma  è  vero  che  questa,  nascendo  nella  prima, 

la  supera,  la  trascende,  la  signoreggia.  E  neanco  è  vero 

che  il  conoscere  cominci  dal  senso,  col  senso,  per  il 

senso;  ma  è  vero  che  lo  spirito  in  quanto  è  NoJ?  po- 

tenziale. Intuito,  Mente,  cominci  come  senso,  che  cioè 

dapprima  si  palesi  come  senso,  appunto  perchè  questo, 

necessario  termine  di  mediazione,  è  dentro  al  processo 

psicologico,  e  ne  costituisce  V  inizio.  E  finalmente,  se  è 

vero  che  il  conoscere  senza  Y  opera  de'  fantasmi  è  im- 

possibile; è  verissimo,  d'altra  parte,  che  tal  necessità, 

anziché  al  processo,  è  relativa  all'origine  della  cono- 

scenza ;  per  la  solita  ragione  che,  ove  così  non  fosse,  lo 

spirito  non  sarebbe  conato  essenziale,  né  il  pensiero 

sarebbe  attuosità  vivace,  intrinseca,  spontanea.  Il  pen- 

sare non  sarebbe  giudicare^ 

*  Noi  non  abbiam  potato  nò  voluto  intrattenerci  intomo  a  questo 

punto  che  ba  importanza  vitale  nella  moderna  psicologia,  perchè  ci  sem- 

l>ra  posto  oggimai  nella  sua  massima  evidenza  sopratutto  dal  Rosmini.  A 

niuuo  è  lecito  dubitare  della  necessità  d*una  forma  oggettiva  originaria 

nella  sfera  de*  fatti  psicologici.  Con  salde  ragioni  il  Kant  ha  dimostra- 

to, contr*ogni  maniera  d'empirismo  psicologico,  che  lo  spirito  intanto 

pensa  in  quanto  giudica;  e  più  ancora  il  Rosmini  ha  posto  in  chiaro 

che  lo  spirito  giudica  appunto  perchè  è  toggeito  e  oggetto  insiememente. 

(Vedi  Nuo.  Saggio  passim. —  Rinnowm,^  L.  Ili,  e.  XLVII.  — Psicologia, 

voi.  I,  e.  IX,  X.  —  Introd,  alla  FU,  p.  74.)  I  difetti  della  teorica  Bo- 

sminiana  li  accenneremo  in  quest'altro  capitolo.  Qui  osserviamo  che  in 

tale  dottrina  il  filosofo  italiano  si  ricollega  con  san  Tommaso,  e,  chi 

volesse  andare  più  in  su,  anche  con  Alessandro  Afrodiséo,  e  quindi  con 

Aristotele.  Nello  Stagirita  infatti  ò  chiaro  questo  principio:  NotjtvÌ  ^i 

in  iTÌpcK.  <j\fvroix,i(x.  xad'  awri^iV  xac  radxvii  in  oucrta  aptirn, 

{Metaph,  XII.)  Se  ciò  nonostante  il  sensista,  il  positivista,  il  materialista, 

r  Hegeliano  ainiairo,  o  come  altrimenti  voglia  chiamarsi,  pretenda  tuttavia 

di  venir  fuori  con  la  solita  macchinetta  del  senso  che  ripetendosi  e  trat- 

Dalle  cose  discorse  è  agevole  trarre  una  conseguenza. 

L' anima  non  è  creata  di  getto,  come  pretendono  vec- 

chi e  nuovi  platonici  e  certi  aristotelici  iperpsicologisti; 

ma  neanche  si  può  dir  eh'  ella  sia  pullulata  per  gradi, 

quasi  a  forza  di  pompa  o  di  lambicco,  dal  grembo  stesso 

della  materia,  come  pretendon  i  vecchi  e  nuovi  Ari- 

stotelici seguaci  deir  indirizzo  empirico.  L' anima  è  for- 

mata di  getto,  è  vero  :  se  fosse  altrimenti  non  potrebbe 

esser  pensiero  per  nessun  miracolo  al  moi>do.  Ma  nem- 

manco  è  presupposta  al  corpo,  come  dice  lo  stesso  Pla- 

tone, 0  piovutagli  addosso  dal  di  fuori  e  dall'alto  in  certo 

mese  e  in  certo  momento  della  vita  intrauterina,  come 

affermano  tomisti  e  teologi,  senza  dirci  ne  come  né 

perchè:  e  tanto  meno  potrebb* esser  venuta  fuora  e  ve- 

nir fuora  qual  risultamento  di  leggi  meccaniche  e  fisio- 

logiche. L'anima  è  creata;  o,  per  dir  meglio,  l'anima 

crea  sé  medesima  per  una  legge  profondamente  dina- 

mica che  si  confonde  e  compenetra  con  l' essenza  stessa 

della  natura  e  del  finito.  Perciò  alla  domanda,  se  fra 

l'anima  e  '1  corpo  come  fra  il  sentire  e  l'intendere  oi 

è  salti  ed  abissi,  rispondiamo  subito  che  sì;  ma  tosto 

aggiungiamo,  che,  a  colmare  cotesti  abissi  e  varcare 

cotesti  salti,  né  la  psicologia  positiva  ha  punto  biso- 

gno d' invocar  V  atto  immediato  d' un  deus  ex  machina, 

né  r  ideobgia  ha  mestieri  d'  un  a  priori  che,  dardeg- 

giando all'  anima  il  raggio  dell'  intelligibile  sovramon- 

dano,  svegli  ed  ecciti  in  essa  la  virtù  dell'  intelletto. 

 

Questo,  e  solamente  questo,  noi  potevamo  dire  'quan- 

t' alla  genesi  e  quant'  alla  teleologia  dell'  anima  umana, 

puntellandoci  unicamente  (come  s'  é  visto)  su  la  na- 

tura dell'  atto  essenziale,  dell'  atto  radicale  onde  vuol 

esser  costituito  il  pensiero.  La  psicologia  non  sarebbe 

 

 

famMndoèi  bel  bello  diventa  miracolosamente  intelletto,  ignorando  cosi  o 

facendo  le  Tlste  d'ignorare  gli  studi  profondi  e  le  parti  accettabili  deUa 

psicologia  Bosminiana;  sì  serva  pure:  noi  non  istaremo  a  perderci 

ranno  e  sapone.  Ma  non  sarà  certamente  villania  il  dover  dire  di  lui 

con  Aristotele:  ^uoeo;  yixp  f^fw  o  toiowtoc  y,  toéoùtoc  'A^ril 

davvero  positiva,  non  sarebbe  razionalmente  positiva, 

quand'  ella  presumesse  di  risolvere  diffinitivamente,  doni- 

maticamente,  sistematicamente  questi  due  problemi,  che 

non  senza  ragione  il  Leibnitz  appellò  terribili.  Ella,  ripe- 

tiamo, deve  saper  contraddire  a  due  estremi  opposti  e 

contrari.  Da  una  parte  dee  contraddire  allo  Spiritua- 

lismo e  al  Materialismo;  dall'altra  al  Positivismo.  Dee 

contraddire  al  volgare  spiritualista  e  al  materialista, 

perchè  entrambi  pretendono,  tuttoché  per  vie  e  risul- 

tati assai  diversi,  d'aver  risoluto  in  maniera  invincibile 

cotesto  doppio  problema,  mentre  nel  fatto  l'un  d'essi 

disconosce  il  valore  intimo,  l'autonomìa  dell'anima,  e 

l'altro  finisce  per  impugnanie  perfino  l'esistenza.  Deve 

poi  contraddire  al  Positivismo,  perchè  questo,  al  solito, 

non  volendo  sapere  di  siffatti  problemi,  ne  dichiara  im- 

possibile tal  soluzione,  e  quindi  inutile  il  parlarne.  Il 

filosofo  seriamente  positivo  può  fare  qualcosa  di  più 

che  non  sappia  il  Positivista.  Ma  confessa  di  non  saper 

giugnere  fin  dove,  con  volo  icario  e  fatale,  sanno  spin- 

gersi materialisti  e  spiritualisti,  empirici  e  tradiziona- 

listi, hegeliani  di  destra  ed  hegeliani  di  sinistra,  mistici 

e  ontologisti.  I  principìi  della  psicologia  positiva  che 

abbiamo  interpretato  nell'  autore  della  Sdenza  Nuova 

ci  possono  far  capaci  di  determinare  siffattamente  la 

genesi  e  la  teleologia  dello  spìrito,  da  chiuder  l'adito 

allo  scetticismo  e  al  nullismo.  Il  che  non  dovrebb'  esser 

poco,  anzi  dovrebb'  essere  moltissimo,  agli  occhi  almeno 

di  coloro  che  modestamente  sanno  e  voglion  ricono- 

scere i  confini  del  pensiero  umano. 

Abbiam  visto  come  la  genesi  del  processo  psicologico 

sia  essenzialmente  genesi  teleologica.  Ella  dunque  ci  vieta 

d'essere  scettici  per  sistema,  ci  vieta  d'esser  nuUisti  circa 

il  sapere  metafisico.  Se  il  mondo  della  natura  e  quello 

dello  spirito,  come  altrove  toccammo,  sono  processo  e 

conversione,  stantechè  il  primo  sia  numero  che  volge 

ad  unità  e  il  secondo  unità  che,  in  sé  medesima  attuan- 

dosi, divien  numero  ;  anche  1'  assoluto,  serbando  mede- 

simezza di  legge,  ha  da  esser  non  altro  che  conversione, 

processo,  mediazione.  È  dunque  possibile  che  la  mente 

penetri  in  qualche  maniera  nel  regno  delle  realtà  me- 

tafisiche. Ma  se  la  legge  è  comune,  sarà  pur  tale  il  con- 

tenuto? Agli  occhi  del  modesto  indagatore  del  vero  la 

metafisica  è  la  scienza  de'  confini.  Or  questi  confini  ap- 

punto ignorano  tanto  i  Neoplatonici  quanto  i  Neoari- 

stotelici per  opposite  ragioni. 

Di  fatto  anche  qui,  e  sopratutto  qui,  navighiamo  fra 

Scilla  e  Gariddi:  siamo  fra  que'due  soliti  estremi,  come 

si  disse,  in  che  travagliasi  '1  pensiero  filosofico  fino 

da' tempi  in  cui  sovraneggiarono  i  due  grsmà'' istitutorì 

déW  uman  genere,  come  il  vivente  filosofo  berlinese  non 

dubita  chiamare  Platone  ed  Aristotele.'  Qual  è,  in  ge- 

nerale, l'esigenza  e  quindi  '1  distintivo  de' Platonici  e 

del  Neoplatonismo  di  tutte  l'età  nell'afifermar  l'assoluto? 

È  il  propugnare  la  conoscenza  immediata  e  primitiva 

dell'  obbietto  metafisico,  qualunque  ne  sia  1'  ampiezza, 

il  grado,  il  valore  dell'intùito.  Qual  è,  invece,  l'esi- 

genza degli  Aristotelici  e  del  Neoaristotelismo?  È  il 

*  1|I0HIL«T,  Metaph,  d'ArUL,  ed.  cit,  p.  243. 

mantenere  la  mediatezza  del  conoscere  metafisico,  ov- 

vero menomarla  cosi  da  renderla  inefficace,  e  talora 

persino  affatto  negativa.' 

I  metodi  de' Neoplatonici  nelP  attinger  l'assoluto 

'  In  armonia  con  le  idee  accennate  già  nel  Gap.  Ili  di  questo  secondo 

libro  sa  la  storia  generalo  del  pensiero  filosofico,  noi  togliamo  in  sig^nificato 

largo  le  parole  Neoplatonismo  e  Neoaristotelismo.  In  esse  comprendiamo 

più  e  differenti  scuole  di  filosoft.  E  quindi  non  sono  soltanto  filosofi  Neo- 

platonici  gli  Alestandrini  o  quelli  àeXht  scuola  Toscana  del  secolo  XY«  od 

altri  simili  tra' filosofi  cristiani  massime  appartenenti  a*  secoli  XIIl  e  XIV. 

Filosofo  neoplatonico  è  chi,  pur  modificando  il  Platonismo,  ne  sorbi,  come 

notammo,  due  esigenze,  di  cui  1*  una  ò  p9Ìeologtea  e  1*  altra  è  tnetaJUica. 

La  prima  consiste  nel  porre  un*  attinenza  primitiTa,  e  quindi  una  connes- 

sione originaria  Tra  la  mente  e  l'obbietto  metafisico.  Secondo  tal  criterio, 

fra*  neoplatonici  andrebbero  annoverati  parecchi  filosofi  arabeggianti,  av- 

vegnaché per  ragione  isterica  ei  risalgano,  come  toccammo,  allo  Stagirita. 

(p.  287,  e  segg.)  La  seconda  esigenza  poi  risiede  nel  riguardar  le  idee 

siccome  entità  aottanxialmente  eaemplatrici;  il  che  costituisce  davvero  il 

distintivo  del  Platonismo  in  generale  (p.  280).  Or  le  diverse  famiglie  o 

varietà  di  platonici  e  di  neoplatonici  possono  esser  coordinate,  nella  storia 

della  filosofia,  secondochè  queste  due  posizioni  si  presentano  più  o  meno 

modificate.  Per  iVeoameoCetùn  poi  intendiamo  qne'filosofi  che  contraddicono, 

in  generale,  ali*  anzidetta  esigenza  psicologica  e  metafisica.  E  poiché  il 

Platonismo,  come  dicemmo  e  come  avverte  il  Barthélemy  Saint-Hilaire 

{Phif9.  d*ÀrÌ9t.,  Pref.  p.  XX),  si  riproduco  e  si  trasforma  in  Aristotele  non 

pure  quanto  alla  filosofia  ma  eziandio  quanto  ad  ogni  altra  sfera  di  scibile, 

cosi  noli'  Aristotelismo  è  d*  uopo  saper  rintracciare  i  germi  del  triplice 

indirizzo  speculativo  da  noi  altrove  accennato,  massime  deirindirìzzo  mediof 

nel  quale  unicamente  è  possibile  rinvenir  la  correzione  del  Platonismo  e 

dell*  Aristotelismo.  Ripetiamolo  anche  qui  :  tutta  la  storia  del  pensiero 

filosofico  occidentale  consiste  nelJo  svolgimento  fecondo  e  svariatissimo 

di  questi  tre  indirizzi;  ciò  ò  dire  nella  lotta  perenne  delle  due  estreme 

posizioni,  e  nel  trionfo  lento  e  faticoso,  ma  immancabile,  della  posizione 

mediana.  Se  questo  è  vero,  ne  segue  (almeno  per  chi  serbi  alcuna  fiducia 

nel  progresso  della  ragion  filosofica)  che  se  nessun  filosofo  oggi  può  dirsi 

od  essere  un  puro  platonico  od  un  puro  aristotelico,  tutti  invece  dobbiamo 

essere  e  dirci  neoplatonici,  o  neoarìstotelici,  ovvero  seguaci  del  terzo  in- 

dirizzo; il  quale,  sia  storicamente,  sia  teoricamente,  vien  fuora  tostochè 

sian  dati  i  due  primi.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  sopra  questa  ma- 

teria e  corredar  di  prove  isteriche  tale  assunto,  essondo  ben  altro  il 

compito  del  nostro  lavoro.  Ma  riteniamo  per  sicuro  che  una  storia  par- 

ticolare 0  generale  della  nostra  scienza,  la  quale  non  sia  condotta  con 

silEatti  criteri,  altro  alla  fin  fine  non  potrà  esser  che  un  lavoro  d*  in- 

tarsio, come  tanti  se  ne  vedono,  ovvero  un  arbitrio  sistematico,  dom- 

matico  e  fftntastico  dairnn  capo  ali*  altro.  (Vedi  tutto  ciò  che  abbiamo 

discorso  a  tal  proposito  ne*  Gap.  III  e  IV  di  questo  Lib.  II.)      ( 

potranno  differir  nella  forma  più  o  manoo  arbitraria 

con  che  ci  è  data  la  dottrina  delP  immediatezza.  Ma 

tutti  ci  palesan  lo  stesso  difetto:  l'esser  dommatici,  Tesser 

sistematici;  poiché  tutti  trascendon  T esigenza  d'un  po- 

sitivo e  fecondo  psicologismo.  L' esagerazione  di  cotesto 

indirizzo  è  rappresentato  da  chi  presume  conseguir  la 

notizia  dell'  assoluto  con  la  ragione,  ma  con  la  ragione 

che  si  lasci  guidar  dalla  fede,  e  sorreggere  dal  senti- 

mento. Con  siffatta  maniera  di  speculazione  noi  non  ci 

abbiamo  che  vedere.  Essa  ci  rappresenta  quella  posi- 

zione metafisica  che  altrove  appellammo  DommcUismo 

empirico  (p.  251).  Dobbiamo  dunque  rifiutarla.  E  dob- 

biamo rifiutarla,  sia  perchè  in  sostanza  ella  riesce  a 

negar  la  speculazione  trascendente,  ùa  perchè  s'oppone 

alle  condizioni  più  elementari  della  scienza,  (p.  213.)  — 

Le  altre  forme  di  Neoplatonismo  afferman  l'immediatezza 

dell'  oggetto  metafisico  ponendo  l' intùito,  ma  l' intùito 

che  legittima  sé  stesso  in  quanto  che,  assumendo  virtù 

riflessa,  diventa  ragione.  Secondo  tale  indirizzo  appunto 

è  venuta  svolgendosi  la  speculazione  italiana  nel  moderno 

periodo  della  nostra  filosofia.  Talché  noi  dovendo,  come 

richiede  l'indole  stessa  del  nostro  lavoro,  tener  conto  non 

pur  della  ragion  teoretica,  ma  eziandio  della  ragione 

isterica,  verremo  accennando  alla  dottrina  del  Rosmini, 

del  Gioberti  e  del  Mamiani,  che  ne  sono  i  più  legittimi 

rappresentanti.  Rifacciamoci  dal  primo  come  quegli  che 

per  ragion  cronologica  e  per  valore  di  speculazione  va 

innanzi  a  tutti. 

 

Al  Rosmini  s'  é  voluto  dar  titolo  d' idealista  piato- 

nico.  *  Con  egual  ragione  altri  potrebbe  dargli  titolo  di 

realista  aristotelico.  Il  Roveretano  corregge  davvero  il 

neoplatonismo  nella  ricerca  psicologica  ;  ma  v'  è  un  punto 

vitale  nel  quale,  come  si  vedrà,  ei  si  palesa  più  che  ne- 

*  È  un  titolo  in  gran  parte  sbagliato.  Quelle  eh'  ei  dice  propriamente 

idee  per  lui  sono  eeemplari  delV  eetenxa  inteUigibiUf  non'  già  eeemplatrici 

per  «è  medeeime,  {ArieU  E«p.  ed  eeam,,  Pref.)  Come  dunque  ò  idealista 

platonico  ? 

platonico.  Con  ingegno  potentemente  analitico,  temprata 

alla  severa  speculazione  d' Aristotele  e  deH'  Aquinate  * 

egli  ha  dimostrato  ciò  che  in  modo  assai  vago  eran 

venuti  affermando  gli  aristotelici  su  la  necessità  d^  una 

forma  oggettiva  nella  mente.  Ma  egli  non  si  contenta 

dell'essere  in  quanto  essere:  lo  dichiara  altresì  immo- 

bile,  immutabile,  obbiettivo,  inalterabile,  se^nplice,  uno, 

immescibile,  infinito^  necessario,  insussistente,  ideale}  Ecco 

il  puntello  ond'  egli  s' augura  di  spiccare  il  volo  inverso 

ali  Assoluto.  Ma  innanzi  tutto  guardiamo  tale  dottrina 

sotto  il  rispetto  psicologico  eh' è  appuntò  il  tema  pre- 

cipuo del  presente  capitolo. 

Col  porre  l'Essere  come  oggetto  primitivo  della  mente, 

e  col  dichiararlo  fornito  del  carattere  d' universalità,  il 

Rosmini  taglia  i  nervi,  come  dicemmo,  ad  ogni  maniera 

di  sensismo,  e  nel  medesimo  tempo  corregge  il  Critici- 

smo: lo  corregge  non  già  mondandolo  (com'  ei  si  vanta) 

della  magagna  della  subbiettività  di  cui  non  sa  neppur 

liberare  sé  medesimo,  bensì  dimostrando  quant*  inutile 

fardello  sia  quella  moltitudine  di  categorie  originarie 

ond' il  Kantismo  si  distingue  fra' moderni  sistemi  di 

filosofia.  Ecco  ciò  che  forma  l'onore  della  psicologia 

rosminiana.  *  Ma  qual  è  il  suo  difetto?  È  il  non  aver 

indagato  fino  alla  più  fonda  radice  quel  eh'  egli  stesso 

appella  il  minimum  della  cognizione;  e  quindi  l'aver 

fatto  pesare  su  l'obbietto  originario  un  ingombro  di 

note  e  d'attributi  cotanto  copioso,  da  fargli  smarrire 

affatto  il  carattere  dell' originarietà.  E,  davvero,  cotest'  og- 

getto è  egli  ideale?  Dunque  è  già  beli'  e  determinato. 

Ór  come  un  obbietto  determinato  potrà  esercitare  fun- 

*  Il  prof.  Paganini  ha  mostrato  1*  affinità  fra  il  Rosmini  o  san  Tom- 

maso quant'alla  teorica  del  lume  intellettivo.  {Sagg.  9opra  «an  Tomm, 

éC  Aquino  e  t7  Roeminif  Pisa  1857.) 

 

«  Vedi  Rinnovam.,  LUI,  e.  XXXìX,—  Ptieologia,  Tol.  I,  XI,  XXIIi, 

ed.  cit.  —  Nuo.  Sagg.^  voi.  II,  Sez.  II. 

*  Il  prof.  Spaventa  ha  pasto  in  sodo  questo  gran  merito  del  filosofo 

italiano  di  fronte  al  Criticismo  nel  prezioso  opuscolo  altrove  citato  so  la 

'  FUo9ofia  di  Kant  e  la  tua  relazione  con  la  FUotoJia  Italiana,  Torino  1860. 

2Ìoni  di  Primo  psicologico?  Non  verremmo  cosi  a  tur- 

bare e  confonder  l'ordine  primitivo  della  conoscenza 

col  riflesso?  Dunque  Y  essere  ideale  nell'organismo  della 

psiche,  anziché  Primo  psicologico,  sarà  il  Primo  logico.* 

Quanto  poi  air  attributo  della  infinità,  egli  ha  ragione 

dove  aflerma  con  san  Tommaso,  la  natura  del  soggetto 

dover  partecipare  a  quella  dell'oggetto:  e  quindi  se  a 

questo  appartiene  il  carattere  della  infinità,  non  si  vede 

perchè  non  debba  appartenere  anche  a  quello.  Or  s' egli 

è  cosi,  è  dunque  infinito  il  pensiero?  Lasciamo  agli  hege- 

hani  cotesta  innocua  pretensione  finché  non  ce  n'  abbiau 

dato  valide  e  serie  dimostrazioni." 

Se,  inoltre,  cotal  forma  innata  è  immobile,  immuta- 

bile, immescibUe  e  inalteràbile,  perciò  non  le  sarà  dato 

moversi  di  per  sé  stessa.  Ella  si  move  bensì,  ella  diventa, 

ma  in  virtù  d' una  determinazione,  in  forza  d' un'  op- 

pliccunone.  Chi  recherà  ad  atto  cotest' applicazione?  La 

*  Lo  Spaventa  ha  ragione  :  «  V  errore  del  Roamini  non  ì  il  fare 

ddV  eteere  come  eeeere  il  primo  eeientijico  o  logico,  ma  di  fame  jil  primo 

peiedogieo:  non  U  primo  pensabile,  ma  il  primo  eonoeeibUe,  »  (Le  prime 

categorie  della  Log,  di  Hegel,  p.  130,  negli  Aui  dtUa  B,  Accad,  di  Nap., 

voi.  I,  1864.) 

'  Il  Rosmini  stesso  prevede  questa  grave  difficoltà,  e  tenta  rispondere 

in  più  modi  riparando  al  solito  arsenale  delle  distinzioni  ;  ma  questa  volta 

con  assai  poca  fortuna.  {Peieologia,  voi.  I,  e.  XI,  ed.  cit)  In  altre  opere, 

e  anche  nel  Nuo,  Sag.,  avea  chiamato  infinito  il  pensiero,  non  però  eotto 

tuui  gli  aepeUi.  Ma  un  inAnito  di  cotesta  foggia  chi  vorrà  accettarlo? 

La  creduta  infinità  dell*  oggetto  primitivo  non  ò  infinità,  ma  indetermi- 

natezza, E  di  fatto  la  nota  epeeijicante  della  Ittee  metaJUiea^  secondo  la 

sentenza  del  Vico  altrove  riferita  (p.  851)  è  appunto  la  indeterminatezza, 

la  potenzialità,  ma  la  potenzialità  non  vuota  e  subbiettiva  de*  Tomisti  e 

de*  Peripatetici,  bensì  piena,  feconda,  oggettiva,  essendo  nella  sua  essenza 

un  eonato.  Or  se  questo  ò  il  carattere  dell*  oggetto,  e  se  la  natura  del 

soggetto  ha  da  rispondere  a  quella  della  sua  forma,  ne  seguita  che  al- 

reggette  indeterminato  dee  far  riscontro  una  facoltà  d*indol6  somigliante. 

Ma  che  cos*ò  un  pensiero  indeterminato  nel  suo  oggetto  salvo  che  un 

essere  potenzialmente  infinito,  un  subbietto  che  tendit  ad  infinitum,  come  lo 

deRnisce  lo  stesso  Vico?  Dunque  1* indeterminatezza  è  il  carattere  pre- 

cipuo della  luce  metafieiea,  tuttoché  in  so  stessa  ella  sia  determinata  In 

quanto  che  non  cessa,  ripetiamo,  d*  essere  un  oggetto;  mentre  che  la 

potenzialità  feconda  è  il  carattere  del  pensiero  inteso  come  soggetto. 

Siciliani.  2Ì 

ragione.  *  Or  bene,  la  ragione  non  vi  potrebb'  essere 

mossa  tranne  che  da  sé  stessa,  ovvero  dal  senso.  Dal 

senso,  no  ;  che  saremmo  sempre  impigliati  in  una  forma 

più  0  meno  schietta  di  sensismo,  dal  quale  indirizzo  il 

filosofo  di  Rovereto  rifugge  ad  ogni  patto.  Dunque  da 

sé  stessa.  Ma,  si  può  chiedere:  muovesi  ella  da  sé  in 

quant'  è  soggetto,  ovvero  in  quant'  é  oggetto?  In  quant'  è 

soggetto,  no.  Un  soggetto  spoglio  di  forma  è  una  pò* 

tenza  vuota;  è  la  pura  potentia,  la  purafaeultas  degli 

scolastici:  e  come  tale  riesce  incapace  d'esercitar  fun- 

zione di  Primo  psicologico.  Movesi  dunque  siccome  og- 

getto; movesi  in  quant' è  luce  fnetafisica.  Or  come  si  potrà 

movere  s' ella  é  immobile,  immutabile,  immescibUe,  iikiZ- 

terabile? —  Da  ultimo,  il  difetto  che  in  tale  indagine  egli 

ha  comune  con  parecchi  altri  aristotelici,  e  pel  quale  vuol 

esser  segnalato  come  neoplatonico,  risguarda  l' origine 

di  cotesta  forma  ideale.  Donde  mai  cotal  luce?  Piove 

dall'  alto,  0  piuttosto  rampolla  dal  basso?  Non  dall'alto, 

non  dall' assoluto  in  maniera  diretta,  egli  risponde;  net- 

tampoco  dal  basso,  cioè  dall'esperienza.  Il  Rosmini  qui 

ha  ragione:  nessuno,  crediamo,  vorrà  fargliene  carico. 

Donde  e  come,  dunque,  ella  viene?  ' 

•  Vedi  Antropologia,  cap.  VITI.  —  Sistema  FUotofieo,  p.  82. 

'  Bisogna  confessare  che  nel  punto  più  vitale  delle  sae  dottrine, 

eh* è  Torigine  dell*  obbietto  primitiro  della  monte,  questo  filosofo  fu  sempre 

titubante  anche  ne*  suoi  lavori  postumi.  In  alcune  opere  evidentemente 

8*  accosta  a  san  Tommaso,  dove  dice,  per  esempio,  che  Tessere  ideale  è 

un  cotal  raggio  ddla  divinità,  il  quale  noi  tftdremmo  in  modo  ineffabile 

identijì earai  con  etaa  quando  ci  si  potesse  disvelare  la  divina  e$»enMa.  (Atto. 

Sagg.,  vol.  II.)  Altrove  ritiene  che  la  forma  intellettiva  non  ci  abbia  che 

vedere  con  Dio  ;  e  •  dove  pur  ci  fosse  un*  attinenza,  difficilmente  (egli 

sogin»?"®)  ci  salveremmo  dal  panteismo.  {FU.  dd  Diritto,  voi.  II,  p.  195.) 

E  con  tutfaO  questo  el  non  dubita  alTermare,  additando  la  nota  scap- 

patoia della  distinzione  tra  forma  reale  e  forma  idecUe,  che  Dio  si  co- 

munica al  pensiero  idealmeìUe,  non  già  realmente  !  Ma  che  cosa  ò  mai, 

e  come  avviene  cotesta  eomunieagione  ideale  f  Che  8*ella  è  possibile,  come, 

in  tal  caso,  potrete  salvarvi  dal  panteismo  ideale?  Il  Rosmini  parla 

chiaro  (Teoeojia,  voi.  Ili,  nel  cap.  su  la  Partecipazione  del  divino  nella 

inteUigmza)  ove  dice  che  1*  essere  iniziale  della  mente  e  1*  estere  divino 

sono  addirittura  identici.  Dunque  non  v*  è  scampo  :  o  egli  non  riesce  a 

salvarsi  dal  panteismo,  ovvero  deve  attribuire  all'  obbietto  della  mente  la 

11  Rosmini  crede  potere  attinger  la  notizia  dell'  as- 

soluto ponendo  in  opera  alcuni  espedienti,  per  esempio 

il  processo  d' dimincunone,  d' intcgrcmone  e  slmili.  Ma 

sopra  qual  fondamento  si  basano  cotesti  processi?  Ap- 

punto sul  concetto  dell'Essere  ideale.  Da  cotesto  con- 

cetto egli  stima  possibile  trar  gli  elementi  a  comporre 

quello  dell'  obbietto  metafisico.  Perciò  dagli  attributi 

dell'  ente  ideale  vuol  concludere  a  quelli  dell'  essere  in 

sé:  perciò  dal  simile  vuol  procedere  al  simile.  Or  co- 

testo è  un  processo  senza  processo:  è  un  processo  ap- 

parente, illusorio,  perchè  dal  simile  non  si  procede  al 

simile,  ma  si  è  nel  simile.  D' altra  parte,  per  isquisiti 

che  si  voglian  supporre  i  metodi  eh'  egli  adopera  a  tal 

proposito,  mai  non  avverrà  che  gli  attributi  dell'  ente 

ideale  possano  porgere  quelli  del  reale.  In  che  ma- 

niera convertir  le  note  d'assolutezza,  d'universalità 

e  d'infinità,  che  son  proprie  dell'uno,  con  quelle  del- 

l'altro? E  dove  e  come  poi  andare  a  ripescar  l'attri- 

buto della  realtà?  Checché  se  ne  dica,  a  tale  domanda 

ei  non  risponde,  o  ricasca  nel  ginepraio  delle  viete  ar- 

gomentazioni scolastiche.  E  mentre  crede  compiere  o 

correggere  il  celebrato  argomento  di  sant'Anselmo,  non 

s' accorge  il  grand'  uomo  come  restino  tuttora  incrolla- 

bili le  gravi  difficoltà  affacciate  dal  Criticismo.  Pur  non 

ostante  egli  reputa  negativa  l' idea  di  Dio.  Or  come  ne- 

gativa se  ci  avete  saputo  disasconder  tante  peregrinità 

a  questo  riguardo?  E  s'ella  é  davvero  negativa,  non 

siamo  già  nel  Positivismo?  E  se  non  é  assolutamente 

negativa,  perchè  non  è  tale?  perché  non  può  esser  tale? 

nota  della  realtà  alla  maniera  del  Gioberti.  In  altra  opera  postuma 

{Ari9t,  Etp,  ed  etam,,  1.  II)  le  titubanze  non  iscemano;  perchò  quan- 

tunque modifichi  in  alcune  parti  la  sua  dottrina*  V  Kssere  nondimeno  ^W 

si  prosenta  sempre  come  ideale^  e  crede  confermar  la  propria  sentenza 

con  r autorità  d'Aristotele.  Dalla  prima  ali* ultima  opera  del  Rosmini, 

dunque,  il  problema  su  la  conoscenza  s*  aggira  sempre  nelP  equivoco  tra 

il  Primo  pticologieo  6  il  Primo  logico  ;  ne  qnindi  crediamo  che  T  Ideali- 

smo Rosminiano  siasi  di  mano  in  mano  accostato  air  Ontologismo  del 

Gioberti,  come  pensa  il  eh.  prof.  Ferri  {Est.  tur  VHist.  de  la  Phil.  en  Italie, 

t.  I,  e.  IV,  p.  489.) 

La  guisa  ond^  il  Boveretano  crede  poter  penetrare 

nel  mondo  metafisico  non  sarebbe,  a  parlar  proprio,  un 

processo,  una  mediazione.  Nessuna  conversione  sarà  mai 

possibile  fra  due  termini  simili  appunto  perchè  fra  questi, 

ripetiamo,  non  è  possibile  un  intervallo.  £  dato  ci  sia 

cotesto  intervallo,  è  poi  necessaria  una  continuità  ideale; 

la  quale,  unzichè  per  comunicazione  dell'  oggetto,  co- 

m' egli  pensa,  avviene  per  eduzione  per  parte  del  sog- 

getto. Né  è  maraviglia  eh'  ei  non  abbia  visto  tali  ne- 

cessità, chiunque  pensi  come  la  filosofia  del  Rosmini 

partecipa  a  quel  difetto  che,  come  altrove  notammo,  è  il 

verme  pia  micidiale  che  roda  il  Kantismo.  Tutto  in  lui 

sembra  immobile,  freddo,  sterile  come  il  suo  ente  ideale. 

Psicologia,  ideologia,  cosmologia,  storia,  diritto,  politica 

e  religione,  nel  loro  insieme,  paion  quasi  altrettanti 

organi,  anziché  un  organismo,  perocché  uiun  soffio 

vitale  imprima  forza  e  movimento  a  tutte  queste  membra. 

A  lui,  in  somma,  fa  difetto  V  esigenza  del  processo.*  — 

Eppure  air  A.  del  Nuovo  Saggio  non  sarebbe  mancato 

il  fondamento  positivo  sopra  cui  avrebbe  potuto  in- 

nalzar r  edifizio  della  psicologia,  e  apparecchiare  cori 

la  soluzione  d'alcuni  problemi  cosmologici.  Avrebbe 

avuto  una  gran  chiave  nella  sua  teorica  sai  Sentimento 

fondametìicde,  intomo  a  cui  nessuno,  dopo  Aristotele,  ha 

saputo  discorrere  con  eguale  acume  e  accuratezza,  come 

saggiamente  osserva  il  Ferri.^  Ma  neanche  in  questo  ei 

potè  pervenire  a  disascondere  quel  secreto  vincolo  che 

in  seno  all'unità  primigenia  del  Noù;  potenziale  annoda 

*  Però  il  Oioberti  non  a  torto  rassomigliò  ad  uno  ttaUauUe  il  si- 

stema Rosminiano.  La  forma  stessa  del  suo  iugesrno  mostra  cotal  difetto. 

Kcco  perchè  non  gli  fa  dato  cogliere,  come  accennammo  (p.  99, 841,  248) 

il  valore  del  metodo  Tichiano.  Ecco  perchè  altra  lllosoila  della  storia 

agli  occhi  suoi  non  dovrebb*  esser  possìbile,  fuorché  quella  d*  Agostino, 

del  Bossuet,  dello  Schlegel,  del  De  Maistre.  Non  altro  concetto  sociolo- 

gico, salro  che  quello  della  società  divina  naitirale.  Non  altra  cosmolo- 

gia che  quella  del  Tomismo.  Non  altra  fisiologia  e  patologia,  tranne  che 

quella  de*  Tocchi  vitalisti. 

«  Op.  cit.,  t,  I,  p.  190. 

la  visione  ideale,  la  percezione  empirica,  nonché  il  sen- 

timento fondamentale.' 

I  difetti  del  Rosmini  prese  a  correggere  il  Gioberti; 

ma  die  neir  esagerazione.  In  maniera  invitta  egli  mostrò 

la  fallacia  della  posizione  dell'  ente  ideale,  ma  cadde  nel- 

r arbitrario  anche  lui  quando  ingolfossi  nel  mare  magno 

del  suo  intùito.  Se  infatti  havvi  dottrina  psicologica  la 

quale  più  spiccatamente  contraddica  al  criterio  della 

conversione,  e  quindi  all'  esigenza  metodica  aristotelica 

della  Sdema  Nuova,  è  appunto  quella  del  Neoplatonismo 

che  con  entusiasmo  senza  pari,  con  ingegno  mirabile  e 

con  vena  fecondissma  di  speculazione  egli  prese  ad  inno- 

vare fra  noi  con  anima  italianamente  generosa.  A  nes- 

sun italiano  oggi  potrebb'  esser  lecito  disconoscere  i 

grandi  meriti  del  filosofo  subalpino  :  a  nessuno  i  bene- 

fizi grandissimi  che  in  età  assai  triste  sepp'  egli  operar 

nella  mente  e  nell'animo  di  tutti  con  le  sue  scritture. 

'  fi  noto  come  pel  Rosmini  sia  U  tentimeruo  intimo  e  perfettamente 

uno  che  uniece  la  eeneitività  e  V  intelletto.  {Nuov.  Sagg.,  Bez.  V,  e.  I  ; 

Ariet.  eep.  ed  eaam.^  L.  I,  e  XXXTl).  Ma  in  che  maniera  poi  accordare 

questa  sentenza  con  quel! *  altra  ove  dice,  la  ragione  eeeer  quella  che 

unieee  il  eentibile  e  V  intelligibile  f  {Pncologia,  Tol.  I,  p.  124,  ed.  cit.). 

L*  anità  de*  due  elementi  qui  sarebbe  posteriore,  mentre  sarebbe  ante^ 

riore  la  dualità,  e  quindi,  come  dualità  primitiva,  inconcepibile.  Il  che 

ci  è  confermato  da  lui  stesso  dove  afferma,  la  vitione  ideale  non  aver 

relazione  di  torta  con  la  percezione  empirica,  {Antropologiaf  C.  VILI).  Ora 

a  me  pare  che  il  Sentimento  fondamentale  avrebbe  potuto  porgrersi  a  lui 

come  base  d*  una  dottrina  psicologica  razionalmente  positiva,  quando 

avesse  pigliato  a  considerarla  come  unità  Iniziale,  come  sintesi  origina- 

ria del  doppio  elemento  della  conoscenza  :  il  che  non  apparisce  in  alcun 

luogo  delle  sue  scritture.  Che  cos*è,  infatti,  il  Sentimento  fondamentale  f 

te  V  atto  onde  V  anima  vivifica  il  corpo,  {Antropohf  L.  2,  Sez.  2,  C  VII), 

Or  bene,  checché  se  ne  possa  dire,  cotesta  evidentemente  è  psicologia 

neoplatonica,  e  però  tutt' altro  che  positiva.  Invece  per  noi  il  Seneo 

fondamentale  ha  natura  di  conato,  e  quindi  rappresenta,  anzi  incarna  il 

momento  in  che  la  vita,  la  ^uvauc;  biologica,  superando  so  medesima, 

passa  ad  assumere  anche  valore  di  pensiero.  In  altre  parole:  l'anima 

pel  Rosmini  è  energia  primordiale,  ò  una  originariamente  (Ibi,  e.  IX)  ; 

ma  è  una  come*  anima,  non  già  come  anima  e  corpo,  come  vita  e  pen- 

siero. E  con  questo  difetto,  eh*  egli  ha  comune  co'  platonici  e  con  san- 

t'Agostino come  v^emmo  (pag.  800  e  segg.),  contraddice  evidentemente 

all'indirizzo  medio  arittoulico  secondochè  noi  lo  intendiamo. 

Ma  chi  è  oggimai  che  vorrà  propugnare  sul  serio  la 

sua  teorica  psicologica  tuttoché  sia  da  accogliere  e  svol- 

gere non  pochi  principii  della  sua  Protologia?  ^ 

Fra  le  molte  e  gravi  obbiezioni  mosse  contro  V  on- 

tologismo giobertiano,  noi  ci  restringeremo  a  ripetere 

quella  semplicissima  affacciata  poco  fa  contro  il  Ro- 

smini, e  che  con  assai  più  ragione  s' attaglia  al  Gioberti. 

Come  oggetto  primitivo  del  pensiero,  la  formula  del- 

l' Etite  creante  è  un  oggetto  determinato,  sia  che  si  tolga 

a  considerar  la  natura  de'  suoi  membri,  sia  che  la  spe- 

cie di  relazione  che  li  rannoda  in  organismo.  In  che 

maniera  dunque  può  essere  inizio,  principio  della  genesi 

psicologica?  Anziché  il  minimum  del  pensabile,  qui 

s' avrebbe  il  maximum  del  conoscibile.  Or  s' egli  é  così, 

la  scienza,  io  chiedo,  sarà  ella  generazione,  conversione, 

eduzione,  o  non  più  veramente  copia,  imitazione,  ri- 

tratto d' un  vero  che  non  ci  appartiene?  La  posizione 

dell'Intuito  giobertiano  è  dunque  arbitraria,  ipotetica, 

oscurissima,  come  primo  d'  ogn'  altri  ebbe  a  mostrare 

lo  stesso  Rosmini.*  Perciò  la  Formula  non  può  essere 

riguardata,  secondochè  pretendon  gli  ontologisti,  come 

sorgente  d'  ogni  scienza,  criterio  d'  ogni  scibile,  fonda- 

mento d'  ogni  dimostrazione,  come  Primo  ed  Ultimo  del 

pensiero.'  Il  Nov;  degli  ontologisti  italiani  è  la  vecchia 

dottrina  dell'  Intelleito  agente^  ma  passata  attraversò  la 

scolastica,  e  ricorretta  dal  pensiero  filosofico  cristiano. 

È  r  IntelligibiHtà,  la  VerUà  di  sant'Agostino,  ma  deter- 

minata, concreta,  reale.  È  la  Reminiscenza  platonica, 

ma  fatta  viva,  presente,  parlante  al  pensiero.  Egli  dun- 

*  Ved.  il  nostro  opusc.  Introduzione  allo  ttttdio  delle  acìenxe  naturali 

e  ttoriche,  Firenze,  Celi  ini,  1861,  e  IV. 

■  Ved.  Vincenzo  Gioberti  e  il  Panteismo,  Lucca,  1858,  3"  ed.,  p.  42. 

'  Dopo  il  Gioberti  del  prof.  Spaventa  è  impossibile  difendere  V  intuito 

del  filosofo  di  Torino:  se  ne  persuadano  gli  ontologisti.  Noi  accettiamo  la 

sua  critica:  ma  chi  ?orrà  accettar  le  conseguenze  eh*  «i  ne  trae,  o  la 

relazioni  eh'  egli  pone  fra  Io  Ctisiologismo,  in  generale,  o  V  Idealismo 

assoluto?  Anche  qnant*al  concetto  creativo  della /Vo(o/o^  fra  Tuno  e 

r  altro  sbtema,  come  avvertimmo,  corre  un  abisso.    '    « 

que  è  r  esagerazione  del  Platonismo.  È  un  iperpsicologi- 

smo  avente  il  suo  primo  puntello  nel  catechismo,  né  può 

quindi  essere  accettata  dalla  ragion  filosofica  positiva.* 

Sennonché  gli  ontologisti  si  fan  forti,  come  accen- 

nammo, della  celebre  sentenza  vichiana  su  la  rispon- 

denza fra  r  ordine  logico  e  Y  ordine  ontologico." 

Il  nostro  filosofo  non  parla  d' ordine  logico  e  ontolo- 

gico, ma  sì  d' un  Primo  logico,  e  d' un  Primo  Vero  Me- 

*  Qui  abbiamo  inteso  accenDare  alla  dottrina  deir  Intuito  come  ci 

è  data  nelle  prime  opere  del  Gioberti.  Ognuno  sa  che  nelle  scritture  pò- 

stnme  egli  Tiene  talora  a  modificarla  sì  che  s*  accosta  al  Rosmini,  o  me- 

glio, a  san  Tommaso.  Per  esempio,  dice:  <  V  intiiUo  ci  dà  V Estere  eem- 

plicemente,  la  rijleenone  ci  dà  V  Ente  intelligibile  e  intelligente,  »  {Protologiaf 

voi.  II,  p.  419,  ed.  cit.)  E  alladendo  al  processo  psicologico  altrove  af- 

ferma arditamente:  •  Eeietenxa^ pensiero,  eoedenza  i  tuti*  uno,  Ivariittatif 

gradi,  prooeaei  della  realtà  non  eono  altro  che  quelli  della  coteimua.  Questo 

paicologitmo  traeeendente  i  il  vero  ontologismo,*  (Voi.  cit.,  p.  825.)  Si  può 

dare  contraddizione  più  spiccata  con  le  prime  opere?  Ma,  si  badi,  cotesto 

contraddizioni  non  sono  già  di  quelle  cui  alludon  gl'Idealisti  assoluti, 

quando  fregandosi  g^ianieute  le  mani  ammiccano  air  agognato  e  vantato 

voltafaccia  del  filosofo  subalpino! 

*  Il  Vico  dice  :  «  Deum  primum  verum  tum  in  essendo,  ttim  in  co- 

gnoseendo.  >  {De  Univ,  Jur.,  I,  (a)  ).  Da  questo  lemma  è  agevole  argomen- 

tare che  Dio  è  Primo,  sia  che  tu  lo  consideri  come  essente,  sia  che  come 

conoscente.  Qui  non  v*  ha  luogo  ad  interpretazioni.  Ma  vi  è  il  lemma  VII 

che  dice:  «  Itaque  Primum  Verum  Methaphysieum  et  Primum  Verum  Lo ' 

gicum,  unum  idemque  esse.  Qui  la  critica  interpretativa  è  necessaria, 

perchè  qui  la  contraddizione  con  l' insieme  delle  altre  sue  dottrine  è 

pur  troppo  evidente.  Se  la  rispondenza  cai  allude  il  Nostro  fosse  da 

interpretarsi  come  pretendono  ontologisti  e  nooplatonici,  olla  contrad- 

direbbe alla  dottrina  del  conoscere  e  del  metodo  ;  la  quale  in  siffatte 

ambiguità  dee  prevalere  nel  pensiero  del  critico,  come  quella  che  costi- 

tuisce propriamente  T  originalità  del  Vico.  Se  dunque  in  forza  del  suo 

criterio  la  scienza  debb*  esser  frutto  d*  uno  s?olgimonto  riflesso  e  di  ri- 

cerca e  di  critica  essenzialmente  eduttiva,  parmi  evidente  come  il  rap- 

porto fra  r  ordine  delle  cose  e  quello  delle  idee,  anziché  di  corrispondenza 

originaria  e  di  parallelismo  primitivo,  abbia  da  essere  invece  di  rispon- 

denza derivata,  e  di  parallelismo  riflesso.  In  una  parola:  cotesto  paral- 

lelismo, cotesta  equazione,  non  è  un  principio,  è  un  risultato.  Nel  che 

11  fliosofo  di  Napoli,  com*  era  da  sospettare,  interpreta  ed  invera  il  benin- 

teso Aristotelismo,  perchè  è  lo  stesso  Aristotele  quegli  che  osserva  come 

la  radice  di  tutti  gli  errori  de' Platonici  sia  per  l'appunto  la  confusione 

dell'ordine  logico  con  l'ordine  dell'essere,  e  però  delle  causo  reali  del- 

l'essere,  con  lo  cause  formali  della  scienza:  KW  ou  TtdvroL  o€a  tu 

\6yù»  zjporepoiy  xaì  tVì  oÙTc'a  vipÓTspx^  {Metaph,,  XIII). 

tafisico,  considerandoli  entrambi  come  unum  idemque. 

Siamo  dunque  nel  panteismo?  ovvero  in  una  dottrina 

neoplatonica?  Intendiamoci.  Qual  debba  essere  per  lui 

il  Primo  psicologico,  s' è  visto  neir  antecedente  capi- 

tolo. Or  quali  han  da  essere,  in  armonia  con  le  sue 

dottrine  psicologiche,  il  Primo  logico  e  '1  Primo  ontolo- 

gico? Il  Primo  logico  sarà,  né  vi  cape  dubbio,  un  princi- 

pio mediato,  risultante,  secondario,  cioè  posteriore  al 

Primo  psicologico.  Se  infatti  il  processo  della  psiche 

s'  attua  ingradandosi  in  pili  gruppi  di  facoltà  compo- 

nenti fra  loro  un  organismo  (p.  321);  e  se  il  processo 

conoscitivo  importa  una  serio  di  leggi  atte  a  governare 

le  diveree  funzioni,  che  vuol  dire  le  facoltà  stesse  avvi- 

sate in  relazione  co'  loro  prodotti  (rappresentazioni,  fan- 

tasmi, concetti,  nozioni,  idee,  giudizi  ec.)  ;  avviene  che 

come,  data  una  funzione,  è  già  beli'  e  dato  logicamente 

il  suo  prodotto  e  quinci  una  serie  di  leggi  che  ne  regga 

lo^'svolgimento;  così,  posto  il  Primo  psicologico,  non  po- 

trebbe a  verun  patto  mancare  il  Primo  logico.  Ora  se 

il  Primo  psicologico  è  V  essere  indeterminato,  eh'  è  dire 

il  Nov;  potenziale, in  quant'  è  luce  metafisica;  quale  sarà 

il  Primo  logico?  Non  altro  che  V  essere  nella  sua  prima 

determinazione  riflessa:  l'essere  in  quanto  ideale;  il 

quale  perciò  suppone,  sotto  il  riguardo  cronologico,  il 

sensato  reale,  il  fatto  ;  stantechè  il  senso,  come  toccam- 

mo, resti  incluso  nel  circolo  psicologico.  L'ente  ideale 

adunque  è  un  primo:  qui  ha  ragione  il  Rosmini.  Ma  è 

anche  un  ultimo;  uUimo  psicologico,  e  primo  logico. 

Al  qual  proposito  giova  notare  che  ove  il  Roveretano 

avesse  riguardato  a  questa  maniera  1'  Ente  possibile, 

non  sarebbe  caduto  nell'aperta  contraddizione  di  con- 

siderar l'essere  come  ideale^  e  come  immobile  ad  un 

tempo  ;  stantechè  se  in  quanto  è  luce  metafisica,  cioè  in 

quanto  originario  ei  non  può  non  essere  indeterminato, 

come  ideale  invece  è  mobilissimo,  essendo  già  beli'  e  de- 

terminato, e  come  tale  ci  esprime  lo  stesso  moto  della 

facoltà,  la  facoltà  in  quanto  è  funzione. 

Quale  sarà  intanto  il  Primum  Verum  Metaphysicum? 

Posto  il  Primo  logico  e  quindi  '1  processo  della  logica 

e  r  orditura  de'  concetti,  il  lavoro  speculativo  della 

mente  non  può  ad  altro  pervenire  fuorché  ad  uno  di 

questi  due  risultati:  o  air  essere  indeterminato  riflesso 

qual  è,  per  esempio,  V  Indeterminato  secondo  eh'  è  po- 

sto dair  Hegelianismo  quasi  chiave  di  volta  dell'  edifì- 

rio  dialettico  ;  *  ovvero  all'  essere  determinato  mercè  Tar- 

tifizio  del  metodo  compositivo  sintetico,  d' integrcurìone; 

voglio  dire,  all'essere  pieno,  all'essere  fornito  delle  note 

più  eminenti  o  delle  primalità  cui  sappia  poggiare  il 

pensiero  speculativo  soccorso  dall'esperienza.  Ora  il 

Primo  vero  metafisico  al  quale  accenna  il  Vico  non  può 

esser  l' ente  indeterminato  inteso  come  luce  metafisica, 

perchè  questa,  essendo  essenzialmente  indeterminata,  cioè 

indeterminata  per  necessità  di  natura  in  quant'è  oggetto 

primitivo  della  mente,  è  quindi  un  Primo  psicologico  an- 

richè  metafisico.  Non  può  esser  neanco  l' Indeterminato 

così  detto  dialettico  al  quale,  come  voglion  gli  Hegeliani, 

per  un'  assclida  e  subitaifiea  astrandone  si  levi  la  mente 

e  vi  si  estingua,  e  in  grazia  di  siffatta  estinzione 

scoppi  la  prima  scintilla  dialettica.  E  non  può  essere, 

sia  perchè  cotesto  Indeterminato  contraddirebbe  al  con* 

cetto  che  il  Vico  ci  porge  dell'  Assoluto,  sia  perchè, 

frutto  d'un  lavoro  onninamente  astrattivo,  manca  ne- 

cessariamente d'ogni  condizione  d'obbiettiva  e  metafi- 

sica sussistenza.  Se  dunque  non  è  l' indeterminato  né 

come  luce  metafisica  né  come  posto  dall'  astrazione, 

che  eoe'  altro  sarà  fuorché  l' ente  concepito  come  de- 

terminato nelle  sue  primalità  essenziali,  1'  ente  trascen- 

dente, il  Nosse-Velle-Posse  infinUum?  —  Sennonché,  per 

metafisico  che  sia  cotesto  essere,  ninno  vorrà  dirlo  reale. 

Donde  trarre  siffatta  determinazione?  Forse  da  un  in- 

tuito primigenio?  Ipotesi!   Dal  regno  de' fatti  e  della 

'  Il  Primo  Hegeliano,  dice  Spaventa,  ò  queUo  che  non  ha  altra  deno^ 

minanione  che  di  non  averne  alcuna,  {Ddle  prime  Categ.  della  Log.  di  Hegti, 

•d.  cit,  p.  141.  ^  Hbqil,  Log.y  toI.  II,  lxxxtii,  trad.  del  Vera.) 

esperienza?  Impresa  vana!  Dalle  viscere  dello  stesso 

pensiero  per  astrazione  assolila  e  subitanea?  Illusione! 

D' altra  parte,  tuttoché  entità  ideale,  non  per  questo 

sarà  lecito  credere  che  il  Primo  metatìsico  abbia  da 

essere  assolutamente  astratto,  poiché  come  determinato, 

cioè  come  concepito  e  costruito  dalla  mente,  è  pur 

mestieri  eh'  e'  risponda  ad  una  realtà.  Egli  dunque  è 

metafisico^  ma  non  per  questo  può  cessare  d'essere 

identico  al  Primo  logico.  Perchè?  Perchè  da  questo 

appunto  lo  trae  la  virtù  speculativa.  Il  Vico  dunque 

ha  ragione  :  il  Primum  Veruni  Metaphysicum  è  unum 

idemque  col  Primum  Logicum,  giusto  perchè  il  pen- 

siero vien  costruendo  l'uno  mediante  l'altro.  Breve- 

mente: egli  è  metafisico,  perchè  ha  valore  obbiettivo; 

ed  è  poi  unum  idemque  con  l' essere  logico  e  però  col 

Primo  psicologico,  perchè  non  è,  a  dir  proprio,  una 

realtà,  quantunque  per  necessità  metafisica  abbia  un 

riferimento  alla  realtà.  Ma  qui  si  può  chiedere  :  dunque 

il  Primo  metafisico  non  sarà  egli  né  assolutamente 

reale,  né  assolutamente  ideale,  né  obbiettivo,  né  sub- 

biettivo?  Precisamente  così.  Non  è  l'una  cosa  né  l'altra, 

ma  è  r  una  e  l' altra  insieme,  stantechè  sia  potenzial- 

mente infinito.  E  poiché  come  infinito  potenziale  non 

è  perfetta  conversione  di  sé  con  sé  medesimo,  però  fugge, 

quasi  diremmo,  sé  stesso.  EgU  è,  in  somma,  un  essen- 

zial  conato  ;  e  come  tale  non  può  non  riferirsi  necessa- 

riamente ad  una  realtà,  e  in  questo  senso  possiede  na- 

tura metafisica.  Dico  necessaria  tale  oggettività,  perchè 

il  Primo  metafisico,  quando  sia  determinato  dal  pen- 

siero speculativo,  non  è  altro  che  la  stessa  triplicità 

psicologica,  ma  riguardata  nella  sua  universalità.  Che 

cos'è  mai  cotesta  triplicità  universale?  È  mentalità  in 

sé,  è  dialettica  in  sé,  è  oggettività  in  sé.  Ella  dunque 

non  può  esser  considerata  nell'  individuo,  ma  fuori  del- 

l' individuo,  in  un  soggetto  appo  cui  le  primalità  del- 

l' essere  si  convertano  e  compenetrino:  il  che  è  davvero 

impossibile  nell'  individuo,  come  quello  che  non  è  il 

pensiero  (voùc)  ma  la  facoltà  del  pensiero  (vouc  ^wa^ust) 

secondo  la  sentenza  aristotelica.*  Se  il  P^imo  metafi- 

sico, inoltre,  fosse  indeterminato,  non  avrebbe  alcun 

opposto,  quantunque  serbasse  distinzione  come  oggetto 

di  pensiero.  Al  contrario  éoncepito  come  determinato, 

e'  tosto  diventa  obbiettivo  ;  e  così  da  Primo  vero  metafi- 

sico assume  virtù  di  Principio  metafisico.  Or  che  cos'  è 

questo  principio  metafisico?  Che  cos'è  la  realtà  alla 

quale  ei  si  riferisce?  È  l'Assoluto:  ma  l'Assoluto  che  è 

davvero  assoluto,  come  appresso  mostreremo.* 

'  ÀR1ST.,  De  An.t  li,  iv.  Cfr.  anche  la  Metaph.,  Vili. 

'  Secondo  l'interpretazione  che  noi  qui  abbiam  dato  alla  sentenza 

del  Vico  8i  può  dire  che  il  Primo  Meta/uico,  essendo  il  vero  in  attinenza 

col  realtf  sia  il  Fatto,  cioè  il  fatto  del  pensiero  speculativo,  il  fatto  della 

scienza  che  convertesi  col  Vero  assoluto,  il  quale,  come  vedremo,  è  il  Primo 

fatto  per  eccellenza.  Accade  perciò  che  il  Primum  Verum  Metaphysicum 

debba  riguardarsi  come  anello  di  congiunzione  fra  la  Logica  e  la  Me- 

tafisica; ond'ò  che  fra  queste  due  scienze,  anziché  esserci  quella  me- 

diazione Hegeliana  la  quale  in  sostanza  ò  una  compenetrazione  asso- 

luta, ci  è  invece  conversione;  e  la  conversione  esprime  non  già  identità 

nella  difTerenza,  ma  identità  e  insieme  differenza.  Vi  è,  in  altro  parole, 

medesimezza  di  legge,  di  forma,  e  qnìndi  continuità  ideale;  ma  ci  è  pure 

differenza,  differenza  essenziale,  differenza  di  contenuto,  e  però  intervallo 

retde.  Ecco  perchè  il  Vico,  svecchiando  un  principio  aristotelico,  afferma: 

«  Qìullo  eh*  è  metafisico  in  quanto  contempla  le  co»e  per  tutti  i  generi  del- 

V  eteere,  la  steesa  è  la  logica  in  qwanto  considera  le  cose  jìer  tutti  i  generi 

di  eignificarle.  »  Questa  relazione  fra  la  Logica  e  la  Metafisica  fu  dal  no- 

stro filosofo  incarnata  sotto  forma  simbolica  nella  IHpiniura  ;  e  nell'  Iv^ro- 

duzione  alla  Scienza  Nuova  la  venne  determinando  nel  concetto  del  M(»ndo 

DILLE  Menti  r  di  Dio.  Menti  pensiero  spirito,  e  perciò  Psicologìa  Lo- 

gica e  Ideologia,  come  vedemmo,  formano  tutt*un  processo.  Un  processo 

ha  da  essere  anche  V  Assoluto.  Ma  le  Menti  e  Dio  formano  anch'  essi 

un  processo,  un  organismo,  un  Mondo:  in  quanto  che  fra  que'duo 

termini  ci  ha  da  essere  conversione.  Questo  tutto  organico  lo  dicemmo 

proceeto  ideale  per  parte  del  primo  termine,  cioè  delle  Menti,  nel  senso 

che  ha  da  essere  mediazione  razionale,  conoscitiva.  Perciò  Primo  vero 

metafineo  e  Principio  metafinco.  Logica  e  Metafisica,  Menti  e  Dio,  com- 

pongono un  Mondo;  un  Mondo  superiore  a  quello  della  Natura  nonché  a 

quello  dello  Spirito,  inteso  questo  come  sviluppo  isterico,  come  storia 

che  è  Vita  Humani  Qeneri»,  Dal  tutt' insieme  quindi  si  vede  come  il 

suo  Primo  Vero  metafineo  non  sia  nient'  affatto  una  vuotaggine,  un*  en- 

tità formale  e  puramente  astratta.  È  la  sua  luce  metafieica^  non  già 

indeterminata,  anzi  determinata  mediante  sé  stessa;  determinata  me- 

diante il  processo  eduttlTO.   È  il  risultato  estremo  del  Noùc  attuale  e 

Veniamo  al  vivente  rappresentante  del  Neoplatoni- 

smo in  Italia.  L' illustre  Mamiani  ha  visto  la  necessità 

d'imprimere  novella  forma  e  rigor  logico  alla  dot- 

trina platonica  della  conoscenza,  modificando  la  teorica 

del  Gioberti,  e  correggendo  quella  del  Rosmim'.  A  spie- 

gare perciò  l'elemento  universale  del  pensiero  ei  si 

raccomanda  alla  solita  àncora  di  salvezza,  l'Intuito  del 

l'Assoluto,  ma  con  V  interposmone  delle  idee;  le  quali  per 

lui  somiglierebbero  quasi  ad  altrettanti  spiragli  ond'alla 

mente  lampeggia  la  Divinità.  Tutto  ciò,  del  resto,  non 

toglie  eh'  egli  abbia  da  ammettere  doppio  ordin  di  co-  ' 

noscenze,  percezioni  e  intellezioni,  assai  diverse  fra  loro 

e  pur  fra  loro  collegate  per  via  di  rappresentansia.  Ma 

non  potendo  intrattenerci  a  riassumer  le  ragioni  sopra 

cui  si  regge  cotal  dottrina,  ci  ristringiamo  a  far  poche 

osservazioni  guardandola  segnatamente  sotto  l'aspetto 

psicologico.  Due  ne  sembrano  i  difetti  principali:  T in- 

vocare l'intuito  dell'Assoluto  nello  spiegar  l'elemento 

universale  della  conoscenza;  2**  non  dimostrare  per  che 

mai  ragioni  l' ordine  delle  percezioni  abbia  a  rispondere 

a  quello  delle  intellezioni. 

Se  ne  l'intellezione,  come  vuole  il  Mamiani,  può 

rampollare  in  modo  alcuno  dalla  percezione,  uè  questa 

ci  ha  che  vedere  con  quella  tuttoché  entrambe  devano 

esser  congiunte  in  armonia;  la  dottrina  psicologica  del 

rifleASo;  epilogo  della  scienza  psicolo^^ica,  e  però  Defìnwione  e  Principio 

della  Metafisica.  Or  la  luce  in  quant*  è  oggetto  del  Noù;  potenziale  no! 

la  dicemmo  metafitioa  perchè,  quantunque  superiore  al  sensOf  è  nondi- 

meno po9ta  da  natura,  ò  originaria,  e  quindi  essenzialmente  obbiettiva. 

La  conclusione  dunque  parmi  chiara  :  Primo  pticologico,  Primo  logico'  e 

Primo  vero  metaJUioo  non  sono  tre  entità  ruote  e  formali,  giuochetti 

d'astrazione,  indovinelli  da  algthritiij  come  direbbe  lo  stesso  Vico,  ma 

sono  tre  anelli  d*  una  medesima  catena,  tre  momenti  dinamici  d*  una 

medesima  energia  essenzialmente  obbiettiva.  Questa  (per  concludere  contro 

i  Neoplatonici  ontologisti)  parmi  V  interpretazione  più  acconcia  del  rap- 

porto che  il  filosofo  di  Napoli  pone  fra  il  /Vìnto  logico  e  *1  Primo  vero 

meta/uieo,  e  quindi  fra  T  ordine  logico  e  T  ordine  ontologico.  Ogn' altra 

non  riescirebbe  a  salvarlo  dalle  contraddizioni  col  proprio  metodo,  e  tanto 

meno  poi  dalle  incongruenze  con  la  ragion  filosofica  positiva. 

Pesarese  parrebbe,  come  ad  altri  è  parsa,  una  specie 

d'alcliimia.  Per  quanto  diverse,  le  percezioni  e  le  intelle- 

zioni hann'a  convergere  si  da  appuntarsi  quasi  due  raggi 

in  un  centro  comune,  cKè  V unità  sostaiìzUàe  dello  spirito.^ 

Or  non  è  questo  precisamente  ciò  che  da  ventidue  se- 

coli va  chiedendo  il  pensiero  filosofico:  come  mai,  cioè, 

se  diverse,  elle  compongono  fra  loro  unità?  Abbiamo 

un  intùito  di  qua,  e  un  intùito  di  là:  la  percezione  che  av- 

vertendo un  termine  estriìiseco  lo  apprende  siccome  forza, 

e  la  visione,  l'intùito  ideale^  che  con  T interposizione 

delle  idee  coglie  l' Assoluto.  Non  siamo  già  in  una  for- 

ma di  dualismo  psicologico  che  fu  ed  è  sempre  la  pie- 

tra d^nciampo  d'ogni  fatta  platonici?  Non  abbiamo 

qui  sott'  occhio  Y  etemo  e  gravissimo  difetto  del  Neo- 

platonismo, la  mancanza  di  processo?  Oltre  Talchi- 

mia  (col  dovuto  rispetto  al  grand'  uomo)  qui  veggiamo 

una  macchina  a  doppio  retaggio:  senso  e  concetti, 

esperienza  e  luce  divina,  fatti  e  Assoluto  splendente 

cui  lo  spirito  inerisce  con  marginale  adesione,  e  per  via 

di  contatto  spiìituale.  Chi  fa  tutto  ciò?  Come  avviene 

tutto  ciò?  L'illustre  di  Pesaro  ci  dice  e  ripete  a  sa- 

zietà, che  fra  l'ordine  delle  intellezioni  e  quello  delle 

percezioni  ci  ha  corrdaeione  ordinata  e  continua,  ri- 

spondenza puntualissima^  squisitissima  armonia.*  E  sta 

bene  :  chi  non  è  scettico  sistematico  non  penerà  gran 

fatto  a  riconoscere  e  sentire  cotesta  e  ben  altre  armo- 

nie. Ma  quel  che  ignoriamo,  e  pur  vorremmo  sapere, 

è  appunto  il  motivo  di  cotesta  squisita  rispondenza.  Or 

questo  motivo,  non  ci  è,  o  almeno  è  impresa  non  molto 

agevole  rinvenirla  nelle  Confessioni  d*un  metafisico^  Pe- 

rocché s'io  ho  da  coglier  l'Assoluto  mercè  l'idee,  o, 

meglio,  se  è  r  Assoluto  quegli  che  ha  da  comunicarmele 

*  Mamiaki,  Con/ftioni  d'un  mttaJUieOf  voi.  I,  p.  158,  §  IT. 

*  Idem,  eo<L,  p.  158. 

*  VeggAsi  qual  debole  ragione,  per  esempio,  egli  apponga  al  quesiÌK>: 

€  come  avvenga  che  ad  una  data  pereenone  rieponda  una  daUx  idea?  » 

Voi.  cit.,  pag.  163,  §  2^. 

non  già  graziosamente,  anzi  inevitabilmente,  quale  ne 

sarà  la  conseguenza?  Sarà  che  la  ragione  onde  questa 

0  cotesta  percezione  ha  da  rispondere  a  quella  o  quel- 

l' altra  intellezione,  in  altro  non  si  potrà  occultare 

fuorché  in  un  vieto  occasionalismo,  od  in  una  vieta  e 

grossolana  armonia  prestabilita.  Non  v'è  scampo.* 

'  No'  parecchi  cangiamenti  cai  è  andata  sogrgetta  la  mente  del  Ma- 

miani,  sol  una  dottrina  è  rimasta  immutata  nelle  sue  scrìttnre,  e  della 

quale  ei  si  loda  più  d*  una  volta.  È  la  dottrina  su  la  percezione,  che  il 

nostro  egregio  amico  prof.  Ferri  dichiara  bellissima.  Bellissima  sarà: 

ma  è  altrettanto  salda?  Forse  che  Ano  dal  1837  il  Rosmini  con 

r  acuta  lama  della  sua  crìtica  non  la  ridusse  a  polvere  nel  suo  Rinnova- 

mento f  Intendiamoci  bene.  La  percezione  del  Mamiani  non  è  senso,  e 

nemmanco,  a  dir  proprio,  giudizio.  Che  cos*ò  dunque?  È  e  im  intuire 

V  atto  involto  nella  8en9axione  die  congiugne  in  uno  due  termini^  oggetto 

eentiio  e  avvertito  come  fortOy  e  soggetto  tentenìe.  »  {Oonfeasionif  voi.  cìt, 

pag.  68-64;  Meditazioni  Carte».,  e.  VII).  Or  bene,  che  è  egli  mai  co- 

testo intuire?  Quar  è  la  natura  intima  di  quest'atto?  È  difficile 

averne  risposta  ben  determinata.  L'animn,  dice  il  Mamiani  più  d*una 

volta,  è  dotata  d^una  veduta  it^eriore  di  ti  medeaimaj  e  questa  interior 

veduta  è  quasi  occhio  mentalcf  pupilla  spirituale,  anteriore  al  fatto 

della  percezione.  Che  cos*  è,  di  grazia,  cotest*  oeeAio,  cotesta  pupilla, 

cotesta  veduta  interiore  f  È  forse  un  giudizio?  No,  risponde:  che  alla 

funziono  giudicativa  devq  andare  innanzi  la  percezione.  {Confeenoni, 

voi.  cit,  p.  150).  Che  cos*ò  dunque?  Per  quanto  altri  voglia  andar  ri- 

cercando no'  copiosi  volumi  di  questo  Neoplatonico,  mai  non  gli  verrà 

fatto  ripescarne  risposta.  Ora  a  noi  pare  che  tal  veduta  interiore  di  si 

altro  non  possa  essere  tranne  che  un  ritorcersi,  un  geminarsi  primitivo, 

e  perciò  un  insieme  d'oggetto  e  di  soggetto,  una  triplicità  iniziale,  uu 

giudizio.  Sarà  giudizio  sui  generis;  sarà  giudino  fcUto  stnxa  riflessione 

come  direbbe  il  Vico;  ma,  in  sostanza,  ò  giudizio.  Se  dunque  è  tale,  non 

importa  un  oggetto?  Or  quale  sarà  l'oggetto  dell' infmor  veduta,  cioò  la 

luce  di  queir  occhio,  dì  quella  pupilla  t  V  Ente  possibile  no,  certo  :  e  il 

Mamiani  con  dialettica  stringente  e  per  quattro  differenti  capi  s' accinge 

a  far  minare  dalle  fondamenta  la  teorica  rosminiana,  e  in  parte  vi 

riesce.  (Ibi,  L.  II,  e.  V).  Che  cosa  dunque  sarà?  A  quel  che  ne  pare, 

neanche  qui  egli  risponde.  E,  checché  possa  dirne,  certa  cosa  è  che  so 

l'anima  è  davvero  dotata  d'una  interna  veduta  (la  quale  perciò  è  logi- 

camente anteriore  alla  percezione),  a  spiegar  questa  non  si  può  prescin- 

dere da  quella.  Se  la  cosa  infatti  non  procedesse  così,  in  che  maniera 

la  percezione  verrebbe  capace  di  trascendere  i  limiti  del  puro  sensato  ? 

Brevemente  :  l' Io  non  percepisce,  V  Io  non  avverte  un  termine  esteriore 

siccome /orsa,  senza  eh' e' /)ereept«ca  e  avverta  so  medesimo.  Or  che 

cos'  ò  il  percepire  sé  stesso,  tranne  che  un  atto  giudicativo  ?  Dunque 

anteriormente  al    fatto   della  percezione   (com'  ei  la  intende),  ci  ha  da 

Se  non  che,  la  più  fresca  novità  delle  Confessioni 

è  r  intuizione  dell'  Assoluto  ;  quindi  la  invitta  prova 

che  ne  scende,  secondo  il  Mamiani,  su  l'esistenza  di 

Dio  ;  quindi  la  salda  costituzione  a  priori  della  Meta- 

fisica. Innanzi  tutto:  se  cotesta  intuizione  non  è  altro 

fuorché  una  semplice  contiguità,  un'  adesion  marginale 

del  pensiero  con  l'Assoluto,  non  è  chi  in  essa  non  sap- 

pia ravvisare  quel  toccamento  spirituale  de*  Yecchi  Neo- 

platonici, dottrina  rinverdita,  quindici  anni  avanti  '1  Pe- 

sarese, dall'illustre  neoplatonico  Pomari.*  Vero  è  che la  sentenza  la  quale  a  tal  proposito  risulterebbe  dal- l'insieme  delle  sue  dottrine  potrebb' esser  questa:  che il  suo  intùito  non  sia  già  un  atto  originario,  potenziale, 

essenziale,  bensì  tutt'  un  ordine  d' intuizioni  per  quante potrann' esser  le  idee  attraverso  alle  quali  avvien  che traspaia  l' Assoluto.  Or  s' egli  è  così  (né  sappiamo  dir davvero  s' e'  sia  così),  perché  aflFermare  più  d'una  volta, esser  necessaria,  inevitabile  uxìl  intuizione  perenne  e  im- mediata délV  Etite  sortitaci  da  natura  e  dalla  essenza  dd nostro  spirito?  *  Se  l' intuizione  dell'Assoluto  é  un  atto essenziale,  come  potrebbe  non  esser  primitivo?  E  s' egli é  primitivo,  non  è  a  reputarsi  anteriore  logicamente alla  percezione?  In  sostanza,  se  T'Assoluto  é  quegli  che ^presenta  al  pensiero,  e'  s'ha  a  mostrare  fino  dal  primo 

atto  della  mente;  la  quale  perciò  sarà  mente,  sarà  pen- 

essere  qualcos'altro  che  ne  sìa  la  vital  condizione.  Evidentemente 

r  acuta  pupilla  speculativa  del  Pesarese  non  s*  è  profondata  nolla  na- 

tura di  siffatta  condizione.  E  puro  con  quest*  alchimia  e'  non  dubita  cre- 

dere d*  avere  una  buona  volta  composto  in  armonia  1*  antica  lotta  fra 

Platonismo  ed  Aristotelismo  ! 

'  Il  Hamiani  dice  :  «  balena  con  evidenza  V  intuito  cT  una  poeitiva, 

immota  ed  universale  realtà^,,  indeterminata  e  inqualiJiiMta  e  perciò  oeeura 

e  non  deecrivibile,  >  {Meditaz,  Carte».,  p.  229.)  Non  è  egli  cotesto  V  oh- 

biette  intelligibile  colto  dall*  intùito,  nulla  interpoeita  creatura,  di  che 

parlano,  per  esempio,  i  seguaci  di  sant*  Agostino,  e,  fra  questi,  il  For- 

narì?  (Ved.  VelV  Armonia  Univ.,  p.  74,  75,  ed.  cit.). 

*  Meditai,  Cartee,,  p.  234,  294.  Questa  sentenza,  come  ò  chiaro,  è 

in  aperta  contraddizione  con  quell'altra  onde  il  Mamiani  afferma  e  ri- 

pete, nulla  non  v'esser  nolla  sua  dottrina  d'innato,  nulla  di  primitivo. 

Vedi  Riep,  al  eig,  dott,  Akt»,  Brentazzoli,  Bologna,  1866. 

siero,  solo  in  grazia  di  chi  le  sta  dinanzi.  Ora  se  il  yero, 

metafisico  o  no  che  sia,  non  è  fatto  dalla  mente,  ma  da 

essa  ricevuto,  evidentemente  il  Neoplatonismo  del  Ma- 

miani  viene  a  contraddire  alla  dottrina  psicologica  del 

Vico,  rompe  contro  alle  severe  obbiezioni  mosse  al  Gio- 

berti, e  massimamente  soggiace  a  quella  grave  difficoltà 

che  Aristotele  oppose  al  suo  gran  maestro  circa  la  inu* 

tilità  deir  esperienza  e  de'  fatti  e  delle  percezioni,  posto 

che  il  vero  e  l'universale,  in  che  risiede  propriamente  la 

scienza,  debba  ne' suoi  principii  derivarci  dall'alto  e 

dal  di  fuori,  meglio  che  dal  didentro/ 

Se  non  che,  ingegno  elegantissimo  e  ricco  di  vena  poe- 

tica, questo  filosofo  spesso  indovina.  Talora  infatti  sem- 

bra non  esser  l'Assoluto  quegli  che  determina  e  significa 

se  medesimo  nelle  idee;  bensì  la  mente  stessa  la  quale, 

generando  cotesto  idee,  determina  idealmente,  esprime 

e  significa  l' Assoluto  :  tanto  che  non  sarebbe  altrimenti 

lo  splendor  divino  che  penetrando  quasi  attraverso  gli 

esilissimi  spiragli  delle  idee  ne  promoverebbe  l'intùito, 

ma  la  stessa  virtù  riflessa  ne  verrebbe  argomentando 

r  esistenza  e  la  natura  per  necessità  eduttiva.*  Ora  solo 

*  AbisTm  M«iaph.y  1.  1.  —II  Mamianì  potrebbe  dire:  il  mio  intiiito 

sta  in  ciò,  che  ogn*  idea,  avendo  a  significare  per  propria  natura  un  obbietto, 

debba  importare  un'  enistenza  etema,  ed  una  $peciaU  determinazione  ddVente 

aMolìtto  e  infinito.  —  Accettiamo  anche  questa  posizione.  Che  cosa  ne 

Terrà?  Poiché  gli  obbietti  tignijiecuiei  dallo  idee  non  potranno  esser  al- 

tro salvo  cho  determinazioni  ad  intra  o  determinazioni  ad  extra  del- 

r  assoluto,  sorge  la  necessità  di  spiegare  se  1*  intuito  s*  appunterà  verso 

le  une,  meglio  che  verso  le  altre.  Stando  alla  dottrina  della  maboinalb 

ADS8I0NR  e  del  toecawtento  epirituale,  V  intuito,  non  essendo  un  atto  pene- 

trativo, coglierebbe  le  seconde  anzi  che  le  prime:  e  quindi,  innanzi  ogni 

altra  determinazione  dell*  assoluto,  dovrebbe  afferrar  quella  dell*  atto 

creativo.  Or  se  questo  è  vero,  parmi  evidente  come  la  dottrina  del 

Mamiani  su  la  conoscenza  non  si  discosti  neppur  d*un  apice,  quanValla 

sostanza,  dalla  dottrina  del  Gioberti,  il  quale  non  ha  mai  preteso  che  il 

suo  intùito  abbia  da  essere  un  atto  penetrativo.  —  Ma  il  termine  esterno, 

il  sensato  (egli  dirà)  si  ha  per  via  di  percenone,  —  Ad  un  acuto  Qio- 

bortiano  qui  non  tornerebbe  guari  difAcile  cogliere  V  autore  delle  Oon- 

fe99ioni  in  aperta  contradizione  con  so  medesimo. 

*  Nelle  Con/e99Ìoni  è  sempre  T  Assoluto  quegli  che  s'affaccia  ed 

eccita  e  promovo  lo  spirito  al  pensiero,  e  solo  in  qualche  luogo  (per 

per  cotesta  via  egli  avrebbe  potuto  correggere  il  Gioberti, 

e  riconoscere  insieme  la  parte  di  vero  che  è  pur  nelle 

dottrine  Rosminiane.  Solo  per  cotesta  via  avrebb'egli 

inverato  il  Platonismo,  e  dischiuso  fra  noi  un  periodo 

novello  di  speculazione  feconda,  razionale,  positiva  e, 

che  più  rileva,  conseguente  alla  storia  della  scienza. 

E  solo  per  cotesta  via  non  sarebbe  incappato  nella  in- 

coerenza di  porre  l'Assoluto  come  uiroOt^tc,  e  in  un'ora 

medesima  dichiararlo  oggetto  d'intùito.  Perocché  se  con 

l'analisi  delle  idee  ci  è  dato  risalire  per  logica  neces- 

sità fino  a  cotesta  uttotsjc;,  a  me  pare  che  una  dottrina 

psicologica  0  ideologica,  la  quale  invochi  '1  sussidio  d'un 

intuito,  sia  un  fuor  d'opera  addirittura.  —  Con  ciò  stesso 

avrebbe  corretto  il  valor  rappresentativo  delle  idee, 

eh'  è  r  altra  originalità  cui  pretende  il  Neoplatonismo 

del  Mamiani.  Quale  attinenza  è  mai  fra  l'idea  e  l'ideato? 

Non  quella  di  somiglianza  come  han  creduto  balorda- 

mente i  Malebranchiani,  egli  risponde;  ma  si  quella 

d'una  vera  e  propria  significazione.  Eccolo  dunque  anche 

qui,  senza  addarsene,  alla  famigerata  wa/jo^ix  platonica 

tanto  invocata  dal  Gioberti  nella  sua  prima  maniera  di 

filosofare.  Nel  che  il  Pesarese,  anziché  progredire,  è  ri- 

masto molto  indietro  all'  autore  della  Protólogia  nella 

quale,  com'  é  noto,  il  concetto  della  piOiSi;  rivelasi  im- 

prontato d'una  forma  novella,  e,  fino  a  certo  segno,  origi- 

nale. Ma  lasciando  stare  del  regresso  e  dello  scadimento 

notevolissimo  che  nella  specuhizione  italiana  ci  segnano 

le  Confessioni  d' un  Metafisico  ove  si  ponga  a  riscontro 

lo  dottrine  del  Mamiani  con  V  ultima  forma  cui  s'  era 

levato  r  ingegno  potentissimo  del  Gioberti,  è  bene  qui 

accennare  un'ultima  osservazione  su  l' attinenza  che  il 

Pesarese  pone  fra  le  intellezioni  e  il  loro  obbietto. 

68.  a  p.  95  e  seg.,  voi.  cit.)  fa  trasparire  la  nuora  tendenza  cni  allo- 

diamo.  Ma  noU*  opuscolo  dì  risposta  ni  Bonatelli  (Bologna,  1868,  p.  49) 

questa  tendenza  è  pid  chiara,  tuttoché  manifestata  foggevolmente  e 

forse  Inconsapevolmente.  Dico  inconsapevolmente  perchè  nelle  Medita- 

zioni rinnovate  e*  ricasca  nella  solita  presenaialità,  nella  tolita  marginale 

ndenone^  come  ci  attestano  le  sentenze  qna  dietro  riferite. 

Le  idee  importano  il  divino,  egli  dice;  poiché  non 

sono  fuorché  altrettanti  simboli,  altrettante  significa- 

zioni dell'  Assoluto.  Se  questo  è  vero  ne  segue  che,  in 

quanto  simboli  e  segni,  elle  non  avran  valore  infino  a 

che  cotesti  simboli  non  siano  intesi  e  interpretati.  Ma 

come  la  mente  potrà  giugnere  ad  intendere  e  inter- 

pretare siffatti  segni?  Mercé  l'ordine  delle  percezioni. 

Or  bene,  se  l' idea  non  basta  a  significar  sé  medesima 

né  a  farsi  intendere  da  sé,  evidentemente  per  noi 

ell'é  come  un  chiaror  confuso,  vago,  indeterminato, 

insignificante,  e  quindi  al  tutto  inutile  alla  scienza. 

D' altra  parte,  se  l' ordin  delle  percezioni  é  di  sua  na- 

tura cosiffattamente  limitato  da  essere  incapace  a  darci 

r  universale,  non  potrà  non  riescire  anch'  egli  d'ingom- 

bro inutile  alla  mente.  Si  dirà  di  poter  superare  il  fe- 

nomeno e  attinger  la  scienza  mercé  il  connubio  dell'or- 

dine percettivo  con  l'intellettivo?  Questo  é  per  l'appuntò 

ciò  che  pretende  il  Mamiani.  Ma,  se  eoa  fosse,  non  ved- 

remmo ad  assomigliare  il  regno  della  scienza  e  delle  idee 

a  quello  di  natura  e  delle  fisiche  efficienze,  ove  se  a 

due  cavalli  non  vien  fatto  di  tirarsi  dietro  un  carro  vi 

potranno  benissimo  riescir  quattro?  Il  Mamiani  afferma 

non  dimostra  la  platonica  7ra/)0Tc«:  afferma,  non  dimostra 

la  platonica  xotvwvèa.  E  per  tutta  dimostrazione  ci  an- 

nuns^ia  che  l'idea  é  significativa,  perché?  perché  havvi 

un  obbietto  nel  quale  debb'  ella  necessariamente  termi- 

nare. Or  in  che  modo  legittima  egli  cotesto  obbietto? 

Lo  legittima,  come  s'  é  visto,  dichiarandolo  presente^  po- 

nendolo presente!  Questo  é  proprio  il  nocciolo  maga- 

gnato del  Neoplatonismo.  La  preserunalUà  dell'Assoluto 

è  un'ipotesi,  un'affermazione  arbitraria:  ecco  tutto.* 

*  Corte  dottrine  del  Mamiani  ci  ricacciano  addirittura  fra  i  Plotino, 

i  Proclo  e  gli  Ammonio,  appo  cai  facilmente  troverebbe  riscontro  il  sno 

concetto  del  Bene.  E  chi  pigliasse  poi  a  rovistare  attentamente  nelle 

antiche  scuole,  per  esempio  nel  vecchio  e  anonimo  autore  della  Teologia 

(Rayaibson,'  op.  cit.,  t.  II,  p.  542),  potrebbe  ritrovar  più  che  un  germe 

della  dottrina  sn  \*influxu$  divintu  che  neir  Arabismo  e  anche  nella  Sco- 

Concludiamo.  Noi  abbiam  dovuto  fare  una  critica 

rapidissima  del  Neoplatonismo  italiano  considerandolo 

segnatamente  sotto  l'aspetto  psicologico,  perchè  i  tre 

filosofi  di  cui  abbiamo  toccato  ci  rappresentano  le  posi- 

zioni più  serie,  le  forme  principali  ond'il  Platonismo 

crede  attinger  l'obbietto  metafisico.  Rosmini  è  il  meno 

dommatico,  il  meno  arbitrario,  il  piii  positivo  e  quindi 

il  meno  platonico  fra  tutt'  i  platonici.  Egli  pecca  nel 

porre  l' essere  della  mente  come  ideale;  e  lo  sbaglio  di 

siffatta  posizione  vale  a  spiegarci  le  contraddizioni  in  cui 

spesso  ha  inciampato  nella  psicologia,  nonché  le  gravi 

manchevolezze  nel  suo  disegno  ontologico  su  le  tre  forme 

dell'  Essere.  Assai  piii  del  Rosmini  pecca  il  Gioberti  nella 

dottrina  psicologica  affermando  l'essere  come  reale  e, 

che  più  monta,  come  recde  determinato.  Non  meno  del 

Gioberti  e  del  Rosmini  pecca  il  Mamiani  ponendo  co- 

testo reale  come  infinito  in  se,  e  come  presente  al  pen- 

siero mercè  l' interposizione  delle  idee.  Si  direbbe  dunque 

che  il  Neoplatonismo  italiano,  in  questi  tre  filosofi,  abbia 

progredito  su  la  via  dell'  a  priorismo  e  dell'  iperpsico- 

logismo.  Essi  han  dato  tre  passi,  ma  indietreggiando 

sempre  più;  perchè  con  l'esagerare  l'esigenza  platonica 

han  trascurato  l' esigenza  aristotelica,  tuttoché  ciascun 

d'  essi  abbia  creduto  d' aver  impresso  oggimai  un  ac- 

cordo definitivo  fra'  sistemi  de'  due  vecchi  filosofi.  L'ul- 

timo segnatamente,  il  Mamiani,  mostra  d'aver  progredito 

assai  più  del  Rosmini  e  del  Gioberti  in  questa  via.  Sotto 

certi  rispetti,  infatti,  il  Neoplatonismo  del  Pesarese  par 

che  confini  col  Teologismo:  talora  anzi  vi  si  confonde, 

chiunque  ripensi  a  quelle  cinque  differenti  maniere  (oltre 

la  sesta  della  comunione  ideale  ond' abbiamo  parlato) 

mercè  cui  egli  stima  debbansi  attuare  gV  influssi  divini.  E 

Dio  che  crea  l' anima,  e  la  fa  esistere.  Ma  è  anche  Dio 

che  le  fa  intendere  presentandosi  a  lei  attraverso  le  idee. 

È  Dio  che  le  fa  ammirare  il  bello,  e  incarnarlo.  È  Dio  che 

lastica  tien  luogo  del  processut.  —  (Vedi  lo  stesso  Rayaisson  ,  voi.  cit.,  p.  552 

—  Vachebot,  Hi8t,  critique  de  VÉcole  d'^Alexandrie,  T.  II,  iv.) 

le  fa  operare  il  bene  e  la  virtù.  Che  più  altro?  È  Dio  per- 

fino che,  disponendola  ineffabilmente,  la  eccita,  la  trae 

all'adorazione.  È  proprio  il  regno  di  Dio  su  questa  nostra 

terra  1  E  Y  illustre  Mamiani  potrebbe  oggi  ripetere  le 

pietose  e  calde  parole  del  Malebranche:  0  Dieu!  exaucez 

ma  prière,  après  que  vous  Vaurez  formée  en  mai! 

Capitolo  Ottavo, 

continua  lo  stesso  argomento. 

{Critica  del  NeoarigtoteUsmo), 

Notammo  come  il  principio  del  conoscere  metafisico 

immediato  ponga  radice,  per  dirla  con  le  parole  di  He- 

gel, nel  rapporto  d' un  nesso  primitivo  ed  essenziale  fra 

il  pensiero  e  T Assoluto,  fra  il  soggetto  e  T  oggetto/  Àb- 

biam  visto  come  il  Neoplatonismo  italiano  moderno 

propugni  questa  connessione  sotto  tre  forme  più  o  manco 

razionali;  e  come  abbia  quindi  a  tornare  assai  difficile 

al  Rosmini,  e  molto  più  al  Gioberti  e  al  Mamiani,  li 

potersi  difender  dair  accusa  di  panteismo  ideale.  Gli 

estremi  si  toccano  anche  qui.  Con  la  teorica  dell'  intui- 

zione e  deir  immediatezza  i  nostri  Neoplatonici  riescono, 

checché  se  ne  dica,  a'  risultati  cui  perviene  la  dottrina 

della  mediazimie  propugnata  dagli  altri  nostri  viventi 

filosofi,  seguaci  caldissimi  dell'Idealismo  germanico. 

Dicemmo  qual  sia  la  doppia  esigenza  onde  il  Neo- 

platonismo si  divaria  dal  Neoaristotelismo  quant'al  co- 

noscere metafisico  (pag.  365).  Per  la  natura  istessa  di 

questa  doppia  esigenza  avviene  che,  come  nel  primo, 

cosi  pure  nel  secondo  indirizzo  sono  possibili  più  forme, 

più  maniere,  più  metodi,  sia  che  si  tolga  di  mira  il 

modo  con  che  si  crede  poter  attinger  l'assoluto,  sia 

che  il  risultato  ultimo  a  cui  si  potrà  giugnere.   Non 

«  Hegel,  Log.,  yol.  I,  p.  384,  §  LXIX. 

volendo  tener  conto  di  quella  vieta  e  volgar  maniera 

di  mediatezza  che,  quantunque  sotto  aspetti  differenti, 

fa  sempre  un  salto  mortale  quando  presuma  levarsi 

dall'effetto  alla  causa  e  dal  dato  alla  condizione  del 

dato;  possiamo  ridurre  a  due  le  forme  più  generali  e 

comprensive  di  tal  mediazione.  Esse,  al  solito,  risal- 

gono a  que'  due  estremi  in  che  dicemmo  sdoppiarsi 

r  Aristotelismo:  perchè  anche  nella  quistione  metafisica 

il  primo  di  cotest'  indirizzi  ci  è  oggi  rappresentato  dal 

Positivismo  e  dal  Materialismo;  l'uno  affermando,  nulla 

mai  non  potersi  conoscer  di  metafisico,  e  l'altro  innal- 

zando a  dignità  d'  assoluto  la  stessa  materia,  senza 

legittimarne  menomamente  il  concetto.  Il  secondo  poi 

vuol  essei^e  anch' egli  avvisato  sotto  doppio  rispetto, 

potendo  assumere  due  forme  che,  per  due  differenti 

ragioni,  rivestano  entrambe  carattere  iperpsicologico. 

Si  può  infatti  mantener  la  posizione  d'  un.  immediato 

irradiamento  per  virtù  d'un  principio  superiore,  gene- 

rale e  comune^  e  s' ha  uq  indirizzo  averroistico  ;  il  quale, 

benché  storicamente  sìa  come  un  virgulto  sbocciato  nel 

giardino  dell'Aristotelismo,  può  siffattamente  svolgersi  e 

grandeggiare,  come  nel  fatto  è  avvenuto,  da  toccarsi  e 

talora  confondersi  col  Neoplatonismo.  Ma,  d'altra  parte, 

può  assumere  forma  squisita  di  scienza,  e  s' ha,  come 

ne'  tempi  moderni,  una  delle  tre  maniere  dell'Idealismo 

germanico  appellate  subbiettiva,  obbiettiva,  assoluta. 

Sennonché  è  da  notare  come  fra  tutt'  i  sistemi  quello 

dell'assoluta  identità  serbi  '1  distintivo  d'esser  natura- 

lismo e  ipei-psicologismo  insieme,  e  racchiudere,  co'  molti 

pregi,  i  moltissimi  difetti  dell'uno  e  dell'altro  indirizzo. 

In  metafisica  l'Hegeliano  è  iperpsicologista.  Perocché 

quantunque  non  attinga  l' assoluto  per  opera  d' un  in- 

tuito e  d'un'immediata  visione  più  o  meno  spiccatamente 

neoplatonica,  dice  e  crede  mostrare  di  poterlo  cogliere 

quasi  d'assalto,  come  toccammo,  cioè  per  stibitanea  ed 

assoluta  astraeione  dd  pensiero  puro.  Dice  e  crede  mo- 

strare di  poter  dedurre  a  tìl  di  logica  la  dialettica  che 

per  lui  costituisce  la  chiave  di  volta  d' ogni  scibile  e 

d' ogni  ordine  di  realtà..  Anch'  egli  dunque  trascende;  e 

però  anch' egli  vizia  l'esigenza  d'un  positivo  e  severo 

psicologismo.  Ma,  oltreché  iperpsicologista,  l'Hegeliano 

è  anche  naturalista.  Checche  se  ne  dica,  la  sua  logica 

obbiettiva,  la  dialettica  intrinsecata  e  compenetrata  con 

la  stessa  metafisica,  non  è  altro  alla  fin  delle  fini  che 

imitazione  e  ripetizione  della  stessa  natura,  delle  stesse 

leggi  di  natura,  tuttoché  ridotte  al  grado  più  univer- 

sale e  squisito  di  trasparenza  ideale,  pura,  assoluta,  per 

cui  la  forma  costituisce  lo  stesso  contenuto,  e  viceversa. 

Il  perché  se  l'Idealismo  assoluto,  come  altrove  notammo, 

è  stato  detto  con  felice  espressione  esser  V  àlgebra  dd 

naturalisino,  con  altrettanta  verità  può  dirsi  essere 

un'  algebra  della  psicologia,  del  pensiero  e  delle  idee  ; 

tanto  che  ci  sarà  lecito  designar  come  indovinello  d'alge- 

bristi (direbbe  il  Vico)  quell'assoluto  che  gli  Hegeliani 

con  miracolo  non  mai  visto  fanno  venir  fuora  dalle  neb- 

biose alture  della  dialettica.  Possiamo  dunque  affermare 

che  Positivisti  e  Idealisti  assoluti  oggi  rappresentino  gli 

estremi  indirizzi  dell'  Aristotelismo.  E  queste  due  forme 

neoaristoteliche,  tuttoché  fra  Joro  si  differenzino  toto 

cedo  nel  metodo  e  nel  concetto  della  scienza,  nuUameno 

si  toccano  ne'  risultati,  massime  in  quello  risguardante 

il  valore  e  '1  destino  dell'  umana  personalità.* 

*  Chi  tien  conto  della  necessità  d*  ìndole  tutta  fisiologica  ed  empi- 

rica secondochò  è  intesa  da'  positivisti  e  da*  niaterìalisti,  e  della  necessità 

tntta  dialettica  ideale  assoluta  com'è  concepita  dagli  Hegeliani,  tosto 

8*  accorgerà  d' un*  altr*  attinenza  fra  queste  due  tendenze  della  moderna 

speculazione.  Il  dinamismo  noli*  essere,  nelle  cose,  nella  scienza  e  nella 

storia,  sparisce  cosi  per  1*  una  come  pet  1*  altra  dottrina.  Meccanismo 

ideale,  come  dicemmo,  e  meccanismo  fisiologico  e  materiale:  necessità 

logica  e  formale,  e  necessità  empirica  e  meccanica;  ecco  tutto.  Oggi 

dunque  potremmo  affermare  dell'una  e  dell'altra  scuola  ciò  che  Aristo- 

tele diceva  de' pittagorìci  e  de' platonici:  'A).Xa  yiyovi  roì  fiscBri- 

fixrcx.  To?c  vvv  >j  ^tXoao^ia  {Metaph,  I.)  Cosi  Hegeliani  e  Positivisti, 

come  avvertimmo  nella  Introduxione,  tuttoché  movano  da  due  punti  Uh 

loro  interamente  diversi  ed  opposti,  riescono  pur  nullamanco  fid  una  me- 

desima legge.  E  come  al  Platonismo  primitivo  tenne  dietro  la  scuola  di 

Rifacciamoci  da' Positivisti,  i  quali,  ove  discoiTono 

intorno  al  problema  del  conoscere  metafisico,  non  mo- 

strano quella  serietà  scientifica  della  quale  non  pertanto 

vanno  lodati  quando  parlano  de'  principi!  metodici  da  ap- 

plicarsi alle  scienze.  Quant'  al  problema  d'una  realtà 

metafisica  e' non  sofirono  d'esser  messi  in  un  fascio  con 

gli  scettici  sistematici  e  co'  nullisti  ;  e,  davvero,  non  han 

torto.  I  Positivisti  infatti  ci  parlano  d'  un  Inconoscibile. 

Dunque  essi  confessano  V  esistenza  d' un  obbietto  trascen- 

dente. Ma  come  legittimano  cotest' obbietto?  Come  ne 

determinano  l'idea  tosto  che  ne  parlano?  I  Positivisti 

francesi  ne  discorrono,  ci  piace  ripetere  anche  qui  la 

frase,  come  d' un  oceano  immenso^  doni  la  daire  vision 

est  amsi  salutaire  que  formidable.*  I  Positivisti  inglesi 

poi  ci  porgono  un  concetto  più  determinato  di  cotesto 

Deus  àbsconditus,  àicenàoìo  potenza,  forzc^  di  cui  V  uni- 

verso è  simbolo  e  manifestazione} 

Il  positivista  francese  qui,  com'  è  evidente,  s' addi- 

mostra pili  positivo,  0  meglio,  più  negativo  dell'inglese, 

e  quindi  più    timido,   più   circospetto,  più  scettico  di 

di  Speusippu  cbe  radiò  addirittara  il  numero  ideale  (yortroc,  sc^yjtcxo;) 

sostitueodoTì  il  nunioro  sensibile  appunto  perchè  queir  idea  come  astratta 

e  generale  parevale  cosa  inutile  (Arist.  Metaph,,  XIII.  Rataibbon,  i!^>eu- 

9ippe);  parimente  oggi  Positivisti  e  Materialisti,  in  luogo  dell* /iea,  pon- 

gono' II  Fatto  e  la  Materia;  e  cosi  mentre  negano  V  Idealismo  assoluto, 

mostrano  d'arer  con  osso  doppia  ed  intima  relazione,  una  storica  e  l'altra 

teoretica.  La  storia  del  pensiero  filosofico  progredisce,  non  v'ha  dubbio: 

ma  anche  nel  progredire  si  ripete.  Ecco  qua  -una  prova,  chi  vuol  vederla. 

*  E.  LiTTBi,  A,  Comte  et  la  Phil.  Poeit.,  2«  ed.,  p.  529.  Per  quanto 

negativo,  nullameno  questo  concetto  del  Littré  su  V  Assoluto  è  una  cor- 

rezione deir  idea  del  Orand'  Eetere  intorno  alla  quale  con  tanta  vuotag- 

gine avea  finito  per  arzigogolare  il  Comte. 

*  H.  Spencer,  Firft  Prìnci^ee^  ed.  cit.,  e.  I.  Alcune  idee  di  questo 

scrittore  su  V  obbietto  metafisico  superano  quelle  di  St.  Hill.  L*  Autore 

del  Sietema  di  Logica  parla  del  soprannaturale,  come  notammo  in  altro 

luogo,  da  schietto  formalista,  senza  poterlo  quindi  legittimare  in  altra 

guisa  che  per  empirica  credenza.  (Ved.  A,  Comte  et  Le  Potitivitme,  p.  15.) 

La  relatività  del  eonoecere  per  lui  non  è,  a  dir  proprio,  quella  di  Spencer, 

e  neanche  quella  de*  Positivisti  francesi.  Vedi  il  novero  eh*  egli  stesso 

fa  de*  diversi  modi  con  che  può  intendersi  la  relatività  della  conoscenza 

nella  PhiL  de  Hamilton,  ed.  cit.  e.  I. 

fronte  alla  scienza  :  ma  le  contraddizioni  in  che  restano 

entrambi  avviluppati  son  le  medesime.  Anch'  essi  in- 

fatti, i  Positivisti,  obbediscono  e  rendono  omaggio  al 

bisogno  speculativo  che  punge  ed  eccita  continuo  il  pen- 

siero filosofico,  stantgchè  non  solo  riconoscono  la  realtà 

d' un  oggetto  trascendente,  ma  lo  determinano,  lo  pon- 

gono, lo  specificano  in  qualche  modo.  Che  cos'è,  per 

esempio,  l'Inconoscibile  onde  ci  parla  l'illustre  Spencer? 

È  il  fondo  occulto  delle  religioni,  e  insieme  l'estremo 

termine  a  cui  riescono  le  scienze.  Le  religioni  pongono 

tale  obbietto  per  virtù  d'istinto:  le  scienze  lo  subiscon 

per  legge  del  proprio  svolgimento.  Tra  fede  e  ragione, 

perciò,  non  v'è  antagonismo:  l'Inconoscibile  n'è  l' ob- 

bietto comune.  Conciliarle  dunque  è  possibile,  tosto  che 

s'abbia  diffinito  le  idee  madri  onde  scienze  e  religioni 

sono  inviluppate.  E  poiché  le  une  in  sostanza  Aon  fanno 

che  riconoscere  ciò  che  le  altre  contengono  ed  espli- 

cano istintivamente,  ne  segue  che  lo  spirito  umano' 

per  mezzo  della  scienza  perviene  là  ond'  egli  stesso  era 

partito  con  la  fede,  cioè  all'Inconoscibile. 

Il  pensiero  del  filosofo  inglese  è  chiaro  e  spiccato, 

ma  non  altrettanto  vero.  Innanzi  tutto:  perchè  le  reli- 

gioni e  molto  più  le  scienze  non  potranno  pervenire  a 

render  conoscibile  in  alcun  modo  l' Inconoscibile  di  cui 

pur  confessate  la  realtà?  Forse  che  tale  impossibilità, 

ripetiamolo,  non  contraddice  apertamente  all'attività 

critica  del  vostro  pensiero  speculativo,  alla  stessa  esi- 

genza del  vostro  metodo  critico  e  positivo?  Non  dubi- 

tate affermarlo  esistente  cotesto  Inconoscibile.  Giungete 

anzi  a  determinarlo  come  forza  di  cui  V  universo  è  ma- 

nifestojsnone.  Or  bene  perchè  non  dare  un  altro  passo? 

Perchè  non  ispecificar  l'attinenza  eh' è  tra  l'Incono- 

scibile e  '1  conoscibile?  In  altre  parole,  domandiamo: 

col  porre  i  termini,  non  siete  già  nella  necessità  logica 

di  mostrarci  in  qualche  maniera  la  relazione  di  essi, 

dirci  quale  attinenza  interceda  per  avventura  tra  la 

forjsfa  e  la  sua  manifestazione,  quale  sia  il  vincolo  che 

annoda  insieme  la  potenza  e  l'universo  onde  quella 

potenza  è  simboleggiata?  Brevemente:  siete  qui  in  una 

forma  di  panteismo,  o  di  teismo?  Il  Positivista  non 

risponde;  e  pur  dovrebbe:  dovrebbe  se  davvero  amasse 

mostrarsi  ed  esser  positivo. 

Inoltre,  l'Inconoscibile  onde  move  la  fede,  e  Fin- 

conoscibile  cui  giugno  la  scienza,  dice  lo  Spencer,  sono 

una  cosa.  Ma  perchè?  Perchè  col  prodotto  confondere 

due  facoltà  fra  loro  diverse?  L'Inconoscibile  della  fede 

incontra  un  limite  invalicabile  in  questa  o  cotesta  intui- 

zione particolare  in  cui  l'Assoluto  è  compreso  dal  sen- 

timento religioso  appo  un  dato  popolo,  e  presso  una  data 

civiltà.  L' Inconoscibile  delle  scienze,  invece,  è  l' inco- 

noscibile di  ragione;  e,  come  tale,  non  può  restare  per- 

petuamente indeterminato,  pel  solito  motivo  che,  ove 

rimanesse  cosi  necessariamente,  l' indagine  positiva  an- 

nullerebbe sé  stossa;  e  annullerebbe  sé  stessa  perchè 

r  esigenza  critica  non  sarebbe  altrimenti  un'  esigenza 

invitta,  naturale,  un  irresistibile  e  crescente  bisogno 

speculativo.  Ora  se  il  contenuto  della  fede  è  condizio- 

nato ad  una  forma  speciale;  se  per  la  natura  stessa 

della  funzione  psicologica  ond'  ei  rampolla  riman  chiuso 

e  quasi  cristallizzato  nella  particolarità  d'un  senti- 

mento: perchè,  domandiamo,  voler  condannare  alla 

medesima  sorte  T  Inconoscibile  delle  scienze?  Perchè 

così  inesorabilmente  pretendere  di  segnare  i  confini  alla 

ragione  ponendo  limiti  all'  attività  del  pensiero  specu- 

lativo, eh' è  pur  la  forza  più  libera  dell'universo?  Non 

è  anch'  ella,  cotesta,  una  forma  di  dommatismo  ?  * 

'  11  PositiTÌsto  dirà:  tosto  che  voi  pigliate  a  determinare  Vlitco- 

no9cihile,  siete  già  beli*  e  uscito  dalla  scienaa^  e  cadrete  nella  metafisica. 

Verissimo:  questo  accade,  e  questo  appunto  deve  accadere.  Altrove  mo- 

strammo come  ciascuna  scienza,  come  tutte  le  scienze,  riescano  inef- 

ftcaci  nel  tentare  la  soluzione  di  certi  problemi,  segnatamente  nel  de- 

terminare il  concetto  àeWAt^oluto  (lib.  II,  cap.I).  Il  Positivista  che  è  tutto 

scienza  e  solamente  scienza,  da  una  parte  ha  paura  della  speculazione, 

mentre  dall* altra  sente  il  bisogno  di  determinare  in  qualche  modo  cotesto 

assoluto,  e  lo  determina,  per  esempio,  alla  maniera  dello  Spencer  o  del 

Concludiamo  quant'  a'  Positivisti.  Il  Positivismo  fran- 

cese rispetto  al  conoscere  metafisico  ci  dà  un  Immenso 

indeterminato  ;  un  Incondizionato  reale,  11  Positivismo  in- 

glese poi, facendo  un  altro  passo,  determina  vie  più  cotesta 

ignota  realtà,  e  giugne  ad  affermare  che  le  forze,  la 

materia,  il  movimento,  la  vita  e  l'universo  non  siano 

fuorché  simboli  e  rappresentazioni.-  Altre  affermazioni 

d'altre  maniere  di  Positivismo  che  pongano  T assoluto 

senza  penetrar  nel  regno  della  metafisica^  io  non  cono- 

sco; ne,  a  dir  vero,  sono  possibili.* 

Littré  con  offesa  apertissima  della  logica.  Ora,  chi  non  voglia  offendere 

non  pur  la  logica  ma  neanche  il  hnon  senso,  e  insieme  salvarsi  dalla 

contraddizione,  dove  altro  può  penetrare,  uscendo  dal  regno  delle  «ctetue, 

fuorché  in  quello  della  tiietajUiea^  ma  della  metafìsica  intesa  non  già  come 

scienza />rtma,  anzi  ultimaf  Determinare  in  qualche  modo  la  Potenza  di  cui 

r  universo  è  manifestazione;  specificaro  questo  Immento  formidàbile  e  pvr 

•alutare  oltre  cui  non  sa  penetrar  rocchio  dello  Scienze  ma  della  cai 

realtà  nessuno  che  abbia  mente  sana  potrà  dubitare;  cotesta  impresa, 

diciamo,  non  è  né  impossibile  nò  puerile,  altro  che  per  gli  animi  volgari, 

incuranti  e  stupidi.  La  relatività  nel  conoscere  non  ò  muro  di  bronzo; 

non  è  oceano  assolutamente  sconftnato.  Il  conoscere  metafìsico  è  pos- 

sibile ;  ma  ò  possibile  come  aesolato  e  come  relativo  insiememente.  È  a«- 

eolutOf  nel  senso  che  salva  il  pensiero  dal  nullismo  metafìsico;  ed  è  re- 

lativoj  nel  senso  che  non  istringe  la  mente  entro  la  rigida  catena  d*  una 

formola  sistematica.  Se  intanto  ò  vero,  come  dice  Io  Spencer,  che  tra  V  In- 

conoscibile delle  religioni  e  V Inconoscibile  delle  scienze  non  esiste  antago- 

nismOy  no  viene  che,  fra  gli  altri  fini,  la  speculazione  metafisica  debba  pre» 

figgersi  anche  questo:  trasformare  la  fede,  interpretar  la  credenza,  porre 

a  nodo  il  germe  delFidea  che  pure  si  s  voi  ve  attraverso  le  produzioni  mi- 

tiche, superare  il  sentimento  riducendo  l'immaginazione  a  ragione  se- 

condochò  richiede  il  processo  psicologico  (Ved.  ciò  che  abbiamo  discorso 

nel  cap.  V,  lib.  Il),  e  siffattamente  porgere  guarentigie  sperimentali  al- 

l'inveramento  della  scienza  mercè  le  applicazioni  storiche  in  generale. 

*  In  questa  rapida  critica  su  la  tendenza  metafisica  del  Positivismo 

non  abbiamo  tenuto  conto  dell'  Umanismo  di  Ausonio  Franchi,  e  del 

suo  Dio  ddV  Umanità  che  nega  il  Dio  detta  Bibbia  {Razionalismo  del 

popolo,  Ginevra,  1856),  e  neanche  del  Fatto  della  vita,  àeW  Istinto  ài  cui 

parla  il  Ferrari  {Filosofia  della  Hivol,  voi.  11),  perchè  non  ci  paion  con- 

cetti scrii,  né  degni  di  critica  seria.  Quando  s' è  detto  che  il  Dio  Umanità^ 

che  la  Vita  della  storia  con  tutte  le  sue  leggi  non  sono  che  due  fatti 

i  quali  perciò  abbisognan  d'una  spiegazione,  s'è  detto  tutto.  Ora  a  co- 

testa  qualsiasi  spiegazione  non  sanno  e  non  vogliono  accostarsi  questi 

due  arditissimi  scrittori  per  paura  della  metafisica;  e  però  non  sono 

positivisti,  L' uno  è  critico,  non  Criticista,  com'  egli  pretenderebbe  giac- 

Or  bene,  la  filosofia  positiva,  la  speculazione  razio- 

nalmente positiva,  accetta,  deve  accettar  l' una  e  V  altra 

posizione  de'  Positivisti  inglesi  e  francesi,  perchè  ci  rap- 

presentano entrambe  uno  sforzo  di  metafisica,  perchè 

sono  entrambe  un  preludio  alla  metafisica.  Se  non  che 

esse  sono  una  metafisica  incosciente,  una  metafisica  ne- 

gativa, perchè  sentono  ma  non  soddisfano  l'esigenza 

speculativa.  Come  dunque  soddisfare  all'esigenza  dav- 

vero positiva  nella  speculazione  trascendente?  Eviden- 

temente bisognerà  appagarla  superando  il  negativo, 

superando  quel  sazievole  non  so,  quel  non  mi  preme 

sapere^  quel  non  si  può  sapere  che  ad  ogn'  istante  e  con 

incredibile  noia  ci  ripetono  i  Positivisti,  ma  nel  me- 

desimo tempo  restare  nel  positivo.  E  qual  è  il  positivo 

in  metafisica?  Lo  dicemmo  già,  e  lo  ripetiamo:  schivare 

gli  estremi  ;  perocché  il  nemico  mortale  della  positività 

metafisica  son  le  colonne  d'Ercole  del  tutto  sapere,  e 

del  nulla  sapere  metafisico  (cap.  I,  1.  II).  Se  quindi  la 

vera  filosofia  positiva  ha  da  accettare  quel  che  il  Posi- 

tivismo ci  dà  e  nel  medesimo  tempo  superarlo  in  forza 

dello  stesso  metodo  positivo,  deve  accogliere  l' esistenza 

 

 

che  il  crìticista,  il  vero  Kantiano  affinchè  sia  tale,  dehb'  esser  tutto  d*un 

pezzo,  dero  accettare  anche  i  sommi  pronunziati  della  Ragion  Pratica, 

Ausonio  dunque  è  un  puro  critico,  un  critico  sottile,  è  il  doctor  mbtilissimwi 

de*  dì  nostri,  abile  scaltri  mai  a  trovare  il  pel  neir  uovo  neMibri  altrui, 

ma  non  così  nel  dare  una  dottrina,  una  teorica  propria,  fosse  pur  la  teorica 

del  giudizio.  Il  Ferrari  invece  è  scettico  sistematico^  meravig^lioso  nell*  acca- 

tastare erudizione  come  nel  distrugger  sistemi,  ma  nullista  in  metafisica 

al  pari  d*  Ausonio.  Costoro  perciò  son  fuori  d*  ogni  forma  di  Platonismo 

e  d'ogni  forma  d'Aristotelismo;  e  se  ne  vantano;  e  se  ne  gloriano:  e 

si  sortano  pure!  Ma  non  sono  fuori  della  storia,  chi  sappia  che  cosa  vo- 

glia dire  storia  della  scienza  e  della  filosofia.  Franchi  e  Ferrari  hanno 

esercitato  fra  noi  quella  funzione,  parte  benefica  e  parte  malefica,  che  vie- 

ne esercitando  lo  scetticismo  in  certi  dati  periodi  storici;  funzione  al 

tutto  negativa,  ma  necessaria  (p.  207,e  sog.).  Ma  la  storia  dovrebbe  insegnar 

loro  due  cose:  che  il  l)Ì80gno  speculativo  è  uu  gran  fatto,  e  che  la  possibiltà 

d' una  metafisica  positiva  non  è  un  sogno.  A  questi  critici  e  scettici,  di  cui 

fra  noi  oggi  non  è  penuria,  opponiamo  un  dilemma  invincibile  do)  prof.  Ber- 

tini  su  la  possibilità  di  rintracciare  un  principio  metafisico.  (Ved.  La\ 

FU,  Greca  prima  di  Socrate,  esposiz,  storico- critica,  ed.  cit.  p.  13,  320.) 

d'  un*  ignota  realtà  in  quanto  è  Potenza  e  virtù  dell'  uni- 

verso, ma  legittimarla.  Così  il  metodo  positivo,  assumendo 

valor  critico  e  razionale,  non  più  sarà  l'esagerazione  d'uno 

de' due  estremi  indirizzi  dell'Aristotelismo,  ne  contrad- 

dirà'altrimenti  alla  sua  posizione  media,  anzi  varrà  a 

confermarla,  ad  inverarla,  ad  esplicarla  sempre  più.* 

 

L'opposto  indirizzo  del  Neoaristotelismo  dicemmo 

esser  THegelianismo.*  L'Hegeliano  si  oppone  al  Neopla- 

tonico, perchè  non  accetta  veruna  sorta  d' immediatezza 

nel  conoscere  metafisico.  Si  oppone  al  Positivista  e  ad 

ogni  maniera  d' empirismo,  perchè  non  può  accoglier  la 

nozione  d'  un  assoluto  portoci  dalla  coscienza  volgare, 

empirica  o  dommatica  ch'ella  sia.  Qui  egli  ha  piena- 

mente ragione.  Ma  qual  è  la  sua  via?  Qual  è  il  suo 

metodo?  Dov'egli  mira? L'abbiamo  detto:  l'Hegeliano 

riconosce  l' assoluto,  ma  lo  riconosce  ponendolo,  facen- 

dolo; e  lo  legittima  per  necessità  tutta  dialettica.  Lo 

pone  e  lo  fa  non  perchè  ci  è,  anzi  perchè  ci  ha  da 

essere  ;  e  per  ciò  nessuno  potrà  dire  eh'  e'  ci  sia  prima 

che  il  pensiero  s'accinga  a  farlo.  Di  qui  una  conclu- 

sione singolarissima:  Tutto  ciò  che  esiste,  è  anteriore  a 

quello  per  cui  virtù  solamente  egU  è  possibile  e  reale!  Ma 

non  anticipiamo.  Che  cos'  è  dunque  l'Assoluto  per  i  neo- 

aristotelici iperpsicologisti?  Là  risposta  non  è  sì  facile 

per  noi  quant'  avrebbe  da  essere  per  loro.  L' Assoluto 

è  il  Tutto  :  è  l' assoluta  e  immanente  relazione  :  è  la 

relazione  della  relazione:  lo  Spirito.' 

*  E  così  pure  ?a  in  forno  T affermazione  del  Littbì:  c  qui  e»t  mitapKyn- 

e»«n,  iCe»tpa9  po9ÌiivÌ9U;  qui  ett  positiwtefn'ett  pa$  métaphyiieien,  »  (Princip, 

de  Phil.  Ponit.  par  A.  Comte,  Préf.  d^un  ditdple^  p.  60.) 

 

*Noa  senza  ragione  un  nostro  acutissimo  hegeliano  (Dr  Mris,  Dopo  la 

r^aureOf  voi.  I.)  chiama  Hegel  V  ArÌ9ioule  moderno.  Ma  qual  ò  proprio  V  Ari- 

stotole  rappresentato  dal  filosofo  di  Stoccarda V  Ecco  il  punto!  U  nostro 

valoroso  e  carissimo  professore,  questo  Oariholdi  deW Hegdianimno  come  al- 

trove r  abbiamo  chiamato,  non  ammette  che  un  solo  Aristotele,  il  suo 

Aristotele! 

'L'assoluto,  dice  un  fodol  ripetitore  di  Hegel,  non  è  questo  o 

quello,  r  identità  o  la  differenza,  ma  il  tutto  nella  differenza  e  neil' unità 

tua,  E  il  conoscere  assoluto  poi  sta  nel  porre  i  termini,   nel  mostrar 

Sennonché,  in  cotest'  assoluta  relazione,  in  cotesto 

centro  eh' è  anche  circonferenza,  è  pur  d'uopo  comin- 

ciare. Da  qual  parte  rifarci?  Qual  è  il  Primo?  Eccoci 

nel  cuore  dell' Hegelianismo  :  nella  più  alta  e  nascosa 

fortezza  dove  già  da  un  pezzo  la  breccia  è  stata  ajierta 

per  opera  degli  stessi  tedeschi,  massime  dal  Trendelen- 

burg.  All'assoluto,  essi  dicono,  si  perviene  solo  per 

medicunone.  Ma»  cotesto  lavoro  di  mediazione,  come 

s'inaugura  e  perchè?  A  siffatto  processo  (ripetiamo 

la  frase  del  medesimo  Hegel  citata  nell'  altro  capitolo) 

va  innanzi  un  momento  d' assóltUa  e  subitanea  astra- 

zione} Col  subitaneo  astrarre  il  puro  pensiero  pone. 

Che  cosa?  Pone  Vinse,  l'Essere,  o  meglio  l'Indeter- 

minato. L'indeterminato  non  è  soggetto  né  oggetto; 

non  è  pensante  né  pensato  :  ma  è  qualcosa  oltre  cui  non 

si  può  andare,  e  senza  cui  nulla  non  sarà  mai  possibile,  e 

mercè  cui  tutto  sarà  attuabile  :  l' idea  assoluta,  l' etema 

nozione  {der  ewige  Begriff.y  Ecco  Vàbsólute  Prius,  il 

Vero  primo,  e  però  il  vero  Fatto.* 

La  prima  osservazione  che  qui  sorge  spontanea  è  la 

seguente.  Cotesto  Indeterminato  è  cosiffatto,  che  non  si 

può  nemmanco  pensare:  perocché  ove  accanto  a  lui  fosse 

come  s*  oppongano  fra  loro,  e  come  e  perchè,  opposti,  si  concilino.  (Vkba, 

Introd,  alla  Log.  di  ffegel^  voi.  I,  e.  XI,  p.  97).  ~  1/ assoluto,  dico  un 

altro  Hegeliano,  non  è  Tldea,  non  la  Natura,  non  lo  Spirito,  ma  è  Vldea- 

Natura-t^rito;  la  rdoMÌone  dtlla  relaztotie;  VindifferenMa  differenxiata 

indifferentemente  (Spaventa,  Le»,  di  FU.)  Il  vero  abeolute  Priue  è  1*  atti- 

vità, il  pensiero,  lo  spirito:  non  TEnte  che  come  puro  essere  è  Premp- 

poHo  cominciamento  ;  ma  il  Ponente,  vero  Principio,  che  ò  lo  Spirito. 

{Idem,  FiL.  di  Gioberti,  p.  512). 

'  Spaventa  ne  chiarisce  il  pensiero  cosi:  Io  mi  levo  aU^eeeere  per 

una  riaoluMtone  immediata f  per  un'auoluta  a$trazione.  {Le  Categ.  della 

Log,  di  ffegd  ed.  cit.,  p.  129). 

*  Hrgbl,  Log,  voi.  I,  Jntrod.  e.  Vili,  p.  145. 

*  L* Indeterminato  per  lo  Spaventa  è  il  <  pemahile  indeterminatOf  in- 

distinto, non  opposto  a  niente  :  non  dietinto  in  «è,  ni  opposto  ad  altro  : 

senta  relazione  ni  verso  sì,  né  verso  altro  che  sia  o  si  possa  pensare  prima 

di  esso;  rASSOLUTAMKNTR  IRRAZIONALE.  »  (Op.  cìt.,  p,  129.)  Ora  se  non  v'  ha 

nulla,  come  ci  dicon  gli  stessi  Hegeliani,  che  non  racchiuda  almeno  un 

brìciolo,  un'  ombra  di  razionalità,  che  cosa  mai  sarà  cotest*  oggetto  osso- 

lutamente  irrazionale  altro  che  il  nulla  veramente  dettoV  • 

chi  Io  pensasse,  per  ciò  solo  non  sarebbe  indeterminato, 

non  sarebbe  il  Primo,  non  sarebbe  assoluto/  Or  come 

da  ciò  che  non  potete  né  dovete  pensare  altro  che 

come  assolutamente  indeterminato  potrà  dedursi  tutto 

ciò  che  è  determinato?  Non  è  egli  cotesto  il  più  mi- 

racoloso de' passaggi?  Diranno:  e' si  può  dedurre  per 

ragion  degli  opposti,  e  per  via  di  logica  necessità.  Si 

potrebbe,  io  risi)ondo,  ove  T  opposto  valesse  il  determi- 

nato. Ma  la  deduzione  dell'  opposto  è  possibile,  stante- 

che  ponga  radice  nella  natura  stessa  dell'idea,  né  v'è 

idea  che  non  abbia  il  suo  opposto.  Invece  la  deduzione 

del  determinato  è  impresa  davvero  impossibile,  perchè 

il  determinato  è  molto  piii  dell'  opposto.'  Forse  che  la 

natura,  per  dire  un  esempio,  è  l'opposto  dell'idea? 

V  altro  del  pensiero  puro?  La  natura  è  il  determinato: 

e  come  tale  è  qualcosa  di  concreto,  di  vivente,  di  reale, 

di  esistente  spaziale  e  temporaneo.  Come  dunque  de- 

durla?  Qual  sorta  mai  di  necessità  logica  potrà  qui 

colmare  1'  abisso  e  far  disparire  l' intervallo  ?  Potrete 

dedurla,  è  vero  ;  ma  solo  come  concetto  d' un  subbietto 

spaziale  e  temporaneo  anziché  come  realtà  sostanziale, 

secondo  l'osservazione  d'un  dotto  tedesco.' 

Inoltre,  l' obbietto  cui  per  moto  istantaneo  e  astrat- 

tivo s' aderge  il  pensier  puro,  non  può  non  essere,  di- 

cono, essenzialmente  indeterminato  per  le  ragioni  qua 

dietro  accennate.  Dunque,  io  concludo,  è  necessario  un 

»  Hbqbl,  Log,  voi.  II,  §  LXXXVII. 

*  È  noto  come  1*  oppo$to  nella  dialettica  hegeliana  è  preso  per  lo 

meno  in  tre  sensi  diversi;  come  contraddittorio,  come  contrario,  e  come 

esemplare  semplicemente  detto.  In  altrettanti  significati  è  presa  anche 

r  unità  degli  opposti.  Questo  linguaggio  singolarmente  duttile  dell'  Hege- 

lianismo  è  stato  notato  e  coutraddetto  da  molti  autori.  (Cons.  p.  es.  lo 

Stahl,  Storia  cUUa  Filotojia  del  Diritto  ^  il  Rosmini,  Teotojia,  voi.  I;  il 

GiOBBRTi  in  più  luoghi  àeW  Introduz.  e  della  Protologia;  il  Mamuni, 

Confessioni^  voi.  I,  Meditati,  Cartes.y  e.  VII.  Janbt,  Vaohbrot,  op.  cit.) 

Non  senza  ragione  il  primo  di  questi  scrittori  ha  detto  essere  un  cama- 

leonte la  legge  nella  quale  si  fonda  la  logica  e  quindi  *1  ternario  del- 

l'Hcgelianismo. 

 

?  Stahl,  Storia  della  Filosofia  del  Diritto^  p.  600. 

determinante.  Quale  potrà  esser  mai  cotesto  determi- 

nante, salvo  che  il  soggetto  che  gli  sta  di  contro?  L'in- 

determinato quindi  si  determina,  e  si  determina  solo 

per  virtù  del  pensiero:  di  qui  la  gerarchia  organica 

delle  idee;  di  qui  il  moto  dialettico  nei  suoi  diffe- 

renti gradi  ;  di  qui  lo  sdoppiarsi  dicotomico,  per  dir  così, 

delle  determinazioni  logiche.  Or  bene,  io  domando:  come 

dirlo  oggettivo  cotesto  lavorio,  come  creder  eh'  egli  ab- 

bia una  rispondenza  oggettiva  se  il  determinante  è 

tutto  subbiettivo  e  relativo  e  formale  così  nel  comincia- 

mento  come  nel  processo?  Non  è  dunque  un'ironia  la 

logica  obbiettiva  dell' Hegelianismo?  E  non  ha  avuto 

ragione  il  Trendelenburg  se  con  la  sua  grande  autorità 

ha  preso  a  mostrare  come  l' absolute  Prìtts  della  dia- 

lettica hegeliana  non  sia  punto  dialettico,  per  la  semplice 

ragione  che,  s'ei  fosse  tale,  già  sarebbe  atto  a  movera  da 

se?  L' assolutamente  indeterminato,  adunque,  è  essenzial- 

mente immobile.  Che  se  a  moversi  abbisogna  del  soggetto, 

perciò  solo  e' non  possiede  natura  d'oggetto,  ed  è  sfornito 

d'ogni  valore  obbiettivo;  perciò  è  tutta  una  tela  di  ragno 

la  famigerata  dialettica;  e  perciò  il  primo  momento  della 

logica  obbiettiva*  è  una  bolla  di  sapone  indiscernibile  e 

vagante  ne' cieli  della  più  recondita  astrazione.* 

*  Sono  tre  i  momenti  del  pensiero  assoluto  :  oHrattOj  dial^uico  e  9pe- 

eu^vo,  (Heorl,  ZoCf  cit.  e  III). 

•  €  Fi»»ando  VEtaere^  io  non  mi  distinguo  come  pensiero  dalVJStBere: 

io  mi  estinguo  come  pensiero  neW Essere:  io  sono  V Essere.  ^  (Spaventa,  Le 

Prime  Cnteg.  ec.,  ed.  cit.,  p.  133).  Oh*  io  m*  abbia  a  distinguer  dall'Essere 

è  indubitato:  e  me  ne  distinguo  perchè  penso  I* Essere.  Ma  come  ho  a 

fare  per  estinguermi  come  pensiero  nell'Essere?  Io  voglio f  si  dice,  io  mi 

risolvo.,..  Sta  bene;  ma  forse  perciò  si  può  dire  che  cotesto  estinguermi 

cesserà  d'esser  nna  faccenda  supremamente  subbiettiva  o  formale?  E  in  che 

maniera  poi,  dopo  essermi  estinto  neW  Essere^  potrò  affermare  eh'  io  dunque 

non  V Essere?  Io  son  1'  Essere,  si  risponde,  perchè  mi  pongo  come  tale.  Ma 

il  pormif  il  volermi  porre^  è  un  atto  appartenente  al  processo  psicologico 

pratico  e  operativo,  non  già  al  processo  conoscitivo  e  teoretico.  Come 

dunque  potrà  egli  esercitare  flmzione  dì  primo  V  —  Non  per  nulla  abbiam 

detto  essere  iperpsicologisti'gM  Hegeliani.  Essi  da  una  parte  sconvolgono 

l'organismo  psicologico,  mentre  poi  da  un'altra  rendon  la  logica  infrut- 

tuosa e  formale.  E  tutto  dipende  dal  primo  passo!  Quando  io  affermo: 

D' altra  parte  il  Primo  della  dialettica  hegeliana  non 

può  serbar  valore  di  Primo,  perchè  manca  d'una  delle 

condizioni  essenziali  al  processo,  anzi  ad  ogni  processo, 

le  quali  costituiscon  la  gran  legge  così  del  sapere  come 

dell'  essere.  La  dialettica  hegeliana  non  racchiude  l' ele- 

mento della  difiFerenza,  che  è  per  l'appunto  un'altra 

grave  difficoltà  mossa  contro  all'Hegelianismo  dal  Tren- 

delenburg.  L'Essere  è  il  Nulla,  e  il  Nulla  è  l'Essere: 

perchè?  perchè  cotesti  obbietti  (risponde  acutamente  lo 

Spaventa  in  nome  di  tutti  gli  Hegeliani)  sono  entrambi 

indeterminati,  e,  come  tali,  identici.  Il  principio  del- 

l'identità qui  è  un  elemento  essenziale,  è  condizione 

intrinseca,  originaiìa,  cosi  che  costituisce  la  natura  dei 

tennini  stessi.  Or  donde  mai  rampollerà  egli  il  divereo? 

Nel  congegno  dialettico  la  difiFerenza  per  gli  hegeliani 

dovrebb' essere  anch'olla  primitiva,  anch' ella  essenzia- 

le, anch' ella  originaria,  altrimenti  ov'essa  penetri  da 

fuora  ed  è,  per  dir  la  parola  del  Trendelenburg,  come 

aggiunta^  avrà  valore  accidentale,  secondario  e  fenome- 

nico lungo  tutto  il  processo;  e  però,  scambio  d'un  dina- 

mismo ideale,  nella  logica  obbiettiva  non  avremo  altro 

che  un  idealismo  meccanico  e  formale,  un  idealismo 

fatto  a  pezzi,  un  corpo  aggiuntato  meglio  che  organato.* 

V  iUBtre  l  il  non-easerey  io  faccio  un  griudizio,  il  cui  predicato  sarà  ncgatiiro, 

0  positivo.  Se  negatiro,  eccoci  alla  vuota  identità:  A=A.  Se  positivo, 

allora  sarà  una  determinazione  deir  essere,  ed  eccoci  quindi  nella  ne- 

cessità di  tpecificarìo.  In  entrambo  i  casi  il  congegno  dialettico  hege- 

liano so  n*  è  beir  ito  :  perchè  se  nel  primo  siamo  nel  vuoto  d*  una  tau- 

tologia, nel  secondo  poi  la  ponzione  e  V  oppo$inione  sono  possibili 

solamente  o  fra  termini  coniracldittorij  o  fra  termini  contrari.  Ma,  se  con- 

traddittori, r  opposizione  potrà  ella  essere  altro  che  logica?  L*  organa- 

mento della  logica  potrà  avere  un  valore  metafisico,  lo  so  anch*  io  ;  ma 

ad  un  sol  patto;  purché  si  giunga,  cioè,  a  dar  ragione  dell'  una  e  del- 

l'altra maniera  d' opposizione.  Or  questa  ragione  nell'Idealismo  assoluto 

è  davvero  impossibile,  come  s'è  detto.  Dunque  siamo  sempre  nell'etere 

d' un  puro  mondo  formale.  Se  la  vera  oppotixione  nel  regno  della  logrica 

fosse  impresa  possibile,  già  da  ventidue  secoli  addietro  l' A.  del  Parme- 

nide no  avrebbe  dato  splendida  dimostrazione,  né  vi  saria  stato  mestieri 

del  suo  gran  discepolo  che  mettesse  a  nudo  l' inefficacia  del  tentativo. 

*  V  Euere  puro  ì  V  Ettere;   e  come  taU  importa  U  Non-etstre.  lì 

Lo  Spaventa  in  Italia,  dopo  il  Trendelenburg  in 

Germania,  avendo  visto  ove  s' annida  il  verme  velenoso 

Non-e$8ere  non  i  U  nulla  a98oliUo,  ma  è  U  Non-egaere  rfcH*  Essere,  Pari- 

menti il  Ntm^Baere  importa  V  Essere  perchè  non  è  altro  che  il  Non-essere 

deW  Essere,  Perciò  1*  Essere  e  il  Non  essere  si  pongono  e  8*  oppongono, 

per  indi  coneiliarsi  nel  divenire,  (Hegel,  Log-^  voi.  II,  loc.  cit.)  Lo  Spa- 

venta non  ha  torto  nel  dire  che  tutto  ciò  ha  Y  aria  d*  uno  scherzo,  là 

dove  parlando,  col  solito  lingnagfirio  netto  e  incisivo  circa  la  posizione 

deir  Essere  e  del  Non-essere,  dice:  «  Eeeo  qui  uno,  lo  stesso  uno  che  non 

ha  nome.  Chiamiamolo  Pietro  e  poi  Paolo.  Dunque  Pietro  e  Paolo  sono  lo 

stesso,  qudlo  stesso  uno  /  >  È  proprio  uno  scherzo,  un  indovinello  da  algebristi  ! 

Dunque,  mi  si  chiederà,  nel  ^an  sistema  è  egli  ripudiato  V  elemento  della 

differenza?  Tutt*  altro.  611  Hegeliani  anzi  in  ogni  lor  libro,  in  ciascuna 

lor  pagina  s*  affannano  a  mostrare  e  giustificar  co*  fatti  cotesta  legge 

tanto  necessaria  air  organamento  della  dialettica.  Ma  quanto  i  Gesuiti 

non  s*  arrapinano  anch^essi  a  parlarci  di  libertà  di  pensiero  e  di  coscienza? 

K  pure  chi  non  sa  come  la  libertà  vera  per  costoro  sia  la  schiavitù  al 

Sillabo  e  al  Domma,  per  cui  la  ragione  è  libera  solo  in  quanto  è  as- 

sorbita dalla  fede?  Tal  si  è  il  diverso  per  gli  Hegeliani:  un  fuor  d*  opera. 

E*  ne  parlan  sempre,  ma  alla  fin  delle  fini  poi  si  trovano  ingoiati  nel- 

r  identico.  L'alterità  che  scorge  Hegel  nel  suo  pensierpuro  è  (ripeto  la 

sua  frase)  ineffabile  e  assolviamente  vuota.  Or  una  differenza  assoluta- 

mente vuota  non  è  forse  indifferenza,  cioè  non  differenza,  identità,  vuo- 

taggine addirittura?  E  dato  ci  sia  cotesta  differenza,  sarà  ella  di  na- 

tura metafisica,  o  non  piuttosto  logica?  E  una  differenza  non  metafisica, 

domanderò,  sarà  ella  vera  differenza  o  non  più  veramente  semplice  di- 

stinzione? Ecco  la  ragione  per  cui  l'Idealismo  assoluto  non  può  riescire 

a  dimostrare  l'oggettività  della  conoscenza,  e  salvarsi  dal  pretto  forma- 

lismo ond'  è  tutto  magagnato.  Che  se  poi  la  gran  pretensione  sta  nel 

volerci  dare  la  scienza  assoluta,  e 'sarebbe  d'uopo,  ripeto,  che  la  logica, 

proprio  come  logica,  fosse  la  metafisica;  talché  col  far  l'una  si  fa- 

rebbe anche  l'  altra,  e  così  potrebb'  esser  risoluto  l' arduo  problema  del- 

l' oggettività.  Invece  il  più  valoroso  de'  nostri  Hegeliani  come  rispon- 

d'egli  a  questo  proposito?  Se  n'esce  pel  rotto  della  cuffia  dicendo: 

«  Tale  oggettività  non  d  un  problema  logico:  la  logica  ami  la  presuppone,  * 

(Spaventa,  Op.  cit.  p.  165.)  La  presuppone?  Mi  par  di  sognare!  Se 

dunque  è  così,  la  conseguenza  chiara  come  il  sole,  almeno  per  noi  im- 

barbogiti sempre  più  nella  vecchia  logica  aristotelica,  sarà  questa: 

che  la  logica,  grande  o  piccola  che  sia,  subbiettiva  od  obbiettiva  che  si 

voglia,  non  sarà  e  mai  non  potrà  esser  quella  che  ci  si  vuol  dare  ad 

intendere,  la  chiave,  cioè,  del  grand'  edlfizio,  il  fondamento  a  priori  del- 

l'enciclopedia,  la  vera  metafisica  del  conoscere.  Nò  qui  vale  invocar  la 

Fenomenologia  qual  propedeutica  atta  a  dimostrare  1*  oggettività,  come 

fa' lo  stesso  Spaventa.  Cotesta  invocazione  anzi  è  una  ragione  di  più  per 

dichiarar  la  logica  degli  hegeliani  una  tela  di  ragno.  Perchè  se  la  Fe- 

nomonalogia  ha  da  esser  la  propedeutica  necessaria  della  Logica,  il  pro- 

cesso a  priori  e  assoluto  nel  costruire  la  scienza  diventerà  una  parola 

Siciliani.  3^ 

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402  DBLLA  DOTTRINA  FILOSOFTOA.  [LIB.  H. 

della  nuova  loj^ica,  s' è  provato  a  schiacciarlo.  Ci  è  rie- 

scito?  —  Un  vizio  magagna  tutta  la  logica  hegeliana,  dice 

anch' egli;  ed  è  vizio  d'origine,  in  quanto  che  pone  ra- 

dice nelle  viscere  stesse  del  momento  astratto,  e  pro- 

priamente nel  concetto  dell'Indeterminato.  L'Indeter- 

minato è  un  equivalente  comune  dell'  Essere  e  del 

Non-essere,  dell'Idea  e  del  Pensiero,  dell'Astratto  e  del- 

l' Astraente.  Di  fatto,  che  cosa  mai  sono  cotesto  Essere 

e  cotesto  Non-essere?  Ei  son  cosa  indeterminata;  ma 

non  sono  lo  stesso  Indeterminato.  Se  fossero,  la  difiFe- 

renza  tornerebbe  davvero  impossibile  (difetto  radicale 

dell'Idealismo  obbiettivo  dello  Schelling),  perchè  avrebbe 

a  sgorgare  dall'identità.  Che  se  non  fossero  la  stessa 

cosa,  tornerebbe  impossibile  il  contrario,  cioè  l'iden- 

tità. Essere  e  Non-essere,  dunque,  sono  un  medesimo, 

è  vero,  ma  solo  in  quanto  indeterminati,  non  già  in 

quanto  indifferenti.  Essere  e  NuUa  sono  lo  stesso,  ma 

non  come  Essere  e  NuUa.^ 

Una  prima  osservazione  potrebb' esser  questa.  Se 

tra  r  Essere  e  '1  Nulla  havvi  identità  e  diiferenza;  iden- 

Yuota  di  senso,  an  a  priori  che  non  è  a  priori,  e  perciò  un*  ironia,  come 

dlcovamo  poco  fa..  Ancora:  se  la  Logica  in  cotesto  processo  a  priori  ha 

da  pretuppoire  la  Ffnomen^ogia,  ne  segrue  che  Tuna  di  queste  due 

scienze  non  potrà  essere  altro  che  imitazione,  ripetizione,  copia,  copia 

anche  ridotta  al  grado  supremo  di  trasparenza  ideale,  ma  sempre  copia 

deir altra;  e  quindi  s'intoppa  nella  solita  conseguenza,  che  cioè  la 

conge?natura  dialettica  hegeliana,  anziché  una  metafisica,  sarà  un  pretto 

formalismo,  un  assoluto  soggettivismo.  Che  se  la  Logica  prewpponendo 

necessariamente  la  Fenomenologia  non  può  non  essere  altro  che  una  co- 

pia trasparentissima  di  questa,  non  sappiamo  dir  davvero  che  cosa  gli 

Hegeliani  avranno  da  opporre  al  metodo  di  certi  Teologisti  i  quali  pi- 

gliano a  discorrere  della  natura  di  Dio  appoggriandosi  nelle  leggi  psico- 

logiche, ricopiandole,  ripetendole  e  trasportando  così  la  psicologia  nella 

teologia.  Del  resto,  sul  significato  e  sul-  fine  e  sul  valore  della  Fenome- 

nitlogiat  i  seguaci  di  Hegel,  com*è  noto,  navigano  pur  troppo  in  opposte 

correnti  neir  interpretar  la  mente  del  maestro.  È  d'  nopo  dunque  che 

innanzi  tutto  e*  s*  accordino  fra  loro  e  ci  sappian  dire  se  la  Logica  sia 

davvero  la  scienza  madre,  la  scienza  davvero  o  priori,  ovvero  abbia  da 

presupporre  qualcos'altro  dinanzi  a  sé.  In  entrambe  i  casi  le  difficoltà 

saranno  insormontabili. 

*  Spatbmta,  Le  prime  Categ,  ecc.  loc.  cit. 

tità  perchè  entrambi  indeterminaéi,  e  differenza  perchè 

entrambi  indifferenti;  io  domando:  cotesto  indifferente 

non  è  già  di  per  sé  stesso  un  indeterminato,  cioè  non 

differente,  cioè  non  determinato?  Dìinqne  Isl  differenza 

di  cotesto  indifferente  è  una  parola  com' un' altra;  un 

pio  desiderio:  perocché,  ripetiamolo,  se  l' indifferente  è 

irrélativo,  sarà  per  sé  stesso  irrazionale,  sarà  il  nulla,  sarà 

il  nulla  addirittura  :  quel  nulla  che,  come  dice  il  Vico, 

non  può  cominciar  nulla,  e  nulla  terminare  :  vuotaggi- 

ne, e  voragginel  *  Ora  piuttosto  che  dirlo  un  absclide 

Prius  cotesto  Indeterminato,  non  vuol  esser  anzi  ritenuto 

come  un  vero  capui  mortuum,  incapace  a  costituir  la 

scienza  perchè  incapace  a  far  cominciare  il  pensiero?" 

Sennonché  il  Professore  di  Napoli,  nel  corregger  V  Hege- 

lianismo,  par  che  voglia  uccidere  il  verme  velenoso  pro- 

cacciando mostrare  che  il  diverso  ponga  radice  nel  Nul- 

la, ma  nel  Nulla  inteso  non  già  com' essere  purissimo, 

astrattissimo,  scioperato,  bensì  come  astraente,  come 

NuHa-pensiero  il  quale,  perciò,  non  cessa  né  può  cessare 

d' esser  pensiero.  Or  bene,  l' illustre  uomo  così  non  ri- 

solve, ma  sposta  la  grave  difficoltà  del  Trendelenburg. 

Egli  riesce  a  mettere  un  po' di  calcina  alla  breccia,  è  vero; 

ma  senz'  addarsene  poi  n'  apre  un'  altra  non  meno  fatale 

della  prima,  perché  l' intrusione  del  diverso  è  sempre  lì 

duro  a  chiedergli  ragione  di  sé.  Infatti,  s'egli  considera 

l'Essere  come  un  in  sé,  e  considera  come  un  in  se 

anch' il  Non-essere;  non  v'  è  nessuna  ragione  al  mondo 

perchè  non  abbia  da  riguardare  anche  come  un  in  se 

il  connubio  de'  due  termini.  Intanto  che  cosa  fa  il  dotto 

filosofo  ?  Giusto  nel  momento  che  s' hann'  a  decider  le 

sorti  della  logica  obbiettiva,  giusto  nell'  istante  supremo 

*  RÌ9p,  al  Oiom,  de*  Leti.,  T,  IL. 

*  Si  dirà:  è  indeterminato  anche  il  vostro  intelli^bile,  la  {«ce  me- 

tafisica del  vostro  filosofo.  Verissimo,  io  rispondo:  ma  tra  il  nostro 

indeterminato  e  quello  degli  Hegeliani  corre  tanto  divario,  quanto  fra 

un  oggetto  posto  da  natura,  e  quello  colto  d'oMatto;  fra  T  oggetto  ori- 

ginario intuito,  e  r  oggetto  afferrato  por  risoluzione  astrattiva.  Veggasi 

quel  che  s*ò  discorso  nel  Gap.  V  e  VI,  di  questo  Lib.  II. 

in  cui  la  logica  dee  poter  rivestire  natura  e  valore  di 

metafisica,  egli  cangia  bruscamente  posizione,  e  invoca 

il  pensiero,  invoca  1'  astraente,  invoca  V  astrazione,  e 

cosi  dileguatasi  a  un  tratto  V  obbiettività,  ci  fa  divagare 

nel  mondo  delle  pure  forme,  ed  eccoci  di  bel  nuovo 

ricacciati  e  ravviluppati  per  entro  alle  fitte  maglie  della 

tela  di  ragno!  Dunque  (mi  si  chiederà)  a  voler  pene- 

trare sul  serio  nel  regno  metafisico,  nel  mondo  delle 

Menti  e  di  Dio  con  metodo  razionalmente  positivo,  chg 

cosa  è  da  fare?  Il  da  fare  è  manifesto  :  bisognerà  che  il 

connubio  de'  due  termini,  cioè  il  divenire,  sia  quel  me- 

desimo che  sono  cotesti  suoi  termini,  dal  cui  annoda- 

mento esso  dee  pullulare.  In  altre  parole,  bisogna  eh'  e' sia 

da  sé,  che  sia  per  sé,  che  sia  mediante  se.  Fa  d' uopo,  in- 

somma, che  r  Essere  (ripetiamo  volentieri  la  bella  frase 

del  Trendelenburg)  sia  dialettico,  ma  dialettico  davvero, 

non  da  burla;  dialettico  nel  verace  significato  della  paro- 

la, e  quindi  atto  a  moversi  da  sé  medesimo,  anche  senza 

il  vostro  pensare,  anche  fuori  del  vostro  pensare.  Cosi  gli 

Hegeliani  potrebbero  schivare  qualvogliasi  intrusione;  e 

così  (e  solamente  così)  potrebbero  conseguir  quella  che 

tanto  essi  desiderano,  la  scienza  assoluta.  Ma  questo  non 

ha  fatto  Hegel;  e  questo  non  ha  fatto  Spaventa  benché 

con  tanto  acume  siasi  adoperato  a  rammendar  lo  strappo 

micidiale  che  con  abilità  di  grande  maestro  ha  saputo 

operare  il  dottissimo  Trendelenburg  nella  logica  hegelia- 

na. E  perciò  il  sistema  delF  identità  assoluta  è,  e  resterà 

in  perpetuo,  come  é  stato  appellato  nella  stessa  Germa- 

nia, il  monismo  del  pensiero  (monismi^  des  Gedenkes). 

Abbiam  detto  che  l' impossibilità  di  mostrare  il  prin- 

cipio della  difierenza  nel  regno  della  logica  fa  sì  che 

il  passaggio  al  mondo  della  natura  si  manifesti  arbi- 

trario, illusorio,  fallace.   L'idea  logica,  dice  il  Vera, 

è  la  Idea  cieca,  V  Idea  senza  coscienza  né  pensiero,  la 

nuda  possibilità:  in  somma  é  l'Idea,  ma  non  l'Idea 

dell'  Idea.  In  cotesta  imperfezione  logica  sta  proprio  la 

ragione  del  passaggio  alla  natura,  e  quindi  la  sua  legge, 

e  la  sua  necessità.*  Dunque,  in  altre  parole,  perchè 

r  inderminato  è  indeterminato,  perciò  diventa  determi- 

nato ;  perchè  è  possibile,  perciò  diventa  reale  ;  perchè  è 

privazione,  perciò  h posizione.  Eccoci  alla  tt-ostc?  aristo- 

telica. Ma  dicemmo  che  la  privazione  non  è  negazione, 

non  è  vaga  e  astratta  indeterminatezza,  non  è  pretta 

potenzialità,  ma  energia,  principio  positivo,  e  potenza 

feconda  (to'  ^uvarov).  Or  Videa  deìTIdea  di  cui  parla 

il  Vera,  è  qualcosa  d'assolutamente  potenziale  e  d'in- 

determinato; è  una  possibilità  logica,  il  to'  ev^e^opevov, 

non  già  il  tò  ^uvktov,  e  quindi,  meglio  che  principio  po- 

sitivo, è  negazione  d'ogni  principio.  Come  dunque  prin- 

cipia e  fa  principiare?  Come  passa  e  fa  passare?  In-, 

somma,  com'è  che  diventa?* 

*  Hegel,  Log.,  voi.  cit.  Introd.  e.  XIII,  p.  145. 

*  *  n  divenirey  osserra  il  medesimo  traduttore,  compie  la  a/era  dd- 

V  E98ere  e  del  Non-esaerey  e  forma  ti  passaggio  alla  sfera  ptù  concreta  del- 

l' Idea,  dove  per  novelle  addizioni  V  Essere  e  il  Non-essere  diventanoy  o 

meglio  son  divenute  {^)  qualità,  quantità,  essenza.  »  (Log.^  voi.  cit.,  p.  127.) 

Ma  come  fatte,  da  chi  Jhtte  e  perchè  fatte  coteste  novelle  addizioni?  Data 

la  sfera  dell*  Essere,  del  Non-essere  e  del  Divenire,  si  passa  tosto  e  necessa- 

riamente alla  sfera  concreta  del  medesimo  e  del  diverso...  Ma  come  si  passa? 

Chi  vi  dà  il  diritto  d'affermare  cotal  passaggio?  Torniamo  a  domandarlo: 

siamo  qui  fra*  contraddittori,  ovvero  fra*  contrari?  Siamo  fra  nn  termine 

posto  ed  un  altro  opposto,  o  non  più  veramente  fra  il  puro  pensiero  e 

il  soggetto  determinatissimo  e  vivente  che  dicesì  naturai  Per  quanto  si 

faccia,  la  sola  relazione  logica  e  la  sola  necessità  logica  torneran  sempre 

inefficaci,  e  però  Hegel  (secondo  la  severa  critica  dello  Stahl)  non  giunge 

mai  ad  un  mondo  reale.  «  Egli  passa  dal  puro  pensiero  alla  Natura^  perchè? 

Perchè  l'uno  dee  negare  sé  stesso  ponendo  l'altro,  l' opposto.  Ora  il  ca- 

rattere dell'opposto,  della  Natura,  non  è  la  realtà,  la  sostanzialità,  la 

causalità  (attribuiti  già  allo  stesso  pensiero  puro),  ma  è  la  negazione  del- 

l'essere  sostanziale,  reale,  causale.  Che  cosa  dunque  rimane  alla  Natura? 

La  semplice  determinazione  del  tempo  e  dello  spazio  (Ved.  Enciclop. 

§  247).  Or  per  qual  ragione  si  dovrà  ammettere  che  questa  natura  estesa 

e  temporanea  debba  esistere  attualmente,  che,  cioè,  sia  reale  e  non  sem- 

plicemente pensata  come  estesa  e  temporanea,  socondochè  ci  accade 

ne' sogni?  L'opposto  del  pensiero  puro  è  la  Natura  solo  come  tempora- 

nea ed  estesa  :  ma  per  aver  1'  opposizione  forse  che  non  basta  pensarla 

come  tale?  «  L^ Idealismo  oggettivo  di  Hegel  (conclude  lo  Stahl)  non  è  meno 

di  quello  soggettivo  di  Fichte  un  puro  mondo  di  sogni:  Tunica  differenza 

ì  che  vi  manca  ehi  sogna,  »  {FU.  del  Diritto,  p.  503).  —  A.  quest'  ultimo 

e  severo  giudizio  dello  Stahl  ci  piace  qui  aggiungere  quello  d' un  altro 

Parlando  dell'Idealismo  assoluto  non  possiamo  di- 

spensarci dall' accennar  poche  cose,  quant' occorre  al 

nostro  proposito,  sul  suo  organamento  generale,  e  su  le 

sue  relazioni  storiche  col  Platonismo  e  con  V  Aristoteli- 

smo in  generale.  Gli  Hegeliani  riconoscono  che  il  mondo 

si  svolge  per  una  legge  interna  anziché  per  un  caso  o 

per  necessità  ineluttabile  e  geometrica,  come  pensano  gli 

Spinozisti  ne' tempi  moderni,  e  come  pensavano  gli  Epi- 

curei in  antico.  L' Hegelianismo  racchiude  una  grande 

idea;  l'idea  del  processo,  che  vuol  dh-e  d'un  fine  da 

conseguire  con  pienezza  di  coscienza,  di  libertà,  di  ra- 

zionalità. L'Idealismo  assoluto,  quindi,  anziché  cieco 

meccanismo  e  fatalismo  ineluttabile,  parrebbe  un  es- 

senziale e  profondo  e  universale  dinamismo.  Ma  eccoci 

al  punto  1  Al  di  là  della  natura,  ci  si  dice,  è  l' Idea  che  per 

ogni  conto  è  indeterminata  e  potenziale  :  al  di  qua  poi 

ci  é  lo  Spirito,  eh'  é  l' Idea  dell'  Idea.  Ora  abbiam  visto 

come  la  Natura  non  si  possa  movere  per  l' Idea,  perchè 

ninno  potrà  mai  dare  quel  che  non  possiede.  Tanto  meno 

poi  si  potrà  movere  per  lo  Spirito,  perchè  lo  Spirito  vien 

posteriore  alla  natura,  e  le  si  sovrappone.  Ck)me  dunque 

movesi  cotesta  Natura?  Per  necessità  logica.  E  quale  è  il 

fine,  quale  il  motivo  ond'é  spinta,  eccitata,  illuminata? 

La  razionalità.  Or  non  è  ella  cotesta  una  forma  di  fata- 

lismo cieco  e  geometrico  che,  quant'  a'  risultati,  non  si  di- 

varia né  pur  d'un  apice  dallo  Spinozismo?  Qual  differen- 

aotoreTole  scrittore  su*  difetti  sostanziali  deiridealismo  assoluto.  «  Non 

9%  pud  leggere  Hegel  tenxa  chieder9Ì  »*  ei  ragioni  ttd  terio.  Spesso  cade 

ntl  fatalismo y  nella  personificazione,  e,  leggendolo,  par  d*  assistere  alla  /or- 

matone d*  una  mitologia,  alla  genesi  di  un  mondo  che  somiglia  qtuilo 

degli  Gnostici,  in  cui  avviene  che  le  idee  piglino  corpo,  marcino^  e  subi- 

scano le  piti  svariate  vicende.  >  (SoBRRERt  M^langes  rf*  Histoire  religieuse, 

pag.  298).  A  proposito  della  Logica  hegeliana  poi  ci  sembra  notevole 

questa  sent-enza  d*ano  che  se  ne  intende,  e  che  per  il  solito  è  temperatis- 

simo  ne*  suoi  giudizi:  «  Higd  n*a  pas  renouveU  la  seience,  comme  Venthow 

situme  de  ses  disciples  Va  parfois  prodanU;  il  Va  dénatwée,  malgri  les 

avertissements  de  Kant,  et  en  la  faisant  la  premiare  des  seiences,  ou  pour 

mieux  dire  la  seuU  scienoe,  U  Va  tuée,*  (I.  Babthìlkmt  Saikt-Hilaibie 

Logique  d^Arisiote,  Tom.  I,  pag.  GL,  Pré&ce.) 

za,  infatti,  fra  la  necessità  dialettica  e  la  necessità  mate- 

matica, fra  lo  Stoico  V  Epicureo  lo  Spinoziano  e  V  Idea- 

lista assoluto  fuorché  la  coscienza,  in  quest'  ultimo,  della 

razionalità,  eh'  è  dir  la  coscienza  e  la  trasparente  vi- 

sione di  cotesta  superiore,  arcana,  invincibile,  inelut- 

tabile necessità?^ 

Quanto  poi  alle  sue  relazioni  storiche,  notammo  già 

come  r  Hegelianismo  distinguasi  da  ogni  altro  sistema 

per  la«pretensione  di  volerli  tutti  accordare  e  tutti  com- 

piere e  tutti  inverare.  E  poiché  guardando  al  modo 

generale  onde  si  suol  determinare  il  fondamento  asso- 

luto delle  cose,  tutte  quante  le  soluzioni  metafisiche 

possono  esser  rimenate  ai  due  indirizzi  del  Platonismo 

e  deir  Aristotelismo,  così  gV  Idealisti  assoluti,  con  la 

dottrina  delia  Idea  e  quindi  del  metodo  dialettico,  re- 

putano d'esser  finalmente  pervenuti  ad  accordare  l'esi- 

*  Nò  Tale  che  alcuni  fra  i  più  intelligenti  Hegeliani^  stimando  dMnter- 

pretar  meglio  la  mente  del  maestro,  riguardino  i  tre  momenti  del  processo 

assoluto,  nonché  i  tre  termini  del  gran  sillogismo,  come  in  un  sol  momeìUo^ 

cioè  nella  loro  immanenza,  nell'attuale  ed  assoluta  relazione,  vomire  nella 

immanenza  àeWIdea  della  Natura  e  dello  Spirito-  dandoci  così  a  cre- 

dere che  cotesta  non  è  altrimenti  la  metafisica  della  Idea  immobile  e  ir- 

rigidita, e  neanche  della  Mente,  e  tanto  meno  poi  dell*  Ente,  ma  si  la 

metafisica  Tera  perchè  metafinica  dello  Spirito.  Con  Taggiugnere  al  con- 

cetto del  processo  e  del  reale  divenire  quello  dell*  immanenza,  panni  che 

le  difficoltà,  anziché  scemare,  crescano.  Fra  que*tre  momenti  e  que*tre 

termini,  infatti,  una  relazione  caueale  è  ineyitabile,  essendo  verità  troppo 

antica  ed  altrettanto  irrepugnabile,  che  la  catua  ì  per  la  tua  e$9enta 

avanti  V  effetto  (Twv  yàp  fiéd^v^  wv  coriv  l5«  xt  etrj^oirov  xae' 

o/BOTfjOov,  ocva^xacov  givat  tÒ  zrpórspoy  airtov  t«5v  /xct'  auro. 

Arist.,  Metapk.f  1.  II).  E  questo  principio  rlbadiscon  oggi  per  Tia  speri- 

mentale tutte  le  scienze  naturali  e  fisiche,  mostrando  ad  evidenza  come 

la  natura  fisica,  nello  svolgimento  cosmico,  preceda  alla  comparsa  del 

regno  vegetale,  il  vegetale  (secondo  alcuni)  all'animale,  e  air  animale 

rumano.  Come  dunque  persistere  a  farci  erodere  aW immanenza  del  ter- 

nario f  Come  scaldarsi  tanto  per  darci  ad  intendere  che  V  Idea  i  insieme 

Natura  e  Spirito-  e  che  la  Natura  è  insieme  Idea  e  Spirito  f  È  metafisica 

positiva  cotesta?  o  non  più  veramente  un  abuso  di  logica  nonché  un'in- 

giuria ai  pronunziati  più  sicuri  della  moderna  scienza  di  natura?  L'op- 

posizione più  salda,  più  seria,  più  invitta  all'  Idealismo  assoluto  la  fanno 

oggi  le  discipline  sperimentali.  R  pure  gli  Hegeliani  non  se  ne  accor- 

gono! Felicissimi  loro! 

genza  metafisica  dell'  uno,  con  quella  dell'altro  sistema. 

Or  è  in  questo  preteso  accordo  eh'  ei  si  palesano  iper- 

psicologisti  per  doppio  rispetto.  Osservammo  come  uno 

de'  massimi  concetti  dell'  Aristotelismo  sia  quello  del 

moto;  fondamento  e  sintesi  di  tutte  le  categorie,  <xuvo).ov 

concreto  di  que'  due  poli  (materia  e  forma)  ond'  emerge 

la  realtà  individua  sostanziale  e  vivente.*  Se  non  che 

lo  Stagirita  innanzi  ogni  cosa  osserva  il  movimento  na- 

turale e  spontaneo;  osserva  il  mobile,  che  nella  sua 

realtà  è  oggetto  d' esperienza.*  E  poiché  cotesto  mobile  è 

un'attuahtà  imperfetta  tendente  perciò  al  proprio  fine;' 

avviene  che,  posto  il  moto  naturale  e  spontaneo,  ei  tro- 

vasi in  grado  di  coglierne  concetto.*  Dunque  è  1'  espe- 

rienza che  gli  porge  come  fatto  il  divenire;  ed  è  il  moto 

concreto  e  reale  in  cui  egli  sorprende  insieme  annodate  la 

materia  e  la  forma,  e  nel  quale  vede  incentrarsi  la  po- 

tenza e  r  atto,  al  modo  istesso  che  nell'  ordine  logico  il 

medio  termine  è  il  vincolo  in  che  s' appuntano  e  consi- 

stono gli  estremi.  In  questo  dato  fondamentale,  in  questo 

faUo  ei  ritrova  la  medesimezza  e  la  diiferenza,  che  poi  col 

magistero  eduttivo,  come  osservammo,  converte  col  vero 

ne'  due  pronunziati  supremi  del  processo  logico,  identità  e 

contraddizione  :  talché  in  virtii  di  questo  processo  transi- 

tando da  atto  in  atto,  salendo  da  perfezione  in  perfezione 

e  procedendo  dall'  indeterminato  al  sempre  più  determi- 

nato, poggia  da  ultimo  al  supremo  concetto  dell'  Atto? 

*  n^wTT?  |xev  fyoLp  ov9Ìa.  TJtoc  éxàarw  xf  oux  \Jitàp^si  a/.X'/i 

tÒ  Sì  xa9ó>ou  xoivóv.  Metaph.,  1.  VII. 

*  TóSe  yy.p  rt  tÒ  f^soóiievov  >?   Si  xcvyjaiC}  ov.  Phys,,  IV. 

*  Twv  a^à^ffwv  Z"»  e<Tri  trspai,  ou^fjxca  TfXoc,  aXXà  twv 

vitpi  TO  TfXoc.  Metaph,j  IX. 

*  'Optàpiiv  Sé  y.xi  (fx'jsp^q  ovra  rotaùra  a  xtvsé  «utx 

««UT«.  Phy».,  VIII. 

'  Arist.,  Metaphf  1.  XI.  Perciò  anche  Aristotele  possiede  la  sua 

dialettica,  ma,  come  osRervammo,  dialettica  di  natura  eduttira,  non  già 

assolutamente  deduttiva  ed  a  priori  com*ò  quella  del  Platonismo,  o  me- 

glio, del  malinteso  Platonismo.  Ciò  tiene  al  divario  esistente  fra  Videa  pla- 

tonica, e  Vuniverscde  aristotelico.  La  costituzione  dell*  una,  inteso  Platone 

in  on  certo  senso,  è  logica  e  formale;  quella  dell'altro,  invece,  è  data 

Or  l'errore  d'Aristotele  non  si  rivela  tanto  nel- 

r ascendere  inverso  l'Atto,  quanto  nel  discender  dal- 

l'Atto e  passare  alla  natura.  Perciocché  tramezzando  fra 

l'uno  e  l'altro  un  intervallo  davvero  infinito,  il  passaggio 

riescirà  sempre  impossibile  ove  nell'intima  costruttura 

del  Pensiero  puro  non  si  sappia  scorgere  la  possibilità 

e  l'origine  del  mondo.  Qui  dunque  lo  Stagirita  vien 

meno  a  se  stesso;  ed  è  qui  cl\e  il  discepolo  dee  cederla 

al  maestro.  Ma  di  ciò  nell'  altro  capitolo,  e  torniamo 

agli  Hegeliani.  Che  cosa  fann'essi  di  cotesto  metodo? 

GÌ'  Idealisti  assoluti  capovolgono  il  beninteso  metodo 

aristotelico,*  movendo  innanzi  dalla  Logica.  Ma  poi- 

ché nella  Logica  è  impresa  vana,  come  s' é  detto,  poter 

dalla  medesima  natura,  ma  non  per  questo  cessa  d*  esser  metafisicafneces- 

•aria  e  reale  (Cons.  Bonghi,  Metaph.  cT  Arìtt,^  trad.,  1.  Ili,  e.  Ili),  essendo 

il  processo  della  stessa  natura,  della  sostanza,  come  diceramn,  ma  co- 

sciente, trasfigurato:  ò  Tinduzione  e  la  deduzione  com penetrate  e  diven- 

tate funzione  eduttira  (p.  126,  eseg.)  Se  così  non  fosse,  Aristotele  non 

avrebbe  scorto  una  rispondenza  fra  la  apeciUaMÙme  e  il  movimento  in  ge- 

nerale, nò  detto  che  la  natura  è  anch*  ella  un  sillogismo  come  il  pen- 

siero. (Bataisson,  op.  cit.,  t.  I,  p.  488.)  Questo  è  il  fondamento  dell*  ar- 

monia fra  r  ordine  logico  e  T  ontologico  riprodotta  e  inverata,  come 

osservammo  nell'antecedente  capitolo,  dal  nostro-  filosofo  (p.  878  e  seg.) 

Perciò  la  costruzione  delle  categorie  aristoteliche  non  è  faccenda  mera- 

mente logica,  secondochò  venne  intesa  da' falsi  peripatetici  del  medio- 

evo, ma  è  costruzione  scientifica,  razionale,  e  però  essenzialmente  ob- 

biettiva in  maniera  che  si  può  agevolmente  ricavare  dalla  Metafisica 

dello  Stagirita.  Ne  quindi  alcuni  moderni  critici  tedeschi  s' appongon 

male  nel  ritenere  che  il  trattato  delle  CaUgorie  faccia  parte  della  Me- 

tafisica meglio  che  della  SiUogietica. 

*  11  Michelet,  per  esempio,  rifa  a  modo  suo  cotesto  metodo  paren- 

dogli empirico  e  troppo  eperimentale;  il  perchè  fu  giustamente  censurato 

dal  Cousin.  (Vedi  il  resoconto  De  la  Métaph.  (T  ArisU)  Ma  il  Professore 

di  Berlino  non  poteva  col  suo  gran  buon  senso  non  riconoscere  come  l'em- 

pirismo d'Aristotele  non  sia  l'empirismo  volgare,  bensì  un  empirismo 

eh'  ei  dice  «  totale,  in  quanto  ohe  non  comprende  una  tota  faccia  delV abbietto^ 

ma  le  unisce  e  le  accorda  tutte  con  la  forza  della  sua  dialettica....  V em- 

pirismo completo  d  la  stessa  speculazione:  Aristotele  combina  questi  dtte  me- 

todi.* (Exam.  de  la  Metaph.  d*  Arìst.,  p.  116.)  Or  bene,  perchè  non  legit- 

timare viemaggiormente  o  correggere  qaesta  combinazione?  Invece  è  pur 

mestieri  confessare  che  il  metodo  puramente  dialettico  e  assolutamente 

a  priori  degli  hegeliani,  anziché  una  correzione,  è  addirittura  la  nega- 

zione del  vero  metodo  aristotelico. 

rintracciare  quella  opposizione  ond'essi  abbisognano, 

ne  segue  che,  venendo  ad  interpretar  l'attinenza  tra  la 

materia  e  la  forma,  tra  la  potenza  e  V  atto,  e  stabilir 

quindi  la  natura  del  divenire,  sfugge  loro  il  concetto 

»  legittimo  del  processo,  e,  sospinti  dalla  necessità  logica, 

pongono  in  trono  l'identità  assoluta  (stantechè  sia  sem- 

pre l'Idea  quella  che  diventa  Natura  e  poi  Spirito,  e 

così  elevano  a  dignità  di  legge  suprema,  di  legge  es- 

senziale, la  immanema  del  divenire.  Essi  dunque  si 

chiariscono  iperpsicologisti  neoaristotelici,  e  però  negano 

il  beninteso  Aristotelismo  ;  né  badano  esser  questo  me- 

desimo beninteso  Aristotehsmo  che  a  sua  volta  nega 

loro,  nega  l' Idealismo  assoluto,  perchè  è  lo  stesso  Ari- 

stotele quegli  che  dichiara  impossibile  il  fare  emergere 

la  Natura  dalla  logica,  il  fatto  dalla  nozione,  il  de- 

terminato dalle  forme  generali.* 

Abbiamo  detto  che  i  seguaci  del  filosofo  di  Stoc- 

carda vonn'  esser  considerati  come  iperpsicologisti 

anche  sotto  un  altro  rispetto,  anche  riguardo  al  Plato- 

nismo. La  dottrina  metafisica  platonica  può  esser  be- 

nignamente interpretata  e  corretta,  come  die  segno  di 

voler  fare  più  d'uno  de'  nostri  vecchi  esegeti;  e  può 

esser  intesa  altresì  in  modo  severo  e  in  gran  parte  er- 

roneo, come  fa  lo  stesso  Aristotele,  e  come  fan  tutta- 

via alcuni  valorosi  espositori  dello  Stagirita  ispirando- 

si, più  che  altro,  alla  critica  di  lui.  *  L' interpretazione 

e  r  esposizione  aristotelica  della  dottrina  metafisica  pla- 

tonica riesce  in  alcuni  punti  falsa,  come  là  dove  il  nu- 

mero matematico  vien  confuso  col  numero  ideale,  e  in 

altri  esagerata.  Ella  in  generale  si  fonda  sul  pregiudizio, 

 

'  Ec  5/  fAV}^  oo9sv  (>)  xévvjo'cc);  oX>)  ^%p  ri  zapi  fVT£(ai 

(TXSìpi?  ÒLV^p7)T0Lt.  Melaph.y  I.  I. 

'  Tal  è,  per  esempio,  il  ciottissimo  Felice  Raraisson,  il  quale,  se- 

gnatamente nel  2**  yolame  dell*  opera  che  noi  più  Tolte  abbiamo  citato, 

si  mostra  critico  assai  poco  benigno  verso  le  teoriche  platoniche  nel 

porre  a  riscontro  la  Dùdettiea  e  la  Metajitùsa,  E  di  questo  difetto  è  stato 

giustamente  ripreso  dagli  stessi  francesi  fra*  quali  Janet.  {ÉhuL  tur  la 

DialecHque  dant  Platon  et  dans  Hegel,  Paris,  1861,  p.  87.) 

come  nota  lo  Zeller,  che  le  idee  abbiano  da  esser  lo  stesso 

che  i  sensibili;  onde  poi  la  conseguenza  su  l'inutilità  di 

ciò  che  Aristotele  chiama  sensibili  etemi,  la  facilità  di 

rilevare  T  assurdo  delle  essente  separate,^  il  rimprovero 

su  la  necessaria  vacuità  degli  eterni  parodigmi,  e  la  irrisa 

e,  certo,  ridevole  mitologia  delle  idee  come  reminiscenze 

d' un'  altra  vita.*  Ora  il  Platonismo  espostoci  da  Aristo- 

tele arieggia,  per  più  rispetti,  al  sistema  dell'  assoluta 

identità  :  di  guisa  che  ov'  altri  desiderasse  elementi 

per  una  severa  confutazione  della  dottrina  hegeliana, 

dovrebbe  intendere  Platone  così  come  lo  intese  il  suo  ce- 

lebre discepolo  e  come  lo  stesso  Platone  si  rivela  talvolta 

nel  Parmenide  e  nel  Sofista,  e  saperne  quindi  ritrarre 

gli  assurdi.  Anche  nel  Platonismo  passato  per  la  trafila 

dello  Stagirita  si  può  dire  esser  la  logica  quella  che 

crea  il  mondo,  essendo  la  nozione,  il  generale,  Punita 

indeterminata  che  pone  il  multiplo.  Fra  il  finito  e  l'tw/ì- 

nito,  fra  l' Ente  ed  il  Non-ente,  fra  1'  Uno  e  V Altro 

(rauToi,  5dÌ7spoy)  nou  ci  ha  chc  uu  rapporto  di  natura 

logica;  sia  che  si  parli  di  fx^juviacc,  sia  che  di  fisOf^ic, 

ovvero  d'una  relazione  intima  ed  essenziale  emergente 

 

*  "Ere  Sol^iisv  av  aSiivarov  ywpc'c  stvae  tìj'v  ouT^av  xai 

OH  VI  o\J7iOL'  wt7«  ctw;  «y  ac  cosai  ovacat  t»v  apxyfAOiTta'» 

oZdOLi  X^P**"^  suv.  Metaph,,  1.  XIII. 

'  Quanto  al  vaJore  della  critica  Aristotelica  cons.  lo  Zbllkb  {Eapo- 

•inone  arittotelica  ecc.,  ed.  cit.,  p.  482).  —  Vedi  anche  Tbendblbkbubq 

come  intende  i  n^ùròc  àpt^fAoi  {PleUonU  de  idei»  et  numerie  doetrina 

ex  Ariet.  iUtutrata,  Lipzia,  1826,  p.  78  e  seg.)  —  Stillbaum,  Prolog,  in 

Parmenide,  p.  129,  ove  tocca  dell*  esposizione  aristotelica.  —  !.  Simon, 

Étnd.  tur  la  Théodieée  de  Platon  et  cT  Artet,  p.  153  e  seg.  —  Cuosiir, 

note  al  Tim.,  p.  860  dorè  Platone  è  difeso  dall*  accusa  riguardante  la 

causa  finale.  —  Jacqitks,  Thior.  dee  Idée*  réfutiee  par  Ariet,  —  Lkvbano, 

De  la  Critique  et  Ice  Idéee  Platonicienne»  par  Ariat.  au  premier  liv.  de 

la  Métaph.  —  Lrclf.bc,  Penniee  de  Platon  preceduti  da  una  Hist.  abrégie 

du  plaumieme,  —  Oggimai  dunque  le  interpretazioni  e  la  difesa  in  favore 

di  Platone  sono  tante  e  così  evidenti,  che  la  crìtica  aristotelica  è  ri- 

dotta ai  suoi  legittimi  confini.  Molte  obbiezioni  Aristotele  andò  cercando 

col  lumicino;  ma  alcune  reggono  e  reggeranno  contro  ogni  forma  di 

Platonismo  come  altrove  toccammo,  e  come  vedremo  meglio  nel  pros- 

simo capitolo. 

 

 

dalla  natura  stessa  delle  idee  secondochè  appare  nel 

Parmenide.  Non  è  questo  il  luogo  per  dire  qual  possa 

essere  il  significato  sincero  di  questo  celebre  dialogo  e 

quale  il  metodo  più  acconcio  onde  vuol  essere  inter- 

pretata la  mente  di  Platone.  Ripetiamo  che  per  lo  Sta- 

girita,  come  per  alcuni  critici  francesi,  sembra  che  il 

filosofo  Ateniese  rimonti  all'  assoluto  mercè  gli  artifizi 

dell'  astrazione,  dispogliando  le  cose  de'  lor  caratteri 

individuali,  risalendo  gradatamente  a'  rispettivi  proto- 

tipi, e  giugnendo  così  al  minimo  della  realtà,  cioè  al 

generale  che  per  sé  stesso  è  cosa  indeterminata  e  vuo- 

ta.* Ora,  dare  al  Platonismo  cotesto  valore  tornava 

comodo  al  discepolo  per  meglio  combattere  il  maestro  ; 

ed  era  altresì  naturale,  atteso  che  il  metodo  adoperato 

da  Aristotele,  anziché  iperpsicologico  ed  astratto,  come 

dicevamo,  si  palesa  essenzialmente  psicologico,  speri- 

mentale, induttivo  nell'ampio  significato  di  questa  pa- 

rola, per  cui  la  sua  metafisica  riesciva  al  massimo  delle 

realtà  eh' è  l'Atto  puro.  Così  ciò  che  per  questi  in- 

terpreti è  il  minimum  pel  malinteso  Platonismo,  è  il 

maximum  pel  beninteso  Aristotelismo. 

Questo  fa  oggi  l'Idealismo  assoluto,  ma  il  fa  con 

quella  ricchezza  d'espedienti,  come  giustamente  osserva 

r  illustre  traduttore  di  Hegel,  e  con  quella  possente 

vena  di  speculazione,  che  sanno  dar  venti  e  più  secoli 

di  storia  e  di  profonda  attività  filosofica.'  L' Hegeliano 

condanna  il  metodo  aristotelico,  lo  dice  empirico,  e  si 

studia  invece  di  seguire  e  compiere  il  metodo  dialettico 

dell'autore  del  Parm^enide;  ma  nel  fatto  non  fa  che  per- 

petuare la  vuota  posizione  del  Sofista^  in  quanto  che  col 

TÒ  ov  di  questo  dialogo,  che  è  precisamente  il  suo  In- 

determinato, e'  si  riman  sempre  nelle  secche  della  logica.' 

'  Rayaisson,  op.  cit.,  t.  II,  p.  14. 

■  Vera,  V Hegelianifime  tt  la  PhUoBopkie,  p.  Iò8  e  seg. 

•  Ma  è  poi  davvero  Y Indeterminato  la  posizione  del  Sofista?  È  egli  tale 

forse  r«»«er«  che  ì  realmente  e  aaeolvUamejUe :  rw  travre^wc  ovt«? 

{Soph.,  p.  249) 

L' Idealista  assoluto  non  riesce  al  minimum  platonico, 

è  vero  :  ma  comincia  dal  minimum  dell'  essere,  perchè 

salendo  di  slancio,  come  dicemmo,  air  Indeterminato, 

coglie  immediatamente  (es  egreift)  l'In -sé  {dans  ansich) 

che  è  Nulla  ed  Essere,  e  poi  con  metodo  dialettico  e  ge- 

nerativo egli  viene  sgomitolando,  a  così  dire,  ogni  cosa 

con  ritmo  costante,  immutabile,  invincibile,  matematico, 

monotono,  per  indi  riuscire  al  medesimo  punto  onde 

era  mosso  per  l' innanzi.  E  con  ciò  pensa  d'aver  con- 

seguito il  vantato  accordo  fra  T  Aristotelismo  e  il  Pla- 

tonismo, mentre  in  realtà  ad  altro  non  riesce  che  ad 

una  forzata  compenetrazione  e  meschianza  del  melenso 

e  indiscerniljile  tò  cv  con  quel  Noùc  immobile,  solitario  e 

tutto  chiuso  entro  sé  stesso  di  cui  Aristotele  parla 

nel  XII  libro  della  Metafisica.  L'  Hegeliano  quindi  é 

iperpsicologista  per  doppio  conto.  Egli  incarna,  esplica 

logicamente  e  compie  mirabilmente  uno  de'  due  indirizzi 

estremi  dell'  Aristotelismo,  e  insieme  interpreta  il  Pla- 

tonismo con  una  critica  che  somiglia  non  poco  a  quella 

d'  Aristotile. 

Concludiamo.  Abbiam  visto  come  la  forma  di  me- 

diazione onde  i  Positivisti  mostrano  d'aver  coscienza 

dell'  Assoluto  sia  contraddittoria.  Essi  protestano  di  non 

saper  nulla,  di  non  poter  nulla  sapere  di  metafisico  ;  ma 

nel  fatto  confessano  un  nescio  quid,  la  realtà  d' un  ob- 

bietto  trascendente.  Lo  confessano  in  maniera  empirica, 

e  si  contraddicono  anche  qui,  perché,  dichiai'andolo  In- 

conoscibile, negano  così  l' esigenza  più  vivace  della  ricer- 

.  ca,  negano  il  metodo  positivo,  negano  la  critica  severa  e 

feconda.  Positivisti,  Critici,  Scettici  o  com'  altrimenti  si 

chiamino  cotesti  filosofi  déW  avvenire,  non  hanno  e  non 

vogliono  aver  fede  nell'  indagine  d' un  sapere  metafisico. 

Essi  dunque  condannano  sé  medesimi,  il  proprio  metodo, 

la  ragione  e  la  storia  della  scienza,  poiché  non  fanno 

che  perpetuare  un  aristotelismo  fiacco,  empirico,  unila- 

terale, impotente,  negativo.  —  Ad  un  opposto  resultato 

riesce  il  neoaristotelico  iperpsicolggista.  L'idealista  as- 

 

 

Bolnto  dice  di  conoscer  l'Assoluto,  d'intenderlo  nel  senso più  stretto  di  questa  parola,  perchè  lo  fa  solo  in  pen- sandolo, e  ripensandolo  il  rende  a  sé  stesso  traspa- rente. Chi  conosce  Bram  è  già  Bram,  dice  il  filosofo  in- diano.* Chi  giugne  a  pensar  Dio,  l'infinito,  ci  dicon gl'Hegeliani,  egli  è  già  Dio,  è  già  l'infinito.  Ma  il  modo con  che  pervengono  a  pensarlo,  il  processo  di  mediazione, non  è  processo,  non  procede,  non  cammina,  ma  sé  in  sé rigira,  direbbe  l'Alighieri,  poiché  riman  sempre  nel mondo  del  più  puro  pensiero,  del  subbiettivismo,  in  quel letto  di  Procuste  appellato  formalismo  logico,  come  del- l' Hegelianismo  dice  un  illustre  scrittore  vivente  di  Ger- mania.' Cotesto  processo  quindi  é  una  mediazione  bu- giarda, perchè  non  é  vera  e  legittima  conversione. Quell'ombra,  dunque,  di  dottrina  metafisica,  quel vano  conato  di  conoscenza  trascendente  che  ci  porgono  i Positivisti  col  confessare  la  realtà  d'unDews  absconditus ci  rappresenta  una  delle  forme  costituenti  la  prima  |)0- sùnone  speculativa;  la  quale  perciò,  chi  guardi  alla  legge istorica  aristotelica  secondo  cui  si  svolve  il  pensiero filosofico  (pag.  272  e  segg.),  s'addimostra  tutt' altro  che 

positivo,  in  quanto  che  ci  rappresenta  l'esagerazione del  Dommciismo  empirico.  La  dottrina  hegeliana  poi neir  attingere  a  modo  suo  l' Assoluto  e  nel  determinarlo, ci  rappresenta  invece  la  seconda  posizione  speculativa, ed  è  l'esagerazione  del  processo  deduttivo,  in  quanto é  Dommatismo  sistematico  assoluto;  e  neanche  questo merita  nome  di  positivo.  I  Neoaristetelici  moderni,  dun- que, sia  che  per  necessità  di  sentimento  e  d' opinione  e d'istinto  pongano  l' Inconoscibile,  sia  che  a  furia  di  spe- culazione trascendentale  pongano  l'Indeterminato  come un  absdute  Prius,  partono  dall'ignoto;  partono  dal- 

l' impensabile.  Essi  movono  dal  buio,  o  riescono  al buio  :  talché  rassomigliano  a  que'  filosofi  di  cui  parla  Aristotele, i  quali  fanno  nascer  tutte  cose  dalla  notte  :  ol *  CoLEBBOOKE,  PhiL  dea  HindotUf  2.  ed.,  Ess.  II. *  Gbbvihub,  Hìh,  du  IHx*Neuviéme  SihUe,  Tom.  XIX.  Paris,  1 868,  p.  86. fx  vuxTo'c  7fvvo3vTic.  Perciò  i  Neoaristotelici,  s' appellinQ Hegeliani  o  Positivisti,  meritano,  comecché  per  ragioni diflFerenti,  il  titolo  di  filosofi  della  notte  ;  mentre  i  Neo- platonici con  le  vantate  visioni,  intuizioni,  splendori, irradiamenti  e  influssi  divini,  ben  ci  figurano  i  filosofi del  giorno  e  della  luce. Il  positivo  nel  conoscere  metafisico  non  istà  nella immediatezza  de'  Neoplatonici,  e  neanche  nella  media- zione de'  Neoaristotelici.  In  che  dunque  vuol  farsi  con- 

sistere? Capitolo  Nono. su  LA  RICERCA  DELL'ASSOLUTO SECONDO  LA  RAGION  FILOSOFICA  POSITIVA. Altrove  notammo  come  V  Essere  s' incarni  e  sostan- zii  ne'tre  processi,  ideale^  naturale,  istoricO'Sociologko: e  come  il  Vico,  a  significare  l'indipendenza  di  ciascuno e  insieme  la  comune  legislazione,  siasi  ben  apposto  nel chiamarli  a  Mondo  delie  Menti  e  di  Dio^  Mondo  della Natura^  Mondo  dello  Spirito  »  (p.  257).  Avvertimmo  al- tresì che  le  scienze  le  quali  studiano  lo  spirito  in  sé stesso  indipendentemente  dallo  svolgimento  isterico,  si adunan  tutte  nelle  tre  discipline  fra  loro  distinte  eppur connesse  in  unico  organismo,  i  cui  tre  momenti,  per così  esprimerci,  sono  il  Primo  psicologico,  il  Primo  lo- gico  e  '1  Primo  vero  metafisico  (p.  375  e  seg.) Ora  il  Processo  ideale  è  la  dialettica;  la  quale  vo- lendo essere  avvisata  sotto  doppio  rispetto,  ideologico e  metafisico,  è  davvero,  come  l'han  sempre  designata  i Platonici  ed  i  Neo platonici,  una  scala;  ma  una  scala  a doppio  congegno;  una  scala  ascensiva  e  discensiva,  come direbbero  certi  viventi  critici  francesi  nell' interpretare il  Parmenide  di  Platone,'  In  qnanto  ascensiva,  è  ideo- 

►  logia  ;  e  V  ideologia,  se  non  avesse  alcun  valore  dialet- tico, altro  non  sarebbe  che  una  serie  di  norme  logiche e  un  cumulo  di  leggi  e  d'attinenze  onninamente  for- 

mali. Essa  dunque  rappresenta  il  processo  eduttivo. Questo  processo  muove  dal  Primo  logico,  e  riesce  al Primo  vero  metafisico;  e  vi  riesce  col  mezzo  delle idee  (ntpi  iSé(av)  che  sono  il  medio  per  eccellenza,  lo strumento  pili  acconcio,  più  legittimo,  e  perciò  la  prova razionalmente  positiva  per  potere  attinger  la  notizia  del- l'Assoluto.* In  quanto  poi  la  dialettica  è  discensiva,  è metafisica;  ed  è  metafisica  perchè,  giunti,  come  accen- nammo, al  sommo  della  scala,  il  Primo  vero  meta- fisico assume  valore  di  Principio  metafisico  che  è  an- ch'egli  .processo  e  conversione  con  sé  e  col  fuori  di sé.  Nel  Vico  é  abbastanza  chiara  l'esigenza  di  que- sto doppio  rispetto  della  dialettica  laddove,  nella  sim- bolica Dipintura  della  Scienza  Nuova,  pone  il  pen- siero e  l'essere  come  formanti  un  organismo,  un  sol mondo,  il  Mondo  delle  Menti  e  di  Dio^  secondo  che  ci venne  fatto  d'avvertire  nell'altro  capitolo  (p.  379).' *  Vedi  per  es.  Jankt,  Étude  »ur  la  Dicdectìque  ecc.,  ed.  cit.  p.  2'28, —  Vaoherot,  HÌ9t.  critique  de  VÉcole  (TAlex.^  t.  I,  p.  64.  —  NoCTRlsSOir, Expo8Ìtion  de  la  Théorie  pUUonieienne  de$  idée»,  PftHs,  1862,  p.  65.  ~ Simon,  HìH.  de  VÉcole  d'Alex,,  t.  I,  L  II,  e.  II. 

*  Perchè  le  idee  tornino  fruttuose  han  d' avere  un  valore  dialettico. Cons.  a  questo  proposito  Plat.,  De  Rep.,  VII:  Sop}i.\  p.  253,  ed.  cit.  — Abist.,  Metaph.,  1, 6.  —  Proclo,  Comm,  in  Parm.,  t.  IV,  1. 1.  Il  metodo  dia- 

lettico beninteso  risale,  secondochò  notammo,  a  Socrate,  come  quegli  che trasferi  tale  parola  dagli  usi  della  vita  (^ta'kéyt'jBxL^  eonvereare),  agli usi  della  scienza.  Però  dialettica,  nel  suo  razionale  significato, indica  la  con- venione  della  mente,  vuoi  con  sé  medesima,  vuoi  con  altro.  Il  Vico  intende a  meraviglia  tale  origino  istorica,  nonché  Tapplicazione  speculativa  alla scienza,  laddove  afferma  :  V  ordine  delle  umane  cote  i  d*  ouervare  le  cote SIMILI,  prima  per  ISPIROASSI,  dipoi  per  provabr  ;  e  ciò  prima  con  V  ESKM- PLO  che  ti  contenta  d*  una  coea^  finalmente  con  V  INDUZIONE  che  ne  ha  hi' eogno  di  piò:  onde  Socrate,  padre  di  tutte  le  eitte  de*filo9ofi,  introdueee la  Dialettica  con  V  Induzione  che  poi  compiè  Aristotele  col  eillogiemo eJte  rum  regge  senza  un  universale,  {Se,  Nuo,  1.  II.)  Veggasi  quel  che  ab- 

biamo discorso  quant*  al  metodo,  p.  246  e  seg.  ;  275  e  seg. *  Ricordiamoci  che  per  noi  la  metafisica  non  ò  sdema  aeedlmUi,  bensì Il  nodo  gordiano  della  filosofia,  e  però  la  chiave della  metafisica,  son  le  idee.  Se  il  lettore  ha  badato  al processo  e  alla  genesi  psicologica  che  assai  fuggevol- mente venimmo  tratteggiando,  avrà  potuto  indurre  qual sia  e  qual  debba  essere,  secondo  V  esigenza  del  filoso- fare positivo,  r  origine  e  la  natura  delle  idee.  Coteste 

idee  non  sono  entità  puramente  formali,  né  puri  concetti dello  spirito.  Non  sono  essente  sparate,  almeno  quelle intomo  alle  quali  (come  usava  dire  il  Galilei)  possiamo *  discorrer  noi  umanamente;  e  però  non  sono  sostanze esteriori,  come  Aristotele  interpreta  i  napaStiyyiotrx  del filosofo  Ateniese.  Non  sono  concetti  innalzati  ad  univer- 

salita  determinata  ne^  quali  col  chiudersi  il  circolo  del- 

l' essere  si  esauriscano  ed  assolvano  le  ragioni  delle  cose, 

com'  è  per  gl'Idealisti  assoluti.  Non  sono,  a  dir  proprio, le  cose  stesse  nelle  assolute  lor  qualità.  E,  finalmente, non  sono  quasi  altrettanti  simboli,  o  spiragli  attraverso cui  si  affaccia  al  pensiero  l'Assoluto.  Le  idee  costituì-, scono  il  prodotto  del  processo  psicologico.  Elle  dunque sono  una  fattura  di  nostra  mente:  son  la  mente  stessa, direbbe  il  Vico,  ma  la  mente  in  quanto  è  Magione  spie- gata. Ecco  le  idee  umane,  sul  cui  svolgimento  s'imba&a tutto  l'edifizio  e  tutto  il  valore  della  Scienza  Nuova.* Mcienxa  ddP  à»9oIìUo  in  quanto  è  Critica  del  Vero.  Però  accettiamo  anche qui  la  sentenza  che  costituisce,  diremmo,  la  chiave  dell*  indiriuMo  medio dell*  Aristotelismo.  Per  Aristotele  la  Metafisica  è  «ciennadeU^AatolìUo;  e questa  scienza  dell'Assoluto  è  anche  logica,  logica  in  «2,  logica  in  quanto considera  l'essere  »n  «è,  realmente  :  to'  sgw  ov  xai  x^/^'^l^v. {Metaph.,  XI):  il  che  consuona  con  la  sentenza  del  Vico  riferita  altrove: Quello  che  è  metafiaica  in  quanto  contempla  le  cote  per  tutti  i  generi  delV  e»- aere,  lo  tteseo  è  la  logica  in  quanto  considera  le  coee  per  ttUti  i  generi  di Bignifienrle.  Col  pensiero  d'Aristotele  poi  rinverga  il  concetto  del  suo  mae- stro. Platone,  come  ò  noto,  appella  filosofi  quelli  a*  quali  ò  dato  asseguir  la notizia  di  ciò  che  è  costante  e  assoluto  (^cXóaoooc  jiasv  oc  toù  àcc xxT«  rauToè  wc«i»tw;  e;^ovTo;  5«và^«ovi  SfxnrtfrOxt.  Bep.y VI,  484,  A.) 

*  A  prima  giunta  parrebbe  che  nella  dottrina  delle  idee  il  Vico  fosse un  filosofo  arciplatonico,  ma  non  è.  La  dialettica  platonica,  intesa  in  un  certo senso,  non  può  menomamente  prescindere,  come  osserva  il  Simon,  dalla  dot- trina della  reminiscenza:  La  euppreseion  de  la  remini»cenee  en  peycologie ut  la  négation  de  la  dialectique  et  de  la  tkéorie  de»  idée»  (Op.  cit.,  t,  1, Ma  se  le  idee  sono  il  moto  stesso  e  lo  stesso  esul- tato della  energia  psichica,  e,  come  tali,  chiudono  il  cir- colo della  natura  e  dello  spirito,  non  però  chiudon  sé stesse,  anzi  dischiudonsi,  e  col  dischiudersi  ci  mostrano di  lor  natura  un  intimo  riferimento  all'  Assoluto.  Se r  uomo,  lo  spirito,  secondo  la  nozione  del  nostro  filo- sofo, non  è,  a  dir  proprio,  Y  infinito  attuale  e  nemmanco r  attuale  finito,  ma  una  potenzialità  infinita,  una  po- tenza che  tendU  ad  infinitum,  ne  seguita  che  anche, le  idee,  sue  determinazioni,  voglion  esser  fomite  del doppio  carattere  della  finità  e  della  infinità,  sia  che  le si  considerino  nelle  intime  lor  attinenze  organiche,  sia che  nella  lor  solitaria  immanenza.  Dunque  l'idea  è genm,  è  forma  metaphysica,  e,  come  tale,  somiglia  alla forma  del  plasticatore,  anziché  a  quella  del  seme.*  Ma anche  come  genere,  anche  come  forma  metafisica  l' idea è  finita  e  infinita:  finita  in  ampiezza  e  universalità;  infi- nita in  perfezione.'  Però  tiene  del  finito,  in  quanto  che un'  idea  non  è  l'altra;  e  tiene  poi  dell'infinito,  perchè  è p.  241).  Or  la  dottrina  psicologica  del  Vico,  secondo  che  noi  siamo 

Tennti  interpretandola,  contraddice  ad  ogni  platonica  reminiscenza,  ad ogni  maniera  d*  intùito  iperpsicologico  ;  anzi  non  mancano  luoghi  ne^qaali egli  condanni  questa  dottrina.  (De  Univ.j'ur.^  e.  1, 1.)  Quanto  alla  Scienza e  alla  Virtù,  dice  esser  cose  che  hisogna  edurle  dalla  mente  e  dairanimo come  fa  T  ostetrico  (De  Coruu  PhiL,  e.  I).  Non  è  poi  nniraffatto  plato- nica nò  quant*alla  natura,  né  quant*  all'  origine  delle  idee,  perchè  le  idre, per  lui,  non  sono  gli  eterni  veri  (essenze  separate  ed  esemplatriei)^  ma  sono entità  che  significano  l'Assoluto  in  quanto  si  riferiscono  a  ]uì  [De  Univ., e.  y,  1).  Non  sono  quindi  appreso  direttamente,  ma  fatte.  Vedi,  per  es., quel  che  dice  sul  generarsi  de*  generi  e  delle  forme  metafisicke,  le  quali a  nostris  pueris  primulum  bua  spontk  «xpZtcantur  (Ibi,  e.  XII,  ili,  5).  E ciò  non  pertanto  gli  hegeliani  V  han  battezzato  o  seguitano  a  battezzarlo per  platonico  sviscerato  !  Neil'  altro  capitolo  vedremo  fino  a  qnal  segno e  per  qual  ragione  egli  possa  meritarsi  questo  titolo. *  Forma»  intelligo  metaphysioas  (pice  a  physieis  ita  diversce  sunti  «* forma  plaatm  a  forma  seminis.  Plastce  mim  forma  dum  ad  eam  quid  fer- matur,  manet  idem  et  semper  formato  perfeetlor  ;  forma  seminis,  dum  quo- tidie  se  esplicai,  demutixtur  ae  perjicitur  magie:  ita  ut  formfn  pkysicct  sint ex  formis  metaphysieis  formatw  {De  Antiq.,  c.  Il,  §  2).  Vedremo  fra  poco qual  valore  abbia  quest'ultima  sentenza. *  Genera  esse  formas,  non  amplitudine,  sed  perfezione  injìnitas  (Op.  cit. C.  U,  1). l'altra  e,  sotto  certo  rispetto,  tutte  le  altre.  La  legge  dia- lettica, dunque,  è  la  stessa  legge  universale  dell'  essere; legge  di  conversione;  legge  d'alterità  e  di  medesimezza. 

Sennonché  cotesta  conversione  ideale  non  è  semplice opposizione,  e  neanche  compenetrazione,  conciossiachè la  ragione  dell'un  termine  non  istia  solamente  nell'altro. Il  dialettismo  si  radica,  non  già  nelle  idee  come  opposte fra  loro  o  come  generate,  ma,  innanzi  tutto,  nel  soggetto che  le  genera.  Un'idea  non  è  universale  perchè  perfetta, ne  perfetta  perchè  universale.  E  non  è  finita  perchè infinita,  né  infinita  perchè  finita.  Questo  è  l'errore  delle dialettiche  a  priori  che,  levando  a  principio  l' opposi- 

zione per  r  opposizione,  riescono  ad  un  pretto  mecca- nismo ideale.  Un'  idea  è  infinita,  o  finita,  principalmente per  sé,  e  anche  per  l' àUra.  Se  dunque  la  lor  conversione non  è  equazione,  né  semplice  opposizione,  ne  consegui- tano due  cose:  V  ch'elle  non  chiudono  il  circolo; 2*"  eh'  esse  importano  l' ideato  nella  pienezza  di  sua  real- tà. Si  vorrà  supporre  che  anche  cotesto  ideato  sia un'idea?  un'idea  madre?  E  allora  avrà  luogo  il  mede- simo discorso,  e  saremo  sempre  daccapo.  Si  vorrà  giu- gnere  all'idea  dell'essere  mercè  i  soliti  lambicchi  de' raf- finamenti e  assottigliamenti  astrattivi?  E  avremo  la nuvola,  non  Giunone  !  Certo,  l' idea  dell'  essere  non  è come  le  altre,  finita  nell'ampiezza,  bensì  infinita,  uni- versale; ma  è  vuota,  è  vacua,  né  altro  è  capace  di  dare fuorché  yffi'kÒLi  evvoiaf.  Ella  comprende  tutto,  ma  non  rac- chiude nulla  :  è  un  Primo  logico,  non  già  un  Primo  vero 

metafisico.  Dunque  vuol  esser  determinata;  stanteché debba  cessar  d' essere  infinita  per  universalità,  e  assu- mer valore  d'idea  infinita  per  perfezione.  L' ascensione dialettica  perciò  è  incalzata  dallo  stesso  principio  della conversione;  e  la  mente  deve  posare  in  quell'ideato che,  a  dir  proprio,  sia  un  ideato  dialettico,  ciò  è  dire conversione  piena,  assoluta,  vivente,  reale.* *  1  Generi f  dice  il  Vico,  aono  non  per  univer»alità,  ma  per  perfezione inJiniH:  e  questo  eeeere  U  brieve  e  vero  9en§o  del  lungo  e  intricalo  F€tnn&' Se  r  idea  è  infinita  non  per  ampiegm  ma  per_per- fmone,  perciò  non  va  confusa  col  concetto;  al  modo nide  di  Platone;  e  questo  intendimento  doverti  dare  alla  famosa  Scala ddle  Idee  onde  i  Platonici  pervengono  alle  perfeUianime  ed  eteme  (Bisp.  I, al  Oiom.  de*  Lett.,  II).  Quanto  al  brieve  e  vero  senso  del  Parmenide  toc- cheremo più  giù.  Dove  poi  il  Vico  dice:  Genera  esse  formasy  non  amj^itu- dinef  sed  ptr/ectione  injinitas^  tosto  SOggiugne  :  et  quia  injinitas^  in  uno Deo  esse....  Come  va  intesa  questa  sentenza?  In  quanto  le  idee  possie- don  carattere  dMnfinità  e  d*  assoluta  perfezione,  elle  sono  in  Dio;  e sono  in  lui  perchè  forman  tutte  assoluta  unità,  e  assoluta  totalità:  uni- totalità.  Lo  avea  detto  Galileo  che  non  era  un  metafisico  :  Le  idee,  perchè inJinitCf  sono  una  sola  ndV  essenza  loro  e  nella  mente  divina  (Op.,  ed.  Al- bóri, 1. 1,  Dial.  de*  Mass.  Sist,,  p.  116).  Ha  in  quanto  possiedon  Tubo  e r  altro  carattere,  elle  si  producono  e  rìseggon  nello  spirito,  nel  pensiero  ; sono  il  pensiero;  e  sono  finite  e  infinite  perchè  tale  è,  ripetiamo,  la  natura stessa  dello  spirito,  cioè  potenzialità  infinita.  Ne  viene  perciò  che,  ove  le 

idee  fossero  infinite  in  atto,  non  potrebbero  essere  altresì  finite.  E  dove fossero  solamente  finite  e  puramente  universali,  sarebbero  forme  vuote  e astratte,  e  però,  contraddicendo  air  intera  dottrina  psicologica  del  nostro filosofo,  cadremmo  nel  pretto  sensismo.  Or  le  idee,  le  nostre  idee,  non  sono infinite  e  perfette  perchè  siano  lo  stesso  Dio  o  pertinenze  di  Dio,  ovvero spiragli  ond*ei  s*  afikccia  al  pensiero,  come  dice  il  Mamiani  col  suo  lin- guaggio tinto  di  certo  color  poetico;  ma  son  tali  perchè  tale  per  T ap- punto è  il  soggetto  che  le  partorisce;  il  quale  perciò,  mediando  sé  stesso come  potenziale  infinito,  deve  per  necessità  eduttiva  concludere  alla  no- tizia deir  Assoluto.  Di  qui  nasce  che  le  idee  non  possono  essere  infinite di  fatto,  e  ce  *1  dice  egli  stesso  :  enim  vero  ista  genera  nomine  tenue  infinita, homo  enim  ncque  nikil  est,  ncque  omnia.  Quare  nee  de  nihilo  nisi  per  ali- quid  negatum,  neo  de  infinito,  nisi  per  negata  finita  cogitare  potest.  Ai enim  omnis  triangulus  habet  angulos  cequales  duobus  rectis.  Ita  bene:  sed non  id  miìU  infinitum  verum,  sed  quia  habeo  trianguli  formam  in  mentGot imprcssam,  cujus  hanc  nosco  proprietatem,  et  cu  mihi  est  archetypus  cete- roruh  (Op.  cit.,  e.  Il,  §  16,  17).  Fatta  dunque  Videa,  tosto  in  essa  io riconosco,  non  già  V  infinito,  ma  il  carattere  della  infinità:  hanc  proprie- totem  nosco.  Per  questa  proprietà  essa  diventa  un  archetipo,  diventa una  misura  {archetypus  ceterorum);  e  come  archetipo  e  misura  ella,  per me,  è  un  assoluto;  e  così  è  vero,  che  Vuom  tende  a  farsi  regola  deW  uni- verso,che  vuol  dire  tende  a  farsi  assoluto.  E  qui  toma  acconcio  il  ri- confermare quella  relazione  che  tra  le  opere  del  Vico  altrove  procac- ciammo chiarire.  Nella  Scienza  Nuova  Tuomo  è  regola  e  misura  in  tre 

maniere,  secondo  i  tre  momenti  dello  svolgimento  isterico  ;  1°  nella  fase 0  stato  divino,  per  credenza  e  per  sentimento;  2«  nella  fase  eroica,  per arbitrio,  forza,  potere,  volere  ;  3<>  nella  fase  umana,  per  magistero  logico e  scienziale,  cioè  per  la  ragione  spiegata,^eT  le  idee  {idee  umane).  Ecco dunque  una  prova  novella  che  ci  mostra  come  la  Scienza  Nuova,  anziché contraddire  al  Libro  metafisico,  lo  esplichi  e  lo  legittimi  sempreppiù,  al modo  istesso  che  questo  riassume  le  ragioni  metafisiche  di  quella. istesso  che  l'intendimento,  secondochè  mostrammo,  non è  da  confondersi  con  la  ragione.  Tanto  Videa  quanto il  concetto  sono  una  dualità,  perchè  T una  e  l'altro  sono conversione,  giudizio,  e  però  medesimezza  e  distinzione. Ma  la  dualità  dell'  idea  è  l' universalità  e  \2l  perfezione; dovechè  quella  del  concetto  è  l' estensione  e  la  compren- sione. Nel  concetto^  come  vedemmo,  ci  è  sempre  un'orma del  fantasma  (p.  321);  e  nell'  idea  v'  è  sempi-e  un'  orma del  concetto^  cioè  il  comune,  l'universale.  Or  chi  dirà che  il  concetto  abbia  carattere  d'infinità  solo  perchè  sia comune  e  universale?*  Il  circolo,  a  mo'  d'esempio,  in quanto  è  universale,  è  concetto;  ma  in  qijanto  racchiude 

la  nota  essenziale  ond'  e'  si  discerne  da  ogn'  altra  no- zione, è  quello  che  è  ;  è  perfettissimo  ;  è  infinito  ;  e  così lo  pensa  Dio  come  l'uomo.* '  Si  vero  id  contendane  etse  injinitum  gentu  (cioè  che  i  tre  angoli d*aii  triangolo  rettilineo  siano  eguali  a  due  retti,  eh' è  l'esempio  rife- ritopoco  fa  dallo  stesso  Vico),  quia  ad  eum  trianguli  archettfputn  accom- modari  innumeri  trianguli  po«8unt,  id  tibi  habeant  per  me  licet;  nam 

vocabulum  iÌ9  lubens  condono,  dum  ipti  de  re  mecum  eentiant.  Sed  enim  per- peram  loquuntur,  qui  decempedam  dixerint  injinitam,  quod  omne  extenaum 

ad  eam  normam  metiri  poannt,  >  {De  Antiq.^  C.  II,  17.) '  Galileo  nota  stupendamente  questo  privilegio  del  pensiero  là  dove distingue  V  intendere  extensive  dair  intendere  intensivCf  confermando  così 

la  dottrina  del  Vico.  Vintenèive  del  filosofo  pisano  è  il  perfettamente^ com*  egli  stesso  dichiara.  Ora  v*  ha  cognizioni,  egli  dice,  le  quali,  guar- date sotto  il  rispetto  della  inteneìtà  e  della  perfezione,  agguagliano  le  di- 

rine  neUa  certezza  obbiettiva^  perchè  con  essa  arriviamo  a  comprenderne la  nec€99Ìtà  sopra  la  quale  non  par  che  posta  essere  sicurezza  maggiore, {Dial.  de'  Mass.  Sist,j  loc.  cit.)  Gli  esempi  co'  quali  Galileo  procaccia  chia- rire tale  idea,  son  tolti  dalla  matematica;  e  la  matematica,  anche  per lui,  è  una  fattura  della  mente;  e  però  la  certezza  e  la  necessità  ond'ei parla  scaturisce  immediatamente  dalle  leggi  stesse  della  psicologia.  So che  il  Neoplatonico  neanche  qui  si  darà  pace,  ed  opporrà  la  solita  in- Titta  necessità  di  certi  yeri  che,  vada  o  Tenga  il  pensiero,  sono  e  saran sempre  quello  che  sono.  A  questa  difficoltà  ahhiamo  già  risposto  (p.  243  e seg.)  U  due  e  due  fan  quattro  (direbbe  un  neoplatonico  alla  Maminni) gli  è  un  yero  assoluto  e  necessario,  né  io  posso  pensare  il  contrario; dunque  T*ha  in  lui  qualcosa  che  non  m' appartiene  ;  e  però,o  è  Dio,  o  è pertinenza  di  Dio.  Nient' affatto!  Io  non  posso  pensare  il  contrario;  ed è  yerissimo:  ma  perchè  non  posso  pensarlo?  Perchè  non  posso  contrad- dirmi; ecco  la  ragione  immediata.  Il  regno  della  logica  non  è  il  regno Or  se  tale  è  V  organismo  delle  idee,  è  impossibile 

che  il  pensiero  partorisca  e  generi  un'idea  la- quale sia  infinita  così  nelF  ampiezza  come  nella  perfezione. Se  potesse,  e'  già  sarebbe  V  infinito  in  atto.  Se  potesse, egli,  col  farsi,  già  sarebbe  un  fatto.  Ma  così  non  si  con- traddirebbe? Non  annullerebbe  sé  stesso  anche  qui? La  conseguenza,  dunque,  parmi  chiara:  il  pensiero,  que- sto nostro  pensiero  con  tutto  il  suo  ^contenuto,  non possiede  l' essere,  non  è  l'essere,  non  si  compenetra  con r  essere.  Questa  invincibile  manchevolezza  d'  essere, questa  insuperabile  impotenza  d' essere,  come  ci  si  ri- vela? quand'  è  che  ci  si  rivela?  Precisamente  nella  stessa impossibilità  d'afferrare  e  fermare  il  pensiero  nell'o/to. Ed  è  impossibile  poter  cogliere  e  fermare  quest'atto, appunto  perchè  lo  spirito,  pensando,  è  già  un  atto,  è già  faUo  (actum).  Or  se  non  è  atto,  non  ci  ha  da  esser r  atto  ?  Io  penso  l'essere;  io  son  l'essere:  eppure  non sono  la  realtà  dell'essere!  Dunque  la  stessa  impossibilità a  dedurlo  come  tale,  mi  dà  il  diritto  a  concluderne  la realtà.  Il  che  accade  per  una  ragione  detta  e  ridetta, che,  cioè.  Essere  e  Pensiero  non  sono  l' uno  in  due  (come direbbe  lo  Spaventa),  non  sono  l' identico  nel  diverso, ma  sono  il  due  in  wwo,  sono  piuttosto  il  diverso  nel- r  identico. — E  qui  ci  è  dato  scorgere  sempre  più  netta- mente V  errore  degV  intuitisti  e  ie^  mediatisti.  Cotestoro, come  vedemmo,  voglion  rintracciare  la  ragion  dell'as- 

soluto e  dell'  infinito  nel  pensiero,  e  ricorrono  ad  espe- dienti opposti  e  contrari.  Gli  uni  ci  dicon  che  la  mente colga  immediate  1'  Assoluto  ;  gli  altri,  che  lo  faccia.  Ora chi  dice  di  vederlo,  per  me,  sogna  ad  occhi  aperti;  e senz'  addarsene  resta  impaniato  nel  panteismo.  Chi  poi dice  di  farlo,  sogna  anche  lui  e,  per  di  più,  diverte  la doli*  arbitrio.  E  perchè  poi  non  posso  contraddirmi?  Giusto  perchò  lo stesso  pensiero  è  quello  die  nel  due  e  due  fan  quattro  pone  gli  elementi e  le  condizioni  del  giudizio:  le  quali  io  non  potrei  negare,  senza  distrug- gere il  mio  stesso  pensiero.  Se  potessi,  ne  verrebbe  che  io  farei,  e  non farei:  cioè /arci  il  nulla t gente  con  indovineUi  da  algebrista,  e  finisce  per  immer- gersi nel  nulla  :  talché  anniillando  cotesto  assoluto,  la  sua deduzione  riesce  davvero  ad  \m3i  bestemmia.^  11  Neoplato- nico s' affida  ad  un  intùito  ;  e  così  esagera  V  impotenza in  cui  è  il  pensiero  d' esser  V  essere.  11  Neoaristotelico hegeliano, al  contrario,  s'affida  a  sé  stesso;  e  così  esa- gera la  potenza  del  suo  pensiero  adequandolo  all'  essere. Entrambi  dunque  deducono;  ma  l'uno  appoggiandosi neh' obbietto  intuito,  o  neW  Ideato  presente  al  pensie- ro; r  altro,  movendo  dsàV  Indeterminato  cólto  o  posto per  astrazione  immediata  e  subitanea.  Illusione  l' imme- diatezza dell' uno  !  illusione  e  arzigogolo  logico  la  me- diatezza  dell' al trol  Non  intùiti,  ne  posizioni  a  priori: non  immediatezza,  né  mediatezza,  ma  conversione,  ma 

processo  del  pensiero  con  l'essere.  Le  idee  non  sono r  Assoluto  significativo,  l' ente  in  quanto  sigtii/ica,  in quanto  presenta  sé  stesso  al  pensiero:'  ma  é  lo  stesso pensiero  quello  che  per  sé  medesimo  é  significativo  del- l'Assoluto,  in  quanto  é  Bagione  spiegata.  Brevemente: se  r  idea  è  mezzo,  eli'  è  il  pensiero,  ma  è  il  pensiero in  quanto  rappresenta  l'Ideato,  non  già  l'Ideato  in quanto  s' affaccia  al  pensiero.  Or  qui  si  compie  nella sua  vera  forma  la  funzione  eduttiva. Parlando  della  genesi  e  classificazione  delle  varie  di- 

scipline dicemmo,  le  scienze  eduttive  ridursi  ad  una  sola, ed  esser  la  filosofia  (p.  232).  La  filosofia  s' intrinseca  con tutte  le  scienze;  e  però  é  anch'olla  induttiva  e  deduttiva la  sua  parte.  Ma  anch'essa  é  autonoma,  anch'essa  è trascendente,  e  come  tale  è  di  natura  eduttiva  ;  poiché non  cessando  d'alimentarsi  de'  tesori  adunati  dalle  altre discipline,  nondimeno  sa  e  può  trovare  alimento  in  sé 

stessa,  e  per  sua  propria  virtù.  Se  le  idee  infatti  hanno lor  fondamento  in  natura,  nessuna  funzione  basterebbe *  Hine  adeo  impiat  euriontatit  notandi,  qui  Deum  Optimum  Maximum a  priori  probare  ttudeiU:  nam  tantundem  ettet,  quantum  Dei  Deum  «e  /a- oere,  et  Deum  negare,  quem  quixrunt.  (Vico»  De  Antiq.,  C.  Ili,  S.) *  Màmiani,  Lett.  al  DoU.  BrentoMMoUf  p.  55. Digitized by  Google 

424  DILLA  DOTTBiNA  ulosoiioa.  [lib.  n. a  scioglierle  da'  viluppi  delle  sensate  apparenze,  ove  la stessa  mente  non  sapesse  pai*torirle.  Tra  il  fantasma e  l'idea,  tra  la  forma  metafisica  e  la  fisica^  c\  è  quel  me- desimo intervallo  esistente  fra  il  senso  e  la  ragione.  Or tuttoché  le  idee  pongan  radice  nella  natura  e  si  muo- vano in  questa,  nondimeno  con  lieve  soccorso  del  senso elle  possono  esser  generate  dalla  mente,  poiché  a  conce- pir r  idea  del  circolo,  o  meglio,  a  fissare  il  concetto del  circolo  nella  nota  che  costituisce  la  sua  perfezione e  trasformarla  in  idea  o  forma  metafisica,  non  v'  ha mestieri  di  prolungati  lavori  d'astrazioni  e  di  generaliz- zazioni. La  mente  perciò  nel  concepirle  fa  altrettanti giudizi  eduttivi.*  Il  giudizio  eduttivo  è  diverso,  così nella  forma  come  nel  contenuto,  dal  giudizio  induttivo, e  dal  deduttivo.  Il  suo  carattere  specificante  dicemmo radicarsi  innanzi  tutto  nella  relazione  de'  suoi  termini, e  quindi  nell'  origine  dell'  attributo.  L' attributo  non  è dato  dal  fatto;  e  però  non  è  sintetico  a  posteriori.  Non è  ricavato  dal  soggetto  e  applicato  al  soggetto  stesso come  parte  del  suo  contenuto;  e  quindi  non  è  di  na- tura analitica.  Non  è  ripetizione  del  medesimo  soggetto  ; e  quindi  non  è  identico.  Il  giudizio  eduttivo  serba  in- '  Se  pensare,  come  altrove  mostrammo,  è  giudicare,  e  giudicare  è un  atto  di  conversione  in  quanto  che  convertire  è  scorger  la  medesimezza e  la  differenza  ad  un  tempo;  ne  viene  che  il  giudizio  è  la  sintesi  di  due 

elementi,  convertione  del  vero  col  fattOf  sintesi  della  medesimezza  gene- 

rica [vero)  e  della  diversità  specifica  (fatto).  Ora  guardando  alla  funzione speciale  onde  la  mente  forma  concetti  e  giudizi,  ricavammo  esser  tre i  sommi  generi  a  cui  essi  potranno  rimonarsi,  e  li  appellammo  induttivi, deduttivi,  eduttivi.  Questa  divisione  è  essenziale,  perchò  si  fonda  prin- cipalmente nella  differenza  del  contenuto  de*  giudizi,  e  perchò  dà  origine alle  tre  funzioni  metodiche.  Si  fonda  dunque  su  la  dottrina  della  cono- scenza e  della  scienza,  e  perciò  è  razionale  e  cpmpiuta.  L'atto  del  giu- dicare, Infatti,  ò  sempre  identico  nella  sua  forma  logica,  poiché  è  sempre una  conversione  al  pari  del  concetto  ond' emerge;  ma  differisce  nel  con- 

tenuto, ed  ecco  r origine  delle  tre  differenze  di  giudizi.  Tutte  quelle  in- numerevoli distinzioni  e  classi  e  divisioni  e  suddivisioni  di  atti  giudi- cativi fatte  da  Aristotele  sino  al  Kant  e  al  Rosmini,  sono  spartizioni secondarie,  le  quali  riguardano  l' estensione,  la  quantità,  la  relazione,  la forma  e  l'indole  de' giudizi;  ma  riescon  tutte  incompiute. dole  essenzialmente  sintetica,  e  però  sgorga  dallo  stesso pensiero  per  virtù  e  necessità  eduttiva.  Ma  qual  sorta di  sintesi  è  cotesta  ?  Non  è  sintesi  a  priori  nel  senso de' Neoplatonici,  perocché  l'obbietto  non  è  dato  da nessun  intùito  o  visione  trascendentale.  Non  è  sintesi nel  senso  dell'  Idealismo  assoluto  e  del  Criticismo,  per- chè r  obbietto  non  è  posto  per  mera  legge  dialettica, e  neanco  per  non  so  qual  cieca  necessità  subbiettiva.  * H  giudizio  eduttivo  è  un  vero  atto  sintetico,  un  atto 

sintetico  trascendentale  per  eccellenza  perchè  l'attri- buto non  è  nel  soggetto,  e  nondimeno  è  posto  dal soggetto.* Qual  è  l'oggetto  di  questa  sintesi  trascendentale? È  appunto  ciò  che  le  forme  metafisiche  possiedon  di  co- mune. È  ciò  che  nel  concetto  e  nelle  determinazioni ideali  scopriamo  d' infinito,  non  già  nell'  ampiezza,  ma sì  nella  perfezione.  La  funzione  eduttiva  dunque  è  fun- zione dialettica,  dialettica  ascensiva.  Perciò  eduzione delle  idee  non  vuol  dir  la  pura  e  semplice  generalizza- zione delle  qualità  dell'essere:  vuol  dire  accrescimento dell'  essere  ;  vuol  dire  concentramento  dell'  essere  nella *  I  griudizi  iintetici  a  priori  di  Kant  non  sono  propriamente  apriori, ma  si  riducono  a  giudizi  analitici. *  Il  processo  conoscitivo  è,  per  dir  così,  nna  catena,  gli  estremi della  quale  sono  due  sintesi,  e  però  due  forme  di  conversione  ;  V  una  di esse  è  originaHay  e  l'altra  finale.  Quella  precede,  come  si  disse,  ogni riflessione,  e  costituisce  il  Primo  psicologico,  Y  unidualità  primitiva  ;  la quale,  facendo  possibile  la  formazione  de'  concetti  mercè  il  processo psicologico,  toglie  queir  apparente  petizion  di  principio  tra  la  necessità per  cui  ogni  giudizio  deve  importare  il  concetto,  e  la  necessità  ondMl concetto  debb'  essere  un  atto  giudicativo.  La  sintesi  finale  poi  riesce  al Primo  vero  metafieico^i]  quale  devesi  convertire  col  Principio  metafisico. Avviene  perciò  che  la  sintesi  originaria  sia  costituita  dal  pensiero  e  dal suo  obbietto  che  è  Tessere  in  quanto  indeterminato;  e  però  è  sintesi 

naturale  essendo  posta  dalla  stessa  natura  (p.  848  e  seg.).  La  sintesi finale^  per  contrario,  ha  per  oggetto  1*  essere  determinato  ideale,  e  de- terminabile in  quanto  reale  ;  e  )»er  ciò  è  sintesi  superiore  alla  natura essendo  prodotta  dallo  stesso  pensiero.  Queste  due  sintesi  dunque  sono due  giudizi  d'indole  sintetica,  ma  diversissimo  n'è  il  contenuto  ;  per  la ragione  che,  se  nel  primo  d'essi  l'obbietto  è  posto  da  natura,  nel  se- condo è  posto  dalla  stessa  mente. sua  idealità.  Or  se  tale  è  la  natura  di  questa  fun- zione^ accade  che  il  principio  ond'  ella  è  governata non  possa  esser  quello  d' identità,  di  repugnanza,  di causa  e  simili  ;  stantechè  qui  non  si  tratti  di  logica  for- male la  cui  materia  è  costituita,  in  generale,  da' giu- dizi deduttivi,  ne  di  logica  induttiva,  i  cui  giudizi  ri- posano sul  principio  di  causalità  e  di  sostanza  empiri- camente intesi.  Se  il  fine  della  logica  formale  sta  nel fissar  le  norme  del  ben  pensare,  e  il  fine  della  logica induttiva  nel  porgere  i  criteri  a  fruttuosamente  spe- rimentare; è  chiaro  esser  necessaria  una  logica  la  quale sappia  ritrovare  il  vero  facendolo,  se  pure  s' ammette che  la  metafisica  abbia  da  essere  una  Critica  del  vero. Ed  è  chiaro  altresì  esser  necessario  un  principio  che sappia  guidarci  nel  processo  di  siffatta  critica,  il  qual principio  è  appunto,  come  altrove  toccammo,  quello della  Conversione  (p.  250). Or  questa  funzione  eduttiva,  di  natura  essenzial- 

mente dialettica,  non  va  dall'effetto  alla  causa,  né  dalla causa  all'  effetto  :  non  va  dalla  sostanza  alla  determina- zione, né  dalla  determinazione  alla  sostanza.  Le  idee  non sono  effetti,  non  sono  risultati,  né  determinazioni  dell'As- soluto. Se  così  fosse,  come  sarebbe  possibile  il  transito dialettico?  Il  passaggio  dialettico  (nopsisi)  è  solamente possibile  dov'è  possibile  medesimezza  e  differenza;  do- v'è possibile  intervallo  e  continuità;  dov'è  possibile, insomma,  conversione  di  termini.  I  termini  in  quest'  or- dine di  cose,  da  una  parte,  sono  le  idea,  la  Eagiotie spiegata  ;  dall'  altra  sono  le  stesse  idee,  le  stesse  forme metafisiche,  ma  in  quanto  concludono  nel  loro  ideato, neir  ideato  come  Principio  e  Mente  reale,  nell'  ideato che  basti  a  sé  stesso  (ro^izavov),  nell'ideato  che  nulla suppone,  ma  che  si  pone  (ro  ocvuttoOstov).  Intanto  la  ra- gione, tuttoché  secondo  le  leggi  altrove  notate  del  pro- cesso psicologibo  debba  mover  dalla  natura  e  dal  senso, nondimeno,  come  tale,  è  caussa  sui  (suitas)  ;  e  l' effetto  di tal  cagione  è  la  scienza,  le  idee,  le  quali,  in  quanto  forme metafisiche,  si  riferiscono  all'Assoluto.  E  cotesto  Asso- luto alla  sua  volta  è  Caussa  sui  (Aseitas),  ma  è  anche cagione  del  mondo  in  quanto  è  Mente;  e  l'effetto  di tal  cagione  è  lo  spirito,  non  già  come  Ragione  spiegata, come  Nove,  come  attualità,  ma  come  virtualità,  po- tenza, materia,  natura,  conato.  Ora  questa  evidente- 

mente è  conversione,  e  quindi  è  sintesi  eduttiva.  Ed è  tale  in  quanto  procede  da  causa  a  causa,  in  quanto concatenando  caussas  caussis  (p.  275)  le  annoda  e  di- stingue ad  un  tempo,  perchè  in  realtà  le  s'immedesimano e  si  distinguono  anche  fra  loro.  11  perchè,  se  da  una parte  qui  abbiamo  le  idee,  le  forme  metafisiche,  la  ragioìie spiegata,  la  coscienza,  il  Vero;  mentre  dall'altra  abbiamo r  Assoluto,  r  Assoluto  in  quanto  è  mente,  in  quanto è  la  Mente,  in  quanto  è  il  Fatto  per  eccellenza;  in  una parola,  se  da  una  parte  abbiamo  quel  che  il  Vico  direbbe le  Menti,  e  dall'altra  Dio:  ne  viene  che  in  questo  Motido delle  Menti  e  di  Dio,  in  quest'  organismo  del  pensiero con  r  essere,  il  passaggio  dall'  un  termine  all'  altro  non è  processo  deduttivo,  né  tampoco  induttivo,  ma  è  pro- cesso essenzialmente  eduttivo,  perchè  anche  qui  ha  luogo la  conversione  del  vero  col  fatto,  cioè  la  conversione  delle Menti  con  Dio,  della  logica  con  V  ontologia,  dell'  ideo- logia con  la  metafisica.  Sarà  un'  alchimia  anche  questa  ? Potrebbe  stare.  Ma  chi  ben  la  consideri,  anziché  un'al- chimia, scorgerà  in  essa  il  fondamento  della  prova  le- gittima, vera,  positiva  intorno  all'Assoluto.* *  Le  tre  ordinarie  maniere  d* argomentare  resistenza  di  Dio  furon ben  cento  volte  dimostrate  deboli,  incompiute,  fallaci,  per  la  solita  ra- gione che,  non  racchiudendo  processo,  mancano  perciò  di  valore  propria- mente dimottratico.  Il  cosi  detto  argomento  ontoìogicOf  per  es.,  qaalanque 

ne  sia  la  forma  datagli  da  Anselmo,  Cartesio,  Malebranche,  Fénelon,  Leib- nitz,  Gerdil,  Rosmini,  Gioberti,  Mamiani  e  simili,  non  può  concludere  alla realtà  assoluta,  perchè,  comunque  e'  si  squadri,  ha  sempre  nn  valore  dedut- tivo. Gli  argomenti  poi  dettiyì«ico,  moralcf  ootmologieOf  sono  sfomiti  d*  ogni rigor  di  prova  razionale,  in  quanto  che  si  riducono  alla  forma  induttiva, la  quale,  in  tal  caso,  racchiude  nna  petizion  di  principio.  Laonde  se  la deduzione  move  da  un /ntùtto, siamo  nella  ipotesi;  e  la  scienza  non  può accettar  le  ipotesi  come  principi],  tnttochò  se  ne  possa  e  debba  giovare È  dunque  vero,  è  verissimo  che  l' uomo  da  sé  e  con la  propria  mente  faccia  Dio.  E  lo  fa  dapprima  col  senso, poi  con  r  immaginazione,  da  ultimo  con  la  ragione.  Col senso  lo  vede  immediatamente  nella  natura,  lo  sente  nella natura.  Con  l'immaginazione  lo  vede  attraverso  alla natura,   ma  lo  sente  in  sé  medesimo.  Con  la  ragione lungo  il  suo  processo  come  d'altrettanti  mezzi.  Se  poi  muove  da  un  Indeter- minato f  siamo  nel  formalismo  psicologico,  nell*  arbitrio  logico,  e  però  si  riesce agi*  indovintUi  da  algebristi,  V  una  forma  di  deduzione  perciò  non  dimostra, cbè  anzi  invoca  appunto  l'Assoluto  per  dimostrare:  T altra  invece  dimostra troppo,  e  perciò  non  dimostra  nulla.  Dunque  V  argomento  eduttivo  o  della eonveraionef  che  noi  contrapponiamo  a  qualunque  forma  di  deduzione  e d*  induzi  one,  è  prova  legittima,  stantechè  racchiuda  il  vero  termine  medio, il  vero  m«szo  tra  il  mondo  e  T  Assoluto.  U  solo  Trendelenburg  ha  parlato d'  una  forma  di  prova  eh*  ei  chiama  argomento  logico,  il  quale  potrebbe avere  alcun  riscontro  col  nostro.  Ma  non  poche  sarebbero  le  difficoltà nelle  quali  intoppa  il  dotto  tedesco,  chi  guardi  al  concetto  del  moto  eh*  ei 

pone  a  capo  delle  categorie.  Neil*  ordine  psicologico  noi  moviamo  dal Vero  che  per  necessità  eduttiva  si  converte  col  Fatto  :  e  ne  ricaviamo  che cotesto  FaUo  non  è  già  moto,  anzi  pensiero  per  eccellenza,  mentalità assoluta.  Or  bene  s*  e*  fosse  moto,  corno  saria  possibile  una  conversione  f E  mancando  la  possibilità  della  conversione,  come  farà,  1*  illustre  autore delle  Bioerche  Logiche,  a  salvarsi  dal  pericolo  d*  un  vuoto  formalismo  ? Giova  qui  rispondere  ad  un'obbiezione.  Si  dirà:  cotesto  vostro  pe- regrino argomento,  in  somma  delle  somme,  si  riduce  ad  una  forma  d*  in- duzione. Dall' effetto,  andate  alla  causa;  dal  particolare,  al  generale; dalla  determinazione,  alla  sostanza;  dal  finito,  all'infinito.  Brevemente, dal  mondo  salite  a  Dio,  sia  che  consideriate  la  natura,  sia  che  lo  spi- rito, ovvero  le  idee. Rispondo:  induzione  pura  o  semplice,  'no;  ma  processo  induttivo: il  quale,  compiendosi  nel  processo  eduttivo,  assume  quindi  valore  d'ar- gomento razionalmente  positivo.  Dio,  a  parlar  proprio,  non  è  pura  so- stanza, causa,  essere  infinito  solitario  ;  nò  il  mondo  è  pura  qualità  e determinazione, puro  effetto,  puro  finito  posto  dall'infinito.  Se  Dio  fosse cagione  semplicemente  presa,  il  mondo  (l'effetto)  ne  sarebbe  l'atto.  Se fosse  sostanza,  il  mondo  ne  sarebbe  la  modificazione.  Chi  ci  salverebbe dal  panteismo  ?  Se  poi  fosse  infinito  ut  «ie,  perchè,  domanderò  io,  se  basta a  so  stesso  ha  da  porre  il  finito  ?  Dio  è  tutte  queste  cose,  infinito,  causa, sostanza  e  simili,  ma  è  tale,  perchò  principalmente  è  idea,  pensiero,  men- talità. Or  non  è  anch'  egli  mente  e  pensiero  l' Universo  ?  L*  argomento della  conversione,  dunque,  non  va  dal  mondo  a  Dio,  non  procede  dal- i*  effetto  alla  causa  (ohe  non  procederebbe  davvero),  ma  va,  ma  procede 

da  causa  a  causa  annodandole  insieme.  E  le  annoda,  perchò  serbano  me- desimezza e  diversità;  le  annoda,  perchè  adopra  il  mezzo  delle  idee;  le annoda,  perchò  educe  le  idee,  e  perchò  queste  idee  converte  con  1*  ideato. —  Un* ultima  osservazione  che  avrei  dovuto  fare  già  in  altro  luogo:  me- Io  vede  nelle  sue  stesse  idee,  perchè  lo  fa  come  idea  ; e  così  r  uomo  (ripeto  la  ^bella  frase  del  Gioberti)  giunge a  rendere  a  Dio  la  pariglia.  L'idea  dell'Assoluto  ha  an- ch' egli  i  suoi  annali  ne'  diversi  momenti  della  storia  e del  processo  psicologico.  Ma  nel  far  cotest'idea,  e  pro- prio quando  l'abbiam  fatta,  noi  somigliamo  a  quell'arte- fice che  s'affatica  e  suda  e  si  travaglia  nell' incarnare il  tipo  che  gli  splende  dinanzi  alla  fantasia,  mentre la  stessa  natura  potrebbe  offrirglielo  vivo  e  palpitante nella  infinita  ricchezza  delle  sue  creazioni.  Novello  e arditissimo  Prometeo,  il  pensiero  del  filosofo  non  abbi- sogna d' alcuna  scintilla  :  la  scintilla  della  vita  s' agita già  vivissima  nell'opera  stessa  delle  sue  mani.  Perocché quando  il  pensiero  abbia  prodotto  l'idea  dell'Assoluto, e' tosto  s'accorge  d'aver  prodotto  quello  che  già  e'  era, quello  che  è  il  Fatto  per  eccellenza,  e  che  non  può  esser fatto  perchè  di  sua  essenza  è  il  Fare,  E  così  pure  ci  accor- giamo di  far  Dio  con  la  scienza  e  con  l' attività  riflessa, solo  perchè  è  egli  innanzi  tutto  che  fa  noi  come  potenza, perchè  siamo  potenza,  perchè  siamo  termine  del  suo  atto.  * glio  tardi  che  mai.  Il  Gioberti  accenna  una  sola  volta  (quant*  io  sappia) 

al  metodo  eduttivo,  e  lo  fa  consistere  nell*  andare  dal  particolare  al  par- ticolare, dal  generale  al  generale  (Protei,  voi. I,  p.  159).  £  precisamente la  funzione  deduttiva  come  la  intende,  per  esempio,  Stuart  Miìl.  La  edu- zione del  Gioberti f  com*  ò  eTìdente,  non  ci  ha  t;he  vedere  con  la  nostra. '  Questa  precisamente  è  la  facoltà  della  quale,  come  dice  Cartesio, ci  ha  saputo  fornire  la  stessa  natura,  e  con  la  quale  noi,  produeendo Videa  di  Dio,  conosciamo  Dio.  (2V<nn^m.  Object.,  X,  Rep.)  A  questo  pro- posito giova  notare  come  il  senso  unicamente  vero  onde  TA.  delle  Me- dìtaxioni  chiamava  innata  V  idea  di  Dio  e  da  Dio  stesso  dicevala  im- pr€$aa  neUa  mente  {Medit.  Ili  e  V),  stia  in  ciò;  che  cotesta  idea  non può  esser  finta  o  supposta  o  immaginata,  ma  ha  da  essere  posta,  cioè tratta  necessariamente,  razionalmente  dal  pensiero  come  ogni  altra  idea che  racchiuda  necessità  obbiettiva  e  metafisica.  Chi  a  questa  maniera non  voglia  intendere  il  filosofo  francese,  non  giugnerà  mai  a  salvarlo dalle  aperte  contraddizioni  nelle  quali  inciampa  senza  rimedio  tanto  chi voglia  interpretare  1*  idea  cartesiana  dell*  infinito  ad  ueum  Delphini  co- me fanno  gì'  intuitisti,  gli  spiritualisti  e  i  teologisti,  quanto  chi  si  piace d' interpretarlo,  come  fanno  gli  hegeliani,  con  la  solita  critica  ad  libitum^ secondochè  altrove  dicemmo  a  questo  medesimo  proposito  (p.  176).  L'idea di  Dio  vien  fnora  mercè  queW  analin  divina  de'penneri  %anani  (ripetia- Qui  pervenuti,  nasce  spontanea  una  considerazione storica."  Posta  la  natui^a  e  T  origine  delle  idee  secondo che  vonn' essere  interpretate  nell'autore  della  Scienza Nuova,  è  agevole  scorgere  cpm'  egli  solo  ne'  tempi  mo- derni abbia  accennato  ad  un  accordo  verace,  diffinitivo, 

in  siffatta  quistione,  fra  il  Platonismo  e  l' Aristotelismo. Egli  consegue  cotesto  accordo  non  già  operando  una  me- schianza  od  una  specie  di  combinazione  meccanica  fra  i due  sistemi  come  tanti  sono  riusciti  a  fare,  ovvero  ne- gando l'uno  in  grazia  dell'altro;  ma  negandoli  e  correg- gendoli entrambi,  e  rispettando  e  inverando  nel  mede- simo tempo  tanto  l'esigenza  peculiare  dell'uno,  quanto quella  dell'  altro  indirizzo  speculativo.  E  tutto  ciò  egli ottiene  a  due  patti  : I.  Accetta  dal  Platonismo  le  idee  come  infinit(By non  amplitudine^  sed  perfectione;  ma  le  accetta  non come  poste  ci  di  là  dello  spirito,  anzi  come  fatte, come  prodotte  dallo  stesso  spirito.  Accetta  insomma le  idee,  e  da  divine  le  fa  umane.  Le  accetta  uma- nandole.  Perciò  india  l'uomo;  fa  l'uomo  naturalmente divino;  pone  il  divino  anche  nel  mondo,  ma  senza che  questa  sua  NOVELLA  METAFISICA  INNALZATA  SU LE  IDEE  UMANE,  come  vedremo,  neghi  menomamente l'esigenza  platonica  d'un  Assoluto  presente  al  mondo. IL  Accetta  dair Aristotelismo  il  gran  principio  che 

l' essenza  e  la  ragion  precipua  ed  efficiente  delle  cose risegga  nelle  stesse  cose,  non  fuori;  che  insomma  le  idee siano  anche  nelle  cose;  che  costituiscano  tutta  la  vita, tutta  r  energia  e  la  profonda  attività  della  stessa  na- tura; l'essere  stesso  della  storia  e  del  mondo.  Ma  nel 

medesimo  tempo  nega  risolutamente  gli  Universalia 

aristotelica  ;  *  e  H  nega  perchè  inutili,  anzi  perchè  esi- 

mo anche  qui  le  belle  parole  del  nostro  filosofo),  la  quale  guidandoci  JU 

filo  entro  i  ciechi  laberirUi  del  cuor  delV  uomOf  saprà  darci  non  già  gV  »«- 

dovinelli  degli  algebristi^  ma  la  certexxa  quant*  i  lecito  umanamentCj  nel  co- noscere metafisico.  {Lett.  al  Solla^  p.  14). *  Vico,  De  Antiquisa.  Gap.  II. ziali  alla  scienza,  all'oratoria,  all'arte,  all'educazione della  mente  e  del  cuore,  alla  politica,  alla  religione, alla  pratica  della  vita,  alla  società,  ponendo  invece  la forma  metafisica  piena,  il  genere  che  di  sua  natura  è realtà  piena,  realtà  salda,  realtà  comprensiva. Or  se  tutto  questo  è  vero,  non  ha  egli  avuto  cento  e mille  ragioni  il  Mamiani  di  sentenziare  :  il  Vico  essere  il vero  e  ardito  innovatore  della  teorica  delle  idee?  Ma  co- teste  parole  son  parole  d' oro  per  noi,  non  per  chi  le  ha cosi  felicemente  scritte.  Pel  Mamiani  e  per  qualsiasi  pla- 

tonicoe  neoplatonico,  invece,  le  son  parole  di  ferro,  parole di  piombo,  e  anche  peggio.  Perchè  se  il  Vico  avesse  rin- novato la  dottrina  delle  idee  nel  senso  del  Neoplatoni- smo, in  lui,  in  cotesta  sua  teorica,  non  vi  sarebbe  né verità,  né  ardimento  di  sorta.  Avrebbe  svecchiato  e  ri- cantato, anche  una  volta,  cose  già  vecchie  e  stantie!* *  Per  queste  ragioni,  e  per  quelle  dette  innanzi,  può  rodersi  come il  Vico  intenda  benignamente  e  corno  accortamente  corregga  la  dialet- tica platonica,  In  ispecie  nella  sua  parto  ascensira,  contraddicendo  perciò  < agi*  indirizzi  estremi  dell*  Aristotelismo,  e  legrittimandone  sempre  più r  indirizzo  mediano.  Abbiamo  detto  che,  secondo  il  metodo  dialettico  del nostro  filosofo,  la  realtà  d*  un  essere  cresce  in  ragion  diretta  della  sua 

generalità,  ma  della  sua  generalità  ideale,  non  già  concettuale.  Por  chi intenda  severamente  la  dialettica  platonica,  per  esempio  pel  Ravaisson, Tessere  in  lei  va  scemando  in  ragione  che  procede  e  sale  dal  meno generale  al  pih  generale  Or  bene,  la  prima  guisa  d*  ascensione  dialettica, eh*  è  la  vera  platonica  secondochò  la  intende  il  Vico  (Vedi  le  sue  parole citate  avantt),  non  s'oppone  ali* esigenza  del  beninteso  Aristotelismo che  an;i  lo  Stagi  ri  ta  dere  accettarla  in  forza  del  suo  stesso  metodo. Andare  da  individuo  ad  individuo,  salire  da  una  forma  inferiore  ad  una forma  superiore,  da  un  atto  ad  un  altro  atto  come  fa  Aristotele,  è  pro- cedere dal  meno  perfetto  al  più  perfetto  ;  che  vuol  dire,  dalla  nota  «pe- ci/icatue  d*  un  essere,  ad  un  grado  superiore  della  sua  stessa  idealità.  Si  può dunque  affermare  che  una  secreta  parentela  esista  fra  il  processo  ideologico 

del  Platonismo,  e  quello  dell'Aristotelismo;  e  che  perciò  VuntverBale  aristo- telico, inteso  bene,  non  contraddica  all'ic/ea  platonica  ove  però  sia  interpre- tata come /orma  metajìsìca.  Se  questo  è  vero,  non  è  niente  improbabile  che Aristotele  aveste  tratportato  ne*  »uoi  libri  il  metodo  che  Platone  praticava neW integnamentOf  secondochè  congettura  il  Simon  {Theod,  de  Platon  et  , d'Arist.f  p.  27.  —  Ved.  anche  Janet,  Sur  la  Dialcctique  dans  Platon  etc.,  ' p.  282.  —  NoURlSSÓN,  Exposition  de  Ut  Théorie  platonicienne  dea  idée^ ed.  cit.  II.  —  RiTTEB,  HÌ9t.  de  la  PhU,  ancienne,  t.  2,  1.  Vili.  Anche  il Rosmini  accenna  a  questo  ponto  tanto  nella  Teoeojia  quanto  nel  suo  Ari- Hoteh),  —  Rigrnarclo  poi  al  valore  della  dialettica  di  Platone,  panni  che  il modo  onde  il  Vico  dà  segno  di  veleria  intendere,  sia  accettevole.  Chi  consi- deri con  qualche  diligenza  segnatamente  il  Parmenide  e  il  Sofìgta,  dì  leggieri 8*  accorgerà  che  il  metodo  dialettico  platonico  è  tale,  perchè  serba  indole piuttosto  eduttiva,  anziché  deduttiva.  Questo  metodo,  a  dir  vero,  non  ista- rebbe  molto  in  armonia  con  la  dottrina  dell*  avoc^vrìTt^  che  è  capitale in  altri  dialoghi  :  ma  perciò  appunto  sarebbe  un  progresso  e  una  corre- zione ohe  Platone  avrebbe  fatto  a  sé  medesimo.  Sennonché  lasciando  di ciò,  la  posizione  speciale  del  problema  metafisico  pel  filosofo  Ateniese risguarda  precipuamente  la  relazione  o  principio  di  medesimezza  e  d*  al- terità, per  cui.  ribatte  le  due  soluzioni  egualmente  erronee  che  ne  det- tero le  due  grandi  scuole  d'  Eraclito  e  di  Parmenide.  Questa,  direbbe Hegel,  è  la  funzione  ùtoriea  di  Platone  considerato  come  JUoao/o  greco rispetto  alle  filosofie  anteriori.  L'  C7no  in  sé  riesce  inconcepibile;  ma  non 

è  tale  anche  V  Altro  in  sé?  La  conclusione  perciò  non  era  difficile;  ed  è che  nel  medenmo  ci  ha  da  essere  anche  il  diverso,  e  nel  diver$Of  come tale,  anche  il  medenmo.  Ma  forse  che  Vuno,  come  uno,  diventa  anche V  altro  f  Ecco  precisamente  T  inganno  de*  panteisti  d*ogn!  colore  in  ge- nerale, e,  in  particolare,  Terrore  de* critici  che  interpretano  hegeliana- mente il  filosofo  greco.  Lasciando  stare  questo  o  quel  passo  di  questo  o cotesto  dialogo,  in  lui  è  chiaro  un  principio  che  basta  per  tutti: Nesaun  con^ trarlo  può  mai  divenire  il  suo  proprio  contrario.  Con  tutto  ciò  non  è  altret- tanto chiara  in  esso  1'  attinenza  che  ci  ha  da  essere  fra*  contrari,  ed ecco  perché  Platone  andava  saggiando  or  la  ftcfAWcrt;  ed  or  la  ftediicc. Nondimeno  chi  non  si  volesse  attaccare  al  solo  Parmenide  e  al  Sojuta, come  fanno  gli  Hegeliani,  ma  porgere  debita  ragione  anche  agli  altri dialoghi  e  però  ali* insieme  delle  dottrine  platoniche,  vedrebbe  che  1*  esi- genza del  principio  della  Conversione  in  lui  è  presentita.  Dico  1*  esigenza non  il  principio  stesso,  e  tanto  meno  la  dimostrazione  del  medesimo. Secondo  tale  esigenza,  della  quale  non  sarebbe  difficile  rintracciare  i  germi nel  Parmenidef  Platone  accorda  i  contrari,  non  già  compenetrando  il medesimo  col  diverso,  ma  convertendoli.  Col  che  io  non  intendo  affermare che  nel  maestro  d*  Aristotele  non  sia  facile  scorgere  una  tendenza  talora assai  spiccante  verso  l' Idealismo  trascendentale.  Se  cosi  non  fosse, l*  esposizione  del  suo  discepolo  sarebbe  da  ritenersi  come  al  tutto  infe- dele e  bugiarda;  il  che  non  fu  mai  detto,  né  pensato  da  nessuno* storico e  da  nessun  critico.  Gli  Hegeliani  anzi  co  ne  porgono  oggi  splendida prova,  come  avvertimmo,  segnatamente  il  Vera,  il  qnale  ha  creduto  d'aver già  beli*  e  dimostrato  come  la  dialettica  platonica,  tuttoché  incompiuta, sia  proprio  quella  di  Hegel,  né  più  nò  meno.  Or  la.  critica  seria  e  non 

parziale,  massime  quando  si  tratti  de'  Dialoghi  platonici,  dee  farsi  con- sistere innanzi  tutto  nell*  accordare  Platone  con  sé  stesso,  per  indi  ac- cordarlo, se  è  possibile,  col  sistema  che  ci  frulla  nel  capo.  Ma  non  tutti fanno  così!  Quando  1* hegeliano  afferma,  per  es.,  che  il  to  <(aéfvv;c del  Parmenide  sia  proprio  il  divenire^  il  TO  iv  Veesere,  e  *1  TO  ov  il  tum- essere;  CO  testa  sarà  crìtica  sottile,  acuta,  maravigliosa.  ma  non  sarà altrettanto  vera  né  come  critica  interpretativa,  e  tasto  meno  poi  come critica  filosofica.  Diranno  ;  questa  nostra  crìtica  rìsulta  a  fil  di  sillogi- smo dall'analisi  del  Parmenide,  Ma  forse  che  tutto  il  Platonismo  è  nel Parmenide  f  Certo,  soggrinngeranno  ;  il  Parmenide  è  svolgimento  o  com- plemento necessario  di  tutti  gli  altri  dialoghi,  e  rappresenta  perciò  la forma  schietta,  vera,  consegaente  della  teoria  platonica.  Ecco  precisa- mentOf  dirò  io,  un'interpretazione  parziale  fatta  a  proprio  comodo  !  Inten- diamoci: nel  Platonismo,  nella  mente  di  Platone,  anche  noi  scorgiamo due  forme,  due  periodi,  o,  se  si  Tuole,  due  momenti  di  speculazione: quello  in  che  prevale  il  sentimento,  V  immaginazione  e  però  il  mito  e la  tradizione  ;  e  V  altro  in  cui  predomina  e  signoreggia  nella  nudità  sua la  ragione,  e  la  coscienza  speculativa.  Svolgimento  e  processo  fra  Tuna e  r  altra  forma  ci  è,  e  ci  ha  da  essere  ;  e  ufRcio  della  critica  positiva  ò il  far  vedere  che  se  fra,  questa  due  forme  vi  è  contraddizioni  e  contro- sensi, cotesto  contraddizioni  non  sono  cotanto  grossolane  quanto  sareb- bero, se  fosse  vera  la  critica  di  certi  critici  passionati.  Tra  la  Repvhbiiea 

e  le  Leggif  si  dice,  hawi  un*  aperta  contradizione  nell*  ordine  delle  ideo politiche:  sogni  nelFuna,  e  sodezza  e  positività  nelle  altre;  e  cosi  pure fra  il  Dio  del  P<xrmenide,  e  il  Dio  degli  altri  dialoghi.  Invece  a  noi  pare che  come  le  Leggi,  per  dire  un  esempio,  non  sono  altro  che  la  Jiepub- bliea  guardata  nella  sua  opportunità  e  possibilità,  parimenti  il  Parmenide non  sia  che  il  Timeo,  il  Teeteto,  il  Sofista  ecc.,  ma  considerati  come  uno sforzo  di  potente  speculazione  per  ligittimare  e  correggere  il  medesimo principio  metafisico.  Ebbene,  a  questo  medesimo  indirizzo,  che  traspare dair  insieme  delle  dottrine  platoniche,  dovrebbe  sapersi  ispirare  la  cri- tica che  volesse  esser  feconda;  perchè  Platone,  come  ogni  grande  ingegno, "è  d*  uopo  compierlo,  correggerlo,  ma  non  distruggerlo.  Or  questo  pre- cisamente fanno  gli  Hegeliani  con  Platone;  lo  distruggono.  E  lo  di- struggono per  la  semplice  ragione  che  nelle  lor  mani  lo  svolgimento  e 

il  processo  del  pensiero  di  questo  filosofo,  non  è  altrimenti  svolgimento ma  cangiamento,  ma  contraddizione,  ma  negazione.  Interpretate  infatti la  dialettica  del  Parmenide  commessi  fanno:  accade  che  questo  dialogo starà  in  aperta  contraddizione  col  principio  nel  quale  si  cardinano  il  YI 0  M  VII  della  Repubblica  (Trad.  Cousin,  t.  10,  p.  50),  con  quello  delle Leggi  (X  Lib.,  id.),  con  qnello  del  Fedro  (t.  C,  p.  49),  con  quello  del Fedone  (t.  1,  p.  274)  e,  in  gran  parte,  con  quello  del  IVWo,  intendendo quest* ultimo  ben  altrimenti  che  non  abbia  fatto  il  Martin  fra*  moderni. E  cosi  il  Parmenide,  girato  e  rigirato  e  rimpastato  dalla  lor  critica, dovrà  evidentemente,  anziché  inverare  e  correggere,  contraddire  il  con- cetto deirÀssoluto,  secondo  che  ci  è  descritto  nel  Dialogo  ultimo  citato: nv.Tvip,  y.at  rotvjTvi?,  xat  Srii^iovpyò^  tow  xó-t/iaou  (IVm.,  29,  E.) 

Ora  è  egli  possibile  questo  voltafaccia  nella  niente  del  gran  figliuolo d*Àristone  massime  neir  età  prQvetta  e  grave  nella  quale  probabilmente scrisse  il  Parmenide f  Non  somiglierebbe,  se  cosi  fosse,  a  certi  filosoft de*  nostri  giorni  che  con  incredibile  disinvoltura  sacrificano  oggi  a  Cristo e  s*  inginocchiano  domani  al  diavolo,  o  viceversa?  Kd  è  questa  la  critica seria,  coscienziosa,  onesta  in  filosofia?  È  egli  onesto  e  serio  e  coscien- zioso il  dire  e  lo  scrivere,  per  esempio,  che  TAssoluto  dell*  Idealismo assoluto  sia  precisamente  quello  dell*  Idealismo  platonico?  Oh  i  miracoli do*  riscontri  storici  ! Abbiamo  detto  che  la  dialettica  ascensìva  poggia  al Primo  vero  metafisico  mercè  la  virtù  eduttiva  del  pen- siero; e  ch'ella  stessa  poi  diventa  discensiva,  dove  quel Primo  vero  assuma  valore  e  natura  di  Principio  meta- fisico. La  intema  costmttura  di  cotesto  principio  costi- tuisce quel  che  noi  diciamo  processo  ideale.  Ma  innanzi tratto  intendiamoci  con  gli  avversari  d' ogni  qualunque metafisica,  ai  quali  probabilmente  non  saranno  bastate le  cose  dette  sin  qui. La  Natura,  abbiamo  afiermato  più  d'una  volta,  è un  processo  ;  ed  è  tale  perchè  è  numero  che  Tolge  ad unità:  il  che  ci  è  confermato  oggi  splendidamente  dalle scienze  fisiche  e  naturali.  D'altra  parte  lo  Spirito,  sia che  si  consideri  nella  genesi  psicologica,  sia  che  nella 

genesi  storica  e  sociologica,  è  anch' egli  un  processo,  ma in  quanto  è  unità  che,  in  sé  medesima  attuandosi,  di- venta numero.  Or  s'egli  è  vero  che  sì  la  natura  come lo  spirito  debbono  aver  di  sé  medesimi  una  ragione tanto  rispetto  all'essere  quanto  all'operare,  cotesta ragione,  perchè  serbi  legittimità  di  principio,  non  può esser  numero  che  volga  ad  unità,  e  nemmanco  unità  che diventi  numero,  se  pur  vogliamo  salvarci  dalle  strette d' un  circolo  vizioso.  Dunque  non  v'  è  scampo  ;  il  nescio quid  innanzi  a  cui  ammutoliscono  il  materialista  e  il fenomenista,  il  ro  «vurroOsTov  di  cui  ha  tanta  sete  lo  scet- tico sistematico,  V  Inconoscibile  la  cui  realtà  è  pur  con- fessata dal  positivista,  e,  in  somma,  il  Deus  absconditus de'  filosofi  deW  avvenire,  altra  natura  non  potrà  avere fuorché  quella  d'esser  nel  medesimo  tempo  numero diventato  unità,  e  unità  diventata  numero.  Così,  e  sola- mente cod,  cotesto  jravTc^wc  3v  attomo  a  cui  si  travaglia il  pensiero  e  la  storia,  potrà  rivestire  dignità  di  prin- cipio,  assumendo  insieme  valore  essenzialmente  dinamico e  dialettico.  Perciocché  ov'  ei  non  racchiudesse  le  me- desime condizioni  anzidette,  non  solo  non  potremmo sperare  di  conoscerlo  in  verun  modo,  né  egli  ci  appar- terrebbe per  nessun  titolo,  ma,  ciò  che  più  monta,  e'  sa- rebbe di  per  sé  stesso  impossibile  addirittura.  Che  se poi  quelle  due  condizioni  fossero  in  lui  così  come  sono per  eptro  alla  natura  e  al  mondo  dello  spirito,  non 

potrebbe  non  riuscire  onninamente  inutile  tanto  alle cose  quanto  alla  scienza.  Col  solo  raddoppiare  i  mede- simielementi  non  soltanto  egli  non  ispiegherebbe  nulla di  nulla,  ma  avrebbe  d'uopo  d'essere  spiegato  egli stesso  innanzi  tutto.* Se  dunque  V  Inconoscibile  non  é  un  puro  fiato  di voce  ma  è  una  realtà,  e' debb' essere  insieme,  a  dir  così, natura  e  spirito,  cioè  Forza  e  Pensiero.  Di  fatto  se  la natura  è  numero  volgentesi  ad  unità  e  quindi  conato energia  che  transita  ad  atto,  si  può  chiedere  :  dond'  ella viene,  e  com'è  ch'essa  incomincia?  Comincerà  da  sé medesima?  Dunque  dee  cominciar  come  potenza,  e quindi  come  sintesi  confusa  e  indeterminata.  Or  non  é egli  cotesto  un  cominciamento  assurdo  e  grossolano? Avrà  seco  qualche  idea,  si  può  rispondere  :  può  esser  de- terminata in  qualche  modo.  Ma,  se  è  com,  tale  idea  o  é *  Tanto  nel  processo  ideale  quanto  nel  processo  cosmicOf  tanto  nel Mondo  quanto  neir  Assoluto,  gli  elementi  (direbbe  il  Vico)  sono  i  medesi- mi; ma  diversa  è  la  relazione  dì  essi,  e  quinci  diverso  il  contenuto  che ne  risulta.  L'  unità  e  la  moltiplicità,  il  medesimo  e  M  divertOf  riseggono così  nel  sensibile  come  nell'  idea  ;  ma  il  diverso  dell'uno  non  è  quello  del- r  altra.  Ecco  il  profondo  dissidio  metafìsico  fra  il  Platonismo  e  l'Aristo- telismo ;  ed  ecco  il  precìpuo  difetto  dell'  esposizione  delle  idee  platoniche fatta  da  Aristotele,  e  la  parte  non  vera  della  sua  critica.  {Metaph.,  I,  6). 

Nel  Platonismo  il  diverso,  checché  ne  dicano  certi  critici,  serba  doppio valore  (to'  sts/dov,  to'  aX^o)  al  quale  ci  ha  badato  segnatamente  lo  Stal- Ibaum  {Prcleg.  in  Parm.,  I.  I,  V).  Però  tutta  la  confusione  d' Aristotele, secondo  che  ha  osservato  lo  Zeller,  sta  nell' aver  egli  trasandato  il  di- vario che  corre  fra  la  moltiplicità  in  qìtanto  è  materia  delle  idee,  e  la molliplicità  in  quanto  i  fondamento  del  mondo  materiale  {0^,  cit.,  p.  482). Vedremo  come  anche  qui  il  nostro  filosofo,  pur  legittimando  11  Platonismo, 

corregga  col  suo  concetto  metafisico  l'Aristotelismo. dentro,  o  è  fuori  di  quella  potenza.  Se  dentro,  dunque non  è  potenza:  se  fuori,  eccoci  al  di  là  della  natura. D' altra  parte,  se  lo  spirito  è  un  atto  di  fronte  alla  na- tura, non  per  questo  ei  potrà  cogliere  e  fermare  co- test'  atto  e  afiferrar  sé  medesimo  come  atto,  poiché  pen- sandosi, come  dicemmo,  egli  di  già  é  un  atto,  è  fatto (actuni)  ;  e  perciò,  come  la  natura  non  può  cominciare da  sé,  parimenti  lo  spirito  non  potrà  finire  in  sé.  Non è  dunque  necessario  un  atto?  Or  l'Inconoscibile,  il  nesdo quid  de' filosofi  dell'avvenire  che  ha  da  essere  Forza e  Pensiero,  é  per  V  appunto  cotesto  atto;  é  l'Atto  della natura,  in  quanto  la  natura  è  potenza;  ed  é  l'Atto  dello spirito,  in  quanto  lo  spirito  é  adus  in  adu,  e  perciò infinita  potenzialità.  Ma  un  atto  che  dee  contenere  la natura  e  lo  spirito,  e  che  quindi  ha  da  essere  Pensiero e  Forza,  non  è  per  ciò  stesso  un  Primo  e  nel  medesimo tempo  un  Ultimo?  Non  sarà  quel  primo  e  quell'ul- 

timo anello  a  cui,  per  dirla  con  Aristotele,  tutto  è  so- speso, €  al  quale  tutto  s' indirizza.  * Se  non  che,  comunque  si  voglia  riguardare  il  con- cetto del  multiplo  e  quello  dell'  unità,  la  relazione  che vi  si  occulta  tien  sempre  del  quantitativo,  dell'estrin- seco, del  matematico,  del  puramente  logico.  La  ragion metafisica  positiva  può  andare  un  po'  piiì  in  là,  potendo volger  r  occhio  a  qualcosa  di  piii  riposto,  di  più  intimo, di  più  affine  alla  nostra  natura.  Ella  dee  muovere  dal- l'uomo  stesso,  dallo  spirito,  dalla  psicologia,  dalle  idee, come  abbiam  visto  nell'  altro  capitolo  ;  e  però  movere altresì  da  im  immediato,  da  un  certo  eh'  é  anche  un  vero, dal  concetto  della  triplicità  psicologica.  La  quale  essendo soggetto  oggetto  e  relazione,  importa  la  legge  della medesimezza  e  della  difl'erenza  con  sé  medesima,  e  con la  natura:  importa  una  sintesi  iniziale  e  originaria  che  sia TÒv  avw  s;i^ovToc  ckpy^rtv,  {Metaph.,  II).  In  altro  laogo  dice  che  terra e  cielo  sono  sospes  al  suo  principio  immobile  {Td.,  VII,  12).  Ma  couie Ti  stan  sospesi?  Ecco  nno  degli  errori  metafisici  dell' Aristotelismo. insieme  unità  e  dualità.  Or  cotesta  triplicità  psicologica rudimentale,  che  incarnandosi  nel  gemino  processo  teore- tico e  pratico  della  psiche  umana  attinge  dignità  d' au- tocoscienza e  di  Ragione  spiegata,  noi  possiamo  innal- zarla a  valore  non  già  quantitativo,  ma  essenziale,  ciò è  dire  non  a  valore  puramente  concettuale,  ma  ideale. 

Ella  quindi  ci  si  presenterà  determinata  nella  pienezza delle  tre  somme  primalità  che  sono  il  conoscere,  il  vo- lere^  il  potere.  Di  queste  tre  somme  primalità  appunto dee  potersi  essenziare  (come  osservò  prima  del  Vico  il Campanella)  il  to'  awroQsrov,  affinchè  egli  possa  aver  na- tura di  Principio  metafisico.*  Laonde  avviene  che  se  co- testa  triplicità,  psicologicamente  avvisata,  è  processo  e moto  e  conato,  metafisicamente  è  anche  un  processo, ma  è  un  processo  già  risoluto;  è  anche  un  moto,  ma è  moto  del  moto;  è  anche  un  conato,  ma  conato  che è  atto.  E  a  diventar  tutto  questo  ella  non  ha  bisogno di  passare  dal  to  ao^io-TÒv  al  to  TcXetov,  dall'omogeneo e  indeterminato  all'  eterogeneo  e  determinato,  dalla  sin- tesi all'analisi,' e  però  da  una  facoltà  o  funzione  in- feriore ed  elementare,  ad  una  facoltà  superiore  ed  at- tuale. Ella  non  ha  bisogno  di  farsi,  di  convertirsi  con seco  medesima  invocando  un  sussidio  dal  di  fuori.  Non ha  bisogno  di  puntellarsi  nel  senso  e  di  mediarsi  con la  natura  e  d' alimentarsi  ne'  fatti  e  d' arricchirsi  del- l'esperienza.  Essa  non  è  intendimento,  nettampoco immaginazione.  Non  è  libero  arbitrio,  nettampoco  pas- sione. Ella  è  piena  libertà,  libertà  determinata,  poi- ché è  piena  e  determinata  ragione.  Ma  non  è  aitasi '  Non  si  confonda  V  uso  che  noi  qui  facciamo  del  concetto  della triplicità  pticologica  nel  chiarirci  la  nozione  dell'Assoluto,  con  l'abuso  fat- 

tosene in  passato  appo  certe  scuole  di  filosofi.  No  rammenta  un  solo  esera- pio.  Plotino  e  gli  Alessandrini,  por  ìspie^rsi  la  triplicità  delle  ipoatati  in Dio,  ricorsero  alla  psicolof^ìa  (Vcd.  A'«n.,  5,  1. 1,  e.  10,  trad.  del  Boulliet), e,  come  k^  storici  sanno,  arzigogolarono  mirabilia  su  la  Intelligenza  su- 

prema onde  rampollano  gli  ordini  del  sensibile  e  quelli  dell' intelligibile. Ma,  com'  è  agevole  vedere,  tanto  il  loro  concetto  della  triplicità  paicoloffiea è  discosto  dal  nostro,  quanto  la  lor  triplice  ipostasi  è  lontana  dal  ter- nario che  la  ragion  positiva,  come  vedremo,  dee  riconoscere  nell'  Assolato. un  processo  tuttoché  sia  un  processo  già  risoluto? Non  vuol  esser  dunque  anche  un  organismo,  eh' è  dire un  processo  teoretico  e  pratico,  e  perciò  determinazione e  genesi  interna  ed  estema?  E  ponendosi  come  Atto, non  ne  segue  che  con  sé  stessa  ella  abbia  da  porre anche  V  altro?  E  che  é  mai  quest' oZ^ro  salvochè  un termine  estrinseco  e  diverso?  Il  Principio  metafisico, dunque,  a  cui  ci  rimanda  il  Primo  vero  metafisico,  non può  non  esser  l' infinito  aUiude,  e  però  V  infinito  Nasse Vèlie  Passe;  dinamismo  intimo,  intima  ed  essenzial generazione  e  conversione  di  sé  con  sé  stessa,  e  col fuori  di  sé.* *  Il  criterio  della  conversione  non  avrebbe  valore  di  principio  ove nou  potesse  applicarsi  anche,  e  soprattutto  all'Assoluto,  assumendo  cosi digrnità  di  Principio  Metafisico.  £cco  Del  suo  linguaggio  mezzo  scolastico il  pensiero  del  Vico  :  Primieramente  atabiliaco  un  Vero  cìie  ai  converta col  Fatto,  e  quindi  raccolgo  in  Dio  essere  V  unico  VERO  percJtè  in  lui 

eontiensi  tutto  il  Fatto.  Però  soggiunge  :  In  Dio  il  Vero  «  converte AD  INTRA  col  Generato,  ad  extra  col  Fatto:  egli  solo  è  la  vera  in- telligenza perchè  egli  solo  conosce  tutto  :  la  divina  Sapienza  è  il  per/ettis' Simo  Verbo  perche  rappì'esenta  tutto  contenendo  dentro  di  si  gli  clementi delle  cose  tutte f  e,  conteucndolif  ne  dispone  le  guif>e  ossiano  forme  dell"  in- finito, e  disponendole  le  conosce,  e  in  questa  sua  cognizione  le  fa,  e  questa cognizione  d'  Iddio  è  tvMa  la  ragione  della  quale  V  uomo  /m  una  porzione per  la  sua  parte,  E  poiché  l'Ente  è  assoluta  conversione  del  Vero  col Fatto  interno  (Generato)  e  col  Fatto  propriamente  detto  (Mondo),  ne viene  che  debb*  essere  altresì  conversione  come  pensiero  e  come  forza, come  Causa  e  Mente,  appunto  percJiì  unica  causa  ^  quella  che  per  produrre V  effetXo  non%  ha  di  altra  bisogno  ;  come  quella  la  quale  contiene  dentro  di sì  gli  elementi  delle  cose  che  produce,  e  li  dispone,  e  sì  ne  forma  e  com- prende  la  guisa,  e  comprendendola  manda  fuori  V  effetto,  (Ved.  liisp.  al 

Giom.  de' Leu.,  II). Per  quanto  questo  lingruaggio  possa  sembrar  vieto  e  coperto  di  muffa scolastica,  nullameno  tornerà  agevole  all'accorto  lettore  potervi  scorgere come  in  germe  la  soluzione  positiva  del  problema  metafisico.  In  queste tre  usate  e  abusate  parole.  Vero,  Generato  e  FaUo,  abbiamo,  per  così dire,  i  tre  punti  ne'  quali  s*  imperna  e  gira  il  processo  idealo  che,  con- siderato in  se  proprio,  costituisce  la  dialettica  discensiva.  Qui  è  la  so- stanza, com'  è  noto,  e,  sto  per  dire,  il  nocciolo  della  teorica  cristiana, ma  ^levata  al  supremo  valor  razionale  e  speculativo  oud'è  capace:  ed è  il  fine  (chi  ben  consideri  la  storia  della  filosofia  cristiana  e  non  cristiana, ortodossa  ed  eterodossa)  a  cui  par  che  convergano  insieme  e  riescano  il 

Platonismo  e  l'Aristotelismo  nello  differenti  loro  forme  isteriche.  Sennonché si  badi  a  non  pigliar  come  ripetizioni  vano  certe  analogie  e  somiglianze  di H  Vero  dunque  è  l'Essere;  e  cotesto  Essere-Vero non  sarebbe  tale,  ove,  anziché  identità  sostanziale  dei- Tessere  e  del  conoscere,  anziché  assoluta  unità  e  assoluto monismo,  non  fosse  invece  un'  essenzial  dualità  e  ^nità, essenzial  conversione  del  soggetto  con  V  oggetto,  e  quindi medesimezza  e  differenza  attuale.  Qui  dunque,  innanzi tutto,  il  nostro  filosofo  corregge  Aristotele  come  quegli  il quale  disconosce  una  condizione  eh' è  l'interna  necessità della  stessa  natura  dell'Assoluto.  Lo  Stagirita  pronunzia: ecTTtv  >j  vó>?o"ec  vovìtso;  vó/jtc?.  Ma  fo^c  che  l' eccellenza  del pensiero  starà  nel  pensar  solamente  sé  come  sé,  e  non anche  sé  come  altro?  ^  Una  Visione  veggente  Sé  stessa non  ^  un  atto  sterile  e  solitario?  Vedere  non  è  anche operare?  Pensare  non  è  generare?  Ov'è  dunque  il  gran linguaggio,  che  qui  il  Vico  potrebbe  aver  con  altri  filosofi.  Mi  spiego  su- bito. Per  sant'Agostino,  per  es.,  intelligibilità  e  realtà  si  compenetrano insieme,  e  danno  luogo  alla  natura  assoluta  formando  così  il  Vero-EnU fVed.  SolU<^,,  lib.  II.  De  vera  Relig.,  XXXVI.  De  Trìnitat.,  lib.  V).  Su  per giù  si  può  dir  lo  stesso  d'  altri  filosofi  cristiani  fino  a  san  Tommaso,  e anche  fino  al  Rosmini  {Nup.  Sag.,  Sex.  VI,  P.  IL  e.  II).  Ora  la  novità  del filosofo  napoletano  sta  nell*  avere  impresso  a  cotesto  concetto  virtù  d'uni- versalità superando  la  coscienza  religiosa,  come  vedremo  fra  poco,  e  nel- r  averlo  applicato  a  tutt«  le  sfere  della  realtà,  nonché  a  tutti  gli  ordini  del sapere.  Questo  almeno  risulta  dal  modo  con  che  dobbiamo-interpretare  ed 

esplicare  con  la  ragion  filosofica  positiva  il  suo  pensiero.  Per  esempio,  nella progressione  degli  enti,  il  filosofo  cristiano  non  iscorge  ombra  di  processo; ed  è  un  assurdo  per  lui  tanto  che  la  sostanza  vitale  pulluli  dalla  corpo- rea, quanto  che  l' anima  razionale  sgorghi  dall'  irrazionale  (Auodst.,  De An.  ec.  I,  II.  De  Civ.  Dei,  XII.  De  Jmm.  an.,  24.  Così  pure  il  RosMiin, PncoL,  ed.  cit.,  v.  I,  XXIII  ;  Antropologia,  1.  IV,  e.  V).  Ora  applicando  il principio  della  Conversione  noi  abbiam  fatto  vedere  come  e  quanto  egli riesca  originale  nella  psicologia  ;  e  nulla  diciamo  quando  poi  si  applicasse, come  ha  saputo  fare  lo  stesso  Vico,  allo  svolgimento  de*  fatti  storici,  del che  la  Sdenta  Nuova  ò  tutta  una  dimostrazione.  La  stessa  originalità  nel- r  applicarlo  al  problema  metafisico,  che  vuol  dire  alla  costrnttura  organica 

e  catecrorìca  dell'  essere,  come  tosto  vedremo.  Sicché  vorrò  concludere  che sotto  alla  vecchia  buccia  qui  si  occulti  un  pensiero  metafisico  spirante, mi  pare,  freschezza  e  originalità.  Il  difficile,  al  solito,  sta  nel  sapere  sce- gliere il  punto  di  mira  per  guardarlo. *  Ecco  in  che  sta  proprio  tutta  la  magagna  della  metafisica  aristo- telica: se  V  Atto  non  fosse  voyjVtc  vo/Itso;,  cioè  vo>?(T«oc  proprio  in  sé, e  s'  avvilirebbe  :  Tò  9st6xarov  Y.ot.1  to'  rifxtwTatov  vote,  xa/  ou fAsra^aXXci  *  «t;  ;^«t/90v  7à/9  ^  /x£Ta6o>KÌ.  Metaph.,  1.  XII,  9. pensiero  aristotelico  della  facoltà  che  pone  il  proprio obbietto  e  se  ne  distingue  ?  E  perchè,  mai  non  applicarlo anche  all' Atto,  e  soprattutto  all'Atto?*  U  Essere-Vero dunque  è  mestieri  che  sia  anche  Verbo,  anche  Fatto intemo,  anche  Generato.  Che  cos'è  il  Generato?  Non  è 

luce  metafisica,  non  è  oggetto  indeterminato  e  primigenio posto  da  natura,  come  nella  genesi  psicologica;  ma  è  luce e  colori,  è  oggetto  determinatissimo,  perchè  è  insieme la  natura  e  ciò  che  è  sopra  alla  natura.  È  dunque  il diverso,  il  diverso  dell'identico;  al  modo  istesso  che  il Vero  è  l'identico  del  diverso.  Perciò  è  l'intelligibile che,  mentre  adequasi  con  l' intelligente,  se  ne  distingue. Perciò  è  il  pensante  che,  convertendosi  col  pensato,  è pensiero,  e  quindi  è  in  sé  medesimo  il  trinuno.  Se  dun- que l'Assoluto  è  generazione  e  dinamismo  interiore,  per ciò  stesso  è  Mente:  prindpium  unum,  Mens.  Or  come potrebb'  esser  mente  senza  esser  cagione,  attività,  ener- gia,e  quindi  idea,  possibilità,  relatività,  infinità,  mol- tiplicità  ideale? Ma  se  qui  il  nostro  filosofo  corregge  l'Aristotelismo, invera  nel  medesimo  tempo  il  Platonismo.  Il  Generato del  Vico,  in  quanto  è  termine  di  generazione  ad  intra, è  appunto  la  benintesa  idea  platonica.  Cote$ta  idea platonica  non  è  assoluta  Unità,  né  assoluta  Moltiplicità *  Ma,  si  badi:  il  difetto  metafisico  dell*  Aristotelismo  non  è  tale  che 1*  annnlli  e  distrugga  addirittara,  ed  è  appunto  per  questo  che  Aristotele non  potrà  esser  mai  in  etemo,  né  un  idealista  assoluto,  nò  un  positivista, anzi  così  egli  si  presenta  come  una  confutazione  parlante  deir  Hegella- nismo,  e  del  Positivismo.  Voglio  dire  in  sostanza  che  il  principio  metafisico 

dello  Stagirita  non  è,  propriamente  parlando,  erroneo,  ma  incompiuto; e  però  è  tale  che  corregge  benissimo  sé  stesso.  In  che  modo?  Se  V  Atto ha  da  esser  davvero  quello  che  dice  Aristotele,  ne  viene  che,  metafisica- mente e  logicamente,  è  impossibile  un  Actu»  pwru»  ab^olute.  Gli  Alessan- drini se  ne  accorsero;  e  questo  è  precisamente  e  principalmente  il  lor merito  di  fronte  air  Aristotelismo.  La  verità  della  Scuola  d'Alessandria e  dell* antico  Neoplatonismo  sta  chiusa  in  questo  poche  parole:  [0,in ptaiix JfiTai  Twv  ci^wv  xarà  to  tv  caurw  voitjtov  o'  vou?.  Vod.  Proclo in  Parm.  1.  V,  p.  152.  Lo  stesso  dicasi,  come  vedremo,  del  Platonismo;  e così  può  affermarsi  che  Tesigenza  della  correzione,  nel  concetto  metafi- sico deU'ano  o  dell*  altro  sistema,  sia  reciproca. in  sè.  Non  è  l'identico,  ne  il  diverso.  Non  è  il  moto,  ne la  quiete.  È  dunque  l'una  e  l'altra  cosa  ad  un  tempo istesso.  È  dunque  il  tò  E?a/yv>?;  senza  cui  ella  riescirebbe affatto  inintelligibile,  e  assurda  ;  e  quindi  ci  significa  il Momento*  nel  quale  è  insieme  numero,  senza  cessare d'esser  altresì  unità  essenziale:  talché  costituendosi centro  e  circonferenza  ad  un  tempo,  rende  siffattamente possibile  l'accordo  de' contrari.*  E  tale  accordo  sarà  pos- sibile a  questo  sol  patto  :  che  il  Momento  sia  non  pur  la Nó»Ttc  vóvjTswc  dello  Stagirita,  ma  eziandio  Mente,  e  perciò Mente  e  Verbo,  Vero  e  Generato,  e  quindi  fornito  della virtù  onde  lo  fa  ricco  il  filosofo  Ateniese.'  Così  inter- pretando il  to'    E^otéipvvjc  (senza  confonderlo  col  fjura^y.l'kety che  sarebbe  confonder  la  condizione  col  condizionato,  il Generato  col  Fatto),  non  verremo  a  contraddire  al  con- 

tenuto degli  altri  dialoghi,  massime  al  Sofista  ove  la natura  dell'Assoluto  ci  è  determinata  come  pensiero,^ come  mente,  e  perciò  come  pienezza  di  vita  e  d' asso- luta realtà.' *  Il  Ficino  traduce  1*  'E^ai^vvj^  per  Mom€ntumindimduum;mii  in  qae- Bta  parola  e*  è  qualcosa  di  più,  esprimendoci  propriamente  V  istantaneo  ;  ed ecco  perchè  Platone  lo  dice  di  natura  mirabile  e  etrana:  ^ tUTcc  aroTróf  tc^. *  Partn.,  155,  E;  157,  B. *  *AjO  ouv  ìttì  to'  (xxoTTtìv  TOUTO,  sv  w  tÓt'  av  ety?,  ots  fiSTa- ^dXktfj  Tò  TToìov  5vi  ;  To'  e^at^vyj?.  rò  ydip  i^at^vrjc  Toeòv^j  ti Jfocxf  a^juatvecv  wce?  «xatvou  ^«TaSaXXov  sìq  ixoirspov,  ov  yxp i'A  ye  Tov  io-Tavai  sttùtoì  in  asTa^séXXst,  ou5'«x  tkj;  kiwitsoì? xtvovfx«v>ic  «TI  fj.tr OL^iWti'  àW  Tn  i5at^v«c  auT>j  fvtriz  oironóz Ttf  iyìndBrirat  jExcTa^u  tt^C  xiv>jo'««c  rt  y.olI  «rTOCTEwc,  iv  XP^'*^} orjSsvi  ouTa,  xat  te;  TavTvjv  5vì  xai  e'x  TauT>JC  to  rs  xtvov'jEXffvov fjitra^oiWsi  ini  tò  éo-Tavai  xa«  tò  écTOc  «Vi  tÒ  xivelo'dae. Kcv^uvsùst.  Kat  to  ?v  5v7,  etnsp  «a"Tv?x/  Te  xat  xivjÌTat,  /xsTa- 6a^^oi  av  if  éy.drtpOL'  fjLÓvwi  ydp  av  outo?  àp^ÒTSjoa  Trotot'y»* /xeTa6a).>ov  5'  sfat^vvjf  /xsTaéai^ft,  xac  ot£.  /xsTa€a»e£,  ev ou^evt  XP'^'^V  *^  ^^^'j  ou5«  xtvofT*  av  tòts,  ou5'  àv  ^rxirt. (Parm.  156.,  d.) *  Te  9:  ;  TO  7t7vwTXJCvì5  to  yiyvtàTìLsv^^ai  fCt.TS  noinuoc  I Tra^o;  :^  àfifòrspov;  -^  to'  asv  7ra3-/?aa  to'  ^s  5aT£^ov;  ì^  ttzv- TCCTra^tv  ou5sTg/30v  ouJiTfi^ov  TOUTwv  ^fTaXau/Savsev*  (Soph., p.  248,  D.)     ^ 

'  Té  dai  itpò%  Atò;;  wc  a^>J'9'wc  x«vT7Ttv  xat  ^w>jv  xat  >/'vxiQv xa*  ^^óv>70'iv  tJ  paSi(ùi  7re£j3>jo"ò|txjOa    t«  TravTsXw;   «?vti    /x>: Ma  se  r  Idea  è  il  Generato,  e  quindi  rispetto  al  Vero è  il  diverso  dell'identico  (tò  jts^oov),  ciò  nondimeno  rav- visata in  sé  medesima  ella  è  un  possibile  ;  e,  in  quanto possibile,  è  anche  il  medesimo  d' un  altro  diveiso. Poiché  se  di  sua  natura  eli'  è  possibile,  deve  impor- tare una  moltiplicità  opposta,  estrinseca,  reale,  deter- minata; deve  necessariamente  importare  il  diverso,  il quale  sia  tale,  non  solo  di  fronte  all' ofóro,  cioè  rispetto al  Generato,  ma  anche  in  sé  stesso  (tò  aXXo).  E  se  non includesse  cotesto  diverso?  Se  non  l' includesse,  finirebbe d' esser  possibile,  e  negherebbe  sé  stesso.  Perciocché  un possibile,  il  quale  non  si  potesse  mai  recare  ad  atto, evidentemente  sarebbe  un  impossibile  addirittura,  o  al più  un  possibile  infecondo  e  fantastico.  Laonde,  poiché il  Generato  é  infinita  idealità,  e  quindi  infinita  possi- bilità, però  devesi  necessariamente  convertire  col  Fatto  : é  si  converte  in  quanto  lo  fa;  si  converte  in  quanto  lo pone.  Il  Vico  dunque  ha  detto  giustissimo:  Il  Vero  si converte  ad  intra  col  Generato,  e  ad  extra  cól  Fatto. Or  che  cos'  è  mai  cotesto  Fatto?  È  anch'  egli  il  diverso dell'  identico,  il  diverso  del  Generato  ;  ma  é  il  diverso  in sé  proprio  (tò  a).Xo),  il  mondo.  Poiché  quantunque  il  Fatto 

e  il  Generato  sieno  moltiplicità,  nonpertanto  l'uno  é ,  moltiplicità  reale,  e  1'  altro  ideale  ;  talché  se  la  prima  si 7r«/oetvac,  innari  K^v  aiiro  ^>j5s  (ppovelv  ùWoi  (rtfj.'^òv  zat  oiytov voùv  oux  <;^ov  àxcvyjTov  eoro^  stvat.  (Id.  2t9.)  Cosi  pare  verremo a  correggrorOf  come  altrove  toccammo^  il  concetto  dell*  assolato  al  modo che  ci  è  dato  nel  Timeo  come  nxrrìpy  come  ttocvjtvJc  e  come  Jyj^toUjO- 70;  Toù  y.oTfxou.  E  considerando  nelP  Aristotelismo  e  nel  Tlatonismo il  concetto  della  provvidenza;  si  potrebbe  cosi  accostar  fra  loro  in qualche  modo  il  Dio  immobile  e  la  pura  intelligenza  dell*  uno,  col  Dio che  è  intelligenza  e  forza  e  potenza  e  sapienza  dell'  altro.  In  Aristotele Dio  non  prevede,  nò  provvede;  e  pure  ha  da  movere  come  causa  finale. Il  Dio  di  Platone,  per  contrario,  vede,  prevede,  sa  tutto,  e  provvedo  a 

tutto.  Ora  intendendo  ri^ai^wj^  col  concetto  Vichiano  del  Generato^ Iddio  vede  bensì  e  anche  provede,  ma  non  per  questo  provvede,  come diremo  più  in  là.  —  Finalmente  osserviamo,  che,  quant'  al  significato razionale  dell'sHat^vvj;,  lo  stesso  Aristotele  ci  potrebbe  forse  illuminare là  dove  dice  che  per  Platone  'Ile  ouVt'a?  Ttvò;  outt?;  auTOÙ  tou svoc.  Metuph.f  X,  2. converte  con  T  unità  in  quanto  si  fa  uno,  la  seconda  poi  si converte  con  T  uno  in  quanto  vi  si  compenetra;  e,  com- penetrandosi, non  è  moltiplicità  in  sè^  ma  è  tale  in  re- lazione al  Fatto.  Però  la  loro  medesimezza,  ripetiamolo, riguarda  gli  elementi  e  la  legge,  essendo  che  tanto  il Fatto,  quanto  il  Generato,  sono  una  conversione  ;  mentre 

la  differenza  ne  riflette  il  contenuto,  V  essenza,  la  natura. Se  intanto  questo  è  vero,  chi  dirà  che  fra  l' un  termine  e r  altro  corra  una  semplice  attinenza  d' opposizione  an- ziché di  conversione  !  Non  intopperemmo  così  negli  as- surdi dell'Idealismo  assoluto?  Dunque  il  Fatto  è  pro- cesso, e  quindi  riproduce  la  medesima  legge.  Egli  dee convertirsi  con  se  medesimo  e  diventar  Vero,  per  indi convertirsi  col  Generato  sotto  forma  di  scienza,  che  è il  grado  supremo  di  conversione  cui  si  possa  innalzare il  finito.  Perchè  dunque  il  mondo  è  Conversione  del Fatto  nd  Vero?  Appunto  perchè  l'Assoluto  è  Conver- sione del  Vero  col  Generato  e  col  Fatto,  La  prima  di queste  due  affennazioni  costituisce  la  Formala  cosmo- logica del  Vico:  la  seconda  racchiude  la  sua  Formala metafisica.  Chi  accetta  l' una  (e  bisogna  accettarla  per- chè è  un  fatto)  non  può  ragionevolmente  ripudiar l'altra.' *  La  coDsegnienza  che  traesi  da  questo  discorso  è  facile;  ed  è  che non  potremo  giugnere  a  spiegare  il  finito  né  intender  la  sua  natura  e determinare  in  modo  positivo  il  Tincolo  che  lo  annoda  air  Assoluto,  figu- randocelo come  simbolo,  immagine,  ritratto,  similitudine,  imitazione, partecipazione  del  Vero,  e  simili.  Il  Fatto  è  il  Vero,  sta  bene  :  ma  è  il Vero  come  Fatto  ;  e  però  è  un  Dio  contratto  perchè  è  Infinita  potenzia- lità. La  metessi,  la  crecmone,  com'  è  intesa  dagli  ontologisti,  non  dice  nulla, 0  pochissimo.  Creare  è  cavar  dal  nulla:  ma  che  cos'è  questo  cavar  dal nulla  t  Tutto  ciò  è  ragionare  sopra  vuote  astrazioni,  e  lavorar  di  meta- 

fore poetiche  come  giustamente  diceva  Aristotele  contro  i  Platonici  : TovTO  siri  ìtevoloystv  y.ocl  pera^o^à^  \i'yit^  TrocyjTCxa;.  Somi- glianza e  partecipazione  son  relazioni  entrambe  insufficienti,  anzi  erronee in  quanto  che  l'una  pecca  per  difetto,  e  1*  altra  per  eccesso.  La  prima non  importa  nessun  vincolo  causale  ;  e  quindi  lascia  il  tempo  che  trova. La  seconda  poi  dovrebbe  esprimerci  qualcosa  di  più,  se  pur  non  vogliamo dire  con  Aristotele  ch'ella  sia  la  stessa  |xi/xgTcc  pi^orìca  battezzata con  titolo  nuovo.  Nel  V  della  Rep.  si  dice  :  aura    //f  v    Iv    i xao'Toy Gol  concetto  metafisico  che  siamo  venuti  sin  qui rapidamente  lumeggiando,  il  Vico  ci  fa  capaci  d' inter- etvac  T>f  §e  twv  7r/)afg&)v  xa^'  coìpidrMv  xac  à.'k'kri'Koìv  xotvwvta navrot^^v  yavTa^ópsva  no'kXd  yatvff^at  Ixa^Tov.  Qui  pare  che r  idea  8i  divida,  si  rompa,  si  spezzi  nella  moltiplicità  fenomenalef  e  co- stituisca il  positivo  del  fenomoDO,  ma  nella  forma  inadoquatadeir esten- sione: e  siamo  quasi  all'idea  hegeliana  che  passa  ad  tsaer  natura,  che si  contrappone  nella  natura,  che  jiiventa  natura.  Perciò  la  metessi  de*  pla- tonici mostra  sempre  un  carattere  di  passività  anzichò  di  attività,  ap- punto perchè  viene  di  su,  mentre  dovrebbe  partire  di  gii,  ed  estrinsecarsi per  opera  e  virtù  del  Fatto  in  quanto  è  infinita  potenzialità.  Questo  ca- rattere passivo  della  metessi  platonica  si  scorge  anche,  e  non  dovrebbe, nel  Parmenide:  tÒ  elvat  ^Wo  7t  eTTtv  ri  p.:'0s5'C  ouTicz;  ^era ^povoìj  70Ù  Tra/oovTOff  (151,  E).  La  metessi  dunque  spiegherebbe  troppo; perchè  il  nesso  tra  l'idea  e  la  cosa  verrebbe  ad  esser  cotanto  immediato, 

da  non  farci  discernere  fra  1' una  e  l'altra  nessun  divario  essenziale;  e così  avremmo  V  identità  come  essenziale,  e  la  diversità  come  fenomenale. Or  se  l'Assolato,  perchè  davvero  sia  tale,  ha  da  ossero  innanzi  tutto  una conversione  di  sé  con  sé  stesso,  deve  risultare  indivisibile  e  imparabile nella  sua  stessa  moltiplicità  infinita:  e  se  il  mondo  ha  da  essere  anche  lui una  conversione  di  so  con  sé,  ne  segue  ch'egli  debb' essere  essenziale moltij^icità,  moltiplicità  in  sé,  diversità  in  sé;  tanto  che  l'unità  pro- gressiva, che  in  lui  si  agita  e  vive  e  spicca  sempre  più  ne'  diversi  gradi della  realtà  cosmica,  sia  ben  altra  cosa  dell'unità  che  dimora  in  seno all'  Assoluto.  Dunque  il  Vero  che  si  converte  col  Fatto,  cioè  (per  parlare il  linguaggio  degli  ontologisti)  l' infinito  che  pone  il  finito  è  anche  finito, ma  non  si  confonde  per  vorun  modo  con  lui.  E  non  può,  per  queste  duo semplicissime  ragioni:  1*  perchè,  se  cosi  fosse,  ne'  due  termini  avremmo una  ripetizione  sostanziale  inutile,  e  quindi  potremmo  cancellar  l'uno  o l'altro  addirittura,  e  così  finirebbe  per  aver  ragione  il  panteista;  2®  perchè un  infinito  avrebbe  a  partorire-,  produrre  o  porre  un  altro  infinito,  e  cosi negherebbe  sé  medesimo.  D'altra  parte,  se  il  Fatto  devesi  convertire con  sé  medesimo  facendosi  Vero,  cioè  facendosi  infinito  essendo  poten- Mialità  in/inUaf  non  per  questo  si  potrà  credere  eh'  ei  si  possa  identificar con  lui,  per  le  due  ragioni  detto  poco  fa.  Dunque  stiamo  contenti  al  quia  ! né  identità  oMolutaf  nò  aseotuta  diversità,  ma  conversione.  E  però  le  idee platoniche  non  sono  da  intendersi  né  come  7ra/9a^u7/xaTa,  né  come vov}^KTa,  secondo  che  vogliono  due  schiere  d'interpreti.  Se  fosse  così  ne verrebbe,  nel  primo  caso,  che  Vid^a  dovrobb'  esser  presente  alla  cosa  in 

maniera,  che  questa,  tanto  nella  sostanza,  quanto  nel  movimento,  tanto  nella materia,  quanto  nella  forma,  dipenderebbe  onninamente  dalla  prima, ed  altro non  sarebbe  fuorché  una  semplice  sua  copia;  e^allora  non  avremmo  bisogno d'un  Dio  artefice, non  del  SnfAioxjp'yoi  del  Timeo,  non  del  deus  ex  macchina dall'ontologista,  né  della  magna  Idea  degli  Hegeliani.  Nel  secondo  caso poi  r  idea  sarebbe  un  termine  del  soggetto,  ma  un  termine,  dirò  così, meramente  soggettivo:  somiglierebbe   quindi,  anzi  8areb))e  addirittura pretare  in  modo  razionale  e  positivo  l' intuizione  reli- giosa del  Ternario  cristiano. La  cognizione  immediata  e  divinativa,  in  questo  e in  ogn'  altr'  ordine  di  conoscenze,  previene,  come  V  om- bra la  persona,  i  portati  della  speculazione  metafisica. 

Così  prima  ancora  che  la  Scuola  d'  Alessandria  si  pro- fondasse nelle  ardite  e  vaporose  elucubrazioni  su  la triplice  ipostasi  Plotiniana,  il  mistero  della  Trinità  al- bergava di  già  nella  coscienza  popolare  siccome  oggetto d' intuizione,  e  cominciava  a  rivestir  forma  e  valore dommatico  *  mercè  la  Riflessione  teologica.  L' Assoluto è  uno  e  trino;  è  trinuno:  e  noi  ormai  lo  sappiamo.* Ma  è  egli  un  trino  ipostatico?  E  qual  n'è  l'essenza? L'assoluto  importa  tre  ipostasi:  ecco  il  mistero,  ed ecco  la  fede.^  Quanto  a  determinarne  l' essenza,  la  spe- culazione occidentale,  anche  sotto  forma  di  speculazione teologica,  non  poteva  non  interpretare  le  divinazioni altrettanto  spontanee  quanto  ricche  e  feconde  della 

coscienza  orientale  essenzialmente  religiosa,  con  l'in- V  inteìligìbUe  del  Dio  aristotelico,  con  1*  intelllgrente  formerebbe  identità essenziale;  e  allora  le  idee  non  sarebbero  essenzialmente  relative  quali appunto  sono  richieste  dall' economia  del  sistema  platonico,  e  T  esigenza vera  e  giusta  della  metafisica  platonica  sparirebbe.  Dunque  cotesto  idee plaioniche  come  s'hanno  da  intendere?  Le  idee  platoniche  sono  T'Egac^v;? stesso,  ma  concepito  come  essenzialmente  relativo  &\VaUro,  ma  iiValtro  non già  come  tò  trspoif  puro,  assoluto,  bensì  come  70  ìrspov  in  quanto  abbia un  riferimento  necessario  al  rò  àWo,  A  questa  maniera  non  è  altri- menti vero  che,  accettando  le  idee  platoniche,  debbasi  accettare  altresì la  dottrina  dell' avajtzvYiTcCt  come  han  detto  certi  critici  moderni:  e neanche  si  è  costretti  ad  accettarla>  nelle  forme  nuove  ond'  è  stata presentata  da'  moderni  neoplatonici,  dal  Malebranche  fino  al  Mamiani. «  SiMOX,  ffitt.  de  VEcole  d'Alex.,  v.  1,  lib.  I;  lib.  II,  e.  IV. '  Il  tre  è  il  numero  che  assolve  tutte  le  condizioni  della  perfeziono, ed  è  perciò  che  tutto  è  definito  del  tre:  to'  Tràv  y.(xt  to  Travra  rof; TùtTiTt  (fìptfTTat  (Arist.  De  Coelo,  I).  Vedi  le  belle  riflessioni  del  Gio- BRRTi  su  la  Trinità  considerata  razionalmente  {FU,  della  Rivelaz..,  XVIII) e  di  Tommaso  Rossi  {Regno  di  Dio  naturale,  ecc.  li  Studi  di  Giordano Zocehif  ed.  cit.) '  Prendiamo  la  parola  tpostcm  nel  significato:'  istiano  non  già  nel senso  neoplatonico  e  alessandrino. dirizzo,  al  solito,  dell' Aristotelismo  e  del  Platonismo. Il  peripatetico  nominalista  ripone  la  divina  realtà  ed essenza  nelle  triplicità  di  persone,  e  riguarda  l' unità come  un  puro  nome.  Tre  sostanze  indipendenti  e  sepa- 

rate, ma  congiunte  in  unità  mentale.  Perchè  congiunte? Perchè  fomite  d' egual  potere,  d' egual  volere,  d' egual conoscere.  Il  realista  platonico,  per  contrario,  vuol  far consistere  l'essenza  divina  nella  realtà  in  quanto  è unità  determinantesi  nella  triplicità  di  persone.  Agli occhi  del  primo,  dunque,  l' Assoluto  è  il  tre  in  uno  :  agli occhi  del  secondo  è  Vuno  in  tre:  ecco  la  lotta  interna della  riflessione  teologica  del  medioevo.  Ora  giusto  perchè questa  riflessione  è  di  natura  teologica  e  dommatica, avviene  eh'  ella  non  supera,  non  può  superare  il  senti- mento, né  trascender  l'intuizione,  né  solvere  il  mistero, né  disimpacciarsi  dall'aperta  contraddizione.  Laonde Nominalisti  e  Realisti  vecchi  nuovi,  avvegnaché  discordi nella  maniera  di  determinare  l' essenza  del  Ternario cristiano,  non  sanno  rimuoversi  d'una  linea  dall'inse- gnamento dommatico  su  l' unità  assoluta  nella  separa- eione  delle  tre  persone. Se  il  ternario  cristiano,  in  quanto  germina  dall'in- tuizione rehgiosa,  è  come  l'immagine  anticipata  della ragione,  in  esso  deve  acchiudersi  un  vero  che  la  ragion filosofica  dee  saper  disvelare,  correggere  e  legittimare. Questo  vero  non  risguarda  già  l'unità  nella  triplicità ipostatica:  riguarda  il  trinuno  assoluto,  l'assoluta  tri- plicità considerata,  come  abbiamo  toccato,  nella  mede- 

simezza di  subbietto.  Perocché  l' unità  di  sostanza  mai non  tornerà  conciliabile  con  la  pluralità  di  persone  ;  e se  così  non  fosse,  il  panteista  avrebbe  già  trionfato  nel regno  della  scienza,  né  io  davvero  so  dirmi  che  cosa mai  potrà  rispondere  il  sottile  teologo  all'  arguto  hege- liano, il  quale  pretende  precisamente  questo:  che  la  di- versità delle  persone  non  dimostri  nuli'  affatto  la  plu- ralità delle  sostanze.  Il  perché  pigliando  alla  lettera il  domma  della  Trinità,   la  teologia  cattolica  non  si salva  dal  precipitare  nel  tenebroso  vuoto  dell'  assoluta identità.* Il  contenuto  del  ternario  cristiano  adunque  ci  signi- fica le  tre  primalità  del  conoscere,  del  volere  e  del potere,  ma  nella  relazione  del  Vero  che,  convertendosi con  sé  medesimo,  diventa  Generato,  e,  come  Generato, come  Verbo,  è  infinita  idealità  e  possibilità  del  Fatto. Interpretandolo  così  accade  che  l'intuizione  religiosa, generatasi  per  leggi  inerenti  allo  stesso  processo  psi- cologico, rinverghi  col  concetto  metafisico  a  cui  può elevarsi  la  ragion  filosofica  positiva;  e  quindi  può  dirsi che,  come  la  religione  è  il  preludio  naturale  e  neces- sario alla  filosofia,  di  pari  modo  la  speculazione  meta- fisica sia  la  interpretazione  critica  e  Tinveramento  delle intuizioni  spontanee  e  comuni  della  coscienza  religiosa. 11  cristianesimo  è  la  religion  razionale  per  eccellenza,  e con  essa  oggi-  chiudesi  il  corso  e  ricorso  delle  creazioni propriamente  mitologiche  e  delle  grandi  rivelazioni  e divinazioni  religiose.  Ed  è  razionale  perchè  è  in  sé  me- desima processo,  e  svolgimento.  Che  se  anch'  ella  come tutte  le  manifestazioni  della  storia  é  un  processo,  é mestieri  applicare  ad  essa  la  universal  legge  storica  e sociologica  della  Scienza.  Guardata  infatti  nella  sua storia  ideale,  anche  la  religione  é  innanzi  tutto  divinay indi  eroica,  appresso  umana.  E  giugne  ad  essere  umana quando  la  forma  siasi  potuta  elevare  a  cotal  grado  di trasparenza,  che  il  simbolo  palesi  da  sé  medesimo l'idea,  e  il  mito  siasi  venuto  elaborando  così  che  rac- *  Non  poco  8*  illudono  perciò  quo' filosofi  ohe,  come  il  Cusano  fra  gli antichi  e  il  Rosmini  fra  i  moderni,  si  sforzano  d'applicare  a  Dio  il  concetto delle  categorie  col  fine  di  spiegarsi  in  qualche  maniera  il  mistero  della Trinità.  Io  potrò  intendere  il  Cardinal  di  Cusa  dove  mi  dice  che  Unitcu, Iditas  e  Identità»  siano  quasi  i  tre  momenti  dialettici  interiori  dell*  asso- lato. R  potrei  forse  intendere  il  Roto  retano  quand'ersi  studia  mostrarmi che  Realtìk^  Jdeaìità  e  Moralità  sieno  le  tre  forme  in  che  si  determina l'essere.  Ma  come  intenderli  quando  il  primo  d'essi  afferma  che  Vvnità è  il  Padre,  VegtiaglianMa  il  Figlio  e  la  connessione  lo  Spirito,  e  quando il  secondo  applica  alle  tre  persone  quelle  sue  tre  sparute /orm«  ontologiche  f chiuda  un  vero  metafisi(X)  o  morale  che  sia.  Or  se  è tale  il  valore  del  sentimento  religioso  nello  svolgimento 

isterico  della  civil  società,  perchè  dirlo  morbo  della mente,  fiacchezza  della  coscienza  volgare,  abberrazione della  fantasia?  Se  dunque  la  ragion  filosofica  vorrà attingere  anche  qui  forma  razionalmente  positiva,  ella vi  potrà  giugnere  a  questo  sol  patto;  che  il  concetto metafisico  ond'  è  capace,  non  abbia  a  contraddire  in modo  assoluto  ai  portati  della  coscienza  religiosa.  £  se la  religione  dal  canto  suo  vorrà  essere  anch'  ella  po- sitiva e  razionale  e  perciò  rispettabile  e  santa,  potrà essere  tale  a  questo  sol  patto;  che  sappia  porgersi  alla ragion  filosofica  siccome  riprova  e  guarentigia,  tuttoché di  natura  istintiva  ed  empirica,  ai  pronunziati  della speculazione  metafisica.  Anche  qui  regna  la  gran  legge del  concorso  di  forze  combinate,  e  del  loro  corrispon- dersi tanto  necessario  alla  eccellenza  del  risultato.  E  in tal  caso  religione  e  filosofia,  serbando  entrambe  valor positivo  e  medesimezza  di  contenuto,  formeranno  un criterio  al  cui  lume  potrà  esser  giudicata  ogn' altra filosofia  e  religione.  Una  critica  religiosa  che  si  diparta da  questo  principio,  sarà  critica  infeconda  ed  erudita, com'  è  quella  de'  Teologisti  cattolici,  ovvero  critica  esi- ziale e  sistematica  com'  è  quella  de'  mitologi  hegeliani. Tal  si  è  precisamente  il  nostro  concetto  metafisico rispetto  al  ternario  cristiano,  che  è  il  mistero  piii  com- 

prensivo cui  abbia  saputo  elevarsi  la  coscienza  religiosa. L'uno  è  correzione  dell'altro,  al  modo  istesso  che  questo è,  per  così  dire,  guarentigia  sperimentale  del  primo.' *  Qui  abbiamo  dovuto  accennare  solamente  al  simbolo  della  Trinità, ma  nella  Sociologia  mostreremo  di  proposito  come  la  dottrina  del  Vico su  la  natura  ed  origine  del  mito  in  generale,  sia  fondata  anch'ella  nelle  leggri del  processo  psicologico,  e  quindi  racchiuda  il  concetto  e  la  necessità  della interpretazione  morale  nell'ordine  delle  intuizioni  religiose,  e  mitologiche; deHa  qual  necessità  il  Kant,  dopo  il  Vico,  ebbe  assai  chiara  coscienza {Rdig,  daiu  le»  lini,  de  In  raiton).  Ora  ciò  che  qui  preme  osservare questo:  s^  col  concetto  metafisico  del  nostro  filosofo  si  può  acconcia- mente interpretare  il  simbolo  del  ternario  cristiano,  ne  scendono  due 

Concludiamo.  Se  è  vero  che  la  metafisica  è  scienza non  assoluta  ma  dall'  assoluto,  stantechè  sia  possibile attinger  notizia  razionalmente  positiva  circa  il  fonda- conseguenze:  P  che  il  Libro  Metafisico f  nel  quale  troviamo  depositato il  germe  del  concetto  riguardante  il  procesto  ideale,  sia  intimamente  col- legato con  la  Seiema  Nuova,  appo  cui  la  teorica  sul  mito  (superiore sotto  più  riguardi,  come  vedremo,  a  quella  de*  mitologi  e  filologi  Tiventi), non  è  che  un'  applicazione  della  sua  dottrina  psicologica,  della  quale  noi ahbiamo  svolto  i  tratti  principali:  2°  che  interpretando  col  suo  concetto metafisico  il  simbolo  cristiano,  in  generale,  e,  in  particolare,  quello  del ternario,  si  viene  a  contraddire  in  modo  serio  e  positivo  al  panteismo. Anche  per  gli  Hegeliani  il  mistero  della  Trinità,  come  ogn'  altro  mistero, shnboleggia  una  verità  filosofica.  (Heobl,  Phil.  de  VEaprit,  t.  I,  ItUrod. 

del  Vera);  nel  che  siamo  perfettamente  d'accordo.  Ma  l'interpretazione alla  quale  costoro  sottopongon  la  simbolica  religiosa,  anziché  legittimare in  qualche  maniera  la  credenza  elevandola  a  significato  filosofico,  l'annul- lano addirittura,  perchè  la  rendono  assai  più  inintelligìbile  e  parados- sastica  ch'ella  stessa  non  sia  come  credenza.  Idea,  Natura  e  Spirito: Padre,  Figlio  e  Spirito  Santo!  Ma  che  cosa  ci  ha  che  veder  la  Natura? Non  è  egli  questo  precisamente  ìl  vecchio  concetto  degli  Alessandrini,  di Plotino,  che  pretendeva  ritrovare  nel  Parmenide  le  tre  famigerate  ipo- stasi dell'  Unità,  del  Multiplo,  e  dell*  Unità-multiplo,  riponendo  quest'ultimo appunto  nell'anima  e  nella  natura V  {Enn.  lib.  I,  e.  8,  trad.  Boulliet). L' interpretazione  davvero  potitiva  e  non  già  fantastica  del  contenuto religioso,  non  deve  e  non  può  contraddire  al  simbolo  (almeno  per  quel tanto  che  esso  contiene  di  filosofico),  perchè  contraddirebbe  alla  stessa ragione.  Or  quest'  elemento  di  verità,  contenuto  germinalmente  nel  sim- bolo cristiano,  riguarda  per  appunto  il  ternario  considerato  in  sé;  ri- guarda il  ternario  assoluto,  il  ternario  com'è  richiesto  dall'esigenza metafisica  positiva,  e  non  già  il  ternario  trasport-ato  anche  nel  processo della  natura,  e  nello  svolgimento  della  storia.  Questa  enorme  confusione fanno  i  Teologi,  e  la  fanno  anche  gli  Hegeliani  con  la  lor  teorica  e  cri- tica della  simbolica  cristiana.  Che  cos'  è  il  Dio  che  eeende  nella  natura? Che  cos'è  il  Figlio  che  si  parte  dal  Padre  per  umanar»if  Che  cosa  mai sono  il  popolo  eletto,  i  profeti,  gl'ispirati,  il  mondo  latino-cristiano?  E che  cos'  è  la  Idea  che  dall'  astratta  mansione  dialettica  scende  anch'  ella e  passa  mediandosi  nella  natura  e  penetra  nella  storia?  Che  cosa  sono \6  funzioni  storiche  speciali  de'  popoli  privilegiati,  àQ*  privilegiati  perso- naggiy  del  mondo  cristiano-germanico?  L' Hegolianismo  è  davvero  una 

contraffazione  del  più  grossolano  Cattolicismo!  ò  una  mitologia  anche 

lui  !  E  quanti  punti  di  contatto  anche  in  questo,  e  specialmente  in  que- sto, con  la  dottrina  sociologica  dei  Comtiani!  Il  Vera  ha  detto  bene: il  Positivismo  i  una  contraffazione  delV  Heyelianismo.  E  noi  alla  nostra volta  crediamo  dir  benissimo  (col  permesso  dell'  illustre  traduttore)  che r  Hegolianismo  è  una  contraffazione  evidente  del  Cattolicismo.  Ma  di  ciò basti:  ce  ne  rifnrorao  altrove  più  riposatamente. mento  e  la  ragion  delle  cose;  se  è  vero,  d'altra  parte, che  il  significato  esteriore  della  storia  della  filosofia occidentale  sta  nella  lotta  fra  il  Platonismo  e  TAri- stotelismo,  mentre  il  significato  interno  ed  essenziale  di essi  risiede  nella  correzione  vicendevole  de'  due  estremi indirizzi  aristotelici  in  quanto  concorrono  al  trionfo  del- l'indirizzo  medio:  ne  viene  che  nel  concetto  del  Pro- cesso ideale  e  nella  relazione  de'  tre  termini  costituenti la  dialettica  discensiva  che  abbiamo  sin  qui  rapida- mente interpretata  nel  nostro  filosofo,  trovasi  non  pure il  risultato  e  insieme  l' inveramento  delle  tre  posizioni unicamente  possibili  in  metafisica  delle  quali  altrove toccammo  (pag.  444),  ma  l' inveramento  altresì  della doppia  esigenza  deU'ùZga  platonica  e  della  categoria aristotelica.  Trovasi  la  correzione,  come  ci  sarà  dato meglio  vedere  fra  poco,  del  Dio  platonico  previdente  e provvidente,  e  dell'  immobile  Dio  aristotelico  che  nulla 

vede,  nulla  prevede  e  niente  provvede  nel  mondo.  E  per tutto  ciò  troviamo  l'accordo  fra  il  principio  della  me- desimezza che  prevale  nel  padre  della  Dialettica,  e'I principio  della  diversità  che  predomina  nel  padre  della Metafisica.  Cìotesto  accordo  per  noi  è  vero  accordo,  è vera  conciliazione,  appunto  perchè,  come  dicemmo,  è vera  correzione:  correzione  dell'Idea,  dell'essenza  che, pur  sparata,  dovrebb'  esser  l' essenza  della  cosa:  cor- rezione dell' Ji^o  il  quale,  non  ostante  l'assoluta  immo- bilità sua,  dee  muovere  il  mondo  come  causa  finale. Quest'accordo  e  questa  correzione  trovano  lor  saldo 

fondamento  nel  criterio  della  Conversione,  elevato  a dignità  di  Pilicipio  metafisico. E  questo  medesimo  principio  metafisico  può  e  deve assumer  natura,  come  si  disse,  di  principio  speculativo, di  norma,  di  criterio  essenzialmente  isterico,  universale e  comprensivo,  a  poter  saggiare  e  acconciamente  pon- derare la  verità  delle  soluzioni  che  intomo  al  problema metafisico  han  dato  le  diverse  scuole,  e  le  differenti filosofie.  Se  ci  fosse  dato  fermarci  in  siffatti  riscontri storici,  non  sarebbe  guari  difficile  mostrare  come  in esso  trovi  correzione,  per  dir  qualche  esempio,  1'  Ales- sandrinismo; il  cui  rappresentante,  Plotino,  interpre- tando erroneamente  il  metodo  dialettico  del  Parmmide e  abusando  dell'  Unità  parmenidea,  non  potè  coglier  la 

ragione  del  vincolo  che  insieme  annoda  i  suoi  diffe- renti generi  del  sensibile,  co' suoi  generi  dell'intelligi- bile, e  siffattamente  sfumò  nell'iperpsicologismo  plato- nico pur  credendo  d' inverare  l' Aristotelismo.*  Questo vincolo  e  questo  passaggio  non  potè  scorgere  l'ingegno profondo  d'Erigena  con  l'ardito  concetto  della  yuVic  e con  le  quattro  diverse  maniere  onde  per  lui  s'attua la  Natura;  poiché  giunto  all'assoluta  essenza,  com'è noto,  ei  se  ne  ritrasse  invocando  in  sussidio  la  teologia rivelata.*  Né  il  Cusano,  per  citare  un  esempio  del  Ri- nascimento, tuttoché  con  mirabile  acume  giugnesse  a cogliere  il  concetto  àéìT  alteritcLS  e  delle  determinazioni dell'Assoluto,  bastò  a  dedurre  acconciamente  e  neces- sariamente l'attinenza  verace  onde  il  mondo  è  a  Dio congiunto,'  e  anche  lui  finì  con  intender  l'atto  crea- tivo al  modo  che  è  posto  dalla  coscienza  religiosa.  Tanto meno  l'arditissimo  Bruno  potè  imbroccare  nel  segno,  con la  dottrina  de'  tre  intelletti,  quant' all'attinenza  tra  l'in- telletto divino  e  l'intelletto  che  tutto  fa;  *  e  quindi sfumò  in  quel  suo  naturalismo  che  potrebbe  dirsi  un aristotelismo  cui  manchi  il  concetto  dell'Atto  in  sé.  Né il  Campanella  giunse  ad  applicare  in  maniera  dialettica le  sue  tre  primajità  psicologiche  all'  Assoluto,'  come  il Vanini  non  superò  guari  la  dottrina  della  natura  e della  forma  de' peripatetici.  Nello  Spinoza  poi,  meglio 

che  dialettica,  ci  è  meccanica  e  geometria;  poiché  il concetto  della  sostanza  unica'  è  negazione  della  tripli- *  Simon,  BUt.  cit  lib.  U,  e  IV.  V  e  VIL *  Haubiau,  PhU.  Sool.,  ed.  cit.,  t.  I. '  Nio.  DB  Cuba,  DicU.  cU  Pot§e9t. *  Bbono,  Dial.  II,  De  Prine.j  oc. *  Camparblla,  MetapKt  lib.  I,  e.  Ili,  8. *  SpurosA,  £th.t  I,  n.  U,  7. cita  e  d' ogni  processo  intimo  e  dinamico  nelP  Assoluto  ; onde  il  pensiero,  che  è  uno  de' due  modi  universali della  sostanza,  riesce,  con  evidente  assurdo,  molto  piii che  non  sia  la  medesima  sostanza.  In  opposizione  alla sostanza  spinoziana  sta  la  monade  del  Leibnitz.  Ma  se nel  concetto  monadologico  del  filosofo  di  Lipsia  vi  è una  divinazione  originale  che  la  scienza  moderna  è  ve- nuta semprepiii  confermando,  voglio  dire  il  concetto  di- namico, niun  vincolo  razionale  e  dialettico  esiste  tra  la gran  Monade  e  T  universo  delle  monadi,  come  altrove dicemmo.'  E  per  toccare  finalmente  de' moderni,  niuno, tranne  gli  adepti,  vorrà  creder  sul  serio  che  Hegel  col suo  ternario  assoluto  ci  abbia  dato  un  concetto  meta- fisico positivo.  Egli  anzi  ha  cancellato  aftatto  il  concetto della  conversione  ad  intra^  riducendo  siffattamente  il dinamismo  ideale  ad  un  ideale  meccanismo;  talché  il processo  geometrico  della  Sostanza  spinoziana  avrebbe 

più  d' un' attinenza  col  processo  formale  e  dialettico dell'Idea  hegeliana.  Alla  vera  nozione  del  Processo ideale  non  sono  pervenuti  poi  né  il  Gioberti,  né  il  Ro- 

smini. Il  principio  ctisologico  del  primo  è  senza  dubbio un  processo,  come  vedremo  fra  poco  :  ma,  appunto  perchè processo,  non  dovrà  supporre  forse  un  altro  processo  ante- riore, e  superiore?  La  dialettica  giobertiana  é  Una  dialet- tica a  metà;  e  il  creatore  del  filosofo  subalpino  è  troppo accosto  al  suo  concreatore,  alla  sua  iitBì^ic^  al  suo  Intel- ligihile  relativo  che,  coni'  egli  dice,  è  l' Idea  redw^ata, V  Idea  per soìiificata;^  talché  potendovisi  facilmente  con- fondere, non  poteva  àgli  hegeliani  riescir  guari  difficile tirarlo  all'  Idealismo  assoluto.'  Il  Rosmini  finalmente, col  concetto  dell'  ente  iniziale  e  comunissimo  determi- *  Vedi  ciò  che  abbiamo  discorso  del  Leibnitz  nel  lib.  I,  p.  180  e  se^. ■  Gioberti,  FU,  ddla  Rivdaz.,  p.  805. '  Al  Gioberti  manca  e  deve  mancare,  come  vedremo  fra  poco,  il  vero concetto  della  dialettica;  e  Io  confessa  egli  medesimo  là  dove  si  prova a  distinguere  una  dialettica  interiore,  ed  una  dialettica  esterna,  (Protologia, V.  I.,  p.  629,  ed.  cit.) nantesi  nelle  tre  forme  dialettiche,  non  è  giunto,  e  non poteva  giugnere  neanch'  egli  a  sciogliere  e  poi  rilegare il  vero  nodo  dialettico.'  Com'è  possibile  un  processo fra  quelle  sue  tre  forme?  Com'è  possibile  la  distinzione categorica  reale  del  suo  essere? 

Le  cose  discorse  ci  menano  a  due  conclusioni  quanto chiare, altrettanto  irrepugnabili:  P L'Assoluto  è  il  Vero che  si  converte  ad  intra  col  Generato ,  e  ad  extra  col Fatto:  dunque  la  posizione  del  Fatto  è  razionalmente, liberamente  necessaria  :  2**  U  Fatto  è  V  aUrOj  è  il  di- verso: ed  è  tale  per  doppio  rispetto;  come  termine ^05^0, cioè  come  Fatto  semplicemente  detto,  e  come  Fatto  che si  fa  ;  come  sostanza  e  come  causa  :  dunque  il  Fatto  è estemo  al  Generato,  è  indipendente  da  lui,  non  come termine  posto,  bensì  come  Fatto  che  s'invera,  come Fatto  che  si  converte  con  sé  stesso  e  perciò  nel  Vero  ; insomma  come  sorgente  perenne  d'attività.  Diciamolo in  altre  parole.  Dio  crea  il  mondo  in  quanto  lo  pone  ; e  il  mondo,  in  quanto  è  posto  come  fatto,  si  crea.  11 mondo,  adunque,  appunto  perchè  ha  natura  di  Fatto , appunto  perchè  ha  natura  di  altro  sotto  gemino  aspetto, è  insieme  posizione  e  creazione.  È  posizione,  in  quanto è  termine  di  conversione  con  1'  altro,  ciò  è  dire  con  Dio  : ed  è  creazione,  in  quanto  è  subbietto  di  conversione  con sé  e  per  sé  medesimo.  Perciò  se  il  Fatto  non  è  creato ma  è  postOy  ne  viene  eh'  egli  ha  da  essere  il  vero  pò- nente,  il  vero  creante  sé  medesimo.* *  Rosmini,  Teotojia,  toL  I. '  La  parola  ponzione  è  brutta,  io  Io  veggo;  ma  qui  non  saprei  come dire  dÌTersamento  per  non  restare  avviluppato  negli  equivoci  ed  esage* 

razioDi  in  che  sono  caduti  gli  ontologisti  con  V  uso  ed  abaso  deUa  parolA Il  mondo  nel  processo  cosmico  ci  si  presenta  sotto  tre aspetti.  Riguardato  come  Fatto,  egli  è  in  Dio.  Riguar- dato qual  Fatto  che  s'invera  e  converte  con  sé  stesso, è  fuori  di  Dio.  E,  finalmente,  considerato  qual  Fatto  che si  converte  col  vero  nel  regno  della  storia  e  della  psico- logia, non  si  può  dir  propriamente  eh'  e'  sia  fuori  di  Dio né  in  Dio,  ma  Dio  è  in  lui:  é  in  lui  nel  senso  che  il mondo  è  pensiero,  scienza.  Ragione  spiegata.  Ecco  la  cor- rezione e  insieme  l'accordo  del  Dualismo  e  del  Panteismo. Non  vi  é  unica  ed  assoluta  sostanza:  né  vi  sono  due sostanze  poste  empiricamente.  Vi  è  bensì  una  dualità formante  unità:  vi  é  due  sostanze  formanti  organismo. ertaMÌ4me.  Nel  g^reco  non  ini  pare  ci  sia  una  voce  che  possa  rendere  il  con- cetto: anzi  non  ci  può  essere^  chi  consideri  come  al  pensiero  ellenico  manchi r  idea  alla  quale  accenniamo.  Tra  VAtto  puro  e  la  dateria  prima  deir  Ari- stotelismo non  ci  è  vincolo  nel  signifioato  di  potìnofu;  ma  t*  è  solamente relazione  di  finalità,  perchò  VAtto  non  pone,  ma  attrae  ;  e  attrae  la  materia in  quanto  essa  è  jiotoiua,  cioò  in  quanto  è  opi^i^  ;  e  però  in  quanto  nelle cose  Tiene  inserito  il  deeiderio  con  perpetua  in/ueion%  che  è  1*  interpre- tazione erronea  de*  vecchi  aristotelici  e  antiaristotelici  (Rjlvaisbok,  Me- taph,  ec ,  T.  II,  pag.  552).  Neanche  nel  Platonismo  ci  è  V  idea  della  po- sizione, e  quindi  nò  pur  la  parola  che  vi  risponda  ;  essendo  noto  come  pel filosofo  d*  Atene  la  materia  sia  anche  eterna  e  al  tutto  indipendente  dal- l'ùlea,  cioè  un'assoluta  recettività,  iimeno  intendendo  Platone  come  si  fa d'ordinario:  nò  poi  la  fii9t^i^  e  la  yLl^junii^^  come  toccammo,  bastano  ad 

esprimerci  il  concetto  della  conversione.  Il  pensiero  ellenico  dunque  non pervenne  a  determinar  nettamente  l'attinenza  (originaria,  non  finale) tra  l'indeterminato  e  l'Idea,  tra  V infinito  e  il  finito,  tra  la  forma  e l'Atto;  e  quindi  non  riusd,  com'ò  noto,  a  superare  il  Dualismo.  Ora trascendere  il  Dualismo  è  uno  degli  aspetti  e  però  uno  de'  fini  della  lotta fra  il  Platonismo  e  1'  Aristotelismo.  L'  Alessandrinismo  tentò  superarlo, ma  evaporò  nel  concetto  dell'  identità  assoluta  :  e  però  neanche  presso  gli Alessandrini  sarebbe  facile  trovare  nò  il  concetto,  nò  la  parola  che  si- gnifichi '1  vincolo  originario  tra  il  mondo  e  Dio.  Gli  Hegeliani  usano anch'essi,  fra  le  altre  non  meno  brutte,  la  parola  poeizione,  che  anzi costituisce  il  lor  pane  quotidiano.  Ma  per  l' Hegelianismo  poeizione  vale determinazione,  medùizione,  compenetrazione;  e  perciò,  checché  ne  dicano, esprime  un  rapporto  di  natura,  per  cosi  dire,  meccanica  e  formale.  La  no- stra posizione  è  diversa  dalle  loro  quanto  il  nostro  Generato  dalla  loro  Idea; quanto  la  nostra  convereione  dalla  loro  contrappoeizione^  negazione,  me- dÌ€tzione  e  che  so  io.  fe  inutile  avvertire  che  le  parole  bara,  asa,  vasàb della  letteratura  ebraica,  esprimon  tutt'  altro  concetto  di  quello  che  noi intendiamo  significare  con  la  parola  poeizione. Quest'organismo  è  vita,  non  è  morte fqueet'  organismo è  profondo  dinamismo,  non  è  meccanismo.  Ed  è  vita  e -dinamismo,  perchè  non  è  monismo  assoluto;  non  è  mo- nismo inintelligibile,  assurdo,  esiziale  alla  scienza  come alla  civil  società. E  qui  ci  corre  il  debito  di  rendere  giustizia  alla 

mente  straordinaria  del  Gioberti,  e  correggere  nel  me- desimo tempo  la  sua  formola  ctisologica.  Anch' egli  è tal  pasta  d' ingegno  che  si  svolge  e  s' allarga  e  s' in- vera e  si  corregge;  ma  non  per  questo  si  contraddice. La  novità  della  Protólogia  non  istà  nel  concetto  del creare  inteso  come  divenire,  secondochè  vorrebbe  lo  Spa- venta. Se  così  fosse,  egli,  in  verità,  non  avrebbe  detto nulla  di  nuovo;  come  nulla  di  nuovo  disse  nella Introdu' jrìone  col  rinverdire  la  vecchia  idea  della  creazione.  La novità  .vera,  la  nuova  esigenza  del  filosofo  subalpino  sta nel  concetto  della  concreojgione,  com'  ei  suol  dire  ;  della cancrecunone  intesa  non  già  come  fxsOf5«;  dell'Idea  verso il  mondo  e  rispetto  al  mondo,  ma  si  del  mondo  verso r Idea,  e  rispetto  all'Idea.  Perciò  l'Ontologismo  giober- tiano  va  corretto  ;  va  fatto  più  conseguente  con  sé  stes- so :  e,  scambio  della  celebre  formola  dell'  Ente  creante l' Esistentey  è  forza  porre  la  formola  metafisica  del  Vico nella  quale  è  racchiuso  quel  vero  e  compiuto  dialettismo che  r  ardente  scrittore  del  Primato  andò  sempre  cer- cando con  ansia  febbrile,  e  non  trovò  mai  :  cioè  il  Vero che,  convertendosi  ad  intra  ed  Generato^  si  converte  anche ad  extra  col  Fatto.  La  sua  formola  teleologica,  poi,  vuol essere  anch' ella  corretta;  e  invece  d'aflFermare  che  V  esi- stente ritoma  alV  ente  (prima  maniera),  o  che  V esistente concrea  Venie  concreando  se  stesso j  è  d'uopo  dire  che  il 

Fatto  si  converte  nel  Vero  e  col  Vero,  e  perciò  si  crea, e  perciò  si  fa  divino.  ' *  Il  concetto  ctisolo^'oo  del  Gioberti  della  prima  maniera  (e  dico marnerà  per  dir  forma  nello  stiluppo,  non  già  diversità  di  contenuto  nella sua  dottrina,  come  Terrebbero  gli  Hegeliani),  sta  nel  presentar  V  atto  crea- tiro  siccome  prodaconte  T  esistenza  in  quanto  la  individua.  Nella  Intro- Mi  si  chiederà  :  la  seconda  forinola,  la  formola  cos- mologica esprimente  il  vero  concetto  della  creazione, cioè  il  Fatto  che  si  converte  nel  Vero,  esiste  ella  nel  Vico  ?  ' Esiste,  io  rispondo,  per  chi  la  sappia  ritrovare,  e  dedurre  ; e  dedurla  e  trovarla  è  negozio  agevolissimo.  Come  la  si deduce?  Considerando  con  accuratezza  la  sua  formola metafisica.  Quando  egli  pone  il  Fatto  siccome  termine  di duzione  il  creare  suona,  a  dir  proprio,  individuare.  Che  cosa  in£atti  ò r  individuo  ?  È  V  Idea  pasMta  dalla  potenza  alTaUo  (t.  II,  ed.  cit.  p.  195). Qui  t;*  ò  dol  neoplatonismo,  e  anche  buona  doso  di  panteismo.  Della  prima maniera  altresì  è  queir  afTermare  con  tanta  sazietà  che  T  uno  crea  ti  mi«l- tiplof  e  che  ii  tntdtiplo  ritoma  aU^tmo:  concetti  yaghi,  indeterminati  ed erronei  che  ci  fanno  pensare  a  Proclo  e  a  Plotino.  Se  il  Gioberti  fosse rimasto  qui,  non  sarebbe  stato  ingegno  potente  ed  essenzialmente  cor- rettivo di  sé  medesimo.  Non  sarebbe  stato  ingegno  progressivo,  fecondo ed  esplicativo.  Ma  se  nella  Protologia  fosse  giunto  al  concetto  del  divenire, più  che  esplicarsi  e*  si  sarebbe  data  la  zappa  su' piedi;  si  sarebbe  cod- tradetto:  sarebbe  passato  dal  bianco  al  nero,  dal  no  al  sì,  da  Dio  alla  Idea, e  siffattamente  sarebbesi  mostrato  ingegno  leggiero,  pensatore  sghengo  e 

anche  un  pò*  vanesio.  Era  egli  tale  T  ingegno  del  Gioberti?  Lo  dica  chi può  !  Dunque  l' A.  della  Protologia,  se  per  nostro  conforto  fosse  vissuto, non  sarebbe  divenuto  Hegeliano;  anzi -avrebbe  inaugurato  novello  periodo filosofico  in  Italia  conforme  all'indole  di  nostra  mente;  ciò  che  non  ha fatto,  e  non  poteva  faro  il  Mamiani.  II  Ferri  ha  detto  benissimo:  la teconda  JUoaofia  del  Gioberti  {che  racchiude  non  già  un  nuovo  9Ì9tema,  eib- bene  uno  epirito  nuovo)^  inaugura  un  altro  periodo,  la  cui  aorte  i  rieeronta al  futuro  (Hist.  cit.,  voi.  II,  p.  204).  E  davvero,  se  fosse  vissuto,  ci  avrebbe dato  un  Btnnovn mento  filosofico,  al  modo  stesso  che  ci  dìo  il  RinnovametUo civile  col  quale  Inaugurò  la  nuova  Italia,  e  del  quale  Cavour,  dovremmo  es- serne ormai  convinti,  non  fece  che  attuare  il  programma.  Ciò  non  pertanto anche  nella  Protologia  si  scopre  l'uomo  vecchio,  VintuitUta,  e  però  il  neopla- tonico schietto.  Non  dubita  affermare,  per  esempio,  che  Videa  pone  il  finito, e  8i  COMUNICA  fv.  1,  p.  4S4):  che  le  idee  formino  in  Dio  una  gela,  la  quale 9Ì  «quaderna  e  pa^aa  dalV  as9oluto  ed  relativo  merde  V  atto  della  creazione (Id.,  p.  147):  che  V  infinito  attuale  e  V  infinito  potenziale,  anziché  due  cote, formino  una  sol  cosa,  ma  sotto  doppio  aspetto  (p.  440  e  seg.,  special- mente 159):  e  che  l'infinito  potenziale  non  è  né  il  finito  né  1* infinito, ma  la  sintesi  di  essi  (p.  427),  non  {scorgendo  il  grand'  uomo  come  finitò,  e infinità  potenziale  non  siano  già  due  cose,  ma  due  aspetti  d*un  medesimo subbit'tto,  ciò  è  dire  il  Fatto  in  quanto  è  alterità  verso  il  Generato,  e verso  se  st-csso.  Or  le  contraddizioni  da  cui  bisogna  salvare  il  Gioberti nella  sua  seconda  maniera  di  filosofare  sono  queste,  non  quelle  che  ci veggon  gli  Hegeliani.  E  bisogna  salvamelo  appunto,  per  liberarlo  dalle tracce  d* iperpsicologismo,  di  neoplatonismo,  di  alessandrinismo,  d'ara- bismo e  d' hegelianismo  che  pure  contiene. 

conversione  col  Generato,  cioè  il  Fatto  come  Fatto,  come posto;  con  ciò  stesso  ei  ci  dà  questo  Fatto  come  sub- bietto  che  essenzialmente  si  converte  con  sé  medesimo  ; cioè  come  creante  sé,  come  autogenito,  come  conato,  E come  poi  ritrovarla  cotesta  formola?  La  ritrova  chi abbia  occhi  in  fronte  ;  cioè  leggendo  la  Scienza  Nuova.  La quale  è  per  l'appunto  un'applicazione  di  essa,  ma  è  un'ap- plicazione al  mondo  de' fatti  umani,  eh' è  dire  d'ima parte,  d'un  genere,  del  sommo  genere  del  Fatto.  Che cos'è  il  Certo  che  diventa  Vero?  Che  cos'è  V Autorità che  a  grado  a  grado  assume  forma  e  valore  di  Ragione? Che  cos'  è  la  Filologia  che  diventa  Filosofia?  Che  cos'è la  storia,  l' uomo,  lo  spirito  che  dalla  fase  divina  passa alla  fase  eroica,  e  dall'eroica  all'wwana.^  Che  cos'è  il pensiero,  la  Mente  che  è  Senso^  poi  Immaginaeione  e poi  Ragione?^  Taluno  potrebbe  dire:  di  cotesta  for- mola il  Vico  non  fece  applicazione  al  mondo  della  na- tura. Neanche  questo  è  vero.  E  non  vero,  i)erchè  non solamente  quest'  applicazione  ci  è  dato  dedurla,  al  solito, dal  suo  principio  metafisico,  ma,  che  più  rileva,  ei  n'  ha lasciate  tracce  visibilissime,  germi  assai  fecondi  ne'  suoi principii  cosmologici,  come  vedremo  appresso.  Torniamo al  proposito. Dato  alla  creazione  il  significato  e  il  valore  che  noi 

diciamo,  ne  vengon  fuora  parecchie  conseguenze  le  quali verremo  accennando  man  mano.  La  creazione  non  è,  per parte  di  Dio,  né  una  deduzione,  per  dir  così,  né  un'  in- duzione. Per  dedurre  il  mondo,  egli  dovrebbe  cavarlo da  sé  :  assurdo  grossolano.  Per  indurlo,  poi,  dovrebbe cavarlo  da  una  materia  preesistente,  ovvero  dal  nulla. Una  materia  preesistente  senz'  alcuna  idea,  un  ricetta- 

colo indeterminato,  come  lo  concepisce  il  Platonismo, riesce  inintelligibile,  e  ci  lascerebbe  in  pieno  dualismo. Dal  nulla  come  tale,  nel  che  sta  il  concetto  balordo  dal pietoso  credente,  tanto  meno.  Si  dirà  esserci  la  potenza *  Vedi  a  qaesto  proposito  quel  ohe  abbiamo  discorso  nel  Cap.  V del  Ub.  U. infinita  attuale?  Benissimo  :  quest'Atto  ha  da  esser  Oene- rato;  e,  in  quanto  è  Generato,  pone  il  fatto,  educe  il  fatto per  necessità  razionale,  e  quindi  per  legge  di  conversione. Se  dunque  lo  educe  per  necessità  intima  e  razionale,  veg-. giamo  scaturire  una  seconda  conseguenza,  ed  à  che  un mondo  particolare,  contingente  e  d' ogni  parte  finito  e mutabile  e  scorrevole,  senz'  altra  necessità  fuorché  quella d'  un  beneplacito  divino,  contraddice  apertamente  alla ragion  filosofica  positiva,  nonché  ai  risultati  sicuri  della moderna  scienza  fisica,  geologica,  cosmologica,  astrono- mica. Se  il  mondo,  anche  in  sé  medesimo,  é  una  conver- 

sione di  sé  con  sé  stesso,  non  può  non  esser  necessario nella  sua  esplicazione  e  nelle  sue  leggi,  appunto  perché essendo  termine  di  conversione  d'una  causa  eh'  é  men- te, debb'  essere  anche  lui  causa,  mente,  razionalità.  U mondo,  in  somma,  é  posto  razionalmente.  Dunque  Tatto col  quale  Dio  pone  cotesto  mondo  é  liberamente  neces- sario, e  necessariamente  libero.* *  Dicemmo  qual  relazione  corra  fra  libertà  e  ragioue  (Gap.  V,  Lib.  II). Se  Tatto  volitivo  guardato  nella sna  radice,  secondo  la  legge  del  processo psicologico,  non  è  altro  in  generale  che  uno  «/orso  (Tintenderef  cotesto sforzo,  che  in  noi  ò  impedito  perchè  essenzial  conato,  nelP  Assolato  non  può aver  luogo,  e  quindi  è  speditissimo.  £cco  il  fondamento  della  necessità della  creazione.  Ma  la  sapienza  infinita  !  si  dirà:  chi  ne  misura  gli  abissi? Lasciamo  gli  abissi:  qui  la  faccenda  è  chiara,  perchè  ce  ne  porge  gua- rentigia la  psicologia  :  gli  abissi  ci  sono,  pur  troppo,  ma  non  qui  ;  e  qui ci  sono,  perchè  ce  Than  messi  T  ignoranza,  il  pregiudizio  e  T  immagina- zione. Nò  si  creda  che  togliendo  a  Dio  la  libertà  (anche  quella  a  n«oem(ate 

natura),  ella  rimanga  distrutta  altresì  nelPuomo.  Innanzi  tutto  non  è  vero che  si  tolga  a  Dio  U  libertà;  anzi  gli  si  dà  la  libertà  vera,  dal  momento  ohe si  concepisce  come  vera  e  compiuta  ragione.  L* uomo  è  ^rt»eep«ro<»oiiù: dunque  non  è  assoluta  libertà.  Ma  Tuomo  è  ragionevole:  dunque  può esser  libero;  e  come  tale,  direbbe  St.  Mill,  può  creare  d  earaUere,  eh* è la  creazione  davvero  umana,  tutta  nostra,  tutta  individuale.  —  Eccoci dunque  (si  replicherà)  nel  destino  :  eccoci  nel  fato,  ovvero  neir  equazione tra  libertà  e  razionalità  :  non  se  n*  esce  !  Destino  e  fato  no,  davvero,  per- chè qui  siamo  nel  regno  della  mentalità;  e  mentalità  è  anche  la  natura, 

come  diceva  Aristotele,  appunto  perchè  è  natura.  Quant*  alla  famigerata equazione,  poi,  è  un'altra  faccenda.  Per  Hegel  siffatta  equanone  o  com- penetrcutione  deve  nascere  ultima,  in  quanto  che  suppone  il  processo  della Nahiray  e  perciò  suppone  anche  la  Idea;  ed  ecco  perchè  egli  invoca  e deve  invocare,  come  ultimo  sostegno,  la  necessità  dialettica  che  risale Data  al  mondo  Y  attività  creatrice,  rimane  profon- damente modificato,  trasfigurato,  il  concetto  della  prov- videnza. Se  il  Vero  convertendosi  col  Generato  si  con- verte altresì  col  Fatto  in  quanto  lo  pone,  accade  che l'Assoluto  rispetto  al  mondo  debba  esser  principio  e mente  che  vede  e  prevede,  ma  non  per  questo  prov- vede. Se  come  Generato  egli  è  visione  lucentissima,  ne viene  che  cotesto  vedere,  che  cotesto  conoscere,  sia  an- che fare,  in  quanto  pone  il  mondo  come  fatto.  Ma questo  medesimo  vedere  è  anche  un  prevedere,  in  quanto la  visione  penetra  nella  possibilità  del  fatto  ;  in  quanto penetra  nel  processo,  nella  conversione  stessa  del  fatto  : ma  non  può  essere  un  provvedere,  perchè  ove  così  fosse ei  noi  porrebbe  cotesto  mondo,  cioè  non  si  converti- rebbe con  lui,  bensì  lo  creerebbe  addirittura;  per  cui, novello  ^t^«ou/)70f,  porrebbe  il  fatto  non  solo  come r  altro  da  sé  (tò  itì/)ov),  ma  eziandio  come  un  altro in  sé  (to  aUo),  e  perciò  si  compenetrerebbe  con  lui; perciò  sarebbe  anche  lui.  Che  cosa  quindi  ne  segui- 

rebbe? Precisamente  questo:  ch'ei  farebbe  quel  che non  può  fare;  ch'ei  sarebbe  quel  che  non  può  es- sere; e  cod,  essendo  ad  un  medesimo  tempo  Generato e  Fatto,  Dio  e  Mondo,  e  non  già  conversione  dell'uno con  l'altro,  non  sarebbe  né  l'una  cosa  né  l'altra,  e s'annullerebbe  senza  rimedio:  contraddizione  che  soia- air  Idea.  Anche  per  noi  tal  necessità  è  dialettica;  ma  è  dialettica  in quanto  è  razionale  altresì  nella  sua  origine.  Ed  è  razionale  e  reggente e  non  meccanica  e  non  logica  e  non  astratta,  per  la  semplicissima ragione  ch'ella  ritrota  la  sua  propria  sorgita  non  già  in  nna  Tuotaldea, anzi  in  ona  mente  piena,  pienissima,  nella  Menu.  Nel  qaal  senso  il  Brano non  ebbe  torto  d*  affermare,  che  la  necessità  in  Dio  non  sia  cosa  ditersa dalla  libertà,  e  ch'egli  operi  per  neee»9ità  di  $ua  natura:  «  Infinita  vir- tutf  8Ì  ncque  a  teipta  ySnthir,  nee  ab  alio,  tunc  neeetntate  9ua  naturcB agit.  Non  agU  neeeentate  naturcB  alia  a  te  et  eua  voluntate^  in  eorummo- rem  quce  neceeeitati  eubeunt  ;  eed  ipea  ett  {ut  ecepe  dieimu»)  neceetitae.  Agit ergo  n^xentatef  qua  neque  ab  intrineeco  et  per  te,  neque  ab  cxtrineeco  et per  aliud  fruttrari  poteet.  Non  primo,  quia  non  poteai  aliud  eeee  atque aliudj  non  tecundo^  quia  ieta  necettitaa  rdiquorum  omnium  lex  eet.  {De Imm.  et  Innwmerab.  lib.  I  ;  e.  XII.) mente  fi^li  Hegeliani  hanno  la  singoiar  fortuna  di  ca- pire :  felicissimi  loro  !  * •  Ma  un  Dio  non  provvidente  (si  dirà)  non  è  egli  un  Dio  impotente? Precisamente  il   contrario.   Egli  davvero  sarebbe  impotente  ove   fesse provvidente.  E  sarebbe  impotente,  percbè  gli  toccherebbe  a  far  la  con- traddizione, il  nulla.  Se  V  atto  umano  ò  libero  in  quanto  può  essere  e 

può  non  essere  (libertà  (T  elezionef  libero  arbitrio,  eh*  è  la  libertà  propria dell'animale  particepg  rationi«)^  ne  verrebbe  che  Dio,  prevedendolo,  cono- scerebbe ciò  che  può  essere  e  può  anche  non  essere:   il  che  vuol   dire, eh*  ei  conoscerebbe  il  nulla.  In  quest'ordine  di  cose  Dio  può  provvedere, e  provvedere  sul  serio,  ma  ad  un  sol  patto;  che,  cioè,  provveda  col  non provvedere.  Provvedere  è  procacciare  il  bene;  è  procacciare  il  bene  con tutt*  i  mezzi,*  per  tutte  le  vie,  con  tutta  la  possibile  energia.  Ma  8*ei facesse  tutto  questo,  il  libero  arbìtrio  non  {sfumerebbe  addirittura?  Certo, Dio  vede  l'atto  umano:  ma  come  Io  vede?  Lo  vede  in  quanto  è  razio- nalmente libero;  e  perciò  lo  vede  in  quanto  è  liberamente  necessario. Dunque  lo  vede  nella  sua  razionalità,  nella  sua  idealità,  nella  sua  per- fezione: che  vuol  dire  lo  vede  in  so  medesimo,  non  già  nell'uomo.  An- cora: se  Dio  prevedesse  le  azioni  umane,  ne  verrebbe  questo;  che  pre- vedendo Tatto  immorale,  egli,  che  è  infinitamente  buono,  dovrebbe  non volerlo.  Dunque  non  dovrebbe  creare,  ne  porre  il  mondo.  Ma  non  abbiamo detto  che  s'egli  ha  da  esser  davvero  l'Assoluto,  vero  principio  dialet- tico, è  d'uopo  eh* e*  si  converta  col  Generato,  e, convertendosi  col  Gene- rato, dee  convertirsi  necessariamente  anche  con  un  fuori  di  sèV  Perciò una  delle  due:  Dio  è  egli  provvidente?  Dunque  è  impotente.  È  egli  pre- vidente delle  azioni  pro))rìamente  libere?  Dunque  annulla  la  libertà  umana, che  vuol  dire  distrugge  l'ente  umano. —  Da  ultimo  si  dirà:  ma  un  Dio che  non  provvede,  non  è  egli  un  Dio  immutabile,  immobile^  seduto  ««7  trono deserto  d' un^  eternità  eilenzioea  e  vuota  f  Anzi  egli  è  perenne  sorgente  di moto!  Egli  è  il  vero  moto  dd  moto,h  l'assoluto  Moto,  e  però  l'assoluta 

Quiete;  il  vero  Motore  ImmobiU.  II  quale  non  potrebb'  esser  tale,  ove non  fosse  ad  un'ora  istessa  conversione  con  sé,  e  con  Y altro;  talché  col solo  porre  il  mondo,  egli  è  già  presente  al  mondo,  egli  è  già  col  mondo, ma  non  è,  e  non  può  esser  nel  mondo.  Non  ci  è  dunque  un  mondo  di qua,  e  un  Dio  di  là.  Non  ci  è  un  infinito  di  su,  e  un  finito  di  giù.  Non ci  è  una  cagione  dall'alto  e  un  effetto  nel  basso.  Ci  è  il  Vero  e  il  Fatto, ripetiamolo,  formanti  insieme  un  organismo.  Ci  è  una  dualità  in  unità; e  però  differenza  e  medesimezza.  Brevemente:  Dio  pone  il  mondo  non già  con  un  atto,  ma  lo  pone  per  ciò  solo  che  egli  è;  per  ciò  solo  che esiste.  Egli  è  atto,  è  l'atto  per  eccellenza;  e  però  è  Vero  e  Generato insieme:  dunque,  come  tale,  non  può  non  creare  l'universo.  Ora  se  lo crea  in  quanto  è,  e  non  già  con  un  atto,  ne  seguita  che  il  mondo  ha 

da  esser  posto  come  potenziale  anziché  come  attuale. Da  questo  nostro  discorso  può  vedersi  come  sia  mestieri  correggere la  causa  efficiente  e  la  causa  finale  tanto  dell'  Aristotelismo,  quanto  dei Platonismo.  Videa  platonica,  come  dicemmo,  non  solamente  produce  la cosa,  ma  la  fa,  ma  la  scorge  nella  sua  generazione;  e  quindi  lucidando Se  dunque  il  mondo  è  Conversione  del  Fatto  nel Vero,  e  quindi  creazione  intima,  attività  essenziale,  per ciò  stesso  è  Provvidenza.  E  poiché  i  Sommi  Generi  delle cose,  come  vedremo,  son  tre,  ne  viene  che  la  provvi- denza ha  da  esser  naturale  e  tìsica,  organica  e  fisio- logica, umana  e  storica.  Con  la  dottrina  del  Vico  si toglie  a  Dio  la  provvidenza  ;  e  così,  mentre  si  assicura all'  uomo  la  libertà,  gli  si  lascia  intera,  assoluta  la  re- 

sponsabilità delle  proprie  azioni.  Teologisti,  Hegeliani  e Positivisti  riconoscon  nell'  uomo  la  responsabilità  ;  ma nel  fatto  la  disconoscono.  Il  teologista  la  disconosce,  la nega  per  doppio  modo:  la  nega  col  concetto  della  grazia; la  nega  col  concetto  della  colpa  originaria  che  trasmet- tesi  di  padre  in  figlio.  L' Hegeliano  poi,  tuttoché  presenti cotesto  problema  adomo  delle  solite  lustre  squisitamente razionali,  in  sostanza  disconosce,  nega,  distrugge  la  li- bertà, stantechè  per  lui  tutto  sia  necessità  dialettica, logica,  formale.  Il  positivista,  finalmente, com'era  d'aspet- tarsi, r  annulla  in  maniera  grossolana  e  con  assai  poca grazia,  in  quanto  che  vi  sostituisce  la  necessità  biologica e  meccanica.  Nella  Scienza  Nuova  la  libertà  è  razionale e  naturale.  La  sua  frase  consacrata,  che  vai  tutto  un in  questa,  per  così  dire,  un  disegno  già  fatto,  accade  ch^  ella  deMa  es- sere essenzialmente  esemplare.  Per  T  Aristotelismo,  invece,  cotesto  dise- gno non  TÌen  fatto  in  quanto  è  guardato^  ma  lo  si  guarda  facendolo. Ecco  la  grande  idea  d*  Aristotele.  La  natura  per  lui  è  un  principio  essen- zialmente dinamico.  È  un  principio  avente  in  sé  la  propria  determina- zione, e  quindi  racchiudo  in  sé  germinalmente  tutte  le  forme  successive. e  perciò  la  natura  è  principalmente  forma,  {Metaf.f  trad.  Bonghi,  e  IV, pag.  2:35.)  Sennonché  tale  concetto  dell*  Aristotelismo  vien  guasto  dalla esagerazione  ond'è  concepita  la  causa  finale;  in  quanto  che  To^osHc^, come  osservammo  di  sopra,  è  infuso^  è  determinato  dal  fine,  non  già  deter- minantesi  di  per  sé  stesso.  Ora  la  correzione  della  eansa  efjiciente  e  della causa  finale y  tanto  nel  Platonismo  quanto  neir  Aristotelismo,  sta  nella 

doppia  formola  del  Vico.  Laonde  per  chi  accetta  questa  doppia  formola, sono  un  controsenso  tanto  il  concetto  d*  un  Dio  solitario  assolutamente Imprevidente  e  improwidente,  quanto  quello  d'un  Dio  padre,  generatore e  artefice  del  mondo  che  sia  veggente,  previdente  e  provvidente  in  modo assoluto.  V indirizzo  mediof  e  perciò  l'indirizzo  davvero  positivo  della speculazione  sul  problema  otisologico,  sta  proprio  qui. sistema,  è  questa:  rèbus  ipsis  didantS>us.*^  Non  v'è  dun- que destino  :  il  destino  è  la  natura  e  la  ragione  ;  e  ap- punto perchè  il  destino  è  natura,  perciò  è  lungi  d'esser cieca  necessità.-  Tutto  quindi  è  provvidenza  nella  mente del  Vico,  perchè  tutto  è  creazione,  attività  intima,  pro- fonda, spontanea  si  nel  mondo  fisico,  e  rì  nel  morale; né  senza  ragione  volle  metterla  in  cima  alle  sue  discor verter  La  provvidenza  agli  occhi  suoi  apre  e  chiude il  circolo  della  scienza,  non  meno  che  il  processo  della Storia.  Ella  perciò  è  innanzi  tutto  naturale  e  divina, appresso  eroica ,  da  ultimo  umana.  La  provvidenza umana  è  la  stessa  ragione,  la  quale  non  può  non  essere libertà:  essa  dunque  importa  pienezza  di  responsabi- lità. La  provvidenza  è  il  primo  de'  tre  grandi  princi- pii,  0  sensi  comuni  ddV umanità:  ed  è  altresì  l'ultimo corollario  della  mente  del  filosofo.  La  Provvidenza  dun- que è  principio  e  fine  della  storia  umana,  al  modo istesso  eh'  è  dedica  e  conclusione  della  Scienza  Nuova.* 

*  E  anche  quest*  altra  :  ab  ipta  rerum  humatuxrum  natura.  (De  Oon$t, Philel  e.  XL) *  Il  coDCotto  del  Vico  è  concetto  aristotelico;  e  così  infatti  1*  Afro- dìsio  interpretava  la  neceasìtà Jinea  e  naturale  d'Aristotele.  (Ved.  Noo- BI8S0N,  De  la  UberU  et  du  Haaard,  E$8a%  sur  Alexandre  d'Aphrodina»  ec. Paris  1870,  p.  43,  98.) *  Ved.  Tavola  delle  Diteoverte  nella  Prima  Seien»a  Nuowu *  Perciò  chiama  il  soo  libro  una  teologia  civile  e  ragionata  déUa Prowedema  divina  (Sec.  Se.  Nao.,  lib.  I)  ;  e  più  d' ana  volta  si  dà  Tanto d'aver  prodotto  una  nuova  dimostrazione,  una  dimostrazione  di  fatto ittorieo  circa  V  esistenza  di  Dio.  Che  cor'  ò  questa  dimoetratione  di  fatto ietoricot  t!  la  provvidenza  in  quanto  è  Fatto,  in  quanto  è  creazione.  & il  Fatto  che  si  converte  con  so  stesso,  e  mostra  quel  che  è,  quel  che contiene,  quel  che  debb' essere;  e  così,  mostrando  sé  stesso,  mostra  anche Dio.  Perciò  la  provvidenza  non  ò  Dio  che  si  mostra,  Dio  che  interviene  ; ma  ò  il  mondo  delle  nazioni  che  attuandosi,  che  creandosi  e  edébrando così  la  propria  ìvatwra,  si  mostra  sensatamente,  e  si  manifesta  come  ter- mine di  conversione.  Indi  è  che  la  provvidenza  per  lui  non  può  essere un  argomento  induttivo  dimostrante  l'esistenza  di  Dio,  appunto  perchè ella  nel  mondo,  anziché  effetto,  ò  una  causa.  Questa  sua  dimostra- zione di /atto  ietorico,  dunque,  è  una  forma  dì  eduzione,  non  già  di  sem- plice induzione  :  col  che  confermiamo  anche  una  volta  la  natura  del metodo  vichiano.  Ora  se  questo  è  il  significato  (significato  davvero  nuovo e  originale)  del  concetto  della  Prowidenaa  n^U'  A.  della  Scienza  Nuova, n  concetto  ctisologìco  inteso  al  modo  che  noi  lo  in- 

terpretiamo nel  nostro  filosofo,  si  presenta  come  il  ri- saltato del  mondo  moderno.  È  la  vita  stessa  della  scienza moderna:  è  il  gran  secreto  della  filosofia  positiva:  ed è  l'esigenza  massima  della  Sdenea  Nuova.  Chi  non Faccetta,  deve  negare  il  presente,  dee  dare  una  smentita alla  storia;  e  sarà  condannato  a  indietreggiare  sino  al medio  evo,  per  non  dir  già  sino  alla  Grecia.  La  formola cosmologica  del  nostro  filosofo  corregge  e  trascende,  anche in  questo,  il  Neoplatonismo  italiano  moderno,  ponendo non  è  a  merarigliare  s*egli  in  ciò  sia  stato  franteso  e  interpretato  assai male,  come  vedemmo,  da  certi  saoi  critici.  Notammo  già  come  lo  Jan- nelli  fosse  il  primo  ad  osserrare,  che  nella  Seiefìxa  Nuova  tale  concetto può  intendersi  in  dne  sensi  ;  e  V  acato  archeologo  napoletano  non  s' in- gannata. Talora  infatti  sembra  che  la  Provvidenza,  pel  Vico,  abbia  a consistere  solamente  nelP azione  di  Dio.  È  la  Provvidenza,  per  dirne un  esempio,  che  eccita  Atejo  Capitone  e  Lahtone;  il  primo  nella  gdoèa  e tenace  cuttodia  de^  vecchi  diritti,  e  il  secondo  nel  propugnare  interprc tOMioni  tempre  nuove  affindii  la  romana  ffiurieprudenMa  potetèc  evtdgerai. {De  Univ,  Jur,,  VII,  CGXII).  La  provvidenza  egli  invoca  per  iepiegare la  rapida  e  univereale  comporta  del  Cristianesimo  merco  la  civiltà  ro- mana; la  quale  perciò  altro  scopo  non  avrebbe  avuto  nel  mondo,  fuor- ché quello  di  schiuder  la  via  ali*  idea  cristiana.  (Ibi,  OCX VIII).  Or  tutto ciò  contraddice  ali*  esigenza  del  suo  metodo,  ed  è  in  aperta  opposizione con  la  sua  dottrina  metafisica.  Lo  stesso  religiosissimo  Jannelli,  il  quale del  resto  non  avea  nò  punto  né  poco  subodorato  il  valore  della  filosofia  del suo  maestro,  non  dubita  affermare,  che  se  per  prowidenxa  neUa  Scienza 

Nuova  •»*  vuole  intendere  eolo  V  axione  di  Dio  eugli  uomini,  Mora  non  pare che  n  faccia  altro  che  una  lemone  di  teologia  poco  neeeeearia  ai  Cattolici, ami  ai  Crietiani  e  a  tutti  gli  eneeri  ragionevoli.  (Op.  cit.,  p.  161.)  Provvi- denza dunque,  pel  Vico,  vuol  dire  natura.  Provvedere  è  fare,  è  creare,  ò attuare  ;  dunque  è  incessante  e  vivace  conversione  del  Fatto  nel  Vero.  Per lui  quindi  è  Prowidenxa  T  itetnto,  laddove,  parlando  dell* origine  della  pa- rola 2ex,  dice  che  gli  uccelli  nidificano  pretto  le  fonti.  {De  Vniv.  Jur.,  p.  142 nella  nota.)  ^  provvidenza  il  pudore,  onde  procede  la  frugalità,  la  tem- 

peranza, la  giuttÌMia,  e  simili  {De  Contt.  Juritpr.,  I[I).*È  provvidenza  la storia  della  poesia,  e  le  false  religioni.  (Ibi,  XIII).  &  provvidenza  la  forma monosillabica  delle  lingue  (XII).  È  provvidenza  lo  teoppiar  de*  primi  tu- multi deUe  plebi  nella  terza  età  del  Tempo  Oteuro  (XXII).  È  per  provvi- denza {rebut  iptit  dietantibut)  che  le  religioni  cominciano  a  venire  in  dis- pregio (XXVIII).  È  prorvìdenn  {rebut  iptit  dietantibut),  1*  origine  dell* arte della  guerra  e  della  pace  (XXX).  fe  provvidenza  che  le  Centi  Minori apprendano  dalle  Centi  Maggiori;  ed  è  provvidenza  la  templieità  e  na- turalcMM  Oud*ò  condotto  U  corto  ddC  umanità  (Sec  Se.  Nuo.,  p.  882). a  nudo  le  magagne  del  concetto  creativo  del  Teologismo, nonché  dell' Hegelianiamo  e  del  Positivismo:  che  vuol dire,  al  solito,  corregge  i  due  estremi  del  filosofare,  iperpsi- cologismo  ed  empirismo.  Di  fatto  che  cos'  è  per  l' Hege- liano la  creazione?  È  V  identico  in  guanto  si  differendo. Dunque  non  è  vera  creazione,  svolgimento,  processo; ma  ripetizione  ritmica  e,  come  dire,  inquadrata  sovra 

un  medesimo  fondo  che  è  la  Idea.  Pel  Positivista  il moto,  la  vita  e  l' essere  delle  cose  non  è  che  trasfor- mazione di  forze,  o  di  materia;  trasformazione  fisica, meccanica,  biologica;  determinismo  affatto  meccanico, affatto  accidentale,  affatto  cieco.  Dunque  anche  per lui  la  creazione  è  ripetizione  monotona  d'un  identico 

subietto. Con  la  formola  cosmologica  del  nostro  filosofo,  inol- tre, si  giugne  a  conciliare  le  esigenze  legittime  del  Tei- smo e  del  Panteismo  su  la  natura  del  mondo.  Nel  Pan- teismo vi  è  un'affermazione  giusta  e  ragionevole;  ma  vi è  pure  una  negazione  iriragionevole,  erronea  ed  esiziale. L' affermazione  risguarda  lo  svolgimento  d' un  principio interno  e  divino  nel  mondo,  e  nella  natura.  La  nega- zione poi  riguarda  un'efficienza  sovramondana,  che  come intelletto  amore  e  potenza  ponga  il  mondo  e  la  natura, e  sia  presente  al  mondo  e  alla  natura.  U  Teismo  gros- solano e  volgare  contraddice  al  Panteismo  col  porre  l'ef- ficienza sovramondana  ;  ma  non  sa  intendere  per  nulla il  divino  della  natura;  non  capisce  il  divino  anche  nel mondo.  L'affermazione  del  Panteismo  è  l'esigenza  del- l'Oriente, e,  in  parte,  dell'Occidente;  della  scuole  jonica, eleatica,  pitagorea,  stoica,  alessandrina  ;  poi  delle  grandi intelligenze  d'.Erigena,  del  Bruno,  dello  Spinoza;  ed  è anche  l' esigenza  dell'  Hegelianismo.  L' affermazione  poi 

del  Teismo  beninteso,  è  principalmente  un  portato  della speculazione  occidentale,  perchè  è  1'  esigenza  profonda della  metafisica  platonica,  e  della  metafisica  aristotelica. Panteismo  e  Teismo,  dunque,  oggi  sono  di  fronte;  perchè essendo  pervenuti  entrambi  al  più  alto  grado  di  specu- lazione,  ci  porgono  due  forinole  nette,  chiare,  spiccate: V Essere,  il  Non-Essere  e  il  Divenire,  da  una  parte  :  D Vero,  il  Generato  e  il  Fatto,  dall'  altra.  Or  V  afferma- zione, r  esigenza  ragionevole  del  Panteismo  è  inclusa nella  formula  cosmologica  del  Vico,  e,  che  più  importa, vi  è  anche  corretta.  L'affermazione  e  l'esigenza  ragio- nevole del  Teismo,  poi,  trova  correzione  e  inveramento nella  formola  metafisica  dello  stesso  filosofo.  Quant'  alla parte  negativa,  cotesti  sistemi  sono  da  ripudiarsi  en- trambi. Se  il  Teismo  ignora  il  vero  concetto  di  natura e  però  disconosce  il  divino  e  perciò  stesso  disconosce  la creazione  autonoma  del  mondo;  il  Panteismo,  alla  sua volta,  disconosce  la  vera  natura  di  Dio,  e  perciò  disco- 

nosce la  vera  natura  dell'  uomo,  e  cosi  viene  a  distruggere la  grandezza  e  l' eccellenza  dell'  umana  personalità.^ Se  intanto  la  creazione  è  un  processo,  cioè  dire  il Fatto  che  si  converte  nel  Vero,  si  può  domandare  :  in  che maniera  s' attua  cotesto  processo?  In  altre  parole:  come avviene  che  la  creazione  diventa  provvidenza? Il  modo  con  che  s'  attua  la  creazione  potrà  dircelo 

solamente  1'  esperienza:  ce  lo  potran  dire  le  scienze  di natura,  e  le  discipline  istoriche  in  generale.  Ma  anche nella  soluzione  del  problema  cosmologica  sbagliano,  tanto quelli  che  tutto  vogliono  indurre,  quanto  quegli  altri  che tutto  pretendono  dedurre.  Oggi  non  è  permessa  una  dot- trinacosmologica  empirica;  e  tanto  meno  è  permessa una  cosmologia  che,  fabbricata  a  priori,  si  rimane  cam- pata a  mezz'aria.  La  filosofia  cosmologica  potrà  attinger valore  positivo  e  razionale  ad  un  sol  patto;  che,  cioè,  il pronunziato  generale  ch'ella  potrà  fornire  alle  scienze le  quali  si  travagliano  intorno  alla  ricerca  delle  leggi da  Stuart  Mill  appellate  empiriche,  sia  del  pari,  o  possa essere,  il  risultato  complessivo  e  finale  delle  scienze  stes- *  Giastissime  qaiodi  le  parole  d*aii  valoroso  sorltlore  moderno: «  (Tttt  ùonire  le  panthéitme  que  tou»  eeux  qui  retUM  ^i>rit  de  la  vrai grandéur  de  Vhomme  doivent  »e  riunir  et  eombattre,  >  (Tooqukvillk,  De  la VemoeraHe  en  Amerique,  Paris,  1850,  18*  ed.,  T.  Il,  P.  I,  o.  VIL) se.  La  metafisica  positiva  altro  non  sa  darci,  salvo  che la  legge  della  conversione  come  principio  della  essenzial costituzione  del  Fatto.  Quant'  al  modo  poi,  ella  non  sa, ella  non  può  assegnar  né  regole  ritmiche,  né  tricotomie a  priori  di  nessuna  sorta.  Che  se  anche  qui  per  avven- tura è  possibile  un  accordo  e  una  rispondenza  tra  la speculazione  del  filosofo  e  V  osservazione  induttiva  e  de- duttiva dello  scienziato,  in  verità  non  si  cerca  di  me- 

glio. In  cosiiFatto  accordo  si  avrà  la  guarentigia  più sicura  dell'  ottimo  indirizzo  cosi  dell'  una  come  dell'  al- tra sfera  di  scibile. Se  il  Fatto  à  il  diverso,  non  solo  considerato  qual termine  di  conversione  col  Generato,  ma  anche  avvisato in  sé  stesso,  avviene  che,  nel  convertirsi  con  sé  mede- simo, e' debba  manifestare  varietà  di  momenti  e  pas- saggi e  transiti,  e  quindi  intervalli  e  tjontinuità  nel- r  esplicazione  delle  sue  forze.  Vuol  essere  insomma,  ri- petiamolo, un  vero  processo,  che  è  dire  svolgimento, conversione,  creazione,  anziché  una  serie  di  semplici trasformazioni  e  d' increscevoli  rimutamenti  di  forma. Vuol  esser  quindi  un  passaggio  incessante  ed  essenzial- mente dinamico  dalla  potenza  all'atto,  dall'omogeneo all'eterogeneo,  per  usare  anche  qui  la  frase  dello  Spencer, dall'indeterminato  al  determinato,  e  però  dal  genere  alla specie,  e  dalla  specie  all'  individuo,  per  finire  nell'  indi- viduo capace  d'essere  o  di  rappresentare  insieme  nella sua  virtù  il  genere  e  la  specie.  Tre  sono  i  Sommi  Gre- neri  del  Processo  cosmico;  e  altrettante  le  fermate  o, per  così  dire,  i  momenti  dell'attività  creatrice.  Tre sono  dunque  i  processi  speciali  e  differenti  attraverso  a cui  il  Fatto  si  fa,  e  che  potremo  appellare  Fisico,  Orgor nicOf  e  Storico-sociologico  od  umano;  e  tre  sono  quindi  gli anelli  della  gran  catena;  Forza,  Vita  e  Pensiero.  Fra questi  tre  processi  ci  ha  differenza  e  medesimezza,  e 

però  intervalli  e  continuità:  ma  né  questa  continuità  è di  natura  materiale,  né  quell'  intervallo  é  un  semphce passaggio  alla  maniera  che  lo  intendevano  e  lo  inten- dono,  come  notammo,  gli  aristotelici  empirici,  ed  i  mo- derni materialisti  (p.  359).  Fra  il  processo  Fisico  e  il processo  Organico,  per  esempio,  ci  è  continuità  ideale, e  quindi  intervallo  reale  ;  stantechè  non  sia  la  Forza che  diventi  Vita,  né  la  Vita  che  diventi  Pensiero,  ma è  la  forza  che  passa  ad  esser  vita,  e  la  vita  pensiero.  E nel  pensiero  compenetrandosi  non  già  sovrapponendosi od  assomandosi  le  prime,  abbiamo  nel  medesimo  tempo r  attuazione  della  forza,  e  della  vita.  Il  passaggio  quindi, come  accennammo,  non  è  semplice  trasformazione,  ma è  transito,  è  passaggio  nello  stretto  senso  della  parola (iyipyetò:  aTi>>i;),  eduzione  (eductio  entìs  ad  actum)y  e perciò  creazione.  Se  intanto  nel  passaggio  vi  ha  inter- vallo, cotesto  intervallo  non  è  egli  davvero  un  salto  che fa  la  natura?  L'intervallo  superato  dalla  stessa  natura è  precisamente  la  conversione  del  Fatto  nel  Vero;  è r  energia  creativa;  è  il  vero  passaggio  dal  nulla  all'  es- sere, dalla  potenza  all'  atto:  ed  ecco  il  significato  della creazione  ex  nihUo.  Dunque  l' intervallo  per  noi  non  è (come  altrove  toccammo)  quel  che  per  gli  antichi  era  i) diastema  e  il  cenon;  negazione,  vuoto,  nuUa.  È  anzi 

pienezza  d'essere,  attuosità  vivace,  conato  (to  Juvarov), perocché  ci  rappresenta  il  momento  in  cui  la  continuità ideale  tende  a  diventar  reale.  Ai  due  capi  della  catena poi  vedemmo  esserci  due  intervalli  ;  psicologico  l' uno, e  metafisico  l' altro.  U  primo  dicemmo  potersi  superare mercé  la  dialettica  ascensiva,  poiché  qui  il  Fatto,  già convertitosi  con  sé  medesimo  e  perciò  divenuto  forza vita  e  pensiero,  si  converte  quinci  col  Vero,  eh'  é  dire col  Primum  Verum  metaphysicum  :  mentre  il  secondo 

é  superato  dall'essere  stesso  con  la  dialettica  discensiva, secondochè  ci  addimostrano  la  formola  metafisica  e  la formola  cosmologica  del  Vico. Queste  sono  le  due  leggi  universali,  o  meglio,  le  due condizioni  dell'attività  creatrice  di  natura.  In  virtù  di esse  é  possibile  una  scienza  cosmologica  razionalmente positiva,  poiché  in  esse  sta  il  nodo  di  que'  dibattati e  YÌtali  problemi  su  la  generazione,  su  la  genesi  spon- tanea, su  l'origine  delle  specie.  Né  il  Platonismo,  né r  Aristotelismo,  né  alcuna  dottrina  che  risalga  a  queste due  sorgenti,  ci  potranno  dar  mai  questa  doppia  legge. Nell'uno  fa  difetto  il  concetto  del  processo;  nell'altro questo  processo,  ripetiamolo,  è  passaggio  empirico>  mec- canico, generativo,  ovvero  logico  e  formale.' Ammessa  quindi  la  legge  dell'  intervallo  nell'  atti- vità creativa  di  natura,  verremo  capaci  di  correggere 

il  vieto  concetto  cosmogonico  del  teologismo  e  dell'em- pirismo. Il  vecchio  naturalista  contro  il  teologista  pro- nunzia, che  natura  non  fadt  saltum.  A  salvare  il  Deus machina  il  teologo  risponde,  che  natura  fadt  sattum; e  questi  salti  per  lui  sono  altrettanti  atti  immediati del  Demiurgo.  Ora  la  verità  non  istà  dall'  una,  né dall'  altra  parte.  Naturalisti,  sperimentalisti,  determi- nisti, positivisti  hanno  ragione  a  non  credere  ai  salti; ma  non  ha  torto  il  teologo  se  dice  che  la  natura  pro- cede per  creazioni  ed  atti  creativi  diversi.  Il  positivo qui  dove  sta?  Neil'  accettar  l' una  e  l' altra  afferma- zione, e  correggerle  entrambe.  La  natura,  certo,  non fa  salti;  non  v'  essendo  ragione  perché  ella  non  pro- ceda continua  nella  ricchezza  e  fecondità  delle  sue  pro- duzioni Ma  eccoci  al  punto  1  Questa  continuità  (conti- nuità materiale,  fisica,  sensata)  ha  luogo  entro  la  sfera *  Ma  anche  in  questa  dottrina  Aristotele  potrebb*  essere  difeso, chi  lo  interpretasse  benignamente.  Se  pel  Platonismo  11  divenire  e  il generarsi,  ha  luogo  per  1*  essenza,  per  l' idea  che  attua  la  cosa  e  la  scorge e  la  determina;  per  Aristotele,  al  contrarlo,  1*  indeterminato  procede  al tUterminato  qucdUativo  per  sua  propria  energia.  Fra  i  molti  passi  che potrei  addurre  mi  contento  di  questo  che  si  legge  nel  Lib.  VII  della Metaph.:  Uòrtpov  ouv  iv^i  tic  (Ttfatpa  uxpot.  raqSi  Xf  oixiu  vK^pct TOtc  oXcvdouC}  i  01» J*  av  aoTf  iytyvexoy  ti  ovtwc  tJv,  róSt  ri; àXXa  tÒ  Toióv^c  vrifjLaivtiy  róSt  Sé  xai  (upurixivov  oux  tf(r7(v, àWà  trotcì  xac'  7evvà  ex  totJ^s  rotov^s  •  xat  orav  7«vv>30i7,  Ìt^i 

ro$t  rotòvBt.  È  nna  prova  di  più,  come  si  vede,  della  possibilità  di rintracciare  e  dimostrare  nell'Aristotelismo,  anche  in  siflbtta  ricerca, r  indirizzo  medio  della  speculazione  filosofica  contro  gì*  interpreti  empirici e  contro  gì*  iperpsicologisti  che  il  generarsi  delle  cose  in  Aristotele  trag- gono  in  due  e  contrarie  sentenze  opposite. d'una  specie,  d'un  genere,  d'un  ordine,  anziché  nel passaggio  dall'uno  all'altro.  Se  così  non  fosse,  la  na- tura non  sarebbe  guari  natura,  non  sarebbe  creazione, sibbene  ripetizione  sazievolmente  monotona  d' individui. E  non  meno  ragione  ha  il  teologo  o  il  neoplatonico  che sia,  nel  pretender  che  la  natura  proceda  a  salti;  ma non  ha  niente  ragione  a  predicarci  essere  il  Demiurgo, proprio  lui,  quegli  che  la  fa  saltare.  È  ella  stessa,  è  la stessa  potente  e  feconda  natura  che  si  muove.  E  si muove  per  qualcosa  che  non  sopraggiugne  dal  di  fuora, anzi  sgorga  dal  di  dentro. Cosi,  e  solamente  così,  è  possibile  l' autogenesi  del mondo.  Chi  non  sia  disposto  ad  accettarla,  romperà senza  rimedio  contro  Scilla,  o  Cariddi;  che  vuol  dire contro  uno  de'  due  soliti  estremi. Come  intanto  s'inaugura,  come  si  svolge  e  come  si assolve  egli  il  Processo  cosmico? Capitolo  Decimosecondo. delu  attività  creativa ne'  diversi  momenti  del  processo  cosmico. 

Abbiamo  detto  che  se  1'  attività  creatrice  di  natura 

è  una  Conversione  del  FaUo  nel  Vero,  ella  non  può 

esplicarsi  altrimenti  che  per  gradi,  per  momenti  diversi, e  quindi  per  intervalli  e  per  continuità  ideale.  Il  Pro- cesso  cosmico,  dunque,  è  universale.  Ed  è  universale  prin- cipalmente perchè,  secondo  la  frase  del  Bruno,  racchiude in  sé,  quasi  circolo  più  ampio  altri  piccoli  circoH,  il  tri- plice processo  Fisico,  Organico  e  Sociologico.  Così  la legge  che  governa  il  tutto  come  le  parti  è  sempre  la stessa:  è  la  gran  legge  del  trasformarsi  e  del  rinte- grarsi  perpetuo,  progressivo,  incessante  delle  forze  uni- versali e  comuni  di  natura.  Perciò  è  il  numero  che Digitized  by  VjOOQIC 470  DELLA  DOTTRINA  FILOSOFICA.  [lIB.  H. sempre  più  volge  ad  unità;  è  T  indeterminato,  T  omo- geneo, l'indefinito  (tò  uopiiTòv)  che  procede  al  deter- minato, all'  eterogeneo,  al  perfetto  (tò  TsXitov).*  Se  tale dunque  è  la  natura  di  quest'  universal  movimento  che dispiegasi  nel  tempo,  in  che  maniera  potrebb'  esser  un incessante  cangiar  di  forme  e  di  fenomeni?  Se  cosi fosse,  quest'  universo  sarebb'  egli  un  cosmos^  o  non  più veramente  un  increscevole  ed  eterna  monotonia  d'ap- parenze fenomenali,  ovvero  un  caos?  La  legge  del  Pro- cesso cosmico  dunque  è  legge  di  creazione;  è  legge  di 

coixyersione,  anziché  di  semplice  trasformazione.  Gol Processo  fisico  si  genera  la  forza  ;  e  la  forza  è  subbietto omogeneo,  sintesi  confusa,  numero  e  unità  generale,  uni- totalità  vaga  e  indeterminata.  Cotesto  Processo  fisico si  sdoppia  nel  Processo  organico  nel  quale  si  genera  la vita;  e  la  vita  è  numero,  eterogeneità  essenziale,  essen- zial  dualità  (vegetale  e  zoologica).  Nel  Processo  istorico- sociologico,  finalmente,  si  genera  lo  spirito,  il  pensiero; ed  è  un  ritomo  all'  unità,  ma  come  triplicità.  La  forza quindi  si  converte  nella  vita,  come  la  vita  si  converte  nel pensiero.  Unità,  dualità,  dualunità:  Forza,  Vita  e  Pen- siero. Ecco  il  Processo  cosmico,  ed  è  sempre  il  Fatto  che si  converte  nel  Vero,  perocché  è  sempre  il  conato,  il  me- desimo, che  si  fa  diverso  per  intervallo.  Come  intanto *  È  il  vecchio  principio  per  cui  si  distingue  V  indirizzo  medio  ari- 

stotelico nella  dottrina  su  le  forze  fisiche,  organiche  e  organizzate: *H  $i  fxJffi^  ffivyet  tÒ  aTrci^ov  *  to  fiiv  yoip  anstpov  otTtlsq,  -^ Si  «vece  «s(  K^Ttt  TsXoc  (I>e  (7en.  an.,  I).  E  più  chiaramente  ancora: 'Aft  yàp  €v  Tw  efslivii  vppxst  xo  upOTspov  {De  An.,  II,  ii).  La scienza  moderna  non  ha  fatto  e  non  fa  che  confermare  questo  principio aristotelico;  ed  è  quel  medesimo  pronunziato  che  lo  Spencer  considera  sic- come chiave  del  processo  cosmico.  Ma  avvertimmo  già  1*  aspetta  man- chevole delle  dottrine  del r  illustre  scrittore  inglese;  che,  cioè,  se  il  Pro- cesso cosmico  è  davvero  una  creazione,  è  forza  che  nella  sua  natura altro  non  possa  essere  che  uua  teleologia,  un  processo  essenzialmente 

teleologico,  a  partire  dall'etere,  dalla  materia  nebulare  indeterminata, e  scendere  giù  giù  fino  all'atto  estremo,  alla  forza  che  diciamo  pensiero. Questo  dato  vitalissimo  manca  allo  Spencer  nonché  ai  Positivisti e,  come  vedremo,  a'  naturalisti  Darwiniani.  E  pure,  chi  ben  rifletta,  è un  concetto  essenzialmente  poeitioo^  perchè  è  un  fatto. rivelasi  la  prima  conversione  del  Fatto?  In  altre  parole :  in  qual  modo  s' inaugura  l' attuosità  creativa  del- l'universo?  La  natura  comincia  con  Tesser  conato.*  Ella dunque  comincia  come  sintesi  iniziale  e  confusa:  ella s' inaugura  come  materia  metafisica.* '  <  Natiwa  eonando  oapit  exUtert,  >  (YiCO,  De  Antiqui^.,  III). *  La  nuiteria  tnetaJUica  alla  qaale  più  voite  accenna  confasimente il  Vico  e  che  il  Rosmini,  come  toccammo,  non  interpreta  convenevol- mente,ò  neir  ordine  cosmico  e  naturale  ciò  che  nell'  ordine  psicologico ò  la  luce  tnetaJUica.  Nel  passaggio,  nell*  intervallo^  in  generale,  ha  luogo 

nn  novello  conato,  eh' è  il  momento  creativo,  il  parto  {a/orno  impedito) della  natura;  e  quindi  racchiude  qualcosa  d' intimo,  d*  universale,  di metafisico,  d'iperfisico,  di  scprassensibile.  Ecco  perchè  talora  nel  Vico non  v'  ha  divario  nelle  parole  conato,  momentOf  t/orto  impedito,  luce  meta/i» nea^mcUeria  metaJÌ9Ìca,virtue^vi»,  dvvxfJLi^y  «vT«).ffXJeav,  e  simili.  Però è  facile  incontrarvi  qualche  sentenza  di  questo  tenore  :  Lux  metaphyeica §eu  eduetio  virtutum  in  actue  conatu  gignitur.  (Op.  cit.,  C  IV).  Perciò  se si  vuole  interpretare  a  dovere  la  sua  mente,  il  valore  della  parola  co- nato, nella  quale  pone  radice  la  novità  della  cosmologia  Vichiana  e  Leib- 

niziana,  è  questo  :  che  il  conato  per  lui  sia  il  principio  concreto,  reale, vivente  della  natura:  che  sia  perciò  relazione  la  qual  comprenda  e  annodi in  organismo  vivente  i  tre  processi,  e  per  cui  risulti  come  la  molla  secreta deir  intero  Proceeeo  eoemólogico,  È  la  relazione  concreta,  e  reale  del  Fatto col  Vero;  cioè  del  Fatto  che,  in  quanto  divereo  in  sé,  diventa  Vero.  In una  parola,  è  la  eoetanxa  della  natura,  come  fra  poco  vedremo,  e  perciò  è Vdpx^  xivKj  Tcwc  d'Aristotele  (AfetopA ,  1, 1, 8)  ma  corretto  profondamen- te, e  però  trasfigurato  e  legittimato,  stantechè  non  sia  altrimenti  un  prin- cipio di  movimento  ipercosmìco,  ma  nn  principio  essenzialmente  eoemico, essenzialmente  naturale  ;  e  perciò  è  lo  stesso  movimento  che,  in  quant'  è motOf  si  rivela  come  autogenito.  Il  Gioberti  che  aveva  un  senso  isterico divinativo  tutto  suo  nel  saper  cogliere  in  certe  sentenze  l'aspetto  origi- 

nale d*  una  dottrina,  non  dubitò  scrivere  che  la  teorica  de'  punti  e  del  i eoncUo  del  Vico  ì  il  perno  del  tuo  eietema;  aggiungendo  che  per  questa parte  egli  è  arietotelico  e  platonico  ad  un  tempo.  {Protol.,  v.  I,  p.  259).  Che la  dottrina  del  conato  sia  il  perno  della  sua  cosmologia,  nessun  dubbio; ma  la  cosmologia  non  è  la  sua  metafisica.  È  dunque  il  perno,  è  la  molla della  sua  formola  eoemoloffica,  non  già  della  sua  formola  metaJUica:  il perno  di  questa  seconda  è  ben  altro,  come  s'è  visto  ne' tre  ultimi  ca- pitoli. Che  poi  in  questo  egli  sia  aristotelico  e  platonico  insieme,  è vero;  ma  è  tale  in  quanto  corregge,  trasforma  e  compie  i  due  vecchi filosofi,  e  perciò  in  quanto  li  accorda.  Nel  Platonismo  il  concetto  del conato,  al  modo  che  è  inteso  dal  Vico,  non  ci  è,  e  non  ci  può  essere, come  si  può  ricavare  da  tutti  que'  luoghi  ne'  quali  siamo  venuti  accen- nando rapidamente  a  quel  sistema.  Può  esserci,  e  vi  è  di  fatto  in  Ari- 

stotele, ma  confuso  e  indeterminato  cosi  che  non  si  lascia  riconoscere facilmente.  Al  qual  proposito  mi  sia  qui  lecita  nn*  osservazione  isterica. Ma  se  la  natura  comincia  con  V  esser  conato,  appunto perchè  conato  ella  dev'  esser  riguardata  sotto  doppio QualcQDo  potrebbe  confondere  questo  conato  del  filosofo  napoletano con  la  monade  leibniziana,  o,  pegfifio,  con  1*  ?pe$(?  aristotelica.  Lascia- 

mo della  prima  perchò  ne  dicemmo  qualcosa  in  altro  luog^o.  Qnant'al secondo  osserro  che  tra  Voptl^ii  dello  Stagirita  e  il  conato  àe\  nostro filosofo,  ci  è  profondo  divario.  Accennammo  già  qualcosa  riguardo  al- 

r aspetto  esagerato  della  «aiMo  y!iMi2«  d'Aristotele.  L'ó^e^cc  certamente è  designato  da  lui  qual  moto  9pontaneo;  e  basti  per  tutti  questo  passo: Kcvftrac  yoLp  to'  xivouufvov  t?  òpiysrat^  xat  17  xévTio'c;  rtc 

opsl^ti  ^  t»spytia.  {De  Xn,^  III)!  Ma  ò  poi  veramente  tale,  voglio dire  essenzialmente  spontaneo  cotest*  opegi^  d'Aristotele?  Non  sa- rebbe più  tosto  un  residuo  del  maestro  passato  nella  mente  dello  sco- lare ?  Aristotele,  avvertimmo,  rompe  la  terie  predara  in  due  modi  ;  con 1'  intdllgibUe  venuto  di  /uorOf  BvpstOiv,  e  con  la  canea  Jinale,  cioè,  col dender€tb%le  [70  òptxTÒv  xat  to'  voutÓv).  Luce  per  ribtelligenza,  dun- que, e  calore  per  la  volontà  vengon  d'altronde;  e  però  chi  determina  tanto .  il  peneiero,  quanto  la  tendenna,  è  il  pensiero  divino.  {Eih,  Eud.^  VII,  U). Ora  dunque  1*  opeHc'c  per  Aristotele  non  può  esser  davvero  spontaneo, se  no  si  contraddice.  E  tant*è  vero  che  la  natura  per  lui  non  ò  pro- priamente attiva  per  so,  che  non  mancò,  fk'a'  vecchi  aristotelici,  chi  pi- gliasse a  dimostrare  come  in  Aristotele,  in  forza  del  suo  medesimo  si- stema, debba  aver  luogo  la  eau«a  efficiente.  Se  Dio  infatti  ò  canea  finale^ 

per  ciò  stesso  ha  da  essere  anche  canea  efficiente  ;  tanto  pareva  ad  Am- monio (il  primo  a  dare  tale  interpretazione)  che  Aristotele  dovesse  met- tersi in  accordo  con  Platone.  (Yed.  Rayaisson,  Op.  cit.,  T.  II,  p.  539). Dunque  V  ops^i^  noir  Aristotelismo  ò  ?^e^cc  non  per  essenza  propria, ma  in  grazia  d*  un  determinante  estrinseco,  d*  un*  infiuenza  eeteriore  ;  la quale  influenza  non  essendo  stata  chiarita  nettamente  nella  sua  natura dal  filosofo  di  Stagira,  ha  fatto  e  fa  si  che  molti  i  quali  si  studiano d*  interpretarlo  benignamente,  credano  d'aver  buono  in  mano  per  assumerne le  difese,  e  fino  a  certo  punto  riescono  ad  aver  ragione.  Sennonché  il  vero concetto  dell'o^sHcc,  che  in  parte  risponda  al  conato  del  Vico  e  rap- presenti perciò  r  indirixMo  medio  in  siffatta  quistione,  sarebbe  da  riporre piuttosto  nella  nozione  di  svipyna  aTf>>i:,  la  quale  è  appunto  attiva per  sé,  ò  attiva  per  virtù  propria,  essendo  ciò  che  esiste  in  potenza,  ma in  quanto  s'avvia  all'atto;  e  s'avvia  per  sé  medesima,  non  per  un  al- tro; s'avvia  e  procede  per  propria  essenza:  'O^óc  ttQ  ouTiav  {Me- taph,f  lY.)  In  altre  parole  è  ciò  che,  imperfetto,  non  ha  il  fine  in  so stesso,  e  quindi  lo  cerca.  E  lo  corca  non  perchè  ne  sia  attratto  (plato- nismo 0  aristotelismo  platonico),  ma  k1  perchè  ne  ha  bisogno.  E  se  lo cerca  e  ne  abbisogna,  vuol  dire  che  questo  fine  non  potrà  essere  un'il- lusione addirittura.  Perciò  Aristotele  determina  il  concetto  del  moto cosi:  Twv  apy.^£Mv  eiv  «tt/  taipoc^^  ov^sjMca  tjXoc,  àWà  t«v tapi  To  TsXo;.  {Metapk.,  IX).  —  Ci  slam  voluti  intrattenere  un  mo- mento su  questo  particolare  non  solo  per  chiarire  il  concetto  del  Vico sul  conato^  ma  anche  por  mostrare  1*  attinenza  ch'esso  ha  col  concetto  del rispetto.  Anche  del  Primo  cosmologico  possiamo  dire  qael 

che  dicemmo  del  Primo  psicologico:  egli  è  una  testa  di Giano;  ha  due  facce.  Il  conato  adunque  è  due  cose,  non una:  è  punto  e  momento^  (cf«7ft*i^  ^^v)  materia  e  moto, estensione  e  forza:  ma  e  punto  e  momento  di  natura metafisica^  che  vuol  dir  di  natura  potenziale,  virtuale, soprassensibile,  semplice,  indivisa,  universale.  In  altre parole,  il  conato  e  attuosità  concreta  e  reale;  ma  non è,  a  dir  proprio,  né  moto,  né  estensione,  bensì  virtii  di 

moversi,  e  d'estendersi:  e  come  virtù,  come  potenziaUtà, esso  in  generale  é  un  soggetto  identico:  Punctum  et MoYnentum  unum  sunt,  e  quindi  é  nel  medesimo  tempo numero  e  unità,  dualità  e  unità,  polarità  originaria,  e perciò  é  unitotalità  originaria,  concreta,  universale.  Ora il  conato  in  quanto  é  punto,  materia,  cioè  in  quant'  é soggetto  potenziale,  recettivo,  indeterminato,  omogeneo, indefinito  e  indefinibile,  é  il  ro  Ssrspov;  è  la  ^wa/xcc  come pura  capacità;  in  somma  é  il  Fatto  semplicemente  detto  ; il  Fatto  in  quanto  è  termine  di  conversione  dialettica  coi Grenerato.  Al  contrario,  in  quanto  é  momento,  ciò  é dire  materia  e  moto,  estensione  e  forza,  to'  Strtpov  e to'  notilo  e  però  to  ^warov,  é  il  Fatto  in  quanto  è  ter- mine di  conversione  cosmologica;  è  il  Fatto  in  quanto  é conversione  di  sé  con  sé  stesso;  e  quindi  é  sostanza semplice,  sostanza  universale,  sostanza  indivisibile  in sé,  ma  divisa  nelle  cose  che  sostiene.  Brevemente:  il 

conato,  guardato  come  puro  Fatto,  cioè  come  termine posto,  é  potenza  in  potenza,  come  direbbe  Aristotele (^uvfltfii;  ^uvot^n);  guardato  invece  come  termine  che  si pone,  come  soggetto  che  si  fa,  egli,  per  dirla  con  le significantissime  parole  del  Vico,  é  for/pa  che  si  fa  dentro moto  aristotelico,  il  quale,  inteso  a  doTere,  nono  tale  quale  d*  ordinario Tiene  interpretato  dagli  hegeliani.  £  ci  siamo  trattenuti  anche  perchè quest'ultimi  non  abbiano  a  pigliare  il  concetto  del  conato  per  Vopt^i^ giacché  nel  conato  del  nostro  filosofo  non  ci  è  necessità  dialettiche,  nò relaiioui  di  finalità  come  neiriperpsicologismo  aristotelico  fecchio  e nuOTo.  Il  conato  del  Vico  non  è  propriamente  VEatcre,  nettampoco  il NoH-ctnrc;  dunque  non  sarà  nemmanco  U  Divenire:  ecco  tetto. di  sè  medesima:  perchè?  precisamente  perchè  SFOR- ZARSI È  UN  CONVERTIRSI  IN  SÈ  STESSO;  0  perciò è  sostanza  che  si  sforsa  a  mandar  fuori  le  cose.  * *  Che  il  ùonato  nel  concetto  vlchiano  sìa  la  sostanza  delle  cose  e costituisca  perciò  il  nerbo  della  sna  formola  cosmologica,  si  pnò  rìca- Yare  agevolmente  da  queste  sentenze.  Che  cos*è  la  sostanza?  Sattanza, in  genertf  d  ciò  eke  »ta  9otto  e  90$tiene  la  eoaa;  indivitibile  in  «^  divisa nelle  cote  eh*  ella  fottiene,  e  $oUo  le  dìvite  cote,  quantunqtu  disuguali,  vi 

§ta  egualmente,  (Risp.  al  Giom.  de*  Lett,,  p.  179).  Questa  deflnizione  non ha  che  vedere  con  la  definizione  Spinoziana  :  id  quod  existit  a  te  et  per «e.  Sono  entrambe  definizioni  nominali,  e  però  vere  o  falso  flnchò  non se  ne  faccia  applicazione.  Dal  modo  con  che  applicolla  Spinoza,  venne fuora  il  suo  panteismo  acosmico  geometrizzato,  con  quella  lunga  sequela 

d*  assurdi  che  ognuna  conosce.  Il  Vico  1*  applica  al  Fatto  in  quanto  si fa  Vero,  non  già  al  Vero  che  si  converte  col  Generato;  e  perciò  riesce a  schivare  ogni  maniera  di  panteismo.  Infatti  egli  dice:  Quello  che  i moto  ne*  corpi  particolari,  neiVunivereo  moto  non  è;  perchè  V universo  non ha  con  ehi  altro  possa  mutar  vicinanze,,...  Dunque  è  una  forza  OHB  fa DRNTBO  DI  sà  MBDESiifo  :  questo  in  s^  stesso  sforzarsi,  ì  uno  in  sa  strsso convertirsi.  Ciò  non  pud  eseere  del  corpo,  perchè  ciascuna  parte  del  corpo avrebbe  a  rivoltarsi  contro  di  sè  medesima.  Onde  questo  sarebbe  tanto,  quanto le  parti  dd  corpo  si  replicassero.  Dunque,  dico  io,  U  CONATO  non  è  dd OORPO,  ma  deU*  UNI  Visse  del  corpo  (Ibi).  Tutto  ciò  è  chiarito  e  confer- mato da  quest'  altra  sentenza  ;  Virtus  est  extensi,  e  perciò  prior  extenso  est, soUicet  inextensa.  {De  Antiq.,  IV).  E  spiegando  altrove  il  valore  di  quest* ul- timo concetto,  dice:  Io  mi  servo  eie* vocaboli  di  virth  e  di potetaa  appunto come  se  ne  servono  i  meeeaniei,  appo  i  quali  sono  voci  oelebratissime  :  con questo  perciò  di  vario;  cA'  essi  (parla  de*  Cartesiani  seguaci  detta  dottrina meccanica)  V  attaccano  ai  corpi  particolari,  ed  io  dico  esser  dote  propria  e sola  dell*  universo.  (Risp.  al  Oiom.  de*  LeU.),  E  tornando  al  suo  concetto gradito  del  conato,  dice  plh  aperto  :  Nel  mondo  vero  e  reale  vi  ha  un che  invisibile  che  produce  tutte  le  cose.  (Ibi,  p.  165).  Ancora:  Uno  è  lo sforzo  delC  universo,  prrob2  dell*  univrrbo  :  ed  è  l*  indivisibile  centro  cui non  è  lecito  trovare  neU*  universo  (esteso),  e  cAe  dentro  le  linee  deUa  sua direzione  tutti  i  disuguali  pesi  sostenendo  con  egual  forza,  tutte  le  partieo' lari  cose  sostiene  insiememente  ed  aggira.  Questa  è  la  sostanza  che  si  SFORZA mandar  fuori  le  cose.  (Ibi,  151). È  impossibile  commentare  queste  sentenze.  Ci  vorrebbe  un  capitolo 

per  parola  ;  e  alla  fin  fine  poi  non  riesciremmo  che  ad  una  freddura,  ad una  ripetizione  fiacca  e  sbiadita.  Bisogna  dunque  farle  soggetto  di  medi- tazione severa, tramutarsele  in  sangue,  e  col  loro  sussidio  interrogare! fenomeni  e  le  leggi  del  mondo  sensibile.  Posti  intanto  questi  principi! cosmologici,  ecco  alcune  norme  metodiche  per  la  filosofia  della  natura  e delle  scienze  naturali  :  In  fisica  si  trattano  le  cose  per  termini  di  eorpo  t di  moto;  in  m^afisioa  trcUtar  si  debbono  per  qudli  di  sostanza  e  di  co- nato, E  come  U  moto  non  è  altro  realmente  che  eorpo,  cosi  il  conato  altro realmsnU   non  sia   che  sostanza,  (Ibi,  178).  L*  altro  domma  metodico  ri- Se  questo  è  il  cardine  della  cosmologia  del  nostro  filo- sofo, le  conseguenze  e  le  applicazioni  che  se  ne  traggono riescono  supremamente  feconde,  positive,  originali  in tutte  quante  le  sfere  delle  scienze  di  natura,  dalP  astro- nomia alla  fisiologia,  dalla  meccanica  celeste  alla  zoologia e  alla  zoopsicologia.  Noi  non  possiamo  intrattenerci  in queste  applicazioni,  e  ce  ne  duole.  Ci  ristringeremo  ad  ac- cennarne qualcuna,  e  rilevarne  V  aspetto  originale;  e  in- nanzi tutto  quella  risguardante  la  dottrina  del  Cronotopo. Se  la  sostanza  cosmica  è  una,  indivisibile  e  divisa nelle  cose  a  cui  sta  sotto  egualmente  per  diseguali  che queste  siano,  i  modi  essenziali  e  primigenii  in  che  ella si  determina,  sono  lo  spazio  e  il  tempo  puri  :  punto  e momentOj  virtus  extendendi  e  virtus  movendi.  Sennonché 

la  virtii  d' estendersi,  logicamente,  va  innanzi  alla  virtù del  moversi,  al  contrario  di  ciò  che  pensa  il  Gioberti; poiché,  al  solito,  se  il  Fatto  come  diverso  in  sé  vuol  es- sere un  processo  autonomo,  avviene  che  la  prima  forma di  conversione,  la  prima  individuazione  cosmica,  deb- b'  essere  il  punto  che  divien  momento;  debb' esser  la virtù  d'estendersi  che  si  gemina,  e  assume  valore  di virtù  motrice.  Perciò  la  sostanza  in  quant'  è  virtus  exten- dendi,  inquant'é  pura  capacità,  è  V  altro,  è  il  diverso, è  il  Fatto  come  posto,  e  però  è  lo  spazio  infinito,  la  cui prima  determinazione  è  ciò  che  domandasi  etere  da'  mo- derni.* In  quanto  poi  è  virtus  movendi,  cioè  atto,  diverso gniardante  lo  stadio  delle  leggi  fisiche  ò  questo  :  L*  unica  ipoteti  (cioè  fin- zione speculativa)  per  la  qwd  dalla  MetaJUica  ndla  Fisica  discenda  giam- mai ti  po99a,  netto  le  matematiche;  e  che  il  punto  geometrico  eia  una  SOMI- OLIANZA  del  metafieicOf  dot  della  sostanza  ;  e  eh*  ella  aia  coea  che  vera- mente t,  ed  i  indivisibile;  che  ci  dà  e  sostiene  distesi  uguali  con  egual /orza  :  perche  per  le  dimostnxzioni  del  Galilei  ed  altre  piene  di  meraviglittf le  disuguaglianze  quanto  si  vogliono  grandi,  ritirandoci  al  lor  principio  in- divisibile, cioì  ai  puntiy  tutte  si  perdono  e  si  confondono.  (Ibi,  174),  ti  ap- pena bisogno  d*  avvertire  che  con  la  sua  dottrina  cosmologica  ei  non  fa che  interpretare  ed  elevare  ad  altezza  metafisica  positiva  V  esigenza  del metodo  Galileiano.  Nelle  lor  relazioni  ideali  Galileo  e  Vico  si  richiamano a  vicenda.  (Ved.  il  nostro  Disc.  DanU,  Galileo  e  Vico,  Firenze,  Celliul,  1865). *  L'esistenza  déìVetere  od  abaro  (come  con  ragione  vuol  chiamarlo 

il  nostro  valoroso  e  valente  Colonnello  Pozzolinì)  che  per  i  fisici  è  una in  $èj  0  Fatto  ohe  si  fa,  la  sostanza  è  il  cominciamento originario,  autogenito  della  natura,  e  perciò  indipen- dente da  Dio.  Ed  è  affatto  indipendente  da  Dio  nel suo  svolgimento,  e  però  nelle  sue  leg{2p,  appunto  per- chè, come  fu  mostrato,  Dio  pone  il  mondo  non  già  come attuale,  anzi  come  potenziale.  Perchè  dunque  il  punto diventa  momento?  Per  necessità  della  propria  essenza: vo'  dire  perchè  è  diverso  in  se;  perchè  è  sformarsi  che è  uno  in  sé  stesso  convertirsi.  Se  adunque  come  mate- ria il  conato  è  confusione,  impenetrabilità,  pura  ca- pacità; come  virtù  di  moversi,  invece,  è  cominciamento d' ordine,  inizio  di  cosmos  finteli'  atomo,  nelP  esteso  me- tafisico il  quale,  essendo  medesimezza  e  differenza  in atto,  rappresenta  perciò  la  prima  dualità  in  cui  forza e  materia  formano  un  medesimo  subbietto.* ipoteti  della  quale  non  possono  in  yenin  modo  prescindere,  nella  fonnola cosmologica  del  Vico,  invece,  assume  valore  di  teti.  Essi  non  sanno  dir che  cosa  sia  quest'eeere.  Noi  sanno  oggi^  e  noi  potranno  saper  mai: perchè?  Per  la  semplice  ragione  ch*ei  trascende  la  mente:  e  la  tra- scende in  quanto  che  riguarda  un*  attinenza  della  sostanza  come  potta, non  già  della  sostanza  come  causa,  come  forza.  Perciò  riguardando  il  dato della  creazione,  ne  Tiene  che,  por  intendere  questo  dato  in  qualche  maniera, bisognerà  filosofare;  e  per  filosofare  in  modo  serio  e  positivo  e  razio- nale bisogna  ricorrere  alla  formoUi  cotmologica  del  nostro  filosofo.  Non 

V*  è  scampo:  o  questa  formola,  oppure  il  concetto  inintelligibile,  gros- solano e  balordo  d*una  materia  concepita  qual  ricettacolo  assoluto  e generativo  d*  ogni  cosa  :  eh'  è  propriamente  (chiedo  perdono  a  tutti  i materialisti  e  meccanicisti  vecchi  e  nuovi)  un  concetto  da  cretini! *  Dunque  il  cronotopo  non  è,  come  pretendono  i  Leibniziani,  la  succes- sione e  coesistenza  di  punti  e  di  momenti;  teorica  al  tutto  empirica la  quale  non  ispiega  nulla  di  nulla,  perchè  non  addita  la  ragione della  coesistenza.  Non  si  può  dir  nemmeno  pertinenza  deir  Assoluto  in quanto  ì  V  Idea  ad  extr(h  Videa  come  potnbUità  infinita  (GiOBRBTi,  ProtoU, 

Sagg.  Ili);  ì°  perchè  non  s'intende  che  cosa  mai  sia  codest'Idea  ad extra;  2^  perchè  s*ella  è pottihilità infinita,  come  tale  appartiene  al  Fatto, il  quale  in  quanto  conato  è  precisamente  un'  infinita  po$9ÌbilitiL  Non  è poi  relazione  tra  U  finito  e  V  infinito  (FoRNABi,  DeW  Arm.  Univ.^  DiaL  I) perchè,  se  così  fosse,  dovendo  i  termini  partecipare  alla  natura  della relazione,  ci  avrebbe  a  essere  spazio  e  tempo  anche  nell' infinito!  Final- mente non  è  la  prima  e  immediata  esistenza  detta  Idea  (Spaventa,  Mem, mi  Tempo  e  tulio  Spazio,  negli  Atti  dell'  Accad.  di  Nap.),  perchè  1*  Idea è  incapace  di  rivestire  spazialità  e  temporalità  per  le  ragioni  altrove  ac- cennate. Dunque  che  cos'è  cotesto  cronotopo?  È  precisamente  il  conato; Abbiamo  detto  che  V  atomo  è  l' esteso  metafisico. Esso  dunque  è  la  compenetrazione  del  punto,  e  del  mo- mento :  è  il  punto  divenuto  momento  ;  è  la  virtù  d' esten- dersi che  s' estende  in  quanto  si  move.  Neil'  atomo  per- ciò, neir  esteso  metafisico,  trova  pienissima  applicazione il  pronunziato  del  Vico:  ptmctum  et  mofnentum  unum 

sunt  In  altre  parole:  che  cos'  è  V  atomo?  È  V  estrema realtà  (non  astrazione)  cui  possa  poggiar  la  mente. Dunque  è  la  prima  realtà  onde  move  la  natura.  Anche in  seno  all'atomo  quindi  si  dee  verificare  ciò  che  i  fisici oggi  riconoscono  in  molti  fenomeni;  il  principio  della polarità.  L'esteso  metafisico  è  un'essenzial  dualità;  è forza  e  materia  in  atto;  è  la  determmazione  originaria, autonoma  della  doppia  virtii  estensiva  e  motrice.  Dun- que è  la  prima  conversione  del  Fatto,  in  quanto  il Fatto  è  un  subbietto  diverso  in  sé.  Perciò  è  il  primo momento  della  creazione  propriamente  detta:  il  mo- mento solenne  in  cui  la  forza,  nascendo  nella  materia (non  dalla  materia),  si  crea.' ma  il  conato  in  qnanto  ò  polarità  essenziale,  essenzial  dualità.  È  la sostanza  stessa  del  mondo  in  quanto  ha  una  doppia  faccia:  estensione e  forza;  wirhu  extendendif  e  virtù»  movendi.  Ora  se  il  conato  è  un  su- bietto essenzialmente  duplo^  essenzialmente  polare,  ì  moderni  fisici  non possono,  non  debbono  menomamente  ripudiarne  il  concetto,  che  anzi accettandolo,  giungerebbero  a  spiegare  più  d'  una  loro  ipotesi. *  Chi  dunque  dice  fona,  dice  ereazione:  ecco  il  rero  dinamismo,  il dinamismo  positi?o.  Perciò  erra  tanto  il  materialista  grossolano  quando afferma  ch/D  la  forza  naaea  dalla  materia,  o  ne  sia  una  pura  e  semplice determinazione  ;  qnanto  il  dinamista  puro  (Hibn,  Cotuiquence»  phil.  et 

mHaph.  de  la  Thirmodinamique,  Paris,  1868)  che  pretende  concepire  la fona  anteriore  alla  materia!  La  forza  Don  nasce  dalla  materia,  o  per  la materia.  La  forza  si  pone,  e  perciò  si  crea  nella  materia.  Il  suo  nascere è  creare  nel  Tero  senso  della  parola;  è  uscire  ex  nihilo,  E  qual  è  il  nulla  f Il  nulla  del  filosofo  cattolico,  no:  cotesto  nuUa  ò  impossibile,  perchè  ò inconcepibile.  Dunque  è  la  materia,  ma  la  materia  considerata  come  puro Fatto,  come  pura  capaciti,  come  possibilità.  Platone  la  diceya  ricetta- colo, e  diceva  benissimo.  Dov'errava?  Errava  gravemente  nel  determinare il  modo  con  che  nel  contenente  sorga  il  contenuto.  È  precisamente  Ter- rore del  materialista  moderno.  La  forza,  dice  questi,  suppone  la  materia. Certamente!  ma  non  ò  pnra  e  semplice  trae/ormanane  o  modiJicoMione  o qualità  di  materia.  La  materia  in  qnanto  diventa  forza  è  conato  :  e  perciò (ripetiamolo)  ò  intervallo  già  superato;  ò  atto  propriamente  detto,  e Se  intanto  l'atomo  è  an'essenzial  dualità,  in  esso  è l'esigenza  dell'altro  atomo,  delle  molecole,  del  corpo,  del- l'organismo atomico.  Ma  ecco  tosto  nn  dilemma:  o  l'atomo è  semplice,  o  è  composto.  È  egli  semplice?  Dunque non  può  dare  il  composto.  È  egli  composto?  Dunque richiede  il  semplice.  Dilemma  seriissimo,  davvero. L'atomo  non  è  l'una  cosa  ne  l'altra;  o,  più  ve- ramente,, è  r  una  cosa  e  l' altra  insieme.  Se  l'atomo,  è conato,  momento  in  cui  la  materia  e  la  forza  si  com- penetrano; come  dirlo  semplice?  come  dirlo  composto? Pertanto  se  l' atomo  è  conato,  perciò  racchiude  l' esi- genza degli  altri  atomi.  Dunque?  dunque  l'atomo  non  ha 

figura  in  quanto  è  un  esteso  metafisico,  ma  ha  figura  in quanto  si  marita  e  si  converte  con  altro  atomo:  la  figura è  un  risultato.  Or  se  l' atomo  è  virtii  d' estensione  che  si attudij  avviene  che,  come  tale,  e' debba  essere  attrazione: e  s'egli  è  virtii  di  moversi  in  atto,  avviene  altre»  che, come  tale,  e'debb'esser  moto  essenzialmente  rotatorio} Se  dunque  1'  atomo  in  quanto  conato  è  insieme  iden- tico e  diverso,  perciò  è  in  sé,  e  fuori  di  se;  è  per  sé, e  anche  per  V  altro;  abbisogna  dell'  altro.  Per  questa comune  proprietà  gli  atomi  ci  rendon  quasi  immagine delle  idee  platoniche,  la  cui  vita  sta  nell'  essere  essen- qaindi  è  atto  naovo,  atto  creatÌTo.  — Eccoci  al  miracolo!  sento  grridarmi. Precisamente  al  miracolo  :  ma  gli  è  nn  miracolo  essensialmente  naturale, unlversaie, necessario;  e  per  consegnenza  non  ò  miracolo.  Se  dunoue  VeaUto metafinco  è  la  forza  in  quanto  si  genera  nella  mcUeriiif  ne  viene  cne  VaUnno ha  da  essere  tutt* altro  che  inerte.  Anzi  è  la  materia,  è  V etere,  è  Y  abaro,  è quel  quid  nebulare  primitivo  che,  da  unità  indeterminata,  passa  ad  essere anche  forza,  profonda  energìa  in  cui  e  per  cui  sMnaugura  il  Prooeeeo fieieo.  Se  così  non  fosse,  io  domando,  come  farebbe  il  chimico  ad  inten- der le  leggi  deir  affinità?  E  se  così  non  fosse,  la  moderna  dottrina  del- Tatonicità  non  andrebbe  in  fumo? '  Questo  è  il  moro  etemo  e  continuo  dell*  Aristotelismo,  cagione  d'ogni moto,  il  quale  perciò  non  può  non  ettere  un  moto  circolare  nello  epaxio {Phye,,  Vili,  ix),  e  come  tale  è  moto  naturale  d'un  elemento  eempliee  du 

non  ha  contrari,  {De  Cod.,  I,  li).  Al  Motore  motto  bisogna  sostituire  il Conato  ;  e  il  moto  circolare  non  avente  contrari  bisogna  darlo  all'  essenza stessa  deir  atomo,  dell*  eeteeo  metafieieo.  Ecco  una  delle  correzioni  vitali della  cosmologia  aristotelica  richieste  logicamente  daU'  indirimco  medio. zialmente  relative.  L' atomo  qaiadì,  in  quanto  è  mede- simezza, è  attrazione;  in  quanto  è  medesimezza  e  di- versità, è  rotazione  e  circolarità.  Dunque  può  dare  ori- gine al  moto  per  induzione  e  rivoluzione,  che  à  moto secondario  e  derivato.  Or  questa  legge  si  verifica  in  una lunga  serie  di  fenomeni;  luce,  elettrico,  calorico,  magne- tico.' Si  verifica  ne'  grandi  coi*pi  dell'  universo.  Perchè non  dovrà  verificarsi  altresì,  e  principalmente,  in  seno alla  stessa  vita  intima  degli  atomi  ?  Attrazione  e  rota- zione, dunque,  riduconsi  ad  un  sol  fatto  primitivo,  uni- versale, assoluto.  Il  conato  è  moto  essenzialmente  ro- tatorio ;  e  quindi  è  la  sorgente  prima  d' ogni  e  qualun- que forma  di  moto.  La  legge  di  rotazione  perciò  è  legge universale;  ed  è  la  sostanza  stessa  cosi  delle  grandi, come  delle  piccole  masse:  Questo  in  se  stesso  sforearsiy è  uno  in  se  stesso  convertirsi.* Le  conseguenze  di  questa  dottrina  cosmologica  sono evidenti,  originali,  modernissime. n  vuoto  è  un  assurdo;  perchè  è  un  assurdo  il  nulla.' Esiste  dunque  V  universo  infinito  ;  ed  è  tale  non  come mondi,  ben^i  come  conato,  come  sostanza  universale 

determìnantesi  ne'  due  attributi  essenziali  della  spazia- lità e  temporaneità  pure.  È  un  assurdo  il  moto  comu- nicato, perchè  è  un  assurdo  che  la  forza  si  rompa,  si scinda,  si  divida:  senza  dir  già  che,  se  è  vero  che  la  forza debb'essere  anche  materia,  la  comuniccmone  del  moto  im- porterebbe la  compenetrazione  e  insieme  la  inerzia  degli atomi,  ciò  che  costituisce  un  doppio  assurdo.  —  È  uYi '  Ved.  a  questo  proposito  la  bella  Mem.  del  Poxzolini  {Indumone delU  forte  finche,  Bologna,  18^8),  il  Baudrimoni,  Atomologie  (1861)  e  le tre  Memorie  eu  la  atrtUtura  cUi*  Corpi.  (Bordeaux  1864.) *  Ved.  la  Mem.  su  la  Legge  univeraale  di  rotazione  del  nostro  amico prof.  Bàrbera,  della  quale  accettiamo  in  gran  parte  la  dottrina  perchè ci  sembra  un'applicazione  rigorosa  de*principii  cosmologici  del  Vico.  Del Bàrbera  merita  esser  letto  il  discorso  stupendo  sul  Newton  e  la  Filoeofia Naturale  (Napoli,  1870).  La  Memoria  poco  fa  citata  del  Pozzolini,  come  que- sti due  scritti  del  Bàrbera,  sono  i  primi  segui  d' una  riforma  seria  delle scienze  astronomiche  e  della  filosofia  naturale  in  Italia. ■  Abibt.,  PAy«.,  IV,  Tiii. assurdo  che  il  moto  universale  cominci  e  finisca,  poiché è  un  assurdo  che  il  mondo,  che  è  pur  egli  necessario come  termine  di  conversione  dialettica^  abbia  principio e  fine.  È  un  assurdo  un  impulso  primitivo  impresso  da Dio  alla  materia,  ciò  che  è  V  esigenza  illegittima  del fiacco  Peripatetismo,  dell'Aristotelismo  platoneggiante: perciò  assurda  e  gratuitamente  ipotetica  la  base  nella 

quale  s'appoggia  la  teorica  Newtoniana  su  T origine  del moto.  —  È  un  assurdo  che  la  materia  diventata  forza, ciò  è  dire  V  atomo,  tomi  ad  esser  pura  materia;  perciò assurdo  che  la  forza  cessi  d'esser  quella  che  è  nella  sua essenza,  e  che  si  sperda,  che  decresca,  o  si  menomi  in qual  si  voglia  modo.  Sono  dunque  un  assurdo,  sono  in- dovinelli da  algebrisH  quei  conti  e  racconti  di  certi facili  calcolatori  matematici  che,  come  il  teologista  e  il millenario,  segnano  già  ne'  secoli  futuri  la  fine  e  lo  spe- gnimento della  terra.  Ne' loro  problemi  essi  dimenticano che  la  forza  è  creazione:  e  dimenticano  troppo  facil- mente, che  creare  vuol  non  dire  annullamento. U  conato  adunque,  è  il  vero  motore  immobile  e  mo- bilissimo dell'universo;  è  l'universo  stesso  in  quanto  è infinita  potenzialità;  è  V  àpxrì  xcv)i<rs6>c  intrinsecato,  es- senziato  con  l'universo  stesso.'  Come  tale  l'universo procede  di  numero  in  numero  (secondo  la  frase  del Bruno)  svolgendosi  come  mondi  nelle  successioni,  e perciò  è  infinito  nel  tempo;  e  come  tale  anche  l'uni- verso, come  il  pensiero  nel  formarsi  il  concetto  dell'As- soluto, rende  a  Dio  la  pariglia.^  Cosi  il  principio  cosmo- '  LìtìQUB,  Le  premier  moteur  et  la  nature  dame  le  tyetòme  tTArietote Paris  1852.  V.  a  qoesto  proposito  con  che  assennatezza  crìtica  il Barthélemy  Saint-HUaire  dÌMOm  su  la  Cosmologia  aristotelica  (PAyttgiM 

trad,  en  /rangaie  et  aceompagnie  dCune  paraphraee  et  de  note»  perpetueUe», Paris  1862,  Introd.  V.  L) *  Cosi  resta  lesrittimato  il  concetto  su  V  Universo  e  su  lo  Spaaio  del filosofo  Nolano.  Egli  pone  Io  spazio  come  infinito  e  però  infinito  anche r  universo  che  è  nello  spazio  [DeW  Infinito  Univereo  e  Mondi,  DinL  I.) L*  uniTerso  certamente  ò  inAnito,  ma,  ripetiamo,  ò  tale  in  quanto  è  eo- naio  ;  e  così  pure  lo  spazio.  Perciò  Mondo,  Univerto,  Spazio  ec.,  sono  in- finiti nella  successione,  che  tuoI  dire  nella  lor  potenzialità. logico,  o  meglio,  il  Primo  cosmologico  del  Vico,  in  men- tre che  corregge  la  vecchia  cosmologia  de'  Platonici  e degli  Aristotelici,  condanna  ad  un  tempo  quella  de'  neo- aristotelici empirici  e  degl'  iperpsicologisti,  legittimando r  esigenza  de'  meccanici  e  de'  dinamisti,  de'  Cartesiani  e de'Leibniziani,  che  vuol  dire  della  materia  e  della  forza.* I  moderni  cosmologi  avran  fatto  moltissimo  quando avranno  ridotto  ogni  fenomeno  ad  un  ultimo  fenomeno.* Essi  così  dimostreranno,  o  meglio,  verificheranno  la vecchia  divinazione  aristotelica.  Ma  si  dovrà  arrestar qui  la  Cosmologia  razionalmente  positiva?  No,  certo.  U suo  grande  problema  sta  nel  dimostrare  (e  dimostrare non  vai  mostrare)  come  quest'ultimo  e  irreducibile  e universal  fenomeno,  sia  precisamente  la  sostanza  stessa delle  cose,  la  vita  stessa  degli  esseri,  la  vita  dell'uni- verso che  il  Vico  rassomiglia  ad  una  fiumana  onde sgorga  acqua  sempre  nuova  e  perenne:  H(BC  est  vita 

rerum,  fluminis  nempe  istar  quod  idem  videtur,  et  sem- per  alia  atque  alia  aqua  profluit} Se  il  Processo  fisico  s' inaugura  col  conato  in  quanto è  un  esteso  metafisico  e  risolvesi  con  l'estrinsecazione della  forza  nel  seno  stesso  della  materia;  ne  viene  che tal  debba  essere  altresì  il  corpo  nella  sua  sostanza; *  È  inutile  mostrare  come  il  concetto  del  nostro  filosofo  sul  Conato  sia una  correzione  del  conato  leibniziano.  Mostrammo  già  raffiniti  tra  il  Leib- nltz  e  il  Vico.  Con  la  dottrina  del  conato  questi  filosofi  ci  rappresentano  en- trambi r  indirizzo  medio  dell*  Aristotelismo  negli  studi  cosmologici. (P.  183.)  Ma  il  Nostro  supera  quel  di  Lipsia,  perchè  il  suo  conato  è  essen- zialmente un  e«(e«o  reale,  metafisico,  non  già  fenomenico,  ed  apparente. Questo  concetto  manca  assolutamente  nella  Monadologia, *  Gens,  il  LoYR  {E§9ai  9ur  Videntité  de»  agentt  qui  produigent  ec., Paris  1861.)  Obovr  {Correlation  de»  force»  phi/9Ìque§,  trad.  Moigno,  1856). E.  Saiqry  {E8»ai»nrVunité  de»  phenomène»  nature!»,  Patìs  1867.)  A.  Sroohi {Unità  ddle  forze  fiticke  ec.  Roma  1864),  Dr  BoocHRPORif  [Du  principe generale  de  la  PhU.  naturale,  Paris  1858).  A.  Obuyrb  {Principe  de  PhU, Phyeiqtte  ec.) "  De  Antiqui»».,  p.  109.  Gom*  è  evidente,  è  il  concotto  fisico  dell*  indi- rizzo medio  aristotelico:  La  vita  universale  della  natura  non  conosce  riposo, nò  morte:  Kac  toOto  flèOxvarov  xac  an'auTrov  xinapytt  roi^  ouTtv^ otov  ^a)>j  Ttc  ouffa  toì;  fxivtt  ^uvio-tùtc  notvtv.  Phy».,  Vili,  i. Siciliani.  8f forza  attuata;  monodinafnia ;  e  però  sorgente  perenne  di 

forze  fisiche,  meccaniche,  chimiche,  dinamiche.  L'atomo è  sfornito  di  centro,  perchè  è  centro  egli  stesso.  Il  corpo lo  possiede  cotesto  centro  ;  ma  è  di  natura  ideale,  e  perciò rende  immagine  dell'  universo  stellare  nel  quale  il  cen- tro non  è  in  alcun  luogo,  e  pure  è  dappertutto,  il  moto nel  corpo  è  monotono  ;  è  un'  etema  produzione  di  forza  ; e  questa  forza  non  è,  a  dir  proprio,  la  vita.  Però  è  un conato  onde  V  analisi  delle  forze  omogenee  e  de'  comuni agenti  di  natura  tende  ad  elevarsi  alla  sintesi;  ed  è  (ri- petiamo) lo  sforzo  del  numero  che  volge  ad  unità.  Or  la necessità  di  questo  conato  non  importa  egli  un  altro intervallo?  Il  centro  dunque  si  manifesta  nel  vegetabile, e  s' inaugura  il  mondo  degli  organismi.  Posto  il  Processo fisico,  la  forza,  nata  già  nella  materia,  qui  nasce  in  sé stessa,  qui  rinasce,  qui  si  rinnova,  e  qui  è  vita.  Ma  neanche il  vegetabile,  a  dir  giusto,  possiede  un  centro  reale.  Dun- que il  vegetabile  non  è  vita,  bensì  passaggio,  e  quindi strumento  di  vita.  11  Processo  fisico  perciò  trae  seco  il processo  geologico;  e  la  genesi  della  forza  importa  la genesi  della  terra.  Il  processo  geogenico  alla  sua  volta importa  il  Processo  organico  (vegetale  e  animale)  e quindi  il  Processo  paleontologico,  entro  cui  si  vengono accumulando  e  sovrapponendosi  cento  e  mille  faune  e flore.  Dalla  roccia  cristallina  non  istratificata  e  non fossilifera  alle  più  recenti  produzioni  geologiche;  dal 

jeriodo  antizoico  al  post-pliocene  e  all'  attuale,  rivelasi tutto  un  processo  di  forza.  È  il  Fatto  che  si  fa  come forza,  ma  in  quanto  è  altresì  conato  alla  vita.' *  DaU*  epoca  eotoica  nella  qaale  a*  annunzia  la  prima  aara  vitale,  e molto  più  dair  epoca  paleozoica  alla  oenozoiea  e  da  questa  ali*  età  poti- Urxtarifi  (quaternaria),  accade  che  col  processo  fisico  e  g^logico  si  marita  il 

processo  paleontologico,  e  così  ci  si  manifesta  la  continuità  della  vita  at- traverso  le  forme  organiche  passate  o  presenti.  Or  se  tutto  ò  processo e  conversione  e  perciò  successione  costante  di  fatti  regrolati  da  lejrgi necessarie  ed  immutabili,  ne  viene  che  i  cataclismi,  riferiti  a  cagioni ipercosmiche,  contraddicono  evidentemente  alla  ragion  filosofica  positiva, nò  V*  ha  interpretazione  benigna  ed  ingegnosa  della  critica  teologica  che sappia  legittimare  la   cronologia  mosaica  ed  il  racconto  biblico.  Ma  a Ma  come  avviene  egli  il  passaggio  del  Processo  fisico air  organico,  e  quindi  U  passaggio  della  forza  alla  vita? Avviene  per  legge  di  conversione  ;  la  quale  perciò,  sup- ponendo r  intervallo,  importa  la  differenza.  S'invocano, al  solito,  anelli  intermedi  nel  r^no  vegetabile.  Ma  forse che  il  vegetabile  rappresenta  il  transito  eflFettivo  tra  il minerale  e  l' animale?  SMnvocf  no  analogie  esteriori  fra certi  minerali  e  certe  piante.  Ma  forse  che  accanto  alle analogie  non  sorgono  diflFerenze  profonde?  *  S' invoca  la eterogenesi,  e  se  ne  traggono  disparate  illazioni  secondo il  sistema  che  si  vuol  propugnare,  come  se  la  genera- zione spontanea  possa  soggiacere  a  dimostrazione.* 

noi  non  ci  ò  permesso  intrattenerci  intomo  a  questa  particolarità. Solamente  ci  preme  d*  aTfertire  che  il  concetto  del  procetio^  nella  Geo- logia e  nella  Storia  naturale,  forma  oggi  V  onore  del  Lyell  e  del  Darwin. Ma  se  la  Sdenta  Nuova  ò  la  dimostrazione,  o,  per  lo  meno,  1*  esigenza del  processo  isterico,  in  essa  è  racchiusa  la  verità  della  moderna  geo- logia e  zoologia.  Quando  il  Vico  dice  che  i  fllosoA  prima  di  lui  avefaii ricercato  Dio,  la  scienza,  il  divino  nel  mondo  della  natura  e  non  per ancho  in  quello  della  storia,  ei  s' ingannava.  La  vera  scienza  di  natura, in  generale,  sta  nel  conoscere  principalmente  due  cose:  i^  il  doppio processo  geogenico  e  organico  (paleo-zoologico),  in  modo  affatto  spe- rimentale; 2*  neir  annodarli  entrambi  in  guisa  razionale  col  processo isterico.  Or  la  scienza  di  natura  condotta  a  questa  maniera  è  posteriore a  lui,  essendo  nata  e  cresciuta  principalmente  sotto  gli  occhi  de' due dotti  inglesi  poco  fa  mentovati,  mentr'  ei  non  faceva  che  inaugurarla  pre- venendone i  grandi  risultati.  E  questi  insigni  risultati  preveniva  non già  producendo  scoperte  geologiche,  zoologiche  e  paleontologiche,  ma incarnando  i^el  processo  de*  fatti  umani  V  esigenza  del  metodo  isterico, e  gettando  i  germi  d*  una  dottrina  cosmologica  nella  quale,  come  s*  ò visto,  è  racchiusa  la  necessità  del  processo  universale,  e,  iu  questo,  la necessità  del  triplice  svolgimento  fisico,  organico  e  storico. *  I  vecchi  naturalisti  pretendevano  rintracciare  argomenti  in  favore della  continuità  reale  fra  questi  due  processi,  notando  la  struttura  mirabUe e  squisita,  per  es.,  deirArragonite  cotanto  affine  a  quella  d*uno  de* più elementari  vegetabili;  come  se  nel  cristallo  la  composizione  semplice,  uni- forme, immobile  cosi  nel  tutto  come  nelle  parti  e  senza  centri  ne* suoi  nuclei 

ed  elementi,  avesse  che  vedere  col  composto  organico  più  rudimentale  ! *  Il  fatto  della  eterogenesi  è  tuttora  un*  ipoUsi,  e  probabilmente  re- sterà sempre  tale  nel  campo  della  osservazione,  ma  è  ten  nella  mente del  filosofo.  Gli  eterogenisti  s'affaticano  a  dimostrare  coi  fatto  ciò  che già  di  per  so  stesso  ò  fatto  !  La  genesi  spontanea,  appunto  perchè  tale, non  è  un  fenomeno  di  trasformazione  d*  indole  meccanica  della  /orna alla  vita:  essa  importa  già  un  transito,  e  quindi  un  intervallo.  Come Per  la  medesima  legge  avviene  il  passaggio  dal  ve- getabile air  animale.  È  vecchio  il  pregiudizio  per  cui si  è  creduto  che  Tun  ordine  d'esseri  si  congiunga  al- l' altro  col  digradarsi  del  processo  superiore,  e  col  per- fezionarsi deU'  inferiore.  Il  pesce  si  congiugne  con  l' an- fibio ;  gli  anelli  zoologici  inferiori  s'  annodano  co'  vege- tabili superiori,  e  simili  immaginazioni.  Oggimai  è  d' uopo raccomandarci  alla  paleontologia,  e  alla  geologia.  Queste scienze  ci  additano  un  processo  quasi  parallelo  ne'  due ordini  in  che  viene  sdoppiandosi  la  vita  sin  dalle  sue origini  primitive.*  Il  Processo  organico  dunque  non  può danque  potrà  esser  possibile  in  tal  caso  una  prova  sperimentale  seria e  irrepugnabile?  Ti  sono  parecchi  sperimenti,  io  lo  so.  Ma  come  fatti? Quante  e  quali  cautele  sono  state  adoperate  ?  La  questione  della  genesi spontanea  ò  mal  posta.  E  poiché  il  naturalista  non  ò  in  grado  di  porla diversamente  di  quel  che  fa,  sarà  quindi  necessario  abbandonarne  la  so- luzione ad  altro  metodo,  ad  altra  maniera  d*  investigazione.  In  somma 

è  una  questione  essenzialmente  filosofica:  si  diano  pace  i  travagliati seguaci  del  Pasteur  e  del  Poullet! *  Neir epoca  j9aZ«oltKeaapparÌ8con  le  grittogame  superiori  :  indi,  nel- l' epoca  nuéoUtica^  le  piante  conifere  :  appresso,  nell*  età  oenoUtica^  le  fa- nerogame ;  e,  finalmente,  nelP  età  antropolUica,  o  meglio  pott-terxiarta,  si manifesta  la  flora  attuale.  Ecco  qui  un  processo  nella  flora  primitiva.  Il medesimo  reggiamo  nello  svolgimento  della  fauna.  Co*  più  modesti  tipi vegetabili  s*  accompagnano  i  più  bassi  tipi  zoologici  negli  strati  inferiori che  ci  rappresentano  l'età  originaria;  e,  nella  medesima  epoca  negli  strati superiori  veggiamo  lu  prime  forme  di  pesci,  accanto  alle  quali  appariscon le  grittogame.  Con  le  conifere  appaiono  i  rettili  ;  e  negli  strati  superiori additatici  dal  periodo  eenolitico,  appariscon  gli  uccelli.  Ai  rettili  ed  agli uccelli,  dappresso  alle  fanerogame  teugon  dietro  e  si  manif^tano  le  forme inferiori  de*  mammiferi  ;  e  negli  strati  superiori  del  perìodo  terziario  si rivelano  le  primo  tracce  del  regno  umano.  Alla  flora  attuale  poi  s*  ac- compagrna  T attuale  fauna;  il  processo  riesce  evidente  anche  qui,  e  il  ri- scontro ne'caratteri  generali,  nella  flsonomia  e  nell*  insieme  delle  rela- zioni geografiche  e  biologiche,  toma  evidentissimo.  Vegetabile  e  Animale, dunque,  sono  due  correnti,  per  cosi  dirle,  che  movon  da  una  medesima sorgente.  Elle  si  rassomiglian  nella  semplicità  ed  omogeneità  delle  for- me primitive  ;  e  tal  riscontro  è  più  spiccato  in  ragione  che  il  panteolo- gista  ascende  verso  il  centro  comune.  Sennonché  il  processo  nella  serie zoologica  è  assai  più  compatto  e  variato;  lo  svolgersi  è  più  rapido,  e  l'at- tuarsi di  questo  svolgimento  è  più  intricato  quanto  più  ci  accostiamo  alle recenti  formazioni.  Tal  è,  per  es.,  lo  sviluppo  che  ci  palesano  gli  arti- colati e  i  vertebrati,  a  differenza  del  modo  con  che  si  vanno  svolgendo 

le  classi  de*  vermi,  de*  molluschi,  de*  celenterati,  degli  echinodermt non  esser  di  natura  essenzialmente  polare.  Il  vegetabile e  r  animale  ci  rappresentano  incarnata  la  legge  univer- sale della  dualità;  la  quale  movendo  dalF unità  sintetica iniziale  e  confusa  e  passando  per  V  analisi,  riesce  ad  una sintesi  concreta,  determinata,  analizzata.  La  vita  è  vita  in quanto  si  diversifica:  è  vita  in  quanto  si  etereogenizecu^ Ma  dov'è  la  radice  primitiva  ond'emerge  questa  dop- 

pia scala  in  cui  e  per  cui  la  forza,  incarnandosi,  diventa vita?  Non  si  discerne  cotesta  radice:  non  si  verifica;  né si  può  verificare.  Fin  negli  strati  primigeni  dell'  età  ar- cheolitica  vi  è  tracce  di  vita  animale  e  vegetale.  Dunque il  fatto,  r  osservazione,  ci  pone  sott'  occhio  una  dualità. Ma  una  dualità  originaria,  ripetiamolo  anche  qui,  non  è un  assurdo?  Dunque  l'analisi,  il  fatto,  suppone  già  una sintesi  rudimentale,  in  cui  sia  germinalmente  contenuta  la doppia  forma  di  vita  vegetale  ed  animale.  Or  questo  co- mune stipite,  che  con  felice  espressione  un  illustre  vivente naturalista  ha  chiamato  unità  astratta,'^  o  non  esiste  come realtà  sensata,  ovvero,  esistendo,  non  può  essere,  a  dir proprio,  ne  vegetabile,  né  animale,  ma  l'una  cosa  e  l'al- tra insieme.  S' ella  é  una  realtà,  è  destinata  a  scomparire dal  regno  della  vita,  appunto  perché  non  é  forza  né  vita. S'ella  é  una  realtà,  sarà  un  soggetto  di  natura  indeter- minata, fisica  e  organica  ad  un  tempo.  In  essa  la  forza 

diventa  vita;  e  quindi,  più  che  anello  di  continuità  reale, ci  rappresenta  una  continuità  ideale  ;  e  perciò  con  l' in- tervallo reale  ci  significa  la  virtù  e  l'efficacia  del  conato,* *  Ved.  H.  SpBircRR,  E$$ay$  $ei€ntifìe,  polUicalf  (md  9peeulativef  ed.  cit. Veramente  ingegnosa  è  V  analisi  che  quest*  autore  fa  circa  il  modo  con che  avviene  il  procetso  zoologico  il  quale  egli  talora  chiama  |7roee««o  di  di/- /erenziafzione  :  e  non  meno  ingegnosa  è  quella  sul  processo  geologico,  etno- logico e  paleontologico.  Jl  difetto  sta  neir  applicare  la  sua  legge  al  pro- cesso èoeiologieOf  dov*  egli  evidentemente  abusa  delle  analogie  estrinseche col.  mondo  zoologico.  Si  vegga,  per  dirne  una,  come  considera  il  fatto de*  fili  telegrafici  che  abcompagnauo  sempre  le  vie  ferrate,  in  relazione  a certe  leggi  biologiche  degli  organismi  zoologici  inferiori. *  VoQT,  Le<;on9  tur  VEommCf  »a  place  dant  la  criation  ec.,  Paris,  1865. '  Sarà  egli  il  regno  de*  Protiati  cotesto  comune  stipite?  .\mmettia- molo  pure.  Ma  tosto  sorgo  la  domanda  :  in  che  maniera  il  proti%ta,  che Sennonché  nel  doppio  processo  attraverso  cui  rive- lasi la  vita,  veggiamo  verificai  la  medesima  legge ond'  è  governato  il  processo  tìsico  :  uno  de'  termini della  dualità  supera  V  altro.  Come  nel  punio  si  genera il  momento,  e  come  nella  materia  si  produce  la  forza, di  pari  modo  la  vita  vegetabile  ed  animale,  secondochè ci  attestano  gli  strati  superiori  dell'  epoca  archeolitica, non  si  può  dir  che  succedano  per  legge  di  fUiousione  e di  successione,  ma  neanche  procedono  in  maniera  pa- 

rallela e  quasi  di  fronte.  Primo  a  determinarsi  è  il  vege- tabile; ma  egli  procede  sempre  un  passo  indietro  rispetto all'  ente  zoologico.  Il  valore  e  il  grado  organico  vitale de'  tipi  vegetali  si  sviluppa  siflFattamente,  che  ci  addita una  relazione  costante  con  la  esplicazione  delle  prime tracce  di  vita  animale  palesateci  dagli  strati  inferiori paleontologici  Sennonché  tosto  1'  attività  zoologica  si mostra  piii  gagliarda;  ed  ecco  appariscono  i  pesci.  Vi  é dunque  un  processo  fra  i  pesci  e  le  forme  vegetabili  pri- mitive degli  strati  inferiori.  Nell'epoca  paleolitica  il  pa- rallelismo par  che  si  voglia  ristabilire.  Prosegue  la  pro- duzione de' pesci;  ma  vi  ha  predominio  di  grittogamo superiori  (felci).  Tosto  il  parallelismo  si  rompe  :  e  dove ne'  profondi  strati  dell'  età  mesolitica  ci  é  predominio de' rettili  e  piante  conifere,  negli  strati  superiori  già compariscono  gli  uccelli.  Il  parallelismo  si  rompe  an- cora; si  dispaia  vie  più;  ed  ecco  che  nell'epoca  cenolitica, tuttoché  col  predominio  delle  fanerogame  si  palesino  le forme  inferiori  de'  mammiferi  (fra  cui  il  piccolo  mar- supiale è  il  più  antico),  negli  strati  superiori  tralucono già  le  prime  tracce  del  processo  animale-umano.  11  pa- di  per  sé  stesso  ^ò  cotanto  semplice,  debole,  molle  ed  omogeneo  si  sdop- pierà?Come  I*  omogeneo  s*  individua,  si  differenzia  senza  nn  interrallo? Come,  senza  il  concetto  del  conato,  questa  iniziale  unità,  questa  unith astratta  e  indoterminata  passerà  a  determinarsi  nella  dualità  del  vegeta- 

bile e  deir  animale?  Nella  Storia  Naturale  il  protùta  ci  rappresenta  ciò che  nella  Cosmogonia  è  la  materia  nebulare:  ipoteti  perciò  Tuna  T al- tra cosa  agli  occhi  del  fisico  e  del  naturalista,  ma  che  con  la  nostra formola  cosmologica  potranno  assumere  valore  di  teti. rallelismo  è  già  beli'  e  scomparso  nell'  età  quaterneria (periodo  postpliocene).* Vita  vegetativa,  dunque,  vita  animale  e  vita  dello spirito  non  assomigliano  già,  come  ordinariamente  si dice,  ad  una  vasta  piramide  di  cui  la  prima  d'esse  raf- figuri la  base,  k  seconda  rappresenti  la  parte  mediana,  e la  terza  poi  simboleggi  '1  culmine  e  quasi  ne  sia  il  corona- mento. Cotesto  piramidi  e  scale  e  sovrapposizioni  e  gra- dazioni ascensive  ritmiche  sono  tricotomie  fatte  a'  gusti degli  Hegeliani;  e  ci  rammentano  le  tre  anime  de' vec- chi scolastici  e  de'  vecchi  peripatetici.  Ma  nò  le  tricoto- mie seriali,  né  le  sovrapposizioni  peripatetiche  varranno a  significarci  mai  la  natura  intima  delle  cose  e  la  legge della  vita  e  del  pensiero  che  è  legge  di  creazione.  Esse  al più  ci  potranno  significare  un  fatto  :  cioè,  o  un  processo di  trasformcunane  fenomenale,  ovvero  un  intervento  del solito  JDeus  machina,  chiamisi  Dio  creante,  chiamisi  Idea reali^BantesL  Son  elle  dunque  frutto  d' osservazione  ed esperienza  grossolana,  ovvero  parto  di  fantasia  e  di  lo- gica abusata  e  sistematica.  Il  processo  organico  zoolo- 

*  L*  UD  de*  tormini  deUa  dualità  organica  (vegetale  e  animale),  su- pera dunque  P altro;  e  siffattamente  può  dirsi  che  il  regno  zoologico  si elevi  sul  regno  vegetabile,  e  vi  s*  adagi.  Il  vegetabile  quindi  nasce  pri- mo, e  primo  si  ferma  :  poiché  mentre  V  ente  zoologico  assolve  il  processo organico  attingendo  perciò  1*  unità  vitale,  il  processo  dell*  ente  vegeta- bile non  si  risolve,  ma  s* arresta.  lia  vita  vegetativa  dunque  non  è  ca- gione, non  è  principio,  non  è  sorgente,  bensì  mezzo,  strumento,  condi- zione preposta  dalla  natura  stessa  acciò  sia  fatto  possibile  il  processo  zoo- logico. E  che  la  vita  animale  sorga  nétta  vita  vegetativa,  n*  è  conferma sperimentale  V  impossibilità  eh*  ella  esista  senza  il*  soccorso  del  vegeta- bile. In  una  sfera  superiore,  in  una  superiore  dualità,  i  termini  appari- scono assai  più  indipendenti  :  r  ente  umano  può  non  aver  bisogno  d'una delle  due  forme  di  vita  vegetale  e  animale.  Vegetabile  ed  Animale,  dunque, ci  rappresentano  una  dualità  essenziale:  una  dualità  in  cui,  col  geminarsi del  Processo  Fisico,  vien  fuora  il  regno  della  vita.  La  forza  non  si  con- verte seco  stessa  per  assumer  valore  vitale,  tranne  che  sdoppiandosi  ne* due regni  dell*  organismo  vegetabile  ed  animale.  Siffatta  dualità  quindi  ci  ò figurata,  per  così  esprìmerci,  da  due  linee  che,  movendo  da  un  centro comune  e  originario,  divergano  e  s*  allarghino  sempre  più,  e  col  divergere convergano,  e  con  l'allargarsi  s'accostino  e  s'annodino  fra  loro  per  atti- nenze molteplici  nutritive,  chimiche,  fisiche,  meccaniche  o  dinamiche. gico  che  s'incarna  e  si  concreta  ne' Molluschi,  ne' Rag- giati, negli  Articolati,  ne'  Vermi  e  negl'  Infusorii,  noa ostante  gli  sforzi  pazienti,  efficaci  e  nobilissimi  de'  na- turalisti, ci  presenta  pur  sempre  forme  originarie  di- yerse,  irreducibili.  A  che  dunque  immaginarle,  come 

per  il  solito  costumano  fare  i  moderni  iperpsicologisti aristotelici,  quasi  fossero  uno  svolgimento  serrato,  fitto e  compatto  d' una  forma  primitiva  ?  * Ora  se  il  regno  organico  non  può  non  esser  nume- ro, dualità;  vuol  dire  eh'  ei  non  si  risolve  in  sé  mede- simo; vuol  dire  ch'ei  non  chiude  il  circolo;  e  vuol dire  perciò  che  nella  vita  è  pur  mestieri  che  sorga  no- vella vita,  e  in  seno  al  processo  zoologico  rampolli  1 processo  iperzoologico.  Non  chiude  il  circolo,  abbiamo detto  ;  perchè?  Non  solo  perchè  è  un'  essenzial  dualità e  quindi  come  tale  irreducibile,  ma  anche  perchè  l' un '  Lo  stesso  Darwin  (per  non  parlare  delKAgassiz)  riconosce  quattro 0  cìnqae  tipi  irreducibili  nel  regno  della  Zoologia,  e  altrettanti  in  quello della  Botanica  (De  VOrigine  det  etpècet,  trad.  frane,  p.  669.)  Or  eia- senno  di  questi  tipi  fondamentoli  costituisce  anch' egli  un  processo;  ri- pete anch*  egli  nel  proprio  svolgimento  la  medesima  leggo  universale  che sopravveglia  al  Processo  cosmogonico.  Però  oggi  la  teorica  Darwiniana, chi  ben  la  comprenda,  non  faclie  confermare,  nel  mondo  della  vita  organica, la  nostra  formola  cosmologica.  La  quale  viene  altresì  confermata  in maniera  invitta  dalla  Paleontologia,  dair  Embriogenià,  dalla  Tassonomia, dalla  Morfologia,  così  nel  tempo  come  nello  spazio  geologico  ed  attuale. A  questo  proposito  potremmo  dire  che  rafn/7Aioa»(«,peresempio,  sia  come il  simbolo  per  eccellenza  di  questa  legge.  Quel  che  in  lui  è  permanente, in  tutt*  i  vertebrati  è  passeggiero  e  progressivo.  Perciò  il  valor  della  vita 

nel  processo  zoologico  cresce,  non  altrimenti  che  la  legge  di  gravità, col  farsi  vieppiù  complesse  e  complessive  e  diverse  le  relazioni  biologi- che, anatomiche  e  geografiche.  1  tipi  fondamentali  adunque  attuano  la vita,  ma  non  succedendosi,  non  isvolgendosi  ^Qt  JUiaxìone,  direbbero  TAgas- siz  e  lo  Spencer,  sibbene  movendosi  quasi  di  fronte  anch*  essi,  e  in  modo, per  si  esprimerci,  parallelo.  Però  il  Darwin  e  THoeckel  fan  benissimo  a paragonare  V  esplicazione  del  mondo  organico  al  crescere  e  diramarsi  d'un albero  :  ma  il  difficile  pel  Darwinismo  ove  sta  ?  Sta  nel  darci  ragione  della radice  prima,  delle  barbe  estreme  di  cotest*  albero,  nonché  dell*  estreme 

produzioni  degli  ultimi  suoi  rami.  A  tal  duplice  bisogno  i  Darwiniani non  soddisfano;  ed  ecco  perchè  riescono  ad  una  dottrina  incompiuta  di storia  naturale,  anzi  erronea,  tuttoché  paia  positiva,  positivissima  agli occhi  loro,  come  vedremo  fra  poco.  (Ved.  Aqassiz,  De  Vetpéce  et  de  la da$»,  en  Zoologie^  trad.  Vogoli,  1869.) de' due  termini  di  questa  dualità  zoofitologica  lasciasi indietro  il  suo  compagno;  di  maniera  che  restandoselo, e'  non  più  chiudere,  anzi  per  ciò  ha  da  schiudere  il  cir- colo. Or  nella  gran  legge  del  processo  universale,  schiu- dere il  circolo  non  vuol  dir  già  rifare  il  già  fatto.  Vuol dir  fare: 'vuol  dire  far  di  nuovo,  andare  più  in  su, "rom- pere sempre  più  i  limiti  e  rendere  spedito  lo  sforeo  im* pedito  e  allontanarsi  e  uscire  sempre  più  dal  nulla:  in- somma vuol  dir  creare.  Dunque  il  processo  iperzoologico, il  processo  isterico,  non  potendo  sgorgare  in  veruna maniera  da  un  qualche  punto  in  che  possano  per  av- 

ventura coincider  le  due  linee  sovra  cui  s'è  andata  svol- gendo la  doppia  forma  di  vita  animale  e  vegetativa, debb' emerger  necessariamente  dal  seno  istesso  d'una delle  due  serie;  da  quella  serie  la  quale,  superando l'altra,  si  prolunghi  e  lascisi  indietro  la  prima.  Qui  il moto,  la  vita  è  senso,  e  il  senso  è  moto.  Qui  il  centro si  sdoppia,  ed  è  pur  visibile.  La  vita  muove  dal  cuore, per  esempio,  e,  rincirculando,  vi  fa  ritomo.  Sgorga  an- che dal  cervello,  e,  per  intime  riflessioni  moltiplican- dosi e  rincirculando  anche  qui,  va  a  rifondei-si  nel  me- desimo foco  ;  talché  cotesto  foco  è  centro,  e  nel  mede- simo tempo  circonferenza.  Sennonché,  l'unità  che  qui è  visibile  e  tangibile,  é  ella  altrettanto  intelligìbile? Se  fosse  davvero  intelligibile,  non  sarebbe  altresì  intel- ligente? Che  cosa  dunque  le  manca?... La  dualità  qui  non  solamente  rivelasi  nell'orga- nismo, nell'organismo  perfetto  del  mammifero:  ella  ri- velasi anche  lungo  tutta  la  serie,  in  ispecie  al  sommo della  serie  degli  organismi  zoologici  considerati,  per dirla  col  Lamarck,  siccome  formanti  unico  organismo. Di  fatto  il  processo  zoologico,  il  mondo  animale,  la  Vita, finisce  col  produrre  anch' ella  una  dualità:  la  dualità del  quadrumane  e  del  bimane.  Eccoci  all'  estremo  con- fine del  mondo  animale;  all'ultimo  sdoppiamento  del processo  zoolop;ico.  Qui  dunque  é  inevitabile  un  novello conato,  uno  sforso  impedito  e  superato,  il  conato  su- 

premo  della  vita.  Nella  vita  insomma  si  genera  il  pen- siero; ed  eccoci  alla  creazione  d'un  nuovo  genere,  d'un Sommo  genere,  del  Sommo  Genere:  Humanum  Genus. Questo  genere  umano  è  egli  un  ordine  zoologico? Senza  dubbio;  è  un  ordine  zoologico.  Ma  non  è  altresì un  régno?  È  un  ordine  quant'  alle  analogie  fisiche,  bio- logiche, anatomiche  eh'  ei  serba  rispetto  alle  altre  fa- miglie di  bimani  :  è  un  ordine  perchè  qui  havvi  conti- nuità (to'  avvi^ù),  continuità  materiale,  sensata,  reale. Ma  non  è  anche  un  genere?  anzi'l  Genere  sommo?  Certo è  tale  ;  ed  è  tale  per  una  ragione  assai  semplice  e  chiara, meno  pel  materialista  e  pel  positivista  Darwiniano.  Nel Processo  fisico  la  specie  è  nel  genere,  e  vi  si  confonde  ; poiché  in  esso  tutto  è  omogeneità,  tutto  monotonia, tutto  immobilità  nello  stesso  moto  interno  del  mondo degli  atomi  e  della  materia  fnetafisica.  Nel  Processo  or- ganico vegetativo,  per  contrario,  le  specie  si  moltipli- cano; e  in  esse  incarnasi  '1  principio  dell'eterogeneità, dell'analisi.  Nel  Processo  zoologico  le  si  moltiplicano  an- cora, ma  si  moltiplicano  limitando  sé  stesse;  poiché  il generale  qui  si  compie  nella  cotnplessità.  Solamente  nel Processo  isterico  e  sociologico  l'individuo  è  vero  indivi- 

duo, poiché  é  genere  e  specie  ad  un  tempo  istesso.  Che cos'  é  la  specie?  È  il  genere  in  quanto  genera  sé  mede- simo :  é  lo  stesso  genere  che  si  moltiplica,  e  si  differenzia. 

Dunque  la  specie  compie  il  genere.  E  lo  compie  non  solo perchè  lo  sustanzia,  lo  concreta  e  lo  individua,  ma  an- che perché  si  porge  a  lui  qual  mezzo,  strumento,  anello, onde  un  genere  procede  all'esplicazione  d'un  genere novello.  Inutili  dunque  gì'  intervalli  fra  gli  anelli  d' un genere.  Qui  è  il  regno  della  trasformazione  e  della  reale continuità,  e  la  natura  non  vi  procede  a  salti.  Qui  il passaggio  riesce  insensibile,  e  può  essere  studiato  in  ma- niera sperimentalmente  positiva:  ecco  l' onore,  il  grande onore  del  Darwinismo.  Or  la  specie  umana  non  è  anello, non  è  mezzo,  non  è  strumento  fra  due  generi.  L' ente umano  è  specie  e  genere  in  sé,  poiché  in  sé  stesso^ personalità.  Ed  è  personalità  perchè  è  pensiero:  ed  è pensiero  perchè  è  triplicità  ori,jinaria.  Egli  dunque,  udir  proprio,  conchiude,  compendia  e  chiude  il  circolo del  processo  cosmico.  L' origine  sua  è  modestissima  :  egli emerge  dal  mondo  zoologico,  e  per  questo  anche  lui  è  un ente  zoologico.  Ma  non  è  egli  forse  Y Animai  politico (Uov  TTo^tTtxov)  d'Aristotile?  Non  è  egli  forse  Y Animai religioso  (Cwv  puexTcxov)  di  Platone?  Anch'egli  dunque  è un  mezzo;  ma  è  mezzo  a  sé  medesimo:  ed  è  mezzo  a sé  stesso  appunto  perchè  è  il  fine  delle  cose.  I  modernis- simi Individualisti  quindi  hanno  ragione  a  predicarci una  verità  vecchissima  :  il  regno  umano  essere  umano 

appunto  perchè  in  esso  quot  sunt  individua  tot  suni species.  Qui  dunque  la  specie  è  genere  perchè  è  vero individuo,  ed  è  vero  individuo  perchè  è  genere.  Olii è  in  grado  infatti  di  pensare  e  pronunziare  Y  ineflFabile lo  entro  cui  s' aduna  tutto  il  valore  dell'  universo, in  lui,  individuo,  vive  l'universale;  in  lui,  individuo,  è l'altro  individuo,  e  pur  se  ne  distingue. Alla  vita  succede  il  pensiero;  o  meglio,  nella  vita sorge  il  pensiero.  L'essenza  di  esso  è  l' universalità  e  in- sieme l'individuazione,  medesimezza  e  diversità,  con- versione in  atto;  è  la  conversione  che  s'attua  sempre  più nel  tempo  e  nello  spazio.  Ed  è  sempre  il  punctum  e  '1 moìnentum,  è  sempre  la  suprema  dualità  del  mondo cosmico,  è  sempre  il  conato,  lo  sformo  impedito  che  qui non  si  ripete,  ma  riappare  trasfigurato  nella  rappre- 

sentazione, nel  sentimento,  nel  fantasma,  nella  co- scienza. E  qui  davvero  il  punto  e  '1  momento  unum idemque  sunt,  poiché  il  cronotopo  torna  ad  esser  puro, ma  traendo  seco  ben  diverso  contenuto.  Il  cronotopo è  già  divenuto  coscienza,  presenzialità,  riflessione,  tras- parenza della  stessa  natura....  Qua!  è  dunque  la  con- seguenza? Conseguenza  chiara,  inevitabile:  un  gemre superiore  all'  umano  è  impossibile,  è  assurdo,  per  la stessa  necessità  di  natura:  rebus  ipsis  didantibus.  Le idee,  le  idee  umane  qui  sono  per  sé  stesse  idee  divine, 

naturcdmente  divine.  Ecco  perciò  ud  altro  mondo,  un altro  cielo,  un  altro  aere!  Ecco  perciò  un  altro  pro- cesso, un  altro  circolo  sconiSnato  !  La  legge  è  pur  sem- pre la  stessa:  ma  il  conato  già  divenuto  coscienza,  cioè la  materia  metafisica  già  divenuta  luce  metafisica  crea  la società.  Il  conato  qui  è  sentimento,  e  crea  la  Religione. Il  conato  è  fantasia,  e,  come  tale,  crea  l'Arte.  Il  conato è  libertà,  auctorUas  naturaliSy  e  crea  lo  Stato  e  la  Scuola. Il  conato  è  ragione,  e  crea  la  Scienza. Eccoci  dunque  tornati  in  seno  al  processo  e  al  cir- colo psicologico,  in  seno  alla  genesi  e  alla  teleologia  psi- cologica. Se  dunque  il  conato  qui  è  Ragione  spiegata, ne  viene  che  cotesto  ente  iperzoologico,  cotesto  ente umanoj  surto  nel  grembo  stesso  della  natura  ej  per opera  e  attività  profonda  di  natura,  ha  da  essere  il  Re e  '1  Sacerdote  di  se  stesso. Ma  torniamo  ancora  al  Darwinismo,  alla  grande  dot- trina del  mondo  moderno.  Il  processo  zoologico  pel  Dar- win è  quasi  un  albero;  immagine,  dicemmo,  felicissima. Egli  ci  mostra  come  si  dispieghino  e  crescano  e  perdu- rino i  rami  divem  di  quest'albero;  ma  la  sua  dottrina non  va  al  di  là  della  radice,  né  giugne  al  di  qua  de'  ra- mi. Non  vede  né  come  la  radice  sia  unità  confusa  con- tenente una  dualità,  né  come  gli  ultimi  rami,  adunan- 

dosi e  raccogliendosi  in  due  fasci,  siano  anch'  essi  una dualità,  ma  una  dualità  spiegata,  la  quale  perciò  rac- chiude r  esigenza  dell'  unità.  La  ipotesi,  come  altrove dicemmo,  é  quasi  lo  strascico  che  accompagna  sempre la  mente  del  naturalista  e  del  severo  sperimentalista. La  ipotesi  xwowisoria  su  la  pangenesi  (come  il  Darwin la  chiama  nella  seconda  sua  opera),  é  un  lampo  di speculazione  fisosofica;  ma  lampo  incerto,  debole,  fuga- 

Gissimo,  il  quale  ci  addimostra  più  aperto  il  difetto  della dottrina  Darwiniana.* Ma  nelle  intenzioni  del  Darwin,  e  più  de' Darwi- niani, la  nuova  dottrina  zoologica,  anziché  una  teleo- logia degli  enti  zoologici,  è  una  teorica  onninamente meccanica  del  mondo  animale,  e,  ciò  che  più  duole, empirica.  I  Darwiniani  oggi  sono  i  Positivisti  della  Sto- ria Naturale;  e,  come  i  Positivisti,  rappresentano  an- ch'essi l'indirizzo  empirico  dell'Aristotelismo.  Che  se r  antica  Storia  degli  animali  è  anche  per  essi  un  capo- lavoro, non  sarebbe  tale  ov'  ei  pensassero  come  questo *  Il  Darwinismo,  chi  ben  Io  intenda,  è  nna  splendida  pagina  di  te- leologia applicata  al  mondo  degli  organismi.  Ma  non  tutti  i  naturalisti  ^ Jian  saputo  cogliere  quest*  aspetto  originale,  che  anzi  non  è  mancato  chi come  il  KOllicher  e  1*  Hoeckel,  abbia  accusato  il  Darwinismo  di  favorire 

la  teleologia,  in  Italia,  al  solito,  chi  leva  alle  stelle  il  Darwin,  e  chi  lo ripudia  e  lo  ricaccia  giù  nel  letamaio  senza  guari  capirlo.  Chi  Io  innalza alle  stelle,  gli  fa  più  male  che  bene  ;  e  questi  sono  i  malati  di  tcimmio- mania.  Chi  poi  lo  caccia  nel  letamàio  fa  male  a  so  stesso,  perchè  dà segno  d*  intendersene  assai  poco.  E  neanche  gì*  Iddii  superiori  del  nostro olimpo  filosofico  e  letterario,  quali  sono  il  Tommaseo  ed  il  Mamiani,  ci porgono  segno  d*  averne  ponderato  V  importanza.  Il  Mamiani  chiamerebbe il  Darwinismo  nna  teleologia  utilitaria  ;  per  cui  nella  dottrina  del  natura- lista inglese  J*  A.  delle  Confezioni  ha  visto  radicato  non  so  che  di  Ben- tbamismo.  Veramente  non  ha  tutti  i  torti  T  illustre  Neoplatonico  se  in mezzo  a  tanta  e  sì  accanita  lotta  p€r  Vetittenxa  ha  scorto  incarnato r  Utilitarismo.  Anche  Carlo  Darwin  è  nn  anglo-sassone!  Ma  ecco  quel  che noi  osserviamo  circa  1*  accusa  d*  UtiHtariamo  lanciata  contro  alla  dottrina Darwiniana.  Se  ci  ha  ordin  di  fatti  ne*  quali  si  possa  e  debbasi  invocare il  Bentham,  il  processo  zoologico  è  quel  desso.  Quivi  regna  sovrano r  istinto,  e  vi  impera  la  forza.  Perciò  il  domma  della  naturale  elezione  è proprio  il  principio  deir«a»2€,  e  non  dell*  e^ruo-ÒMono.  Sennohchò  qui  co- mincia a  regnare  il  principio  deir«h7e,  e  qui  ha  da  finire.  Il  Wallace, che  ad  ingegno  potente  deve  certamente  accoppiare  anima  bella  e  gene- rosa, se  n*  ò  già  accorto,  quantunque  anche  lui  di  schiatta  inglese  e, per  giunta.  Darwiniano.  Darwiniano  infatti  prima  del  Darwin,  egli  dice che  il  principio  deU*e{«nof»  natunde  eeaea  il  giorno  in  che  appare  nelV  uo- mo  il  tento  della  eooialità.  (Ved.  Sur  Vorigine  dee  raeet  humainee  et  Van- iiquité  de  VHomme,  déduitee  de  la  thiorie  de  la  téleetion  naturelUf  Gap.  IV.) Questa  sentenza  dell*  illustre  Wallace  è  nna  risposta  molto  acconcia  ed 

efficace  ai  Darwiniani  sistematici  d*  ogni  paese,  che  con  tanto  fanatismo ed  esagerazione  parlano  oggi  delia  naturai  teienùme,  fra*  quali,  per  es.,  il Lubbock,  anima  d*  inglese  davvero.  (Ved.  VHomme  avant  VHiet.  ec,  trad. Barbier,  Paris  1867,  pag.  492.) libro  del  yecchio  di  Stagira  compiasi  in  tutte  le  altre sue  scritture,  massime  nel  concetto  de' tre  ordini  di vita,  e  neir  idea  di  natura  cui  egli  seppe  levarsi.  Chec- ché ne  sia,  la  legge  onde  l'albero  darwiniano  si  sviluppa e  cresce  e  sdoppiasi  ed  estende  nei  suoi  rami,  è  legge  di pura  trasformazione,  nel  che  sta  proprio,  giova  ripeterlo, l'indirizzo  naturale  ed  empirico  dell'Aristotelismo  in cotest'  ordin  di  cose.  Ecco  perchè  il  naturalista  inglese non  riesce  a  spiegare  né  còme  e  donde  mai  sorga  la  ra- dice del  suo  grand' albero  zoofitologico,  né  come  e  dove abbiano  a  terminarsi  le  estreme  sue  ramificazioni.  Ai Dai'winiani  dunque  manca  il  vero  concetto  teleologico naturale,  perchè  ad  essi  manca,  tuttoché  ricchi  d' in- 

dagini minute  e  di  preziosissime  induzioni  particolari, il  moderno  concetto  della  creazione.' *  Che  il  Darwinismo  come  dottrina  di  storia  naturale  sia  incompinta e,  sotto  alcuni  riguardi,  anche  fallace,  T  attesta  quella  moltitudine  di principii  eh*  esso  invoca  per  imprimerò  a  so  medesimo  un  yalore  scien- tifico 0  razionale.  Egli  inroca  il  principio  della  Coneorrenaa  vitale,  e  della lotta  per  V  etUtenxa,  Invoca  il  principio  de*  Mutui  rapporti  fra  gli  orga- nimi. Chiama  in  sussidio  la  legge  ùeW  Atfivitno,  e  àeìV  Adattainento, 

Invoca  la  legge  della  Divergenza  de^ caratteri  zoologici;  e,  Analmente, quella  che  parrebbe  comprendere  ogn*  altra  della  Slexion  naturale.  Or tutti  questi  non  sono  principii  ;  sono  condizioni,  sono  concanse  del  gran fatto  della  DUcendenna  modificata.  Ciascuna  di  tali  condizioni  potrà  be- 

nissimo spiegarci  questo  o  cotesto  fatto;  ma  non  è  poi  necessaria  una ragione  superiore  atta  a  spiegarci  esse  stesse?  Il  Darwin,  ripotiamolo, è  capace  di  mostrare  come  le  specie  si  modifichino  e  conservino,  ma  non 

addita  1*  origine  di  esse,  nò  la  ragion  filosofica  della  scelta;  laonde,  il  titolo del  suo  primo  libro,  come  altri  ebbe  ad  osservare  è  un  titolo  sbagliato  addi- rittura. (Ved.  LAgoKL,  Révue  dee  Deux  Mondee,  !•  marzo  1S68,  e  nel  suo libro  5!c»ence  et  Philo9ophie,"PAT%  1868,  p.  289.)  Vero  è  che  i  Mutui  rap- porti fra  gli  organismi  avrebbero  valore  e  fisonomia  di  principio  superiore, il  quale  perciò  sarebbe  anteriore  al  fatto  della  ikelta  e  della  Coneorrema vitale.  Questo  anzi  ò  precisamente  il  concetto  originale  onde  il  Darwin ha  superato  la  Scuola  del  Lamarck.  Ma  1*  idea  del  mutuo  rapporto  orga- nico, non  racchiude  forse  quelle  del  mezzo  e  del  fine  ?  E  s*  egli  ò  cosi non  siamo  già  nel  campo  di  quella  teleologia  che  fa  tanta  paura  ai Darwiniani  e  della  quale  ei  non  vonno  sentir  neanche  fiatare?  Inoltre, che  la  dottrina  Darwiniana  riesca  essenzialmente  empirica,  ce  *1  dimo- stra r  impossibilità  di  dedurre  la  necessità  della  Diecendenta  modificata. Quattro  sono  le  condizioni  per  la  comparsa  d*  una  nuova  specie  :  !•  ap- parizione d*  un  nuovo  carattere  ;  2o  suo  determinarsi,  e  diffondersi;  per Ma  se  il  Darwinismo  è  dottrina  per  sé  stessa  man- chevole in  quanto  non  riesce  a  spiegare  in  verun  modo le  origini  delle  specie,  non  meno  manchevole  s'  addi- 

mostra ove  procacci  spiegar  V  origine  dell'  uomo  con- siderato come  subbietto  di  storia  naturale.  I  Darwi- niani si  studiano  rintracciare  un  vincolo  naturale  fra  il processo  zoologico  e  il  processo  isterico,  applicando  il principio  della  Bivergenga  Aé  caratteri,  e  della  Discen- denega  modificata.  Ma,  senza  dir  già  che  gli  stessi  zoo- logisti (fra  i  quali  il  Watson)  contraddicono  a  siffatte pretensioni,  alla  ragion  filosofica  positiva  riesce  evidente come  il  principio  darwiniano,  tanto  felicemente  appli- cato dal  Darwin  alle  manifestazioni  successive  del  pro- 

cesso organico  e  della  vita  sia  naturali  sia  domestiche, tomi  insufficiente,  anzi  erroneo,  quando  in  modo  asso- luto si  voglia  applicare  al  regno  umano.  Tale  applica- 

zione è  stata  fatta  con  ricchezza  di  notizie  particolari  e con  vedute  ingegnosissime  e  affascinanti  dal  valoroso professor  Vogt.  Egli  ha  visto  la  necessità  di  compiere  il principio  della  Divergenza  con  V  altro  della  Conver- genza de'  caratteri  zoologici.  Questo  è  il  concetto  nuo- vo, bellissimo,  ch'egli,  fra  i  naturalisti,  ha  introdotto nella  Storia  naturale  ;  e  l' antico  maestro  della  Historia Animalium,  se  oggi  tornasse  a  vivere,  glie  ne  rende- 

rebbe giustizia.  Uno  per  lui  è  il  tipo  de'  quadrumani  il la  qaal  diffusione  solamente  è  resa  possibile  la  varietà;  8*  ampliarsi» perfezionarsi  e  fissarsi  di  questo  carattere  ;  4*  predominio  della  nuova razza  so  le  altre.  Or  come  e  perchè  si  fissa  eg^li  cotesto  carattere  ini- 

ziale? Non  potrebbe  non  apparire  neanche?  Ecco  dunque  svanita  ogni necessità  razionale  della  DUeendenxa  modificata.  Essa  non  e  legge,  per- 

chè non  racchiude  nò  pur  l'ombra  d'universalità,  di  necessità,  di  ra* zionalità.  Una  specie  poteva  non  sorgere:  perchè?  perchè  poteva  non apparire,  né  fissarsi  il  fortunato  carattere  iniziale.  E  cosi  pure  poteva non  sorgere  il  processo  zoologico  accanto  al  processo  vegetativo.  Poteva, non  sorgere  il  processo  vegetativo-zoologico  in  grembo  al  processo  fisico. £  di  questo  passo  poteva  altresì  non  essere  il  mondo  totto,  e  cosi  re- stare  eternamente  possibile  (che  vuol  dire  impossibile)  il  gran  fatto  delia- creazione.  Non  è  questa  la  conseguenza  ultima  alla  quale  mona  la  Storia. 

Naturale  al  modo  che  ci  è  data  da' moderni  aristotelici  empirici  e  dai positivisti  Darwiniani? quale,  sdoppiandosi  per  leg^e  di  divergenza  ne' due  rami principali  delle  scìmmie  del  mondo  nuovo  e  del  mondo vecchio,  dà  luogo  siflFattamente  alle  tre  note  famiglie scimmiane.  Or  qui  alla  divergenza  dee  soccorrere  la  con- vergenza;  che,  in  fatti,  dalle  tre  famiglie  di  scimmie  sor- gon  le  antropoidi,  le  quali  sono  fornite  di  caratteri  co- 

muni. I  due  principii  dunque  s'incontrano,  diremmo,  su gli  estremi  confini  del  mondo  zoologico,  e  così  chiudono il  circolo  del  processo  animale.* Il  concetto  del  Vogt  su  la  necessità  della  Conver' *  Chi  volesse  abosare,  protraeodo  ancora  oltre  i  confini  della  yita animale,  il  principio  della  ditfergenza,  giagnerebbe  a  questo  risultato: 

che,  cioè,  il  circolo  zoologico  non  dovrebbe  chiudersi  mai,  e  il  processo della  vita  dovrebV  esser  costituito  da  una  serie  infinita  di  termini. 

Oltr'a  ciò  contradirebbe,  nel  medesimo  tempo,  all'esperienza  e  alla nostra  formola  cosmologica;  che  vuol  diro  farebbe  contro  al  fatto,  e alla  ragione.  Il  fatto  è  assai  semplice.  Il  regno  umano,  qualunque  ne sia  la  specie,  palesa  identità  ne' caratteri  fisici  piìi  specificanti;  per  es. estremità  atte  all'incesso  eretto,  apparato  dentario-mascellare  inenne 

e  simili  :  e  palesa  identità  eziandio  ne'  caratteri  morali  e»9enMÌali,  non essendo  vero  oggi  mai  che  tra  il  bianco  e  il  negro  corra  differenza  spe- 

cifica essenziale,  meno  (s'intende)  agli  occhi  lincei  degli  Hegeliani,  i quali  hanno  assoluto  bisogno  di  questo  divario  essennale  ed  immanenUf se  no  la  gran  legge  dialèttica  se  n'andrebbe  in  fumo!  Col  che  essi  non solo  (sia  detto  di  passata)  fanno  ingiuria  ai  fatti  in  quanto  che  il  fatto oggi  mostra  che  il  povero  negro  non  è  poi  tanto  irreducibile  quant'essi vannosi  immaginando,  ma,  che  più  monta,  insultano  l'umanità  stessa oltraggiando  così  quella  disgraziata  schiatta  a  cui  siamo  legati  per natura.  Aristotele  certo  non  andò  tant'  oltre  col  suo  concetto  su  la  ne- cessità della  schiavitù!  La  sua  necess'itkertk  naturale,  empirica,  di /atto; 

non  già  dialettica,  non  già  assoluta.  Son  proprio  dommatici  cotestoro!  son proprio  aristotelici  iperpsicologisti  fino  al  midollo  delle  ossa!  Dunque, 

tornando  a  noi,  attesa  la  doppia  identità  di  caratteri,  il  circolo  zoologico si  chiude;  ed  è  un  fatto.  Ma  abbiamo  detto  che  l'applicazione  assoluta 

del  principio  della  divergenza  contraddice  anche  alla  ragione:  porchò? Perchè,  se  cosi  fosse,  il  numero  sf  rimarrebbe  numero,  l'eterogeneo  re- 

sterebbe eterogeneo,  l'analisi  resterebbe  analisi,  il  diverso  diverso,  e  cosi tutto  sarebbe  negazione  di  scienza,  e  cadremmo  nel  nullismo.  Le  origini 

del  processo  isterico  sono,  e  debbon  essere  multiple.  Ma,  io  chiederò, dove  non  si  uscisse  dalla  differenza  •pecijica,  non  rimarremmo  chiusi  in perpetuo  nel  regno  zoologico?  Non  faremmo  contro  all'essenza  stessa della  forza,  della  natura,  della  materia,  del  conato  e  della  vita  dell'uni- 

verso?In  una  parola:  col  perpetuare  il  processo  zoologico,  non  verremmo a  negare  evidentemente  il  progresso? genea  ne^  confini  del  processo  zoologico  è  preziosissimo  : esso  costituisce  Y  esigenza  vitale  della  filosofia  della  na- tura e  della  storia.  Ma,  eccoci  al  guaio!  Egli  esagera  in maniera  cotesto  principio,  che  non  si  salva  dal  precipitare nell'errore  opposto  a  quello  cui  riescirebbe  il  Darwin ove  questi  presumesse  d'applicar  la  legge  della  Diver- 

genza anche  al  di  qua  del  regno  zoologico.  Egli  esagera siffattamente  la  legge  della  Divergenza,  da  credere  che le  tre  famiglie  scimmiane,  fra  loro  diverse  per  condi- 

zioni biologiche  e  geografiche,  vadano  convergendo  così ne'  lor  caratteri,  che  tosto  giungano  ad  assumere  forma simile,  relativa  all'umana.  Or  questo  egli  non  ha  di- mostrato; e,  per  fortuna^  mai  non  potrà  giugnere  a dimosti-arlo.  E  non  può  dimostrarlo,  giusto,  perchè  d'un principio  vero  e  fecondo  egli  ha  fatto  un'  applicazione addirittura  erronea.  Le  famiglie  scimmiane  sono  e  man- tengonsi  multiple  nelle  origini  loro.  Delle  antropomorfe già  contiamo  due  generi  ;  e  fra  esse  le  distanze  si  pa- lesano più  spiccate  che  non  paion  fra  esse  medesime 

e  la  specie  umana.  Or  quest' fwmanum  Genus  è  uno, come  s'è  detto,  perchè  le  differenze  specifiche  in  lui 

sono  immaginazioni  de' cervelli  dialettici  e  svolazzato! educati  al  trascendentalismo  hegeliano.  Qui,  dunque,  su gli  estremi  confini  del  regno  della  vita  è  necessario,  è inevitabile  un  intervallo  assai  più  netto  e  spiccato.  È necessario,  è  inevitabile  un  ^alto,  un  salto  di  Leucade, perocché  debb'  esser  superato  dall'  ultimo  e  supremo conato  di  natura;  al  modo  istesso  che  in  una  sfera  su- periore, nella  sfera  del  pensiero  filosofico,  la  virtù  edut- tiva  ci  rappresenta  il  conato  estremo  della  speculazione metafisica.* 

*  II  Vogt  perciò  neUa  flne  del  processo  zoologico  trovasi  in  qoene stesse  condizioni  in  che  si  ritroTa  il  Darwin  sul  comindaniento  ed  ori- gine delle  specie:  si  perdono  entrambi  nelle  ipotesi.  Ma  il  Vogt  diri: il  mio  metodo  è  sapremamente  comprensivo,  logico,  legittimo,  compitis- almo.  Da  una  parte,  tre  famiglie  scimmiane  che  sempre  più  conrergono neMor  caratteri:  dall*  altra,  guardando  la  storia  de* popoli,  tre  schiatte umane.  Quelle  ascendono  Tieppiù  conyergendo  fra  loro  :  queste  poi,  quanto SlCILIAM.  31 Le  leggi  dunque  della  divergenza  e  della  conver- genaa  di  cui  ci  parlano  i  Darwiniani,  sono  entrambe necessarie  alla  teorica  positiva  della  storia  naturale;  ma vogliono  esser  congiunte  e  legittimate  mercè  un  con- cetto cosmologico  rcunonalmenie  posUivo.  Innalzando r  una  d' esse  ad  assolutezza,  avremmo,  ripetiamolo,  una divisione  e  un  disperdimento  sempre  più  dicotomo  del processo  zoologico.  Elevando  l' altra  a  dignità  assoluta, ci  troveremmo  in  presenza  d' un  vero  miracolo.  Fac- ciamoli pur  fare,  io  dico,  i  miracoli  alla  natura  :  noi Siam  qui  ammiratori  silenziosi  e  contenti  della  ricca fecondità  di  quest'antica  e  veneranda  madre.  Ma  non dobbiamo  legittimarne  almeno  la  possibilità? Uomo  e  animale  certamente  costituiscono  un  regno 

convergente,  come  il  vegetabile  e  l'animale.  Ma  s' egli  è possibile  rintracciare  un  protista  fitozoa  nel  quale  con- vergano le  due  serie  del  processo  orgamco  ascendendo verso  le  origini  loro,  assai  difficile  tornerà  il  trovare  un protista  antropoide  che  sia  nel  medesimo  tempo  uomo e  bestia,   e   dal  quale  sia  potuto  venir  fuora  1'  ente più  salgono  e  s*  accostano  alle  origini,  ascendono  dirergendo  sempre  pi ii fra  loro.  V*  ha  dunque  rispondenza  squisita  di  qua,  e  di  là  ;  e  quindi  o^ni intervallo  è  colmato,  nò  altro  vi  esiste  fuorché  reale  e  perfetta  conti- nuità. —  La  rispondenza  davvero  sarebbe  maravigliosa,  ove  non  fosse  al tutto  artiflziale.  Il  valoroso  Vogt  piglia  il  piede  al  gorilla,  chiede  la  mano al  chimpansé,  toglie  il  cervello  airorang-outang,  chiama  in  sussidio  lo scheletro  delio  sciamang,  chiede  in  prestito  la  testa  del  cebo,  degli  ovi- stiti  0  d*una  specie  affine,  e  a  rintracciar  la  facoltà  della  favella,  po- trebbe, da  buon  positivista,  chieder  aiuto  al  pappagallo,  segnatamente al  ptittaoM  eritkcnu.  E  così  pellegrinando  su*  lidi  Affricani  e  poi  in  Ame- rica, a  Borneo,  a  Sumatra,  a  lako,  e  raccogliendovi  le  sparte  membra, egli  compone  l'Adamo,  ansigli  Adami,  sicché,  novello  Michelangelo  col suo  Mosò,  0  meglio,  novello  Prometeo  col  suo  nomo  di  creta,  ci  assicura di  trar  fuori  Tonte  umano,  la  storia,  il  pensiero,  la  civiltà!  Ma  applichi, di  grazia,  con  più  rigor  logico  il  suo  stesso  principio:  che  cosa  ne  verrà? Ne  verrà  che  la  stirpe  etiopica  dovrebb'  esser  nata  dall'  orang-outang, anziché  dal  gorilla  o  dal  chimpansé.  Giacché  ov'ella  provenisse  da  que- sti, appo  cui  le  estremità  sono  perfette  relativamente  a  quelle  dell*  orang- outang,  io  potrò  domandare:  in  che  maniera  1* etiopico  avrebbe  estre- mità superiori  così  mostruosamente  lunghe,  ed  estremità  inferiori  così 

meschinamente  carnose  di  fronte  alle  altre  schiatte? umano.  Un  essere  che  non  sia  uomo  né  scimmia,  non  s' è trovato;  né  forse  può  ritrovarsi,  per  quanto  l'aifannosa attività  del  naturalista  andrà  razzolando  per  entro  alle antiche  caverne  africane.  L'uomo  forma  un  regno  con- vergente non  già  con  l'animale  in  genere,  bensì  con r animale  che  assume  l'ultima  forma  zoologica,  ciò  è dire  col  quadrumane.  Esso  dunque  devesi  concentrare in  una  delle  due  serie,  in  un  de'  termini  della  dualità superando  V  altra.  Or  questa  trascendenza  é  impossìbile senza  un  intervallo  ;  e  però  l' uomo  è  nel  medesimo tempo,  come  s' è  detto,  un  ordine  ed  un  regno  rispetto ai  quadrumani.  Dunque,  né  immediata  provenienza dalle  scìmmie,  né  discendenza  diretta  da  un  primate che  sia  stipite  comune.  All'  una  cosa  e  all'  altra  si  op- pone evidentemente  la  diversità  di  caratteri  esistente fra  r  uomo  e  la  scimmia.' Ma,  inoltre,  vi  s' oppongono  altre  ragioni  che  ci  é lecito  desumer  dalle  scienze  affini,  massime  chiamando 

in  sussidio  la  geologia  e  la  fisiologia.  Poiché  la  famì- glia delle  scimmie  appartiene  ai  quadrumani,  ne  viene che,  a  cagione  dell'incesso  eretto,  elle  deggiono  aver trasformato  in  piede  la  mano  delle  estremità  poste- riori. Ora  il  tempo  richiesto  a  tal  trasformazione,  non 

avrebbe  a  esser  lunghissimo?  piii  lungo,  certo,  che  noi richiederebbe  la  trasformazione  del  piede  in  mano? Uno  de'  risultati  geologici  e  paleontologici  più  sicuri intanto  é  questo:  che  bimani  e  quadrumani  contano presso  che  la  medesima  antichità.*  Dunque  il  tempo che  fisiologicamente  é  lunghissimo,  geologicamente  do- vrebb' esser  brevissimo.  Geologìa  e  Fisiologia  quindi  sì contraddirebbero.  Ma  com'è  possibile  una  contraddizione *  svolgimento  maggiore  de*  lobi  cerebrali  anteriori  e  delle  circonvo- luzioni ;  straordinaria  prevalenza  del  cranio  cerebrale  sai  facciale  ;  con- tinuità della  serie  dentaria;  differenza  nelle  estremità  e  simili:  ecco  le differenze  enormi,  che  sono  altrettanti  fatti  positivi  riconoscinti  da  tatti gli  zoologisti,  fra  Taomo  e  la  scimmia. ■  C.  LTBI.L,  Principta  of  Qtólogy  etc.,  voi.  II.  —  PiOTiT,  Manuel  de Pai  tautologie. in  due  fatti  d'  egual  valore,  d'eguale  importanza  spe- rimentale? In  tal  caso  non  è  lecito  dubitare  de' risul- tati geologici,  i  quali  escludono  con  sicurezza  di  giu- dicio  cotesto  tempo  lunghissimo.  Tanto  meno  ci  potrà esser  lecito  contraddire  alle  leggi  di  sviluppo  biologico e  della  capacità  organica  che  la  fisiologia  sperimentale insegna  richiedersi  alla  suddetta  trasformazione.  Quale sarà  dunque  la  conseguenza?  In  ragione  de' fatti  e  in  nome 

di  due  scienze  essenzialmente  positive,  la  conseguenza  è che  il  fatto  non  sia  potuto  accadere  cosi  come  preten- don  gli  scimmiomani  seguaci  segnatamente  del  Vogt. Quale  altra  ipotesi  ci  rimane  ?  Ve  ne  sarebbe  un'al- 

tra, secondo  alcuni:  supporre  la  discendenza,  tanto  dei bimani  quanto  de'  quadrumani,  da  uno  stipite  comune, da  un  pkcentario  superiore,  da  un  Primate  il  quale, serbando  in  se  stesso  un  valore  come  di  specie  originaria, abbia  dato  luogo,  per  legge  di  divergenza,  al  gemino ordine  anzidetto:  nel  che  tanto  più  parrebbe  doversi consentire,  in  quanto  che  vi  sarebbe  una  continuità  reale e  concreta  favorevole  all'ipotesi,  eh'  è  dire  la  trasforma- 

zione pili  agevole  del  piede  in  mano.  Or  se  questa  ipotesi è  ingegnosa,  non  però  cessa  d'essere  ipotesi.  Vero  o  non vero  tutto  ciò,  siamo  sempre  alla  medesima  difficoltà: dov'è  egli  cotesto  anello  intermedio?  Si  è  perduto perchè  debole,  risponde  il  Darwiniano:  si  è  perduto perchè  ristrettissimo  il  numero  de' suoi  individui.  Ra- gioni di  stoppa,  cotesto,  che  certo  non  meritano  l'onore della  discussione!  Il  filosofo,  o  meglio  la  filosofia  posi- tiva, può,  nel  dimostrar  la  provenienza  del  regno  umano dal  mondo  zoologico,  prescindere  da  cotesti  intermedi: ella  non  ne  ha  di  bisogno,  anzi  li  nega.  Ma  può  non averne  bisogno  una  dottrina  che  presume  d'esser  supre- mamente sperimentale  qual  è  il  Darw^inismo?  I  Darwi- 

niani hanno  assoluto  bisogno  dell'anello,  dell'intermedio; e  r  invenzione  di  cotesto  anello  per  essi  dovrebb'  esser davvero  Y  experimentum  crucis  di  Bacone.  Sinché  dun- que non  r  avran  trovato,  ei  saran  sempre  nel  vago  d' una ipotesi.  Vorremo  fare  il  caso  che  gli  scimmiomani  sieno tanto  fortunati  da  ritrovar  cotesto  anello  ?  Facciamolo. Che  cos'avranno  ottenuto?  Otterranno,  certo,  di  spie- gar le  somiglianze  fra  V  uomo  e  la  scimmia,  di  cui ninno  è,  del  resto,  che  voglia  dubitare.  Ma  non  resterà sempre  a  dar  ragione  delle  difiFerenze  che  anch'essi  ap- pellano indispidabUi?  Diran  forse  che  cotesto  anello  non sia  uomo  ne  scimmia,  bensì  l' una  e  V  altra  cosa  ad un  tempo?  Ma  tal  meschina  supposizione  non  risolve menomamente  il  problema,  sibbene  lo  sposta,  e  saremo sempre  daccapo.* Che  cosa  è  da  concludere  quant'  all'  unità  di  ceppo, all'unità  originaria  dell'umana  specie?  Qui  non  c'è fatti  storici,  né  jpaleontologici,  né  geologici,  né  fisiolo- *  I  crani  rintracciati  nelle  più  yetnste  caTeme  con  la  lor  forma piatta  0  allangrata,  mi  paion  anch*  essi  nn  argomento  di  pan  molle.  Quanto a'  resti  umani  poi  del  periodo  untiario^  e'  son  sempre  umani  ;  perchè  lo strumento  più  grossolano  e  più  semplice  di  pietra,  attesta  sempre  1*  orma del  pensiero,  e  però  è  necessario  T intervallo  fra  Tonte  umano  dell* età della  pietra,  e  la  scimmia.  L*  argomento  del  microcefalo  gioverà  tanto meno  :  egli  ò  un*  eccezione  che  conferma  la  regola,  se  pur  non  si  voglia ritenere  per  affvzione  patologica.  Il  microcefalo  ò  idiota  per  accidente,  o 

non  può  quindi  formare  una  specie.  D*  altra  parte  esiste  una  differenza spiccata  fra  lui  e  la  scimmia.  Non  v*ò  scimmia  che  sia  potuta,  o  possa dovent-ar  uomo.  Chi  potrà  dir  lo  stesso  dell'idiota  per  nascita?  Nel  mi- crocefalo ò  dimostrabile  il  tipo  umano  ;  che  anzi  lo  ha  dimostrato,  fra gli  altri,  il  Wagner.  Im  sviluppo  in  lui  s'arresta,  non  indietreggia;  e perciò  ha  carattere  di  fatto  patologico,  anxichò  di  fatto  biologico  e  na- turale com'ò  nella  scimmia.  Giunta  la  scimmia  a  certo  stadio  di  sua vita,  indietreggia  inevitabilmente:  lo  dimostrò  per  via  di  fatto  il  Cuvier, e  i  moderni  Than  confermato,  e  però  qui  non  siamo  in  patologia,  ma in  piena  fisiologia.  Come  dunque  si  può  elevare  a  legge  il  fatto  del  mi- crocefalo? —  Qualcuno  ha  creduto  che  il  Negro  rappresenti,  anzi  sia  ad- dirittura l'anello  di  cui  si  parla.  Certo,  le  somiglianze  sono  innegabili: ma  chi  potrà  dubitare  delle  profonde  differenze?  Se  il  Negro  fosse  V in- termedio fra  l'uomo  bianco  e  la  scimmia,  evidentemente  dovrebbe  aver qualcosa  di  comune.  Ora  gli  stessi  naturalisti  ci  dicono  il  contrario,  fra i  quali  il  Vogt,  perocché  v'  ò  sempre  un  abisso  fra  il  Negro  e  la  scim- mia. Ripetiamolo:  non  è  dimostrata,  e  non  si  può  dimostrare  la  imme- diata provenienza  dell'uomo  dalle  scimmie.  Non  è  dimostrata,  né  si  potrà mai  dimostrare  la  discendenza  diretta  da  nn  primate  che  ne  sia  stipite comune.  La  legge  di  pura  o  semplice  trasformazione  è  un  assurdo  anche qui,  e  sopratutto  qui. gici,  né  filologici  che  bastino.  Tutti  i  risultati  di  queste scienze  tendono  anzi  a  dimostrare  il  contrario;  e  però non  senza  ragione  il  Wallace,  tuttoché  monogenista, dichiara  la  soluzione  di  tal  problema  favorevole  ai  po- 

ligenisti.  T  ha  una  relazione  costante  fra  la  distribu- zione geografica,  e  quella  della  vita  animale  e  vege- tativa.* £  la  paleontologia  dal  canto  suo  dimostra  le differenze  originarie  delle  specie  vissute  in  altre  età.' Altrove  mostreremo  a  quali  risultati  possano  giungere la  filologia  e  la  linguistica.  Ma  se  non  si  perviene,  e non  si  può  pervenire  a  dimostrare  l'unità  di  ceppo, è  pure  un  fatto,  un  gran  fatto  V  unità  specifica.  Ed  è un  fatto  necessario  per  ragione  intrinseca  dello  stesso processo  cosmico  in  generale,  e  del  processo  zoologico  in particolare.  Il  regno  umano  sorge  nel  regno  zoologico. Dunque  non  può  esser  costituito  da  una  moltiplicità essenziale  di  specie,  ma  debb' essere,  come  dicemmo, un  genere  specificato.  Sia  pur  uìio,  siano  più,  siano  molti gli  Adami:  che  monta?  Forse  che  per  questo  risulterà meno  irrepugnabile  e  men  certa  la  comunanza  di  na- tura? Sarà  men  certa  e  meno  irrepugnabile  Y  univer- salità e  unicità  di  fine  e  di  destinazione  cui  ci  condu- con  logicamente  le  leggi  del  Processo  cosmico?  Tra l'uomo  nero  e  il  bianco  tal  comunanza  va  sempre  più rendendosi  evidente  col  progredire  della  civiltà.  Dun- que le  differenze  di  specie  in  essi  non  sono  essenziali, ma  accidentali.  E  sono  accidentali  appunto,  perchè scompaiono  man  mano,  e  dovranno  scomparire  per  la 

stessa  natura,  per  la  stessa  legge  del  processo  cosmico. Le  differenze  nel  regno  umano,  in  somma,  son  pri- mitive: dunque  non  riguardano  il  contenuto,  bensì  la forma.  Invece  là  medesimezza,  la  communis  natura  è un  risultato  progressivo,  perché  tiene  al  fine,  perchè tiene  al  processo,  istorico  sociologico  :  dunque  ella  è  dote *  AoASSiz,  De  Vetphie,  ed.  cit.,  cap.  I,  iz. •  VoOT,  Op.  cit.  —  LuBBOCK,  Op.  cit.,  p.  492.  —  PiOTBT,  Manuel  cit.  — Ltbll,  Prino.  of  Qeology  etc. essenziale,  non  accidentale:  è  dote  di  tutti  e  di  ciascuno ■  individuo  del  regno  umano. Ma  qui  giova  ribadire  una  conseguenza  accennata  qua dietro.  Se  la  genesi  e  '1  processo,  sociologico  vanno  anch'essi dal  numero  all'unità,  dall'analisi  alla  sintesi,  ne  viene  che ciò  che  per  l'Hegeliano  è  un  diverso  essenjsude  (come  la pretesa  differenza  essetmcde  tra  il  bianco  e  il  negro),  per noi,  al  contrario,  debb'esser  onninamente  accidentale.  La dialettica  hegeliana  perciò  nega  e  deve  logicamente  ne- gare il  progresso  nella  eguaglianza  naturale  delle  stirpi; e  afferma  e  deve  logicamente  affermare  le  differenze essemiàli  e  però  costanti  fra  il  negro  e  il  bianco.  In- vece la  nostra  formola  cosmologica,  che  non  pecca  d' a priorismo  dommatico  e  sistematico,  legittima  il  gran domma  della  comunione  di  natura,  e  ne  mostra  la  ne- cessità. Diranno  che  tutto  ciò  che  è  originario  e  primitivo 

debba  essere  essenziale  e  universale?  (Cotesto  è  linguag- gio da  teologisti  ;  il  quale  del  resto  non  ci  meraviglia,  sa- pendo come  l'Hegelianismo,  anche  in  ciò,  sia  una  contraf' fazione  del  Cattolicismo.  II  povero  Negro  dovrà  piangere eternamente,  in  ossequio  alla  dura  legge  dialettica,  qual- che peccato  originale  :  dovrà  scontare  qualche  colpa  na- turale di  cui  non  ha  pur  Y  ombra  di  consapevolezza  I  Di grazia,  chi  vorrà  accettare  oggidì  simili  conseguenze? La  filosofia  positiva,  dunque,  è  e  debb' esser  polige- nista  quant' air  origine  :  a  questo  ci  spingono  i  risul- tati della  scienza  moderna.  Ma  è  la  medesima  scienza moderna,  è  la  medesima  filosofia  razionalmente  posi- tiva che  e'  impone,  fatto  un  passo  di  qua  dalle  ori- gini, d'esser  necessariamente  monogenisti  nel  senso  te- leologico. Giova  ripeterlo  :  l' uman  genere  è  Humanum 

GenuSj  è  un  sol  genere,  non  per  comunanza  di  ceppo originario,  sì  per  comunione  e  medesimezza  di  natura. Ed  ecco  precisamente  l'aspetto  più  originale  della Scienza  Nuova,  di  cui  ci  è  dato  ormai  comprendere  il significato  razionale. Che  cos'  è  la  Scienza  Nuova?  È  la  filosofia  della storia,  hanno  risposto  a  coro  filosofi  d' ogni  colore  :  è una  scienza  che  T  autore  indirizzava  a  divinare  e  ri- velare il  futuro.  Precisamente  il  contrario!  La  Scienza Nuova  è  davvero  nuova  principalmente  perchè  pre- 

tende rivelare,  anziché  il  futuro,  il  passato.  Ella  è nuova  appunto  perchè  è  la  scienza  positiva  del  vecchio, dell'antico,  del  primitivo,  dell'originario,  cioè  del  natu* rde,  indagato  e  scrutato  e  ricercato  col  doppio  strumen- 

to,come  accennammo,  della  psicologia  e  della  filologia largamente  intese.*  E  poiché   è  scienza  del   passato, ^  Questo  doppio  strumento,  queste  due  forme  di  dimostrazione,  come altrove  toccammo,  ci  son  addato  dallo  stesso  Vico.  L*  una  d*  esse  è  pro- priamente di  natura  a  potteriori,  Taltra  è  psicologica  a  priori;  ed  entrambe costituiscono  II  metodo  eduttivo  della  scienza.  La  prima  è  chiarissima nella  Scienza  Nuora,  e  si  compone  di  fatti  filologici,  mitologici,  storici, statistici,  religiosi,  giuridici,  politici,  economici.  Un  esempio  singolare di  questa  maniera  di  prora  induttiva  io  troviamo  nel  £<>  lib.  del  Diritto Univertale,  e  segnatamente  nella  Storia  delle  cinque  età  del  Tempo  Oscuro; dalla  quale  storia  risulta  la  legge  storica  e  sociologica  che,  portata  a pii^  largo  sviluppo,  costituisce  la  Seìenxa  Nuova.  Noi  consacreremo  appo- sito capitolo  intorno  a  questa  teorica  del  Tempo  Oécuro^  perchè  in  essa troveremo  il  fondamento  legittimo  della  sociologia  davvero  filosofica  e positiva.  L*  altro  strumento  poi  che  il  Vico  avea  fra  mano  e  sapeva maneggiare  in  guisa  che  non  ci  ò  dato  nò  pur  sospettare  alla  lontana, costituisce  propriamente  la  parto  geniale,  originalissima  del  suo  metodo isterico;  ed  ò  quella  che  noi  dicemmo  di  natura  psicologica,  e  che  di fironte  alla  prima  serba  indole  a  priori;  ma  è  un  a  priori  positivo,  positi- vissimo,  perchè  di  natura  psicologica.  Ella  in  somma  cojitltuisce,  se  cosi potessi  esprimermi,  un  lavoro  mentale  da  geologo,  da  paleontologo.  Se  in-  ' 

fatti  lo  spirito  dell'  uomo  in  una  data  epoca  istorìca  somiglia,  vorre*  dire, *  ad  una  caverna  ossifera,  bisognerà  studiarlo  analizzandolo,  anatomizzan- dolo, decomponendolo.  Perciò  è  necessario  dimenticar  noi  stossi,  e  lavo- rare attorno  ad  esso  in  modo  tutto  ideale  dÌ8cendendo  da  questa  no$tra umana  ingentilita  naturaf  a  queUe  affatto  fiere  ed  immani,  U  quali  oi  ^  affatto negato  d^  immaginare,  e  eolamente  a  gran  pena  ci  i  permeeeo  cT  intendere, (Sec.  Se.  Nuo.,  p.  141.)  Breremento:  bisogna  aver  presenti  noi  stossi,  ma nel  medesimo  tempo  dimenticarci  :  bisogna  etordire  ogni  eeneo  «T  uwtanità (sono  sue  parole)  e  ridurei  in  uno  etato  di  eomma  ignoranjta  di  tutta V umana  e  divina  erudizione,  (ibi.)  Questo,  come  notammo  (p.  833  e  seg.), è  precisamente  ciò  eh*  egli  dice  portare  ad  un  fiato  il  vero  e  il  eerto,  la fiioeofia  e  la  filologia.  Questo  è  il  metodo  isterico  davvero  positivo,  che è  propriamente  metodo  di  natura  eduttiva.  E  questo  dovrebbero  mediterò ed  applicare  i  nostri  sazievolissimi  predicatori  di  certi  metodi  storici  e critici  che  al  postutto  riduconsi  ad  un  meschino  empirismo  I perciò  medesimo  è  scienza  del  presente,  scienza  del- V  oggi,  e,  fino  a  certo  segno,  anche  del  domani.  Ma senza  quella  filosofia  che  non  le  è  incorporata  ma  ch'ella presuppone  necessariamente,  cotesta  Scienza  Nuova  non sarebbe  niente  di  tutto  ciò.  Posta  infatti  la  doppia  for- mola  metafisica  e  cosmologica,  i  cui  germi  giaccion  nel Libro  Metafisico;  posta  segnatamente  la  gran  legge  del Processo  cosmico,  ella  è  davvero  un  poema,  è  un  gran poema,  un  poema  sul  serio,  ma  un  poema  sui  generis. Perchè?  Per  questa  ragione  principalmente:  perchè  è 

una  Storia  naturale  della  umanità  nell'uomo: perchè  in  lei  si  scruta  l'originaria  formazione  dell'  ultimo Sommo  Genere  ;  perchè  eli'  è  la  celebrazione  solenne  dello Spirito  che  si  crea  nel  regno  stesso  della  vita  ;  perchè  è la  creazione  parlante,  vivente,  reale  del  pensiero  ch'esce dal  caos  delle  forze  brute  fisiche,  meccaniche,  biologi- che ;  perchè,  insomma,  rivela  il  Fatto  che,  convertitosi con  sé  stesso  come  forza  e  come  vita,  ora  convertesi  col Vero  come  pensiero.  Ecco  l'originalità  vera  del  pen- siero Vichiano.  È  un  pensiero  d'una  grandezza  e  d'una potenza,  sto  per  dire,  titanica  !  un  pensiero  nuovo,  nuo- vissimo, anche  dopo  due  secoli  I La  Scienza  Nuova,  dunque,  rappresentandoci  la  ge- nesi del  processo  storico  e  sociologico,  fra  le  altre  cose pronunzia,  legittima,  compie  e  insieme  corregge  il  Darwi- nismo. Una  delle  Degnila  su  le  quali  è  innalzato  il  suo gi*andioso  edifizio  è  lo  stato  ferino  dell'Umanità;  cagione certamente  non  puerile  delle  dispute  e  delle  sètte  de' Fe- rini e  degli  Antiferini  surte  fra  noi,  come  toccammo, sotto gli  occhi  del  Papa  e  de'  cardinali  nel  bel  mezzo  del  secolo passato  (p.  39  e  seg.).  Il  suo  problema  dunque  è  il  gran problema  ond'  è  agitata  e  mossa  la  scienza  odierna.  È  lo stesso  problema  che,  con  significato  assai  pili  compren- sivo, assai  più  razionale,  assai  più  sintetico  e  profonda- mente sintetico,  agita  e  muove  sotto  gli  occhi  nostri  la 

filologia,  la  zoologia,  la  geologia,  la  paleontologia,  l'an- tropologia, la  sociologia,  la  filosofia  e  la  storia  del  Di- ritto,  la  filosofia  e  la*  storia  delle  arti,  la  filosofia  eia storia  delle  religioni,  come  saggiamente  ha  detto  il  De Fèrron  (p.  149  e  seg.)  Il  suo  problema  quindi  si  collega con  quello  stesso  di  Lamarck,  di  Couvier,  di  Geoffroy de  Saint-Hilaire,  di  Herbert,  di  Mathew,  d'  Omalius, d' Halloy,  di  Rafinesque,  di  Schaaffausen,  di  Hooker, de'  viventi  naturalisti,  de'  viventi  filologi,  de'  viventi  mi- tologi, e  degli  storici  d' ogni  maniera. Nella  Scienza  Nuova  infatti  il  processo  storico-so- ciologico nasce,  sorge  o  si  produce  nel  processo  zoologico; ma  nasce,  sorge  o  si  produce  creandosi.  Dunque  il  6e- stione,  r  uomo  ferino,  per  quanto  ferino  e  bestione  vo- gliasi immaginare,  importa  già  un  intervallo.*  Come  ci si  rivela  egli  cotesto  intervallo?  In  altre  parole:  com'è che  s'inaugura  il  processo  isterico?  Com'è  che  s'inizia il  regno  dell'  umanità  ?  Al  solito  s'inaugura  con  la  gi*an legge  delle  polarità,  ma  nel  medesimo  individuo:  s'inizia con  la  legge  della  dualità,  ma  nella  coscienza  stessa  del- 

l'individuo.  Ciò  che  nell'  ordine  psicologico  è  senso  e intelligenza,  potere  e  volere.  Autorità  e  Ragione  ;  qui, nell'ordine  sociologico  e  storico,  è  Libertà  e  Pudore: ecco  i  due  Principii  éC  Umanità;  principii  essenzial- mente sociologici.* 

*  Lo  st-ato  ferino  pel  Vico  è  an  fatto  accidentale,  ed  è  accidentale perchè  non  è  universale  ;  ma  questa  dicemmo  essere  un*  aporta  contrad- dizione in  che  cadde  tanto  lui,  quanto  il  suo  discepolo  Duni.  Ed  ò  con- traddizione, perchè  fa  contro  non  solo  ai  suoi  principii  cosmologici,  ma anche  ali*  esigenza  stessa  del  suo  metodo,  fe-una  delle  contraddizioni  duo- que  dalla  quale  ei  pì  libera  da  so  medesimo. *  Nessuno  prima  del  Vico  aTcva  impresso  valore  ed  importanza isterica  a  questi  due  iftm  o  prineipìi  d^umnnità.  Grozio,  per  citare un  esempio,  parla  anch*  egli- del  pudore;  ma  non  sospetta  nò  la  neces- sità sociologica  e  istorìca  di  questo  fatto,  nò  il  significato  psicologico di  questa  tondenza,  e  però  non  ne  fa  uso  di  sorta'.  (Ved.  Dt  Jwr.  M.  et paeitf  "2.  19,  3,  «10.)  Disse  la  libertà  madrt  di  qualsivoglia  diritto  civile (id.  2,  e.  5,  §  17)  ;  ma  perchè  madre  ?  —  Citiamone  un  altro  esempio.  Anche Platone  parla  de*  due  beni.  Pudore  e  OiuetÌMÌ€L,  che  Giove  impartì  agli uomini  [Protag.,  ed.  Cousin,  T.  Ili,  p.  110):  ma  pel  filosofo  greco  tale tendenza  ò  partecipata,  è  comunicata,  mentre  pel  Vico  è  affiatto  naturale. Per  Platone  riiman»tà  si  manifesta  nella  CVttèt,  nella  iSepubò^tca;  dovecbè Qual  valore,  infatti,  qual  significato  hanno  queste  due parole  nella  mente  del  nostro  filosofo?  Considerate  sotto il  rispetto  storico  e  sociologico,  PudoreLibertas  non  sono idee,  concetti,  nozioni,  astrazioni;  sono  bensì  condizioni efficienti  originarie,  intime,  spontanee,  istintive  di  nostra natura.  Sono  i  due  prificipii  che  principian  V  umanità nell'uomo;  principii  ch'ei  pone  quasi  geni  tutelari  alle porte  ddla  storia  e  delle  cose  umane.  Sono  facoltà,  ma facoltà  involute,  potenziali;  stantechè  Tobbietto  di  esse 

non  sia  per  anche  fatto,  noh  sia  per  anche  elaborato. Perciò  sono  giudizi,  ma,  al  solito,  giudm  sentUij  come direbbe  egli  stesso;  giudm  fatti  senza  riflessione.  Sono dunque  tendenze  primigenie,  sono  esigenze  autogenite;  e però  ci  rappresentano  anch'elle  ima  sintesi  confusa,  entro cui  si  racchiude  infinita  virtù  esplicativa.  Qual  è  infatti  il principio  d'ogni  socialità?  Qual  è  la  radice  della  socia- lità? £  il  concetto  stesso  d' umanità.*  £  come  si  deter- mina, come  si  esplica  dapprima  questa  tendenza  innata e  originaria  ad  umanarci?  Appunto  col  gemino  senti- mento del  pudore  e  della  libertà^  Questa  originaria dualità  costituisce  la  natura  stessa  dell'uomo,  giacché r  ente  umano  intanto  è  animale  umano,  in  quanto  non è  una  cosa,  ma  due:  (ùov  fiU7Ttxoy,  e  (wov  ttoXctcxov.  £d egli  è  tale  fin  dalla  sua  prima  origine,  questa  essendo  per l'appunto  la  invitta  necessità  del  processo  iperzoolo- pel  Vico  ò  originaria,  tanto  cho  si  manifesta  anche  nello  stato  di  natura:  il quale  perciò,  come  altrove  accennammo,  non  ò  quello  do'  giusnaturalìsti del  secolo  passato.  Fra  la  ReptMdiea  del  filosofo  ateniese,  quindi,  e  la  SeienMa Nuova,  anche  per  questo  rispetto  t*  è  un  abisso,  checche  ne  abbiano detto  0  possano  dime  certi  Hegeliani.  Per  questa  medesima  ragione non  ò  da  confonder  menomamente  V  uomo  ferino  della  Seitnua  Nuova, con  gli  nomini  selvaggi  di  cui  parlavano  tanto  spesso  gli  antichi,  se- gnatamente r  A.  della  RepubUica,  Aristotele,  Cicerone  e  simili.  ^  una posizione  affatto  diversa,  a  cui  bisogna  por  mente. 

'  HumaniUu  ett  hominU  hominum  juvandi  affedio,  {De  Conti,  JurU- prudenHt,  0.  II,  l.) *  Sed  ex  latiori  genere  Humanitatie  heie  a  nobU  aoupta  a  duobue prineijnù  ootMtal,  Pudori  et  Libebtatk.  {Id,  eod,,  II,  2.) gico,  e  della  legge  di  conversione:  rèbus  ipsis  didantì" bus.^  Or  qual  è  la  relazione  che  stringe  insieme  i  due Principii  d'umanità?  È  quella  medesima  che,  posto  il processo  isterico  e  sociale,  congiugne  in  armonia  la  so- cietà di  ragione  (Societas  Veri),  e  la  società  dell'utile (Societas  ^qui  boni).*  È  appunto  la  relazione  che  corre fra  il  certo  e  il  vero,  tra  la  forma  e  la  materia.* Ma  se  questa  dualità  di  principii  inauguratori  del- l'umanità  nell'uomo  è  originaria,  accade  che,  appunto perchè  originaria,  debba  rivestir  forma  d'unitotalità  e d'incosciente  unità.  Or  come  potrebb' essere  unità  ove, al  solito,  non  serbasse  natura  di  conato?  Pudore  e  Li- bertà quindi  sono  un  conato  ;  sono  dualità  e  unità  in- sieme ;  sono  perciò  triplicità.  Se  non  che,  questa  tripli- cità non  è  inaugurazione  del  processo  psicologico  teore- tico, bensì  pratico;  non  del  processo  conoscitivo,  bensì operativo.  E  dunque  una  triplicità  originaria  di  natura pratica,  empirica,  istintiva,  e  dee  quindi  serbare,  nel medesimo  tempo,  valore  psicologico  e  sociologico.  L'ente umano  adunque  è  di  sua  natura  un  soggetto  essenzial- 

mente relativo.  Egli  è  in  un'  ora  medesima  in  sé  stesso,  e anche  nell'oZ^ro:  è  sé  stesso,  e  insieme  debb'essere  anche l'altro.  Egli  insomma,  ripetiamolo,  non  è  una,  ma  due  cose in  sé  stesso:  uomo  e  cittadino.  E  dovendo  esser  tale  fin ^  Qai  risiede,  come  Tedremo,  la  condanna  della  dottrina  sociologica del  Positivismo,  e  della  confusione  eh*  ella  fa  tra  la  storia  e  la  socio- logia, tra  la  sociologia  e  la  psicologia,  tra  la  psicologia  e  la  biologia, nonché  1*  erroneo  concetto  della  Statica  toeiale  de*  Positivisti  francesi. *  De  Univ.  Jwriè  PrineiptOj  LX. *  Ex  vi  ip$iu9  humanct  natura  de  duobu$  hit  HumanitcUit  prineipii» di«8eramìt$f  ^orutn  unum,  ceu  forma,  erit  Pudor,  alterum,  vduti  matebia. erit  LiherUtf,  {De  CoMt,  Jur.,  II,  8.) Trasportando  questo  concetto  dall'or- dine sociologico  a  quello  delle  idee  e  della  scienza,  possiamo  affermare  che in  tal  modo  il  Vico  abbia  posto  nella  stessa  coscienza,  nello  stesso  indi- viduo, la  distinzione,  oggi  vitalissima,  tra  la  Morale  e  *1  Diritto,  salvando così  r  autonomia  d'entrambe  queste  discipline.  Perciò  nò  la  Morale  può dedursi  dal  Diritto,  come  farine  i  giusnaturalisti  hegeliani  e  positivisti, nò  il  Diritto  dalla  Morale,  come  usan  fare  i  teologisti  e,  in  generale,  i filosoft  neoplatonici.  Di  queste  cose  discorreremo  nella  Sociofogicu dall'  origine  sua,  fin  da  che  apparve  naturale,  sdvaggio, ferino^  bestione;  perciò  in  lui  il  Pudore  è  conato,  stan- techè  col  conato  incofninciò  in  esso  a  spuntare  la  virtù deW  animo,^  Per  la  stessa  ragione  è  tale  anche  la  Li- bertà, la  quale  è  conato  proprio  degli  agenti  liberi,,,, onde  que'  Giganti  si  ristettero  dal  veezo  cT  andar  vagando 

per  la  gran  sélva  della  terra,  e  s*  aweisearono  ad  un costume  ttdto  contrario,*  Ma  se  la  relazione  che  annoda i  termini  di  questa  originaria  dualità  è  quella  che  corre tra  la  forma  e  la  materia  in  generale,  avviene  che  il Pudore  sia  logicamente  anteriore  alla  Libertà,  e  la  Li- bertà, alla  sua  volta,  sia  cronologicamente,  empirica- mente anteriore  al  Pudore.' *  See,  Seitiua  Nuova,  p.  248. *  Idtmf  eod,  p.  178. *  Perciò  dice  ohe  il  Pudore  l  U  primo  antiehitnmo  principio  d^ uma- nità. (Sec.  Se,  Nuova^  e  VI.)  E  gaardADdo  agli  effetti  di  qoesto  senti- mento, osserva  ohe  il  Pudore  arreeta  la  vaga  venere^  origina  la  eocictà matrimonÌ€i!e,  donde  emerge  la  eoeietà  (Prim.  Se.  Nuova,  o.  VI);  e  come inizia  la  società,  così  pure  inventa  la  religione  :  Pudor  inventar  religionie. {De  Conti.  Jur.,  LXX.)  Additando  poi  la  priorità  logica  del  Pudore  di fronte  alla  Libertà,  dice:  Pudor  euetoe  jurie  naturalie  {De  Univ.  Jur,y LI,  7);  «Tura  a  Pudore  oria,  ad  Pudorem  redeunt,  et  a  eontemplatione  nata, in  eontemplatione  poetremo  deeinunt  (Ihi,  OC  Vili)  :  Pudor  omnie  divini kumanique  Jurie  parene  (Ihi,  GIV,  4):  Pudor  Jurie  naturalie /one  {e.  Ili): Pudor  exoitator  virtutie  (id.,  §  8).  Il  senso  di  libertà,  poi,  assume  dap- prima nna  forma  affatto  empirica  e  naturale;  assume  forma  di  potere {poeee)^  di  volere  sfornito  di  ragione,  d'arbitrio,  di  passione;  e,  come tale,  riesce  cronologicamente  anteriore  al  Pudore^  nò  potrebb*  esser  diversa- mente ammessa  la  relazione  intima  fra  il  processo  zoologico  e  il  processo isterico.  L'  anello  vero  perciò  fra  questi  due  processi,  I*  anello  reale  fra  i 

due  mondi,  òr  «OMO  stesso;  ma  Tuomo  considerato  come  un  poro  poeee^ potenza,  potestà  naturale.  Sennonchò  cotesto  ò  un  momento  indiscernibile  ; è  un  intervallo  che  tosto  ò  superato,  e  il  potere  già  diventa  voUre^  e il  volere  diventa  oonoeeere  sempre  per  la  solita  legge  del  rehue  ipeie  dio- tantUnu,  àéìVipea  rerum  natura.  Libertà  e  Pudore  quindi  son  come  le due  facce  del  conato  umano:  Tuna  ò  intima,  secreta,  individuale;  Taltra ò  sensata,  estrinseca,  e  perciò  di  natura  essenzialmente  sociologica.  Or come  tale  la  libertà  ò  il  primo  punto  di  tutu  le  eoee  umane  (Sec.  Se. Nuova^  p.  1 72)  ;  e  perciò  ex  libertate  eommereiay  ex  eommereiie  humanitae excuUa,  {De  Conet,  Jur,,  c.  FV,  2.)  E  poichò  ò  una  condizione  primitiva, perciò  la  dice  dote  proprissima  dell* uomo:  NihU  hcmini  magie  proprium quam  oo2imto«  (Ibi.,  c.  V,  19);  ed  essendo  proprissima  proj>rM(<i  d'umana Queste  due  facoltà  originarie  ci  rappresentano  dun- que il  momento  primo  della  genesi  storica  e  sociolo- gica. Esse  costituiscon  la  natura  stessa  dell'  uomo,  e rappresentano  il  potere  ed  il  volere  che  diventano  li- bertà e  ragione.  Guardate  nella  coscienza  individuale costituiscono  il  fondamento  della  Statica,  della  vera Statica  sociale  perchè  sono  doti  immutabili,  condizioni d' umanità  universali  e  necessarie  per  ogni  età  e  per ogni  spazio.  Guardate  poi  nel  loro  movimento  e  nel loro  successivo  determinarsi  in  mezzo  alle  crescenti  re- lazioni degP  individui,  costituiscono  invece  il  fondamento della  Dinamica,  della  vera  Dinamica  sociale.  Momento statico,  perciò,  e  momento  dinamico  nel  processo  iper- natura^  non  può  etwre  tolta  nemmeno  da  Dio,  Or  che  C08*  ò  questa  natora 

umana?  J^  autorità  umana,  libero  uao  della  inidonea.  (Ibi.,  p.  127.)  L*aonio danqoe  ò  Suitat  originaria;  e  da  questa  Suita»  originaria,  da  questa Auetoritaa  naturali»  rampolla  V  Autorità  del  Diritto  Naturale,  donde  Tori^ne detta  famiglia,  delle  Genti  Maggiori,  della  Oivitae  e  però  delle  Oenti  Minori, Che  questa  sia  precisamente  la  relazione  fra  le  due  tendenze  origi- narie costituenti  i  prineipii  d*wnanità  neW  uomn  mercè  cui  il  processo zoologico  si  collega  con  le  origini  del  procosso  storico-sociologico,  ce  lo Tengon  oggidì  confermando  la  Paleontologia  e  la  Filologia  comparata. Nella  seconda  età  della  pietra  tagliata,  per  esempio,  in  alcune  abitazioni lacustri  troTÌamo  resti  e  utensili  da  caccia,  da  pesca,  da  guerra;  ma  non un  segno  di  culto  e  d' adorazione,  neanche  nell*  età  del  bronzo.  È  noto poi  come  la  filologia  comparata  sappia  rilevare  negli  antichi  popoli, segnatamente  nel  yecchio  ceppo  indo-europeo,  la  relazione  fra  il  marito e  la  moglie,  fra  il  padre  e  la  famiglia,  fra  sacerdote  e  padre,  ma  non quella  fra  un  ceto  ieratico  speciale  ed  il  popolo.  —  A  questo  proposito gioTa  ossenrare,  che  ore  il  Vico  pone  Tagricnltura  come  prima  appari- zione 0  primo  segno  d*  umanità,  non  è  propriamente  caduto  in  errore come  si  potrebbe  supporre,  e  come  diceva  il  Romagnosi.  Il  Vico  analiz- 

zava parole  non  primitivo,  ma  relativamente  secondarie,  e  quindi  non intendeva  parlare  dello  stato  propriamente  originario  della  società.  Ora la  paleontologia  ha  mostrato  che  nell*  età  della  pietra  tagliata  e  anche ripolita,  non  v*  è  segni  d*  agricoltura  ;  e  la  filologia  fa  indurre  come  la pastorizia  segnasse  il  primo  grado  di  sviluppo  ne'  popoli  aborigeni  mo- strandoci i  nomi  degli  animali  domestici.  Bove,  cane,  pecora,  cavallo  e 

simili,  sono  posteriori  alle  parole  indicanti  la  caccia  e  la  pesca,  ma  an- I  teriori  a  quelle  indicanti  propriamente  uno  stato  agricolo.  Se  e*  è  voca- boli generali  d*  agricultura,  Tapplicazione  di  essi  ò  posteriore.  (Moicmbbn. Storia  di  Roma,  v.  I,  lib.  I,  Mil„  1868.)  A.  Pictet,  Le»  originee  indo- européennee,  Paris,  1868. zoologico  non  han  che  vedere  con  la  biologia,  non han  che  vedere  con  le  leggi  fisiologiche.  La  storia e  la  sociologia  ripeton  le  biologia  precisamente  come il  processo  umano  ripete  il  processo  zoologico  ;  ma  tal ripetizione  risgaarda  la  forma,  non  già  il  contenuto; risguarda  il  meccanismo,  non  già  il  dinamismo  del  mondo umano.  Or  chi  voglia  sapere  che  cosa  siano  i  due  prin- eipii  él^  umanità  posti  a  fondamento  della  Storia  naturcHe dell'uomo,  si  faccia  a  guardarli  nel  loro  movimento,  stu- diarli  nel  loro  processo,  considerarli  nello  svolgersi  della storia,  e  nell'  organarsi  della  civil  società.  Nel  corso  della storia  due  grandi  scienze  essenzialmente  pratiche  si  ele- vano sopra  tutte  ;  il  Diritto  e  la  Morale.  Due  grandi  poteri si  dividono  il  regno  delle  leggi  ;  politico  e  religioso,  civile e  morale.  Due  grandi  forze  mantengonsi  vive  e  lottano  e lotteran  sempre  sotto  forme  diverse;  la  Chiesa  e  lo  Stato. £  la  lotta  cresce  là  dove  ciascuno  di  questi  due  grandi poteri  pretende  signoreggiar  V  altro,  e  vantare  sconfi- nati privilegi  segnatamente  nel  magistero  dell'  educa- zione. E  cresce  altresì  quando  un  terzo  potere  s' innalza 

sovr'essi  e  vuol  vincerli,  vuol  dominarli,  vuol  gover- narli; ed  è  il  supremo  de'  poteri,  il  potere  de'  poteri, il  potere  àéllsi Sderusa.  Or  l'Autore  della  Scienza  Nuova intravede  questa  lotta  nella  sua  stessa  radice;  scopre questa  dualità  nella  sua  stessa  fonte  originaria;  sor- prende questa  opposizione,  che  è  pur  la  molla  vitale che  muove  l' organismo  della  storia  e  delle  società,  nel momento  istesso  nel  quale  il  processo  zoologico  supera e  trascende  se  medesimo;  e  con  la  filologia,  con  la  mi- tologia, con  la  legislazione  comparata  si  sforza,  come può,  di  porgerne  dimostrazione  storica,  dimostrazione  di fatto.  Egli  in  somma  vede  cotesta  opposizione  (ripetia- molo) nel  fondo  stesso  della  coscienza,  appunto  perchè ella  costituisce  la  natura  stessa  della  coscienza,  appunto perchè  è  la  stessa  coscienza,  la  vita  stessa  dello  spirito e  del  mondo  delle  nazioni.  È  dunque  vera,  per  quanto arditissima,  quella  sua  nota  sentenza:  L* umano  arbitrio regolato  dalla  Sapienza  Volgare  (comun  senso,  giudìzio sentilo)  è  il  Fabbro  del  mondo  delle  nazioni/ Se  tutto  ciò  è  vero,  nella  Scienza  Nuova  noi  trove- remo i  principii,  il  metodo,  i  criteri  bastevoli  .per  co- stituire una  sociologia  razionalmente  positiva.  Questo .  sarà  r  oggetto  del  nostro  secondo  lavoro  che  intimamente '  collegasi  col  presente  libro.  Giova  intanto  schiuderci  la la  vìa  determinando  più  nettamente  il  fine  che  in  esso 

vorremo  conseguire. Che  cos'  è  questa  cosi  detta  Sociologia?  Che  cosa  ci esprime  e  dev'esprimerci  questa  brutta  ma  significan- tissima parola  che  con  arguta  frase  Stuart  Mili,  come accennammo,  ha  chiamato  harharismo  comodo? La  Sociologia,  la  vera  Sociologia,  il  cui  fondamento più  legittimo  è  nella  Scienza  Nuova  e  solamente  nella Scienza  Nuova,  ci  esprime  innanzi  tutto  la  negazione d'  ogni  qualunque  filosofia  della  storia  fabbricata  a priori;  la  negazione  d' ogni  qualunque  vantata  filosofia deW  umanità  che  pretenda  indovinare  il  futuro  po- nendo, anche  neir  ordine  de'  fatti  e  della  realtà,  le  fa- migerate colonne  d' Ercole,  vuoi  con  una  formola  teologica e  religiosa,  vuoi  con  una  formola  dommaticamente  siste- matica. Squarciare  T  impenetrabile  velo  del  futuro  è impresa  vana:  la  scienza  deve  sapersi  alimentare  prin- cipalmente del  passato,  e  del  presente;  e  col  sussidio del  presente  e  del  passato  può  indurre,  può  sospettare anche  il  futuro,  ma  non  certo  incatcuarlo  e  stringerlo nelle  rigide  maglie  d'una  formola  logica  e  metafisica.  La Sociologia  è  la  ricerca  razionale  e  scientifica  del  mondo umano;  ed  è  razionale  e  scientifica  perchè  fondata  so- prattutto nelle  leggi  del  processo  psicologico,  nonché  in quelle  del  processo  isterico.  Essa  dunque  sarà  la  con- ferma (non  la  deduzione)  della  nostra  formola  cosmolo- 

gica applicata  al  regno  dello  spirito  e  de' fatti  umani: la  Conversione  dd  Fatto  nd  Vero^  e  col  Vero.  Formola *  Prim.  Scùnua  Atioro,  Lib.  II,  cap.  Ili,  p.  42. semplicissima,  come  ognun  vede,  la  quale  per  la  sua stessa  natura  e  costituzione  lascia  libero  lo  svolgimento de'  fatti  umani,  libero  il  corso  della  storia.;  non  tricoto- mia dialettica  che  somigli  e  sia  un  duro  letto  di  Procuste com'  è  quella  degli  Hegeliani,  né  tricotomia  puramente storica  e  biologica  siccom'  è  quella  de'  Positivisti. Quali  poi  saranno  i  massimi  problemi  della  Socio- logia? Innanzi  tutto  questi:  se  sia  possibile  una  legge istorica  che  nel  medesimo  tempo  serbi  valore  psico- logico, e  sociologico:  in  che  maniera  co  testa  legge  produca i  tanto  sfatati  e  derisi  Corsi  e  Ricorsi  storici  del  Vico;  pa- 

role che  per  noi  (sia  detto  di  passata)  esprimendo  il  Mec- canismo e  '1  Dinamismo  della  storia,  cioè  le  condizioni statiche  e  le  condizioni  dinamiche  della  costituzione  e dell'  organismo  della  civil  società,^  racchiudon  ben  altro significato  che  non  danno  ad  esse  gli  odierni  sociologisti inglesi  e  francesi.  Inoltre  la  Sociologia  deve  indagar  le ragioni  per  cui  si  forma  e  per  cui  vive  l'organismo  di questa  società  :  ridurre  a  due  principalmente  tutti  quanti i  suoi  poteri  (politico  e  religioso),  applicando  la  legge isterica  alla  genesi  e  svolgimento  dell'uno  e  dell'altro, 

indagando  qual  possa  esser  per  avventura  il  significato razionale  della  perenne  lotta  a  cui  sono  e  saranno  im- pegnate queste  due  possenti  forze  senza  cui  svanirebbe la  vita  della  storia  e  della  società  :  vedere  come  sorga, come  proceda  e  come  signoreggi  il  potere  supremo  della Scienza,  e  determinare  qual  soluzione  possa  ricevere r  arduo  problema  pedagogico,  i  cui  dati  debbono  esi- stere nella  storia,  e  nella  psicologia. L' esigenza  finale,  occulta  e  vivace  della  Scienza  Nuova è  appunto  la  vitalissima  quistione  pedagogica;  e  fu  il primo  bisogno  che  sentì  la  mente  del  Vico  nella  sua Ragion  degli  studii.  La  scienza  dell'educazione  pubblica e  privata;  la  scienza  de'  limiti  ne' poteri  pedagogici  dello Stato  e  della  Famiglia,  della  Religione  e  della  Società  ri- spetto all'Individuo;  la  scienza  del  carattere  individuale e  del  carattere  nazionale;  insomma  il  gran  problema SiciLrANt.  33 etologico,  direbbe  Stuart  Mill,  scaturisce,  come  vedremo, dalla  dottrina  del  nostro  filosofo,  e  potrà  esser  risoluto con  metodo  razionalmente  positivo,  contraddicendo  eoa nel  medesimo  tempo  alle  dottrine  sociologiche  estreme dell' Hegelianismo,  del  Teologismo  e  del  Positivismo. Se  la  storia  dell'umanità  è  l'educazione  dell'uma- nità neir  uomo  e  ne*  popoli  ;  ella  debb^  essere  insieme I  il  fondamento  positivo  della  educazione  nell'  individuo, 

e  nella  specie.  La  prima  esigenza  è  chiara  nella  Scienza Nuova:  la  seconda  n'  è  l'immediata  conseguenza,  n'è  il risultamento  finale  e  necessario. Questi  saranno  i  problemi  capitali  che  noi  tratteremo nella  Sociologia.  La  quale  perciò  non  sarà  altro  che r  applicazione  del  presente  nostro  libro,  e,  nel  medesimo tempo,  l'esplicazione  de' sommi  principii  sociologici  della Scienza  Nuova.  Perictdoste  plenum  opus  cdete  I La  conclusione  d'un  buon  libro,  dice  un  acutissimo crìtico  moderno,  ha  da  esser  la  coscienza  stessa  della sua  introduzione.* Nella  Introduzione  mostrammo  come  i  due  generali indirizzi  ne' quali  si  raccoglie  il  pensiero  moderno,  i  due poli  (come  altri  ha  detto)  ne'  quali  sdoppiasi  la  moderna speculazione,  sieno  il  Positivismo  e  l'Idealismo  assoluto; una  forma,  cioè,  di  Scetticismo,  e  una  forma  di  Dom- matismo;  ma  scetticismo  e  dommatismo  coscienti,  siste- matici, n  primo  d' essi,  quantunque  sotto  forme  diverse, domina  in  Francia  co'  Comtiani,  signoreggia  in  Inghil- terra co'  seguaci  d'Hamilton,  di  J.  Mill,  di  Stuart  Mill, *  SAiKT-Bsim,  Cau$erie9  du  Lundi,  Tom.  Prem.,  8*  ed.,  811, 3f.  Ouitoi. d' Herbert  Spencer,  d' Alessandro  Bain  e  di  Tommaso Buckle;  e  trionfa  in  Alemagna  col  novello  materialismo uscito  da' fianchi  deir  Hegelianismo.  Il  secondo  poi  ha trionfato  anch'  esso  in  Germaenia  per  trent'  anni,  e  oggi 

conta  seguaci  più  o  men  fedeli,  piii  o  men  sinceri  an- che in  Italia.  Qual  è  la  ragione  di  loro  comparsa  nel mondo  moderno?  Vi  è  egli  una  ragione?  Ci  ha  da  es- sere. La  storia  è  anch'essa  natura,  e  come  la  natura  ha i  suoi  disegni  :  la  storia  è  provvidente  come  la  natura. Per  quanto  diversi  nel  metodo  e  diversissimi  nel  fine cui  s' indirizzano,  cotesti  due  estremi  a'  quali  riesce  il moderno  filosofare  si  toccano,  dicemmo,  nelle  conse- guenze d' ordine  segnatamente  storico,  politico  e  reli- gioso, al  modo  istesso  che  si  confondono  altresì  ne' risul- tati risguardanti  V  essenza  e  la  destinazione  dell'  umana personalità.  Or  questi  estremi  che  oggi  si  presentano così  divisi  e  che  pur  si  toccano  fra  loro  e  confondono in  pia  punti,  risalgono,  quando  siano  considerati  stori- camente, ad  una  medesima  sorgiva.  Questa  grande  e perenne  sorgente,  nella  quale  s'occulta  come  in  germe non  pur  l'odierna  speculativa,  ma  l' intero  sviluppo della  filosofia  occidentale  e  in  parte  dell'orientale,  è l'Aristotelismo.  In  Aristotile  mostrammo  riprodursi  Pla- tone con  tutt'  i  suoi  pregi,  e  con  tutt'  i  suoi  difetti.  Ma se  nel  discepolo  v'  è  il  maestro,  vi  è  pur  la  correzione e  l'inveramento  del  maestro,  massime  quant'al  concetto del  mondo.  L' uno  dunque  non  intende  negare,  non  in- tende annullar  l'altro;  non  intende  sostìtuirvisij  come  si piacciono  dirci  gli  Hegeliani,  ma  intende  correggerlo, 

svolgerlo,  inverarlo.  Tal  si  è  la  mente  vera  d'Aristotele  : e  tale  è  il  significato  schietto  e  sincero  della  sua  Me- tafisica rispetto  all'  autore  del  Parmenide. Se  non  che  in  cotest' opera  di  correzione  e  d'inve- ramento,  in  cotesto  lavoro  di  ripetizione  e  di  creazione, la  novella  esigenza  rivelasi  anche  qui  come  una  sintesi confusa,  indigesta,  contraddittoria  nelle  sue  diverse  teo- riche, equivoca  nelle  sue  diverse  dottrine.  Inevitabile dunque  nello  Stagirìta  una  feconda  moltìplicità  d' indi- rizzi. Tre  sono,  e  tre  doveano  esser  cotesti  indirizzi formanti,  a  eoa  dire,  il  sustrato  sul  quale  corre  e  ri- corre  la  storia  del  pensiero  filosofico.  Mostrare  ih  che maniera  cotal  triplice  indirizzo  abbia  saputo  alimentare venti  e  più  secoli  di  ardita  speculazione  filosofica,  non potevamo,  non  essendo  questo  l' intento  del  nostro  la- voro. E  per  lo  stesso  motivo  non  ci  fu  dato  far  vedere come,  sotto  forme  sempre  diverse,  il  naturalismo  e  V  iper- psicologismo  siensi  di  mano  in  mano  rinnovellati  attra- verso i  differenti  periodi  della  filosofia  occidentale.  Sia- mo venuti  bensì  accennando,  a  piii  riprese,  in  che  mai risegga  V  indiriziso  medio  nel  quale  sta  la  correzione  e l'accordo  deir  Aristotelismo  col  Platonismo;  come  sia possibile  rintracciarne  i  germi  nel  medesimo  Aristotele; e  come  al  lento,  ma  immancabile  trionfo  di  siffatto  in- dirizzo, abbian  preso  e  prendano  e  prenderan  parte 

tanto  le  forme  che  dicemmo  j>o^va  del  filosofare,  quanto le  forme  negative.  Ogni  maniera  di  speculazione  soccorre al  progresso  e  alla  ricostruzione  della  metafisica,  a  con- tare dalla  piiì  grossolana  affermazione  dommatica,  alla negazione  del  più  volgare  ed  em])irico  pirronista;  dalla più  ardita  formola  sistematica,  al  più  sottile  sofisma dello  scetticismo  sistematico.  Ma  neanche  qui  ci  poteva esser  concesso  dimostrare,  senza  trascendere  i  confini  del nostro  disegno,  il  modo  con  che  in  mezzo  allo  svolgersi de'  due  estremi  indirizzi  siasi  venuto  incarnando  e  pi- gliando quasi  persona  l' indirizzo  medio.  Mostrare  in- somma come  le  forme  positive  della  metafisica  siansi venute  svolgendo,  sarebbe  stato  lavoro  di  storia,  e  di crìtica:  al  modo  istesso  che  sarebbe  stato  lavoro  di esposizione  far  vedere  la  monotonia  con  che  si  sono succedute  le  forme  negative  del  filosofare. Solamente  ci  fu  mestieri  accennare  come  nell'età moderna,  dopo  le  divisioni  del  Cartesianismo  nel  quale ripetesi,  con  elementi  di  novella  speculazione,  la  vec- chia sintesi  aristotelica,  l' indirizzo  medio  ci  sia  rap-- presentato  dal  Leibnitz  in  Germania,  e,  più  spiccata- mente, dal  Vico  in  Italia;  e  come  ne' tempi  a  noi  piii vicini  siansi  ripetuti  gli  estremi,  e  si  ripetan  tuttora sotto  novelle  forme,  così  nell'uno  come  nell'altro  paese. È  iperpsicologismo  il  neoplatonismo  italiano  moderno: 

ma  forse  che  sarà  meno  iperpsicologismo  il  sistema jdeir  assoluta  identità  ?  È  empirismo  e  nullismo  meta- fisico il  positivismo  di  Francia  ed  il  materialismo  di Germania:  ma  sarà  meno  empirismo  lo  scetticismo  siste- matico del  Ferrari  e  certa  ibrida  forma  di  criticismo  del Franchi  e  il  nullismo  metafisico  de'  nostri  filosofi  del- P  avvenire  ?  * *  Vedi  qael  che  altrove  abbiamo  discorso  circa  le  forme  negative  e le  forme  po»Uìve  del  filosofare  e  circa  la  storia  della  filosofia  in  generale (Gap.  III.  lib.  II.)  Lo  scetticismo  non  è  da  pigliarsi  a  gabbo,  come  par che  facciano  tutto  giorno  dommatici  e  sistematici.  La  sua  funzione  isto- rica  ha  grande  importanza,  essendo  quasi  la  molla  efficace,  tuttoché negativa,  del  progresso  in  filosofia,  né  y*,ha  periodo  storico  in  cui  lo  scet- ticismo non  accompagni  sempre  lo  STolgrersi  del  dommatismo.  Il  dom- matismo  è  syariatissimo  nelle  sue  forme,  e  quindi  possiede  una  storia. Lo  scetticismo  invece  è  immobile,  è  immutabile;  e  questo  è  insieme  il suo  pregio,  e  la  sua  condanna.  Perciò  lo  scetticismo  non  ha  né  può avere  una  storia,  appunto  perchè  non  importa  un  processo;  e  non  è processo  appunto  perchè  è  negazione.  L*  arma  dello  scettico  infatti  è sempre  identica  a  sé  stessa.  Nel  nostro  Ausonio  rivive  Enesidemo,  e  nel nostro  Ferrari  vi  è  tutto  Sesto  Empirico.  Chi  si  voglia  quindi  provare  o siasi  provato,  come  il  Bissolati  (Ved.  Tntrod.  alle  fgtituxioni  Pirroniane^ Imola  1870),  a  fare  una  storia  dello  scetticismo,  altro  non  fa,  altro  non potrà  mai  fare,  salvochè  una  rassegna,  un  racconto  monotono  e  sazievole d'argomenti  identici.  L'esigenza  scettica,  il  metodo  teettieOf  potrà  be- 

nissimo cangiare  i  punti  di  m«(a,  come  fann'oggi  gli  schietti  positivisti, ma  la  sostanza  rimane  e  rimarrà  sempre  la  stessa.  Invece  1*  esigenza dommatica  è  un  fatto  al  pari  dell' esigenza  scettica:  ma  ò  un  fatto  che si  muove;  è  un  fatto  che  sì  fa.  Hegel  ripete  Platone,  e  ripete  Erigena; ma  non  è  nò  Platone,  né  Erigena.  Rosmini  ripete  Aristotele  o  San  Tom- maso, ma  non  è  né  Aristotele,  né  San  Tommaso.  Gioberti  ripete  Male- branche, ma  non  è  nient'affatto  Malebranche.  11  Ferrari  anch'egli  ripete; ripete  Sesto  Empirico.  Ma  come  lo  ripete?  Facendone  la  fotografia!  Ora se  il  dommatismo  conta  una  storia  essendo  un  processo  isterico,  e  lo  scet- ticismo n'é  al  tutto  sfornito,  com'è  possibile  che  il  trionfo  stia  pel  se- condo anziché  pel  primo  ?  La  funzione  isterica  dello  scetticismo  dunque è  necessaria,  essendo  »na  ruota  della  macchina;  ma  badisi  a  non  con- fonder la  macchina  con  la  ruota,,  ciò  che  costituisce  appunto  l'errore-- di  chi  spera  (vana  speranza!)  nel  trionfo  definitivo  del  Pirronismo. Se  non  che,  lasciando  del  Leibnitz  e  del  moto  filo- sofico d'  Alemagna,  peculiar  proposito  del  nostro  libro  ' era  quello  d'  additare  la  correzione  e  V  inveramento delle  due  estreme  tendenze  (scettica  e  dommatica) che  nascono  e  rinascon  parennemente  nella  storia, e  che  oggi,  assunta  forma  pia  conseguente  e  razio- nale, s^addimandano  Positivismo  e  Idealismo  assoluto. D  fondamento  di  tal  correzione  e  '1  criterio  di  sif- fatto inveramento,  per  ciò  che  spetta  al  nostro  paese, pone  radice  nelle  dottrine  del  filosofo  napoletano,  in- terpretate e  ricercate  con  metodo  critico  rintegrativo. 

Ma,  a  far  questo,  che  cosa  era  d'  uopo  mostrare  in- nanzi tutto?  Era  d'uopo  mostrare  la  possibilità  di  rin- venire in  lui  cotal  fondamento.  In  altre  parole,  era d'uopo  mostrare  se  in  lui  per  avventura  fosse  alcuna originalità  di  speculazione  razionalmente  positiva:  il che  ci  parve  opportuno  innanzi  tutto  far  vedere  in  ma- niera indiretta  e  per  via  storica,  abbozzando  una  storia de' critici  e  degli  espositori  delle  dottrine  vichiane.  Che poi  davvero  esistano  in  lui  germi  d'originalità  metafi- sica, r  abbiam  chiarito  nel  secondo  libro  di  quest'  opera, interpretando  le  sue  teoriche  con  una  forma  di  critica che  scaturisce  logicamente  dalla  stessa  triplice  paiii- zione  de' periodi  ne' quali  abbiam  diviso  quel  nostro saggio  istorico. Se  pertanto  un  rinnovamento  del  pensiero  filosofico italiano  è  necessario  e  inevitabile  perchè  richiesto  dalla ragion  filosofica  positiva,  perchè  domandato  dall'  esi- genza del  sapere  moderno,  e  perchè  imposto  dalle  rinno- vate condizioni  politiche,  civili,  religiose  del  nostro paese  ;  si  domanda  :  come  innovarci  ?  introducendo forse  il  Positivismo,  o  perdurando  nello  Scetticismo? Evidentemente  contraddiremmo  all'indomabile  istinto verso  la  scienza:  contraddiremmo  al  bisogno  sempre più  acuto  e  profondo  di  nostra  ragione:  negheremmo la  ragione.  Vorremo  innovarci  seguitando  a  dirci  ed  es- 

sere iperpsicologisti?  In  tal  caso  dovremo  accettare  due condizioni:  costruire  la  scienza  con  la  ipotesi,  con  Va priorismo;  e  disconoscere  i  limiti  del  pensiero  e  della scienza  stessa,  dando  così  alla  ragione  un  valore  dom- matico,  sistematico,  assoluto,  anziché  critico  e  positivo. Chi  vorrà  oggimai  accettare  siffatte  condizioni?  Dunque Positivismo  e  Idealismo  assoluto,  negazione  assoluta  di sistema  e  assoluto  sistematismOy  son  le  colonne  d^  Ercole che  la  moderna  Francia  e  la  moderna  Germania  ci  vo- gliono imporre:  esse  non  ci  appartengono,  e  a  noi  sarà lecito  abbatterle,  non  per  vana  horia  nazionale,  ma  si per  necessità  di  ragione.  Forse  che  un  rinnovamento in  senso  hegeliano  non  ha  ormai  fatto  fra  noi  le  sue prove  per  quindici  anni,  per  vent'anni?  Non  è  stato  fa- vorito con  ogni  guarentigia  di  libertà?  Non  è  stato  e non  è  rappresentato  così  nel  privato  come  nel  pubblico insegnamento?  E  pure  T Idealismo  assoluto,  almeno quant^alla  peculiare  esigenza  che  lo  distingue,  cioè come  Sistema  delP  identità  assolata^  non  ci  è  passato in  sangue,  ne  poteva  ;  e  nonostante  gli  sforzi  nobilissimi di  egregi  scrittori,  egli  è  rimasto  ne' libri,  e  rimarrà ne' libri.  —  Altrettanto  impossibile  riesce  un  rinnova- mento dsL  positivisti.  Piii  deir  Hegelianismo  il  Positivismo è  stato  accarezzato,  favorito  per  ogni  verso,  predicato privatamente,  talora  persino  officialmente.  Ma  gF  ingegni 

severi  vi  han  reagito,  vi  reagiscono  ;  e  T  infinita  moltitu- dine di  que' filosofanti  che  han  su  le  labbra  cotesto  nome pomposo  e  bugiardo,  è  lungi  dall' averne  ponderato  il valore,  le  conseguenze,  le  applicazioni.  Binnovamenti  di cotal  genere,  dunque,  sono  impossibili  fra  noi:  e' non sarebbero  legittimi,  coscieuti,  naturali,  autonomi,  efficaci, intimi,  storici.  —Vogliamo  finalmente  ritentare  un  rin- novamento d'iperpsicologismo  da  ontologisti  neoplato- nici? Resteremmo  quel  che  pur  troppo  siamo  stati,  e siamo:  non  andremmo  avanti;  torneremmo  indietro. Se  dunque  la  necessità  del  nostro  innovamento  filoso- fico deve  poter  germinare  dalla  passata  speculazione,  noi dobbiamo  rintracciarne  gli  elementi  nelle  opere  e  nella mente  di  chi  è  capace  di  rappresentare  non  pure  il  pas- sato, ma,  più  ancora,  il  presente  e  T avvenire.  È  d'uopo attingere  ispirazione  nelle  opere  e  nella  mente  di  chi  può soddisfare  V  esigenza  positiva  e  V  esigenza  ideale  del  sa- pere, ma  correggendole  entrambe.  È  d' uopo  invocare  gli auspici  di  chi,  incarnando  il  medio  indirizzo  della  specula- zione, valga  a  rannodarci  con  la  nostra  tradizione  scien- tifica, e  con  lo  svolgimento  dell'intera  storia  della  filosofia. Chi  potrebb'  esser  questi,  fra  noi,  salvo  che  V  Autore  deUa Scienza  Nuova?  Ecco  l'addentellato  piii  sicuro  e  tutto nostro,  dal  quale  è  mestieri  s' inauguri  il  presente  rinno- vamento filosofico  italiano.  Ma,  nell'invocame  gli  auspicii, 

noi  dobbiamo  interpretarlo  con  la  coscienza  del  sapere moderno  :  noi  dobbiamo  correggere  anche  lui  ;  e  correg- gendo, lui  correggeremo  poi  stessi,  e  gli  altri:  correg- geremo il  neoplatonismo,  l' hegelianismo,  il  positivismo. Brevemente:  se  rinnovarci  è  suprema  necessità,  di  tal necessità  è  d'uopo  aver  pienezza  di  sentimento  e  di coscienza  storica.  Abbiamo  dunque  bisogno  d' una  base per  muoverci,  d' un  punto  a  cui  mirare,  d' un  segno  per orientarci,  d' una  guida  tutta  nostra  in  cui  la  nostra mente  riconosca  sé  medesima.  Chi  potrebbe  risponder meglio  a  cosiffatta  esigenza  tranne  colui  che  seppe  con- cepire il  sublime  per  quanto  rozzo  e  incompiuto  disegno d'una  Scienza  Nuova? 11  nostro  quesito  adunque  era  semplice  e  chiaro; ed  è  questo  :  Come  penserebbe  il  nostro  filosofo  ov'  ei tornasse  a  vivere  in  mezzo  a  noi,  nelle  nuove  condi- zioni politiche,  sociali,  religiose,  co'  nostri  nuovi  bisogni, con  le  nostre  nuove  tendenze?  In  altre  parole:  come farebb'  egli  a  risolvere  oggi,  col  suo  stesso  metodo,  i grandi  problemi  della  scienza?  La  risposta  riguardante i  problemi  speculativi,  è  nella  seconda  parte  del  presente libro.  La  risposta  poi  che  concerne  i  problemi  d' ordine storico,  politico,  religioso  e  pedagogico,  la  daremo  nella Sociologia.  È  che  sia  questa  per  l' appunto  l' esigenza del  suo  pensiero  ;  che  sia  questa  la  necessità  del  nostro 

RinnoTamento,  ce  ne  porge  guarentigia  e  conferma  la .  storia,  e  U  modo  con  che  s'è  venuto  attuando  e  svolgendo il  nostro  pensiero  filosofico.  Noi  non  possiamo  intrat- tenerci a  lumeggiare  in  qualche  maniera  cotesto  svolgi- mento. Non  possiamo  rilevarne  i  caratteri,  ritrarne  la necessità  ne' passaggi,  e  dichiararne  il  progresso  ne' diffe- renti periodi,  dando  così  forma  determinata  e  compiuta al  nostro  assunto.  Questo  faremo  quando  che  sia  con  ap- posito lavoro,  di  cui  abbiamo  già  in  pronto  la  materia. Ma  accennare  di  volo  al  risultamento  del  nostro  pensiero senza  por  tempo  in  mezzo,  è  cosa  che  possiamo  fare anche  ora;  tanto  piii,  che  tal  risultamento,  chi  ben guardi,  traesi  facilmente  dalle  cose  discorse  in  piii  luoghi del  nostro  libro. La  storia  della  filosofia  italiana,  dunque,  a  noi  sem- bra doversi  dividere  in  tre  difiFerenti  periodi,  de'  quali stringiamo  in  pochissimo  i  caratteri  e  le  tendenze  pe- culiari: Primo  Periodo {Scolast%c(hteologico), S'inaugura  con  Boezio  Severino  (Marciano Capella, Cassiodoro  ec),  e  finisce  con  San  Tommaso  (Tomisti  e Scotisti  inclusive).* *  Vi  è  chi  col  Gioberti  divide  la  storia  della  filosoRa  italiana  in cinque  epoche  (Ved.  Prìmnto,  ed.  2\  1845,  P.  II,  pag.  278);  e  v'è  chi  la divide  in  quattro  età,  cominciando  dal  VI  sec  avanti  Cristo  (Babtolom-  I M RS,  Dici,  den  teienc  philot.)  Divisioni  di  cotal  fatta  evidentemente  pec- 

cano d'eccesso,  in  quanto  che  abbracciano  più  e  diverse  civiltà,  e  però  non riescono  ad  imprimere  valor  razionale  e  forma  omo^renea  allo  svolgimento del  nostro  pensiero  fllosoftco.  La  storia  della  filosofia  italiana  s*  inaugura quando  il  popolo  di  Roma,  cessando,  secondo  il  detto  di  Hegel,  d* essere essenzialmente  umanitario  e  univertale,  comincia  ad  essere  italiano.  Il suo  cominciamento  <^indi  ci  è  additato  da  un  nuovo  elemento  che  sorge in  me^zo  ai  vecchi,  e  vi  si  sovrappone.  Quost*  elemento  nuovo  e  Tidea cristiana;  i  vecchi  poi  sono  il  Platonismo  e  T  Aristotelismo  nello  diverse lor  forme.  Perciò  se  il  1*  periodo  della  nostra  filosofia  è  una  stracca  ripe- tizione  del  pensiero  greco  e  romano,  è  anche  spontaneità,  è  anche  attività, quantunque  Tobbietto  di  cotesta  attività  sia  un  contenuto  di  natura Suo  carattere  precipuo  è  quello  d'  essere  una  rifles^ sione  teologica,  una  speculazioìie  sul  domina;  e  quindi  ci rappresenta  T assorbimento  della  Ragione  nell'Autorità. Il  contrasto  s' accende  fra  Nominalisti,  Realisti  e  Con- cettualisti; con  le  quali  tre  scuole  si  riproduce  il  vec- 

chio triplice  indirizzo  aristotelico,  ma  sotto  novella  forma essendoci  il  nuovo  contenuto  dell'  idea  cristiana.  Questo primo  periodo  infatti  si  dischiude  modestamente  per opera  d' un  Nominalista,  ultimo  de^  Romani  ^  primo  degli Scolastici  :  egli  imprime  forma  al  pensiero  commentando una  parte  dell'  Organo  aristotelico,  e  ponendo  la  qui- stione  degh  Universiili  eh'  ei  per  altro  non  s' attenta  di risolvere,  parendogli  oggetto  d'ofóiom  phUosophÙB.  Si chiude  poi  con  l'Aquinate,  il  quale  perciò  è  tutt'  altro 

che  nominalista.  L'autore  della  Somma  anzi  rappresenta una  forma  severa  di  Concettualismo;  e  però  ci  esprime r  indirizzo  medio  del  filosofare  in  que'  modi  e  in  quelle condizioni  ch'eran  permesse  alla  Riflessione  teologica.  La ragione  per  lui  è  un'  ancella,  ma  è  anche  una  guida;  e  di fatto  in  pili  cose  egli  riesce  a  correggere  i  due  filosofi greci.  Egli  in  somma  dimostra;  almeno  si  sforza  di  di- mostrare. E,  più  ancora,  dopo  il  suo  maestro  Alberto Magno  egli  trasferisce  la  questione  degli  Universali  dal puro  mondo  della  logica  nelle  altre  sfere  della  scienza, '  collegandosi  cosi  col  Rinascimento. Un  progresso  dunque  nella  Scolastica  italiana  è  evi- 

dente, chiunque  ripensi  quanto  e  qual  divario  esista  fra il  punto  ond'ella  si  parte,  e  '1  punto  ove  arriva.  Se  non che  questo  progresso  è  omogeneo,  uniforme,  monotono,  e però  non  è  vero  processo.  È  anzi  una  giostra  intellettuale in  campo  chiuso;  né  quindi  sono  da  accettarsi  le  divisioni onninamente  religiosa.  Ecco  perchè  il  ricorto  medioetaU  pel  Vico  non  è un  ricorto  nel  significato  d*  una  ripetizione  para  e  semplice  come  i  più intendono  la  dottrina  vichiana  de*cor«i  e  rieorti  ttoriei,  ma  ò  insieme ripetizione  e  innovazione.  Questo  dimostreremo  con  argomenti  d'ordine storico  nella  Sociologia  tanto  rispetto  alla  fllosofla,  qaanto  alle  altre manifestazioni  della  civiltà. a  perìodi  che  della  Scolastica  han  fatto  il  Tennemann,  il  i Brucker,  il  Cousin,  THaureau,  il  Poli.  Platonico  nella  so- 

stanza, questo  primo  periodo  è  aristotelico  nella  forma: che,  davvero,  ragion  teologica,  essenzialmente  domma- tica,  non  si  poteva  proporre  siccome  fine  speculativo  il problema  su  l'organismo  del  pensiero  e  dell'essere, cioè  il  sistema,  bensì  quello  del  metodo.  Nominalisti, Concettualisti  e  Realisti,  infatti,  discutevan  su' generi e  su  le  specie;  discutevan  su  le  idee  considerate  non già  in  sé  stesse  e  nella  loro  etema  immanenza  ed  esem- 

plarità (nel  che  eran  tutti  cattolici  e  platonici  almeno in  Italia),  ma  su  le  idee  considerate  siccome  oggetto della  meììte.  Però  l'esigenza  più  vivace  di  questo  primo periodo  è  un'  esigenza  prevalentemente  ideologica,  stan- techè  si  cercasse  la  natura  e  s' indagasse  l' origine  del- 

l' universale. Ma  un  periodo  storico  è  sempre  un  organismo  :  un organismo  in  cui  v'è  cospirazione  d'atti,  omogeneità 

d' indirizzo,  corrispondenza  di  funzioni.  Alla  forma  e al  contenuto  del  periodo  Scolasticoteologico,  dunque, rispondono  e  debbono  risponder  tutti  gli  elementi  della 

civiltà.  Quant'  al  govei-no  del  mondo,  per  esempio,  la Provvidenza  pel  medioevo  sta  nell'  immediata  azione di  Dìo  su  la  natura,  e  su  la  storia.  Quant' alla  costi- 

tuzione politica,  il  potere  civile  è  sommesso  al  potere spirituale  come  il  corpo  soggiace  all'anima,  come  la terra  al  cielo,  come  il  diritto  alla  morale,  come  il  cit- tadino al  sacerdote,  come,  in  somma,  la  Ragione  al- 

V Autorità,  A  questo  primo  periodo,  nella  storia  civile, rispondono  le  cinque  invasioni  barbariche.  Ecco,  direbbe il  Vico,  Vetà  divina  del  nostro  pensiero  filosofico.  Lo spirito  vive  fuori  di  sé  :  vive  tutto  in  Dio,  nel  Papa,  nel 

Secondo  Periodo {Scolastico  '  filosofico), S' inaugura  col  Petrarca,*  e  più  con  Leonardo  da Vinci,  e  finisce  col  Galilei,  col  Bruno  e  col  Campanella inclusive. Suo  principal  carattere  è  la  negazione  della  Sco- lastica, che  vuol  dire  della  Riflessione  teologica  e  dom- mcUica.  Non  più  omogeneità,  monotonia,  giostra  in 

campo  chiuso;  ma  varietà,  eterogeneità  d'indirizzi, lotta  in  campo  aperto.  Non  più  la  Ragione  ancella dell'Autorità,  ma  la  Ragione  e  l'Autorità  congiunte  fra I  loro,  appajate,  accostate,  e  quasi  accoppiate  in  maniera tutta  meccanica  ed  estrinseca.  Indi  le  contraddizioni  in quasi  tutt'i  suoi  filosofi;  i  quali  in  mentre  che  protestano obbedienza  e  devozione  alla  Chiesa,  compiono  la  riforma filosofica  più  radicale  e  solenne  che  porga  la  storia,  prima ancora  che  in  Germania  si  fosse  risvegliato  lo  spirito luterano.  La  libertà  di  ragione  in  Italia  prevenne  il \  sentimento  della  libei*tà  di  coscienza  surto  in  mezzo alle  genti  teutoniche. In  questo  secondo  periodo  predomina  l'esigenza  ari- stotelica. Vi  è  r  indirizzo  empirico  co'  materialisti  di Bologna;  vi  è  l'indirizzo  ipersicologico  con  gli  arabeg- gianti  di  Padova  e  co'  platonici  toscani;  e  già  traspare r  indirùiizo  medio  in  que'  filosofi  che  procacciano  d'ac- cordare il  Plat(rnismo  con  l' Aristotelismo  :  così  riprodu- consi  ma  con  ben  altro  contenuto,  le  tre  posizioni  sco- *  Il  Petrarca  rappresenta  la  prima  negazione  della  scolastica;  la qual  tendenza  in  Ini  è  eTidonte,  assai  più  che.  nell'  Alighieri.  Dante  ha un'attinenza  ideale  con  San  Tommaso:  egli  trasferisce  la  nuda  idea cattolica  nel  regno  della  fantasia,  e  sta  al  W  Aquino  così  come  Y  im- maginazione alla  ragione  dommatica.  L*  Alighieri  dunque  ci  rappresenta r  attività  della  ragione  che  fa  un  primo  passo  al  di  là  del  domma,  ma senza  ombra  di  coscienza  speculativa.  Il  Petrarca  invece,  considerato come  filosofo,  ci  esprìme  un  primo  grado  di  questa  coscienza.  —  Ved.  il  no- stro Disc,  avanti  citato,  DanU  Galileo  e  Vico,  Firenze,  1865. lastico  teologiche  del  primo  periodo.  L' esigenza  specula- tiva infatti  non  è  altrimenti  ideologica,  ma  psicologica. Non  pili  il  problema  de' generi  e  delle  specie;  non  più r  universale  come  oggetto  del  pensiero,  ma  lo  stesso pensiero:  la  natura,  l'origine  e  '1  fine  dell'anima.  Pre- valendo l'Aristotelismo,  vi  prevale  anche  l'astrologia, conseguenza  logica  della  cosmologia  aristotelica  erro- neamente  interpretata,  e  della  dottrina  su  le  dieci  sfere onde  risulta  composto  il  mondo.  Pur  nuUameno  cotesta esigenza  astrologica  del  Rinascimento,  chi  ben  la  guardi, ci  esprime  già  una  prima  negazione;  ci  rappresenta  una' limitazione  del  concetto  degl'  influssi  divini  diretti^  e  della immediata  influenza  di  Dio  sul  mondo.  Non  si  nega per  anche  la  provvidenza,  è  vero  ;  ma  la  si  considera 

com' un' azione  mediata.  Inaugurazione  quindi  e  svi- luppo delle  scienze  di  natura:  elemento  nuovissimo,  esi- genza allora  tutta  italiana.  —  Ora  in  tanta  eterogeneità' e  disparità  di  pensiero;  in  cod  viva  lotta  di  tendenze contrarie;  in  tanta  energia  di  vita  politica,  artistica, scientifica,  religiosa,  commerciale,  industriale  e  poetica; questo  glorioso  periodo  isterico  è,  e  debb'  essere  an- ch' esso  un  organismo  :  tutto  vi  corrisponde,  tutto  ar- monizza, e  il  suo  peculiar  contrassegno  sta  nell'  esser r  età  eroica  del  nostro  pensiero  filosofico,  politico,  nazio-  j naie.  Si  scoprono  perciò  mondi  novelli  su  la  terra,  e  nel cielo.  Si  fa  riviver  la  Grecia  e  Roma  nel  regno  dell'  arte. La  vita  politica  fermenta  rigogliosa  nel  municipio.  Alla Morale  che  assorbiva  il  Diritto  èuccede  il  Diritto  che assorbe  la  Morale.  Alla  scienza  giuridica,  alla  creduta scienza  giuridica,  l' arte  politica;  a  San  Tommaso,  Ma- chiavelli. £  la  religione?  La  religione  allora  si  presenta qual  semplice  mezzo,  qual  semplice  strumento  nelle mani  de' potenti  e  de' reggitori  de' popoli,  giusto  perchè si  reputa  un  artifizio,  un  ritrovato  artifizioso  dell'uomo. Il  pensiero  dunque  nel  Risorgimento  non  vive  fuori  di sé;  vive  in  sé,  vive  anzi  troppo  d' accosto  a  sé.  Manca perciò  il  concetto  della  morale  e  della  religione,  ma  vi  è il  sentimento  etico  e  religioso.  Manca  il  vero  concetto  del I  gitis,  ma  ve  n'  è  il  senso,  la  coscienza,  la  forza.  Manca il  concetto  della  scienza,  ma  vi  è  la  febbre  della  ri- 

cerca, la  grande  erudizione,  la  divinazione  istorica. Se  non  che,  quant'  al  secondo  periodo  storico  della nostra  filosofia,  giova  intenderci  meglio,  poiché  nel Rinascimento  pongon  radice  le  ragioni  complesse  del  no- stro moderno  Risorgimento,  a  spiegarci  il  quale,  perciò, non  occorre  uscire  dal  nostro  paese.  Il  Rinascimento  è I  davvero  il  nodo  gordiano  degli  storici  spiccioli,  degli amminicolatori,  de'  cosi  detti  specialisti,  de'  monogra- fisti.  Costoro  pretendono  cogliere  il  razionai  significato di  quella  grand' età  delineando  quadretti  di  questo  o  quel filosofo,  0  scuola  di  filosofi;  tessendo  monografie  di  questo o  quel  politico,  o  scuola  di  politici;  scrivendo  memorie di  questo  o  quell'artista,  poeta,  storico,  pontefice  che sia.  Ma  la  parte,  l'elemento,  il  quadretto  resterà  sem- pre parte,  elemento,  quadretto  assai  poco  intelligibile: perchè?  perchè  al  quadretto  manca,  dire' quasi,  l' aria, manca  la  luce,  manca  la  vita  che  può  solamente  sca- turire dalle  intime  relazioni  col  passato,  e  col  futuro. Ristringiamoci  al  tema.  Come  intendere  il  Ficino  e  la sua  scuola,  per  esempio,  studiandolo  in  sé  stesso  al modo  che  s'è  fatto  fra  noi  in  questi  ultimi  anni?  Uome intendere  la  scuola  del  Cimento  co'  lavori  monogra- fici? Lo  studio  monografico  tornerà  profittevole,  quando abbia  carattere  essenzialmente  particolare.  La  mono- grafia debb' essere  un'esposizione  scrupolosa,  un  ritratto 

fedele  d'un  filosofo  e  d*'  una  scuola,  e  però  ha  da  essere uno  studio  critico  obbiettivo.  Ma  tutto  ciò  non  è  scienza del  fatto;  non  è  filosofia  della  storia;  non  è  critica filosofica.  Or  se  la  monografia  vorrà,  come  monografia, assumer  valore  critico  generale,  non  risica  di  riescir sistematica,  erronea  e  fallace  nelle  conseguenze?' *  Gli  studi  p.  es.  del  Puccinotti,  del  Galeotti  e  del  Conti  sul  Ficino potranno  essere,  e  certo,  8ono  bellissimi  :  ma,  a  guardarci  bene,  in  simili monografie  ▼!  ò  già  tutt'  un  sistema  ;  vi  ò  un  criterio  sistematico  col  quale L' età  del  Rinascimento  vuol  esser  considerata  nella I sua  sintesi,  e  perciò  va  studiata  in  relazione  al  primo  I perìodo  della  nostra  filosofia,  eh' è  la  Scolastica.  Allora la  suastragrande  varietà  di  scuole,  di  tendenze  e  d' indi- rizzi è  beli' e  spiegata  in  modo  razionale,  perchè  ci  rap- presenta l'eterogeneità  in  atto,  per  così  dire,  succeduta alla  omogeneità  della  inflessione  teologica.  Gli  estremi del  pensiero  filosofico  qui  sono  e  debbon  esser  davvero estremi,  cioè  fra  loro  contrari  ed  opposti.  E  tale  sarà  pure l' indirizzo  medio,  cioè  svariatissimo,  per  necessità  tutta storica  e  psicologica.  Cotesto  indirizzo  medio,  per  esem- pio, comincia  ad  essere  attuato  da' così  detti  Umanisti, che  noi  chiameremmo  metodisti,  fra' quali  citiamo  il  Ni-  ' zolio,  Alessandro  Piccolomini,  l' Erizzo,  l'Aconzio,  ed  altri di  simil  fatta.  Accanto  a  questi  il  Da  Vinci,  il  Telesio  e tutta  la  scuola  Telesiana;  e  dopo  questi  la  grande  Scuola 

Galileiana,  o  del  Cimento.  Contro  gli  estremi  indirizzi del  Neoplatonismo  e  del  Naturalismo  e  dell'Arabismo tutti  costoro  non  fanno  che  inc>amare  il  concetto  del  me- todo, cioè  la  industria  induttiva,  ma  ne' fatti  d'ordine fisico  sensato,  e  in  parte  filologico  ed  erudito.  L'indirizzo medio  perciò  s'inaugura  con  ricercare  e  determinare  il metodo,  non  già  con  l'edificare  un  sistema.  Questo  è il  lor  merito  comune  ;  e  questo  è  anche  il  loro  difetto, stantechè  manchi  ad  essi  la  nozione  compiuta  del  me- si pretende  imprimere  ralore  a  tutta  la  storia,  quando  s*  interpreta,  cosi com*es8Ì  fanno,  la  scuola  platonica  toscana,  e  le  si  vuol  dare  quel  valore ch*ei  le  danno.  Un  altro  esempio  sono  gli  studi  dello  Spaventa  sul  Bruno e  sul  Campanella:  studi  bellissimi  e  pieni  di  vedute  profonde  dalVun  capo air  altro,  e  come  monografie  noi  H  accettiamo,  e  ne  caviamo  il  nostra prò:  ma  com*  elemento  di  storia  generale,  la  Agnra  e  la  Asonomia  del Bruno,  per  esempio,  ò  delineata  siffattamente,  che  quando  siamo  al  si- gniAcato  della  storia  generale  della  Alosofla,  si  toccan  con  mano  lo Gonsognense  sistematiche  e  parziali  della  critica  monografica.  In  una parola  io;  voglio  dir  qoesto:  la  monograAa  ò  boli*  e  buona,  ò  suprema- mente utile,  ma  è  sommamente  pericolosa;  perchò  se  come  studio  mo- nografico ella  può  esser  vera,  come  parte,  com*  elemento  di  storia  pu^ riescire  falsissima.  Altrove  noi  proveremo  largamente  e  con  esempi  no- strani tale  assunto. todo  com'è  applicato  oggidì  da^ metafisici.  Se  non  che l'indirizzo  medio  nel  Rinascimento  ci  può  esser  più  con- 

venevolmente rappresentato  da  que'  filosofi  che,  trava- gliandosi attorno  alla  quistione  delP  anima  intesa  come problema  puramente  psicologico,  fanno  ad  un  tempo  ogni sforzo  per  interpretare  con  benigna  critica  la  dottrina déiV  intdletto  possibile  e  deìVinteUetto  agente^  e  fra  questi, come  altrove  notammo,  van  rammentati  il  Nifo,  il  Porzio  ' (il  quale  non  è  nient' affatto  un  seguace  del  Pomponazzi, come  pretenderebbe  il  nostro  collega  Fiorentino),  lo IZabarella,  il  Castellani  ed  altri  di  simil  valore.  Costoro sorpassano  i  confini  del  senso;  trascendono  in  parte  la modesta  indagine  psicologica  introducendo  la  ricerca  co- smologica, e  rannodano  così  il  problema  dell'anima  intel- ligente con  r  altro  della  natura  intelligibile.  Nessuno  ha I  pensato  a  rilevar  nettamente  questo  aspetto,  e  segnalare questa  tendenza  tanto  evidente  in  parecchi  filosofi di  quell'età.  E  pur  ci  sarebbe  tanta  mèsse  da  mietere, i  quando  non  fossimo  signoreggiati  dalle  prevenzioni  siste- matiche del  Neoplatonismo,  o  dell' Hegelianismo  1 Ma  r  eterogeneità,  il  contrasto,  V  opposizione  cresce sempre  più.  Da  una  parte  ella  si  esagera,  per  esempio,  con lo  Zimara,  col  Cesalpini,  col  Vanini  e  simili;  i  quali '  rappresentando,  diremmo  quasi,  una  mischianza  di  na- turalismo e  d' iperpsicologismo,  palesano  la. fiacchezza del  vecchio  aristotelismo  :  dall'  altra  poi  si  esagera  con que'  filosofi  che  presumon  d'interpretare  convenevol- 

mente Aristotele  e  Platone,  mentre  arabeggiano  la  lor parie  ;  e  tali»  per  esempio,  sono  il  Lagalla,  il  Liceto  ed  I altri  di  simil  fatta.  È  il  Platonismo  toscano,  è  il  Na- turalismo del  Pomponazzi,  è  l'Arabismo  padovano  che si  prolungano  pur  sempre  svigoriti  e  indeterminati. Bruno  e  Campanella  rappresentano  anch'  essi  debol- mente r  Aristotelismo  e  '1  Platonismo,  ma  per  una  ra- gione assai  diversa.  L'esigenza  psicologica,  propria  del Rinascimento,  nei  due  arditissimi  frati  assume  ben  al- tro valore,  e  si  allarga  a  sistema;  e  così  vediamo  i  due estremi  modificarsi  di  guisa,  che  Bruno  e  Campanella  ci paion  quasi  filosofi  moderni,  e  modernissimo  il  Galilei rappresentante  dell'  indirizzo  medio  nella  scienza  fisica,  in quanto  ci  esprime  assai  vivacemente  l'esigenza  induttiva nelle  discipline  sperimentali.  Bruno,  Campanella  e  Galileo, infatti,  non  ripetono  Aristotele  e  Platone,  e  neanche  in- tendono ad  accordarli  :  essi  piuttosto  tendono  a  correg- gerli, e  credono  correggerli,  come  altrove  mostreremo,  in tre  diverse  maniere.  Perciò  non  a  torto  il  filosofo  Nolano  è riguardato  oggi  siccome  antecedente  isterico  di  Spinoza; il  filosofo  di  Stilo  è  ritenuto  come  antecedente  di  Car- tesio; e  il  Galilei  viene  invocato  da' Positivisti  come  uno ùe'padri  del  Positivismo,  secondo  che  ci  han  fatto  grazia dirci  il  Comte  ed  il  Littré. Or  tutto  questo  sarà  vero;  sarà  vera  cotesta  novità 

ne'  tre  filosofi:  ma  sarà  vera  nel  senso  che  a  tutti  e  tre manchi  qualcosa.  Essi  ci  rappresentano,  vorre'  dire,  tre* esigenze  solitarie,  esclusive  e  quasi  inorganiche.  Nel  Cam- panella, per  esempio,  vi  è  il  concetto  della  coscienza  e della  storia;  ma  non  vi  è  quello  dello  spirito  come  sto- ria. Nel  Bruno  vi  è  il  gran  concetto  della  ìiatura;  ma è  un  concetto  sifl'attamente  annebbiato  e  indeterminato che  riesce  affatto  irrelativo,  e  nulla  non  ha  né  dietro, né  avanti  a  sé:  talché  con  l'avere  affermato  che  la  prima causa  debba  essere  insieme  efficiente,  formale  e  finale,  e'  si chiarisce  seguace,  non  già  d'Aristotele,  come  vorrebbe  il Michelet,*  ma  dell'indirizzo  naturale  dell'Aristotelismo.  Il metodo  del  Galilei,  finalmente,  é  quello  che  debb'essere; un  processo  induttivo  e  critico,  ma  solamente  applicato allo  studio  delle  leggi  fisiche.  D'altro  canto  il  filosofo pisano  ha  grandissimo  valore  quando  si  pensi  com'egli, riducendo  le  leggi  di  natura  fisica  o  meccanica  a  feno- meni piÌL  0  manco  generali,  giugnesse  a  scacciare  dal regno  degli  agenti  naturali  ogni  fantasia  astrologica  del falso  Aristotehsmo:  ma  chi  dirà  eh' e' pervenne  a  darei *  Métaph,  <r  Ari8t.,  ed.  cìt.  p.  268. SlClLlAKI. una  dottrina  cosmologica?  Se  dunque  i  tre  filosofi,  che sopra  gli  altri  di  quell'  età  come  aquile  volano,  ci  si  pi-e- 

sentano  in  sé  stessi  manchevoli,  incompiuti  e  quasi  fra loro  inorganici;  la  conclusione  sarà  questa,  che  in  ciascun d' essi  havvi  un'  esigenza  non  soddisfatta.  Il  concetto"^ del  Bruno  su  la  natura  vuol  esser  corretto  :  vuol  esser compiuto  il  concetto  psicologico  del  Campanella;  e  dal regno  de'  fatti  fisici  il  metodo  galileiano  è  d' uopo  tra- sferirlo in  quello  de' fatti  morali  e  della  storia.  Ecco la  triplice  esigenza  speculativa  nella  quale  si  raccoglie, per  così  dire,  tutto  il  significato  speculativo  del  Rina-4 scimento.  A  tale  esigenza  soddisfa  il  secolo  XVIII  con lo  dottrine  del  Vico.  Una  relazione  ideale,  dunque,  fra il  secondo-  e  '1  terzo  periodo  della  nostra  filosofia,  è evidente,  razionale,  necessaria. PfiBioDO  Tbbzo. (Filosofico-positivo  e  critico.) Il  terzo  periodo  della  nostra  filosofia  s'inaugura  col Vico  avversando  e  insieme  inverando  il  Cartesianismo,  e finisce  con  l' iperpsicologismo  da  una  parte,  e  con  l' empir rismo  dall'  altra:  l'un  de' quali  è  rappresentato  dal  Neo- platonismo de' nostri  ultimi  filosofi,  e  dall'  Idealismo  asso- luto importatoci  dalla  Germania;  l'altro,  dallo  Scetti- cismo, dal  Materialismo,  dal  Positivismo. Peculiar  distintivo  di  questo  terzo  periodo  non  è  la Ragione  assorbita  dall'Autorità,  ne  l'Autorità  e  la  Ra- gione irresolute;  ma  l'Autorità  risoluta  nella  Ragione; cioè  la  Ragione  che  diventa  Autorità,  coscienza  di  sé medesima.  Il  pensiero  filosofico  non  vi  è  mosso  altrimenti da  un'esigenza  puramente  ideologica^  né  puramente  psi- 

cologica; ma  ideologica  e  psicologica  intrinsecate  nella storia  (processo  istorico-psicologico).  Non  più  il  problema dell'universale  e  del  particolare,  cioè  dell'individuazione, ma  quello  della  lor  conversione.  Non  più  il  problema dell'  anima  e  dell'  individuo,  ma  quello  della  storia  e della  società  (Scienea  Nuova.)  Non  più  il  mondo  come piedistallo  d'un  Dio  solitario;  un  mondo  divino  sol perchè  esistente  in  Dio,  creato  da  Dio,  tendente  a  Dio: ma  un  Dio  presente  al  mondo,  e  un  mondo  creante  sé stesso,  e  però  divino  in  sé  stesso,  divino  per  sé  stesso.  Non più  la  Trinità  tedoffica,  ma  il  Triauno  filosofico  e  razio- nale uscente  dal  seno  istesso  del  simbolo  religioso,  del sentimento,  della  coscienza,  dell'immaginazione.  Non  più la  formola  disdogica  e  la  formola  teleologica  del  cate- chismo, bensì  la  formola  metafisica  del  Processo  ideàley e  la  formola  cosmologica  del  Processo  cosmico  e  della Vita  Universale.  Non  più  la  scienza  data,  ma  la  scienza fatta;  e  fatta  non  già  come  assoluta,  a  priori  e  tutta d'un  pezzo,  ma  come  produzione  assoluta  del  pensiero, e  della  storia.  Non  più  filosofia  della  storia  a  priori, condotta  vuoi  con  metodo  tradizionale  e  teologico,  vuoi con  metodo  sistematico  e  assoluto;  ma  benintesa  so- ciologia, beninteso  metodo  storico  e  psicologico.  Non più  il  diritto  derivato  dalla  morale,  né  la  morale  dal diritto;  ma  entrambe  queste  discipline  emergenti  dal- 

l' azione  combinata  del  pensiero  con  la  storia,  delle  idee col  fatto,  della  ragione  con  l'esperienza.  Però  la  politica si  palesa  alla  mente  non  più  come  ispirazione,  comando, suggerimento  teocratico,  e  tanto  meno  come  arte  dd riuscire y  ma  come  scienza,  come  scienza  del  Diritto,  come Diritto  applicato  {Diritto  Universale).  Però  le  forme del  reggimento  politico  si  presentano  non  più  come istituzioni  immobili,  immutabili,  intangibili;  ma  come altrettanti  organismi,  e  quindi  come  altrettanti  processi. Però  la  religione  non  è  più  intesa  com'  effetto  d' origine divina,  e  neanche  come  semplice  mezzo,  come  artifizio, come  ritrovato  umano;  bensì  come  processo  anch'  ella, come  produzione  psicologica  necessaria  nello  svolgersi della  storia.  Però  non  più  provvidenza  immediata,  né astrologia;  non  più  influssi  immediati,  né  mediati;  ma provvidenza  naturale,  provvidenza  storica,  provvidenza umana:  rd>us  ipsis  dictantibus.  Però  non  più  individui predestinati;  non- più  famiglie,  né  razze  privilegiate;  non più  popoli  eletti  :  ma  privilegio  dell'  intelligenza,  ma  trionfo della  libertà  in  ogni  senso  e  sotto  qualunque  forma,  nella Famiglia,  nello  Stato,  nella  Chiesa,  nella  Scuola,  nella Società.  Dunque,  formola  suprema  della  vita  e  della storia,  deUa  natura  e  della  speculazione,  de'  fatti  e  delle scienze  e  di  Dio  stesso  :  la  Conversione  del  Vero  cól Fatto,  e  del  Fatto  col  Vero. Il  terzo  periodo  della  nostra  filosofia  ci  rappresenta V  età  umana:  rappresenta  l'età  delle  idee,  l'età  della Bagione  spiegata.  Quale  sarà  dunque  la  conclusione? La  conclusione  è  chiarissima.  Questo  terzo  periodo importa  l' esigenza,  la  necessità  d'  un  Rinnovamento: racchiude  l'esigenza  e  la  necessità  d'una  filosofia  razio- nalmente positiva.  La  sintesi  confusa  del  primo  periodo si  ripete  anche  nel  terzo;  ed  ecco  le  contraddizioni  evi- denti, manifeste,  grossolane,  talvolta  puerili  del  Vico.  La medesima  sintesi  veggiamo  ripetersi  ne' nostri  ultimi  filo- 

sofi neoplatonici;  ed  ecco  le  contraddizioni  del  Rosmini, ecco  i  controsensi  del  Gioberti,  ecco  le  incongruenze del  neoplatonismo  del  Mamiani.  Ma  cotesta  sintesi  tien dietro  ad  un'analisi,  tien  dietro  all'analisi  del  Rina- 

scimento. Dunque,  tuttoché  erronea,  ella  già  segna  un progresso.  Perciò  le  contraddizioni  dei  nostri  filosofi  si risolvono  di  per  sé  medesime;  si  risolvono  e  correggono per  necessità  storica  :  le  risolve  e  corregge  la  storia  ella 

stessa;  rebt4S  ipsis  dictantibus.  In  altre  parole,  il  terzo periodo  è  un  ricorso,  direbbe  1'  Autore  della  Scienza Nuova;  è  un  ricorso  d'uà  corso,  cioè  un  ricorso  del primo  periodo.  Ma  cotesto  ricorrere  non  è  già  un  sem- plice ripetersi,  bensì  é  un  ripetersi  che  si  rinnova  neces- sariamente, ciò  è  dir  razionalmente  :  ecco  la  ragione  del suo  verace  progredire.  Quale  é  dunque  il  problema  che la  storia  del  nostro  pensiero  filosofico  tende  a  risolvere? È  sempre  l'antico,  l' antichissimo  problema,  or  divenuto novissimo:  la  correzione  e  l' accordo  della  doppia  e  vec- chia  esigenza  naturale  e  iperpsicologica,  empirica  ed a  priori,  positiva  e  ideale.  Quale  n' è  poi  il  risulta- mento?  È  il  trionfo  dell'indirizzo  medio;  è  Finvera- mento  successivo,  progressivo  e  razionalmente  neces- sario di  tale  indirizzo;  ed  è  quella  perennis phUosophia 

del  Leibnitz  la  quale  non  è  fatta,  ma  si  fa,  e  sempre più  si  farà. Abbiam  detto  che  in  questa  terza  età  la  Ragione sommette  l'Autorità,  trionfa  dell' Autorità,  e  la  riduce ne'  suoi  giusti  confini.  Or  nell'  ordine  de'  fatti  che  cosa veggiamo?  Ci  è  dato  osservare  (noi  fortunati  1)  la  mede- sima legge.  Il  grande  spirito  nazionale  trionfa  di  Roma  ; riduce  a  ragione  l'Autorità;  la  fa  ragionevole.  E  questo gran  fatto  accade  anch'  egli  per  necessità  e  provvidenza storica:  rebus  ipsis  didantìbus.  Accade  senz'av vedercene; accade  senza  grandi  rumori;  accade  senza  grandi  stre- piti guerreschi  ;  accade  senza  i  temuti  fiumi  di  sangue. Evidentemente  il  pensiero  filosofico  italiano  è  provvi- denziale I  Egli  è  già  penetrato  nella  gloriosa  ma  altret- tanto ardua,  altrettanto  spinosa  e  travagliosissima  età umana! La  legge  de'  tre  periodi,  che  noi  abbiamo  a  fugge- volissimi tocchi  tratteggiato  ne'  suoi  caratteri  essen- ziali e  differenziali,  non  è,  al  solito,  una  legge  dia- lettica, non  è  legge  a  priori,  non  è  legge  sistematicaj non  è  legge  organica  nel  significato  che  vorrebbero darle  gli  HegeUani.  È  una  legge,  ripetiamolo,  essen- zialmente storica  e  psicologica:  e  la  necessità  a  cui 

ella  è  informata,  anziché  dialettica,  è  anch'essa  di natura  storica  e  psicologica.  Non  è  dunque  una  trico- tomia ideale,  dialettica,  logica  e  trascendentale  applicata alla  genesi  del  nostro  pensiero  filosofico;  ma  è  una  di- 

visione risultante  dal  fatto  stesso  della  storia,  e  qì  è confermata  dalla  genesi  deUe  funzioni  psicologiche. Interpretando  così  la  storia  della  filosofia  italiana, il  nostro  Binnovamento  speculativo  non  pur  si  presen- terà come  un'  esigenza  della  Ragion  teoretica,  ma  come un  profondo  bisogno  altresì  della  Ragione  storica,  I fini  perciò  a'  quali  potrà  e  dovrà  pervenire  lo  storico della  nostra  filosofia  saranno  questi: 1"  Egli  così  avrà  dato  forma  razionale  al  movi- mento filosofico  del  pensiero  italiano,  a  contare  dalle sue  proprie  origini  fino  ai  dì  nostri: 2**  Avrà  legittimato  la  Scolastica  e  la  Biflessione teologica^  facendole  servire  entrambe  allo  svolgimento isterico  del  nostro  pensiero  filosofico: 3*  Avrà  schivato  le  pretensioni  esclusive,  le  inter- pretazioni erronee,  infedeli  e  parziali  degli  storiografi hegeliani  che  altro  non  veggono,  sì  nella  nostra  come nella  universale  storia  della  filosofia,  fuorché  il  trionfo d'un  Aristotelismo  o  d'un  Platonismo  interpretati,  ri- maneggiatie  rimpastati  a  tutto  lor  comodo  e  favore: 4*  Potrà  giustificare  la  rinnovata  Filosofia  Positiva Italiana  correggendo  l'Arabismo  vecchio  e  nuovo,  correggendoil  vecchio  e  '1  nuovo  Positivismo,  legittimando la  vera  esigenza  platonica  e  la  vera  esigenza  aristote- lica,e  dimostrando  col  fatto  il  progresso  nel  corso  del nostro  pensiero  filosofico  mercè  il  trionfo  dell'indi- rizzo medio: 5*  Finalmente  potrà  porger  modo  alla  storia  po- litica, alla  storia  civile  e  alla  storia  letteraria  del  nostro paese  d' attingere  significato  razionale  e  razionalmente positivo,  elevandole  a  dignità  filosofica  legittima.  Fuori di  questi  principii  è  impresa  vana  pretendere  d' impri- mervalore  scientifico  alla  storia  del  popolo  italiano. INDICE   DEGLI   AUTORI GHB     DI     PBOPOSITO     0     PER     INCIDENTE TRATTANO  DELLE  DOTTRINE  DEL  VIOO (dal  1711  AL  1870).» Giornale  de*  Letterati  oT  Italia,   Osserrazioni  al  primo  libro  De  Antiqttig' eima  Italomm  Sapìentia,  T.  V,  art.  VI,  t.  VIII,  art.  X.  Venezia,  1711. G.  Clbbioo,  JBihl  anL  e  mod.  Voi.  XVIII,  p.  Il»,  art.  Vili,  1722. Concinna,  Originia  futidamenta  et  capiUi  prima  JurÌ9  Naturalie.   Pado- Ta,  1734. Damiano  Romano,  Difeta  storica  delle  Leggi  Oreche  venute  a  Roma  contro V  opinione  moderna  del  signor  Vico,  Napoli,  1 736. —  Quattordici  Lettere  evi  terno  principio  della  Scienza  Nuota  ec.  Napoli, 1749. Ganassoni,  Memoria  in  difesa  dd  principio  dd    Vico  tu  V  origine  delle XJI  Tatcle.  Opasc.  del  Galogerà. *RoOADEl,  Saggio  del  Diritto  pubblico  o  politico  del  Regno   di  Napoli, DdV  antico  Stato  de*  popoli  d*  Italia  Cistiberina.  Vedi  anche  Colan- OELO,  Biblioteca  analitica  ec. 1  Diamo  qui  tale  indice  tanto  in  servigio  e  compimento  della  storia  e  della critica  fatta  nel  primo  libro  sn  gli  scrittori  che  han  parlato  del  Vico,  quanto per  ehi  amasse  di  ripetere  i  medesimi  studi,  e  far  le  medesimo  ricerche  da  noi fatte.  Di  alcuni  di  questi  autori,  come  aTrertìmmo,  non  ahhiam  creduto  prezzo deir opera  far  cenno;  d'altri  poi  non  abbiam  potuto,  segnatamente  d* alcuni venuti  alla  luce  quando  la  prima  parte  del  nostro  layoro  era  già  in  eorso  di stampa,  come  per  esempio  del  Qalatio,  del  D§  luca,  del  Sarchi  (traduz.  del  Libro  ì Mstafisieo),  del  Laurent  e  di  qualcun  altro.  Tutti  gli  abbiam  letti  o  consultati 0  studiati  secondo  ohe  richiedeva  non  solo  il  proposito  di  questa  nostra  opera, ma  piti  ancora  quello  della  seconda  che  pubblicheremo  intorno  ai  Prineipii della  Sociologia.  Non  abbiam  potuto. leggere  gli  articoli  del  Wotf  e  dell' Or««t, la  Prefatiom  del  Wsbsr  alla  trad.  della  Sdenta  Nuovuy  ì  Fogli  $parsi  del  QOichet e  gli  scritti  di  C.  B.  MUller  e  del  Cauer  ;  ma  ne  abbiam  dato  giudizio  traendone notizia  da  fonti  sicure.  Disporremo  qnest'  indice,  quant'  ò  possibile,  secondo Vordine  cronologico,  affinchè  sia  fatto  più  chiaro  il  pensiero  a  cui  è  informata la  1*  Parte  del  presente  lavoro. G.  Laui,  Novelle  Letterarie,  Firenze,  1740.  Vedi  pure  nelle  note  al  Meursio. FlKETTi,  De  PrineipiU  Jurx$    Naturce   et   Oentiam   adver$tu   Bòbbeatum, Pu/endorjium,  Woljium  et  alio».  Venetiis,  Bettinellus,  1777. Sommario  delle  opposizioni  del  Sistema  Ferino  di  Vieo  alla  Sacra Scrittura.  —  La  faUità   dello  Stato  ferino:  Appendice  al  Diritto  di Natura  e  delle  OentU E.  DuNi,  Op.,  edi?.  completa  per  cura  del  Gennarellì.  Roma,  1845.  (Scienza del  Coetume.  —  Saggio  sulla  Giurisprudenza  Universale.  —  Origine  e progressi  del  Cittadino  di  Roma,  1763.) A.  BuoNAFEDR,  Istoria  critica  del  moderno  diritto  di  Natura  e  delle  Genti (stampato  la  prima  volta  nel  1766:  la  2«  ediz.  fu  fatta  a  Perugia in  sa  lo  scorcio  del  secolo  passato). I.  Stbllini,   Opera  omnia.  Padova,  1788  (specialmente  nell'Opera,  Do Ortu  et  Progressu  morum). M.  Delfico,  Ricerche  sul  vero  carattere  della  Giurisprudenza  Romana  • de*  suoi  euUori.  Napoli,  1791. M.  Pagano,  Op.  Capolago,  1887.  (I  Saggi  PoliHei  furon  pubblicati  in  Na- poli neir  ultimo  decennio  del  secolo  passato.) V.  Cuoco,  Platone  in  Italia.  Milano,  1804  (idem). G.  FiLAKGiBBl,  Scienza  della  Legislazione.  Firenze,  1865  (idem). V.  Monti,  Prolusione  agli  ttudii  ddV  Università  di  Pavia.  Milano,  1804. U.  Foscolo,  Discorso  deW  origine  e  deW  ufficio  della  letteratura,  1805. Vedi  nelle  Lezioni  d'Eloquenza,  ediz.  di  Napoli,  1838. WoLP,  nel  Museum  der  Alterthumwissenschafi.  Berlino,  1807. 6.  Orblli,  Vico  e  Niehuhr.  Museo  Svizzero,  1816. Anonimo,  DelV  antichissima  Sapienza  degli  Italiani,  versione  dal  latino. Milano,  Silvestri,  1816. C.  Iannblli,  Sulla  natura  e  necessità  della  Scienza  delle  cose  e  delle  Storie umane.  Napoli,  1817. Anonimo,  neìV  Indicatore  di  Gottinga.  1819. COLANOELO,  Saggio  di  alcune  considerazioni  suUa  Scienza  Nuova  del  Vico. Napoli,  1821. G.  RoifAGKOSi,  Osservazioni  sulla  Scienza  Nuova.  1821. G.  Weber,  traduzione  della  Scienza  Nuova.  Lipsia,  1822. G.  Db  Cbsarb,  Sommario  delle  dottrine  dd  Vico,  compilato  sulla  8"  ediz. della  Scienza  Nuova  fatta  dallo  stesso  Vico  nel  1744,  e  pubblicata nelPcdiz.  dello  stesso  libro  del  1826  in  Napoli. -S.  Gallotti,  Principii  «T  una  Scienza  Nuova  di  G.  B.  Vico,  prima  edizione pubblicata  dall'Autore  il  1725  riprodotta  e  annotata.  Napoli,  18*26. CHE   TBATTANO  DEL  VICO.  537 Michelet,  Prineìpca  de  la  PkiloBophic  de  VHUtoìre,  traduits  de  la  Scienza Nuova,    Paris,   1827;   ripubblicata   con   le   altre  opere  a  Bmzelles nel  1889. G.  Ricci,  néìV  Antoloffia  del  Vleussenx,  Firenze,  nei  fascicoli  N»  88,  92 del  1828  (stadio  critico  su  la  tradazione  fatta  dal  Michelet). lìivitta  Enciclopedica f  Fascicolo  d'aprile  1828  (art.  sa  la  tradazione  del Michelet). LBBXiinEB,  Initoduction  generale  à  VBittoire  du  Vroit.  Paris,  1829. 

Bietoire  de  la  Philotophie  du  Droit.  Bruxelles,  1830  (nel  Tom.  II). Ballanchb,  Opere.  Paris,  1830,  voi.  IH  e  IV. T.  JouFFBOY,  Mélangea  Philo$opMqu€$.  Bruxelles,  1831. V.  CousiK,  Oaurs  ec,  2«  serio,  tom.  II.  Paris,  1831. Introductxon  b.  VHieioire  de  la  Phil.f  Lea,  II, T.  Maviani,  Rinnovamento  della  Filonofia  antica  italiana,  Pari^,  188i. L.  T.  (LniQi  Tonti),  Saggio  aopra  la  Scienza  Xuova  di  0,  B,  Vico,  Lu- gano, 1835. '*'.  PREDABI,  Op.  del  Vico  con  traduzioni  e  commonti.  Milano,  Bravet- te,  1836. G.  Febbabi,  Op.  del  Vico  ordinate  ed  illustrate  coW  analisi  détta  MenU del  Vico  ec.  Milano,  Società  Tipografica,  1835-37. Édit.  compllte  dee  oeuvre*  de  Vico,  en  six  voi.  Paris,  1885-37. Vico  et  r Italie.  Paris,  1839. - —  Eeeai  sur  le  principe  et  le$  limites  de  la  Philoeophie  de  VBittoirt Paris,  Joubert,  1843. Vico  et  VItcdie  (nella  Recue  dee  Deux  ^fond€9,  1888), C.  Cattaneo,  Vico  e  V  Italia  (nel  Politeniico,  voi.  II). St.  MrLL,  Sifithne  de  Logique,  1»  ediz.  (nel  voi.  II). A.  RosviNT,  Il  Rinnovamento  della  Filosofia  in  Italia  propoeto  dal  Conte Terenzio  Mamiani  della  Rovere,  Milano,  1886.  (Vedi  pure  nella  Filo- •ofìa  del  Diritto,  voi.  II,  e  nella  Filosofia  politica.) G98CHEL,  Zerstreute  Bldtter,  nella  Rivista  Giuridico-filosofica.  Schlous- Singen,  1887. A.  Cosmc,  Lettera  al  Mill  (vedi  Littrì,  Auguste  Comte  et  la  Philosoplie Positive,  Paris,  1861). P.  loLA,  Studio  sul  Vico  e  sulla  filosofia  della  Storia,  letto  nell*  Accade-miafilosofica  di  Sassari,  Torino  nel  184!. T.  Maviani,  LrUere  intomo  alla  Filosofia  del  Diritto.  Napoli,  1841. 8.  Mancini,  Intorno  alla  Filosofia  del  Diritto,  Lett.  al  conte  Terenzio Mamiani.  Napoli,  1841. C.  Re.kouvieb,  Manuel  de  PhU,  moderne.  Paris.  1842. 538  INDICE  DEGLI  AUTORI V.  Gioberti,  IiUrocU  allo  studio  della  Filosofia.  Losanna,  1848. N.  ToMMAsio,  Stridii  critici,  Venezia,  1848. Studii  filosofici,  MDCCCXL,  Venezia,  voi.  II. BonCHEZ,  Jntrod,  à  la  Science  de  VHist,  Paris,  1844. Anonimo,  La  Seienoe  nouvélle  par  Vico,  trad.  par  Tautear  de  Tessa!  sur la  formation  da  Dogme  Catholiqae.  Paris,  1844. Della  Valle,  Saggi  exdìa  Scienza  della  storia,  ossia  Santo  della  Seiema Nuova  di  Q.  B.  Vico.  Napoli,  1844. G.  Eocoo,  Elogio  storico  di  0,  B,  Vico.  Napoli,  1844. G.  La  Farina,  Storia  (T  Italia,  narrata  al  popolo  italiano.  Firenze,  Poligrafia italiana,  1846,  yoI.  I,  Prefazione. S.  Centofakti,  Una  Fortixola  logica  della  filosofici  della  storia,  Pisa,  1845. N.  TomiASào,  Notizie  sulla  vita  e  suUe  opere  di  Vico.  Vedi  nell*  edizione della  Scienza  Nuova  fatta  a  Milano  dal  Silvestri  nel  1848. F.  CARyiGNANl,  jStona  deUe  origini  e  de*  progressi  della  Filosofia  del  Diritto, Lucca,  1851. S.  Mancini,  Intorno  alla  Nazionalità  come  fondamento  del  Diritto  delle Genti.  Torino,  1851. V.  D'Ondes  Begqio,  Introduzione  ai  principii  deUe  umane  società,  Geno- va, 1851. A.  Vannucci,  Storia  antica  d*  Italia,  Firenze,  1851  (voi.  I). C.  Marini,  Giambattista  Vico  al  cospetto  dd  secolo  XIX,  Napoli,  1852.C.  E.  MUller,  G,  B.   VicoOleine  ^c^/ten  Neuhrandehurg.  1854. F.  BouLLiKR,  Hlst.  de  la  Phil,  CartUienne,  Paris,  1864  (voi.  II). B.  Poli,  Manuale  della  Storia  della  Filosofia  del  Tenncmann,  voi.  IV, Milano,  1855. A.  De  Carlo,  Istituzione  filosofica  secondo  %  principii  di  G,  B,  Vico,  divisa in  quattro  volumi.  Napoli,  1855  (1<>  volarne). C.  Giani,  DeW  unico  principio  e  deW  unico  fine  dell*  universo  Diritto.  Oper.a di  G.  B.  Vico  tradotta  e  commentata  coir  aggiunte  di  appendici  relative alla  materia  dell*  opera  stessa.  Milano,  1855. — —  Della  eguàU  autorità  e  naturale  amicizia  di  tutte  le  scienze.  Milano, 1870. Caubr,  nel  Museo  tedesco,  1857. E.  Amari,  Critica  d*  una  Scienza  dille  Legislazioni  comparate,  Genova,  Tipografia de*  Sordo-Muti,  1857. V.  FoRNARi,  DéW Armonia  Universale,  1*  ediz.  Napoli;  2«  ediz.  Firenze, 1863. E.  Faonani,  Ddla  neeessità  e  ddT  uso  della  Divinanione  tettifieata  dalla Scienza  Nuova  di  G.  B.  Vico.  Alessandria,  MDCCCLVII,  2»  voi.  Ristampata nel  1861  a  Torino. CHE  TRATTANO  DEL  VIGO.  539 V.  GiOBKRTi,  Protoloffia,  Ediz.  del  Massari  (voi.  I,  Saggio  ITI), B.  ll&zzARELLA,  La  Critica  dtUa  Scienza.  Genova,  tipi  Lavagnino,  1860. B.  Spavrnta,  Carattere  e  «viluppo  della  JUoBoJia  itàliajut  d<tl  secolo  XVI tino  al  nottro  tempo,  Modena,  1860. Lenoni  di  Filosofia  nella  Univereità  di  Napoli.  Napoli,  1862. A.  Franchi,  Letture  eu  la  Storia  della  Filosofia  moderna.  Milano,  18C8. A.  Conti,  Storia  della  Filosofia.  Firenze,  Barbèra,  1864. B.  Lab  ANCA,  Del  Genio  di  0.  B.  Vico,  Chieti,  1865. T.  Ma  VI  ANI,  Confessioni  d*  un  metafisico.  Firenze,  1865. V.  GroRDANO-Zoocni,  Studi  sopra  Tominaso  Rossi.  Napoli,  1865. G.  Brrtini,  Sulle  prove  metafisiche  d*  una  realtà  sovrasensihile.  Negli  atti deir  Accademia  di  Torino,  Maggio  1866. -B.  Mazzarblla,  Ddla  Critica,  voi.  I,  Storia  della  Critica,  Genova,  1866-68. F.  Fiorentino,  Lett.  sovra  la  Scienza  Nuova,  alla  marchesa  Marianna Florenzi.  Firenze,  1866. C.  Sarohi,  tradazione  del  lib.  I  del  Diritto  Universale  di  G.  B.  Vico. Milano,  Agnelli,  1866.    . 

C.  Cantoni,  G.  B.  Vico,  stadi  crìtici  o  comparativi.  Torino,  1867. Ad.  Franck,  dae  articoli  sol  Diritto   Universale  del  Yico  (in  occasione della  tradaz.  del  Sarchi),  Journal  des  Savants.  1867r Pomodoro,  Trad.  delle  Op.  lat.  Napoli,  Stamperia  de* Classici  Latini,  1858. A.  Galasso,  Del  sistema  Hegeliano  e  sue  pratiche  conseguenze,  Napoli,  1867. —  Del  metodo  storico  di  G,  B.  Vico  (nella  Riv,  Bolognese,  Anno  TI, Fascicolo  VI,  giugno  e  luglio  1868.) B.  Fontana,  La  Filosofia  nella  Storia,  Discorso  intomo  a  Gian  Battista Vico.  Cremona,  1868. •A.  De  Carlo,  La  mente  d*  Italia  e  Giambattista  Vico,  Salerno,  1868. A.  Galasso,  Cinque  Orazioni  inedite  di  Gian  Battista  Vico^  pubblicate da  nn  Codice  MS.  della  Biblioteca  Nazionale,  con  un  Discorso  Preliminare su  la  Storia  intima  della  Scienza  Nuova;  Napoli,  1869. F.  Merletta,  Gian  Battista  Vico  e  la  Sapienza  antichissima  degV  Italiani. Siracusa,  1869. G.  Jaoobt,  Cantoni  Hher  Vico,  rivista  pel  giornale  La  Psicologia  de'po- poli.  Berlino,  1869. A.  Vera,  Introduzione  alla  Filosofia  della  Storia.  Firenze,  1869. •A.  LuOHiNl,  Critica  della  pena,  e  svolgimento  di  alcuni  principii  intomo al  Diritto  di  punire.  Firenze,  1869. H.  DeFbrron,  Théorie  du  ProgrU.  Paris,  1869  (nel  voi.  I). Vacherot,  Science  et  Consdence,  Paris,  1870. 540  INDICE  DEGLI  ÀUTOBI  CHE  TRATTANO  DEL  TIGO. F.  DeLuoa,  Saggio  ontologico  sulle  dottrine  delVAquinate  e  del  Vico.  Napoli, 1870. F.  Laurent,  Op.,  Études  sur  VHistoire  de  Vhumanité^  tom.  XVIII. Porìs,  1870. C.  Sarchi,  DelC  AiUica  Sapienza  degV  Italiani  riposta  nelle  Origini  ddla lingua  latina,  col  testo  a  fronte  e  Prefazione,  Milano,  1870. C.  Cantù,  nella  Storia  Universale,  e  nella  Storia  degV  Italiani, MlCHAUD,  Biographie  universdle,  lett.  V. PotfBA,  Enciclopedia,  lett,  V. Frane,  Bictionnaire  dea  Sciences  Phil,  (J.  B.  Vico). Bartholmess,  Dietionnaire  dee  Sciences  PkU.,  voi.  VI. A  Terenzio  Mamiani  della  Rovere Pag.  v Avvertenza vii Iktroduzione.  —  Positivismp,  Idealismo  aseoluto  e  Filo- sofìa Positiva  Italiana 1 STORIA  DELLA  SCIENZA  NUOVA e  critica  de'  critici,  dejl'  interpreti  e  degli  espositori delle  dottrine  del  Vico. Preambolo 33 Capitolo  I.  Periodo  degl'  imitatori  e  degli  oppositori  .    36 >  IL  Periodo  de'  critici  e  degli  eruditi 53 >  III.  Continua  il  periodo  de' critici  e  degli  eruditi.    81 »  ,    IV.  Periodo  degl*  interpreti  filosofi 95 »  V.  Continua  il  periodo  degV  interpreti  filosofi.  131 >  VI.  Conclusione.    (Conseguenze.    Forma   della mente,  e  carattere  delle  opere  del  Vico. Valore  della  nostra  critica.) 155 >  VII.  Vico,  Leibnitz  e  il  Cartesianismo 174 »    VIIL  Delle  due  moderne  filosofie,  Germanica  e Italiana i  .  188 INTERPRETAZIONE  DELLA  DOTTRINA  FILOSOFICA. Preambolo ' 210 Capitolo  I.  Dottrina  della  scienza  e  del  criterio  ....  216 »        IL  Del  criterio  e  del  metodo  nella  scienza  .  .  239 Òtà  INDICE  DELLE  MATERIE. Capìtolo  III.  Posizione  e  critica  del  Principio  specula- tivo   Pag.  250 »  IV.  n  Platonismo  e  V  AHstotelismo  nel  pro- blema psicologico 278 >  V.  Organismo  e  processo  psicologico.  {Fon- damento razionale  del  processo  {storico.)  311 »  VL  Genesi  e  teleologia  psicologica. 342 »  VII.  Del  conoscere  metafisico.  (Critica  de^  mo- derni Neoplatonici.) 365 >  Vin.  Continua  lo  stesso  argomento.   {Critica del  Neoaristotelismo  :  Positivismo  ed  He- gélianismo,) 388 »  IX.  Su  la  ricerca  dell* Assoluto  secondo  la  Ra- gion filosofica  positiva 415 »  X.  Del  Principio  metafisico 434 »  XL  Sul  moderno  concetto  della  Creazione  e della  Provvidenza 453 »         Xn.  Deir  attività  creativa  ne*  diversi  momenti del  Processo  cosmico 469 »       XnL  Darwinismo,  Scienza  Nuova  e  Sociologia.  492. »  XIV.  Conclusione  dell'  Opera,  e  idea  su  la  Sto- ria della  Filosofia  Italiana 514 Indice  degli  Autori  che  di  proposito  o  per  incidente trattano  delle  dottrine  del  Vico 535 ERRATA. Pag.  7,  T.  4.  operazione  immediata,  per  operazione  mediata,  —  Pag.  28, T.  9  e^non  potrebbe  non  rieecire,  per  e*  non  potrebbe  rietcire,  —  Pag.  57, T.  6.  quel  eerto  Jiloeofoy  per  certo,  quelfloeofo.  —  Pag.  98,  v.  12.  tuo*dirc, per  vo^  dire.  —  Pag.  113,  v.  18.  Crieto  quel  centro  maeeimo,  por  Cristo, qvidl  centro  massimo,  —  Pag.  203,  ?.  12.  jUosofia  fisiologica,  per  Jìlosofia etisologica,  —  Pag.  212,  T.  16.  assommano  la  ragione,  per  assommano  le ragioni,  — T&g.  221,  v.  29.  Firtz,  per  iVr««.  —  Pag.  222,  v.  13.  degVim-, ponderabili  suW  esistenza,  per  degV imponderabili  e  deW  esistenza.  —  Pag.  232, V.  89.  Sft^rji  vrr(xpx,tt  to,  per  fyi?:??  V7ra^;^«e  to'.  —  Pag.  288, 7.  7.  Sovsifiit,  per  juva/xee.  —  Pag.  288,  v.  9.  tovto,  per  toùto.  — Pag.247,v.84.x— Jiaviafjperxat  — Jtavoiat;.  — Pag.253,T.80,7rauTt, per  Travri.  —  Pag.  269,  t.  88.  affermazione  promessa,  per  affermazione promossa,  —  Pag.  280,  T.  37.  ù^iirpòi,  per  wc  irpò^.  —  Pag.  290, V.  19.  x**^'  auTvJv,  per  xar'  auTvjy.  —  Pag.  292.  t.  29.  Avto7s  tv, per  Auto  yt  to.  —  Pag.  292,  v.  40.  Sovo^iisi  Zwki'v  s^'^V^^'  ^®^ SvvdfjLii  ^w>7v  ?yovTOf.  —  Pag.  294,  v.3l.  rsOo^tov,  per  fAi9óptoy.  — Pag.  295,  T.  8.  tfivafjicf,  per  Svvafiig,  —  Pag.  297.  t.  4.  TdJ  ^9vzx 7tvgG'5a,  per  to'  nuvroc  yiviaOxAi.  —  Pag.  335,  v.  2S.  altro potrebb* es* sere,  per  altro  non  potrtbV  essere.  —  Pag.  845,  T.  80.  e  perciò  era  visione, per  e  perciò  visione.^  Pag.  351,  v.  20.  aXXov  «^eu/xaTOtiv,  per  aXXwv a?to/iaTwv.  —  Pag.  862,  v.  87.  tololtyi?,  per  Tuvxng.  —  Pag.  385, T.  2gL  Tra/DOff ta,  p«r  Tra^ou^ca.  —  Pag.  387,  v.  34.  che  le  fa  iìUendere, per  che  la  fa  intendere.  —  Pag.  408,  y.  18.  di  coglierne  concetto,  per di  coglierne  il  concetto.  —  Pag.  418,  t.  4.  es  egreift,  per  es  ergreift,  — Pag. 413,  V.  4.  dans  an  sich,  per  das  an  sich.  —  Pag.  417,  v.  35.  Jtvoljixffovt, per  ^vva/X8VG(.  — P&S*  489,  v.  41.  e  s^ avvilirebbe,  ^r  e* s* avvilirebbe. — Pag.  441,  V.  22.  ytuVe?,  per  f^J7t(.  —  Pag.  442.  v.25.  /*v?5>j,  per  iit$è.  — Pag.  444,  y.  4.  ^a£va-5ae,  por  yaevjo'^'at.  —  Pag.  444,  v.  87.  rxpoi^vy' |xaTa,  per  7ra^a?£t7fAaTa.  ^  Pag.  445,  y..20.  del  Dio  aristotelico,  con; per  del  Dio  aristotelico  che  con,  —  Pag.  468,  y.  40,  in  due  e  cantra- rie  sentenze  apposite,  per  in  due  apposite  e  contrarie  sentenze  —  Pag.  470, y.  29.  yjppxsi  ro,v^r  vnapxst  to. —Pag.  478,  y.  17.  to  (^trepov, per  TO  5«UTe/)0v.  --  Pag.  478,  y.  22.  to'  rra^Xo,  per  tÒ  oiWo,  —  Pag.  478, V.  83.  delV  atonicità,  per  déV atomicità,  —  Pag.  480,  y.  19.  creare  vuol non  dire,  per  creare  non  vuol  dire.  ^  Pag.  504,  y.  12.  ci  son  addate,  por ci  son  additate.  —  Pag.  520.  y.  15.  e  correggendo,  lui;  per  e  correggendo lui.  —  Pag.  528,  y.  4.  chi,  davvero,  ragion  teologica;  per  che,  davvero, la  ragion  teologica. 

Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psico-genia di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library.

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