Luigi Speranza --
Grice e Faccioli – il deutero-esperanto – da Harborne a Villa Franca – la
scuola di Villa Franca – il villa-francese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Venezia). Filosofo italiano. Venezia,
Veneto. Albani IL VENETO COME LINGUA
UNIVERSALE. Il sogno di una lingua universale, cioè di una lingua ausiliaria
parlata da tutti gl’uomini della terra, non è mai svanito. Periodicamente
ricompare, nelle forme più strane, vagheggiato spesso da paladini di utopie in
pensione o da linguisti della domenica. Alcuni anni fa questo sogno ha
attraversato la vita di F.. Di F. non sappiamo nulla, se non che, sotto il
cielo di Volpare, un sobborgo di Villafranca di Verona, elabora un progetto
di lingua universale basato sul dialetto
veneto, il «dialeto più simile al latin, più breve di esto e d’on’i lingua
sorela. – Grice: “I tried to construct my Deutero-Esperanto according to the
grammatical idiosyncrasies of the vernacular of my native Harborne, in
Staffordshire, to no avail! Not even my mother (who was from Warwickshire) could understand it!”
--. Secondo la “teoria scientifica della parola” di F. la
parola vera è quella che meglio ritrae l’armonia imitativa e il senso interno
delle cose e la lingua "milior" è quella più in armonia con le leggi
dell’arte e del pensiero. Una lingua non è un’invenzione arbitraria, ma una
creazione dello spirito umano che apprende con facilità quello che è vero
secondo la logica o la filosofia del linguaggio. La lingua universale
dev’essere la lingua più logicamente vera, la più adatta all’arte oratoria e
letteraria. Dev’essere semplice e viva, nata dalla lingua morta migliore, cioè
il latino di CICERONE (morto), e non del Papa! --, corretta secondo i princìpi
fondamentali dell’idioma naturale, abbellita, sostenuta dal pensiero forte
degli scrittori (vale dire, filosofi) abili. Il dialetto veneto - ben parlato,
pulito, ingentilito, senza doppie, con troncamento delle parole che rende
poetico, vivace e robusto un idioma, oltre che telegrafico per la soppressione
quasi completa dell’articolo - si presta perfettamente al compito di lingua
universale. Ed e anche operatico (La Fenice!). F. stampa una serie di
periodici, intitolati “Lingua de nazioni e la lingua universale,” per
propangandare l’italiano moderno, cioè il suo “italiano-veneto”. In un opuscolo
stampato idall’Editrice “Estremo Oriente” di Villafranca di Verona e conservato
nel Fondo Bruno Migliorini presso la Crusca a Firenze, F. annuncia «il più
grande avvenimento filosofico de’tutti i tempi dopo la distruzione di Babele –
che mai ha essistito --, ovvero la nascita della vera lingua universale, la cui
culla è il mio veneto, e propriamente il vernacolare di Villafranca dove si
parla il più musicale e semplice dialetto italiano. I fondamenti dell’Italiano
moderno sono tutti razionali. Quante unità di suono, tante unità di segno. Per solo suono, solo segno.A
suono eguale, segno eguale – cf. Grice on the annoyance of perceiving some
idiolect-ers pronouncing ‘suit’ when they mean ‘soot’ and vice versa (‘Studies
in the Way of Words’). L’alfabeto della lingua universale è costituito da
XXII lettere: a, be, che, de, e, fe, ge,
ce, i, le, me, ne, gne, o, pe, ghe, re,
se, te, u, ve, e ze Il suono,
sempre invariato, si ottiene semplicemente levando la “e” – tanto alto come e
possibile. F. sottolinea che il dialetto veneto non ha “alcun suono aspirato
come in Toscana e altrove, né la doppia”, ma solo suoni “chiari, precisi, ben
definiti -- inconfondibili”. È breve e armonioso come si deduce da questo
esempio. La frase “Sono andato al mercato e ò comperato un paio di buoi” assume la forma abbreviata – sincopatta --:
“Son andà al mercà e ò conprà un par de bo”. Il dialetto veneto di Villa-Franca
ha una grafia perfetta, degna di essere imitata. Troppe ascendenti o
discendenti, segni diacritici, o dis-armonici, come “j” – comune in siciliano
--, “k” – mai usato dai Romani --, “x” – stravaante per Cicerone --, ed “y”, --
deprecativamente chiamata la i reca -- deformano totalmente la grafia “ch’è
scienza e arte pedagogica a servizio della vita – della vita felice, se si
vuole”. F., come Grice, è molto sensibile all’estetica grafica perché essa si
risolve in igiene visiva (“And Faccioli had beautiful handwriting” – Grice). In
caso di omonimi l’italiano moderno adopera l’accento grave per la voce più
forte (fatto fato; fato fàto; mese meze; mezze mèze). Sono omesse la “i” atona
in "cia, cie, cio, ciu, gia, gie, gio, giu”. Società divenne ‘socetà’;
igiene ‘igene’) e la “i” e la “d” eufoniche; è naturale poi che non si scriva
la “g” di "gli" se muta – ‘figlio’ si scrive ‘filio’. Il dialetto veneto di Villa Franca non usa
“passato e tra-passato remoto, il più irregolare e difficile tempo dei verbi
italiani.” Questi due tempi si traducono col passato e trapassato prossimo, o con
una locuzione equivalente, così “nacque” è "nato" oppure “quando ebbe
ricordato” diventa "cuando aveva ricordato". La parte morfologica
-remmo del modo cosedetto condizionale è sostituita dal veneto -ésimo. Cosi,
‘saremmo’ e ‘avremmo’ si trasformano in ‘saresimo’ ed ‘avresimo’. Ancora. OGNI vocale
forma sillaba (questo: 1 cu- 2 e- 3 sto). L’accento circonflesso, non esistendo
nel Veneto vocale lunga, è abolito. Le pre-posizioni, articolate con “ll” e
“gli” conviene smembrarle: ‘dello’ s’analizza come ‘de + lo’; ‘degli’ come ‘de
+ li’. Per non dare luogo a errore o incertezza di pronuncia, nel vocabolario
della lingua universale portano l’accento tutte le sdrucciole e bisdrucciole e
le vocali “e” “o” – ma solo quando sono aperte. Le parole d’altre lingue si
pronunciano all’italiana e si scrivono come suonano, non coem i forestieri le
scrivono. ‘Bordeaux’ si pronuncia e scrive ‘Bordò’. ‘Shakespeare’ si pronuncia
e scrive ‘Sèspir.’ Nella lingua universale da lui inventata, F. scrive lettere
a suoi amici di Villa Franca ed altrove, poesie metrica e con rima, traduzioni
di passi biblici, incluso quale di Babele. Ecco un breve testo in Italiano
moderno. La vera lingua universale è la baze de la hiviltà. Le invenzioni e le
scoperte atuali non consentono più oltre la sciavitù de la parola. Le comunicasioni
fra nasione e nasione – o comune (come Villa Franca) e comune --, ogi ance
istantànee mediante la radio, riciedono una linqua comune, per non dovere
ignorare o aver bizogno di traduzioni. Frequentissima nel Veneto è la
terminazione in “l”, “n”, “r”, pregio che - fa notare F. - conferisce
musicalità ‘allo stile della Fenice’ -- e robustezza alla lingua, così da
renderla adatta alla migliore poesia – attamente messa a musica e cantata alla
Fenice. In conclusione F. dichiara che
il dialetto veneto, non come lo parla il popolo innorante, ovviamente, ma come
lo deve parlare un filosofo erudito come lui o Grice (professore di Oxford), vale
dire, lo scienziato della parola, nella sua chiara semplicità e vigorosa
bellezza, si presta “a essere tornito per farne uscire il capolavoro della lingua
universale”. Quest’ultima, una volta affermatasi come lingua LEGALMENTE e
obbligatoriamente UFFICIALE di tutte le nazioni del mondo civilizzato – o al
meno dell’unione europea, cioè fra 400-500 anni, diffonderà nel mondo dei filosofi
dotti – come vuoleva Platone – quella filosofia chi F. – seguendo Kant -- denomina
“universalismo” – cf. Kennan, “The Universality of Conversational Implicature”
--, dalla quale discenderà naturalmente il democratico governo universale
dell’avvenire. Perciò si raccomanda di conservare accuratamente tutti gli
“incunaboli” della vera lingua universale perché nei secoli lontani “saranno
ricercati come preziosi cimeli”. Al termine di questo documento storico”
dell’Italiano moderno F. annuncia che «nel luogo [vale dire, Villafranca],
donde è uscita la prima voce nella lingua universale, è costruita la SEDE o
capitale della lingua universale – e non una isola deserta, come vuoleva
Campanella. I nomi di coloro che, per la sua costruzione, liberamente donano da
1.000 a 10.000 Lire, sono tramandati alla storia a mezzo delle pubblicazioni
documentarie. Quelli che elargino somme maggiori, hanno inoltre l’onore del
marmo nel campidoglio della sede stessa, destinata certo a divenire “monumento
e ricordo presso le età future”». «il
Caffè illustrato», Lingue de nazioni e lingua universale. Angelo Faccioli. Faccioli.
Keywords: Deutero-Esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Faccioli”.
Faccioli.
Luigi Speranza --
Grice e Fadio: la ragione conversazionale a Roma antica – l’orto a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Garden. Friend of Cicerone. Marco Fabio Gallo. Marco
Fadio Gallo. Fadio.
Luigi Speranza -- Grice e Faggin: la ragione
conversazionale dei bei -- metrica filosofica – inno orfico – scuola di Vicenza
– filosofia vicentina – filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Isola Vicentina). Filosofo italiano. Isola
Vicentina, Vicenza, Veneto. Grice: “I like Faggin: he is obsessed with love; he
translated Fedro, he selected some passages from the Roman philosopher Plotino
and titled it, implicaturally “Dal bello al divino,” but surely for Plotino,
via hypernegation, the divine IS beautiful – and finally, being an Italian, he
became interested in “Dutch Protestantism” – “il Pellegrino cherubico”!” Si laurea a Padova sotto Troilo. Insegna a Padova, Bassano
del Grappa, Campobasso, Vicenza.
Studioso del platonismo, della tradizione mistica e dell'occultismo,
commenta le Enneadi di Plotino. Altri suoi lavori riguardano Eckhart e la
mistica medioevale, Schopenhauer, la stregoneria e l'occultismo
rinascimentale. Altre opere: “Van Gogh,
Padova, MILANI); Plotino, Milano, Garzanti); “Eckhart e la mistica” Bocca,
Milano); “Schopenhauer: il mistico senza Dio, Firenze, La nuova Italia); “Le
streghe: trentatré incisioni dell'epoca, Milano, Longanesi et C.); “Gli
occultisti dell'età rinascimentale, Milano, Marzorati); “Storia della
filosofia: ad uso dei licei classici, Milano, Principato); “Dal Rinascimento a
Immanuel Kant, Milano, Principato); “La filosofia antica” (Milano, Principato);
“Diabolicità del rospo” (Vicenza, Neri Pozza); “Dal Romanticismo alla scuola di
Francoforte, Milano, Principato); “Enneadi” Milano, Istituto Editoriale),
“Sulla libertà del volere”; “Sul fondamento della morale” (Torino,
Boringhieri); Eckhart, Trattati e prediche, Milano, Rusconi); Inni orfici,
Giuseppe Faggin, Roma, Āśram Vidyā). Platone Fedro Edizione Acrobat
a cura di Patrizio Sanasi (patsa@tin.it) Platone Fedro
SOCRATE: Caro Fedro, dove vai e da dove vieni? Platone FEDRO FEDRO: Dalla casa
di Lisia, Socrate, il figlio di Cefalo, (1) e vado a fare una passeggiata fuori
dalle mura. Ho passato parecchio tempo là seduto, fin dal mattino; e ora,
seguendo il consiglio di Acumeno,(2) compagno mio e tuo, faccio delle
passeggiate per le strade, poiché, a quanto dice, tolgono la stanchezza più di
quelle sotto i portici. SOCRATE: E dice bene, amico mio. Dunque Lisia era in
città, a quanto pare. FEDRO: Sì, alloggia da Epicrate, nella casa di Monco,
quella vicino al tempio di Zeus Olimpio. SOCRATE: E come avete trascorso il
tempo? Lisia non vi ha forse imbandito, è chiaro, i suoi discorsi? FEDRO: Lo
saprai, se hai tempo di ascoltarmi mentre cammino. SOCRATE: Ma come? Credi che
io, per dirla con Pindaro, non faccia del sentire come avete trascorso il tempo
tu e Lisia una faccenda «superiore a ogni negozio? FEDRO: Muoviti, allora!
SOCRATE: Se vuoi parlare. FEDRO: Senza dubbio, Socrate, l'ascolto ti si addice,
poiché il discorso su cui ci siamo intrattenuti era, non so in che modo,
sull'amore. Lisia ha scritto di un bel giovane che viene tentato, ma non da un
amante, e ha comunque trattato anche questo argomento in modo davvero elegante:
sostiene infatti che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama.
SOCRATE: E bravo! Avesse scritto che bisogna compiacere un povero piuttosto che
un ricco, un vecchio piuttosto che un giovane, e tutte quelle cose che vanno
bene a me e alla maggior parte di voi! Allora sì che i suoi discorsi sarebbero
urbani e utili al popolo! Io ora ho tanto desiderio di ascoltare, che se
facessi a piedi la tua passeggiata fino a Megara e, seguendo Erodico, arrivato
alle mura tornassi di nuovo, non rimarrei dietro a te. FEDRO: Cosa dici, ottimo
Socrate? Credi che io, da profano quale sono, ricorderò in modo degno di lui
quello che Lisia, il più bravo a scrivere dei nostri contemporanei, ha composto
in molto tempo e a suo agio? Ne sono ben lungi! Eppure vorrei avere questo più
che molto oro. SOCRATE: Fedro, se io non conosco Fedro, mi sono scordato anche
di me stesso! Ma non è vera né l'una né l'altra cosa: so bene che lui,
ascoltando un discorso di Lisia, non l'ha ascoltato una volta sola, ma
ritornandovi più volte sopra lo ha pregato di ripeterlo, e quello si è lasciato
convincere volentieri. Poi però neppure questo gli è bastato, ma alla fine,
ricevuto il libro, ha esaminato i passi che più di tutti bramava; e poiché ha
fatto questo standosene seduto fin dal mattino, si è stancato ed è andato a
fare una passeggiata, conoscendo, corpo d'un cane!, il discorso ormai a
memoria, credo, a meno che non fosse troppo lungo. E così si è avviato fuori
dalle mura per recitarlo. Imbattutosi poi in uno che ha la malattia di
ascoltare discorsi, lo ha visto, e nel vederlo si è rallegrato di avere chi
potesse coribanteggiare con lui e lo ha invitato ad accompagnarlo. Ma quando
l'amante dei discorsi lo ha pregato di declamarlo, si è schermito come se non
desiderasse parlare: ma alla fine avrebbe parlato anche a viva forza, se non lo
si fosse ascoltato volentieri. Tu dunque, Fedro, pregalo di fare adesso quello
che comunque farà molto presto. FEDRO: Per me, veramente, la cosa di gran lunga
migliore è parlare così come sono capace, poiché mi sembra che non mi lascerai
assolutamente andare prima che abbia parlato, in qualunque modo. SOCRATE: Ti
sembra davvero bene. FEDRO: Allora farò così . In realtà, Socrate, non l'ho
proprio imparato tutto parola per parola: ti esporrò tuttavia il concetto più o
meno di tutti gli argomenti con i quali lui ha sostenuto che la condizione di
chi ama differisce da quella di chi non ama, uno per uno e per sommi capi,
cominciando dal primo. SOCRATE: Prima però, carissì mo, mostrami che cos'hai
nella sinistra sotto il mantello; ho l'impressione che tu abbia proprio il
discorso. Se è così, tieni presente che io ti voglio molto bene, ma se c'è
anche Lisia non ho assolutamente intenzione di offrirmi alle tue esercitazioni
retoriche. Via, mostramelo! FEDRO: Smettila! Mi hai tolto, Socrate, la speranza
che riponevo in te di esercitarmi. Ma dove vuoi che ci sediamo a leggere?
SOCRATE: Giriamo di qui e andiamo lungo l'Ilisso, poi ci sederemo dove ci
sembrerà un posto tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a essere scalzo al
momento giusto; tu infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi facilissimo
camminare bagnandoci i piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto più in questa
stagione e a quest'ora. SOCRATE: Fa' da guida dunque, e intanto guarda dove ci
potremo sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano? SOCRATE: E allora? FEDRO:
Là c'è ombra, una brezza moderata ed erba su cui sederci o anche sdraiarci, se
vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO: Dimmi, Socrate: non è proprio
da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a quanto si dice Borea ha rapito
Orizia? SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio da qui dunque? Le acque appaiono
davvero dolci, pure e limpide, adatte alle fanciulle per giocarvi vicino.
SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù, dove si attraversa il fiume per
andare al tempio di Agra: appunto là c'è un altare di Borea. 2 Platone
Fedro FEDRO: Non ci ho mai fatto caso. Ma dimmi, per Zeus: tu, Socrate,
sei convinto che questo racconto sia vero? SOCRATE: Ma se non ci credessi, come
fanno i sapienti, non sarei una persona strana; e allora, facendo il sapiente,
potrei dire che un soffio di Borea la spinse giù dalle rupi vicine mentre
giocava con Farmacea, ed essendo morta così si è sparsa la voce che è stata
rapita da Borea (oppure dall'Areopago, poiché c'è anche questa leggenda, che fu
rapita da là e non da qui). Io però, Fedro, considero queste spiegazioni sì
ingegnose, ma proprie di un uomo fin troppo valente e impegnato, e non del
tutto fortunato, se non altro perché dopo questo gli è giocoforza raddrizzare
la forma degli Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi gli si riversa addosso
una folla di tali Gorgoni e Pegasi e un gran numero di altri esseri
straordinari dalla natura strana e portentosa. E se uno, non credendoci, vorrà
ridurre ciascuno di questi esseri al verosimile, dato che fa uso di una
sapienza rozza, avrà bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho proprio tempo
per queste cose; e il motivo, caro amico, è il seguente. Non sono ancora in
grado, secondo l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso; quindi mi sembra
ridicolo esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro ancora questo.
Perciò mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto comunemente si
crede riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non queste cose ma me
stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più intricata e che getta
fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più semplice, partecipe per
natura di una sorte divina e priva di vanità fumosa.Ma cambiando discorso,
amico, non era forse questo l'albero a cui volevi guidarci? FEDRO: Proprio
questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per sostare! Questo platano è molto
frondoso e imponente, l'alto agnocasto è bellissimo con la sua ombra, ed
essendo nel pieno della fioritura rende il luogo assai profumato. Sotto il
platano poi scorre la graziosissima fonte di acqua molto fresca, come si può
sentire col piede. Dalle immagini di fanciulle e dalle statue sembra essere un
luogo sacro ad alcune Ninfe e ad Acheloo. E se vuoi ancora, com'è amabile e
molto dolce il venticello del luogo! Una melodiosa eco estiva risponde al coro
delle cicale. Ma la cosa più leggiadra di tutte è l'erba, poiché, disposta in
dolce declivio, sembra fatta apposta per distendersi e appoggiarvi
perfettamente la testa. Insomma, hai fatto da guida a un forestiero in modo
eccellente, caro Fedro! FEDRO: Mirabile amico, sembri una persona davvero
strana: assomigli proprio, come dici, a un forestiero condotto da una guida e
non a un abitante del luogo. Non lasci la città per recarti oltre confine, e mi
sembra che tu non esca affatto dalle mura. SOCRATE: Perdonami, carissimo. Io
sono uno che ama imparare; la terra e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla,
gli uomini in città invece sì . Mi sembra però che tu abbia trovato la medicina
per farmi uscire. Come infatti quelli che conducono gli animali affamati agitano
davanti a loro un ramoscello verde o qualche frutto, così tu, tendendomi
davanti al viso discorsi scritti sui libri, sembra che mi porterai in giro per
tutta l'Attica e in qualsiasi altro luogo vorrai. Ma per ì l momento, ora che
sono giunto qui io intendo sdraiarmi, tu scegli la posizione in cui pensi di
poter leggere più comodamente e leggi. FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a
conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che
queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo
perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici
che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione, mentre per gli altri non
viene mai un tempo in cui conviene cambiare parere. Infatti fanno benefici
secondo le loro possibilità non per costrizione, ma spontaneamente, per
provvedere nel migliore dei modi alle proprie cose. Inoltre coloro che amano
considerano sia ciò che è andato loro male a causa dell'amore, sia i benefici
che hanno fatto, e aggiungendo a questo l'affanno che provavano pensano di aver
reso già da tempo la degna ricompensa ai loro amati. Invece coloro che non
amano non possono addurre come scusa la scarsa cura delle proprie cose per
questo motivo, né mettere in conto gli affanni trascorsi, né incolpare gli
amati delle discordie con i familiari; sicché, tolti di mezzo tanti mali, non
resta loro altro se non fare con premura ciò che pensano sarà loro gradito
quando l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di tenere in grande considerazione
gli amanti perché dicono di essere amici al sommo grado di coloro che amano e
sono pronti sia a parole sia coi fatti a rendersi odiosi agli altri pur di
compiacere gli amati, è facile comprendere che, se dicono il vero, terranno in
maggior conto quelli di cui si innamoreranno in seguito, ed è chiaro che, se
parrà loro il caso, ai primi faranno persino del male. D'altronde come può
essere conveniente concedere una cosa del genere a chi ha una disgrazia tale
che nessuno, per quanto esperto, potrebbe tentare di allontanare? Essi stessi,
infatti, ammettono di essere malati più che assennati, e di sapere che
sragionano, ma non sanno dominarsi; di conseguenza, una volta tornati in senno,
come potranno credere che vada bene ciò di cui decidono in questa disposizione
d'animo? E ancora, se scegliessi il migliore degli amanti, la tua scelta
sarebbe tra pochi, se invece scegliessi quello più adatto a te tra gli altri,
sarebbe tra molti; perciò c'è molta più speranza che quello degno della tua
amicizia si trovi tra i molti. Se poi, secondo l'usanza corrente, temi di
guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo venga a sapere, è naturale che gli
amanti, credendo di essere invidiati dagli altri così come si invidiano tra
loro, si inorgogliscano parlandone e per ambizione mostrino a tutti che non
hanno faticato invano; mentre coloro che non amano, essendo più padroni di sé,
scelgono ciò che è meglio in luogo della fama presso gli uomini. Inoltre è
inevitabile che molti vengano a sapere o vedano gli amanti accompagnare i loro
amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando li vedono discorrere tra loro
credono che essi stiano insieme o perché il loro desiderio si è realizzato o
perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto ad accusare coloro che non
amano perché stanno assieme, sapendo che è necessario parlare con qualcuno per
amicizia o per qualche altro piacere. E se poi hai paura perché credi sia
difficile che un'amicizia perduri, e temi che se sorgesse un dissidio per un
altro motivo la sventura sarebbe comune ad entrambi, mentre in questo caso
verrebbe un gran danno a te, perché hai gettato via ciò che più di tutto tieni
in conto, a maggior ragione dovresti temere coloro che 3 Platone
Fedro amano: molte sono le cose che li affliggono, e credono che tutto
accada a loro danno. Per questo allontanano gli amati anche dalla compagnia con
gli altri, per timore che quelli provvisti di sostanze li superino in
ricchezza, e quelli forniti dì cultura li vincano in intelligenza; in somma,
stanno in guardia contro il potere di tutti quelli che possiedono un qualsiasi
altro bene. Così, dopo averti indotto a inimicarti queste persone, ti riducono
privo di amici, e se badando al tuo interesse sarai più assennato di loro,
verrai in discordia con essi. Chi invece non si è trovato a essere nella
condizione di amante, ma ha ottenuto grazie alle sue doti ciò che chiedeva, non
sarebbe geloso di chi si accompagna a te, anzi odierebbe coloro che rifiutano
la tua compagnia, pensando che da costoro sei disprezzato, ma trai beneficio da
chi sta assieme a te. Perciò c'è molta più speranza che dalla cosa nasca tra
loro amicizia piuttosto che inimicizia. Per di più molti degli amanti hanno
desiderio del corpo prima di aver conosciuto il carattere e aver avuto
esperienza delle altre qualità individue dell'amato, così che non è loro chiaro
se vorranno ancora essere amici quando la loro passione sarà finita; per quanto
riguarda invece coloro che non amano, dal momento che erano tra loro amici
anche prima di fare questo, non è verosimile che la loro amicizia risulti
sminuita dal bene che hanno ricevuto, anzi esso rimane come ricordo di ciò che
sarà in futuro. Inoltre ti si addice diventare migliore dando retta a me
piuttosto che a un amante. Essi lodano le parole e le azioni dell'amato anche
al di là di quanto è bene, da un lato per timore di diventare odiosi,
dall'altro perché essi stessi danno giudizi meno retti per via del loro
desiderio. Infatti l'amore produce tali effetti: a coloro che non hanno fortuna
fa ritenere molesto ciò che agli altri non arreca dolore, mentre spinge coloro
che hanno fortuna a elogiare anche ciò che non è degno di piacere, tanto che
agli amati si addice più la compassione che l'invidia. Se dai retta a me,
innanzitutto starò assieme a te prendendomi cura non solo del piacere presente,
ma anche dell'utilità futura, non vinto dall'amore ma padrone di me stesso,
senza suscitare una violenta inimicizia per futili motivi, ma irritandomi poco
e non all'improvviso per motivi gravi, perdonando le colpe involontarie e
cercando di distogliere da quelle volontarie: queste sono prove di un'amicizia
che durerà a lungo. Se invece ti sei messo in mente che non possa esistere
amicizia salda se non si ama, conviene pensare che non potremmo tenere in gran
conto né i figli né i genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici
fidati, poiché i vincoli con essi ci sono venuti non da una tale passione, ma
da altri rapporti. Inoltre, se si deve compiacere più di tutti chi ne ha
bisogno, anche nelle altre cì rcostanze conviene fare benefici non ai migliori,
ma ai più indigenti, poiché, liberati da grandissimi mali, serberanno la
massima gratitudine ai loro benefattori. E allora anche nelle feste private è
il caso di invitare non gli amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di
essere sfamato, poiché costoro ameranno i loro benefattori, li seguiranno,
verranno alla loro porta, proveranno grandissima gioia, serberanno non poca
gratitudine e augureranno loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi
è molto bisognoso, ma chi soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo
chi chiede, ma chi è degno della cosa; non quanti godranno del fiore della tua
giovinezza, ma coloro che anche quando sarai diventato vecchio ti faranno
partecipe dei loro beni; non coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne
vanteranno con gli altri, ma coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non
coloro che hanno cura di te per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo
stesso modo per tutta la vita; non coloro che, cessato il desiderio,
cercheranno il pretesto per un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della
loro virtù quando la tua bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto
ti ho detto e considera questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono
convinti che questa pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai
rimproverato a coloro che non amano di provvedere male ai propri affari per
questo motivo. Forse ora mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli
che non amano. Ebbene, io credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo
atteggiamento con tutti quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la
cosa è degna di un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe
possibile tenerlo nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da
ciò non venga alcun danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è
stato detto sia sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia
stata tralasciata, interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non
è stato pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei
vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono
rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro,
guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo
leggevi. E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo,
e nel seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! FEDRO: Ma
dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io scherzi e
che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma dimmi
veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra i
Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso
di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te
anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che
bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro,
forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal
momento che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente
soltanto all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che
neppure Lisia lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia
un'opinione diversa, mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi
concetti, come se non avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose
sullo stesso argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi
sembrava pieno di baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le
stesse cose prima in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i
casi nella maniera migliore. Platone Fedro FEDRO: Ti sbagli, Socrate:
precisamente in questo consiste il discorso. Infatti non ha tralasciato nulla
di ciò che meritava d'esser detto in argomento, tanto che nessuno mai saprebbe
dire cose diverse e di maggior pregio rispetto a quelle dette. SOCRATE: In
questo non potrò più darti retta: uomini e donne antichi e sapienti, che hanno
parlato e scritto di queste cose, mi confuteranno, se per farti piacere
convengo con te. FEDRO: Chi sono costoro? E dove hai ascoltato cose migliori di
queste? SOCRATE: Ora, lì per lì, non so dirlo; ma è chiaro che le ho udite da
qualcuno, dalla bella Saffo o dal saggio Anacreonte o da qualche scrittore in
prosa. Da cosa lo arguisco per affermare ciò? In qualche modo, divino
fanciullo, sento di avere il petto pieno e di poter dire cose diverse dalle
sue, e non peggiori. So bene che non ho concepito da me niente di tutto ciò,
dato che riconosco la mia ignoranza; allora resta, credo, che da qualche altra
fonte io sia stato riempito attraverso l'ascolto come un vaso. Ma per indolenza
ho scordato proprio questo, come e da chi le ho udite. FEDRO: Ma hai detto cose
bellissime, nobile amico! Neanche se te lo ordino devi riferirmi da chi e come
le hai udite, ma metti in atto esattamente il tuo proposito. Hai promesso di
dire cose diverse, in maniera migliore e non meno diffusa rispetto a quelle
contenute nel libro, astenendoti da queste ultime; quanto a me, io ti prometto
che come i nove arconti innalzerò a Delfi una statua d'oro a grandezza
naturale, non solo mia ma anche tua. SOCRATE: Sei carissimo e veramente d'oro,
Fedro, se pensi che io affermi che Lisia ha sbagliato tutto e che è possibile
dire cose diverse da tutte queste; ciò, credo, non potrebbe capitare neanche
allo scrittore più scarso. Tanto per incominciare, riguardo all'argomento del
discorso, chi credi che, sostenendo che bisogna compiacere coloro che non amano
piuttosto che coloro che amano, abbia ancora altro da dire quando abbia
tralasciato di lodare l'assennatezza degli uni e biasimare la dissennatezza
degli altri, il che appunto è necessario? Ma credo che si debbano concedere e
perdonare simili argomenti a chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non
l'invenzione, ma la disposizione, mentre degli argomenti non necessari e
difficili da trovare è da lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione.
FEDRO: Concordo con ciò che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto
farò anch'io così: ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più
ammalato di chi non ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in
maggior quantità e di maggior pregio di queste, ergiti pure come statua
lavorata a martello a Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! SOCRATE:
L'hai presa sul serio, Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo
amato, e credi che io proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più
vario a confronto dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai
dato l'occasione per un'uguale presa. Ora tu devi parlare assolutamente, così
come sei capace, in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da
commedianti che si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar
fuori quella frase: «Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato
anche di me stesso», o quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma
tieni bene in mente che non ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò
che sostenevi di avere nel petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io
sono più forte e più giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti dico»,
e vedi di non parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE: Ma beato
Fedro, mi coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi argomenti,
da profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO: Sai com'è
la questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di avere una
cosa che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora non dirmela!
FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un giuramento. Ti
giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano qui? Ebbene, ti
giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a questo platano,
non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di nessuno.
SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere un uomo
amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai tanti
giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo
giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla!
SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo
essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile
e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO:
Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla
voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così chiamate
dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me il
racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo
compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di
più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui
molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato
meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno,
saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere
chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto,
fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto:
bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai
più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna cosa. Perciò, nella
convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio della ricerca e
proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si accordano né con
se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò che rimproveriamo
agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se si debba entrare
in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama, stabiliamo di comune
accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza abbia; poi, tenendo
presente questa definizione e facendovi riferimento, esaminiamo se esso apporta
un vantaggio o un danno. Che l'amore sia appunto un desiderio, è chiaro a
tutti; che inoltre anche chi non ama desideri le cose belle, lo sappiamo. Da
che cosa allora distingueremo chi ama e chi non ama? Occorre poi tenere
presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi che ci governano e ci
guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno, innato, è il desiderio
dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira al sommo bene. Talvolta
questi due princì pi dentro di noi si trovano d'accordo, talvolta invece sono
in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta l'altro. Pertanto, quando
l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e prevale, la sua vittoria
ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio trascina fuori di ragione
verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene chiamato dissolutezza. La
dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di molte membra e molte parti;
e quella che tra queste forme si distingue conferisce a chi la possiede il
soprannome derivato da essa, che non è né bello né meritevole da acquistarsi.
Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla ragione del bene migliore e
sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà sì che chi lo possiede venga
chiamato con lo stesso nome; quello che tiranneggia nell'ubriachezza e conduce
in tale stato chi lo possiede, è chiaro quale epiteto gli toccherà; così, anche
per gli altri nomi fratelli di questi che designano desideri fratelli, a
seconda di quello che via via signoreggia, è ben evidente come conviene
chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato fatto tutto il discorso
precedente ormai è pressoché manifesto, ma è assolutamente più chiaro una volta
detto che se non viene detto; ebbene, il desiderio irrazionale che ha il
sopravvento sull'opinione incline a ciò che è retto, una volta che, tratto
verso il piacere della bellezza e corroborato vigorosamente dai desideri a esso
congiunti della bellezza fisica, ha prevalso nel suo trasporto prendendo nome
dal suo stesso vigore, è chiamato eros. Ma caro Fedro, non sembra anche a te,
come a me, che mi trovi in uno stato divino? FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha
preso una certa facilità di parola, contrariamente al solito! SOCRATE:
Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo sembra veramente divino, percio non
meravigliarti se nel prosieguo del discorso sarò spesso invasato dalle Ninfe:
le parole che proferisco adesso non sono lontane dai ditirambi. FEDRO: Dici
cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la causa. Ma ascolta il resto, poiché
forse quello che mi viene alla mente potrebbe andarsene via. A questo
provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare col nostro discorso al
fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui bisogna prendere decisioni,
è stato detto e definito; ora, tenendo presente questo, dobbiamo dire
il resto, ossia quale vantaggio o quale danno presumibilmente verrà da uno
che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi favori. Per chi è soggetto al
desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile rendere l'amato il più
possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò che non oppone resistenza
è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari a lui è odioso. Così un
amante non sopporterà di buon grado un amato superiore o pari a lui, ma vuole
sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è l'ignorante rispetto al
saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa parlare rispetto a chi ha
abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi è d'ingegno acuto. è
inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci sono per natura tanti
difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri altri, piuttosto che
essere privato del piacere del momento. Ed è altresì inevitabile che sia geloso
e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da molte altre compagnie
vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo, danno che diventa
grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie alla quale
diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina filosofia, da cui
inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di essere disprezzato,
così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in modo che sia ignorante
di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa condizione l'amato sarebbe
fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo danno per se stesso.
Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova amore non è in
nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve considerare la costituzione
del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne diventerà padrone, dato che si
trova costretto a inseguire il piacere anziché il bene. Lo si vedrà seguire una
persona molle e non vigorosa, non cresciuta alla pura luce del sole ma nella
fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di secchi sudori, esperta invece di
una vita delicata ed effeminata, ornata di colori e abbellimenti altrui per
mancanza dei propri, intenta a tutte quelle attività conseguenti a ciò, che
sono evidenti e non meritano ulteriori discussioni. Ma stabiliamo un punto
essenziale, e poi passiamo ad altro: per un corpo del genere, in guerra come in
tutte le altre occupazioni importanti, i nemici prendono coraggio, gli amici e
gli stessi amanti provano timore. Perciò questo punto è da lasciar perdere,
dato che è evidente, e bisogna passare invece a quello successivo, cioè quale
vantaggio o quale danno arrecherà ai nostri beni la compagnia e la protezione
di chi ama. è chiaro a chiunque, ma soprattutto all'amante, che egli si augurerebbe
più d'ogni altra cosa che l'amato fosse orbo dei beni più cari, più preziosi e
più divini; accetterebbe che rimanesse privo di padre, madre, parenti e amici,
ritenendoli causa d'impedimento e biasimo della dolcissima compagnia che ha con
lui. E se possiede sostanze in oro o altri beni, egli penserà che non sia
facile da conquistare né, una volta conquistato, trattabile; ne consegue
inevitabilmente che l'amante provi gelosia se l'oggetto del suo amore possiede
delle sostanze, e gioisca se le perde. Inoltre l'amante si augurerà che l'amato
sia senza moglie, senza figli e senza casa il più a lungo possibile, poiché
brama di cogliere il più a lungo possibile il frutto della sua dolcezza. Ci
sono altri mali ancora, ma un dio ha mescolato alla maggior parte di essi un
piacere momentaneo; per esempio all'adulatore, bestia terribile e fonte di
grande danno, la natura ha comunque mescolato un piacere non privo di gusto. E
così qualcuno può biasimare come rovinosa un'etera o molte altre creature e
attività del genere, che almeno per un giorno possono essere occasione di
grandissimo piacere; ma per l'amato la compagnia quotidiana dell'amante, oltre
al danno che arreca, è la cosa di tutte più spiacevole. Infatti, come recita
l'antico proverbio, il coetaneo si diletta del coetaneo (credo infatti che
l'avere gli stessi anni conduca agli stessi piaceri e procuri amicizia in virtù
della somiglianza); tuttavia anche il loro stare insieme genera sazietà.
Inoltre si dice che la costrizione è pesante per chiunque in qualsiasi circostanza:
ed è proprio questo il rapporto che, oltre alla differenza d'età, l'amante ha
con il suo amato. Infatti, quando uno più vecchio sta assieme a uno più
giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né di notte, ma è tormentato da
una necessità e da un pungolo che lo conduce a destra e a manca procurandogli
di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare l'amato e a provare tutto ciò
che lui prova, sì da mettersi strettamente e con piacere al suo servizio. Ma
quale conforto o quali piaceri darà all'amato per evitare che questi, stando
con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al colmo del disgusto? Quando
quello vedrà un volto invecchiato e non più in fiore, con tutte le conseguenze
già spiacevoli da udire a parole, per non parlare poi se ci si trova nella
necessità di avere a che fare con esse; quando dovrà guardarsi in ogni momento
e con tutti da custodi sospettosi e sentirà elogi inopportuni ed esagerati,
come anche insulti già insopportabili se l'amante è sobrio, vergognosi oltre
ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a una libertà di linguaggio
stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e dannoso e spiacevole, una
volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il tempo a venire, in
prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte promesse condite di
infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza di beni futuri, a
mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E allora, quando bisogna
pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato padrone e signore, e
assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e follia, è divenuto un
altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi, ricordandosi di quanto
era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con la stessa persona,
chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello per la vergogna
non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come mantenere i
giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria precedente, dato
che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non ridiventare simile
a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di prima, facendo le
stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante di prima ora è di
necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato e si dà alla
fuga. L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le imprecazioni, poiché
non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non avrebbe mai dovuto
compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben più chi non ama ed è
assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una persona infida,
difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le proprie ricchezze,
dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più assoluto per
l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai ci sarà cosa
di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto, ragazzo, bisogna
intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante non nasce assieme
alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi; come i lupi amano gli
agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo è quanto, Fedro. Non
mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il discorso. FEDRO: Eppure
io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso uguali parole per chi non
ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e indicando quanti beni ne
derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non ti sei accorto, beato,
che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi, proprio mentre muovo
questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa credi che farò? Non lo
sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle quali tu mi hai gettato
deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico che quanti sono i mali
che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad essi opposti, che si
trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo discorso? Di entrambi si è
detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che gli spetta; e io,
attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di essere costretto da te
a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate, non prima che sia passata
la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno, l'ora che viene chiamata
immota? Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo detto; non appena farà
più fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi sei divino, Fedro, e
semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i discorsi prodotti durante
la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te, o perché li pronunci di
persona o perché costringi in qualche modo altri a pronunciarli (faccio
eccezione per Simmia il Tebano, ma gli altri li vinci di gran lunga). E ora mi
sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo discorso. FEDRO: Allora non mi
dichiari guerra! Ma come, e qual è questo discorso? SOCRATE: Quando stavo per
attraversare il fiume, caro amico, si è manifestato quel segno divino che è
solito manifestarsi a me e che mi trattiene sempre da ciò che sto per fare. E
mi è parso di udire proprio da lì una certa voce che non mi permette di andare
via prima d'essermi purificato, come se avessi commesso qualche colpa verso la
divinità. In effetti sono un indovino, per la verità non molto bravo, ma, come
chi sa a malapena scrivere, valido solo per me stesso; perciò comprendo
chiaramente qual è la colpa. Perché anche l'anima, caro amico, ha un che di
divinatorio; infatti mi ha turbato anche prima, mentre pronunciavo il discorso,
e in qualche modo temevo, come dice Ibico, che «commesso un fallo» nei
confronti degli dèi «consegua fama invece tra gli umani. Ma ora mi sono reso
conto della colpa. FEDRO: Che cosa dici? SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è
il discorso che tu hai portato, come quello che poi mi hai costretto a dire!
FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e sotto un certo aspetto empio. Quale
discorso potrebbe essere più terribile di questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il
vero. SOCRATE: E allora? Non credi che Eros sia figlio di Afrodite e sia una
creatura divina? FEDRO: Così almeno si dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia,
né dal tuo discorso, che è stato pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da
te. E se Eros è, come appunto è, un dio o un che di divino, non sarebbe affatto
un male, e invece i due discorsi pronunciati ora su di lui ne parlavano come se
fosse un male; in questo dunque hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros.
Inoltre la loro semplicità è proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano
né di vero si danno delle arie come se fossero chissà cosa, se ingannando
alcuni omiciattoli troveranno fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho
la necessità di purificarmi; per coloro che commettono delle colpe nei
confronti del mito c'è un antico rito purificatorio, che Omero non conobbe, ma
Stesicoro sì . Costui infatti, privato della vista per aver diffamato Elena,
non ne ignorò la causa come Omero, ma da amante alle Muse quale era la capì e
subito compose questi versi: Questo discorso non è veritiero, non navigasti
sulle navi ben costrutte, non arrivasti alla troiana Pergamo. E dopo aver
composto l'intero carme chiamato Palinodia gli tornò immediatamente la vista.
Io pertanto sarò più saggio di loro almeno sotto questo aspetto: prima di
incorrere in un male per aver diffamato Eros tenterò di offrirgli in cambio la
mia palinodia, col capo scoperto e non velato come allora per la vergogna.
FEDRO: Non avresti potuto dirmi cose più dolci di queste, Socrate. SOCRATE:
Veramente, caro Fedro, tu intendi con quale impudenza siano stati pronunciati i
due discorsi, il mio e quello ricavato dal libro. Se un uomo dall'indole nobile
e affabile, che fosse innamorato di uno come lui o lo fosse stato in
precedenza, ci ascoltasse mentre diciamo che gli amanti sollevano grandi
inimicizie per futili motivi e sono gelosi e dannosi nei confronti dei loro
amati, non credi che avrebbe l'impressione di ascoltare persone allevate in
mezzo ai marinai e che non hanno mai visto un amore libero, e sarebbe ben lungi
dal convenire con noi sui rimproveri che muoviamo ad Eros? FEDRO: Per Zeus,
forse sì, Socrate. SOCRATE: Io dunque, per vergogna nei suoi confronti e per
timore dello stesso Eros, desidero sciacquarmi dalla salsedine che impregna il
mio udito con un discorso d'acqua dolce; e consiglio anche a Lisia di scrivere
il più in fretta possibile che, a parità di condizioni, conviene compiacere più
un amante che chi non ama. FEDRO: Ma sappi bene che sarà così : quando avrai
pronunciato l'elogio dell'amante, sarà inevitabile che Lisia venga costretto da
me a scrivere un altro discorso sullo stesso argomento. SOCRATE: Confido in
ciò, finché sarai quello che sei. FEDRO: Fatti coraggio, dunque, e parla.
SOCRATE: Dov'è il ragazzo a cui parlavo? Faccia in modo di ascoltare anche
questo discorso e non conceda con troppa fretta i suoi favori a chi non ama per
non aver udito le mie parole. FEDRO: Questo ragazzo è accanto a te, molto
vicino, ogni qualvolta tu voglia. SOCRATE: Allora, mio bel ragazzo, tieni
presente che il discorso di prima era di Fedro figlio di Pitocle, del demo di
Mirrinunte, mentre quello che mi accingo a dire è di Stesicoro di Imera, figlio
di Eufemo. Bisogna dunque parlare così : «Non è veritiero il discorso secondo
il quale anche in presenza di un amante si deve piuttosto compiacere chi non
ama, per il fatto che l'uno è in preda a "mania", l'altro è
assennato. Se infatti l'essere in preda a mania fosse un male puro e semplice,
sarebbe ben detto; ora però i beni più grandi ci vengono dalla mania, appunto
in virtù di un dono divino. Infatti la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di
Dodona,(29) quando erano prese da mania, procurarono alla Grecia molti e grandi
vantaggi pubblici e privati, mentre quando erano assennate giovarono poco o
nulla. E se parlassimo della Sibilla e di tutti gli altri che, avvalendosi
dell'arte mantica ispirata da un dio, con le loro predizioni in molti casi
indirizzarono bene molte persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose
note a tutti. Merita certamente di essere addotto come testimonianza il fatto
che tra gli antichi coloro che coniavano i nomi non ritenevano la mania una
cosa vergognosa o riprovevole; altrimenti non avrebbero chiamato "manica"
l'arte più bella, con la quale si discerne il futuro, applicandovi proprio
questo nome. Ma considerandola una cosa bella quando nasca per sorte divina, le
imposero questo nome, mentre gli uomini d'oggi, inesperti del bello,
aggiungendo la "t" l'hanno chiamata "mantica". Così anche
la ricerca del futuro che fanno gli uomini assennati mediante il volo degli
uccelli e gli altri segni del cielo, dal momento che tramite l'intelletto
procurano assennatezza e cognizione alla "oiesi", cioè alla credenza
umana, la denominarono "oionoistica", mentre i contemporanei,
volendola nobilitare con la "o" lunga, la chiamano oionistica. Perciò,
quanto più l'arte mantica è perfetta e onorata della oionistica, e il nome e
l'opera dell'una rispetto al nome e all'opera dell'altra, tanto più bella,
secondo la testimonianza degli antichi, è la mania che viene da un dio rispetto
all'assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in
coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie
e dalle pene più gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a
causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi,
attraverso purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il
tempo presente e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per
chi era in preda a mania e invasamento divino nel modo giusto. Al terzo posto
vengono l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di
un'anima tenera e pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e
altri componimenti poetici, e celebrando innumerevoli opere degli antichi
educano i posteri. Chi invece giunge alle porte della poesia senza 8
Platone Fedro la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente
grazie all'arte, resta incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da
quella di chi si trova in preda a mania. Queste, e altre ancora, sono le belle
opere di una mania proveniente dagli dèi che ti posso elencare. Pertanto non
dobbiamo aver paura di ciò, né deve sconvolgerci un discorso che cerchi di
intimorirci asserendo che si deve preferire come amico l'uomo assennato a
quello in stato di eccitazione; ma il mio discorso dovrà riportare la vittoria
dimostrando, oltre a quanto detto prima, che l'amore non è inviato dagli dèi
all'amante e all'amato perché ne traggano giovamento. Noi dobbiamo invece
dimostrare il contrario, cioè che tale mania è concessa dagli dèi per la nostra
più grande felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i valent'uomini,
ma lo sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna intendere la verità
riguardo alla natura dell'anima divina e umana, considerando le sue condizioni
e le sue opere. L'inizio della dimostrazione è il seguente. Ogni anima è
immortale. Infatti ciò che sempre si muove è immortale, mentre ciò che muove
altro e da altro è mosso termina la sua vita quando termina il suo movimento.
Soltanto ciò che muove se stesso, dal momento che non lascia se stesso, non
cessa mai di muoversi, ma è fonte e principio di movimento anche per tutte le
altre cose dotate di movimento. Il principio però non è generato. Infatti è
necessario che tutto ciò che nasce si generi da un principio, ma quest'ultimo
non abbia origine da qualcosa, poiché se un principio nascesse da qualcosa non
sarebbe più un principio. E poiché non è generato, è necessario che sia anche
incorrotto; infatti, se un principio perisce, né esso nascerà da qualcosa né
altra cosa da esso, dato che ogni cosa deve nascere da un principio. Così
principio di movimento è ciò che muove se stesso. Esso non può né perire né
nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la terra, riuniti in corpo unico,
resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da cui ricevere di nuovo nascita
e movimento. Una volta stabilito che ciò che si muove da sé è immortale, non si
proverà vergogna a dire che proprio questa è l'essenza e la definizione
dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in movimento proviene
dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà proviene dall'interno,
cioè da se stesso, è animato, poiché la natura dell'anima è questa; ma se è
così, ovvero se ciò che muove se stesso non può essere altro che l'anima, di
necessità l'anima sarà ingenerata e immortale. Sulla sua immortalità si è detto
a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire quanto segue. Spiegare quale sia,
sarebbe proprio di un'esposizione divina sotto ogni aspetto e lunga, dire
invece a che cosa assomigli, è proprio di un'esposizione umana e più breve;
parliamone dunque in questa maniera. Si immagini l'anima simile a una forza
costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga. I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti
buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l'auriga
che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e
nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è contrario e nato da stirpe contraria;
perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta.
Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente è stato chiamato
mortale e immortale. Ogni anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato e
gira tutto il cielo ora in una forma, ora nell'altra. Se è perfetta e alata,
essa vola in alto e governa tutto il mondo, se invece ha perduto le ali viene
trascinata giù finché non s'aggrappa a qualcosa di solido; qui stabilisce la
sua dimora e assume un corpo terreno, che per la forza derivata da essa sembra
muoversi da sé. Questo insieme, composto di anima e corpo, fu chiamato vivente
ed ebbe il soprannome di mortale. Viceversa ciò che è immortale non può essere
spiegato con un solo discorso razionale, ma senza averlo visto e inteso in
maniera adeguata ci figuriamo un dio, un essere vivente e immortale, fornito di
un'anima e di un corpo eternamente connaturati. Ma di queste cose si pensi e si
dica così come piace al dio; noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita
delle ali, per la quale esse si staccano dall'anima. E la causa è all'incirca
questa. La potenza dell'ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è
pesante, sollevandolo dove abita la stirpe degli dèi, e in certo modo partecipa
del divino più di tutte le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente,
buono, e tutto ciò che è tale; da queste qualità l'ala dell'anima e nutrita e
accresciuta in sommo grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò che è
brutto, cattivo e contrario ad esse. Zeus, il grande sovrano che è in cielo,
procede per primo alla guida del carro alato, dà ordine a tutto e di tutto si
prende cura; lo segue un esercito di dèi e di demoni, ordinato in undici
schiere. La sola Estia resta nella dimora degli dèi; quanto agli altri dèi,
quelli che in numero di dodici sono stati posti come capi guidano ciascuno la
propria schiera secondo l'ordine assegnato. Molte e beate sono le visioni e i
percorsi entro il cielo, per i quali si volge la stirpe degli dèi eternamente
felici, adempiendo ciascuno il proprio compito. E tiene dietro a loro chi
sempre lo vuole e lo può; infatti l'invidia sta fuori del coro divino. Quando
poi vanno a banchetto per nutrirsi, procedono in ardua salita verso la sommità
della volta celeste, dove i carri degli dèi, ben equilibrati e agili da
guidare, procedono facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo
che partecipa del male si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso
l'auriga che non l'ha allevato bene. Qui all'anima si presenta la fatica e la
prova suprema. Infatti quelle che sono chiamate immortali, una volta giunte
alla sommità, procedono al di fuori posandosi sul dorso del cielo, la cui rotazione
le trasporta in questa posa, mentre esse contemplano ciò che sta fuori del
cielo. Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai cantato né mai canterà in modo degno
il luogo iperuranio. La cosa sta in questo modo (bisogna infatti avere il
coraggio di dire il vero, tanto più se si parla della verità): l'essere che
realmente è, senza colore, senza forma e invisibile, che può essere contemplato
solo dall'intelletto timoniere dell'anima e intorno al quale verte il genere
della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio è
nutrita da un intelletto e da una scienza pura, anche quella di ogni anima cui
preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo
l'essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione
ciclica del cielo non l'abbia riportata allo stesso punto. Nel giro che essa
compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la scienza, 9
Platone Fedro non quella cui è connesso il divenire, e neppure quella che
in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da quelle che ora noi
chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che è realmente essere;
e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri che realmente sono
e se ne è saziata, si immerge nuovamente all'interno del cielo e fa ritorno
alla sua dimora. Una volta arrivata l'auriga, condotti i cavalli alla
mangiatoia, mette innanzi a loro ambrosia e in più dà loro da bere del nettare.
Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l'una, seguendo nel migliore
dei modi il dio e rendendosi simile a lui, solleva il capo dell'auriga verso il
luogo fuori del cielo e viene trasportata nella sua rotazione, ma essendo
turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l'altra ora solleva il capo, ora
piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a forza riesce a vedere
alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che aspirano tutte quante a
salire in alto, ma non essendone capaci vengono sommerse e trasportate
tutt'intorno, calpestandosi tra loro, accalcandosi e cercando di arrivare una
prima dell'altra. Nasce così una confusione e una lotta condita del massimo
sudore, nella quale per lo scarso valore degli aurighi molte anime restano
azzoppate, e a molte altre si spezzano molte penne; tutte, data la grande fatica,
se ne partono senza aver raggiunto la contemplazione dell'essere e una volta
tornate indietro si nutrono del cibo dell'opinione. La ragione per cui esse
mettono tanto impegno per vedere dov'è sita la pianura della verità è questa:
il cibo adatto alla parte migliore dell'anima viene dal prato che si trova là,
e di esso si nutre la natura dell'ala con cui l'anima si solleva in volo.
Questa è la legge di Adrastea.(35) L'anima che, divenuta seguace del dio, abbia
visto qualcuna delle verità, non subisce danno fino al giro successivo, e se
riesce a fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non
riuscendo a tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente,
riempitasi di oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda
le ali e cada sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna
natura animale nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior
numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare
filosofo o amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima
che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un
uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto
ad amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che
sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del
corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore
ai misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro
di coloro che si occupano dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano
o di un contadino, all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del
popolo, alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la
vita secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto
contro giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo
donde è venuta per diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo
periodo di tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza
inganno o ha amato i fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro
di mille anni, se hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita,
rimettono in questo modo le ali e al compiere dei tremila anni tornano
indietro. Quanto alle altre, quando giungono al termine della prima vita tocca
loro un giudizio, e dopo essere state giudicate le une vanno nei luoghi di
espiazione sotto terra a scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla
Giustizia in un luogo del cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente
alla vita che vissero in forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre,
giunte al sorteggio e alla scelta della seconda vita, scelgono quella che
ciascuna vuole: qui un'anima umana può anche finire in una vita animale, e chi
una volta era stato uomo può ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non
ha mai visto la verità non giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve
comprendere in funzione di ciò che viene detto idea, e che muovendo da una
molteplicità di sensazioni viene raccolto dal pensiero in unità; questa è la
reminiscenza delle cose che un tempo la nostra anima vide nel suo procedere
assieme al dio, quando guardò dall'alto ciò che ora definiamo essere e levò il
capo verso ciò che realmente è. Perciò giustamente solo l'anima del filosofo
mette le ali, poiché grazie al ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è
sempre rivolta alle entità in virtù delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo
che si avvale rettamente di tali reminiscenze, essendo sempre iniziato a
misteri perfetti, diventa lui solo realmente perfetto; dato però che si
distacca dalle occupazioni degli uomini e si fa accosto al divino, è ripreso
dai più come se delirasse, ma sfugge ai più che è invasato da un dio. Questo dunque
è il punto d'arrivo di tutto il discorso sulla quarta forma di mania, quella
per cui uno, al vedere la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza
mette nuove ali e desidera levarsi in volo, ma non essendone capace guarda in
alto come un uccello, senza curarsi di ciò che sta in basso, e così subisce
l'accusa di trovarsi in istato di mania: di tutte le ispirazioni divine questa,
per chi la possiede e ha comunanza con essa, è la migliore e deriva dalle cose
migliori, e chi ama le persone belle e partecipa di tale mania è chiamato
amante. Infatti, come si è detto, ogni anima d'uomo per natura ha contemplato
gli esseri, altrimenti non si sarebbe incarnata in un tale vivente. Ma
ricordarsi di quegli esseri procedendo dalle cose di quaggiù non è alla portata
di ogni anima, né di quelle che allora videro gli esseri di lassù per breve
tempo, né di quelle che, cadute qui, hanno avuto una cattiva sorte, al punto
che, volte da cattive compagnie all'ingiustizia, obliano le sacre realtà che
videro allora. Ne restano poche nelle quali il ricordo si conserva in misura
sufficiente: queste, qualora vedano una copia degli esseri di lassù, restano
sbigottite e non sono più in sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano, perché
non ne hanno percezione sufficiente. Così della giustizia, della temperanza e
di tutte le altre cose che hanno valore per le anime non c'è splendore alcuno
nelle copie di quaggiù, ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini,
contemplano a fatica, attraverso i loro organi ottusi, la matrice del modello
riprodotto. Allora invece si poteva vedere la bellezza nel suo splendore,
quando in un coro felice, noi al seguito di Zeus, altri di un altro dio,
godemmo di una visione e di una contemplazione beata ed eravamo iniziati a
quello che è lecito chiamare il più beato dei misteri, che celebravamo in
perfetta integrità e immuni dalla prova di tutti quei mali che dovevano
attenderci nel tempo a venire, contemplando nella nostra iniziazione mistica
visioni perfette, semplici, immutabili e beate in una luce pura, poiché eravamo
purì e non rinchiusi in questo che ora chiamiamo corpo e portiamo in giro con
noi, incatenati dentro ad esso come un'ostrica. Queste parole siano un omaggio
al ricordo, in virtù del quale, per il desiderio delle cose d'allora, ora si è
parlato piuttosto a lungo. Quanto alla bellezza, come si è detto, essa brillava
tra le cose di lassù come essere, e noi, tornati qui sulla terra, l'abbiamo
colta con la più vivida delle nostre sensazioni, in quanto risplende nel modo
più vivido. Per noi infatti la vista è la più acuta delle sensazioni che
riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci permette di vedere la saggezza
(poiché susciterebbe terribili amori, se giungendo alla nostra vista le
offrisse un'immagine di sé così splendente) e le altre realtà degne d'amore.
Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò che più di
tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o è
corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza in sé,
quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando
guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e
a generare figli a mo' di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha
timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato
di recente e ha contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto
d'aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di
corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di
allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di
acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo amato come a una
statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione provocata dai
brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il
flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell'ala si abbevera.
Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto donde
l'ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le
impedivano di fiorire. Così, grazie all'afflusso del nutrimento, lo stelo
dell'ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma
dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta
quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel
momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la
prova anche l'anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano
ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l'anima,
mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e
fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d'amore) (36) e ne
viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece
ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l'ala si
disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso
dentro assieme al flusso d'amore, pulsando come le arterie pizzica nei condotti,
ciascun germoglio nel proprio, tanto che l'anima, pungolata tutt'intorno, è
presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della bellezza si allieta.
In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l'anima è turbata per la
stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d'uscita comincia a smaniare;
ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte né di giorno restare
ferma dov'è, ma corre in preda al desiderio dove crede di poter vedere colui
che possiede la bellezza: e una volta che l'ha visto e si è imbevuta del flusso
d'amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti, riprende fiato e cessa
di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento presente, il frutto di
questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di sua volontà e non tiene
in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di madri, fratelli e di
tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue sostanze vanno in rovina
perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le consuetudini e le convenienze di
cui si ornava prima d'allora ed è disposta a servire l'amato e a giacere con
lui ovunque gli sia concesso di stare il più vicino possibile al suo desiderio;
infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in colui che possiede la bellezza
l'unico medico dei suoi più grandi travagli. A questa passione cui si rivolge
il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini danno il nome di eros, gli dèi
invece la chiamano in un modo che a sentirlo, data la tua giovane età, ti
metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi citano due versi, credo presi
da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali è piuttosto insolente e non
del tutto corretto come metro; essi suonano così : I mortali lo chiamano Eros
alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere l'ali.(37) A questi versi si può
credere oppure non credere; non di meno la causa e la sensazione di chi ama è
proprio questa. Ora, se chi è stato colto da Eros era uno dei seguaci di Zeus,
riesce a sopportare con più fermezza il peso del dio che trae il nome dalle
ali; quelli che erano al servizio di Ares e giravano il cielo assieme a lui,
quando sono presi da Eros e pensano di subire qualche torto dall'amato, sono
sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il proprio amore. Così ciascuno
conduce la sua vita in base al dio del cui coro era seguace, onorandolo e
imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta incorrotto e vive la prima
esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e ha relazione con gli amati
e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra i belli il suo Eros secondo
il proprio carattere, e come fosse un dio gli edifica una specie di statua e
l'abbellisce per onorarla e tributarle riti. I seguaci di Zeus cercano il loro
amato in chi ha l'anima conforme al loro dio:(38) pertanto guardano se per
natura sia filosofo e atto al comando, e quando l'hanno trovato e ne se sono
innamorati, fanno di tutto affinché sia effettivamente tale. E se prima non si
erano impegnati in un'occupazione del genere, da quel momento vi mettono mano e
imparano da dove è loro possibile, continuando poi anche da soli, e seguendo le
tracce riescono a trovare per loro conto la natura del proprio dio, perché sono
stati intensamente costretti a volgere lo sguardo verso di lui; e quando
entrano in contatto con lui sono presi da invasamento e tramite il ricordo ne
assumono le abitudini e le occupazioni, per quanto è possibile a un uomo
partecipare della natura di un dio. E poiché ne attribuiscono la causa
all'amato, lo tengono ancora più caro, e sebbene attingano da Zeus come le
Baccanti,(39) riversando ciò che attingono nell'anima dell'amato lo rendono il
più possibile simile al loro dio. Coloro che invece erano al seguito di Era
cercano un'anima regale, e trovatala fanno per lei esattamente le stesse cose.
Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno degli altri dèi, procedendo secondo
il loro dio, bramano che il proprio fanciullo abbia un'uguale natura, e una
volta che se lo sono procurato imitano essi stessi il dio e con la persuasione
e 11 Platone Fedro l'ammaestramento portano l'amato ad assumere
l'attività e la forma di quello, ciascuno per quanto può; e lo fanno senza
comportarsi nei confronti dell'amato con gelosia o con rozza malevolenza, ma
cercando di indurlo alla somiglianza più completa possibile con se stessi e con
il dio che onorano. Dunque l'ardore e l'iniziazione di coloro che veramente
amano, se ottengono ciò che desiderano nel modo che dico, diventano così belle
e felici per chi è amato, qualora venga conquistato dall'amico che si trova in
stato di mania per amore; e chi è conquistato cede all'amore in questo modo.
Come all'inizio dì questa narrazione in forma di mito abbiamo diviso ciascuna
anima in tre parti, due con forma di cavallo, la terza con forma di auriga,
questa distinzione resti per noi un punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli
diciamo che è buono, l'altro no: quale sia però la virtù di quello buono e il
vizio di quello cattivo, non l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque,
quello tra i due che si trova nella disposizione migliore è di forma eretta e
ben strutturata, di collo alto e narici adunche, bianco a vedersi, con gli
occhi neri, amante dell'onore unito a temperanza e pudore e compagno della fama
veritiera, non ha bisogno di frusta e si lascia guidare solo con lo stimolo e
la parola; l'altro invece è storto, grosso, mal conformato, di collo massiccio
e corto, col naso schiacciato, il pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di
sangue, compagno di tracotanza e vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede
a fatica alla frusta e agli speroni. Quando dunque l'auriga, scorgendo la
visione amorosa, prende calore in tutta l'anima per la sensazione che prova ed
è ricolmo di solletico e dei pungoli del desiderio, il cavallo che obbedisce
docilmente all'auriga, tenuto a freno, allora come sempre, dal pudore, si trattiene
dal balzare addosso all'amato; l'altro invece non cura più né i pungoli
dell'auriga né la frusta, ma imbizzarrisce e si lancia al galoppo con violenza,
e procurando ogni sorta di molestie al compagno di giogo e all'auriga li
costringe a dirigersi verso l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri
d'amore. All'inizio essi si oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti
ad azioni terribili e inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al
male, si lasciano trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare
quanto viene loro ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione
folgorante dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla
natura della bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo
assieme alla temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che
le porta cade supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le
redini così forte che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno,
spontaneamente perché non recalcitra, quello protervo decisamente contro
voglia. Ritiratisi più lontano, l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta
l'anima di sudore, l'altro, cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla
caduta, a fatica riprende fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare,
coprendo di male parole l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e
debolezza hanno abbandonato il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di
nuovo ad avanzare contro la loro volontà a stento cede alle loro preghiere di
rimandare a un'altra volta. Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi
fingono di non ricordarsene, lo rammenta a loro con la forza, nitrendo e
trascinandoli con sé, e li obbliga ad accostarsi di nuovo all'amato per fare i
medesimi discorsi; e quando sono vicini tende la testa in avanti e rizza la
coda, mordendo il freno, e li trascina con impudenza. L'auriga, sentendo ancora
più intensamente la stessa impressione di prima, come respinto dalla fune al
cancello di partenza, tira indietro ancora più forte il morso dai denti del
cavallo protervo, insanguina la lingua maldicente e le mascelle e piegandogli a
terra le gambe e le cosce lo dà in preda ai dolori. Quando poi il cavallo
malvagio, subendo la medesima cosa più volte, desiste dalla sua tracotanza,
umiliato segue ormai il proposito dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo,
muore dalla paura; di conseguenza accade che a questo punto l'anima dell'amante
segua l'amato con pudicizia e timore. Poiché dunque l'amato, come un essere
pari agli dèi, è oggetto di ogni venerazione da parte dell'amante che non
simula, ma prova veramente questo sentimento, ed è egli stesso per natura amico
di chi lo venera, se anche in precedenza fosse stato ingannato dalle persone
che frequentava o da altre, le quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a
chi ama, e per questo motivo avesse respinto l'amante, ora, col passare del
tempo, l'età e la necessità lo inducono ad ammetterlo alla sua compagnia;
infatti non accade mai che un malvagio sia amico di un malvagio, né che un
buono non sia amico di un buono. E dopo averlo ammesso presso di sé e avere
accettato di parlare con lui e stare in sua compagnia, la benevolenza
dell'amante, manifestandosi da vicino, colpisce l'amato, il quale si avvede che
tutti gli altri amici e parenti non offrono neppure una parte di amicizia a
confronto dell'amico ispirato da un dio. Quando poi questi continua a fare ciò
nel tempo e si accompagna all'amato incontrandolo nei ginnasi e negli altri
luoghi di ritrovo, allora la fonte di quei flusso che Zeus, innamorato di
Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore, scorrendo in abbondanza verso l'amante
dapprima penetra in lui, poi, quando ne è ricolmo, scorre fuori; e come un
soffio di vento o un'eco, rimbalzando da corpi lisci e solidi, ritornano là dov'erano
partiti, così il flusso della bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso gli
occhi, e di qui per sua natura arriva all'anima. Quando vi è giunto la
incoraggia a volare, quindi irriga i condotti delle ali e comincia a farle
crescere, e così riempie d'amore anche l'anima dell'amato. Pertanto egli ama,
ma non sa che cosa; e neppure è a conoscenza di cosa prova né è in grado di
dirlo, ma come chi ha contratto una malattia agli occhi da un altro non è in
grado di spiegarne la causa, così egli non si accorge di vedere se stesso
nell'amante come in uno specchio. E in presenza di questi, il suo dolore cessa
esattamente come a lui, se invece è assente allo stesso modo di lui desidera ed
è desiderato, perché reca in sé una sembianza d'amore che dell'amore è
sostituto: però non lo chiama e non lo crede amore, bensì amicizia. Più o meno
come l'amante, ma in misura più debole, desidera vederlo, toccarlo, baciarlo,
giacere con lui; e com'è naturale, in seguito non tarda a fare cio. Quando
dunque giacciono insieme, il cavallo sfrenato dell'amante ha di che dire
all'auriga, e pretende di trarre un piccolo guadagno in cambio di tante
fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da dire, ma, gonfio di desiderio
e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante, manifestandogli affetto per la sua
grande benevolenza. Così, nel momento in cui si congiungono, non è più tale da
rifiutare di compiacere da parte sua l'amante, se viene pregato di soddisfare;
ma il compagno di giogo assieme all'auriga 12 Platone Fedro si
oppone a ciò, obbedendo al pudore e alla ragione. Se dunque prevalgono le parti
migliori dell'animo, quelle che guidano a un'esistenza ordinata e alla
filosofia, essi trascorrono la vita di quaggiù in modo beato e concorde, poiché
sono padroni di sé e ben regolati, avendo sottomesso ciò in cui nasce il male
dell'anima e liberato ciò in cui nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e
leggeri, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche, di cui né la
temperanza umana né la mania divina possono fornire all'uomo un bene più
grande.(41) Se invece seguono un genere di vita piuttosto grossolano e privo di
filosofia, ma ambizioso, forse, in stato di ubriachezza o in qualche altro
momento di negligenza, i loro due compagni di giogo sfrenati, cogliendo le
anime alla sprovvista e portandole nella stessa direzione, possono compiere la
scelta che tanti considerano la più beata e mandarla ad effetto; e una volta
che l'hanno mandata ad effetto, se ne avvalgono anche in futuro, ma raramente,
poiché fanno cose che non sono approvate da tutta l'anima. Anche costoro vivono
in amicizia reciproca, ma meno di quelli, sia durante l'amore sia quando ne
sono usciti, credendo di essersi dati l'un l'altro e di aver ricevuto i più
grandi pegni, che non è lecito sciogliere perché ciò condurrebbe
all'inimicizia. Al termine della vita escono dal corpo senz'ali, ma col
desiderio di metterle, cosicché riportano un premio non piccolo della loro
mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali hanno già iniziato il
cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella tenebra e camminino
sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e felice compiendo il
viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati rimettano le ali assieme
per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così divini, o fanciullo, ti
darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la compagnia di chi non ama,
mescolata con temperanza mortale, capace di amministrare cose mortali e misere,
dopo aver generato nell'anima amata una bassezza lodata dal volgo come virtù,
la farà girare priva di senno attorno alla terra e sotto terra per novemila
anni. Questa, caro Eros, per le nostre facoltà, è la più bella e virtuosa
palinodia che abbiamo potuto offrirti in dono e in espiazione, costretta a
causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al resto, anche con alcune parole
poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose di prima e serba gratitudine per
queste, e, benevolo e propizio, non togliermi e non storpiarmì per la collera
l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi di essere in onore tra i bei
fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso precedente io e Fedro abbiamo
detto qualcosa che a te suona stonata, attribuiscine la colpa a Lisia, che del
discorso è padre, e fallo desistere da simili prolusioni, volgendolo alla
filosofia come si è volto suo fratello Polemarco, affinché anche questo suo
amante non sia nel dubbio come ora, ma dedichi senz'altro la sua vita ad Eros
in compagnia di discorsi filosofici. FEDRO: Mi unisco alla tua preghiera,
Socrate: se questo è meglio per noi, che avvenga. Da un pezzo ho ammirato il
tuo discorso per quanto l'hai reso più bello del precedente; quindi temo che
Lisia mi appaia misero, quand'anche voglia opporre ad esso un altro discorso.
Recentemente infatti, mirabile amico, un politico lo biasimava criticandolo
proprio per questo, e in tutta la sua critica lo chiamava logografo; perciò
forse si tratterrà per ambizione dallo scrivercene un altro. SOCRATE: Ragazzo,
la tua opinione è ridicola, e quanto al tuo compagno sbagli di grosso, se credi
che si spaventi così al minimo rumore. Ma forse pensi che chi lo biasimava
dicesse quello che ha detto proprio per criticarlo. FEDRO: Così pareva,
Socrate; del resto sei anche tu conscio che coloro che nelle città hanno il
massimo potere e la massima reverenza si vergognano a scrivere discorsi e a
lasciare propri scritti, temendo l'opinione dei posteri, cioè di essere
chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei scordato, Fedro, che la dolce ansa ha preso
il nome dalla lunga ansa del Nilo (44) e oltre all'ansa dimentichi che gli
uomini di governo piu assennati amano tantissimo comporre discorsi e lasciare
propri scritti, almeno quelli che, quando scrivono un discorso, apprezzano a
tal punto chi li loda da aggiungere in testa per primi i nomi di quelli che li
devono lodare in ogni singola occasione. FEDRO: In che senso dici ciò? Non
capisco. SOCRATE: Non capisci che all'inizio del discorso di un uomo politico
per primo viene scritto il nome di chi lo loda! FEDRO: E come? SOCRATE: «Il
consiglio ha deciso», dice più o meno, ovvero «il popolo ha deciso», o
entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha detto» (e qui lo scrittore cita
se stesso con grande reverenza e si fa l'elogio). Poi si mette a parlare,
mostrando a chi lo loda la sua abilità, talvolta dopo aver composto uno scritto
assai lungo. O ti pare che una cosa del genere sia altro che un discorso
scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE: Quindi, se il discorso regge,
l'autore esce di scena tutto lieto; se invece viene escluso e radiato dallo
scrivere discorsi e dall'essere degno di scriverli, piangono lui e i suoi
compagni. FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è chiaro dunque che non disprezzano
questa attività, ma l'ammirano. FEDRO: Sicuro! SOCRATE: E allora? Quando un
retore o un re è in grado di raggiungere la potenza di Licurgo, di Solone o di
Dario (45) e di diventare un logografo immortale nella sua città, non si crede
forse egli stesso pari agli dèi mentre ancora vive, e i posteri non pensano di
lui la stessa cosa, contemplando i suoi scritti? FEDRO: Certamente! SOCRATE:
Credi allora che uno di costoro, chiunque sia e in qualunque modo sia ostile a
Lisia, lo biasimi proprio perché scrive discorsi? 13 Platone Fedro
FEDRO: Non è verosimile, da ciò che dici, poiché a quanto pare criticherebbe anche
il proprio desiderio. SOCRATE: Allora è chiaro a tutti che non è cosa turpe in
sé lo scrivere discorsi. FEDRO: Ma certo. SOCRATE: Ora però io ritengo turpe
questo, il pronunciarli e scriverli in modo non bello, ma riprovevole e
disonesto. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: E allora qual è il modo di scriverli bene
e quale il modo contrario? Abbiamo bisogno, Fedro, di esaminare a questo
proposito Lisia e chiunque altro abbia mai composto o comporrà uno scritto sia
pubblico sia privato, in versi come un poeta o non in versi come un prosatore?
FEDRO: Chiedi se ne abbiamo bisogno? E per quale ragione uno, oserei dire,
vivrebbe, se non per i piaceri di questo tipo? Non certo per quelli per cui
bisogna prima soffrire, altrimenti non si prova godimento, come sono quasi
tutti i piaceri del corpo, che per questo motivo sono stati giustamente
chiamati servili. SOCRATE: Tempo ne abbiamo, a quanto pare. E poi mi sembra che
in questa calura soffocante le cicale, cantando sopra la nostra testa e
discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se dunque vedessero che anche noi
due, come fanno i più a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo e ci
lasciamo incantare da loro per pigrizia della mente, giustamente ci
deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da loro per dormire in questo
luogo di sosta come delle pecore che passano il pomeriggio presso la fonte; se
invece ci vedranno discorrere e navigare accanto a loro come alle Sirene senza
essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci daranno quel dono che per
concessione degli dèi possono dare agli uomini. FEDRO: E qual è questo dono che
hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito. SOCRATE: Non si addice davvero a un
uomo amante delle Muse non averne mai sentito parlare.(46) Si dice che un tempo
le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che nascessero le Muse; quando
poi nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di loro restarono così colpiti
dal piacere che cantando non si curarono più di cibo e bevanda e senza
accorgersene morirono. Da loro in seguito ebbe origine la stirpe delle cicale,
che ricevette dalle Muse questo dono, di non aver bisogno di nutrimento fin
dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare senza cibo né bevanda fino
alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire chi tra gli uomini di
quaggiù le onora, e quale di esse onora. A Tersicore riferiscono di quelli che
l'hanno onorata nei cori, rendendoli a lei più graditi, a Erato di chi l'ha
onorata nei carmi d'amore, e così per le altre, secondo l'onore che ha
ciascuna. A Calliope, la più anziana, e a Urania, che viene dopo di lei,
riferiscono di quelli che trascorrono la vita nella filosofia e onorano la loro
musica, poiché esse, avendo cura del cielo e dei discorsi divini e umani,
emettono tra tutte le Muse la voce più bella.(47) Per molte ragioni, quindi, a
mezzogiorno bisogna parlare e non dormire. FEDRO: E allora bisogna parlare.
SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare quello che ora ci siamo proposti, ossia come
è bene pronunciare e scrivere un discorso e come non lo è. FEDRO: è chiaro.
SOCRATE: I discorsi che saranno pronunciati in modo bello e decoroso non devono
forse implicare che l'animo di chi parla conosca il vero riguardo a ciò di cui
intende parlare? FEDRO: A tal proposito, caro Socrate, ho sentito dire questo:
per chi vuole essere un retore non c'è la necessità di apprendere ciò che è
realmente giusto, ma ciò che sembra giusto alla moltitudine che giudicherà, non
ciò che è veramente buono o bello, ma che sembrerà tale, poiché il convincere
il prossimo viene da questo, non dalla verità. SOCRATE: «Non parola da
buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò che dicono i sapienti, ma si deve esaminare
se le loro affermazioni sono valide. Anche per questo non bisogna lasciar
cadere quanto ora è stato detto. FEDRO: Hai ragione. SOCRATE: Esaminiamolo
dunque in questo modo. FEDRO: Come? SOCRATE: Se volessi persuaderti a
difenderti dai nemici acquistando un cavallo, ed entrambi non conoscessimo un
cavallo, ma io per caso sapessi di te solo questo, che Fedro reputa sia un
cavallo quell'animale domestico che a orecchie assai grandi... FEDRO: Sarebbe
ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo sarebbe nel caso che, per
convincerti sul serio, componessi un discorso di elogio dell'asino chiamandolo
cavallo e sostenendo che tale bestia è assolutamente degna di essere acquistata
sia per uso domestico sia per le spedizioni militari, utile per il
combattimento in groppa, valente a portare bagagli e vantaggiosa in molte altre
cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero ridicolo. SOCRATE: E non è forse meglio
essere ridicolo e amico piuttosto che esperto e nemico? FEDRO: Così pare.
SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non conosce il bene e il male inizia a
persuadere una città che si trova nelle sue stesse condizioni, facendo non
l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del cavallo, ma l'elogio del male
come se fosse il bene, e presa dimestichezza con le opinioni della gente la
persuade a operare il male anziché il bene, quale frutto credi che mieterà in
seguito la retorica da quello che ha seminato? FEDRO: Sicuramente non buono.
14 Platone Fedro SOCRATE: Ma buon amico, abbiamo forse
svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del dovuto? Essa forse
dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non costringo nessuno
che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio consiglio vale
qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa dunque è la
cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce le cose come
sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte». FEDRO: E non dirà
cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì, se i discorsi che si presentano le
rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra di udire alcuni
discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è un'arte, ma una
pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il tocco della verità,
afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO: C'è bisogno di
questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono e in che modo.
SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai bei figli (50)
che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà mai in grado di
parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete. SOCRATE: La retorica,
in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo di discorsi, non solo
nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma anche in quelle
private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle grandi, e non è
affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose serie che in
quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito? FEDRO: No, per
Zeus, assolutamente non così, ma soprattutto nei processi si parla e si scrive
con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo informazioni più
ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai sentito parlare solo
delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per iscritto a Ilio nei
periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO: Per Zeus, neanche
di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un Nestore, o di
Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo perdere
costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno? Non fanno
affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio questo.
SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE: Allora, chi
opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle stesse persone
ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no? SOCRATE: E in
un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora buone, ora,
al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che il Palamede
di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli ascoltatori le
stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in movimento? FEDRO: Ma
certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova solo nei tribunali e
nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che si dice ci sarebbe
questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno sarà capace di
rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili e per quanto è
possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa cosa e lo
nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se cerchiamo in
questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica di più nelle
cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di pOco? FEDRO: In
quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che non ti accorga di
essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che se ti sposti a
grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione di ingannare un
altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con precisione la
somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è necessario. SOCRATE: Ma
se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado di discernere la
somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con le altre cose?
FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno opinioni contrarie
alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa impressione si
insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così . SOCRATE: è
possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco la realtà di
un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da ciò che è al
suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione di cosa sia
ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque, amico, colui
che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci offrirà un'arte
dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO: Pare di sì .
15 Platone Fedro SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel discorso di Lisia
che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle cose che definiamo
prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra cosa, poiché ora noi
parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi adeguati. SOCRATE: E per
un caso fortunato, a quanto pare, sono stati pronunciati due discorsi che
recano un esempio di come chi conosce il vero, giocando con le parole, possa
condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io, Fedro, ne attribuisco la causa
agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse delle Muse, che cantano sopra
la nostra testa, possono averci ispirato questo dono, poiché io non sono certo
partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO: Sia come dici tu. Solo spiega
ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio del discorso di Lisia. FEDRO:
«Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi
utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che
chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono...»
SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che cosa costui sbaglia e opera senz'arte,
non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è forse evidente per chiunque almeno
questo, che siamo d'accordo su alcune di queste cose, in disaccordo su altre?
FEDRO: Mi sembra di capire il tuo pensiero, ma esprimilo ancora più
chiaramente. SOCRATE: Quando uno dice la parola "ferro" o
"argento", non intendiamo forse tutti la stessa cosa? FEDRO: Certo!
SOCRATE: E quando si tratta dei termini "giusto" e "bene"?
Non siamo portati chi in una direzione, chi in un'altra, e siamo in conflitto
gli uni con gli altri e persino con noi stessi? FEDRO: Proprio così ! SOCRATE:
Dunque concordiamo su alcune cose, su altre no. FEDRO: è così . SOCRATE: In
quale dei due campi siamo più facilmente ingannabili e la retorica ha maggior
potere? FEDRO: Quello in cui vaghiamo nell'incertezza, è evidente. SOCRATE:
Pertanto chi si accinge a praticare la retorica deve innanzitutto aver distinto
con metodo queste cose e aver colto un carattere peculiare di entrambe le
forme, quella in cui è inevitabile che la gente vaghi nell'incertezza e quella
in cui non lo è. FEDRO: Chi avesse colto questo, Socrate, avrebbe compreso
un'idea davvero bella. SOCRATE: Inoltre credo che, nell'occuparsi di ciascuna
cosa, non debba lasciarsi sfuggire, ma debba percepire con acutezza a quale
delle due specie appartiene ciò di cui intende parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE:
E allora? Dobbiamo dire che l'amore appartiene alle questioni controverse
oppure no? FEDRO: Alle questioni controverse, non c'è dubbio. O credi che ti
sarebbe stato possibile dire quello che poco fa hai detto su di lui, ossia che
è un danno sia per l'amato sia l'amante, e al contrario che è il più grande dei
beni? SOCRATE: Parli in modo eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a
causa dell'invasamento non lo ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso
ho dato una definizione dell'amore. FEDRO: Sì, per Zeus, in modo davvero
insuperabile. SOCRATE: Ahimè, quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che
dici, dici, le Ninfe dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio
di Cefalo! Può darsi che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo
discorso sull'amore, non ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà
unica che voleva lui, e in relazione a questo ha composto e condotto a termine
tutto il discorso seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti
sembra il caso. Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che
ascolti proprio lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito
che ritengo sia utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non
poter ottenere ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli
innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro
passione...». SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che
cerchiamo, se mette mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando
supino all'indietro, e prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato
quando ormai ha smesso di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia
testa cara? FEDRO: è certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone
il discorso. SOCRATE: E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano
state buttate lì alla rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che
per una qualche necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un
altro degli argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo
scrittore abbia detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu
sei a conoscenza di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale
lui ha disposto questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei
troppo buono, se credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo
così preciso! SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni
discorso dev'essere costituito come un essere vivente e avere un corpo suo
proprio, così da non essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di
mezzo e quelle estreme scritte in modo che si adattino le une alle altre e al
tutto. FEDRO: Come no? 16 Platone Fedro SOCRATE: Esamina dunque il
discorso del tuo compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che
non differisce in nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla
tomba di Mida il Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di
particolare? SOCRATE: è questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di
Mida. Fin che l'acqua scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba
di molte lacrime aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci
senz'altro, come credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene recitato
per primo o per ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso, Socrate!
SOCRATE: Allora lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi sembra che
contenga parecchi esempi ai quali gioverebbe porre attenzione, cercando di non
imitarli in alcun modo); e passiamo agli altri due discorsi. In essi, mi
sembra, c'era qualcosa che per chi vuole fare indagini sui discorsi è
conveniente esaminare. FEDRO: A che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano
opposti: uno diceva che si deve compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO:
E con molto vigore! SOCRATE: Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con
mania: ciò che cercavo è appunto questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è
una forma di mania. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: E che ci sono due forme di
mania, una che nasce da malattie umane, l'altra che nasce da un mutamento
divino delle consuete abitudini. FEDRO: Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro
parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito
l'ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica
alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa
è la migliore. E non so come, rappresentando con immagini la passione amorosa,
forse toccando da un lato un che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada,
abbiamo composto un discorso non del tutto incapace di persuadere e abbiamo
levato quasi per gioco, con parole misurate e pie, un inno in forma di mito in
onore di Eros, mio e tuo signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E
almeno per me, un discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE:
Prendiamo dunque in esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal
biasimo alla lode. FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il
resto sia stato fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a
caso ci sono due procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a
coglierne con arte la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel
ricondurre le cose disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in
uno sguardo d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui
si vuole di volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa
su Eros, una volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o
male, è appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato
chiarezza e coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici,
SOcrate? SOCRATE: Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le
idee in base alle loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna
parte, alla maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa
concepivano la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da
un corpo unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e
sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della
follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando
la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver
trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a
buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte
destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro,
ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei
nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono
amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di
essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per
sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle
sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare
ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento
li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di
cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa
l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati
abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di
doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì, ma non esperti delle cose che
chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo
dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come
dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi procedimenti
si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente
disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della
retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si
trovano nei libri scritti sull'arte del dire. Platone Fedro SOCRATE: Hai
fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del discorso dev'essere
pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze dell'arte, non è
vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una narrazione seguita da
testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le verosimiglianze. Poi
vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che dica l'eccellente
uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il valente Teodoro?
SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno fatte una
confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il bellissimo
Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi indiretti; (55)
alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi indiretti in poesia per
esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E lasceremo riposare
Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia da tenere in conto
più del vero e con la forza del discorso fanno apparire grande ciò che è
piccolo e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e al contrario
nuovo ciò che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le prolissità
infinite su ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo da me
queste cose, scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i discorsi
di cui l'arte abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO: Parole molto
sagge, o Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che anche l'ospite
eleo voterebbe con lui. FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come parleremo dei Templi
alle Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la ripetizione o il
parlare per sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse dei nomi di cui
Licimnio gli fece dono per la composizione del bello stile?(59) FEDRO: E le
opere di Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo tipo? SOCRATE:
Una certa Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle cose. Ma quanto
ai discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la povertà, mi pare che
l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo d'altronde straordinario
nel suscitare la collera nella gente e poi nell'ammansire chi aveva fatto
adirare incantandolo, come soleva dire, e potentissimo nel lanciare e
sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci sia comune accordo tra
tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni danno il nome di riepilogo,
altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare per sommi capi agli
ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli argomenti trattati?
SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da aggiungere sull'arte dei
discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena di dire. SOCRATE:
Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto in piena luce quale
potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e quando. FEDRO: Una
potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del popolo. SOCRATE:
Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro trama non sembra
anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri. SOCRATE: Allora
dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo padre Acumeno e
dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da riscaldarli e
raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli vomitare e
persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento che ho
queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare medico
un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che direbbero
dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche a chi e
quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura? SOCRATE: E se
allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi ha appreso
queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che chiedi»?
FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere
diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato
casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se
uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi
lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande,
commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante
altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di
comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se
uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben
connessi tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo
rimprovererebbero con villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un
uomo che crede di essere esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia
come si fa a produrre il suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe
villanamente: «Disgraziato, tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in
modo più affabile: «Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è
necessario che conosca anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue
capacità non sappia neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni
necessarie e preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO:
Giustissimo. SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte
a loro che conosce i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre
una tragedia, e Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della
medicina, non la scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo
che direbbero Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli
accorgimenti che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per
immagini e tutte le altre cose che abbiamo 18 Platone Fedro scorso
affermando che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come
abbiamo fatto io e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha
scritto queste cose e le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più
saggi di noi, ci lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna
essere aspri, ma indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della
dialettica, non hanno saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza
di questa condizione, possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte,
hanno creduto di averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri
ritengono di averli istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i
loro discepoli debbano procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre
ciascuna di queste cose in maniera convincente e di collegare tutto l'insieme,
come se fosse opera da nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia
proprio un qualcosa del genere cio che concerne l'arte che questi uomini insegnano
e presentano per iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia detto il
vero; ma allora come e dove ci si può procurare l'arte di colui che è veramente
esperto di retorica e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un perfetto
campione della retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che sia
come negli altri campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un
retore famoso, a patto d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una
di queste qualità, resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non
mi sembra che il metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco.
FEDRO: Qual è il metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle
sia stato probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché?
SOCRATE: Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi
celesti sulla natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di
condurre tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle,
oltre alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi,
credo, in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e
giunse alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali
Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per
l'arte dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di
procedere dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE:
In entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra
quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con
arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e
nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù
offrendole discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile
che sia così, Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere la
natura dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura
dell'insieme? FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli
Asclepiadi, senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la natura
del corpo. SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il
discorso con quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO:
Certamente. SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il
discorso vero. Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di
qualsiasi cosa? Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere
esperti noi stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o
multiforme; poi, se è semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua
natura nell'agire e su che cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da
che cosa la subisce, se invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per
ciascuna di esse ciò che si vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è
portata per sua natura ad agire e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire,
che cosa e da che cosa. FEDRO: Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo
privo di questi procedimenti somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece
persegue con arte una qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un
sordo, ma è chiaro che, se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con
arte, dimostrerà puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i
suoi discorsi; e questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE:
Perciò tutto il suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre
persuasione. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e
chiunque altro offra seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà
e farà vedere con la massima precisione l'anima, se per sua natura è una e
tutta uguale o multiforme come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo
è dimostrare la natura di una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo
luogo, in virtù di che cosa è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in
virtù di che cosa è portata a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE:
In terzo luogo, classificati i generi dei discorsi e dell'anima e le loro
proprietà, passerà in rassegna tutte le cause, adattando ciascun genere di
discorso a ciascun genere di anima e insegnando quale anima, da quali discorsi
e per quale causa viene di necessità persuasa, quale invece non viene persuasa.
19 Platone Fedro FEDRO: Sarebbe bellissimo se fosse così, a quanto
pare! SOCRATE: Pertanto, caro, ciò che verrà dimostrato o detto in altro modo
non sarà mai detto o scritto con arte, né su questo né su un altro argomento.
Ma quelli che oggi scrivono le arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono
scaltri, e pur conoscendo molto bene l'anima sono portati a dissimulare;
perciò, prima che parlino e scrivano in questo modo, non lasciamoci convincere
da loro, credendo che scrivano con arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE:
Già usare le espressioni appropriate non è cosa facile; ma per quanto mi è
possibile voglio dirti come bisogna scrivere, se si intende farlo con arte.
FEDRO: Dillo dunque. SOCRATE: Poiché la forza del discorso sta nella guida
delle anime, chi vuole essere esperto di retorica è necessario che sappia
quante forme ha l'anima. Esse sono tantissime e di svariate qualità, e di
conseguenza alcuni uomini sono di un certo tipo, altri di un altro; e dato che
le forme dell'anima risultano così divise, a loro volta sono tantissime anche
le forme dei discorsi, ciascuna di tipo diverso. Per questo motivo gli uomini
di un certo tipo si lasciano facilmente persuadere da discorsi di un certo tipo
su determinati argomenti, mentre gli uomini di un altro tipo, sempre per questo
motivo, sono difficili da persuadere. Perciò chi vuole diventare retore deve
innanzitutto tenere in adeguata considerazione queste cose, poi, osservando il
loro modo di essere e di operare all'atto pratico, dev'essere in grado di
seguirle acutamente con le sue facoltà intellettive, altrimenti non avrà mai
niente più dei discorsi che ascoltava quando frequentava un maestro. E quando
sappia dire in modo adeguato quale genere di uomo viene persuaso e da quali
discorsi, e sia in grado di accorgersi della sua presenza e di provare a se
stesso che si tratta di quell'uomo e di quella natura sulla quale vertevano a
suo tempo i discorsi, e poiché ora è di fatto presente deve riferirle questi
discorsi nella maniera prevista, per persuaderla di determinate cose, una volta
che dunque sia in possesso di tutti questi requisiti, sappia cogliere i momenti
giusti in cui bisogna parlare e quelli in cui bisogna trattenersi e sappia
discernere l'opportunità e l'inopportunità del parlare conciso, commovente o
indignato e di tutte le altre forme di discorso che ha appreso, allora l'arte è
realizzata in modo bello e compiuto, prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi
di queste cose quando parla, insegna o scrive, e afferma di parlare con arte,
vince chi non si lascia persuadere. «E allora?», dirà forse il nostro
scrittore. «Fedro e Socrate, la pensate così? Dobbiamo forse definire in altro
modo l'arte che è detta dei discorsi?». FEDRO: è impossibile in altro modo,
Socrate; eppure sembra un lavoro non da poco. SOCRATE: Hai ragione. Proprio per
questo bisogna rivoltare tutti i discorsi sottosopra ed esaminare se da qualche
parte appare una via più facile e più breve per giungere ad essa, così da non
procedere inutilmente per una via lunga e aspra, quando è possibile percorrerne
una corta e liscia. Ma se hai da qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato
da Lisia o da qualcun altro, cerca di richiamarlo alla memoria e di dirlo.
FEDRO: Così, per fare una prova, potrei, ma non me la sento, almeno adesso.
SOCRATE: Vuoi dunque che io riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni
che si occupano di queste cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro,
si dice che è giusto riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così
anche tu. SOCRATE: Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e
levare così in alto queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come
abbiamo detto anche all'inizio del discorso, chi intende essere sufficientemente
esperto nella retorica non deve certo partecipare della verità circa questioni
giuste e buone, o uomini tali per natura o per educazione, poiché nei tribunali
non importa proprio niente a nessuno della verità su queste cose, ma importa solo
ciò ch'è atto a persuadere: è il verosimile, a cui si deve applicare chi
intende parlare con arte. Talvolta infatti non bisogna neanche esporre i fatti,
a meno che non si siano svolti in maniera verosimile, ma solo quelli
verosimili, sia nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi parla deve
seguire il verosimile, dopo aver detto tanti saluti alla verità; poiché è
appunto questo che, se percorre l'intero discorso, procura tutta quanta l'arte.
FEDRO: Hai esposto, Socrate, proprio le ragioni che adducono quelli che danno a
vedere di essere esperti nell'arte dei discorsi; mi sono ricordato che già in
precedenza abbiamo toccato brevemente tale argomento, e sembra che ciò sia di
enorme importanza per chi si occupa di queste cose. SOCRATE: Sicuramente hai studiato
con precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci dica anche questo, se per
verosimile intende qualcosa di diverso da ciò che sembra ai più. FEDRO: E che
altro? SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a quanto pare, di saggezza e
d'arte insieme, ha scritto che se un uomo debole e coraggioso, che ha percosso
un uomo forte e vile e gli ha portato via il mantello o qualcos'altro, viene
condotto in tribunale, nessuno dei due deve dire la verità, ma il vile deve
asserire di non essere stato percosso dal solo uomo coraggioso, questi deve
confutare ciò ribattendo che erano loro due soli, e servirsi del seguente
argomento: «Come avrei potuto io, data la mia condizione, mettere le mani
addosso a una persona come lui?». L'altro non ammetterà la propria viltà, ma cercando
di dire qualche altra menzogna offrirà subito materia di confutazione
all'avversario. E anche negli altri campi le cose dette con arte sono più o
meno di questo genere. Non è così, Fedro? FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè,
sembra che abbia fatto la scoperta davvero sensazionale di un'arte nascosta,
Tisia o chiunque altro sia e da qualunque luogo si compiaccia di trarre il
nome! Ma a costui, amico, dobbiamo dire o no. FEDRO: Cosa? Platone Fedro
SOCRATE: Questo: «O Tisia, da tempo noi, prima ancora che tu venissi qui, ci
trovavamo a dire che questo verosimile viene a nascere nei più per somiglianza
col vero; e poco fa abbiamo spiegato che chi conosce la verità sa scoprire
benissimo le somiglianze. Perciò, se hai qualcos'altro da dire sull'arte dei
discorsi, lo ascolteremo; altrimenti daremo credito a ciò che abbiamo esposto
or ora, cioè che se uno non enumererà le nature di coloro che lo ascolteranno,
e non sarà in grado di dividere gli esseri secondo le forme e di raccoglierli
uno per uno in un'idea, non sarà mai esperto nell'arte dei discorsi, per quanto
è possibile a un uomo. E non potrà mai acquisire queste capacità senza molta
applicazione; ad essa il sapiente dovrà indirizzare i suoi sforzi non per
parlare e agire con gli uomini, ma per poter dire cose che siano gradite agli
dèi e fare ogni cosa in modo a loro gradito, per quanto è nelle sue facoltà.
Infatti i più saggi tra noi, Tisia, dicono che chi ha intelletto deve prendersi
cura di compiacere non i compagni di schiavitù, se non in modo accessorio, ma i
padroni buoni e che discendono da uomini buoni. Perciò, se la strada è lunga,
non meravigliartene, in quanto per raggiungere grandi traguardi bisogna
percorrerla, non come credi tu. D'altronde, come dice il nostro discorso, anche
queste fatiche diventeranno bellissime grazie a quei traguardi, se uno lo
vuole». FEDRO: Mi pare che si stia parlando in modo bellissimo, Socrate, se
davvero qualcuno ne è capace. SOCRATE: Ma per chi intraprende azioni belle è
bello anche soffrire, qualunque cosa gli tocchi di soffrire. FEDRO: Sicuro.
SOCRATE: Quanto si è detto a proposito dell'arte e della mancanza di arte nel
fare discorsi sia dunque sufficiente. FEDRO: Come no? SOCRATE: Rimane la
questione della convenienza e della non convenienza della scrittura, quando essa
vada bene e quando invece sia sconveniente. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: Sai
allora come, nell'ambito dei discorsi, potrai acquistarti il massimo favore di
un dio con le tue azioni e le tue parole? FEDRO: Per niente. E tu? SOCRATE: Io
posso raccontarti una storia tramandata dagli antichi; il vero essi lo sanno. E
se noi lo trovassimo da soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni
degli uomini? FEDRO: Hai fatto una domanda ridicola! Ma racconta ciò che dici
di aver udito. SOCRATE: Ho sentito dunque raccontare che presso Naucrati, in
Egitto, (64) c'era uno degli antichi dèi del luogo, al quale era sacro
l'uccello che chiamano ibis; il nome della divinità era Theuth. Questi inventò
dapprima i numeri, il calcolo, la geometria e l'astronomia, poi il gioco della
scacchiera e dei dadi, infine anche la scrittura. Re di tutto l'Egitto era
allora Thamus e abitava nella grande città della regione superiore che i Greci
chiamano Tebe Egizia, mentre chiamano il suo dio Ammone.Theuth, recatosi dal
re, gli mostrò le sue arti e disse che dovevano essere trasmesse agli altri
Egizi; Thamus gli chiese quale fosse l'utilità di ciascuna di esse, e mentre
Theuth le passava in rassegna, a seconda che gli sembrasse parlare bene oppure
no, ora disapprovava, ora lodava. Molti, a quanto si racconta, furono i pareri
che Thamus espresse nell'uno e nell'altro senso a Theuth su ciascuna arte, e
sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando poi fu alla scrittura, Theuth disse:
«Questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di
ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco della memoria e della
sapienza». Allora il re rispose: «Ingegnosissimo Theuth, c'è chi sa partorire
le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio sono destinate ad
arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, padre della scrittura, per
benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale. Questa scoperta
infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà nell'anima di
coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della scrittura
ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di dentro e da
se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco non della memoria, ma del
richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza,
non la verità: ascoltando per tuo tramite molte cose senza insegnamento,
crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più le ignorano, e la loro
compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori di opinione anziché
sapienti». FEDRO: Socrate, tu pronunci con facilità discorsi egizi e di
qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E pensa che alcuni, mio caro, hanno
asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona venivano da
una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti come voi
giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una roccia,
purché dicessero il vero; ma forse per te fa differenza chi è colui che parla e
da dove viene. Non miri infatti solamente a questo, se le cose stanno così o
diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e mi sembra che riguardo alla
scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe. SOCRATE: Allora chi crede di
tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua volta la riceve nella
convinzione che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro e di saldo,
dev'essere ricolmo di molta ingenuità e ignorare realmente il vaticinio di
Ammone, se pensa che i discorsi scritti siano qualcosa in più del riportare
alla memoria di chi già sa ciò su cui verte lo scritto. FEDRO: Giustissimo. SOCRATE:
Poiché la scrittura, Fedro, ha questo di potente, e, per la verità, di simile
alla pittura. Le creazioni della pittura ti stanno di fronte come cose vive, ma
se tu rivolgi loro qualche domanda, restano in venerando silenzio. La medesima
cosa vale anche per i discorsi: tu potresti anche credere che parlino come se
avessero qualche pensiero loro proprio, ma se domandi loro qualcosa di ciò che
dicono coll'intenzione di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e Platone
Fedro solo identico. E, una volta che è scritto, tutto quanto il discorso
rotola per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente così come tra
quelle di chi non ha niente da spartire con esso, e non sa a chi deve parlare e
a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno
dell'aiuto del padre, poiché non è capace né di difendersi da sé né di venire
in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche queste tue parole sono giustissime. SOCRATE:
E allora? Vogliamo considerare un altro discorso, fratello legittimo di questo,
in che modo nasce e quanto è per sua natura migliore e più potente di questo?
FEDRO: Qual è questo discorso e come, secondo te, nasce? SOCRATE: è quello che
viene scritto mediante la conoscenza nell'anima di chi apprende; esso è in
grado di difendersi da sé, e sa con chi bisogna parlare e con chi tacere.
FEDRO: Intendi il discorso vivente e animato di chi sa, del quale quello
scritto si può a buon diritto definire un'immagine. SOCRATE: Per l'appunto. Ora
dimmi questo: l'agricoltore che ha senno pianterebbe seriamente d'estate nei
giardini di Adone i semi che gli stessero a cuore e da cui volesse ricavare
frutti; e gioirebbe a vederli crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per
gioco e per la festa, quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui
si è preso cura sul serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli
nel luogo adatto, sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a
compimento in otto mesi? FEDRO: Farebbe così, Socrate: sul serio per gli uni,
diversamente per gli altri, come tu dici. SOCRATE: Dovremo dire che chi
possiede la scienza delle cose giuste, belle e buone abbia meno senno
dell'agricoltore con le sue sementi? FEDRO: Nient'affatto. SOCRATE: Allora non
le scriverà seriamente nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme
a discorsi incapaci di difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare
in modo adeguato la verità. FEDRO: No, almeno non è verosimile. SOCRATE:
Infatti non lo è. Ma a quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura
per gioco, quando li scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria
per se stesso, nel caso giunga «alla vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque
segua la sua stessa orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli
altri faranno altri giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti
fratelli di questi, egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la
vita a dilettarsi in ciò di cui parlo. FEDRO: è un gioco molto bello quello che
dici, Socrate, rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi
coi discorsi, narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli.
SOCRATE: Così è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa,
credo, molto più bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende
un'anima adatta, vi pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che
siano in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non
siano infruttiferi, ma abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di
altri uomini altri discorsi capaci di rendere questa semenza immortale, facendo
sì che chi la possiede sia felice quanto più è possibile per un uomo. FEDRO:
Ciò che dici è molto più bello. SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo,
Fedro, possiamo giudicare quelle altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle
che volevamo indagare e per le quali siamo arrivati a questo punto, ossia
esaminare il rimprovero rivolto a Lisia circa lo scrivere i discorsi e i
discorsi stessi, quali fossero scritti con arte e quali senz'arte. Ciò che è
conforme all'arte e ciò che non lo è mi sembra che sia stato chiarito
opportunamente. FEDRO: Così almeno mi è parso: ma ricordami ancora una volta
come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima uno non conosce il vero riguardo a
ciascun argomento su cui parla o scrive e non è in grado di definire ogni cosa
in se stessa, e una volta che l'ha definita non sa dividerla secondo le sue
specie fino ad arrivare a ciò che non è più divisibile, quindi, dopo aver
scrutato a fondo allo stesso modo la natura dell'anima, trovando la specie
adatta a ciascuna natura non dispone e regola il discorso secondo questo
procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima variegata e dalla piena
armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non sarà possibile, per quanto
è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe dei discorsi né per
insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in precedenza ci ha
chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così . SOCRATE:
Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e scrivere
discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no, non ha
forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo detto?
SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti
d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica,
nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il
biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere
realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero
evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse.
FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su
qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso
con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e
neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere
sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), Platone Fedro
ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per aiutare la memoria di
chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei discorsi sul giusto, sul
bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo scopo di far apprendere e
scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza, compiutezza e pregio di
serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano essere detti suoi come
se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca in sé, nel caso si
trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli di questo, sono
nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il loro valore, e ai
rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro, è probabile che
sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io voglio e mi auguro
in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per quanto riguarda i
discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da Lisia e digli che
noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e abbiamo ascoltato
dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi altri componga
discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o lirica, e in
terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia scritto dei testi
con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste opere sapendo com'è
il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene messo alla prova, e
quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la debolezza di quanto è
stato scritto, una persona del genere non deve essere chiamato col nome di
costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è dedicato con serietà. FEDRO:
Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo sapiente, Fedro, mi sembra
che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un dio; chiamarlo invece
filosofo o con un nome del genere sarebbe a lui più adatto e conveniente.
FEDRO: E niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece non possiede cose di
maggior pregio di quelle che ha composto e ha scritto, rivoltandole su e giù
per lungo tempo, incollandole l'una con l'altra o separandole, non lo dirai a
buon diritto poeta o autore di discorsi o scrittore di leggi? FEDRO: Come no?
SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno! FEDRO: E tu? Cosa farai? Non
bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno. SOCRATE: Chi è costui?
FEDRO: Isocrate il bello. Cosa riferirai a lui, Socrate? Come lo definiremo?
SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro: tuttavia voglio dire ciò che prevedo
di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi sembra che per doti naturali sia migliore
a confronto dei discorsi di Lisia, e che inoltre sia temperato di un'indole più
nobile. Perciò non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se, col procedere
dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora pone mano superasse più che se
fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai discorsi, e se inoltre questo
non gli bastasse, ma uno slancio divino lo spingesse a cose ancora più grandi;
giacché nell'animo di quell'uomo, caro amico, c'è una forma naturale di
filosofia. Pertanto io riferisco queste cose da parte di questi dèi al mio
amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma
andiamo, poiché anche la calura si è fatta più mite. SOCRATE: Non conviene
rivolgere una preghiera a questi dèi prima di metterci in cammino? FEDRO: Come
no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di questo luogo, concedetemi di
diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di fuori sia in accordo con ciò
che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il sapiente e possegga tanto oro
quanto nessun altro, se non chi è temperante, possa prendersi e portar via. Abbiamo
bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da parte mia si è pregato in giusta misura.
FEDRO: Fa' questo augurio anche per me; le cose degli amici sono comuni.
SOCRATE: Andiamo! Platone Fedro Celebre oratore ateniese vissuto tra il
quinto e il quarto secolo a.C., di cui restano orazioni giudiziarie. Il
discorso sull'amore che gli viene attribuito nel dialogo è probabilmente
fittizio. Il padre Cefalo, originario della Sicilia, aveva una fabbrica d'armi
al Pireo; nella sua casa è ambientata la Repubblica. 2) Noto medico dell'epoca.
Epicrate era un oratore democratico; Morico, forse il proprietario precedente
della casa, era un cittadino ateniese che per le sue ricchezze e il suo lusso
divenne frequente bersaglio dei poeti comici. 4) Pindaro, Isthmia 2. Erodico di
Megara, divenuto poi cittadino di Selimbria, era un medico famoso per il suo
regime di vita "salutistico"; Platone lo menziona anche nella
Repubblica e nel Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele,
i cui culti erano caratterizzati da una forte valenza orgiastica. Piccolo fiume
che scorre vicino ad Atene. Il dialogo è immaginato in piena estate, a
mezzogiorno. Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di
Atene; in cambio concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali.
Farmacea, citata poco sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso.
Demo dell'Attica. Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove
aveva sede il più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di
carica. 12) Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati
dall'unione di Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera
era un mostro con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di
serpente. Le Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime
due erano immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo
sguardo, era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato
dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto
Bellerofonte uccise la Chimera) Conosci te stesso è appunto il precetto scritto
nel tempio di Apollo a Delfi) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro, era
un drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al termine di una dura
lotta Zeus lo fulmina e lo scaglia sotto l'Etna. Il suo mito è ricordato in
Esiodo, Theogonia seguenti. Da Tifone ha avuto origine il nome comune indicante
un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco c'è un gioco di parole,
intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene paretimologicamente
accostato al participio di "túpho" ('fumare', 'bruciare') e, tramite
l'aggettivo privativo "atuphos" a "tuphos" ('vanità',
'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa uso più volte di simili giochi
verbali, impossibili da mantenere nella traduzione, per creare paretimologie)
Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei fiumi, Socrate in seguito attribuirà il
dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre ad essere un fiume della Grecia centrale,
era anche dio dei fiumi) Una locuzione simile ricorre in Omero, Iliade) Saffo è
la famosa poetessa lirica di Lesbo, autrice di carmi soprattutto d'amore
omoerotico, divisi dagli Alessandrini in nove libri; di essi ci sono pervenuti
un'ode intera, una quasi completa e parecchi frammenti di varia lunghezza.
Anacreonte di Teo, lirico monodico del sesto secolo, fu autore tra l'altro di
poesie amorose dal tono leggero, di cui restano pochi frammenti. Non è invece
possibile sapere a quali autori in prosa si allude nel passo. Gli arconti
ateniesi, al momento di entrare in carica, giuravano che se avessero
trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a Delfi una statua d'oro
della loro grandezza e peso. Cipselo fu tiranno di Corinto nel sesto secolo e fondò
una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui si allude era forse una statua.
20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro intende che Socrate a sua volta ha
offerto il fianco a una critica. Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler (citato
anche in Meno). 22) Il testo greco gioca sull'assonanza tra "ligús",
'dalla voce melodiosa', e "ligús" 'Ligure' (con lambda maiuscolo).
Questo gioco paretimologico è probabilmente alla base della leggenda secondo
cui i Liguri erano amanti del canto. Socrate istituisce un nesso paretimologico
tra "èros" e "róme" ('forza'). Il ditirambo, componimento
lirico corale associato al culto di Dioniso, ai tempi di Platone era in piena
decadenza. Qui il termine ha una connotazione negativa, indicando una forma di
invasamento non ispirata da "mania" divina, e quindi non mediata dal
logos. L'immagine è ricavata da un gioco fatto con un coccio (óstrakon), nero
da una parte e bianco dall'altra; i giocatori, divisi in due squadre,
sceglievano un colore e a seconda di quello che risultava lanciando il coccio
dovevano fuggire o inseguire. La metafora significa che l'amante, prima
inseguitore, ora fugge l'amato. Simmia, prima pitagorico, poi discepolo di
Socrate, è uno degli interlocutori del Fedone. Ibico, frammnto, Page. Poeta
lirico corale del sesto secolo a.C., di lui restano un'ode e pochi frammenti.
28. Stesicoro, poeta lirico corale, visse nel sesto secolo a.C. Secondo una
leggenda perse la vista per aver accusato Elena di infedeltà in un carme
omonimo e la riacquistò per aver scritto la Palinodia (la 'Ritrattazione'), in
cui sosteneva che Paride non aveva portato a Troia la vera Elena, ma un
fantasma con le sue sembianze; questa versione del mito fu ripresa da Euripide
nell'Elena. Omero invece, non avendo fatto la stessa cosa, rimase cieco. Allo
stesso modo Socrate pronuncerà una ritrattazione del discorso precedente su
Eros, nella quale solleverà il dio dalle accuse che gli aveva mosso. Platone
Fedro) A Delfi, in Beozia, c'era il più famoso santuario di Apollo, che dava i
responsi per bocca della sua sacerdotessa, la Pizia; a Dodona, nell'Epiro,
c'era un santuario di Zeus. Questo nome designava in origine una, in seguito
più sacerdotesse di Apollo, di cui era nota l'ambiguità dei responsi; la più
celebre era la Sibilla di Cuma, in Campania. L'arte divinatoria,
"mantike", viene fatta derivare da "manikos" cioè 'affetto
da mania'; il composto "oionoistike", di invenzione platonica, viene
ricondotto a "oieris" ('opinione', 'credenza'), e accostato a "oionistike",
ovvero l'"arte di trarre gli auspici" dal volo degli uccelli. Il
gioco paretimologico, di cui si è provato a rendere ragione nella traduzione, è
importante in quanto è funzionale al rovesciamento della tesi sostenuta da Lisia.
è il celebre mito dell'anima come una biga alata, metafora complessa e non
facile da interpretare. Se infatti l'auriga rappresenta palesemente la ragione,
non è del tutto chiaro il significato dei due cavalli; è poco soddisfacente
l'interpretazione tradizionale, secondo cui il cavallo nero rappresenterebbe
l'anima concupiscibile, quello bianco l'anima impulsiva, e l'intera immagine
sarebbe da intendere come la tripartizione dell'anima che Platone teorizza
nella Repubblica (libri 4 e 9). Infatti nel Timeo si dice che anima
concupiscibile e anima impulsiva sono mortali, mentre qui i due cavalli fanno
parte proprio della struttura dell'anima immortale, come prova anche il fatto
che essi si nutrono di nettare e ambrosia, cibo e bevanda degli dèi, e che tale
struttura è comune sia all'anima umana sia a quella divina. è preferibile
pensare che i cavalli indichino due componenti opposte connaturate comunque
all'anima immortale, che l'auriga ha la funzione di conciliare per trovare un
equilibrio. 33) Estia, dea del focolare, nella cosmologia antica veniva
identificata col centro dell'universo, che era immobile; per questo essa, unica
tra gli dèi, non viaggia per il cielo. Le divinità che guidano le dodici
schiere sono probabilmente quelle olimpiche. 34) L'Iperuranio, il luogo 'oltre
il cielo', è il mondo delle Idee. Luogo metafisico, immagine della sfera
dell'intelligibile che nella sua immutabilità trascende la realtà sensibile,
esso è raggiungibile solo dell'anima. Adrastea, letteralmente 'l'inevitabile',
in questo caso è una personificazione del destino; in Repubblica (libro 5)
impersonifica invece la vendetta. Viene qui esposto il destino escatologico
delle anime e la teoria della metempsicosi, argomento che ha una più ampia
trattazione con il mito di Er nel libro decimo della Repubblica. Nel Fedro
l'assegnazione della vita futura è strettamente determinata dalla misura in cui
le anime hanno contemplato la pianura della verità prima di tornare sulla
terra, poiché ad esso corrisponde il grado di verità connesso alla vita in cui
si reincarnano. Altro gioco verbale basato su una paretimologia il termine
"imeros" ('desiderio'), collegato per assonanza ad Eros, viene fatto
derivare da i-, radice di "eiri" ('andare'), "mer-" radice
di "méros" ('parte'), "ro-", radice di "roé"
('flusso'). Gli Omeridi erano una scuola di aedi nell'isola di Chio che la
tradizione voleva fondata dallo stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i
poemi segreti cui si allude ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è
un gioco di parole tra "Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente
coniato da "pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi
omerici (Iliade, versi; libro, verso; libro, verso in cui si dice che gli dèi
chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è impossibile conservare
nella traduzione il gioco tra il genitivo "Diós" ('di Zeus') e
l'aggettivo "dios", solitamente reso con 'splendente' o 'divino'. Le
Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di Dioniso. Zeus, innamorato di GANIMEDE,
bellissimo fanciullo frigio, in forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece
il coppiere degli dèi. Per il gioco linguistico su "imeros". L'espressione
significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di
per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre
una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il
senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre
differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta
bisognava atterrare l'avversario tre volte) Figlio di Cefalo e fratello di
Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. Ad Atene
la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che obbligava
l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio, avevano fatto
nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'), che preparava
su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni di Lisia sono
appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il termine ha nel
contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto equiparato a
sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai compensi che i
sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. L'espressine, un po' enigmatica,
significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata una difficile.
Figura storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la tradizione, il
legislatore di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i sette saggi,
Solone attuò, durante il suo arcontato, una riforma dello stato ateniese che
prevedeva la divisione dei cittadini in classi in base al censo. Dario, re di
Persia., fu il promotore della prima guerra greco-persiana. Il mito che segue è
probabilmente creazione platonica. Il canto delle cicale è metafora
dell'ispirazione a comporre discorsi ma anche del rischio, da parte
dell'ascoltatore, di lasciarsene ammaliare senza sottoporli a vaglio critico,
un atteggiamento passivo che le cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e
le Muse, non approvano. Sulla scia del catalogo esiodeo (Theogonia), le Muse
qui citate hanno nomi parlanti Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato
è connessa con Eros, Calliope è 'dalla bella voce', Urania 'la celeste'.
Platone Fedro) Omero, Iliade. Per Spartano qui si intende semplicemente una
persona che dice la verità in modo franco e lapidario. I "figli" di
Fedro sono i discorsi che ha indotto gli altri a fare. 51) Nestore, il più
vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era famoso per la sua eloquenza persuasiva.
Abile, e soprattutto astuto parlatore era notoriamente Odisseo. Anche Palamede,
l'eroe che smascherò un tentativo di Odisseo di non partecipare alla guerra di
Troia, era fornito di capacità oratorie. LEONZIO (si veda) fu uno dei
principali esponenti della sofistica; a lui è dedicato l'omonimo dialogo di
Platone. Delle sue numerose opere restano pochi ma significativi frammenti. Il
sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto nel quinto secolo a.C., è uno dei
personaggi della Repubblica, dove difende in modo combattivo la sua idea della
giustizia come diritto del più forte. Teodoro di Bisanzio, attivo nella seconda
metà del quinto secolo a.C., scrisse un trattato di retorica. Allusione ironica
a Zenone di VELIA (si veda) e ai paradossi con i quali cerca di confutare
dialetticamente i concetti di molteplicità e movimento; famosi sono i paradossi
della freccia e di Achille e la tartaruga. Mida era il leggendario re della
Frigia che per avidità di ricchezze chiese e ottenne da Dioniso di poter
trasformare in oro tutto ciò che toccava; ma poiché anche tutto ciò che voleva
mangiare o bere diventava oro, pregò il dio di liberarlo da questo dono
funesto. L'epigramma citato è attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette
saggi. Poeta e sofista contemporaneo di Socrate. Tisia fu maestro di Gorgia e
iniziatore, assieme a Corace, della scuola retorica siciliana. Prodico di Ceo,
uno dei più importanti esponenti della sofistica, discepolo di Protagora e
maestro di Socrate. Ippia di Elide, il
celebre sofista da cui prendono il titolo due dialoghi di Platone. Polo di
Agrigento e Licimnio di Chio furono discepoli di Gorgia; il primo è uno dei
protagonisti del Gorgia di Platone. Nel passo si allude probabilmente a opere
di retorica dei due sofisti, come poco sotto a proposito di Protagora.
Protagora di Abdera, protagonista dell'omonimo dialogo Platonico, visse ad
Atene nell'età periclea. Considerato il principale esponente della sofistica, è
ricordato soprattutto per il suo agnosticismo religioso, che gli valse una
condanna per empietà, e il suo relativismo, sintetizzato nella massima «l'uomo
è misura di tutte le cose». Nulla ci rimane delle sue numerose opere) Adrasto,
il re di Argo che guidò la spedizione dei sette contro Tebe, è rappresentato da
Eschilo nelle Supplici come abile oratore; l'epiteto «voce di miele» gli è già
riferito da Tirteo (frammento, Gentili-Prato). Adrasto è qui usato come
eteronimo di un personaggio contemporaneo, forse un sofista. Anche Pericle, lo
statista ateniese del quinto secolo che radicalizzò il processo democratico
della polis portandola al massimo splendore, è qui ricordato, con un tocco
d'ironia, per le sue capacità oratorie) Anassagora di Clazomene visse per molti
anni ad Atene, dove ebbe come discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto
cardinale del suo pensiero è l'esistenza di un principio razionale che dà ordine
al mondo, da lui chiamato "nous" ('intelletto'). Ippocrate di Cos fu
il fondatore della medicina antica; l'epiteto di Asclepiade deriva da Asclepio,
dio della medicina. Di lui e dei suoi discepoli resta un considerevole numero
di scritti riuniti nel cosiddetto corpus Hippocraticum. 64) Città sul delta del
Nilo, sede di un emporio commerciale greco.) Theuth o Thoth era il dio egizio
dell'invenzione,che i Greci identificavano con Ermes; rappresentato con la
testa di ibis, era scriba nel tribunale dei morti. Con questo mito Platone
assegna alla scrittura un valore puramente "ipomnematico", ovvero la
considera un mero supporto alla memoria, e non veicolo di sapienza; la
trasmissione del vero sapere resta per lui affidata all'oralità dialettica) «La
regione superiore» è l'alto corso del Nilo. Thamus, leggendario re dell'Egitto,
viene considerato un eteronimo dello stesso Ammone, una delle principali
divinità egizie, venerata da una potente casta sacerdotale e identificata dai
Greci con Zeus; poco sotto infatti, la risposta da lui data a Theuth è chiamata
«vaticinio di Ammone») I «giardini di Adone» erano recipienti in cui d'estate
si piantavano semi che nascevano entro otto giorni e subito morivano; il rito
simboleggiava la morte prematura di Adone, il bellissimo giovane amato da
Afrodite. Allo stesso modo i «giardini di scrittura», ovvero i discorsi
scritti, devono essere intesi come una forma di gioco, poiché i veri discorsi
latori di verità sono affidati alla dimensione orale. 68) Citazione poetica di
autore ignoto) Il retore Isocrate fondò ad Atene una scuola in competizione con
l'Accademia platonica; di lui restano orazioni. Isocrate era fautore di
un'alleanza di tutte le città greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in
vista di una spedizione contro i Persiani) Pan, figlio di Ermes, era la
principale divinità agreste del pantheon greco, venerata soprattutto in
Arcadia; presiedeva alla pastorizia e per questo era rappresentato con
sembianze caprine. Pan compare già come protettore del luogo assieme alle Ninfe,
e per questo Socrate gli rivolge la preghiera conclusiva. «Oro» è da intendersi
in senso metaforico come ricchezza della sapienza. Wikipedia Ricerca
Orfeo personaggio della mitologia greca Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Orfeo
(disambigua). Orfeo - Orfeo (epoca romana) - Foto G. Dall'Orto.jpg Orfeo
circondato dagli animali. Mosaico pavimentale romano, Museo archeologico
regionale di Palermo. Nome orig.Ὀρφεύς Specieumana SessoMaschio Luogo di
nascitaTracia Professionecantore e argonauta Orfeo (Ὀρφεύς [or.pʰeú̯s]:
Orpheus) è un personaggio della mitologia greca. Bassorilievo in marmo di
epoca romana, copia di originale greco, che rappresenta Ermes, Euridice e
Orfeo. L'opera originale, probabilmente di Alcamene, è andata perduta. Questo
bassorilievo, conservato presso il Museo archeologico di Napoli, è tra le
testimonianze che attesterebbero l'esito negativo della catabasi di Orfeo già a
partire dal V secolo a.C. Qui Orfeo voltatosi verso Euridice, le alza il velo,
forse per verificare l'identità della donna e quindi la perde. Secondo
l'opinione di Cristopher Riedweg sarebbe infatti evidente che Ermes a questo
punto trattenga per un braccio la sposa di Orfeo, che volge quindi il piede destro
per tornare indietro. Orfeo ritratto in un kratēr (κρατήρ) attico a
figure rosse risalente al V secolo a.C. e oggi conservato presso il
Metropolitan Museum di New York. Orfeo, che siede a sinistra impugnando la lira
(λύρα), veste un abito tipicamente greco, a differenza dell'uomo che gli si
pone in piedi davanti che invece indossa un costume tracio. Questo particolare,
unitamente alla presenza, a destra, della donna che impugna una piccola falce,
può rappresentare una delle varianti della sua leggenda che lo vuole
missionario greco in Tracia, ucciso lì dalle donne in quanto escludendole dai
suoi riti induceva i loro mariti ad abbandonarle: «Dicono poi che le
donne di Tracia tramavano la sua morte, perché aveva persuaso i loro uomini a
seguirlo nei suoi vagabondaggi, ma non osavano passare all'azione per paura dei
loro mariti. Ma una volta, riempitesi di vino, attuarono la scellerata impresa.
E da quel momento invalse per gli uomini il costume di andare ebbri alle
battaglie.» (Pausania, Periegesi della Grecia) Mappa dei luoghi che,
secondo la mitologia, Orfeo avrebbe visitato e legato a sé. Il nome di Orfeo è
attestato a partire dal VI secolo a.C., ma, secondo Mircea Eliade, «non è
difficile immaginare che sia vissuto 'prima di Omero'». Si tratta dell'artista
per eccellenza, che dell'arte incarna i valori eterni, ma anche di uno
«sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima
lungo gli oscuri sentieri della morte»[7], fondatore dell'Orfismo. I molteplici
temi chiamati in causa dal suo mito - l'amore, l'arte, l'elemento misterico -
sono alla base di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria,
filosofica, musicale, culturale e scultorea dei secoli successivi. Orfeo
e l'Orfismo Il primo riferimento a noi pervenuto sulla figura di Orfeo è nel
frammento del lirico di Rhegion (REGGIO (si veda) Reggio Calabria) Ibico
vissuto nella Magna Grecia, nel quale appare già famoso. Attorno alla sua
figura mitica, capace di incantare persino gli animali, si assesta una
tradizione che non gli attribuisce un normale modo di fare musica, bensì la
psychagogia, che si estende alle anime dei morti. Il papiro di Derveni,
rinvenuto vicino a Salonicco, offre un'interpretazione allegorica di un poema
orfico non a caso in concomitanza con un rituale per placare i morti.
Associato alla figura di Dioniso, divorato dai Titani con i quali rappresenta,
da un lato la componente dionisiaca della vita –ossia l'elemento divino o
"anima"– e dall'altro il corpo mortale, Orfeo è la figura centrale
dell'Orfismo, una tradizione religiosa che, per prima nel mondo occidentale,
introduce la nozione di dualità fra corpo mortale e anima immortale. Il
mito Orfeo ucciso dalle menadi, in uno stamnos a figure rosse, conservato
al Museo del Louvre di Parigi. Questo dipinto racconta la morte di Orfeo
secondo il mito che lo vuole ucciso dalle seguaci di Dioniso, da questo dio a
lui inviate in quanto mosso dalla gelosia per l'ardore religioso che il poeta
conservava nei confronti di Apollo, da lui invocato sul monte Pangaio (anche
Pangeo) quando il sole, immagine di Apollo, sorgeva: «[Orfeo] Non onorò
più Dioniso, mentre considerò più grande Elio, che egli chiamò anche Apollo; e
svegliandosi la notte sul far del mattino, per prima cosa aspettava il sorgere
del sole sul monte chiamato Pangeo per vedere Elio; perciò Dioniso, adirato,
gli inviò contro le Bassaridi, come racconta il poeta tragico Eschilo: esse lo
dilaniarono e ne gettarono via le membra, ciascuna separatamente; le Muse poi
riunitele, le seppellirono nel luogo chiamato Libetra.» (fr. in
Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern; traduzione di Elena
Verzura. Milano, Bompiani) Le originiModifica Ulteriori informazioni Questa
voce o sezione sugli argomenti religione e mitologia greca è priva o carente di
note e riferimenti bibliografici puntuali. Secondo le più antiche fonti Orfeo è
nativo della città di Lebetra in Tracia, situata sotto la Pieria, terra nella
quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che
fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici
operanti sul mondo della natura, capaci tra l'altro di provocare uno stato di
trance tramite la musica. Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio
Eagro (o, secondo altre versioni meno accreditate, del dio Apollo), appartiene
alla generazione precedente degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia,
tra i quali ci sarebbe stato il cugino Reso. Secondo un'altra versione Orfeo fu
il sesto discendente di Atlante e nacque undici generazioni prima della guerra
di Troia. Egli, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto,
placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura.
Gli è spesso associato, come figlio o allievo, Museo. Orfeo fonde in sé
gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il
pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale,
benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso;
in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo
naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della
natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono
evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi di una
fanciulla (Euridice nel caso di Orfeo e la madre Semele in quello di Dioniso).
Orfeo domina la natura selvaggia e può addirittura sconfiggere la morte
temporaneamente (anche se alla fine viene sconfitto perdendo la persona che
doveva salvare, a differenza di Dioniso). La letteratura, d'altra parte,
mostra la figura di Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la perdita
dell'amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver
assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il
canto; tornato dagli Inferi, Orfeo abbandona il culto del dio
Dionisorinunciando all'amore eterosessuale. In tale contesto si innamora
profondamente di Calaide, figlio di Borea, e insegna l'amore omosessuale ai
Traci. Per questo motivo, le Baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti
per non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi
(vedi: Fanocle). Nella versione del mito contenuta nelle Georgiche di
Virgiliola causa della sua morte è invece da ricercarsi nell'ira delle Baccanti
per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte di Euridice.
Le imprese di Orfeo e la sua morteModifica Le ninfe ritrovano la testa di
Orfeo di Waterhouse. Secondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione
degli Argonauti: durante la spedizione Orfeo diede innumerevoli prove della
forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la
lira e con il canto fece salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco,
diede coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placò a Cizico l'ira di Rea, fermò
le rocce semoventi alle Simplegadi, addormentò il drago e superò la potenza
ammaliante delle sirene. La sua fama è legata però soprattutto alla
tragica vicenda d'amore che lo vide separato dalla driadeEuridice, che era sua
moglie. Come Virgilio narra nelle Georgiche, Aristeo, uno dei tanti figli di
Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non fosse
corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno
ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la uccise col suo
morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi per riportarla nel
mondo dei vivi. Raggiunto lo Stige, fu dapprima fermato da Caronte: Orfeo, per
oltrepassare il fiume, incantò il traghettatore con la sua musica. Sempre con
la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell'Ade. Raggiunse poi la prigione
di Issione, che, per aver desiderato Era, era stato condannato da Zeus a essere
legato a una ruota che avrebbe girato all'infinito: Orfeo, cedendo alle
suppliche dell'uomo, decise di usare la lira per fermare momentaneamente la
ruota, che, una volta che il musico smise di suonare, cominciò di nuovo a
girare. L'ultimo ostacolo che si presentò fu la prigione del crudele semidio
Tantalo, che aveva ucciso il figlio Pelope (antenato di Agamennone) per dare la
sua carne agli dei e aveva rubato l'Ambrosia per darla agli uomini. Qui,
Tantalo è condannato a rimanere legato a un albero carico di frutta ed immerso
fino al mento nell'acqua: ogni volta che prova a bere, l'acqua si abbassa,
mentre ogni volta che cerca di prendere i frutti con la bocca, i rami si
alzano. Tantalo chiede quindi a Orfeo di suonare la lira per far fermare
l'acqua e i frutti. Suonando però, anche il suppliziato rimane immobilizzato e
quindi, non potendo sfamarsi, continua il suo tormento. A questo punto l'eroe
scese una scalinata di 1000 gradini: si trovò così al centro del mondo oscuro,
e i demoni si sorpresero nel vederlo. Una volta raggiunta la sala del trono
degli Inferi, Orfeo incontrò Ade (Plutone) e Persefone (Proserpina).
Ovidio racconta nel decimo libro delle Metamorfosi come Orfeo, per addolcirli,
diede voce alla lira e al canto. Il discorso di Orfeo fece leva sulla
commozione, richiamando alla gioventù perduta di Euridice e l'enfasi sulla
forza di un amore impossibile da dimenticare e sullo straziante dolore che la
morte dell'amata ha provocato. Orfeo assicurò anche che, quando fosse venuta la
sua ora, Euridice sarebbe tornata nell'Ade come tutti. A questo punto Orfeo
rimase immobile, pronto a non muoversi finché non fosse stato
accontentato. Paesaggio con Orfeo ed Euridice di Poussin. Mossi
dalla commozione, che colse persino le Erinnistesse, Ade e Persefone
acconsentirono al desiderio. «Intonando al canto le corde della lira, così
disse: «O dei, che vivete nel mondo degl’Inferi, dove noi tutti, esseri
mortali, dobbiamo finire, se è lecito e consentite che dica il vero, senza i
sotterfugi di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare le tenebre
del Tartaro o per stringere in catene le tre gole, irte di serpenti, del mostro
che discende da Medusa. Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva
calpestato, in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso.
Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato: ha vinto Amore!
Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo; se lo sia anche qui, non so, ma
almeno io lo spero: se non è inventata la novella di quell’antico rapimento,
anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi, per questo immane
abisso, per i silenzi di questo immenso regno, vi prego, ritessete il destino
anzitempo infranto di Euridice! Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per
la prima volta si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore,
regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera, e
chiamarono Euridice.» (Ovidio, Metamorfosi) Essi posero però la
condizione che Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino
fino all'uscita dell'Ade senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla
soglia degli Inferi, temendo che lei non lo stesse più seguendo, Orfeo non
riuscì più a resistere al dubbio e si voltò per assicurarsi che la moglie lo
stesse seguendo. Avendo rotto la promessa, Euridice viene riportata all'istante
nell'Oltretomba. Orfeo, tornato sulla terra, espresse il dolore fino ai
limiti delle possibilità artistiche, incantando nuovamente le fiere e animando
gli alberi. Pianse per sette mesi ininterrottamente, secondo VIRGILIO (si veda),
]mentre Ovidio riduce il numero a sette giorni. Sa che non potrà amare più
nessun'altra, e malgrado ciò molte ambiscono a unirsi a lui. Secondo la
versione virgiliana le donne dei Ciconi videro che la fedeltà del Trace nei
confronti della moglie morta non si piegava; allora, in preda all'ira e ai
culti bacchici cui erano devote, lo fecero a pezzi (il famoso sparagmòs) e ne
sparsero i resti per la campagna. Un po' diversa è la rivisitazione del poeta
sulmonese, che aggiunge un tassello alla reazione anti-femminile di Orfeo,
coinvolgendo il cantore nella fondazione dell'amore omoerotico (questo elemento
non è di invenzione ovidiana visto che ne abbiamo attestazione già nel poeta
alessandrino Fanocle). Orfeo avrebbe quindi ripiegato sull'amore per i
fanciulli, facendo innamorare anche i mariti delle donne di Tracia, che
venivano così trascurate. Le Menadi si infuriarono dilaniando il poeta,
nutrendosi anche di parte del suo corpo, in una scena ben più cruda di quella
virgiliana. Piatto con Orfeo circondato da animali presso il Museo
Romano-Germanico di Colonia. In entrambi i poeti si narra che la testa di Orfeo
finì nel fiume Ebro, dove continuò prodigiosamente a cantare, simbolo
dell'immortalità dell'arte, scendendo (qui solo OVIDIO (si veda)) fino al mare
e da qui alle rive di Metimna, presso l'isola di Lesbo, dove Febo Apollo la
protesse da un serpente che le si era avventato contro. Il sofista del III
secolo Filostrato nell'Eroico racconta che la testa di Orfeo, giunta a Lesbo
dopo il delitto commesso dalle donne, stava in una grotta dell'isola e aveva il
potere di dare oracoli. Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero
stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Tornando a
Ovidio, eccoci al punto culminante dell'avventura, forse inaspettato; Orfeo
ritrova Euridice fra le anime pie, e qui potrà guardarla senza più temere. Orfeo
vede ora scomparire Euridice e si dispera, perché sa che non la vedrà più.
Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un
gruppo di Baccanti ubriache, poi, lo invita a partecipare a un'orgia
dionisiaca. Per tener fede a ciò che ha detto, rinuncia, ed è proprio questo
che porta anche lui alla morte: le Baccanti, infuriate, lo uccidono, lo fanno a
pezzi e gettano la sua testa nel fiume Evros, insieme alla sua lira. La testa
cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus,
toccato da questo evento commovente, prende la lira e la mette in cielo
formando una costellazione (la quale in alternativa, secondo le Fabulae di
Igino, sarebbe non la lira di Orfeo ma quella di Arione). Secondo quanto
afferma Virgilio nel sesto libro dell'Eneide, l'anima di Orfeo venne accolta
nei Campi Elisi. Evoluzione del mitoModifica Ragazza tracia con la
testa di Orfeo, di Moreau. «Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo
traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la
pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora
dissi "sia finita" e mi voltai» (Orfeo ne L'inconsolabile di
Cesare Pavese, dai Dialoghi con Leucò, Einaudi 1947) Il mito di Orfeo nasce
forse come mito di fertilità, come è possibile desumere dagli elementi del
riscatto della Kore e dello σπαραγμος (sparagmòs) al greco antico "corpo
fatto a pezzi") che subisce il corpo di Orfeo, elementi che indicano il
riportare la vita sulla terra dopo l'inverno. La prima attestazione di
Orfeo è nel poeta IBICO (si veda) di REGGIO (si veda), che parla di Orfeo dal
nome famoso. In seguito Eschilo, nella tragedia perduta Le bassaridi, fornisce
le prime informazioni attinenti alla catabasi di Orfeo. Importanti anche i
riferimenti di Euripide, che in Ifigenia in Aulide e ne Le baccantirende
manifesta la potenza suasoria dell'arte di Orfeo, mentre nell'Alcesti spuntano
indizi che portano in direzione di un Orfeo trionfatore. La linea del lieto
fine, sconosciuta ai più, non si limita a Euripide, dato che è possibile
intuirla anche in Isocrate (Busiride) e in Ermesianatte (Leonzio). Altri due
autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse
versioni di esso sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio. Nel
discorso di Fedro, contenuto nell'opera Simposio, Platone inserisce Orfeo nella
schiera dei sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non per
esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa, non dell'episteme. Per
questa ragione gli viene consegnato dagli dèi degli inferi un phasma di
Euridice; inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti
poiché il suo eros è falso come il suo logos. La sua stessa morte ha carattere
antieroico poiché ha voluto sovvertire le leggi divine penetrando vivo
nell'Ade, non osando morire per amore. Il phasma di Euridice simboleggia
l'inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza
che può essere conseguita solo tramite le forme superiori dell'eros. Apollonio
Rodio inserisce il personaggio di Orfeo nelle Argonautiche, presentato anche
qui come un eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. Il ruolo
attribuito a Orfeo esprime la visione che del poeta hanno gli alessandrini:
attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il
poeta è in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito è
emblematico l'episodio nel quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra
gli argonauti cantando una personale cosmogonia. Nell'Alto Medioevo
Boezio, nel De consolatione philosophiae, pone Orfeo a emblema dell'uomo che si
chiude al trascendente, mentre il suo sguardo, come quello della moglie di Lot,
rappresenta l'attaccamento ai beni terreni. Nei secoli successivi, tuttavia, il
Medioevo vedrà in Orfeo un'autentica figura Christi, considerando la sua
discesa agli Inferi come un'anticipazione di quella del Signore, e il cantore
come un trionfante lottatore contro il male e il demonio (così anche più tardi,
con El divino Orfeo di Barca). Dante lo colloca nel Limbo, nel castello degli
"spiriti magni" (Inf.). Compare la prima rivoluzionaria
avvisaglia di un tema che sarà caro soprattutto al secolo successivo: il
respicere di Orfeo non è più frutto di un destino avverso o di un errore, ma
matura da una precisa volontà, ora sua, ora d'Euridice. Nel componimento
Euridice a Orfeo del poeta inglese Robert Browning, lei gli urla di voltarsi
per abbracciare in quello sguardo l'immensità del tutto, in una empatia tale da
rendere superfluo qualsiasi futuro. Il XX secolo si è appropriato della
tesi secondo cui il gesto di Orfeo sarebbe stato volontario. Come è d'uopo, i
primi casi non sono italiani. Jean Cocteau, ossessionato da questo mito lungo
tutta la propria parabola artistica, diede alle stampe il proprio singolare
Orfeo, opera teatrale che è alla base di tutte le rivisitazioni successive. Qui
Orfeo capovolge il mito; decide di congiungersi con Euridice tra i morti,
perché l'al di qua ha ormai reso impossibile l'amore e la pace. Laggiù non ci
sono più rischi. Gli fa eco il connazionale Jean Anouilh, in un'opera pur molto
diversa, ma concorde nel vedere la morte come unica via di fuga e di
realizzazione del proprio sogno d'amore: si tratta di Eurydice. Nel
dialogo pavesiano L'inconsolabile (Dialoghi con Leucò), Orfeo si confida con
Bacca: trova sé stesso nel Nulla che intravede nel regno dei morti e che lo
sgancia da ogni esigenza terrena. Totalmente estraneo alla vita, egli ha
compiuto il proprio destino. Euridice, al pari di tutto il resto, non conta più
nulla per lui, e non potrebbe che traviarlo da siffatta realizzazione di sé: ha
nelle fattezze ormai il gelo della morte che ha conosciuto, e non rappresenta
più l'infanzia innocente con cui il poeta l'identificava. Voltarsi diviene
un'esigenza ineludibile. «L'Euridice che ho pianto era una stagione della
vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice
non sa. L'ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre
irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefone nascondersi il volto,
lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare.
Ho capito che i morti non sono più nulla» Più cinico, l'Orfeo delineato
da Bufalino intona, al momento del "respicere", la famosa aria
dell'opera di Gluck (Che farò senza Euridice?). La donna così capisce: il gesto
era stato premeditato, nell'intenzione di acquisire gloria personale attraverso
una (finta) espressione del dolore, in un'esaltazione delle proprie capacità
artistiche. Opere in cui appare o è trattata la sua figura Letteratura Simposio
(discorso di Fedro) - opera filosofica di Platone. Argonautiche - poema epico
di Apollonio Rodio. Elegia n.1 Powell - Orfeo e Calais - elegia contenuta ne
Gli amori o i belli di Fanocle. Georgiche - poema di Virgilio. Eneide - poema
di Virgilio (Orfeo è tra gli spiriti dei Campi Elisi; Virgilio lo chiama
sacerdote di Tracia, senza dunque nominarlo) Metamorfosi - poema di Ovidio.
Fabula di Orfeo - Opera teatrale di Angiolo Poliziano. Orfeo - idillio di
Marino. Euridice ad Orfeo - epistola lirica di Antonio Bruni. Sonetti a Orfeo -
raccolta poetica di Rainer Maria Rilke. Orfeo, Euridice ed Hermes - poesia di
Rainer Maria Rilke La persuasione e la rettorica - saggio di Carlo
Michelstaedter (il rimando al mito di Orfeo è centrale anche nel ciclo di
poesie A Senia, del medesimo Michelstaedter). Canti orfici - raccolta poetica
di Dino Campana. Orfeo Vedovo - opera teatrale di Alberto Savinio. Tutte le
cosmicomiche di Italo Calvino (racconti Senza Colori, Il cielo di pietra,
L'altra Euridice). Il ritorno di Euridice (da L'uomo invaso) - racconto di
Gesualdo Bufalino. Eurydice to Orpheus - poesia di Robert Browning. Eurydice
(da Collected Poems) - poesia di Doolittle. Orphée - opera teatrale di Jean
Cocteau. Eurydice - opera teatrale di Jean Anouilh. Orfeo - poema di Juan
Martinez Jáuregui. Racconto di Orfeo - poema di Robert Henryson (o Henderson).
Bestiaire ou Le cortège d'Orphée - raccolta poetica di Guillaume Apollinaire.
La presenza di Orfeo - prima raccolta poetica di Alda Merini. Orfeo emerso -
romanzo di Jack Kerouac. La terra sotto i suoi piedi - romanzo di Salman
Rushdie. Il lamento d'Orfeo - opera teatrale di Valentino Bompiani. Dialoghi
con Leucò - raccolta di racconti di Cesare Pavese (Orfeo appare nel dialogo
L'inconsolabile). La discesa di Orfeo (Orpheus Descending), opera teatrale di
Williams. La Saga dei Mitago - Il Tempio Verde - di Robert Holdstock. Orfeo
africano - romanzo breve di Werewere Liking. Lei dunque capirà - monologo di
Claudio Magris. Orpheus - opera teatrale di Giuliano Angeletti.
"Schatten" Euridyke sagt - opera teatrale di Elfriede Jelinek Poema a
fumetti, (racconto per immagini del mito di Orfeo in chiave moderna) di Buzzati,
Mondadori. La Musica, Orfeo, Euridice – Il mitema e l'adeguamento al
contemporaneo, di Francesca Bonaita, Virginio Cremona Editore Orfeo
sconsacrato. Viaggio nelle vite di Orfeo, Danilo Laccetti, Jouvence, Musica Lo
stesso argomento in dettaglio: Orfeo (musica). Euridice (opera) - opere
teatrali su libretto di Rinuccini musicate da Iacopo Peri e da Giulio Caccini
(1600). L'Orfeo - Melodramma di Monteverdi. Orfeo dolente - Opera musicale di Domenico
Belli. La morte di Orfeo - Tragicommedia pastorale di Landi. Orfeus und
Euridice - Opera-ballo di Schütz. Orfeo - Opera musicale di Rossi Orfeo (Sartorio) - Opera musicale di Antonio
Sartorio, su libretto d’Aureli Orfeo - Opera musicale di Jean-Baptiste Lully e
Louis Lully. Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Gluck. Orfeo ed Euridice -
Ballo di Deller. Orfeo ed Euridice - Opera lirica di Naumann. L'anima del
filosofo ossia Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Haydn. Orpheus - Poema
sinfonico di Liszt. Orfeo all'inferno - Operetta di Offenbach. Orfeo -
Mimodramma di Ducasse. Orpheus und Eurydike - Opera lirica di Krenek. La favola
di Orfeo - Opera in un atto di Casella Orpheus - Balletto di Stravinskij. Orfeu
da Conceiçāo - Dramma musicale di Moraes. Orfeo - Opera rock di Schipa Jr.
Orpheus - Canzone di David Sylvian contenuta nell'album Secrets of the Beehive.
Euridice - Canzone di Roberto Vecchioni dall'album Blumùn Orfeo - Singolo di
Carmen Consoli contenuta nell'album Stato di necessità. Orfeo a Fumetti - Opera
da camera di Filippo del Corno. Abattoir Blues/The Lyre of Orpheus – album di Cave and The Bad Seeds,
che contiene la traccia The Lyre Of Orpheus. Metamorpheus - Concept album dedicato al mito di
Orfeo di Hackett. Eurydice - singolo d'esordio del progetto Sleepthief. Orfeo
Coatto - Mp3dramma di Francesco Redig de Campos. Caliti junku, canzone
dell'album Apriti sesamo di Battiato. Awful Sound (Oh Eurydice) e It's Never
Over (Hey Orpheus), canzoni dell'album Reflektor degli Arcade Fire. King of Shadows - track 1
dell'album R-Evolution - Martiria featuring ex Black Sabbath Vinny Appice. Pittura Orfeo morto - Dipinto di Delville. Le ninfe
ritrovano la testa di Orfeo - Dipinto di Waterhouse. Orfeo - Dipinto di
Tintoretto. Orfeo solitario - Dipinto di Chirico Orfeo all'inferno - Dipinto di
Rubens. La leggenda di Orfeo - Trittico di Luigi Bonazza. Ragazza tracia con la
testa di Orfeo - Dipinto di Gustave Moreau. Orfeo - Dipinto di Pierre
Marcel-Béronneau Scultura La morte di Orfeo di Michele Tripisciano a
Caltanissetta. Orfeo, Euridice ed Hermes - Rilievo fidiaco. Orfeo, formella di
Luca della Robbia per il Campanile di Giotto. Orfeo ed Euridice, scultura di
Auguste Rodin, New York, Metropolitan Museum of Art. La morte di Orfeo scultura
di Michele Tripisciano, Caltanissetta, Museo Tripisciano di Palazzo Moncada.
Cinema Le sang d'un poète, di Jean Cocteau Orfeo (Orphée), di Cocteau Il
testamento di Orfeo (Le Testament d'Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi!),
di Cocteau Pelle di serpente (The fugitive kind) di Sidney Lumet, dal dramma di
Tennessee Williams Orpheus Descending Orfeo negro (Orfeu Negro), di Camus; dal
dramma di Moraes. Harry a pezzi di Woody Allen Tre colori - Film blu (Film
bleu) di Kieslowski Al di là dei sogni (Where dreams may come, di Vincent Ward
Solaris di Steven Soderbergh Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma
Fumetti e animazione Orfeo della Lira è un personaggio del manga e anime Saint
Seiya (I cavalieri dello zodiaco). Orfeo è figlio di Sogno nei fumetti
Sandman scritti da Neil Gaiman. VideogiochiModifica Orfeo (Orpheus) è il
Persona iniziale del protagonista del videogioco Shin Megami Tensei: Persona
3 Orfeo (Orpheus) compare anche nel viodeogioco Hades come personaggio
secondario, legato ad una questline che, riprendendo il mito greco, coinvolge
anche il personaggio di Euridice. Modifica ^ Cristopher Riedweg, Orfeo, in
Salvatore De Settis (cur.), Storia Einaudi dei Greci e dei Romani,
Milano-Torino, Il Sole 24 Ore – Einaudi Pausania, Viaggio in Grecia, traduzione
di Rizzo, Milano, Rizzoli, Anche Conone (Frammenti orfici, nella edizione di
Otto Kern). ^ «Orfeo, fondatore dell'Orfismo» è l'incipit della voce
nell'Oxford Classical Dictionary (trad. it. Dizionario di antichità classiche,
Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo,, voce firmata da Nilsson, Croon e Robertson.
La voce dell'Oxford Classical Dictionary prosegue precisando: «La sua fama di
cantore nella mitologia greca deriva dalle composizione nelle quali erano
esposte le dottrine e le leggende orfiche». In modo analogo la Encyclopedia of Religion ( NY,
Macmillan, avvia la voce Orpheus a firma di Detienne e Bernabé: «In the sixth
century BCE, a religious movement that modern historians call Orphism appeared
in Greece around the figure of Orpheus, the Thracian enchanter.». Werner Jaeger evidenzia tuttavia che «nella tarda
antichità Orfeo era un nome collettivo il quale più o meno raccoglieva tutto
quanto esisteva in fatto di letteratura mistica e di orge liturgiche.» (Cfr. La teologia dei primi
pensatori greci, traduzione di Ervino Pocar, Firenze, La Nuova Italia, Orfeo,
Pitagora e la nuova escatologia, in Storia delle credenze e delle idee
religiose, Milano, Rizzoli, Detienne e Bernabé, Encyclopedia of Religion, NY,
Macmillan, Thus, before he becomes the founding hero of a new religion or even
the founder of a way of life that will be named after him, Orpheus is a voice—a
voice that is like no other. It begins before songs that recite and recount. It
precedes the voice of the bards, the citharists who extol the great deeds of
men or the privileges of the divine powers. It is a song that stands outside
the closed circle of its hearers, a voice that precedes articulate speech.
Around it, in abundance and joy, gather trees, rocks, birds, and fish. In this
voice—before the song has become a theogony and at the same time an
anthropogony—there is the great freedom to embrace all things without being
lost in confusion, the freedom to accept each life and everything and to
renounce a world inhabited by fragmentation and division. When representatives
of the human race first appear in the presence of Orpheus, they wear faces that
are of war and savagery yet seem to be pacified, faces that seem to have turned
aside from their outward fury. Guidorizzi,
Il mito greco, Milano, Mondadori, La sapienza greca, traduzione di Giorgio
Colli, Milano, Adelphi ὀνομακλυτὸν Ὀρφήν. Orfeo dal nome famoso.» (Ibico)
Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, traduzione di
Elena Verzura, Milano, Bompiani «τοῦ καὶ ὰπειρέσιοι ποτῶντο ὄρνιζες ὑπὲρ
κεφαλᾶς, ἀνὰ δ'ἰχθύες ὀρθοὶ κνανέου ἐξ ὓδατος ἃλλοντο καλᾶι σὺν ἀοιδᾷι»
Sul suo capo volavano anche innumerevoli uccelli e diritti dalla profondità
dell'acqua cerulea i pesci guizzavano in alto al suo bel canto.» (Simonides; PLG IBetegh, G.,
The Derveni Papyrus: Cosmology, Theology and Interpretation, Cambridge. REALE (si veda), La novità di fondo dell'Orfismo, in
Storia della filosofia romana, Milano, Bompiani, DK Georgiche Metamorfosi Virgilio
Nel libro XI delle Met. Il mito è narrato. Jacquemard e Brosse, Orfeo o
l'iniziazione mistica, traduzione di Dag Tessore, Roma, Borla, Rodighiero, Gli autori e i testi, in Ciani e
Rodighiero, Orfeo. Variazioni sul mito, Venezia, Discorso di Fedro, in Platone,
Simposio, Siamo nel racconto Il ritorno di Euridice, ne L'uomo invaso; per
questo e tutti gli altri riferimenti cfr. A. Rodighiero; per una panoramica
dettagliata delle riprese novecentesche della vicenda del cantore tracio cfr.
M. di Simone, Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra
passato e presente, Firenze, Michele Tripisciano, su
storiapatriacaltanissetta.it, Caltanissetta, Società Nissena di Storia Patria,
Jacques Brosse e Simone Jacquemard, Orfeo o l'iniziazione mistica, traduzione
di Dag Tessore, Roma, Borla, Cannas, Lo sguardo di Orfeo, Roma, Bulzoni, Ciani
e Rodighiero, Orfeo. Variazioni sul mito, Venezia, Marsilio, Simone, Amore e
morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra passato e presente,
Firenze, Libri liberi, Guidorizzi e Melotti (et al.), Orfeo e le sue
metamorfosi, Roma, Carocci, Lonardi, Alcibiade e il suo demone. Parabole del
moderno tra D'Annunzio e Pirandello, Verona, Essedue Edizioni, Schuré, I grandi
iniziati, traduzione di Arnaldo Cervesato, Bari, Laterza, 1 Charles Segal,
Orfeo. Il mito del poeta, traduzione di Morante, Torino, Einaudi, Sorel, Orfeo
e l'orfismo, traduzione di Luigi Ruggeri, Nardò, Besa, Orphée et l'orphisme,
Parigi, Presses Universitaires de France, Euridice (ninfa) Orfeo (musica)
Orfismo Decapitazione. Orfeo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Rostagni,
ORFEO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Orfeo, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.Portale Letteratura
Portale Mitologia greca Orfeo (nome) prenome maschile Euridice (ninfa)
driade della mitologia greca, moglie di Orfeo Fabula di Orfeo. Giuseppe
Faggin. Faggin. Keywords: metrica filosofica, Lucrezio, inno orfico, inni
orfici, philosophy of the toad – rospo – l’orfismo nella Roma antica; filosofia
antica – l’antico nel rinascimento italiano – occultismo – misticismo –
protestantismo italiano – Italia contro Roma. Fedro, ovvero del bellow, Dal
bello al divino – Il peregrine cherubico – l’arbero come simbolo – il fuoco
come simbolo – la luce come simbolo – canti orfici – sul bello -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Faggin” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Falciglia: la ragione
conversazionale del senso e la sensibilità – scuola di Salemi – filosofia
trapanese – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salemi). Filosofo salemese. Filosofo trapanese.
Filosofo siciliano Filosofo italiano. Salemi, Trapani, Sicilia. Grice: “I like Falciglia; for
one, he took dialectic seriously, as any Aristotelian does! So he wrote on sensus compositum, on ‘definitio,’ on
‘demonstratio,’ and he even ventured on moral philosophy – in a nutshell, the
perfect Aristotelite!” -- Studia a
Salemi per essere poi trasferito a Padova per proseguine negli studi sotto
Paolo da Venezia e Giovanni di Cipro. Insegna a Siena, Bologna, Rimini. Altre opere:
“Statuta pro conventu Parisiensi”; “De sensu composito”; “De medio
demostrationis”, “De sophistarum regulis, Terminorum moralium, tractatus
singularis, Definitiones et additions super constitutions, necnon formularium
et privilegia ordinis -- Dizionario biografico degli italiani. Grice: Falciglia’s “De sensu
composito” should not be mistaken with
“De sensu composito et diviso” by another Philosopher – Paolo di Pergamo -- sensus
compositus: composite or compounded sense. The term has two applications. A
logical application, as distinguished from a divided or isolated sense (sensus
divisus). In the composite sense (in sensu composito), a subject is understood
in necessary connection with or as conditioned by its predicates or attributes;
in the divided sense (in sensu diviso), the subject is understood in a
hypothetical or contingent relationship to its predicates or attributes. Thus
in the composite sense, it is necessary that a blind man cannot see or that a
man who is running is in motion; whereas in the divided sense, a man is now
blind, but it is possible that he could see; a man is now running, and it is
possible that he stand still. The sensus compositus can be used to indicate a
necessity of the consequent thing (necessitas consequentis), while the sensus
divisus can be used to indicate a contingency, namely, a necessity of the
consequence (necessitas consequentiae). And a rhetorical or exegetical
application, also identified as the sensus literalis compositus: composite or
compounded literal sense; viz., either the literal meaning understood as a
figure or type, with the allegorical, mystical, or moral sense embedded figuratively
in the text as part of the literal meaning, or the literal sense of a larger
unit as distinguished from the sense of an individual term, particularly in
cases where one term is in itself unclear or subject to multiple
interpretations but capable of a clear, unitary sense in its context. When the
composite sense of a text rests on figurative meaning or on a type that is
fully understood only with a view to its antitype, the Protestant exegesis
stands in positive relation to the medieval quadriga, albeit capable of denying
multiple meanings. sensus divisus: the divided sense; i.e., the meaning
of a word or idea in itself apart from its general relation to other words of a
text or apart from its logical relation to another term or thing; the opposite
of sensus compositus and fear of death. Thus physics is entirely subordinate to
ethics, being merely the necessary means whereby the ethical goal is achieved.
This is a point which it is particularly important to remember when reading the
DRN, for although LUCREZIO is a perfectly orthodox memberof L’ORTO and is not
concerned with scientific inquiry for its own sake, the great bulk of his
subject-matter is scientific and he gives no systematic account of Epicurean
ethical theory. His reasons for concentrating on physics will be considered in
§ 3. As Diogenes Laertius points out, the system of L’ORTO “is divided
into three parts: Canonic, Physics, and Ethics.” The Canonic44 is his
theory of knowledge. There are three criteria of truth: sensation,
preconceptions, and feelings. Sensation (αἴσθησις, sensus) is the primary
standard of truth (LUCREZIO). If an error is made, that is not because the
sensation is not true, but because the reason draws a wrong conclusion from the
evidence which the sensation provides (Lucrezio). With the repetition of
sensations, images of each class of things accumulate in the mind to form a
general idea or preconception (πpόληψις, notities, anticipatio, praenotio) to which other examples are referred
(.Lucrezio). Without these preconceptions, attainment of scientific xxx
knowledge would be impossible, for sensation by itself is “irrational and
incapable of memory” (Diogenes Laertius). As for the third criterion of truth,
“there are two feelings (πάθη), pleasure and pain, which
affect every living creature, the former being congenial to it, the latter
repugnant; it is through these that choice and avoidance are determined”
(Diogenes Laertius). Thus the feelings of pleasure and pain are the supreme test
in matters of morality and conduct, and since they are a part of sensation, it
is true to say that Epicurus’ ethical theory, like his physical theory, is
founded on the validity of sensation. Epicurus derived his physical theory from
Democritus, who had adopted and elaborated the atomic theory invented by
Leucippus. However, he made some important alterations to Democritus’ theory,
and differed from him in making physics subservient to ethics. The first
principles of Epicurean physics are that “nothing is created out of nothing”
(Lucrezio) and “nothing is destroyed into nothing” (Lucrezio). In other words,
Epicurus shared the belief of other ancient physicists in the conservation of
matter. The universe (τὸ πᾶν, omne) consists of matter (σῶμα, corpus) and void (τὸ κενόν, inane). These are the only
ultimate realities: nothing that is distinct from them can exist (Lucrezio).
That matter exists is proved by sensation; and if there were no void, matter
would be unable to move (Lucrezio), whereas sensation tells us that it does
move. Mentre nella storia della filosofia la
parola sensocompare, a partire dalla αίσθησις di Aristotele, per indicare la
facoltà di "sentire" (cioè di percepire l'azione di oggetti interni
al corpo o esterni ad esso), le origini del sensismo, come filosofia, possono
ritrovarsi in alcune affermazioni dei sofisti. [1] Aristotele, De anima aveva
dato una definizione del tutto corretta e coerente col pensiero del tempo,
ancora molto lontano dal concepire una possibile sensibilità specifica di un
essere umano come caratteristica peculiare della sua individualità.Giuliano
Falciglia. Falciglia. Keywords:
sensus, sentiment, sense and sensibilia, sentient, sensus divisus, sensus
compositum – philosophy of the ‘senses’ – the use of Roman ‘sensus’ in Boezio. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Falciglia” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Falcone: la ragione conversazionale e la lingua universale -- Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
italiano. Napoli, Campania. He thought it would be a good idea to translate PORTA
(si veda)’s Ars reminiscendi into ‘L’arte del ricordare’, and he did! Se
yendeno per Marco Antonio P affari d Sergio Capuano, Josephus
Tavjplona. V.lJ), ir- V y ; H T :51 A.
AK-HDia jaq a^Aa-'iooia i a T A T 2 I T T A a .O l.S : -1
O ‘I A J aaa P.tfATUO'IAM '.'7 • a CIÌCTIkA «UlM
WJOIlillttV V-. A^jO 0»5^2Ì!> .fi .1.^ .iKcViWtfT CHS?
C O'fA; SIA!- MEMO o reminiscenza [Cf. Grice, “Personal Identity,” Grice
on Benjamin on Remembering] ./ r ‘">•,-v E L L E
cofi^«alùnqK€Ìefifianttd)dhU * ò memorilo remtmfeer^ap Che, cose ft firn
è l’una,è l'altra il dichiareremo, y fendo ncHofcriut re{ come fi
dice ) vnafiu craffit M inerba, accio che le hofìre regole con piu chiare zsa si
intenda ifOilàfdando' dtffifctè le varie}dtjjicfli opinioni de
Etltfefe^hehimìòfefira ctbftrtfàyptf'nènefo luoghi di raggioname-.
Vujjki*delaimagmami là qtMa-Ufud flanta nel capo )fi è di femore per me^zo
delle finefireftejhffetógUoCchifym chiede l nafe t cjalti efimilifiguifà
d’ un pittore eccettcntcjvti ritratto deli le cofe materiali r dtiìfignàt
Wlfió permèìlo neÙajdemìm, che come vna muoia ben acconcia lejìa
dinanzi-accio che venendoci poi uolunti di ricordarci di qttcUo,per mezzo
dell'intelletto, che tpflo alla memoria ricor* te* qui quella r-jcor^mo
delle cofe che rft» vogliamo à punto come feci fijfero
prefcntlfiglioixhiyE'vòm^mlfr veggia w,cbeh per difetto della molalo pur
di cduiyìhedfegnando non preparane compartì bene i coloricene dopo
qualche tempo quella littori a [conciar fi, fi ella farà talmente
guafia,cbe non ui appaiano punto ifuoi prifìini lineamenti, noi ci
ritrouiqmohauerpeifo il ritratto di quella cofe if téme con la
me^oriarMtfemto^y^in piè, che il pittore con Va* iu:o di quel pòco
circonfcridendò htoàrgm intorno^ tjimdo da vn capò ali' altro
lalìnèà.nepub rfferciredxpttu'ra^ùr ilritrattofenereintegra, la memoria
riprende vita : E qufioèfeeHo’chevhtamiamo il ricordarci D f*fi Con $*
vriairitìera finora enfio fo ÌH quella tou'daàtimmitfo m zhimiamo:0erebro
; ttcminejcenz} trtcorjdrtfoi}' quello] ài qigfc ftcvfàJJéohipftJu&ri
jiio ejftpfjftomf farò veglio intens dere, Io imparai qqejló yerfi. ' '
iì - Nel tempo che rinuoua i miei fijfiiri.; Se le i magmi di
cfuejìe parole mi JLinno cofi chiare nel cerebro, confi i prima ve le
difcgnciimaginatiu,fe pur nqnVh^owfi chiamata dal fine, poi che il tuttofi
fa per accrescere la memoria, perche pojfiamo S\. n? zH. ’.r; a Y :
j r?i ù Z \\ f.y i !rA5i«y.V;;55 vroìjjtwta';.- « >\wh àm>i o,
Chela Renrtiwfcensa ila naturale et, 5 j j-artificiale. •' Il f; f•*?? I* • j.t*c ' Q
VeflaReminificenza edi'due maniere, l'unac naturale, l'atra e artficiefe,
la naturale^ quella thcconwiijlfffi najcej’ artificiale che
còn-regp1é.m ibi, e la caggione, onde fi fia introdotte à pori » t r Onde
fi a nato il poi de luoghi in quella :;"ìv ^aite di Reminiscenza.
P Er mojfrare che queJT arti di ricordare fa tolta dalle naturali ifi
rieme faremo qui chiaro, come non Jènza caggione gli antichi cojlia
tuironojchc fi debbano primieramente el igere i luoghi . Noi vediamo no
ruralmente >che chiunque vuole ricorda fi di vn lungo fotti) fi forza
fempre di ricor darfi de luoghi prima, doue quel fittigli auetàjfe ; e
poi ari K. gii Jkmh T ordine^ luoghi} fitto
intier amento racconta . Introduce limai rmgliofc Poeta non fcrtza
mifìerio ENEA, che battendo h raccontare a Di (Ione ciò, che accaduto li
fijfi doppò la prej S di Troia, per ricordarft di tut te le cafri puntola
rimemorandofi i luoghi prima, dotte quelle accadute particolarmente li
fino . Partito di Troia fine viene in Tracia. Qmktra ra la crudel
morte di Polidoro . Indi ne viene in’ Deio, doue defcriùe d empio, c
fi mentione del vaticinio di Apollo. Ne viene apprejfo in Gre ta,e quella
bombile peJlilenzaracconta.Comc pòi nell'lfde Strofidi rag* giona delle
Har pie. Nella Città del monte Leucate, attacca alle pone deb Tempio il
feudo jebe tolfr ad Ab ante greco. Neita Cifrò di Buti-oto riuc# de
Andromaohejùr Hàlcno . Ne va in Sicilia \ vede Bina, i ciclopi, gli more il
padre . Simonide Melico ( come Cicerone, è Quintiliano firi^ uono) per
che fi ricordo l'ordine^ il luogo de corniti iti > cb’eran inòrti'
nella rouina di quella cajà, venne ageuolmente à ricordarf di tutti’cbe al cimenti
non fipeuemoi parenti riconofcerlijper frpelirli. E di qui ne uens
tleegli inpenjiero di firnef arte del ricordare.Ne mi ptjjò imagginare
htomò cojì infinfato efàocco^chépaj] andò per un luogo non uenga tofloi
foieord'arfianchcrjcbe ejfi non uogliaji cofrche qui gli accadevo fi#
ceffi fé àie di molto piacere,}) difiiacere li fijfi. li caùallo di D ario
pafi findo per quel luogo,doue la fira innanzi hauea della Caualla goduto,
tofìo fi ricordò del fitto,ir annu endo fi caggione } che il fio
Gaualiero nefiljc, corte vuol T rogo, della corona di Perfia
adornoMediamo ancho che ciafcbuno che vuole ricordarft di vn detto, i
fitto yfi u^fempre firz randa incominciar da capo, e figuir poi per ordine
: per ciocbe da quello come da vn filomene à poco à poco à ricordarft del
tutto. Ci ricordiamo con maggior agevolezza delle cofe di Mathematica, le
quali fi feguorm luna l'altra, che non degli A pborifmi di Hipocratt,che
fino finza ordine. Le fiuolèfi le bijìorie^per^uejìacaggior.e fi imparano
à mente ancho dui dònnkctuokfida contodini,ppr che fi comincia daun-espo,efiuàpmpft\ tardine
fine al fini ; Dice Atriflohle nel libre (Idia Rèmmfcema,(he Vm nimo
nojlro fi motte con molta ageuolezza ne’ luoghi, E quantunque ab- etini
per h luoghi iute ridano, l? interpretino i luoghi T opic t ; non dimeni
T bemiflio eccellente Veripantico intende di qufiìi luoghi materiali . M«
che cofi potrà far maà.che con piu ordine un ricordo proceda, che ojjei
guari o a i luoghi de fi figliano l’un l’altro }. Per che dotte non e ordine
j iut e confusione. Ei poi che fi trouano tutte quefie cofi ne’ noflri
luoghi, incominciamo à dijhnguerli,&- à raggioname
particolarmente 1 ..'-l V r u \ «3 rM
"iCome si debbano elegere i luoghi fine flra, angolo# filmile. Nella
ekttione di quejlo luogo ymuerfale bifegna éuertire alcune conditiom.
Prima che in cfi'o noi halinamo } o uerfidmé ontinouamente,e che ne
jappiamo ogni minima particella \ I peregrini eli ganfi quello, doueefìnati
fieno} douehabliano battuta qualche lor dolce fidtsfimoneyche quefli piu
de gli altri ci fighono refìar impreft nella mea» moria. Apprejfo, che le
parti fue fumo dfifitenttl'una dall'altra, come fis nò camere, file,
fiale, i loggia, palchi^entratr, portichì,0' altri fimili ; Ori* de
debbiamo fiiggire 17 beatici Colonnat i,! giardini le firade, 1? altri
" cofi fimiglianti, poi che non è cofi doue tanta varietà fi
ricerchi, quanto in quefila . Di più che fiano figuenti l’un ì* altra,
ciò e che dalle ficaie fi fa* glia in filabile camere, djr da quefie alle
loggie, e palchi fienza intvrromi pimento alcuno fra loro,? finalmente
fiano quefìi luoghi chiari, et lumia nofi, perche hauendo à locarui
dentro le pitrure delle parole, la poca luce 1 farebbe lorjòfichi i
colori,e le pitture infieme con la luce ifltffa monchi #4
Imi 9 r e fitr ciò tante uolte, finche gU habbiamo
ottimamente in memoria, tal che firmi in un luogo con gli occhi chiufi, e
AifcorrenAo con la imaginatiua It vaiamo come fi prefinti ci fijjero . Nc
cirincrefca reiterarli trenta, e cinquanta uolte il giorno, che quejìo è
il fendamene dell'opera . Per ciò che non ejjèndo quefii luoghi ben
fondati, e fijji nella memoria,fi nói ui Jnbrichcremo [opra altre ima a
gimmonifiuno fiera caufa della deflruthone fie rouina dell’altro Quelle
lofi, chcgiouano d Jàrci ricordare di quello che non Zappiamo, btfigtta
ohe elle ottimamente fi fippianojaltrimente fi fibrica f òpra l'arena’
Di alcune opinioni confutate r# j SI potrà
adunque per do raggioneuolmente incolpare MetroAoro di vanagloria, è di
pazziajpoiche uolendo manififì arci gli unii precetti della memoria, fi (
come fcriue Quintiliano )i fiuoi luoghi nelle dodeci imagtni del Zodiaco,
doue trecento fijfantn luoghi vi defifie, ponédone un $ per grado : E chi
non fi } che ejfindono tutti quefii luoghi filmili, Lr urna firmi
turberanno non poco la memoria nel recitare f e che cfji filano mos bili,
e luoghi tuli, che mai fu huomo che li uedejfie ? Vuole Cicerone, che fi
non potrà alcuno ritrouare tutte le già dette conditioni ne’ luoghi, che
fi •hdnoda cllcgerc,fingafii da fi JleJJòutta Città in una fiolitudine,e
quiui a fi a uolutotà i fuoi luoghi fi eìega } et imagini . la quale
opinione aedo io che dislaccia à tutti coloro, die hanno qualche
ifperienza di quefii’ arte, per t io che potendo noi ritrouare le già
dette conditioni reali in ogni luogo, per de fiopra le imaginationi
ordinarie uogliamo noi aggrauar dtpiula memo % di altre Soie ìmagìnatiorn
)Ì phantafini l Die? parimente) che per ogni decimo luogo fi finga una
mano d'oro : le quali coffe a me paiono fu perflitioni difutili . Che fi pur ci
aggrada far quefile difl in fiotti, potremo in ogni camera/o fiala locar
diece luoghi, òr bauremo d medefimo coma m odofinza ingombrarci luoghi
d'altre nuoue imaginatìont . Se alcuno in Cicerone legejfcji luoghi douer
ejfier lontani trenta piedi l’uno dall'ala irò, òr alcune altre regole
dalle nofìre differenti, non fi ne marauigli, poi che il suo intento, è
fiato affai differente dal nofìro . bjfo fi Jèruiua di que fila arte
ne’giudttij,doue bifogna recitar concetti,e non parole ; òr haueg di
bifigno t di luogo ampio, doue hauejfe potuto accomodare diucrjc perfioa
ne, che rapprefèntaffèro ilfitto;&à noi ha mqjlro laijferienzajche
co'l nojlro modo poJJiamo fruirci dell'arte j Lr perii concetti, ir perle
paa rele,òr per ogni (Atra coffa occorrente ; quello,chc non potrà firfii
col fiuo. Onde Ha natoli porre delle persone ne’luoghi. P lEr
ciò che io fino il primo,fie non twi inganno che uoglb.chc ne y hot
ghigia eletti fi accomodino le perfine, quello, di che gli altri ne fin nodi
fienza;parmi di fir beneà mo/lrar alcune caggioni,che m'hanno i/iof fio i
ciofire. Coloro, che fiorifero di quejl'arte } quafi per tutte le 'magmi)
ehe figurano per dimofìrar un fatto, ò ungejlo, uanno cercando fra i lo*
ro amici, quale fiia piu attojche fi debba à quello ufi accomodare, et in
porre in cjficutionc quefiio penJiero,ui fi tr amette # fende fitiga, e
tema po;la doue noi ritrouando una perfino dritta in quel luogo, e
Rapendone tutti icoJìumi,e conditi oni ( come diremo appreffò) in un
punto nell’atto de fiderato Accomodiamo ; e potremo fogliarla, e ueflirla
; e figurarla in tutte quelle ; tozze, e modi che parrà che bifigni.
Vediamo anchora, cìie fi nel luogo Me cofi piemie, et inanimate non fit
pone alcuna perfim uiua. de le dimoflri} fitdaparerqqgeudtmenié tette
dimentichiamo, la dotte con quefia ne trrrannofimpte la memoria e piu defilale
piu uiua . A ppref fi chi non fi, de a figure un luogo ji firlo dagl'
altri differente ( de in quefia arte è molto necejfttrio ) non fi
potrebbe ntrouaec cofi piu utile ne piu commoda, che illocarci perfine
utue,che ne djflinguano i luohit\c drà ancho chi fitrrà delle noflre
regole ifferienza con quanta aUegrczza$ e chiarezza fi uiene al
luoco.ouefia collocata alcuna pei fina goduta} o dea fiderata ; che doue
le altre perfine ci danno il ricordo d’urta fola parola > quefia ne
mofirarà un uerfi # e duo uerfi ««(imi : E come in quefìo luogo ci parrà
quefia imaginc uiua,rifilei]e noi riprendiamogli altri, per che noi
aggrauiamo la memoria di molte nuoue iaaginationi . Alche non accade eh’
io rifionda altro, fe non che fi noi, grauiamo la memoria di cofi alcuna
per una uolta, la difgr aitiamo all'ino contro d’ \nfimte altre
nclfeJfirciào,che noi lodiamo. Come si debbano locare le persone. Noi porremo ne’già
detk luòghi alcune perfine da noi piu conofiiu tejnongia qualunque ci
capiterà per le mani jìici uerrà in finta (io, ma firemo una feelta de
piu cari amici, di dieceo uentt donne beh fiime, 'le quali habbiamo
godutelo amate, 0 reuerite, e di altre tante perfine ridia ' cole, come
fino bufoni, e fimilifC ini mefcolarcmo matrone } perfine no lih ffime,e
perfine uilifftme e con cofloro ancho infìeme firati, preti, fra* tcelli,
fanciulli,1? altri, che fra loro facciano uarta mcfcolanza, e di tutti
quefii Infogna fiperne i cofiumi,eilor fitti à pieno con le cofi di loro
oc* cadutecele giocofi principalmente. E ne porremo un per luogo
nt? già difegnati prima, in gu\ fi, che fra loro uengano mefcolaU
inficine, £ * V»i dorma, un ’gmanèìvn fraterna finte, un parente : un
uecchto finche, tutti i luoghi riempiamo .E fi non pojjiamo di quefhhauer
tanto numeroy effendo poveri di amici;empiendo i luoghi di perfine
communi rijcrberca \ mo per ogni terzo/) quinto luogo una di quelle,
accio che in effe la memo a. ria come fianca armando ui fi ripofi .
guffìe perfine fi uogliono cotto? care in piè dritte nel luogo con le
fratte al muro, e con le braccia pendentif accio che poffiamo noi poi
accomodarle in quelle atooni f cbe ne farà necefis - firio, Hor locate,
die le hauremonel luogo, bifigna con gli occhi detta mente stempiarle al
quanto, cpme fi uiue fiffero, ir poffeggtare loro molte uolte ùicinof
toccarle con mano,è chiamarle per dritto, e per rouera feto tante uolte
>che ritrouandoci poi lontani dal luogo ce ne ricordiamo, eoa me fe
prefintiui fòjftmo . 1/ quale effercitio faremo noi per duo giorni
contmoui. Quando vedremo poi che la memoria finza fruga alcuna Jè ne
ricor da, e dopp'o befferemo non ne refla turbata, potremo ben dire, che
quefìoèfigno ch’ella ottimamente le fippia. i. . > . à. *. Come si
debbano fingere rimaglili de concetti. Abbiamo ragionato detuoghi, è
delle perfine ;ragg\omeifìo JLl h ora dette imagini, (he è la terza parte
e la piu difficile delnojlto effercitio ; e doue confijle l’accortezza,el
giudicio del recitare. Chiamo io IMAGINE, similitudine, idea, forma, o simulacro,
che cosi leri trovo chiamate dagl’antichi quella pittura animata che recamo
nella imaginauua per RAPPRESENTARE cosi un fitto, come una PAROLA.
Parlaremo prima come ' ft fingono i fotti, O CONCETTI, e poi passaremo à
dire dette parole, che è piu difficile, per ciò che ogni cosi che si può
fireft puo DIPINGERE, ma non eoa si
UNA PAROLA che non fippiamo come sia fatta. Queste imagni di concetti sono
o fimpìiafi composite. Chiamo simplici quelle che si potino una parola
diptngcre. Composte quell’altre, che con piu d’una favela, quara io
bifigna raccontarsi il fatto inaero. Per essempiom s’io voglio raccordate
mi Jòlo della fauoltt d’Andromeda, fingerà la perfina del luocò ignuda,
legata a un fioglio con catene di fèrro, tutta tramortita piangente. Ma si io
vorrò ricordarmi d’una fauola ò btjloria intiera, dove intervengono piu persone,
ridurrò il fitto in quella breue fcmma, e di perfine, e di cosi chi Jta
pojftbile, accomodandola al luogo. Ed in questo mi piace imitar i pitto?
ri^ouero gli poeti Xragici, o Comicide Jctpprerappre fintano la lor
fiìh la con quelle piu puocbe perfine che poffonoi Ne ehij hria cofì piena
di varietà di cosi che diece perfine non b fiino a rappre fintarla . Se a
me piace di ricordarmidella hijloria degli Ke,quàndofurono cacciati di R
ot ma. Tingo rieia prima imagine T arquinio inbabim reale ò con vna
ffada •n manose ch’habbia vna donna ignuda infino nel fecondo luogo, la
quale fingerò che fia L ucretia,che piangendo uolgagliocchi al dèlo in
atto, che dimoflri cedere à fòrza alla voglia dtshonejla fila. Tingeremo,
terza pefia n a parimente LUCREZIA afflitta ir dogliofàraggionareaUa
quarta per fia ttaufiita da Collcttino, il quale fla attonito ad
ofiolatria; Ir ella cauacofi Impugnata difètto la utflè y
fincfcrifcamomlmente il petfo.lAquinta per fina wimagincanchi Realc con
la corona toltali di tejlafe dal fuo folio dea poflafiràmedefmamcnte T
arquinio. E coft nel medefmo modo firn* pre ci onderemo dipingendo la
bifloria tutta Philomena in queflo modo iifinfiintolaUhfioriàde’fioifùcceJftjquandolamfirQà
Progne fua fittila ; doue ejfireffi. tutti quegli atti principaliirte*
quali confifleua la ina telligentia del fiuto. Di qufia maniera è LE
MEMORIA DI CICERONE, berta thè egli in un luogo filofingefft [a hifloria
tutta; la douenot col nojlrt ordine Tbabbiamoancbo effreffad firfi con
piu ordine racconterajfi, Paffiamo bora A RAGGIONAR DELLE PAROLE., i [' et
fileremo alt A. V A quanto per trattar di cosi non poco necessaria alle
nostre regole; E firkyche avendo insegnata, e mojlra l’arte del ricordare
} magniamo qui anebo L’ARTE DEL DIMENTICARE. Di questo nostro esscrdtio
una parte ne è jhbilcjunaltra mobile. Stabde fino i luoghi, e le perfine.
Mobile fino limagini cosi de concetti, come delle PAROLE « Uluoco fa
quello effetto in questo esserctio che fa la caria inuernicatv, o pietra
de compositori di musica. Le perfine fino le righe, che iui fino, le imagini
fino le note, che ui fi fanno di fipra cfiruito chcfièil compofmre di
quelle, firegadole con fi uto,b con un panno humido le manda via, per
firuirfi della carta per l'altra wlta. Noi delle cosi che recitiamo, di alcune vogliamo
a fatto dimena tic arci te altre uogliamo che tomamente ne refiino nella
memoria. Vos Aliamo dimenticarci di quelle parole, ò concetti, cheti
poniamo in memoria ’éarà di per affidar art,e difi orzar l’ingegno, e
recitate che l habiamo y non te ne firuiamo piu dirimente . Il medefmo
dico di quelle cofi, che redo Homo a pompdfa ai oJ1entmonc,quafi per vn
gran miracolo / una tana ta fiUati, di memoria. E ne ho ueduti io non
pochi farne le marauiglie. Vogliamo anelo dimenticarci delle comedie f
deHeletuniy delle Orattoni, e Prediche/percbe fatta U rapprefintatione
poco adiriamo, che elle ci rea fiino ; anzi procuriamo dliauer i luoghi
uacùi.e netti per poter firuirccne deir altre uoltr, Il per che bifigna
imitare i pittori,i quali dijfiaccndo loro il ritratto,con ingejfire di
nuouo la tcuola y la redono bianca r preparati per la nuoua pittura . A
quejìo modo bfigna,clje noi con vnaffogrta in* tinta di rubrica
tfcancelhamo tutte k imagini fatte, e con gli occhi della mente vediamo
tutte le perfine ignudo, e con le braccia penderti, o rac a coltela
lenzuola biancheirte andiamo difeorrendo con la memoria tre fa quattro
volte } facendo penfiero,tomc fi mai noi figurate l’hauejjimo f € che mai
ptù nonjvi ritornino. Di quefiiprecctà banca di bjfigno The a melode (
come feriti^ Cicero**) che ejfindg dimandato da S moiude, fc egli volata
imparare Torte ài ricordarft, rjfiofi > eh ejfo lenirebbe piu
volentieri l’arte di dimenticar fi apparati, per potere di quelle cofi
dimenticar fi, che ejfo defideraua di [[cancellar fi dalla memoria . Ma
quelle cofi che vogliamo ricordarci, che ci paiono vtili j e necejprrie :
bis j legna doppo di hauerle recitate in quefo modo otto, e dieci volte,
indi à poche bore far il medefmo, cofi per alquanti giorni, e la notte in
quel fts lenti o, che gli occhi fin riuocati dalle cofi finfibili, à vero
la mattina per far il cercbro meglio dijfojlo, per ejferegia digejìi, e
confumati i va* pori del cibo, bifigna far ancho firmo penfiero alle
imagini recitando* accio che s’imprimano bene nella memoria ; che poi fi
ben vogliamo, non ce ne pofftamo dimenticare ; per non ejfir altro
memoria, ch’un habito di tener firmo le imagini . Però veggiamo i tardi
di memoria dopp'o, che hanno imparata vna cofi non dimenticar {eia più :
per ciò che confidando poco a fi Jlejft, fanno con tutto il penfiero
all’effetto 4 el ricordare, la dos ucgli ingenioft confidati nella bontà
dell’ingegno, poco dopp'o d'kauera ! recitato fi ne
dimenticano. Come possiamo ricordarci delle parole dal proprio. H
Orrt raggionaremo, come pojffimo ricordarci delle parole, opri più
difficile dalla pajfata . A ciò fare terremo vna regola da Aris Jloicle
nel libro della remmjcenm, che ci ricordiamo delle cofi > ò dal
proprio * ò dal fimile * o dal contrario . Noi di ciafcbeduna di quejle
fi remo particolar raggionamento, cominciando dal Proprio * Le parole,
che ci occorrono à ricordare, altre hanno le loro imagini, altre ne fan*
Hodifinxa . Chiamo io quelle parole bauereje imagini, che DENOTANO cosi
materiali jome TAVOLA, che è un legno piano, ò PIETRA, che Jèra calce
marmo,'ocrtta cotta: A kun altre ne faranno di finita ft come qoefla
proli PERCHE,\yw T £ N T O, àieTun dinota v« dimandar cè cominciaremo da
quef1e>cke fi fon dette) per ejfer piu fk t cili: per che ciascuno avendo
à dipingere queste nella memoria, sa meglio dipingere una mola o pietra che un
perchefo tanto j che non fa come fumo fitti. Co/i l'ingegno di colui che
fi eserciterà, s auezzerà à pocojà poco a ricordarsi. Ajcolta: Not della PRIMA
PAROLA CHE VOGLIAMO RICORDAR esporremo l’imagine in mano della prima persona
che habbiamo lacata nel primo luogo e la dipingeremo qui con la imaginatiua,
come diremo Off prejfofe fingeremo quella persòna tenerla in quello atto
che si con sa più Con l’età, co'l portamento, e co’cuoi cofium 't che
come abbiamo prima ietto bijògna hauerli lenijfimo conofciutì Se da per
caso UCCELLO.j e toccherà ad un FIGLIUOLO, ci imaginaremo un UCCELLACCIO
GRANDE che lo tiene abbracciato, e cinto, come habbtam visto L’AQUILA CON
GANIMEDE. Se toc? cherà il medesimo ad UNA MERETRICE, la fingeremo
tenerlo nel grembo Jlret lo, come habbtam visto LEDA tener GIOVE MUTATO
IN CIGNO. Se toccherà ad un cuoco che lo Jlia, ad arrojlire . Ma jè per
case dice TORO; è toccherà ad vngiouanc gagliardo, lo fingeremo Jìarin
quell’atto co*/ toro, che habbiamo uifio in più-ritratti d’ERCOLE con
Acheloo Se ad un uillano, nella gufa che Argo pafceua lo vacca. Se ad una
vergine 3 che ui feda fipra, e ut Jcherzi, e lo inghirlandi) come fi
legge di EUROPA. Se ad una MERETRICE qual ne deferiueno i Poeti, Pafifi
congionta con quello. Daremo urialà tro essempio, Se dirà CORNO, e tocca ad un sacerdote)Ct
imagmere ino un sacerdote antico che tiene
una uitnma per unxprno. Una vergine> (he l’habbia pieno di fiori, e di
fiuta ncliaguifà che le ninfi Notaci tengo# no il CORNUCOPIA che
unànergine fi-fàccia dormir nel grembo un LEO a corno ) che co’l fùono
della Citerà, ue lo halite indotto,‘Vn cacciatore 4 qual habbiam visto ADONE
per le seluv. Vn infime detia moglie, come A leeone lacerato da-Qm; e
filmili imaginano ni cfxpvffpno ejjert infinte^- « fr.U fr. Il mete fimo
firn ALLA SECONDA PAROLA, dipingendola aìU seconda Peri fina, co ft della
terza in fino all‘ulama, Jìn die fiano ripieni i luoghi Dopo comincieremo
a recitarle da capo tutte, e dimenticandoci di akunajlcjvres mo di nuouo LA
FIGURAZIONE; apprcJfi le reciteremo a rouerfeio, poi traladaremo le Jparijpoi
reciteremo le trdafàate : ne penfire che fia piu dijji àie dirle a
rouerfcio t che a dritto,per che auendo le parole dipinte ne’luoghi come colui
che ha le parole deferitte sopra una carta poco li fard cofi dal capOiCome
dal fine recttarlc; e do farai il giorno tante volte, finche eoa
nqfcerai, che db ft faccia poi finza fatica veruna. t >, *MÌk « • Hs'*«
it- ik - Alcune condizioni che (i ricercano alle r imagini.
Perche aviene Mora che dipingendo l’imagine d’una parola, o fatto non ne
fouuiene con quella ageuolezza che noi vorremo, o no ce ne ricordiamo
punto; per do che non di tutte LE FIGURAZIONI che fingia 0 no, ci poffiamo
noi ricordare;rcnderemo noi la caggione onde possa accadere, aedo che
effircitandod in qucflo, ricorriamo fimprc in quel modo di imaginare che
ne tenga la memoria e piu defla, e piu yiua ; e non dicano gli poco
esercitati al ricordare che piu lofio si ricorderanno da per loro di una
parola finza l’aiuto diqucfl’arte jche per quella fila parola non farano
no in ricordar fi del luogo, detta per fina, e dell’imagine. Noi per
confa guir qurflo lamineremo per quella firada per la quale LA NATURA
iflcjfi c guida jn tutte le cofi ARTEFICE maravigliosa. Mediamo naturalmente che
dette cosi prime e nuove d ricordiamo assai volctiticri. Io mi ricordo me
gito dette fiuolc mal composte } cbc mi recitava la bada mia qua/tdo io
era fnnciullo t cbe di quelle che leggo ogni di ne’poeti. Pcr affimi in
quel tempo ogni cosi prima è nuova, come dice il LIZIO, e non come dice
Attieni: i fanciulli Uno lantani da oem {enfierò Jt C da
noiofc fàjlidió, Veliamo anchórd:che ri ricordiamo Ielle eojè marauta gl
iofejper che la marauiglia najce Ma nouita, Ci ricordiamo anchora dei le
cose rare, ir inufitare per che ne taufino maraviglia, eia furo fi ricora
Aera piu d’un Cometn apparsele delle stelle, che habbia vifìe Ceffate dia
Jtorrere per lo (telo, piu d’un eclisse del Solere della Luna; ptu d’ur,
ara co celejle di notte, che dt giorno, per ejjere cofe più rare. Per ciò
che delle eojc.che ogni giorno facciamo ci dimentichiamo assai
uoluntieri. Ci ria cordiamo ancho delle cose fàcilmente che ne muouono à
giuoco, i i rt(è; Per che il rifi najce dalla marauigUa, e le cose piu
tofìo dishonefìe e bruto te ci fanno ridere che le buone. Ci ricordiamo
piu della gentil dorma, e dell’asino, die ne defenue Apuleio, cìie
delHionorato atto di Regolo j ò di Mutio Scevola. Ci ricordiamo anchora
delle cose che ne piacciono, ir anchora, che non voglidmo la memoria ce le
rapprefinta dinamica dove de fate cose che ne diffiacciono gonfilo non ce ne
ricordiamo, ma le alhorrfa mo ancho co'l pensiero, e fuggmo piu che
pojfamo il ricordo di loro coll’imaginatiua. Le cose bombili e ffaucnteuoli ci
danno anchora caufa di ricordo; per che l’horribiltà del fatto, d tiene per
qualche tempo l’animo fercoffo, e foJfefo, e cbicordiamo piu di coloro,
che muoiono per fet^a di gtrocijfmcgiuflitic che di coloro che muoiono di film,
ò d’altre malattie. Ci ricordiamo anchora delle cose varie fra loro e
differenti, che fe ne òli 3 e nella Mufuacida piu diletto la varietà che
l’abondanza nelle cose della natura, e della martoria fono non filo vtdi,
ma necessarie; di una pittura di BUONARROTI (si veda), o di Tiziano ci
ricordiamo meglio che di quella d’un pittore comun; perche dove in quejìe
fi veggono ogni: giorno cofè filamenti Ordinane, cofi in quelle fi
veggono dtuerfi mouia menti, ir infilile attitudini. Se adunque ciò
conojciamo, per che non -, debbiamo noi figuir quello, thè fa Natura
ifleffa ri rnofìra 1 Hora con ogni noflro penfiero alfigurarc facciamo le
imaginationi nelle perfine » de gagliardamente muouano le membra, che
imitinogli atti degli Ijlria . ni, piu del fiUito granii, ornati ii colori
splendenti l e viui, t bruttezze incomparabili, e di altri p radicamenti,
che ne rapprefintmo all'animo una nuoua forane, marauigliofi, mu finita
+ piaceuole, varia, c faauenteuole pittura. Si io voglio ricordarmi
ii INNAMORATO; non fingerò la perfino del luogho ben ve a fiita, ir
acconcia fijjnrare > e fir fintili altre co fi conuementi ad vn
gentiluomo innamorato ; ma la dipingerò qual deferiue OVIDIO (si veda) Polifit
mo innamorato, con la falce raderfi la barba, co’l rajìro pettinar fi la
tea fia;ffacchiarfi nell’acqua; con vnflr omento di mufica forano
finare,e cantare . Per che ejfinio cofi ridicola timagine, mi defiera con
maga gior ageuolezza il ricordo nella memoria . Il fonile farai ancho
nettale tre cosi Onde fia nato il ricordar dal Simile; e come fi
faccia S Jamogiontìiraggionarc, come fi pojfano dipingere quelle parole J
chejìanno finza le loro imagini ; il che è opra dijficiùjfima, e doue fia
tutta l'importanza dell’arte. Per do che dice il LIZIO, ejjer net
eejfario k ciafauno j che faecola che vada fae colando l’imagim et queU
la cofi t ne può l'intelletto noflro vfir il fuo vfacio, fi £ intorno non
fi gli rapprejènta Immagine di quella . Onde non confijlcndo in altro
quet fi* arte > che nello cfarimerc intieramente in difigno nella
memoria il rittratto delle parole; come potrà chi far il volefie a gufi di
eccellente pitt tore fi ngcrc con l'imaginatiua,ò mojhrar in difigno
cofajche egliifìcjfi no fàppia come fatta fi fiaitìora duque forziamoci
di moflrar molte rego kjc uie, accio che hauédole J’esercitate dindzi
tutte ) fi uada firuendo di quelle, che più proto li uegono, e più comode
fi le ritrouaie co queflo fi reco f c/i la fatiga del faito.U feudo modo
adùque, che babbiamo detto di [opra Jìc il ri cordar/ dal Sfatile,
e queflo modo daremo noi a quelle parole, che non hanno imagmi . Chiamo
io queflo modo dal fimile.per ciò che non ha uendo le lor proprie imagini
quefìeparolejaremo loro le propinque, affini, e fi non in tutto, almeno
raffomiglianti in qualche parte. Ma prima, che di quejlojàcciamo parola,
parmi conueneuole a narrare alcune caggiìrà, onde filmiamo noi che queflo modo
ne pojfa efiergioucuole in qualche parte. Che un simile ci fa ricordare d'uri
altra cefi fimile/ecofi funda tu fui naturale, e l if peri mentiamo ogni
giorno. Ogni madre, che uedrà un JìgUuolotch’habligliocchiye la faccia, e
le mani,e'lgeJlo di alcun fio, figlio^chegia gran tempo non hahbia
ueduto,fine ricorda fibitv. Andro machc uedendò Afcanio figliuolo dt F
neaper la simiglianza degl’occhi, delle mani, e del volto si ricorda del suo
Ajhanatte, onde piange, egli (à prefinti. Sempre che veggo una donna che
quando parla lo ride fi certi mpuimenti di labbra, e di facciami ricordo
dt un’altra donna conosciuta, che ridendo, o parlando ficea fimiì atti.
Sempre thè fintiti) cantare l'aria Sun madrigale, ch’hablia alcuna
fimiglianza con alcun altro, mi ricordo di quello di chi lo cantaua. La
fimiglianza c nel predicamene della ree, lattone : conofciuto un e [Iremo,
e fòrza che Ji conofca l’altro. Cosa di troppo gran fiocco, e finza mente
firia,che hauendo locata una parola fio mile ad un'altra, e finttndo,o
ueggendo quella non cene fitiuenga fibito. E fi ben fintiamo in noi un
cere che di /confidarci, non ce ne /marnami però punto. per che la
memoria nofira ancbora, chc non uogliamo, lo ci torà ita per fina fa
mente. Come possiamo ricordarci dall’Aggiuns, - ti od e L itfr » * '
a H Oro trattiamo k flette detSimileJe quali fino molte, e le
Jiuideo remo in due parti una terremo dalla intesone della parola?
l'dtrp. dalla frittura, dai con fiderando come ellafìl, cmincktremo h
quefìa, che e lene afficurarààn quella, ch‘è piu certa dell’ altre. La
chiamo dalla fcrit tura, per che occorrendo una parola, la cui
fignificatione non ajjomiz glia ad alcuna altrado alterando quelle
lèttere, ò frllabe > che la componga no de darò famigliatila nel suono.
De’ modi d‘ alterarla non mi fi untene bora piu di cinque. Aggiungere,
Mancare, Trajjwrre, Mutare,}: Parure. Cominciaremo dall’aggiungere j il
(piale può ejftrc nel principio, è nel mezzo, e nel fine della ditaone. Chiamo
io aggiungere nel principio della ditti onestila figura cb’igr ematici
chiamano Prolhefis, de fifa aggiungendo una fillaba, b al meno una
lettera al principio, come con magi gtor prontezza,ò comodità ne occorre
in mente . S’io uorro ricordarmi di CH E, non fitprei,chc imaginarmi da
porre in mano delle perfine, ò ne* luoghi, ma, aggiungendo una lettera O
nel principio della ditaone diri OCHE, che fino le Papere, quejìi animali
in mano della perfetta mi fa ranno ricordare di ChE.llmcdcfimo faro a
LOMBO, per aggeuolan mi tifilo ricordo, per che fi io aggiungo la fillaba
CO nel principio, barn rbCOLOMBO,quefìo animale adunque mi farà ricordare
dùLO M BO. Farò amhora nel mezzo della dittione l’aggiuntone di una
fillabafi lettera, Ì7 4 e da grammatici chiamata quefla figura epentesi.
Se io cera co ricordarmi di R I A, che non si come fìtafitta, aggiungendo
un V nèl mezzo dirà RIVA, vna rtua adunque, b vero vn colie fiorito in
quel luogo mi darà il ricordo di RI A; cofi per ricordarmi di
INSTRQ, porrò nel mezzo CHIO.è dirà INCHIOSTRO) le manilla fàccia
dela per fina del luogo imbrattata di inchitni firà ricordare di IN* STRO.
Qucflo parimente faremo nel ultimo, aggiungendoui pur una fillaba come
per ricordami di FINE aggiungerò STRA, e fà T h NESTR A, che fi bene come
fia fittmeoft à DI aggiungerò vn O fedi ÙDIO, chiamata pur da grammatici
Proparalejfifi Paragoge. Come portiamo ricordarci dal nancamento S Egutil
Mancamento, che e il contrario di (fucilo, che habbiamo dettò, mancando
dal principio ; dal mezzo, edal fine della dittione alcuna lettera,ò
fillaba ; e prima ragioneremo del principio y chiamando tfuejìa figura
con i Granatici Apherefijir auerra,chc terremo al principio del la
dittione.lncontrandomi a ricordar di SPERO j togliendo il primo e dirà
COSCIE: fingerò aduna ape la perfina del luoco moftrarmi le cofcie, e mi
Jòuucrrà ancho fubito di CONOSCE, e da Grammatici c chiamata quejla figura
di torre di mezzo la dittione Sincopa. Atterrii il medesimo alla fine
della dittione. Occorre CAN IT ferrò l’ultima, e dina CANI. Ecco duo cani insieme
mi daranno C ANIT. Se vorrò ricordarmi di SOLEMO, un SOLE mifirà ricordar
di SOLEMO: togliendo parimente quella sillaba MO tire detta questa apocope
k ' r v.,et * rv V v ì
-‘‘-t Come possiamo ricordarci pet lottai sponimento. I L
traffonimcnto auiene ogni uolta,che le lettere, ò filiale della dittione
mutano luogo fia loro. Prima diremo del traffonimcnto delle lettere. Ciò è della
prima all’ultima, della feconda alla penultima, e cosi di mona, in mano
dell’ due. Se mi vorrò ricordar di ROMA vvolgerò tutte le fd tale al
touerfciofi irta AMOR, vrt Cupitine m mattò, curro all'ract àato con la
persona del luogo mi porràinmentoj ROMA. Si trafiongos no medefimantfnto
le filiale, cóme dicendo REGO; che non si come fa fittvìvolgo In seconda
fittala al primo luogo } t la prima àtt’t ihma, e dirò CORE, potrà meglio
dipingerfi un CORE che un RECO. Cefi di R 1SEM I, porro fióre MISERI ;
che ficn le filiale riuolte.Si potranno anchora trofporre le lettere
altiimcnte ponendo la fecondò al primo luogo • non mutando le ah e } come
vedendo ricordarmi di ALTO, porrò la Jet tonda lettere L al primo luogo
poi quelle, che figuono, e dirà LATO, la perfino del luogo tvccandofi il
lato, mi fitrà ricordar di ALTO . Il me* dejmo porremo far attefittabe:
Se per tifo eeicarò ricordarmi LO ME* N l, pongo la feconda fittala M E
manzi,e dirà cofi trafijwfiìa MELONI, Ecco due meloni in mano delt afifidente
del luogo, mi fiora ricordare del primo . Il fimile fiorai degli altri
traff>oriimenti,ché pofifono effereim Jmti t e bqfimo quefiìi
effempi.per non efijèr piu lungo. Come polliamo ricordarci per la ' '
mutatione. Cap. ier cafi ricordarmi di SELO, utdo ìb mutando le uocali
potrà dir SOLO, anchora SALE, e SOLE. Se narrò gncborn ricordarmi di una
donna chiamata MENICA, me ne ricorderò fingendo vn MANICO di fiata/* di
Qppa, fingendo parimente vn i MONACO,e ftmiU.Per SA GG IO ; SEGGIA, per
BENCHÉ vn BANCO, per PARLA, PERLA : tAa pajiamo alla divisione. Il
dividere che faremo della dittione in piu fillttbee una di quelle
par? tijche fono ytìlifftmc a farci ricordare pcr che ne nafcenonjolo il
por? te a memoria ogni cosa che occorre j ma di qualunque nomejìrano,
bar? laro,& inulto, che fùffe. Ma parliamo prima come fi fàccia
quefìa dia ui fotte in partì fignificatìue, per che fegliono occorrere,
alcuni nomi, de ancho diuift figtòfi canone poi riforniremo di quelli, le
cui parti nonfàps piamo a chi aJfomigliarle. Occorrendo per.auentura
AMOROSA >s'io {fluido per mezzo questa parola diri) AMO, ROSA J
fìngendo dunque vn Amoda prender pefc i, et yna pùnta di Kofi mi fòri
ricordar AMOROSA, che, fi intiero fife non faprei ritromlo. Il medesimo frrcmoà
SOLE KE'Chediufodirà SQLE ieKE'VnReaiun que yefìito col Scettro^ conia
corona, e con yn Sole di legno, quale ftam filiti veder dipinto, ci farà
ricordar di quello. Coftanchora di APOLLODORO Vn A polline indorato. Vegliamo b
era all’altra parte . Di* uidaft il nome Jlranoin tutte le Jueftllabe, c
daremo per ognifillaba alcun sogno mannaie in mano dela perfina del luogo,
il cui nomo cominci da, % quella ftlkka r Con yneffimpio mi farò meglio
intendere Volendomi t Come possiamo ricordarci dalla divisione. U
/empiici A Diofcòtidc, 'cfimAi Cmè STÀEfLODEttDR A} li prima fillaba e
STA. trio fingerò la prima perfona tener in mani una Jìatua A marmo. FI
nell’altra un ramo A fico : LO > ne* pick una locujìa. DEN, chef altra
perfona co una mano fi tocchi uniente.DRA e con l’altra abbracci un D
ragoneionde legenda le prime fiUabe di 1.! - j t o. r ; Coti che fegno
debbiamo fegnaile ^ n, jff Z'm un ATA perche patria dir
colui, chela da fir effreitio A epuffarte, à 1’ Ichcfcgno potrò conofcereio
t fi in la figura ui è aggiunto, mancar io jfrdjpojlo.fò altramente
alterato i perciò che guardandoti mfap ri piu Affetti à ricordarmi A ciò
che-mi magmi che della sola parola ifìeffa. A queflp noi ripareremo con
uuabreue regola, che dobbiamo cefi figurarci la pittura come è la co fa
ifìeffa . S e io ho aggiunto alla dittione torri alla figvra,efi ho tplfp ui
aggiungerò,ò la mtarò mediche parte, come pcreffempio, (colendo
ricordarci di CHE mifinfi 3ueOCHE> per Amojlrart chefa letterati capo,
della ditone c fouerchiaj smammi Capo all’oche,e le fingeremo cofi,
acfipchc il mancamento Alle teff alti pH ! muttrafi parimente
ifs tUnW fiu VnfliENNAflratmdinmaccn le piume ritcrte^un BAN* CO
rifinito, un SO L E cdifjaàjt tenebrò fc, òr una PERLA tqal con da in
quella parte mutata, doue habbiamo di lei fitta la mutotione.La Db
uifione fi una ROSA cui manchilo
aktyfìe^altdti’jÀPQÌ&QtndoratD: rotto per mezzo, et fimili figurati
ori come piu n piacciono^ ti uegono à uerfo.Ne ti w r* jy m j „
jti '*jri i » o pensi » tfijnd’ u tòtrinciàua c irosi 'in fcr
mt&c | .‘^1 ri ©drtfcfofà lafctitttì£i regole che altro noi non
vogliamo xth'uftre interini in uece delle le t ter e t per patrie
depingcrc nella memoria. Il Tempo lo dipingeano figurane Jo il Sole, x
là, Lurknii faggif* cbequtflì fmetmrù o emfdfe m fo ..Perii Moruk
dipittgeanavo Serpe.lon inbocca-jjl Serpe è punteggiate di oro 3 òr
dipinte dt fiutane, che r effe mkaH jietvtm la jlelle, è rotondo fenkh
'principio 3 e fcn^ofne^Qmé tl 'cmkofd&klo:} rinuoua di fiogUa alla
primauera, v-Và 1 V é* :5 **>$• i . r r- m iwfci&t "t\r: o* T
"yOtremo parimente col Gejlo effimere alcune fgwfimonidi paro A le ;
e ne diremo piu particolarmente quache non barbiamo fitto rag ? gionando
delle I magini de* concetti, e dtquejlo potremo fruirci con molta
comodità, per ciò che à firci ricordare la perfino del luogo figurata
inquel gffio; ne porge molto vtile, e quella pittura figurata in un
decente gefìoj quantunque taccia, che non paia che raggioni, ed efjrimi «
fio con detti piu che la voce vma tVn muto effitme coi Gejlo ciò che egli
de fiz dera,'V fóndo le mani in uecedi lingua Philomena efireffi col
gejlo dia ferrila più chiaramente la violenza vfatde daTereo, che non
fice con la pittura* N efil cifignificano quijli atti nelli hnomini, ma
neUi animali ondo, che io*i filo mouerfi ci accennano ciò che ejfi
defiderano. Chi non giudica /thè dinoti humiltà vn capo chef a inchinato
alla dea fira, vnritto arroganza, piegato innanzi accetta, ti pendente in
dietro neghi deche con bocca, mani, e con ogni altro membro del corpo non
fi fojfino dimjk'are infinite pajfmi fi parole ì Chi non giudicara
mejlo, et di mah voglia vno,che ft veggSpalhdonel volto,con la fronte
dea prefiy col collo languido, e pigró intuiti ifinfi,e nelle fòrze dir
un’altro infiammato (tira, thè hahbiail colore gli occh gonfi,cr
(facondo, t rutre le membra nfiritite, e fiia èon tutta la perfimtin moto
gagliar difi fimod Jf of occorrendoci adunque (come per cafifi
IMBRIACO a 'V* * - a I •• # ^ v - fìngeremo quella perfètta in imagine,
quale veliamo deferita Sileno da VIRGILIO (si veda); Jìar dijlefo in
terra me^go finnacchiofi, con le vene gonfie di vino, con vna corona
difirondi di vite, con yn fiafeo, che gli fenda via cino, a cui la Ninfa
Egle dipinga la faccia di mora rojjc V
cigliamo ria cordarci di INVIDIOSÒ, fingeremo quella perfena guaine
deferiite O uidio l’invidia, Jederin terra facendofi cibo de jer penti,femprc
meta ero, fofairando, e piangendo } di faccia pallida, col guardo torto,
co denti ruggmosi ) egli difiilli veleno dalla bocca. Se anchora dicejli
OCCI DE j qual ancho VIRGILIO (si veda) ne dejcriue ENEA fipra TURNO, il quale
confe braccia JòpplicheuolijCt djflejò interra chieda perdono ENEA
minaccia te gli habiiafittu la spada nel petto. Il filmile farai nell’
altre parole, che ft potranno efarimcrc co’lgejlo.Cosi chi con le braccia
aperte,chi con dia Jlefi t chi dritti, chi piegati,et finalmente tutti in
diuerfe attioni faggen a do quanto fi pojfa ? atto dell’uno
rajfomigliarfi con l’altro, acciochcal rea àmre non pigliammo errore. Come
ci possiamo ricordare dal contrario. j Vf 7 % . 0», Efìami quejla
terza j Ir vltima parte a trattare, ciò e come ci pof fi amo ricordare
dal contrario > il che io promifi al principio, quatta io infegnai et
ricordar dal proprio . Il ricordar dal contrario ci porge non piccola
vnlità ;per ciò che ciafcuno per vno ejìremo fi ricorda dcllaltro eferemo
. 1/ color nero mi farà ricordar del bianco, nella infamità mi ricorderò
della finita e nella infelicità fempre della pajfita felicità . Ina
Produce Euripide tìccuba nella fra T rageìta, che ritrouandofi nel colmo
della infelicità che hauea dt bifogtto d’ognt cafi, rtcordarfi del colmo
della Jùa felicità ; dclrcgno dejf flfia> de cinquantafigli, e
cinquanta nuore, del Marito, della cafi tonto ricca : ir iHuflre .Nel
caldo ci ricordiamo Helfeido, 1 caualierì Tranztfi combattendo
neU'cJferdto di Morto Craffo contro i Parthijper lo caldo che fintiuano
fi ricordauanodelfed do di Francia, e per lafite che papuano j fi ricord
auano di tutte quelle ac 0 guef’iui haueano vfie., Ma prima,
che mi parta di raggiane di queflo, racconterò anchora un al tira regola,
che non fife la debbo dal contrario, ò da altro chiamare, che fi fi ra
fra quante ne babbiamo raccontate digrandiffimogiouamcntv. La refi gobi c
quejla,che colui haura da fcruirfi di quefl'arte, elegaft primierafi
•niente in de vfifi nt haura a firuire, ciò e fi in predicare, b in ree
idre O rationifi altre co fi fé pojforìo ejfcrc tafanitele fra queflo fio
v o eleggasi da duecento o trecento parole, che ptìtgli firuorw, e piu gli
intinte# rgono, e che meno fi pojfino ajsomgliare, per ciò .che quejìe
parole piu dell’ altre ci f cglione effir molefic al ricordare . Soia ci
fama di quelle daremo un figno manale jò dal contrio/o dui diffamile, a
come a lui meglio piacerà elegerle, e quefie notarle in un librone
porfile beniffimo à memo; tiaytedo che occorrendo al ricordare le potigli
in mano delle perfine del luogo in uece defle'parolé . Fingerò fa me j
che una gran 'Zucca dica POI CHE, vn Melone dica POSCIA, vn Ccdruolo DAL,
vw Tomo P ER y e fmilijcofi con molta prefie^a locaremo le imagini
alle parole fenza andar molto vagando con l'tmaginatiua per porle, e pat
irne» te con molta prefezza uedendole con l'intelletto ci ricordiamo
delle parò* le . Quel la regola è tolta da coloro f e raccogiicuano le
orationi antica mente dalli vtua voce mentre fi recitauanont’l Senato f e
con certe tifica^ refi caratteri da loro imaginati alle parole piu
occorrenti } le Jcriueuano (on molta jtgeuole^za.e.Fu quefia regola molto
commendata da Greci per mio parere fé fcrijfero dt qu fi’ arte, ammonendo
coloro f e hauea* noà fr tpieflja profcJfione,ne haucjfcro à memoriiynagran
moltttydi fi, La quaU opinione à torto Cdcerom. la ri prende,
intendetiJojtfpiwenfy U da quello f che faa.penfindofi., che 'a tutte le
Rarefi che,pq^ Falcone. Keywords: caratteristica universale. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Falcone.’ Falcone.
Luigi Speranza -- Grice e Falzea: all’isola -- la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- QVOD PRINCIPII
PLACVIT LEGIS HABET RIGOREM – il sentimento condiviso – scuola di Messina –
filosofo messinese – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Messina). Filosofo messinese. Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Messina, Sicilia. Grice: “I like Falzea; for one
he applies Apollonian principles to H. L. A. Hart’s analysis of ‘discorso
giuridico’ – alla ‘discorso musicale’ – after all, there is ‘armonia’ in
justice!” – Si laurea sotto Pugliatti a Messina. Insegna a Messina. Lincei. Sua
costante preoccupazione è stata quella di integrare, sempre ed opportunamente,
la prospettiva astratta logico-formale e filosofica con quella pragmatica del
diritto mirante a fornire quel necessario ordine giuridico indispensabile alla
co-esistenza pacifica di vita materiale, vita spirituale e vita sociale. Fra i
suoi maggiori risultati, la centralità della nozione dell’’intersoggettivo”,
“l’interazione” – “l’interpersonale” -- pensato sia astrattamente che in
relazione alle correlative persone la fondazione di una etica giuridica e
l'elaborazione di una assiologia del diritto, frutto rispettivamente della sua
incisiva indagine critica ed ampia comprensione concettuale delle nozioni di
”valore“ da porre, al centro della sua filosofia giuridica, assieme a quello di
“interesse” (cf. Prichard), e di “categoria giuridica” formale, quali nuclei
fondanti del corpus dottrinario della giurisprudenza. Da qui, la constatazione
di principio secondo cui “il giuridico”, nella sua accezione più ampia come
fatto storico-sociale dinamico e non statico, si analizza nelle sue due
componenti principali, quella ”formale“ e quella “materiale”, da considerarsi
sempre in un reciproco, razionale equilibrio co-relativo garante di quella
realtà umana fattuale del interesse e del valore. Il perno epistemologico
dell'impianto teorico, quale presupposto ineludibile per l'esistenza di un
qualsiasi “stato di diritto”, è quello che fa leva sull'imprescindibile ruolo
formalizzante che ogni determinazione giuridica cogente deve avere nel
catturare, indi razionalizzare (forma), quel nucleo affettivo-emotivo (materia)
insito in ogni fatto umano consuetudinario della vita. Il diritto, come realtà
assiologica, è quella naturale concezione cui si perviene allorché si abbandona
quella riduttiva visione formalistica ed astratta della giurisprudenza la
quale, invece, deve guardare alla realtà fattuale ed alle sue dinamiche
complesse e multi-fattoriali, ai suoi contenuti pragmatici, di valore ed d’interesse.
Da qui, la necessaria interdisciplinarità cui deve sottostarepur mantenendo la
propria autonomia la costante giurisprudenza per non cadere in un anacronistico
e sterile formalismo privo di materia. La forte, quasi esasperata dimensione
teoretica (ma mai grettamente dogmatica) espressa non solo da un punto di vista
meramente logico-formale ma sempre contestualizzata alla variegata
problematicità e storicità della realtà umana, si evince, in tutta la sua
evidenza, dagli scritti dedicati ai problemi di teoria generale del diritto,
affrontati, oltre che in alcuni suoi lavori monografici, in certe voci la lui
redatte per l'Enciclopedia del Diritto, sì da costituire dei classici della
letteratura giuridica contemporanea: fra queste, accertare, apparire, efficacia
giuridica, fatto giuridico. Fra i molti contributi dati da Falzea
all'elaborazione teorica dell'ordinamento giuridico, in raccordo a quanto detto
sopra, degno di nota è l'aver egli richiamata l'attenzione nella voce ”I fatti
del sentimento“, sulla scia di parte del pensiero di Pugliatti sulla rilevanza
giuridica del sentimento, inteso non come un principio generale
dell'ordinamento, bensì come un vero e proprio sentimento soggetivo ed
intersoggetivo – shared feelings -- fattualmente rilevante per l’interazione
interpersonale, che la norma giuridica, specie quelle del diritto civile,
classificano come un valore positivo, da rispettare dunque, o negativo (“disvalore”),
da reprimere invece. Da questa presupposizione quindi, con metodo
contraddistinto da ampiezza dell'indagine storica e improntato al rigore
concettuale, consegue uno dei suoi maggiori risultati, riguardante l'analisi
del concetto generale di diritto, quale diritto positivo, cioè effettivamente
vigente, incardinato entro un sistema assiologico fondato su un ordine
razionale intersoggetivo che rispetta il valore di una determinate
intersoggetivo in un assegnato luogo ed in un certo tempo (storicità del
diritto), secondo una scala della loro importanza. Quest'ordinamento razionale
è un tratto distintivo sia del sistema intersoggetivo che dei suoi sottosistemi,
fra i quali preminenti son oil sistema di comunicazione, e quello giuridico,
che è il sistema normativo attualizzato dell'interazione. Da questa
prospettiva, anche sulla base di un parallelo analogico-concettuale con la
struttura della logica, perviene, tra l'altro, ad una elementare quanto
fondamentale distinzione meta-giuridica fra teoria generale del diritto e
dogmatica giuridica, argomentando solidamente a favore della tesi per cui
la teoria generale del diritto opera ad un livello superiore di generalità
rispetto a quello in cui si colloca la dogmatica giacché quest'ultima è sempre
inerente a diritti positivi storicamente attualizzati, oggetti di studio della
teoria generale che, in quanto tale, non discende dunque da alcun diritto
positivo particolare, e quindi neppure dalla dogmatica. La teoria generale del
diritto è piuttosto riflessione meta-teorica su quei particolari sistemi
vigenti di diritto positivo, sistemi che verranno quindi interpretati
speculativamente e spiegati razionalmente (interpretazione giuridica) tramite
metodi centrati sulla individuazione e ordinazione concettuale. Solo in questi
termini, si può allora più propriamente parlare di ”filosofia del diritto”. Altre
opere: “L’intersoggetivo giuridico” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano);
“L’intersoggetivo giuridico, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); La separazione
personale, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); L'offerta reale e la liberazione
co-attiva del debitore, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Il fatto naturale, MILANI-Casa
Editrice Dott. Antonio Milani, Padova); Voci di teoria generale del diritto, Dott.
A. Giuffrè Editore, Milano); Il gene giuridico” Dott. A. Giuffrè Editore,
Milano, Introduzione alle giurisprudenza filosofica”. “Il concetto di diritto” Dott.
A. Giuffrè Editore, Milano); Teoria generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore,
Milano,Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Dogmatica Giuridica, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano, Scritti d'occasione,
Dott. A. Giuffrè Editore, Milano. giuscivilista.
Il civilista. Il nesso fra la fattispecie, ossia la premessa normativa (ovvero,
il caso particolare fattuale), e la conseguenza, ossia il suo possibile effetto
giuridico. norma giuridica Diritto e
interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto. Il diritto può essere
consuetudinario. consuetudine. Antropologia giuridica. diritto civile, Oltre il
”positivismo giuridico“, regola giuridica. Motivi volontaristici e
imperativistici sono presenti nel pratico e volitivo spirito dei romani.
Nemmeno tra i romani tuttavia troviamo formulate dottrine filosofiche che si
propongano di ricondurre compiutamente il diritto alla volontà o al comando. Il
lato imperativistico del diritto emerge piuttosto in singole tesi o massime di
giuristi. Si ricordi il noto passo di Modestino riportato nel Digesto: « Legis
virtus haec est: imperare, vetare, permittere, punire" (Digesto); o
l'altro detto, di Ulpiano, ancora piu indicativo sotto il profilo
volontaristico che sottolinea l'importanza della volonta del sovrano per la
validita della legge: "quod principi placuit legis habet vigorem" (Digesto).
Ma le espressione forse piu significative si trovano in un luogo di Gaio, nel
quale egli, dopo aver distinto varie fonti del diritto romano, le caratterizza
cosi: "Lex est quod populus iubet atque constituit. Plebiscitum est quod plebs iubet
atque constituit... Senatusconsultum est quod Senatus iubet atque
constituit" (Gaio). Il
rapporto regola giuridica-commando risulta ormai fissato in maniera esplicita,
mentre e IMPLICITAmente enunciato il rapporto tra il comando (iubere) e
l'imperativo (constituere). Rientra in questa configurazione
volontaristica e imperativistica del diritto la concezione della consuetudine
come iussum populi, un comando del popolo alla stessa stregua della legge: lex
lata sine suffragio. Ma e con la compilazione giustinianea che, associato al
processo politico dell'epoca imperiale, il volontarismo giuridico ottiene la
sua prima grande e compiuta affermazione. A cio concorsero due fattori
strettamente collegati. La volonta d'onde promana la regola giuridica e adesso
individuata e circoscritta nella persona dell'imperatore. La netta separazione,
su piano empirico, tra interpretazione e applicazione della legge e la regolar
rigorosa che riservava allo stesso imperatore il POTERE INTERPRETATIVO (nel
senso di risoluzione dei casi dubbi) esaltano il peso della volonta imperiale,
impedendo che altri, giurista o giudice che sia, possa sustituirsi, alterandola
o integrandola, a quella volonta. E ben noto il monito che Giustiniano, sulla
presunzione della completezza e perfezione della propria opera di legislatore,
rivolgeva ai giuristi: nullis iuris peritis in posterum audentibus
commentarios illi adplicare et verbositate sua supra dicti codicis
compendium confundere: quemadmodum et in antiquioribus temporibus factum est,
cum per contrarias interpretantium sententias totum ius paene conturbatum est
sed sufficiat per indices tantummodo et titulorum subtilitatem quae paratitla
nuncupantur quaedam admonitoria eius facere nullo ex interpretatione eorum
vitio oriundo"; e quello ancor piu energico e perentorio che gia in
precedenza era stato fato ai giudici da Valentiniano e da Marciano: "Si
quid vero in idsem legibus latum fortassis obscurius fuerit, oportet id
imperatoria interpretatione patefieri duritiamque legum nostrae humanitati
incongruant emendari". La prassi non poteva non smentire questo ambizioso
proposito, la cui formulazione, tuttavia, giova a chiarire come una concezione
volontaristica possa trovare un effetivo riscontro nella realta solo a patto
che la VOLONTA legistlativa venga aggiunta a fonte unica del diritto al di
fuori di ogni condizionamento esterno e risultati garantita nella sua fedele
applicazione ed esecuzione. Può il diritto penale di una
moderna democrazia liberale essere invocato a tutela di sentimenti? L’idea
della protezione penale sembra di primo acchito stridere nell’accostamento a
oggetti come i sentimenti. Eppure, il problema non è estraneo alla realtà
normativa italiana: nel codice Rocco il sen- timento religioso, il pudore, la
pietà dei defunti, il sentimento per gli animali sono gli esemp i più
evidenti. Di fronte all’impiego legislativo di suddetta terminologia, si apre
il problema della definizione dell’oggetto di tutela: il presidio è rivolto a
stati psicologici individuali? Oppure l’evocazione di sentimenti va ri- ferita
alla collettività, quale salvaguardia di una sensibilità che si as- sume come
propria della maggioranza dei consociati? La definizione in termini di
sentimento comunica, in prima istan- za, l’attenzione verso aspetti non
strettamente materiali della vita de- gli individui: riconosce la possibilità
di recare offesa alla persona su versanti che trascendono la mera fisicità. Un
richiamo a fenomeni che interessano la sfera psichica, e che si pongono di
fronte al diritto come realtà da decifrare. La prima parte dell’indagine sarà
dedicata a una mappatura del- l’orizzonte conoscitivo, attraverso contributi di
conoscenza esterni al mondo del diritto. Cercheremo di sviluppare un dialogo
interdisciplinare esteso non soltanto alle scienze lato sensu psicologiche, ma
anche alle discipline sociologiche e filosofiche, secondo un’apertura che dà
rilievo ai ca- noni metodologici elaborati in seno alla branca di studi della
dottrina statunitense denominata ‘Law and Emotion’. A seguito di tale sintetico
ma importante excursus, entreremo nel- la dimensione normativa, analizzando sia
le fattispecie penali del- l’ordinamento italiano in cui l’oggetto di tutela
viene definito come ‘sentimento’, sia le peculiari sfumature di significato che
emergono dai discorsi dei giuristi. Culminata tale parte della ricerca, la
quale è finalizzata a delinea- Tra sentimenti ed eguale rispetto re il
quadro di riferimento normativo e a fissare le coordinate meto- dologiche di
fondo, cercheremo di analizzare una specifica declina- zione del problema della
tutela di sentimenti: i rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di
espressione. L’approfondimento di tale questione assume oggi una peculiare ri-
levanza dovuta alla crescente conflittualità che si registra nel discor- so
pubblico delle società occidentali, con particolare riferimento ad argomenti ad
alto tasso emotivo dove vengono in gioco ‘appartenenze significative’
dell’individuo. L’asserita impossibilità che il diritto possa muoversi
all’interno di coordinate eticamente neutrali impone di riflettere attentamente
sul- la dimensione politica del problema penale, all’interno di una dialet-
tica i cui poli opposti sono rappresentati da posizioni di individuali- smo
democratico contrapposte a concezioni di tipo comunitarista- identitario. La
parzialità dei sentimenti, la loro mutevolezza, la loro essenzia- lità per la
persona acutizzano il problema degli equilibri fra coerci- zione e libertà.
L’obiettivo è riuscire a bilanciare esigenze di rispetto per le persone con la
salvaguardia di forme e contenuti comunicativi la cui libertà è anch’essa parte
essenziale del reciproco rispetto dovu- to da ciascuno a tutti. Una misurata e
accorta diffidenza verso il tessuto affettivo- emozionale è la premessa per un
approccio critico che metta il diritto penale in condizione di distinguere
richieste di riconoscimento da tentativi di sopraffazione, per «non confondere
il pensiero e l’auten- tico sentimento – che è sempre rigoroso – con la convinzione
fanatica e le viscerali reazioni emotive» 1. In questo senso, un confronto con
i sentimenti sarà forse utile a meditare sugli spazi per una convivenza tra le
diverse libertà che chiedono ascolto nella società pluralista. 1 MAGRIS,
Laicità e religione, a cura di Preterossi G., Le ragioni dei laici, Roma-Bari. EMOZIONI
E SENTIMENTI TRA FATTO E NORMATIVITÀ. Tra sentimenti ed eguale rispetto
Fenomeni affettivi e dimensione giuridica. I FENOMENI AFFETTIVI E
DIMENSIONE GIURIDICA: COORDINATE EPISTEMOLOGICHE E METODOLOGICHE se trascuriamo
tutte le reazioni emozionali che ci legano a questo mondo, noi trascuriamo
anche gran parte della nostra umanità, e precisamente quella parte che sta alla
base del perché noi abbiamo una legislazione civile e penale, e di quale
aspetto essa prenda» NUSSBAUM. Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna,
la legge. L’orizzonte di indagine. Diritto penale, sentimenti, emozioni:
panoramica dei problemi. Fulcro
dell’indagine: il richiamo al sentimento nella definizione dell’oggetto di
tutela. Oltre il lessico legislativo. Diritto penale, sentimenti, emozioni:
panoramica dei problemi «Anche se nel diritto penale domina il fenomeno
oggettivo ed esterno del comportamento, si trovano in esso frequenti espliciti
ri- chiami ai fenomeni soggettivi e interiori del sentimento. Purtroppo si
tratta di semplici richiami, dai quali nessuno finoggi ha tentato di as-
surgere a una trattazione sistematica unitaria. Il peso di queste lacu- ne non
può non accusarsi in sede di teoria generale perché sono gli [Tra
sentimenti ed eguale rispetto istituti penalistici a offrire a uno studio
giuridico del sentimento gli esempi più numerosi e più importanti» Con queste
parole Falzea richiama l’attenzione sulla rilevanza che i fenomeni affettivi
assumono nella dimensione penalistica, lamentando l’assenza di stu- di
specifici che avrebbero potuto giovare a un più esaustivo inqua- dramento
teorico dei fatti di sentimento nella sfera giuridica. A distanza di decenni le
parole di Falzea mantengono inalterato il loro valore di impulso a riflettere
su ruolo e significato del sentimen- to nel diritto penale. Ad oggi il tema non
è stato ancora compiuta- mente indagato in una prospettiva di sistema, per
quanto l’attenzione della dottrina penalistica italiana sia andata crescendo
negli ultimi decenni. I limiti dell’approfondimento, quasi una ‘presa di
distanza’ dai fat- tori affettivi, non costituiscono una peculiarità del
microcosmo pena- listico ma sono da contestualizzarsi in un atteggiamento del pensiero
occidentale che ha considerato sentimenti ed emozioni come un fat- tore di
distorsione del pensiero cognitivo e, conseguentemente, anche come elemento
distonico in rapporto all’asserita ‘razionalità’ degli isti- tuti giuridici e
delle riflessioni ad essi inerenti 2. 1 F., I fatti di sentimento, in Studi in
onore di Passarelli, Napoli. «Si è
soliti associare al concetto di “decisione” il qualificativo “razionale”, come
garanzia di esattezza dei presupposti da cui promana e di “bontà”/coerenza
delle ripercussioni che intende provocare. Ragione/razionalità come promessa di
succes- so, di eliminazione dell’errore, di metodo fondato su argomentazioni
logiche e su- scettibili di controllo critico», così CAPUTO, Occasioni di
razionalità nel diritto penale. Fiducia nell’“assolo della legge” o nel
“giudice compositore”?, Jus. Il tema della razionalità giuridica e penalistica
affiora in innumerevoli scritti che non appare possibile menzionare
esaustivamente; per un quadro di sintesi v. LA TORRE, Sullo spirito mite delle
leggi. Ragione, razionalità, ragionevolezza, Napoli; con riferimento all’ambito
penalistico, v. ex plurimis, LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale, in
AA.VV., Logos dell’essere Logos della norma. Studi per una ricerca coordina- ta
da Luigi Lombardi Vallauri, Bari, Un eloquente monito a non dare per scontata
la razionalità del giuridico si deve a GRECO, Premessa, in BIANCHI
D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali
della giurisprudenza, Bari: «nel mondo del diritto l’attenzione è
tradizionalmente rivolta ai contenuti strettamente giuridici delle leggi e
della giurisprudenza e v’è una propensione ad attribuire significati razionali
o ideali non soltanto al reale giuridico, ma anche a quello che tale non è. Ora
in un mondo ampiamente dominato da leggi economiche e dai corrispondenti
dinamismi socio-politici, la pretesa di considerare il fenomeno giuridico in
linea generale negli stretti limiti della scienza giuridica propriamente detta
è illusoria e illusionistica. Per un’interessante prospettiva sui rapporti tra
razionalità dell’intervento penale ed emozioni mo- [ Fenomeni
affettivi e dimensione giuridica [Il modo di intendere le dinamiche del
diritto, soprattutto del diritto penale, si è fondato implicitamente, forse
anche inconsciamente, su una narrazione convenzionale che ha attribuito a
sentimenti ed emozioni un ruolo negativo, quasi antagonistico rispetto alla
ragione, e che ha portato in questo senso a marginalizzare il ruolo dei
fenomeni affettivi, sia riguardo alla dimensione di razionalità della condotta
del reo, sia soprattutto in relazione al modo di concepire l’agire delle figure
tecniche cui sono affidate le dinamiche applicative del diritto: soggetti,
questi ultimi, idealmente assimilati, anche a livello di immaginario
collettivo, a modelli di razionalità pura, secondo veri e propri stereotipi che
caratterizzano il modello culturale di diritto radicato nel mondo occidentale.
Tale vulgata influisce tutt’oggi sull’insegnamento per la preparazione di giudici
e avvocati, tendenzialmente, e forse talvolta ingenuamente, proiettati alla
ricercadi una non ben definita razionalità, ma forse non ancora adeguatamente
messi in condizione di conoscere, studiare e gestire la complessità delle
euristiche del pensiero e dei rapporti con l’emotività 6. rali v. MURPHY,
Punishment and the Moral Emotions, Oxford. Quale testo di riferimento per un
inquadramento in chiave socio-psicologica della razionalità umana, v. ELSTER,
Ulisse e le Sirene. Indagini sulla razionalità e l’irrazionalità, Bologna.
Definizione di BANDES, Introduction, in ed. Bandes, The Passion of Law, New
York. Il tema è sviluppato principalmente in ambito criminologico; per una
sintesi v. FORTI, L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo
penale, Milano.; cfr. PALIERO, L’economia della pena (un work in progress), in
AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci, Milano, il quale, in superamento di tale teorica,
afferma che ormai non è pensabile immaginare un attore della scena penalistica
che sia contemporaneamente affekt-, tradition- e wert-frei». È la critica di
BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, in
Review of Law and Social Science, HARRIS, “Another Critique of Pure
Reason”: Toward Civic Virtue in Legal Education, in Stanford Law Review; per la
critica al modello di pensiero sotteso all’insegnamento del diritto nel
panorama occidentale vedi il saggio. Emblematica è la figura del giudice, il
quale per definizione si dovrebbe differenziare da figure atecniche, prive di
una formazione giuridica e che dunque dovrebbero essere più esposte a
condizionamenti emotivi (testimoni, imputato, pubblico), ma che andrebbe più
realisticamente inteso, e studiato, anche come soggetto emotivo. Judges are human and
experience emotion when hearing cases -- v. MARONEY, Emotional Regulation and
Judicial Behaviour, in California Law Review; si veda soprattutto per il
discorso sulla gestione delle emozioni; EAD., Angry Judges, in Vanderbilt Law
Review; cfr. BANDES, Introduction. Sul
tema delle emozioni del giu- [Tra sentimenti ed eguale rispetto I tempi
sembrano però essere cambiati: i saperi sul mondo, e dunque le scienze con cui
anche il mondo del diritto deve confrontar- si utilizziamo il termine ‘scienze’
in un’accezione lata che comprende sia le scienze c.d. ‘dure’, sia le scienze
sociali e le discipline filosofiche – inducono oggi a un ripensamento di fondo:
non solo relativamente alla distinzione dicotomica ragione/emozioni, ma più in
generale al ruolo che emozioni e sentimenti assumono anche in rapporto alla
qualità morale delle scelte di un individuo dicante si veda anche
WIENER-BORNSTEIN-VOSS, Emotion and the Law: A Framework for Inquiry, in Law and
Human Behaviour, L’emotività del giudice viene analizzata anche nel panorama
italiano: fra le monografie v. FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emotivo. La
decisione tra ragione ed emozione, Bologna.; CALLEGARI, Il giudice fra
emozioni, biases ed empatia, Milano. Fra gl’articoli v. CERETTI, Introduzione,
in Criminalia; LANZA, Emozioni e libero convincimento nella decisione del
giudice penale, in Criminalia.; BERTOLINO, Prove neuro-psicologiche di
responsabilità penale, in Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della
sanzione penale alla prova del processo, Napoli. Per una critica all’attuale
formazione dei giuristi, e la proposta di introdurre le scienze cognitive nel
percorso di studi universitario v. PASCUZZI, Scienze cognitive e formazione
universitaria del giurista, in Sistemi intelligenti; si sofferma sulla debolezza
del modello di azione razionale fatto proprio dal diritto, in una prospettiva
mirata principalmente al diritto civile, CATERINA, Processi cognitivi e regole
giuridiche, in Sistemi intelligenti. Traggo tale definizione da PULITANÒ,
Difesa penale e saperi sul mondo, in Carlizzi-Tuzet, La giustizia penale tra
conoscenza scientifica e sapere comune, Torino, in corso di pubblicazione. La
bibliografia sul tema è sterminata. Ci limitiamo a indicare alcune opere che,
anche in virtù dell’attitudine divulgativa, hanno contribuito a favorire un
dialogo interdisciplinare. Un autore che in tempi recenti ha impresso una
svolta, anche dal punto di vista comunicativo, per la confutazione della
dicotomia ragio- ne/emozioni è Damasio, a partire del cele- bre studio
intitolato L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano, al
quale si sono aggiunti successivamente Alla ricerca di Spinoza. Emozioni,
sentimenti e cervello, Milano, e Il sé
viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Milano. Si vedano
anche i saggi di Doux, il quale pone lo
studio delle emozioni come base per la conoscenza della mente umana, DOUX, Il
cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Milano. Per una prospettiva
interdisciplinare, di taglio socio-filosofico, opera di riferimento è NUSSBAUM,
L’intelligenza delle emozioni, Bologna. Per un quadro di sintesi di taglio
prettamente divulgativo v. EVANS, Emozioni. La scienza del sentimento, Roma. Il
problema non è mai stato, soprattutto da Hume in poi, ammettere che le emozioni
possano essere motivi dell’azione umana, ma semmai ammettere che ne siano
ragioni morali, che abbiano un’autorità, una forza normativa, pari a quella che
il razionalismo classico attribuiva a principi della ragione incontaminati
dalle Fenomeni affettivi e dimensione giuridicaNon è possibile in questa
sede addentrarci nello sconfinato dibattito. Riteniamo però di poter
sintetizzare lo stato dell’arte con un’eloquente affermazione di Haidt,
psicologo di matrice intuizionista, e dunque incline a riconoscere la primazia
dell’intuizione emotiva nell’economia dell’agire umano. La razionalità umana
dipende in maniera cruciale da un’emotività sofisticata: è solo perché il
nostro cervello emotivo lavora così bene che i nostri ragionamenti possono
funzionare. Un’emotività sofisticata: se la razionalità umana è il risultato di
una complessa combinazione in cui anche la dimensione emotiva ha un ruolo
importante, ne deriva l’esigenza di un ridimensionamento delle pretese di
razionalità pura che ci si ostina o ci si illude a ricercare nei prodotti
legislativi e anche nelle condotte degli operatori del diritto (giudici,
avvocati). In altri termini, appare tutt’altro che inscalfibile la plausibilità
dell’impostazione veteror-azionalistica cui la tradizione giuridica occidentale
ha conformato i propri paradigmi e alla cui ombra sembra ancora coltivare
l’autor-assicurante illusione della legge e del sistema giuridico come dominio
della razionalità’ passioni e che il sentimentalismo, d’altra parte, finiva per
trattare solo nella contingenza del loro incidere su una ragione pratica, v.
PAGNINI, Il rispetto al centro della morale, in Il Sole-24Ore; sul rapporto fra
emozioni e ragioni morali, un’opera che riassume lo stato dell’arte è Bagnoli,
Morality and the Emotions, Oxford, HAIDT, Felicità. Un’ipotesi, Torino; per
un’esplicazione più dettagliata v. The Emotional Dog and Its Rational Tail: A
Social Intuitionist Approach to Moral Judgment, in Psychological Review. Il
tema è sconfinato; per una sintesi del dibattito v. MACKENZIE, Emotions,
Reflection and Moral Agency, in Langdon-Mackenzie, Emotions, Imagination and
Moral Reasoning, London; OATLEY, Psicologia ed emozioni, Bologna. Una posizione
che afferma l’esigenza di non trascurare l’effetto di possibile alterazione
della razionalità da parte delle emozioni è quella di ELSTER, Emotions and
Rationality, in Mansted-Frijda- Fischer, Feelings and Emotions. The Amsterdam
Symposium, Cambridge. Un’efficace sintesi, anche sul piano comunicativo, è il saggio
di GOLEMAN, Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Milano.
Da ultimo, v. MORIN, Sette lezioni sul pensiero globale, Milano. Per un
interessante quadro di sintesi sull’atteggiamento del pensiero giuridico
occidentale teso a prendere le distanze dalla dimensione emotiva (senza
peraltro riuscirci), v. MUSUMECI, Emozioni, crimine e giustizia. Un’indagine storico-giuridica,
Milano. The main-stream notion of the rule of law greatly overstates both the
demarcation between reason and emotion, and the possibility of keeping
reasoning processes free of emotional variables. It is also likely that
emotion, by its very nature, threatens much of what law hopes to be. To the extent legal systems Tra sentimenti ed
eguale rispetto È emblematico l’assunto con cui la giurista Bandes apre un
importante studio collettaneo intitolato ‘The Passions of Law’. Le emozioni
pervadono il diritto. Possiamo dire che ne impregnano sia la fase genetica sia
la dimensione applicativa. la domanda cruciale non è se emozioni e sentimenti
diano luogo a forme di interazione con la realtà giuridica, bensì in quali
termini essi interagiscano e come possano essere gestiti a livello teoretico e
in ambito applicativo. L’osservazione di Bandes vale in misura ancora maggiore
per il diritto penale, il quale intrattiene con le emozioni un rapporto di
problematica contiguità, poiché coinvolge, e spesso travolge, beni che
rivestono un ruolo importante nella scala dei bisogni e delle preferenze
soggettive: per proteggere interessi rilevanti per la sopravvivenza e lo
sviluppo della persona umana è chiamato a incidere su interessi altrettanto
essenziali (le libertà) 1thrive on categorical rules, emotion in all its messy
individuality makes such categories harder to maintain. The notion of the rule of law
is based, at least in part, on the belief that laws can be applied
mechanically, inexorably, without human fallibility, v. BANDES, Introduction. Nella
cospicua letteratura si vedano, ex plurimis, BRENNAN, Reason, passion, and the
progress of the law, in Cardozo Law Review; DEIGH, Emotions, Values and the
Law, Oxford; KARSTED, Emotion and Criminal Justice, in Theoretical Criminology;
MARONEY, The Persistent Cultural Script of Judicial Dispassion, in California
Law Review; BANDES, Introduction. Per
una panoramica di taglio generale si vedano anche i contributi pubblicati in Palma-Silva
Dias-de Sousa Mendes, Emoções e Crime. Filosofia, Ciência, Arte e Direito
Penal, Coimbra. Il problema della razionalità del punire si identifica con
anche l’esigenza di un equilibrato rapporto con la dimensione affettiva. Nella
sua versione più primitiva e brutale, la pena si manifesta come reazione
istintiva a un torto. Definendo la pena primitiva come ragione cieca,
determinata ed adeguata soltanto agl’istinti ed agl’impulsi – in una parola,
come azione istintiva – volevo innanzitutto ed in primo luogo porre con ciò in
rilievo, nella maniera più efficace possibile, una caratteristica negativa
della pena primitiva. LISZT, La teoria dello scopo nel diritto penale, Milano. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria
del garantismo penale, Roma-Bari. Il diritto penale costituisce il ramo
dell’ordinamento in cui è maggiore è il rischio di assecondare istanze
vendicative o bramosie punitive slegate da una razionalità strumentale e
guidate da una cieca emotività, esso vive in una continua dialettica con
l’irrazionale: cfr., ex plurimis, DONINI, “Danno” e offesa nella c.d. tutela
penale dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a
margine della categoria dell’offense di Feinberg, Riv. it. dir. proc. pen.; v.
anche Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e
politica, in Stortoni-Foffani, Critica e giustificazione del diritto penale:
L’analisi critica della scuola di Francoforte, Milano; BARTOLI, Il diritto
penale tra vendetta e riparazione, in Riv. it. dir. proc. pen.; Fenomeni
affettivi e dimensione giuridica; L’azione dello strumento penale è di per sé
‘emotigena’, ossia fat- tore di stimolo a emozioni 15. Vale per la fase
precettiva, ossia l’espressione di divieti che, a se- conda degli interessi
coinvolti, possono suscitare negli individui atteg- giamenti emotivi di diverso
tipo 16 i quali finiscono per influire sul gra- do di adesione alla norma e
dunque sulle condizioni di osservanza del precetto, in una dimensione che
potremmo definire come ‘risvolto emozionale’ del problema della legittimazione
delle norme penali 17. E vale, forse in modo più rilevante, per la fase
applicativa, in cui si accertano le responsabilità e la sanzione ‘prende
corpo’. Non è un ca- so che la dimensione emotiva nel diritto penale venga
convenzional- mente collocata, e sovente circoscritta, a fasi e momenti in cui
emo- zioni e sentimenti risultano più ‘visibili’: la realtà delle aule di tri-
ss.; PADOVANI, Alla ricerca di una razionalità penale, in Riv. it. dir. proc.
pen., «In effetti, il reato è la mistura
di un fatto che suscita reazioni immediate negative e di un’imputazione dalle
origini spesso motivate politicamente e dagli effetti sempre stigmatizzanti»,
LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale. Per uno studio ad ampio spettro
sulle emozioni suscitate dal fatto crimina- le, con particolare riferimento al
sublime, v. BINIK, Quando il crimine è sublime. La fascinazione per la violenza
nella società contemporanea, Milano, 2017. 16 Sul richiamo ad atteggiamenti
emotivi della collettività come parte di un più ampio problema concernente
adesione a valori, consenso sociale e normazione penale, v., per tutti,
PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., Nella
letteratura italiana v. FORTI, Le ragioni extrapenali dell’osservanza della
legge penale: esperienze e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., Sui
rapporti fra la dimensione sociale delle emozioni e le scelte di politica del
di- ritto si soffermano BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Sui rapporti
tra dimensione ‘visiva’ del crimine e ruolo delle emozioni v., per un’ampia
panoramica,a cura di Forti-Bertolino, La televisione del crimi- ne, Milano,
2005; per l’analisi di un caso emblematico, v. CERETTI, Il caso di Novi Ligure
nella rappresentazione mediatica, in AA.VV., a cura di Forti-Bertolino, La
televisione del crimine; sul tema v. anche PALIERO, Verità e distor- sioni nel
racconto mediatico della giustizia. Uno sguardo d’insieme, in AA.VV., a cura di
Forti-Mazzucato-Visconti A., Giustizia e letteratura, vol. II, Milano, 2014,
pp. 671 ss.; più diffusamente, ID., La maschera e il volto (percezione sociale
del crimine ed ‘effetti penali’ dei media), in Riv. it. dir. proc. pen.;
PALAZZO, Mezzi di comunicazione e giustizia penale, in Politica del diritto;
volendo, v. BACCO, Visioni ‘a occhi chiusi’: sguardi sul problema penale tra
immaginazione, emozioni e senso di realtà, in The Cardozo Law Bulletin,
Sull’approccio ‘visuale’ in criminologia v., per una sintesi globale e per le
coordinate di fondo, v. BROWN, Visual Crimonology, criminology. oxfordre. com/view/10.1093/a
crefore/ 9780190 264079.001.0001 /acrefore-97801902 64079-e-206? Tra sentimenti
ed eguale rispetto bunale e la dialettica spesso tumultuosa fra i soggetti del
processo 19. E infine il carcere, il dramma umano della pena, da sempre intriso
di atteggiamenti emotivi che si dividono fra vendetta, odio per il tra-
sgressore e compassione 20. Siamo solo alla punta affiorante di un intreccio
che affonda le proprie radici in un substrato per lo più invisibile 21. È bene
riflettere non solo sulle emozioni che il diritto penale su- scita, ma anche
sugli atteggiamenti emotivi e di pensiero che sono alla base e che modellano la
fisionomia dell’intervento punitivo22, nelle forme e nei presupposti23.
L’esigenza di riconoscere e proble- Sulle emozioni della vittima, v. da ultimo
BANDES, Share your Grief but Not Your Anger. Victims and the Expression of Emotion in Criminal
Justice, Abell-Smith, The Espression of Emotion. Philosophical, Psychological an Legal Perspectives,
Cambridge. Richiamiamo, nella sconfinata letteratura, alcune opere in cui viene
affron- tato lo specifico tema delle matrici affettive; per una sintetica
ricognizione filoso- fica, a partire da un’analisi etimologica, v. CURI, I
paradossi della pena, in Riv. it. dir. proc. pen.,; nella letteratura
angloamericana, SOLOMON, Justice v. Vengeance. On Law and the Satisfaction of Emotion, in AA.VV., ed.
by Bandes, The Passions of Law.; POSNER, Emotion versus Emotional- ism in Law,
in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law; MURPHY, Punishment and the Moral
Emotions, cit., pp. 94 ss.; NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni; EAD.,
Rabbia e perdono. La generosità come giustizia, tr. it., Bologna. Emotions
pervades not just the criminal courts, with their heat-of-passion, and insanity
defenses and their angry or compassionate jurors but the civil court- rooms,
the appellate courtrooms, the legislatures. It propels judges and lawyers, as
well as jurors, litigants, and the lay public. Indeed, the emotions that
pervade law are often so ancient and deeply ingrained that they are largely
invisible», v. BANDES, Introduction, Cfr. ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and
the Emotions?, in 94 Minnesota Law Review. Secondo l’istanza razionalistica che è alla base del
diritto penale postillumi- nistico, le emozioni sembrano subire una
sublimazione che ne rende più difficol- toso riconoscerne la presenza pur
avvertendone gli effetti: «The institutions of criminal justice thus find
themselves in a paradoxical situation. They offer a space for the most intensely felt
emotions – of individuals as well as collectivities – while simultaneously
providing mechanisms that are capable of ‘coolig off’ emotions, converting them
into more sociable emotions, or channelling them back into reasonable and more
standardised patterns of actions and thought», v. KARSTED, Handle with Care:
Emotions, Crime and Justice, Karsted-Loader-Strang, Emotions, Crime and
Justice, Oxford and Portland, 2011, p. 2. 23 Nella dottrina penalistica italiana è stata
avviata una riflessione concernente il raffronto fra la logica
razionalistico-consequenzialista e una diversa prospetti- va, più marcatamente
intuitiva e a base emozionale, nell’approccio a problemi di
Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 11 matizzare il ruolo della
dimensione emotiva si pone dunque anche in rapporto al processo di
deliberazione delle politiche penali e più in generale all’esercizio delle
scelte pubbliche 24. Appare opportuna una tematizzazione delle connessioni fra
diritto penale e dimensione affettiva, in relazione non solo al funzionamento
di istituti del diritto vigente, ma più in generale all’assetto logico e te-
leologico delle categorie penalistiche, le quali sono frutto di atteg- giamenti
di pensiero e di cultura intrisi di emotività. In altri termini, il ruolo delle
emozioni e dei sentimenti va concepito non solo come elemento da ‘incastrare’
all’interno di geometrie concettuali tradizio- nali, ma soprattutto come
fattore che contribuisce, e ha contribuito fino ad oggi, a influire sulle
geometrie. Le relazioni tra emozioni, sentimenti e diritto penale non sono
dunque confinabili a singoli territori della c.d. ‘dogmatica’, né posso- no
circoscriversi a particolari settori della parte speciale del codice. Il
rapporto fra dimensione affettiva e diritto penale appare in defini- tiva come
un intreccio di questioni che si dispiegano da monte (fase genetica) a valle
(fase applicativa) dell’ordinamento normativo. Più radicalmente, è l’idea
stessa della responsabilità penale, il suo dover essere e i suoi obiettivi, a
essere in buona parte co-determinati da at- teggiamenti emotivi, dalla
sensibilità sociale e dal sentire dei legisla- tori: un presupposto
fondamentale per ogni riflessione penalistica, e che giustamente viene oggi
evidenziato come dato preliminare nella presentazione del problema penale.
regolamentazione normativa e a casi concreti: v. DI GIOVINE O., Un diritto
penale empatico? Diritto penale, bioetica, neuroetica, Torino, 2009, passim;
EAD., Una let- tura evoluzionistica del diritto penale. A proposito delle
emozioni, in AA.VV., a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neuroetica,
Padova, WESTEN, La mente politica, tr. it., Milano; più recentemente, sul ruolo
della componente emotiva nelle scelte politiche e nell’adesione a orientamenti
va- loriali, fedi, ideologie, si veda HAIDT, Menti morali. Perché le brave
persone si divi- dono su politica e religione, tr. it., Milano, 2013, pp. 93
ss.; una sintesi dei proble- mi in ROSSI, Emozioni e deliberazione razionale,
Sistemi intelligenti. Un’analisi del ruolo del fattore emotivo nel contesto
applicativo evidenzia come il richiamo a emozioni sia ben presente nelle
argomentazioni giurispruden- ziali anche al di là di un definito inquadramento
in particolari istituti, e rappre- senti in questo senso un ausilio
argomentativo polivalente, adoperato soprattutto in relazione alla colpevolezza
e ai criteri soggettivi dell’art. c.p., v. AMATO, Di- ritto penale e fattore
emotivo: spunti di indagine, in Riv. it. med. leg. FIANDACA, Prima lezione di
diritto penale, Roma-Bari. Tra sentimenti ed eguale rispetto 2. Fulcro
dell’indagine: il richiamo al sentimento nella definizione dell’oggetto di
tutela La dottrina penalistica parla oggi espressamente di ‘ruolo delle
emozioni e dei sentimenti nella genesi e nell’applicazione delle leggi penali’,
proponendo una classificazione dei profili di interazione fra stati affettivi e
diritto penale basata su cinque piani prospettici i quali possono a nostro
avviso sintetizzarsi in due macrocategorie: 1) profili pertinenti la genesi del
diritto, della legge penale, e il dover essere della pena (ruolo della
dimensione affettiva nelle scelte di politica del dirit- to e riflessi sulla
configurazione del bene oggetto di tutela penale; in- fluenza sul modo di
concepire i concetti o le categorie della teoria del reato, riflessi sul modo
di concepire significato e scopi della pena); profili concernenti la dimensione
applicativa (ruolo di emozioni e sen- timenti nel giudizio di colpevolezza;
influenza della dimensione affet- tiva nella riflessione del giudicante) 27.
Questioni come l’influenza della dimensione affettiva sulla teoriz- zazione dei
concetti della categoria del reato, sul modo di concepirele funzioni della pena
e sulla graduazione della colpevolezza costitui- scono tematiche che, secondo
un gergo ‘endopenalistico’, orientano la riflessione verso temi più vicini alla
‘parte generale’; appaiono maggiormente pertinenti a problemi di ‘parte speciale’
profili riguar- danti il ruolo di sentimenti ed emozioni nella configurazione
di og- getti di tutela. Una prima ricognizione può essere condotta attraverso
uno sguardo al diritto penale vigente, al testo prima che al contesto 28, alla
ricerca di norme in cui vengano evocati fenomeni psichici lato sensu
riconducibili a sentimenti ed emozioni; ed effettivamente nel codice penale
italiano tali richiami non mancano. Un’avvertenza: partire da una lettura delle
norme è funzionale a fornire delle coordinate di base per l’inquadramento delle
questioni 27 FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti nella genesi e
nell’ap- plicazione delle leggi penali,
a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neu- roetica, cit., pp. 215
ss. 28 Adoperiamo la diade testo/contesto per indicare due distinti livelli di
analisi: il primo relativo alla dimensione letterale delle norme, il secondo,
che non affron- teremo nella presente indagine, relativo all’emersione del
lessico emotivo nelle applicazioni giurisprudenziali anche in relazione a
disposizioni e istituti che non richiamano espressamente stati affettivi. Sul
rapporto fra testo e contesto v. PALAZZO, Testo, contesto e sistema
nell’interpretazione penalistica, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi
in onore di Marinucci. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 13 che sono
più strettamente legate al diritto vigente, evidenziando in questo modo le
connessioni più immediate, ma non traduce una scel- ta metodologica tesa a
‘ontologizzare’ il lessico legislativo e a farne la chiave di lettura
prioritaria. Al contrario, il lessico delle norme, con le sue approssimazioni,
deve indurre a chiedersi quale sia, al di là delle formule, il ruolo dei
fenomeni affettivi richiamati nelle dinami- che della penalità. Prendiamo le mosse
dalla parte generale del codice penale29. Ri- chiami al lessico dei sentimenti
e delle emozioni emergono in istituti relativi alla graduazione della
colpevolezza: nel titolo relativo all’im- putabilità, l’art. 90 c.p. parla di
stati emotivi e passionali 30; fra le cir- costanze del reato spiccano il
riferimento allo ‘stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui’ e la
‘suggestione di una folla in tumulto’ (artt. c.p.). Menzioniamo le suddette
norme poiché contengono richiami testuali, senza allargare il campo a ulte-
riori situazioni in cui gli stati affettivi rappresentano un elemento che può
concorrere a integrare, o a influire dal punto di vista naturalisti- co, sulla
configurazione di importanti istituti: pensiamo al dolo e alla 29 Menzioniamo
gli istituti e le fattispecie in cui vengono richiamati espressa- mente
fenomeni psichici definiti come sentimenti ed emozioni, o comunque a essi
riconducibili; non si tratta quindi dell’elencazione di tutti gli istituti che
rimandi- no a concetti psicologici; per una sintesi in tal senso vedi di
recente NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, Torino. La norma che
stabilisce che gli stati emotivi e passionali non escludono l’imputabilità è
una disposizione controversa e dibattuta fin dalla genesi; per una sintesi v.
MUSUMECI, Emozioni, crimine, giustizia; FORTUNA, Gli stati emotivi e
passionali. Le radici storiche della questione, in Vinci- guerra-Dassano,
Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli. La rigidità della disposizione
normativa viene oggi criticata, fino a farla definire da attenta dottrina come
una delle finzioni più odiose del sistema, v. DI GIOVINE O., Il dolo
(eventuale) tra psicologia scientifica e psicologia del senso comune,
penalecontemporaneo.it; BARTOLI R., Colpevolezza: tra persona- lismo e
prevenzione, Torino; ma è tuttora ben solida nella giuri- sprudenza, v., ex
plurimis, Cass. pen., sez., con nota di VISCONTI A., in Riv. it. med. leg.;
cfr. Cass. pen.L’unico spazio di rilevanza per stati emotivi e passionali viene
ammesso nel caso di fenomeni già radicati in un pregresso quadro di infermità,
v. EAD. In relazione alle circostanze dello stato d’ira e della suggestione
della folla, secondo la giurisprudenza, nel primo caso lo stato emotivo deve
corri- spondere a un impulso incontenibile, v. Cass. pen., sez.; Cass. pen.,
sez.; Cass. pen., sez.; per le spora- diche applicazioni dell’attenuante della
suggestione della folla v. Cass. pen., sez. VI, 27/02/2014, n. 11915; Cass.
pen., sez. Tra sentimenti ed eguale rispetto colpa e, più in generale, a
tutta la materia dell’imputazione soggettiva. È oggetto di discussione se e in
che misura la componente affettiva (emo- zioni e sentimenti) sia da prendere in
considerazione quale fattore costitutivo dei coefficienti psichici che il
diritto penale definisce ‘dolo’ e ‘colpa’, e, più in genera- le, si discute sul
grado di rispondenza fenomenica della categoria della colpevo- lezza in
rapporto allo stato soggettivo della persona; in relazione a tale aspetto il
concetto di colpevolezza assume un ruolo che è stato definito ‘ambiguo’: «da un
lato presidio del rilievo da attribuirsi allo stato soggettivo reale
dell’imputato, on- de evitare una condanna che si fondi su mere istanze di
esemplarità sanzionato- ria; ma nel contempo fattore che autorizza, quando la
colpevolezza non viene esclusa, l’insignificanza di quel medesimo stato
soggettivo (cioè della condizione vera in cui versi il soggetto agente)
rispetto al contenuto della condanna», così EUSEBI, Le forme della verità nel
sistema penale e i loro effetti. Giustizia e verità come «approssimazione», in
Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del pre- cetto e della sanzione penale.
L’impostazione dominante in dottrina tende a escludere una rilevanza degli
stati affettivi sul piano normativo: «Estranei alla natura del dolo sono
affetti, emozioni, motivi di qualsivoglia natura che stan- no ‘a monte’ della
decisione di agire. In via di principio, elementi emozionali non servono a
fondare il dolo, né valgono a escluderlo», così PULITANÒ, Diritto penale, Torino,
Cauta è l’apertura di FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle
categorie del diritto penale contemporaneo, in La Cor- te d’Assise, il quale
osserva che «[o]ccorrerebbe evitare, invero già nell’individuare l’essenza
generale o nucleo centrale del dolo nella coscienza e vo- lontà del fatto, di
concepire tali requisiti psicologici in termini eccessivamente razionalistici e
idealisticamente depurati da corrispondenti componenti emotive». Appare
difficilmente contestabile che a livello naturalistico la componente affetti-
va sia un fattore costitutivo degli stati psicologici che fondano dolo e colpa;
gli spazi per una eventuale considerazione del ruolo degli stati affettivi
nella fisio- nomia del dolo e della colpa penale potrebbero eventualmente
ampliarsi o re- stringersi a seconda che si propenda per una concezione
‘normativizzante’ dei coefficienti psichici oppure per una concezione più
‘naturalistica’, tema in rela- zione al quale il dibattito nella dottrina
penalistica italiana è amplissimo: si veda- no, ex plurimis, VENEZIANI, Motivi
e colpevolezza, Torino; EUSEBI, Formula di Frank e dolo eventuale in Cass.,
S.U., (Thyssen- krupp), in Riv. it. dir. proc. pen.,, e più ampiamente ID., Il
dolo come volontà, Brescia, 1993; DE VERO, Dolo eventuale, colpa cosciente e
costruzione “separata” dei tipi criminosi, a cura di Bertolino-Eusebi-Forti,
Studi in onore di Romano, Napoli; DONINI, Il dolo eventuale, fatto-illecito e
colpevolezza, Diritto penale; 103 ss.; FIANDACA, Sul dolo eventuale nella
giurisprudenza più recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e
messaggio generalpreventivo, Diritto penale; DEMURO, Il dolo. II.
L’accertamento, Milano; PULITANÒ, I confini del dolo. Una riflessione sulla
moralità del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., Per una riflessione
sulla consistenza psicologica del dolo eventuale alla luce delle più recenti
acquisizioni della psicologia e delle neuroscienze v. BERTOLINO, Prove
neuro-psicologiche di responsabilità penale, in AA.VV., a cura di Forti-
Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 15 Si tratta di norme
problematiche il cui specifico approfondimento non sarà oggetto della presente
indagine; nondimeno va dato conto della rilevanza di tali disposizioni
nell’impianto della responsabilità penale. Nella parte speciale del codice la
definizione di oggetti di tutela in termini di sentimento rappresenta
un’evidenza palmare: si parla di ‘sentimento religioso’, di ‘pietà dei
defunti’, di ‘sentimento per gli ani- mali’, di condotte atte a ‘deprimere lo
spirito pubblico’ (art. 2c.p.), a ‘distruggere o deprimere il sentimento
nazionale’ (artt. dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale -- c.p.) e
a istigare all’odio fra le classi sociali (art. c.p.), di atti finalizzati a
incutere ‘pubblico timore’ (art. c.p.), di ‘comune sentimento del pudore’ (art.
c.p.), di ‘perdurante e grave stato di ansia o di paura e timore per
l’incolumità propria o di un prossimo congiunto’ (art. c.p.), di ‘passioni di
una persona minore’ (art. c.p.). Allargando lo sguardo al di là del codice, la
legislazione comple- mentare offre ulteriori esempi: la legge nota come Legge
sulla stampa, parla di sensibilità e impressionabilità di fanciulli e
adolescenti e incrimina condotte idonee a offendere il loro ‘sentimento morale’
(art.); sempre nell’ambito del medesimo testo normativo, è considerata
penalmente rilevante la pubblicazione di stampati i quali descrivano o
illustrino, con particolari impressionan- ti o raccapriccianti, avvenimenti
realmente verificatisi o anche sol- tanto immaginari, ‘in modo da poter turbare
il comune sentimento della morale’ (art.). Estremamente significative sono
infine le nor- me contro la discriminazione razziale (legge), nelle quali la
tipicità della condotta è fondata sulla nota caratterizzante di ciò che
comunemente è definito come un sentimento, ossia l’odio. Abbiamo constatato che
«nel linguaggio legislativo penale il rife- rimento a sentimenti è ben
presente» e che «sentimenti e stati emo-
Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale; DI GIOVINE O.,
Il dolo (eventuale) tra psicologia scientifica e psicologia del senso co- mune,
cit.; per una sintesi del ruolo delle scienze extranormative in rapporto al
problema dell’imputazione soggettiva, v. da ultimo FIANDACA, Prima lezione. Nondimeno,
nelle motivazioni dei giudici il richiamo alla dimensione affettiva figura
quale corollario argomentativo in relazione all’elemento soggetti- vo,
all’ipotesi di concessione di attenuanti generiche e più in generale in ordine
alla commisurazione della pena; per un quadro di sintesi v. AMATO, Diritto
penale e fattore emotivo, C. cost. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale
del diritto penale, Torino. Tra sentimenti ed eguale rispetto tivi non sono
certo realtà sconosciute al diritto penale»34: «i “senti- menti”, [...]
ancorché di natura psichico-emozionale, sono [...] delle realtà personalistiche
innegabili. Le disposizioni della parte speciale (sentimento religioso, pudore,
pietà dei defunti, sentimento per gli animali, sentimento nazionale)
rappresentano la rispondenza più univoca e immediata di ciò che si suole
definire ‘tutela di sentimenti’, con una formula tanto accatti- vante quanto
ambigua e problematica nei contenuti, la quale soprat- tutto nell’attuale
momento storico sta riscuotendo un inedito interes- se da parte della dottrina
penalistica italiana 36. Le norme codicistiche forniscono una prima cornice, un
panora- ma dalla capacità esplicativa simile a quella di una visione in contro-
luce: sostanzialmente definiti appaiono i contorni, il tratteggio ester- no che
inquadra il teatro dei fatti oggetto di interesse normativo; più nebuloso è il
nucleo interno, legato al retroterra dei fenomeni e alle loro dimensioni di
significato. Un primo ordine di problemi ha a che fare col profilo fattuale, legato
all’inquadramento e alla decifrazione di ciò che i saperi sul mondo, e in
particolare le scienze empirico-sociali, definiscono ‘sen- timenti’,
soprattutto in rapporto ad altri fenomeni affettivi, come ad 34 FIANDACA, Sul
bene giuridico. Un consuntivo critico, Torino, PALAZZO, Laicità del diritto
penale e democrazia “sostanziale”, in Quaderni co- stituzionali, 2/2010, p.
441. 36 Menzioniamo gli scritti che si sono dedicati ex professo al tema,
lasciando al momento da parte la cospicua produzione letteraria in cui
l’argomento viene tocca- to in modo incidentale. Oltre al già menzionato saggio
di FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, si segnala del medesimo
Autore un ulte- riore approfondimento in occasione dello studio sul bene
giuridico: v. FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., pp. 81 ss. Si vedano quindi
DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti; GIUNTA,
Verso un rinnovato romantici- smo penale? I reati in materia di religione e il
problema della tutela dei sentimenti, in Bertolino-Eusebi-Forti, Studi in onore
di Mario Romano, vol. III, Napoli; CAPUTO, Eventi e sentimenti nel delitto di
atti persecutori, in Studi in onore di Mario Romano; NISCO, La tutela penale
dell’integrità psichica; PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale del diritto
penale; volendo, BACCO, Sentimenti e tutela penale: alla ricerca di una
dimensione liberale, in Riv. it. dir. proc pen., 3/2010, pp. 1165 ss. Fra i
costituzionalisti v. GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del pensiero tra
fatti di senti- mento e fatti di conoscenza, in Quaderni costituzionali, Per
un’analisi del sentimento quale elemento che concorre a fondare ragioni e
struttura di di- sposizioni normative non solo penalistiche, v. ITALIA, I
sentimenti nelle leggi, Milano, 2017. Per una sintesi delle più recenti
posizioni della dottrina continentale, nel con- testo di un’analisi incentrata
sull’ordinamento spagnolo, v. ALONSO ALAMO, Senti- mientos y derecho penal, in
Cuadernos del polìtica criminal, Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 17
esempio le emozioni. In termini complementari si pone un problema concettuale
che riguarda le regole d’uso dei termini sia nell’ambito extragiuridico e, di
riflesso, nella specifica dimensione giuridico-pe- nalistica: si tratta di
prendere in considerazione le tassonomie scien- tifiche in rapporto alle
esigenze di normatività, alla chiarezza defini- toria e alla funzionalità
comunicativa del diritto. Un secondo ordine di problemi concerne gli spazi di
legittimità di norme finalizzate a una tutela penale di interessi legati alla
sfera affettiva degli individui: tema che proietta verso percorsi differenti a
seconda del significato e del senso normativo attribuibile all’evoca- zione del
peculiare sentimento o dell’emozione, in un discorso che chiama in gioco
pregiudiziali di tipo filosofico, morale, politico. In questo senso la
problematica si presta a essere sviluppata ad un pri- mo livello su un piano
generale (la tutelabilità di sentimenti come problema di principio), e,
successivamente, in una prospettiva più circoscritta concernente lo specifico
problema di tutela che sia dato individuare dietro il richiamo alla dimensione
affettiva della persona. Come detto, prendere le mosse dalle norme positive è
volto a facilitare l’inquadramento dei problemi; una volta fotografato
l’esistente, il lessico dei legislatori è destinato a divenire oggetto di
analisi criti- ca, nel tentativo di superarne la cortina di artificialità. 2.1.
Oltre il lessico legislativo Un primo obiettivo è dissolvere l’alone di retorica
e guardare ‘in trasparenza’, oltre le formule. La tendenza a costruire norme
penali attraverso richiami alla di- mensione affettiva, pur manifestatasi in
momenti storici differenti, rivela una sostanziale continuità 38, animata da
variabili che si legano a fattori sociali e culturali i quali hanno concorso a
dare stimolo a una sensibilità dei legislatori39. Si tratta di scelte
culturalmente 37 Più remoti sono il codice penale e la c.d. legge sulla stampa,
distanti anche culturalmente dall’attuale momento storico; più prossima
cronologicamente è la c.d. ‘Legge Mancino’ (incriminazione di condotte d’odio
razziale), mentre è relati- vamente recente la scelta di dare riconoscimento a
esigenze di tutela di animali non umani attraverso la formula ‘Delitti contro
il sentimento per gli animali’. Una panoramica in MUSUMECI, Emozioni crimine,
giustizia. I testi legislativi, che parlano di sentimenti, sono spia di un
sentire dei legislatori che, ieri come oggi, hanno adottato quel lessico, così
PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Tra sentimenti ed eguale rispetto
orientate, nel contesto di una complessità di fondo 40 che è confluita in
determinazioni di politica del diritto le quali, secondo un processo ricorsivo
41, si caratterizzano a loro volta per un elevato grado di pre- gnanza
culturale e una forte valenza simbolica, nel senso che le nor- me giuridiche a
loro volta contribuiscono a modellare atteggiamenti di pensiero ed emotivi.
Seguendo le traiettorie del pensiero di Edgar Morin troviamo un efficace quadro
riassuntivo della complessità di ciò che chiamiamo ‘cultura’: «La cultura,
peculiarità della società umana, è organizzata/organiz- zatrice attraverso il
veicolo cognitivo costituito dal linguaggio, a parti- re dal capitale cognitivo
collettivo delle conoscenze acquisite, dei saper-fare appresi, delle esperienze
vissute, della memoria storica, delle credenze mitiche di una società. Così si
manifestano “rappresentazio- ni collettive”, “coscienza collettiva”,
“immaginario collettivo”. E la cul- tura, sfruttando il suo capitale cognitivo,
instaura le regole/norme che organizzano la società e governano i comportamenti
individuali. Le regole/norme culturali generano processi sociali e rigenerano
global- mente la complessità sociale acquisita dalla stessa cultura» 42. In che
termini il giurista penale deve rapportarsi a tale complessità? Solo se lo si
considera da una prospettiva esterna, il diritto penale è un coacervo di norme:
se si guarda con più attenzione, però, esso si ri- vela come una parte della
cultura in cui viviamo», ricorda Winfried 40 Nel senso in cui il concetto è
stato sviluppato da Morin: «Complexus significa ciò che è tessuto insieme; in
effetti, si ha complessità quando sono inse- parabili i differenti elementi che
costituiscono un tutto (come l’economico, il poli- tico, il sociologico, lo
psicologico, l’affettivo, il mitologico) e quando vi è tessuto interdipendente,
interattivo e inter-retroattivo tra l’oggetto di conoscenza e il suo contesto,
le parti e il tutto, il tutto e le parti, le parti tra di loro. La complessità
è, perciò, legame tra l’unità e la molteplicità. Gli sviluppi propri della
nostra era planetaria ci mettono a confronto sempre più ineluttabilmente con le
sfide della complessità», v. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del
futuro, tr. it., Milano; sempre Morin afferma che «Il problema della
complessità è quello che pongono i fenomeni non riducibili agli schemi semplici
dell’osser- vatore», v. ID., Scienza con coscienza, tr. it., Milano; cfr. più
diffusamente, ID., Introduzione al pensiero complesso, tr. it., Milano. I
prodotti e gli effetti generati da un processo ricorsivo sono contempora-
neamente co-generatori e co-causanti di tale processo», MORIN, Le idee:
habitat, vita, organizzazione usi e costumi, tr. it., Milano, MORIN, Le idee:
habitat, vita, organizzazione usi e costumi. Fenomeni affettivi e dimensione
giuridica 19 Hassemer43. L’osservazione dello studioso tedesco è un invito a
riflet- tere sul diritto penale munendosi di ‘lenti’ che sappiano mettere a
fuo- co non solo norme ma anche la cultura che fa loro da sfondo: gli uni-
versi fattuali, valoriali, simbolici ed emotivi che la formano. Il giurista
penale dovrebbe volgere il proprio sguardo verso i fe- nomeni al fine di
costruire esplorazioni ‘a partire dal capitale cogni- tivo collettivo delle
conoscenze acquisite’: delle conoscenze che han- no contribuito a dare
un’impronta alla cultura, e dunque anche alla sensibilità dei legislatori; e
del panorama di conoscenze del tempo presente, con l’annesso potenziale
epistemico. Un approccio critico al lessico del diritto significa in questo
senso presa di distanza da ‘ontologismi giuspositivistici’ o da riduzionismi
pangiuridici’ della realtà, e traduce l’esigenza di tenere ben presente la
distanza tra il diritto, inteso come ideale regolativo, e i fatti della vita
L’‘inemendabilità’ di cui parla il filosofo Maurizio Ferraris, «il fatto che
ciò che ci sta di fronte non può essere corretto o trasforma- to attraverso il
mero ricorso a schemi concettuali»45, suona per il giurista come un monito
aprendere sul serio la distinzione tra di- mensione ‘costruttivistica’ degli
schemi del diritto e il piano ontologico dei fenomeni HASSEMER, Perché punire è
necessario, tr. it., Bologna. Non è vero e completo giurista colui che, pure
conoscendo con scientifica precisione il diritto positivo di un determinato
paese, non si rende conto della in- colmabile distanza tra il diritto e la
vita, ossia della assoluta impossibilità di sod- disfare totalmente l’esigenza,
presente in tutte le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a
esse un ordine stabile mediante regole». v. CESARINI SFORZA [si veda],
Filosofia del diritto, Milano; FERRARIS,
Manifesto del nuovo realismo, Roma-Bari; si veda an- che la riflessione di un
filosofo del diritto di matrice analitica SCARPELLI, Filosofia analitica, norme
e valori, Milano: le norme e le asserzioni svolgono nell’esperienza dell’uomo
una differente funzione, ma le une e le altre possono svolgere la loro funzione
solo se si riferiscono a stati ed eventi dentro l’esperienza e distinguibili
dagli altri stati ed eventi dentro l’esperienza». 46 Non intendiamo prendere
posizione sui rapporti tra ontologia ed epistemo- logia, addentrandoci nel
ginepraio di problemi legati alla dialettica fra concezioni ‘realiste’ e
‘postmoderne’. Nella letteratura italiana, oltre al citato ‘manifesto’ di
Maurizio Ferraris, si veda ID., Documentalità. Perché è necessario lasciar
tracce, Roma-Bari, 2009, pp. 62 ss.; per una cristallina sintesi del dibattito
sul realismo vedi D’AGOSTINI, Realismo? Una questione non controversa, Torino. In
termini generali, segnaliamo come tale produzione letteraria sia da inquadrarsi
quale risposta al trend postmoderno che nella seconda metà del Novecento ha
sottoposto i concetti di ‘verità’ e di ‘realtà’ a tentativi di destruttura-
zione da parte di correnti filosofiche che possiamo approssimativamente
definire Tra sentimenti ed eguale rispetto Nella dottrina penalistica
italiana si parla di vincoli di realtà, e si potrebbero definire tali istanze
anche attraverso il richiamo a con- cetti meno abituali ma oggi non più alieni
al discorso penalistico, come quello di ‘verità’ 48. Lo specifico caso dei
sentimenti come pro- blema di tutela porta a riflettere sulla «verità dei
presupposti su cui si fonda il ragionamento funzionalistico all’origine dei
precetti»49. Si tratta di un impegno anche sul piano metodologico: come
approccio di studio che pone la conoscenza dei fenomeni a fondamento di ana-
lisi volte a testare la qualità delle scelte e delle possibili risposte da
parte del diritto, emancipandosi dalla prospettiva di patenti ‘ontolo- giche’
alle formule coniate dal legislatore 50. Il punto di osservazione dello
studioso non dovrebbe pertanto col- locarsi in un’ottica del tutto interna al
linguaggio e agli schemi con- cettuali del diritto posto, ma, come ogni punto
di osservazione, ne- cessita di una collocazione anche esterna rispetto
all’oggetto che si come relativistico-ermeneutiche. La bibliografia è
sterminata; ci limitiamo a menzionare il testo forse più emblematico, e
raffinato, del trend postmoderno, ossia RORTY, La filosofia e lo specchio della
natura, tr. it., Milano, 2004. 47 «Come impresa ‘di ragione’, il diritto è
vincolato al principio di realtà. Il le- gislatore deve fare i conti con la
realtà che intende regolare, nella quale ha da ri- tagliare gli oggetti e
cercare le condizioni di una regolazione possibile e razionale rispetto agli
scopi. Nei concreti orizzonti storici, i vincoli di realtà (ontologici) si
traducono in vincoli epistemologici di razionalità rispetto al sapere
disponibile», v. PULITANÒ, Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere
scientifico, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2006, pp. 798 ss. 48 Le questioni
di fondo sono oggi compendiate nell’importante volume a cura di
Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione pena- le, cit.; si
veda inoltre il denso scritto di DI GIOVINE O., A proposito di un recente
dibattito su “Verità e diritto penale”, in Criminalia, 2014, pp. 539 ss., quale
tentati- vo di superamento, nella prospettiva giuridica, della
radicalità insita nell’alter- nativa tra teorie corrispondentiste e
pragmatiste. PALAZZO, Verità come metodo di legiferazione. Fatti e valori nella
formulazione del precetto penale, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo,
«Verità» del precetto e della sanzione penale, cit., p. 101. 50 Umberto
Vincenti afferma la necessità di «combattere ogni formalismo in- terpretativo
che ha la pretesa, per malintese aspirazioni di autonomia della scien- za giuridica,
di risolvere ogni questione – e gli stessi casi della pratica – ragionan- do
esclusivamente all’interno del testo normativo, levigando e combinando le sua
parole, per comporre un certo prodotto linguistico – una certa massima di
decisione – da accollare all’esperienza: alla nuova esperienza da conoscere e,
nei fatti, destinata a rimanere, non volendosi andare oltre le parole di un
testo (o, anche, di molti testi), di necessità sconosciuta (o quasi) perché
impenetrabile attraverso il solo strumento verbale», v. VINCENTI, voce
Linguaggio normativo, in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. VII, Milano. Fenomeni
affettivi e dimensione giuridica 21 vuole indagare: «a partire
dall’insopprimibile “eccedenza” della vita rispetto a tutte le forme», e nella
consapevolezza che il diritto, rispet- to ai fenomeni che ne costituiscono il
campo applicativo, costituisce ormai una semantica influente in cui quello di
cui si parla è molto di più di quello che si dice. Le citazioni sono tratte da RESTA, Diritto
vivente, Bari. Si veda anche RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non
diritto, Milano, il quale sembra farsi sostenitore di istanze simili quando
afferma che il ri- chiamo alla ‘verità’ dei presupposti implica che è in gioco
qualcosa di più profon- do della precisione linguistica e dell’efficacia
descrittiva di una norma: osserva Rodotà che «In realtà il diritto è più che
una regola. Prima di tutto è un linguag- gio. Si può davvero dire tutto con le
parole del diritto o è proprio la grammatica dei diritti a dimostrarsi povera
di fronte alla complessità sociale e alla sua ric- chezza? Il radicarsi del
diritto nella realtà segue itinerari complessi, e meno lineari, di quello che
misura l’effettività della norma unicamente da una sua diret- ta e immediata
applicabilità in una situazione determinata. Già la sola trascrizio- ne
nell’ordine giuridico di un valore o di un principio o di un fine pubblico
porta con sé una variazione del contesto in cui collocare gli atti della vita,
del discorso giuridico a cui fare riferimento, del sistema normativo con il
quale misurarsi». Tra sentimenti ed eguale rispetto SEZIONE II Percorsi
concettuali e interdisciplinari SOMMARIO: 3. Spunti di riflessione attraverso
le ‘Law and Emotion Theories’. Sentimenti ed emozioni: approcci di studio e
questioni di linguaggio. Quale concezione di emozione per il giurista? Sull’uso
del termine emozione. Spunti di riflessione attraverso le ‘Law and Emotion
Theories’ Un approccio orientato a problematizzare il profilo ontologico-
fattuale dei fenomeni affettivi, e dunque a dialogare con ambiti disci- plinari
diversi dalla scienza giuridica, trova un importante punto di riferimento dal
punto di vista metodologico nel campo di studi di matrice statunitense
denominato ‘Law and Emotion’ Si tratta di un’area di discussione orientata a
rimeditare i termini dell’interazione fra diritto e dimensione emotiva per
ragioni che si le- gano non solo a un complessivo aggiornamento delle
conoscenze ex- tragiuridiche sul tema, ma soprattutto per favorire una maggiore
con- sapevolezza e un ‘uso’ più intelligente delle emozioni nel campo giuri-
dico («intelligent and responsible engagement by law») Secondo i teorici di
‘Law and Emotion’ i giuristi tendono a non prendere sufficien- temente in
considerazione le acquisizioni delle scienze extragiuridiche sugli stati
affettivi, rivelando un’autoreferenzialità frutto di mentalità chiusa e una
riluttanza ad apprendere da altre discipline Per un inquadramento dei temi
trattati e delle diverse impostazioni v. BANDES- BLUMENTHAL, Emotion and the
Law, cit., passim; MARONEY, Law and Emotion: A Proposed Taxonomy of an Emerging
Field, in 30 Law and Human Behavior.; cfr. anche ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of
Law and the Emotions? ABRAMS-KEREN,
Who’s Afraid of Law and the Emotions? BANDES, Introduction. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica Gli studi
di ‘Law and Emotion’ mirano a mettere in luce l’influenza che la dimensione
affettiva esplica sul modo di concepire ratio e struttura di istituti di
diritto positivo e, più in generale, sulle ragioni addotte per legittimare
l’essere e il dover essere del diritto, soprattutto del diritto penale. Si
approfondisce la conoscenza dei fenomeni affettivi attraverso una base
epistemica che non si limita alla dimen- sione bio-psicologica, ma che si apre
alla sfera sociologico-umani- stico-letteraria, attraverso la filosofia, la
letteratura, l’antropologia, la sociologia, in una prospettiva volta a
dischiudere orizzonti di senso e a guardare ai fenomeni affettivi attraverso un
filtro interpretativo multidisciplinare. Ciò che sembra meglio riassumere
l’istanza sottesa agli studi di ‘Law and Emotion’ è la ricerca di un dialogo
finalizzato non solo a in- crementare consapevolezza e competenze dei giuristi
sul tema delle emozioni, e dunque a favorire una maggiore attendibilità
scientifica dei lavori dei giuristi, ma anche a promuovere un feedback virtuoso
fra scienza giuridica e saperi empirico-sociali sugli stati affettivi 58. I
contributi di ‘Law and Emotion’ non si identificano con una linea teorica univoca,
ma si articolano in diverse correnti; una fra le BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and
the Law. BANDES-BLUMENTHAL,
Emotion and the Law; MARONEY, Law and Emotion, cit., pp. 123 ss.; ABRAMS-KEREN,
Who’s Afraid of Law and the Emotions? Sotto
tale profilo sembrano esservi sostanziali differenze rispetto ad altre branche
di studi, affini ma distinte da ‘Law and Emotion’: in particolare ‘Law and
Economics’ e ‘Law and Neuroscience’, le quali, peraltro, sembrano essere tenute
in maggiore considerazione dai giuristi. Una possibile chiave di lettura di
tale atteg- giamento è il fatto che ‘Law and Economics’ e ‘Law and
Neuroscience’ sembrano basarsi su assunzioni che sono più vicine al modello di
razionalità ‘classica’ con cui i giuristi hanno maggiore confidenza, v. ABRAMS-KEREN,
Who’s Afraid of Law and the Emotions?, MARONEY, Law and Emotion, cit., p. 135:
«We see as well a persistent divide between empiricists and theorists. The lack of dialogue across
these dividing lines lessens opportunities for cross-fertilization. We
therefore would do well to foster dynamic collaborations among social
scientists, those trained in the life sciences, philosophers, lawyers, and
legal scholars. The exercise of forging such collabora- tions would encourage
creation of a common language, and resulting scholarship would be both more
complex and more accessible to those across the range of implicated disciplines.
Quali caratteristiche deve avere uno
studio per potersi inquadrare come contributo su ‘Law and emotion’? Questa la risposta di MARONEY,
Law and Emo- tion, cit., p. 124: «The question as to at what point any given
project is sufficiently about both “law” and “emotion” to productively be
claimed for this particular en- Tra sentimenti ed eguale rispetto più
autorevoli studiose, la giurista Terry Maroney, individua ben sei tipologie di
approccio60. Tale schematizzazione assume in primo
luogo un valore descrittivo, individuando snodi concettuali che carat-
terizzano le peculiarità dei singoli contributi nel contesto della pro- duzione
scientifica sul tema; sotto un diverso profilo, la tassonomia degli approcci
possiede anche la funzione di canone metodologico volto a evidenziare questioni
fondamentali con cui il singolo studioso che intenda approfondire il tema delle
interazioni fra diritto e dimen- sione affettiva si troverà a fare i conti 61.
I percorsi individuati da Ter- ry Maroney fissano in questo senso delle
coordinate che possono con- tribuire a suggerire al singolo studioso
l’impostazione che meglio si attaglia al tipo di indagine che intende
affrontare: la conoscenza dei nodi teorici fondamentali e, correlativamente,
della possibilità di percorsi e di approcci alternativi, dovrebbe costituire un
impegno ad acquisire consapevolezza riguardo l’impostazione adottata, anche al
fine di renderne esplicita l’adesione. clave is worthy of greater exploration
than is possible here. I offer,
nonetheless, two premises, one pertaining to motivation and the other to
method. First, contemporary law and emotion scholarship is based on the beliefs
that human emo- tion is amenable to being specifically and searchingly studied,
that it is highly relevant to the theory and practice of law, and that its
relevance is deserving of clos- er scrutiny than it historically has received.
Second, such scholarship explicitly directs itself to both sides of the “and”;
it takes on a question regarding law and brings to bear a perspective grounded
in the study or theory of emotions. MARONEY,
Law and Emotion. Nel dettaglio, si parla di: emotion centered approach’, come
approccio che si focalizza su una singola emo- zione e ne analizza le possibili
interazioni con la dimensione giuridica; emotional phenomenon approach, il
quale muove dallo studio di processi mentali e comportamentali che non
corrispondono propriamente a emozioni, ma che rap- presentano condizioni per
l’elicitazione o la esternazione di stati emozionali emotion theory approach’,
approccio porta a sviluppare riflessioni in linea con una o più teorie
interpretative delle emozioni; legal doctrine approach, il quale mira a far
interagire il sapere su emozioni e stati affettivi con aree determinate del
diritto o con particolari istituti; theory of law approach, il quale studia i
nessi tra emozioni e diritto a un livello puramente teoretico, facendo interagire
teorie sulle emozioni con teorie generali sul diritto; legal actor approach, il
quale si occupa di analizzare come la dimensione emotiva influisce
sull’attività dei soggetti che operano nell’ambito applicativo: giudici,
avvocati, ecc. MARONEY, Law and Emotion, careful consideration of the
analytical approaches potentially implicated in any given project will help
identify blind spots or force unstated assumptions to the surface, and may
further encourage scholars to justify why they make the choices they do. Thus, academic inquiry into
the intersection of law and emotion should identify which emotion(s) it takes
as its focus; carefully distinguish be- tween those emotions and any implicated
emotion-driven mental processes or Fenomeni affettivi e dimensione
giuridica 25 4. Sentimenti ed emozioni: approcci di
studio e questioni di linguaggio Gli studi su ‘Law and Emotion’ mettono in
evidenza questioni teo- riche le quali riteniamo debbano essere prese in
considerazione an- che nella presente indagine: in particolare, un importante
step è rappresentato dalla ricerca di punti di convergenza fra contributi di
ma- trici scientifiche eterogenee, e dunque dall’esigenza di uno sguardo
d’insieme alle acquisizioni elaborate dalle discipline che studiano gli stati
affettivi. Sentimenti ed emozioni sono fenomeni relativi al sentire della
persona: per comprenderne i profili di rilevanza nella dimensione del singolo e
l’incidenza nelle dinamiche relazionali il giurista penale de- ve
necessariamente rivolgersi a saperi esterni al diritto che potremmo definire
lato sensu ‘psicologici’, ma che non si limitano alla sola psicologia.
Nell’attuale momento storico le dinamiche interiori dell’individuo sono poste
sotto osservazione da una molteplicità di punti di vista: un’interazione fra
discipline che dà luogo a complesse mappe epistemiche. Difficilmente potrà
trovare appagamento la bramosia di defini- zioni che spesso anima le operazioni
intellettuali dei giuristi quando si addentrano in campi di conoscenza diversi
dal proprio. La lettera- tura sugli stati affettivi non è semplicemente una
sovrapposizione di varianti tassonomiche e definitorie; differenti sono le
discipline coin- volte, con angolazioni prospettiche e linguaggi che
valorizzano profili differenti e complementari: non esiste un’unica ‘scienza
dell’emozio- ne e dei sentimenti’. Come modello di approccio penalistico alle
scienze extranormati- ve si è recentemente parlato di una prospettiva
‘separatista’ e di una ‘dialogante’64. La soluzione a nostro avviso preferibile
è la seconda; nel presente caso, il dialogo si caratterizza per una particolare
com- plessità, poiché le voci che il giurista si trova di fronte rappresentano
una variegata polifonia da cui emergono prospettive di ricostruzione behaviors;
explore relevant and competing theories of those emotions’ origin, purpose, or
functioning; limit itself to a particular type of legal doctrine or legal
determination; expose any underlying theories of law on which the analysis
rests; and make clear which legal actors are implicated», v. MARONEY, Law and
Emotion. Condividiamo in questo senso l’impostazione metodologica di NISCO, La
tu- tela penale dell’integrità psichica, FIANDACA, Prima lezione. Tra
sentimenti ed eguale rispetto e di classificazione alquanto diverse. Sarebbe
segno di chiusura cul- turale se ci si accontentasse di identificare le
rispondenze fenomeni- che del richiamo a sentimenti sulla base del senso
comune, senza ap- profondire le articolate classificazioni proposte dai diversi
saperi sul mondo 65; nondimeno, la non omogeneità del panorama di conoscen- ze
grava il giurista di un compito severo. In primo luogo appare opportuno
individuare le branche della co- noscenza che oggi tracciano le coordinate di
riferimento. Al fine di delineare i presupposti di un’interazione fra scienza
penale e saperi sugli stati affettivi, nella dottrina penalistica italiana è
stata proposta una schematizzazione utile a mappare l’orizzonte conoscitivo.
Tre le tipologie di approccio evidenziate: approccio psicologico; approccio neurofisiologico e
neuroscientifico; approccio filosofico La dimensione biologica e quella
psicologica offrono un quadro in- centrato sulle dinamiche interne alla
persona, ossia relativo a come gli stati affettivi si manifestano e a quale
influenza possono avere sul- l’agire, sull’autodeterminazione individuale e
dunque nella globale eco- nomia di vita di un soggetto. Prospettive come quella
filosofica e so- ciologica forniscono chiavi di lettura differenti, facendo
luce non solo sulla dimensione soggettivo-interiore e solipsistica dei fenomeni
af- fettivi, ma proiettandoli nelle complesse dinamiche della vita di rela-
zione e dunque nella sfera interpersonale. Nella prospettiva penalistica sono
importanti entrambi i profili, sia quelli più legati al ruolo degli stati
affettivi nella dimensione indi- viduale, sia quelli concernenti
l’intersoggettività e la dimensione col- lettiva, i quali potranno assumere una
maggiore o minore pertinenza a seconda dei problemi esaminati dal giurista.
Rispetto ai temi oggetto della presente indagine, la parte definitoria è in
larga pare debitrice di contributi di ambito psicologico; quanto al- lo
sviluppo che riguarderà la specifica connessione della tutela di sen- timenti
al tema del rispetto reciproco e dei limiti penali alla libertà di espressione,
le traiettorie di pensiero a nostro avviso più feconde risul- tano intrecciate
alla filosofia politica e a recenti sviluppi della filosofia fenomenologica.
Non va infine dimenticata un’ulteriore branca del sa- pere che si focalizza su
dinamiche di intersoggettività nella dimensione Per una critica all’habitus
culturale del penalista, talvolta poco propenso al confronto con il mondo dei
fatti, e una conseguente esortazione a fare proprio uno spirito scientifico e
una modalità di pensiero diversi dal mero senso comune, v. FORTI, L’immane
concretezza, FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti; cfr. NISCO,
La tutela penale dell’integrità psichica. Fenomeni affettivi e dimensione
giuridica 27 sociale: parliamo della sociologia delle emozioni, un campo di
studi relativamente giovane e alquanto promettente per le prospettive di
interazione con la riflessione giuridica 69. Nel prosieguo cercheremo di compiere
un excursus, necessaria- mente approssimativo, al fine di fare maggiore
chiarezza sui tratti che distinguono in particolare il sentimento da un’altra
manifesta- zione del sentire: l’emozione. Si tratta di un compito spinoso.
Eloquente è quanto affermato nella letteratura psicologica italiana. Nell’affrontare
lo studio della vita emotiva si resta colpiti dal disaccordo che vi è tra gli
psicologi sull’uso e sul si- gnificato dei termini fondamentali, sulla
classificazione e sui caratteri differenziali degli stati affettivi, sul
meccanismo della loro produzione. L’ambiguità e la vaghezza presenti nel
linguaggio comune non do- vrebbero rinnovarsi nel linguaggio scientifico, e,
soprattutto, quan- do si tratta di gestire l’interazione fra discipline
differenti «le parole [non dovrebbero essere] introdotte in un sistema di
linguaggio scien- tifico, serbando a tradimento il significato che loro viene
dal modo in 67 Sul tema, amplius, v. a cura di Turnaturi, La sociologia delle
emozioni, tr. it., Milano. TURNATURI, Introduzione, in AA.VV., a cura di
Turnaturi, La sociologia delle emozioni, BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law.
SCHERER, What are
emotions? And how can they be measured?, Social Science Information. ZAVALLONI, La vita emotiva, in Ancona, Questioni di
psico- logia. Principi e applicazioni per psicologi, medici, insegnanti ed
educatori, Milano. Problemi di natura terminologica sono posti in evidenza
anche da ABBAGNANO [si veda], Storia filosofica delle emozioni, in GALATI,
Prospettive sulle emozioni e teorie del soggetto, Milano. [cf. H. P. Grice,
“Grice ed Abbagnano”]. Oltre ai complessi rapporti tra definizioni
scientifiche, l’inquadramento di profili di rilevanza giuridica di sentimenti
ed emozioni richiede di non trascurare il vocabolario tramite cui gli attori
sociali connotano gli stati affettivi, e dunque le sfumature del linguaggio che
possono concorrere a illuminare dimensioni di sen- so dei fenomeni. In altri
termini, la ricerca di una tendenziale coerenza tra cate- gorie giuridiche e
concettualizzazioni scientificamente fondate dovrebbe essere veicolata anche
attraverso un esame di usi linguistici che, pur caratterizzati da
approssimazioni e da una logica comunicativa incline al ‘senso comune’ o alla
c.d. ‘psicologia ingenua’, possono nondimeno contribuire ad additare problemi
di fondo e a identificare l’area di significato dei termini. Sul ‘senso comune’
come categoria che definisce ciò che è ritenuto ovvio e condiviso all’interno
di una cer- chia sociale, v., per tutti, JEDLOWSKY, “Quello che tutti sanno”.
Per una discussione sul concetto di senso comune, in Rass. it. sociologia, Tra
sentimenti ed eguale rispetto cui sono usate in un altro sistema, o nel
linguaggio comune» 73. Tale monito, proveniente da un filosofo italiano del
diritto, trova rispondenza in ambito anglo-americano proprio negli scritti
legati a ‘Law and Emotion’ il lessico degli stati affettivi muta a seconda dei
contesti di studio, e l’opera di consultazione di saperi esterni da parte del
giurista penale dovrebbe essere accompagnata da una rielabora- zione dei
contenuti, poiché le ipotesi definitorie e classificatorie pro- poste in ambito
extragiuridico possono non assumere una corrispon- dente rilevanza nella
prospettiva della valutazione penalistica. I concetti di emozione e di
sentimento vanno conseguentemente mo- dulati sulla dimensione giuridica,
tenendo ben presente la base epi- stemica alla quale si sta facendo
riferimento, ma senza vincoli sul piano strettamente lessicale né concettuale.
Il problema non è certo inedito, e può essere ricollegato agli inter- rogativi
formulati, ormai qualche decennio fa, da autorevole dottrina, relativi a come
rendere metodologicamente compatibili il punto di vista normativo e quello
delle scienze empirico-sociali di fronte al- l’esigenza di definire la
rilevanza giuridica di fenomeni psichici Scarpelli richiama l’attenzione
sull’esigenza di pulitura, ed eventualmente di ri-strutturazione, del lessico
giuridico, con l’importante avvertenza di non limitarsi a importare
terminologie esterne in modo pedissequo e irriflessivo, senza procedere a
un’adeguata concettualizzazione: v. SCARPELLI, Scienza del diritto e ANALISI
DEL LINGUAGGIO, a cura di Scarpelli-Di Lucia, Il linguaggio del diritto,
Milano, MARONEY, Law and Emotion; BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. FIANDACA,
Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti: «il giurista contemporaneo, se da un
lato non può fare a meno di rivisitare i concetti di emozione e sentimento alla
luce delle acquisizioni scientifiche e della riflessione filosofica più
recenti, rimane per altro verso pur sempre vincolato all’esigenza di ri-
pensare i concetti elaborati in altri ambiti disciplinari secondo la sua
specifica ottica». Dello stesso
avviso, BANDES, Introduction, cit., p. 8, secondo la quale it is also true that
law has its own set of purposes, demands and limitations. The knowledge we gain
about emotion is usable in a legal context only if it can be translated in
light of law requities». 76
FIANDACA, I presupposti della responsabilità penale tra dogmatica e scienze so-
ciali, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la
fluidità del sapere: ragionamento sul metodo, Padova. L’analisi di Fiandaca è
in questo caso incentrata sui presupposti soggettivi della responsabilità
penale, e pone in evidenza due distinti ordini di problemi: da un lato, il
grado di affidabili- tà del sapere metagiuridico, che, specie con riferimento
alle scienze psicologiche, offre contributi i cui esiti si prestano a letture
non univoche. Dall’altro lato, evi- denzia come determinate acquisizioni in
ambito psicologico siano tali da porre in dubbio la base fattuale di principi
normativi come la colpevolezza, esponendone Fenomeni affettivi e
dimensione giuridica 29 Nello scenario contemporaneo, l’ampliamento
dell’offerta epistemi- ca, ossia l’incremento delle branche della conoscenza
che oggi si sof- fermano sullo studio dei fenomeni affettivi, rende ancora più
com- plesso tale compito. A fronte di tali difficoltà, e nella consapevolezza
che sia opportuno tenere distinte le finalità delle categorizzazioni dei saperi
sul mondo dalla teleologia delle categorie penalistiche77, resta l’obiettivo di
ridurre la distanza fra l’artificialità delle concettualizzazioni giuridiche e
la realtà dei fenomeni 78, sia al fine di individuare re- gole d’uso dei
termini non ‘arbitrarie’, ossia fondate su connessioni fra le diverse proposte
in ambito extragiuridico le quali siano adeguata- mente esplicative rispetto ai
problemi in gioco; sia nella prospettiva di dare anche un impulso alla
rivisitazione di categorie e di modelli con- cettuali presenti nel discorso
giuridico 79 – non solo dei teorici ma an- che, soprattutto, degli applicatori
– che risentono di schemi di pensiero legati al senso comune e alla cosiddetta
psicologia ingenua 80. però a rischio anche il ruolo individual-garantistico;
oppure, con riferimento a un possibile allineamento con quanto espresso da
determinate teorie sociologiche, rimarca il rischio di una funzionalizzazione
del diritto penale all’ascolto di istanze di mera difesa sociale. 77 Rileva
tale problema, con riferimento al tema dell’imputabilità, BERTOLINO,
L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, pp. 25
ss., 44 ss. Sul tema della costruzione di un modello di scienza penale
integrale, non asservi- ta ai saperi empirici ma comunque attenta a limiti
epistemologici, v. DONINI, La scienza penale integrale fra utopia e limiti
garantistici, a cura di Moccia- Cavaliere, Il modello integrato di scienza
penale di fronte alle nuove questioni socia- li, Napoli, 2016, pp. 26 ss. 78
Anche aprendo la riflessione verso un’eventuale ‘rivisitazione’ di categorie
che dovessero risultare mero riflesso di una psicologia cosiddetta ‘esoterica’:
su tale definizione v. FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle
categorie; cfr. VENEZIANI, Motivi e colpevolezza. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion
and the Law, cit., p. 165. 80 Si è osservato che «il diritto può venire
considerato un caso particolarmente brillante di scienza “ingenua”. Esso
infatti impiega massicciamente una propria concezione della psicologia ma senza
dichiararne i teoremi ed i postulati», v. PE- RUSSIA, Criteri giuridici e
criteri psicologici: note sullo scambio epistemologico fra psicologia e
diritto, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la
fluidità del sapere, cit., p. 89. Per un quadro generale sulla ‘psicologia
inge- nua’, con cui si intende la capacità spontanea degli esseri umani «di
interpretare i comportamenti di un agente attribuendogli stati mentali quali
credenze, desideri, piacere, interesse», v. MEINI, Alle origini della psicologia
ingenua: interpretare se stessi o interpretare gli altri?, Sistemi
intelligenti; con riferimento alla dimensione giuridica, v. di recente
FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emotivo. Per una sintesi del ruolo della
commonsense psychology nel di- ritto penale, in una prospettiva tesa a non
demonizzarne il ruolo ma ad analiz- Tra sentimenti ed eguale rispetto 4.1.
Quale concezione di emozione per il giurista? Non si tratta dunque di
effettuare un travaso lessicale che intro- duca nomenclature e classificazioni
ab externo; le diverse ‘emotion theories’ si prestano a sviluppi fra loro
profondamente differenti, e il giurista non può limitarsi a importazioni
passive di saperi 81. zarne i risvolti positivi quale alternativa a prospettive
‘comportamentiste’ e ‘ridu- zioniste’, v. SIFFERD, In defense of the Use of
Commonsense Psychology in the Cri- minal Law, in 25 Law and Philosophy, 2006,
pp. 571 ss.; per un’opinione differen- te v. COMMONS-MILLER, Folk Psychology
and Criminal Law: Why We Need to Repla- ce Folk Psychology with Behavioral
Science, The Journal of Psychiatry and Law. Quando si parla di psicologia folk
ci si riferisce a un terri- torio che non corrisponde a un sistema armonico di
concetti (peraltro si tende anche a distinguere folk psychology da commonsense
psychology), ma che è un campo variegato, caratterizzato anche da incongruenze
interne, nel quale i saperi scientifici costituiscono l’humus di
concettualizzazioni che vanno ad assumere forme differenti in relazione ai
momenti storici; è più corretto parlare al plurale di ‘folk conceptions’
piuttosto che di un’unica visione ‘folk’ dei fenomeni affettivi. La dimensione
folk resta eminentemente esplicativa, ma non descrittiva: è condi- zionata da
un sapere approssimativo sulla fisiologia degli stati affettivi, e accom- pagna
tale gap epistemico con congetture che rivelano un approccio tendenzial- mente
valutativo del fenomeno emotivo, il quale trova espressione in immagini
significative che traspongono in termini metaforici i caratteri del fenomeno.
In generale possiamo affermare che la vita di relazione è in larga parte
regolata da deliberazioni interiori assunte sulla base di postulati di ‘folk
psychology’, in parte come frutto di competenze innate, e in parte effetto di
deduzioni influenzate della cultura. Si osserva che nella dimensione
penalistica la ‘folk psychology’ può rap- presentare un formante in relazione a
tre distinti profili: influisce sulla confor- mazione categorie generali del
diritto penale; influenza le argomentazioni degli studiosi di diritto; si
insinua concretamente nel sistema legale attraverso argo- mentazioni che gli
operatori pratici adoperano nella loro professione (giudici, av- vocati, e, con
riferimento al sistema americano, giurati), v. FINKEL-GERROD PAR- ROT, Emotions
and culpability. How the Law is at
Odds with Psychology, Jurors, and itself, Washington, 2006, p. 48. Sull’interazione fra senso comune e studio delle
emozioni, in una prospettiva che ne rimarca le reciproche implicazioni, v.
GALATI, Prospettive sulle emozioni. Si veda anche CALABI, Le varietà del
sentimento, in Sistemi intelligenti, la quale afferma che la psicologia del
senso comune contribuisce a fornire una rappresentazione del fe- nomeno emotivo
che ne comunica la complessità in modo più coerente e attendi- bile rispetto
alle tendenze riduzioniste o eliminativiste. 81 Per il giurista, oltre alla
necessità di riuscire a districarsi fra gli ‘overlap- ping fields’ sulle
emozioni (secondo la definizione di BANDES, Introduction, cit., p. 8) si pone
l’esigenza di non introdurre tali conoscenze in termini meramente strumentali
alla costruzione delle proprie teorie, importandoli e magari ‘co- stringendoli’
all’interno di argomentazioni giuridiche senza renderne manifesto il margine di
opinabilità e la possibilità di ricostruzioni alternative, e senza dunque
osservare il dovuto rispetto per la complessità a cui si sta facendo ri-
Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 31 Il richiamo a vincoli di
realtà si potrebbe così articolare: un primo livello, relativo all’esplorazione
del panorama di conoscenze disponi- bili, all’esame di nozioni, di tassonomie e
di differenti prospettive di ricostruzione; un secondo livello, incentrato su
una concezione di sentimento e di emozione che sia suscettibile di entrare in
connes- sione con i fatti e con le dinamiche che interessano i problemi di re-
golamentazione penale. Nel complesso, a una fase di ricognizione epi- stemica
si aggiunge un processo interpretativo e al tempo stesso ‘crea- tivo’, nel
senso che il giurista finisce per concepire una particolare idea di emozione e
di sentimento. Una critica mossa ad alcuni fra i primi contributi sul tema di
‘Law and Emotion’ è stata quella di non aver adeguatamente problematiz- zato ed
esplicitato un importante passaggio metodologico, ossia di- scutere apertamente
quale sia la concezione di emozione assunta alla base delle riflessioni 82.
Parallelamente a tale critica, riteniamo che si attaglino anche al giurista le
osservazioni del sociologo Sergio Manghi, quando afferma che per lo studioso di
scienze sociali non è possibile limitarsi a de- scrivere il modo in cui le
emozioni vengono socialmente definite: allo stesso modo per il giurista non è
possibile far interagire la dimensio- ne giuridica con le diverse prospettive
attraverso cui emozioni e sen- timenti vengono socialmente e scientificamente
definiti, senza pren- dere al contempo una posizione che traduca maggiore o
minore pre- ferenza per una determinata impostazione. Va dunque inoculato an-
che nella riflessività dello studioso di diritto l’interrogativo di natura
epistemologica su quale sia la concezione di emozione alla base del proprio
discorso: «attraverso quale idea di ‘emozione’ parlo di ‘emozioni’? Essere o
me- no dotati di un’idea di ‘emozione’, o per dirla con una parola più im-
pegnativa, di una teoria delle emozioni, non è questione di scelta, per nessun
essere umano che ricorra alla parola ‘emozione’. A maggior ra- gione, non è una
questione di scelta per uno scienziato sociale. Una teoria c’è comunque. Possiamo scegliere solo se
mantenerla implicita, colludendo con il senso comune, o possiamo cercare di
esplicitar- mando: «Legal scholars, as well as lawyers, legislators, judges,
need to guard against this temptation to pillage other fields without regard
for their full com- plexity and to use the spoils selectively to make legal
arguments», v. BANDES, Introduction, LITTLE, Negotiating the Tangle of Law and
Emotion, in 86 Cornell Law Re- view. Tra
sentimenti ed eguale rispetto la: ben sapendo, beninteso, che l’esplicitazione non
tocca che uno scam- polo del vasto sistema delle nostre premesse implicite.
L’assunzione di un’idea da altri ambiti testuali rimane comunque un gesto
attivo, un atto linguistico generativo, del quale non possiamo non assumerci la
responsabilità epistemologica» 83. Il problema non è solo definitorio ma
implica una presa di posi- zione sul piano epistemologico, con conseguenze sul
merito delle ri- flessioni84: tematizzare problemi concernenti i rapporti fra
diritto e dimensione affettiva porta anche il giurista a prediligere e a
identifi- carsi con una o più proposte ricostruttive. Formarsi un’idea di cosa
siano l’emozione e il sentimento, e in quale accezione si intenda in- trodurre
tali concetti nel discorso penalistico, rappresenta in primo luogo un’acquisizione
importante dal punto di vista della qualità epi- stemica dell’indagine e delle
proposte eventualmente avanzate, e co- stituisce un impegno sul piano
metodologico. 4.2. Sull’uso del termine ‘emozione’ Esigenze di chiarezza e di
coerenza con le fonti bibliografiche ri- chiedono una puntualizzazione sul
piano lessicale, o più precisamen- te, meta-lessicale. Nella lingua italiana i
termini che definiscono gli stati affettivi so- no diversi: ‘sentimento’ ed
‘emozione’ sono quelli probabilmente più noti, cui si affiancano anche vocaboli
come ‘passione’, ‘sensazione’, ‘impressione’, ‘affezione’, ‘stato d’animo’. In
lingua inglese il termine di uso più comune e dal significato più ampio è
‘emotion’, il quale, a seconda dei diversi contesti, sembra po- tersi tradurre
in italiano sia con ‘emozione’, sia con ‘sentimento’. Più circoscritto appare
l’uso del termine ‘feeling’, il quale si presta a esse- re tradotto
letteralmente come ‘sentimento’, al pari dell’ancor più univoco, ma meno
frequente, ‘sentiment’. Diffuso è inoltre l’uso del termine ‘passion’, il quale
sembra connotare un particolare modo 83 MANGHI, Le emozioni come processi
sociali. Considerazioni teorico-epistemo- logiche, in AA.VV., a cura di
Cattarinussi, Emozioni e sentimenti nella vita sociale, Milano. LITTLE, Negotiating the
Tangle of Law and Emotion, cit., p. 982: «The tax- onomy issue is not a battle
just about what goes on the list; the issue also goes to the core of what
constitutes an emotion and how emotions emerge and transform». Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 33 d’essere
degli stati affettivi, ossia l’effetto condizionante nei confronti dell’agire
umano 85. Se si cerca una corrispondenza in lingua inglese con la formula
‘tutela di sentimenti’ non si trova praticamente mai il vocabolo ‘fee- ling’:
il discorso giuridico sugli stati affettivi è fondamentalmente in- centrato sul
termine ‘emotion’. Quando si parla di ‘Law and Emotion’, tale ultimo vocabolo
non si riferisce solo ai fenomeni psichici che possono ricondursi a emozioni in
senso stretto, ma comprende anche gli stati che, come avremo modo di osservare,
in lingua italiana corrisponderebbero a ‘sentimen- ti’. Le questioni che nel
panorama di studi giuridici in lingua italiana richiamano espressamente
‘sentimenti’ trovano dunque nella dottrina nordamericana una rispondenza col
termine, più generico e com- prensivo, ‘emotion’ 86. Tale ambivalenza, se da un
lato appare foriera di ambiguità, da un altro lato mostra una compenetrazione
fra i due fenomeni che sugge- risce, in fase di esposizione e di impostazione
dei problemi, l’uso del termine ‘emozione’ quale traduzione di ‘emotion’ in
tutta la sua porta- ta semantica87, e dunque in modo sostanzialmente
intercambiabile col termine ‘sentimento’. 85 Una panoramica in DIXON, “Emotion”: The History of
a Keyword in Crisis, in Emotion Review. Da
notare l’interessante equivoco linguistico nella traduzione del titolo del
celeberrimo romanzo di JANE AUSTEN, Sense and Sensibility, tradotto, come noto,
in italiano come Ragione e sentimento. In realtà in inglese ‘sensibility’
indica la sensibilità come emotività; sarebbe stato preferibi- le, come
segnalato da Griffith e Davies, autori di un saggio sull’opera di Jane Austen
citato in http://www.unteconjaneausten.com/senno-e-sensibilita- piu-che-ragione-e-sentimento/,
intendere ‘sense’ come risposta ragionata o pratica a una situazione, mentre
‘sensibility’, come percezione emotiva di tale situazione. Debbo la
segnalazione di tale interessante questione all’amico Alessandro Corda, che
ringrazio. Sull’uso del termine ‘passione’ v. anche infra, cap. II, nota 1. 86
Un’eccezione da noi riscontrata è relativa a un saggio di FEINBERG, Senti- ment
and Sentimentality in Practical Ethics, in 56 Proceedings and Addresses of the
American Philosophical Association, nel quale il termine ‘senti- ment’ è
utilizzato per indicare stati affettivi non episodici, distinti dall’‘emotion’
sia per la durata, sia per la presenza di un oggetto cognitivo. In controluce a
tale impostazione emerge un complementare uso del termine emotion volto a
indicare stati psicologici privi un oggetto cognitivo definito, in
controtendenza dunque all’opinione di autori come Kahan e Nussbaum. Osserva DE
MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Milano, 2008, pp.
21 ss. che «nella lingua franca della filosofia contemporanea la parte del
leone affettivo la fa oggi la parola “emozione”. È questo il termine che viene
di pre- ferenza usato con la stessa generosità onnicomprensiva di “passioni” in
Cartesio, anche se a volte l’uso italiano è stridente, come lo sono spesso,
prima che l’abitu- 34 Tra sentimenti ed eguale rispetto Il problema
di un uso più sorvegliato si porrà al momento di in- quadrare i profili
naturalistici che caratterizzano il sentimento e l’emozione al fine di verificare,
nella prospettiva giuridica, il senso di una distinzione fra una ‘tutela di
sentimenti’ e una ‘tutela di emozio- ni. Sinossi Il significato e il ruolo del
sentimento nel diritto penale costitui- scono un argomento poco esplorato, il
quale può inquadrarsi all’in- terno di un macroambito riguardante i rapporti
fra diritto penale e stati affettivi. L’insufficiente attenzione ad oggi
riservata a tali temi si motiva anche come effetto di un più generale
atteggiamento del pen- siero occidentale tendente a relegare la dimensione
affettiva nella sfe- ra dell’indominabile e dell’irrazionale; una vulgata
attualmente in fa- se remissiva alla quale sta subentrando una nuova
considerazione di sentimenti ed emozioni come elementi dotati di una peculiare
forza non necessariamente negativa, ma anche potenzialmente virtuosa, nelle
dinamiche del pensiero e dell’agire umano. Fra i diversi problemi concernenti
il ruolo degli stati affettivi nella genesi e nell’applicazione delle leggi
penali, quello che ci sembra di più immediata evidenza, quantomeno se si ha
riguardo al lessico dei legislatori, ha a che fare con la c.d. ‘tutela penale
di sentimenti’, o, in termini meno retorici, con il ruolo del sentimento quale
oggetto di tutela. Per tematizzare tale problema, e più in generale tutte le
questioni concernenti i rapporti fra diritto e dimensione affettiva, si rendono
necessarie delle riflessioni preliminari sul piano epistemologico e me-
todologico, profili teorici su cui si è mostrata particolarmente sensi- bile la
dottrina giuridica statunitense attraverso il filone di studi noto come ‘Law
and Emotion’. Seguendo i percorsi tracciati dai contributi afferenti al
suddetto ambito, riteniamo che la presente indagine debba prendere le mosse da
un inquadramento dei fenomeni cui le norme fanno richiamo. Un impegno che non
dovrebbe limitarsi a un’importazione passiva di sa- peri e definizioni, e che
sollecita piuttosto il giurista a interrogarsi su quale sia la concezione di
emozione e di sentimento più funzionale e dine spenga il disagio, gli
anglicismi (sospettiamo infatti che il senso del termine inglese “emotions” sia
più lato di quello del suo falso amico italiano. Fenomeni affettivi e
dimensione giuridica 35 meglio esplicativa rispetto ai diversi problemi in
gioco. Vedremo nel prossimo capitolo quali siano i principali criteri di
differenziazione fra stati affettivi, e quali profili distintivi appaiano più
funzionali al discorso sul problema del sentimento come oggetto di
tutela. 36 Tra sentimenti ed eguale rispetto SENTIMENTI ED
EMOZIONI: CLASSIFICAZIONI E DISAMBIGUAZIONI «Capire tu non puoi Tu chiamale se
vuoi Emozioni» BATTISTI L.-MOGOL, «Io penso che un uomo senza utopia, senza
sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un
mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio... una specie
di cinghiale laureato in matematica pura» DE ANDRÈ F., intervista tratta dal
documentario ‘Dentro Faber, l’anarchia’
Definire gli stati affettivi: una sfida continua. Emozioni. Un quadro ricostruttivo: dalla
matrice filosofica alle neuroscienze. Le emo- zioni come giudizi di valore: la
concezione di Nussbaum. Concezioni ‘meccanicistiche’ e concezioni valutative
dell’emozione: profili di rile- vanza giuridica. La dimensione sociale delle
emozioni. – 3. Sentimenti: componente di riflessività e dimensione morale. Il
pensiero filosofico e i sentimenti morali. Un’interpretazione fenomenologica.
Emozioni e sen- timenti: il senso della distinzione concettuale. Definire gli
stati affettivi: una sfida continua I termini ‘sentimento’ ed ‘emozione’
definiscono fenomeni appar- tenenti alla categoria dei cosiddetti ‘stati
affettivi’, e additano in que- sto senso differenze fattuali il cui
approfondimento richiede di attin- gere da saperi esterni al mondo del diritto,
tenendo presente che ri- spondere alla domanda ‘che cosa sia un’emozione o un
sentimento’ rappresenta ancora oggi una sfida continua 1, data la difficoltà di
cri- 1 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law; cfr. SCHERER, What
38 Tra sentimenti ed eguale rispetto stallizzare nozioni univocamente condivise
a livello interdisciplinare. Nella prospettiva giuridica è opportuno avere
chiaro a quali fini si intenda evidenziarne le differenze2: non si tratta di
perseguire una fedeltà al linguaggio dei legislatori ove adoperino una
terminologia più o meno dettagliata, ma piuttosto di dotarsi di strumenti
episte- mici per un’adeguata interpretazione delle situazioni descritte in
eventuali norme e per una comprensione delle questioni di fondo, anche in una
prospettiva de jure condendo 3. Il rinvio alle scienze psicologiche è
funzionale a elaborare delle definizioni operative idonee a essere impiegate
quale chiave di lettura di problemi penalistici. Ad esempio, in relazione a un
interrogativo particolarmente rilevante nella presente indagine: per quale
motivo si tende a parlare di tutela di ‘sentimenti’ e non di ‘emozioni’? Da un
la- to vi è il riflesso condizionato dal lessico delle disposizioni, ma si
tratta ovviamente di una spiegazione insufficiente ad accreditarne la coerenza.
Appare invece necessario fare chiarezza sulla distinzione fattuale tra i
suddetti stati affettivi e sulle conseguenti ripercussioni sul piano
concettuale, al fine di chiedersi quali differenze possano di- scendere
dall’orientare un’eventuale prospettiva di intervento sulle emozioni piuttosto
che sui sentimenti. are emotions? And how can they be measured? Non adoperemo
il ter- mine ‘passione’, il quale è spesso utilizzato quale sinonimo d’emozione
soprat- tutto in relazione agli aspetti di reattività e di passività, ma assume
un significato più esteso, il quale non si limita al piano psicologico e
fenomenico ma tende a includere una dimensione sociale e culturale, specie nel
discorso che storicamen- te contrappone ‘passione’ e ‘ragione’. Come osserva
BODEI, Geometria delle passioni, Milano: «“Ragione” e “passioni” [fanno] parte
di costellazioni di senso teoricamente e culturalmente condizionate sono cioè
termini pre-giu- dicati, che occorre abituarsi a considerare come nozioni correlate
e non ovvie, che si definiscono a vicenda (per contrasto o per differenza) solo
all’interno di de- terminati orizzonti concettuali e di specifici parametri
valutativi»; cfr. CURI, Pas- sione, Milano. Il termine passione connota in
definitiva una tipologia di stati affettivi caratterizzati dalla durata
transitoria, fra cui rientrano an- che le emozioni, ma non, ad esempio, i
sentimenti; per una ricostruzione in tal senso v. GOZZANO, Ipotesi sulla metafisica
delle passioni, a cura di Ma- gri, Filosofia ed emozioni, Milano. Nella
dottrina penalistica si soffermano sulla distinzione fra sentimento ed emozione
FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti; NISCO, La tutela penale
dell’integrità psichica; volendo si veda anche BACCO, Sentimenti e tutela
penale, cit., pp. 1186 ss. 3 Si veda l’indagine di NISCO, La tutela penale
dell’integrità psichica, il quale procede a una distinzione fra emozione e
sentimento nell’ambito di una più ampia analisi volta a definire i tratti
identificativi della ‘sofferenza’ come categoria esplicativa dell’offesa dei
processi psichici. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e
disambiguazioni Non si possono sviluppare adeguatamente tali problemi affidan-
dosi alla sola psicologia del senso comune, senza tener conto di come i saperi
sugli stati affettivi configurano oggi il rapporto fra emozioni e sentimenti,
e, più in generale, il ruolo della dimensione affettiva nella vita della
persona. Cerchiamo pertanto di procedere a una di- sambiguazione che evidenzi i
tratti distintivi fra i fenomeni definiti ‘emozione’ e ‘sentimento’. 2.
Emozioni. Un quadro ricostruttivo: dalla matrice filosofica alle neuroscienze
Prendiamo le mosse dalle emozioni; la definizione di altri stati af- fettivi
viene formulata spesso in termini di comparazione e di differen- za con
l’emozione, la quale mostra pertanto una rilevanza primaria. Ripercorreremo in
estrema sintesi alcuni degli snodi fondamentali della storia delle emozioni,
con particolare attenzione alle teorie del- l’età moderna e contemporanea,
ossia quelle elaborate a partire da quando la psicologia ha assunto lo statuto
di disciplina autonoma 4. Non va però dimenticato che l’interrogativo su cosa
siano le emozioni ha interessato il pensiero umano fin dall’antichità, ed è a
partire dai classici del pensiero filosofico che si aprono oggi buona parte
delle trattazioni sulle emozioni 5. Osserva lo psicologo Dario Galati che lo
studio delle emozioni na- sce come indagine filosofica; i fenomeni affettivi
sono stati conside- rati da sempre una fondamentale chiave di lettura per lo
studio della natura umana, e anche nell’attuale variegato panorama di branche
della conoscenza la matrice filosofica mantiene una rilevanza pecu- liare: non
si può fare psicologia delle emozioni senza avere un’opi- nione generale – e
diciamo pure filosofica – su ciò che le emozioni sono, sul valore che hanno e
sul ruolo che svolgono nell’esistenza quotidiana degli esseri umani» 6. 4 RIMÈ,
La dimensione sociale delle emozioni, tr. it., Bologna, 2008, p. 29. 5 Un
importante esempio è l’opera di GRIFFITHS, What Emotions Really Are. The Problem of Psychological
Categories, Chicago; SOLOMON, The Philosophy of Emotions, in The Psychologists’
Point of View, Lewis–Haviland- Jones, Handbook of Emotions, London. Per un’in- teressante prospettiva sulla ‘priorità’
delle emozioni da un punto di vista filosofico si veda VECA, Sulle emozioni, in
Iride. GALATI, Prospettive sulle emozioni, cit., p. 29. Sulla stessa linea di
pensiero v. 40 Tra sentimenti ed eguale rispetto In questa sede possiamo
solo limitarci a rinviare alle belle pagine con cui il filosofo Nicola
Abbagnano riassume la storia filosofica del- le emozioni, descrivendo la
concezione platonica del Filebo (la pri-ma analisi delle emozioni che la
filosofia occidentale ci ha dato) e la teorizzazione aristotelica della
Retorica («una delle più interessanti analisi di cui la filosofia dispone»)7.
Ai fini della presente indagine appare opportuno compiere un salto cronologico
a epoche caratte- rizzate da una più definita differenziazione tra approcci di
studio, e a prospettive che si estendono anche ai profili fisiologici e
‘corporali’ dei fenomeni affettivi. Arriviamo dunque all’Ottocento, cioè quando
lo studio delle emo- zioni viene a focalizzarsi su un approccio
empirico-sperimentale in relazione a movimenti corporei e pattern
comportamentali. L’opera di Charles Darwin segna in questo senso uno
spartiacque e la sua teoria evoluzionistica dell’emozione rappresenta il primo
studio pro- priamente moderno 8. Ma è soprattutto un articolo di William James
9 a consolidare l’approccio empirico, con la celebre teoria secondo cui lo
stato emotivo scaturisce dalla percezione dei cambiamenti biologi- ci e
neurovegetativi innescati da uno stimolo emotigeno. Il carattere innovativo, ma
anche l’aspetto più criticato di tale teoria, è l’inver- sione del rapporto tra
elaborazione cognitiva e stimolo viscerale: l’espe- rienza emotiva come esito
dalla percezione di mutamenti a livello corporeo, e non viceversa. Altrettanto
importante, ma di opinione opposta, è la posizione di Walter Cannon, il quale,
al contrario di James, riteneva che i centri di attivazione dei processi
emotivi siano localizzati in regioni periferi- che del corpo (da cui la
denominazione ‘teoria periferica’), propo- nendo un radicamento del processo di
elaborazione emotiva nella re- gione talamica, in un’area che interessa
principalmente le strutture dell’ipotalamo e dell’amigdala. Su tale ultima
regione del sistema limbico si sono concentrati gli studi in epoca
contemporanea; in particolare, secondo il neuroscien- FRIJDA, voce Emozioni e
sentimenti, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Sono parole di
ABBAGNANO, Storia filosofica delle emozioni. DARWIN, L’ESPRESSIONE DELL’EMOZIONE NELL’ANINMALE E
NELL’UOMO. Torino, JAMES, What is an emotion, Mind. CANNON, The James-Lange
Theory of Emotions: A Critical Examination and an Alternative Theory, The
American Journal of Psychology. Sentimenti
ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 41 ziato Joseph LeDoux, è
l’amigdala ad assumere un ruolo primario nelle dinamiche dei fenomeni
emozionali: non solo nella generazione delle emozioni, ma anche nella gestione
della vita emozionale di un soggetto 11. Questi, in estrema sintesi, alcuni dei
contributi più significativi che orientano verso una descrizione che pone in
primo piano aspetti di attivazione a livello corporeo. Una prospettiva più
genuinamente psicologica 12 si deve agli studi condotti da Stanley Schachter
con la teoria c.d. ‘cognitivo-attivazio- nale’ 13. Lo psicologo statunitense riconduce
l’emozione all’attivazione di una componente di tipo materiale-corporeo
compresa fra due atti cognitivi: il primo è rappresentato dalla percezione e
dalla valutazio- ne di uno stimolo elicitante; il secondo, successivo
all’attivazione dell’arousal14, è costituito dalla riflessione sul legame
causale fra lo stimolo esterno e l’attivazione emozionale interna, secondo un
pro- cesso che viene letteralmente definito come ‘etichettamento’ (label- ling)
e che corrisponde a un’elaborazione e a un’interpretazione del rapporto tra
stimolo emotivo ed arousal. Si tratta di un significativo passo oltre la
dimensione fisica delle emozioni, nel quale viene in considerazione
l’esperienza cognitiva del soggetto: l’emozione assu- me una fisionomia
complessa e multifattoriale rivelandosi come mo- mento dialettico fra mente e
corpo, secondo un’interazione guidata da processi non meramente istintuali. Su
tali premesse troveranno sviluppo teorie che assegnano impor- tanza centrale
alle elaborazioni cognitive e alle valutazioni di cui si compone l’esperienza
emotiva, meglio note come ‘teorie dell’appraisal’. Opera di riferimento è uno
studio di Magda Arnold15, che definì 11 LE DOUX, Emotion circuits in the brain,
in Annual review of neuroscience.; ID., Il cervello emotivo. Alle origini delle
emozioni, cit., pp. 49 ss. 12 Sulla definizione del punto di vista psicologico
sulle emozioni v. FRIJDA, The Psychologists’ Point of View, Handbook of
Emotions, SCHACHTER-SINGER, Cognitive, Social and Psychological Determinants of
Emotional State, in Psychological Review. L’arousal (eccitazione, risveglio)
rappresenta il risvolto più propriamente fisico dell’emozione, ossia
l’attivazione nervosa che viene per- cepita dal soggetto a seguito di uno
stimolo emotigeno, la quale può avere diverse gradazioni di intensità e provocare
differenti stati affettivi: ad esempio nell’emo- zione vi sarebbe un intenso
arousal provocato da eventi edonicamente rilevanti che sollecitano una risposta
comportamentale, v. voce Arousal, in Enciclopedia della scienza e della
tecnica, Roma. ARNOLD, Emotion and Personality, New York. Tra sentimenti ed
eguale rispetto l’emozione come una spinta tendente all’attrazione o
all’allontana- mento da un determinato oggetto a seguito di una valutazione di
es- so; tale fase, cosiddetto ‘appraisal’, è seguita da una valutazione se-
condaria, detta ‘reappraisal’, la quale di fatto implica una riflessività sugli
stati che il soggetto ha percepito. Nel solco tracciato delle teorie
dell’appraisal si sviluppano le elabo- razioni di Nico Frijda, secondo il quale
le emozioni costituiscono ri- sposte modulate sulla struttura di significato di
una determinata situa- zione: ‘significato’ da intendersi come attribuzione di
senso in termini di positività o negatività da parte di un individuo. Elemento
centrale dell’esperienza emotiva è la soggettività: la dimensione individuale è
chiave di lettura della complessità e della variabilità delle emozioni 16. Le
considerazioni di Frijda, e più in generale le teorie dell’appraisal, conducono
verso l’inquadramento delle emozioni come «mediatori complessi fra il mondo
interno e quello esterno che variano secon- do alcune dimensioni continue,
quali la valenza edonica (piacevolez- za o spiacevolezza), la novità (o meno)
degli eventi elicitanti, il livello di attivazione, il grado di controllo dei
medesimi, la compatibilità (o meno) con le norme sociali di riferimento. La
prospettiva intrapsichica si apre in questo modo all’inclusione di aspetti
cognitivo-valutativi che sono esito del continuo processo di giudizio che il
soggetto compie nel suo rapportarsi alla realtà: «l’indi- viduo è continuamente
impegnato in operazioni di valutazione cogni- tiva, con le quali egli mette a
confronto la sua percezione della situa- zione attuale con una sorta di visione
prospettica, che gli deriva dalla conoscenza del mondo, dalle sue credenze di
base, dalle norme a cui si conforma e dai diversi obiettivi temporanei e
permanenti che persegue. Negli anni a noi più vicini il panorama di conoscenze
e di approc- ci di studio è andato arricchendosi, anche a seguito dell’avvento
delle neuroscienze cognitive, una disciplina che nasce all’inizio degli anni
Ottanta del Novecento e che porta a una nuova auge la dimensione
neurobiologica19, grazie a innovative tecniche che consentono di vi- FRIJDA,
voce Emozioni e sentimenti, cit., p. 568; più ampiamente v. ID., Emozioni, tr.
it., Bologna, ANOLLI-LEGRENZI, Psicologia generale, Bologna, RIMÈ, La
dimensione sociale delle emozioni. DAMASIO, Emotions and feelings: a neurobiological
perspective, ed. by Mansted-Frijda-Fischer, Feelings and Emotions. The Amsterdam Symposium, Cambridge, Sentimenti ed
emozioni: classificazioni e disambiguazioni 43 sualizzare l’attività del
sistema neurale delle emozioni. Si deve soprattutto all’opera scientifica e
divulgativa del neuro- scienziato Antonio Damasio un importante tentativo di
definire l’emo- zione e di studiarne le strette connessioni con il ragionamento
e con l’agire che definiamo ‘razionale’. L’articolata proposta di Damasio per
dare una fisionomia all’emozione è la seguente: «l’insieme dei cambiamenti
dello stato corporeo che sono indotti in miriadi di organi dai terminali delle
cellule nervose, sotto il controllo di un apposito sistema del cervello che
risponde al contenuto dei pen- sieri relativi a una particolare entità, o
evento. Per concludere, l’emo- zione è frutto del combinarsi di un processo
valutativo mentale, sem- plice o complesso, con le risposte disposizionali a
tale processo, per lo più dirette verso il corpo, che hanno come risultato uno
stato emotivo del corpo, ma anche verso il cervello stesso che hanno come
risul- tato altri cambiamenti mentali. Per un quadro generale v. DE PLATO, Il
modello delle emozioni, a cu- ra di De Plato, Psicologia e psicopatologia delle
emozioni, Bologna; BELLODI-PERNA, Emozioni e neuroscienze, in AA.VV., a cura di
Rossi, Psichiatria e neuroscienze, in Trattato italiano di psichiatria, Milano,
2006, pp. 35 ss. Fra gli studi sulle emozioni che si avvalgono di tecniche
neuroscientifiche possiamo includere i già citati contributi di Antonio Damasio
e di Le Doux (v. supra, nota 11); di quest’ul- timo ricordiamo inoltre LE DOUX,
Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diven- tare quello che siamo,
tr. it., Milano, 2002. L’oggetto di studio delle neuroscienze co- gnitive si
estende anche al di là delle emozioni, e le acquisizioni delle neuroscienze
sono sempre più frequentemente oggetto di interesse da parte dei giuristi
penali: per una sintesi v. GRANDI, Neuroscienze e responsabilità penale. Nuove
soluzioni per problemi antichi?, Torino, 2016; BERTOLINO, Il vizio di mente tra
prospettive neuro- scientifiche e giudizi di responsabilità penale, in Rass.
it. criminologia; EAD., Imputabilità: scienze, neuroscienze e diritto penale,
in AA.VV., a cura di Pa- lazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze. Non
“siamo” i nostri cervelli, Torino, 2013, pp. 145 ss.; EAD., L’imputabilità
penale fra cervello e mente, in Riv. it. med. leg.; GIOVINE O., Chi ha paura
delle neuroscienze, in Arch. pen.; EAD., voce Neuroscienze (diritto penale), in
Enciclopedia del dirit- to, Annali VII, 2014, pp. 711 ss. EUSEBI, Neuroscienze
e diritto penale: un ruolo diver- so del riferimento alla libertà, in AA.VV., a
cura di Palazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze; CORDA, Riflessioni
sul rapporto tra neuroscienze e im- putabilità nel prisma della dimensione
processuale, in Criminalia, 2013, pp. 497 ss.; ID., Neuroscienze forensi e
giustizia penale tra diritto e prova (Disorientamenti giuri- sprudenziali e
questioni aperte), in Arch. pen. (Rivista web), 3/2014, pp. 1 ss.; ID., La
prova neuroscientifica. Possibilità e limiti di utilizzo in materia penale,
Ragion Pratica; FUSELLI, Le emozioni nell’esperienza giuridica: l’impatto delle
neuroscienze, in AA.VV, a cura di Palazzani-Zannotti, Il diritto nelle
neuroscienze, cit., pp. 53 ss. 21 DAMASIO, L’errore di Cartesio, cit.,
pp. 201 s. 44 Tra sentimenti ed eguale rispetto Com’è evidente anche da
questa sintetica trattazione, la mole di approcci e di contributi è tale da rendere
difficoltoso definire l’emo- zione: è possibile individuare dei punti di
convergenza tali da poter indicare al giurista dei tratti caratterizzanti?
Nella dottrina giuridica americana gli studiosi Bandes e Blumen- thal, dopo
aver formulato il caveat metodologico di non avventurarsi alla ricerca di
‘definizioni universali’, propongono una sintesi di ciò che a loro avviso può
ritenersi condiviso nei diversi ambiti disciplina- ri, inquadrando le emozioni
come: «un insieme di processi valutativi e motivazionali, che coinvolgono
completamente il cervello, i quali ci aiutano a valutare e a reagire agli
stimoli, e che prendono forma, significato e vengono comunicati in un contesto
sociale e culturale. Le emozioni influiscono sul modo in cui selezioniamo,
classifichiamo e interpretiamo informazioni; influenza- no le nostre
valutazioni sulle intenzioni e sulla credibilità degli altri; e ci aiutano a
decidere cosa sia importante o abbia valore. Cosa forse più importante, ci
guidano nel fare attenzione ai risultati del nostro agire e forniscono
motivazioni per agire o per astenersi dall’agire nelle situazioni che
valutiamo. Riteniamo tale definizione una buona base per il prosieguo dell’in-
dagine, in quanto l’ampiezza è tale da coinvolgere diversi profili del-
l’esperienza affettiva: è presente la dimensione neurobiologica, si fa
riferimento all’interazione col contesto sociale e culturale, viene evi-
denziato che le emozioni contribuiscono a guidare sia il pensiero co- gnitivo
sia, conseguentemente, l’azione umana. Approfondiamo alcuni dei suddetti
aspetti, a partire dal chiari- mento di cosa si intenda per emozione come
‘giudizio di valore, analizzando di seguito due prospettive di approccio alle
emozioni nel discorso giuridico, ossia la concezione meccanicistica e quella valutativa.
BANDES-BLUMENTHAL,
Emotion and the Law. Ex plurimis, v. VECA, Dell’incertezza. Tre meditazioni filosofiche, Milano. Sentimenti ed
emozioni: classificazioni e disambiguazioni Le emozioni come giudizi di valore:
la concezione di Nussbaum Un’opera che a nostro avviso sintetizza
emblematicamente la ri- scoperta della dimensione emozionale nella vita di
relazione, e so- prattutto nella dimensione politica, è il saggio di Nussbaum
‘Upheveals of Thought’, autentico esempio di approccio interdisciplinare allo
studio dei fenomeni emotivi: psicologia cognitiva, neuroscienze, antropologia,
etologia, filosofia morale vengono convogliate in un flusso epistemico nel
quale non si avverte disomo- geneità ma sincretismo. Uno studio non collocabile
in una corrente definita, il quale interseca differenti campi e prospettive al
fine di in- terpretare il ruolo delle emozioni nelle scelte del singolo e nella
di- mensione collettiva. Il titolo italiano si distacca dalla traduzione
letterale (sommovimenti del pensiero), e con enfasi retorica forse eccessiva
recita ‘L’intelligenza delle emozioni’; il messaggio dell’opera è più comples-
so, ma il tema di fondo può essere sostanzialmente identificato con una ricerca
sull’intelligenza nelle emozioni: un dato non scontato ma da valutarsi con
attenzione, intendendo con intelligenza un giudizio sulla ‘bontà’ e
sull’affidabilità dell’emozione. Secondo Martha Nussbaum l’emozione si fonda su
un giudizio di valore: ha cioè un contenuto proposizionale di tipo valutativo e
una componente intenzionale-cognitiva26 che la pone in relazione con un oggetto
(c.d. ‘oggetto intenzionale’). Non è un evento prettamen- te fisico,
‘meccanico’ e viscerale, ma si articola in un giudizio sulla realtà esterna il
quale è a sua volta modulato sulle credenze del sog- getto. Sono le credenze a
influire in modo determinante sulla qualità dell’emozione, la quale non è
giudicabile in sé come vera o falsa, bensì come più o meno appropriata.
Credenze errate possono gene- NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit. 25
Viene fatto notare come tale traduzione avrebbe consentito di salvare la ci-
tazione di Proust, il quale definì le emozioni ‘soulèvements géologiques de la
pen- sée’, v. FURST, Sommovimenti del pensiero: la teoria delle emozioni di
Nussbaum, athenenoctua.it/sommovimenti-del-pensiero. NUSSBAUM, L’intelligenza
delle emozioni. Ciò che può essere valutato in termini di verità o falsità sono
le credenze re- trostanti l’emozione; credenze false generano emozioni che
possono essere valu- tate come più o meno appropriate, ma si tratta comunque di
emozioni ‘vere’, v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni. Tra sentimenti ed
eguale rispetto rare emozioni inappropriate a seconda dei contesti: le emozioni
pos- sono essere dunque, a loro volta, valutate. Questo rapporto fra ‘nor-
matività interna’ e ‘normatività esterna’ all’emozione risulta cruciale per
l’evoluzione degli sviluppi del pensiero della studiosa americana: è infatti su
tale presupposto che si fondano i successivi studi sull’affi- dabilità politica
delle emozioni. A quali condizioni un determinato atteggiamento emotivo dei
sin- goli e, soprattutto, della collettività – inteso come emozione social-
mente diffusa – può essere assecondato dalle istituzioni e ‘riconosciu- to’
anche attraverso norme giuridiche? L’interrogativo rimanda al raffronto tra il
giudizio di valore sulla base del quale l’emozione si genera, e l’orizzonte
assiologico che si assuma a riferimento per gli assetti sociali e
istituzionali. Martha Nussbaum ha il merito di aver messo a tema la dimensio-
ne politica delle emozioni evidenziandone le profonde connessioni con l’etica
pubblica, con i valori costitutivi di un ordinamento e dun- que con la genesi e
le ricadute applicative di istituti giuridici, in un discorso che attraversa
numerose discipline ma che cerca costante- mente nel diritto e nella teoria
politica gli interlocutori privilegiati. La sua opera, dall’eloquente titolo
‘Emozioni politiche’, rappresenta in questo senso una proposta teorica ispirata
ai canoni del liberali- smo, nella quale si esorta al buon uso delle emozioni
in sede pubblica quale strumento di pedagogia civile. Non vanno però
dimenticati ulteriori contributi della studiosa americana, incentrati su
profili più vicini alla dimensione giuridica, e in particolare sulla concezione
di emozione che dovrebbe essere adottata dal giurista come punto di partenza
nelle riflessioni perti- nenti Law and Emotion, alla luce dell’alternativa fra
un modello bio- logico-meccanicistico e un modello cognitivo-valutativo.
Vediamo in dettaglio quanto osservato in tale studio. NUSSBAUM, Emozioni
politiche. Perché l’amore conta per la giustizia, tr. it., Bologna, 2014. 29
Anche in relazione alla figura del giudicante e alle sue emozioni, e con par-
ticolare riguardo alla giusta compassione che dovrebbe accompagnarne le deci-
sioni, v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni; NUSSBAUM, Giu- stizia
poetica. Immaginazione letteraria e vita civile, tr. it., Milano. KAHAN-NUSSBAUM,
Two Conceptions of Emotion in Criminal Law, in 96 Co- lumbia Law Review,
Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni. Concezioni
‘meccanicistiche’ e concezioni valutative del- l’emozione: profili di rilevanza
giuridica Nella prospettiva giuridica è fondamentale interrogarsi sull’alter-
nativa fra interpretazioni dell’emozione legate a paradigmi stretta- mente
fisicalistici e concezioni incentrate sull’emozione come giudi- zio di valore.
Dan Kahan e Martha Nussbaum riassumono tali ap- procci nella diade composta da
concezione meccanicistica e concezione valutativa (mechanistic and evalutative
conception). Secondo la visione meccanicistica, le emozioni sono equiparabili a
forze ‘non pensanti’ che spingono una persona all’azione; per la ‘evalutative
conception’ invece l’emozione scaturisce dalla relazione, definibile in base a
un valore edonico (ossia di maggiore o minore piacere), con un oggetto
cosiddetto intenzionale. Le emozioni sono rivolte a un quid materiale,
cognitivo o immaginativo: non sono energie naturali prive di oggetto ma sono in
relazione about a qualcosa. In secondo luogo l’oggetto è intenzionale: ovvero,
esso appare nell’emozione nel modo in cui lo vede o lo interpreta la per- sona
che prova l’emozione stessa. L’approccio valutativo mostra una migliore
rispondenza in rap- porto ai fenomeni e trova oggi un maggiore consenso
rispetto all’al- ternativa meccanicistica. Ma quali conseguenze discendono
dall’aval- lo di concezioni valutative piuttosto che meccanicistiche in
relazione ai problemi penali? Ragionare in termini di approccio meccanicistico,
e trattare le emozioni come meri impulsi senza considerarne la componente co-
gnitiva, non offre strumenti per spiegare come le emozioni si possano
differenziare ‘qualitativamente’ e dunque valutare. Come abbiamo
precedentemente osservato, il nucleo della concezione valutativa po- 31
«without embodying ways of thinking about or perceiving objects or situa- tions
in the world», v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion in Criminal Law,
«thought of a particular sort, namely appraisal or evaluation and, moreover,
evaluation that ascribes a reasonably high importance to the object in
question», v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion; il concetto è ripreso
in NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 50 ss.; cfr. CALABI, Le varietà
del sentimento, cit., pp. 276 ss., la quale ricostrusce il concetto di
‘razionalità’ del- l’emozione in base al rapporto tra fondamenti cognitivi e
antecedenti cognitivi. Sulla definizione di ‘cattive emozioni’ intese come
fallimentari dal punto di vista cognitivo, v. TAPPOLET, Le cattive emozioni, in
AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni- Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima. Pensare
le emozioni negative, tr. it., Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto stula
che l’emozione nasca da un giudizio che il soggetto elabora sul- la base di
credenze; si può parlare in questo senso di una ‘razionalità’ dell’emozione in
termini normativi, ossia modulata su pretese e aspettative che hanno a che fare
con gli equilibri della convivenza 33. Secondo Kahan e Nussbaum il significato,
e il disvalore, di una condotta non coincidono semplicemente con le conseguenze
prodotte ma sono l’esito di una contestualizzazione che deve prendere in esame
anche le motivazioni, e dunque, la matrice emozionale dell’agire 34. Un’implicita
adesione alla concezione valutativa è alla base del modello di responsabilità
che fa leva sul principio di colpevolezza e sulla rieducazione36: è l’idea di
emozione come giudizio di valore piuttosto che come moto irriflessivo a porsi
come criterio per la valu- tazione della responsabilità penale e anche come
chiave di lettura criminologica delle condotte. La concezione meccanicistica
non riesce a dar conto dell’intreccio fra stati soggettivi e percezioni di
valore, e configura una sensibilità meramente epidermica senza coloriture di
senso, la quale non appare funzionale a tematizzare la problematica
dell’attendibilità del giudi- zio sulla situazione che abbia cagionato
un’emozione negativa. Rileva Nussbaum che il diritto definisce l’adeguatezza di
una rea- zione emotiva adottando una prospettiva basata sull’immagine di ‘uomo
ragionevole’, v. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la
legge, tr. it., Bari. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion, cit., p. 352.
35 La concezione normativa della colpevolezza come ‘atteggiamento antidove-
roso’ sottende la possibilità di un giudizio concernente ciò che è stato fatto
in rapporto a ciò che si sarebbe dovuto fare. Le diverse articolazioni di
questo giudi- zio, soprattutto il nesso psichico (dolo e colpa) e la verifica
dell’imputabilità, non funzionerebbero se si attribuisse all’agente
un’emotività priva di contenuti cogni- tivi apprezzabili sotto il profilo della
normatività, ossia ‘giudicabili’ in base a cri- teri di ragionevolezza e
adeguatezza alle situazioni; per una sintesi, v., ex pluri- mis, BARTOLI R.,
Colpevolezza. L’approccio valutativo apre alla possibilità che le emozioni di
un soggetto si prestino anche a percorsi rieducativi, v. KAHAN-NUSSBAUM, Two
Conceptions of Emotion. Per un’analisi criminologica dei rapporti tra emozioni,
riflessività ed agire violento v. CERETTI-NATALI, Cosmologie violente. Percorsi
di vite criminali, Milano. È emblematico il saggio di FEINBERG, Sentiment and
Sentimentality, avente ad oggetto problemi del tutto collimanti con la tutela
di sentimenti del codice penale italiano, nel quale l’Autore dichiara
espressamente che la nozione di ‘sentimento’ da lui adoperata si caratterizza
per il fatto di avere un oggetto cogniti- vo, di essere ‘riguardo a qualcosa’:
«there is an irreducible “aboutness” to it». Sentimenti ed emozioni:
classificazioni e disambiguazioni 49 Anche con riferimento al problema della
tutela di sentimenti (e/o di emozioni), assumere come presupposto la concezione
meccanici- stica non avrebbe semplicemente senso, poiché non consentirebbe di
focalizzare l’attenzione sulla cause emotigene e sugli oggetti inten- zionali,
e non sarebbe pertanto funzionale allo sviluppo di un discor- so sui criteri di
rilevanza normativa (di adeguatezza e di meritevolez- za) di un determinato
atteggiamento del sentire. La dimensione sociale delle emozioni Analizzata
l’emozione come giudizio di valore, è importante prenderne in considerazione la
dimensione sociale: una prospettiva incentrata non sul versante solipsistico bensì
sul piano interperso- nale e collettivo, e dunque sul ruolo cognitivo e
comunicativo delle emozioni 39, considerate come oggetto di costruzione sociale
il quale è in grado di influenzare, a sua volta, l’esperienza delle situazioni
sociali 40. La principale disciplina che si occupa di questi temi è la sociolo-
gia delle emozioni, la cui nascita viene convenzionalmente collocata a metà
degli anni Settanta 41. Ciò non significa che i sociologi avesse- ro ignorato
le emozioni, ma fino ad allora gli studi ad esse specifica- mente dedicati
risultavano di pertinenza di altre discipline. Il muta- mento di paradigma
coincide con una diversa considerazione del fe- nomeno emotivo, visto non più
come espressione irrazionale e di- storsiva dell’organizzazione sociale, ma
come fattore indispensabile per la comprensione dei fatti sociali. L’attore
sociale si sveste dell’aura di pura razionalità per divenire anche attore
emozionale, il quale non è in contrapposizione con l’attore razionale «ma ne è
invece un’altra faccia, una sua parte costi- tutiva e ineliminabile e non va
inteso come un soggetto spontaneo, 39 Per una panoramica di sintesi e per
richiami bibliografici su approccio in- tra-personale e inter-personale, v.
VELOTTI-ZAVATTINI-GAROFALO, Lo studio della regolazione delle emozioni:
prospettive future, in Giornale italiano di psicologia, 2/2013, pp. 249 ss.;
PULCINI, Per una sociologia delle emozioni, in Rassegna italiana di sociologia.
RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni, WENTWORTH-RYAN, L’equilibrio fra corpo,
mente e cultura: il posto dell’emozione nella vita sociale, La sociologia delle
emozioni. CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni nella riflessione sociologica,
in AA.VV., a cura di Cattarinussi, Emozioni e sentimenti nella vita sociale. Tra
sentimenti ed eguale rispetto libero da vincoli e costrizioni»42. Da un lato le
emozioni vengono considerate come un importante elemento per la comprensione
del- l’agire sociale 43, e simmetricamente l’ambiente sociale si pone a sua
volta come chiave di lettura di atteggiamenti emozionali dei singoli, in un
rapporto di influenza reciproca 44. Questa prospettiva rappresenta un
importante contributo non solo allo studio delle emozioni45, ma anche in
relazione all’approfondi- mento dei temi di Law and Emotion, poiché gli
approcci focalizzati sulla dimensione individuale rischiano di essere
limitanti, in ragione del fatto che esistono emozioni la cui genesi e le cui
dinamiche sono meglio definibili attraverso il riferimento all’ambiente sociale
46. Uno sguardo alla dimensione sociale e culturale dei fenomeni emotivi può
favorire un più esaustivo approfondimento delle intera- zioni fra emozioni e
diritto, aprendo la strada a molteplici traiettorie di ricerca, come sottolinea
la dottrina statunitense 47. Basta uno sguar- do ad alcuni dei capisaldi
teorici che la sociologa Gabriella Turnaturi inquadra come linee conduttrici
dell’analisi sociologica delle emo- zioni48 per individuare questioni che
possono intrecciarsi virtuosa- mente con la riflessione giuridica. Qualche cursorio
esempio: ci sem- 42 TURNATURI, Introduzione, in La sociologia delle emozioni. DOYLE
MCCARTHY, Le emozioni sono oggetti sociali. Saggio sulla sociologia delle
emozioni, in AA.VV., a cura di Turnaturi, La sociologia delle emozioni. Il
termine sociale, molto semplicemente, vuole qui richiamare l’idea che la parola
“emozioni” possa/debba evocare eventi e processi che hanno luogo entro contesti
interattivi e comunicativi, piuttosto che eventi e processi che hanno luo- go
entro i confini del singolo organismo e/o della singola psiche», v. MANGHI, Le
emozioni come processi sociali, cit., p. 40. 45 La sociologa Arlie Hochschild
identifica quale ostacolo a un serio studio sul- la natura delle emozioni la
tendenza a considerarle esclusivamente come un fe- nomeno affettivo
individuale, v. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Osserva KEMPNER, Social
Models in the Explanation of Emotions, Handbook of Emotions, che lo sviluppo di
una larga parte di ciò che chiamiamo ‘personalità’ è un prodotto sociale. 46
Pensiamo ad esempio alla vergogna, e al radicamento che essa può raggiun- gere
fino a connotare la fisionomia di una società; si parla di questo senso di
‘cul- ture della vergogna’ in alternativa alle cosiddette ‘culture della
colpa’. Su tale di- stinzione, originariamente elaborata dall’antropologa
statunitense Ruth Benedict, v., sintenticamente, CATTARINUSSI, Sentimenti ed
emozioni. Per un’analisi della dimensione pre-sociale della vergogna, v.
NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, TURNATURI,
Introduzione, in La sociologia delle emozioni. Sentimenti ed emozioni:
classificazioni e disambiguazioni bra di particolare interesse l’osservazione
secondo cui ogni società ha delle regole implicite concernenti le situazioni
attivanti e le modalità espressive delle emozioni: le cosiddette feeling rules.
Ebbene, il te- ma potrebbe assumere rilevanza anche in relazione al problema
del sentimento quale oggetto di tutela: le regole, più o meno implicite, che
definiscono quali emozioni siano giustificate, accettabili, dovero- se o
immotivate rappresentano una coordinata importante, forse l’elemento più
significativo, per la definizione di quello che il diritto penale ha spesso
evocato sotto le forme del ‘sentire comune. Potremmo in questo senso parlare di
feeling rules come elemento del contesto sociale che contribuisce a imprimere
una fisionomia a ciò che i legislatori hanno definito ‘sentimenti’. Ma sono
diversi, e non analizzabili in questa sede, gli ulteriori profili in rapporto
ai quali l’analisi sociologica dell’emozione può fornire importanti chiavi di
lettura di problemi afferenti al diritto pe- nale 51. Si tratta quindi di non
limitare l’angolo visuale alla dimensio- ne soggettiva del fenomeno emotivo,
soprattutto in relazione a temi in cui risulta fondamentale la riflessione
sugli equilibri politico- deliberativi e sulla ‘normatività’ delle emozioni. 3.
Sentimenti: componente di riflessività e dimensione morale Veniamo ora a
esaminare il sentimento, e prendiamo le mosse dalla dimensione neurobiologica.
Sono d’aiuto ancora una volta gli spunti di DAMASIO (si veda), il quale nel suo
‘L’errore di Cartesio’ define l’emozione come processo valutativo mentale che
induce cambiamenti a livello corporeo, e ha successiva- mente distinto i
sentimenti in due categorie: ‘sentimenti delle emo- zioni’ e ‘sentimenti di
fondo’. I primi, strettamente legati alle emozio- ni, sono costituiti
dall’esperienza che il soggetto prova a seguito dei Sulla genesi del concetto,
v. HOCHSCHILD, Emotion Work, Feeling Rules, and Social Structure, in American
Journal of Sociology. In questo senso si potrebbero teorizzare connessioni
anche con il tema pe- nalistico delle c.d. Kulturnormen; v., per tutti,
CADOPPI, Il reato omissivo proprio, vol. I, Profili introduttivi e politico
criminali, Padova. Si veda ad esempio NISCO, La tutela penale dell’integrità
psichica, quando afferma che strutturare le emozioni, a partire dal tipo di
situazione sociale in grado di generarle, può aiutare, nell’analisi delle norme
penali, ad indi- viduare una soglia di rischio illecito all’interno della
condotta tipica. Tra sentimenti ed eguale rispetto cambiamenti indotti dalle
emozioni: «l’essenza del sentire un’emo- zione è l’esperienza di tali
cambiamenti in giustapposizione alle im- magini mentali che hanno dato avvio al
ciclo» 52; mentre i ‘sentimenti di fondo’ appaiono come stati duraturi,
radicati nel soggetto e non legati a emozioni contingenti. La distinzione viene
affinata in uno studio successivo, ove si os- serva che nel sentimento vi è qualcosa
di più che la percezione di un oggetto intenzionale; secondo Damasio ad essere
oggetto di perce- zione è lo stato edonico che si manifesta a seguito del
contatto con un determinato stimolo emotigeno: «un sentimento è la percezione
di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità
di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti. Le emozioni sono
movimenti in larga misura pubblici, ossia percepi- bili e visibili; i
sentimenti appaiono invece come moti di pensiero di tipo riflessivo,
«invisibili a chiunque salvo che al loro legittimo pro- prietari. Le emozioni
si esibiscono nel teatro del corpo; i senti- menti in quello della mente. Al di
là delle osservazioni sul piano neuroscientifico, ciò che in questa sede è bene
sottolineare sono le implicazioni su un piano più propriamente
antropologico-filosofico56, e in particolare sul ruolo che i sentimenti
assumono nelle dinamiche comportamentali. L’ipo- tesi di Damasio è che il
sentimento rappresenti una guida nei proces- si decisionali, e risulta
particolarmente interessante l’osservazione secondo cui tale fenomeno affettivo
assume una funzione riflessiva in grado di fornire coordinate e criteri di
demarcazione fra piacere e do- lore più complessi e stratificati rispetto a
quelli che la mappe neurali trasmettono sulla base delle sole funzioni vitali a
livello biologico: «I sentimenti coscienti sono eventi mentali cospicui che
richiamano l’attenzione sulle emozioni che li hanno generati e sugli oggetti
che, a loro volta, hanno indotto quelle emozioni. Negli individui che hanno
anche un sé autobiografico – il senso di un passato personale e di un DAMASIO,
L’errore di Cartesio. DAMASIO, L’errore di Cartesio. DAMASIO, Alla ricerca di
Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. Per la verità tutt’altro che
trascurate dallo stesso Damasio, il quale inquadra la propria opera come ideale
prosecuzione del pensiero di Baruch Spinoza, v. DAMASIO, Alla ricerca di
Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. Sentimenti ed emozioni:
classificazioni e disambiguazioni 53 futuro anticipato, senso noto anche come
coscienza estesa – lo stato del sentimento induce il cervello a porre in
posizione saliente gli og- getti e le situazioni legate all’emozione. Se
necessario, il processo di stima che porta dall’isolamento dell’oggetto al
sorgere dell’emozione può essere rivisitato e analizzato. Poiché hanno luogo in
uno scenario autobiografico, i sentimenti generano un interesse per l’individuo
che li sperimenta. Il passato, il presente e il futuro anticipato ricevono la
giusta attenzione e hanno maggiori possibilità di influenzare il ragio- namento
e il processo decisionale» 58. La teorizzazione di Damasio descrive sentimenti
ed emozioni co- me parti complementari di un processo, non come fenomeni dicoto-
mizzati: richiamare l’emozione significa additare l’esteriorità e la di-
namicità di uno stimolo, le contingenze dovute al contatto con un certo tipo di
fattori emotigeni; richiamare il sentimento significa en- trare ‘in interiore
homine’, confrontarsi con l’elaborazione che analiz- za lo stimolo emotivo e ne
valuta il peso nella soggettività dell’indi- viduo: «un sentimento è la
percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una
particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti»
59. Il sentimento appare in definitiva come esito di una mediazione riflessiva
che può avvenire non in tutti gli organismi, ma solo in quel- li che posseggono
la capacità di rappresentarsi il proprio corpo all’in- terno di sé stesso. Il
pensiero filosofico e i sentimenti morali. Un’interpreta- zione fenomenologica
Quanto osservato in ambito neuroscientifico sembra accreditare la portata del
tutto peculiare che il sentimento assume nella dimen- sione affettiva
dell’individuo come momento di incontro tra perce- zione e riflessione, ossia
come «medio necessario tra il sentire sensi- tivo e l’intelligenza concettuale.
Passando ora a un approccio incentrato più sulla dimensione teo-
retico-concettuale che sulla distinzione fenomenica, va specificato DAMASIO,
Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla
ricerca di Spinoza. MASULLO, voce Sentimento, Enciclopedia filosofica, Milano. Tra
sentimenti ed eguale rispetto che l’inquadramento di una specifica nozione di
sentimento non fi- gura nei classici della filosofia, da Aristotele, a Cartesio
e fino a Hume [cf. Grice, HUMEIAN PROJECTION], ma comincia a delinearsi a
partire dal XVIII secolo. Sottolinea Aldo Masullo che un simile affinamento è
legato anche a sviluppi del- la teoria politica: «L’assunzione da parte del
sentimento di una sua specificazione forte è promosso dalla diffusa tensione
della cultura illuministica che, per la nuova esigenza storica di fondare
un’etica cosmopolitica, è assillata dal bisogno di scoprire un principio
coesivo razionalmente argomen- tabile e nient’affatto razionalmente
relativistico, generalmente ricono- scibile ma non dommaticamente irrigidibile»
63. Sono soprattutto alcuni studi dei cosiddetti filosofi moralisti in- glesi a
definire il sentimento ‘forma sintetica dell’universale’ e fon- damento
dell’umana convivenza, ossia principio coesivo nei rapporti umani, come recita
l’opera di Adam Smith sui sentimenti morali 64. Si tratta di un indirizzo
filosofico che ha come esponente di spicco Da- vid Hume, e che affonda le
proprie radici nel sentimentalismo inglese di Shaftesbury e Hutcheson 65. Idea
portante è la riconducibilità della moralità dell’agire a una matrice affettiva
(per Hume, il cosiddetto PRINCIPIO DELLA SIMPATIA). CURI, Passione, cit., p. 9.
63 MASULLO, voce Sentimento/ SMITH, Teoria dei sentimenti morali, tr. it.,
Milano; per una riflessione sulle interazioni fra le teorie smithiane, in
particolare il concetto di ‘simpatia’, e il diritto penale, v. CADOPPI,
Simpatia, antipatia e diritto penale, a cura di Di Giovine O., Diritto penale e
neuroetica. MORRA-BONAN, voce Sentimentalismo, in AA.VV., Enciclopedia
filosofica, vol. XVI, Milano. Per una sintesi v. LECALDANO, Prima lezione di
filosofia morale, Bari L’Autore osserva che «non bisogna confondere il piano
della rico- struzione genealogica o genetica della nostra capacità di trarre
distinzioni mo- rali, con la riflessione su quali siano i giudizi morali
corretti». L’opzione per una teoria sentimentalistica ha una valenza in primo
luogo metaetica; a livello di etica sostantiva si apre infatti il problema di
«[affiancare] una concezione normativa sul contenuto da privilegiare come
moralmente rilevante», v. ID., Prima lezione. Da ciò, la critica a concezioni
che, sulla base degli studi di neuroscienze, si sono mosse nella direzione di
offrire una ricostruzione in termini ‘realistico-emozionali’ del
sentimentalismo morale: «queste ricerche [...] suscitano dubbi laddove
accampano la pretesa di aver identificato una base fisiologica o biologica a
cui l’etica può essere ridotta nella sua interezza. Il sentimento morale non va
caratterizzato sostantivamente, anche per non con- Sentimenti ed
emozioni: classificazioni e disambiguazioni. Venendo a sviluppi più recenti,
relativamente ai rapporti tra senti- re e dimensione morale appare a nostro
avviso particolarmente inte- ressante per il giurista uno studio di matrice
fenomenologica di Monticelli, nel quale il tema del sentire diviene oggetto di
un problema etico in relazione sia alla formazione del singolo individuo
(l’etica del sentire intesa come qualità etica – maggiore o minore
‘correttezza’ – delle disposizioni del sentire di un soggetto) sia ad aspetti
relazionali (la ricerca del giusto spazio – e dunque di limiti eticamente
tollerabili – alla fioritura dell’individuo, intesa come realizzazione della
sua personalità, resa unica e peculiare dalle disposi- zioni del sentire).
Secondo tale studio, l’esperienza affettiva è riconducibile a due di- mensioni
essenziali: il sentire e il tendere. Il sentire implica un recepi- re, il
tendere è invece un vettore d’azione: «se diciamo che una persona è sensibile
non intendiamo affatto dire che è eccitabile, e neppure che manca di
obiettività, al contrario intendiamo dire che è più di altri ca- pace di discriminazione,
e quindi di verità nell’esercizio del sentire» 68. Negli individui non è
infatti riscontrabile il medesimo livello di matu- razione affettiva: «una
sensibilità si attiva per strati o segmenti – e in- tendiamo dire con questo
che uno sentirà più o meno realtà a se- conda che più o meno “strati” della sua
sensibilità siano attivati» 69. Ta- le soglia può variare ed essere
incrementata positivamente durante l’esistenza; nondimeno, la diversità insita
nelle molteplici varianti di sviluppo del sentire fonda le diversità di ordini
assiologici dei singoli, quella che è in definitiva la loro identità morale 70.
fonderlo con qualche emozione immediata: è invece proprio del sentimento morale
il punto di vista riflessivo su tutte le passioni che si presentano senza
qualificazione valutativa nella mente di una persona», v. ID., Prima lezione,
cit., pp. 42 s. Per una differente impostazione, non propriamente
‘riduzionista’ ma comunque orientata a ricercare dei fondamenti naturalistici
della morale v., ex plurimis, CHANGEUX, Il bello, il buono, il vero. Un nuovo
approccio neuronale, tr. it., Milano. La fenomenologia del sentire e
l’approccio fenomenologico ai sentimenti sono debitori dell’opera di SCHELER,
Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, tr. it., a cura di
Guccinelli, Milano, 2013, il quale inquadra il sentimento come fattore
costitutivo nell’ontologia della persona e come interfaccia tra sogget- tività
e valori. Per una sintesi dei tratti caratterizzanti la fenomenologia come
corrente filosofica v. GALLAGHER-ZAHAVI, La mente fenomenologica. Filosofia
della mente e scienze cognitive, tr. it., Milano. DE MONTICELLI, L’ordine del
cuore, cit., p. 26. 69 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 79. 70
«L’ethos di una persona è la sua identità morale, ma questa identità
morale Tra sentimenti ed eguale rispetto Così definito il fenomeno del
sentire e delle sue manifestazioni, si pone il problema di inquadrare
specificamente il sentimento: è uno stato momentaneo? un evento? un atto?
Roberta De Monticelli af- ferma che esso è: «una disposizione reale – e non
semplicemente virtuale – del sentire. È una disposizione del sentire che
comporta un consentire più o meno profondo all’essere di ciò che la suscita, un
più o meno profon- do dissentire da questo, e un atteggiamento caratteristico
nei confron- ti di questo essere, capace di motivare altri sentimenti,
emozioni, pas- sioni, scelte, decisioni, azioni, comportamenti. Il sentimento è
ciò che forma le risposte all’esperienza dei valori: in questo senso viene
definito ‘matrice di risposte’. Le emozioni sono maggiormente legate
all’attualità contingente, poiché costituiscono un’alterazione reattiva e
presuppongono l’attivazione di uno strato minimo di sensibilità, anche di
livello puramente sensoriale. I sentimenti hanno un ruolo fondante
nell’approccio dei singoli alla realtà, agli eventi, e, soprattutto, al
rapporto con i propri simili: i sentimenti costituiscono lo strato del sentire
propriamente diretto sulla realtà personale. Se il sentire, in generale, è
percezione di valore, i sentimenti sono, o perlomeno implicano, disposizioni a
sentire gli altri sotto l’aspetto dei valori che la loro esistenza realizza o
delle esi- genze che essa pone. si manifesta primariamente nella vita affettiva
che queste scelte e comporta- menti motiva, e nella quale si esprime infine il
modo di sentire che le è irrepeti- bilmente, inconfondibilmente proprio. Il
modo di sentire è segnato da una storia individuale, ancorato agli incontri di
una vita: è, come vedremo, il profilo stesso dell’individualità essenziale»: v.
DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI,
L’ordine del cuore. In presenza di una sensi- bilità strutturata la quantità di
reazioni affettive è maggiore, ed è anche possibile che da emozioni
scaturiscano risposte strutturanti, ossia che le emozioni stesse inducano alla
formazione di nuovi sentimenti. Diverso discorso per le passioni, le quali
costituiscono una manifestazione del volere e del tendere, e presuppongono la strutturazione
di sentimenti, v. MONTICELLI, L’ordine del cuore. La tradizionale
contrapposizione delle passioni alla ragione non è intrinseca alle passioni
stesse, ma risale a un livello precedente, ossia al sentimento di cui quelle
passioni sono manifestazione: «“irrazionali” sono dunque le passioni nella
misura in cui sono “disordini del cuore”, ovvero ordinamenti assiologici
perversi o inadeguati – per quanto difficile sia stabilire in positivo lo
standard rispetto a cui definire la deviazione»: v. MONTICELLI, L’ordine del
cuore. MONTICELLI, L’ordine del cuore. Sentimenti ed emozioni: classificazioni
e disambiguazioni Emozioni e sentimenti: il senso della distinzione concettuale
In questa sede non è nostro obiettivo individuare un’esaustiva on- tologia dei
fenomeni, bensì intendiamo verificare se vi siano diffe- renze che possano
assumere una rilevanza concettuale nella prospet- tiva giuridica. Sentimenti ed
emozioni hanno la funzione di classificare, in base al binomio piacere-dolore,
le esperienze del sentire individuale. Un punto di contatto utile al fine di
ricercare coerenza nella complessità delle de- finizioni, è il fatto che
entrambi i fenomeni – naturalisticamente distin- guibili in base a criteri
basati sull’intensità e la durata – da un punto di vista adattivo-funzionale
rappresentano ‘proiezioni del sé’, ossia marca- tori dell’originalità che rende
unico ogni individuo: «le emozioni guar- dano al mondo dal punto di vista del
soggetto, e ordinano gli eventi in base alla cognizione della loro importanza o
valore per il soggetto. Relativamente alle differenze, una prima, fondamentale,
distinzione tra sentimento ed emozione è relativa ad aspetti di tipo
‘fisico-quan- titativo’, legati alla durata e all’intensità dell’esperienza
affettiva: più bre- ve e accentuata nell’emozione, più duratura, ma meno
intensa, nel sentimento. Secondo una definizione offerta da uno studio di
psicologia: sentimento e umore si riferiscono a stati affettivi di bassa
intensità, durevoli e pervasivi, senza una causa direttamente percepibile e con
la capacità di influenzare eventi inizialmente neutri. Il sentimento, come
stato affettivo ‘radicato’, non si esaurisce in stimoli momentanei. Un tratto
caratterizzante l’emozione è la componente reattiva: «il termine emozione
dovrebbe indicare, in accordo anche con il senso comune, stati affettivi
intensi di breve durata, con una causa precisa, esterna o interna, un chiaro
contenuto cognitivo e la funzione di rio- rientare l’attenzione» 77. Uno stato
affettivo di durata limitata, diverso dunque da stati duraturi NUSSBAUM,
L’intelligenza delle emozioni. Si veda anche OATLEY, Psicologia ed emozioni, il
quale parla di ‘condizioni di elicitazione’ per indicare che le emozioni
insorgono sulla base della valutazione soggettiva di un evento da parte
dell’agente in relazione alla sua condizione e ai suoi scopi. Cfr. OATLEY,
Breve storia delle emozioni, tr. it., Bologna. D’URSO-TRENTIN, Introduzione
alla psicologia delle emozioni, Bari; cfr. CATTARINUSSI, Sentimenti ed
emozioni, PIETRINI, Dalle emozioni ai sentimenti: come il cervello anima la
nostra vita, a cura di Colombo-Lanzavecchia, La società infobiologica, Milano. Per
un esempio di tassonomia degli stati affettivi e per una conseguente
ap- Tra sentimenti ed eguale rispetto Passando a un piano di lettura
differente, non limitato alla ‘di- mensionalità’ (intensità, durata),
richiamiamo quanto osservato in ambito neuroscientifico da Damasio, secondo il
quale il sentimento costituisce il momento della rappresentazione cosciente
dell’emo- zione: la percezione che il soggetto ha di sé stesso. Viene
evidenziata in questo modo una dimensione riflessivo-speculativa che trova ri-
scontro anche nell’analisi di un altro neuroscienziato, Joseph Le Doux, il
quale osserva le emozioni sono funzioni biologiche che si sono evolute per
permettere agli animali di sopravvivere in un am- biente ostile e di
riprodursi; i sentimenti invece sono un prodotto del- la coscienza, «stati di
consapevolezza legati all’esperienza interna dell’emozione. Emerge qui una differenziazione
che attiene a un piano funzionale, e che vede il sentimento come fenomeno che
ha più a che fare con la sfera cognitivo-riflessiva del soggetto. E veniamo
infine a un terzo criterio distintivo, quello forse più importante ai fini
della presente indagine. L’analisi fenomenologica di Monticelli ha richiamato
il carattere disposizionale del sentimento, l’essere una matrice che può
generare e formare ulteriori stati affettivi. Introduciamo dunque l’importante
distinzione tra fe- nomeni affettivi ‘in atto’ e ‘disposizioni’ del sentire:
«un’emozione in atto è un episodio nel quale proviamo effettivamente collera,
paura, gioia o altro. Una disposizione emotiva è la suscettibilità a provare
emozioni in atto» 81. Cosa significa ‘disposizionale’? Il concetto è stato
approfondito in particolare da Ryle, secondo il quale le espressioni
disposi-zionali contengono l’affermazione che un uomo o un animale o una
plicazione a un tema penalistico-criminologico, v. CORNELLI, Paura e ordine
nella modernità, Milano, DOUX, Feelings: What Are They et How does the Brain
Make Them?, in Daedalus Si osserva che le concezioni speculative del
sentimento, da Platone a Vi- co, sottolineandone l’ambiguità di regione
“intermedia” tra il senso e l’intelletto, cioè il suo partecipare marginale
tanto all’uno quanto all’altro, tematizzano il sen- timento come una delle
categorie o generi sommi della vita umana. Questa infatti è tale – umana –,
solo in quanto è “soggettività”, il modo di essere che consiste nel-
l’avvertire stimoli dal mondo esterno (senso) e ordinare gli avvertimenti in
rap- presentazioni generali e ben connesse (intelletto), avendo come necessaria
condi- zione il riferimento dei primi e delle seconde a un chiaramente o
oscuramente avvertito “sé”, ossia comportando un sentimento fondamentale», v.
MASULLO, voce Sentimento. ELSTER, Sensazioni forti, tr. it., Bologna, il quale
cita, quali esempi di disposizioni emotive, la misoginia e
l’antisemitismo. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e
disambiguazioni 59 cosa ha una certa capacità o una certa inclinazione, o è
esposto ad una determinata tendenza. Le definizione ‘disposizionale’ può rap-
presentare in questo senso un’antitesi rispetto a ‘episodico’, poiché
«possedere una proprietà disposizionale non vuol dire trovarsi in un certo
stato particolare o essere soggetto a un certo cangiamento» 83. Più in generale
la distinzione fra stati ‘episodici’ e ‘disposizionali’ descrive una diversità
funzionale nella complessiva esperienza affet- tiva della persona, e si presta
a evidenziare il rapporto fra mera reat- tività soggettiva contingente e
carattere fondativo e ‘personologico’ (vedi infra, cap. IV) degli stati
affettivi, i quali appaiono in questo senso come strutture di base della
soggettività. È questa a nostro avviso un’importante chiave di lettura per la
presente indagine: ciò che appare decisivo nel problema della tutela di
sentimenti non è capire se si debba far riferimento a emozioni in senso stretto
o ad altri fenomeni affettivi, ma è invece importante de- cidere se il fulcro
dei problemi debba riguardare la reattività emozio- nale, oppure se si debba
assumere quale vettore di senso l’affettività come base di stati disposizionali
non episodici, ossia come strutture portanti della identità morale degli
individui. Un richiamo alla sfera affettiva intesa come ‘struttura
disposizionale’ orienta l’attenzione sul sentire quale marcatore della
personalità, e pone in questo modo sen- timenti ed emozioni al centro di
questioni concernenti la diversità di preferenze e di ordini assiologici fra
individui. Tale ultima opzione è quella a nostro avviso più funzionale a in-
staurare connessioni con le accezioni del termine ‘sentimento’ che emergono nel
discorso penalistico: l’uso dei legislatori e della dot- trina. Nel prosieguo
dell’indagine approfondiremo entrambi gli aspetti. 5. Sinossi Il panorama di
fenomeni che costituiscono il tessuto affettivo de- gli individui è oggetto di
definizioni dall’uso non univoco e talvolta polisenso. Il rimando a saperi lato
sensu psicologici, pur assumendo 82 RYLE, Il concetto di mente, tr. it.,
Roma-Bari, RYLE, LO SPIRITO COME COMPORTAMENTO, tr. it., Roma-Bari; cfr. ID., IL
CONCETTO DI MENTE [citato da H. P. Grice]: Le tendenze sono cosa diversa dalle
capacità e dalle suscettibilità. RYLEIAN AGITATION. Tra sentimenti ed eguale
rispetto una notevole complessità, sembra nondimeno costituire per il giuri-
sta penale un indispensabile tassello. Lo studio di contributi prodotti in
ambito neuroscientifico, psico- logico e filosofico evidenzia come, al di là di
possibili aree di contat- to, sentimenti ed emozioni non siano fenomeni del
tutto accomuna- bili. Vi è una connessione di fondo relativa al fatto che
entrambi, pur in modo differente, sono funzionali a classificare in base al
binomio piacere-dolore le esperienze e le inclinazioni del sentire individuale,
e contribuiscono così a definire l’identità e la peculiare originalità di ogni
individuo. Da un altro lato, emergono differenze relative sia al- l’intensità,
sia alla consistenza e alla durata. La distinzione che sembra maggiormente
funzionale alla riflessio- ne sul problema del sentimento come oggetto di
tutela concerne la nozione di stati episodici e disposizionali: con la prima
accezione si definiscono fenomeni che si esauriscono in una contingente reattività
psichica, con la seconda si indicano stati duraturi a loro volta matrici di
ulteriori reazioni, i quali si intrecciano con le trame costitutive del- la
personalità. Alla luce di tale ultimo distinguo cercheremo di trovare connes-
sioni con le categorizzazioni che emergono dal diritto positivo e dal discorso
dottrinale. DIMENSIONE CODICISTICA E FUNZIONE DISCORSIVA DELLA FORMULA
‘TUTELA PENALE DI SENTIMENTI’ SOMMARIO: ‘Tutela di sentimenti’: usi e
significati della formula. Le tipologie di interessi dietro le norme
codicistiche: sentimenti-valori e disagio psichico. La tutela di
sentimenti-valori. Il sentimento religioso. Il pudore. La pietà dei defunti. Il
sentimento nazionale e la condotta di istigazione all’odio fra le classi
sociali. Il sentimento per gli animali.
Il comune sentimento della morale. Lessico delle norme e piano fenomenico:
sentimenti o emozioni? Atti persecutori: sofferenza psichica e libertà di
autodeterminazione. La definizione di ‘sentimento’ come connotazione simbolica
negativa nel discorso penalistico. Una virtuosa prospettiva di interazione:
‘sentire comune’ e legittimazione delle norme penali. – Sinossi. ‘Tutela di sentimenti’: usi e
significati della formula Volgiamo ora lo sguardo alla dimensione giuridica e
cerchiamo di inquadrare le rispondenze della formula ‘tutela di sentimenti’.
Sono a nostro avviso distinguibili due accezioni: la prima, di tipo
descrittivo-classificatoria, è strettamente legata al diritto positivo, e si
presta a sintetizzare le disposizioni in cui l’interesse protetto viene de-
finito nei termini di un sentimento o di un’emozione: si pensi alle nor- me
codicistiche che parlano di sentimento religioso, pudore, pietà dei defunti et
similia. La seconda accezione, che definiamo connotativa, è funzionale a tematizzare
norme e problemi di tutela in cui la matrice emozionale non traspare da
definizioni normative, ma emerge nei discorsi della dottrina penalistica in
sede di speculazione teorica o di interpreta- zione, tendenzialmente per
richiamare beni dalla fisionomia protei- forme, suscettibili di ricostruzioni
profondamente differenti in quan- 62 Tra sentimenti ed eguale rispetto to
esposte al condizionamento emotivo: interessi parificati dunque a sentimenti
per via di un’intrinseca inafferrabilità 1. L’accezione connotativa enfatizza
in chiave critica l’associazione tra fenomeni affettivi e oggetti di tutela dai
confini incerti, disancora- ti da una base oggettiva e tendenti a sfociare in
ricostruzioni di ma- trice soggettivistica. Parlare di sentimenti attiva nel
lettore e nell’in- terprete frames psicologici che risentono della nebulosità
epistemica che caratterizza le condizioni di conoscenza dei fenomeni psichici,
contribuendo in questo modo a comunicare una sostanziale diffiden- za: «[le]
parole non sono semplicemente dei mezzi per individuare gli oggetti. Le parole
intervengono nella nostra percezione degli oggetti, e infatti trasmettono
interpretazioni e attribuiscono senso ai loro referenti. Associare un oggetto
di tutela penale a un sentimento equivale a sottolinearne il potenziale di
criticità, come coacervo di interessi ‘su- blimati’ che non rispondano a
requisiti di razionalità e coerenza ri- spetto a principi ‘di sistema’ 3.
Menzioniamo, per ora a titolo esempli- ficativo, il richiamo alla dignità
umana, e pensiamo anche alla cosid- detta ‘sicurezza pubblica’ la quale è stata
in tempi recenti associata criticamente a uno stato di tranquillità soggettiva
dei singoli; si può inoltre ascrivere a tale categoria anche il concetto di
onore, ben noto ai penalisti e da sempre oggetto di faticosi sforzi
ermeneutici. Si trat- ta di interessi che non a caso vengono additati come
‘problematici’ dalla dottrina4, i quali evidenziano tutti una forte connessione
con matrici emotive, tale da indurre a definirli anche come ‘sentimenti’. Nel
prosieguo approfondiremo gli ambiti e i problemi connessi sia all’accezione
descrittiva, sia a quella connotativa, a partire da una panoramica sulle
fattispecie dell’ordinamento italiano in cui il senti- 1 Con riferimento alla
dottrina tedesca si veda la ricostruzione di NISCO, La tu- tela penale
dell’integrità psichica, cit., p. 84, il quale sottolinea come anche in
Germania l’espressione ‘Gefühlschutzdelikte’ sia intesa in chiave
essenzialmente critica. 2 SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze
sociali, Bologna. Sulla specifica accezione del diritto penale come ‘sistema’ –
definizione che attiene al piano del dover essere piuttosto che alla
descrizione della realtà del- l’ordinamento – e sulle distinzioni tra principi
di rilevanza normativa che entrano in gioco nel diritto penale, v. per tutti
FIANDACA, Diritto penale, in FIANDACA-DI CHIARA, Un’introduzione al sistema
penale. Per una lettura costituzionalmente orientata, Napoli. FIANDACA, Sul
bene giuridico. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 63
mento figura testualmente come coordinata descrittiva dell’interesse protetto
Le tipologie di interessi dietro le norme codicistiche: ‘senti- menti-valori’ e
disagio psichico Nel codice penale il sentimento viene espressamente evocato
dalle norme poste a tutela del sentimento religioso, del pudore, della pietà
dei defunti, del sentimento nazionale; nella legislazione complemen- tare viene
menzionato come oggetto di tutela il ‘comune sentimento della morale’ 6. Oltre
a tali ipotesi, riteniamo, in accordo con autorevole dottrina, che la
problematica del sentimento come oggetto di tutela investa, pur con i dovuti
distinguo, anche una norma di più recente introdu- zione, ossia l’art. 612 bis
c.p., la quale incrimina il delitto di atti per- secutori. Si tratta di una
fattispecie la cui tipicità appare fortemente improntata in senso emotivistico:
‘perdurante e grave stato d’ansia e di paura’, ‘fondato timore’ sono eventi di
tipo psichico, e precisamen- te sono assimilabili a emozioni negative. Anche il
delitto di atti per- secutori appare orientato a tutelare un sentire, o, più
propriamente, 5 Non analizzeremo in questa sede ulteriori fattispecie
codicistiche il cui so- strato di offensività sembra rimandare a un retroterra
di tipo emozionale. Al di là dell’onore, che è unanimemente riconosciuto come
interesse della persona caratterizzato da un’evidente componente ‘di
sentimento’ che la dottrina si è impegnata a razionalizzare mediante il
richiamo, comunque problematico, alla ‘dignità sociale’, v. MUSCO, Bene
giuridico e tutela dell’onore, Milano, vi sono altre norme la cui afferenza al
tema in esame appare meno uni- voca. Una recente ricostruzione include ad
esempio il vilipendio alla bandiera (come forma di offesa al sentimento
nazionale), la corruzione impropria susse- guente (offesa al sentimento di
onestà che dovrebbe guidare i pubblici ufficiali), l’ingiuria semplice,
l’incesto (offesa al sentimento della morale familiare), la pedopornografia
(sentimenti moralistici inerenti la sessualità) e infine il nega- zionismo: si
tratta di un panorama variegato ed eterogeneo, il quale meritereb- be una
dettagliata analisi volta a verificare in che termini dietro i casi menzio-
nati si possa davvero parlare di sentimenti, v. GIUNTA, Verso un rinnovato ro-
manticismo penale?, cit., pp. 1556 ss. 6 Si pongono al di fuori dell’area
concettuale della tutela di sentimenti le pro- blematiche concernenti gli stati
emotivi e passionali e le circostanze attenuanti fondate su emozioni; il
profilo che viene qui in gioco è il ruolo che i fenomeni af- fettivi possono
assumere in relazione alla graduazione della responsabilità pena- le,
attraverso gli istituti dell’imputabilità e delle circostanze del reato (vedi
anche supra, cap. I, nota 30). 64 Tra sentimenti ed eguale rispetto
presidia l’equilibrio emotivo di un soggetto in chiave strumentale rispetto
alla libertà di autodeterminazione. È plausibile definire tale ultima
fattispecie come una forma di tu- tela di sentimenti8 (fatte salve le criticità
che possono derivare da un’interpretazione meramente emozionale e
soggettivistica degli even- ti), ma è altrettanto evidente che rispetto alle
ipotesi precedentemen- te menzionate in cui il legislatore parla espressamente
di ‘sentimento’ vi sono delle differenze: nel caso della religione, del pudore,
della pie- tà dei defunti et similia, la parola ‘sentimento’ viene associata a
ulte- riori concetti che indicano valori e oggetti significativi per il singolo
e per la collettività, dando vita a un’entità in parte psicologica e in par- te
di consistenza prettamente socio-valoriale. Nel caso dello stalking lo stato
psichico assume una rilevanza autonoma, senza alcuna cor- relazione con
specifici oggetti del sentire, ed è proprio il turbamento emotivo a rivestire
importanza centrale nell’economia della fattispe- cie, precisamente come evento
tipico 9. Si tratta di due diverse declinazioni del sentimento come oggetto di
tutela, le quali necessitano di una trattazione distinta. 2.1. La tutela di
‘sentimenti-valori’ Con riferimento ai delitti contro il sentimento religioso,
contro il pudore e contro la pietà dei defunti, sia l’interpretazione oggi do-
minante in dottrina sia la realtà applicativa depongono per una linea
depsicologizzante, secondo la quale il disvalore del fatto non dipende
dall’impatto della condotta tipica sullo stato psichico del soggetto passivo.
Si è osservato che l’ordinamento penale non tutela sentimenti, 7 Sul tema, pur
con diversità di accenti, v. MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale
e promozione mediatica, Torino; NISCO, La tutela penale dell’integrità
psichica; COCO, La tutela della libertà indivi- duale nel nuovo sistema
‘anti-stalking’, Napoli FIANDACA, Sul bene giuridico. Uno tra gli aspetti più
discussi della fattispecie di atti persecutori concerne l’alternativa fra reato
di danno o di pericolo; per un’interessante prospettiva in- terpretativa
MAUGERI, Lo stalking; sulla stessa linea di pensiero, CADOPPI, Efficace la
misura dell’ammonimento del questore, in Guida dir. In giurisprudenza tende a
prevalere la qualificazione come reato di danno; v., ex plurimis, Cass. pen.,
sez.; Cass. pen., sez. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della
formula 65 «anche se talora lo stesso codice penale si esprime in questi termini,
ma tutela la loro obiettivazione in situazioni sociali, in interessi, in beni
giuridici più definiti della percezione soggettiva: tanto che essi vengono
tutelati a prescindere dalla prova di quella percezione in capo a un qualche
individuo determinato» 10. Tale osservazione è ineccepibile, e trova riscontro
nel panorama applicativo: la prova di un effettivo turbamento psichico
soggettivo non è mai venuta seriamente in considerazione. Le situazioni de-
scritte nelle disposizioni codicistiche non richiedono la verifica di una
concreta elicitazione della sensibilità di singoli individui: l’asserita
attitudine lesiva della sensibilità costituisce esito di un proces- so
interpretativo di elementi di fatto e di condizioni di contesto esa- minati
alla luce di criteri di adeguatezza e di tollerabilità modulati su parametri di
tipo socio-culturale, in base a un’ipotizzata sensibilità media dei consociati.
Come osserva Angelo Falzea, non è il mero fatto emozionale ad assumere ruolo
decisivo, ma è piuttosto la sua traducibilità in valori e disvalori secondo un
punto di vista sociale. Nel complesso, il senti- mento assume rilevanza sub
specie iuris e non sub specie facti: «Non ogni volta che il diritto pone a base
delle sue regole il sentimen- to si è in presenza di un fatto giuridico
affettivo. Vi sono norme giuri- diche ispirate all’esigenza di tutelare un
sentimento condiviso dalla 10 DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela
penale dei sentimenti. Si prendano a riferimento gli ambiti della tutela penale
della religione e del pudore, nei quali si registra un congruo numero di
pronunce. Per una panorami- ca sulla tutela del sentimento religioso in Italia
fino agli anni Ottanta v. SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. Beni
giuridici e limiti dell’intervento penale, Milano; per uno sguardo sugli
sviluppi più recenti v. BASILE, art. 403 c.p., in AA.VV., Codice penale
commentato, diretto da Dolcini-Gatta, Milano; PECORELLA, Delitti contro il
sentimento religioso, in AA.VV., a cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale.
Parte speciale, vol. I, I reati contro la persona, II ed., Torino; per una
panoramica della giurispruden- za in materia di offese al pudore v.
PROTETTÌ-SODANO, Offesa al pudore e all’onore sessuale nella giurisprudenza,
Padova; PULITANÒ, Il buon costume, in BIANCHI
D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio- culturali
della giurisprudenza; FIANDACA, Problematica dell’osceno e tutela del buon
costume, Padova, 1984, pp. 33 ss.; sugli sviluppi più recenti sia consentito il
rinvio a BACCO, Tutela del pudore e della riservatezza sessuale, in AA.VV., a
cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale. I reati contro la persona. In
psicologia è d’uso il termine ‘elicitazione’ per indicare l’azione di stimolo
volta a suscitare emozioni e/o a indurre comportamenti. Tra sentimenti ed
eguale rispetto comunità o di reprimere un sentimento che la comunità
disapprova, ma nelle quali la considerazione del fenomeno emozionale resta al
livello dell’interesse normativo e non si traduce in elemento della fatti-
specie: il sentimento tende allora a svincolarsi dalla necessità di una sua
specifica manifestazione e a confondersi coi valori etici ogget- tivi» 13. Ciò
che rileva è la ‘personalità affettiva comune’, ossia «l’insieme dei fatti
biologici e psichici che influiscono sul comportamento emo- zionale affettivo e
reattivo della persona» definito «in relazione al pa- trimonio sentimentale e
alla sensibilità che sono propri in linea di principio dell’intero gruppo
sociale. Il sentimento viene in questo modo proiettato in una dimensione
collettiva come modo di sentire diffuso che accomuna più individui (c.d.
‘atmosfera emozionale’). Alla luce di tale fisionomia dell’oggetto di tutela,
il sentire indivi- duale viene filtrato «in funzione e sotto l’angolo visuale
del sistema dei valori di un gruppo diverso e più comprensivo la valutazione
contenuta nel sentimento di certe persone o comunità diventa ogget- to di
un’altra valutazione contenuta nel modo di sentire o comunque nel sistema dei
valori di altre persone o comunità» 15. In definitiva, attraverso le «regole e
gl’istituti con cui il legislatore predispone una tutela penalistica a
salvaguardia di sentimenti che nel- l’animo e nel costume dei consociati
assumono un alto valore» 16, il di- ritto penale finisce per tutelare non un
stato soggettivo della persona, bensì l’oggetto e il valore impersonale che
fonda quel dato modo di F. I FATTI DI SENTIMENTO. L’Autore inoltre distingue
fra ‘reati di sentimento’, ossia quelli in cui il diritto «punisce il disprezzo
verso valori ritenuti fondamentali», ossia le varie forme di vilipendio alle
istituzioni (Repubblica, nazione, bandiera), dai casi in cui il sentimento
dell’agente è tale da influire sulla gravità della pena in funzione di
circostanza (crudeltà, futilità dei motivi etc. A ben vedere, una simile
prospettazione potrebbe creare fraintendimenti: nella definizione del
vilipendio quale reato di sentimento (la cui ragion d’essere trova dunque
spiegazione nella mera censura di uno stato interiore considerato contrario a
valori ‘oggettivi’) l’occhio del penalista non può fare a meno di riscon- trare
una sottile caratterizzazione soggettivistica, secondo tecniche di incrimina-
zione tipiche del Gesinnungsstrafrecht. Il suddetto schema non sembra inoltre
funzionale ad una prospettiva di bilanciamento, poiché se l’aver provato
disprez- zo diviene motivo di incriminazione tout court, relegando in secondo
piano i pro- fili di turbamento del sentimento di altri, risulta assai più
difficoltoso procedere sulla strada di un equilibrio tra
posizioni. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula
sentire. Il lessico degli stati affettivi si rivela dunque un orpello retorico
volto a porre sotto protezione penale gli oggetti del sentire, ossia valori e
simboli ritenuti socialmente significativi nella comunità: «nell’apprestare
tutela a determinati sentimenti, il codice non tende a proteggere stati
affettivi duraturi in quanto tali: si tratta, piuttosto, di sentimenti –
individuali e/o collettivi – concepiti altresì come atteg- giamenti intrisi di
valore in una accezione culturale e normativa. Sic- ché si può dire, da questo
punto di vista, che la legge penale mira a proteggere più che sentimenti in sé,
sentimenti-valori, se non valori tout court» 17. Vediamo nel dettaglio quali
sono i valori che, dietro le effigie del sentimento, sono entrati nel catalogo
dei beni tutelati dal diritto penale italiano. Il sentimento religioso I
delitti in tema di religione sono un elemento sintomatico del tas- so di
secolarizzazione del sistema 18. Nelle legislazioni penali moder- ne, la
religione è stata di rado identificata come bene di esclusiva per- tinenza del
singolo, e più frequentemente come forma di adesione collettiva o come
sentimento istituzionalizzato, ossia entità storica- mente e culturalmente
determinata nella quale sono trasfusi valori e patrimoni propri di una o più
confessioni. Il codice Rocco parla di ‘sentimento religioso’ 19, ma la
legislazione del 1930, fedele nelle rubriche e nella sostanza alla sola
religione di Stato, si identificava nel modello di tutela definito come bene di
civiltà: era la religione cattolica, affiancata dalla timida presenza dei culti
ammessi, e non un qualsiasi sentimento religioso individual- FIANDACA, Sul
ruolo delle emozioni e dei sentimenti, FIANDACA, Laicità del diritto penale e
secolarizzazione dei beni tutelati, in AA.VV., a cura di Pisani, Studi in
memoria di Pietro Nuvolone, vol. I, Milano, 1991, pp. 180 ss.; SIRACUSANO,
Pluralismo e secolarizzazione dei valori: la superstite tutela penale del
fattore religioso nell’ordinamento italiano, a cura di Risicato-La Rosa,
Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, Torino. Per una
panoramica, v. a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa,
Torino, Cfr. MARCHEI, Sentimento religioso e bene giuridico. Tra giurisprudenza
costi- tuzionale e novella legislativa, Milano; PACILLO, I delitti contro le
confessioni religiose dopo la legge, Milano. SIRACUSANO, I delitti in materia
di religione, cit., Milano Tra sentimenti ed eguale rispetto mente avvertito, a
godere di un privilegiato regime di tutela 21. L’impianto codicistico ha subito
profonde modifiche ad opera del- la Corte costituzionale, la quale, nel corso
degli anni, ha ‘rabbercia- to’ 22 il sistema dei reati riducendo le distonie
con i principi codificati nella Carta costituzionale. Particolarmente
significativa è la linea giu- risprudenziale inaugurata con la pronuncia n.
440/1995 (sulla con- travvenzione di bestemmia) e seguita dalle pronunce
(equiparazione del trattamento sanzionatorio fra religione di Stato e culti
ammessi, in relazione all’art. 403 c.p.) e soprattutto n. 508/2000 (ablazione
della fattispecie di vilipendio della religione di Stato, art. c.p.): decisioni
che attuano un cambio di rotta rispetto alla giu- risprudenza costituzionale
che, fino a pochi decenni prima, ancora legittimava il trattamento privilegiato
della religione cattolica sulla base di criteri quantitativi e sociologici 25.
Argomentando sulla base del principio di laicità, la Corte ha iden- tificato
nella dimensione religiosa individuale il corollario di una li- 21 In linea con
l’afflato statocentrico che ispira l’intera codificazione, le fatti- specie in
tema di religione sono espressione di autoritarismo etico da parte del governo fascista,
congeniale al sodalizio politico con la Chiesa Romana formaliz- zato nei Patti
Lateranensi: La religione dice Rocco è non tanto un feno- meno attinente alla
coscienza individuale, quanto un fenomeno sociale della più alta importanza,
anche per il raggiungimento dei fini etici dello Stato», v. Codice penale,
illustrato con i lavori preparatori, a cura di Mangini-Gabrieli-Cosentino,
Roma. Per una sintesi, v., ex plurimis, PACILLO, I delitti contro le
confessioni religiose. L’espressione è di FIANDACA, Altro passo avanti della
Consulta nella rabbercia- tura dei reati contro la religione, in Foro it. Per
un’ampia e pun- tuale sintesi della giurisprudenza costituzionale vedi il
saggio di VISCONTI C., La tutela penale della religione nell’età post-secolare
e il ruolo della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen. Sul tema v.,
ex plurimis, PALAZZO, La tutela della religione tra eguaglianza e
secolarizzazione (a proposito della dichiarazione di incostituzionalità della
bestem- mia), in Cass. pen.; DI GIOVINE O., La bestemmia al vaglio della Corte
costituzionale: sui difficili rapporti tra Consulta e legge penale, in Riv. it.
dir. proc. pen. Ex plurimis, VENAFRO, Il reato di vilipendio della religione
non passa il vaglio della Corte Costituzionale, in Legislazione penale. Cfr.
FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, entro la nuova tipici-
tà dei delitti contro le confessioni religiose, in AA.VV., a cura di Brunelli,
Diritto penale della libertà religiosa, Torino; MORMANDO, Religione, laicità,
tol- leranza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.; MARCHEI, Sentimento
religioso e bene giuridico. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della
formula 69 bertà costituzionale 26; parametro costituzionale decisivo che ha
sup- portato le modifiche più rilevanti è stato il principio di uguaglianza. La
riforma, nel dichiarato intento di superare l’anacro- nistico e illiberale
modello del codice fascista, ha eliminato il riferi- mento alla religione
introducendo il concetto di ‘confessione religio- sa’. In merito all’interesse
protetto, la lettura critica offerta dalla pre- valente dottrina individua una
sostanziale continuità con la vecchia normativa28, identificando l’oggetto di
tutela in una prospettiva che oscilla tra il bene di civiltà ‘pluriconfessionalmente
articolato’ e il sentimento collettivo della pluralità dei fedeli che si
riconoscono in una determinata confessione religiosa29. Non mancano però
letture alternative che cercano di armonizzare la duplice natura, individuale e
collettiva, del bene protetto, sottolineando come «la nozione di sen- 26 Pur
aderendo sostanzialmente al principio di laicità dello Stato, la giuri-
sprudenza costituzionale presenta sensibili oscillazioni circa l’effettiva
portata del concetto: cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici del discorso
pubblico, Torino; ID., La tutela penale della religione, cit., p. 1050. Istanze
personalistiche sono emerse quando si è parlato di «sentimento religioso, il
quale vive nell’in- timo della coscienza individuale e si estende anche a
gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della
professione di una fede comune», v. C. cost.; cfr. MARCHEI, Sentimento
religioso. Così PULITANÒ, Laicità e diritto penale, a cura di Ceretti-Garlati,
Laicità e stato di diritto, Milano; cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici. Sui
rapporti tra uguaglianza e diritto penale, v. DODARO, Uguaglianza e diritto
penale. Uno studio di giurisprudenza costituzionale, Milano, 2013; FIANDACA,
Uguaglianza e diritto penale, a cura di Cartabia-Vettor, Le ragioni del-
l’uguaglianza, Milano. Si rileva che la Corte non ha assunto decisioni
dirompenti, tali da condur- re all’abbattimento del sistema esistente, talvolta
riducendo a un semplice pas- saggio ermeneutico, secondo alcuni Autori, lo
stesso richiamo alla realtà reli- giosa individuale, nei fatti seguito dalla
rilegittimazione del paradigma esi- stente: cfr. l’analisi di MARCHEI,
Sentimento religioso, cit., pp. 143 ss. Osserva PIEMONTESE, Offese alla
religione e pluralismo religioso, Religione e re- ligioni: prospettive di
tutela, tutela delle libertà, a cura di De Francesco-Piemontese-Venafro,
Torino, che «la libertà individuale parrebbe valoriz- zata, qui, solo in
chiusura e ad abundantiam, all’interno di un iter argomentati- vo volto a preservare
comunque l’originaria dimensione pubblica ed istituziona- le della tutela»;
cfr. PADOVANI, Un intervento normativo scoordinato che investe anche i delitti
contro lo Stato, in Guida dir.; BASILE, art. c.p. Nel primo senso SIRACUSANO,
Pluralismo e secolarizzazione dei valori; per la seconda opzione v. BASILE,
art. c.p. Cfr. anche VISCON- TI C., Aspetti penalistici. Ritiene che la riforma
abbia fatto assurgere il sentimento religioso individuale a bene protetto in
via diretta e immediata, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose Tra
sentimenti ed eguale rispetto timento è solamente un connotato – innegabile
quanto imprescindibile – di un ben più articolato valore di libertà religiosa.
Il pudore Il richiamo al sentimento è centrale nella definizione delle osceni-
tà penalmente rilevanti: sono da considerarsi osceni gli atti e gli og- getti
che ‘secondo il comune sentimento’ offendono il pudore (art. c.p.). L’elemento
normativo ‘comune sentimento del pudore’31 attinge da un fenomeno di reattività
interiore dell’individuo: il pudo- re, genericamente definibile come
disposizione soggettiva che induce al riserbo su quanto attiene alla vita
sessuale, fonda la soglia sogget- tiva di eventuale disagio avvertibile di
fronte a manifestazioni della sessualità. Inteso nella dimensione comunitaria
il pudore si emancipa dal rapporto di implicazione emotiva individuale e dalla
sua concreta sussistenza, scivolando verso un’identificazione con concezioni
della morale sessuale: la valorizzazione normativa del pudore diviene in questo
modo funzionale a introdurre soglie atte a delimitare manife- stazioni e
rappresentazioni aventi contenuto sessuale 33. Il problema del buon costume e
della pubblica moralità quali beni di categoria in ambito penalistico ha finito
per tradursi nel richiamo a canoni di moralità sessuale, concetto quest’ultimo
la cui delimita- 30 È la condivisibile notazione di FALCINELLI, Il valore
penale del sentimento religioso, cit., p. 48, la quale definisce l’interesse
protetto dalle norme post riforma 2006 come sentimento religioso collettivo e
al contempo individuale. Sul tema degli elementi normativi, e in particolare
sui rapporti fra il coeffi- ciente di certezza degli elementi normativi
culturali e giuridici, v. lo studio di BONINI, L’elemento normativo nella
fattispecie penale. Questioni sistematiche e costitu- zionali, Napoli, 2016,
pp. 320 ss.; sul tema v. anche RISICATO, Gli elementi norma- tivi della
fattispecie penale. Profili generali e problemi applicativi, Milano Per
un’analisi in chiave psicanalitica v., ex plurimis, APPIANI, Tabù. Elogio del
pudore, Milano, Fondamentale FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., pp. 4
ss. Sul proble- ma definitorio del pudore, nella letteratura penalistica più
risalente v. ALLEGRA, Il “comune” sentimento del pudore, in Iustitia.;
LATAGLIATA, voce Atti osceni e atti contrari alla pubblica decenza, in
Enciclopedia del diritto, vol. IV, Mi- lano; VENDITTI, La tutela penale del
pudore e della pubblica decen- za, Milano; GALLISAI PILO, voce Oscenità e offese
alla decenza, in Dig. disc. pen., Torino; FARINA, Il reato di atti osceni in
luogo pub- blico: tensioni interpretative e prospettive personalistiche nella
tutela del pudore, in Dir. pen. proc. Cfr. FIANDACA, Problematica dell’osceno,
cit., pp. 78 ss. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della
formula 71 zione è però nondimeno ardua, al punto da costituire classicamente
un luogo di forti tensioni tra il diritto punitivo e i principi liberali. Ad
oggi gli sviluppi giurisprudenziali, incentivati e affinati da im- portanti
contributi della dottrina 36, depongono per una riconversione dell’interesse di
tutela, il quale è identificato nel diritto a essere pro- tetti da indebite
violazioni del proprio riserbo sessuale: esempio tipi- co, l’assistere a manifestazioni
di contenuto erotico senza avervi pre- ventivamente acconsentito. Ciò ha
condotto a un modello di interven- to incentrato non più su una lesione
astratta e potenziale del pudore collettivo, ma teso a reprimere solo le
manifestazioni oscene che si impongano a determinati soggetti senza che questi
abbiano prestato un preventivo consenso 37. È il carattere della pubblicità più
o meno indesiderata dell’atto o della pubblicazione, inteso come capacità di
diffusione e percepibilità da parte di soggetti non consenzienti, a fondare
l’illiceità, e non la sua natura eventualmente oscena. Si tratta di un
ragionevole distacco da modelli di intervento non 35 Sul punto rimarca
FIANDACA, Problematica dell’osceno, che il principio della tolleranza
ideologica e della tutela delle minoranze impediscono di trasformare il diritto
penale di uno Stato democratico in tutore della virtù. Ciò induce a dover
giustificare sotto ogni aspetto l’assunto, secondo il quale la punizione
dell’immoralità non può rientrare tra gli scopi del diritto penale con-
temporaneo. Tanto più che l’esplicito riferimento, contenuto nella
Costituzione, alla tutela del buon costume potrebbe essere da taluno
interpretato – come di fat- to è avvenuto – appunto in chiave di “copertura”
costituzionale all’incriminazione di fatti lesivi di semplici valori morali».
Cfr. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di
orientamenti sociali di carattere assiologico? Pro- blemi di legittimazione da
una prospettiva europea continentale e da una angloame- ricana, a cura di
Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale. Culture
europeo-continentale e anglo-americana a confronto, Torino Il riferimento è
sempre a FIANDACA, Problematica dell’osceno In giurisprudenza, sentenza capostipite
è quella del Tribunale di Torino, 2/04/1982, in Foro it. Nella giurisprudenza
di legittimità, Cass. pen., sez. in Foro it.; v. anche Cass. pen., SS. UU.,
24/03/1995, in Foro it., 1996, II, c. 17 ss. Da ultimo, v. Cass. pen., sez. e
Cass. pen., sez., che conferma la per- cepibilità dell’osceno da parte del pubblico
come elemento costitutivo della fattispe- cie il cui onere probatorio deve
essere fornito dall’accusa. Per un avallo del suddetto orientamento da parte
della Corte costituzionale, v. la sentenza n. 368/1992, secon- do cui «la
misura di illiceità dell’osceno è data dalla capacità offensiva di
questo verso gli altri, considerata in relazione alle modalità di
espressione e alle circostan- ze in cui l’osceno è manifestato», v. C. cost.,
n. 368/1992; sia consentito il rinvio a BACCO, Tutela del pudore e della
riservatezza sessuale Tra sentimenti ed eguale rispetto compatibili con uno
Stato liberale e pluralista38. Ad oggi l’ordina- mento italiano non tutela un
moralistico pudore collettivo 39, ma ap- presta gli strumenti affinché le
persone non assistano a manifesta- zioni della sessualità per loro
indesiderate: l’equilibrio si fonda su po- tenzialità nell’agire che trovano un
limite nell’altrui pretesa di non subire contatti sgraditi. Vi è sì una
depsicologizzazione dell’interesse protetto, presentato nelle fogge di una
libertà negativa, ma va non- dimeno riconosciuto che il problema della tutela
del pudore resta profondamente legato, nella sua matrice, anche a una
sensibilità di tipo ‘epidermico’40, non semplicemente morale, ma saldamente in-
trecciata alla reattività emotiva della persona. La pietà dei defunti Pochi termini denotano
un’appartenenza al lessico emozionale come la pietà: traduzione del latino
pietas, essa, al di là dell’uso gene- rico che connota il sentimento di
solidale comprensione nei confronti della sofferenza altrui, designa ancora
oggi la dimensione psicologica che scaturisce dall’esperienza della morte dei
propri simili, e fa la sua comparsa nel codice penale al capo II del titolo IV.
38 Esigenze di riforma sono state invocate evidenziando un ormai critico rap-
porto tra il diritto vivente e la tipicità formale, sottolineando come lo
stesso rein- quadramento in termini personalistici del bene giuridico disveli,
in definitiva, un’irragionevole disparità sanzionatoria tra l’offesa al pudore
(rectius, libertà da visioni indesiderate) e altre offese alla persona: v.
FARINA, Il reato di atti osceni I sentimenti individuali rimangono sullo
sfondo, preservati nella loro auto- nomia e senza dover render conto dei propri
contenuti: le generalizzazioni e i giudizi su base quantitativa dovrebbero
rimanere al di fuori della norma, poiché la libertà del singolo è anche libertà
di usufruire e concedersi quello che per molti dei suoi simili potrebbe
apparire indecoroso o ripugnante, ovviamente senza in- vadere le altrui sfere
di libertà. Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno affermato in
questo senso la necessità di una politica ‘anticollettivista’, nella quale cioè
«gli interessi della maggioranza non possono mettere a tacere i diritti fon-
damentali dell’individuo, se non in circostanze eccezionali, solitamente
laddove siano ipotizzabili danni ad altre persone o qualche grave pericolo per
l’intera na- zione», v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità, tr. it., Milano; cfr. H.
L. A. HART [citato da H. P. Gice], Diritto, morale e libertà, tr. it., a cura
di Gavazzi, Acireale È stato osservato come sia doveroso un approfondimento
delle ragioni psi- cologiche alla base di atteggiamenti repulsivi dell’altro,
al fine di disvelare (e ar- ginare) l’irrazionalità di fondo che, se trasfusa
in dettami normativi, potrebbe condurre a esiti discriminatori: un tipico
esempio sono istanze di tutela che tro- vino la propria motivazione in un mero
‘disgusto collettivo’, v. NUSSBAUM, Na- scondere l’umanità Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula L’interpretazione consolidatasi
in dottrina individua in tali norme un presidio a un sentimento universale, non
una forma di difesa della salute pubblica . La tutela è incentrata su oggetti
materiali e postula la rilevanza simbolica delle res: oggetti la cui violazione
integra il pa- radigma delittuoso in quanto la materialità delle azioni assuma
il si- gnificato di dileggio alla memoria 42. Al di là della topografia
codicistica, pare opportuno rimarcare l’autonomia concettuale del sentimento di
pietà per i defunti dalle eventuali caratterizzazioni religiose43: è sul
presupposto di una di- mensione laica di tale sentimento 44, oltre il manto di
ritualità cultua- li, che si pone la discussione sulla legittimità e
opportunità di un pre- sidio sanzionatorio. Autorevole dottrina è critica nei
confronti della scelta politico criminale del codice Rocco: «la previsione
autonoma di delitti contro la pietà dei defunti non appare, nell’attuale
momento storico, perfet- tamente congrua con la funzione propria di un diritto
penale di uno Stato democratico e secolarizzato: il mero sentimento non sembra
infatti poter assurgere al rango di bene giuridico, non intaccando la sua
semplice violazione quelle condizioni minime della vita in comu- ne la cui
salvaguardia legittima l’uso dello strumento penalistico» 45. L’osservazione ha
il merito di evidenziare uno dei punti critici del rapporto tra sentimenti e
tutela penale: libertà che rischiano di essere soggette alla coercizione di
fronte a moti dell’animo umano, il cui turbamento, pur intenso, non dovrebbe
essere destinatario di una priorità assoluta all’interno di un contesto
pluralista. 41 FIANDACA, voce Pietà dei defunti (Delitti contro la), in Enc.
giur., Roma; per l’orientamento incline all’interpretazione della norma come
tutela della salute pubblica, v. GABRIELI, Delitti contro il sentimento
religioso e la pietà verso i defunti, Milano, ROSSI VANNINI, voce Pietà dei
defunti (delitti contro), in Dig. disc. pen., Torino Ex plurimis, cfr.
FIANDACA, voce Pietà dei defunti, cit., p. 1; ROSSI VANNINI, voce Pietà dei
defunti, Non potendo in questa sede offrire un quadro della sconfinata
bibliografia, ci limitiamo a segnalare le intense riflessioni contenute nella
pubblicazione di AA.VV., a cura di Monti, Che cosa vuol dire morire, Torino,
2010. Argomentazioni condivise da parte di autori di estrazione laica e autori
cattolici emergono nei saggi di BODEI, L’epoca dell’antidestino MONTICELLI, La
libertà di divenire sé stessi, pp. 83 ss.; per i secondi, v. REALE, L’uomo non
si accorge più di morire; MANCUSO, Se si ha paura della morte, si ha paura
della vita, pp. 109 ss. 45 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol.
I, IV ed., Bologna, Tra sentimenti ed eguale rispetto Nell’attuale
configurazione normativa, tuttavia, la tutela del de- funto evoca sentimenti,
ma non ha ad oggetto stati psicologici di pa- renti o delle persone ad esso
affettivamente legate. Si tratta di un ri- conoscimento dovuto all’essere umano
in quanto tale, a prescindere da metafisiche ultraterrene, ma anzi ben ancorato
a una concezione secolare dell’esistenza, secondo cui il soggetto può e deve
meritare rispetto anche dopo il trapasso 46. È in quest’ottica che può
eventual- mente valutarsi l’opportunità del mantenimento di un presidio e i
suoi limiti: secondo logiche non pervasive ma ragionevolmente orien- tate alla
salvaguardia di un nucleo minimo di rispetto verso chi ha abbandonato la
dimensione fisica dell’esistenza. 2.1.4. Il sentimento nazionale e la condotta
di istigazione all’odio fra le classi sociali Fra i delitti contro la
personalità dello Stato troviamo menzionati lo ‘spirito pubblico’ e il
‘sentimento nazionale’. Si tratta di fattispecie cadute ormai nel dimenticatoio
e sostanzialmente inapplicate: l’am- bito di operatività dell’art. 265
(disfattismo politico) è circoscritto, per espressa previsione legislativa, al
tempo di guerra; gli artt. (nella parte
in cui faceva riferimento al ‘sentimento nazionale’) sono stati oggetto di
dichiarazioni di incostituzionalità con le senten- ze n. 87/1966 e n. 243/2001
47. Al di là del valore di ‘archeologia giuridica’, fra gli elementi costi-
tutivi delle suddette fattispecie troviamo il cosiddetto ‘spirito pubbli- co’ e
il ‘sentimento nazionale’: concetti strettamente legati, i quali evocano una
disposizione affettiva, ossia l’atteggiamento di fede e di attaccamento del
cittadino alla nazione. 46 GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale? ;
cfr. DONINI, “Danno” e “ offesa”nella c.d. tutela penale dei sentimenti, il
quale sot- tolinea la possibilità che dall’assenza di tali presidi scaturiscano
esiti negativi per la stessa pace sociale; ERONIA, La turbatio sacrorum tra
legge e cultura: il caso del- la riesumazione della salma di S. Pio, in Cass.
pen. Nella relazione al progetto di riforma del codice penale elaborato dalla
commissione Pagliaro era stato osservato che: «il bene personalistico della
dignità della persona defunta appare costituire l’oggetto primario e costante
della tutela contro gli atti irriguar- dosi delle spoglie umane e dei sepolcri,
mentre il pur rilevante bene collettivo del suddetto sentimento si presenta
come bene secondario ed eventuale», v. Relazione alla bozza di articolato per
un progetto di riforma del Codice Penale, consultabile in
http://www.ristretti.it/areestudio/giuridici/riforma/relazionepagliaro.htm. 47
L’art. 272 c.p. è stato poi integralmente abrogato dalla legge n. 85 del 2006.
Sul tema, v. ALESIANI, I reati di opinione. Una rilettura in chiave
costituzionale, Milano, 2006, pp. 275 ss. Dimensione codicistica e
funzione discorsiva della formula Il
concetto di spirito pubblico appare più generico e va delimitato a contesti in
cui, a causa dello stato di guerra, viene richiesta al citta- dino fiducia
nelle sorti del Paese. Non si tratta di una disposizione da accertarsi in capo
a singoli soggetti, bensì di un atteggiamento di col- lettiva partecipazione al
sostegno morale della nazione, il quale, se- condo il legislatore del 1930,
poteva essere frustrato dalla diffusione di notizie false, esagerate o
tendenziose così da menomare la resisten- za della nazione di fronte al nemico.
Il ‘sentimento nazionale’, secondo le parole della Corte costituzio- nale, è da
intendersi come corrispondente «al modo di sentire della maggioranza della
Nazione e contribuisce al senso di unità etnica e sociale dello Stato» 48.
Anche in questo caso il pensiero giurispruden- ziale rifugge da interpretazioni
emotivistiche e incentra la tutela pe- nale su un nucleo di valori
asseritamente condivisi. La natura puramente ideologica di tale oggetto di
tutela ne ha de- cretato l’incompatibilità con la libertà di manifestazione del
pensiero. Va però evidenziato che, mentre nella prima parte della motivazione
della sentenza n. 87/1966 la Corte descrive tale interesse in termini col-
lettivistici, al momento di decretare l’illegittimità della norma incrimi-
natrice la fisionomia dell’oggetto di tutela viene riproposta ponendo l’accento
in chiave critica sulla componente soggettivo-emozionale: di- ce infatti la
Corte che «è pur tuttavia soltanto un sentimento, che sor- gendo e
sviluppandosi nell’intimo della coscienza di ciascuno, fa parte esclusivamente
del mondo del pensiero e delle idealità». Facendo leva su tale carattere
impalpabile 49 viene affermata l’ille- gittimità anche dell’art. nella parte in
cui incrimina la propa- ganda per distruggere o deprimere il sentimento
nazionale, salvando invece (fino alla formale abrogazione del 2006)
l’incriminazione della propaganda per l’instaurazione violenta della dittatura,
per la sop- pressione violenta di una classe sociale e per il sovvertimento
violen- to degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, rico-
noscendo in tali norme una tutela del metodo democratico da forme di pensiero
prodromiche ad azioni violente. Diversamente da altri ambiti in cui il richiamo
a un sentire collet- 48 C. cost. n. 87/1966. 49 Lo sottolinea, ex plurimis,
CAVALIERE, La discussione intorno alla punibilità del negazionismo, i principi
di offensività e libera manifestazione del pensiero e la funzione della pena,
in Riv. it. dir. proc. pen.Mero reato di opinione, sia pure in senso lato»
secondo VASSALLI, Propaganda sovversiva e sentimento nazionale, in Giur. cost.,
1966, II, p. 1100. 76 Tra sentimenti ed eguale rispetto tivo è
stato riconvertito dagli interpreti in una prospettiva di tutela della persona,
il sentimento nazionale non è riuscito a beneficiare di alcun maquillage
ermeneutico, e, dissipatosi il manto della retorica di regime, è scomparso dai
beni penalmente tutelati in quanto non in grado di sostenere il confronto con
la libertà di espressione. Una vicenda similare ha caratterizzato la
problematica disposizione dell’art. c.p. (istigazione all’odio fra le classi
sociali), che la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo «nella parte in cui non specifica che tale istigazione deve essere
at- tuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità». L’eccezione
sollevata con riferimento al contrasto con l’art. 21 Cost. viene accolta dalla
Corte motivando che la norma, poiché non indica come oggetto dell’istigazione
un fatto criminoso specifico o un’attività diretta con- tro l’ordine pubblico o
verso la disobbedienza alle leggi, ma sempli- cemente l’ingenerare un
sentimento senza nel contempo richiedere che le modalità con le quali ciò si
attui siano tali da costituire perico- lo all’ordine pubblico e alla pubblica
tranquillità, «non esclude che essa possa colpire la semplice manifestazione ed
incitamento alla persuasione della verità di una dottrina ed ideologia politica
o filoso- fica della necessità di un contrasto e di una lotta fra portatori di
op- posti interessi economici e sociali» 51. Si tratta di una piana
applicazione di principi già evidenziati nella sentenza, che culmina in questo
caso in una pronuncia additiva la quale di fatto espunge dall’ordinamento
l’incri- minazione dell’istigazione all’odio fra le classi sociali,
riconoscendo la preminenza del diritto di libertà alla manifestazione di
«teorie del- la necessità del contrasto e della lotta tra le classi sociali che
sor- gendo e sviluppandosi nell’intimo della coscienza e delle concezioni e
convinzioni politiche, sociali e filosofiche dell’individuo appartengo- no al
mondo del pensiero e dell’ideologia Il sentimento per gli animali Un ambito del
tutto peculiare è costituito dalle norme codicistiche a tutela del cosiddetto
‘sentimento per gli animali’. Èstata introdotta nel codice penale la disciplina
che sanziona, in forma di delitto, le condotte di uccisione e maltrattamento di
animali; stando alle parole del legislatore, l’interesse tutelato sarebbe il
sentimento C. cost., n. 108/1974. 52 C.
cost., n. 108/1974. Dimensione codicistica e funzione discorsiva
della formula per gli animali, ossia l’umana compassione che scaturisce dal
rapporto con la sofferenza dell’animale. L’evidenza testuale suggerisce una
connessione con i problemi og- getto della presente indagine, ma
l’inquadramento dell’interesse pro- tetto in ossequio al verbo legislativo
appare una lettura superficiale. Le tesi dottrinali nel panorama italiano sono
espressione di diversi orientamenti53: il primo tendente a dare rilievo alla
definizione del legislatore; il secondo proiettato all’affermazione di una
soggettività giuridica dell’animale; un terzo orientamento di compromesso, e
infine una quarta soluzione che appare protesa al riconoscimento di una tutela
diretta dell’essere non umano, senza scivolare in proble- matiche (soprattutto
da un punto di vista filosofico) ‘soggettivizza- zioni’ dell’animale, ma
rimarcando come la tutela diretta dell’animale non umano sia da
contestualizzarsi all’interno di un quadro di inte- ressi e controinteressi
umani 57. Non potendo approfondire nel corso della presente indagine l’amplissima
questione, ci limitiamo ad alcune osservazioni finalizza- te a definire il
senso e la peculiarità dell’impianto normativo della tu- tela del sentimento
per gli animali in rapporto agli altri ‘sentimenti- valori’ presenti nel codice
penale. In primo luogo la tipicità delle fattispecie di cui agli art. 544 bis e
53 Secondo la ricostruzione di FASANI, L’animale come bene giuridico, in Riv.
it. dir. proc. pen. Così GATTA, Art. c.p., in AA.VV., diretto da Dolcini-Gatta,
Codice penale commentato,; PISTORELLI, Così il legislatore traduce i nuovi
sentimenti e fa un passo avanti verso la tutela diretta, in Guida dir. Per una
sintesi della problematica, v. VALASTRO, La tutela giuridica degli ani- mali,
fra nuove sensibilità e vecchie insidie, in Annali di Ferrara. Va evidenziata
la posizione di MANTOVANI F., Diritto penale, Padova, il quale individua la
ratio della tutela penale degli animali in una prospettiva promozionale della
stessa dignità umana, in quanto «la riduzione dell’immensa crudeltà verso gli
animali attenuando la crudeltà complessiva del mondo, se non rende l’animale
più uomo, rende l’uomo meno animale e migliore la Terra. POCAR, Gli animali non umani. Per una
sociologia dei diritti, Bari; RESCIGNO, I diritti degli animali. Da res a
soggetti, Torino. Testo di riferimento per l’introduzione alle teorie
animaliste è SINGER, Liberazione animale, tr. it., Milano. MAZZUCATO, Bene
giuridico e “questione sentimento” nella tutela penale della relazione
uomo-animale. Ridisegnare i confini, ripensare le sanzioni, ia cura di
Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto-La questione animale,
Milano. FASANI, L’animale come bene giuridico, Tra sentimenti ed eguale
rispetto ss.58 non lascia spazio a valutazioni in termini emozionali; al senti-
mento umano di rispetto per gli animali può essere riconosciuto un ruolo
propulsivo nei confronti della scelta politico-criminale, ma per ricondurre
l’oggetto della tutela ad una sorta di pietas verso gli esseri non umani,
dovrebbe essere necessario richiedere nelle condotte quantomeno un grado di
pubblicità tale da riflettersi sul sentire col- lettivo. Ciò che fonda la
tipicità degli artt. 544 bis e 544 ter è aver uc- ciso con crudeltà un animale
o averlo maltrattato con carichi di lavo- ro insopportabili: azioni che possono
senz’altro indurre sentimenti negativi nella gran parte degli esseri umani, ma
che rilevano norma- tivamente per il semplice fatto di essere state realizzate,
e dunque quale offesa ad animali non umani Per una panoramica v. VALASTRO, La
tutela penale degli animali: problemi e prospettive, in AA.VV., a cura di
Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto – La questione animale. Sul
tema, prima della riforma, vedi i saggi contenuti in a cu- ra di
Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, Milano. Sottolinea FIANDACA,
Prospettive di maggiore tutela penale degli animali, a cura di
Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, che, al di là della
possibile disputa circa un’ipotetica soggettività giuridica animale, per
legittimare una tutela penalistica possa essere sufficiente «parlare di
“interessi animali” degni di riconoscimento e tutela: interessi considerati in
una dimensione oggettiva, a pre- scindere dal problema di una loro riferibilità
all’animale come soggetto giuridico», ritenendo plausibile che «gli animali
[siano] portatori di due interessi fondamentali: l’interesse alla sopravvivenza
e l’interesse alla minore sofferenza possibile». Il di- stacco da un’ottica
antropocentrica, con implicita emancipazione da una ratio di tutela incentrata
sul sentimento umano per gli animali, appare peraltro ravvisabile anche nella
giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, relativa all’art., il quale,
prima dell’introduzione del titolo IX bis, incriminava le condotte di maltrat-
tamento di animali: v., in particolare, Cass. pen., sez., in Cass. pen., 1992,
p. 951, la quale afferma che «in via di principio l’art., in considerazio- ne
del tenore letterale della norma (maltrattamento) e del contenuto di essa (ove
si parla non solo di sevizie ma anche di sofferenze e di affaticamento) tutela
gli ani- mali in quanto autonomi esseri viventi, dotati di sensibilità
psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore, ove essi superino la
soglia di normale tollerabilità. La tutela è, dunque, rivolta agli animali in
considerazione della loro natura»; in senso conforme, v. Cass. pen., sez., in
Dir. giust.; Cass. pen., sez., in Nuovo dir., secondo cui «La “ratio” della
disposizione di cui all’art. c.p. è quella di voler perseguire condotte caratterizzate
da un’apprezzabile componente di lesività dell’integrità fisi- ca e-o psichica
dello animale». Più contraddittoria appare invece la giurisprudenza di
legittimità dopo la novella: si veda, ad esempio, Cass. pen., sez., ove si
afferma che «La norma è volta a proibire comporta- menti arrecanti sofferenze e
tormenti agli animali, nel rispetto del principio di evitare all’animale, anche
quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili
crudeltà ed ingiustificate sofferenze», rimarcando tuttavia che «in
Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula
L’identificazione dell’oggetto di tutela in un (non meglio identifi- cato)
sentire comune costituisce una lettura pregna di risvolti pro- blematici60, e
sono in questo senso condivisibili interpretazioni più ragionevoli che
suggeriscono di configurare l’interesse tutelato in termini di relazionalità e
‘interspecificità’: «andare oltre la dicotomia radicale e guardare nel mezzo
[...] cioè nel rapporto tra l’uomo e l’animale; lì si rinviene il bene
giuridico davvero tutelabile dal diritto penale, nel quadro delle garanzie
costituzionali. L’animale non riempie, non esaurisce, l’orizzonte di tutela
penale. L’uomo (che prova qualcosa davanti all’animale e che invoca per quest’ultimo
un dignitoso trattamento) non scompare dalla scena» 61. Nel complesso, i
problemi connessi alla tutela del sentimento per gli animali non sembrano
propriamente accomunabili a quelli riscontrati in relazione agli altri
‘sentimenti’ tutelati dalle norme pena- li. Una differenza di fondo è che le
disposizioni a tutela della religio- ne o del pudore chiamano in gioco un
bilanciamento fra interessi in- terno al confronto fra esseri umani e basato su
entità immateriali come i valori normativo-ideali; dall’altra parte, per quanto
il ricono- scimento di una soggettività giuridica all’animale sia un problema
aperto, in sede di ricostruzione dell’oggetto di tutela appare preferibi- le
tenere conto della soggettività animale senza sublimarla né in un impalpabile sentire
dell’uomo né in un mero contenuto ideale, ma piuttosto come problema che
sollecita un approfondito studio delle condizioni di compatibilità fra esigenze
umane e rispetto della vita di esseri non umani. Per tali ragioni, il tema del
sentimento degli animali pone que- stioni non inquadrabili nella tutela dei
cosiddetti ‘sentimenti-valori’, né appare accostabile al tema del disagio
emotivo, rivelandosi piutto- sto la proiezione di un problema antico e ancora
attuale, concernente gli equilibri di vita e sopravvivenza fra uomo ed
ecosistema. tali disposizioni l’oggetto di tutela è il sentimento di pietà e di
compassione che l’uo- mo prova verso gli animali e che viene offeso quando un
animale subisce crudeltà e ingiustificate sofferenze. Scopo dell’incriminazione
è quindi di impedire manifesta- zioni di violenza che possono divenire scuola
di insensibilità delle altrui sofferenze. Ben evidenziati da MAZZUCATO, Bene
giuridico e “questione sentimento. MAZZUCATO, Bene giuridico e questione
“sentimento”, cit., p. 703. 62 Un’interessante lettura sulla complessità del
rapporto fra uomo e animali non umani è il libro di HERZOG, Amati, odiati,
mangiati. Perché è così difficile agire bene con gli animali, tr. it., Torino.
Per un inquadramento dell’impianto di tutela penale degli animali nel più ampio
contesto dei reati contro l’ambiente e Tra sentimenti ed eguale rispetto.
Il comune sentimento della morale Passando all’ambito extracodicistico, le
disposizioni normative in cui è più evidente ed univoco il richiamo al
sentimento quale oggetto di tutela sono gli artt. 14 e 15 della legge: l’art.
stabilisce la rilevanza penale, ai sensi dell’art. c.p., di pubblicazioni
destinate ai fanciulli e agli adolescenti quando, per la sensibilità e
l’impressionabilità ad essi proprie, siano idonee a offendere il loro
sentimento morale o a costituire per essi incitamento alla corruzione, al
delitto, al suicidio; l’art. 15 si rivolge parallelamente alla tutela di
soggetti adulti, vietando la pubblicazione di stampati i quali descri- vano o
illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti
realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il
‘comune sentimento della morale’ 63. Punto centrale delle fattispecie, che ne
determina (fortunatamente) anche le difficoltà applicative, è l’esigenza di
accertare l’idoneità delle condotte alla causazione di eventi determinati
(«favorire il disfrenarsi di istinti di violenza, diffondersi di suicidi o
delitti»). Al fianco di tali eventi si pone l’offesa o il turbamento al
sentimento morale, formula tanto eloquente quanto indeterminata: «fondata sopra
un presupposto empirico e nebuloso di morale corrente, essa reca con sé tutti i
pericoli che le norme ispirate a concetti vaghi, a intuizioni, a sentimenti
porta- no sempre nella loro applicazione concreta» 64. L’accostamento esplicito
fra il sentire e la morale trova probabil- mente la sua ragione nell’intento di
introdurre una disposizione il più possibile assonante con l’art. c.p. (comune
sentimento del pudore), rielaborando in termini più estensivi i divieti
stabiliti in tema di buon costume sessuale65; una connessione che si motiva
anche con l’obiettivo di trovare un aggancio costituzionale esplicito a un
inte- resse che deve essere bilanciato con la libertà di espressione 66.
l’ecosistema v. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, II ed., Torino. Per
una prospettiva socio-criminologica sul rapporto uomo-ambiente v. NATA- LI,
Green Criminology. Prospettive emergenti sui crimini ambientali, Milano. Sul
tema, per tutti, NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, Padova; ID., I
limiti della libertà di stampa nell’art. della legge, Arch. pen. NUVOLONE, Il
diritto penale della stampa, cit., p. 234. 65 Parla di ‘triplice oggetto del
reato’ (sentimento della morale, ordine familia- re, ordine pubblico) NUVOLONE,
I limiti della libertà di stampa. La connessione fra sentire, morale e buon
costume emerge anche in C. cost., n. 9/1965, la quale ha ritenuto non fondate
le questioni di legittimità costituzionale sol- Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula 81 Le sporadiche applicazioni
confermano la centralità a livello teo- rico del nesso fra turbamento emotivo e
offesa alla morale: appare significativa ad esempio una pronuncia della Corte di
Appello di Ro- ma nella quale si nega la sussistenza della fattispecie in
relazione alle immagini di una donna col cordone ombelicale attaccato, sulla
base della motivazione che simili immagini non potrebbero provocare tur-
bamento o orrore, e pertanto non offendono la morale. Il più eloquente
contributo alla definizione dell’interesse protetto dall’art. 15 è la sentenza
n. 293/2000, con la quale la Corte costituzio- nale ha ritenuto inammissibile
l’eccezione di incostituzionalità della norma per contrasto con l’art. 21
Cost.: «L’art. 15 della legge sulla stampa del 1948, esteso anche al sistema
radiotelevisivo pubblico e privato dall’art. della legge, non intende andare al
di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a
“turbare il comune senti- mento della morale”. Vale a dire, non soltanto ciò
che è comune alle di- verse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità
delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale
contenuto mi- nimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore
che anima l’art. 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la
previsione incriminatrice denunciata. La descrizione dell’elemento materiale
del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici,
trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appa- re escluso
il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando quindi
infondate le censure di genericità e indeterminatezza» 68. Come è stato
osservato in dottrina, tale sentenza ha compiuto un’operazione di
rivisitazione/trapianto, finendo per concepire come vasi comunicanti il comune
sentimento del pudore e il comune sentimento della morale attraverso il
passepartout della dignità uma- levate in relazione all’art. c.p. (incitamento
a pratiche contro la procreazione), osservando in motivazione che non
diversamente il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un
determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei
quali comporta in particolare la violazione del pu- dore sessuale, sia fuori
sia soprattutto nell’ambito della famiglia, della dignità perso- nale che con
esso si congiunge, e del sentimento morale dei giovani, ed apre la via al
contrario del buon costume, al mal costume e, come è stato anche detto, può
com- portare la perversione dei costumi, il prevalere, cioè, di regole e di
comportamenti contrari ed opposti. App. Roma, 13 maggio 1958, in Arch. pen. C.
cost., n. 293/2000. Tali conclusioni sono state confermate in una succes- siva
ordinanza che ha dichiarato la manifesta infondatezza della medesima ecce-
zione di costituzionalità, v. C. cost. Tra sentimenti ed eguale rispetto na69.
La chiosa della Corte, quando esclude censure di genericità e indeterminatezza,
è alquanto frettolosa, per non dire superficiale, e fonda il discorso su un
valore sì fondamentale, ma tutt’altro che definito nei risvolti applicativi. Merita
attenzione la triade concettuale ‘sentimento-morale-di- gnità’: l’evocazione
del sentimento è disgiunta da profili di reattività psichica, e dunque
dall’aggancio a una dimensione individuale, po- nendosi come sinonimo di
minimum etico. Il delitto di cui all’art. 15 della legge sulla stampa, pur
essendo sostanzialmente inapplicato, riveste a nostro avviso importanza
centrale, dal punto di vista teorico, nel ‘microsistema’ delle disposizioni a
tutela di ‘sentimenti’; ne rivela i tratti più problematici, poiché attribuisce
a stati affettivi come disgusto e orrore il ruolo di parametro etico per la
valutazione di cosa possa considerarsi moralmente adeguato, riconoscendo dunque
a tali emozioni un ruolo cognitivo-valutativo che oggi sappiamo essere
tutt’altro che attendibile (vedi infra, cap. IV). 2.2. Lessico delle norme e
piano fenomenico: sentimenti o emo- zioni? Un passaggio concettualmente
importante consiste nel decodifica- re il richiamo giuridico a emozioni e
sentimenti in rapporto all’alternativa fra concezioni meccanicistiche e
concezioni valutative. A nostro avviso la chiave di lettura più funzionale
all’analisi delle norme che l’ordinamento italiano pone a tutela di
‘sentimenti’ è la concezione valutativa: gli interessi denominati dal
legislatore ‘senti- menti’ acquistano rilevanza normativa in virtù di una
peculiare tra- iettoria dell’intenzionalità dello stato affettivo. Si tratta di
un modo di concepire il sentimento del tutto simile al significato che Joel
Feinberg propone quando analizza il cosiddetto ‘appello ai sentimen- VISCONTI
C., Aspetti penalistici. Cfr. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana,
bilanciamento e propa- ganda razzista, Torino. Intendiamo il concetto di
intenzionalità secondo l’accezione proposta da Searle, ossia «quella proprietà
di molti stati ed eventi mentali tramite la quale essi sono direzionati verso,
o sono relativi a oggetti e stati di cose del mondo, SEARLE,
Sull’intenzionalità. Un saggio di filosofia della conoscenza, tr. it., Milano. In
termini generali, sul concetto di intenzionalità v. GALLAGHER- ZAHAVI, La mente
fenomenologica, cit., Dimensione codicistica e funzione discorsiva della
formula 83 ti’ nelle questioni etiche: il filosofo americano ritiene infatti
che ciò a cui si fa riferimento non sia un mero stato emotivo, ma la peculiare
risposta soggettiva che gli individui possono provare nel rapporto con determinati
oggetti. È bene distinguere tra l’oggetto del sentire e la sindrome affettiva,
quali elementi costitutivi delle entità psico-sociali che il diritto pren- de
in considerazione. L’uso giuridico, in accordo col senso comune, adopera la
categoria del sentimento in un modo che tende a fondere il profilo soggettivo
dell’affettività con la sua proiezione esterna e dunque con l’oggetto del
sentire 73. La distinzione fra sindrome affet- tiva e oggetto del sentire
permette di tematizzare in modo separato i profili pertinenti da un lato alla
selezione degli ‘oggetti emotigeni’, e dall’altra alla tipologia di stati
affettivi che potrebbero eventualmente venire in gioco. L’oggetto del sentire è
ciò che definisce il substrato materiale o ideologico dell’offesa: ad esempio
si parla di sentimento religioso per dare rilevanza non a un astratto sentire
ma quel genere di esperienza emotiva che ha a che fare con la fede religiosa.
Stesso discorso per altri interessi definiti ‘sentimenti’: il sentimento del
pudore come di- sposizione a provare un certo tipo di reazioni soggettive in
rapporto a manifestazioni della sessualità; oppure il sentimento nazionale
quale FEINBERG, Sentiment and sentimentality: «Unlike some emotions, sentiments
are not mere objectless perturbations with subtle but neutral affective
colorings. They too have an
essential polarity to them (pleasant-unpleasant, friendly-unfriendly,
postive-negative), though unlike attitudes, the positive or negative character
of sentiments is not simply a “pro” or “con,” “for” or “against” posture. Some
of the terms we apply to the objects of positive or negative sen- timents are
themselves definable not in terms of the inherent properties of those objects
but rather in terms of the sentiments they are thought naturally or properly to
awaken. È significativo quanto osservato in
ambito psicologico: in genere, le persone dichiarano sentimenti patriottici più
o meno intensi in momenti diversi del- la loro vita; come sono tali sentimenti?
L’ovvia risposta a tale domanda è che que- sti sentimenti non hanno alcun senso
di esistere, per lo meno non al di fuori della tendenza del singolo a provare
altri tipi di sentimenti (orgoglio, dolore, vergo- gna), nei quali la sua vita
affettiva appare in linea con sorti della nazione. In tal senso, da un patriota
ci si aspetta che provi gioia e orgoglio quando la sua nazione vince, dolore o
compassione quando essa è in crisi, rabbia se è ingiustamente diffamata, e
disperazione nella sconfitta umiliante. Pertanto, osservando attentamente la
vita interiore e le abitudini di un patriota, non vi si troverà mai una traccia
di quel sentimento particolare chiamato “patriottismo” al di fuori di quanto
scritto sopra, v. ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da Platone a Putnam: quattro mo- di
di pensare all’odio, a cura di Sternberg, Psicologia dell’odio. Cono- scerlo
per superarlo, tr. it., Gardolo. Tra sentimenti ed eguale rispetto forma di
partecipazione affettiva, ‘patriottica’, alle vicende della pro- pria nazione.
Veniamo ad analizzare il versante della sindrome affettiva: qual è il fenomeno
che appare più aderente alle situazioni descritte nel con- testo codicistico?
Una importante differenza fra emozione e sentimen- to è identificabile nella
consistenza e nella durata: l’emozione, secon- do quanto abbiamo
precedentemente osservato in accordo con le ela- borazioni delle diverse
branche dei saperi lato sensu psicologici, rap- presenta una componente
dinamica del sentire, ossia uno stato men- tale di breve durata, caratterizzato
da una predominante componente reattiva; il sentimento è uno stato più durevole
e radicato. Parlare di una tutela di emozioni in senso stretto è improprio; ma
appare non del tutto corretta con anche un’eventuale associazio- ne degli
oggetti tutelati dal codice a stati psichici più duraturi. L’accezione che in
relazione ai ‘sentimenti-valori’ consente di in- staurare una connessione ‘non
irrealistica’ con la dimensione feno- menica è rappresentata a nostro avviso
dal concetto di ‘disposizione individuale del sentire’: non un accostamento a
emozioni in senso stretto e neanche a stati duraturi in quanto tali, ma
piuttosto ad at- teggiamenti che delineano l’orientamento affettivo e
assiologico della persona in conseguenza della maggiore o minore partecipazione
emotiva nel rapporto con determinati oggetti e situazioni. Entità come il
sentimento religioso, il sentimento del pudore et similia, appaiono funzionali
a richiamare disposizioni soggettive a provare emozioni. Atti persecutori:
sofferenza psichica e libertà di autodetermi- nazione Parlando di sentimenti
come ‘disposizioni del sentire’ si potrebbe intendere il problema di tutela
anche come protezione delle condi- zioni di formazione del sentire, e dunque
come assenza di forme di coartazione psichica. In questo modo si finirebbe però
per identificare nella libertà morale l’interesse di fondo, accomunando in modo
improprio ambiti di intervento che restano ben distinti nel codice Cfr.
FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti. Si veda anche
l’impostazione di FEINBERG, Sentiment and Sentimentality. Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula penale e che la dottrina ha
contribuito anche di recente a definire nelle rispettive sfere di autonomia. Ci
sembra più adeguato tenere in evidenza la distinzione concettuale e collocare
la problematica dei ‘sentimenti-valori’ e delle dispo- sizioni del sentire a
uno stadio nel quale la libertà morale, intesa come libertà di conservare la
propria personalità psichica, di ragionare con la propria testa, di formarsi
una propria fede religio-sa politica e di conservarla come di mutarla, sia da
considerarsi elemento acquisito, e dunque come precondizione delle situazioni
in cui possono eventualmente crearsi conflitti relativi al piano dei
‘sentimenti-valori’. Il tema della tutela da forme di turbamento emotivo e di
coarta- zione psichica viene in gioco in relazione a un’altra fattispecie del
codice italiano, anch’essa formulata attraverso il richiamo a stati af-
fettivi, ossia il delitto di ‘atti persecutori’. La condotta tipica consiste
nel porre in essere azioni di minaccia o molestia tali da ingenerare un
perdurante e grave stato d’ansia e di paura, ossia stati psichici
caratterizzati da un tono edonico negativo e dunque in grado di alterare
l’equilibrio emotivo dell’individuo e la sua tranquillità 78. Si può parlare di
tutela di sentimenti in un senso che contribuisce a rimarcare che l’interesse
protetto ha a che fare in primo luogo con la dimensione affettiva del singolo;
in questo senso si è ben sottoli- neato che il delitto di atti persecutori
rappresenta l’avvio di un trend politico criminale «attento a consolidare la
finora striminzita tutela codicistica dei sentimenti di stampo individuale, in
luogo della classi- ca e per certi aspetti controversa tutela dei sentimenti di
tipo collettivo virando verso una maggiore concretizzazione personologica del
bene giuridico. La rilevanza giuridica dello stato affettivo non è però
qualificata dall’oggetto del sentire, ma piuttosto dall’impatto 76 NISCO, La
tutela penale dell’integrità psichica; VITARELLI, Manipolazione psicologica e
diritto penale, Roma. Quest’ul- tima si sofferma in particolare sulle
interferenze fra tutela della libertà psichica e della libertà di
manifestazione del pensiero osservando che il semplice utilizzo della parola,
in assenza di violenza e inganno, resta comunque resistibile e dun- que non può
considerarsi come forma di compressione della libertà morale. 77 È la
cristallina definizione di VASSALLI, Il diritto alla libertà morale, in AA.VV.,
Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, vol. II, Roma. Ex plurimis,
MAUGERI, Lo stalking. COCO, La tutela della liber- tà individuale nel nuovo
sistema ‘anti-stalking’, Napoli. CAPUTO, Eventi e sentimenti. Tra sentimenti ed
eguale rispetto sull’equilibrio psico-fisico del soggetto. Non sono in gioco
‘sentimen- ti-valori’: nella fattispecie di atti persecutori il bene-sentimento
as- sume una connotazione più psicologica che simbolico-valoriale. Il richiamo
a stati affettivi nel delitto di stalking ha una funzione rilevante sul piano
della tipicità: gli eventi emotivi descritti nella fat- tispecie devono essere
oggetto di prova. L’alternativa di fondo è fra una concezione patologica,
secondo la quale è necessario un accer- tamento medico-legale della sussistenza
(quantomeno nel caso dello stato d’ansia) di disturbi diagnosticabili secondo
un paradigma me- dico-psicologico80, e un orientamento differente secondo il
quale è sufficiente un disagio accertabile in autonomia dal giudice 81. Appare
comunque riduttivo appiattire il disvalore dello stalking sullo stimolo di
sensazioni negative identificate attraverso standard cognitivi basati sul senso
comune. La tipicità penale è imperniata su un’interazione di tipo psicologico e
sulle conseguenti reazioni in- dotte nella vittima, e gli eventi psichici
assumono rilevanza in un’ot- tica strumentale all’evento finale, sostanziandosi
«in percorsi motiva- zionali diretti all’assunzione di una decisione da parte
del soggetto passivo. Nel delitto di atti persecutori il fatto emozionale assume
rilievo quale causa potenzialmente condizionante il comportamento e la vita di
un soggetto. Non dovrebbe essere sufficiente un mero stato edoni- co negativo,
ma si dovrebbe, a nostro avviso, verificare la sussistenza di stimoli emotivi
tali da produrre alterazioni della funzionalità di scopo nella complessiva
economia di azione dell’individuo: forme di turbamento psicologico che la
dottrina penalistica ha collocato nella 80 BRICCHETTI-PISTORELLI, Entra nel
codice la molestia reiterata, in Guida dir., 10/2009, pp. 58 s.; cfr.
BARBAZZA-GAZZETTA, Il nuovo reato di atti persecutori, in Altalex. VALSECCHI,
Il delitto di atti persecutori (il cd. stalking), in Riv. it. dir. proc. pen. A
favore di una concezione intermedia si pongono FIANDA- CA-MUSCO, Diritto penale.
Parte speciale, Bologna; CAPUTO, Eventi e sentimenti. In giurisprudenza è
discusso se debba trattarsi di uno stato tale da integrare gli estremi di una
malattia mentale; per ora sembra prevalere l’orientamento che non richiede
l’accertamento di uno stato patologico, ritenendo sufficiente che gli atti
ritenuti persecutori «abbiano un effetto destabilizzante della serenità e
dell’equilibrio psicologico della vittima», così Cass. pen., sez.; cfr. Cass.
pen., sez.; Cass. pen., sez. In questo senso la condivisibile posizione di
NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica. Così li definisce
efficacemente CAPUTO, Eventi e sentimenti, cit., p. 1400. Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula 87 categoria della ‘sofferenza
psichica’, corrispondenti a «un’alterazione della mente nella sua consistenza,
né più né meno di quanto possa accadere ad una macchina danneggiabile; ed
un’alterazione del fun- zionamento di questa ‘macchina’ come entità diretta ad
uno scopo, secondo una prospettiva nella quale la sofferenza emerge come misu-
ra eccessiva di frustrazione di tale scopo, a prescindere dal danneg- giamento
della macchina La definizione di sentimento come connotazione simbolica
negativa nel discorso penalistico Attraverso un excursus sulle norme di diritto
positivo abbiamo cercato di dare una dimensione al versante descrittivo della
formula ‘tutela penale di sentimenti’. Passiamo ora a considerare il profilo
che abbiamo definito ‘connotativo’ e che attiene alla dimensione teoreti-
co-speculativa. Nel discorso penalistico è oggi frequente l’uso della parola
‘senti- mento’ per definire in termini critici oggetti di tutela la cui
fisiono- mia appare difficilmente determinabile, esposti al rischio di
interpre- tazioni soggettivistiche e suscettibili di incentivare problematiche
espansioni dell’intervento penale; il lessico dei sentimenti non emer- ge in
questo caso da norme, ma dai discorsi dei giuristi. L’interrogativo concernente
la tutelabilità di sentimenti per mezzo del diritto penale ha tradizionalmente
suscitato la diffidenza della dot- trina penalistica, non solo nel panorama
italiano ma anche nel conte- sto europeo-continentale85: più in generale, il
pensiero penale che NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica. Ampio
consenso sussiste circa il fatto che l’utilizzo di norme penali è il- legittimo
quando si tratti di tutelare sentimenti o rappresentazioni morali o di valore»,
v. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di
orientamenti sociali di carattere assiologico? Nella dottrina tedesca, il
richiamo a sentimenti è presente nello storico saggio di BIRNBAUM, Über das
Erfoderniß einer Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens, mit besonderer
Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in Archiv des Criminalrechts, Neue
Folge, Vi è poi l’analisi di MISCH, Der Strafrechtliche Schutz der Gefühle,
Frankfurt am Main. Le opere successive mantengono il focus sul problema della
configurabilità come bene giu- ridico (Rechtsgut) soffermandosi su un’analisi
che privilegia l’aspetto dogmatico piuttosto che la dimensione di politica del
diritto; cfr. VOLK, Gefühlte Rech- tsgüter?, in FS für Roxin, Berlin; SEELMAN,
Verhaltensdelikte: Kulturschutz durch Recht?, in FS für Jung, Tra
sentimenti ed eguale rispetto identifichi la propria guida assiologica nei
principi liberali ha da sempre un rapporto problematico con le norme a tutela
di sentimenti. Le motivazioni non si limitano a questioni di tassatività e
deter- minatezza delle fattispecie, ma hanno a che fare con ragioni di politi-
ca del diritto: dietro gli oggetti di tutela definiti ‘sentimenti’ i legisla-
tori hanno di fatto apprestato forme di presidio a valori, ossia a con- cezioni
della vita buona, o della morale sessuale, o in generale a con- cezioni
normativo-ideali. Le norme a tutela di sentimenti hanno dunque un altissimo
coefficiente di pregnanza etica e riflettono at- teggiamenti valoriali di fondo
la cui tutela per mezzo del diritto pena- le può rappresentare un fattore di
alterazione degli equilibri fra mag- gioranze e minoranze in un contesto
pluralista. Non deve dunque sorprendere il fatto che il problema della tu- tela
di sentimenti rappresenti un capitolo importante nel discorso sulla
legittimazione delle norme penali, per quanto spesso non venga richiamato attraverso
la formula che qui stiamo analizzan- do, ma si trovi inserito all’interno di
altri macrotemi; ad esempio nel discorso concernente i rapporti fra diritto
penale e morale 88 o Baden-Baden; più diffusamente HÖRNLE, Grob anstößiges
Verhalten. Strafrechtlicher Schutz von Moral, Gefühlen und Tabus, Frankfurt,
Nella dottrina spagnola v. ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal.;
GIMBERNAT ORDEIG, Presentaciòn, a cargo de Alcàcer Guirao-Lorenzo- Ortiz de
Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Fundamento de legitimaciòn del
Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico?, Madrid-Barcelona. Cfr. HÖRNLE,
La protecciòn de sentimientos en el StGb, a cargo de Alcàcer
Guirao-Lorenzo-Ortiz de Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Funda-
mento de legitimaciòn del Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico? Cfr. TESAURO, La propaganda razzista tra tutela della
dignità umana e danno ad altri, in Riv. it. dir. proc. pen. Il richiamo a
sentimenti ed emozioni intrattiene un legame particolarmente stretto con i
problemi relativi al rapporto tra diritto penale e morale; nella pro- spettiva
liberale l’incriminazione di condotte ritenute contrarie a dettami morali o a
tabù in assenza di veri e propri danni viene motivata, in termini critici,
quale violazione di un sentire. Se da un lato le incriminazioni, o le ipotesi
di incriminazione, di violazioni morali vengono definite criticamente come
offese a sentimen- ti, non bisogna tuttavia inferire frettolosamente la
veridicità dell’eventuale per- corso logico inverso, ossia che anche tutte le
ipotesi di tutela di un particolare sentimento costituiscano delle proiezioni
del più ampio problema della punizione della mera immoralità: sarebbe infatti
una conclusione che pecca di genericità e non consentirebbe di riservare la dovuta
attenzione ai diversi problemi di tutela, anche non meramente ‘moralistici’,
che potrebbero ragionevolmente emergere dietro l’evocazione di un sentimento.
Sul tema della punizione dell’immoralità, in una prospettiva che mette in
dialogo i criteri di legittimazione di matrice euro- peo-continentale e
anglo-americana, v. FIANDACA, Punire la semplice immoralità?
Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 89 in
relazione al problema del paternalismo penale 89. Nella dottrina italiana le
perplessità di fronte a istanze di tutela caratterizzate da una componente
emozionale sono inizialmente formulate in contesti di analisi incentrati su
temi di diritto positivo o di teoria generale del reato, e mantengono un angolo
visuale definibi- le come ‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’.
Risulta particolarmente significativo il richiamo che viene fatto al sentimento
in un autorevole studio sul bene giuridico 90: nell’esporre Un vecchio
interrogativo che tende a riproporsi, a cura di Cadoppi, Lai- cità, valori, e
diritto penale. The Moral Limits of The Criminal Law. In ricordo di Joel
Feinberg, Milano; DE MAGLIE, Punire le condotte immorali?, in Riv. it. dir.
proc. pen., CADOPPI, Paternalismo e diritto penale: cenni introduttivi, in
Criminalia; ID., Liberalismo, paternalismo e diritto penale, a cura di
Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale; CANESTRARI-
FAENZA, Paternalismo penale e libertà individuale: incerti equilibri e nuove
prospettive nella tutela della persona, a cura di Cadoppi, Laicità, valori e
diritto penale; CORNACCHIA, Placing care. Spunti in tema di paternalismo
penale, in Criminalia; PULITANÒ, Paternalismo penale, a cura Forti-
Bertolino-Eusebi, Studi in onore di Romano; ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo
legale e limiti del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.; SPENA, Esiste
il paternalismo penale? Un contributo al dibat- tito sui principi di
criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen. Con riferimento al tema del
potenziamento cognitivo, v. ZANNOTTI, Potenziamento umano: le considerazioni di
un penalista, a cura di Palazzani, Verso la sa- lute perfetta. Enhancement tra
bioetica e biodiritto, Roma. ANGIONI F., Contenuto e funzioni del concetto di
bene giuridico, Milano. Sul tema è d’obbligo il riferimento a BRICOLA, Teoria
generale del reato, in Noviss. dig. it., Torino; v. anche MAZZACUVA, Diritto
penale e Costituzione, a cura di
Insolera-Mazzacuva-Pavarini-Zanotti, Intro- duzione al sistema penale, III ed.,
Torino, 2006, pp. 83 ss. Fra le opere che hanno avuto maggiore rilievo per
l’elaborazione di un concetto di bene giuridico costitu- zionalmente orientato
v. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, cit.: anche in questo caso il
problema nasce dalla problematica fisionomia dell’oggetto di tute- la, il quale
secondo alcune correnti interpretative viene fatto coincidere con un sentimento
soggettivo. Per una panoramica sui differenti sviluppi della teoria del bene
giuridico nei rapporti con la Costituzione, v. FIANDACA, Il bene giuridico come
problema teorico e come criterio di politica criminale, a cura di
Marinucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione, Milano; DONINI, Teoria del
reato. Un’introduzione, Padova; ID., Ragioni e limiti della fondazione del
diritto penale sulla Carta costitu- zionale, in ID., Alla ricerca di un
disegno. Scritti sulle riforme penali in Italia, Padova; per un raffronto con
la giurisprudenza costituzionale, v. PULITANÒ, Bene giuridico e giustizia
costituzionale, a cura di Stile, Bene giu- ridico e riforma della parte
speciale, Napoli.; MANES, Il principio di offensività nel diritto penale.
Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di
ragionevolezza, Torino. Tra sentimenti ed eguale rispetto la problematica
relativa a fattispecie penali che sembrerebbero rivol- gersi esclusivamente
alla tutela di principi etici, si osserva che «con la realizzazione di un fatto
che contrasta con quelle norme etiche si ur- ta in pari tempo, o si può urtare,
contro i sentimenti di quella parte della popolazione che in quei principi
morali crede, o che addirittura attribuisce loro tale rilievo da averne, come
forza politica o culturale organizzata, difesa la conservazione al rango di
valori penali. Offendere valori può significare offendere i sentimenti di chi
crede in quei valori: questa, in sintesi, la motivazione che, secondo Angioni,
sarebbe a fondamento di norme quali, ad esempio, quelle a tutela del pudore e
del sentimento religioso. Il riferimento a sentimenti appare in questo caso
finalizzato a in- centrare il fuoco del disvalore su un bene della persona,
così da poter rinvenire una base di legittimità ancorata a una prospettiva
persona- listica di danno, o comunque non meramente moralistica. Non si tratta
però di una soluzione appagante, in quanto, rileva successiva- mente lo stesso
Autore, resta aperto il problema della necessità e del- la meritevolezza di
pena: la considerazione che l’offesa a un senti- mento sia un criterio di per
sé sufficiente a fondare il ricorso allo strumento penale sembra cozzare contro
un naturale senso di proporzione e di misura. L’argomentazione che Angioni
espone tramite categorie endopenalistiche (principio di proporzione) rimanda in
ultima istanza a ra- gioni che hanno a che fare con valori di fondo della
democrazia libe- rale e con i principi costituzionali: ritenere che l’offesa a
meri senti- menti non sia sufficiente a fondare una criminalizzazione legittima
è l’esito di un ragionamento che assume a presupposto un pacchetto di principi
di ispirazione liberale, laicità ed uguaglianza in primis 93. Ciò mostra come
il discorso sia tutt’altro che limitabile a un piano tecnico-giuridico, ma
investa in pieno la dimensione politica del pro- blema penale, anche in forza
dei profondi nessi che legano, in termini di interdipendenza, la presenza di
oggetti di tutela ad alta pregnanza etica, come i ‘sentimenti’, in rapporto
alla laicità dell’ordinamento. ANGIONI F., Contenuto e funzioni. ANGIONI F.,
Contenuto e funzioni. È stato messo in
evidenza come, soprattutto a partire dagli anni Settanta e Ottanta, la
riflessione sul dover essere del diritto penale si sia fondata non tanto
sull’affinamento di principi ‘endopenalistici’, compreso il c.d. ‘bene
giuridico’, ma piuttosto sul principio di uguaglianza, il quale ha assunto un
ruolo decisivo nel contribuire a delineare i cardini del costituzionalismo
penale: v. DODARO, Ugua- glianza e diritto penale. Dimensione codicistica e
funzione discorsiva della formula 91 Sulla base di questa consapevolezza la
dottrina penalistica si è impegnata in un’opera di reinterpretazione delle
diverse disposizioni del codice Rocco, offrendo un importante contributo al
consolida- mento di un ideale di democrazia penale laica e costituzionalmente
orientata 94. Esempi emblematici sono gli studi sui delitti di religione e sui
rea- ti a tutela del pudore, ad opera rispettivamente di Placido Siracusano e
di Giovanni Fiandaca. Con riferimento ai delitti di religione, Siracusano
sottopone a cri- tica il modello del cosiddetto ‘bene di civiltà’ e del
sentimento religio- so collettivo: «al bene giuridico sentimento religioso
individuale si addice, di regola, una protezione penale dalle caratteristiche
fonda- mentalmente “liberali”; o perlomeno dai tratti più aperti e tolleranti
possibile» 95, tale dunque da attribuirgli un respiro costituzionale che invece
non è riconducibile al paradigma del cosiddetto ‘bene di civil- tà’. L’approdo
finale è di segno abrogazionista, ossia a sostegno di un ordinamento penale che
non contempli fattispecie poste specifica- mente a presidio del sentimento
religioso. Siracusano lascia comun- que intravedere la possibilità che
attraverso un riorientamento in senso personalistico si possa realizzare una
intervento penale compa- tibile con i principi costituzionali, e precisamente
come apertura ver- so qualsiasi ideale di trascendenza, in quanto
manifestazione della coscienza ed espressione della personalità dell’individuo
96. Anche i reati contro la cosiddetta ‘moralità pubblica’ e il comune
sentimento del pudore sono stati oggetto negli anni ’80 di un’analisi che,
orientata a spezzare i legami con l’impostazione del codice, so- stiene una
riconversione in termini personalistici dell’interesse pro- tetto: dalla
moralità pubblica alla riservatezza sessuale di quanti non intendano fruire di
un certo tipo di manifestazioni. Si deve a uno studio di Giovanni Fiandaca la
critica decisiva al moralismo conservatore che impregnava l’universo
applicativo delle fattispecie a tutela del cosiddetto ‘comune sentimento del
pudore’, a sostegno di un cambio di direzione per il rispetto di diritti di
libertà 94 Come autorevolmente osservato, «la laicità del diritto penale
esprime in qualche modo addirittura la sintesi e in un certo senso il
coronamento del costi- tuzionalismo penale essa evoca lo “spirito” più profondo
del costituzionali- smo penale», V. PALAZZO, Laicità del diritto penale e
democrazia sostanziale, SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. SIRACUSANO,
I delitti in materia di religione. Tra sentimenti ed eguale rispetto che
trovano riconoscimento nella Carta costituzionale, e che risulta- vano
compressi dai modelli di intervento del codice Rocco e da orien- tamenti
illiberali della giurisprudenza. Presupposto di fondo è che in una società
liberale e pluralista lo Stato non debba ergersi a tutore della virtù 97. Il
legame col sentimen- to – schermo retorico che ammanta di una patina
personalistica l’impianto di tutela – viene radicalmente confutato: «non
sarebbe suf- ficiente asserire che il danno provocato dai comportamenti
contrari al buon costume consiste nell’“offesa ai sentimenti nel passaggio dal
bene moralità al bene sentimento, il mutamento della dimen- sione qualitativa
dell’oggetto della tutela è appena percepibile: quest’ul- timo finisce infatti
col trasferirsi nel riflesso psicologico di una regola etica di condotta» 98. Sotto
un profilo metodologico l’angolo visuale adottato nei sud- detti studi appare
ancora definibile come ‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’: in
altri termini, la tematizzazione del pro- blema resta incentrata su profili che
attengono precipuamente le scelte di intervento del codice. In questo senso,
l’approccio muove dalla so- luzione normativa, e tende a seguire un percorso
d’analisi che man- tiene come referente primario gli schemi d’intervento
descritti nelle fattispecie di reato. Fulcro dell’interesse è la risposta
normativa; più circoscritto è lo spazio per l’analisi della dimensione
extragiuridica del fenomeno. In tempi più recenti, a partire dagli anni
Duemila, il tema dei sen- timenti è divenuto oggetto di un rinnovato interesse
da parte della dottrina, caratterizzato da mutamenti nell’apparato concettuale
e da una maggior propensione a estendere lo studio a profili extragiuridi- ci.
Si tratta di un ammodernamento che porta a superare lo statico quesito sulla
configurabilità o meno del sentimento come oggetto di tutela, andando a
tematizzare in termini più complessi la questione dell’incidenza dei fattori
emotivi sulle scelte di politica penale, ossia del rilievo della componente
affettiva come elemento che concorre a integrare l’oggetto di tutela anche
senza identificarsi espressamente con esso 99. In questo senso l’orizzonte di
problemi additato dalla formula ‘tu- tela di sentimenti’ viene esteso al di là
degli ambiti tradizionali, favo- rendo una riflessione critica sulla
consistenza di interessi di tutela FIANDACA, Problematica dell’osceno. FIANDACA,
Problematica dell’osceno. Si veda, ad esempio, ALONSO ALAMO, Sentimientos y
derecho penal. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 93
che apparentemente non evidenziano una matrice affettiva, ma che ad uno sguardo
attento rivelano una forte pregnanza emozionale. È emblematico un saggio di
Giovanni Fiandaca dedicato ai rap- porti tra bioetica e diritto penale, nel
quale, definendo criticamente delle innovazioni legislative come riflesso di un
clima sociale e politi- co italiano tendente a una rieticizzazione del diritto,
l’Autore rileva che ai sentimenti e ai fenomeni a essi correlati spetti un
ruolo tut- t’altro che secondario nell’economia del dibattito pubblico e
soprat- tutto nelle scelte di politica del diritto volte a disciplinare i
cosiddetti ambiti ‘eticamente sensibili’. Il terreno della bioetica si trova
infatti a essere soggetto a contrapposizioni fondate su «timori e reazioni emo-
tive che hanno a che fare con la sfera più irrazionale ed oscura di ciascuno,
ossia reazioni di orrore, spavento, raccapriccio, disgusto, definite
dall’Autore «sentimenti e sensazioni»; reazioni emotive che possono indurre un
uso distorto della politica penale tramite divieti assimilabili a mero
palliativo psicologico per i cittadini. La parificazione di istanze di tutela
penale a meri sentimenti è una strategia di critica argomentativa che diverrà
sempre più frequente. Prendiamo ad esempio il discorso sulla dignità umana 102.
Si tratta di un valore caratterizzato da una spiccata componente emozionale che
la rende strumento retorico particolarmente efficace, ma che la 100 FIANDACA,
Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, tra laicità e “post-secolarismo”,
in Riv. it. dir. proc. pen. FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e
diritto penale, cit., p. 554. 102 Ad oggi nel panorama penalistico lo studio
più approfondito è quello di TE- SAURO, Riflessioni in tema di dignità umana,
cit., pp. 89 ss. Il tema della dignità umana come bene penalmente tutelabile è
oggetto di riflessioni critiche in FIAN- DACA, Laicità, danno criminale e
modelli di democrazia, in AA.VV., a cura di Risica- to-La Rosa, Laicità e
multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali; ID., Considerazioni intorno a
bioetica e diritto penale; VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista tra
dignità umana e libertà di espressione, in Jus; più favorevole a un recupero
(tramite un uso accorto e non inflazionistico) del concetto di dignità umana,
PULITANÒ, Etica e politica del diritto penale ad 80 anni dal Codice Rocco, in
Riv. it. dir. proc. pen. Nella dottrina tedesca si veda l’importante saggio di
HASSEMER, Argomentazione con concetti fondamentali. L’esempio della dignità
umana, in Ars interpretandi; profili critici del concetto di dignità in ambito
pe- nalistico sono evidenziati anche in ZIPF, Politica criminale, tr. it.,
Milano. Nel panorama statunitense, per una sintesi del dibattito v. MCCRUDDEN,
Human Dignity and Judicial Interpretation of Human Rights, in The European
Journal of International Law; per una panoramica di taglio più divul- gativo v.
ROSEN, Dignità. Storia e significato, tr. it., Torino. Tra sentimenti ed eguale
rispetto espone contemporaneamente al rischio di tramutarsi in un «bene-
ricettacolo dei sentimenti di panico morale o delle reazioni emotive sgradite
da cui veniamo sopraffatti di fronte a fatti o eventi insoliti o nuovi che
contraddicono modelli morali consolidati ovvero esulano da una radicata
autocomprensione antropologica dell’identità dell’essere umano» 103. Definire
la dignità umana è certo impresa ardua, ma è ragionevole ritenere che tale
valore e il suo universo di significato non debbano es- sere intesi come mero
riflesso di percezioni soggettive (vedi infra, cap. V). Si tratta di un rischio
che trova esemplificazione in una incrimina- zione oggi fortemente discussa,
ossia il divieto di propaganda razzista, definita «norma che si colloca a metà
strada tra ‘tutela penale dei sen- timenti’ e ‘funzione (pedagogico-)promozionale
del diritto penale. Altro interesse che rivela una problematica osmosi con la
dimen- sione affettiva è la cosiddetta ‘sicurezza’, la cui fisionomia è
alquanto nebulosa e rischia di essere intesa come «fonte di obblighi
legislativi di penalizzazione in funzione ansiolitica. Anche dietro il problema
che nel discorso penalistico è stato definito come ‘sicurezza pubblica’ si può
scorgere una matrice emotiva: la paura della criminalità, intesa come emozione
di risposta a una minaccia, reale o semplicemente percepita. Tale argomento è
oggetto di studio soprattutto in ambito criminologico107, nel quale è stato
osservato come la pervasività in ambito collettivo della paura non sia dovuta
tanto alla percezione dei singoli cittadini, ma finisca per essere esito di
un’insicurezza sovente manipolata108 attraverso stereotipi e modelli culturali
che si incardi- FIANDACA, Sul bene giuridico. TESAURO, Riflessioni in tema di
dignità umana, FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., p. 95. 106 Benché non vada
dimenticato che dietro le istanze securitarie mobilitate dalla collettività vi
possono essere, oltre a pretese meramente emotive, anche bi- sogni reali di
tutela, v. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale. Sul tema, in un’ottica
critica riguardante le manifestazioni del trend securitario a partire dagli
anni Duemila, v. CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Cinque riflessioni su
criminalità, società e politica, Milano; HASSEMER, Sicurezza mediante il
diritto penale, tr. it., in Critica del diritto; DONINI, Sicu- rezza e diritto
penale, in Cass. pen., 10/2008, pp. 3558 ss.; PULITANÒ, Sicurezza e di- ritto
penale, in Riv. it. dir. proc. pen.; per uno sguardo d’insie- me v. a cura di
Donini-Pavarini Sicurezza e diritto penale, Bologna. Per tutti, CORNELLI, Paura
e ordine nella modernità. DURANTE, Perché l’attuale discorso politico-pubblico
fa leva sulla paura?, FILOSOFIA POLITICA – non POLITICA FILOSOFICA, Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula 95 nano nelle strutture
istituzionali o che vengono diffuse attraverso i mass media 109, in un processo
di circolarità dove l’insicurezza è al con- tempo motivo di crisi e motore di
legittimazione per le istituzioni 110. Il problema della tutela di sentimenti
ha portato la riflessione penali- stica a meditare anche sugli strumenti
concettuali per lo sviluppo del di- scorso: da un lato la teoria del ‘bene
giuridico’ di matrice continentale, dall’altra lo Harm e l’Offense Principle di
matrice anglo-americana. È emblematico in questo senso un saggio di Massimo
Donini il qua- le evidenzia come anche il ricorso alle categorie
anglo-americane sem- bri deludere aspettative di oggettività delle scelte di
criminalizzazione, in quanto tali categorie «sono spesso definite mediante un
utilizzo ambiguo della categoria dei sentimenti. Troppi sentimenti sia nell’Of-
fense (che si definisce proprio in quanto più sentimentale che dannosa, più
irritante che dolorosa) e sia anche nello Harm, che si fonda pur sempre
(specialmente in Feinberg) sul postulato che la lesione dell’in- teresse
produca un dolore, una sofferenza nel suo titolare. Sullo specifico punto
concernente la tutela di sentimenti la con- clusione dell’Autore è netta: «la
tutela specifica dei sentimenti costituisce un esempio incon- gruo di diritto
penale orientato all’irrazionalità delle funzioni il di- ritto penale non tutela
meri sentimenti anche se talora lo stesso codice penale si esprime in questi
termini, ma tutela la loro obiettivazione in situazioni sociali, in interessi,
in beni giuridici più definiti della percezione soggettiva: tanto che essi
vengono tutelati a prescin- dere dalla prova di quella percezione in capo a un
qualche individuo determinato. La ragione per la quale non è possibile la
tutela di- retta ed esclusiva come oggetto “giuridico”, dei sentimenti, neppure
ovviamente dei sentimenti “morali”, è costituita dal fatto che essi non sono un
oggetto giuridico, e non possono esserlo per carenza di tassa- tività. È
infatti necessario che il sostrato umano fondamentale in cui si sostanziano le
offese e che tocca direttamente la sfera emotiva e morale delle persone, si
ancori a realtà socio normative più afferrabili e gestibili» 112. Così
formulata tale osservazione sembrerebbe fondarsi prevalen- CORNELLI, Paura e
ordine nella modernità. CORNELLI, Paura e ordine nella modernità. DONINI,
“Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. DONINI, “Danno” e
“offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti.Tra sentimenti ed eguale rispetto
temente su ragioni epistemologiche: carenza di tassatività come ‘non
afferrabilità’ e dunque sostanziale ‘non verificabilità’ secondo i prin- cipi
che sovrintendono la responsabilità penale. Diverse le obiezioni avanzate in
dottrina, le quali convergono so- stanzialmente nell’osservare che il pur
ragionevole argomento della non-tassatività dei sentimenti non è decisivo, e
rischia di anticipare troppo con interrogativi sul piano della tipicità che
paiono non offri- re adeguato spazio alla problematica questione dei
bilanciamenti che dovrebbero fondare la legittimazione dei precetti. Si
rischia, insom- ma, di «chiudere la partita prima che cominci. Il monito circa
la carenza di tassatività coglie un aspetto rilevante ma che non pare
sufficiente a escludere in via di principio la legitti- mità di interventi
penali. La questione cruciale è «se e quale tutela [sentimenti ed emozioni]
possano chiedere, a fronte di comporta- menti e manifestazioni espressive del
sentimento di altri, nel contesto di una società aperta. Tirando le fila del
discorso, appare evidente come il mainstream penalistico mostri una sostanziale
diffidenza nei confronti del tessuto emotivo. Si tratta di caveat
condivisibili, ma che riteniamo non deb- bano essere letti, frettolosamente,
come avallo di posizioni ‘veterora- zionalistiche’ che ancora concepiscano in
termini dicotomici i rapporti fra emozioni, sentimenti e diritto penale, o che
intendano negare gli influssi della dimensione affettiva sull’impianto teorico
e prati- co della criminalizzazione. La plausibilità di tali cautele trova una
solida base in studi che hanno evidenziato la possibile inaffidabilità delle
emozioni a causa di contenuti cognitivi falsi, abnormi o più semplicemente
incompatibili con i valori di un ordinamento liberale. Così TESAURO,
Riflessioni in tema di dignità umana; cfr., FIANDA- CA, Sul ruolo delle
emozioni e dei sentimenti. A ben vedere, va ricono- sciuto che l’argomentazione
di Donini sembra andare oltre la questione della me- ra tassatività quando
richiede «che il sostrato umano fondamentale in cui si so- stanziano le offese
e che tocca direttamente la sfera emotiva e morale delle per- sone, si ancori a
realtà socio-normative più afferrabili e gestibili: non solo da par- te della
magistratura, ma prima ancora da parte del legislatore, onde evitare i ri- schi
immanenti di un diritto penale irrazionale». Il richiamo a realtà socio-nor-
mative, e non meramente empirico-fattuali, lascia intendere un disvalore
leggibile non solo in termini di suscettibilità individuale, ma misurabile alla
stregua di va- lori che lo facciano apparire ragionevole e non semplicemente
riflesso di un so- lipsistico puntiglio. PULITANÒ, Introduzione alla parte
speciale. La studiosa che di recente si è impegnata a rivendicare
l’‘intelligenza Dimensione codicistica e funzione discorsiva della
formula 97 Si tratta di prendere atto di una complessità di fondo, riflettendo
su quali siano i contenuti di pensiero che possono rendere l’emozione e il
sentimento interlocutori inaffidabili per il diritto penale, riser- vando però
la dovuta attenzione anche a prospettive differenti, orien- tate a vagliare
anche il potenziale di interazione virtuosa che potreb- be generarsi da un
intelligente ‘ascolto’ delle emozioni e dei senti- menti. Tale ultima istanza
trova oggi riscontro anche nel panorama pena- listico italiano, grazie a
contributi che hanno messo a tema ipoteti- che, auspicabili interazioni fra
diritto penale e dimensione affettiva quale coordinata per una più realistica e
consapevole attenzione al profilo umano delle questioni oggetto di interesse
penalistico. 3.1. Una virtuosa prospettiva di interazione: ‘sentire comune’ e
legittimazione delle norme penali Vi sono opere, di taglio differente, che
fanno espresso riferimento alla dimensione affettiva e al ruolo positivo
dell’emozione e del sen- timento quali elementi di comunanza e quali possibili
vettori di rico- noscimento reciproco fra essere umani; non si tratta si
riflessioni propriamente incentrate sul sentimento come problema di tutela, ma
di profili legati al rapporto fra emozioni, sentimenti, genesi e struttu- ra
dei precetti penali. delle emozioni’, affermandone l’imprescindibile ruolo
anche nelle strategie di politica penale, ha d’altro canto fornito una delle
più approfondite e convin- centi analisi sul potenziale anche negativo che
determinati atteggiamenti emotivi possono assumere in rapporto alla
legiferazione e all’applicazione di norme penali, v. NUSSBAUM, Nascondere
l’umanità, Merita menzione, per quanto sui generis, la posizione espressa
diversi de- cenni fa da Giuseppe Maggiore, la quale, pur derivando da un
retroterra episte- mico ed ideologico profondamente differente dalle
elaborazioni degli autori contemporanei, costituisce nel panorama penalistico
italiano una emblematica af- fermazione del ruolo positivo del sentimento. In
una serrata critica al pensiero che vorrebbe ricondurre il diritto a mero
sillogismo, a puro «congegno di giudizi logici», lo studioso siciliano
rivendica l’importanza di una ‘vocazione affettiva’, di un quid che possa
offrire un senso alla mera logica formale. Ogni mediocre interprete sa bene che
l’applicazione del diritto non si riduce a un accostamento meccanico tra la
legge e il caso concreto: ma che occorre valutare, ossia sentire giuridicamente
la fattispecie – in tutti i suoi lineamenti, in tutte le sue ombre e sfumature
– per ridurla sotto l’impero della norma un giudizio puramente e freddamente
logico può essere iniquo: nel clima della nuda logica il jus può trali- gnare
facilmente in injuria», v. MAGGIORE (si veda), Il sentimento nel diritto, in
Giornale critico della filosofia italiana. Tra sentimenti ed eguale rispetto Ad
esempio, in relazione alle condizioni di osservanza della legge penale si è
definita la forma idealtipica del diritto penale come dirit-to del comune
sentire (declinato rispettivamente in forma di principi e di regole/precetti)
che dovrebbe trovare cioè nei consociati il più alto grado di corrispondenza
ideale, di consonanza soggettiva e dunque di adesione spontanea. Muovendo da presupposti
differenti, si è invece osservato, con ri- ferimento allo specifico ambito
della regolamentazione normativa in materia bioetica, che la ricerca di
risposte normative dovrebbe assu- mere a riferimento anche l’emozione che
scaturisce nei soggetti di fronte a un fatto bioeticamente rilevante. In altri
termini, viene ipo- tizzata una relazione tra la componente emotiva che
caratterizza le scelte individuali e la possibilità che, valorizzando nelle
statuizioni normative elementi fattuali suscettibili di attivare una comune
reatti- vità emozionale, sia possibile addivenire a una maggiore condivisibi-
lità dei precetti. In risposta all’opinione di chi non ritiene che il diritto
penale pos- sa tutelare sentimenti viene obiettato che «non può escludersi che,
quanto meno in materia di bioetica, il diritto penale, se vuole trovare la sua
legittimazione, ben possa, anzi debba, tutelare, in un certo senso, i
sentimenti ed addirittura il sentimento del caso concreto, senza per ciò
trascendere in concezioni soggettivizzanti e sprovvi- ste di sostrato empirico,
ma recuperando, al contrario, insieme alla concretezza, altresì la prospettiva
di un giudizio, se non condiviso, quanto meno diffuso. Nelle linee tracciate da
tali Autori viene attribuita al sentimento la funzione di parametro per
l’‘accreditamento etico’ delle norme penali MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla
luce dei precetti: il lungo cammino del di- ritto penale incontro alla
democrazia, in MAZZUCATO-MARCHETTI, La pena in castigo. Un’analisi critica su
regole e sanzioni, Milano. GIOVINE O., Un diritto penale empatico? Si tratta di
un programma teorico che propone «una rinuncia, pur con tutte le cautele del
caso, a parte della rigidità e della predeterminazione del precetto, per
consentire a quest’ultimo di plasmarsi sul fatto concreto, di valorizzarne le
nuances» Un ango- lo visuale che assume il fenomeno del sentire in una
accezione che potremmo de- finire ‘naturalistico-emozionale’. La funzionalità
del precetto sembra infatti legar- si alla condizione che esso arrivi a
contenere elementi fattuali ad ‘alta carica emo- tiva’: «si porrebbero così le
condizioni perché giochi una empatia che, facendo un punto di forza della sua
natura prosaicamente biologica ed umana, possa svolgere la funzione di
coordinata epistemologica nei suddetti ambiti del penale», v. EAD., Un diritto
penale empatico? GIOVINE, Un diritto penale empatico? Dimensione codicistica e
funzione discorsiva della formula 99 e più in generale per la legittimazione
dell’intervento penale. Tra le due posizioni sussiste però una profonda differenza:
nella prospettiva di Claudia Mazzucato il ‘comune sentire’ pare doversi
intendere in termini normativi, ossia quale richiamo a valori condivisi
modellati su «dati umani, stabili, trasversali, da sempre validi»120; la strada
suggerita da Giovine fa riferimento a un sentire ‘natura- listico’, ossia a un
sostrato di reazioni emotive condivise che dovreb- bero costituire punto di
riferimento per le scelte del legislatore nelle materie eticamente sensibili. A
tali studi va affiancato un importante contributo dedicato al tema delle
ragioni extrapenali della legittimazione della legge penale, il quale, sulla
base di recenti acquisizioni della filosofia morale che evidenziano come le
emozioni siano fra le condizioni della nostra ri- cettività alle considerazioni
razionali e morali, afferma che ogni concretizzazione del giudizio penale,
dalla previsione edittale fino al- la applicazione della sanzione comminata, se
non vuole limitarsi a pretendere la pura «obbedienza degli uomini-bambini»,
debba espri- mere una qualche coerenza rispetto a un tale ‘comune sentire. Vediamo
come anche in questa teorizzazione le emozioni figurino in una veste emancipata
da negatività e irrazionalità, e si propongano nel ruolo di coordinata
epistemica per la ricerca di un terreno di incontro tra la forza motivazionale
del giudizio morale e le ragioni di un’osservanza dei precetti che sia
‘sentita’ e non solo imposta. Il rinnovato, e per certi versi inedito,
interesse che i fenomeni del sentire assumono oggi in diverse branche del sapere
– dalla psicolo- gia, alle neuroscienze, alla filosofia morale – sta avendo
dunque riflessi anche nel pensiero penalistico: la prospettiva di analisi
incen- trata sul sentimento come oggetto di tutela resta tema classico, ma i
suddetti ulteriori spunti rappresentano un’importante base di rifles- sione che
arricchisce, con promettenti intrecci con la dimensione morale, il discorso
sulla legittimazione delle norme penali e sull’os- servanza dei precetti. 120
Così lo definisce MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti, FORTI,
Le ragioni extrapenali, BAGNOLI, Introduction, Bagnoli, Morality and the
Emotions, FORTI, Le ragioni extrapenali, Tra sentimenti ed eguale rispetto 4.
Sinossi Addentrandoci nel microcosmo giuridico, emergono due possibili
accezioni nel significato della formula ‘tutela di sentimenti’: la prima, descrittiva,
concerne il panorama delle disposizioni in cui il senti- mento è espressamente
evocato quale oggetto di tutela; la seconda, connotativa, coincide con l’uso
che della categoria del sentimento viene fatto nel discorso penalistico, ossia
in una funzione prevalentemente critica. L’accezione descrittiva ci conduce
verso l’analisi delle fattispecie codicistiche ed extracodicistiche: un
panorama variegato che con- templa due differenti declinazioni del sentimento.
La prima, del tutto tendente alla ‘depsicologizzazione’, nella quale non
entrano in gioco fenomeni psichici bensì sentimenti-valori; la seconda, più
vicina alla dimensione naturalistica del sentire, si ricollega a fattispecie
come gli ‘atti persecutori’, volte a tutelare la tranquillità psicologica come
bene strumentale rispetto alla libertà di autodeterminazione. Relativamente
all’accezione connotativa e ai discorsi dei giuristi penali, il tema della
tutela di sentimenti ha rappresentato uno dei terreni in cui si è giocata la
sfida culturale per il superamento dei modelli illiberali di incriminazione del
codice Rocco, fungendo in questo senso da ‘trampolino teoretico’ per il
consolidamento dell’in- terpretazione costituzionalmente orientata degli
interessi di tutela penale. Attualmente i rischi di torsioni illiberali
veicolate dall’appello a sentimenti ed emozioni si legano alla incerta
fisionomia di beni e in- teressi caratterizzati da una marcata componente
emozionale (digni- tà, sicurezza). A fronte di tali istanze di tutela il
mainstream penali- stico tende a mantenere una forte diffidenza. Non vanno
tuttavia trascurate anche le prospettive di interazione virtuosa fra dimensione
affettiva e diritto penale, concernenti in par- ticolare il ruolo di sentimenti
ed emozioni nelle dinamiche di adesio- ne e di osservanza del
precetto. FRA DIRITTI ED EMOZIONI: ITINERARI E PROSPETTIVE Tra
sentimenti ed eguale rispetto Sensibilità individuali e libertà di espressione
SENSIBILITÀ INDIVIDUALI E LIBERTÀ DI ESPRESSIONE Espressioni ed emozioni:
prospettive di approccio «Troppo spesso ci capita di dover affrontare dilemmi
postmoderni con un re- pertorio emozionale adatto alle esigenze del
Pleistocene» GOLEMAN D., Intelligenza emotiva: Libertà di espressione e
rispetto reciproco: l’esigenza di nuove pro- spettive di analisi. Approccio
‘naturalistico-emozionale. La prospet- tiva dell’Offense secondo Feinberg.
Approccio razionalistico-normativo: emozioni ragionevoli e irragionevoli
secondo Nussbaum. Libertà di espressione e rispetto reciproco: l’esigenza di
nuo- ve prospettive di analisi Le disposizioni del codice italiano nelle quali
l’oggetto di tutela viene definito in termini di sentimento, pur presentando
affinità sul piano del comune rimando a interessi legati alla sfera affettiva,
pon- gono l’interprete di fronte a questioni eterogenee. I problemi relativi al
sentimento religioso, al pudore, al sentimento nazionale, al comu- ne
sentimento della morale, si collegano a un comune substrato in quanto basati su
conflittualità di tipo espressivo-comunicativo e su forme di offesa
‘immateriali’; appare invece differente il sentimento per gli animali, a tutela
del quale vengono incriminate aggressioni fisiche e maltrattamenti a esseri non
umani. Riteniamo preferibile accantonare per il momento il tema del
sen- Tra sentimenti ed eguale rispetto timento per gli animali e
focalizzare l’attenzione sul retroterra che accomuna i restanti ambiti. Filo
conduttore è il coinvolgimento del piano comunicativo, in un senso non limitato
a espressioni verbali, ma esteso a comportamenti in grado di veicolare
significati1 e di esternare in termini simbolici prese di posizione che vanno a
interagire con aspetti profondamente radicati, potremmo dire ‘costitutivi’,
della personalità individuale e dell’identità morale di un soggetto. Tali
profili rimandano, in ambito giuridico, al tema della libertà di espressione,
ampiamente dissodato dalla dottrina non solo penalisti- ca 2. Nell’impianto del
codice Rocco, limiti alla libertà di espressione sono posti in primo luogo a
tutela di interessi dello Stato, mentre i risvolti personalistici dei conflitti
limitati al piano comunicativo trovano formale riconoscimento esclusivamente
nelle disposizioni sull’ingiuria oggi abrogata e sulla diffamazione: le uniche
collocate nel titolo dei reati contro la persona. Al di là delle etichette
legislative e della voluntas del legislatore, dietro reati come quelli contro
il senti- Sull’equiparazione fra condotte verbali ed espressioni fondate sul
valore simbolico dei comportamenti, v. BERGER, Symbolic conduct and freedom of
speech, in Russel, Freedom, Rights and Pornography. Berger, Amsterdam. Adotta
tale impostazione nella recente letteratura sulla libertà di espressione BROWN
A., Hate Speech Law. A Philosophical Examination, New York Nel panorama
italiano si sofferma su tale di- stinzione STRADELLA, La libertà di espressione
politico-simbolica e i suoi limiti: tra teorie e prassi, Torino. Fra gli
scritti più significativi di taglio generale, provenienti, relativamente al
contesto italiano, dall’ambito costituzionalistico, v. ESPOSITO, La libertà di
manife- stazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano; BARILE,
Libertà di mani- festazione del pensiero, Milano; GIOVINE A., I confini della
libertà di manife- stazione del pensiero. Linee di riflessione teorica e
profili di diritto comparato come premessa a uno studio sui reati d’opinione,
Milano; PALADIN, Libertà di pensiero e libertà d’informazione: le problematiche
attuali, in Quaderni costituzionali; PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I
discorsi di odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale,
penalecontemporaneo.it; CARUSO, La libertà di espressione in azione. Contributo
a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Bologna; fra i penalisti, v.
BETTIOL, Sui limiti penalistici alla libertà di manife- stazione del pensiero,
in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero, Padova.; NUVOLONE, Il problema
dei limiti della libertà di pensiero nella prospettiva logica dell’ordinamento,
in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero; FIORE, I reati d’opinione,
Milano; PULITANÒ, Libertà di pensiero e pensieri cattivi, in Quale giustizia?;
ALESIANI, I reati di opinione, cit.; SPENA, Libertà di espressione e reati di
opinione, in Riv. it. dir. proc. pen.; VISCON- TI C., Aspetti penalistici, cit.
Si vedano inoltre, quale contributo collettaneo più re- cente, gli Atti del IV
Convegno dell’Associazione Professori di Diritto Penale dedica- to al tema ‘La
criminalizzazione del dissenso: legittimazione e limiti’, pubblicati in Riv.
it. dir. proc. pen. Sensibilità individuali e libertà di espressione 105 mento
religioso e contro la moralità pubblica sono in gioco fenomeni relativi
all’universo interiore dell’individuo, alla sfera del sentire co- me nucleo da
proteggere in positivo e in negativo, ossia favorendone la ‘fioritura’ e la
libera espressione, e anche, eventualmente, preser- vandolo da forme di offesa.
Ci sembra che il rispetto della reciproca sensibilità in rapporto a contenuti espressivi
in grado di offenderla rappresenti il problema che con maggiore immediatezza
logico-comunicativa può identificar- si anche come ‘tutela di sentimenti’. Le
questioni che possono celarsi dietro il richiamo a stati affettivi sono
molteplici, ma i rapporti tra forme di espressione e sensibilità soggettive
sembrano costituire oggi una priorità nell’agenda penalistica. A suggerire un
attento sguardo alle ‘guerre per la libertà di espressione è soprattutto
l’importanza nello scenario socio-politico con- temporaneo, il quale rivela
un’inedita complessità derivante dalla consistenza pluralista della società
occidentale, anche di quella ita- liana. È cresciuta la diversità sul piano
quantitativo e parallelamente sono aumentate le sensibilità, incrementando la
possibilità di attriti e portando a emersione, quale riflesso di difficoltà di
integrazione in rapporto agli ingenti flussi migratori, una conflittualità
fortemente radicalizzata in senso identitario4 e minacciata dal rischio del
fon- damentalismo: «l’esperienza comune della diversità e tanto più la
comparazione cul- turale specialistica mostrano che i modi stessi della
sensazione e i ri- sultati della sensibilità sono variabili da cultura a
cultura e all’interno stesso di società complesse, fino ai modi e ai risultati
delle sensibilità individuali, così importanti nella cultura occidentale
moderna» 5. Si è detto che è difficile trovare un argomento su cui si registri
un accordo maggiore di quello relativo alla libertà di espressione, almeno
finché non ci mette mano la ricerca della saggezza»6. Nella SULLIVAN, Free
Speech Wars, in 48 SMU Law Review. Sul problema vedi MANCINA, Laicità e
politica. Prove di ragione pubblica, a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e
multiculturalismo. Per una critica alle tendenze identitarie e al concetto di
identità, definita ‘parola avve- lenata’, v. REMOTTI, L’ossessione identitaria,
Roma-Bari. ANGIONI G., Fare, dire, sentire. L’identico e il diverso nelle
culture, Nuoro, BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Nel tempo del terrore:
un’indagine su quanto le parole mettono in gioco, Milano. Tra sentimenti ed
eguale rispetto prospettiva delineata dal filosofo Ermanno Bencivenga tale
ricerca coincide con una paziente opera di analisi filosofica che allontani lo
spettro dei luoghi comuni, nella consapevolezza di non poter risolve- re i
problemi con sentenze o ricette. Per quanto il giurista senta l’onere di
fornire una prestazione in- tellettuale che in qualche modo si identifichi in
una ‘sentenza’ o in una ‘ricetta’, intese come proposte ‘risolutive’, riteniamo
che in rela- zione ai problemi in esame tale ambizione debba essere accompagna-
ta dalla consapevolezza del carattere contingente e parziale delle risposte che
potranno essere eventualmente avanzate8. Non vi sono rimedi taumaturgici e
indolori: se un atteggiamento di tipo repressi- vo potrebbe portare a
comprimere un diritto essenziale delle demo- crazie contemporanee, la
prospettiva opposta di evitare una regola- mentazione lascia aperta la
possibilità di ricadute comunque pro- blematiche. Condividiamo quanto osservato
da attenta dottrina, ossia che per rapportarsi a tali problemi occorra mettere
da parte l’ambizione di elaborare criteri di selezione del penalmente rilevante
di tipo assio- matico-deduttivo, e vada pertanto considerato se «l’approccio
tradi- zionale possa risultare decisivo nel circuito comunicativo delle de-
mocrazie contemporanee; oppure se non vada piuttosto ricalibrato, rivisto, o
quantomeno accompagnato da analisi e valutazioni che si facciano seriamente carico
della complessità culturale, sociale e poli- tica dei contesti locali e globali
in cui risultiamo oggi calati» 9. In altri termini, il tema dei conflitti in
materia di libertà di espres- sione è un significativo banco di prova che
impegna a rendersi fauto- ri di «una scienza non già autoreferenzialmente
chiusa nel giuoco elegante di una dogmatica formalistica, bensì intenzionata a
prende- re in qualche modo posizione sul merito contenutistico delle questio-
ni spinose che il tempo presente prospetta BENCIVENGA, Prendiamola con
filosofia. Parla di carattere ‘contestuale’ ROIG, Libertà di espressione,
discorsi d’odio, soggetti vulnerabili: paradigmi e nuove frontiere, in Ars
interpretandi, VISCONTI C., Aspetti penalistici. FIANDACA, Aspetti problematici
del rapporto tra diritto penale e democrazia, in Foro it. Afferma la necessità
di un’analisi calata nel contesto socio- politico BOGNETTI, La libertà di
espressione nella giurisprudenza americana. Con- tributo allo studio dei
processi dell’interpretazione giuridica, Milano; cfr. da ultimo ROIG, Libertà
di espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabili. Sia consentito il rinvio
a BACCO, Dalla dignità all’eguale rispetto: Sensibilità individuali e
libertà di espressione 107 Riteniamo che occorra dunque provare a immaginare
nuovi per- corsi, mettendo in conto l’irriducibile ‘politicità’ del tema, la
quale mette a disagio il giurista che ancora oggi coltivi l’ambizione illusoria
di riuscire a concepire proposte e modelli di interpretazione asseritamente
neutrali e avalutativi. È ricorrente in sede teorica prendere le mosse
dall’interrogativo sul perché la libertà di espressione sia importante. Il
livello di reattività emozionale, e purtroppo anche di violenza fisica, che
hanno caratterizzato alcuni recenti episodi nel contesto eu- ropeo11,
suggeriscono di affrontare il tema attraverso prospettive di analisi che non si
limitino a una, pur problematica, riflessione su norme e principi. La
complessità dei problemi esige un avvicinamento anche al sub- strato umano dei
conflitti e dunque alle emozioni e ai sentimenti che si agitano sullo sfondo e
che sono di fatto i vettori di senso che concor- rono a guidare le preferenze e
le scelte degli individui, e dunque la loro posizionalità assiologica 13: un
discorso che vale non solo per i destina- tari di espressioni avvertite come
offensive, ma che è funzionale a in- quadrare e definire anche la posizione di
chi esprime un pensiero14. libertà di espressione e limiti penalistici, in
Quaderni costituzionali. Su tutti, i violenti disordini seguiti alla
pubblicazione di vignette satiriche sulla religione musulmana in Danimarca, e
il tragico attentato contro il settima- nale francese Charlie Hebdo, colpevole,
agli occhi dei fondamentalisti, di aver pubblicato vignette blasfeme sull’Islam.
Il piano prettamente giuridico, ossia il riconoscimento di libertà nelle Carte
costituzionali nazionali e in fonti sovranazionali, rappresenta una premessa
del problema; né del resto sembra essere risolutivo l’appello a teorizzazioni
classiche, come quella milliana, il cui pur apprezzabile ottimismo di fondo
dalle coloriture utilitaristiche appare oggi forse troppo irenistico. Ci
riferiamo all’obiezione di fondo con cui Mill critica la prospettiva di limiti
alla libertà di espressione, ossia che la compressione della libertà
limiterebbe la circolazione di eventuali verità che potrebbero arricchire il
patrimonio intellettuale di un popolo, v. MILL, Sulla libertà, tr. it., a cura
di Mollica, Milano. Traggo questo concetto dalla teorizzazione fenomenologica
di MONTICELLI (si veda): definito il sentimento come disposizione del sentire
che comporta un consentire più o meno profondo all’essere di ciò che la
suscita, v. MONTICELLI, L’ordine del cuore, è importante a nostro avviso legare
tale concetto al tema della posizionalità, per evidenziare come l’atto del
consentire e dell’espri- mere rappresenti una presa di posizione nella quale la
persona è coinvolta in quanto soggetto, v. DE MONTICELLI, La novità di ognuno.
Persona e libertà, Milano. Non può essere condiviso l’assunto secondo cui la
caratterizzazione di un’espressione di critica in termini affettivo-emozionali
la renderebbe per ciò solo Tra sentimenti ed eguale rispetto Anche in
tempi in cui la considerazione della dimensione emotiva non poteva avvalersi
degli studi che oggi ne affermano la rilevanza nelle scelte decisionali, e che
ne riabilitano in buona parte anche la salienza morale, nella dottrina
penalistica italiana fu osservato che «è il senti- mento, l’atteggiamento di
adesione o indifferenza per questo o quel valore, e non la ragione raziocinante
che di per sé è uno strumento “neu- tro”, a indicare all’azione i suoi
possibili scopi e modi, e in tal modo addirittura a caratterizzare diverse
forme di civiltà. L’atteggiamento dominante della dottrina penalistica esorta
con- divisibilmente alla cautela quando si tratta di valutare input di politi-
ca del diritto che rivelano una componente emotiva. Ciò non significa cadere
nell’eccesso opposto, ossia immaginare o ipotizzare un diritto penale sordo e
cieco rispetto a qualsivoglia istanza di matrice emoti- va: un ideale ben poco
plausibile, poiché la risposta penalistica è ne- cessariamente anche una
risposta a emozioni che si legano inevita- bilmente ai fatti di vita su cui il
diritto interviene, e dovrebbe in que- sto senso cercare di acquisire una
«capacità di rispettoso governo del- le emozioni e dei sentimenti, come tale
autenticamente liberale, ossia costantemente sostenuta dalla consapevolezza di
come lo stesso si- stema di regolazione debba rassegnarsi, ma anche trarre
vantaggio, da questa sorta di “passività buona”» 16. Da ciò la rilevanza, in
primo luogo per la riflessione teorica, delle risonanze emozionali che
trapelano dai conflitti interrelazionali, fra cui anche quelli legati alla libertà
di espressione. L’obiettivo non è assecondare ciecamente le pretese di una
delle incompatibile con una vera manifestazione del pensiero; tale posizione è
esplicitata in NUVOLONE, Reati di stampa, Milano, poiché critica significa
dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui, sarà estraneo
all’at- tività critica ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato da una
mera animosità personale, e che trovi, pertanto, la sua base in un’avversione
di caratte- re sentimentale e non in una contrapposizione di idee». Il problema
divise la dot- trina penalistica: si vedano a sostegno di un’apertura liberale
PULITANÒ, Libertà di pensiero e pensieri cattivi; più recentemente, PELISSERO,
Reato politico e flessibilità delle categorie dogmatiche, Napoli; per
l’opinione opposta v. ZUCCALÀ, Personalità dello Stato, ordine pubblico e
tutela della li- bertà di pensiero, Legge penale e libertà di pensiero, Padova.
Tale distinzione si lega alla categorizzazione fra manifestazioni del pensiero
‘pure’ e forme di sollecitazione all’azione, utilizzata anche dalla Corte
costituzio- nale ad esempio nella sentenza n. 87/1966; per una critica vedi
CARUSO, La libertà di espressione in azione, PULITANÒ, Spunti critici in tema
di vilipendio della religione, in Riv. it. dir. proc. pen. FORTI, Le ragioni
extrapenali. Sensibilità individuali e libertà di espressione parti, bensì riuscire ad avere una migliore
visuale sulle sfumature as- siologiche che ogni singola vicenda lascia
emergere. Come osservato da autorevole dottrina, vi è l’esigenza di «riuscire a
gettare luce al di là del magma dei sentimenti, nel tentativo di trarre da essi
ragioni argomentabili nella discussione pubblica e nel dibattito politico cri-
minale. Riteniamo che affrontare problemi concernenti la libertà di espres-
sione anche attraverso una ragionevole attenzione alla dimensione affettiva,
possa arricchire i contenuti del dibattito. In primo luogo, un attento sguardo
alle dinamiche emozionali porta a non perdere di vista la dimensione
socio-antropologica dei conflitti, a non perdersi nel ‘cielo dei concetti’ ma
piuttosto a cercare di indagare le matrici umane del dissenso, le eventuali
cause e i potenziali effetti di una conflittualità che oggi presenta tratti
fortemente degenerati, con pre- occupanti echi che attingono da un inquietante
repertorio di odio e di contrapposizioni. Sul piano della definizione
dell’offesa, guardando i problemi at- traverso la prospettiva dello scontro fra
sensibilità emerge un dato di fondo: non sono coinvolti beni primari quali la
vita, l’integrità fisica o la libertà di autodeterminazione; si attinge un
livello non esiziale ma comunque significativo, poiché dietro un’offesa a
sentimenti si profi- la la possibilità di una sofferenza – in termini di
emozione negativa nel venire a contatto, o anche semplicemente a conoscenza, di
for- me di contrasto o di disapprovazione che hanno ad oggetto idealità,
visioni del mondo, valori. Con le parole si possono toccare corde sen- sibili
dell’animo, quando vengono criticati o irrisi simboli, dogmi nei quali un
individuo si riconosce, anche a prescindere dal fatto che una data espressione
sia rivolta a lui e quando colpisce in modo indistinto una molteplicità di
soggetti accomunati da una credenza. Qual è l’elemento che può legittimare
interventi normativi? È il disagio emozionale soggettivo che scaturisce di
fronte a manifesta- zioni di pensiero che sostengono valori e visioni del mondo
opposte a quella in cui ci si identifica? O l’attenzione va posta su ragioni
ulte- FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale. Giusto il
contrario, dunque, di un uso populistico e meramente retorico dell’appello a
sentimenti ed emozioni, il quale peraltro è assai frequente nel dibattito
pubblico come osserva D’AGOSTINI, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti
nel dibattito pubblico, Torino. Sul concetto di ‘polarità’ delle emozioni, o
‘valenza’, v., ex plurimis, TERONI, Più o meno: emozioni e valenza, a cura di
Tappolet-Teroni-Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima, Tra sentimenti ed eguale
rispetto riori che non hanno un’univoca corrispondenza con il contenuto co-
gnitivo delle reazioni emotive suscitate? Le risposte a tali interrogativi
possono condurre ad approcci pro- fondamente diversi, sintetizzabili a nostro
avviso in forme paradigmatiche: da un lato un modello di intervento giuridico
che potrem- mo definire ‘naturalistico-emozionale’, e dall’altra un modello
razionalistico-normativo. Nel primo caso il sentire individuale è preso in
considerazione nella dimensione fisico-naturalistica, come coefficiente di
reattività psichica nelle interazioni relazionali e dunque come problema di so-
glie di sensibilità soggettiva da verificarsi sul piano empirico, secondo
un’impostazione che individua il bene finale nella tranquillità emotiva della
persona. L’approccio alternativo, ossia il modello ‘razionalistico-normativo’,
cerca di identificare, attraverso le emozioni manifestate e i sen- timenti
chiamati in gioco, istanze e rivendicazioni che possano essere tradotte in
concetti razionalmente e normativamente filtrati, e valuta- te dunque in
rapporto a cornici assiologiche di riferimento 20. In altri termini,
l’approccio ‘razionalistico-normativo’ si propone di inquadrare i problemi in
una prospettiva nella quale la dimensione pret- tamente emozionale costituisce
elemento da tradurre in un contesto Utilizzo il concetto di modello-paradigma
nell’accezione di SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali. Si
tratta di modelli di approccio che evocano alla memoria del penalista soluzioni
metodologiche e interpretative elaborate in relazione all’inquadra- mento
dell’interesse protetto nella tutela penale dell’onore: le concezioni ‘fattua-
le’ e ‘normativa’. La prima configura l’onore come sentimento individuale, o,
in riferimento alle condotte di diffamazione, come elemento sociopsicologico su
base collettiva; secondo la concezione normativa, cui possono affiancarsi le
successive rielaborazioni in chiave di concezione ‘mista’, l’onore è da
intendersi come riflesso del valore dell’individuo in quanto tale, ossia come
proiezione del- la dignità umana. Nel discorso penalistico sull’onore emergono
in nuce que- stioni di fondamentale importanza: il rapporto tra dimensione
fattuale e proie- zione normativa dello stato psicologico associabile al
concetto di onore non è altro che la ricaduta settoriale di un nodo
problematico che ricorre di fronte a ogni tipo di sentimento evocato dal
diritto come oggetto di tutela. Nella dottri- na italiana, ex plurimis, MUSCO,
Bene giuridico e tutela dell’onore; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della
tutela penale dell’onore, Verso un nuovo codice penale. Itinerari, problemi,
prospettive, Milano; GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento
penale. Contributo a una riforma dei delitti contro l’onore, Roma; per
un’originale riela- borazione del tema, v. TESAURO, La diffamazione come reato
debole e incerto, Torino. Sensibilità individuali e libertà di espressione di
diritti di libertà e doveri di rispetto, con tutte le complessità che ne
discendono in termini di bilanciamento. Esporremo i tratti salienti di tali
modelli sulla base del pensiero di due autorevoli studiosi che hanno a nostro
avviso contribuito a mostrarne le coordinate fondamentali. 2. Approccio
‘naturalistico-emozionale’ Intendiamo come ‘naturalistico-emozionale’ un
modello di inter- vento che assuma a riferimento primario la dimensione
naturalistica del sentire, identificata in manifestazioni di reattività emotiva
cui il diritto attribuisca rilevanza tramite la costruzione di precetti fondati
su eventi di tipo psichico. Una simile prospettiva, nel caso sia volta a
preservare la sfera psi- cologica degli individui da turbamenti emotivi dovuti
alla semplice cognizione o al contatto ravvicinato con esternazioni di
opinioni, comunicazione di contenuti di pensiero o più in generale con atteg-
giamenti che suscitino contrasto fra sostenitori di visioni del mondo diverse,
appare un’opzione fortemente problematica, e con buona probabilità
impraticabile. Obiettare la mancanza di un’offesa significativa dal punto di
vista penalistico è però un argomento non decisivo se si apre la riflessione
alle concettualizzazioni di matrice anglo-americana dei cosiddetti Harm
Principle e Offense Principle 21: da questo punto di vista non è af- 21
Constatata la crisi del cosiddetto ‘bene giuridico’, anche nella dottrina
italiana si è fatto sempre più concreto l’interesse per le categorie dello Harm
e dell’Offense, ricostruite soprattutto sulla base del pensiero di Feinberg.
Nella letteratura italiana il pensiero di Feinberg è stato fra i temi
privilegiati di recenti studi collettanei dedicati al tema della legittimazione
del diritto penale: v. a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del
diritto penale, cit.; a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale,
cit.; si veda lo studio monografico di FRANCOLINI, Ab- bandonare il bene
giuridico? Una prospettiva procedurale per la legittimazione del di- ritto
penale, Torino; fra gli articoli in cui si ‘dialoga’ con le categorie
feinberghiane v. CADOPPI, Liberalismo, paternalismo e diritto penale.; ID.,
Presentazione. Principio del danno (Harm Principle) e limiti del diritto
penale, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale, cit.,
pp. VII ss.; FORTI, Principio del danno e legittimazione “personalistica” della
tutela penale, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione
del diritto penale; FIANDACA, Laicità, danno criminale e modelli di democrazia,
in AA.VV., a cura di Ri- sicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili
penali ed extrapenali, cit., pp. 18 ss.; ID., Diritto penale, tipi di morale e
tipi di democrazia, a cura di Fianda- Tra sentimenti ed eguale rispetto
fatto scontato che una tutela di meri sentimenti, o, più propriamente, volta a
evitare emozioni negative, sia estranea all’ambito della penaliz- zazione
legittima, ma si tratta al contrario di un problema aperto. Le categorie del
pensiero giuridico anglo-americano sono partico- larmente efficaci
nell’illustrare la stratificazione di soglie di offesa che possono ipoteticamente
essere addotte per legittimare interventi penali: il discorso è infatti aperto
non solo al danno, lo Harm, ma anche a forme di interferenza con interessi
della persona meno incisive, ossia l’Offense, traducibile come ‘molestia’ 22.
In particolare, è l’Offense Prin- ciple la categoria che meglio si presta a
riassumere il tipo di offese che si legano al contatto sgradito con determinati
atteggiamenti e contenuti espressivi. ca-Francolini, Sulla legittimazione del
diritto penale, cit., pp. 153 ss. DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela
penale dei sentimenti, cit., ROMANO, Danno a sé stessi, pa- ternalismo legale e
limiti del diritto penale, cit.; PULITANÒ, Paternalismo penale, cit.; ID., voce
Offensività del reato (principio di), in Enciclopedia del diritto, Annali VIII,
Milano; DE MAGLIE, Punire le condotte immorali? L’approccio feinberghiano ha
suscitato interesse anche in Germania, per quanto, come espressamente affermato
da Tatiana Hörnle, fino ai primi anni Duemila non sia stato oggetto di
particolari approfondimenti, forse anche, secondo la Hörnle, per la mancata
traduzione dei testi di Feinberg in tedesco, v. HÖRNLE, Offensive Beha- viour
and German Penal Law, in 5 Buffalo Criminal Law Review, anche per una sintetica
analisi delle concettualizzazioni feinberghiane in rapporto al diritto penale
tedesco. 22 Va specificato che l’atteggiamento di maggiore o minore apertura a
principi di legittimazione diversi dallo Harm Principle discende da
pregiudiziali politico- filosofiche: ad esempio, secondo una posizione di
‘liberalismo estremo’ solo il principio del danno (Harm) dovrebbe costituire
criterio legittimo di incrimina- zione. In questo senso la posizione di Joel
Feinberg si presenta più aperta, poiché non esclude che fra le ‘buone ragioni’
vi possano essere criteri complementari allo Harm: è Feinberg, sostanzialmente,
che amplia il discorso al c.d. offense principle, v. CADOPPI, Liberalismo,
paternalismo; cfr. FIANDACA, Diritto pe- nale, tipi di morale, cit., p. 156. 23
Il concetto di Harm di matrice feinberghiana non corrisponde in toto a quel- lo
che ha trovato successivamente applicazione nel sistema statunitense: lo Harm è
stato oggetto di una dilatazione che ha portato ad allargarne lo spettro di
rilevanza, e molti dei problemi collocati da Feinberg nell’Offense sono
ricollocati oggi in una versione più estesa dello Harm; per una sintesi v. DE
MAGLIE, Punire le con- dotte immorali?, cit., pp. 947 ss. Si veda anche infra,
nota 65. Sull’applicazione dello Harm a problemi concernenti la libertà di
espressione v. COHEN, Psychologi- cal Harm and Free Speech on Campus, in 54
Society. Harm e Of- fense non sono incompatibili fra loro, ma come principi di
sistema possono inte- ragire in termini di complementarietà, ossia è possibile
che alcune norme dell’or- dinamento penale si legittimino in nome dello Harm
Principle e altre in norme dell’Offense Principle. Non va peraltro dimenticato
che «I principi compendiano le ragioni morali che possono sostenere le
proibizioni penali [...] servono a circo- Sensibilità individuali e
libertà di espressione 113 Illustriamo tali concetti attraverso un cursorio
richiamo alla più importante elaborazione sul tema, ossia lo studio di Joel
Feinberg dedicato ai limiti morali del diritto penale e in particolare al tema
dell’Offense Principle. La prospettiva dell’Offense secondo Joel Feinberg
Cominciamo da un’importante distinzione: secondo Feinberg quando si parla di
tutela della tranquillità psichica volta a evitare reazioni di disgusto, di
rabbia e altre emozioni negative, bisogna di- stinguere fra molestie in cui vi
è la compresenza di soggetto attivo e vittima, fondate su percezioni di tipo
visivo, uditivo o olfattivo, e altre condotte tali da poter suscitare
sensazioni sgradite pur senza un rap- porto di diretta percezione, ma
semplicemente a seguito della presa di conoscenza. Nel primo caso si tratta della
cosiddette ‘nuisance’, ossia offese ai sensi: nelle ‘mere offensive nuisance’
il torto (wrong) coincide ed è in- scindibile dall’esperienza di percezione
visiva, uditiva, olfattiva o tattile. Nel secondo caso si tratta di forme di
molestia, cosiddette profound offenses’, le quali attingono una sensibilità di
ordine più elevato e sono tali da indurre sofferenza e disagio anche quando non
vi sia percezione sensoriale diretta. Le ‘profound offenses’ si differenziano
dalle nuisances in quanto potrebbero continuare a provocare fastidio anche dopo
l’iniziale presa di conoscenza: esempi addotti da Feinberg sono il voyeurismo,
la propaganda nazista e razzista in generale, le offese a simboli civili e
religiosi, l’oltraggio a cadaveri; una dimen- scrivere l’ambito all’interno del
quale la restrizione della libertà dei consociati è, secondo la concezione che
li sostiene, moralmente legittima: ma non escludono le ulteriori valutazioni di
utilità sociale e di effettiva opportunità che un determina- to legislatore positivo
dovrà compiere prima di decidere se dovrà emanare o meno una norma penale», v.
FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico, cit., p. 78. 24 FEINBERG, The Moral Limits
of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, New York-Oxford, 1985. Una versione in nuce dell’elaborazione feinberghiana
sullo Harm e Offense Principle, precedente alla tetralogia sui limiti morali
del diritto penale, è contenuta in FEINBERG, Filosofia sociale, tr. it., Milano.
It is
experiencing the conduct, not merely knowing about it, that of- fends»,
FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others,
FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others. Tra sentimenti ed eguale
rispetto sione che potremmo definire di ‘sensibilità morale’ nella quale la le-
sione si lega a qualcosa di esterno al soggetto e viene definita ‘pro- fonda’ a
causa del suo impatto su una sensibilità non meramente ‘epidermica’, e che non
dipende dall’effettivo coinvolgimento emotivo di individui determinati. Quanto
all’eventuale rilevanza penale, per Feinberg le profund offenses che non siano
contemporaneamente anche nuisances, ossia commesse in un luogo pubblico e
percepite da soggetti terzi, non do- vrebbero rientrare nell’area di
criminalizzazione legittima coperta dall’Offense Principle. Con un’importante
conseguenza: se le offese a sensibilità di alto livello non vengono realizzate
attraverso condotte in grado di colpire anche la sensibilità di soggetti
presenti, potrebbe escludersi la loro incriminabilità secondo il criterio
dell’Offense, e si dovrebbe far ricorso a principi di legittimazione
differenti, e del tutto distonici rispetto alle prospettive liberali: il
moralismo giuridico 28. In secondo luogo, anche se si interpretasse il pensiero
feinber- ghiano ammettendo che le cosiddette ‘profund offenses’ possano teo-
ricamente costituire oggetto di incriminazione in quanto riconducibi- li
all’Offense Principle, resta il fatto che i criteri di bilanciamento che
Feinberg enuncia come ‘massime di mediazione’ porrebbero un serio ostacolo
all’incriminazione di offese a sensibilità di ‘alto livello’ 29. Fra 27 Per una
sintesi v. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico? È l’opinione di
FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico. Sui rapporti tra Offense Principle e
Harmless Wrongdoing v. FEINBERG, The Moral Limits of Criminal Law, Harmless
Wrongdoing, Oxford; ID., Filosofia sociale. Per una sintesi v. FIANDACA, Punire
la semplice immoralità?MAGLIE, Punire le condotte immorali? FEINBERG, The Moral Limits of
the Criminal Law, vol. II, Offense to Others. Nella teorizzazione feinberghiana il provare
un’emozione negativa non è requisito che esaurisce gli elementi costituitivi
dell’offense: condotte in grado di suscitare nei terzi sensazioni sgradevoli
possono scaturire da attività che fanno parte dell’agire quotidiano di ogni
individuo, attività comprese nella normale vita di relazione, e che tuttavia
possono produrre quelli che sono dei cosiddetti ‘stati mentali sgraditi’. Per
ovviare a possibili eccessi, Feinberg rimarca l’esigenza di elaborare dei
criteri di bilanciamento che operino nel senso di restringere l’ambi- to di
criminalizzazione della molestia. Secondo le ‘massime di mediazione’ da lui
elaborate, va esaminato il limite della cosiddetta seriousness della molestia,
e del- la reasonableness della condotta attiva: in sintesi, la serietà della
molestia dipende dalla sua intensità, dalla durata; dall’estensione; dal grado
di evitabilità (la difficoltà di sottrarsi senza inconvenienti alla situazione
in cui si è assistito alla mole- stia è un parametro per la gravità della
condotta attiva); dalla massima del con- senso, per cui l’assunzione volontaria
del rischio di incorrere nelle condotte di Sensibilità individuali
e libertà di espressione i parametri di selezione vi è infatti quello della
‘ragionevolezza’ del- l’offesa, valutabile attraverso i criteri dell’importanza
che la condotta riveste per l’agente, e dell’eventuale utilità sociale della
condotta stes- sa, con la conseguenza che azioni pur offensive, ma che siano al
con- tempo forme di espressione dell’individuo, potrebbero essere consi- derate
lecite in forza del valore individualistico (importanza per l’agen- te) e
collettivistico (utilità sociale) della condotta 30. In relazione alla
suscettibilità individuale, Feinberg è categorico nel porre un’obiezione alla
tutela di soggetti caratterizzati da un’ab- norme emotività, definendoli
‘cavalli capricciosi’ (skittish horses): quan- to più un soggetto è
emotivamente suscettibile, tanto meno potrà pre- tendere che il diritto penale
assecondi le sue pretese 31. Fin qui la teorizzazione di Feinberg sembrerebbe
sostanzialmente contraria all’incriminazione di condotte che offendano valori e
sensi- bilità di ordine elevato. Se dovessimo proiettare le categorie feinberghiane
nel diritto ita- liano potremmo associare tendenzialmente la c.d. tutela di
‘sentimen- ti-valori’ alle ‘profund offenses’, come offese ad aspetti
concernenti il piano dei valori costitutivi dell’identità morale che attingono
strati profondi e relegano in posizione marginale, anche se forse non del tutto
irrilevante, il profilo della nuisance 33. offense esclude la rilevanza penale
di queste, v. ID., The Moral Limits of the Crimi- nal Law, vol. II, Offense to Others, «no amount of offensiveness in an expressed
opinion can counterbalance the vital social value of allowing unfettered
personal expression», FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, Offense
to Others, FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, Offense to Others. Negli Stati Uniti d’America si è recentemente
sviluppato un dibattito avente ad oggetto la libertà di espressione nei campus
e nei college, in relazione alla sensibi- lità degli studenti e alla
possibilità che un’assoluta deregolamentazione della li- bertà di manifestare
il proprio pensiero si riveli loro pregiudizievole: il tema è no- to come
‘Snowflakes’ (letteralmente ‘fiocchi di neve’, appellativo per gli studenti
sensibili). L’orientamento maggioritario tende a ritenere illegittime eventuali
re- strizioni alla libertà di espressione nei campus, adducendo il fatto che il
plurali- smo delle idee, e il confronto anche aspro, è ciò che deve contribuire
a formare e rafforzare la personalità degli studenti; per una sintesi di tale
posizione v. COHEN, Psychological Harm and Free Speech. Cfr. SPENA, Libertà di
espressione e reati di opinione., il quale richiama le sensibilità di alto
livello quale chiave di lettura dei c.d. reati d’opinione. Il profilo del
turbamento da contatto visivo o comunque fisico assume una rilevanza,
quantomeno sul piano della costruzione del tipo di reato, nel caso degli atti
osceni; per quanto non si richieda la verifica di un disagio concretamente
esperito da qualcuno, la fisionomia del fatto tipico resta basata su
un’esperienza Tra sentimenti ed eguale rispetto Inferire dalle teorie
feinberghiane l’illegittimità tout court di in- criminazioni come ad esempio la
propaganda razzista sarebbe però affrettato: va infatti rimarcato che Feinberg
introduce una deroga espressa (ad hoc amendment) alla sua costruzione teorica
al fine di dare un fondamento di legittimazione alla criminalizzazione di con-
dotte di insulto rivolte a minoranze etniche, razziali, e religiose. Se infatti
in linea di principio egli afferma che fra le massime di media- zione vada
contemplato anche il cosiddetto ‘standard di universalità’, ossia la verifica
che il comportamento offensivo sia ritenuto tale da una considerevole
maggioranza di persone prese a campione dall’in- tera popolazione34, e dunque
che l’offensività non debba essere dedotta dal capriccio di pochi, nondimeno
egli ritiene che vada fatta una deroga nel caso di offese indirizzate a certe
minoranze, cui la mag- gioranza potrebbe restare indifferente ma che, agli
occhi di Feinberg, dovrebbero meritare una rilevanza normativa. Se da un lato
tale eccezione sembra introdurre una falla nella complessiva coerenza
dell’impianto teorico feinberghiano, dall’altro lato la deroga evidenzia come
anche all’interno di posizioni fortemente li- berali sia avvertita l’esigenza
di lasciare aperta la possibilità di limiti a determinate forme e contenuti
espressivi: la motivazione non risiede nell’eventuale turbamento emotivo
(diversamente ricadrebbe nel di- scorso delle nuisance), ma le ragioni sono più
plausibilmente da ricer- carsi sul piano dei principi normativi e, in
particolare, in relazione alle modalità tramite le quali una democrazia
liberale dovrebbe tutelare le minoranze in una cornice di uguaglianza
sostanziale. Appare evidente che la partita decisiva si gioca su valori; sia il
principio dello Harm, sia il principio dell’Offense, non possono fare
affidamento una base oggettiva e neutrale al punto da poter prescin- dere da
una preliminare scelta assiologica su quali siano gli interessi la cui lesione
deve essere considerata rilevante 36 e soprattutto su co- visiva, e che dunque
richiede un contatto fra soggetti e non può limitarsi alla semplice presa di
conoscenza. FEINBERG, The
Moral Limits of the Criminal Law, Offense to Others. Per un’attenta critica v. MANIACI, Come interpretare
il principio del danno, Ragion pratica. FORTI, Per una discussione sui limiti
morali del diritto penale, tra visioni “liberali” e paternalismi giuridici, in
AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci; sulla
componente valoriale del concetto di danno cfr. FIANDACA, Punire la semplice
immoralità? Un vecchio interrogativo che tende a ri- proporsi, in AA.VV., a
cura di Cadoppi, Laicità, valori, diritto penale. Sensibilità individuali e
libertà di espressione 117 me debbano essere bilanciate le opposte pretese.
Nell’impostazione feinberghiana, comunque incentrata su aspetti di sensibilità
soggetti- va, tale ruolo è svolto, come detto, dalle c.d. ‘massime di mediazione’;
va però osservato che dopo Feinberg l’evoluzione dell’Offense Principle sarà
caratterizzato da un processo di depsicologizzazione, il quale conduce a
definizioni normativamente più pregnanti, per quanto ancor problematiche, come
ad esempio quella proposta da Hirsch. Tirando le fila del discorso, un
approccio puramente naturalisti- co-emozionale al problema della tutela di
sentimenti appare difficilmente praticabile poiché finirebbe per incrementare
la conflittualità. Secondariamente, anche le declinazioni a nostro avviso più
vicine all’approccio naturalistico rivelano l’ineludibilità di un filtro norma-
tivo delle pretese, volto a distinguere fra atteggiamenti ragionevoli e
irragionevoli secondo una prospettiva di tollerabilità sociale. Il passaggio al
piano di una considerazione delle emozioni e dei sentimenti da un punto di
vista normativo è dunque inevitabile, così come è ine- vitabile far confluire
le diverse istanze in una prospettiva di bilan- ciamento. Tale esigenza viene
approfondita in particolar modo da Nussbaum, e proprio a partire dalle sue
elaborazioni cercheremo di illustrare le coordinate di un approccio
alternativo. HIRSCH, The
Offence Principle in Criminal Law: Affront to Sensibility or Wrongdoing?, in 11
King’s Law Journal. Il correttivo
adottato da Hirsch – il quale ritiene che, inteso come ‘affront to
sensibility’, l’Offense Principle sia troppo espansivo – consiste nel valutare
la condotta ritenuta offensiva sia secondo parametri di adeguatezza sociale,
sia soprattutto includendo nel giudizio il principio morale del reciproco
rispetto: «All three reasons invoke convention to give social meaning to the
conduct, but entail a further reason of a moral kind, concerned with treating
others with proper respect»; v anche ID., I concetti di “danno” e “molestia”
come criteri politico-criminali nell’ambito della dottrina pena- listica
angloamericana, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini. Nel complesso,
l’Offense feinberghiana è stata sottoposta a un graduale processo di
depsicologizzazione che ne ha ridotto in buona parte il divario con lo Harm;
osserva icasticamente HÖRNLE, Offensive Behaviour and German Penal Law, che «If
one does not view offense to others as a psychological phenomenon, as does
Feinberg, but as a normative concept, the conceptual difference between harm
and offense disappears. Tra sentimenti ed eguale rispetto 3. Approccio
‘razionalistico-normativo’: emozioni ragionevoli e irragionevoli secondo Martha
Nussbaum Definiamo ‘razionalistico-normativo’ un approccio teorico che su-
bordini la rilevanza giuridica di atteggiamenti emotivi e di fatti di
sentimento alla valutazione dei relativi contenuti cognitivi, e in parti-
colare alla verifica dell’adeguatezza del giudizio di valore alla base
dell’atteggiamento emozionale, intesa come consonanza o compatibi- lità
rispetto a principi base della convivenza. Martha Nussbaum assume come
presupposto l’innegabile rilevan- za del fattore emozionale nel diritto e nelle
questioni di etica pubbli- ca, sostenendo la necessità di un ‘buon uso’ delle
emozioni, non di un avallo acritico, alla luce di ragioni che si intrecciano
con profili di psicologia sociale e con valori di fondo connessi ai sistemi
politici e ai modelli di democrazia. Per ora ci limitiamo a sintetizzare il
cuore della prospettiva politi- co-normativa della Nussbaum, al fine di
evidenziare come, rispetto alla teorizzazione di Feinberg, la componente
sensoriale-emotiva ri- sulti decisamente in secondo piano. L’obiettivo che
emerge dalle ope- re della Nussbaum è l’educazione dei legislatori e dei
giudici a un ascolto critico e consapevole delle emozioni individuali e collettive,
finalizzato a gettare luce sul riconoscimento di diritti e a non asse- condare
atteggiamenti fondati su generalizzazioni e stereotipi di- scriminatori che
collidono con i valori di una democrazia liberale. Secondo la Nussbaum,
l’emozione ha un ruolo rilevante nella for- mazione delle opinioni e dei
giudizi dell’individuo, non è un moto cieco e irriflesso ma implica credenze
che possono essere più o meno attendibili o ragionevoli. È fondamentale inter-
rogarsi sui contenuti di pensiero alla base delle emozioni per poter maturare
un atteggiamento selettivo sul piano giuridico: «[i] giudizi sulle credenze
valutative sono essenziali per il ruolo giocato dalle emozioni nel diritto»38.
Conseguentemente, l’etica pubblica non do- vrebbe essere fondata su una matrice
puramente emotiva: risulta es- senziale un filtro normativo, ossia un passaggio
di confronto fra l’emozione in senso psicologico, i fondamenti cognitivi e
un’assiologia [H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE] di riferimento. È
emblematico il caso di un’emozione particolarmente radicata nelle società umane
come il disgusto, il quale nella sua dimensione primaria ha la funzione di
proteggere l’essere umano da fattori con- 38 NUSSBAUM, Nascondere
l’umanità, cit., p. 53. Sensibilità individuali e libertà di espressione
119 taminanti, rappresentando un fondamentale strumento di sopravvi- venza in
rapporto a un’importante sfida adattiva 39: quella di evitare il contatto con
sostanze pericolose o nocive per la salute, stando ad esempio lontano da corpi in
decomposizione, non abbeverandosi o nutrendosi da fonti di potenziali malattie
et similia. Il disgusto esiste per condurre l’essere umano a un approccio se-
lettivo, la cui traiettoria era, in origine, rivolta a oggetti cosiddetti ‘pri-
mari’ (sangue, feci, sperma, urina, muco, cadaveri), e che con l’evolu- zione
dei contesti culturali e delle norme sociali ha subìto un riadat- tamento in
termini di proiezione40. Si parla di disgusto ‘proiettivo’ per indicare il caso
in cui tale emozione si rivolga a individui o a gruppi di individui in virtù di
un’associazione immaginativa deter- minata da norme sociali o dallo stretto
contatto del gruppo con og- getti ‘primari’ del disgusto 41. In questo modo
esso rischia di farsi por- tatore di una carica discriminatoria poiché si lega
a idee di contami- nazione e a un rifiuto dell’animalità (e dunque della
limitatezza e del- la mortalità) umana che conduce all’emarginazione e alla
stigmatiz- zazione di ciò che può essere percepito come anomalo o ‘diverso’42,
fino all’avversione verso soggetti riconducibili a cosiddetti ‘gruppi
impopolari’ (minoranze razziali, ebrei, omosessuali, ecc.). Le riflessioni di
Martha Nussbaum rappresentano un’importante coordinata riguardo al problema
della tutela di sentimenti, per quan- to vadano fatte alcune precisazioni:
l’oggetto principale delle analisi della studiosa sono gli atteggiamenti
emozionali collettivi e i loro riflessi sul piano delle scelte di politica del
diritto e, in particolare, di politica penale. In che termini tali indicazioni
possono essere utiliz- 39 HAIDT, Menti tribali.Come osservano gli antropologi
Sperber e Hirschfeld, citati da Haidt, bisogna distinguere tra fattori di
attivazione originari, ossia gli oggetti per i quali la funzione adattiva è
stata progettata dall’evoluzione, e fattori scatenanti che possono accidentalmente
attivare quella reazione, anche in assenza di pericoli reali, in forza di
percezioni erronee dovute a distorsioni sensoriali o a condizionamenti
socio-culturali. Osserva Haidt che le variazioni cultu- rali della morale si
possono in parte spiegare con il fatto che le culture sono in grado di ridurre
o moltiplicare il numero di fattori scatenanti attuali di un qual- siasi
modulo», v. HAIDT, Menti tribali. NUSSBAUM, Disgusto e umanità. NUSSBAUM,
Nascondere l’umanità. Per una diversa opinione, volta a sottolineare aspetti in
relazione ai quali l’emozione del disgusto può risul- tare importante nel
giudizio morale e, secondo gli esempi riportati dall’Autore, anche nelle
dinamiche del giudizio penale, v. KAHAN, The Progressive Appropria- tion of
Disgust, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law. Tra sentimenti ed
eguale rispetto zate relativamente ai problemi concernenti la libertà di
espressione e il rispetto dei sentimenti altrui? Il suggerimento traibile dalle
riflessioni della Nussbaum concerne l’esigenza di verificare in quale misura
eventuali richieste di tutela per un dato sentimento trovino la propria matrice
in atteggiamenti che, ad un’attenta valutazione sul piano cognitivo-razionale,
rivelano una tendenza al rifiuto dell’altro, e dunque una portata sostanzial-
mente discriminatoria. Ci sembra un avvertimento quantomeno opportuno e ben
spendi- bile in rapporto alle odierne politiche penali, in cui l’ascolto di
emo- zioni collettive si è talvolta rivelato strumentale all’emanazione di
provvedimenti volti a raccogliere consenso43, senza valutare, o me- glio
omettendo talvolta volutamente di considerare, se e in che misu- ra certe
emozioni siano il riflesso di atteggiamenti che una democra- zia basata su
libertà e uguaglianza non dovrebbe assecondare. Il punto nodale per addivenire
a un modello di intervento orientato in termini non puramente emozionali è la
previa ‘interpretazione’ delle dimensioni di significato di determinante
emozioni e sentimen- ti, da considerarsi dunque non nella loro ‘bruta’
naturalità, bensì soppesandone la rilevanza soggettiva e sociale, e
bilanciandola con un sistema di diritti di libertà il quale è a sua volta il
precipitato di scelte di valore. La questione dell’orizzonte assiologico cui
fare riferimento è cen- trale sia per inquadrare la fisionomia del modello
normativo sia per il successivo sviluppo del discorso concernente gli equilibri
relativi ai rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di espressione.
43 Il problema rimanda al tema del cosiddetto ‘populismo penale’: per una pa-
noramica v. PULITANÒ, Populismi e penale. Sull’attuale situazione spirituale
della giustizia penale, in Criminalia, 2013, pp. 125 ss.; FIANDACA, Populismo
politico e populismo giudiziario, in Criminalia. Sensibilità individuali e
libertà di espressione SEZIONE II Coordinate assiologiche «Quando sento parlare
di idee liberali mi meraviglio sempre di come gli uo- mini giochino volentieri
con parole vuote: un’idea non può essere liberale! Deve essere vigorosa,
efficace, in sé compiuta, in modo da adempiere alla sua divina missione di
riuscire feconda. Ancor meno può essere liberale il concetto; infatti ha un
compito completamente diverso» GOETHE Massime e riflessioni. Non possiamo mai
né atteggiarci a difensori radicali del multiculturalismo o
dell’individualismo, né essere semplicemente comunitaristi o liberali,
modernisti o postmodernisti; dobbiamo essere, al contrario, ora una cosa ora
l’altra, a secon- da delle circostanze legate alla ricerca dell’equilibrio WALZER
Sulla tolleranza. E NON ABBIAMO CIASCUNO LO STESSO SENTIMENTO? PIRANDELLO (si
veda), Il fu Mattia Pascal SOMMARIO: 4. Orizzonte costituzionale e spazio della
politica. Dialettica fra prospettive individualiste e collettiviste. Dai valori
collettivi all’individualismo democratico. Sentimenti ed emozioni come richiamo
metonimico’e personologico. Orizzonte costituzionale e spazio della politica Il
modello ‘razionalistico-normativo’ appare quello più funzionale allo sviluppo
delle nostre riflessioni, e pone in primo piano la que- stione di quali debbano
essere gli assunti valoriali e i principi-guida in rapporto ai quali valutare
se determinati ‘sentimenti-valori’ possa- no ragionevolmente accreditarsi come
meritevoli di una qualche pro- tezione. Tale problema si articola in diversi
piani di analisi: a un primo li- Tra sentimenti ed eguale rispetto vello
l’inquadramento di una cornice assiologica è funzionale all’in- terpretazione
delle fattispecie vigenti, e trova nella Carta costituzio- nale il referente
primario. Come abbiamo avuto modo di osservare, l’impronta ideologica che
connota la fisionomia dei reati a tutela di ‘sentimenti’ presenti nel codice
penale mostra una distonia rispetto ai principi della Costi- tuzione italiana:
nei casi più evidenti ciò ha condotto alla caduta di importanti disposizioni
(si pensi all’art. 402 c.p.44), mentre in altri ambiti vi è stata una radicale
reimpostazione, a livello giurispruden- ziale, della prospettiva di tutela (si
pensi ai reati a tutela della pubbli- ca moralità e del buon costume 45). Negli
esempi menzionati si è trattato di eliminare contrasti la cui evidenza ha reso
sostanzialmente agevole all’interprete capire quale potesse essere la strada
‘giusta’, o, più cautamente, la soluzione meno in contrasto con la Carta
fondamentale, facendo leva in particolare sul connubio fra uguaglianza e
laicità: l’uguaglianza ha costituito il parametro costituzionale
fondamentale46, mentre attraverso il prin- cipio supremo di laicità 47 la Corte
ha delineato la cornice assiologica di base, riconoscendo espressamente il
pluralismo come un valore, non solo come un dato di fatto. V. supra per i
riferimenti alla giurisprudenza di legittimità e costituzionale. 46 Si basa sul
principio di uguaglianza il nucleo motivazionale della sentenza C. cost., n.
508/2000; per una contestualizzazione di tale pronuncia nel quadro della
giurisprudenza costituzionale in materia di uguaglianza, v. DODARO, Uguaglianza
e diritto penale. Relativamente al tema del buon costume, la giurisprudenza
costituzionale non è mai arrivata a pronunce di illegittimità, ma solo perché
«il principio di conservazione dei valori giuridici – tanto più in casi in cui
la dichiarazione d’illegittimità costituzionale comporterebbe, quanto- meno per
qualche tempo, l’impunità anche di comportamenti che il legislatore considera
inequivocabilmente come illeciti penali – impone il mantenimento in vita di una
norma di legge quando a questa possa essere riconosciuto almeno un significato
conforme a Costituzione»: con queste parole la Corte, con la sentenza, ha
salvato la norma che incrimina le pubblicazioni oscene rimar- cando la
necessità di un’interpretazione adeguatrice coerente con gli artt. 21, 27, 2,
3, 13 e 25 Cost. Sulla laicità come principio supremo, o più precisamente come
‘meta- principio’, v., nel contesto penalistico, PALIERO, La laicità penale
alla sfida del ‘se- colo delle paure’, in Riv. it. dir. proc. pen. Questo il
messaggio fondamentale che ci sembra leggibile nel richiamo al principio di
laicità che «[caratterizza] in senso pluralistico la forma del nostro Stato,
entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture
e Sensibilità individuali e libertà di espressione Vi è poi un
secondo livello in cui l’individuazione di coordinate assiologiche ‘vincolanti’
a livello costituzionale diviene più sfumato, e meno univoco: il problema
emerge sia in relazione al quadro di in- criminazioni oggi vigenti in cui
vengono in gioco bilanciamenti con la libertà di espressione – non solo
l’ambito del sentimento religioso ma anche le discusse norme sulla propaganda
razzista – e si proietta, con ulteriore complessità, nella riflessione de jure
condendo. Il sospetto di una illegittima compressione di spazi di libertà sem-
bra richiedere un onere argomentativo più gravoso poiché, pur te- nendo sempre
ben presente la bussola assiologica della Costituzione, il giurista penale si
trova a doverne constatare la limitata precettività, ossia la compatibilità con
un ventaglio di prospettive di segno diverso le quali potrebbero risultare
tutte ‘non illegittime’ 49. Proprio quando si fanno più stringenti le esigenze
di individuare soluzioni che ambiscano a una legittimazione costituzionale
‘forte’, e specialmente quando le materie da regolare chiedano al diritto prese
di posizione che implicano l’assunzione di un punto di vista ideologi- camente
pregnante, la speranza di trovare nel testo costituzionale tradizioni diverse»,
testualmente contenuto nella sentenza (ma si veda anche l’inciso finale della
sentenza sulla parziale illegittimità costituzionale dell’incriminazione della
bestemmia). Per la distinzione tra pluralismo come fatto e come atteggiamento
v. MARCONI, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino.; BARBERIS, Etica
per giuristi, Bari.Per una sintesi della portata assiologica e costituzionale
del principio di laicità v., ex plurimis, BARBERA, Il cammino della laicità, a
cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale,
Bologna; nell’ambito penalistico, con diversità di accenti, v. FIANDACA,
Laicità del diritto penale; PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., pp. 283
ss.; PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale; CANESTRARI,
Laicità e diritto penale nelle democrazie costituzionali, in AA.VV., a cura di
Dolcini- Paliero, Studi in onore di Marinucci; EUSEBI, Laicità e dignità umana
nel diritto penale (pena, elementi del reato, biogiuridica), in AA.VV., a cura
di Bertolino-Forti, Scritti per Federico Stella, Napoli; FORTI, Alla ricerca di
un luogo per la laicità: il “potenziale di verità” nelle democrazie libera- li,
in AA.VV., a cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto
penale; ROMANO, Principio di laicità dello Stato, religioni, norme pe- nali, a
cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale. Sul
tema della laicità del diritto penale e delle connessioni con l’etica
cattolica, v., per tutti, STELLA, Laicità dello Stato: fede e diritto penale,
in AA.VV., a cura di Marinucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione. FIANDACA,
Legalità penale e democrazia, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero
giuridico moderno. FIANDACA, I temi eticamente sensibili tra ragione pubblica e
ragione punitiva, in Riv. it. dir. proc. pen. Tra sentimenti ed eguale rispetto
una risposta definitiva deve fare i conti con una vocazione pluralisti- ca
della Carta 51, la quale non addita soluzioni univoche ma è «suscet- tibile di
subire più interpretazioni e più modalità di attuazione, entro uno spazio di
discrezionalità politico-valutativa all’interno del quale nessuna
interpretazione o modalità di attuazione può vantare titoli per imporsi come
l’unica corretta o, al contrario, essere censurata perché scorretta» 52. Va
dunque ridimensionata l’ambizione di usare il testo costituzio- nale come
strumento di precisione chirurgica’ per tratteggiare diret- tive univoche che
consentano al giurista positivo di accreditare da un punto di vista
intraordinamentale risposte concernenti conflitti fra libertà di espressione e
sensibilità soggettive. Alla luce di tale panorama si è esortato a fare un uso
‘avveduto e parsimonioso della Costituzione. A nostro avviso, tale uso prudente
potrebbe essere accompagnato, financo ‘compensato’, da una rifles- sione che
esplori un ulteriore livello di normatività, trascendente sia il contesto
codicistico sia l’orizzonte costituzionale, nella consape- Sul pluralismo della
Carta costituzionale italiana, in termini problematizzanti, v. ANGIOLINI, Il
«pluralismo» nella Costituzione e la Costituzione per il «pluralismo», a cura
di Bin-Pinelli, I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale,
Torino. Fra i penalisti, con particolare riferimento al carat- tere non
esaustivo dei principi costituzionali per la scelta degli oggetti di tutela, v.
PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione,
a cura di Pisani, Studi in memoria di Nuvolone; MANES, Il principio di
offensività nel diritto penale.VISCONTI C., Aspetti penalistici; cfr. DONINI,
“Danno” e “offesa” nel- la c.d. tutela penale dei sentimenti: «la fondazione
positiva di ciò che può essere reato, esige una ricostruzione più complessa,
che trova nella Costi- tuzione, per es., solo alcuni, pur rilevanti parametri
che convergono insieme nel dare al reato anche un volto positivo di matrice
costituzionalistica.Sulla teorizzazione di diversi modelli di rapporto e di
conflitto fra principi costituzionali (modello ‘minimalista’ e modello del
bilanciamento, a sua volta su- scettibile di essere declinato come modello
‘irenistico’ e modello ‘particolaristi- co’), v. CELANO, Diritti, principi e
valori nello Stato costituzionale di diritto: tre ipo- tesi di ricostruzione,
in Diritto e questioni pubbliche, Sono parole di VISCONTI C., Aspetti
penalistici. Tale istanza metodologica viene tematizzata ad esempio in
FIANDACA, I temi eticamente sensibili, quando parla di ‘coordinate teoriche e
assio- logiche’ del diritto penale contemporaneo facendo riferimento ai
concetti di pluralismo, ragione pubblica, costituzionalismo e laicità. Con
riferimento all’ambito costituzionalistico v. SILVESTRI, Dal potere ai
princìpi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Bari. Sul
ricorso ad argo- mentazioni morali sostanziali nell’applicazione di
disposizioni costituzionali, v. CELANO, Diritti, principi e valori. Sensibilità
individuali e libertà di espressione volezza che l’interpretazione delle
disposizioni costituzionali sui di- ritti non è questione di pura tecnica
giuridica: è questione politica in senso pieno» 56. Tuttavia, anche una volta
che ci si spinga al di là dello spazio normativo della Costituzione per far
riferimento all’offerta teorica proveniente dall’ambito filosofico-politico i
problemi non svaniscono. Nel discorso penalistico è d’uso il richiamo al
liberalismo quale teoria politica di riferimento, ma anche tale soluzione non è
suffi- ciente a definire prospettive univoche: si parla oggi di «pluralità di
liberalismi. Un generico richiamo al liberalismo rischia di dar luogo oggi a
una ‘comfort zone’ teoretica la quale non favorisce il confronto fatico- so, e
quasi traumatico, con teorie filosofico-politiche che esorbitano da una
prospettiva dicotomica ‘liberale-illiberale’. La diversità di vedute concerne
principalmente, ma non solo, gli equilibri di priorità fra ‘giusto’ e ‘bene’59,
riflesso dell’alternativa fra un liberalismo propriamente politico e un
liberalismo eticamente più spesso. PINTORE, I diritti della democrazia, Bari. Malgrado
l’aspetto ossimorico dell’espressione ‘diritto penale liberale’, v. FORTI, Per
una discussione sui limiti morali, MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del
liberalismo, in DWORKIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo, Bari.
L’osservazione si riferi- sce in primo luogo alla coesistenza di correnti
diverse interne all’idea liberale, ma evidenzia come le distinzioni possano
dipendere anche dal contesto e dall’ambito disciplinare in cui viene spesa la
nozione di ‘liberalismo’: esiste, ad esempio, an- che un «liberalismo dei
giuristi più attento alle caratteristiche legali e istituzionali. È il problema
nel quale si inscrive la dialettica fra posizioni à la Rawls, so- prattutto il
Rawls dell’opera ‘Liberalismo politico’, e posizioni comunitariste. Te- sti di
riferimento sono da un lato RAWLS, Liberalismo politico, tr. it. a cura di Fer-
rara, Roma, 2008, e per le posizioni comunitariste v. per tutti SANDEL, Il
liberali- smo e i limiti della giustizia, tr. it., Milano, 1994. Per una
panoramica, v. VECA, La filosofia politica, Bari. In estrema sintesi, si
definisce come ‘liberalismo politico’ la teoria che ritie- ne che lo Stato
debba assumere a proprio fondamento una concezione morale minimale su cui sia
possibile trovare un punto di incontro e di intersezione fra le diverse teorie
morali presenti nella società plurale. In questo senso lo Stato do- vrebbe
tendere a una neutralità. Dalla parte opposta, si argomenta come la ricer- ca
di una neutralità possa portare da un lato a una eccessiva ‘asetticità
valoriale’ e finisca per riservare un’attenzione insufficiente al discorso
sulle preferenze e sul benessere degli individui, concependo un idealtipo di
essere umano eccessiva- mente ‘vuoto’ e poco realistico. Nell’ampio panorama si
vedano le declinazioni del Tra sentimenti ed eguale rispetto Nel prendere
atto di tale realtà, il giurista penale è chiamato ad adottare uno sguardo più
disincantato anche di fronte all’assioma co- stituito dal richiamo a valori
liberali. Dire oggi ‘liberalismo’ equivale ad aprire un discorso gravido di
implicazioni problematiche: l’Oc-cidente considera oggi scontato il
liberalismo, ma fra tutti i concetti etico-politici odierni, forse, non ve n’è
uno che sia più di- scusso del concetto di liberalismo» 62. Il liberalismo
rappresenta la cornice culturale, più meno consoli- data, nella quale il
pensiero giuridico occidentale, e anche il pensiero penalistico italiano,
contestualizzano le proprie riflessioni, ma «L’opzione per la democrazia
liberale lascia aperti i problemi della po- litica, anche della politica del
diritto. Non addita soluzioni obbligate di questioni eticamente sensibili, o
anche solo politicamente sensibili. Delinea, e non è poco, una cornice nella
quale chiunque può con- frontarsi con ragioni presentate nel quadro di
concezioni comprensive anche molto diverse, ma che possano avere qualcosa da
dire su punti che interessano specificamente la politica del diritto» 63. È
come dire che il rifugio sotto l’ampio ombrello della dizione ‘li- berale’ non
è sufficiente a esaurire gli oneri argomentativi con cui il giurista
contemporaneo dovrebbe sostenere una posizione di fronte a temi ad elevato
tasso di pregnanza etica ed esposti a una marcata di- screzionalità politica
64. problema elaborate da DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, in
DWOR- KIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo. (strategia della
discontinuità e della continuità), e da MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del
liberalismo. (liberalismo critico e liberalismo realista). Sul tema si ve dano
inoltre, ex plurimis, NUSSBAUM, Perfectionist Liberalism and Political Libera-
lism, Philosophy and Public Affairs; KYMLICKA, Liberal Indivi- dualism and
Liberal Neutrality, Ethics; per una sintesi del dibattito a partire dalle
critiche di Dworkin a Rawls v. VIOLA, Liberalismo e liberalismi, in Per la
filosofia/ Sul tema della neutralità, o maggiore in- clusività del liberalismo
politico rawlsiano, v., ex plurimis, DEL BÒ, La neutralità politica in John
Rawls, in Materiali per una storia della cultura giuridica. In ambito
penalistico, per un’approfondita rielaborazione di tali problemi v. FORTI, Per
una discussione sui limiti morali, DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza
liberale, BARBERIS, Etica per giuristi, PULITANÒ, Diritto penale, V ed., Torino.
Più diffusamente, FIANDACA, I temi eticamente sensibili; con approccio simile,
sebbene con accenti differenti che lo pongono più vicino alle posizioni
rawlsiane, PULITANÒ, Diritti umani e diritto penale, in Riv. it.
Sensibilità individuali e libertà di espressione A ben vedere un mero
richiamo al liberalismo assume oggi una funzione metaetica, ossia è un
presupposto per avviare un discorso su problemi pertinenti la dimensione etica
sostanziale: le questioni più spinose prendono corpo in un contesto che dà per
acquisiti diritti di libertà, ma è sui contenuti e sulle modalità di esercizio
di determi- nati diritti nei rapporti fra individui che si annidano le
complessità. Dialettica fra prospettive individualiste e collettiviste Alla
luce del quadro descritto, è comprensibile che lo studioso di problemi penali
sia chiamato in definitiva a elaborare proposte ‘poli- tiche’ nel senso nobile
del termine, ossia a disegnare prospettive di politica del diritto e a
emanciparsi da abiti mentali «che postulano una sorta di obbligo di prestazione
scientifica consistente nel conce- pire modelli dogmatici di interpretazione
del (presunto) sistema su- scettibili in quanto tali di fissare a priori, con
nettezza e definitività, quel che è o non è legittimo trarre penalmente ai
sensi della Costitu- zione» 66. L’individuazione di traiettorie assiologiche è
l’esito di scelte che riflettono inevitabilmente le precomprensioni e la
posizione valo- riale dell’interprete, in un contesto di non-neutralità.
Cercheremo a questo punto di formulare ipotesi e proposte a par- tire da quella
che ci sembra essere l’alternativa di fondo su cui si è imperniata fino ad oggi
la discussione sul sentimento come problema di tutela nel contesto italiano,
ossia se esso debba intendersi come richiamo ad atmosfere emozionali diffuse, e
che si traducono in for- me di presidio a ideologie e concezioni valoriali
proprie della mag- gioranza, oppure se nel richiamo al sentire umano sia
rintracciabile dir proc. pen., rimarca l’esigenza di tenere ben pre- sente a
livello concettuale la distinzione fra valori politici e valori morali, pur ri-
conoscendo l’impossibilità di posizioni neutrali. Tale processo di
complessificazione della prospettiva liberale si riflette an- che su categorie
del pensiero giuridico. È importante notare come il principio del danno, lo
Harm, abbia subito un graduale ampliamento dovuto non a una rifor- mulazione
della struttura del concetto, bensì legato all’accentuarsi della proble-
maticità delle premesse politico-filosofiche che ne guidano l’applicazione: è
la ‘mappa del liberalismo’ a essere cambiata, osserva HARCOURT, The Collapse of
the Harm Principle, The Journal of Criminal Law and Criminology, passando da un
orizzonte basato sull’alternativa liberale-illiberale, a una pro- spettiva
modulata su differenti modelli di liberalismo (Harcourt parla espressa- mente
di ‘liberalismo progressista’ e ‘liberalismo conservatore. VISCONTI C., Aspetti
penalistici. Tra sentimenti ed eguale rispetto una istanza normativa
differente, in grado di dare risalto alla dimen- sione del singolo e al
connotato personalistico della Costituzione sen- za necessariamente confluire
in un approccio ‘naturalistico-emozio- nale’ modulato su soggettivismi. Come
osservato, nelle fattispecie dell’ordinamento italiano i ‘sen- timenti’
tutelati sono parte di una sfera emotiva sociale, ossia ‘atmo- sfere
emozionali’ legate a valori assunti in un’ottica collettiva. Il sog- getto
portatore degli interessi tutelati è un’entità plurale, una molti- tudine
impersonale caratterizzata da valori asseritamente comuni. Nell’attuale momento
storico la reificazione di entità definite come ‘valori collettivi’ non appare
più legata a una retorica statocentrica, ma si presenta piuttosto come
possibile reazione a un indebolimento del- l’omogeneità etica e culturale
indotto dal pluralismo fattuale. Il principio di massima è che il sentimento,
anche quando rileva come fatto di coscienza individuale, rileva nella misura in
cui è collegato ad un fatto non individuale, appunto a un modo di sentire
sociale, a un’atmosfera emoziona- le socialmente diffusa e divisa in più o meno
larghi ambiti da un’intera comuni- tà», v. FALZEA, I fatti di sentimento, cit.,
p. 320. Si valuti ad esempio l’interesse de- nominato ‘sentimento religioso’:
il codice Rocco si pone a tutela, nelle rubriche e nella sostanza, alla sola
‘religione di Stato’. È interessante notare come anche do- po l’entrata in
vigore della Carta costituzionale, l’oggetto di tutela viene ricostrui- to in
un’ottica prettamente collettivistica che privilegia il dato dell’adesione
quan- titativa. Pensiamo agli argomenti che la giurisprudenza costituzionale
italiana ha adoperato per motivare il differenziato regime di tutela penale del
culto cattolico, sia precedentemente sia successivamente alla modifica del
Concordato: la Corte parla di «antica ininterrotta tradizione del popolo
italiano, la quasi tota- lità del quale ad essa sempre appartiene», e ne
legittima la tutela penale in quanto «professata nello Stato italiano dalla
quasi totalità dei suoi cittadini, e come tale è meritevole di particolare
tutela penale, per la maggiore ampiezza e intensità delle reazioni sociali
naturalmente suscitate dalle offese ad essa dirette in quanto l’universalità di
tradizioni e di sentimenti cattolici nella vita del popo- lo italiano è
rimasta, senza possibilità di dubbio, immutata con l’avvento della
Costituzione», C. cost., n. 79/1958. Per una riflessione penalistica sul
pluralismo delle fedi in Italia v. VISCONTI C., La tutela penale della
religione; per una panoramica extragiuridica v. GARELLI, Il sentimento
religioso in Italia, in Il Mulino. L’impatto della pluralità nella società
contemporanea è parte di un processo «che vede la graduale erosione del
fondamento tradizionalistico e religioso dei co- stumi e delle istituzioni a
vantaggio della coscienza personale, vede crescere l’am- bito delle opzioni
soggette al libero esame e all’adesione interiore, e assottigliarsi, per così
dire, lo spessore di oggettività degli oggetti sociali. Questo processo di
“umanizzazione” – di riconduzione ai suoi soggetti ultimi, le persone umane –
della vita sociale corrisponde anche a una progressiva estensione dell’ambito
delle opzio- ni soggette alla scelta e responsabilità degli individui, e alla giurisdizione
della ra- gione», v. DE MONTICELLI, La questione morale, Milano. Sensibilità
individuali e libertà di espressione In
ambito sociologico si riassume tale fenomeno affermando che la modernità
pluralizza e deistituzionalizza69. La pluralizzazione na- sce dall’incontro di
gruppi diversi, chiamati a condividere territori e spazi comuni in situazioni
di mescolanza nelle quali diviene più dif- ficile, se non addirittura
impossibile, addivenire a un consenso cogni- tivo e normativo, ossia a una
visione del mondo omogenea e condivi- sa. L’allargamento del mercato delle idee
moltiplica la possibilità di approcci alternativi alla realtà e contribuisce in
questo senso a rende- re la costruzione della propria identità una questione di
scelte e non l’esito scontato di programmi socialmente precostituiti. A seconda
delle cadenze, l’appello a valori comuni giustificati sulla base di un sentire
condiviso può rivelare sfumature di autoritarismo etico, soprattutto quando il
‘sentire comune’ sia addotto per sottoli- neare contrapposizioni sul piano
valoriale: paradossalmente l’appello a un substrato di emozionalità condivisa
può essere adoperato al fine di marcare differenze in termini di esclusione
piuttosto che di inclu- sione. Fino a che punto ciò risulta compatibile con i
valori di una demo- crazia liberale? Anche in questo caso l’appello al
paradigma liberale non è suffi- ciente a definire risposte univoche, mantenendo
aperti spazi di di- screzionalità politica, e in particolare rimandando alla
discussione concernente l’alternativa fra un liberalismo di tipo
‘individualistico’ e un liberalismo di marca ‘comunitarista’. Le differenze fra
le due cor- renti investono diversi profili della teoria politica; in estrema
sintesi, secondo le teorie comunitariste «la comunità viene assunta ora come
nucleo centrale di un paradigma normativo, a carattere etico o politi- co, ora
come uno standard meta-etico, un parametro per la giustifi- cazione dei valori
[cf. H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]; l’approccio
individualista, più vicino al modello BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio.
Come avere convinzioni senza diven- tare fanatici, tr. it., Bologna. Di fronte
alle dinamiche di relativizzazione indotte dall’incremento di plura- lità nel
tessuto sociale gli individui tendono a erigere delle ‘difese cognitive’, ossia
ad affidarsi a esercizi mentali e strategie per mantenere alta la visione del
mondo e l’approccio alla realtà a cui si dà credito. Nelle società
contemporanee tale fe- nomeno può avere riflessi nelle determinazioni di politica
del diritto: per placare l’ansia scaturita dall’irrompere della
relativizzazione si erigono difese cognitive istituzionali, strumentalizzando
il diritto quale veicolo promotore di valori identi- tari, v.
BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio. PARIOTTI, voce Comunitarismo, in
Enciclopedia filosofica. Tra sentimenti ed eguale rispetto liberale classico,
pone al centro dell’orizzonte etico e normativo l’in- dividuo, non la comunità.
A partire da queste premesse, si riflette anche nella prospettiva giuridica
l’alternativa fra una declinazione del problema di tutela del sentimento
incentrato sul momento di condivisione collettiva, ancor- ché parziale e non
universalistica, e una diversa prospettiva che met- ta al centro l’individuo e
le sue libertà da bilanciarsi in un’ottica di reciprocità egualitaria con i
propri simili. 4.2. Dai valori collettivi all’individualismo democratico
Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno criticato a fondo l’evocazione
di valori collettivi [H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]: uno
Stato che assegni rilevanza 72 Per un quadro ricostruttivo si vedano i saggi
contenuti in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e comunitarismo, Roma,
2000; FERRARA, Introduzione, in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e
comunitarismo; per una definizione d’individualismo comprensivo e una
ricostruzione critica v. LARMORE, Dare ra- gioni. Il soggetto, l’etica, la
politica, Torino, 2008, pp. 119 ss. La distinzione fra li- beralismo di marca
individualista e comunitario emerge anche nel discorso di Joel Feinberg.
L’Autore specifica che la sua aderenza all’idea liberale va conte- stualizzata:
Feinberg sembra prendere con cautela, financo negare, la propria aderenza
all’idea liberale classica secondo la quale autonomia dell’individuo e comunità
costituirebbero due antitesi; nel discorso sulla legittimazione del diritto
penale il filosofo americano dichiara di adoperare una concezione di
liberalismo ‘in a narrow sense’ che non si identifica con un liberalismo
estremo inteso quale contrapposizione a un’idea di comunità, v. FEINBERG,
Harmless Wrongdoing. Ricordiamo le parole di H. L. A. Hart [citato da H. P.
Grice]. “Sembra terribilmente facile pensare che la lealtà verso i principi
democratici esiga che si accetti ciò che possiamo chiamare populismo morale:
l’idea che la maggioranza ha un diritto morale a stabilire come tutti devono
vivere. L’errore fondamentale consiste nel non distinguere il principio
accettabile secondo il quale il potere politico è meglio affidato alla
maggioranza, dalla pretesa inaccettabile che ciò che la maggioranza fa con quel
potere, sia al di sopra di ogni critica e che non ci si possa mai opporre ad
esso. Nessuno può dirsi democratico se non accetta il primo di questi principi,
ma nessun democratico è tenuto ad accettare il secondo. v. H. L. A. HART
[citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà. Si tratta della ben nota
risposta che il FILOSOFO OXONIESE da a Devlin, e al suo ‘The Enforcement of
Morals’, nel quale si riconduce la moralità all’atteggiamento etico dominante
nella popolazione: «Every moral judgement, unless it claims a divine source, is
simply a feeling that no right-minded man could behave in any other way without
admitting that he was doing wrong. It is the power of a common sense and not
the power of reason that is behind the judgements of society, v. DEVLIN, The
Enforcement of Morals, New York-Toronto. Sensibilità
individuali e libertà di espressione 131 normativa a un particolare modo di dar
valore a oggetti e idee in quanto condiviso dalla maggioranza, sta di fatto
considerando gli appartenenti alla maggioranza in una condizione privilegiata
rispetto agli altri cittadini. In altri termini, è ben possibile che il
principio di maggioranza trasmodi in un principio di tracotanza. Più
recentemente, nell’ambito della filosofia analitica, si è affer- mato che il
tema dei valori condivisi è una «questione relativa alle credenze o alle
opinioni condivise, secondo le quali una o più cose pos- siedono un certo
valore» 76. Quando si cerca di spiegare a quali condi- zioni un certo valore
possa dirsi ‘condiviso’, la motivazione più sem- plice e più immediata è la
cosiddetta ‘teoria sommativa’: si ha condi- visione quando la maggior parte dei
membri di un dato contesto o di una comunità assegnano valore alla medesima
cosa. La domanda a questo punto è se una spiegazione sommativa sia sufficiente
per affermare che in una società vi è realmente condivi- sione di valori, e, di
conseguenza, per ritenere che ciascun soggetto abbia lo status, ossia la
legittimazione, per pretendere che il compor- tamento dei propri simili debba
essere rispettoso e coerente con i va- lori condivisi dalla maggioranza. Si è
osservato che «se due o più persone hanno una certa opinio- ne, esse
possiedono, evidentemente, un certo grado di identità quali- tativa. In
generale, tuttavia, tale identità fornisce agli individui umani soltanto una
forma superficiale di unità. I valori condivisi in senso sommativo uniscono
soltanto in un modo superficiale. In altri termini, un riscontro storico-quantitativo
della massiva adesione a un determinato valore in una società non dovrebbe
esse- re considerato elemento sufficiente a fondare alcun tipo di pretesa nei
confronti dei cittadini, salvo il caso di un impegno espresso Ex plurimis,
VIOLA, Il principio di maggioranza e la verità in una democrazia, in Dialoghi.
H. L. A. HART [citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà, GILBERT, Il
noi collettivo. Impegno congiunto e mondo sociale, tr. it., Milano. GILBERT, Il
noi collettivo. Una critica alla concezione ‘sommativa’ della democrazia è
leggibile, a no- stro avviso, anche nelle parole di chi, nella dottrina
penalistica, ha sottolineato che aderire al metodo democratico non significa
acconsentire alle idee dei più, bensì optare per una modalità collettiva,
comunitaria, consensuale di creazione delle regole – valide poi per tutti – non
fondate sul fattore-forza. La legalità democratica richiede ben oltre complesse
tecniche di calcolo, l’adesione convinta a principi formulati in modo condiviso
e perciò corresponsabilmente vincolanti», Tra sentimenti ed eguale
rispetto che le parti accettino consapevolmente. Il sentire umano, nelle forme
del sentimento e dell’emozione, è fattore di diversità, ma è anche, di base, il
correlato fenomenico di un’uguaglianza di fondo fra individui resi al contempo
uguali e diver- si dalle disposizioni del sentire: uguali in potenza, diversi
in atto. La varietà di soglie di sensibilità, di assiologie personali e di
repertori emotivi dei singoli sono parte di una dotazione universalmente con-
divisa: tutti gli esseri umani (in assenza di condizioni patologiche) provano
emozioni e sentimenti, e sulla base di tale potenzialità co- mune prende
successivamente corpo la diversità. Per cercare di dare rilievo alla dimensione
del sentire quale con- notato a vocazione universalistica, e non semplicemente
quale base di frammentazione e di rivendica, ci sembra ragionevole prendere le
distanze da strumentalizzazioni del sentimento in chiave identitaria, per
riorientare la prospettiva a partire da diritti di libertà funzionali a
consentire a ciascun cittadino di vivere la propria ASSIOLOGIA [cf. H. P.
GRICE, THE CONCEPT OF VALUE] vocazionale. La sfida che sentimenti ed emozioni
pongono oggi al diritto pena- le si focalizza sul riconoscimento di un’eguale
dignità fra persone concretamente diverse, nella consapevolezza della varietà
di preferen- v. MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti. Anche
EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale, sottolinea che il principio
di laicità richiede che le regole giuridiche di uno Stato non siano configurate
secon- do ciò che è comprensibile solo nell’ambito di una specifica concezione
morale anche se maggioritaria. L’elemento dirimente, e necessario, affinché si
passi da una semplice condi- visione in senso sommativo a una condivisione tale
da poter generare unità socia- le, è, secondo Margaret Gilbert, il cosiddetto
‘impegno congiunto’: «l’impegno congiunto è l’impegno a credere come un corpo
unitario che una certa cosa C ab- bia un determinato valore V», v. GILBERT, Il
noi collettivo. Gilbert, pur non discostandosi da un piano
analitico-concettuale, non tralascia considerazioni su profili più propriamente
politici: «[e]videntemente, il fatto che si abbia lo sta- tus per fare
pressione sugli altri, se gli altri agiscono nell’inosservanza di un certo
valore, non implica né che, in fin dei conti, si debba esercitare questa
pressione, né che, in virtù di un impegno, si abbia ragione di farlo». Il
caveat più significati- vo si rivolge, non a caso, all’ipotesi di adoperare il
diritto penale quale strumento per la salvaguardia di valori collettivi. Anche
in presenza di valori che possono dirsi ‘collettivi’ in virtù di presupposti
assimilabili all’idea di ‘impegno congiunto’, e non solo di una mera
spiegazione sommativa, la legittimità della pretesa di im- porre il rispetto di
tali valori con strumenti normativi dipende da considerazioni sostanziali sul
merito dei valori assunti a riferimento, sulla loro ‘correttezza’. ‘Va- lore
collettivo’ non è di per sé sinonimo di un sentire corretto. Traggo
l’espressione e il concetto da DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Sensibilità
individuali e libertà di espressione 133 ze e dei molteplici, possibili stili e
concezioni della vita buona. In questo senso appare importante evidenziare la
matrice indivi- dualistica dei diritti di libertà: significa che prima viene
l’individuo, si badi, l’individuo singolo, che ha valore di per se stesso, e
poi viene lo stato e non viceversa, che lo stato è fatto per l’individuo e non
l’individuo per lo stato» 81. Col richiamo al momento individualistico non
intendiamo adom- brare la vocazione solidaristica e la proiezione relazionale
dei diritti di libertà, ben leggibile nelle trame della Carta costituzionale. Riteniamo
però che il problema della tutela di sentimenti debba essere oggetto di un
deciso cambio di prospettiva che rompa con la tradi- zione del passato, nella
quale il richiamo alla socialità era divenuto sinonimo di ‘statualità’, di
dominio della collettività sul singolo, di assorbimento dell’individuo nel
gruppo. Si rende in questo senso ne- cessario rinsaldare la connessione fra il
sentimento e il principio per- sonalistico che pone «a base di tutto il sistema
di rapporti fra stato e singoli l’esigenza di rispetto della persona, della
‘dignità’ corrispon- dente alla qualità dell’uomo come tale, quale che sia la
posizione sociale rivestita. Rispetto alla retorica comunitarista-identitaria,
un’alternativa che emerge oggi nel pensiero politico e che a nostro avviso si
candida come sintesi ragionevole tra individualismo e ottica solidaristica, è
il cosid- detto ‘individualismo democratico’ elaborato da Nadia Urbinat: una 81
BOBBIO, L’età dei diritti, Torino. Nel panorama penalistico si sof- ferma sul
fondamento individualistico dei diritti PULITANÒ, Diritti umani e diritto
penale. Il rapporto fra liberalismo e attenzione alle differenze è teorizzato
in modo peculiare da Rosenfeld, il quale contrappone il liberalismo in senso
classico, di marca individualistica, a una posizione politica che riconosce
valore alla pluralità, da Rosenfeld definita ‘pluralism’, e che saremmo portati
a tradurre con ‘liberalismo pluralista’. La distinzione di Rosenfeld non ci
sembra però tesa a confutare la matrice individualistica dei diritti di libertà,
ma a sottoli- neare come l’attenzione alla dimensione del singolo, tipica del
liberalismo classi- co, risulti poco funzionale alla tematizzazione delle
appartenenze e dell’identità: v. ROSENFELD, Equality and the Dialectic between
Identity and Difference, in AA.VV., ed. by Payrow Shabani, Multiculturalism and
Law: A Critical Debate, Wales, Ex plurimis, RIDOLA, Diritti fondamentali.
Un’introduzione, Torino. In ambito penalistico si è sottolineato l’intreccio e
la reciproca interdipen- denza tra profilo personalistico e collettivistico di
determinati interessi di tutela, v. DE FRANCESCO, Costituzione, persona,
comunità: beni giuridici e programmi di tutela nella dinamiche della vicenda
penale, in Dir. pen. proc. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova.
Si tratta di un concetto che sottende una ben definita visione
antropologica: 134 Tra sentimenti ed eguale rispetto
reinterpretazione del concetto di individualismo classico, volta a di-
stinguerlo dal negativo accostamento all’idea di egoismo, di ‘anarchia
soggettiva’, di motore disgregativo a livello sociale. Il concetto di
‘individualismo democratico’ implica rispetto reci- proco e non-omologazione;
una visione che si pone in antitesi sia con un individualismo egoistico che
traduca disinteresse per la cosa pub- blica, sia con forme di comunitarismo
identitario che comprimereb- bero l’individualità attraverso politiche di
assimilazionismo e di im- posizione di ideali della vita buona. Come osserva la
Urbinati: «Il problema sta quindi nel modo di concepire la comunità, poiché è
evidente che le comunità totalizzanti e ascrittive sono in conflitto con
l’individualismo democratico come lo sono con l’eguale diritto alla di- gnità e
all’eguaglianza della legge. Rispetto alla reificazione dei legami identitari,
il richiamo alla “divinità” di ciascun individuo e al di- ritto che ciascuno ha
di contraddirsi per restare coerente a se stesso suona come un invito
tutt’altro che anacronistico a situare la supre- mazia nella ragione e nel
carattere, rovesciando i criteri di selezione dei valori, facendo cioè della
persona stessa il fulcro senza il quale nessuna comunità potrebbe esistere» 85.
In quest’ottica, il legame fra sentimenti e individualità può acqui- stare una
valenza normativa come presupposto del riconoscimento dovuto agli uomini in
quanto agenti morali 86. Vi sono diversità fat- tuali che derivano dalla
eterogeneità nel sentire, le quali invocano un sostegno normativo come
riconoscimento di libertà e uguaglianza in la democrazia non è solo una forma
di governo ma anche e prima di tutto una ricca cultura dell’individualità.
L’individuo democratico è simile ma non identico a quello liberale ed economico
perché non pensato come un essere puramente razionale che sceglie fra opzioni
diverse in una condizione ipotetica di perfetta informazione e libertà; e
nemmeno come un individuo neutro, vuoto di specificità culturali, economiche o
di genere. È invece una persona che ha un senso morale della propria
indipendenza e dignità e agisce mossa da passioni ed emozioni al- trettanto
forti delle ragioni e degli interessi; che non è soltanto concentrata sulle
proprie realizzazioni, ma anche emotivamente disposta verso gli altri per le
ragioni più diverse, come l’empatia, la curiosità, la volontà imitativa, il piacere
di sperimentare» URBINATI, Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista,
Roma- Bari. URBINATI, Liberi e uguali. Sul tema è fondamentale l’approfondita
analisi di un Autore tendenzialmen- te vicino alle posizioni comunitariste:
TAYLOR, La politica del riconoscimento, in HABERMAS-TAYLOR, Multiculturalismo.
Lotte per il riconoscimento, tr. it., Milano. Sensibilità individuali e libertà
di espressione 135 dignità e diritti87. La tutela delle libertà è la dimensione
prioritaria; nondimeno, in nome di esigenze legate al riconoscimento, e in
parti- colare tese a evitare il disconoscimento, si può porre il problema di
interventi normativi al fine di salvaguardare equilibri di rispetto È su questo
crinale che si impernia la questione che definiamo ‘tu- tela di sentimenti’ 89.
5. Sentimenti ed emozioni come richiamo ‘metonimico’ e personologico Cercando
di tirare le somme del discorso, date le suddette pre- messe
filosofico-politiche, quale può essere la sostanza normativa da identificarsi
con il ‘sentimento’? Esclusa l’ipostatizzazione di atteggiamenti emozionali su
base maggioritaria, riteniamo che una visione alternativa dovrebbe incen- trare
la prospettiva sul significato del sentimento come marcatore dell’originalità
individuale che si interlaccia con le trame costitutive della personalità
morale di un soggetto. Definiamo tale prospettiva come ‘personologica’ per
evidenziarne la peculiarità rispetto a una più generica definizione come
personalistica. Il termine personologia in uso nelle discipline psicologiche e
filosofiche, designa, nel suo significato minimale, il discorso sulle
caratteristi- che dell’individuo inteso come soggetto non riducibile alle
dimensioni mentale e corporea 90, ma come esito di un’interazione con gli altri
e con la realtà, all’interno di un percorso biologico e biografico unico e
irripe- tibile. Questa impresa conoscitiva trova sviluppo soprattutto in seno
alla Sul rapporto tra dati di natura e dimensione dei diritti, fondamentale
HER- SCH, I diritti umani da un punto di vista filosofico, tr. it., a cura di
De Vecchi, Milano. L’individuo delle democrazie si ciba [di riconoscimento e
per questa ragione ha bisogno di essere circondato da simili, da chi è parte di
una comunità di significato e di riferimento e con cui è possibile condividere
una lingua, dei se- gni convenzionali che consentano una comunicazione
immediata, delle tradizioni che facciano sentire sicuri e protetti», v.
URBINATI, Liberi e uguali. Condivisibilmente, nella dottrina penalistica, v.
PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Testo di riferimento è MARGOLIS,
Persons and Minds. The Prospects of Nonre- ductive Materialism, Boston. Tra
sentimenti ed eguale rispetto psicologia e alla filosofia; non intendiamo però
ricalcare le categorizzazioni elaborate in ambito filosofico sui rapporti fra
personologia e personalismo. Nel discorso giuridico, e in particolare
penalistico, si usa parlare di personalismo e di concezioni personalistiche per
indi- care prospettive teoriche che mettono al centro dell’orizzonte assio-
logico la persona umana92 e che si impegnano conseguentemente a riconoscere in
essa il punto di riferimento ultimo di norme e di problemi di tutela. Perché
allora parlare anche di ‘personologico’? Dalla prospettiva filosofica riteniamo
utile mutuare la definizione di personologia come ‘discorso su ciò che una
persona è’93, in un quadro che non si riduce alle funzioni psichiche,
concependo dunque sentimenti ed emozioni non solo come addentellato fenomenico
che rimanda a stati contingenti e a moti interiori, ma come elementi co-
stitutivi che concorrono a definire le disposizioni individuali e la
complessiva ‘fisionomia morale’ della persona. È di secondaria importanza
l’eventuale puntualizzazione se si stia in questo modo richiamando il
sentimento in senso stretto ovvero l’emozione; è invece importante evidenziare
che la rispondenza col mondo dei fenomeni affettivi deriva dalla connessione
con ciò che abbiamo definito ‘stati disposizionali’: disposizioni del sentire,
ossia coordinate costitutive della personalità morale dell’individuo, e non
semplicemente reazioni episodiche. Nella prospettiva giuridico-penalistica, e
con particolare riferi- mento ai rapporti fra libertà di espressione e
reciproco rispetto, il ri- chiamo a sentimenti ed emozioni può ragionevolmente
costituire una coordinata descrittiva dell’oggetto di tutela in senso
simbolico, trasla- to, o meglio metonimico, come elementi che rimandano al
substrato In ambito filosofico si distingue tra personologia e personalismo:
Roberta De Monticelli intende col primo termine «una teoria della realtà di ciò
che noi siamo», mentre il personalismo «è una tendenza più che una teoria» e i
per- sonalismi del secolo scorso possono definirsi come «visioni del mondo cui
“sta a cuore” una certa interpretazione della condizione umana», v. DE
MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 30. La distinzione appare più sfumata
nella definizione di MIANO, voce Personalismo, in Enciclopedia filosofica,
secondo il quale IN SENSO LATO (cf. H. P. Grie, LOOSE] è personalistica ogni
filosofia che rivendichi la di- gnità ontologica, gnoseologica, morale, sociale
della persona, contro le negazioni materialistiche o immanentistiche. In senso
rigoroso si dice filosofia personalisti- ca o personalismo la dottrina che
accentra nel concetto di persona il significato della realtà». 92 Per una
sintesi, v. CANALE, Persona, a cura di Ricciardi-Rossetti- Velluzzi, Filosofia
del diritto. Norme, concetti, argomenti, Roma. Sensibilità individuali e
libertà di espressione 137 più profondamente identificativo dell’essenza
individuale: si menzio- na la parte (il sentimento o l’emozione), per additare
il tutto (la per- sona) 94. Dire ‘tutela di sentimenti’ equivale a dire ‘tutela
della persona e della sua libertà di vivere ed essere riconosciuto come
soggetto di pari dignità nella propria personale ‘assiologia vocazionale’ 95.
Non ci si deve dunque limitare alla presa in considerazione di fe- nomeni
psichici ‘bruti’, ma si deve guardare ad essi come segno di individualità che
chiedono di essere tutelate nelle libertà e che al con- tempo non possono
ritenersi titolari di prerogative assolute: l’indi- viduo è uno, ma è al
contempo anche ciascuno96, ossia vive in un contesto di relazioni che implicano
diritti e doveri. 94 L’antropologia alla base del pensiero di Martha Nussbaum è
basata sul fatto che «le emozioni sembrano essere eudaimonistiche, ovvero
concernenti il prosperare della persona», v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle
emozioni, Il legame tra sentire e sviluppo della persona, inteso come
realizzazione del sé, emerge anche in altri filosofi, quando si definiscono le
emozioni come ‘atti di base’ che esprimono ‘posizionalità assiologica’, ossia
il «realizzare la salienza, o valenza o valore negativo o positivo della data
cosa o situazione», v. DE MONTICELLI, La novità di ognuno, cit., pp. 195 ss.;
non dunque risposte automatiche bensì posizionali, le quali possono es- sere
più o meno appropriate, ma comunque rappresentano una parte fondamentale di ciò
che una persona è, della sua struttura morale, «che è insieme velata e svelata
dall’espressività personale: la quale indica infine lo stato in cui la persona
si trova rispetto alla fioritura nuova che solo lei poteva portare al mondo»
EAD., La novità di ognuno. In particolare attraverso il concetto di
‘posizionalità’ si osserva che la persona umana si costituisce nella propria
individualità essenziale attraverso ‘atti’: con tale termine si vuole porre una
fondamentale distinzione fra ciò che la persona ‘compie’, rispetto agli
‘eventi’ in cui un soggetto è coinvolto; l’atto comporta sempre un presa di
posizione relativamente a un dato oggetto, e «[m]ediante le pre- se di
posizione, e dunque, mediante gli atti, noi rispondiamo alla realtà
circostante. Una risposta si distingue da una reazione precisamente in virtù
della presa di posi- zione in essa contenuta. In ogni presa di posizione,
pulsa, per così dire, l’individuo personale che mediante le sue prese di
posizione costantemente si costituisce e si definisce», v. EAD., La novità di
ognuno. Si è parlato di costituzionalizzazione della coscienza delle persone per
sottolineare la rilevanza di «tutto ciò che la persona considera in coscienza
come strettamente richiesto per la propria realizzazione, riconoscendo diritti
collegati alle richieste d’identità e di libertà di scelta», v. VIOLA,
Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale, a cura di Risicato-La Rosa,
Laicità e multiculturalismo. Vi è un termine che ci sembra possa definire la
portata accomunante e al contempo differenziante dei fenomeni affettivi:
ciascunità. Lo prendiamo in prestito dal lessico psicanalitico, in particolare
da HILLMAN, Il codice dell’anima, tr. it., Milano. In questo caso ci atteniamo
però a un senso più let- terale-etimologico che all’accezione specifica
elaborata dallo psicologo statuni- tense: ‘ciascuno’ è pronome che indica la
totalità in modo non indistinto e sper- sonalizzante, bensì richiamando
l’attenzione sui singoli. Tra sentimenti ed eguale rispetto In assenza di
tale filtro normativo fondato sul valore dell’ugua- glianza, il richiamo a
sentimenti ed emozioni può rappresentare una china scivolosa, poiché il
debordare del discorso sul piano emozionale rischia di innescare un processo
che altera la fisionomia delle questio- ni, relegandole a una dimensione di
micro-conflittualità soggettiva. Si rischia in altri termini di alimentare ciò
che la sociologa Isabel- la Turnaturi ha eloquentemente definito
‘rivendicazionismo psicolo- gico’: «un nuovo campo di battaglia in cui gli
individui oppongono l’uno al- l’altro le proprie emozioni. Vissuti, percezioni,
sensibilità si confrontano e si scontrano quotidianamente e conflitti sociali,
di genere e culturali si spostano sul piano dei rapporti interpersonali.
L’uguaglianza dei di- ritti si sposta sul campo emozionale, ciascuno è sempre
più attento alle proprie emozioni e pretende per queste rispetto, attenzione e
libertà di espressione-esibizione. La valorizzazione della sofferenza
psicologi- ca e le narrazioni di sé affidate a un linguaggio esclusivamente
psicolo- gico mentre pongono l’accento sull’individuo cercano l’origine di
torti e offese subiti nell’appartenenza a un gruppo etnico, di genere, o nella
condivisione di preferenze sessuali. Se sono i sentimenti a riscrivere la
storia tutto può essere ri-narrato e ri-costruito secondo i punti di vista di
chi sente offesa oggi la propria sensibilità. Tutto viene affogato in un
confuso mare magnum sentimentale, in un apparente coinvolgimen- to emotivo che
soffoca ogni forma di distanza al rispetto e riconosci- mento reciproco. Quel
diritto di ciascuno alla propria narrazione, giu- stamente rivendicato,
andrebbe forse declinato in un linguaggio meno psicologico e psicologistico,
imposto nel discorso pubblico con la forza dell’argomentazione, ancorato a una
cultura dei diritti liberata dalla co- lonizzazione emotiva. Il discorso
politico mostra una sempre più accentuata tendenza al linguag- gio
psicologistico ed emotivo, e più in generale tutta la comunicazione pubblica è
problematicamente invasa da «confessioni, narrazioni, biografie, programmi e
proclami politici che mettono in primo piano emozioni e passioni. Al discorso
pubblico e in pubblico, possibile solo se rispettoso della propria e altrui
discrezione e della distanza fra sé e l’altro, si è sostituito il discorso
emozionale, il di- scorso marmellata dove tutto diviene appiccicoso e
dolciastro, dove ogni distanza fra Io e Tu, fra me e l’altro viene annullata
nel mare di un presunto coinvolgimento», v. TURNATURI, Emozioni: maneggiare con
cura, prefazione a ILLOUZ, Intimità fredde. Le emozioni nella società dei
consumi, tr. it., Milano. Eloquente è l’espressione con cui ALONSO ALAMO,
Sentimientos y derecho penal, cit., p. 64, sintetizza il problema di una
soggettivizzazione incentrata su aspetti di rettività emotiva: «¿Un derecho
penal de sujetos pasivos? TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura. Sensibilità
individuali e libertà di espressione L’approccio del diritto non può
assecondare il rivendicazionismo psicologico ma deve essere declinato in
termini ‘razionalistico-nor- mativi’ facendo riferimento a «norme o principi
che si difendono e argomentano in quanto dotati di universalità, cioè in linea
di prin- cipio valevoli per tutti coloro che si trovano nella medesima
situazio- ne esistenziale» 99. Identifichiamo dunque sentimenti ed emozioni
come ‘matrici di diversità’ tali da sollecitare la prospettiva penalistica in
relazione al- l’esigenza di gestire equilibri di rispetto reciproco nella
società plura- le di fronte a condotte in cui si manifesta l’‘originalità’
degli individui in quanto caratterizzati da culture, concezioni di valore,
stili di vita, che ne identificano la personalità: da una parte richieste di
libertà per poter affermare le proprie visioni del mondo e per vivere confor-
memente a ciò in cui si crede; dall’altra parte istanze simmetriche, fondate
sui medesimi contenuti ma di segno opposto, che chiedono a loro volta
riconoscimento e rispetto attraverso l’altrui astensione da un certo tipo di
espressioni e di comportamenti. Sinossi Delineate le coordinate teoriche per lo
studio dei rapporti fra di- mensione emotiva e diritto penale e, in
particolare, del sentimento quale problema di tutela, l’indagine si focalizza
sui rapporti fra sen- sibilità soggettive e libertà di espressione. A suggerire
l’approfondimento di tale specifica questione sono sia ragioni concernenti gli
interessi emergenti dalle norme codicistiche, sia esigenze legate alla sempre
viva, e per molti versi crescente, conflit- tualità che si registra nel
discorso pubblico delle società occidentali. Il richiamo a sentimenti ed
emozioni può costituire un’utile coordinata esplicativa, a patto di chiarire in
che termini i problemi legati alla libertà di espressione possano essere intesi
anche come ‘fatti di sentimento’. Gli approcci di fondo sono a nostro avviso
fondamen- talmente due: il primo, che definiamo ‘naturalistico-emozionale’, è
incentrato sul turbamento psicologico che può discendere dall’essere oggetto di
determinate espressioni o dal contatto con determinate manifestazioni
espressive; il secondo, che definiamo ‘razionalistico- normativo’, mette al
centro l’analisi critica dell’emozione o del senti- VIOLA,
Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale. Tra sentimenti ed eguale
rispetto mento addotti quale ragione di potenziali divieti, al fine di
verificarne la razionalità e la consonanza in rapporto ai valori e ai principi
as- sunti quale riferimento per la regolamentazione politica. La partita
decisiva si gioca sul piano delle alternative filosofico- politiche che
concorrono a definire i tratti dei differenti, possibili modelli di democrazia.
Con riguardo alla tutela di sentimenti, la scelta di fondo – probabilmente
quella logicamente prioritaria – è fra l’avallo di interpretazioni del problema
in chiave collettivistico-co- munitarista oppure in chiave soggettivo-individualistica.
Sulla base delle istanze evidenziate dalla teorica dell’individua- lismo
democratico, come elaborato da Nadia Urbinati, riteniamo che si debba in primo
luogo emancipare la tutela di sentimenti da forme di presidio al sentire della
maggioranza, interpretando il richiamo a fenomeni affettivi come forma
metonimica tesa a evocare simboli- camente la persona nella sua dimensione di
soggetto morale, riassu- mendone contemporaneamente, quale duplice faccia nello
stesso ele- mento, la dotazione universalmente condivisa in termini egualitari
(il provare sentimenti ed emozioni di ciascun individuo) e gli esiti po-
tenzialmente conflittuali (la diversità nel sentire). La pretesa normativa
definita ‘tutela di sentimenti’ viene così a identificarsi con un progetto teso
a garantire il reciproco rispetto a partire da una cornice assiologica di
libertà e pari dignità. FISIONOMIA DELL’OFFESA Oltre i sentimenti: gli
interessi in gioco SOMMARIO Temi ‘sensibili’ e discorso pubblico: esempi guida.
Sensibilità religiosa. Sentimento del pudore e pari dignità sessuale. Apparte-
nenza e gruppalità. Rispetto, riconoscimento, stima reciproca. Pari dignità ed
eguale rispetto. Bilanciare le pretese. Dignità e capacità umane. Rispetto di
sé e umiliazione: la concezione di Margalit. Ai confini fra critica e
discriminazione. Offesa ai sentimenti e offesa alla dignità nello hate speech
secondo Waldron. Ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma. Temi
‘sensibili’ e discorso pubblico: esempi guida Cerchiamo a questo punto di dare
una fisionomia più definita ai conflitti legati alla sensibilità degli
individui. In un importante studio di fine anni Novanta, il giurista Richard
Abel parlava emblematicamente di ‘lotte per il rispetto’ per indicare il tipo
di contesa dialettica che contraddistingueva il dibattito sulla pornografia, il
contrasto al discorso razzista e le prese di posizione seguite alla
pubblicazione di opere ritenute blasfeme in quanto criti- che o irridenti verso
temi religiosi 1. Storie che hanno un nucleo co- mune, le definisce Abel,
poiché «investono valori che ispirano emo- ABEL, La parola e il rispetto,
tr. it., Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto zioni profonde» 2. In
relazione a temi di questo tipo eventuali espres- sioni di critica o di scherno
sono in grado di attivare reazioni anche su scala collettiva, estendendo la
dimensione dei problemi fino a coinvolgere l’ordine pubblico di singole realtà
nazionali e anche del panorama globale. Lo scenario contemporaneo non si
discosta più di tanto dal quadro tracciato qualche decennio fa da Abel:
razza/etnia, fede religiosa/cre- denze, modi di concepire e vivere l’identità
sessuale, sono ancora oggi ambiti tematici in grado di accendere conflittualità
esorbitanti da un ordinario dissenso, dando luogo a un tipo particolare di
scontro fra soggetti che ha a che vedere con la concrezione di affetti,
interessi, ragioni e pregiudizi contrastanti che si fronteggiano e che
paiono o sono fortemente vitali per coloro che ne sono portatori o portati» 3.
Una dialettica ad alto tasso emotivo, nella quale emergono veri e propri ‘campi
minati’ che potremmo definire ‘argomenti-trigger’, i quali hanno contribuito a
riportare oggi il tema della libertà di espressione al centro del dibattito
pubblico prima ancora che scientifico. Per meglio contestualizzare i problemi
esporremo in modo sinte- tico alcune vicende tratte dal panorama nazionale ed
europeo. In questa fase dell’indagine non ci concentreremo sulla qualifica-
zione giuridica dei fatti, ma riteniamo preferibile individuare una ca- sistica
‘tipologica’ che possa fungere da palestra concettuale per riflettere sulle
istanze di tutela che vengono associate a offese a senti- menti. Riportiamo
anche episodi di rilevanza non strettamente pena- listica, i quali evidenziano
come l’appello a sentimenti non sia conno- tato esclusivo della penalità ma
possa presentarsi anche quale giusti- ficazione, più o meno esplicita, di forme
differenti di intervento normativo. Attingeremo dal tema della critica/satira
su temi religiosi e da epi- sodi concernenti le manifestazioni della
sessualità. Riteniamo di non dover introdurre, per il momento, esempi legati al
discorso razzista: in questa fase dell’indagine presentare il discorso razzista
come pro- blema di sentimenti può essere fuorviante perché limitativo. Nel di-
ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 27. 3 CERETTI, Vita offesa, lotta per
il riconoscimento e mediazione, in AA.VV., a cura di Scaparro, Il coraggio di
mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni al- ternative delle
controversie, Milano, definisce tali conflitti ‘di seconda generazione’ per
sottolinearne la diversità da quelli che toccano le sfere della ri- produzione
materiale-economica e della sfera politica. 4 Per le medesime ragioni, in
termini ancora più stringenti, non si presta a fungere da esempio prototipico
il problema dell’incriminazione del c.d. negazio- Fisionomia
dell’offesa 143 battito sullo hate speech, categoria nella quale rientra la
propaganda razzista, la lettura dell’incriminazione come forma di rassicurazione
collettiva e come tutela della sensibilità del soggetto offeso assume una
funzione sostanzialmente critica e confutativa rispetto a un mainstream che
individua quale interesse di fondo la pari dignità, in- tesa come pericolo di
discriminazioni e come offesa a valori sul piano simbolico5. A prescindere
dalle diverse formulazioni mediante le quali lo hate speech assume rilevanza
normativa nelle singole realtà nazionali, non si tratta a nostro avviso di un
esempio prototipico di ambito normativo in cui il sentire, individuale o
collettivo, possa concorrere a definire l’oggetto di tutela, per quanto le
connessioni ri- spetto al tema in esame siano numerose e feconde, ma
necessitino di essere contestualizzate a un livello successivo dell’analisi
(vedi infra). nismo, il quale «non può essere inquadrato soltanto come una
specie del discorso razzista, v. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà
religiosa: tensioni at- tuali e profili penali, in Riv. it. dir. proc. pen. Fra
le diverse istanze addotte a sostegno dell’incriminazione è ravvisabile anche
l’offesa a un sentire condiviso, come evidenziato anche da BRUNELLI, Attorno
alla punizione del nega- zionismo, in Riv. it. dir. proc. pen., il quale
sottolinea in questo senso la differenza fra ‘negazionismo-vilipendio’ e
‘negazionismo-istigazione’; cfr. GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del
pensiero. Si veda anche FRONZA, Criminalizzazione del dissenso o tutela del
consenso. Profili critici del negazionismo come reato, in Riv. it. dir. proc.
pen., la quale mette in evidenza la natura del reato di negazionismo come
‘modello di crimina- lizzazione altamente consensuale’, rispondente ad
aspettative e a emozioni della collettività. L’ampiezza e la pluralità di
argomenti e controargomenti lascia però in secondo piano la lettura del
problema come mera tutela della sensibilità; per una panoramica v. ex plurimis,
FRONZA, Il negazionismo come reato, Milano; VISCONTI C., Aspetti penalistici;
PULITANÒ, Di fronte al negazioni- smo e al discorso d’odio, in penalecontemporaneo.it,
CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz”, le “verità” del diritto penale. La
criminalizzazione del c.d. negazionismo tra ordine pubblico, dignità e senso di
umanità, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e
della sanzione penale. Per un’accurata sintesi delle strategie di
legittimazione e degli interessi pro- tetti dall’incriminazione dello hate
speech nel panorama internazionale, v. BROWN A., Hate Speech Law; la questione
del danno alla sensibilità sogget- tiva e alla tranquillità psichica è trattata.
Si è osservato che nella trattazione della tematica delle restrizioni normative
allo hate speech sarebbe be- ne evitare generalizzazioni, non solo in relazione
alla fenomenologia delle con- dotte, ma anche con riferimento
all’individuazione, nella realtà dei diversi ordinamenti, del sistema di
prodotti normativi che vanno a costituire ciò che gli stu- diosi definiscono
‘hate speech laws’; si tratta infatti di un insieme eterogeneo, non limitabile
ai soli divieti penali, ma composto da statuizioni di diverso tipo che ne-
cessitano di strategie di legittimazione differenti.Tra sentimenti ed eguale
rispettoSensibilità religiosa Le contingenze storico-politiche suggeriscono di
prestare partico- lare attenzione alla questione dei rapporti fra libertà di
espressione e rispetto della sensibilità religiosa. L’attuale momento storico
si caratterizza per una peculiare aura di passionalità, e purtroppo anche di
violenza, che accompagnano una conflittualità per molti versi inedita 6. Le fonti
mediatiche ci mettono oggi in condizione di ascoltare la ‘voce’ delle emozioni
e di formularne interpretazioni con immedia- tezza; come ha scritto il filosofo
Ermanno Bencivenga, dopo i tragici fatti di Charlie Hebdo «[i]nsieme con le
emozioni esplosero contenuti intellettuali di ogni genere: commenti e
chiarimenti, diagnosi e previ- sioni, giudizi e proposte. Da un lato le
emozioni di chi, avvertendo una ferita al proprio sentire religioso, ha agito
con brutale violenza; dall’altro un’onda emotiva che di rimando ha stimolato
riflessioni e prese di posizione che si sono rivolte non solo contro la
condotta omicida, ma talvolta, più radicalmente, anche contro la religione e
l’etnia di appartenenza dei soggetti autori del massacro. Per quanto le due
posizioni siano del tutto incomparabili, prendere sul serio le emozioni di
entrambe le parti è utile per provare a decodificarne le pretese. Le violente
reazioni che negli ultimi tempi sono scaturite dalla pubblicazione di vignette
satiriche sulla religione musulmana rap- presentano uno fra i tanti casi in cui
la causticità di determinate forme di satira ha urtato la sensibilità di
credenti di varie fedi religio- se. Riportiamo di seguito una sintesi di alcuni
episodi tratti dalle cronache. 6 Una panoramica storica in HARE, Blasphemy and
Incitement to Religious Hatred: Free Speech Dogma and Doctrine, in AA.VV., ed.
by Hare-Weinstein, Ex- treme Speech and Democracy, Oxford; nella letteratura
italiana, v. a cura di Melloni-Cadeddu-Meloni, Blasfemia, diritti e libertà.
Una discussione dopo le stragi di Parigi, Bologna, 2015; FLORIS, Libertà di
religione e liber- tà di espressione artistica, in Quad. di diritto e politica
ecclesiastica; OZZANO, Il fondamentalismo religioso: implicazioni politiche, in
Nuova infor- mazione bibliografica. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Fisionomia
dell’offesa 145 Caso 1: da una vignetta rispunta l’accusa di deicidio al popolo
ebraico Nell’aprile 2002 un gruppo di palestinesi si rifugia all’interno della
Basilica della Natività di Betlemme per sfuggire a una rappresaglia
dell’esercito israeliano. I militari israeliani minacciano di entrare nel- la
chiesa; chiedono che vengano consegnati loro quattro palestinesi, accusati di
aver assassinato Rehavam Zeevi, ministro del governo Sharon. Giorni dopo, nel
quotidiano italiano ‘La Stampa’ compare una vi- gnetta di Giorgio Forattini dal
titolo ‘Carri armati alla mangiatoia’: la vignetta raffigura un tank israeliano
contrassegnato con la stella di David mentre punta il cannone verso una mangiatoia
sulla quale un bambino impaurito, chiaramente identificabile con Gesù, esclama:
‘Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!’. La vignetta provoca lo sdegno
e le proteste dell’allora presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Amos
Luzzatto. Queste in sinte- si le motivazioni, così riportate da fonte
giornalistica: «[u]na vignetta che non esito a definire orripilante. Ritorna
così a galla, come da- to indiscutibile a monte della caricatura stessa,
l’accusa di deicidio che pareva esser scomparsa dopo il Concilio Vaticano II. E
questo proprio nel momento in cui l’Europa è scossa da una nuova ondata di
attentati contro le nostre sinagoghe alla valutazione politica si aggiunge la
teologia, ovvero la peggiore delle soluzioni. Cresce in modo nascosto e strisciante
l’avversità per gli ebrei... Si attribuisce a una fantomatica malvagità
giudaica la responsabilità di quanto sta succedendo a Betlemme» 8. Caso 2: le
vignette danesi e l’insurrezione del mondo islamico per la rappresentazione del
Profeta Il 30 settembre 2005 il quotidiano danese Jyllands Posten pubblica
nella versione on line dodici vignette satiriche su Maometto, in una delle
quali il Profeta è raffigurato con una bomba al posto del turban- te. Le
vignette vengono successivamente ripubblicate da diverse te- state
giornalistiche europee, fra cui, il settimanale satirico francese Charlie
Hebdo. Le proteste sono immediate sia nel continente europeo sia nei paesi di
religione islamica 9: il direttore del giornale danese viene mi- 8 L’Unità. In
Danimarca viene avviato un procedimento penale, poi archiviato, per
bla- Tra sentimenti ed eguale rispetto nacciato di morte, e nelle
settimane successive alla pubblicazione vengono organizzate manifestazioni di
protesta da parte di cittadini islamici e anche da parte di esponenti
governativi che chiedono al governo danese di formulare delle scuse ufficiali.
Dure le prese di po- sizione dei governi di paesi arabi. Una significativa
sintesi delle ragioni della protesta si trova nel cosiddetto dossier Akkari-Laban
pubblicato da due Imam immigrati in Danimarca. Queste le principali
rivendicazioni avanzate dagli Imam: viene chiesto un contatto costruttivo con
la stampa ed in particolare con soggetti delle istituzioni (relevant decision
makers), non sbrigativo, ma condotto con meticolosità e lungimiranza (with a
scientific methodology and a planned and long-term programme) per rimuovere i
malintesi tra le due parti. Si afferma che i musulmani non vogliono apparire
arretrati e limitati, e non vogliono neppure accusare i danesi d’ideological
arrogance. Obiettivo è avere relazioni sicure e stabili, e una Danimarca
prospera per tutti. Si lamenta che i fedeli musulmani soffrono la mancanza di
un riconoscimento ufficiale della fede islamica, circostanza che ha fra le
immediate conseguenze la mancanza del diritto di costruire moschee. Si afferma
infine che i musulmani non abbiano bisogno di lezioni di democrazia, e si
ritiene ‘dittatoria- le’ e inaccettabile l’attuale modo europeo di concepire e
gestire la democrazia 11. Caso 3: una discussa opera teatrale e l’offesa alla
religione cattolica Viene presentato in Italia, dopo una tournée densa di polemiche
in Francia, lo spettacolo teatrale di CASTELLUCCI (si veda) dal titolo ‘Sul
concetto di volto del figlio di Dio’. L’opera rappresenta la storia di un
figlio che accudisce il padre, non più autosufficiente. Sullo sfondo della
scena, una rappresentazione del volto del Cristo (il famoso ritratto di
Antonello da Messina), che a fine spettacolo viene lacerato e fatto oggetto del
lancio di varie cose, fra cui del liquido nero da molti interpretato come feci.
Malgrado i tentativi dell’autore di spiegare il significato della prosfemia e
vilipendio di gruppi di persone. Anche in Francia viene aperto un procedimento
contro Charlie Hebdo, poi concluso con un’assoluzione. Una sintesi delle
vicenda processuali in BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette satiriche
sull’Islam costituisce reato in Italia?, in Notizie di Politeia, La Repubblica;
La Repubblica 11 Informazioni tratte dalla voce Wikipedia ‘Akkari-Laban
dossier’, nella cui pa- gina si trova il link alla versione originale del
dossier in lingua araba. Fisionomia dell’offesa 147 pria opera, lo
spettacolo è bersaglio di forti polemiche: si registrano manifestazioni di protesta
da parte di alcuni esponenti del mondo cattolico, e anche il Vaticano arriva a
definirla «un’opera che offende Gesù e i cristiani. Particolarmente
significative le parole usate dal- la Curia milanese in un comunicato ufficiale
per criticare la messa in scena al teatro Parenti: si richiama l’esigenza che
sia «riconosciuta e rispettata la sensibilità di quanti cittadini milanesi
vedono nel Volto di Cristo l’incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la
ragione della propria esistenza [...]», criticando in questo senso una scelta
che «avrebbe potuto farsi carico più attentamente della “dimensione sociale”
della libertà di espressione Sentimento del pudore e pari dignità sessuale In
relazione alle manifestazioni della sessualità emergono problemi differenti
rispetto al passato in cui Abel si soffermava sul tema della liceità della
pornografia; oggi assumono maggior rilevanza que- stioni legate
all’affermazione e al riconoscimento della pari dignità degli orientamenti
sessuali sul piano del discorso pubblico e anche della regolamentazione
normativa. Al centro dell’attenzione è il fenomeno della cosiddetta ‘omofobia’;
nella Risoluzione sull’omofobia in Europa del gennaio del 2006 essa viene
definita come «una paura e un’avversione irrazionale nei con- fronti dell’omosessualità
e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, basata sul pregiudizio e analoga
al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo». La rilevanza
penale di espressioni omofobiche è legge in diversi Paesi europei, non ancora
in Italia14. Il modello di incriminazione privilegiato fa confluire il discorso
omofobico nello hate speech; per Affermazioni di Wells, all’epoca assessore
agli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana, cui possono
affiancarsi, per identità di contenuto, le opinioni di Padre Federico Lombardi,
v. Corriere della Sera, Stralcio del comunicato della Curia milanese, così
riportato in Avvenire. Una panoramica in GOISIS, Omofobia e diritto penale.
Profili comparatistici, in penalecontemporaneo.it; DOLCINI, Omofobia e legge
penale. Note a margine di alcune recenti proposte di legge, in Riv. it. dir
proc. pen.; ID., Omofobi: nuovi martiri della libertà di manifestazione del
pensiero?, in Riv. it. dir proc. pen.; RICCARDI, Omofobia e legge penale.
Possibilità e li- miti dell’intervento penale, in penalecontemporaneo.it. Tra
sentimenti ed eguale rispetto tali ragioni riteniamo che anche l’insulto
omofobico non si presti a essere presentato in prima istanza come condotta
offensiva di senti- menti: stati affettivi vengono certo in gioco nelle
condotte omofobi- che, ma, come osservato per lo hate speech razzista, adottare
come ipotesi di lettura primaria l’offesa a sentimenti rischia di incentrare la
prospettiva sulla mera reattività emotiva. Con riferimento al tema della sessualità
e della pari dignità degli orientamenti sessuali, si rivelano particolarmente
problematiche le invocazioni dell’intervento penale che adducano offese al
pudore mo- tivate non dal livello di particolare esplicitezza di condotte
sessuali tenute in pubblico, ma in ragione dell’orientamento sessuale dei sog-
getti 15. Detto in altri termini: può capitare, ed è capitato, che si invo-
chino divieti per condotte sessuali dove il motivo dell’offesa è ricon-
ducibile esclusivamente alla tipologia di relazione e dunque al- l’identità e
alla dignità sessuale dei soggetti 16. Anche in Italia la stam- pa ha dato
notizia di denunce per atti osceni a seguito di semplici ba- ci realizzati in
pubblico nel contesto di un rapporto fra soggetti dello stesso sesso, benché
nessuno dei procedimenti, per quanto ci è noto, sia giunto a una pronuncia di
condanna 17. Caso 4: censura televisiva per un bacio gay Riteniamo
particolarmente significativo, per quanto non sia inte- 15 Si veda il vasto, e
grottesco, panorama di incriminazioni in vigore negli anni Ottanta in alcuni
Stati americani. Definirle ‘leggi antisodomia’ appare improprio poiché i
divieti attengono al tipo di atto piuttosto che al contesto della relazione. Ad
esempio, in Arizona era penalmente rilevante la condotta di «un individuo che
commetta volontariamente e senza costrizione, in qualunque modo innaturale,
qualunque atto osceno libidinoso sul o con il corpo o qualunque parte o membro
del corpo di un adulto di sesso maschile o femminile, con l’intento di eccitare,
solleticare o gratificare la lussuria, la passione, o il desiderio sessuale di
una qua- lunque delle persone coinvolte», v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità. Le
radici storiche del problema riportano alle leggi antisodomia, diffuse so-
prattutto in ambito angloamericano; su tale tema in Inghilterra si sviluppò il
ce- lebre confronto dialettico tra il filosofo di Oxford Herbert Hart e il
giudice Patrick Devlin. Hart si oppose alle tesi moralistiche di Devlin con
un’opera divenuta un manifesto del liberalismo giuridico: v. H. L. A. HART
[citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà, cit., 1968; per una
sintesi, v. CADOPPI, Moralità e buon costume (delitti contro la) (diritto inglese),
in Dig. disc. pen. Si tratta di episodi narrati da organi di stampa; a titolo
esemplificativo si veda
http://www.umbria24.it/cronaca/perugia-bacio-gay-tra-le-sentinelle-in-piedi-
alfano-riferisce-in-aula-diretta-streaming; tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/-
ContentItem-81e83656-04b5-4485-ac45-e4e5d912bc58.html. Fisionomia
dell’offesa ressato il piano penalistico, un episodio di vera e propria censura
nel- la televisione italiana di Stato, espressamente motivata da un ‘eccesso di
sensibilità’, che ha portato al taglio e alla mancata messa in onda di una
scena comprendente un bacio omosessuale. Viene trasmesso sul canale nazionale
italiano Rai 2 la serie tv statunitense ‘Le regole del delitto perfetto’. La
puntata va in onda con dei tagli rispetto alla versione origi- nale: vengono
infatti rimosse le sequenze ritraenti un bacio fra sog- getti di sesso
maschile. A seguito delle polemiche levatesi contro una simile censura, la
direttrice di Rai Due commenta «Non c’è stata nes- suna censura, semplicemente
un eccesso di pudore dovuto alla sensi- bilità individuale di chi si occupa di confezionare
l’edizione delle se- rie per il prime time» 18. 2. Appartenenza e gruppalità
Negli argomenti addotti da coloro che lamentano un’offesa rico- nosciamo
un’evidente componente emozionale, soprattutto con rife- rimento alla vignetta
sulla religione ebraica e nell’opera teatrale con- testata da una parte del
mondo cattolico. Nel primo caso lo si può desumere dal lessico (pensiamo alla
parola ‘orripilante’ che evoca una sensazione di disgusto); nell’opera teatrale
si è criticato soprat- tutto il gesto del lanciare materiali assimilati a feci
contro l’immagine del Cristo, azione il cui significato iconoclasta sarebbe
stato, forse, percepito in termini più attenuati senza il richiamo (peraltro
non univoco) alle feci, e che invece ha indotto nei fedeli una sensazione di
‘disgusto morale’. Nel caso della censura televisiva, la giustificazione
offerta in sede pubblica parla di ‘eccessiva sensibilità’ volta a evitare
l’offesa al pudore, mentre appaiono più complesse le motivazioni ad- dotte in
sede pubblica dai fedeli musulmani con riferimento alle vi- gnette danesi 19.
Tutti i suddetti conflitti possono a nostro avviso inquadrarsi in Corriere
della Sera. La reazione all’offesa
religiosa si unisce ad argomenti inerenti la situazione politica e le
condizioni di vita dei musulmani in Danimarca; al di là della cautela con cui è
bene accogliere tali istanze, resta il fatto che la rappresentazione attra-
verso le vignette si presta a essere interpretata anche come etichettamento
dell’in- tera comunità musulmana nei termini di ‘terrorista’, in questo senso
andando ol- tre la semplice irrisione sul piano religioso. Tra sentimenti
ed eguale rispetto contrapposizioni di carattere gruppale, nelle quali cioè le
ragioni del- lo scontro si legano a profili che sono identificativi di un
particolare gruppo o categoria di persone da cui si vuole prendere una
‘distanza’. Intendiamo il concetto di gruppo in un significato più esteso della
sola appartenenza etnico-culturale, e che non è limitato a gruppi c.d.
‘minoritari’ o contrapposti alla cultura dominante, ma che è fun- zionale a
designare tensioni tra forme di appartenenza che attraver- sano i confini delle
singole realtà geopolitiche 21. Un’appartenenza che si radica nel sentire
dell’individuo, la cui de- finizione può a nostro avviso esser fatta coincidere
con il termine ethos, il quale rimanda letteralmente ai concetti di abitudine e
di usanza, intesi come elementi costitutivi della diversità fra popoli e fra
individui, e che nella filosofia contemporanea è adoperato per desi- gnare «una
complessiva, non necessariamente esplicita, concezione del be- ne, o uno stile
di vita, che può anche avere una radice religiosa, e che in molti casi si
identifica con la “cultura” di una qualche comunità di appartenenza, con il
modo di sentire e giudicare, i costumi, le norme di questa comunità: in questo
senso un ethos può definire l’identità culturale o religiosa, e lato sensu
morale di una persona. Un’ulteriore connessione può trovarsi nei concetti di
categorizzazione e di autocategorizzazione. Secondo quanto osservato in
psicologia sociale, il sistema cogniti- vo umano per far fronte alla
complessità del mondo esterno sviluppa la tendenza a pensare gli oggetti
raggruppandoli in insiemi, accomu- nandoli sulla base di informazioni e di dati
estendibili alla totalità di A questo livello non vi sono, a nostro avviso,
esigenze penalistiche di delimi- tazione del concetto di appartenenza, le quali
invece appaiono evidenti quando il richiamo al gruppo o alla cultura sia
funzionale a introdurre eventuali fattori di attenuazione della responsabilità
penale, come nel caso dei c.d. ‘reati cultural- mente motivati’. In tale ultimo
caso la rilevanza sul piano penalistico è necessa- riamente subordinata a una
specificità che deve consentirne l’accertamento in sede processuale: v., per
tutti, DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali,
Pisa, 2010, pp. 25 ss.; EAD., voce Reati culturalmente condizionati, in
Enciclopedia del diritto, Annali VII, Milano; in senso lato, il problema può
riconnettersi alla categoria generale della c.d. inesigibilità, v., per tutti,
FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova. Accenna a
tale distinzione KYMLICKA, La cittadinanza multiculturale, tr. it., Bologna,
MONTICELLI, La questione morale. Fisionomia dell’offesa essi. Tale processo
classificatorio può avere a riferimento anche le persone, e si tratta di un
momento essenziale del rapporto con l’altro: «Il mondo sociale, in altri
termini, ci appare articolato in insiemi omogenei di persone unificate da un
qualche tratto. Alcune di queste suddivisioni sono più importanti e cariche di
significato, come l’appartenenza etnico culturale, la lingua, la religione, la
famiglia, le ideologie, l’orientamento politico; ma anche il genere, l’età,
l’orientamento sessuale, l’occupazione, la zona di residenza, e perfino aspetti
molto più marginali come gli hobby, gli stili di consumo o la preferenza per
una squadra di calcio, sono in grado di diventare potenti elementi di
identificazione collettiva. La tendenza alla gruppalità induce una propensione
a classifi-care gli altri individui, e si manifesta anche in senso riflessivo
come percezione di sé basata sul sentirsi parte di una categoria, ossia come
autocategorizzazione; più in particolare, l’autocategorizzazione si pone come
fondamentale momento di costruzione dell’identità sociale relativamente
all’edificazione dell’immagine di sé e al modellamento delle sfere relazionali.
Tale assunto ricorre anche in ambito antropologico: «l’esperienza della
diversità di modi di vivere porta spesso a dare giudizi di valore, sulla base
del sapere garante dell’identità del proprio gruppo, su di noi rispetto agli
altri e sugli altri rispetto a noi. Categorizzazione e autocategorizzazione
rappresentano dunque concetti essenziali per la comprensione di dinamiche
relazionali e comunicative in cui vengono in gioco ‘appartenenze significative’
dell’individuo, tali da renderlo particolarmente sensibile a ciò che vie-
LEONE-MAZZARA-SARRICA, La psicologia sociale. Processi mentali, comunica- zione
e cultura, Roma-Bari, HAIDT, Menti tribali. Si vedano, ex plurimis,
CRISP-TURNER, Psicologia sociale, tr. it., a cura di Mosso, Torino; BROWN R.,
Psicologia sociale del pregiudizio, tr. it., Bologna; CARNAGHI-ARCURI, Parole e
categorie. La cognizione sociale nei contesti intergruppo, Milano; TAJFEL,
Gruppi umani e categorie sociali, tr. it., Bologna; RAVENNA, Odiare. Quando si
vuole il male di una persona o di un gruppo, Bologna, ANGIONI G., Fare, dire,
sentire, Ci riferiamo a caratteristiche costitutive dell’identità che siano
particolar- mente totalizzanti o ‘dispotiche’, nel senso che, pur essendo
oggetto di scelta, ten- dono ad assumere una portata fortemente invasiva della
sfera personale, anche fino a generare situazioni di concorrenza e
incompatibilità con altre appartenen- Tra sentimenti ed eguale rispetto ne
detto28 sia riguardo alla sua appartenenza a un gruppo, sia ri- guardo al
gruppo in sé e a ciò che lo identifica 29, e anche riguardo a fatti di
conoscenza che si pongono a confutazione o in contrasto con il patrimonio di
conoscenze tramandato e acquisito dal gruppo 30. Secondo la ricostruzione dello
psicologo sociale Jonathan Haidt, l’uomo ha una natura sia egoista sia
gruppista, e possiede una mente ‘tribale’: l’aderenza al gruppo ‘unisce e
acceca’, nel senso che crea i presupposti per la socialità e al contempo può
intrappolare le perso- ne nelle matrici morali del gruppo di appartenenza,
ingenerando conflittualità fra gruppi contrapposti. Un risvolto di tale
relazione è l’accentuata emotività che si lega al- le questioni inerenti
l’appartenenza: ma qual è la pretesa che acco- muna le parti in conflitto? cosa
‘chiedono’ le emozioni in termini di reciprocità? ze. L’esempio principale è
l’identità religiosa; sul tema della costruzione dell’iden- tità e del
particolare ruolo ‘dispotico’ dell’identità religiosa v. PINO, Identità perso-
nale, identità religiosa e libertà individuali, in Quad. di diritto e politica
ecclesiasti- ca. Il linguaggio trasmette l’interazione con gli altri. Narra le
categorizzazioni sociali di cui ci serviamo. Reiterandoli consolida gli
stereotipi. Partecipa alla costruzione e all’alimentazione dei pregiudizi. E
così facendo influenza in modo rilevante la percezione sociale di un
determinato gruppo, v. PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I discorsi d’odio e la
libertà di espressione nel diritto costituzionale, in penale
contemporaneo.it Quali
sono queste appartenenze e in base a quali criteri il diritto può attribuire
una rilevanza? L’interrogativo, nella sua estrema complessità, non può essere
affrontato nel presente lavoro; nondimeno va tenuto conto che sia nelle scienze
sociali, sia, di riflesso, nella prospettiva giuridica, si tratta di un
problema aperto che può influire in modo determinante sull’approccio agli
eventuali limiti alla li- bertà di espressione, v. BROWN A., Hate Speech Law. Il
tipo di identità che sembra assumere una rilevanza peculiare sul piano politico
è ciò che CA- STELLS, Il potere delle identità, tr. it., Milano, definisce come
resistenziale’, ossia quella «generata dagli attori che sono in posizioni o
condizioni svalu- tate e/o stigmatizzate da parte della logica del dominio».
Nondimeno, il valore politico dell’identità può risultare condizionato anche
dal grado di ‘dispoticità’ e della conseguentemente combattività nella sfera
pubblica, v. supra, nota 27. 30 Si soffermano su tale ultima tipologia di
conflitto, tra fatti di sentimento e fatti di conoscenza, GUELLA-PICIOCCHI,
Libera manifestazione del pensiero, analizzando in particolare, in riferimento
al contesto statunitense, il tema dell’opposizione all’insegnamento delle
teorie evoluzionistiche negli istituti di istruzione di orientamento
creazionista. HAIDT, Menti tribali. Sul particolare profilo che Haidt definisce
‘principio di sacralità’, il quale porta a ritenere determinate cose (non
semplicemente materiali ma anche teorie e ideologie) come identifica- tive
della moralità del gruppo. Fisionomia dell’offesa Rispetto,
riconoscimento, stima reciproca Il concetto che meglio definisce
l’atteggiamento relazionale che ciascuno esige dai propri simili è il rispetto.
Ogni individuo si forma una propria intuitiva nozione di rispetto, la quale può
fondarsi su istanze più o meno giustificate; non è però a una tale solipsistica
concezione che il diritto può fare riferimento. La parola ‘rispetto’ ha assunto
nel corso della storia significati differenti, ma ciò che ci interessa oggi è
ricostruirne il contenuto dal punto di vista politico, non solo come
atteggiamento individuale, ma soprattutto come principio per la convivenza
nella diversità. Che cosa vuol dire rispettare le persone? Il pensiero
filosofico ha riservato particolare attenzione a tale que- stione, e
soprattutto nell’epoca attuale il tema ha assunto un’innovativa importanza: il
rispetto per le persone e fra le persone rappresenta una aspetto costitutivo
della qualità morale delle democrazie moderne. Si parla oggi non di un generico
rispetto, ma di un rispetto democratico, non gerarchico, che assume come
presupposto l’uguaglianza e la pari dignità: l’eguale rispetto, definito da
un’autorevole interprete «ragione morale alla base dell’ordinamento
democratico» 33. Sia chiaro: l’eguale rispetto rappresenta un’idea che
riconosce im- portanza morale alla ricerca di ragioni comuni (nel senso di
‘meno comprensive’) 34 da porre a fondamento di scelte normative, ma non è una
teorizzazione neutrale o dai caratteri meramente procedurali. È una concezione
eticamente ‘spessa’ che sintetizza il cardine assiologi- co della democrazia:
«un principio morale che richiede il riconosci- mento degli altri come pari in
virtù della comune umanità. Quando si parla di ‘eguale rispetto’ si intende un
atteggiamento di necessario e aprioristico riguardo di cui ogni essere umano è
con- temporaneamente titolare e debitore nei confronti degli altri indivi- Per
tutti v. MORDACCI, Rispetto, Milano. Si sottolinea che l’eguale rispetto
rappresenta un principio comune alle principali strategie di giustificazione
della legittimità democratica, v. GALEOTTI, La politica del rispetto. I
fondamenti etici della democrazia, Roma-Bari. GALEOTTI, La politica del
rispetto. Sulla definizione di ‘concezione comprensiva’, v. VECA, La filosofia
politica: si usa dire che una teoria morale è comprensiva quando essa include e
si estende sull’intero dominio di ciò che per noi vale. GALEOTTI, La politica
del rispetto. Tra sentimenti ed eguale rispetto dui, secondo una reciprocità
fra pari. Lo si definisce ‘rispetto- riconoscimento’ per distinguerlo dal
cosiddetto ‘rispetto-stima’ «che consegue alla considerazione positiva del
carattere, delle condotte, dei risultati conseguiti da una particolare persona»
38, e che è connes- so a una valutazione di meritevolezza che può mutare. La
distinzione fra le due forme di rispetto esprime anche un’indi- cazione sul
valore e sull’importanza che esse assumono in un oriz- zonte democratico:
l’impegno prioritario è il rispetto-riconoscimen- to 39, mentre l’atteggiamento
di stima è quello che più risente di emo- zioni contingenti e di inclinazioni
individuali, e non è un obiettivo proponibile in un contesto pluralista e
culturalmente disomogeneo, nel quale un dissenso intersoggettivo, anche aspro,
tra opinioni e orientamenti etici, dovrebbe considerarsi fisiologico 40. Le
oscillazioni del rispetto-stima rappresentano in definitiva un risvolto della
libertà 36 Viene sottolineato che il rispetto come riconoscimento non può venir
meno di fronte a nessuno, neppure di fronte al criminale più efferato o a chi
si sia reso autore di azioni che travalicano ogni idea di umanità. Chi afferma
che rispetto a determinati comportamenti esiste l’eventualità che un soggetto
perda tale status, procede sulla base di un’ulteriore specificazione, la quale
individua nel rispetto- riconoscimento due componenti distinte: il sentimento
di riguardo e la dispo- sizione ad agire. La perdita del rispetto come
riconoscimento può intaccare solo il sentimento di riguardo: «mentre possiamo
sospendere l’atteggiamento di ri- spetto – smettendo di considerare quell’uomo
degno del nostro riguardo – non possiamo ignorare i vincoli morali delle nostre
azioni nei suoi confronti, v. GALEOTTI, La politica del rispetto, È sulla
reciprocità che si impernia la dimensione morale del rispetto: pensare
moralmente, costruire un ragionamento morale, significa intrattenere con gli
altri una relazione di mutuo riconoscimento, cioè dar loro pari dignità e
pretendere da loro il rispetto e il riconoscimento della nostra dignità», così
BAGNOLI, L’autorità della morale, Milano, GALEOTTI, La politica del rispetto;
DARWALL, Two Kinds of Respect, Ethics. Sottolinea come la nozione stessa di
democrazia apra «a un concetto del rapporto secondo giustizia con l’altro
fondato sul suo riconoscimento, e non sul giudizio inerente alle sue capacità o
alle sue qualità EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale. Sull’importanza
del principio dell’eguale rispetto-riconoscimento nel diritto penale, v.
PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., pp. 26 ss. 40 Si apre qui il
problema, sconfinato, della tolleranza e degli eventuali limiti alla
tolleranza: sul tema v., ex plurimis, GALEOTTI, La tolleranza. Una proposta
plu- ralista, Napoli; WALZER, Sulla tolleranza, tr. it., Roma-Bari; sul tema
dei limiti, v. BOBBIO, L’età dei diritti; POPPER, Tolleranza e responsabili- tà
intellettuale, a cura di Mendus-Edwards, Saggi sulla tolleranza, Milano,
Fisionomia dell’offesa di critica, diritto da considerarsi fondamentale in una
democrazia ispirata al pluralismo assiologico. A nostro avviso le categorie
della stima e del rispetto-riconosci- mento ripropongono con un diverso lessico
l’esigenza di distinguere tra offese alla sensibilità soggettiva e forme di
offesa che appaiano orientate a minare qualcosa di più radicale, ossia il
rapporto di rico- noscimento reciproco fra persone: nel secondo caso emozioni e
sen- timenti entrano in gioco non solo da un punto di vista esteriore/feno-
menico, bensì quale tratto della personalità che si presta a strumen-
talizzazioni in chiave discriminatoria. Ed è in questi termini che si è
affermata l’assoluta rilevanza del rispetto-riconoscimento per una società:
«Fare del riconoscimento il tema centrale di un ragionamento filosofi- co-politico
significa quindi che le società devono impegnarsi a pro- muovere delle regole
capaci di creare e costituire istituzioni tali da non discriminare alcun
soggetto – persona, famiglia, gruppo inclusivo – considerandolo oggetto, o non
umano. Per approfondire tale ultima prospettiva di significato ci appog- giamo
all’elaborazione di Axel Honneth, il quale definisce il ricono- scimento: «un
processo nel quale il singolo può pervenire ad una identità pratica nella
misura in cui abbia la possibilità di accertarsi del riconoscimento di se
stesso attraverso una cerchia sempre più vasta di partner della comunicazione.
Al mancato riconoscimento può conseguire, secondo Honneth, un vulnus definibile
come ‘spre- gio’ o ‘offesa’, il cui effetto è l’alterazione dell’immagine che
una per- sona ha di sé 43. Secondo Honneth le forme di mancato riconoscimento
possono avere differenti gradazioni: si può avere uno spregio che coinvolge la
dimensione fisica, conculcando la libertà di autodeterminazione; e si CERETTI,
Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione, cit., p. 66;
nell’elaborazione di Ceretti la centralità del concetto di riconoscimento si
inqua- dra in una prospettiva di applicazione della mediazione ai conflitti
legati all’ap- partenenza. Più diffusamente sul tema del riconoscimento nella
mediazione e nel- la giustizia riparativa, v. ID., Mediazione. Una ricognizione
filosofica, in AA.VV., a cura di Picotti, La mediazione nel sistema penale
minorile, Padova; MANNOZZI-LODIGIANI, La Giustizia riparativa. Formanti,
parole, metodi, Torino, HONNETH, Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di
un’etica post- tradizionale, tr. it., Messina. Sul tema vedi anche TAYLOR, La
politica del riconoscimento. Tra sentimenti ed eguale rispetto possono avere
forme di umiliazione che influiscono sulla cosiddetta ‘autocomprensione
normativa’ della persona, escludendola struttu- ralmente dal godimento di
diritti, oppure – ed è questa la forma per la quale il termine ‘spregio’ viene
più comunemente in uso – negandole valore sociale tramite lo svilimento di modi
di vita individuali o collettivi 44. Riguardo a tale ultima dimensione di
significato si è detto che la questione del riconoscimento è cruciale nella
costituzione dell’iden- tità personale, la quale si forma attraverso una «negoziazione
che av- viene via dialogo, in parte esterno e in parte interiore, con altre
per- sone», con l’importante conseguenza che «sia sul piano intimo sia su
quello sociale (quello della politica dell’uguale dignità) la nostra iden- tità
si forma (o deforma) in relazione ai nostri incontri con “altri si-
gnificativi. Ebbene, è fondamentale il passaggio dal piano intimo a quello so-
ciale, in un percorso che deve tenere ben presenti e ben distinti en- trambi i
profili: nella individuazione di un’offesa il piano intimo en- tra in gioco ma
non può rappresentare un criterio assoluto; il richia- mo al piano sociale, e a
una dimensione di normatività oggettivabile, risulta cruciale. Honneth afferma
che «ciò che lo spregio qui sottrae alla persona, in termini di riconoscimento,
è l’approvazione sociale di una forma di autorealizzazione, alla quale essa
stessa ha prima dovuto faticosamente pervenire attraverso l’inco- raggiamento
della solidarietà di un gruppo, v. HONNETH, Riconoscimento e di- sprezzo. CERETTI,
Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione. È in base a tale
distinzione, tra piano intimo e piano sociale, che possono eventualmente essere
tematizzate questioni relative a quali siano gli ideali, le cre- denze, le
concezioni valoriali, e più in generale quali profili dell’identità morale
della persona possano essere presi in considerazione dal diritto, v. HÖRNLE,
Prote- zione penale di identità religiose?, Ragion pratica. La studiosa lascia
volutamente in sospeso la questione della soglia al di là della quale uno Sta-
to dovrebbe adoperarsi per promuovere il mutuo riconoscimento, pur non na-
scondendo notevoli perplessità sull’eventuale ricorso al diritto penale, e si
limita a rimarcare che il dare rilevanza a particolari profili dell’identità
morale, come ad esempio la fede religiosa, crei problemi di disuguaglianza
rispetto ad altre forme di propensione alla trascendenza, e pertanto, non
potendosi ragionevolmente ga- rantire a tutte lo stesso regime di tutela, lo
Stato dovrebbe mantenere un atteg- giamento di neutralità astenendosi dal
tutelare l’identità religiosa. Fisionomia dell’offesa Pari dignità
ed eguale rispetto Il disconoscimento è anche un’offesa al sentire, nella
misura in cui tocca corde significative dell’animo; ma non è scontato che
un’offesa al sentire possa anche considerarsi come negazione del
riconoscimento. Il rispetto-riconoscimento non è il riflesso univoco di
reazioni emotive, ma ha più a che fare, naturalmente, con quella dignità ultima
che non si inchina, che pretende il rispetto in forza di un valore
intrinseco della persona, un valore che ciascuno rivendica per sé stesso come
inviolabile: si tratta, in definitiva, della proiezione relazionale del valore
della dignità umana. Parlare di violazione del rispetto-riconoscimento ricalca
prima fa- cie le cadenze dell’offesa alla dignità: un accostamento tutt’altro
che risolutivo, e anzi assai problematico poiché rimanda alle profonde
criticità che sono state espresse con riferimento alla configurabilità della
dignità umana come oggetto di tutela penale 48. L’indeterminatezza penalistica
è la ricaduta di una più generale difficoltà di dare alla dignità un contenuto
e una dimensione oggetti- vi. La forte pregnanza emotiva che innerva tale
concetto lo rende par- ticolarmente esposto a ricostruzioni di parte, e dunque
a un uso che sul piano della politica del diritto appare problematico in
rapporto alle dinamiche di una società pluralista. Il rischio è che il
contenuto del concetto di dignità umana si tramuti nel mero riflesso di concezioni
comprensive, le quali, ove tra- sfuse nella dimensione giuridica,
incrementerebbero dissensi e frammentazioni. In altri termini, la dignità umana
è un concetto «fondamentale ma “manipolabile. Si tratta di obiezioni che hanno
il merito di mettere a nudo da un lato la forza retorica, e dall’altro la
fragilità contenutistica di un ri- chiamo alla dignità umana tout court,
probabilmente anche fino al MORDACCI, Rispetto. Per una panoramica sul
dibattito a livello internazionale v. ROSEN, Dignità. Storia e significato; per
un’approfondita critica dell’appello alla dignità v.CARMI, Dignity – The Enemy
from Within: A Theoretical and Comparative Analysis of Human Dignity as a Free
Speech Justification, in 9 Journal of Constitutional Law. Per una sintesi v. VERONESI, La dignità uma- na tra
teoria dell’interpretazione e topica costituzionale, in Quaderni
costituzionali, RAWLS, Liberalismo politico. CANESTRARI, Libertà di espressione
e libertà religiosa. Tra sentimenti ed eguale rispetto punto di non passare il vaglio
dei principi penalistici; ma sono ragio- ni sufficienti a espungere
radicalmente il valore della dignità dal di- scorso sui problemi di tutela? Il
richiamo alla dignità umana non sembra un postulato da cui prendere le mosse
per l’elaborazione di argomenti di parte, bensì dovrebbe essere considerato
come la dimensione di senso di ogni di- scorso che abbia a che fare con
problemi di convivenza fra uomini. Le difficoltà, financo l’impossibilità, di
un utilizzo del concetto di dignità sul piano tecnico-giuridico non ci sembrano
una ragione suf- ficiente a mettere da parte l’orizzonte simbolico e semantico
che ruota intorno alla dignità. Anche le critiche più radicali ci sembrano
rivolte all’uso piuttosto che al valore sostanziale e alla pertinenza rispetto
alle questioni in gioco53: si sta maneggiando un ‘superconcetto’ che sarebbe
necessario introdurre nel discorso con maggiore cautela, per ragioni di tipo
epistemico ed etico. Pur partendo dal presupposto che il concetto di dignità «è
intuiti- vo, nient’affatto chiaro di per sé», pare difficile poterne fare del
tutto a meno: sebbene sia un’idea imprecisa, il cui contenuto va appro- fondito
in rapporto a nozioni correlate, l’idea di dignità fa comunque la differenza»
55. Martha Nussbaum esorta a non abbandonare le co- È fuorviante contrapporre
in modo meccanico e astratto la dignità uma- na ai diritti che la Costituzione
riconosce», v. AMBROSI, Costituzione italiana e manifestazione di idee razziste
o xenofobe, a cura di Riondato, Discri- minazione razziale, xenofobia, odio
religioso. Diritti fondamentali e tutela penale, Padova. Condivisibilmente,
VERONESI, La dignità umana, sostiene che la dignità non debba essere
identificata né con un diritto, né con la piana conseguenza della violazione di
un diritto, né come un principio auto- nomamente azionabile, evidenziando in
questo senso ragionevoli obiezioni a un appiattimento della dignità sulla
dimensione del diritto positivo. La distinzione fra il concetto di dignità
(concept) e le plurivoche concezioni che da esso derivano (conceptions) è
evidenziato da MCCRUDDEN, Human Dignity, in un discorso che cerca di
evidenziare il rapporto fra il ‘nucleo duro’ del significato (core value) e le
diverse declinazioni che emergono dal discorso giuridico. 54 Per tutti, v. HASSEMER,
Argomentazione con concetti fondamentali. Pretendere di dare una veste
conchiusa e definita della dignità, identifican- dola univocamente in un
interesse ‘a senso unico’, rischia di essere una mossa azzardata sul piano
epistemico e anche una forzatura sul piano etico, ove si pre- tenda di
identificare il contenuto della dignità con istanze fondate su concezioni
comprensive. NUSSBAUM, Creare capacità, tr. it., Bologna. Nel panorama italia-
no, si veda la difesa del valore e del ruolo della dignità proposta da FLICK,
Elogio della dignità (se non ora, quando?), in Politica del diritto, Fisionomia
dell’offesa ordinate tracciate dal concetto di dignità, e a trovare delle nozioni
correlate e specificative che possano aiutare a renderlo meno liquido e più aderente
ai contesti. Un importante suggerimento è quello di focalizzare l’attenzione
sul concetto di rispetto: «La dignità è un’idea difficile da definire con
precisione, e probabil- mente non dovremmo cercare di farlo nell’ambito
politico, poiché di- verse religioni e prospettive laiche la descrivono in modi
differenti. Probabilmente dovremmo evitare che la dignità abbia un conte- nuto
specifico tutto suo: sembra essere un concetto che acquista for- ma attraverso
i legami con altri concetti, come quello di rispetto, e una varietà di principi
politici più specifici. Riteniamo tale passaggio di fondamentale importanza
poiché con- tribuisce a ridisegnare la fisionomia della dignità in termini
relazio- nali e non come valore assoluto, scisso da un rapporto fra individui.
Parlare di rispetto reciproco significa chiamare in gioco non un valo- re
esterno alla relazione, ma focalizza l’attenzione su un bilancia- mento. Le
dinamiche del rispetto-riconoscimento non esauriscono lo spa- zio etico della
dignità ma evidenziano il rapporto di simmetrica reci- procità nel quale devono
essere collocate le pretese avanzate dagli at- tori nella dialettica
pluralista, le quali appaiono tendenzialmente in- terpretabili come riflesso di
due esigenze di fondo: il rifiuto dell’imposizione, sia essa in nome della
neutralità e della verità e il rifiuto di una considerazione diseguale che
deriverebbe dal trionfo della posizione politica avversa» 57. Una ridefinizione
dell’orizzonte di tutela nei termini dell’eguale e reciproco rispetto può
rappresentare a nostro avviso un’opzione epi- stemicamente più cauta di
un’asserita ‘tutela della dignità’: a risultare decisiva non è una ricerca di
fondamenti ontologici del superconcet- to ‘dignità’, ma l’elaborazione di
criteri di bilanciamento fra opposte posizioni secondo una prospettiva di
uguaglianza. NUSSBAUM, La nuova intolleranza. Superare la paura dell’Islam e
vivere in una società più libera, tr. it., Milano. GALEOTTI, La politica del
rispetto. A chiosa della posizione della Galeotti, si è osservato che «il
rispetto-riconoscimento è dunque un atteggiamen- to verso una persona, prima
ancora che nei confronti di un’identità gruppale, che reclama azioni non
umilianti e non degradanti», così CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Tra
sentimenti ed eguale rispetto Bilanciare le pretese Dignità e capacità umane In
merito al problema dei limiti alla libertà di espressione, la digni- tà umana
mal si presta ad assumere le vesti di argomento ‘a senso uni- co’, tale da
offrire univoca giustificazione a una sola delle pretese che si confrontano, ma
è potenzialmente in grado di valere su più fronti. Parlare di tutela della
dignità assume in primo luogo il significato di un sostegno alle libertà, in
quanto l’attenzione e la cura nei con- fronti della dignità costituiscono da un
lato la condizione generativa «di un “pensiero critico, eterodosso, collidente
con pensieri e senti- menti dominanti”» e dall’altro lato «la condizione nei
soggetti istitu- zionali, della stessa capacità di resistere alla tentazione di
soffocarne la manifestazione. Secondariamente, va tenuto in considerazione che
nella dialettica fra istanze di libertà e richieste di rispetto vi sono più
dignità che en- trano in gioco: quella di colui che manifesta il proprio
pensiero e quella che si considera offesa dalla manifestazione espressiva 59.
An- che nel linguaggio può essere importante esplicitare la connessione fra
dignità e uguaglianza richiamando non semplicemente la dignità di ognuno, ma la
pari dignità come presupposto di una relazione di eguale rispetto 60. Resta
aperto il problema di contestualizzare pari dignità ed eguale rispetto in
relazione a esigenze concrete dell’essere umano, e dunque di limitare la
distanza fra la metafisica di tali concetti e le situazioni da cui scaturiscono
problemi di convivenza. FORTI, Le tinte forti del dissenso nel tempo
dell’ipercomunicazione pulviscola- re. Quale compito per il diritto penale?, in
Riv. it. dir. proc. pen. Evidenzia tale
ambiguità SCHAUER, Speaking of Dignity, ed. by Meyer-Paren, The Constitution of
rights. Human Dignity and American Values, London, the conflation of dignity
and speech, as a general proposition, is mistaken, for although speaking is
sometimes a manifestation of the dignity of the speaker, speech is also often
the instrument through use which the dignity of others is deprived»; cfr.
AMBROSI, Libertà di pensiero e manifesta- zione di opinioni razziste e
xenofobe, in Quaderni costituzionali. Cfr.
SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione. L’istigazione all’odio
razziale, Padova. Si veda anche l’icastica osservazione di Nadia Urbinati,
secondo la quale «eguale libertà è dunque il nome della difesa della dignità
umana nel tempo della modernità, v. URBINATI, Ai confini della democra- zia.
Opportunità e rischi dell’universalismo democratico, Roma.Cfr., con diversità
di accenti, CARUSO, La libertà di espressione in azione. Fisionomia dell’offesa.
Nel contesto penalistico italiano si è fatto di recente carico di tale onere
Gabrio Forti, il quale, attingendo da una recente pubblicazione di Aaron
Barak61, ha definito la dignità umana come «principio complesso che,
necessariamente sganciato da visioni o concezioni fi- losofiche unilaterali, è
suscettibile di scomposizione in entità valoria- li che devono essere
rapportate tra loro. Il richiamo alla distinzio- ne di Barak tra dignità-madre
e diritti-figli è funzionale, per Forti, a evidenziare che la libertà
d’espressione potrebbe incontrare limita- zioni volte alla tutela di altri
‘diritti-figli’ della stessa ‘dignità-madre’, a patto di uscire da un
ragionamento meramente astratto e di procedere a una ‘lettura situazionale’ che
sappia decifrare i contesti e gli specifici bisogni che possono emergere quale
interesse da contrap- porre a eventuali manifestazioni espressive. Si tratta in
altri termini di dare spessore e pregnanza personologi- ca all’interrogativo
sul perché la libertà di espressione sia così impor- tante, al di là del
riconoscimento che le è dato nelle carte costituzionali; e correlativamente, di
chiedersi quale possa essere il peso delle parole nell’economia di vita sia di
chi le esprime sia dei destinatari. Per abbozzare delle coordinate prendiamo le
mosse dal pensiero di John Searle che individua la caratteristica fondamentale
dell’essere umano nell’attitudine a porre in essere atti linguistici («we are
speech act performing primates»), e fa conseguentemente derivare la piena
dignità di un individuo dalla sua capacità di espressione. A nostro avviso non
basta tuttavia configurare una semplice pro- pensione ad atti linguistici, ma
sono necessarie ulteriori connessioni che ne mettano in luce la strumentalità
rispetto a un quadro più va- riegato di capacità e di prospettive concernenti la
realizzazione della persona. Nella riflessione filosofica contemporanea, il
discorso sulle capaci- tà trova una fondamentale elaborazione nel ‘capability
approach’ di BARAK, Human Dignity. The Constitutional Value and the Constitutional Right,
Cambridge, FORTI, Le tinte forti del dissenso. Sulle istanze partecipative
legate al discorso pubblico v. CARUSO, La libertà di espressione in azione,
SEARLE, Social Ontology and Free Speech, The Hedgehog Review: «we attain our
full dignity, our full stature as speech-act peforming animals, when we exercise
our capacities for expression. The need for dignity, self-esteem, and autonomy
come with the genetic territory, and a healthy society has to recognize these
needs and recognize that verbal self-expression is an essential component in
their satisfaction. Tra sentimenti ed
eguale rispetto Martha Nussbaum: si tratta di un’antropologia dei bisogni
dell’uomo pensata come riferimento per le strategie politiche e di
organizzazio- ne della società, basata sull’individuazione di un novero di
capacità le quali integrano e danno sostanza umana all’idea di dignità 65.
L’importanza di tale riflessione nella prospettiva penalistica è stata messa in
luce quale criterio di interpretazione dei bisogni e degli aspetti di
vulnerabilità degli esseri umani al fine di tracciare le coor- dinate per un
apporto del diritto penale alla difesa, al rispetto e an- che alla
‘costruzione’ della dignità umana. Nel condividere la suddetta impostazione,
riteniamo che attraver- so il linguaggio delle capacità si possano meglio
definire anche i con- torni delle istanze di libertà e delle richieste di
rispetto che animano la dialettica sulla libertà di espressione. Ci sembra che
un’immer- sione nelle note caratterizzanti la natura e la socialità umane possa
contribuire a tradurre le pretese in una dimensione meno astratta, per
verificare se e in che termini siano reciprocamente esigibili 67. Entrando nel
dettaglio del catalogo della Nussbaum individuiamo un novero di capacità che
definiscono una base di contenuti funzio- nale non solo alla ricognizione dei
contorni di un’ipotetica dignità of- fesa, ma che si prestano a dare senso e
sostanza alla posizione di chi chiede rispetto per la propria libertà di
esprimere contenuti pur ‘di- scutibili’, fungendo in questo senso da
connessione giustificativa an- che per la posizione di chi invoca il diritto
alla libertà di espressione: 65 «Consideriamo la persona, proprio perché
caratterizzata da attività, mete, progetti, in qualche modo capace di suscitare
un rispetto che trascende l’azione meccanica della natura, eppure bisognosa di
sostegno per portare a compimento molti progetti importanti», v. NUSSBAUM,
Diventare persone, tr. it., Bologna, FORTI, «La nostra arte è un essere
abbagliati dalla verità». L’apporto delle di- scipline penalistiche nella
costruzione della dignità umana, in Jus.L’approccio delle capacità può
rappresentare un’importante coordinata de- scrittiva e una chiave di lettura
delle istanze di tutela; in questo senso condivi- diamo e rilanciamo quale buon
esempio la proposta di ‘lettura situazionale’ basata sull’approccio delle
capacità formulata da Caputo in tema di repressio- ne penale del negazionismo, CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz. A un
livello successivo, relativo al problema della soglia di intervento normati-
vo, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 108 ss., evidenzia
in termini critici come anche tale chiave di lettura non sarebbe però
sufficiente a configurare un substrato di offensività verificabile in termini
conformi allo standard di bilanciamento che dovrebbe supportare eventuali norme
basate sullo schema applicativo del pericolo concreto. Fisionomia
dell’offesa 163 «Sensi, immaginazione, pensiero. Essere in grado di usare
l’imma- ginazione e il pensiero in collegamento con l’esperienza e la produzio-
ne di opere autoespressive, di eventi, scelti autonomamente, di natura
religiosa, letteraria, musicale, e così via. Poter usare la propria mente in
modi protetti dalla garanzia delle libertà di espressione rispetto sia al
discorso politico, sia artistico, nonché della libertà di pratica religiosa. Sentimenti.
Poter provare attaccamento per cose e persone oltre che per noi stessi. Non
vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie o paure eccessive. Ragion
pratica. Essere in grado di formarsi una concezione di ciò che è bene e
impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita.
Appartenenza. Avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere
umiliati; poter essere trattato come persona dignitosa il cui valore eguaglia
quello altrui. Questo implica, al livello minimo, prote- zione contro la
discriminazione in base a razza, sesso, tendenza sessuale, religione, casta,
etnia, origine nazionale. [...]» 68. Le suddette capacità appaiono connaturate
a una società aperta, presupposto e obiettivo di una tutela delle libertà
strumentale a mettere ogni individuo nella condizione di formarsi una
concezione di ciò che è bene potendo usare la propria mente in modi protetti
dalla libertà di espressione. Emerge però anche un livello minimo di protezione
il quale sem- bra richiamare l’esigenza di un fare attivo da parte della
politica e del- l’ordinamento giuridico, fra le cui finalità viene messo in
evidenza il contrasto alla discriminazione: significa che uno Stato dovrebbe
im- pegnarsi per garantire «le basi sociali per il rispetto di sé e per non
essere umiliati; poter essere trattato come una persona dignitosa il cui valore
eguaglia quello altrui». Ritorna anche nel pensiero della Nussbaum l’esigenza
di prestare attenzione al problema del mancato riconoscimento, qui richiamato
attraverso i concetti del ‘rispetto di sé’ e dell’‘umiliazione’. In altri ter-
mini, quando si creano le condizioni perché un soggetto venga umi- liato si
potrebbero incrinare gli equilibri che costituiscono l’humus per le capacità
umane fondamentali, e potrebbe rendersi necessario un intervento dello Stato
per cercare di ripristinarle; libertà non può si- gnificare umiliazione
dell’altro. Per quanto ispirato alla massima apertura liberale, anche il di- NUSSBAUM,
Diventare persone. Tra sentimenti ed eguale rispetto scorso di Martha Nussbaum
pone il problema di eventuali limiti e suggerisce un approfondimento del
concetto di umiliazione. Rispetto di sé e umiliazione: la concezione di Avishai
Margalit Un tentativo di elaborare una nozione politicamente spendibile – non
soggettivistica o emotivistica – dei concetti di ‘rispetto di sé’ 69 e
‘umiliazione’ si deve ad Avishai Margalit e alla sua teorizzazione sulla
‘società decente’, da intendersi come ‘società che non umilia. La nozione di
umiliazione proposta da Margalit è, per stessa ammis- sione dell’Autore, di
tipo normativo e non psicologico: umiliazione è ogni comportamento o condizione
che costituisce una valida ragione perché una persona consideri offeso il
proprio rispetto di sé. È di particolare importanza, ai fini della presente
indagine, la di- stinzione fra insulto e umiliazione: pur essendo situati lungo
un con- tinuum, rappresentano forme di offesa qualitativamente differenti, la
prima delle quali si rivolge all’onore sociale, mentre la seconda lede il
rispetto di sé inteso come percezione del valore intrinseco della persona.
L’insulto è contraddistinto da contenuti che possono essere in un certo senso
razionalizzati dal destinatario (ad esempio anche in relazione alla verità o
falsità degli asserti), l’umiliazione è più gravo- sa: riprendendo la
distinzione di Williams fra emozioni bianche e rosse, Margalit ritiene che
l’umiliazione sia associabile a un’emozione bianca, la quale comporta che il
soggetto umiliato si 69 Sul concetto di ‘rispetto di sé’, con un’impostazione
differente, si veda anche BAGNOLI, L’autorità della morale; DWORKIN, Giustizia
per i ricci, tr. it., Milano, MARGALIT, La società decente, tr. it., Milano. MARGALIT,
La società decente: questo è un significato normativo piuttosto che psicologico
dell’umiliazione. Il significato normativo non comporta per sé che la persona
che abbia una buona ragione per sentirsi umiliata, di fatto si senta tale.
D’altra parte, il significato psicologico dell’umiliazione non compor- ta che
la persona che si sente umiliata abbia una buona motivazione per questo
sentimento. La sottolineatura è sui motivi per provare umiliazione come
risultato di un comportamento altrui». Nel panorama italiano, cfr. l’ampia analisi
critica di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, MARGALIT, La società
decente. WILLIAMS, Vergogna e necessità, tr. it., Bologna, 2007; un’emozione
rossa è un’emozione in cui ci si vede attraverso gli occhi dell’altro, e perciò
si arrossisce. Con un’emozione bianca una persona si vede attraverso l’‘occhio
interno’ della propria coscienza, che può farla impallidire.
Fisionomia dell’offesa 165 guardi col proprio occhio interno ma
applicando al contempo il pun- to di vista del soggetto umiliante, e dunque
senza riuscire ad assume- re una distanza critica dall’addebito, poiché
l’umiliazione attecchisce in contesti di squilibrio fra umiliatore e vittima, e
assume l’effetto di una ‘minaccia esistenziale L’umiliazione è più che un
semplice insulto: «rifiutare un essere umano umiliandolo significa rifiutare il
modo in cui egli esprime se stesso come umano»75, radicalizzando l’addebito su
modi di essere costitutivi dell’individuo e negando l’umanità dell’altro a
causa di un’ap- partenenza significativa 76 che concorre a definirne
l’identità. Risulta perciò fondamentale distinguere quando un’espressione abbia
il significato di forte critica e quando invece sottenda un’umi- liante
esclusione e, di fatto, una discriminazione. 5. Ai confini fra critica e discriminazione
Dal punto di vista concettuale la differenza fra critica e discrimi- nazione
ricalca le due varianti del rispetto: rispetto-stima come at- teggiamento le
cui oscillazioni in positivo o in negativo possono dar luogo a forme di critica
legittima; rispetto-riconoscimento come va- lore che può essere negato
attraverso manifestazioni espressive volte a umiliare e a marginalizzare. Si
aggiunge in questo modo un ulteriore, importante, tassello al- l’itinerario
concettuale che ha preso le mosse dall’esigenza di distin- guere offese ai meri
sentimenti da condotte, e in particolare, da for- me di espressione, che, non
limitandosi a offendere l’emotività sog- gettiva, si facciano veicolo di
umiliazione e di negazione dell’eguale libertà e dignità delle persone.
MARGALIT, La società decente. MARGALIT, La società decente. MARGALIT, La
società decente, cit., pp. 165 ss. Secondo l’Autore, ciò che rende più
pregnante l’umiliazione è la connessione con il concetto di ‘gruppo
inclusivo’: si intende con tale definizione «un gruppo che ha un comune
carattere e una comune cultura, che include molti importanti e vari aspetti
della vita [nel quale] le persone che crescono nel gruppo ne acquisiscono la
cultura, e possiedono le sue particolari caratteristiche». Un tratto
particolarmente significativo riguarda il fatto che l’appartenenza al gruppo è
in parte materia di mutuo riconoscimento, nel senso che l’inclusione nel gruppo
non è determinata da una scelta personale: «esse appartengono [al gruppo] a
causa di quello che sono». 166 Tra sentimenti ed eguale rispetto È
però assai problematico trovare le rispondenze di tali distinzioni all’atto
pratico: «non è così netta, nella percezione viva, la differenza fra l’offesa
alla stima e l’offesa al riconoscimento come semplice per- sona, perché le
persone si identificano non solo con la propria umani- tà, ma soprattutto con
le loro qualità, le loro storie individuali» 77. Sia la critica sia la
discriminazione possono definirsi come forme di espressione ‘irrispettose’, e
il sottile confine che le separa a livello fenomenico espone al rischio, nella
prospettiva giuridica, di continue oscillazioni tra vuoti di tutela ed eccessi
di intervento. Come osserva Michael Rosen, «[è] evidente che il diritto a
comportarsi in maniera irrispettosa debba essere maneggiato con cura.
Probabilmente vi sono dei limiti a ciò che dovrebbe essere permesso ma dovremmo
rifiu- tare l’idea che il linguaggio volto a irritare o insultare violi
automati- camente l’essenza intrinseca di ciò che ha valore nelle persone con
la conseguenza di “deprivarle della loro dignità di esseri umani”» 78.
All’inizio del capitolo abbiamo riportato alcuni episodi tratti dalle cronache
per identificare il tipo di conflitti in cui appare a nostro av- viso più
evidente il coinvolgimento di sensibilità soggettive, esclu- dendo da tale
apparato esemplificativo il tema del discorso d’odio (c.d. hate speech) e della
propaganda razzista. Ora, alla luce dell’esi- genza di distinguere fra critica
ed esclusione/discriminazione, il ri- chiamo al discorso d’odio diviene di
importanza centrale poiché è proprio l’elaborazione teorica in materia di hate
speech 79 a fornire in- teressanti spunti in tal senso. 77 MORDACCI, Rispetto. In
questi termini Michael Rosen rimarca l’esigenza di procedere con cautela nelle
restrizioni a forme di espressione: ROSEN, Dignità.Il tema dello hate speech è
indagato in modo particolarmente approfondito nel panorama anglo-americano, nel
quale l’orientamento maggioritario è di con- trasto alle limitazioni alla
libertà di espressione. In questo senso vi sono forti dif- ferenze rispetto al
panorama europeo, le cui ragioni affondano nella storia geopo- litica dei due
continenti. Quali esempi di contrarietà ai cosiddetti ‘hate speech bans’, pur
con diversità di accenti, v. HEINZE, Hate Speech and Democratic Citizenship,
Oxford; cfr. DWORKIN, Foreword, ed. by Hare-Weinstein, Extreme Speech and
Democracy, cit., pp. V ss.; POST, Hate
Speech, ed by Hare-Weinstein, Extreme Speech and Democracy. Nella vasta
letteratura, v., fra le opere collettanee, ed. by Hare- Weinstein, Extreme
Speech and Democracy, cit.; AA.VV., ed. by Herz-Molnar, The Content and the
Context of Hate Speech: Rethinking Regulation and Responses, Cambridge, 2012. Per un quadro di sintesi sulle differenze emergenti
fra la giu- risprudenza statunitense ed europea v. KISKA, Hate speech: a
Comparison between the European Court of Human Rights and the United States
Supreme Court Juris- prudence, in 25 Regent University Law Review, Fisionomia
dell’offesa La connessione della problematica della tutela di sentimenti al
tema della discriminazione si lega a ragioni di maggiore selettività, mirate a
differenziare offese alla sensibilità, le quali dovrebbero con- siderarsi come
ricaduta di un fisiologico e pluralistico dissenso e co- me evento collaterale
alla libertà di critica, da manifestazioni di ne- gazione della pari dignità e
dunque del rispetto-riconoscimento. 5.1. Offesa ai sentimenti e offesa alla
dignità nello hate speech secondo Jeremy Waldron Un importante contributo viene
dal giurista Jeremy Waldron il quale argomenta sulla dannosità del discorso
d’odio a partire da quel- la che considera una fuorviante commistione fra hate
speech e tutela di sentimenti. Lo studioso sostiene che il disvalore dello hate
speech non vada identificato nello stato psichico negativo concretamente o
potenzial- mente indotto da manifestazioni espressive, e adotta in questo senso
una posizione di contrasto a incriminazioni fondate sulla logica dell’offense
di feinberghiana memoria; la protezione di sentimenti è un effetto solo
indiretto, così come l’induzione di stati psichici nega- tivi è un elemento
collaterale che non esaurisce il disvalore del di- scorso d’odio. L’orizzonte
dello hate speech dovrebbe coincidere con offese alla dignità del singolo in
quanto appartenente a determinati gruppi o credente in determinati ideali; le
forme di critica anche aspre e irriverenti che non rappresentino una
stigmatizzazione dell’individuo in ragione di suoi specifici tratti, dovrebbero
considerarsi al di fuori dell’area di interventi normativi 81. 80 Waldron si
caratterizza per un approccio più disincantato nei confronti del- la libertà di
espressione: l’Autore è aperto a prospettive di regolamentazione nor- mativa
del discorso pubblico e in questo senso si distingue nel panorama statuni-
tense in virtù di una posizione minoritaria, espressa in particolare negli
studi raccolti in WALDRON, The Harm in Hate Speech, Harvard. Per un quadro
generale e un excursus storico sulla libertà di espressione negli Stati Uniti,
v. KALVEN, A Worthy Tradition: Freedom of Speech in America, New York; per una
sintesi del dibattito su pornografia e blasfemia v. POST, Cultural
Heterogeneity and Law: Pornography, Blasphemy, and the First Amendment, in
California Law Review. Interessanti spunti sul tema sono offerti anche da
Robert Post il quale inter- preta la distinzione tra espressioni tollerabili e
intollerabili come riflesso di di- namiche di egemonia sociale delle classi
dominanti: secondo Post il discorso Tra sentimenti ed eguale rispetto
Ricondurre la questione dello hate speech a un problema di offesa a sentimenti
significherebbe sminuirne la portata 82, poiché una con- cezione emotivistica
dell’interesse protetto non dà adeguatamente conto del radicamento del discorso
d’odio e di come esso possa con- taminare l’ambiente sociale anche al di là del
turbamento emotivo indotto su singoli individui. Lo hate speech non appare
pertanto riducibile a un mero insulto dal forte impatto emotivo, ma piuttosto a
un discorso che può intac- care la considerazione sociale dei destinatari
dell’offesa, a detrimento di interessi come l’inclusività (inclusiveness) e la
garanzia (assurance) di non essere discriminati 84. Il punto fondamentale,
secondo Waldron, è distinguere fra espres- sioni che suscitano emozioni e
dunque ‘offendono’ in un senso affine all’offense principle, ed espressioni che
‘aggrediscono’ la dignità del d’odio è ritenuto illegittimo poiché esorbita da
standard che rinviano a norme so- ciali dettate dai gruppi dominanti: quando il
diritto impone una determinata di- stinzione, come quella che richiede di non
accomunare espressioni di fisiologico disaccordo a manifestazioni d’odio, sta
in definitiva imponendo egemonicamente standard sociali di decorosità nei
rapporti intersoggettivi: «This suggests that whenever law chooses to enforce
cultural norms, as for example by enforcing norms that distinguish hate speech
from normal disagreement, law hegemonical- ly imposes a particular vision of
these norms. Hate speech
regulation imagines itself as simply enforcing the given and natural norms of a
decent society, á la Devlin; but from a sociological or anthropological point
of view we know that law is always actually enforcing the mores of the dominant
group that controls the content of law», v. POST, Hate Speech, cit., p. 130. Sembra fondarsi invece sulla ‘non astinenza
epistemica’ che accompagna i divieti in materia di hate speech, e che sarebbe
dunque incompatibile con una dimensione democratica del discorso pubblico, la
critica di fondo di HEINZE, Hate Speech. Nella letteratura italiana, con
diversità di accenti, sul problema della (tendenzialmente impossibile)
‘astinenza epistemica’ del legislatore in materia di regolamentazione del
discorso pubblico VISCONTI C., Aspetti penalistici; TESAURO, Ri- flessioni in
tema di dignità umana. La differenza
risiede nella distinzione «between undermining a person’s dignity and causing
offense to the same individual [...] to protect people from of- fense or from
being offended is to protect them from a certain sort of effect on their
feelings. And that is different from protecting their dignity and the assurance
of their decent treatment in society», WALDRON, The Harm in Hate Speech. WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 116; per
un approfondimento critico sul rischio di interpretazioni soggettivistiche, e
un riorientamento della categoria degli hate crimes in una prospettiva
incentrata su dissenso politico e rispetto per le differenze v. PERRY, A Crime
by Any Other Name: The Semantics of Hate, in 4 Journal of Hate Studies. WALDRON, The Harm in Hate
speech. Fisionomia dell’offesa soggetto («offending people and assaulting their
dignity»), intesa come basic social standing, the basis of their recognition as
social equals and as bearers of human rights and constitutional entitlements. Il turbamento che un soggetto possa eventualmente
avvertire, e dunque le emozioni negative che plausibilmente si accompagnano
alle parole87, non sono del tutto irrilevanti (e testimoniano come l’offesa
coinvolga qualcosa di importante per la persona), ma enfatizzarne il rilievo
significherebbe, secondo Waldron, esporsi alla critica che lo hate speech
tuteli meri sentimenti. L’offesa emotiva rappresen- ta una proiezione
soggettiva, ‘metonimica’ nel senso che descrive solo una parte della dimensione
del danno. Perché un’espressione di negazione del riconoscimento dovrebbe
essere ritenuta più grave di una critica irridente che offende il sentire
soggettivo? Fra le ragioni addotte a sostegno della diversa gravità di tali forme
di offesa, anche Waldron richiama l’insondabilità delle emozioni soggettive e
la mutevolezza delle soglie di suscettibilità individuale, the basic
distinction between an attack on the body of beliefs and an attack on the basic
social standing and reputation of a group of people is clear. In every aspect of democratic
society, we distinguish between the respect accorded to a citizen and the
disagreement we might have concerning his or her social and political
convictions. Defaming the group that comprises all Christians, as op- posed to
defaming Christians as members of that group, means defaming the creeds,
Christ, and the saints», WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 120. 86 WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 59. 87
Assumiamo come presupposto che le parole possano ferire, quantomeno in- ducendo
emozioni negative; il fatto che tali conseguenze possano non essere con-
siderate rilevanti in quanto non integrino la dimensione normativa del danno, è
un problema successivo, ma che non dovrebbe portare a disconoscere una di-
mensione di lesività a livello naturalistico. Sul punto risulta interessante la
posi- zione di Schauer, il quale sostiene che definire aprioristicamente come
‘minore’ il danno provocato da parole, solo perché ‘non fisico’ o meno
visibile, sia altamente opinabile. Riconoscere che un danno, inteso come sofferenza
fisica, possa crearsi, non significa automaticamente inferirne la rilevanza sul
piano giuridico in termi- ni di compressioni di libertà: «If there is a free
speech principle, then a conse- quence will be that a range of distresses and
negative outcomes produced by the relevant category of speech act will be
considered not to have caused harms in the legally redressable sense, but that
is very different from saying pretheoretically that it is a characteristic of
the acts that they are as category less harmful», SCHAUER, The Phenomenology of
Speech and Harm,Ethics. WALDRON, The Harm in Hate Speech. WALDRON, The Harm in
Hate Speech. Tra sentimenti ed eguale rispetto ma non
appaiono queste le ragioni decisive. L’offesa discriminatoria fa leva sulla
diversità per comunicare esclusione da ogni prospettiva di dialogo: in questo
senso realizza un’interazione con lo status sociale e relazionale delle persone
attraverso la negazione del patto etico su cui si fonda la convivenza, ossia la
pari dignità dell’altro 90. L’intru- sione nella sfera di libertà altrui si
realizza attraverso una potenziale compromissione delle trame sociali e
relazionali, e più in generale dell’ambiente sociale in cui dispiegano la
propria esistenza gli indivi- dui destinatari di determinate espressioni. Un’ulteriore
importante precisazione avanzata da JWaldron concerne la distinzione a livello
concettuale tra offese alla reputazio- ne del gruppo ed espressioni
discriminatorie che si riflettono sul sin- golo individuo in quanto
appartenente al gruppo. Troppo spesso, os- serva Waldron, la c.d. ‘diffamazione
di gruppo’ (defamation group) Si è osservato che l’incriminazione di tale
tipologia di espressioni potrebbe essere l’unica eccezione al principio secondo
cui in uno Stato liberale non si do- vrebbero incriminare concezioni di valore
e modi di pensare: «[d]iversamente ac- cade, eccezionalmente, soltanto quando
certi comportamenti manifestano e/o realizzano modi di pensare, convinzioni e
concezioni di valore con i quali viene propagandato e/o trasformato un certo
stile di vita che esclude in modo combat- tivo altre concezioni del bene,
oppure addirittura nega a certi gruppi all’interno della società lo stato di membri
aventi gli stessi diritti», v. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento
per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico [cf. H. P.
Grice, CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]? ABEL, La parola e il rispetto, cit.,
pp. 101 ss., il quale individua la c.d. ‘riproduzione della disuguaglianza di
status’ come uno dei possi- bili danni realizzabili dalle parole. D’obbligo il
richiamo alla cosiddetta ‘Critical Race Theory’ quale esempio di teoria che ha
esposto con dovizia argomentativa, per quanto non immune da obie- zioni, le
ricadute dannose del discorso denigratorio basandosi sulle espressioni a sfondo
razziale: in estrema sintesi si sostiene che la diffusione dell’odio, e in
parti- colare l’odio razzista, produrrebbe a livello individuale fenomeni di
ansia, disagio psichico e perdita di autostima tali da poter influire sulla
vita relazionale degli individui, mentre a livello sociale porterebbe alla
formazione di un clima culturale di ostilità fino a poter generare anche il
c.d. ‘Silencing Effect’, ossia l’effetto silenziatore consistente nello
screditare socialmente le minoranze offese fino a minare il loro status di
partner a livello comunicativo in ambito sociale. Per un’ampia e dettagliata
sintesi v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana; cfr. PINO, Discorso
razzista e libertà di manifestazione del pensiero, in Politica del diritto; si
veda anche a cura di Thomas-Zanetti, Legge razza diritti. La Critical Race
Theory negli Stati Uniti, Reggio Emilia. Il lessico inglese distingue fra
individual defamation e group defamation intendendo con il secondo termine
l’area di problemi che viene comunemente identificata come hate speech. In many countries, a
different term or set of terms is used by jurist: instead of “hate speech”,
they talk about “group libel” or “group defamation”», v. WALDRON, The Harm in
Hate Speech. Mal- Fisionomia dell’offesa
171 viene intesa come offesa che, indirizzandosi ai valori che fondano
l’identità del gruppo, coinvolgono il singolo solo in termini di disagio
emotivo: non è questa la prospettiva con cui identificare lo hate speech.
L’offesa che dovrebbe rilevare come discorso discriminatorio è quella che
strumentalizza l’appartenenza al gruppo come fattore di degradazione e di
inferiorità della persona. In altri termini, una prospettiva di intervento
normativo non do- vrebbe avere ad oggetto principi o concezioni valoriali in
sé, neppure nella forma mediata di carattere identificativo di un gruppo, e
dunque nella loro dimensione sovraindividuale e impersonale. I cosiddetti ‘va-
lori’, intesi come principi su cui un soggetto impronta la propria vita specie
con riferimento alla sfera morale, possono assumere rilevanza in quanto
elementi costitutivi del modo d’essere degli individui. Al termine di tale
complessa disamina, un dato di fondo sembra difficilmente contestabile:
distinguere fra espressioni di odio e di cri- tica, tra offese alla dignità del
singolo in quanto aderente a un grup- po e offese alla reputazione del gruppo
stesso, e più in generale stabilire la portata offensiva di un’espressione
verbale o simbolica, è un’operazione ermeneutica che necessita di un’attenta
lettura di contesti e situazioni, e che non può essere imbrigliata in
categorizzazioni di carattere ‘assoluto. Ermeneutica del fatto ed ermeneutica
della norma Prima di verificare la rispondenza di tali distinzioni nelle
eventuali prassi applicative, si pone l’esigenza di una riflessione sul piano
dei presupposti del ragionamento. L’individuazione di un confine fra critica e
discriminazione si ri- grado la sostanziale identità sul piano lessicale, la
defamation group non appare perfettamente sovrapponibile a ciò che nel contesto
italiano viene definito diffamazione di gruppo come variante plurisoggettiva
del reato di diffamazione semplice, la quale è volta, quantomeno in via
teorica, a reprimere le medesime offese che rileverebbero ex art. 595 c.p.,
ossia un novero più ampio rispetto a ciò che si potrebbe definire ‘discorso
d’odio’ (v. infra, nota 120). 93 WALDRON, The Harm in Hate Speech. Sul tema, v.
DE MONTICELLI, La questione morale; cfr. RAZ, I va- lori fra attaccamento e
rispetto, tr. it., cur. di Belvisi, Reggio Emilia. Osserva GALEOTTI, La
politica del rispetto, che «culture e tradizioni possono avere un valore
estetico, storico e archeologico, ma non intrinsecamente morale. Il loro valore
morale deriva dal fatto che sono importanti e fonti d’ispi- razione per i loro
membri e non in sé. Tra sentimenti ed eguale rispetto flette sul raggio
applicativo di norme giuridiche, sia vigenti sia in prospettiva de iure
condendo, e dipende in primo luogo dall’interpre- tazione di dinamiche
intersoggettive e di aspetti fattuali: non sempli- cemente conoscenza di fatti,
bensì attribuzione di significato ad azioni ed espressioni. La distinzione fra
questi profili non sembra adeguatamente ap- profondita in sede teorica95, ed è
del tutto trascurata nel contesto giurisprudenziale, ove l’interpretazione del
fatto finisce per essere as- sorbita, e data per scontata, rispetto alla
sussunzione normativa, sen- za riconoscere che le peculiarità del fatto possono
dar luogo a pro- blemi logicamente autonomi e complementari all’ermeneutica
della norma giuridica: problemi «di interpretazione del fatto, e che si riflet-
tono sulla applicazione del diritto» 96. In questa sede ci limitiamo a
evidenziare come la distinzione fra ermeneutica del fatto ed ermeneutica della
norma si ponga a livello concettuale quale richiamo, a nostro avviso
necessario, per eviden- ziare fasi differenti nella gestione epistemica del
ragionamento giu- diziale 97. La soglia di rilevanza penale di manifestazioni
espressive costitui- sce un tema in relazione al quale i rapporti fra
ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma appaiono fortemente
compenetrati; co- me osservato da Richard Abel: «gli sforzi giuridici per
regolare l’espressione sprofondano nell’inelimi- nabile ambiguità dei
significati. Il senso e la valenza morale dei sim- 95 Un’opera dedicata ex
professo al rapporto fra giudicante e interpretazione di elementi
extragiuridici, e più in generale, al tema del ruolo dei valori culturali quale
fattore di influenza nelle decisioni giudiziali, è lo studio di BIANCHI
D’ESPINOSA- CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali
della giuri- sprudenza, cit. 96 PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpretazioni
penalistiche,a cura di Biscotti-Borsellino-Pocar-Pulitanò, La fabbrica delle
interpretazioni, Milano. Problema differente è se la distinzione fra
ermeneutica del fatto ed erme- neutica della norma sia meramente
concettualistica, finendo per restare assorbita nella spirale ermeneutica e
nell’intreccio tra fatto e diritto; sul tema, con diversità di accenti, v.
FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in ID., Il
diritto penale tra legge e giudice, Padova; DI GIOVINE O., L’in- terpretazione
nel diritto penale. Tra creatività e vincolo alla legge, Milano DONINI,
Disposizione e norma nell’ermeneutica penale, La fab- brica delle
interpretazioni; PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpretazioni penalistiche; PALAZZO,
Testo e contesto. Fisionomia dell’offesa 173 boli variano radicalmente a
seconda di chi parla e di chi ascolta e pos- sono capovolgersi rapidamente,
perfino istantaneamente. Quando si ha a che fare con forme di espressione non
si pone tan- to un problema di conoscenza di fatti, quanto di selezione e
valuta- zione di elementi di contesto chiamati a definirne la dimensione di
significato: l’interpretazione di una manifestazione espressiva non si riduce a
un esame della lessicalità o a un riscontro oggettivo di gesti simbolici senza
tenere in considerazione la relazione intersoggettiva di base e il contesto di
sfondo. Lo studioso, ed eventualmente il giudice, si trovano alle prese con una
complessa ermeneutica finalizzata a concretizzare il volto del fatto punibile,
complementare rispetto all’ermeneutica della norma. Problemi simili sono emersi
con riferimento anche ad altri ambiti, ad esempio nell’interpretazione del
concetto di osceno in rapporto alla libertà di creazione artistica 100, in
relazione all’accertamento del- l’appartenenza culturale di un soggetto quale
eventuale causa di attenuazione della responsabilità101, e anche in relazione
all’interpretazione del gesto del bacio come condotta sessualmente pregnante
piuttosto che come approccio confidenziale e innocente. Come è stato osservato
in dottrina, la ricostruzione del fatto è probabilmente il momento più delicato
del procedimento interpretativo, avvinto in un intreccio col diritto che è
stato definito diabolico: l’interprete non è un semplice spettatore che importa
passiva- ABEL, La parola e il rispetto. FIANDACA, Problematica dell’osceno. FIANDACA,
Problematica dell’osceno. Una caso emblematico è la vicenda giudiziaria
relativa al film ‘Ultimo tango a Parigi’ di Bertolucci, oggi riassunta nel volume
di AA.VV., a cura di Massaro, Ultimo tango a Parigi quarant’anni dopo. Osceno e
comune sentimento del pudore tra arte cine- matografica, diritto e processo
penale, Roma; v. in particolare il saggio di MASSARO, Lo spettacolo
cinematografico osceno tra elementi elastici e difetto di determinatezza. DE
MAGLIE, I reati culturalmente motivati. In relazione a tale ultima questione si
è osservato come l’interpretazione del gesto non possa limitarsi a una statica
rispondenza con pattern comportamentali, ma richieda piuttosto una prospettiva
ermeneutica «incline a prendere in consi- derazione anche il contesto in cui il
contatto fisico si realizza e dunque la complessa dinamica intersoggettiva che
si sviluppa nell’ambito della situazioni coartanti, v. FIANDACA, Ermeneutica e
applicazione giudiziale. GIOVINE O., Considerazioni su interpretazione,
retorica e deontologia in di- ritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen. Tra
sentimenti ed eguale rispetto mente e acriticamente elementi della realtà
all’interno del proprio procedimento cognitivo, ma opera una selezione
determinata dalle peculiari modalità di apprendimento che caratterizzano in
modo dif- ferente ogni singolo individuo, sulla base di fattori che comprendono
il corredo neurobiologico, la dimensione delle esperienze personali, la matrice
culturale 104 e, piaccia o non piaccia, l’ideologia 105. In altri termini, il
giudicante non si limita a prendere atto di ele- menti di fatto, ma interpreta
i significati del fatto selezionando gli aspetti rilevanti per la decisione. In
fase applicativa tali questioni finiscono per restare assorbite, e non
sufficientemente distinte, dal piano strettamente giuridico, e si espongono in
questo senso a una gestione epistemica sulla quale in- combe il rischio di un
uso non adeguatamente sorvegliato di nozioni e di concetti che attengono al
piano socio-psicologico. In altri termini, sarebbe opportuno far sì che
determinate interpre- tazioni dei significati del fatto divenissero oggetto di
analisi ed even- tualmente di confutazione, «piuttosto che essere semplicemente
fatte passare per conoscenza generale o per ciò che i giudici ritengono esse-
re, non sempre correttamente, e non sempre indipendentemente dal 104 Per tutti,
DI GIOVINE O., L’interpretazione nel diritto penale. Per un’approfondita
riflessione, ancora attuale, sull’ideologia del giudice v. GRECO, Premessa,
Cfr. DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. Nel panorama italiano il
problema di una perizia relativa ai profili socio- culturali del fatto si è
posto, soprattutto in passato, con riferimento ai rapporti fra valore artistico
e oscenità, e ad oggi è discusso prevalentemente in relazione ai c.d. reati
‘culturalmente motivati’; in riferimento al tema della perizia artistica v.
LUCIANI, La nozione penalistica di “opera d’arte” di cui all’art. 529 c.p.
Considera- zioni di diritto sostanziale e processuale, a cura di Massaro,
Ultimo tango a Parigi. In relazione alla perizia culturale, oltre al citato
studio di Cristina de Maglie, va menzionato un ulteriore importante contributo
proveniente dall’ambito costituzionalistico nel quale viene tematizzata la
necessità di un avvaloramento epistemico del ragionamento giudiziale attra-
verso l’elaborazione un percorso volto a rendere tendenzialmente più oggettivo
l’accertamento di un conflitto culturale: v. RUGGIU, Il giudice antropologo.
Costitu- zione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano.
Sempre in tema di reati culturalmente motivati, con riferimento alla
valutazione della motivazione culturale, è frequente riscontrare nella
giurisprudenza di legittimità argomentazioni carenti e approssimative, sovente
esito di posizioni ideologiche pur benintenzionate ma nondimeno fortemente
discutibili: per un esempio v. Cass. pen., sez., con nota di FERLA, Il pugnale
dei Sikh tra esigenze di sicurezza e divieti normativo-culturali, in Giur. it. Fisionomia
dell’offesa loro retroterra culturale,
la saggezza comune dell’umanità» 108. Per tali ragioni ben si comprende che la
valutazione del margine di confine fra espressioni tollerabili ed espressioni
non consentite, anche ove sia tenuta a distanza dalla sensibilità della
vittima, finisca poi per essere esposta, e dipendere in larga misura, anche
dalla sen- sibilità dell’interprete, sia esso studioso teorico o applicatore di
even- tuali norme 109. Si tratta di un fattore problematico del quale va tenu-
to conto sia come chiave di lettura delle oscillazioni riscontrabili nel- la
casistica giurisprudenziale, sia quale elemento di riflessione in rapporto al
ruolo che i giudici assumono, o potrebbero assumere, nel farsi arbitri della
soglia di intervento penale 110. In relazione a un ulteriore profilo, sempre
legato alla ricerca di SCHAUER, Il ragionamento giuridico, tr. it., Bari.
Sottolinea con chiarezza TARUFFO, Senso comune, esperienza e scienza nel
ragionamento del giudice, in ID., Sui confini. Scritti sulla giustizia civile,
Bologna, che il ragionamento del giudice non è determinato da criteri o norme
di carattere giuri- dico, bensì, quando supera i confini di ciò che convenzionalmente
si intende per ‘diritto’, risulta impregnato anche del cosiddetto ‘senso
comune’. Da ciò la neces- sità che il giudice sia «consapevole della
frammentazione e della variabilità delle coordinate conoscitive e valutative
che ormai sono i tratti dominanti della società attuale. In ambito penalistico,
HASSEMER, Perché punire è necessario., osserva, con realismo, che il giudice fa
ricorso a teorie del senso comu- ne sia per questioni inerenti al contenimento
dei tempi del giudizio, ma anche perché il suo ruolo deve restare comunque
centrale rispetto ai pareri della scien- za; nondimeno egli deve assumersi tale
responsabilità epistemica: il giudice penale ha il diritto e il dovere di
apportare il suo sapere fattuale e di assumer- sene la responsabilità. Da
questa responsabilità non può liberarlo alcun pare- re». Sul cosiddetto ‘senso
comune’ v. Supra. Esempio emblematico di ermeneutica del fatto impregnata di
discutibili principi di psicologia del senso comune, per lo più riflesso di
precomprensioni del giudicante, sono le sentenze relative alla vicenda del film
‘Ultimo tango a Parigi, Ultimo tango a Parigi. Un’altra pronuncia, più recente,
in cui risulta altamente opinabile l’ermeneutica del fatto è Trib. Latina,
riportata in SIRACUSANO, Vilipendio religioso e satira: “nuove” incriminazioni
e nuove soluzioni giurisprudenziali, in Stato, Chiese e pluralismo
confessionale; per una critica v. VISCONTI C., Aspetti penalistici. Il fenomeno
è evidente soprattutto in quelle disposizioni che hanno un’importanza politica,
che regolano cioè, in senso lato i rapporti fra lo Stato e i cittadini, e che –
naturalmente – consentano più di un’interpretazione. E, nella possibilità di
una duplice interpretazione, l’una e l’altra certamente, per così dire, politica,
può stabilirsi, attraverso l’esame di una decisione, l’indirizzo ideo- logico
del giudice», v. BIANCHI D’ESPINOSA, Introduzione, in BIANCHI D’ESPINOSA-
CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della
giurisprudenza. Tra sentimenti ed eguale rispetto una soglia oggettiva di
tollerabilità delle forme di espressione e, più in generale riferibile alle
norme che richiamino, implicitamente o espressamente, fatti di sentimento, è
stato condivisibilmente osserva- to in dottrina che quando vengono in gioco
interessi di tutela assimi- labili in tutto o in parte a sentimenti la tipicità
diviene prevalente- mente valutativa, rimettendo al giudice bilanciamenti che,
teorica- mente, il diritto avrebbe dovuto cristallizzare in astratto 111. Un
caso emblematico è l’onore personale, in relazione al quale si è osservato come
esso non si presti a una predeterminazione esaustiva, ma sia in definitiva
co-determinato dall’incidenza che i diritti costituzionalmente rilevanti
esercitano nel determinarne i limiti di estensione. Si è parlato di una
‘tipicità on balance’ «nel senso che la figura criminosa in questione, lungi
dall’essere ricostruita una volta per tut- te in modo stabile e definitivo
assume una fisionomia variabile che dipende dalle caratteristiche del caso
concreto. In altri termini, un intreccio simbiotico tra fatto e
antigiuridicità, alla luce del quale non è appropriato parlare di un giudizio
di tipicità del tutto indipendente dalla eventuale sussistenza di cause di
giustificazione, con la conse- guenza che le operazioni di bilanciamento
sottese al momento giusti- ficativo finiscono per avere una funzione
indispensabile al fine di integrare la tipicità stessa. Fattispecie così
strutturate, prive cioè di una dimensione lesiva compiutamente apprezzabile in
sede di tipicità, scaricano sul momento applicativo la definizione di requisiti
strutturali, imponendo in via surrogatoria al giudice di tracciare
autonomamente i confini dell’illi- ceità attraverso tecniche di bilanciamento a
vocazione “tipologica. GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale? TESAURO,
La diffamazione. TESAURO, La diffamazione. TESAURO, La diffamazione. TESAURO,
La diffamazione. Oltre a tale profilo, e alle connesse implicazioni di teoria
del reato, un simile intreccio fra tipicità e giustificazione rappresenta a
nostro avviso la conferma che l’interpretazione dei conflitti in tema di
libertà di espressione si sottrae a una logica binaria, tale per cui o vi è
offesa o vi è esercizio di libertà; si tratta di un ambito dominato da
situazioni in cui il con- fine tra lecito e lecito non solo non appare
predeterminabile in chiave di tipicità astratta, ma è poroso, labile. Si è
osservato che uno dei limiti della giurispruden- za italiana sul vilipendio
alla religione è quello di adottare, con discutibili percor- si argomentativi,
un’impostazione secondo la quale l’operatività della scriminante dell’esercizio
di un diritto rappresenta un’alternativa che si pone in rapporti dico-
Fisionomia dell’offesa L’incardinamento dei bilanciamenti sottesi alla
giustificazione fra le trame di una tipicità ‘di matrice giudiziale’, se da un
lato può ac- crescere il potenziale di discrezionalità degli applicatori,
dall’altra parte produce l’effetto di concepire il fatto tipico come struttura
in fieri, aperta alla presa in carico di problemi e di istanze sociali che
trovano voce attraverso le cause di giustificazione 116, ricollocandone il
raggio d’azione non semplicemente come elementi tali da neutra- lizzare una
precedente offensività, ma come fattori che influiscono sul disvalore del fatto
in concreto. In questo senso si potrebbe ipotizzare che l’intreccio fra
tipicità e giustificazione finisca per assegnare alle scriminanti un ruolo di
‘re- spiro’ della fattispecie astratta simile a quello svolto dagli elementi
normativi di matrice culturale. Le norme limitative della libertà di
espressione appaiono in questo senso ‘a geometria variabile’117, ossia
modellate su bilanciamenti che risentono dei mutamenti dei costumi e delle
soglie di tollerabilità so- ciale, non fissabili aprioristicamente ma da
determinarsi in relazione a un quadro di contingenze storiche e culturali. A
conferma del fatto che non si possono affrontare tali questioni senza una
chiara messa a fuo- co del contesto che fa da sfondo alle espressioni, ai mondi
morali a confronto e alle contingenze storico-politiche: «[l]a apparentemente
distaccata, analisi di diritto positivo su libertà di parola e repressione
penale è [...] insidiata e talora travolta dal calore dell’urgenza della realtà
così com’è, e quindi dal confronto politico tout court» 118. tomici con
eventuali interessi concorrenti; in questo modo la ricognizione dei conflitti
finisce per adagiarsi su una logica binaria, trascurando, o negando, che ciò
che rende legittimo l’esercizio di una libertà o di una eventuale limitazione
non è la radicale inconfigurabilità di un eventuale controinteresse, ma si
tratta invece di un giudizio legato a contingenze del caso concreto e a criteri
di oppor- tunità della sanzione; v. VISCONTI Aspetti penalistici.Come osservato
da Donini, il mondo dei diritti riflesso nelle cause di giustificazione
riguarda la continua evoluzione della società civile una varietà ed evoluzione
che sottostà all’apparente staticità delle incriminazioni e produce a volte nuove
fattispecie di reato create in via legislativa, ma è capace di bilanciare tali
diritti anche dentro e contro le vecchie incriminazioni, le quali non sanno
darci un’immagine della società se non attraverso il mondo dei diritti, che
cambiano il vero contenuto dei beni protetti dal codice penale, anche se questo
può restare apparentemente invariato per decenni, v. DONINI, Critica
dell’antigiuridicità e collaudo processuale delle categorie. I bilanciamenti
d’interessi dentro e oltre la giustificazione del reato, in Riv. it. dir. proc.
pen. Traggo l’espressione da PULITANÒ, Diritto penale, VII ed., cit., p. 126,
il quale la usa per definire gli elementi normativi di valutazione
culturale. 118 VISCONTI C., Aspetti penalisticiTra sentimenti ed eguale
rispetto SEZIONE II Alla prova dei fatti: blasfemia e propaganda razzista Non
ho niente contro Dio, è il suo fan club che mi spaventa WOODY ALLEN SOMMARIO:
6. Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso
pubblico? Il dibattito sui rapporti fra libertà di espressione e sensibilità
religiosa. L’ambiguità dell’art. c.p. Le vignette di Charlie Hebdo: diritto di
offendere o offesa tollerabile? Le norme
sulla propaganda razzista in Italia: quale spazio a sentimenti? Il discorso
razzista fra estremismo politico e insulto discriminatorio. Sinossi.
Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso
pubblico? Il tema della potenziale dannosità a livello sociale di determinati
contenuti espressivi chiama in causa l’orizzonte comunicativo del di- scorso
pubblico, il quale per definizione caratterizza il livello di liber- tà e di
apertura della democrazia in rapporto al pluralismo delle idee e ai margini di
tolleranza e di repressione del dissenso. Si tratta dell’area in cui la
legittimazione di eventuali restrizioni normative è più problematica: offese
circoscrivibili alla dialettica fra persone fisiche possono essere ricomprese
nella tutela dell’onore in- L’oggetto della libertà di espressione è il
discorso. Non qualsiasi tipo di di- scorso, bensì il discorso pubblico.
L’esercizio della libertà di espressione ha una vocazione di pubblicità, di
trascendenza nella sfera pubblica. La libertà di espressione è, in questa
misura, il requisito fondamentale della comunicazione politica in democrazia»,
v. ROIG., Libertà di espressione, cit., p. 36. Sull’etica del discorso pubblico
come strumento volto alla realizzazione, e non solo all’affermazione, di
valori, v. VIOLA, La via europea della ragione pubblica, in AA.VV., a cura di
Trujillo- Viola, Identità, diritti, ragione pubblica in Europa, Bologna. Fisionomia
dell’offesa 179 dividuale120, eventualmente come condotte qualificate da
contenuti tali da aggravare la responsabilità, situandosi in un’area di
crimina- lizzazione che, per quanto problematica 121, non è mai stata messa se-
riamente in discussione dal punto di vista della legittimità costitu- zionale
122. Maggiori criticità si addensano su altre fattispecie tese a incrimi- nare
manifestazioni del pensiero, in primo luogo la propaganda raz- zista di cui
all’art. 3 comma 1, lett. a, della legge n. 654 (introdotto dalla c.d. Legge
Mancino, cronologicamente successiva): non atti di istigazione alla
discriminazione o alla violenza 123, ma pa- L’ambito applicativo della
fattispecie di cui all’art. 595 c.p. (diffamazione semplice) non si estende,
secondo giurisprudenza costante, a offese rivolte a col- lettività, anche se
circoscritte, di persone. Per una panoramica della giurispru- denza della Corte
Edu e della giurisprudenza italiana v. CUCCIA, Libertà di espres- sione e
identità collettive, Torino; Nella giurisprudenza italiana, v. Cass. pen., sez.
V, 04/04/2017, n. 16612; cfr. Cass. pen., sez. V, 09/12/2014, n. 51096; più
datata è Cass. pen., sez., in Giur. it., con nota di LARICCIA, Sulla tutela
penale delle confessioni religiose acattoliche; in senso favorevole, v. Cass.
pen, sez. V, 16/01/1986, in Dir. inf., Per una sintesi del problema v. LA ROSA,
Onore, sentimento religioso e libertà di ricerca scientifica, nota a Trib.
Mondovì, 22 febbraio 2007, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Da
ultimo, FIANDACA, Sul bene giuridico. Si veda C. cost., n. 86/1974. Cfr.
ROMANO, Legislazione penale e tutela della per- sona umana (Contributo alla
revisione del Titolo del codice penale), in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1989,
p. 61; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della tutela penale dell’onore, Verso
un nuovo codice penale, Milano; DONINI, Ana- tomia dogmatica del duello.
L’onore dal gentiluomo al colletto bianco, in Indice pena- le, 2000, pp. 1080
ss.; per una sintesi, nel quadro di una posizione non radicalmente
abolizionista ma tesa a limitare l’intervento penale a offese particolarmente
gravi (attribuzione di fatti non corrispondenti a verità in contesti
comunicativi estesi a più persone), v. GULLO, Diffamazione e legittimazione
dell’intervento penale. Fra i costituzionalisti v. PUGIOTTO, Le parole sono
pietre?, cit., p. 15; MANETTI, Libertà di pensiero e tutela delle identità
religiose. Introduzione ad un’analisi comparata, in Quad. di diritto e politica
ecclesiastica, 1/2008, p. 46. La legittimità del- la tutela dell’onore
individuale non è messa in discussione dalla Corte Edu, la quale si è limitata,
fino ad oggi, a rilevare gli eccessi della risposta penale dell’ordina- mento
italiano, in quanto, secondo la Corte Edu, non dovrebbe essere prevista, sal-
vo casi eccezionali, la sottoposizione a pena detentiva; v. per tutte, Corte
eur. dir. uomo, Sez. II, sent. 24/09/2913, Belpietro c. Italia, ric. n.
42612/10; per una sintesi del problema e per un’analisi della giurisprudenza
italiana più recente sul tema del trattamento sanzionatorio della diffamazione
v. GULLO, Diffamazione e pena detenti- va, in www.penalecontemporaneo.it,
3/2016, pp. 1 ss. 123 Incriminati ai sensi dell’art. 3 della legge n. 654/1975
lett. seconda parte –, e lett. Tra sentimenti ed eguale rispetto role e
discorsi che possono costituirne un volano. Secondariamente, vengono in gioco
le residue ipotesi di vilipendio alla religione, soprattutto l’art. 403 c.p.,
il quale si presenta nelle fogge di un’offesa al- l’onore personale ma sembra
assumere nelle applicazioni giurispru- denziali un ruolo dai contorni più ampi.
È soprattutto con riguardo a tali tipologie di incriminazione che oggi la
dottrina penalistica fa ricorso al lessico dei sentimenti per sot- tolineare in
chiave critica un’asserita impalpabilità del substrato dell’offesa: valga, come
sintesi, il rilievo di Tesauro il quale si chiede se tramite l’incriminazione
della propaganda razzista non si finisca per tutelare emozioni collettive (di
scandalo, imbarazzo, disgusto, inquietudine o paura), e se, dunque, non
assomigli molto da vicino alla tutela penale di un sentimento a cavallo tra
solidarietà e allarme sociale. Insomma, un impasto a metà strada fra sentimenti
individuali di umiliazio- ne pubblica, reputazione di gruppo, uguaglianza
formale senza distinzioni di razza, ordine pubblico ideale, universalismo
morale anti-discriminazione. È plausibile ritenere che dietro tale norma vi
siano anche, in buo- na parte, input che promanano da un disagio socialmente
diffuso di fronte al fenomeno razzista, e che dunque la norma in un certo senso
finisca per assumere anche la funzione di tutela di un sentire democratico. Tale
rilievo, per quanto difficilmente confutabile, non sembra però sufficiente a
chiudere il discorso sulla legittimazione. Al di là delle indiscutibili
criticità, è lo stesso Tesauro a riconoscere che la que- stione non va
declinata in termini meramente concettualistici ma è «irriducibilmente
etico-politica e dagli esiti altamente controvertibili e resta aperta a opposte
soluzioni che convogliano giudizi di valore, preferenze culturali e scelte di
politica criminale. TESAURO, La propaganda razzista; si veda anche SPENA,
Libertà di espressione e reati di opinione. L’analisi destrutturante di Tesauro
evidenzia inoltre come il ricorso al cor- rettivo ermeneutico del pericolo
concreto non appaia sufficiente a contenere l’ambito di applicazione della
disposizione entro una ragionevole area di oggettività, v. TESAURO, Riflessioni
in tema di dignità umana. TESAURO, La propaganda razzista. Nella dottrina
statunitense si è osservato criticamente che i discorsi a favore o contro il
disvalore degli hate crimes sono affetti da un elevato grado di concettualismo,
poiché, attraverso la ricerca di un danno oggettivo riconducibile all’odio,
cercano di rendere meno Fisionomia dell’offesa È una questione
politicamente e costituzionalmente aperta, non archiviabile frettolosamente
dietro l’invocazione, pur benintenziona- ta, dell’art. 21 Cost.: sono in gioco
valori costitutivi della democrazia costituzionale, la cui protezione ha
importanza rilevante anche (non solo) da un punto di vista simbolico. Il
problema di un equilibrio con la libertà di espressione finisce per scaricarsi
sul momento applicativo, alla ricerca di una ragionevolezza con mitezza
attenuata, secondo una formula che è stata adoperata per indicare che il
bilanciamento costituzionale fra valori confliggenti, e l’eventuale sacrificio
di uno di essi (questo il senso della ‘non mitezza’), devono essere comunque
accompagnati da ragionevolezza 128. Previsioni incriminatrici ‘non illegittime’
come quelle che l’ordina- mento italiano annovera nella legge Mancino
necessitano di un regime di sorveglianza speciale: la loro tollerabilità è
legata al grado di ragionevolezza applicativa. Un problema di qualità delle
decisioni giudiziali, i cui esiti di giustizia non possono darsi per scontati:
il ri- spetto del principio costituzionale della libertà di espressione
richiede che le interpretazioni e le applicazioni siano fortemente selettive,
calibrate su criteri fra i quali deve a nostro avviso essere tenuta ben
presente, quantomeno a livello concettuale, la necessità di distingue- re tra
espressioni che offendono la mera sensibilità ed espressioni che veicolano
contenuti di umiliazione. Tale delega alla phronresis giudiziale è motivata
dalla constatazione, a nostro avviso, di una non eliminabilità dall’ordinamento
di fattispecie pur discutibili come quelle che incriminano la propaganda razzista:
troppo forte la risonanza etica e la consustanzialità dei beni in gioco in
rapporto ai valori che la democrazia riconosce come proprio fondamento.
evidente il portato assiologico della scelta di politica del diritto al fine di
restare coerenti con un liberalismo asseritamente neutrale: v. KAHAN, Two
Liberal Falla- cies in the Hate Crimes Debate, in 20 Law and Philosophy. Si
veda anche WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mante- nimento
di orientamenti sociali di carattere assiologico?, secondo il quale
rappresentazioni di valore e convinzioni possono essere considerati come
legittimi beni da proteggere nel caso in cui la loro lesione metta in
discussione l’«intesa sociale-normativa dominante. Traggo l’espressione da
SALAZAR, I destini incrociati della libertà di espres- sione e della libertà di
religione: conflitti e sinergie attraverso il prisma del principio di laicità,
in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, la quale sottoli- nea che il
bilanciamento fra valori costituzionali potrebbe portare al sacrificio di uno
di essi, non ‘mite’ dunque, ma pur sempre (necessariamente) ragionevole; vi può
essere ragionevolezza senza mitezza, ma non mitezza senza
ragionevolezza. Tra sentimenti ed eguale rispetto Non si tratta però di un
assunto risolutivo, bensì di un fattore che rende ancora più complesso il gioco
di equilibri e che, soprattutto, responsabilizza la figura del giudicante quale
anello ultimo e decisivo di una ‘catena della ragionevolezza’129 necessaria per
affrontare il problema di limiti alla libertà di espressione. A risultare
determinanti saranno doti di sensibilità culturale e ca- pacità interpretativa
dei fenomeni da parte del giudice, nel quadro di una sapienza non ‘algoritmica’
130 bensì auspicabilmente vicina a una saggezza pratica. È tutt’altro che
scontato, e sarebbe ingenuo pensare, che tali doti risiedano in misura
sufficiente nella totalità dei giudici, ma sarebbe forse altrettanto frettoloso
dare per scontato che non vi siano margini per una intelligente e ‘non intollerabile’
gestione dell’arsenale penali- stico in materia di libertà di espressione. Il
problema è aperto, e sollecita l’intero mondo della cultura giuridica a
meditare su percorsi di studio e di formazione funzionali a dare ai soggetti
giudicanti gli strumenti per un’attenta lettura delle vicende e dei contesti
fattuali, non semplicemente delle norme 131. Nel prosieguo compiremo una
sintetica disamina di alcuni recenti sviluppi giurisprudenziali in relazione
alla tutela del sentimento reli- gioso e alla normativa sulla discriminazione
razziale. Il tema del discorso razzista rappresenta la palestra concettuale più
significativa per verificare la tenuta della distinzione fra critica e
discriminazione. 129 Sul tema della ragionevolezza nel diritto penale v. per
tutti PULITANÒ, Ragionevolezza e diritto penale, Napoli, ZAGREBELSKY, Su tre
aspetti della ragionevolezza, in Il principio di ragionevolezza nella
giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti comparatistici, in Atti
del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, Milano. Osserva
FIANDACA, Il giudice tra giustizia e democrazia nella società complessa, in
ID., Il diritto penale tra legge e giudice, che sarebbe necessario un
affinamento culturale nella preparazione dei magistrati, attraverso uno studio
specifico delle logiche del ragionamento giudiziale e di altri aspetti che
regolano il giudizio di fatto oltre che il giudizio di diritto. Istanze che
vengono rimarcate da VINCENTI, Diritto e menzogna. La questione della giustizia
in Italia, Roma, quando descrive criticamente il giudice contemporaneo come
«funzionario o burocrate, vittorioso in un concorso a cui segue una
progressione in carriera pressoché automatica, formatosi su di una letteratura
accademica di stampo ma- nualistico, spesso obsoleta e comunque aliena dal
ricercare il perché delle regole, abituato a ragionar per massime, naturalmente
assai poco curioso di andare oltre le rappresentazioni istituzionali e poco
propenso ad assumere il dubbio metodico quale cifra del proprio agire. Fisionomia
dell’offesa Quanto alla residua fattispecie di vilipendio di cui all’art. 403
c.p., non si richiede che le espressioni siano discriminatorie; lo schema
tipico rimane quello della condotta di insulto, del tenere a vile. Nondimeno,
si pone l’esigenza di distinguere tra offese al patrimonio ideale delle
confessioni, plausibilmente foriere di affronti alla sensibi- lità dei credenti
ma che oggi dovrebbero considerarsi penalmente ir- rilevanti, da offese
all’onore della persona. Iniziamo dai rapporti fra religione e libertà di
espressione con particolare riferimento alla satira, per sondare alcuni recenti
ap- prodi giurisprudenziali nel contesto italiano e per dedicare una ri-
flessione al caso delle pubblicazioni del settimanale francese Charlie Hebdo,
al centro dell’attenzione dopo i tragici episodi. Il dibattito sui rapporti fra
libertà di espressione e sensibili- tà religiosa In nome di sentimenti
religiosi è stato di recente versato del san- gue; l’esercizio di una libertà
che è cifra simbolica dell’occidente libe- rale ha attivato spirali di violenza
e generato un clima di terrore al cospetto del quale la riflessione sui modi
d’uso della libertà non può abbandonarsi a cliché morali, pur benintenzionati,
o a ingenui ireni- smi. Su un piano fattuale non sembra esservi ragione più
immediata e plausibile della suscettibilità emotiva per dar conto delle
conflittuali- tà emerse; se pure nella prospettiva penalistica i sentimenti
possono difettare di tassatività, dall’altro lato, essi sono però in grado di
pro- durre conseguenze ben visibili, a conferma della loro rilevanza indi-
viduale e sociale. 132 PROSDOCIMI, voce Vilipendio (reati di), in Enciclopedia
del diritto, Milano. Sul vilipendio religioso v. MORMANDO, I delitti contro il
sentimento religioso e contro la pietà dei defunti, in Trattato di diritto
penale. Parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, vol. V, Padova, 2005, pp.
148 ss.; ID., «Lai- cità penale» e determinatezza. Contenuti e limiti del
vilipendio, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Giorgio
Marinucci, vol. III, Milano. Per un’accurata e ben documentata silloge di
episodi in cui sono emersi at- triti fra satira e religione v. RUOZZI, Piccolo
manuale di blasfemia audiovisiva. Dal Mistero Buffo televisivo a Southpark, in
AA.VV., a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni, Blasfemia, diritti e libertà. Tra
sentimenti ed eguale rispetto Il traumatico ritorno in scena della sensibilità,
o forse, più pro- priamente, della suscettibilità religiosa nel contesto
occidentale costituisce un attacco frontale alla libertà di espressione per
mano di for- ze che hanno usato il linguaggio della violenza e
dell’annientamento dell’altro. A prescindere da quello che sia il giudizio sul
merito delle rappre- sentazioni satiriche danesi e di Charlie Hebdo, va detto
in premessa che le reazioni suscitate «non possono essere assunte a parametro
di un “sentimento religioso” rilevante per il nostro ordinamento. Proprio le
caratteristiche che ne fondano il forte e preoccupante rilievo politico, sullo sfondo
di un te- muto “scontro di civiltà”, e sollecitano adeguate valutazioni e
risposte politiche, impongono di tenere ferma la valutazione di estraneità e
per così dire irricevibilità giuridica. Il sentimento religioso, che può porre
un problema di tutela, non può essere misurato sulle fatwe né su vio- lenze
aizzate politicamente in altri paesi» 134. L’agire violento esclude ogni
prospettiva di considerazione giuri- dica per le istanze avanzate; resta
tuttavia in piedi l’interrogativo su come sia più ragionevole oggi configurare
una tutela del sentimento religioso ‘a misura liberale’. Uno dei nodi di fondo
si identifica nell’al- ternativa fra tutela della/e religioni e tutela delle
persone che profes- sano una religione 135: se la prima ipotesi rappresenta un
retaggio del passato incompatibile con i principi del pluralismo assiologico e
di laicità136, la seconda è aperta a diverse declinazioni. Riorientare la
tutela sulla persona del credente esclude la prospettiva del bene di civiltà;
meno scontato è l’approdo ultimo. Vediamo in che termini la distinzione fra
tutela della confessione e della persona del credente entra oggi in gioco nel
panorama appli- cativo dell’ordinamento italiano. 134 PULITANÒ, Laicità e
diritto penale. Cfr. FERRARI, La blasfemia in Europa, dalla tutela di Dio alla
tutela dei credenti, in resetdoc.org,; CIANITTO, Libertà di espressione liber-
tà di religione: un conflitto apparente?, a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni,
Blasfemia, diritti e libertà. Cfr. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà
religiosa, Ex plurimis, PALAZZO, La tutela della religione tra eguaglianza e
secolarizzazione. Fisionomia dell’offesa L’ambiguità dell’art. 403 c.p. La
distinzione tra offesa alle credenze e offesa alla persona trova un punto di
riferimento nell’art. 403 c.p. La fattispecie costituisce, in- sieme all’art.
404 c.p., un residuo delle ipotesi di vilipendio origina- riamente previste,
fra le quali l’art. 402 c.p. (dichiarato costituzionalmente illegittimo con la
sentenza) costituiva la norma più emblematica e dai risvolti più critici.
Davvero il vilipendio alla religione può dirsi decriminalizzato sul piano della
sostanza? L’art. 403 c.p. e l’art. 404 c.p. ne recuperano in parte l’eredità
residua, circoscrivendo le ipotesi di rilevanza penale a una casistica più
definita (quantomeno formalmente) di azioni le quali dovrebbero avere a oggetto
le persone che professano una religione o cose destinate al culto 140. Dopo la
caduta dell’art. 402 c.p., è l’offesa alla persona che potrebbe rendere
legittima una restrizione alla libertà di manifestazione del pensiero,
lasciando fuori dall’area di intervento le forme di critica al patrimonio
ideale di una confes- sione. In realtà l’art. c.p. appare caratterizzato da una
formulazione non particolarmente felice, la quale persiste nella rubrica e nel
te- 138 L’incriminazione del vilipendio della religione cattolica è caduta
sotto la scure della Consulta non per contrasto con l’art. 21 Cost., bensì per
violazione degli artt. 3 e 8 Cost., in linea con un trend interpretativo che
non ha mai asseconda- to le pochissime richieste di illegittimità dei vilipendi
alla religione per violazione dell’art. 21 Cost. Risulta solo un ordinanza, la
n. 479/1989, nella quale è stata sol- levata questione di legittimità
costituzionale dell’art. 403 c.p. per contrasto anche con l’art. 21. In quel
caso la declaratoria della Corte è stata la manifesta inammis- sibilità per la
non pertinenza della questione rispetto al giudizio in corso, senza alcuna
riflessione sul merito dei rapporti tra l’art. 403 c.p. e l’art. 21 Cost. Per
una panoramica della giurisprudenza costituzionale sull’art. 402 c.p., v.
SALAZAR, I «destini incrociati» della libertà di espressione. Sembra aderire a
un recupero pressoché pieno della portata dell’art. c.p. FALCINELLI, Il valore
penale del sentimento religioso, la quale, adesiva- mente alla giurisprudenza,
osserva che il vilipendio generico a una confessione religiosa, anche in assenza
del riferimento a persone determinate, possa rientrare nell’art. 403 c.p., e
che anche l’offesa a simboli, come ad esempio il crocifisso, possa assumere
rilevanza penale ai sensi della medesima disposizione. Di diverso avviso
PULITANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale, in AA.VV., a cura di
Risica- to-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali,
cit., pp. 245 s. 140 Le condotte descritte dalle fattispecie non sono del tutto
simmetriche: nel caso dell’art. 403 c.p. il vilipendio esprime la modalità di
lesione, mentre nell’art. 404 c.p. è l’offesa alla confessione religiosa a
costituire l’evento strumentale alla realizzazione del vilipendio a cose che
formino oggetto di culto. Tra sentimenti ed eguale rispetto sto141 a
riconoscere la centralità del vilipendio alla confessione reli- giosa 142,
relegando in una posizione strumentale l’offesa a chi la pro- fessa: «l’offesa
alla religione resta il criterio ermeneutico essenziale del settore. Non sono
mancate applicazioni in cui la Corte di Cassazione ha optato per un approccio
repressivo, sostenendo che ai fini dell’inte- grazione dell’art. 403 c.p. sia
sufficiente che le espressioni di vilipen- dio siano genericamente riferite
alla indistinta generalità dei fedeli «tutelando la norma il sentimento
religioso e non la persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente
ad una determinata confes- sione religiosa» 144. Tale pronuncia si esprime con
nettezza a favore di un’interpretazione impersonale del vilipendio; sentenze
successive, pur senza la medesima univocità, ne hanno ricalcato gli itinerari
logico-argomentativi, rivelando nel complesso un’adesione (inconscia?)
all’impostazione del defunto art. 402 c.p. In un caso un soggetto è stato
condannato per aver esposto «nel centro di Milano un trittico da lui realizzato
– tre fotocopie in bianco e nero, stampate su tela – raffigurante,
rispettivamente, il Pontefice in carica, un pene con testicoli e il segretario
personale del Pontefice, con la didascalia, Chi di voi non è culo scagli la
prima pietra. E anche nel regime della perseguibilità, prevista d’ufficio, la
quale enfatizza la dimensione istituzionale dell’interesse protetto. 142 Un
problema ben noto alla dottrina penalistica già negli anni Settanta; per
un’approfondita critica agli orientamenti giurisprudenziali che operavano una
sostanziale commistione fra artt. 402 e 403 c.p., applicando quest’ultimo anche
a casi di offesa impersonale a contenuti di fede v. PULITANÒ, Spunti critici. MORMANDO,
I delitti contro il sentimento religioso; sulla stessa li- nea di pensiero v.
FLORIS, Libertà di religione; MANETTI, Libertà di pen- siero e tutela delle
identità religiose, cit., p. 65; PACILLO, I delitti contro le confessioni
religiose, cit., pp. 39 ss. Cfr. ROMANO, Principio di laicità dello Stato,
cit., p. 214: «il fatto vietato e punito resta il vilipendio delle religioni».
Viene fatto notare come il trattamento sanzionatorio più grave per il
vilipendio del ministro di culto con- fermi l’orientamento della tutela verso
l’assetto istituzionale delle confessioni re- ligiose, così SIRACUSANO,
Pluralismo e secolarizzazione dei valori. La di- sposizione è dunque ambigua e
si presta a usi discutibili; in dottrina si è rilevato che per salvarla sul
piano della legittimità costituzionale occorrerebbe prendere sul serio la
direzione personale del vilipendio e il legame da accertarsi in concreto, non
in via presuntiva, del vilipendio alla confessione con l’offesa alla persona,
v. PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., p. 313; cfr. SERENI, Sulla tutela
penale della libertà religiosa, Cass. pen., sez. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa
187 In un secondo episodio vi è stata condanna per aver esposto un cartellone
raffigurante sullo sfondo una sagoma costituita dall’im- magine del Pontefice
in carica, e, in primo piano, un bersaglio costituito da una serie di cerchi
concentrici con l’indicazione di punteggi vari, riportante in calce la scritta:
«1.000 punti, caramelle, preservati- vi, vino e ostie sconsacrate se centri
quel buco di culo da cui quoti- dianamente vomita fiumi di merda» 146. La Corte
di Cassazione sembra riproporre la teoria dei limiti logici, quando afferma che
in materia religiosa la critica è lecita quando – sulla base di dati o di
rilievi già in precedenza raccolti o enunciati – si traduca nella espres- sione
motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico,
risultante da una indagine condotta, con serenità di meto- do, da persona
fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione: mentre trasmoda
in vilipendio quando – attraverso un giudi- zio sommario e gratuito – manifesti
un atteggiamento di disprezzo verso la religione, disconoscendo alla
istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di
valore e di pregio ad essa rico- nosciute dalla comunità. In entrambi i casi
menzionati la rilevanza penale delle condotte non appare in discussione; si
pone però la questione se l’offesa sia da considerarsi rivolta alla persona del
Pontefice o piuttosto al ruolo istituzionale e dunque al legame con un certo tipo
di opinioni espres- se dall’istituzione ecclesiastica in tema di etica
sessuale; l’integrazione della diffamazione appare pacifica, meno scontato è il
vilipen- dio alla religione ex art. 403 c.p. Secondo la lettura proposta dalla
Corte tale fattispecie non sem- brerebbe configurarsi come delitto contro
l’onore e la dignità della persona, ma assumerebbe piuttosto le vesti di un
mero surrogato del vecchio vilipendio ex art. 402 c.p., orientato alla tutela
di un interesse affine al bene di civiltà. In occasione della condanna per il
trittico 146 Cass. pen., sez. Per una ricostruzione del panorama
giurisprudenziale sul punto v. SIRACU- SANO, I delitti in materia di religione;
PACILLO, I delitti contro le con- fessioni religiose, cit., pp. 111 ss.; in
termini generali, sulla teoria dei limiti logici v. CARUSO, Tecniche
argomentative della Corte costituzionale e libertà di manifesta- zione del
pensiero, in forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/-
pdf/documenti_forum/paper/0360_caruso. Cass. pen., sez. III, 07/04/2015, n.
41044. 149 Cfr. SIRACUSANO, Vilipendio religioso e satira. Tra sentimenti ed
eguale rispetto raffigurante il Pontefice, la Cassazione ha osservato che: «ai
fini della configurabilità del reato, non occorre che le espressioni offensive
siano rivolte a fedeli ben determinati, ma è sufficiente che le stesse siano genericamente
riferibili alla indistinta generalità degli aderenti alla confessione religiosa.
Perciò il vilipendio di una reli- gione, tanto più se posto in essere
attraverso il vilipendio di coloro che la professano o di un ministro del culto
rispettivo, come nell’ipotesi dell’art. 403 cod. pen., che qui interessa,
legittimamente può limitare l’ambito di operatività dell’art. 21» 150. Si
tratta di un orientamento che inverte il rapporto tra offesa alla persona e
offesa al credo: la religione non appare come elemento qualificante l’offesa
alla persona ma è il bene ultimo di un’incrimi- nazione che concepisce l’offesa
individuale in termini strumentali ed episodici. Appare in questo senso
avvalorata la tesi di chi ha individuato l’interesse protetto dalle nuove
norme, post riforma, in un bene «a carattere superindividuale, la cui
“consistenza” si gioca prevalentemente sul piano ideale, così come sul medesimo
piano si pone la condotta espressiva ritenuta lesiva del bene protetto. Possiamo
in definitiva affermare che l’offesa alla persona del credente resti ancora
oggi marginale, pur in presenza di una disposizione che, nel suo tenore
formale, si presenta come un delitto contro l’onore qualificato dallo status
della persona offesa, ma che di fatto 150 Cass. pen., sez. VISCONTI C., Aspetti
penalistici; cfr. PELISSERO, La parola perico- losa. Il confine incerto del
controllo penale del dissenso, in Questione giustizia. Nel complesso si rimane
ancorati a un sistema che differenzia tra forme di religiosità classiche e
forme di religiosità diversa o c.d. negativa. Il legislatore conferma un favor
verso manifestazioni della spiritualità ancora- te a un’ottica tradizionale che
si identifica nelle forme di organizzazione delle religioni; sul punto gli orientamenti
nella dottrina divergono: da un lato SIRACUSA- NO, Pluralismo e
secolarizzazione dei valori, rileva che
«siamo ben lontani dall’unica possibile prospettiva di tutela nello Stato
laico: quella che si fonda su una considerazione paritaria di tutte le opzioni
individuali in materia di fede, quindi anche delle opzioni agnostiche ed atee»;
diversa è l’opinione di ROMANO, Principio di laicità dello Stato, il quale
riconosce il completo silenzio serbato dal legislatore «su forme di
agnosticismo o di ateismo attivo, prati- cato con personali accenti di
doverosità morale», concludendo tuttavia che esso «non porterebbe ad alcuna
“discriminazione ideologica perché per eventuali offese arrecate a forme
associative ispirate a pur radicate convinzioni areligiose o agnostiche non è
parso seriamente evocabile, nella situazione del nostro Paese, un qualsiasi
rischio per la tranquillità». Fisionomia dell’offesa 189 guarda più
alla matrice dello status che a colui che ne è il rappresentante: la tutela di
un’asserita sensibilità collettiva, legata all’offesa del patrimonio ideale di
una confessione, costituisce ancora oggi il punto di riferimento principale
152. La casistica esaminata appare tutto sommato non particolar- mente
problematica, quantomeno sul piano della rilevanza penale: vi è il
coinvolgimento di soggetti concretamente individuabili, e a fronte di
espressioni ingiuriose resta tutt’al più aperto il problema se si tratti di
vilipendio alla religione o di offese tali da integrare la diffamazione.
Problemi più complessi sorgerebbero se le forme di espressione avessero ad
oggetto non persone reali, ma simboli, icone, e in generale i dogmi di una
confessione. Nel contesto italiano la caduta del vili- pendio ex art. 402 c.p.
dovrebbe deporre per l’irrilevanza penale; il problema merita però di essere
analizzato anche in un’ottica extraor- dinamentale, in riferimento a episodi
dove l’irrisione satirica ha su- scitato reazioni violente, con un’evidente
sovraesposizione del fattore emotivo. Le vignette di Charlie Hebdo: ‘diritto di
offendere’ o offesa tollerabile? Prendiamo in esame quello che è stato definito
uno ‘stress test’ per i modelli di tutela, ossia il caso delle vignette
pubblicate dal setti- manale francese Charlie Hebdo e, originariamente, dal
settimanale danese Jyilland Posten. Anche la dottrina penalistica italiana si è
po- sta l’interrogativo se tali manifestazioni espressive possano assumere
rilevanza penale nell’ordinamento italiano; la risposta, condivisibil- mente
argomentata, è stata di segno negativo 154: nell’attuale panora- ma normativo
le vignette irridenti la religione islamica non sarebbero incriminabili poiché
non rivolte a soggetti determinati ma orientate a ironizzare su dogmi e
contenuti di fede 155. 152 Per un’approfondita disamina del problema della
diffamazione delle reli- gioni in ambito internazionale v. ANGELETTI, La
diffamazione delle religioni nella protezione ultranazionale dei diritti umani,
in AA.VV., a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa. CIANITTO,
Quando la parola ferisce. Blasfemia e incitamento all’odio religioso nella
società contemporanea, Torino, BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette,
BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette. Tra sentimenti ed eguale
rispetto Al di là della riconducibilità a una norma incriminatrice, è oppor-
tuno chiedersi se i contenuti delle vignette siano accostabili a un’of- fesa ai
sentimenti o al venir meno del rispetto-riconoscimento. Le vignette danesi
(oggi facilmente visualizzabili su internet) non sembrano operare una vera e
propria critica o messa in discussione di asserti religiosi, ma adoperano uno
stile comunicativo particolar- mente forte nelle rappresentazione di figure
sacre, violando in primo luogo il divieto di rappresentazione del Profeta. Si
può a nostro avviso parlare di blasfemia, nel senso di rappre- sentazioni empie
per l’ottica di un fedele, e dunque plausibilmente offensive del sentimento
religioso. Non sembra però potersi chiamare in causa una vera e propria
discriminazione assimilabile a hate speech: solo nel caso di un’unica vignetta,
raffigurante il Profeta con una bomba in testa, si è osservato, a nostro avviso
in modo forse un po’ forzato, che potrebbe veicolare un messaggio
discriminatorio in forza di un’assimilazione dell’Islam a una religione di
guerra e a una considerazione di tutti gli islamici come terroristi. Il
discorso sulle vignette pubblicate nel corso degli anni dal settimanale
francese Charlie Hebdo necessiterebbe di essere sviluppato attraverso
un’analisi dettagliata delle singole immagini: non essendo possibile in questa
sede, ci limitiamo ad alcune considerazioni di li- vello generale sui rapporti
fra libertà di satira ed eguale rispetto. Partiamo da un presupposto:
l’interpretazione dei contesti, gli at- tori delle vicende e le contingenze
storico-sociali sono fattori coessenziali nella configurazione degli equilibri
di rispetto. Conseguen- temente l’interrogativo sulla tollerabilità di
un’espressione satirica appare destinato a ricevere risposte differenti a
seconda dei soggetti coinvolti, dei contesti e delle epoche. L’umorismo e la
satira possono essere gravemente irrispettosi a seconda delle cadenze adoperate
e degli aspetti della persona che mettono in ridicolo. Si tratta di un buon
punto di partenza per uscire dalla ingannatoria ricostruzione che vorrebbe
distinguere tra ‘satira buona’ o vera satira, e ‘satira cattiva’: il fine della
satira è toccare cor- de sensibili, e l’irrispettosità non è un aspetto
patologico, bensì è connaturato al fenomeno satirico. È plausibile che la
satira offenda dal punto di vista emotivo chi ne è oggetto, nel senso che a
nessuno piace essere preso in giro e che l’essere irrisi induce tendenzialmente
emozioni negative. 156 CIANITTO, Libertà di espressione e libertà di religione:
un conflitto apparente?; amplius, v. EAD., Quando la parola ferisce. Fisionomia
dell’offesa. Pensiamo alla solidarietà che il nostro Paese ha giustamente
tributato al giornale francese Charlie Hebdo per l’inaccettabile e brutale
aggressione subita: rimarchiamo che il gesto criminale non ha atte- nuanti, e
l’affermazione della libertà di satira rappresenta un princi- pio fondamentale.
Nondimeno, va considerato che l’appoggio solidale a Charlie è frutto di
un’intrinseca parzialità, poiché concernente un fatto (le vignette sull’Islam)
che non aveva un impatto emotivo pari a quello provato dai fedeli di religione
musulmana. Basta cambiare esempio per accorgersi come anche nel nostro Paese
l’atteggiamento nei confronti della satira muti radicalmente ove vi sia un
diverso coinvolgimento. Si pensi alle vignette pubblicate sempre da Charlie
Hebdo in occasione del terremoto avvenuto nel- l’Italia centrale ad agosto
2016: le risposte dell’opinione pubblica so- no state ben differenti, fino ad
arrivare, da parte di soggetti delle isti- tuzioni, alla definizione di schifo.
Ben diverso era il clima emoti- vo che aveva indotto molti cittadini ad
adottare come effige dei propri profili telematici il logo ‘je suis Charlie’.
Rispetto alle vignette sull’Islam cambia l’atteggiamento perché so- no diverse
le emozioni suscitate nei destinatari, ma la sostanza dei fatti appare non
dissimile: in entrambi i casi la satira ha colto nel se- gno, stimolando
sensazioni forti, probabilmente offendendo emoti- vamente, e suscitando
reazioni sdegnate da parte dei diretti destina- tari, ma sempre di satira si
tratta. A partire da queste premesse, forse poco politically correct ma ade-
renti alla realtà dei fenomeni, si pone il problema su come legittima- re
l’esercizio della satira in quanto potenzialmente irrispettosa e in grado di
dare fastidio 158. Nel contesto penalistico si è talvolta tracciato il confine
fra espres- sioni tollerabili e non tollerabili attraverso una ricerca
‘ontologica’ di cosa sia satira e cosa invece si collochi al di là di essa, al
fine di far derivare da tale ricostruzione effetti sul piano normativo,
adottando. Così le ha definite il Presidente del Senato della Repubblica; la
notizia è re- peribile su
tgcom24.mediaset.it/politica/vignetta-charlie-su-sisma-gras-
so-libero-di-dire-che-fa-schifo.Diritto di satira e libertà di religione godono
entrambi di protezione a li- vello costituzionale, e sono pertanto «due beni,
dunque, destinati ad una convi- venza mite, senza sopraffazioni dell’uno
rispetto all’altro», così COLAIANNI, Dirit- to di satira e libertà di
religione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Per una definizione e
una panoramica ricostruttiva del genere espressivo della satira, v. RATANO, La
satira italiana nel dopoguerra, Messina- Firenze. Tra sentimenti ed eguale
rispetto una concezione ‘deontologica’ della satira. Un simile modo di
argomentare si caratterizza a nostro avviso per una fallacia che possiamo
ricondurre alla violazione della Legge di Hume in senso inverso, ossia come
ricostruzione fattuale a partire da un presupposto normativo: sarebbe satira
ciò che non viola una certa soglia di continenza e che dunque non offende. Tale
modo di procedere non consente di scindere adeguatamente i confini
identificativi della satira da quelli che debbano essere, eventualmente, i
limiti normativi. Come è stato efficacemente osservato: «Alla fine, sembra
dunque non si possa fare a meno di accettare che la satira non abbia confini,
benché in un senso diverso rispetto a quello che intendono quanti declinano
questa tesi come tesi morale libertaria (“la satira non deve avere confini”);
nel senso, invece, di una tesi con- cettuale che afferma che la libertà di
satira non ha confini certi, poi- ché ci manca la possibilità di realizzare una
precisa delimitazione teori- ca, attraverso la quale stabilire in maniera
incontrovertibile quando ci si è mossi nell’alveo della libertà di satira e
quando invece si è trasceso e si è entrati in un altro terreno, che, per quanto
lo si possa continuare a considerare satirico, diventa sanzionabile dall’ordinamento.
Ciò non significa postulare una ‘amoralità’ della satira, ma al con- trario
pone le condizioni per giudicare in modo distinto il fine dell’espressione
satirica dalle modalità con le quali essa si manifesta: il fine positivo della
satira non è incompatibile con un umorismo par- ticolarmente caustico tale da
essere financo irrispettoso e desacraliz- zante. Quale argomento a sostegno
della libertà di satira si è osservato che una politica di tolleranza, e dunque
non restrittiva, rappresenti un mi- Si veda ad esempio Trib. Latina, quando
osserva che «[l]a satira è, dunque, un punto di vista che si distingue dal
dileggio, dal vilipendio, dall’offesa, perché fornisce una lettura diversa
della realtà e manifesta un giudizio di valore»; e ancor più netta è Cass.
pen., sez. I, 24/02/2006 n. 9246: «La satira, notoriamente, è quella
manifestazione del pensiero (talora di altissimo livello) che nei tempi si è
addossata il compito di ‘castigare ridendo mores’; ovvero, di indicare alla
pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di
ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico,
correttivo cioè verso il bene». Per una panoramica sulla giurisprudenza v.
FLORIS, Libertà di religione; INFANTE, Satira: diritto o delitto?, in Dir.
inf.; CAROBENE, Satira, tutela del sentimento religioso e libertà di
espressione. Una sfida per le moderne democrazie, in Calumet. BÒ, Col sorriso
sulle labbra. La satira tra libertà di espressione e dovere di rispetto, in
Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Fisionomia dell’offesa
193 gliore humus per l’attecchimento di principi fondamentali che hanno una
base dialettica e che, ove venissero cristallizzati in una teca al ri- paro da
aggressioni, rischierebbero di trasformarsi in dogmi. Un simile modo di
argomentare è stato definito come ‘utilitarismo delle regole’: l’atteggiamento
di chi ha risolto la ‘questione Charlie’ af- fermando sì la presenza di
un’offesa, ma optando per il pieno risco- noscimento della libertà di espressione,
sarebbe viziato dal fatto che «nel dirigere l’attenzione verso le regole,
l’utilitarismo insinua il so- spetto che le conseguenze di un atto o di una
regola non siano in fondo determinanti per i giudizi e i valori etici di una
persona: che lo siano invece le regole in quanto tali, in quanto vengono
considerate intrinsecamente giuste, quali che siano le conseguenze della loro
appli- cazione» 162. Si può riassumere tale critica anche come un’obiezione di
‘disinte- resse alle conseguenze’: «la sicurezza con la quale si proclama tale
opinione è totalmente aliena dai calcoli pazienti e minuziosi che sa- rebbero
richiesti per sostanziare quella giustificazione (e ne rivela la vanità. L’argomento
definito come ‘utilitarismo delle regole’ è da tenere in seria considerazione
anche nella prospettiva giuridica; tuttavia, ciò che agli occhi del filosofo
appare come un disinteresse alle conseguenze può rappresentare nella
prospettiva penalistica una scelta di prudenza in rapporto a eventi offensivi
la cui prevedibilità non appaia supporta- ta da una base nomologica sufficiente
a legittimare divieti penali. Tenderemmo quindi a ritenere preferibile come
opzione ultima la non restrizione della libertà di satira, ma al di là
dell’atteggiamento BÒ, Col sorriso sulle labbra. BENCIVENGA, Prendiamola con
filosofia. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Tutt’altro che risolutivo si
rivela anche il ricorso a criteri di selezione delle condotte ben consolidati
nel pensiero penalistico e avallati dalla Corte costituzionale: ci riferiamo
allo schema del pericolo concreto, in merito al quale, come è stato
efficacemente rilevato da Alessandro Tesauro, anche la selezione delle pro-
prietà universalizzabili del caso concreto da utilizzare come criteri indiziari
di una pericolosità effettiva della condotta, costituisce un’attività
‘normativamente compromessa’, nel senso che non porterà comunque a individuare
criteri di corri- spondenza suscettibili di verifiche empiriche, ma il ruolo
determinante sarà pur sempre giocato da scelte di valore dell’interprete, v.
TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana. Ciò che allora deve spingerci a
non censurare quelle espressioni satiriche che, pur non istigando alla
violenza, mancano gravemente di rispetto ai gruppi deboli e svantaggiati non è
una generica libertà di espressione (questo, in alcuni 194 Tra
sentimenti ed eguale rispetto prudenziale, riteniamo che la soluzione liberale
possa trovare legit- timazione anche attraverso un ragionamento che si richiami
al criterio dell’eguale rispetto e al bilanciamento fra reciproche pretese.
Quando si analizzano i disaccordi in materia di satira religiosa bi- sogna
individuare dei presupposti valoriali per impostare la discus- sione, ossia dei
compromessi sul cui equilibrio ciascuna delle parti possa avere voce in
capitolo: anche «coloro che credono in una reli- gione presa di mira possono
dover considerare che il diritto di ridere di qualunque religione può esso
stesso essere considerato dagli altri come un articolo di fede» 166. La
sostanza di tale argomento è condi- visibile, anche se il percorso concettuale,
con una ‘moltiplicazione di articoli di fede’, rischia di tramutarsi in un
pendio scivoloso. Eguale rispetto dovrebbe significare preservare la libertà di
pro- fessare una religione da un lato, e la fede nella libertà di satira, dal-
l’altra: un impegno a far sì che nessun pregiudizio venga arrecato alle due
libertà. Ebbene, la pretesa di coloro che chiedono restrizioni alla libertà di
satira appare in questo senso sproporzionata poiché mentre vignette ed
espressioni anche ‘urticanti’ non arrecano un vero e pro- prio pregiudizio alla
libertà del credente e alla sua identità religiosa, la pretesa di comprimere la
libertà di espressione altrui risulte- rebbe un vulnus sproporzionato. Si
potrebbe a questo punto prendere in esame un ulteriore argo- mento, basato
sulla maggiore suscettibilità che determinati fedeli, come ad esempio quelli di
religione islamica, adducono sostenendo che ogni offesa alla propria religione
è anche, intrinsecamente, un’of- fesa alla dignità delle persone che la
professano. Ebbene, quale spazio di legittimità può essere riconosciuto a tale
obiezione? Abbiamo introdotto il problema parlando della suscettibilità sog-
casi, come abbiamo visto, è sbagliato) e nemmeno il fatto che quelle
espressioni contribuiscano in qualche modo al raggiungimento della “verità” (in
molti casi, questo è falso); piuttosto, a caldeggiare una politica di
tolleranza nei loro con- fronti è il fatto che consentono ai principi che ci
sono cari di difendersi sempre meglio e mantenersi vivi e tonici, e con essi il
tipo di società nella quale aspiriamo a vivere», v. BÒ, Col sorriso sulle
labbra. TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, in AA.VV., a cura di
Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto, Milano. Utilizzo tale concetto
nell’accezione sviluppata da PINO, Sulla rilevanza giuridica e costituzionale
dell’identità religiosa, in Ragion pratica, ossia come «l’insieme delle
credenze, dei valori, delle appartenenze che un individuo ha in materia
specificamente religiosa», e dunque come aspetto specifico della sfera della
coscienza. 168 WALDRON, The Harm in Hate Speech. Fisionomia dell’offesa
gettiva nella trattazione di Joel Feinberg; in questo caso il discorso è però
differente, poiché riguarda non la suscettibilità di un singolo soggetto, ma di
un gruppo: l’interrogativo è se si tratti di una vulne- rabilità meramente
emozionale o se, diversamente, sia anche ricon- ducibile a una particolare
debolezza sociale del gruppo. Con riferimento a tale seconda ipotesi, esponiamo
le tesi di due Autori già incontrati nel corso dell’indagine. Da un lato,
Margalit osserva che un gruppo vulnerabile, con una storia di umiliazione e
sospetto da parte di coloro che lo circondano, specialmente da parte della
cultura dominante, è suscettibile di interpretare ogni critica come umiliazione.
Waldron tematizza il problema senza richiamare l’eventuale debolezza di un
gruppo, ma incentrando il discorso sulla totale identificazione fra soggetto e
ideologie/credenze. Di fronte all’interrogativo sul peso che possa essere
riconosciuto alla percezione soggettiva nel caso di gruppi vulnerabili, e
dunque al- la rilevanza della vulnerabilità nell’interpretazione
dell’offensività di un’espressione, le posizioni di Margalit e Waldron
divergono: biografia personale e matrici culturali sono fattori che
probabilmente in- fluiscono su prese di posizione concernenti ‘scelte
ultime’170, la cui argomentazione in termini razionali è particolarmente
difficoltosa. Il filosofo israeliano propone i seguenti criteri di
soluzione: un primo criterio, basato
sulla reciprocità secondo cui dovreb- be essere considerato critica qualunque
cosa si desideri offrire ad altri e che si accetterebbe ove venisse offerta a
noi stessi; un secondo criterio, in favore dell’interpretazione del gruppo
vulnerabile, si lega alla «necessità morale di far pendere la bilancia
dell’errore nell’interpretazione verso la parte del debole», e va però
bilanciato da un altro principio secondo cui «qualunque cosa fosse considerata
critica piuttosto che umiliazione se avvenisse “in fami- glia”, cioè
all’interno del gruppo, dovrebbe pure essere considerata tale se proveniente
dall’esterno del gruppo. Diversamente da Margalit, il quale dunque non esclude
una carità interpretativa a favore dei gruppi vulnerabili, Waldron rimarca la
ne- cessità di non assecondare normativamente pretese avanzate in forza di
un’identificazione fra persona e ideali religiosi o politici: richieste
MARGALIT, La società decente. Traggo questo concetto da BOBBIO, L’età dei diritti,
Torino, MARGALIT, La società decente. [H. P. GRICE, principle of conversational helpfulness:
what a decent chap does!] MARGALIT,
La società decente. Tra sentimenti ed eguale rispetto di tutela di questo tipo
sono da considerarsi esorbitanti in un conte- sto pluralista. Vi è l’esigenza
di una limitazione delle pretese sogget- tive, pur tenendo conto che il legame
identificativo fra individuo e ideali può essere così intenso da essere
assimilabile a una ‘seconda pelle’; ma ciò non può giustificare sul piano
politico provvedimenti normativi che limitino le libertà di tutti per
preservare la serenità interiore di alcuni . Sintetizzando: sia Margalit sia
Waldron concordano sulla necessi- tà di prendere atto che determinate
espressioni meritino una partico- lare attenzione da parte del diritto poiché
possono esorbitare dall’or- dinario range della critica e del mero insulto e
divenire forme di umi- liazione e discriminazione della persona. Per Margalit
il discrimine fra insulto e umiliazione può essere diverso a seconda del tipo
di de- stinatari in quanto di fronte a un gruppo cosiddetto vulnerabile
l’interpretazione delle espressioni dovrebbe essere condotta tenendo conto
anche, eventualmente, della peculiare sensibilità; secondo Wal- dron tale
differenziazione non è mai normativamente giustificabile e si presterebbe a
divenire un problematico moltiplicatore di divieti sulla base di pretese
soggettivistiche. Concordiamo con Waldron che l’identificazione fra critica a
fedi e valori e offesa alla persona, rappresenti un argomento knock-out che
sbilancerebbe le posizioni in gioco. Il credente il quale esige che i propri
principi non vengano mai irrisi, adducendo che ciò significherebbe
automaticamente offendere lui come persona, sta implicitamente cercando di sottrarre
le proprie posizioni assiologico-religiose dal dibattito, ponendosi in questo
senso in una posizione di supremazia, limitando la libertà di espressione
altrui secondo criteri che non sono confutabili poiché si sottraggono per
definizione a ogni ti- po di confronto. La prova di tale incommensurabilità fra
posizioni emerge in relazione a un ulteriore test secondo il quale dovrebbe
essere ritenuta of- fensiva un’espressione che nessun membro del gruppo avrebbe
rite- nuto divertente, anche se a pronunciarla fosse stato uno del grup- po
stesso. Tale test trascura a nostro avviso un dato fondamentale, ossia che i
conflitti fra sensibilità nascono proprio dal fatto che vi possono essere
gruppi che non accettano un certo modo di fare ironia tout court; non è un problema
di qualità della satira, ma semplicemente la WALDRON, The Harm in Hate Speech. TELFER,
Umorismo ed eguale rispetto, Fisionomia dell’offesa satira su certi temi
potrebbe non essere ritenuta mai ammissibile. Un test di questo tipo non appare
ad esempio risolutivo se applicato alle vignette sul Profeta Maometto poiché la
religione islamica non sem- bra tollerare alcun tipo di ironia in questo senso.
Bisogna dunque prendere atto che tali test sono poco funzionali quando
pretendono di mettere a confronto pretese fra loro incompatibili poiché
ricondu- cibili a gruppi che non si riconoscono nei medesimi valori. L’analisi
filosofica di Ermanno Bencivenga è in questo senso spie- tata quando osserva
che dal fedele di qualsivoglia religione non si può esigere un atteggiamento
lassista e compromissorio sul rispetto della propria fede. Il carattere
radicale del vincolo è tale per cui l’al- trui libertà di satira non potrebbe
mai essere ritenuta tollerabile. In definitiva, il tema dell’identificazione
fra soggetto e credenze spinge verso esiti illiberali: pretese modulate su una
simile rigidità non possono essere accolte in un contesto pluralista, nel quale
un in- teresse, pur di rango elevato, va comunque calato in una prospettiva di
bilanciamento. Sintetizzando, la risposta all’interrogativo sulla libertà di
satira, anche quando consista in vignette dissacranti come quelle pubblicate in
Danimarca e come alcune di quelle pubblicate dal settimanale Charlie Hebdo,
deve essere a nostro avviso positiva: nessuna rilevanza penale secondo
l’attuale normativa italiana, ma anche nessuna futu- ribile prospettiva di
censura. Attenzione però a non fare della satira un dogma: parlare di libertà
di deridere è una formula schietta ma che rischia di prestar- si a distorsioni.
Esprimersi a favore della libertà di satira non signifi- ca ritenerla
insindacabile; da un lato il riconoscere l’irrispettosità del- la satira può
non essere elemento sufficiente per inferirne l’opportu- nità di una
criminalizzazione; dall’altro l’irrilevanza penale non im- plica la
certificazione di un buon uso della libertà di espressione BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia. Cfr. PINO, Sulla rilevanza giuridica e
costituzionale dell’identità religiosa. Concordiamo in questo senso con
CANESTRARI, Libertà di espressione e liber- tà religiosa. TELFER, Umorismo ed
eguale rispetto, Problema che si riconnette al più ampio tema dei valori e di
un’etica della convivenza le cui polarità non dovrebbero essere determinate
dalle dicotomie del- la liceità e illecità penale: «un’etica non legale e non
penalistica di comportamen- to», come condivisibilmente osservato da DONINI, Il
diritto penale come etica pub- blica, Modena, Tra sentimenti ed eguale rispetto
Non appare opportuno diffondere a livello comunicativo formule come ‘libertà di
offesa’ o ‘diritto di offendere’, mentre è bene riflettere su come gestire da
un punto di vista sociale e comunicativo quelle che possono essere definite
‘offese tollerabili’, o meglio offese che i cittadini devono (imparare a)
tollerare. La liceità dell’irrispettosità umoristica lascia aperto il problema
di una ricostituzione del rispetto reciproco, di luoghi simbolici in cui possa
essere offerta una compensazione a offese che, come nel caso delle reli- gioni,
toccano strati profondi della persona. Riconoscere che le vignette di Charlie
Hebdo possano ferire e abbiano offeso credenti di religione islamica non
significa avallare la bestialità omicida dei terroristi, né comporta quale
immediata implicazione quella di invocare lo strumento penale quale
saracinesca. È però un punto importante per avviare un riconoscimento a
soggetti che abbiano avvertito soggettivamente un’umi- liazione per la
derisione ai propri simboli, anche in virtù del fatto che si tratta di
appartenenti a gruppi deboli o comunque a minoranze, nei confronti dei quali
l’irrisione satirica può comunque rappresentare una forma di amplificazione
della disuguaglianza di status sociale. 8. Le norme sulla propaganda razzista
in Italia: quale spazio a sentimenti? Sentimenti, pari dignità e
discriminazione rappresentano concetti che concorrono a identificare il
retroterra delle norme sulla propaganda razzista, ossia lo hate speech a sfondo
razziale che in Italia è incriminato 180 Si è osservato che l’impatto sociale
dell’irrispettosità satirica e la conse- guente tollerabilità della satira
dovrebbe essere correlata alla categoria di soggetti sui quali la satira va a
incidere: massima libertà ove l’irrisione si rivolga a soggetti che hanno una
posizione di supremazia a livello sociale, mentre più problematico appare il
caso in cui si faccia satira nei confronti di categorie deboli, specie fa-
cendo leva su stereotipi e luoghi comuni. Questo criterio, definito come frutto
di una «precomprensione egualitaria del discorso pubblico», v. CARUSO, La
libertà di espressione in azione, appare in definitiva un bilanciamento tra il
fine morale della satira e la sua ‘moralità interna’, vista attraverso l’egida
assiologica del principio di uguaglianza. Per un interessante commento a una
pronuncia del- la Corte Edu che, tramite l’art. 17 CEDU ha respinto il ricorso
per violazione dell’art. 10 a seguito della condanna di un noto comico francese
per uno spettaco- lo satirico sull’Olocausto, v. PUGLISI, La satira
“negazionista” al vaglio dei giudici di Strasburgo: alcune considerazioni in
«rime sparse» sulla negazione dell’Olocausto, in www.penalecontemporaneo.it,
Fisionomia dell’offesa ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge.
Cominciamo a interrogarci su quale sia l’effettivo rilievo del sentimento nel
richiamo all’odio quale elemento di fattispecie dell’art. della legge, il cui
presupposto è la sussistenza di un’idea di- scriminatoria fondata sulla
diversità determinata da una pretesa su- periorità razziale o da odio etnico
182. Ad una prima lettura emerge come nel corpo della disposizione normativa il
sentimento non definisca l’oggetto di tutela, bensì rappre- senti la nota
caratterizzante il tipo di espressioni che la legge intende vietare. La
prospettiva appare invertita rispetto alle norme che abbia- mo precedentemente
analizzato con riferimento agli altri ‘sentimenti- valori’ menzionati nel
codice: piuttosto che parlare di tutela di senti- menti, l’assetto delle norme
tratteggia una tutela da sentimenti, in rap- porto alla quale l’odio rappresenta
lo stato affettivo da ‘disinnescare’ 183. 181 In un’ottica più ampia, sono
pertinenti al discorso d’odio a sfondo razziale anche altre norme: l’apologia
di genocidio di cui all’art. 8 della legge e le disposizioni della c.d. ‘Legge
Scelba’ che aggravano la cornice sanziona- toria per l’apologia di fascismo nel
caso in cui venga realizzata attraverso ‘idee e metodi razzisti’. Nella
letteratura penalistica, v. a cura di Riondato, Di- scriminazione razziale,
xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela pena- le, cit.; DE
FRANCESCO, Commento a D.L. conv. con modif. dalla legge. Misure urgenti in
materia di discriminazione razziale, etnica, religiosa, in Leg. pen.; FRONZA,
Osservazioni sull’attività di propa- ganda razzista, in Riv. int. dir. dell’uomo;
VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista. Per una panoramica sulle
applicazioni della normativa v. PAVICH-BONOMI, Reati in tema di
discriminazione: il punto sull’evoluzione normativa recente, sui principi e va-
lori in gioco, sulle prospettive legislative e sulla possibilità di
interpretare in senso con- forme a Costituzione la normativa vigente, in
www.penalecontemporaneo.it; FERLA, L’applicazione della finalità di
discriminazione razziale in alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione,
in Riv. it. dir. proc. pen., Evidenzia la peculiarità delle incriminazioni
contro la diffusione e l’incita- mento all’odio, rispetto al problema generale
della cosiddetta ‘tutela penale di sen- timenti’, anche ALONSO ALAMO,
Sentimientos y derecho penal, cit., pp. 59 ss. In realtà, secondo le
indicazioni che emergono principalmente in ambito anglo-americano, va
considerato che l’uso del termine odio, oltre a essere approssimativo, appare
er- rato: «[w]hat has become clear is that the word ‘hate’ is really a misnomer.
An of- fender
need not actually hate his victim in order to have committed a ‘hate crime’;
indeed he may feel no personal hatred towards that particular individual at
all», v. WALTERS, Hate Crime and Restorative Justice, Oxford; cfr. PAREKH, Is
There a Case for Banning Hate Speech?, in AA.VV., ed. by Herz-Molnar, The
Content and the Context of Hate Speech, cit., p. 40. Si veda anche PERRY, A Crime by Any Oth- er Name, Il
concetto di ‘crimine d’odio’ sconta oltretutto un’indeter- minatezza di fondo:
si tratta di una definizione cosiddetta ‘ostensiva’, ossia che pro- cede non
attraverso un’esaustiva esplicazione del definiens (l’odio), ma
attraverso 200 Tra sentimenti ed eguale rispetto Tale precisazione
non risolve ma rilancia l’interrogativo se dietro le norme sulla propaganda
razzista si ponga effettivamente un pro- blema di sentimenti negativi. Nelle
pronunce della giurisprudenza italiana, la maggior parte del- le quali relative
all’applicabilità della circostanza aggravante (art., d.l.), la risposta è
negativa, in quanto è decisamente pre- valente l’orientamento che interpreta il
requisito dell’odio non come tratto affettivo del soggetto attivo, bensì come
sfondo valoriale dei contenuti espressivi e simbolici legati alle condotte 184.
Come osservato dalla Corte di Cassazione: «non può considerarsi sufficiente che
l’odio etnico, nazionale, razziale o religioso sia stato, più o meno
riconoscibilmente, il sentimento che ha ispirato dall’interno l’azione
delittuosa, occorrendo invece che que- sta, per le sue intrinseche
caratteristiche e per il contesto nel quale si colloca, si presenti come
intenzionalmente diretta e almeno poten- zialmente idonea a rendere percepibile
all’esterno ed a suscitare in al- tri il suddetto, riprovevole sentimento o
comunque a dar luogo, in fu- turo o nell’immediato, al concreto pericolo di
comportamenti discri- minatori per ragioni di razza, nazionalità, etnia o
religione» 185. una individuazione del definiendum (l’esempio concreto) il
quale viene successiva- mente ricollegato al definiens. Si tratta delle
cosiddette definizioni mediante esempi, suscettibili di convogliare istanze
normative e culturali che tendono a ricondurre all’odio azioni e condotte le
più diverse: «[c]lassificare un gesto criminale come crimine d’odio è
compatibile in quest’ottica con un’ampia gamma di stati psicologi- ci, dalla
rabbia alla noia, alla paura; perché non parlare, allora, di crimini di rabbia?
Nascosto dietro al concetto di crimine d’odio sembra dunque esserci un altro
significato culturale dell’odio, ossia ciò che motiva gesti di violenza
insensata (normativamente ingiustificati) l’insistenza sul termine “odio” in
una data si- tuazione, più che un fatto descrittivo, è il riflesso dell’impegno
normativo a identificarsi con le sventure della vittima e a prendere le
distanze dal punto di vista dell’aggressore», v. ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da
Platone a Putnam: quattro modi di pensare all’odio. Cass. pen., sez.; si
vedano, ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 12/06/2008, n. 38217; Cass. pen., sez.
Un diverso orientamento si pone a sostegno di un’applicazione più ampia, e in
particolare estesa a comprendere anche situazioni in cui vi sia solo la presenza
di soggetto attivo e vittima: «Non è, dunque, richiesta la plateale
ostentazione di tali motiva- zioni sì da ingenerare il rischio di reiterazione
di analoghi comportamenti, essen- do sufficiente che l’azione rechi, in sé, le
prescritte connotazioni, immediatamen- te percepibili nel contesto in cui è
maturata, avuto riguardo al comune sentire ed alla comune accezione
dell’espressione usata» v. Cass. pen., sez. V, 11/07/2006, n. 37609; ulteriori
pronunce sono analizzate in PAVICH-BONOMI, Reati in tema di di- scriminazione,
Cass. pen., sez.; cfr. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa. L’orientamento
della giurisprudenza italiana sembra aderire alla concezione dello hate speech
come fattore in grado di alterare in ne- gativo il clima sociale e di inoculare
il germe della discriminazio- ne186. Non viene riservato spazio allo stato
soggettivo dell’agente né alla verifica di un’effettiva diffusione del pensiero
razzista e di un ‘contagio emotivo’, adottando un modello di intervento basato
sul pe- ricolo astratto 187 e orientato alla tutela della dignità umana 188.
Un’eloquente evocazione dei sentimenti la troviamo invece in una pronuncia
ormai datata, relativa alla legge (at-tuazione della Convenzione internazionale
per la prevenzione e la repressione del crimine di Genocidio), e in particolare
all’art. 8 che in- crimina l’istigazione e l’apologia di genocidio 189. Ebbene,
nel 1985 la Corte di Cassazione ebbe a definire la ratio di tutela del reato di
pro- paganda come contrasto della «intollerabile disumanità odioso culto
dell’intolleranza razziale che esprime, orrore che suscita nelle coscienze
civili ferite dal ricordo degli stermini perpetrati dai nazisti e dai calvari
tragicamente attuali di talune popolazioni africane e asiatiche. L’idoneità
della con- dotta ad integrare gli estremi del reato non è già quella generale
di un improbabile contagio di idee e di propositi genocidiari, ma quella più
SPENA, La parola odio. Sovraesposizione, criminalizzazione, interpretazione
dello hate speech, in Criminalia; sul tema, in termini generali, cfr. WALDRON,
The Harm in Hate Speech. L’assunto è presente in Cass. pen., sez. Un’interpre-
tazione correttiva è proposta da FRONZA, Osservazioni sul reato di propaganda
razzista; cfr., per un differente percorso argomentativo volto a rico- noscere
che la propaganda di idee razziste è già di per sé concretamente pericolosa per
la dignità della persona, v. PICOTTI, Diffusione di idee razziste ed
incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, ss., nota a
Tribunale Verona, in Giur. merito; contra, v. SCAFFARDI, Oltre i confini della
libertà di espressione; più ampiamente, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità
umana. Per tutti v. DE FRANCESCO, Commento a D.L. 26/4/1993 n. 122 conv. con
modif. dalla legge; cfr. AMBROSETTI, Beni giuridici tutelati e struttura delle
fattispecie: aspetti problematici della normativa penale contro la di-
scriminazione razziale, in AA.VV., a cura di Riondato, Discriminazione
razziale, xenofobia, odio religioso; PICOTTI, Istigazione e propaganda della
discri- minazione razziale fra offesa dei diritti fondamentali della persona e
libertà di mani- festazione del pensiero, in AA.VV., a cura di Riondato,
Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso, cit., pp. 134 ss. 189 Sul
tema v. CANESTRARI, voce Genocidio, in Enciclopedia giuridica, Roma. Tra
sentimenti ed eguale rispetto strutturalmente semplice di manifestare
chiaramente l’incondizionato plauso per forme ben identificate di fatti di
Genocidio. Attraverso un lessico ad alto impatto emotivo, la Corte afferma la
legittimità dell’incriminazione dell’apologia di genocidio quale argine
all’‘orrore che suscita nelle coscienze’. Si tratta del caso più emblema- tico
in cui una norma penale italiana finalizzata al contrasto al razzismo e alla
discriminazione viene declinata alla stregua di una vera e propria tutela di
sentimenti; un profilo che è stato puntualmente, an- corché sinteticamente,
messo in evidenza nei commenti critici della dottrina dell’epoca, che ne ha
rilevato altresì la profonda distonia con i principi enunciati dalla Corte
costituzionale in tema di apologia ed istigazione, del tutto disattesi dalla
pronuncia della Cassazione. Tale orientamento rimane un caso isolato
nell’ambito della esigua giurisprudenza, e viene espressamente sconfessato
dall’unica pronun- cia successiva, ad opera della Corte di Assise di Milano che
ne confu- ta l’intero impianto motivazionale al fine di restringere
l’operatività della norma alle sole ipotesi in cui l’apologia sia una «forma di
istiga- zione indiretta, caratterizzata dalla nota interna che in essa
l’induzio- ne alla commissione di un certo fatto si realizza attraverso
l’esaltazione di un fatto analogo. Il discorso razzista fra estremismo politico
e insulto discri- minatorio Veniamo infine ad analizzare alcuni profili di
ermeneutica del fat- to che ricorrono nell’analisi della casistica sul discorso
razzista. La giurisprudenza specifica che affinché siano integrati gli estremi
del- l’espressione discriminatoria deve trattarsi di consapevole
esteriorizzazione di un sentimento di avversione o di discriminazione fon- data
su di un pregiudizio: ma cosa consente di distinguere a livello esteriore una
critica da un pregiudizio? Cass. pen., sez. I, 29/03/1985, n. 507, in Foro it.,
La vicenda è relativa all’esposizione di striscioni inneggianti all’Olocausto
durante una manifestazione sportiva: Mathausen reggia degli ebrei, ‘Una cento
mille Mathausen’, ‘Hitler l’ha insegnato, uccidere l’ebreo non è reato. FIANDACA,
nota a Cass. pen., sez., in Foro it., Corte di Assise di Milano, in Ius
explorer. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa Nelle applicazioni della
norma sulla propaganda razzista la giuri- sprudenza ha più volte adoperato il
criterio basato sulla distinzione fra considerazioni che fanno leva sulla
diffusione di determinati com- portamenti presso determinate etnie, e l’offesa
all’etnia tramite inde- bite generalizzazioni. Risultano particolarmente
problematiche le vicende riguardanti contesti di dialettica politica, nei quali
è frequente il ricorso a stereo- tipi che, a seconda delle circostanze, possono
assumere le vesti di veri e propri pregiudizi discriminatori. Il processo ai
leghisti di Verona rappresenta un significativo leading case: sinteticamente,
il fatto ri- guarda l’iniziativa di alcuni consiglieri comunali finalizzata a
mandare via gli zingari dal comune scaligero attraverso un coinvolgimento della
popolazione allertata da un volantino che recitava No ai campi nomadi. Firma
anche tu per mandare via gli zingari. Fra le diverse questioni affrontate dai
giudici, è importante ai fini della presente indagine rilevare quanto osservato
dalla Corte di Cas- sazione in occasione dell’ordinanza di annullamento con
rinvio: «La discriminazione si deve fondare sulla qualità del soggetto
(zingaro, nero, ebreo, ecc.) e non sui comportamenti. La discrimina- zione per
l’altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l’altrui
criminosità. In definitiva un soggetto può anche essere legitti- mamente
discriminato per il suo comportamento ma non per la sua qualità di essere
diverso. Tale trend interpretativo rimane costante nella giurisprudenza
successiva avente ad oggetto le dichiarazioni di soggetti politici nel-
l’ambito dell’attività istituzionale e della campagna elettorale. Emergono
tuttavia notevoli criticità in una recente pronuncia della Corte di Cassazione
riguardante una condanna della Corte di Appello di Trieste per un volantino di
promozione elettorale stampato e diffuso in occasione delle elezioni per il
rinnovo del Parlamento Europeo, il quale secondo i giudici di merito 194 Un
riassunto della vicenda in CARUSO, Dialettica della libertà di espressione: il
caso Tosi e la propaganda di idee razziste, a cura di Tega, Le discriminazioni
razziali ed etniche. Profili giuridici di tutela, Roma; si veda anche VISCONTI
C., Il reato di propaganda razzista. Cass. pen., sez. Cass. pen., sez.; Cass.
pen., sez. Tra sentimenti ed eguale rispetto «propagandava idee fondate sulla
superiorità di una razza rispetto alle altre e sull’odio razziale, facendo
ricorso, in particolare, allo slogan “basta usurai – basta stranieri” con
sottinteso, ma evidente riferimen- to a persona di religione ebraica ed
esplicito riferimento a persone di nazionalità non comunitaria e, sul retro del
volantino, alla rappresen- tazione grafica esplicativa dello slogan di
un’Italia assediata da sogget- ti di colore dediti allo spaccio di
stupefacenti, da un Abramo Lincoln attorniato da dollari, da un cinese
produttore di merce scadente, da una donna e un bambino Rom sporchi e pronti a
depredare e da un soggetto musulmano con una cintura formata da candelotti di
dinami- te pronti per un attentato terroristico. La Corte di Cassazione dispone
l’annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste, argomentando proprio sulla
base dell’asse- rita differenza del caso trattato rispetto alla condanna dei
leghisti ve- neti, nel quale, secondo la Corte, appariva invece palese la
discrimi- nazione degli zingari per il solo fatto di essere tali, in quanto il
do- cumento diffuso non indicava alcuna plausibile ragione a sostegno
dell’allontanamento, mentre il diverso caso in esame, «ad avviso del Collegio,
in maniera alquanto grossolana, vuole veicola- re un messaggio di avversione
politica verso una serie di comporta- menti illeciti che, con una
generalizzazione che appare una forzatura anche agl’occhi del destinatario più
sprovveduto, vengono attribuiti a soggetti appartenenti a determinate razze o
etnie: il cinese che vende prodotti contraffatti, l’uomo di colore che spaccia
stupefacenti, la rom che tenta di rapire il bambino, l’arabo che si fa
esplodere in un atten- tato terroristico. E poi Abramo Lincoln, con i suoi
dollari, a rappre- sentare la finanza e le banche, probabilmente da mettere in
relazione alla scritta “basta usurai”». Cass. pen., sez.: secondo la
descrizione riportata in sentenza, «su un lato compariva la propria foto
sovrastata dalla scritta “Vota S.”, sotto la quale si leggeva, a grandi
caratteri, la frase “BASTA USURAI, BASTA STRANIERI”. Sotto, il simbolo del partito
di appartenenza (Destra Sociale – Fiamma Tricolore), con una mano che vi appone
una croce e scrive di fianco “ S.”. Più in basso, l’URL del blog del candidato;
sull’altro lato, in alto la scritta: “Elezioni Europee DIFENDI L’ITALIA – VOTA
S.”. Più sotto, sei caricature che raffigurano: un cittadino dai tratti
somatici asiatici che vende prodotti “made in China; un Abramo Lincoln con tanti dollari che gli
svolazzano intorno; un uomo di colore
che offre droga; un arabo con una cintura di candelotti di dinamite pronto a
farsi esplodere; una donna italiana con un bambino in braccio e, di fianco, una
mendicante rom che allunga le mani in direzione dello stesso. Fisionomia
dell’offesa Non sono però solo considerazioni legate al merito delle afferma-
zioni, definite ‘grossolane’, a far propendere la Corte verso un atteg-
giamento di indulgenza, bensì risulta decisiva l’analisi del quadro contestuale
e in particolare il particolare clima nel quale si svolgono le competizioni
elettorali. Ora, la condivisibile apertura della Corte a una lettura dei fatti
il più possibile aperta alla valutazione di tutti i fattori di contesto e alle
prassi comunicative, anche quelle meno ortodosse, conferma in pri- mo luogo il
carattere storicamente e socialmente condizionato delle soglie di liceità e di
tollerabilità del discorso pubblico. Sul merito dell’interpretazione offerta
dal Collegio, possiamo rite- nere avverato il vaticinio di Costantino Visconti
riguardo l’elevata complessità di scindere, a livello di critica, la persona
dal proprio comportamento: la nitidezza della distinzione è solo apparente, in
quanto vi sono ambiti in cui il discorrere sulle differenze in rapporto a un
contesto pluralistico e multiculturale può condurre a un punto in cui «il
profilo della diversità in sé e quello dei comportamenti costituiscono un
tutt’uno, e non è possibile, né verosimilmente avrebbe senso separarli» 198. In
relazione a tale profilo, l’argomentazione dei giudici appare frettolosa e
superficiale. Ciò che desta a nostro avviso perplessità non è tanto l’esito
assolu- torio, il quale, pur opinabile, può trovare ragioni in un complessivo
atteggiamento di favor libertatis; sorprende però che sia la stessa Cor- te ad
riconoscere che siamo di fronte, evidentemente, ad un messaggio politico che
risente di un pregiudizio per cui determinate atti- vità delittuose vengono
poste in essere prevalentemente dai membri di determinate etnie». Ebbene,
parlare di pregiudizio evoca una connessione immediata con la discriminazione:
come ammonisce Norberto Bobbio, «la conseguenza principale del pregiudizio di
gruppo è la discriminazio- ne»200. In altri termini, quanto affermato dalla
Corte depone per un VISCONTI C., Aspetti penalistici Abel osserva che «è
impossibile distinguere le espressioni illegittime dall’opportunismo di routine
dei politici quando vanno incontro ai pregiudizi popolari, v. ABEL, La parola e
il rispetto. Il legame tra pregiudizio e discriminazione non deve tuttavia
portare a inferire automaticamente la sussistenza di un atteggiamento razzista:
pregiudizio e razzismo, per quanto connessi, non sono sovrapponibili, ma si
tratta di concetti distinti, v. RAVENNA, Odiare. Per tutti, BOBBIO, Elogio
della mitezza e altri scritti morali, Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto
univoco accostamento delle opinioni del volantino al pensiero di-
scriminatorio: sono frutto di pregiudizi razziali. Difficile a questo punto
negarne il disvalore, quantomeno se si abbia a cuore un certo rigore
concettuale. L’atteggiamento della Corte lascia perplessi, in quanto la circo-
stanza legittimante l’esercizio della libertà di espressione è così espli-
cata: «si tratta, peraltro, di un pregiudizio che da sempre viene agita- to
nelle campagne elettorali al fine di recuperare consenso in situa- zioni locali
in cui da parte dell’elettorato viene una richiesta di maggiore sicurezza.
Un’indulgenza indotta dalla consuetudine: ma quale dovrebbe es- sere il ruolo
del diritto penale in rapporto a prassi comunicative becere? La constatazione
di una degradazione del linguaggio e di una brutalizzazione della dialettica in
ambito politico è una buona ragione per chiudere un occhio di fronte a casi
come quello preso in e- same? La risposta travalica i confini della questione e
riporta all’inter- rogativo se il diritto penale debba limitarsi a un’azione di
conserva- zione dei valori o possa anche costituire uno strumento di ‘pedagogia
sociale’. Resta il dubbio se in questo caso l’atteggiamento della Corte di
Cassazione sia da avallare per essersi astenuta dal sindacare il merito di un
discorso politico, o sia invece da criticare per non aver adeguatamente
stigmatizzato la diffusione di pensieri offensivi che essa stessa ha
implicitamente ammesso essere frutto di pregiudizi a base razziale. Sinossi La
connessione fra tutela di sentimenti e rispetto reciproco risulta
particolarmente evidente nella dialettica avente ad oggetto argomenti ad alto
tasso emotivo, dove vengono in gioco ‘appartenenze significative’
dell’individuo. Nell’attuale scenario socio-politico del mondo oc- cidentale gran
parte dei conflitti orbitano intorno al tema dell’appar- tenenza etnica, della
fede religiosa, della identità e pari dignità sessuale. Fra le ragioni
dell’effetto emotigeno vi è il fatto che nel discorso Tale principio viene
esplicitato anche in Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa concernente le
appartenenze possono emergere problemi di mancato riconoscimento dell’altro e
di categorizzazioni denigratorie. Ne deriva l’esigenza di distinguere fra
espressioni di mera critica o irrisione, pur emotivamente fastidiose ma
comunque espressione della libertà del dissenso, da forme di diniego del
riconoscimento: la priorità politica è la dimensione del rispetto definita
‘rispetto-riconoscimento’, diversa dal ‘rispetto-stima’. L’eguale
rispetto-riconoscimento costituisce la ricaduta relaziona- le più immediata del
valore della dignità umana. Per quanto tale richiamo possa risultare
problematico agli occhi del penalista, esso rappresenta comunque una bussola
assiologica se ci si impegni a modularne l’uso attraverso una lettura non
metafisico-concettuali- stica ma volta a identificarne le proiezioni
relazionali ed esistenziali, ad esempio attraverso la cosiddetta ‘teoria delle
capacità’ elaborata da Martha Nussbaum. Il non facile obiettivo di bilanciare
istanze di libertà e richieste di rispetto porta a identificare un livello
minimo di protezione il quale sembra poter coincidere con l’esigenza di non
essere umiliati e poter essere trattati come persona dignitosa il cui valore
eguaglia quello al- trui. Nell’approfondimento del concetto di ‘umiliazione’,
viene rimarca- ta l’esigenza di distinguere fra espressioni di insulto ed
espressioni che umiliano. La distinzione, comunque afferrabile sul piano
concettuale, appare sfumare nei suoi contorni essenziali al momento delle
applicazioni in ambito giuridico: il processo interpretativo dipende in larga
misura dall’ermeneutica del fatto, ossia dai diversi significati che
determinate espressioni possono assumere a seconda dei contesti e dei soggetti
coinvolti, e si espone a precomprensioni e a usi poco sorvegliati di inferenze
logiche e valoriali. Un rapido riscontro relativo alle norme italiane a tutela
del senti- mento religioso e della pari dignità mostra come il richiamo a
sentimenti sia residuale nelle argomentazioni della giurisprudenza: pre- sente
in minima parte nelle forme di vilipendio, comunque ancorate a un modello di
tutela incentrato sulla religione piuttosto che sulla dignità del credente, e
assente con riguardo alla normativa sul di- scorso razzista. Un ambito,
quest’ultimo, nel quale meritano particolare attenzione, quale esempio di
ermeneutica del fatto, le argomen- tazioni elaborate per tracciare la linea di
confine fra discorso politico ‘estremo’ e discorso discriminatorio. Tra
sentimenti ed eguale rispetto DILEMMI
SOMMARIO: Tutela di sentimenti’: una formula a più significati. Oltre la
prospettiva penalistica: ‘cura dei sentimenti’ come sfida fondata sulle
libertà. Tutela da sentimenti. Idealtipi antropologici e realtà umana dei
conflitti. Dissensi ed estremismo. Quale ruolo per il diritto penale? Il
tormentato pensiero della dottrina penalistica. Precetti pedagogici? Sinossi. Tutela
di sentimenti: una formula a più significati Cerchiamo di riannodare le fila di
un discorso che ha preso le mosse dall’esigenza di riservare attenzione ai
rapporti fra sentimenti, emozioni e diritto penale non solo come problema
esegetico-inter- pretativo ma, più radicalmente, come coordinata per la
riflessione sull’essere e sul dover essere del diritto penale. L’osservazione
di Mar- tha Nussbaum posta in epigrafe al I capitolo ci ricorda che uno sguardo
alla dimensione affettiva è fondamentale per non perdere di vista il substrato
umano dei problemi e soprattutto gli aspetti di vul- nerabilità della persona
che possono motivare il ricorso allo strumen- to giuridico. Parlare di tutela
di sentimenti rimanda al problema del rispetto per le diversità coesistenti
nella società pluralista: alla varietà di pre- ferenze e di assiologie
personali. Il sentimento viene in gioco non semplicemente come stato
psicologico, ma in termini normativi qua- le richiamo metonimico al ‘tutto
della persona’ e al valore di cui sen- timenti ed emozioni rappresentano il
correlato fenomenico, ossia la personalità e l’‘unicità’ del singolo.
L’eventuale orizzonte di tutela dovrebbe in questo senso focaliz- zarsi non su
risvolti contenutistici di stati affettivi o su oggetti (ideali, concezioni,
fedi) caratterizzati da peculiari connotazioni valoriali, ma assumere a
riferimento eventuali attacchi alla persona che adope- 210 Tra sentimenti
ed eguale rispetto rino strumentalmente il sentimento (rectius, il modo
d’essere e l’iden- tità dell’individuo) come fattore degradante per la
negazione della pari dignità 1. Abbiamo individuato nell’eguale e reciproco rispetto-riconosci-
mento l’atteggiamento che meglio si presta a definire sia il dover es- sere dei
rapporti fra singoli, sia la tendenziale equidistanza che do- vrebbe
caratterizzare eventuali interventi normativi 2. Sarebbe corretto parlare di
eguale rispetto come ‘bene giuridico’, per riportare il discorso sul piano dei
concetti endopenalistici? Al di là della scarsa risolutività che una tale
formula assumerebbe sul pia- no teoretico, la sostanza dei problemi appare
diversa: in primo luogo il rispetto non definisce un oggetto di tutela a sé
stante ma si pone piuttosto come parametro per valutare sia i rapporti tra
singoli sia la qualità di eventuali risposte normative che abbiano come
riferimento finalistico la tutela della persona. In secondo luogo, quando si analizzano
le dimensioni sociologica, psicologica e filosofica del rispetto emerge una
complessità che non appare comprimibile e ‘isolabile’ nell’involucro
concettuale che si è soliti definire ‘bene giuridico’3. Possiamo sì parlare di
‘diritto al ri- 1 Cfr. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Nelle
moderne democrazie liberali, le ricadute effettuali del valore del rispet-
to-riconoscimento coinvolgono due differenti profili. In primo luogo
l’atteggia- mento dello Stato verso i cittadini: il rispetto-riconoscimento è
da intendersi co- me aspetto complementare del principio di eguaglianza,
indicando l’approccio che la normazione statuale dovrebbe assumere nei rapporti
con le diverse voci dello scenario pluralista e nelle dinamiche fra maggioranze
minoranze: «l’eguale rispetto appare in questa luce come una generalizzazione
della dignità e dell’onore è come l’esito di un processo di costituzione di una
comunità di pari, di una comunità di mutuo riconoscimento: la comunità
dell’eguale status di cittadi- nanza» v. VECA, Dizionario minimo. Le parole
della filosofia per una convivenza democratica, Milano; per uno studio sul tema
delle discriminazioni attuate verso individui o gruppi mediante lo strumento
giuridico, v. SALARDI, Di- scriminazioni, linguaggio e diritto. Profili
teorico-giuridici, Torino; per un quadro, e un’analisi critica, di interventi
normativi nel contesto italia- no che sembrano potersi definire come
‘discriminatori’, v. BARTOLI C., Razzisti per legge. L’Italia che discrimina,
Roma-Bari; per un approfondimen- to sull’atteggiamento della Corte
costituzionale in rapporto a questioni in cui so- no venuti in gioco profili di
discriminazione, v. DODARO, Uguaglianza e diritto penale. Sono numerose le voci
che nella dottrina italiana hanno constatato la crisi di tale costrutto
teorico. In termini generali v., per tutti, FIANDACA, Sul bene giuridico; in
relazione a profili più specifici è stato acclarato il «ruolo di strumento
metodologico di chiarificazione concettuale più che di base cogente- mente normativa
delle scelte di criminalizzazione», così PALAZZO, Tendenze e prospetto’ per
descrivere l’interesse della persona a non essere offesa, ma si tratta di una
formula da prendere con cautela e che necessita di specificazioni. Il filosofo
Darwall osserva che rispettare un individuo significa prendere sul serio le sue
richieste e le sue aspettative sul pia- no morale in forza non di un dovere
impersonale ed esterno alla rela- zione, bensì in virtù dell’autorità morale
che è inerente alla persona stessa, alla quale si deve rispetto per ragioni di
uguaglianza (c.d. rispetto in seconda persona). In altri termini, le richieste
di rispetto traggono legittimazione morale dalla persona in sé, ed è la persona
ad essere destinataria dell’atteggiamento di riguardo fondato sull’ugua-
glianza di status nella relazione di reciprocità. Di fondamentale importanza è
lo sviluppo che Anna Elisabetta Galeotti ha dato al pensiero di Darwall,
contribuendo a illuminare la distinzione tra rispetto e diritti. Riportiamo per
esteso un importante passaggio: «Quando si dice “tutti hanno diritto di essere
rispettati dagli altri” non stiamo parlando di diritto in senso proprio, perché
il diritto al rispetto non ha uno specifico contenuto. Certamente di fronte a
una violazione di diritti, si dice che il trasgressore non ha rispettato il
titolare di dirit- ti. Però non possiamo concludere che il rispetto sia una
qualificazione dell’ottemperamento dei diritti tale che, ogni qualvolta una
persona fa il proprio dovere verso qualcun altro, il rispetto si manifesta come
una qualità intrinseca e inestricabile del dovere morale ottemperato. Non
possiamo concludere in quel modo perché, tra le altre cose, non siamo contenti
di essere rispettati per dovere. Il fatto è che non solo non vogliamo essere rispettati
per un dovere in terza persona, ma neanche spettive nella tutela penale della
persona umana, in AA.VV., a cura di Fioravanti, La tutela penale della persona.
Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano. Altri Autori hanno evidenziato la
dissoluzione della funzione critica, sul presup- posto della negazione di una
preesistenza dei beni oggetto di tutela alle scelte del legislatore, v. DI
GIOVINE O., Un diritto penale empatico?, rimarcando inoltre l’appannamento
della capacità descrittiva del concetto, e suggerendone una dismissione o un
sostanzioso restyling, v. FORTI, Le tinte forti del dissenso. Si veda anche
PALIERO, La laicità penale, il quale rimarca il perdurante ruolo di
orientamento del ‘bene giuridico’ in rapporto al formante legislativo e
giurisprudenziale, pur confermando la crisi sostanziale del costrutto in
relazione ai suoi confini. DARWALL, Respect and the Second-Person Standpoint, in Proceedings and
Addresses of the American Philosophical Association. Si è osservato che il rispetto-riconoscimento è
dunque un atteggiamento verso una persona, prima ancora che nei confronti di
un’identità gruppale, che reclama azioni non umilianti e non degradanti, così
CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Tra sentimenti ed eguale rispetto per uno in
seconda persona. Non vogliamo essere rispettati per dovere, punto e basta. In
effetti credo che la prospettiva diritti/doveri collassi sempre in qualche
forma di morale impersonale che non soddisfa pro- priamente le nostre
aspettative circa l’essere rispettati. La richiesta reciproca di rispetto pur
se avanzata in termine di diritto non può mai essere soddisfatta per dovere,
anche se ciascuno di noi ha l’obbligo di rispettare gl’altri. La mancanza di
rispetto non si rimedia attraverso l’imposizione di rispettare gli altri, ma
solo attraverso una comprensio- ne autentica di ciò che la richiesta reciproca
implica. Solo allora chi ha mancato di rispetto può riparare il suo torto, non
già facendo per dovere qualche atto, ma riconoscendo la propria mancanza e
riparando l’offesa con un atto individualizzante di riconoscimento. La natura
del rispetto ‘in seconda persona’ implica che il rapporto di reciproco
riconoscimento debba avvenire tramite un atto ‘indivi- dualizzante’, la cui
sostanza è quella di dare valore morale a un soggetto considerandolo nella sua
concretezza di persona umana, non dunque come mera proiezione di una comune
appartenenza di genere che prescinde dalle particolarità che lo caratterizzano.
Un realistico disincanto suggerisce a questo punto una constatazio- ne: il
rispetto, inteso come disposizione comportamentale dell’individuo, non è
coercibile: «[l]a prospettiva dei diritti e dei doveri è una prospettiva
impersonale, che non soddisfa compiutamente le aspettative di ricono- scimento
e rispetto morale. Non le soddisfa perché se il rispetto deve essere ‘in
seconda persona’, un eventuale divieto rappresenta invece una fonte eteronoma
di doveri. Un rispetto giuridicamente imposto può es- sere una componente
importante negli equilibri della convivenza, ma non esaurisce lo spazio morale
delle relazioni e soprattutto non è da considerarsi strumento prioritario da un
punto di vista politico. Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è
prima di tutto un atto ‘sentito’ che discende da disposizioni soggettive sulle
quali influi- scono strumenti di controllo sociale fra i quali può rientrare
anche, eventualmente, il diritto penale; ma se prendiamo sul serio la matrice
affettiva dell’atteggiamento di rispetto8, e dunque la sua natura an- GALEOTTI,
La politica del rispetto. Questa diversa prospettiva dell’atteggiamento di
rispetto viene approfondita in GALEOTTI, Rispetto come riconoscimento, in
AA.VV., a cura di Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto. PULITANÒ,
Introduzione alla parte speciale. BAGNOLI, L’autorità della morale; MORDACCI,
Rispetto. Dilemmi che di sentimento, ne consegue che l’obiettivo del rispetto
per le per- sone discende in primo luogo dalle possibilità di uno sviluppo
sogget- tivo di tale sentire 9. Emerge un’importante indicazione per definire
il progetto norma- tivo della ‘tutela di sentimenti’: la strategia dei divieti
è del tutto residuale, certo non prioritaria. Il giurista penale è portato a
pensare al concetto di tutela prevalentemente in chiave negativa o ‘difensiva’,
come protezione di un dato oggetto da danni o da pericoli, ma si trat- ta di
un’accezione che rispetto ai problemi in esame appare limitante, e che è
preferibile scorporare in traiettorie differenti. Possiamo individuare una
prima prospettiva che declina il concet- to di tutela come agire positivo, un
‘aver cura’ di sentimenti ed emo- zioni nella dimensione sociale, inteso come
coltivazione di atteggiamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al
reciproco rispetto. Oltre la prospettiva penalistica: ‘cura dei sentimenti’
come sfida fondata sulle libertà Cura dei sentimenti è un concetto estraneo al
tradizionale repertorio di categorie non solo penalistiche, ma più in generale
giuridi- che. Perché si dovrebbe aver cura dei sentimenti nella società con-
temporanea? Una eloquente risposta è fornita da Nussbaum in una cri- tica al
pensiero liberale, reo di non aver adeguatamente tenuto in considerazione
sentimenti ed emozioni, vedendoli come destabilizzanti e più confacenti a
visioni politiche orientate in senso populista, ai fascismi e alle forme dittatoriali.
C’è chi pensa che soltanto le società fasciste o aggressive siano intensamente
emotive e che solo tali società abbiano bisogno di coltiva- re emozioni. Sono
convinzioni sbagliate e pericolose. Cedere sul terreno delle emozioni,
permettere che le forze illiberali vi trovino Non basta dare l’ordine di farlo
perché la gente sia trattata effettivamente con rispetto. Il riconoscimento
reciproco va negoziato, e questo vuol dire coinvol- gere in tutta la loro complessità
il carattere degli individui tanto quanto la struttura sociale, v. SENNETT,
Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, tr. it., a cura di
Turnaturi, Bologna. Traggo questo termine dal lessico di Nussbaum. NUSSBAUM,
Emozioni politiche. Tra sentimenti ed eguale rispetto spazio significa dare
loro un grosso vantaggio nel cuore delle persone e rischiare che queste pensino
ai valori liberali come a qualcosa di noioso e inefficace. Tutti i principi
politici, buoni e cattivi, necessitano di supporto emotivo per consolidarsi nel
tempo, e ogni società giusta deve guardarsi dalle divisioni e dalle gerarchie
coltivando sentimenti appropriati di amore e simpatia» 12. La critica di fondo
della studiosa statunitense si può articolare in due profili. Su un piano
filosofico, l’ambizione a un liberalismo politico (il quale cioè cerchi di
mantenere una tendenziale equidistanza senza promuovere una particolare
concezione del bene) avrebbe prodotto teorizzazioni eccessivamente asettiche
sul piano dei valori, o comun- que non adeguatamente esplicite nell’affermare
il sostegno a un pac- chetto di principi. Conseguentemente, l’immagine di un
liberalismo troppo preoccu- pato di presentarsi come neutrale14 ha
disincentivato la riflessione sulle ragioni delle scelte valoriali degli
individui, trascurando le emo- zioni e i sentimenti come fattori che
influenzano gli atteggiamenti verso i valori. La seconda carenza di fondo è non
aver adeguatamente riflettuto sulla ‘psicologia di una società dignitosa. .
Secondo Nussbaum è fondamentale che una riflessione filosofico-politica prenda
le mosse dalla psicologia umana, che cerchi chiavi di comprensione dei com-
portamenti per evitare di elaborare teorie fondate su immagini stereotipate
dell’essere umano. Lo studio delle emozioni e dei sentimen- NUSSBAUM, Emozioni
politiche. Secondo la Nussbaum, quando invece i liberali hanno tentato di
addivenire a un liberalismo più ‘comprensivo’, si è arrivati a teorizzare una
sorta di ‘religione civile’, ossia pacchetti di principi non adeguatamente
inclusivi, bensì escludenti (come esempi vengono riportati la religione civile
di Mill e Comte). Nel panorama statunitense la critica al tentativo liberale di
mostrarsi come asseritamente neutrale ha avuto ad oggetto anche il pensiero
penalistico, visto come del tutto incentrato sul piano funzionalistico e
consequenzialistico, e ten- dente non offrire il giusto risalto alla componente
valoriale nella definizione del danno e della responsabilità, v. KAHAN, Two
Liberal Fallacies. Da tale critica non sono esenti pensatori fra i più
importanti della tradizione liberale, con la sola esclusione di Rawls, al quale
si deve, nello studio intitolato ‘Giustizia come equità’, un fondamentale
richiamo alla psicologia morale ragionevole, v. NUSSBAUM, Emozioni politiche;
cfr. RAWLS, Giustizia come equità. Una riformulazione, tr. it., a cura di Veca,
Milano. Dilemmi ti si pone in questo senso come passo per identificare matrici
di atteggiamenti di pensiero e di comportamenti che possono rivelarsi
problematici, e vieppiù dissonanti, in rapporto ai principi liberali. Il buon
uso pubblico delle emozioni costituisce il nucleo di una strategia politica che
riconosce al fattore affettivo una peculiare forza normativa e una salienza
morale le quali dovrebbero contribuire a dare sostanza e a vivificare i
principi guida del paradigma liberale attraverso un intelligente stimolo delle
coscienze basato su virtuose interazioni con la sfera emotiva18. Si configura
in questo senso un vero e proprio progetto culturale volto a ‘reinventare la
religione civile’ 19, e a rendere la compagine sociale permeabile a emozioni
positive al fine di dare al rispetto reciproco una dimensione più pregnante.
Solo a uno sguardo superficiale la teorizzazione di Martha Nus- sbaum potrebbe
risultare accomunabile a una sorta di moralismo au- toritario, come tentativo
di porre le fondamenta di un ‘pensiero uni- co’. La studiosa, consapevolmente,
ne prende le distanze: una cultura critica vigile è fondamentale per la
stabilità dei valori liberali. Un’intensa cura delle emozioni può coesistere,
anche se talvolta a fatica, con la presenza di uno spazio critico aperto» 21.
Una simile prospettiva sembra di primo acchito esulare rispetto al campo del
diritto penale. In verità essa contiene un messaggio impor- tante anche per la
prospettiva penalistica: la ‘cura’ dei sentimenti de- Da questo punto di vista,
il percorso additato dalla Nussbaum pare potersi accostare a obiezioni critiche
di altri Autori che hanno rimproverato al pensiero liberale un’eccessiva ‘asetticità’:
in altri termini, un punto di vista troppo restritti- vo e ‘astensionistico’
dal punto di vista etico, a esclusivo vantaggio della prospet- tiva di
giustizia e a detrimento di una riflessione sul bene, sia collettivo sia
indivi- duale, v., per tutti, DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale. Un
progetto politico normativo si legittima se può essere stabile. Le emozioni
sono interessanti perché giocano un ruolo in questa stabilità» NUSSBAUM,
Emozioni politiche. Le strategie proposte da Martha Nussbaum si ba- sano su
esempi tratti dalla storia recente: discorsi pubblici, sostegno alle arti,
educazione alla lettura e alla frequentazione di testi letterari sono alcune
delle parti di un vasto programma che la studiosa pone come base per favorire
lo sviluppo di un ‘sentire democratico’, predisponente all’ascolto reciproco e
alla capa- cità di immedesimarsi nell’altro, per stimolare negli individui
emozioni consone ai valori liberali e per tenere di conseguenza sotto controllo
la tendenza «radicata in tutta la società e, in ultima analisi, in tutti noi, a
proteggere un Sé fragile deni- grando e mettendo in secondo piano gli altri»,
v. NUSSBAUM, Emozioni politiche. NUSSBAUM, Emozioni politiche. NUSSBAUM,
Emozioni politiche. NUSSBAUM, Emozioni politiche. Tra sentimenti ed eguale
rispetto finisce un progetto che dà priorità alle libertà, alla promozione di
una dialettica pubblica aperta al confronto anche aspro fra le idee, volta a
creare per i cittadini la possibilità di costruzione di un’IDENTITÀ DIALOGICA.
Tutela da sentimenti Da un altro lato, si pone il problema di quale strategia
politico- sociale debba adottarsi di fronte a spinte emotive negative: vi sono
emozioni e sentimenti per i quali si può porre un problema di tutela non nel
senso di cura, bensì in termini opposti, come presidio disin- centivante che
definiamo ‘tutela da sentimenti’. Si tratta della pro- spettiva più
suscettibile di creare tensioni con i diritti di libertà, e che riguarda in
modo più diretto l’eventuale coinvolgimento dello stru- mento penale. È
abbastanza immediato pensare all’odio come atteggiamento emotivo che contrasta
con l’eguale rispetto; esso rappresenta già oggi, a prescindere dalla concreta
rilevanza assunta in fase applicativa, l’elemento caratterizzante condotte che
molti ordinamenti vietano sotto l’appellativo di hate speech e hate crimes. Si
tratta di un nucleo di atteggiamenti che, per quanto non definiti
esaustivamente dalle fonti normative, presentano quale minimo comune
denominatore l’avversione verso gruppi e categorie di persone che patiscono una
debolezza e una marginalizzazione socialmente significativa. La formula tutela
da sentimenti può assumere un significato più esteso dell’accezione descrittiva
degli ambiti normativi di contrasto all’odio: la si potrebbe intendere come
istanza focalizzata non su at- teggiamenti emozionali definiti, bensì
funzionale alla messa a tema di profili inerenti, più in generale, la
dimensione psico-sociale delle matrici e delle ragioni dei dissensi. In altri
termini, un’istanza che riassume l’esortazione all’approfondimento della
‘psicologia di una società dignitosa’. Parlare di odio come tratto univocamente
identificativo di manife- stazioni offensive è un’approssimazione che rischia
di peccare per eccesso. Anche nella quotidianità emerge come l’odio venga usato
per definire e per connotare atteggiamenti di dissenso radicale frequen-
temente riscontrabili nel contesto mediatico: ad esempio, in riferi- mento
all’ambiente dei social network, si parla frequentemente di 22 SPENA, La
parola(-)odio, cit., pp. 598 ss. Dilemmi 217 ‘haters’23, ossia
‘odiatori’, termine col quale si indicano soggetti che aggrediscono verbalmente
gli altri internauti escludendo ogni possi- bile approccio di mediazione con
l’interlocutore. L’atteggiamento emotivo che definiamo ‘odio’ appare
particolar- mente sovraesposto; la tendenza a focalizzare l’attenzione su di
esso può però indurre a trascurare il ruolo di ulteriori atteggiamenti emo-
tivi, altrettanto meritevoli di attenzione come fattori di degradazione del
discorso e della dialettica pubblica. In altri termini, la realtà psico-sociale
è probabilmente più complessa e stratificata e le contrapposizioni anche
estreme non dovrebbero essere ricondotte tout court all’odio, il quale è forse
una componente che, se presa sul serio, potrebbe essere residuale in rapporto
ad altri atteggiamenti antago- nisti dell’eguale rispetto, quali rabbia, paura,
vergogna, invidia, disgusto: più diffusi, e difficili da riconoscere e da
ammettere, anche nei confronti di sé stessi. A nostro avviso si pone l’esigenza
di pensare alla tutela da senti- menti come istanza normativa che suggerisca di
«coltivare una certa attenzione verso i fattori in grado di favorire la
conoscenza delle libertà e le condizioni che permettono di farne concretamente
uso, individuando come punto nodale della questione l’interrogativo sui
«margini di flessibilità di cui dispongono, di fatto, e soprattutto di cui
hanno reale coscienza, le persone nell’espressione di un “dissenso” rispetto al
senso, o meglio, ai sensi che vengono trasmessi nei rispettivi contesti di
vita. In altri termini, il giurista penale deve oggi considerare che per la Una
panoramica in ZICCARDI, L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete,
Milano. Si tratta di odiatori o semplicemente di stupidi? L’equiparazione fra
intol- leranza, specie in ambito razziale, e stupidità, proposta in un breve
saggio sul- l’analisi psicologica del razzismo ad opera di BLUM, Razzismo e
stupidità, in AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni-Konzelmann Ziv, Le ombre
dell’anima, sembra da un lato suggerire il ridimensionamento della portata di
un richiamo all’odio quale matrice dell’intolleranza, e dall’altro lato sposta
sul piano culturale e della decostruzione dialettica, soprattutto tramite lo
strumento del- l’ironia, il contrasto al discorso razzista. Rabbia e odio sono
due emozioni autonome, per quanto non prive di forti connessioni. Osserva
RAVENNA, Odiare, che la rabbia è sperimenta- ta più di frequente rispetto
all’odio, e che quest’ultimo presenta delle caratteristi- che peculiari che lo
rendono distinguibile sia a livello psicologico che psico- sociale. Sul ruolo
politicamente negativo della vergogna, dell’invidia e del disgu- sto v., per
tutti, NUSSBAUM, Emozioni politiche, FORTI, Le tinte forti del dissenso, Tra
sentimenti ed eguale rispetto comprensione dei percorsi attraverso cui il
potere pubblico esprime le sue istanze repressive, occorra alzare e allargare
lo sguardo al con- testo socio-culturale complessivo in cui i sensi e i
relativi dissensi trovano il loro terreno di generazione. Coerentemente con la
suddetta esortazione, riteniamo che una ra- gionevole attenzione al versante
affettivo, orientata a sondare la dimensione umana dei conflitti e soprattutto
lo sfondo antropologico, possa rappresentare un tassello importante per
addivenire a un qua- dro fenomenicamente più realistico degli atteggiamenti
degli indivi- dui e, conseguentemente, anche a una più dettagliata base di
rifles- sione per la politica penale e per un razionale orientamento alle
conseguenze. Appare infatti poco sensato, in una riflessione sulle dinamiche
del reciproco rispetto a livello espressivo-comunicativo, non prendere in
considerazione le matrici dei dissensi, i canali di diffusione, e più in
generale un’idea realistica di essere umano con cui il diritto si trova a
interloquire, anche attraverso eventuali precetti. Più in generale, si tratta a
nostro avviso di ricercare degli adden- tellati sul piano socio-fenomenico per
sondare in modo non concet- tualistico margini di opportunità, oltre che di
legittimità, circa la pro- spettiva di interventi normativi. Idealtipi
antropologici e realtà umana dei conflitti Sia la ‘cura’ dei sentimenti, sia la
tutela ‘da’ sentimenti presup- pongono che negli individui vi sia la capacità di
recepire un certo ti- po di stimoli cognitivi ed emotivi. Viene da chiedersi
quale sia il riscontro che una tale ambizione trova oggi nella compagine
sociale: se si tratti di una prospettiva rea- listica o se invece presupponga
un modello ideal-tipico di cittadino eccessivamente ottimistico. FORTI, Le
tinte forti del dissenso. Osserva PALAZZO, Tendenze e prospettive nella tutela
penale della persona umana, cit., p. 404, che «nel configurare il sistema di
tutela penale della persona, sarà del tutto legittimo prestare ascolto alle
suggestioni anche di tipo antropolo- gico che possono provenire dalle
convinzioni sociali sull’essere umano; ma, dal- l’altro, una razionale scelta
politico criminale sulla tutela della persona e sui suoi limiti dovrà
necessariamente essere ispirata ai princìpi di ultima ratio, di tolleranza e di
laicità del diritto penale. Dilemmi La possibilità che la
riflessione teorica finisca per fare affidamen- to su modelli non del tutto
aderenti alla realtà sociale costituisce un avvertimento che la dottrina
penalistica non ha mancato di evidenziare. Alberto Cadoppi in uno scritto sul
paternalismo giuridico dall’impronta fortemente liberale, in tendenziale
accordo con la posizione di Feinberg propensa alla massima valorizzazione
dell’autonomia di scelta e della volontà dell’individuo, evidenzia come il
discorso sull’autonomia personale vada preso con molta attenzione e serietà,
per non cadere nell’errore, attribuito anche a Mill, di elaborare teorie
assumendo quale prototipo di persona un soggetto apparentemente immune da
inciampi cognitivi e da condizionamenti emotivi che potrebbero gettare un alone
di problematicità sulla reale consapevolezza delle scelte adottate 29. Solleva
problemi simili con riferimento al tema della libertà di espressione Visconti,
quando si chiede se gli argomenti volti a ridimensionare l’impatto delle parole
offensive, e a metterne in dubbio la dannosità, siano dettati anche
(soprattutto?) da un irenisti- co, e tutt’altro che giustificato, affidamento
su un modello di cittadi- no ‘ragionevole, colto e tollerante’, in grado di
elaborare l’insulto e di non patirne gli effetti. Tale categoria personologica
non appare del tutto rispondente alla realtà; ed è per tale motivo che Visconti
osser- va, condivisibilmente, che è con riferimento alla tipologia di soggetti
che non hanno la ca- pacità di controllare razionalmente e dialetticamente la
potenziale pe- CADOPPI, Liberalismo, paternalismo e diritto penale.
L’osservazione di Cadoppi è volta a sottolineare in modo puntuale e condivisibile
il ri- schio di una tendenza semplificante nella teorizzazione giuridica, e
rilancia la problematizzazione dell’idea di essere umano, dei modelli di scelta
razionale, de- gli interessi finali che dovrebbero idealmente rappresentarne il
fine delle condot- te, tema pregno di ricadute sul piano politico. Ad esempio,
si veda la questione relativa al benessere individuale, all’ideale normativo di
vita buona, alla distinzione fra interessi volizionali e interessi critici,
presente in DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, e ripreso, con
diversità di vedute, in FIAN- DACA, Diritto penale, tipi di morale, e FORTI,
Per una discussione sui limiti morali. A un livello successivo, la
problematizzazione del ruolo delle emozioni, della riflessività, della
consapevolezza delle proprie scelte da parte dell’individuo, si pone in termini
funzionali alla lettura e all’interpretazione delle condotte umane, nel tentativo,
sempre fallibile, di trovare dei signi- ficati: per una tematizzazione di tale
problema in ambito criminologico, e sul rapporto fra riflessività e opacità, v.
CERETTI-NATALI, Cosmologie violente, e bibliografia ivi citata. Tra
sentimenti ed eguale rispetto ricolosità di certe forme di discorso pubblico, o
che – peggio – ne strumentalizzerebbero intenzionalmente i possibili effetti
sociali dannosi, che si prospetta di fatto il problema di una scelta
politico-criminale tra l’intervento e l’astensione. Emerge da tali notazioni
una necessità di realismo, di problematizzazione del modello antropologico di
individuo che il diritto pena- le assuma a punto di riferimento, nella
consapevolezza di non poter e non dover dare per scontate caratteristiche che
finiscono per condur- re ad astrazioni perfezionistiche. Ricollegandoci a
quanto osservato da Visconti, il discorso sui limi- ti alla libertà di
espressione sembra talvolta presupporre la presenza di determinate capacità
dell’essere umano le quali appaiono oggi non condivise dalla totalità degli
individui. Tale rilievo si pone in primo luogo per i destinatari di espressioni
offensive, ma è bene allargare la riflessione anche al versante degli autori, e
dunque alle particolari di- sposizioni emotive e di pensiero che li
caratterizzano: il carico emoti- vo della vittima e la spinta emotiva che anima
chi offende sono en- trambi esposti al rischio di atteggiamenti radicali.
All’interno del macro tema del dissenso intersoggettivo riteniamo che le
traiettorie di ricerca per il giurista debbano focalizzarsi su differenti
aspetti, uno dei quali, concernente le matrici cognitive del dis- senso e la
qualità del flusso epistemico che alimenta le opinioni, è stato sinteticamente
messo in luce nel saggio di Gabrio Forti poc’anzi citato. L’Autore evidenzia
come il contesto generativo del senso e del dissenso versi oggi in condizioni
alquanto problematiche, che mettono a dura prova le risorse cognitive dei
singoli e alimentano un gri- giore epistemico il quale si accompagna a uno
sbiadimento globale dell’etica della comunicazione. L’avvento del web, oltre a
indurre la percezione di una deresponsabilizzazione del discorso pubblico, ha
portato a un «sovraccarico informativo che espone ognuno al rischio di
mobilitare non risorse cognitive adeguate, bensì una “ca- VISCONTI C., Aspetti
penalistici; cfr. FORTI, Le tinte forti del dissenso, il quale parla
criticamente di credo neo-liberale, costruito a mi- sura di soggetti capaci di
farsi robustamente valere nell’agone socio-culturale (ivi compresi storici e
intellettuali in grado di rintuzzare con gli argomenti della loro scienza le
farneticazioni negazioniste. Tematizza il problema di una tendenza a elaborare
modelli ‘deontologici’ di persona umana poco rispondenti con la realtà sociale
anche FIANDACA, Diritto penale, tipi di morale. AGOSTINI, Verità avvelenata. Dilemmi
pacità attentiva deteriorata”, generando così risposte meccaniche,
“comportamenti automatici che evitano la paralisi al prezzo della qualità
decisionale. A costituire un rischio per il pensiero critico, e dunque per la
qua- lità etica ed epistemica del discorso pubblico, sarebbe, secondo Forti:
«il manifestarsi in tale contesto di voci che si distaccano — solo perché
rumorose, violente, sorprendenti — dal magma confuso dell’over- crowding
informativo, riuscendo così a incanalare tunnel visions di schiere di followers
a conseguire quella che potremmo definire una ve- ste “istituzionalizzata
mediaticamente” L’aspettativa di poter trar- re da tali voci “salienti”
rassicuranti semplificazioni del complesso e angosciante overcrowding
informativo che ci stringe, sarà potenziata laddove esse si sostengano su una
violenza espressiva che sembri ap- pagare altresì, sia pure con un sortilegio
illusorio, quella nostalgia di fisicità e corporeità che l’immersione
quotidiana nei mondi virtuali e artificiali non può che acutizzare. Come emerge
da tali considerazioni, le cause dell’alterazione della dialettica pubblica e
la conseguente canalizzazione della violenza e dell’aggressività verbale
sembrano doversi ricondurre a una stratifi- cazione di fattori, non a un
univoco atteggiamento emotivo. Dissensi ed estremismo A nostro avviso si può
inquadrare un secondo ambito di problemi legati alle matrici generative dei
dissensi, riguardante più da vicino i microcosmi soggettivi e concernente
l’analisi dei fattori psico-sociali che possono portare un individuo ad aderire
in modo più o meno marcato, se non addirittura ‘estremo’ a certe idee e a
convinzioni fino a porsi in radicale conflittualità con opinioni concorrenti e
con i sog- getti che vi aderiscono. Perché anche soggetti ragionevoli sono
spesso protagonisti di con- trapposizioni radicali? A un primo livello,
relativo a uno stadio che potremmo definire ‘fi- siologico’ del dissenso, una
buona chiave di lettura ci sembra quella proposta di recente da Jonathan Haidt,
il quale rimarca come l’ade- sione a ideologie e credenze sia frutto di scelte
basate su matrici pret- 33 FORTI, Le tinte forti del dissenso. FORTI, Le tinte
forti del dissenso. Tra sentimenti ed eguale rispetto tamente emotive: gli
individui decidono quali idee appoggiare sulla base di emozioni che sono
modellate dall’appartenenza gruppale, e tendono a elaborare narrazioni e
adattamenti per riuscire a trovarsi in sintonia, inconsciamente e
intuitivamente, con le proprie idee, svi- luppando dunque una tendenza a
ricercare conferme alle proprie opinioni la quale rischia di tramutarsi in una
cieca ottusità verso ra- gioni concorrenti. La morale unisce e acceca: ci
unisce in schie- ramenti ideologici che si danno battaglia come se il destino
del mon- do dipendesse dalla vittoria della nostra squadra. Ci acceca rispetto
al fatto che ogni schieramento è composto da brave persone che hanno qualcosa
di importante da dire» 35. Lo studio di Haidt si attesta su un piano
prettamente descrittivo: esplica le ragioni per le quali le persone tendono a
dividersi su argo- menti importanti come la politica e la religione, ma non
fornisce proposte per limitare i dissidi, affermando, con disincanto, che la
no- stra parte intuitiva è alquanto difficile da dominare. Il fatto che gli
esseri umani siano portati ad allinearsi in schiera- menti che si identificano
nei valori del gruppo di appartenenza, svi- luppando una conflittualità su base
gruppale, contribuisce a fornire delle spiegazioni, corroborate da evidenze
sperimentali, sul ruolo dominante giocato dalla componente emotiva piuttosto
che da un’as- serita dimensione ‘razionale’. Se bene intendiamo la posizione di
Haidt, riteniamo si possano instaurare virtuose connessioni con i percorsi di
crescita emotiva che Martha Nussbaum individua quale impegno per uno Stato
liberale: per quanto i disaccordi possano essere forti, Haidt invita a non
radi- calizzare le alternative in senso manicheo ma a leggerle come ricadu- ta
di un’emozionalità istintuale che può essere educata a un maggio- re rispetto
delle ragioni altrui37, in una prospettiva dunque che sa- HAIDT, Menti tribali.
Si veda anche FROMM, Marx e Freud, tr. it., Milano: «l’individuo deve chiudere
gli occhi e non vedere quello che il suo gruppo dichiara inesistente, o deve
accettare come vero ciò che la maggio- ranza considera tale, anche se gli occhi
lo convincessero che ciò è falso. Il gruppo è di importanza così vitale per
l’individuo che per lui le opinioni, le convinzioni e i sentimenti del gruppo
costituiscono la realtà, una realtà più valida di quella che gli trasmettono i
sensi e la ragione. La metafora utilizzata da Haidt è quella dell’elefante e
del suo portatore. Sinteticamente, l’elefante rappresenta la parte emotiva
dell’uomo, il portatore il pen- siero riflessivo, v. HAIDT, Felicità:
un’ipotesi; ID., Menti tribali. Noi tutti siamo risucchiati in comunità morali
tribali. Gravitiamo attorno a valori sacri e condividiamo argomentazioni post
hoc sul perché noi abbiamo ra- Dilemmi remmo portati a ricollegare
alla ‘cura dei sentimenti’. Eccoci però giunti a un ulteriore profilo
problematico: il tipo di conflittualità che oggi desta maggiore preoccupazione
si manifesta attraverso cadenze espressive, e anche attraverso condotte, che
rive- lano un attaccamento a ideali e a credenze in forme tendenti all’esclusione
di ogni tipo di confronto e all’annullamento della posizione contrapposta. Si
tratta di un fenomeno definito come ‘pensiero estremo’, nel quale l’individuo
moderno rischia di scivolare anche a causa di una destabilizzazione
soggettivamente avvertita di fronte al pluralismo etico e informativo, e dalla
quale cerca rifugio e rassicurazione affidandosi a morali e visioni del mondo
autoritarie. Prendiamo a riferimento uno studio del sociologo francese Gèrald
Bronner, il quale identifica quali caratteristiche di fondo del pen- siero
estremo la debole trans-soggettività e l’attitudine sociopatica39 delle idee.
Alla base della concezione di Bronner vi è la convinzione, ampia- mente
argomentata nel corso dell’opera, che le derive estremiste del pensiero, spesso
legate anche a tragici esiti sul piano delle condotte, non siano affatto da
considerarsi come frutto di anomalie sul piano psichico, ma al contrario
possiedano una solida, inquietante raziona- lità. Partendo dalla consapevolezza
che nelle considerazioni e nelle azioni di un estremista vi è una logica, si
possono indagare le matrici di determinate forme di pensiero. È importante
notare come una fra le diverse modalità di adesione a forme di pensiero estremo
sia strettamente legata al contesto de- mocratico: col concetto di adesione
‘per frustrazione’ si indica il rifu- giarsi di un soggetto in una convinzione
fanatica volta a compensare l’insoddisfazione dovuta al non possedere o
possedere meno di ciò che ritiene di meritare. Bronner afferma che la democrazia,
a causa all’essenza competiti- gione e gli altri torto. Pensiamo che nell’altro
schieramento siano tutti ciechi alla verità, alla ragione, alla scienza e al
buonsenso, ma in effetti siamo tutti ciechi quando parliamo di ciò che è sacro.
E se davvero volete aprire la vostra men- te, prima di tutto aprite il vostro
cuore, v. HAIDT, Menti tribali, BRONNER, Il pensiero estremo. Come si diventa
fanatici, tr. it., Bologna. La trans-soggettività di un’idea sta a indicare la
capacità di essere accolta da altre persone a parità di condizioni; la
sociopatia viene definita come una carica agonistica intrinseca che implica
l’impossibilità per alcuni individui di vivere insieme ad altri, e per un’idea,
di poter coesistere con altre idee, v. BRONNER, Il pensiero estremo. Tra
sentimenti ed eguale rispetto va che stimola e delle aspettative che non può
compiutamente soddi- sfare, possa in un certo senso favorire la proliferazione
e l’adesione a ideologie estremiste le quali si proiettano in un rapporto di
competizione ad excludendum con il restante mercato delle idee, stimolando
forme di particolare aggressività e di disprezzo nei confronti degli in-
terlocutori: «la frustrazione e il desiderio di affermazione costitui- scono un
mix esplosivo in un sistema in cui troppi si sentono eleggibili benché il
numero degli eletti non aumenti, dobbiamo aspet- tarci di osservare le
conseguenze negative che l’amarezza condivisa non mancherà di produrre. Tirando
le fila del discorso, questo breve excursus a metà fra psicologia sociale e
sociologia vorrebbe provare a offrire un quadro me- no astratto e disincarnato
del mondo umano con cui il diritto penale si trova a fare i conti, al fine di
contestualizzare i conflitti legati ad appartenenze significative, e dunque ad
alto grado di pregnanza emotiva, sia in relazione all’ambiente di diffusione
delle idee, sia al sub- strato personologico dei dissidi 41. Sarebbe infatti
ingenuo e irenistico costruire un discorso soltanto su principi, levando gli
occhi al cielo senza cercare di assumere reali- sticamente consapevolezza dei
mondi sociali che si pongono alla base dei fenomeni. Diversamente, si rischia
di cadere nel rischio paventato da Benci- venga, quando afferma che in
discussioni su temi del genere, è abba- stanza comune prendere posizioni nette,
a incrollabile sostegno di de- terminate regole», mostrando dunque un’aderenza
quasi dogmatica a principi, nella convinzione, o nella speranza, che portare
avanti una battaglia in nome di valori giusti conduca a decisioni anch’esse
giuste. L’esperienza storica mostra come tale aspettativa possa rivelarsi
fallace, non a causa del travisamento etico di regole che riteniamo BRONNER, Il pensiero estremo. Utilizziamo il
termine ‘dissidio’ nell’accezione proposta da CERETTI-GARLATI, Presentazione, cur.
Ceretti-Garlati, Laicità e stato di diritto, i quali citano in senso adesivo la
teorizzazione di Lyotard: dissidio come conflitto fra interessi contrastanti e
orientati a sistemi di riferimento non condivi- si, in totale asimmetricità.
Col concetto di mondo sociale vogliamo evidenziare ulteriormente come le
dinamiche dei conflitti vadano interpretate prendendo in debita considerazione
il concetto di gruppo e l’importanza che esso riveste nella sfera affettiva e
decisio- nale del singolo; per una sintesi, v. STRAUSS, Il concetto di mondo
sociale, tr. it., a cura di Toscano, Milano, BENCIVENGA, Prendiamola con
filosofia. Dilemmi abbiano autorità su di noi, bensì poiché l’esistenza di un
conflitto fra regole entrambe ‘giuste’ porta comunque a violarne una, la quale
avrebbe potuto (forse) indurre esiti differenti sul piano fattuale. Non potendo
però sapere quale sia all’interno di un dilemma etico l’al- ternativa migliore,
bisogna realisticamente accettare che qualsiasi scelta ci pone di fronte a
responsabilità: «l’aderenza a un principio non ci assolve; la nostra anima
dovrà portare il carico della scelta che abbiamo fatto. In altri termini, quale
esercizio di onestà intellettuale appare preferibile immergere i principi nel
contatto con la realtà, non perché in questo modo si possa risolvere un
dilemma, ma quantomeno perché così facen- do si può avere una migliore
percezione delle contingenze, sostituendo l’ambizione a cristallizzare una
scelta con un più umile discorso che as- suma a propria bussola le categorie
della necessità e della opportunità: è per le strade tortuose, e spesso fra i
detriti e le macerie, della vita quotidiana che le leggi universali vanno
applicate, con tutta l’incertezza che compete a tali applicazioni; e non
dobbiamo dimenticarlo. Quale ruolo per il diritto penale? Il ‘tormentato’
pensiero della dottrina penalistica Il monito responsabilizzante formulato da
Ermanno Bencivenga induce una comprensibile prudenza, e la complessità del
dilemma di fondo si manifesta in modo evidente anche nel discorso penalistico,
dove le riflessioni recenti sul tema dei rapporti fra libertà di espressione e
reciproco rispetto sono confluite in prese di posizione in bili- co fra il
recondito ottimismo in uno spazio comunicativo senza limi- ti, e la sofferta
apertura verso la possibilità di risposte penali. Un atteggiamento
profondamente combattuto, potremmo dire ‘tor- mentato’, di fronte a scelte che
comporterebbero in ogni caso il sacrificio di principi fondamentali; lo ha ben
sottolineato Alessandro Te- sauro quando, in tema di limiti alla propaganda
razzista, ha parlato di un ‘Io diviso’, in senso psicanalitico, tra impegno
antirazzista e passione liberal per la libertà di espressione BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. TESAURO,
Riflessioni in tema di dignità umana. Tra sentimenti ed eguale rispetto
Nell’orizzonte penalistico prevale una linea di forte cautela, spesso con
posizioni ‘ibride’: anche le opere che hanno approfondito con maggiore dovizia
obiezioni demolitorie rispetto a eventuali incrimina- zioni, sembrano escludere
un atteggiamento di completa chiusura Nel complesso sembra essersi affievolita
la tendenza a voler elabo- rare modelli interpretativi orientati alla ricerca
di conclusioni assio- maticamente deducibili dal diritto positivo, sia con
riferimento a norme ordinarie che al testo costituzionale. Rispetto al
mainstream tradizionale, nel quale l’emancipazione dall’AUTORITARISMO del CODICE
FASCISTA puo ragionevolmente identificarsi come rinascita in senso liberale,
l’approccio odierno si scontra con la complessità delle diverse declinazioni
del liberalismo contemporaneo, ragion per cui è av- vertita l’esigenza di non
scivolare in un uso dei principi liberali emotivamente appagante ma proprio per
questo ad alto contenuto retorico. L’esito ‘scontatamente liberale’48 del
dibattito, coincidente con l’assoluto diniego a ogni forma di responsabilità
per l’uso della libertà di manifestazione del pensiero, è oggi una risposta che
rischia di ar- chiviare troppo prematuramente le questioni. Al fine di
‘guardare in faccia’ i problemi, autorevoli voci della dot- trina penalistica
hanno sollevato interrogativi in una chiave meno convenzionale: ad esempio
riorientando l’attenzione sugli effetti ne- Ci sembra interpretabile in questo
senso lo studio di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., e
soprattutto il contributo di VISCONTI C., Aspetti pena- listici, cit. Anche il
lavoro di SPENA, La parola (-) odio, riconosce che il diritto alla libertà di espressione
nel caso del discorso d’odio è comunque più de- bole e più bilanciabile con
interessi confliggenti; cfr. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà
religiosa. Più netta la chiusura di Autori come CAVALIERE, La discussione
intorno alla punibilità del negazionismo; FRONZA, Criminalizzazione del
dissenso. Più univoche sono invece le aperture di PULITANÒ, Di fronte al
negazionismo e al discorso d’odio; FORTI, Le tinte forti del dissenso. La
dottrina penalistica manifesta con sostanziale univocità, anche se con
diversità di accenti, la contrarietà a restrizioni penalistiche alla libertà di
espressione, quale reazione all’auto- ritarismo delle fattispecie del codice
Rocco, v. la sintesi di VISCONTI C., Aspetti penalistici. Nell’ambito
costituzionalistico sembra prevalere una linea di contrarietà a
regolamentazioni del discorso pubblico, sia con riferimento allo hate speech,
sia al negazionismo, v. ex plurimis, CARUSO, La libertà di espressione in
azione; ID., L’hate speech a Strasburgo: il pluralismo militante del sistema
convenzionale, in Quaderni costituzionali; PUGIOT- TO, Le parole sono pietre?;
PARISI, Il negazionismo dell’Olocausto e la sconfitta del diritto penale, in
Quaderni costituzionali; in tema di hate speech una posizione di non chiusura
ai divieti è quella di SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione.
FORTI, Le tinte forti del dissenso. Dilemmi gativi di un’assoluta
deregolamentazione del discorso pubblico (par- lando di dilagante, confuso
‘overcrowding informativo), o facendo ricorso a distopie immaginative fondate
sulla possibilità che deter- minati atteggiamenti di pensiero possano
effettivamente acquisire consenso 50. Per quanto i profili di disvalore che si
accompagnano alle condot- te comunicative possano apparire sfuggenti rispetto
alle esigenze di concretezza e di verificabilità empirica richieste dal diritto
penale, in sede di speculazione teorica il giurista ha il compito di dar conto
di una complessità di fondo, anche prendendo laicamente atto che ci si trova di
fronte a «grandezze valoriali difficilmente contenibili nei no- stri beni
giuridici» 51. Coglie nel segno, a nostro avviso, chi ha definito la questione
dei limiti penali alla libertà di espressione come ‘sfida o scommessa’ 52,
evidenziando la prospettiva del tutto aleatoria che si lega sia alle concezioni
libertarie sia a quelle regolazioniste. L’incertezza empi- rico-cognitiva sugli
effetti pericolosi o dannosi di determinati con- tenuti espressivi53 si
accompagna al fatto che non è dato sapere quali conseguenze possano scaturire
nel breve e nel lungo periodo da un’assoluta deregolamentazione del discorso
pubblico; e ove si voglia propendere per un intervento del diritto penale resta
da chie- dersi quali possano essere i metodi e gli effetti di un’eventuale cri-
minalizzazione, sia essa solo minacciata, tramite precetti, o anche applicata.
La ragione dell’impasse nella quale ci si trova al cospetto delle suddette
alternative si motiva in primo luogo con il fatto che il richiamo al diritto
penale è, plausibilmente, percepito come minaccia di sanzione e, in
particolare, di una sanzione che si identifica con la pena detentiva. Ma
proprio in merito a tale ultimo profilo, ossia alla prospettiva lato sensu
‘sanzionatoria’, la dottrina penalistica più aperturista – che non esclude
radicalmente l’eventualità di interventi penali in materia di libertà di
espressione – si fa portatrice di un dif- ferente modo di intendere, in
prospettiva futura, le dinamiche dello 49 FORTI, Le tinte forti del dissenso. PULITANÒ,
Cura della verità e diritto penale, in AA.VV., a cura di Forti- Varraso-Caputo,
«Verità» del precetto e della sanzione penale. FORTI, Le tinte forti del
dissenso.VISCONTI C., Aspetti penalistici. Per tutti, TESAURO, Riflessioni in
tema di dignità umana. Tra sentimenti ed eguale rispetto strumento penale. Sono
emerse riflessioni volte a non limitare lo sguardo all’angusto orizzonte della
pena, proiettate verso nuovi itine- rari, financo eclettiche ed ‘eterodosse’
rispetto al tradizionale reperto- rio concettuale penalistico. Ci riferiamo in
particolare a interessanti proposte formulate in relazione ad ambiti specifici
(sentimento religioso, negazionismo), il cui filo conduttore, pur con i dovuti
distinguo, appare potersi individuare in una rivalutazione dell’efficacia ‘virtuosamente
simbolica’ del precetto penale. Precetti pedagogici? Con riferimento alla
tutela del sentimento religioso si è avanzata la proposta di una protezione
giuridico-penale «costruita prevalen- temente (se non esclusivamente) attorno
alla capacità di orien- tamento culturale svolta dai precetti, mettendo
finalmente da parte la forza inutile ed espressiva delle pene in senso stretto»
per addivenire a un sistema di tutela «più mite e ‘relativo’ in quanto radicato
sugli spazi di confronto dischiusi dal precetto penale che sancisce, ma non
punisce. In altri termini, uno strumento normativo che agisca al di fuori
dell’ottica retributiva e di deterrenza, seguendo le coordinate della
prevenzione generale cosiddetta ‘positiva’, ossia quella funzione della pena
tesa a rinsaldare e a confermare valori già acquisiti e (più o me- no) radicati
nei processi di socializzazione dell’individuo, tema ampiamente dibattuto nella
dottrina italiana e non affrontabile nell’eco- nomia del presente lavoro. Al
precetto viene in questo senso assegnata una funzione centrale, sulla base del
presupposto che la prevenzione di forme di offesa lega- te al sentire religioso
debba consistere in un rispetto volontario e spontaneo. Dal piano dei semplici
propositi si passa a una teorizza- 54 MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa
e scelte di criminalizzazione. Riflessioni de iure condendo sulla
percorribilità di una politica mite e democratica, in AA.VV., a cura di De
Francesco-Piemontese-Venafro, Religione e religioni. Per tutti, PULITANÒ,
Diritto penale; PALAZZO, Corso di diritto penale, Torino; FORTI, L’immane
concretezza. Per una sintesi si rinvia a DE FRANCESCO, La prevenzione generale
tra normativi- tà ed empiria, in AA.VV., Scritti in onore di Alfonso M. Stile,
Napoli. Dilemmi 229 zione più dettagliata ipotizzando una norma che faccia
coincidere la sanzione con una formale declaratoria del contenuto del precetto:
il giudice sarebbe chiamato, ove l’agente si rifiuti di riparare le conse-
guenze del reato attraverso percorsi di mediazione con la persona of- fesa, a
«enunciare il disvalore del fatto colpevole nel dispositivo della sentenza,
dandone conto nella motivazione», e ordinandone even- tualmente la
pubblicazione nei casi più gravi. La prospettiva appena descritta sembra fondarsi
su una connes- sione tra proposta dialogica e stigma penale58, finalizzata a
una re- sponsabilizzazione dell’autore in assenza di rimedi prettamente coer-
citivi, cercando di salvaguardare il pluralismo delle parti dalla violen- za di
provvedimenti autoritativi, e delegando alla forza del precetto la funzione
espressiva di un richiamo responsabilizzante 59. Si inscrive in una traiettoria
similare uno studio dedicato al tema del negazionismo, il quale si distingue
nel mainstream penalistico per una esplicita apertura alla criminalizzazione di
condotte che neghino l’Olocausto. Rileviamo come anche in questo caso le
conclusioni di non contrarietà a interventi penali siano correlate alla
proposta di una tipologia di intervento che non si inquadra nella canonica
diade ‘pena detentiva-pena pecuniaria’, ma che cerca di elaborare soluzioni che
valorizzino il dato simbolico del precetto, veicolato dalla portata
dichiarativa della vicenda processuale e dall’eventuale, conseguente,
provvedimento del giudice. Con le parole dell’Autore: «Si tratterebbe, già
nella comminatoria edittale, di pensare a qualcosa di diverso dalla classica
“caditoia” verso la reclusione. Per quanto la proposta possa spiazzare, e
determinare un ripensamento del catalogo delle pene principali, il calibro
della reclusione andrebbe accompa- gnato con l’immediata conversione in una
pena di sostanza espressiva e reputazionale. Perché non approfondire, ad
esempio, la soluzio- MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa. Per una
panoramica sul tema v. AA.VV., a cura di Mannozzi-Lodigiani, Giu- stizia
riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna. L’ipotesi della
mediazione come ‘risposta istituzionalizzata’, ossia elemento necessario di un
percorso processuale di responsabilizzazione, è oggetto di dibattito in dottri-
na; in merito a tale soluzione appare scettico PULITANÒ, Sulla pena. Fra
teoria, principi e politica, in Riv. it. dir. proc. pen.; di opinione opposta
DONINI, La situazione spirituale della ricerca giuridica penalistica. Profili
di diritto sostanziale, in Cass. pen. Di recente, VISCONTI A., Contenuti
‘informativi’ della sanzione penale e coe- renza del ‘sistema’, cur.
Forti-Varraso-Caputo, Verità del precetto e della sanzione penale. Tra
sentimenti ed eguale rispetto ne della lettura in udienza di un dispositivo
munito di una speciale narrativa, da cui traspaia – con formulazioni più estese
ed efficaci del- l’ordinario – la disapprovazione dell’ordinamento
all’indirizzo del- l’autore delle espressioni negazioniste, al quale ricollegare,
ove possi- bile, una sanzione accessoria di natura inibitoria/interdittiva e la
pub- blicazione della sentenza di condanna? Una pena/giudizio, dal caratte- re
accentuatamente didascalico e “simbolico” per rispondere al “dia- bolico” del
negare, volta a rendere il dispositivo una sorta di sanzione veritativa che
renda giustizia, oltre all’esistenza delle camere a gas e dei forni crematori,
all’esperienza della discriminazione e al senso di umanità. In tal modo, al
contro-logos dell’annientamento, agito dai negazionisti, verrebbe opposto, con
la solennità delle forme del pro- cesso penale, un potere di nominazione che,
sancendo il limite, il confine tra libertà di espressione e abuso della
possibilità di offendere, impedisce che l’ultima parola sia di menzogna» 60.
Anche in questo caso sullo sfondo delle argomentazioni si pone un modo di
pensare al potenziale simbolico del precetto come risorsa positiva che può
contribuire a una responsabilizzazione non tramite il consueto binario
repressivo, ma impegnandosi a contrastare de- terminate forme di discorso
pubblico sul terreno comunicativo, senza cadere in eccessi punitivi che si
esporrebbero a obiezioni sul piano della proporzionalità. Per quanto si tratti
di posizioni che in definitiva avallano la pro- spettiva di interventi penali
quale forma di contrasto alla diffusione di determinati contenuti di pensiero,
collocarle sotto il segno di un trend repressivo sarebbe a nostro avviso
un’approssimazione che non rende giustizia alla profondità delle opinioni espresse.
La sanzione, CAPUTO, La Menzogna di Auschwitz. Netta è la presa di distanza di
DI MARTINO, Assassini della memoria: strategie argomentative in tema di
rilevanza penale del negazionismo, cur. Cocco, Per un manifesto del
neoilluminismo penale, Padova, il quale definisce Meno convincente, anzi
deleteria la sanzione accessoria della pubblicazione della sentenza: essa
finirebbe con l’offrire ancora l’arena che i negazionisti desiderano,
trasmettere l’idea del martirio, risultare paradossalmente co-funzionale
all’offesa: conse- guenze, queste, suscettibili di controbilanciare
pesantemente il perseguito effetto di stigmatizzazione. Ben vengano, dunque,
caveat e ammonimenti sui pericoli di strumentaliz- zazione dei singoli per
bisogni di utilità sociale, purché non si finisca per disco- noscere, tra i
caratteri della norma penale, il connotato di profonda stigmatizzazione di un
fatto, di affilato giudizio etico-sociale, e un’attitudine a sollecitare, più
di ogni altra norma, l’attenzione diffusa per i valori tutelati e la
conseguente di- sapprovazione sociale per l’offesa che li riguardi», v. CAPUTO,
La ‘Menzogna di Auschwitz. Dilemmi pur restando contrassegno formale della
norma penale, viene rivesti- ta con fogge che ne mutano la natura prettamente
afflittiva per dare luogo a forme narrativo-pedagogiche tese a potenziare la
dimensio- ne contenutistica e comunicativa del precetto. Non si può a nostro
avviso parlare di una vera e propria opzione a favore della soluzione
penalistica dei conflitti, quantomeno ove si in- tenda il diritto penale nel
senso tradizionalmente sanzionocentrico. In realtà, le suddette proposte ci
sembrano da inscrivere all’interno di un più complesso movimento di pensiero,
quale ricerca di percorsi che diano pratica attuazione a quella che per ora
sembra ancora rimanere solo una massima elaborata dalla dottrina, ossia che la
ragione del penale non è, solo, l’inflizione della pena: «sul piano delle
norme, la ragione del penale è l’osservanza dei precetti, Quale corollario alle
riflessioni sul ruolo pedagogico dei precetti, riteniamo importante dar conto
di uno studio che il giurista statuni- tense Fredrick Schauer ha dedicato al
tema della forza del diritto, e in particolare al legame fra diritto e forza:
si tratta di un indissolubile nesso di implicazione reciproca o è immaginabile
un diritto senza coercizione? L’interrogativo porta in luce una questione
fondamentale anche (soprattutto) per il giurista penale. Va detto
anticipatamente che lo studio di Schauer non giunge a esiti ‘sconvolgenti’, in
quanto la con- clusione non è nel segno di una superfluità del momento
coercitivo; individua però importanti argomenti a confutazione del fatto che la
coercizione e le sanzioni debbano essere al centro dell’idea di diritto.
Bisogna distinguere due profili: il primo di tipo concettuale, il secondo di
tipo empirico. Dal punto di vista concettuale, Schauer sostiene che l’esistenza
dell’obbligo giuridico sia logicamente distinta dalla sanzione, e l’in-
teriorizzazione di un obbligo non accompagnato da sanzione sia possibile. Se
però ci si sposta sul piano dei riscontri empirici e ci si chiede se la gente
obbedisca, o sarebbe disposta a obbedire, a un di- [Per una critica
all’atteggiamento sanzionocentrico, che cioè assume la pena come principale e
ineluttabile dimensione di senso cui orientare la attività di elaborazione
concettuale», e la controproposta di prediligere una riflessione guidata dalla
precomprensione che la pena non è lo scontato punto di partenza e di arrivo, ma
è e non può non essere il problema (iniziale e finale) che pone le domande
fondamentali, v. FIANDACA, Rocco: è plausibile una de-specializza- zione della
scienza penalistica?, in Criminalia, PULITANÒ, Sulla pena. Fra teoria, principi
e politica. SCHAUER, La forza del diritto, tr. it., Milano-Udine. Tra
sentimenti ed eguale rispetto ritto privo di sanzioni il problema diviene più
articolato; vi sono studi di psicologia sociale che affermano che, in assenza
di sanzioni, il li- vello di obbedienza alle leggi con cui le persone
dissentono è alquanto basso. Ora, se da un lato ciò conferma che un apparato
coercitivo resta importante per assicurare effettività al diritto, Schauer
invita però a considerare che una statuizione giuridica dispiega comunque
effetti, anche quando il diritto si trovi a fare da ‘apripista’ culturale:
«Sarebbe ingenuo credere, senza una prova evidente, che una semplice modifica
legislativa possa ottenere un alto livello di obbedienza senza il supporto
della coercizione e di sanzioni di vario genere. Ma le dinamiche psicologiche e
sociologiche sono complesse. La semplice approvazione di un divieto giuridico,
solo perché enunciato dal dirit- to, può indurre sia un cambiamento di
attitudine che di comportamento. L’Autore prosegue osservando che tale
cambiamento sarà più fa- cilmente verificabile in relazione ad argomenti su cui
i cittadini non hanno un’opinione consolidata piuttosto che su temi oggetto di
divi- sione; nondimeno, anche in assenza di vere e proprie sanzioni il diritto
può avere il potere di modificare comportamenti sociali. Senza addentrarci
ulteriormente nel denso scritto di Schauer, ci sembra che tali osservazioni
rappresentino un input sufficiente per guardare al diritto, e in particolare al
diritto penale, anche come strumento che tramite i precetti, piuttosto che con
le sanzioni, può contribuire a veicolare un messaggio di forte disapprovazione.
Diritto penale ‘simbolico’? È innegabile che si avverta più di una remora ad
avallare questa discussa formula; il termine ‘simbolico’ associato al penale
suscita una condivisibile diffidenza, ma non si può negare che l’aspetto
simbolico, che pure è terreno di pericolose (o inutili) deformazioni del
sistema penale, è un aspetto non trascurabi- le per una efficace comunicazione
politica, anche a livello legislativo. SCHAUER, La forza del diritto. SCHAUER,
La forza del diritto; sul tema, più diffusamente, v. MCA- DAMS, The Expressive
Powers of Law. Theories and Limits, Harvard.Per la precisazione del concetto v.
SCHAUER, La forza del diritto. SCHAUER, La forza del diritto. PULITANÒ, La
cultura giuridica e la fabbrica delle leggi, penalecontemporaneo.it; in termini
adesivi a tale posizione v. FORTI, Le tinte forti Dilemmi Ebbene,
il disagio connesso all’opzione sanzionatorio-detentiva quale eventuale
risposta penale in tema di libertà di espressione, induce a chiedersi se la
dimensione simbolica possa assurgere anche al rango di ‘funzione primaria’,
tramite norme costruite in modo da relegare la restrizione di libertà a
semplice minaccia disinnescabile in virtù di percorsi alternativi per il reo,
o, in termini più radicali, tra- mite un aggiornamento del catalogo delle pene
principali che introduca nuove forme di stigmatizzazione dotate di una
specifica efficacia sul piano comunicativo, come ipotizzato dai contributi
preceden- temente menzionati. Si tratta, com’è evidente, di percorsi innovativi
la cui complessità esigerebbe un’analisi distinta rispetto ai nuclei tematici
del presente lavoro. Riteniamo però che non sia irrealistico pensare al
giudizio pena- le anche quale luogo di confronto e rettifica in un contesto di
dialettica sorvegliata, funzionale a far emergere e a dichiarare i profili di
disvalore di determinate espressioni attraverso la sottolineatura in sede
pubblica del carattere intrinsecamente fallace o della grossolana offensività
dell’eguale rispetto, magari avvalendosi del contribu- to di esperti che ne
analizzino la portata sul piano sociologico e psicologico. Siamo al confine
estremo della legittimità dell’intervento penale: problemi di eccezionale
delimitazione di una libertà che in linea di principio è anche di libertà di
ferire, e che per questo suo potere può tuttavia rendere opportuna una
responsabilizzazione, la quale non do- vrebbe tracimare in censura autoritaria,
bensì dovrebbe essere finalizzata a un’eventuale declaratoria di responsabilità
concepita come del dissenso. Sembra essersi affievolita l’ostilità della
dottrina per la funzione simbolica, rivalutando in tal senso proprio quella
‘finalizzazione enun- ciativa’ che era stata fortemente stigmatizzata in sede
di prima lettura della nor- mativa sulla repressione penale delle condotte di
discriminazione, v. STORTONI, Le nuove norme contro l’intolleranza: legge o
proclama?, in Critica del diritto. Sul tema dell’uso simbolico del diritto penale,
v. per tutti, nella letteratura italiana, v. BONINI, Quali spazi per una
funzione simbolica del diritto penale?, in Indice penale. Abel ha parlato di
‘trattamento informale delle dispute’ per indicare il modo in cui la comunità
dovrebbe reagire ai danni della parola, in un procedimento che sembra voler
evitare il ricorso al potere coercitivo ma che appare nondimeno fondato su una
proceduta normativizzata: si parla di una ‘conversazione istituzionalizzata’ ma
informale fra vittima e offensore, nel quale quest’ultimo deve «riconoscere la
norma, ammetterne la violazione ed accettarne la responsabilità, nella
convinzione che un simile scambio sociale di rispetto possa neutra- lizzare
l’insulto, ABEL, La parola e il rispetto. Tra sentimenti ed eguale rispetto
confutazione delle espressioni proferite dal reo, cercando dunque di
disinnescarne il potenziale offensivo sul piano dei contenuti. Di primo acchito
tale prospettiva potrebbe apparire come una sor- ta di ‘tribunale delle
opinioni’, esposto al rischio di torsioni illiberali; tale obiezione, è però
ben applicabile anche all’attuale situazione ordinamentale. Di fatto il
sindacato su forme di espressione è presente anche oggi: un giudizio su
opinioni il quale risulta prevalentemente affidato alla sensibilità culturale
del giudicante, senza potersi sottrar- re alle relative precomprensioni. Si
tratta di un procedimento molto delicato poiché, come osserva Judith Butler,
l’uso che lo Stato, attraverso il potere delle sentenza, fa del linguaggio
offensivo e discriminatorio dà luogo a una ripetizione dello stesso,
contribuendo, pur con finalità differenti, a una sua reiterazione. Nondimeno: [Prendiamo
atto della critica formulata da DI MARTINO, Assassini della memoria: «l’idea
della pena-giudizio in quanto tale è intrinsecamente pro- blematica. La
paternale didascalica finisce con l’essere risibile di fronte ai delin- quenti
per convinzione ed ai fanatici; ed è una ipocrita autoassoluzione
dell’ordinamento per le omissioni od i fallimenti delle sue agenzie educative,
di fronte ai miserandi frustrati, reietti e falliti». La sfiducia verso una
prospettiva rieducativa può essere anche condivisa, ma, più radicalmente, va
osservato che l’eventuale approntamento di sanzioni di tipo
‘espressivo-pedagogico’ non dovrebbe essere letto in una prospettiva di
prevenzione speciale, bensì quale strumento di preven- zione generale positiva;
la ‘risibilità’, che assumiamo come impossibilità fattuale di indurre un
cambiamento di opinione, è un aspetto comunque secondario poiché l’obiettivo
del diritto, nel rispetto della libertà morale della persona anche quando
delinquente per convinzione o fanatico, non è indurre un cambiamento di
opinione coattivo nel reo. Non condividiamo però l’afflato rinunciatario il
qua- le rischia di condurre a un vero e proprio vicolo cieco, e significherebbe
consentire che davvero l’ultima parola sia di menzogna, o di insulto, o di
umiliazione. Pur essendo sostenitori di uno spazio comunicativo libero e
aperto, facciamo fatica a immaginare il diritto spettatore del tutto inerte di
fronte al potere performativo delle parole, soprattutto in tempi in cui
l’indominabilità delle capacità di diffu- sione dei messaggi dovrebbe rendere
più accorti nel formulare prognosi di perico- losità. Un terreno comunque
scivoloso e che necessita di attente riflessioni, senza nutrire eccessiva
fiducia nello strumento normativo, ma anche senza restare avvinti in un
disincanto rinunciatario che amplificherebbe le asserite mancanze del- le
agenzie educative primarie. Si osserva provocatoriamente che «è la decisione
dello Stato, l’enunciazione ratificata dallo Stato, che produce (produce ma non
causa) l’atto dello hate speech, v. BUTLER, Parole che provocano. Per una
politica del performativo, tr. it., Milano. L’atto di produzione a cui si
riferisce la BUTLER riguarda il fatto che prima che una sentenza definisca come
hate speech delle semplici paro- le, queste non erano hate speech; più che una
vera e propria produzione sembra potersi intendere come effetto del potere di
nominazione. La stessa BUTLER specifica successivamente che le parole che lo
Stato adopera per emettere una sen- [Dilemmi «Nessuno ha mai elaborato
un’ingiuria senza ripeterla: la sua reitera- zione rappresenta sia la
continuazione del trauma sia ciò che segna una presa di distanza all’interno
della struttura stessa del trauma, la sua possibilità costitutiva di essere
qualcosa di diverso. Non c’è possibilità di non ripetere. La sola questione che
rimane aperta è: come av- verrà quella ripetizione, in quale sede – giuridica o
non giuridica – e con quale dolore e quali speranze? Una questione aperta e
complessa, la quale carica di responsabilità il momento giudiziario e la
produzione narrativa del giudice. Dovendo fare i conti con la reimmissione in
circolo di parole offensive, ritenia- mo che sarebbe opportuno riflettere su
forme di ritualità che possano dare un valido supporto epistemico all’autorità
giudiziale, contribuen- do a dare la giusta rilevanza e il necessario
approfondimento all’erme- neutica del fatto, con l’auspicio di trasformare il
processo in un mo- mento anche educativo e di apprendimento. Da penalisti, e
dunque da studiosi delle possibilità negative del- l’umano, ci sembra doveroso
interrogarci sul ruolo che lo strumento penale potrebbe eventualmente assumere
in una prospettiva di cura degli equilibri di rispetto, cercando di
privilegiare non la dimensione interdittiva e censoria ma facendo leva sulle
potenzialità di quello che, tra le diverse manifestazioni del giuridico,
rappresenta, piaccia o non piaccia, il più formidabile, e terribile, ‘marcatore
etico’. Sinossi Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è prima di
tutto un atto sentito che discende da disposizioni soggettive. Il progetto
normativo definito ‘tutela di sentimenti’ può essere scorporato in due distinte
traiettorie. La prima, definibile come ‘cura dei sentimenti’, è da intendersi
come promozione di atteggiamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al
reciproco rispetto. La seconda, definibile ‘tutela da sentimenti’, può identificarsi
co- tenza sullo hate speech non sono certo la stessa cosa del discorso
pronunciato dai soggetti di cui si sta giudicando la posizione; nondimeno, le
due cose appaiono «indissociabili in maniera specifica e consequenziale»; cfr.
ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 99. 73 BUTLER, Parole che
provocano. Tra sentimenti ed eguale rispetto me strategia politica di contrasto
a spinte emozionali negative, l’odio in primis, ma non solo. Più in generale,
ciò che definiamo come ‘tute- la da sentimenti’ rappresenta un’istanza
funzionale alla messa a tema di profili inerenti la dimensione psico-sociale
delle matrici dei dis- sensi, e dunque all’approfondimento delle concezioni
antropologiche che guidano la riflessione penalistica. Obiettivo di fondo è
addivenire a una visione meno astratta e disincarnata del mondo umano con cui
il diritto penale si trova a fare i conti. Tale atteggiamento di ‘realismo
antropologico’ tende oggi a emergere anche nella dottrina penalistica. Riguardo
il tema dei limiti penalistici alla libertà di espressione e ai problemi
dell’eguale e reciproco rispetto, i penalisti mostrano un atteggiamento meno
‘concettualistico’ rispetto al passato; emergono posizioni di cauta apertura
alla prospettiva di interventi normativi, modellati sul distacco da prospettive
eminentemente sanzionatorie e fondati sulla valorizzazione del simbolismo
positivo del precetto. «[...] la mentalità sociale è in movimento, ciò
che prima si diceva gratis oggi ha un costo etico, ci sono nuove libertà e
nuove dignità e ne conseguono nuo- vi problemi, di pensiero e di linguaggio.
Siamo le parole che usiamo» SERRA M., Amaca, Repubblica Bilanci e prospettive.
Cura dei sentimenti e attenzione alle differenze. Tra offesa alla sensibilità e
discorso discriminatorio: profili problematici e spunti di riformulazione per
la tutela della dignità del creden- te. – 2. La priorità delle libertà,
l’importanza delle regole. Bilanci e prospettive Recuperiamo l’interrogativo di
fondo da cui è partita la presente indagine, ossia se il diritto penale di una
moderna democrazia libera- le possa essere invocato a tutela di sentimenti. La
tentazione di opporre un assoluto, per quanto benintenzionato diniego, appare
destinata a scontrarsi con un maturo senso di realtà. Beninteso, non stiamo in
questo modo cercando di assegnare fretto- lose patenti di legittimità a una
delle più controverse modalità di esplicazione dell’intervento penale, ma
riteniamo che nell’analisi del problema si debba cercare di andare oltre le
etichette retoriche, senza farsi abbagliare né in positivo né in negativo dalla
ambigua parola ‘sentimento’. Il percorso compiuto finora riteniamo abbia
mostrato come un’asserzione netta, sia in termini affermativi sia in termini
negativi, peccherebbe per approssimazione. Sarebbe dunque più opportuno partire
da una più articolata formulazione dell’interrogativo: in rela- zione a quali
fenomeni e in quali accezioni, al di là delle scelte dei le- gislatori storici,
sentimenti ed emozioni possono essere ragionevol- mente evocati quali elementi
costitutivi e/o integrativi nella descrizione dell’oggetto di tutela
penale? 238 Tra sentimenti ed eguale rispetto Le incrostazioni di matrice
collettivistica, che nel contesto italiano hanno ammantato gli interessi
definiti dai legislatori ‘sentimenti’, hanno contribuito ad acutizzare, in modo
giustificato, la diffidenza della dottrina penalistica di stampo liberale. Il
senso di un nuova tematizzazione del sentimento quale problema di tutela deve
essere in primo luogo funzionale a svincolare dalle ‘col- lettivizzazioni
normative’ un fenomeno legato all’interiorità dell’indivi- duo e che invece si
è prestato, con evidente slittamento di significato, a divenire veicolo di
incriminazioni di stampo moralistico-identitario. Riteniamo che debba essere
presa in considerazione, quale ulte- riore sfaccettatura, una dimensione di
significato che valorizzi la proiezione universalistica e, per certi versi
egualitaria, dei fenomeni affettivi: sentimenti ed emozioni come ‘addentellato
fenomenico’ di una dotazione universalmente condivisa dagli esseri umani. In
base a quest’ultima prospettiva, declinare determinate questio- ni di interesse
penalistico, come ad esempio i rapporti fra manifesta- zioni espressive e
sensibilità, anche come problema di sentimenti acutizza i dilemmi, poiché il
sentimento non può esser limitato all’eventuale, problematica, identificazione
con l’interesse di una sola delle parti, col rischio di modulare eventuali,
ipotetici, interventi normativi sulle cadenze di uno sterile rivendicazionismo psicologico
soggettivo. Il risvolto di reciprocità egualitaria assume il significato di una
pretesa ‘responsabilizzante’ nei confronti di tutti individui, quale do-
verosa, e in primo luogo spontanea, autolimitazione: «Se ognuno ha diritto alla
propria narrazione individuale, ugualmente non può, in nome dei propri
sentimenti, dichiararla “intoccabile”, af- fermarla come pretesa di verità
assoluta e non metterla in discussione e confrontarla con quella degli altri»
1. È nella distinzione tra ethos ed etica che si inquadra uno dei fon-
damentali tratti costitutivi del pluralismo: ethos come ordine valoriale
costitutivo del singolo, ed etica come limite che tutti i diversi ethe de- vono
osservare, nel rispetto di «ciò che è dovuto da ciascuno a tutti. Lo stesso
diritto a vivere e fiorire secondo il proprio ethos, che si chiede per sé» 2,
secondo dinamiche di simmetrica reciprocità che uni- scono profili di diversità
fattuale e accenti di doverosità normativa. TURNATURI, Emozioni: maneggiare con
cura, DE MONTICELLI, La questione morale, Osservazioni finali La focalizzazione
sul problema di un eguale e reciproco rispetto porta a emersione la duplice
prospettiva di una tutela di sentimenti intesa come ‘cura’ del sentire
individuale e collettivo, e come forma di contrasto a espressioni tese al
disconoscimento dell’altro. Nell’atto di formulare delle osservazioni finali al
presente lavoro emerge l’esigenza di distinguere fra linee di politica
legislativa di va- lenza generale e spunti più dettagliati che richiedono di essere
circo- scritti a singoli campi di materia. Il problema della tutela di senti-
menti non può essere fatto confluire in un unico prospetto di model- lizzazione
normativa, ma necessita di essere affrontato attraverso percorsi differenti:
solo in rapporto al profilo della ‘cura’ si possono a nostro avviso proporre
delle linee generali, mentre il tema, più stret- tamente penalistico, della
tutela da sentimenti richiede di essere più attentamente contestualizzato. Cura
dei sentimenti e attenzione alle differenze Come abbiamo già specificato, il
rapporto fra ‘cura’ e ‘tutela da’ è di complementarietà, per quanto sia la
‘cura’ a definire la declinazio- ne primaria del problema di tutela. La
dimensione ‘ostativa’, ossia quella della ‘tutela da’, resta una parte residuale
e strumentale al profilo della ‘cura’, finalizzata even- tualmente ed
esclusivamente, al mantenimento di equilibri. Obiettivo di fondo, probabilmente
non raggiungibile mediante il solo strumen- to giuridico, resta quello di
un’adeguata formazione del sentire degli individui, intesa come capacità di
rapportarsi all’altro nelle forme dell’ascolto, del confronto e anche della
critica, da contestualizzarsi in un’arena polifonica aperta alla pluralità,
poiché «di quanta più realtà una sensibilità diventa capace, tanto più esatto
sarà, da un la- to, il sentimento delle differenze e delle priorità» 3. Il
ruolo delle agenzie educative diviene in questo senso cruciale, a partire dalle
istituzioni scolastiche: l’arricchimento della giustizia da una condizione essenzialmente
normativa a una condizione etica è l’esito (un’aspirazione più che un traguardo
certo) di un lavoro lungo e 3 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, Si veda ad
esempio la pubblicazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i
diritti umani, Abc: Teaching Human Rights – Practical Activities for Primary
and Secondary Schools, disponibile in http://www.ineesite.org/-
en/resources/abc_teaching_human_rights_-_practical_activities_for_primary_and_se-
condary. Tra sentimenti ed eguale rispetto lento di educazione dei
sentimenti, al quale partecipano le istituzioni politiche e quelle sociali, la
vita pubblica e quella privata» 5. Qual è il messaggio di fondo che dovrebbe
essere veicolato quale coordinata etica di una cura dei sentimenti? L’atteggiamento
che ragionevolmente si pone a monte del recipro- co rispetto è la capacità di
immedesimazione 6 e soprattutto di usare l’immedesimazione in modo da includere
la differenza. In altri termini, «il rispetto basato sull’idea di dignità umana
risulterà insufficiente a includere tutti i cittadini in termini di
uguaglianza, a me- no che non sia nutrito da uno sforzo immaginativo nei
confronti della vita degli altri e da una comprensione più intima della loro
piena e comune umanità. Ritorna anche in questo caso l’esigenza di non ridurre
la dignità umana a un simulacro dispotico declinato in termini deonto- logici,
bensì a modularne l’essenza su cadenze il più possibile inclusive. L’attenzione
alle differenze può maturare attraverso percorsi di crescita emotiva
finalizzati a migliorare la capacità di apertura all’altro 8, soprattutto ove
si riesca a riconoscere e a dominare un’emo- zione che è tanto tremendamente
umana quanto problematica nelle dinamiche di una società pluralista: la paura.
La funzione primordia- le della paura è la difesa dell’essere umano da fonti di
pericolo, ma la sua attuale variante sociale e adattiva corrisponde a
un’emozione repulsiva e narcisistica, che si declina come una «pre- occupazione
offuscante [e] un’intensa concentrazione su di sé che getta gli altri
nell’ombra URBINATI, Liberi e uguali. L’Autrice rimarca che tale passaggio è
propriamente ciò che denota la cultura dell’individualismo democratico. 6
Richiamiamo il tema dell’empatia, soprattutto in relazione al suo valore etico
per la vita di relazione: v., per tutti, BOELLA, Sentire l’altro. Conoscere e
praticare l’empatia, Milano, NUSSBAUM, Emozioni politiche, Riteniamo sia da
accogliere positivamente l’iniziativa del governo italiano che ha presentato,
per voce della Ministra dell’Istruzione, il ‘Piano nazionale per l’educazione
al rispetto’, ossia un progetto teso a introdurre nella formazione scolastica
momenti di apprendimento per «promuovere nelle istituzioni scolastiche di ogni
ordine e grado un insieme di azioni educative e for- mative volte ad assicurare
l’acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali, sociali e civiche, che
rientrano nel più ampio concetto di educazione alla cittadi- nanza attiva e
globale» e per «promuover[e] azioni specifiche per un uso consa- pevole del
linguaggio e per la diffusione della cultura del rispetto, con l’obiettivo di
arrivare a un reale superamento delle disuguaglianze e dei pregiudizi, coinvol-
gendo le studentesse e gli studenti, le e i docenti, le famiglie». 9
NUSSBAUM, La nuova intolleranza, cit., p. 67. Osservazioni finali 241 Si
pone dunque l’esigenza di non cedere alle chiusure indotte dalla paura, al fine
di «adottare uno sguardo diverso, che dia rilevanza a mentalità, valori, idee,
convinzioni e sensibilità culturali capaci di conferire significati inediti
alle nostre paure» 10. In uno studio dedicato all’intolleranza come effetto
della paura dell’altro, Martha Nussbaum afferma che l’eguale e reciproco
rispetto richiede lo sviluppo dei cosiddetti ‘occhi interni’, ossia dello
sguardo immaginativo, non corporeo, che consente di vedere l’altro 11: è preci-
samente ciò che manca nell’odio, dove il sentire è cieco12 davanti
all’individualità altrui. La promozione di un orizzonte di rispetto si gioca in
primo luogo a un livello che ha a che fare con lo sviluppo di tale profondità
di sguardo e di immaginazione: per rispettare l’altro bisogna ‘sentirlo’ 13,
attraverso capacità di apertura, di ascolto, di discernimento. Tra offesa alla
sensibilità e discorso discriminatorio: profili problematici e spunti di
riformulazione per la tutela della di- gnità del credente Venendo al profilo
più strettamente penalistico, un primo bilancio può essere stilato in relazione
al panorama normativo italiano vigente. L’impressione è che nel complesso il
lavoro di rielaborazione concettuale e di riassetto etico compiuto dalla
giurisprudenza e dalla dottrina abbia condotto a norme il cui coefficiente di
compatibilità con le libertà costituzionali è tutto sommato accettabile. Come
già osservato, non appare possibile in questa sede procedere all’enucleazione
di prospettive de jure condendo calibrate su ogni singolo ambito in cui il
codice fa riferimento a sentimenti come oggetto di tutela. Ci limitiamo a
prendere in analisi il settore in cui, a nostro avviso, CERETTI-CORNELLI, Oltre
la paura, NUSSBAUM, La nuova intolleranza, DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. In
questo senso la dimensione della ‘cura’ si proietta verso un rispetto non
meramente ‘passivo’, bensì guarda anche, soprattutto, a un rispetto ‘attivo’.
Con la prima accezione si indica un atteggiamento di astensione dall’ostilità e
dalla violenza; il rispetto ‘attivo’ si traduce in qualcosa di più:
«un’attenzione per i bisogni, le esigenze, gli obiettivi e anche i progetti
esistenziali delle persone, il riconoscimento del fatto che esse attribuiscono
valore a qualcosa che sta loro a cuore e che intendono realizzare», v.
MORDACCI, Rispetto, Tra sentimenti ed eguale rispetto emerge maggiormente
l’esigenza di procedere a una disambiguazione tra forme di intervento a tutela
della sensibilità e presidi contro di- scorsi discriminatori. In quest’ottica
l’impianto dei reati a tutela del sentimento religioso presenta delle criticità
che si addensano nella portata applicativa dell’art. 403 c.p., ossia l’offesa a
una confessione religiosa mediante vili- pendio di persone. Partiamo dal
presupposto che sia ragionevole che lo stato laico tuteli lo spazio
umano-personale e sociale in cui si dispiega la dimen- sione religiosa
dell’individuo: il problema è con quali modalità. Una delle più acute posizioni
a difesa della tutela del sentimento religioso osserva che «discussione non è
offesa. A maggior ragione quando il bene tutelato diventa la dignità e la
personalità dell’essere umano sotto lo specifico profilo della dimensione
religiosa», e formula con- seguentemente la propria proposta normativa, a
superamento delle attuali disposizioni, elaborando una fattispecie che
incrimina «i comportamenti o le espressioni oltraggiose tenuti in pubblico che
le- dono intenzionalmente la dignità delle persone a causa delle loro
convinzioni sul significato ultimo dell’esistenza. Ebbene, concordiamo con le
ragioni di fondo di tale proposta, la quale ci sembra coerente con l’intenzione
di circoscrivere l’impianto di tutela alla dignità della persona e non al
prestigio e al patrimonio ideologico della confessione Resta a nostro avviso il
dubbio se sia opportuno mantenere una disposizione dedicata al fenomeno
religioso, la quale potrebbe espor- si al rischio di assumere nuovamente le
vesti di incriminazione surrogatoria del vilipendio, come del resto oggi sembra
capitare per l’art. 403 c.p., il quale tende a estendersi all’insulto alla
confessione MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, MAZZUCATO, Offese alla
libertà religiosa, La proposta di norma parla di ‘Offese alla libertà
religiosa’, ma il richiamo alla dignità ‘a causa delle convinzioni sul
significato ultimo dell’esistenza’ sem- brerebbe aprire anche alla tutela della
dignità del non credente. Su tale ultima prospettiva si veda, anche per
richiami comparatistici, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose,
Benché non compaia il termine ‘vilipendio’, anche il modello di norma
ipotizzato dalla Mazzucato parla, con formula rischiosa, di «comportamenti o
espressioni oltraggiose tenuti in pubblico, anche rivolti a cose che formino
oggetto di culto o siano consacrate al culto». Ad un’attenta lettura,
l’emancipazione dal modello del vilipendio della confessione emerge però dalla
traiettoria dell’offesa, la quale deve «[ledere] intenzionalmente la dignità
delle persone», v. MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, Osservazioni
finali piuttosto che limitarsi a sanzionare l’offesa alla persona 18. A nostro
avviso, un riassetto e, soprattutto, una decisa disambiguazione della linea di
intervento penale potrebbe aversi attraverso un’abrogazione secca dell’art. 403
c.p., accompagnato da una parallela modifica dell’art. della legge che estenda
ai motivi religiosi il tipo di discorso discriminatorio suscettibile di
assumere rile- vanza penale, secondo una formula che incrimini «chi propaganda
idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico o religioso. Ciò
non porterebbe, ci sembra, ad alcun vuoto di tutela: si tratte- Anche partendo
dal presupposto che la libertà di espressione non sia assoluta, ma incontri
limiti espressamente riconosciuti dall’ordinamento interno e anche da fonti
sovranazionali, incriminare una manifestazione del pensiero consistente nel
‘tenere a vile’, e dunque nel formulare critiche anche sferzanti e in grado di
ferire la sensibilità del credente, è esposta al rischio di tracimare in una
forma di illegittima compressione della libertà di critica e di satira; come
osserva SERENI, Sulla tutela penale della libertà religiosa, cit., p. 12, il
vilipendio del credente è costantemente a rischio di trasformarsi in
«vilipendio teologale, più prossimo alla iper-sensibilità del credente rispetto
al contenuto della verità di fede, al rigore della sua Autorità religiosa
contro le critiche (anche satiriche) rivol- te a danno della Divinità, dei suoi
simboli e dei suoi ministri di culto». Si è osservato criticamente che
ipotetiche interpretazioni estensive della norma sul vilipendio ex art. 403
c.p., alla luce del dettato codicistico post riforma 2006, e dunque nel segno
dell’uguaglianza fra confessioni religiose, sono da ritenersi applicabili anche
alla tu- tela di religioni come l’Islam: un esito definito «non nello spirito
dei tempi» da PULITANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale,,
plausibilmente per evidenziare come l’estensione della tutela, doverosa in
quanto sancita dal principio di uguaglianza, rischi di introdurre uno strumento
giuridico invasivo a disposizione di fedeli di religioni particolarmente
suscettibili. Esprime contrarietà rispetto all’ipotesi di un presidio penale
specifico del fenomeno religioso VISCONTI C., La tutela penale, cit.,.; si pone
a favore di una tutela incentrata sulle fattispecie comuni, senza necessità di
norme ad hoc sulla religione, anche MANTOVANI M., L’oggetto tutelato nelle
fattispecie penali in materia di religione, in AA.VV., a cura di De Francesco-
Piemontese-Venafro, Religione e religioni, Per una posizione favorevole al
mantenimento del vilipendio, considerato prototipo dell’insulto
all’atteggiamento individuale verso il problema religioso, v. STELLA, Il nuovo
Concordato fra l’Italia e la Santa Sede: riflessi di diritto penale, in Jus. Per
un’analisi dei modelli di tutela imperniati sulla persona del credente e che si
identificano nel paradigma dello hate speech, v. CIANITTO, Quando la parola
ferisce, Si veda in particolare il caso della Gran Bretagna, Paese nel quale
non esiste più l’incriminazione per la condotta di Blasphemy (abolita), e che
ha introdotto (Racial and Religious Hatred Act) una fattispecie di reato che
incrimina le manifestazioni di incitamento all’odio religio- so, v. EAD.,
Quando la parola ferisce,.; GIANFREDA, La blasphemy nell’ordinamento inglese di
Common Law e la tutela penale della “religione”: problemi aperti e nuove
prospettive, in AA.VV., a cura di De Francesco-Piemontese- Venafro, Religione e
religioni, Tra sentimenti ed eguale rispetto rebbe di una più netta
ridefinizione di confini tra fattispecie, senza intaccare la soglia ‘inferiore’
dell’intervento penale (il nucleo duro delle offese alla persona e alla sua
dignità), lasciando univocamente al di fuori offese limitate al piano
ideologico, e incentrando l’intervento su espressioni discriminatorie basate su
motivi religiosi Da un lato le offese al singolo potrebbero assumere rilevanza
come delitti contro l’onore (oggi, dopo l’abrogazione dell’ingiuria, resi-
duerebbe la sola diffamazione), eventualmente aggravati ai sensi dell’art. del
d.l. n. (aggravante relativa alle finalità di discriminazione); dall’altro
lato, l’orizzonte del discorso pubblico in mate- ria di critica e satira
religiosa si troverebbe affrancato dall’incom- bente censura del vilipendio, fermo
restando il limite, comunque pro- blematico ma ben più selettivo, di non
tracimare in propaganda discriminatoria. Un impianto di tutela così strutturato
consentirebbe a nostro avvi- so di mantenere aperto uno spazio di illiceità per
forme di espressio- ne volte a negare la pari dignità del credente, le quali
chiamano in gioco un profilo altamente significativo della condizione
esistenziale umana come l’identità religiosa. Al contempo, la necessità di
valu- Si veda in questo senso il parere rilasciato dalla Commissione Europea
per la democrazia attraverso il diritto (c.d. ‘Commissione Venezia’, organo
consultivo del Consiglio d’Europa), nel quale si suggerisce agli Stati membri
l’abrogazione delle leggi sulla blasfemia e il mantenimento di presidi basati sulle
generiche norme che incriminano ingiuria e diffamazione e, soprattutto, sulle
norme che incriminano la diffusione di idee fondate sull’odio religioso, v.
Compilazione di pareri e rapporti della Commissione di Venezia riguardante la
libertà d’espressione e i media, La strada della tutela antidiscriminatoria è
additata anche da DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei
sentimenti, cit., p. 1586, il quale sembra però aprire alla prospettiva di
un’applicazione dei delitti contro la discriminazio- ne solo nei casi di
incitamento alla discriminazione o ad atti discriminazione nei confronti di
persone, lasciando fuori dal raggio dell’intervento penale le offese collettive
che potrebbero, a nostro avviso, essere invece vagliate come eventuali forme di
propaganda razzista, previa opportuna modifica dell’art. 3 della legge n. 654
del 1975. Richiama la prospettiva di una tutela tramite le norme antidiscri-
minazione proprio al fine di tutelare anche i gruppi, e non solo i singoli,
MAZZOLA, Diritto penale e libertà religiosa dopo le sentenze della Corte
costituzionale, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica,; cfr. PACILLO, I
delitti contro le con- fessioni religiose, Nella dottrina penalistica italiana
l’autorevole e cristallina posizione di ROMANO, Principio di laicità dello
Stato, a sostegno di un presidio penale speci- fico per le religioni si basa su
argomenti i quali possono, a nostro avviso, essere re- cuperati anche nella
prospettiva da noi delineata. Secondo Romano, la non inopportunità dell’intervento
penale deriva dall’esigenza di mantenere all’interno del si-
Osservazioni finali tare l’illiceità attraverso lo stretto filtro
dell’incriminazione della propaganda discriminatoria potrebbe portare a un più
cauto uso del diritto penale nei rapporti con la libertà di espressione e in
particolare con la satira. Ci sembra questa una futuribile modifica che
potrebbe contribuire a fissare in modo più definito spazi di libertà nella
salvaguardia di un nucleo minimo di rispetto che tenga conto del diritto
liberale di critica e della necessaria distinzione con l’orizzonte della
discriminazione. La priorità delle libertà, l’importanza delle regole Dietro il
velo retorico dei sentimenti si pongono questioni di vitale importanza per la
convivenza, non liquidabili dietro affrettate declaratorie di irrazionalità, e
che richiedono un serio impegno in primo luogo nella prospettiva che abbiamo
definito come cura. Resta aperto, in via residuale, il problema di interventi
limitativi delle libertà. Il giurista penale avverte il disagio di
un’alternativa dilemmatica tra la fedeltà a principi di libertà e la violazione
che potrebbe scaturire dall’avallo di politiche di intervento; sì, perché di
violazione si tratta in quanto un dilemma non ammette vie di fuga ma costringe,
piaccia o non piaccia, ad accollarsi le conseguenze del cosiddetto male minore.
Condividiamo l’atteggiamento combattuto che altre voci, ben più autorevoli,
hanno confessato. Non lo diciamo semplicemente a nostra discolpa, bensì a
conferma della profondità del dilemma che ci attanaglia, nella convinzione che
proclamare in questi casi un’asserita soluzione rischi di sfociare in una
hybris intellettuale, e che sia stema strumenti per marcare l’essenziale
differenza fra libertà di critica, anche in forme aspramente satiriche, e pura
e semplice denigrazione o dileggio: differenza che deve modellarsi su quanto
comunemente accolto per le ingiurie rivolte ai singoli. Il richiamo all’offesa
che caratterizza l’ingiuria contribuisce a connotare in termini personalistici
l’interesse protetto, avvicinandolo univocamente alla, pur problematica,
dimensione della dignità del credente. Fermo restando che le fatti- specie a
tutela dell’onore restano comunque un presidio attivo per le offese ai singoli,
l’estensione dell'art. della legge nella parte relativa alla propaganda si
presterebbe, a nostro avviso, a perseguire l’auspicabile risultato teorizzato
da Romano. Se intendiamo denigrazione o dileggio come forme di disconoscimento
della pari dignità delle persone in quanto credenti in una determinata fede o
visione del mondo, l’incriminazione della propaganda discriminatoria,
debitamente estesa nella formulazione lessicale, può, a nostro avviso,
assolvere in modo meno ambiguo dell’art. c.p. ai predetti scopi di tutela.
Tra sentimenti ed eguale rispetto invece preferibile affrontare i problemi col
dovuto rispetto per la complessità: Un dilemma comporta un’oscillazione
infinita; in quanto la nostra esperienza è teatro di continui dilemmi, la sua
struttura è infinitamen- te provvisoria e le si fa torto ogniqualvolta si
cerchi di rinchiuderla nello steccato di un arrogante e definitivo
pronunciamento, nella superba convinzione di aver già sempre (prima che un
qualsiasi problema si ponga) visto giusto. È comprensibile la tendenza a optare
per la soluzione in grado di lasciare in sospeso il più possibile le
conseguenze di uno dei due mai, per evitare una violazione certa (delle
libertà) nella speranza che il male alternativo non trovi realizzazione.
Riteniamo che questa sia una possibile chiave di lettura, come
autorassicurazione psicologica, di ciò che la filosofia ha definito
utilitarismo delle regole, ossia l’atteggiamento con cui si risponda
all’incertezza di fronte a un conflitto cercando l’applicazione di una regola
ritenuta giusta in quanto tale, quali che siano le conseguenze della sua
applicazione, accettando il rischio di affidarsi a ragionamenti talvolta anche
non adeguatamente orientati sul piano delle possibili conseguenze. Ed è
altrettanto comprensibile che il cultore delle discipline pena- listiche, nella
consapevolezza dei mali insiti nella coercizione, faccia il possibile per
evitare di dare impulso e fornire ragioni allo strumento penale, cercando
piuttosto di contenerne la pervasività. Vorremmo essere sicuri che la fede
liberale ci porti nel giusto; ma un sano senso critico esorta a mettere in
conto che potremmo anche aver torto. In linea di principio, sarebbero da
evitare alcuni degli errori attribuiti a un pensiero irenisticamente liberale,
che talvolta finisce per esaltare la forma a discapito del contesto, magari
erigendo steccati intellettualistici esibiti come fieri esercizi di democrazia.
Quello che a nostro avviso va tenuto presente, e che parte della dottrina
penalistica ha ben messo in luce, è il fatto che non vi sono risposte che
possano considerarsi come esito indefettibile di un’ade- [BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia, BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, ABEL, La
parola e il rispetto, Così, efficacemente, BRUNELLI, Attorno alla punizione del
negazionismo, Osservazioni finali] sione ai principi liberali (quale tipo di
liberalismo?) o come soluzione ricavabile ‘a rime obbligate’ dal testo
costituzionale, ma ogni eventua- le prospettiva resta legata a opzioni
politiche che vanno attentamente commisurate sia a criteri di legittimità sia a
criteri di opportunità. La posta in gioco è estremamente significativa. La
difesa dell’eser- cizio di una libertà del pensiero critico, aperto anche a
manifestazioni disturbanti è ciò che identifica e distingue il nostro mondo
liberale, pur con tutti i suoi difetti, dalle oscurità del fondamentalismo: non
dobbiamo dimenticarlo. La costruzione di una campana di vetro al fine di
garantire immunità emotiva agli individui suscettibili non può far parte dello
strumentario giuridico di una democrazia liberale, la quale può (deve) esigere
dai cittadini responsabilizzazione e capacità di elaborazione della limitata
efficacia pratica delle proprie convinzioni, o, più icasticamente, una certa
dose di robustezza. Si tratta in altri termini di favorire l’interiorizzazione
di un onere di tolleranza consistente nella consapevolezza di poter realizzare
il proprio ethos solo nei limiti di ciò che compete parimenti a tutti». Il
richiamo alla robustezza vale sia come monito a non cadere in uno sterile e
polemogeno sentimentalismo vittimocentrico, acriticamente proclive ad avallare
doglianze di animi suscettibili, ma costituisce a nostro avviso anche un monito
a non dare per scontata tale condizione di tenuta etica nelle persone,
dovendosi mantenere l’occhio vigile e l’orecchio proteso a captare segnali in
grado di mostrare le crepe prima che si arrivi a un collasso. È di tutta
evidenza come nell’attuale momento storico le dinamiche del reciproco rispetto
stiano subendo una particolare curvatura, probabilmente una deformazione, sia
sul piano dei contenuti, sia sul piano dei canali espressivi. Rispetto al
passato, anche recente, siamo oggi portati a constatare quasi quotidianamente,
grazie ai o a causa dei media, condotte che sono dettate da atteggiamenti di
repulsione dell’altro. Se è vero che rinvenirne la dannosità immediata risulta
operazione assai complessa, la quale molto difficilmente riesce a soddisfare
appieno i filtri dell’armamentario concettuale penalistico, non può essere però
escluso che volgere gli occhi al cielo, confidando sul fatto che lo spirito
critico e gli ideali di tolleranza riescano ad avere la meglio, possa rivelarsi
un atteggiamento totalmente alieno dai calcoli PULITANÒ, Laicità e diritto
penale, HÖRNLE, Protezione penale di identità religiose?, HABERMAS, Tra scienza
e fede, tr. it., Roma-Bari Tra sentimenti ed eguale rispetto pazienti e
minuziosi che sarebbero richiesti per sostanziare quella giustificazione. Tali
riflessioni ci vengono suggerite dall’esigenza di non sottovalutare un
repertorio ormai troppo consistente di fatti che rimandano a un passato non del
tutto trascorso e con preoccupanti echi nel tempo presente. Le ragioni del
diritto si intrecciano con un tessuto anche emozionale, il quale costantemente
ci ricorda che il diritto è prioritariamente una risposta alla memoria del
male, che esseri umani possono fare ad altri esseri umani. Tenere ben ferma
l’attenzione sui mondi umani e sulla realtà sociale è un impegno necessario per
monitorare la qualità delle libertà in un contesto pluralista. Il diritto
penale non rappresenta lo strumento più idoneo a svolgere una funzione
promozionale, ma riteniamo non debba essere aprioristicamente tacciato di vena
illiberale il proposito di immaginare strumenti perché vi possa essere anche,
eventualmente, un redde rationem sull’uso della libertà di espressione, non
quale forma di soffocamento ma quale chiamata a dare spiegazioni e ad assumersi
la responsabilità di un certo uso del linguaggio, il quale è performativo non
solo nei confronti della realtà esterna ma anche di sé stessi. Non intendiamo
avallare forme di democrazia protetta, bensì evitare di chiudere
aprioristicamente il discorso su ciò che il diritto, e anche eventualmente il
diritto penale, potrebbe fare nelle forme non BENCIVENGA, Prendiamola con
filosofia, VECA, La priorità del male e l’offerta filosofica, Milano FIANDACA,
Laicità, danno criminale e modelli di democrazia. Secondo quanto osservato da
Michele Serra in esergo a questo capitolo, di fronte a nuove libertà e a nuove
dignità conseguono nuovi problemi, di pensiero e di linguaggio, e le parole che
usiamo definiscono gli altri ma al contempo ci definiscono. Concetto che
peraltro rischia di prestarsi a usi retorici. Cosa vuol dire democrazia
protetta? Una democrazia liberale di tipo aperto ha dei valori da difendere?
Certamente non può dirsi che la democrazia sia una forma di governo
relativistica; al contrario, essa «non ha fedi o valori assoluti da difendere a
eccezione di quelli su cui essa stessa si basa. Nei confronti dei principi
democratici, la pratica democratica non può essere relativistica», v.
ZAGREBELSKY, Imparare democrazia, Torino. A partire da queste premesse, si può
concordare con quanto osservato da SALAZAR, I destini incrociati della libertà
di espressione, ossia che non esistono democrazie indifese, cioè
impossibilitate a difendersi se vogliono rimanere fedeli a se stesse, dovendo
semmai distinguersi tra Costituzioni dotate di un sistema di protezione meno
appariscente e quelle che, invece, ne esibiscono uno maggiormente
strutturato». di una censura autoritaria, ma quale veicolo, tramite i
precetti, di richiamo simbolico a valori della convivenza liberale, nella
convinzio- ne che lo strumento giuridico debba essere pensato non soltanto come
un mezzo di giustizia, ma possa anche assumere le vesti di un luogo di scoperta
del giusto. È l’idea che l’istituzione del diritto nella sua essenza sia
precisamente il mezzo che la nostra ragione ha indi- cato non solo per
garantire il dovuto da ciascuno a tutti, ma anche per scoprire attraverso il
confronto e non più lo scontro delle diverse concezioni del bene sempre nuovi
aspetti di questo dovuto. DE MONTICELLI, La
questione morale. Grice: “Falzea interprets, correctly, Roman law as
imperativistic or better, volitive – volontarismo giuridico – My reflections on
“Aspects of Reasons” point to the same direction. Indeed my focus is on the
conversational IMPERATIVE!” Angelo Falzea. Falzea. Keywords: QVOD PRINCIPII
PLACVIT LEGIS HABET RIGOREM, interesse, valore, disvalore, assiologia,
accertare, apparire, efficacia, interesse, does moral philosophy rest on a
mistake, duty cashes on interest, on desire. ‘sentimento condiviso’ -- H. L. A. Hart. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Falzea” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Fannio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Fanc. Fannio conosce
Panezio di Rodi per mezzo di C.Lelio, e ne segue l’insegnamento. C. Fannio
combattè contro Cartagine, e tribuno della plebe e si distingue contro
Viriato.C. Fannio e pretore e console. C. Fannio oppose alla proposta di C.
Gracco di concedere la piena cittadinanza romana ai meri latini e i diritti di
questi ai meri italici, con una orazione famosa, di cui però, gli e contestata
la paternità. C. Fannio scrive un saggio storico spesso ricordata da
Cicerone ("Annales"), che forse comincia con le origini di Roma -- e
orazioni. Gaio
Fannio Gaius Fannius. Gaius Fannius is a Roman republican philosopher and
politician who was elected consul and was one of the principal opponents of
Gaius Gracchus. Fannio is a member of the Scipionic Circle. Gaius Fannius
was the son of Marcus Fannius (whose brother was probably Gaius Fannius Strabo,
the consul). On the assumption that this Gaius Fannius is not the historian who
fought in the Punic War, he was a member of Quintus Caecilius Metellus
Macedonicus’s staff in Macedonia, who sent him as part of an embassy to the
Achaean League to convince them not to enter the war against Rome. After the
embassy was insulted and their warnings disregarded, Fannius left and went to
Athens. Fannius next appears, serving with distinction as a military tribune in
Hispania Ulterior under Quintus Fabius Maximus Servilianus in his war against
Viriathus. Fannius was elected as Plebeian Tribune. Then he was elected to the
office of Praetor, during which time he was mentioned in a decree responding to
the request for Roman assistance by John Hyrcanus, the ruler of the Hasmonean
Kingdom. With the support of the Tribune of the Plebs Gaius Gracchus, Fannius
was elected consul, serving alongside Gnaeus Domitius Ahenobarbus. However,
once he was in office, he turned against Gracchus, opposing his reforming
measures and supporting the traditional senatorial group who were against any
reforms which impacted upon their wealth and status. During his consulship he
obeyed the Senate's directive and issued a proclamation commanding all of the
Italian allies to leave Rome. He also spoke against Gracchus's proposal to
extend the franchise to the Latins. Fannius's speech was regarded as an
oratorical masterpiece in Cicero's time, and was widely read. Gaius Fannius
married Laelia, the daughter of Gaius Laelius Sapiens. On the advice of his
father-in-law, Fannius attended the lectures of the Stoic philosopher,
Panaetius, at Rhodes. There has been a long-standing debate over whether this
Gaius Fannius was the historian who served under Scipio Aemilianus during the
Third Punic War, and together with Tiberius Gracchus were the first to mount
the walls of Carthage on the capture of the city. Cicero, from whose letters
much of this is derived, was incorrect in identifying Fannius the consul as the
son of Gaius. Inscriptions clearly reveal that his father was Marcus Fannius.
It is now generally accepted that Cicero, although mistaken about some of the
details, was probably not mistaken when he distinguished between Gaius Fannius,
the Consul and Gaius Fannius, the historian who served under Scipio Aemilianus.
See Cornell, T. J. The Fragments of the Roman Historians, for a detailed
analysis of the evidence. References Cornell, Broughton, Broughton
Broughton Cornell, Broughton Smith Broughton Smith Cornell Smith Smith Sources
Broughton, T. Robert S., The Magistrates of the Roman Republic, Broughton, T.
Robert S., The Magistrates of the Roman Republic, Cornell, The Fragments of the
Roman Historians, Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology,
Smith, William, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Political
offices Preceded by Q. Caecilius Metellus Balearicus T. Quinctius Flamininus
Roman consul With: Gnaeus Domitius Ahenobarbus Succeeded by Lucius Opimius Q.
Fabius Maximus Allobrogicus FASTISNIVIAF NationalGermanyUnited States People Deutsche
Biographie Categories: Roman augurs Roman
consulsFannii. Gaio Fannio. Fannio.
Luigi Speranza -- Grice e Fano: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della glossogonia – imago
acustica e immagine sensibile – scuola di Trieste – filosofia trestina –
filosofia friulese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice:
“I like Fano; for one, he took very seriously Plato’s Cratilo – “origine e
natura del linguaggio,’ he has also explored a rather extravagant trend for
Italian philosophers, when philosophy is reduced to ‘analisi del linguaggio’!” Neo-idealista, appartene a quel gruppo di artisti,
letterati, e scrittori che hanno reso famosa Trieste. Legge in modo originale
l'opera di Croce e Gentile. Sottolinea l'importanza delle scienze naturali e
della matematica, che nel suo sistema non sono governate dagli pseudo-concetti.
Da molta importanza agli aspetti più semplici e ferini dello spirito seguendo
le riflessioni di Vico. Suo padre Guglielmo era un medico affermato, sua
madre Amalia Sanguinetti. Il padre fu uno dei pochi ebrei di allora che passano
al cattolicesimo per sincera fede. Ma tale conversione e accompagnata da manie
religiose e disordini mentali precoci. Fin dall'adolescenza F. ha un
impulso di rivolta contro gli adulti, il loro conformismo, il loro spirito
oppressivo. Nel romanzo Quasi una fantasia di Ettore Cantoni si parla di due
ragazzi, in cui è facile riconoscere l'autore Ettore e Fano, che viaggiano e
arrivano addirittura in Africa, appunto per sfuggire all'atmosfera pesante
instaurata dagli adulti. Fu un ragazzo ribelle, non volle accettare la
disciplina della scuola. Un episodio contraddistingue il suo carattere, quando
getta nella stufa il registro di classe. Frequenta la scuole austriaca con
scarso profitto. Afferma che una parte delle sue difficoltà era dovuta al fatto
di avere poca memoria (non quella concettuale, in cui eccelleva, ma quella
specifica, dettagliata, necessaria ad es. nello studio della storia e della
geografia). Così abbandona gli studi assai prima di aver conseguito la
maturità. Ritiratosi da scuola, i suoi congiunti gli procurarono un posto
di impiegato. Ma abbandonò l’impiego e affitta, assieme ad alcuni coetanei, una
cameretta sul colle di Scorcola, dove si dedica non solo a discussioni senza
fine con gli amici, ma passò ore e ore a studiare filosofia. Più tardi a Vienna
poté sentire le lezioni universitarie di alcuni luminari del tempo. Fu la
lettura dei classici tedeschi, da Leibnitz a Schopenhauer, da Kant a Fichte e
Hegel, a dare al suo pensiero un indirizzo al quale sarebbe rimasto fedele per
tutta la vita, a fargli trovare le armi per la sua personale battaglia contro
il dogmatismo, il fideismo, il clericalismo del proprio ambiente
familiare. Certo alla formazione di F. ha contribuito anche l'ambiente
eccezionale della Trieste di allora. Fu suo amico Poli, il cui pseudonimo,
Saba, fu inventato proprio da lui. Si ispira certamente alla figura di F.
anche il sesto de I prigioni di Saba: «L’Appassionato/Natura, perché ardo, m’ha
di rosso/pelo le guance rivestite e il mento./ Non è una brezza lo spirito: è
un vento /impetuoso, onde anche il F. è scosso. /…../ Ero Mosè che ti trasse
d’Egitto, / ed ho sofferto per te sulla croce. / Mi chiamano in Arabia Maometto». Saba
e F. comprano in società la libreria antiquaria Mayländer, la futura
"Libreria antica e moderna", ma non andano d’accordo, perché Fano non
era persona da accollarsi diligentemente troppi compiti "noiosi".
Così i due decisero di separarsi e, poiché entrambi volevano rimanere
proprietari, Fano propose di giocare questo diritto a testa o croce e vinse. Ma
Saba, che era amante e cultore di libri antichi, non accettò il verdetto della
sorte e convinse l’amico a cedergli ugualmente la libreria. Un'altra
persona dell'ambiente triestino con cui Fano ebbe grande amicizia è stato Giotti.
E un incontro come di un artista toscano con un profeta ebreo. Io ne ebbi un
grande giovamento. Egli leggeva a quel tempo Zola, Maupassant e Flaubert che io
non conosco. Per il suo carattere indolente, in molte cose esteriori della vita
fece ciò che gli consigliavo io. Se ne venne via da Trieste, poi fece venire la
famiglia a Firenze e cose simili. Ma l'amicizia fra i due subì un tremendo
contraccolpo a causa delle drammatiche vicende in cui fu coinvolta Maria, sorella
di Virgilio, che F. sposa. Ebbero un figlio minorato mentale, Piero, che fu
ucciso dalla madre, la quale si tolse a sua volta la vita. È una tragedia che
scosse profondamente tutto Trieste. Sposa Anna Curiel, da cui ha un figlio di
nome Guido. Durante il periodo della grande guerrafu irredentista, come
molti dei suoi amici, Benco, Saba, Giotti, Schiffrer e altri. In seguito il suo
atteggiamento e molto simile a quello di Croce, e per analoghi motivi
ideologici. Gli ideali egalitari non facevano presa su di lui e gli sembrava
utopistico, e comunque non desiderabile, l’instaurare una società comunista.
Anzi si oppose con decisione al socialismo massimalista e turbolento di allora,
tanto da dimostrare, per un breve periodo, una certa comprensione per la
reazione fascista. Ma, già prima di Croce, divenne un antifascista, che non
perdeva alcuna occasione per manifestare apertamente le sue opinioni. Si
laurea in filosofia a Padova con “Dell’universo ovvero di me stesso: saggio di
una filosofia solipsistica” pubblicata sulla Rivista d’Italia. Probabilmente
non frequenta le lezioni universitarie a Padova, anche perché era già sposato e
dove pensare a mantenere la sua famiglia. Semmai la sua formazione si compì,
oltre che a Vienna, a Firenze, dove aveva trascorso qualche anno prima della
guerra e dove aveva frequentato l’ambiente de La Voce. Professore di
filosofia presso vari licei di Trieste, F. aspira tuttavia all’insegnamento
universitario, a cui giunse dopo molte traversie causate da intralci posti
dalle autorità. Il motivo di queste difficoltà si deve alla fama di
antifascista che egli si procurò quando, commemorando il cugino Elia, volontario nella grande guerra e morto
sul Podgora, tenne un discorso in cui traspariva, in maniera non molto velata,
la convinzione che il sacrificio di tante vite per la libertà veniva rinnegato
dal regime politico allora dominante. Questa sua presa di posizione gli costò
alcuni giorni di carcere nella fortezza di Capodistria e la fama di
antifascista si ripercosse sulla sua carriera universitaria. Attorno a quegli
anni a Trieste si andavano diffondendo le idee della psicoanalisi di Weiss, discepolo
di Freud. A F. non piaceva questa teoria, affermando che si basava su supposte
attività del pensiero immaginarie e non verificabili. Il concetto di inconscio
non posse venir accettato da chi come lui basava tutto sull' ‘auto-coscienza’.
Studioso di Croce, che conosce, pubblicò vari articoli sulla filosofia
crociana. Il saggio “La negazione della filosofia nell’idealismo” gli procurò
l’attenzione di Radice, che gli offrì un posto di assistente a Roma. Da notare
che nel suo primo saggio viene esposto organicamente il suo pensiero, Il
sistema dialettico dello spirito. Dopo l'invasione tedesca trova rifugio a
Rocca di Mezzo, in Abruzzo. La tranquilla sicurezza, la noncuranza dei pericoli
non gli vennero mai meno, né per il rischio di venir scoperti dai tedeschi (lui
e la moglie avevano falsificato le carte d’identità), né per i bombardamenti
alleati. I tedeschi lo usarono spesso come interprete e poiché la sua casa
stava proprio sulla strada maestra, spesso la cucina era piena di soldati che
avevano bisogno di qualcosa. Lì, in quella cucina mal riscaldata, incurante dei
rischi immediati, lavora forse più di quanto non avesse mai fatto in precedenza
e portò a termine l'opera: La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi
lineamenti di un sistema dialettico dello spirito. Finita la guerra ritrovò il
suo posto a Roma. Nel saggio sul Croce aveva rivendicato l'importanza delle
scienze empiriche, che nella filosofia crociana non avevano dignità
conoscitiva. In Teosofia orientale e filosofia greca troviamo una descrizione dello sviluppo
storico del pensiero umano, in cui tra l'altro viene rivendicata l'importanza
della matematica, mentre Croce sostene che la matematica è uno pseudo-concetto.
Inoltre cura la traduzione integrale dei Prolegomena ad ogni futura metafisica
di Kant. Infine le sue ricerche lo portarono ad esaminare il problema
dell'origine della lingua, su cui espresse il suo pensiero nel Saggio sulle
origini del linguaggio, poi riedito accresciuto a cura di F.. Altre
opere: “Il sistema dialettico dello spirito” *Roma, Servizi editoriali del
GUF/); “La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un
sistema dialettico dello spirito” (Milano, Istituto editoriale italiano); “Teosofia
orientale e filosofia greca. Preliminari ad ogni storiografia filosofica”
(Firenze, La nuova Italia); “Saggio sulle origini del linguaggio. Con una
storia critica delle dottrine glottogoniche” (Torino, Einaudi); “Origini e
natura del linguaggio” (Torino, Einaudi); “Neo-positivismo, analisi del
linguaggio e cibernetica” (Torino, Einaudi);
“Prolegomeni ad ogni futura metafisica” (Firenze, G. C. Sansoni). Ettore
Cantoni, Quasi una fantasia: romanzo, Milano, Treves, Cantóni, Ettore, su
treccani. Voghera su Il Piccolo. Viene venduta a F. e Poli, Saba, che ne
diventa proprietario unico. Dice che una teoria può essere accettata solo se si
prospettano anche delle ipotesi — che poi appariranno assurde e non si
verificheranno concretamente — nelle quali essa dovrebbe venir respinta. La
psicanalisi, invece, si mette accuratamente al coperto da ogni prova contraria.
L'estetica nel sistema di Croce, L'Anima, da filosofia di Croce, Giornale
critico della filosofia italiana, Un episodio illustra bene sia l’importanza
che egli annetteva al suo lavoro, sia il suo coraggio. Una mattina, scendendo
in cucina, che e diventata il suo studio, la trova invasa da soldati tedeschi
che cercano acqua ed altro. Con l’abituale tono tranquillo, dimenticando con
chi aveva a che fare, lui l’ebreo, col suo viso di profeta, addita ai soldati
della Wehrmacht la porta. Prego, dice in tedesco se lor signori avessero la
compiacenza di andare da un’altra parte. Io ho da lavorare. Senza fiatare, i
soldati infilano la porta ed egli si rimise tranquillamente al suo tavolo di
lavoro per battagliare con Croce, dimentico che la più superficiale inchiesta e
sufficiente a convogliarlo assieme alla sua famiglia verso i campi di sterminio.
L'ottimismo di Fano e il pessimismo di Voghera. Brani da lettere e testi,
Milano, Mimesis, Silvano Lantier, La filosofia del linguaggio (Trieste, Riva);
Silvano Lantier, “Vico e Fano: motivi di un'affinità ideale, Udine, Del
Bianco); Dizionario biografico degli italiani, Roma. The ‘signifier’, drawn from
Saussurean linguistics, was arguably the central concept in Jacques Lacan’s
engagement with psychoanalysis. As indicated in its programmatic texts, the
effort to develop a ‘logic of the signifier’ that would account for the
relations between subject, science, and ideology, was one of the guiding
concerns of the Cahiers pour l’Analyse. See also: Linguistics, Logic,
Meaning, Speech, Structure, Subject, Unconscious Three conceptual distinctions
lay at the heart of Ferdinand de Saussure’s innovative structural linguistics,
the science that was foundational for twentieth-century French structuralism.
The first was the distinction between langue [language] and parole [speech].
For Saussure, the former was to be considered in synchronic terms and as the
primary terrain of linguistic analysis; in this it was opposed to the
diachronic reality of the latter, which put language to use in time in spoken
form. In his synchronic analysis of language, Saussure insisted on another
distinction, that between the sign and the referent. For example, the sign
‘cat’ may in multiple instances refer to an actual cat which would be its real
world referent, i.e., this cat. Most crucial, however, was the third
distinction, that within the sign between the ‘signified’ and the ‘signifier’.
The former was the conceptual content of the sign, in this case the idea of a
cat, as a four-legged mammal, often domesticated, distinct from ‘dogs’ and
other domestic pets. Opposed to this mental concept or ideational content, was
the signifier ‘cat’ – as an ‘acoustic image’ or phoneme, a sequence of letters,
i.e., the word itself apart from its meaning or content. For Saussure, meaning
was produced through a sequence of differential relations in which signifiers
were correlated to signified contents; in all instances, it was the difference
between signifiers that allowed them to function as linked to specific
signifieds or contents. In this regard, the production of the signified was the
locus of Saussure’s linguistic concerns. Jacques Lacan’s meeting of Roman
Jakobson (a follower of Saussure’s, via their mutual friend Claude
Lévi-Strauss) in 1950 was arguably the central event in Lacan’s own
intellectual itinerary. His introduction to structural linguistics moved him
away from the Hegelianism of his youth, and paved the way for his later concern
with mathematics, formalisation, and systems theory analysis. Inspired by
Saussure, Lacan nonetheless departed from him on several significant points.
First, the sign/referent distinction was of minimal concern for Lacan. Second,
where Saussure tended to denigrate parole in favour of a thoroughly synchronic
approach to language, Lacan, as a psychoanalyst, was eminently concerned with
speech, itself the medium of psychoanalytic practice and the crucial mechanism
for the emergence of the subject of the unconscious. Finally, and most
importantly, Lacan reversed the priority of the signified/signifier
relationship found in Saussure’s example. For Lacan, meaning was the result of
the play of signifiers apart from any synchronic correlation to fixed signified
contents. Lacan introduced his new structural interrogation of Freud in his
famous ‘Rome Discourse’, reprinted in the Écrits as ‘The Function and Field of
Speech and Language in Psychoanalysis’. The increasing pertinence granted to the
signifier would be evident in the later texts of this volume, culminating in
‘The Subversion of the Subject and the Dialectic of Desire in the Freudian
Unconscious’, wherein Lacan claims that ‘[s]tarting with Freud, the unconscious
becomes a chain of signifiers that repeats and insists somewhere (on another
stage or in a different scene, as he wrote), interfering in the cuts offered it
by actual discourse and the cogitation it informs’. For Lacan, the
primacy of signifier was what accounted for the uniqueness of the human and
distinguished its relationship to language from any notion of mere
communication or the simple transfer of meaning. In his third seminar, on the
psychoses, Lacan provides an illuminating example of this phenomenon that
deserves to be quoted at length: I’m at sea, the captain of a small ship.
I see things moving about in the night, in a way that gives me cause to think
that there may be a sign there. How shall I react? If I’m not yet a human
being, I shall react with all sorts of displays, as they say – modelled, motor,
and emotional I satisfy the descriptions of the psychologists, I understand
something, in fact I do everything I’m telling you that you must know how not
to do. If on the other hand I am a human being, I write in my log book – At
such and such a time, at such and such a degree of latitude and longitude, we
noticed this and that. This is what is fundamental. I shelter my responsibility.
What distinguishes the signifier is here. I make a note of the sign as such.
It’s the acknowledgment of receipt [l’accusé de réception] that is essential to
communication insofar as it is not significant, but signifying. If you don’t
articulate this distinction clearly, you will keep falling back upon meanings
that can only mask from you the original mainspring of the signifier insofar as
it carries out its true function. Indeed, it isn’t as all or nothing that
something is a signifier, it’s to the extent that something constituting a
whole, the sign, exists and signifies precisely nothing. This is where the
order of the signifier, insofar as it differs from the order of meaning,
begins. If psychoanalysis teaches us anything, if psychoanalysis
constitutes a novelty, it’s precisely that the human being’s development is in
no way directly deducible from the construction of, from the interferences
between, from the composition of, meanings, that is, instincts. The human
world, the world that we know and live in, in the midst of which we orientate
ourselves, and without which we are absolutely unable to orientate ourselves,
doesn’t only imply the existence of meanings, but the order of the signifier as
well.1 Lacan will ultimately link the ‘signifier, as such, signifying
nothing’ to the Oedipus complex, and argue that the entry to the symbolic order
of language is a result of a submission to the ‘law’ of the phallic signifier,
grounded in the ‘Name-of-the-father’. More broadly, the signifier, distinct
from meaning, lacking fixed signified or referent, will for Lacan come to be
the concept for sexual difference as such – the integral incompleteness or
indeed lack that constitutes the subject. In the Cahiers pour l’Analyse
Much as in Lacan’s teaching, the signifier is a ubiquitous concept in the
Cahiers pour l’Analyse. In the inaugural article, ‘La Science et la vérité’,
Lacan develops his theses concerning lack and ‘truth as cause’ in scientific
discourse. After making a distinction between the formal and material cause
along Aristotelian lines, Lacan specifies that psychoanalyse is concerned with
the latter and its relation to the former: This material cause is truly
the form of impact of the signifier that I define therein. The
signifier is defined by psychoanalysis as acting first of all as if it were
separate from its signification. Here we see the literal character trait that
specifies the copulatory signifier, the phallus, when – arising outside of the
limits of the subject’s biological maturation – it is effectively (im)printed;
it is unable, however, to be the sign representing sex, the partner’s sex –
that is the partner’s biological sign; recall, in this connection, my
formulations differentiating the signifier from the sign. Conveyed by a signifier
in its relation to another signifier, the subject must be as rigorously
distinguished from the biological individual as from any psychological
evolution subsumable under the subject of understanding. The primacy of
the signifier in Lacan’s teaching, and his attempt to provide a ‘rigorous’
account of it, are the inspiration behind Jacques-Alain’s Miller’s attempt in
‘La Suture’ to provide, as the subtitle suggests, the ‘elements for a logic of
the signifier’. Note, however, that in ‘La Science et la vérité’ Lacan is
already gesturing toward tying the signifier back to the body, without however
reducing it to anything that could be confused with biology. Miller’s
contribution to the Cahiers will emphasize the formal elements of Lacan’s
account, whereas others, chiefly André Green and Serge Leclaire will work to
bring the body back in to analysis in response to Miller’s
ultra-formalism. Miller presents the ‘concept of logic of the signifier’
in clear terms at the outset of ‘La Suture’: What I am aiming to restore,
piecing together indications dispersed through the work of Lacan, is to be
designated the logic of the signifier - it is a general logic in that its
functioning is formal in relation to all fields of knowledge including that of
psychoanalysiswhich, in acquiring a specificity there, it governs; it is a
minimal logic in that within it are given those pieces only which are necessary
to assure it a progression reduced to a linear movement, uniformly generated at
each point of its necessary sequence. That this logic should be called the
logic of the signifier avoids the partiality of the conception which would
limit its validity to the field in which it was first produced as a category;
to correct its linguistic declension is to prepare the way for its importation
into other discourses, an importation which we will not fail to carry out once
we have grasped its essentials here. The analysis that follows is a reading of
Frege’s Grundlagen der Arithmetik, based around a demonstration that Frege’s
attempt to give a logical construction of the series of whole natural numbers
is predicated on this prior logic of the signifier. Frege’s concept of zero
involves a simultaneous ‘summoning’ and ‘annulment’ of the non-identical that
Miller claims can be related to Lacan’s account of primary repression and
metonymic displacement in the ‘signifying chain’. For Miller, Frege does not
recognize that the truth of his own discourse is predicated on a suturing over
of an inaugural non-identity. He misrecognises ‘the paradox of the signifier’,
that ‘the trait of the identical represents the non-identical’. In
the concluding section of this article, Miller ties the logic of the signifier
to the subject (CpA). In effect, Miller follows Lacan in defining the subject
as ‘the possibility for one signifier more’: In order to ensure that this
recourse to the subject as the founder of iteration is not a recourse to
psychology, we simply substitute for thematisation the representation of the
subject (as signifier) which excludes consciousness because it is not effected
for someone, but, in the chain, in the field of truth, for the signifier which
precedes it. The key point is that the signifying chain, in which the
subject ‘flicker[s] in eclipses’, is marked by a constitutive lack that is
sutured over. It is this lack, in its determinant capacity, that accounts for
the persistence of the subject in his own discourse. The signifier is a
crucial concept in the first segment of Serge Leclaire’s seminar ‘Compter avec
la psychanalyse’ that concludes Volume 1 (CpA 1.5). According to Leclaire, the
analyst does not obey a logic of meaning [logique du sens], but in listening
for the unconscious must rather follow the formal paths opened up by the
signifier. In a discussion of clinical approaches to fantasy,
Leclaire says that ‘two references are essential for the determination of the
structure of the fantasy’. On the one hand, fantasies are tied to an emotion
that is corporeally localized. He gives examples: anal excitation, oral or
dental excitations, or ‘sensations of threshold or passage [émoi de seuil, de
passage]’. On the other hand, they are attached to signifiers; and more
particularly to ‘signifiers as such’, that is, signifiers detached from their
relation to the signified. This is how one should understand Freud’s suggestion
that fantasies are ‘made up from things that are heard, and made use of
subsequently’. Leclaire gives examples of how certain signifiers used by the
mother (proper names and pet names) can become detached from their common
significance for the child and become sites for unconscious signifying
chains. Later, Leclaire turns to the notion of the ‘unconscious concept’,
emphasizing its role in the constitution of signifiers which mark the body.
Indeed, the chain created by the unconscious concept, the concept of the ‘small
piece’ detached from the body, as Freud says, ‘in order to gain the favour of
some other person whom he loves’ is the libidinal condition for the emergence
of the signifier. Leclaire goes on to elaborate that ‘this wandering piece that
can be separated, by figuring the place of separation, transgresses, in the
literal sense of the term, the surface’s function of limit. And as a limit
itself, it marks difference, thus transcending the effaceable trace of the
sensible: the pain of the wound becomes an ineradicable mark’. This initial
transgression, he says, is rediscovered in orgasm and in sadistic jouissance.
It is, says Leclaire, ‘the void or hole around which fantasy turns’. In
his ‘Réponse à des étudiants en philosophie sur l’objet de la psychanalyse’
which opens Volume 3, Lacan insists that, while posing a challenge to
dialectical materialism, his theory of language is nonetheless materialist; the
signifier, he claims, is ‘matter transcending itself in language’. This is in
fact a crucial moment for the legacy of the Cahiers, e.g. in the work of Badiou
and Slavoj Žižek, in that the symbolic nature of the signifier, as it well as
its transcendentalizing character, remains grounded in a materialism irreducible
to an account of raw inchoate matter. In a section titled ‘The Suture of
the Signifier, its Representation and the Object (a)’ from his contribution to
this volume, André Green further develops some of Leclaire’s criticisms of
Miller and also seeks to link the logic of the signifier to a more robust
account of affect and the body. The signifier plays a key role in Irigaray’s
contribution to Volume 3 as well. Developing Miller’s arguments from ‘La
Suture’, and supplementing them with a more extensive engagement with
linguistics, Irigaray focuses on the family romance of the Oedipus complex and
the emergence of subjectivity out of this scene. Irigaray maps out and explains
the linguistic and intersubjective features of the transformation produced by
the entrance of a third term into the original dyad of child and Other. In his
or her very first relationship with the first Other, the child starts out as a
fluid entity, ‘not yet structured as “I” by the signifier’. ‘At the
introduction of the third party into the primitive relation between the child
and the mother, “I” and “you” are established as disjunction, separation’. The
mere presence of a third term, however, is insufficient for a radical break
with the imaginary dyad, since the third initially appears in the form of a
rival. ‘This opposition of “I” and “you”, of “you” and “I” remains “one” [on],
without potential for inversion or permutation - the father being only another
“you” - if the mother and the father do not communicate with each other’.
Later, Irigaray develops some of Lacan’s theses concerning the crucial role of
the phallic signifier. The ‘fundamental fantasy’ of the hysteric is that they
‘did not get enough love’. With regard to his or her mother’s desire, he or she
experiences themselves as marked by the sign of incompleteness and rejection,
‘unable to sustain the comparison with the phallic signifier’. For the male
hysteric, ‘the confrontation with the mirror is like the test of his
insignificance’. The obsessional neurotic, on the other hand, suffers
from an early excess of love. ‘His mother found him too appropriate a signifier
for her desire’. The phallic reference is attributed to some absent hero, an
all-powerful figure, whose death (as with the death of the father of the primal
horde in Freud’s Totem and Taboo) would only in any case guarantee the
subject’s ongoing acquiescence. The neurotic’s problem comes down to the
adequacy of his signified to his signifier; he remains ‘riveted to what he has
been’, unable to become. He is trapped in an empty ‘metonymy’, unable to
metaphorise, and thus enter a ‘true temporal succession’. As the title
suggests, the ‘signifier’ is the central concept of Jean-Claude Milner’s
reading of Plato’s Sophist in Volume 3, ‘Le Point du signifiant’. For Milner,
deeply inspired in this instance by Miller’s ‘La Suture’ the key movement in
Plato’s text is the vacillation of non-being as alternately function and term
in the chain of Plato’s discourse, a movement which evokes the summoning and
annulment of the subject that Miller found in Frege’s discourse. The signifying
chain is the ‘sole space suited to support the play of vacillation’. Wherever
an element in a linear sequence is replaced by an element which, as element,
transgresses this linearity (as in the mechanism of structural causality
identified by Miller in ‘Action de la structure’, CpA), a ‘vacillation’ is
produced within the chain. Milner gives the examples of (1) the founding
exception of a chain, and (2) any marking of the place of an erasure. The institution
of a linear sequence is governed by a vacillation that testifies to a ‘double
formal dependence’, and which ‘retroactively defines the signifier as a chain’
(CpA). Plato’s chain of genera thus points towards the possibility of an ‘order
of the signifier in which being and non-being would regain those traits whose
very coupling guarantees truth and authorizes discourse’. Milner
speculates that the notions of being and non-being might borrow their traits
from the order of the signifier itself in its basic constitution. In a passage
cited by Leclaire, Milner mentions three aspects of vacillation. First, there
is ‘the vacillation of the element’, which is ‘the effect of a singular
property of the signifier’, and develops in a space ‘where the only laws are
production and repetition: being and non-being recover this relation through
their inverse symmetry, dividing themselves between term and expansion, between
mark and abyss’ (CpA). There is also a ‘vacillation of the cause’ insofar as
both being and non-being cannot posit themselves as cause except by revealing
themselves to be the effect of the other. Finally, there is the movement of
vacillation whereby the term that initially ‘transgresses the sequence’ calls
up a transgression that annuls the whole chain. Milner claims that
grounding Platonic ontology on the logic of the signifier also makes possible a
new understanding of the opposition between being and subjectivity. On the one
hand, there is being as the order of the signifier, the ‘radical register of
all computations’, totality of all chains, and on the other hand, the ‘one’ of
the signifier, the unity of computation, the element of the chain, non-being,
as the signifier of the subject (CpA). This latter reappears as such every time
that discourse deploys its power to ‘annul’ signifying chains. In the
next segment of his seminar, Leclaire focuses on the concept of drive
[pulsion]. He asks: is the object of the drive a signifier or the objet petit a
in Lacan’s sense? Leclaire explains that these two are indissociable: insofar
as it is the terminus of sought-for satisfaction, it is the objet petit a, but
insofar as it is connected with a differentiation in the body, it is a
signifier. The difference between the objet petit a and the obtained corporeal
satisfaction is ‘lived’ as an ‘antinomy of pleasure’, and through ‘the
representation of the splitting of the subject’ [la schize du sujet].
Derrida’s contribution to Volume 4, on the ‘writing lesson’ in Claude
Lévi-Strauss’s Tristes Tropiques, presents his general case for a concept of
‘arche-writing’ that is in many respects distinct from the logic of the
signifier (CpA). For Derrida, the metaphysical tradition and classical
linguisticshave always presented writing as secondary to and dependent upon
speech, which they understood as the absolute immediacy of meaning, of the
signified to the signifier. Nevertheless, the rigorous development of
linguistics by Saussure and his followers demonstrated that spoken language was
structured not by a referential relationship to a signified but rather by the
homology of the differences between signifiers and the differences between
signifieds. In this situation, despite Saussure’s continued and classical
disdain for writing, the traditional understanding of writing provided a better
model for structural linguistics, because it also forewent the immediate
presence of a signified to its signifier. The general structure of language
then could be named ‘arche-writing.’ From this perspective, ‘the passage from
arche-writing to writing as it is commonly understoodis not a passage from
speech to writing, it operates within writing in general’ (CpA). In the
first section of his reading of Freud’s ‘Wolf Man’ case in Volume 5, ‘On the
Signifier’, Leclaire distinguishes the psychoanalytic signifier from the
linguistic signifier, which he describes a ‘psychic entity with two faces:’ a
combination of two elements - signifier (Saussure’s ‘acoustic image’) and
signified - that together constitute the sign; as such, it refers to the
signified object it denotes. According to this definition, ‘the signifier is
the phonic manifestation of the linguistic sign’ (CpA). As used by Jacques
Lacan, however, the signifier cannot be considered as an element derived from
the problematic of the sign, but rather as a fundamental element constituting
the nature and truth of the unconscious (CpA). While Peirce famously defined
the signifier as what ‘represents something for someone,’ Lacan declares that
the psychoanalytic signifier ‘represents a subject for another signifier.’
Their functions of representation thus differ radically. To elucidate
this function, Leclaire cites two important essays from previous issues of the
Cahiers, Jacques-Alain Miller’s ‘La Suture’ (CpA) and Jean-Claude Milner’s ‘Le
Point du signifiant’. For Miller, the central paradox of the Lacanian signifier
is that ‘the trait of the identical represents the non-identical, from which
can be deduced the impossibility of its redoubling, and from that impossibility
the structure of repetition as the process of differentiation of the
identical’. Milner adds that ‘The signifying order develops itself as a chain,
and every chain bears the specific marks of its formality’: the vacillation of
the element, the vacillation of the cause, and ultimately the vacillation of
transgression itself, ‘where the term that transgresses the sequence, situating
as a term the founding authority of all terms, calls the one to be repeated as
term transgression itself, an agent [instance] which annuls every chain’ (CpA).
Leclaire embraces these formulations, but points out that they do not explain
how the psychoanalyst can distinguish a given signifier. While any element of
discourse may be a signifier, the psychoanalyst must be able to differentiate
between signifiers, to privilege some over others. He warns against ‘the error
of making the signifier no more than a letter open to all meanings,’ and argues
that ‘a signifier can be named as such only to the extent that the letter that
constitutes one of its slopes necessarily refers back to a movement of the
body. It is this elective anchoring of a letter (gramma) in a movement of the
body that constitutes the unconscious element, the signifier properly speaking’
(CpA). Its development of a kind of prototype of the sought-after ‘logic
of the signifier’ accounts for the inclusion of Dumézil’s ‘Les Transformations
du troisième du triple’. DUMEZIL argues that the multiple references in ROMAN legend
to figures named ‘ORAZIO’ (for instance, the story of ORAZIO Cocles in LIVIO)
‘have a signifying trait in common’ [un trait significatif]. All the narratives
concern single combatants performing feats of extraordinary military prowess.
The recurrence of these narratives, suggests Dumézil, indicate the remnants of
a ritual function. This emphasis on a recurrent function resonates with
Milner’s insistence to Leclaire on the homogeneity of places, as opposed to the
heterogeneity of terms, in the ‘Compter avec la psychanalyse’ segment in Volume
3 (CpA). In his analysis of Freud’s ‘A Child is Being Beaten’, also in
Volume 7, Jacques Nassif arrives at an account of ‘the place assigned to the
subject in the signifying order’ (CpA). He suggests that the model can also
help to explain the process of the overdetermination of symptoms, which can be
thought as a ‘co-presence in the same archaeological disposition’ of superseded
phases (CpA). Fantasy thus becomes the privileged site where the unconscious,
structured like a language, ‘communicates with the signifying order that is language
properly speaking’ (CpA). In their questions to Foucault which open
Volume 9, the Cercle d’Épistémologie enquires into Foucault’s method for
reading texts, navigating his conception of language and the signifier. ‘What
use of the letter does archaeology suppose? This is to say: what operations
does it practice on a statement in order to decipher, through what it says, its
conditions of possibility, and to guarantee that one attains the non-thought
which, beyond it, in it, incites it and systematises it? Does leading a
discourse back to its unthought make it pointless to give it internal
structures, and to reconstitute its autonomous functioning?’ (CpA). In
his ‘Remarques pour une théorie générale des idéologies’ in Volume 9, Thomas
Herbert [Michel Pêcheux] develops an Althusserian account of ideology in which
the logic of the signifier plays a key role. Herbert establishes how operations
which take place within the ‘ideology of the empirical form’ are ‘fascinated by
the problem of the reality to which the signifier must adjust’ (CpA). In
establishing these semantic adjustments, the process itself is never forgotten
or hidden. Indeed, it is the very process of adjustment itself that is the
motor of ideological operations, and ruptures, at this level. By contrast, with
ideologies of the speculative form, the operation takes place at the level of
syntax, that is, in the relation of signifier to signifier, not in the
‘adjustment’ of signifier to signified. In Herbert’s reading, the ‘social
effect’ is well described by Lacan’s description of the mechanism in the
signifying chain which produces the subject effect in language: ‘the signifier
represents the subject for another signifier.’ What is essential to this
Lacanian formulation is that the sequence is one that covers its own traces;
unlike the adjustment between signifier and signified that occurs out in the
open in type ‘A’ ideologies (empirical form), in type ‘B’ (speculative form)
the subjectification that occurs is constitutively forgotten. The ‘subject effect’
covers over the rupture that was its own condition. The ideas of Nicos
Poulantzas serve Herbert in the following formulation: ‘let us say briefly that
the putting into place of subjects [i.e., the syntactic chain] refers to the
economic instance of the relations of production, and the forgetting of this
putting into place to the political instance’ (CpA). In other words, what goes
by the name of ‘politics’ in this social formation, i.e., the ‘State’, is the
sign of the forgetting of the social ordering itself, which is anterior to
‘politics’. In their preamble to the dossier on the ‘Chimie de la Raison’
which concludes Volume 9, the Cercle d’Épistémologie presents the ‘chemistry of
reason’ – found in the works of D’Alembert, Lavoisier, Mendeleev, or Cuvier –
in a manner that evokes the ‘logic of the signifier’ that has been the
journal’s guiding concern: To construct a chemistry of reason is thus to
refer the sciences to the jurisdiction of the whole [tout], but this is also by
the same stroke to submit them to another necessity. For this whole is also
substantial since, being the science of the simple and the compound [composée],
chemistry must direct its effort toward generating, through the sole operation
of combination, all the materials that make all the things of the world; saving
phenomena thus requires that chemistry constitute them as such, as a plenitude
and liaison of substances. We see here that the crucial relation [relation] to
the whole is but the reverse of a relation [rapport] to the representation to
which chemistry is so intimately tied, namely that, given that anything
representable is an object of analysis, all analysis is thus deduction from a
representable body (CpA).Grice: “Fano is too obsessed with the ‘acoustic image’
(imagine Acustica) whereas Saussure is careful to add “acosutique ou sensible”
– ‘immagine Acustica o imagine sensibile” – if we allow for imagine sensibile,
the priority of the sound evaporates, and so does that of the tongue – and all
the glossological societies of Europe!” -- Giorgio Fano. Fano. Keywords: Fano
insists that the semiogonia, i. e. the origin of meaningful gestures will
provide a clue as to the essence of the semiotic communication. He relies on
Morris, Ferruccio Landi, Peirce, and Croce. He is interested in Croce’s views
on ‘expression’ and Landi’s views on ‘lavoro.’ Fano is critical of Peirce. This
is going on at the same time as Grice is giving seminars on Peirce at Oxford.
Grice: “I agree with Fano that ontogenesis repeats phylogenesis, and that we
should concentrate on utterances which are meaningful generally – ‘signare’ is
a good verb in Italian for that.’ Grice: “In my view, it is the agent who signs
that… ‘signa che’ – signat quod. The ‘-ficare’ only complicates things. A dark
cloud ‘signa’ rain. And, by my hand gesture, I sign that going out is not a
good day in view of the coming rain. Keywords:
glossogonia, glottogonia, teoria glottogonica, dottrina glottogonica, teoria
glossogonica, dottrina glossogonica, semiotics of the tongue, Croce. La glossogonia.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fano” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Fardella: all’isola – FILOSOFO
SICILIANO, NON ITALIANO -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del sensuale -- sensismo, sensualismo – romano – scuola di
Trapani – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trapani). Filosofo trapanese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Trapani, Sicilia. Grice: “I like Fardella; for one, he is a
systematic philosopher; for another, he compares Aristotle (‘demonstratio
peripatetica’) with Cartesio, as the Italians call him (‘demonstratio
cartesiana’) – And while Italians consider him a reactionary Cartesian, I
deem him a closet Aristotelian!”. Studia a Messina sotto BORELLI (si veda), dal quale
accetta l’atomismo di LUCREZIO, ma abbraccia il pensiero di Cartesio, dopo
averne appreso gl’insegnamenti durante il suo soggiorno a Parigi, grazie alle
conversazioni con Arnauld, Malebranche e Lamy.
Insegna matematica a Roma, Modena, e Padova. Tenne corrispondenza con
Leibniz e polemizza con Giorgi attacca il cartesianesimo. Il suo razionalismo,
per quanto riconosca che solo Cartesio trova, fra gl’antichi e i moderni, il
retto e naturale metodo di filosofare, è tuttavia relativo, adeguato com'è al platonismo.
Il mondo è organizzato secondo principi d’aritmetica e geometria. Ogni cosa ha peso,
numero e misura, ossia secondo le leggi statiche, aritmetiche e geometriche.
Mediante l’aritmetica e la geomtria si comprende il mondo e si comprende così
la logica. Nel punto, che non ha peso,
non ha grandezza, non è divisibile, è tuttavia l'origine di ogni estensione. Nel
punto, come il numero nell'unità, si risolve l'estensione. L'anima, che non ha
estensione (non e ‘res extensa’), è un punto. Non è possibile dimostrare
l'esistenza indipendente della realtà materiale. La stessa esperienza ci
insegna che spesso nel sogno percepiamo oggetti che veramente non possiamo
ammettere realmente esistenti. Quante volte, la notte, mentre dormo, vedo
splendere il sole sopra l'orizzonte e vedo muoversi in vari modi moltissime
cose prodigiose, che non sono niente extra ideam? Dunque, quel che sento e *vedo*
non può in nessun modo essere dedotto come realmente esistente. E se si
obbietta che una cosa è sognare, altra cosa è la veglia, per lui le cose che
percepiamo nella veglia potrebbe anche essere soltanto cose percepite con
maggiore chiarezza, distinzione e ordine, benché non siano niente in sé. I
sensi non danno certezza del mondo, la quale può ritrovarsi soltanto in la
legge dell’aritmetica e della geometria.
Altre opere: “Universae philosophiae systema, in qua nova quadam et
extricata Methodo, Naturalis scientiae et Moralis fundamenta explanantur
(Venezia); “Universae usualis mathematicae theoria” (Venezia); “Utraque
dialectica rationalis et mathemathica”; “Animae humanae natura ab Augustino
detecta in libris de Animae Quantitate, decimo de Trinitate, et de Animae
Immortalitate” (Venezia); Pensieri (Napoli); “Lettera antiscolastica” (Napoli).
Recensito immediatamente dopo la pubblicazione del primo e unico volume sulla
rivista scientifica Acta Eruditorum Universae Philosophae Systema, Descartes e
l'eredità cartesiana in Italia” Dizionario biografico degli italiani. Fardella elaborated a
Cartesian philosophy of language, pretty much avant Chomsky, but using the same
sources: Arnauld. While Chomsky focuses on Harris and others, he could at least
have dropped the “Fardella” name! Grice: “He possibly did have some Italian
friends in the Bronx!” Wikipedia Ricerca
Sensismo Lingua Segui Modifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Sensazione (filosofia). «Infatti, dato che ogni
sensazione è necessariamente gradevole o sgradevole, si è interessati a godere
delle prime e a sottrarsi alle seconde. Questo interesse è sufficiente a
spiegare le origini delle operazioni dell'intelletto e della volontà. Il
giudizio, la riflessione, i desideri, le passioni e via dicendo, non sono altro
che la sensazione stessa, la quale si trasforma in diverse maniere» (E.
Condillac, da Trattato sulle sensazioni) Il sensismo è un termine che designa
quelle dottrine filosofiche che riportano ogni contenuto e la stessa azione del
conoscere al sentire, ossia al processo di trasformazione delle sensazioni,
escludendo in tal modo dalla conoscenza tutto quello che non sia riportabile ai
sensi. A volte viene usato come suo sinonimo sensualismo, che però trova
definizione diversa. Mentre nella storia della filosofia la parola senso compare,
a partire dalla αίσθησις di Aristotele, per indicare la facoltà di
"sentire" (cioè di percepire l'azione di oggetti interni al corpo o
esterni ad esso), le origini del sensismo, come filosofia, possono ritrovarsi
in alcune affermazioni dei sofisti. Già Protagora affermava che l'anima
non fosse altro che un complesso di sensazioni: fu una tesi ripresa in maniera
più approfondita dagli stoici e dagli epicurei. La cultura romana e
quella medievale hanno conservato il concetto riduttivo di senso, proprio della
definizione aristotelica: è solo nei tempi moderni, con Locke prima e poi
specialmente con Kant, che la parola senso assume il significato di sentire
insieme alla consapevolezza di ciò che avviene sentendo. I sensisti
moderniModifica La dottrina sensista si precisa nella filosofia moderna, con il
pensiero rinascimentale, nella filosofia della natura di TELESIO (si veda), che
dà vita a una prima forma di metodologia scientifica basata sull'esperienza, e
poi in CAMPANELLA (si veda) e PERSIO. Quest'ultimo intende la natura come
un complesso di realtà viventi, ciascuna senziente, animata e tendente al
proprio fine (in base al concetto aristotelico di entelechia), e d'altra parte
tutte unificate e armoniosamente dirette verso un fine universale da una comune
Anima del mondo, secondo la concezione tipicamente neoplatonica. La visione
campanelliana è detta per questo pansensismo cosmico, (dal greco πάν, pàn, che
significa tutto, e sensismo) a indicare una specie di sensibilità cosciente di
tutto l'universo: il grande bestione vivente nella visione di BRUNO (si veda).
Caratteristiche del sensismo, che lo accostano al materialismo, si trovano in
Hobbes il quale negli Elementi e nel De corpore sviluppa il suo sistema
materialistico, meccanicistico onnicomprensivo, basandolo sull'elemento
sostanziale corpo e su quello accidentale di moto. La sensazione è il risultato
del moto dei corpi che generano le immagini, le sensazioni di piacere e dolore
e le passioni. Tutto si origina da un moto, da un'azione a cui corrisponde un
contromovimento, una reazione, che produce immagini fenomeniche; tutta la vita
teoretica e morale può essere ricondotta alla sensazione. Pur da una
posizione di deciso rigetto della filosofia di Hobbes, anche Anthony
Ashley-Cooper, III conte di Shaftesbury esprimerà una teoria di tipo sensista.
Il sensismo di CondillacModifica Condillac Il termine
"sensismo" è stato attribuito prevalentemente alla dottrina di
Condillac espressa nel Traité des sensation, la quale riprende molte
formulazioni che erano state proprie delle teorie di Locke, eliminandone però
gli aspetti più propriamente psicologici, e sottolineando come tutte le facoltà
conoscitive si sviluppino, in modo più o meno diretto, dall'azione dei
sensi. In questo senso, è famoso l'esempio di Condillac, il quale
suggerisce di immaginare una statua dalle fattezze umane, la quale
progressivamente si anima a mano a mano che prendono vita i vari sensi, e in
particolare il tatto, il quale le permette la consapevolezza della realtà
propria e del mondo circostante. Ciò che finora veniva attribuito all'attività
spirituale, al giudizio, al desiderio e alla volontà non sono che
"sensazioni trasformate". Va sottolineato che il sensismo non
coincide con il materialismo, giacché il primo si limita a esprimere la
posizione di chi afferma il primato della conoscenza sensibile, senza tuttavia
determinare in alcun modo i contenuti che questa conoscenza possa
raggiungere. La posizione sensista riguarda quindi esclusivamente
la forma della conoscenza, in particolare il modo in cui si formano e si
espletano le varie facoltà conoscitive. Dire che la nostra conoscenza si
origina dalla sensazione non vuol dire che la materia di per sé sia causa di
movimento e sensazione per cui l'uomo alla fine sia un essere completamente
materiale. Proprio in ragione di questo, Condillac poté teorizzare l'esistenza
di Dio e l'immortalità dell'anima, congiungendo sensismo gnoseologico e
spiritualismo. La via del materialismo su base sensistica venne
intrapresa invece da Mettrie, Helvétius e Holbach, più conosciuto con lo
pseudonimo di Mirabaud. Per Mettrie estensione, movimento e sensibilità
caratterizzano tutto ciò che è materiale; l'uomo stesso è una macchina
("L'homme machine") condizionata da leggi biologiche. Helvetius
condivide con Condillac l'idea che la conoscenza derivi dalle sensazioni ed
estende quindi, nell'opera Lo Spirito (1758), la natura sensibile anche alla
moralità riducendola a pure motivazioni utilitaristiche. Per
Holbach l'affermazione decisa del materialismo è collegata all'ateismo e alla
negazione di ogni libera volontà nel comportamento dell'uomo. Il
materialismo in effetti era negato dagli illuministipoiché essi vi vedevano il
mascheramento della vecchia pretesa metafisica di spiegare in maniera
onnicomprensiva e totale l'universo. Si può affermare che, da molti di loro, il
materialismo era sostenuto non tanto per ragioni gnoseologiche quanto per fini
politici e morali come una polemica protesta, cioè, nei confronti
dell'autoritarismo politico e religioso dei loro tempi. NoteModifica ^ Aristotele,
De anima aveva dato una definizione del tutto corretta e coerente col pensiero
del tempo, ancora molto lontano dal concepire una possibile sensibilità
specifica di un essere umano come caratteristica peculiare della sua
individualità. Nihil est in
intellectu, quod non prius fuerit in sensu». (Locke Saggio sull'Intelletto Umano. Ed
aggiungeva Leibniz: excipe: nisi intellectus ipse (Leibniz Nuovi saggi
sull'intelletto umano) «fatta eccezione per l'intelletto stesso». Calogero,
SENSISMO, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Intuito Sensibilità
(filosofia) Senso comune Pensiero Percezione Collabora a Wikizionario
Wikizionario contiene il lemma di dizionario «sensismo» Collegamenti
esterniModifica sensismo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Guido
Calogero, SENSISMO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1936. sensismo, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, (Sensismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc.Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano
di filosofia Materialismo concezione
filosofica Étienne Bonnot de Condillac filosofo, enciclopedista e
economista francese Sensazione (filosofia) concetto filosofico
Wikipedia Il contenuto Sessualità nell'antica Roma Lingua Segui Modifica
Gli atteggiamenti e i comportamenti riferibili alla sessualità nell'antica Roma
sono stati variamente descritti nell'arte romana, nella letteratura latina e
nel Corpus Inscriptionum Latinarum; in misura minore anche da reperti di
archeologia classica, quali manufatti di arte erotica (vedi ad esempio l'arte
erotica a Pompei e Ercolano) e di architettura romana. Rapporto
sessuale in posizione con donna sopra, calco in gesso di un medaglione in
terracotta del I secolo. L'iscrizione dice: "guarda come mi stai aprendo
bene". È stato talvolta ipotizzato che la "licenza sessuale
illimitata" fosse una delle caratteristiche più peculiari del mondo Romano
antico: "La sessualità degli antichi Romani non ha mai avuto buona stampa
in Occidente, da quando si è verificato il predomino culturale del
cristianesimo. Nella fantasia popolare e nella cultura di massa questa è
sinonimo di licenziosità e abuso sessuale. Tuttavia la sessualità non è stata
affatto esclusa dalle preoccupazioni del mos maiorum, il nucleo della
tradizione etica della civiltà romana; ciò si è verificato attraverso
consolidate norme sociali che hanno interessato la vita pubblica, privata e
finanche militare. "Pudor", ossia vergogna-pudore, è stato un
fattore di regolazione del comportamento, oltre che parte di sentenze legali
riguardanti casi di trasgressioni sessuali avvenute sia durante il periodo
della repubblica romana che in quello dell'impero romano[6]. Il censore,
pubblico ufficiale nonché magistrato adibito alla supervisione della
"moralità pubblica", era anche atto a determinare il rango (ossia la
classe sociale) degli individui; egli aveva tra gli altri anche il potere di
rimuovere quei cittadini ritenuti colpevoli di cattiva condotta sessuale dal
senato romano e/o dall'antica casta aristocratica del patriziato, ed in alcuni
casi ciò è effettivamente avvenuto. Lo studioso e filosofo francese Foucault,
nella sua opera Storia della sessualità, ha considerato la realtà sessuale in
tutto il mondo greco-romano come severamente disciplinata dalla moderazione e
dall'arte di gestire il piacere sessuale[8]. La società romana era
fortemente intrisa di patriarcato(vedi la figura del Pater familias), e il
concetto di mascolinità si basava essenzialmente sulla capacità di governare se
stessi e gli altri, cioè oltre che gli schiavi e i sottoposti anche la propria
persona, e ciò valeva pure nell'ambito delle relazioni sessuali.
"Virtus", la virtù-il valore, è stato un ideale mascolino di
auto-disciplina attiva e che si viene direttamente a riferire alla parola
latina indicante il maschio-Vir (la virtù è pertanto caratteristica dell'uomo
inteso come rappresentante mascolino della società). Un satiro in
compagnia di una ninfa, simboli mitologici della sessualità. Mosaico rinvenuto
nella casa del Fauno a Pompei. L'ideale corrispondente al termine
"Vir" per la donna era la pudicitia, spesso tradotta come castità o
modestia; ma essa rappresentava in realtà anche una qualità personale più
pro-positiva e finanche competitiva, che doveva ben raffigurare sia il fascino
che l'auto controllo di cui doveva essere dotata per Natura la matrona romana.
Le donne delle classi superiori avrebbero dovuto essere colte, forti di
carattere, ed attive nell'impegnarsi a mantenere la posizione del proprio clan
familiare all'interno della società civile. Ma, tranne pochissime
eccezioni, la letteratura ha conservato nei riguardi della sessualità solamente
le voci dei colti patrizi di sesso maschile; è sopravvissuta quindi soltanto
una parte del "discorso sessuale" presente nell'antica Roma. L'arte
visiva era invece solitamente creata da individui di status sociale inferiore e
rappresentanti di una gamma etnica più ampia di quella più prettamente
letteraria; ma essa si è anche trovata a doversi adattare al gusto ed alle
inclinazioni di coloro che erano abbastanza ricchi da permettersela e che
potevano includere durante l'epoca imperiale anche alcuni liberti; pertanto,
anche in tal caso, non risulta essere completamente affidabile. Alcuni
atteggiamenti e comportamenti di natura sessuale ben presenti all'interno della
cultura romanadifferiscono notevolmente da quelli della successiva cultura
occidentale[13]. La religione romana ad esempio promuoveva la sessualità come
uno degli aspetti fondamentali di prosperità per l'intero Stato; singoli
individui potevano rivolgersi alla pratica religiosa privata, o anche alla
magia, per migliorare la loro vita erotica o la salute e capacità riproduttiva;
inoltre la prostituzione nell'antica Roma era legale, pubblica e diffusa.
Soggetti artistici che oggi definiremmo senza esitazione come pornografia erano
ampiamente presenti tra le collezioni d'arte delle famiglie più rispettabili e
di elevato status sociale. Si riteneva del tutto naturale, e il fatto in
sé era "moralmente" irrilevante, che un uomo adulto potesse essere
attratto sessualmente da adolescenti di entrambi i sessi; la pederastia veniva
tranquillamente accettata fintanto che essa riguardava partner maschili - anche
giovanissimi - che non fossero cittadini romani, quindi coloro che non erano
nati liberi o attualmente in una condizione di schiavitù. La dicotomia moderna
di eterosessuale ed omosessualenon costituiva in alcuna maniera la distinzione
primaria del pensiero romano nei riguardi della sessualità ed in lingua latina
non esistono neppure parole indicanti gli attuali termini che vengono a
distinguere nella sua totalità l'identità di genere o l'orientamento
sessuale. Nessuna censura morale vigeva contro l'uomo che godesse degli
atti sessuali compiuti con donne o altri uomini di livello inferiore al suo; a
patto che questi comportamenti non venissero a rivelare carenze o eccessi nel
carattere, né violassero i diritti e le prerogative degli altri coetanei
maschi. Era invece la caratteristica dell'effeminatezza a venir percepita in
maniera unanimemente negativa, con casi divenuti celebri di denuncia letteraria
pubblica a mo' di scherno e invettiva; questo poteva accadere particolarmente
all'interno della retorica politica, quando si accusavano spesso e volentieri
gli avversari di essere effemminati, cioè affetti da forti carenze caratteriali
e pertanto del tutto inaffidabili anche per quel che concerneva la gestione
della cosa pubblica. Il sesso praticato con moderazione con prostitute o
giovani schiavi maschi non è mai stato considerato come improprio o un rischio
che potesse "viziare" l'intrinseca mascolinità, costitutiva dell'uomo
romano adulto; l'importante era che il cittadino assumesse sempre il ruolo sessuale
attivo e mai quello passivo (vedi attivo e passivo nel sesso).
L'ipersessualitàtuttavia è stata d'altro canto condannata sia moralmente che
come patologia medica, questo sia negli uomini che nelle donne. La
componente femminile della società era solitamente tenuta ad un codice morale
più rigoroso rispetto alla sua controparte maschile; relazioni omosessuali tra
donne sono scarsamente documentate, ma la sessualità femminile in genere è
stata ampiamente celebrata o insultata, a seconda dei casi, in tutta la letteratura
latina. Nella sua generalità, gli antichi Romani si trovarono ad avere
categorie di genere, se così si può dire, più flessibili rispetto all'antica
Grecia. Anche se analizzare la sessualità nell'antica Roma in rigidi
termini di opposizione binaria "penetratore-penetrato" può risultare
in parte fuorviante e dunque può oscurare la pienezza dell'espressività
sessuale antica tra individui presi nella loro singolarità, l'assenza d'una
qualsiasi altra "etichetta" per l'interpretazione culturale
dell'esperienza erotica fa sì che tale distinzione continui ad essere
utilizzata[19]. Anche la rilevanza stessa data alla parola
"sessualità" nella cultura romana antica è stata da alcuni contestata
ed è oggetto di disputa. Arte e letteratura eroticaModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Arte erotica e Letteratura
erotica. Pan che insegna al suo eromenosDafni a suonare il flauto. La
letteratura antica concernente la sessualità romana rientra principalmente in
quattro categorie: testi giuridici, medici, poetici e politici. Riferimenti a
tipologie di espressività sessuale ci provengono dalla commedia del teatro
latino, dalla satira, dalla poesia amorosa e dall'invettiva, dai graffiti,
dagli incantesimi magici e dalle iscrizioni; tali forme culturali considerate
come minori nell'antichità hanno avuto molto più da dire nei riguardi della
sessualità che i generi cosiddetti più elevati della tragedia e
dell'epica. Varie informazioni sulla vita sessuale della popolazione è
sparsa anche nella storiografia (nei riguardi di personalità conosciute),
nell'oratoria e in alcuni testi filosofici, oltre che negli scritti di
medicina, agricoltura e di altri argomenti tecnici. I testi di diritto romanosi
soffermano su quei comportamenti che si volevano disciplinare o vietare, senza
necessariamente indicare quel che le persone realmente facevano o meno. I
principali autori latini le cui opere hanno contribuito significativamente alla
comprensione della sessualità nell'antica Roma comprendono: Il
commediografo Tito Maccio Plauto, le cui opere ruotano spesso su trame
concernenti casi sessuali, con giovani amanti ad esempio tenuti separati dalle
avverse circostanze. Lo statista e moralista Marco Porcio Catone(detto "il
Vecchio") il quale offre scorci sulla sessualità vigente in un momento
storico che successivamente fu considerato come epoca avente gli standard
morali più elevati, di tutta la storia latina. Il poeta e filosofo LUCREZIO (si
veda), che presenta un lungo trattato sulla sessualità epicurea nella sua opera
De rerum natura. Gaio Valerio Catullo, le cui poesie esplorano tutta una serie
di esperienze erotiche avvenute verso la fine dell'epoca repubblicana; esse
spaziano da un più delicato sentimento romantico (l'amore verso le donne-Lesbia
e nei confronti dei ragazzi-Giovenzio) per giungere fino alle invettive più
brutalmente oscene ("Pedicabo ego vos et irrumabo"-io ve lo metto in
culo e in bocca). CICERONE (si veda) con numerosi interventi avvenuti in Senato
in cui attacca il comportamento sessuale degli avversari politici, a cominciare
da Gaio Giulio Cesare più volte additato come sessualmente ambiguo e quindi
anche pericoloso per l'incolumità statale; ma anche con lettere disseminate di
pettegolezzi contro l'élite romana che gli si opponeva. I poeti Sesto Properzio
e Albio Tibullo, che rivelano alcuni degli atteggiamenti sociali dell'epoca
quando descrivono le loro storie d'amore avvenute con giovani donne e
adolescenti maschi. Publio Ovidio Nasone, in particolare con i suoi Amores e
Ars amatoria i quali, secondo la tradizione, hanno contribuito notevolmente ad
affrettare la decisione dell'imperatore romanoAugusto di esiliare il poeta; ma
anche tramite la sua raccolta epica Metamorfosi la quale presenta tutta una
serie di miti a forte impronta sessuale (e ancora una volta sia con esempi di
amori tra uomini e donne che tra uomini e ragazzi) riguardante figure divine ed
esseri umani, con un'enfasi particolare data allo stupro - alla violenta
aggressione di tipo sessuale - attraverso la lente della lettura mitologica.
Marco Valerio Marziale, le cui osservazioni sulla società in genere sono spesso
e volentieri arricchite e rinforzate da invettive sessualmente esplicite.
Decimo Giunio Giovenale, che inveisce contro i costumi sessuali del suo tempo, attaccando
con particolare fervore le donne e gli uomini effeminati. Ovidio elenca anche
un certo numero di scrittori molto noti al tempo per il materiale salace
contenuto nelle rispettive opere, nessuna delle quali è però riuscita a
giungere fino a noi. Manuali sessuali greci, ma anche semplici testi di natura
pornografica sono stati pubblicati sotto il nome di famose etere (-cortigiane)
e diffusi ampiamente. Le novelle erotiche di Aristide di Mileto, i Milesiaká
furono tradotte da Sisenna, uno dei pretori; Ovidio definisce il libro come una
raccolta di misfatti-crimina e ci dice che l'intera narrazione era infarcita
con "barzellette sporche". A seguito della battaglia di Carre i parti
sarebbero rimasti scioccati nel trovare proprio quel libro nel bagaglio
ufficiale appartenente a Marco Licinio Crasso. L'arte erotica a Pompei e
Ercolano, rinvenuta solamente a partire dal tardo XVIII secolo, è una ricca
fonte di indizi sulla natura della sessualità nell'antica Roma, anche se non
del tutto priva di ambiguità; alcune delle immagini paiono difatti contraddire
almeno in parte le preferenze sessuali sottolineate in letteratura, ma potevano
queste essere destinate ad un intento satirico, per provocare quindi il riso o
alternativamente per sfidare gli atteggiamenti convenzionali seguiti.
Oggetti di uso quotidiano quali specchi e vasi in ceramica sigillata potevano
essere decorati con scene decisamente erotiche le quali potevano andare dalle
eleganti danze compiute in abiti succinti a disegni espliciti di penetrazione
sessuale. Dipinti erotici sono stati trovati nelle case più rispettabili della
nobiltà romana, come nota Ovidio: "vi è un piccolo dipinto (-tabella[30])
raffigurante varie tipologie di accoppiamenti... ma anche una Venere bagnata
che si asciuga i capelli gocciolanti con le dita, a malapena coperta dalle
acque. Questa Venere carica di erotismo appare tra le vari immagini che un
intenditore d'arte potrebbe sicuramente apprezzare. Tutta una serie di
dipinti rinvenuti all'interno delle terme suburbane di Pompei, pubblicati in
riproduzione, presentano una varietà di scenari erotici che paiono destinati a
divertire lo spettatore con rappresentazioni sessuali assai scandalose, tra cui
un ampio numero di posizioni sessuali, sesso orale e sesso di gruppo
eterosessuale, omosessuale e lesbico a scelta[33]. L'arredamento di una
camera da letto romano poteva riflettere letteralmente il suo uso sessuale: il
poeta augusteo Orazio possedeva presumibilmente una stanza con le pareti
interamente ricoperte di specchi, di modo che quando aveva la compagnia di una
prostituta poteva osservarla da tutte le angolazioni possibili[34].
L'imperatore Tiberio aveva le camere da letto decorate con i più lascivi e
sconci dipinti e sculture, ma veniva rifornito costantemente di "guide del
sesso" ricche di consigli e proposte scritte appositamente per lui dal
medico greco Elefantide. Si verifica un autentico boom di testi
riguardanti la sessualità, scritti sia in lingua greca che in lingua latina,
assieme ai romanzi d'amore; ma questo discorso franco e sincero sulla
sessualità scompare quasi del tutto dalla letteratura successiva, con i temi
sessuali che vengono riservati alla scrittura medica o alla teologia
cristiana. Il celibato era divenuto un ideale per un crescente numero di
fedeli cristiani; gli stessi padri della Chiesa come Tertulliano e Clemente di
Alessandria hanno disquisito sul fatto che anche il sesso coniugale dovesse
essere consentito solamente per la procreazione. Nel martirologio la sessualità
viene descritta come una delle peggiori torture rivolte contro la santa castità
del cristiano, soffermandosi anche sugli atti di mutilazione sessuale (in
particolare i seni) a cui venivano sottoposte in special modo le donne.
L'umorismo osceno di Marziale è stato per breve tempo fatto rivivere nel IV
secolo dallo studioso e poeta Ausonio, seppur nominalmente cristiano, evitando
però la predilezione dell'autore latino nei confronti della pederastia.
Sesso, religione e StatoModifica Così come per gli altri aspetti della vita romana,
anche la sessualità è stata sostenuta e regolata da precise tradizioni
religiose (vedi religione romana), sia per quanto concerne il culto pubblico
statale sia per quel che riguarda le pratiche religiose private e magiche. La
sessualità è in ogni caso una categoria importante del pensiero religioso
romano[40]. Il complemento di maschile e femminile è stato di particolare
importanza per la definizione del concetto romano di divinità. I Dei Consenti
erano un consiglio di coppie divine maschio-femmina equivalenti in qualche
misura alle dodici maggiori divinità Greche (vedi gli Olimpi). Almeno due tra i
"sacerdozi statali" erano svolti congiuntamente da una coppia di
coniugi. Le vergini Vestali, uno status sacerdotale riservato alle donne,
prendendo il voto di castità perenne, si vedevano riconosciuta una relativa
indipendenza dal controllo maschile; tra gli oggetti religiosi di maggior
pregio che avevano in custodia vi era anche il "fallo sacro. il fuoco di
Vesta doveva evocare l'idea della purezza sessuale nella femmina e
contemporaneamente rappresentare il potere procreativo del maschio. Gli
uomini che servivano nei vari collegia di sacerdoti (vedi pontefice (storia
romana)) avrebbero dovuto in ogni caso sposarsi e crearsi una famiglia.
Cicerone ha dichiarato che il desiderio di procreare era il vivaio della
repubblica, causa prima per l'esistenza di quella forma di istituzione sociale
chiamata matrimonio; a sua volta la casa-domus rappresentava l'unità familiare
ch'era il mattone della vita urbana. Molte delle festività romane stagionali
contenevano in sé degli elementi sessuali: i Lupercalia del mese di febbraio
sono stati celebrati fino al V secolo ed includevano un rito arcaico di
fertilità; mentre i Floraliaerano caratterizzati da danze che si svolgevano tra
persone nude. In alcune tra le più importanti feste religiose del mese di
aprile, partecipavano e venivano ufficialmente riconosciute anche le
prostitute. Le connessioni esistenti tra riproduzione umana, prosperità
generale e benessere dello Stato vengono ben incarnate dal culto romano di
Venere, che si differenzia dalla sua controparte Greca Afrodite soprattutto per
il suo ruolo di madre dell'intero popolo romano, questo attraverso il figlio
per metà mortale Enea. Durante il periodo delle guerre civili Silla, in
procinto d'invadere il proprio stesso paese con le legioni assoggettate al
proprio comando, ha fatto emettere una moneta raffigurante una Venere
incoronata in qualità di suo personale nume tutelare, affiancata da un Cupido
in possesso di un rametto di Palma (segno di vittoria). Sul retro vi erano
tropaion (trofei militari) assieme a simboli degli àuguri, sacerdoti statali
che svelano il volere degli dei. L'iconografia collega quindi la divinità
dell'amore col buon augurio di successo militare e con l'autorità religiosa. Il
dittatore romano assunse anche il titolo di Epafrodito-appartenente ad Afrodite.
Il fascinus fallico era onnipresente nella cultura romana ed appare
praticamente su ogni tipo di oggetto, dai gioielli agli antichi campanelli
eoliche o tintinnabulum fino alle lampade; era inoltre un potente amuleto atto
a proteggere i bambini e ai generali che
celebravano il proprio trionfo. Cupido è colui che ispira il desiderio erotico;
Priapo invece, importato dalla Grecia, rappresenta più la vera e propria
lussuria, intrisa però d'un fondamento fortemente umoristico; Mutunus Tutunus
promuoveva infine il sesso coniugale. Il dio Liber (versione latina di Dioniso)
si prendeva cura, tra le altre cose, anche delle "risposte
fisiologiche" durante l'atto sessuale. Vi erano infine tutta una serie di
divinità atte a supervisionare ogni aspetto della relazione amorosa, dal
concepimento fino al parto. Quando un maschio assumeva la toga virile
Libero diveniva il suo patrono; secondo quel che raccontano i poeti, in questo
momento egli lasciava la modestia innocente (-pudor) caratteristica
dell'infanzia per acquisire la libertà sociale (-Libertas) e poter iniziare
così la sua personale vita sessuale. La mitologia classica tratta spesso
di temi sessuali anche molto impegnativi, quali adulterio, incesto e stupro;
l'arte e la letteratura hanno proseguito con la scuola alessandrina la
trattazione di figure mitologiche erotiche le quali compivano in modo molto
umano, ma anche umoristico, atti sessuali in seguito del tutto rimossi dalla
dimensione religiosa. Concetti morali e giuridiciModifica
CastitasModifica La parola latina castitas, da cui deriva l'attuale castità, è
un sostantivo astratto che denota "una purezza morale e fisica di solito
in un contesto specificamente religioso" e a volte, ma non sempre,
riferendosi specificatamente alla castità sessuale. Il relativo aggettivo
castus-puro poteva esser usato sia per riferirsi a luoghi ed oggetti, così come
anche alle persone; l'aggettivo "pudicus" (da cui pudicizia, pudore)
descrive in maniera più particolareggiata una persona che è sessualmente
morale. I rituali di Cerere concernevano sia la castitas che la
sessualità, incarnando la Dea anche la maternità; la torcia portata in suo
onore in processione durante lo svolgersi del corteo nuziale era associata alla
purezza sessuale della sposa. Vesta era la divinità primaria del pantheon
romano associata al concetto di castitas, ed era essa stessa una Dea vergine;
le sue sacerdotesse vestali dovevano mantenersi vergini per tutta la vita,
avendo fatto voto di rimanere nubili. IncestumModifica L'incestum, da cui
deriva l'attuale incesto, ossia ciò che è "non castum", è un atto che
viola la purezza religiosa, forse sinonimo di ciò che è "nefas" (nefasto)
ovvero religiosamente inammissibile. La violazione ad esempio del voto di
castità professato da una Vestale era considerato come incestum: la punizione
riguardava sia la donna che l'uomo che la rendeva impura attraverso il rapporto
sessuale, sia che l'atto fosse stato consensuale che ottenuto con la forza. Lei
veniva seppellita viva, lui lapidato nel Foro. La perdita di castitas di una
vestale equivaleva alla rottura del patto stipulato tra Roma e gli dei, la pax
deorum e veniva generalmente accompagnata dall'osservazione di cattivi presagi
(-prodigia). L'accusa d'incestum che veniva a coinvolgere una vestale poteva
spesso coincidere con una situazione di agitazione politica e con pericoli di
sommosse. Marco Licinio Crasso venne assolto dall'accusa d'aver commesso
incestum con una vestale che condivideva il proprio nome di famiglia. Quello
che oggi s'intende per rapporti incestuosi erano solo una delle forme di
incestum, a volte tradotto anche come sacrilegio. Quando Publio Clodio Pulcro
si travestì da donna, violando così i riti della Bona Dea rivolti
esclusivamente alla componente femminile della società, si attirò l'accusa di
incestum. Nel diritto romano, ma anche nella morale vigente comune, lo stuprum
è il rapporto sessuale illecito, traducibile come depravazione criminale o crimine sessuale; esso viene a comprendere
diversi reati di natura sessuale, tra cui vi è anche "l'atto sessuale
illegale ottenuto con la forza e l'adulterio (uno stupro morale rivolto contro
il coniuge). Inizialmente col termine stuprum è stato considerato un atto
vergognoso in generale, o qualsiasi disgrazia pubblica, il che includeva ma non
si limitava alla sessualità considerata illecita, ma ai tempi della commedia
romana di Tito Maccio Plauto la parola aveva già acquisto il suo più ristretto
significato sessuale: innanzitutto uno stuprum può avvenire solo tra cittadini,
in quanto qualsiasi violenza sessualecommessa contro la schiavitù era
perfettamente lecita e quindi non punibile. Proprio la protezione contro la
cattiva condotta sessuale è sempre stato tra i diritti legali che maggiormente
contraddistinguono il cittadino dal non-cittadino. Raptus Derivante dal
verbo latino rapio/rapere, significa "strappar via, portar via,
rapire". Nel diritto romano il termine raptio viene utilizzato
principalmente per indicare il rapimento o sequestro. Il mitico ratto delle
Sabine rappresenta un sequestro della sposa o rapimento a scopo matrimoniale in
cui la violazione sessuale delle donne diviene un problema del tutto
secondario. Il sequestro di una ragazza non sposata dalla casa di suo padre era
in certi casi una "fuga di coppia" messa in atto in quanto non vi era
il permesso paterno alla celebrazione delle nozze. Leggi relative alla
violenza sessuale (azioni sessuali commesse con violenza o coercizione) sono
state codificate per la prima volta solo verso la fine dell'era repubblicana,
mentre il rapimento avvenuto con lo scopo di commettere un reato sessuale è
emerso come distinzione giuridica. Offerte votive di Pompei: peni, seni e un
utero. Guarigione e Magia L'aiuto divino poteva essere ricercato anche tramite
rituali religiosi privati che avvenivano, associati a lunghi trattamenti
medici, col compito di migliorare o bloccare la fertilità, o per cerar di
curare malattie degli organi riproduttivi Teorie della sessualitàModifica
Antiche teorie riguardanti l'ambito sessuale sono stati prodotti da e per
un'élite istruita. La misura in cui queste teorizzazione del sesso abbia
effettivamente interessato il comportamento quotidiano rimane discutibile,
anche tra coloro che fossero stati attenti agli scritti filosofici e medici che
hanno presentato tali opinioni. Questo si presenta come un discorso elitario,
mentre spesso deliberatamente critica i comportamenti più tipici o comuni, ma
allo stesso tempo non può essere assunta per escludere la possibilità che
questi valori fossero più o meno ampiamente seguiti nella società.
Una coppia eterosessuale, lampada a olio. Nel IV libro di Lucrezio, il De
rerum natura viene fornito uno dei passaggi più estesi sulla sessualità umana
nella letteratura latina. Yeats descrivendo la traduzione da John Dryden l'ha
definita la più bella descrizione del rapporto sessuale mai scritto. Lucrezio è
contemporaneo di Catullo e di Cicerone(verso la metà del I secolo a.C. ed il
suo poema didattico è una presentazione della filosofia epicureaall'interno
della tradizione della tradizione della poesia latina di Ennio.
L'epicureismo era materialista e dedito all'edonismo; il sommo bene qui è il
piacere, definito come l'assenza di dolore fisico e stress emotivo. L'epicureo
cerca di gratificare i suoi desideri con il minimo dispendio di passione e
fatica. I desideri sono classificati come quelli che sono naturali e necessari,
come la fame e la sete; quelli che sono naturali ma non necessari, come il
sesso; e quelli che non sono né naturali né necessari, compreso il desiderio di
dominare sugli altri e glorificare se stessi. È in questo contesto che Lucrezio
presenta la sua analisi dell'amore e del desiderio sessuale, che contrasta
l'ethos erotico di Catullo e ha influenzato i poeti d'amore del periodo
augusteo. La sessualità maschileModifica Durante tutta l'epoca
repubblicana la libertà politica di un cittadino romano ("Libertas")
è stata definita in parte dal diritto come un preservare il corpo dalla
costrizione fisica, il che comprendeva sia la punizione corporale che l'abuso
sessuale. Il valore-virtus era quella cosa che rendeva un uomo adulto ancor più
completamente uomo/maschio-vir ed era questa una delle principali tra le virtù
considerate attive. Gli ideali romani di mascolinità furono così la
premessa per l'assunzione di un ruolo attivo e dominante in ogni campo e sfera
della vita; questa era anche la prima tra le direttive imposte al comportamento
sessuale maschile: "lo slancio verso l'azione potrebbe esprimersi più
intensamente in un ideale di dominio che riflette la gerarchia della società
patriarcale romana. La mentalità di conquista faceva parte di un vero e proprio
culto della virilità che, in particolare, dava forma alle "regole"
riguardanti le pratiche omosessuali. Un tal accento posto sull'idea di
sottomissione e dominio ha portato gli studiosi a vedere le espressioni della
sessualità maschile degli antichi romani esclusivamente in termini di modello
binario penetratore-penetrato; cioè l'unico modo corretto per un maschio romano
di cercare gratificazione sessuale era quello d'inserire il suo pene nel/nella
partner. Permettere di lasciarsi penetrare invece rappresentava una minaccia
contro la sua libertà in quanto cittadino e contro la propria integrità
sessuale: l'attività sessuale definisce così, almeno in parte, la definizione
di libero cittadino rispettabile dallo schiavo o dalla persona "libera ma
sottomessa-passiva". Ci si aspettava ed era socialmente accettabile
per un maschio romano nato libero il voler intrattenere rapporti intimi con
partner di entrambi i sessi, questo almeno fintanto che egli prendeva ed
assumeva su di sé il ruolo dominante. Oggetti consentiti del desiderio erano
quindi le donne di qualsiasi condizione sociale o giuridica, coloro che
esercitavano la prostituzione maschile o gli schiavi, mentre i comportamenti
sessuali al di fuori dal vincolo matrimoniale dovevano essere limitati a
schiavi e prostitute o, meno frequentemente, ad una concubina. La
mancanza di autocontrollo, anche nella gestione della propria vita sessuale,
era un'indicazione che quell'uomo era incapace di governare gli altri[76]; il
puro e semplice godimento dato dal "basso piacere sensuale"
minacciava pertanto di erodere l'identità maschile elitaria della società, così
come la stima ed il rispetto rivolti naturalmente alla persona istruita. Era un
punto di orgoglio per Caio Gracco il sostenere che durante il suo mandato come
governatore provinciale rimase senza alcuno schiavo scelto tra i ragazzi di più
bell'aspetto, che nessuna prostituta visitò la sua casa, e che non avvicinò mai
gli schiavi-bambini appartenenti ad altri uomini. In epoca imperiale,
preoccupazioni circa la perdita della libertà politica e la subordinazione del
cittadino all'imperatore sono stati espressi da un percepibile aumento di
comportamento omosessuale passivo tra gli uomini liberi, accompagnato ciò anche
da una crescita documentata di punizioni corporali inflitte ai cittadini[79].
La dissoluzione degli ideali repubblicani di interità fisica in relazione alla
Libertas contribuisce e viene riflessa dalla licenza sessuale e dalla decadenza
associata con l'Impero[80]. Nudo eroico rappresentante Eurialo e
Niso, esempio di omoerotismo maschile in linea con la morale romana a detta di
Publio Virgilio Marone. Jean-Baptiste Roman. Nudità maschile Lo stesso
argomento in dettaglio: Storia della nudità. Mostrarsi nudi in pubblico poteva
essere offensivo o sgradevole anche in ambienti tradizionali; Cicerone deride
Marco Antonio come indegno di apparire quasi nudo come partecipante al
Lupercalia, anche se ciò veniva ritualmente richiesto. La nudità è uno dei temi
principali di questa festa religiosa che attira l'attenzione di Ovidio nei
Fasti, il suo lungo forma poema sul calendario romano[82]. Augusto, durante il
suo programma di revivalismo religioso, tentò di riformare i Lupercalia, in
parte sopprimendo l'uso della nudità, nonostante il suo aspetto di fertilità/
Connotazioni negative di nudità includono la sconfitta in guerra, dal momento
che i prigionieri sono stati spogliati, e la schiavitù, dal momento che gli
schiavi in vendita sono stati spesso esposti nudi. La disapprovazione nei
confronti della nudità era quindi nei tutta nei confronti della
"marcatura" ch'essa dava al corpo (esser nudi marchiava d'indegnità
il corpo deprivandolo della nobiltà che lo caratterizza in quanto cittadino;
questo significato era molto più presente rispetto a quello d'esser una mera
questione di cercare di reprimere il desiderio sessuale considerato inadeguato.
L'influenza proveniente dall'arte greca tuttavia ha portato sempre più a creare
ritratti di nudità eroicariferibili sia agli uomini che alle divinità romane,
pratica questa che ha avuto inizio nel II secolo a.C. Quando le statue dei
generali romani nudi alla maniera del culto rivolto ai sovrani ellenistici
cominciarono per la prima volta a diffondersi, vi fu da parte della popolazione
una forte reazione "scandalizzata", non tanto o non semplicemente
perché veniva esposta la figura maschile nuda, ma soprattutto in quanto
evocante concetti di regalità e divinità che si trovavano in contrasto con gli
ideali repubblicani di cittadinanza così com'era incarnata dalla toga. Il
dio Marte si presenta come uomo barbuto maturo in abito di generale, ciò quando
viene concepito come padre del popolo in tutta la sua dignità, mentre le sue
raffigurazioni giovanili, senza barba e nudo, mostrano tutta l'influenza
proveniente dalla rappresentazione greca di Ares. Nella prima arte augustea e
giulio-claudia l'adozione programmatica dello stile neoatticoe dell'arte
ellenistica ha portato alla più complessa significazione del corpo maschile
mostrato nudo, parzialmente nudo oppure indossante una lorica musculata (o
corazza eroica). Una notevole eccezione nei confronti della nudità in
pubblico riguardava le terme, purtuttavia anche in quest'ambito gli
atteggiamenti sono cambiati nel corso del tempo. CATONE (si veda) il Vecchio preferiva
non fare il bagno nudo alle terme in presenza del figlio, mentre Plutarco pare sottolineare
il fatto che nei suoi tempi e in quelli immediatamente precedenti poteva esser
ritenuto assai vergognoso per gli uomini maturi esporre i loro corpi davanti a
maschi più giovani. In seguito vi fu addirittura la possibilità per uomini e
donne di fare il bagno assieme. Fallicismo Lo stesso argomento in
dettaglio: Simbolismo fallico. La sessualità romana, così com'è ripetutamente
rappresentata in letteratura, è stata descritta come essenzialmente
fallocentrica. Il "fallo" (simbologia del pene in erezione)
doveva avere il potere di scacciare il malocchio ed altre forze soprannaturali
malefiche; è stato utilizzato come amuleto dalle capacità
"fascinatorie" (fascinus), di cui sopravvivono molti esempi in
particolare sotto forma di tintinnabulum. Il fallo dalle dimensioni e
dalla lunghezza esagerata è stato associato nell'arte romana col dio Priapo,
divinità itifallica per eccellenza). La raccolta poetica di autori anonimi
intitolata Carmina Priapea fa parlare direttamente il "dio dei
giardini", che minaccia allegramente di stupro tramite sesso anale
qualsiasi ladro potenziale e chiunque si azzardi ad oltrepassare i confini
della casa quando non ben accetto dai padroni. La maledizione scagliata da
Priapo può causare sia l'impotenza che uno stato tormentoso di eccitazione
perenne senza alcuna possibilità di remissione, il priapismo. Ci sono
all'incirca 120 termini latini registrati per indicare metaforicamente l'organo
sessuale maschile e nella stragrande maggioranza dei casi questi vengono a descrivere
il sesso del maschio come uno strumento d'aggressione, quando non come una vera
e propria arma. L'oscenità più comune per chiamare il pene è
"mentula", molto utilizzato da Marziale al posto di termini più
gentili o soft. Virga, come altre parole significanti ramo, asta, palo, trave
erano metafore comuni, così anche vomere o aratro. Castrazione e
circoncisioneModifica Alcuni romani, bramosi di conservare il più a lungo
possibile la bellezza pre-adolescenziale e femminea dei propri schiavi
(considerati e chiamati come deliciae o delicati-"giocattoli,
delizie") a volte li facevano sottoporre poco dopo la pubertà alla
castrazione, cioè all'asportazione dei testicoli nel tentativo di preservare
l'aspetto androgino della loro giovinezza. L'imperatore Nerone aveva il suo
castrato preferito di nome Sporo, che giunse fino al punto di sposarlo in una
cerimonia pubblica. Effeminatezza e travestitismo Quella di effeminatezza
era tra le accuse preferite rivolte agli avversari nel corso dell'invettiva
politica; essa colpiva soprattutto coloro che difendevano le istanze dei
populares, quella fazione politica i cui capi si presentavano come difensori
del popolo (democratici), che si trovava perennemente in contrasto con gli
ottimati, l'élite conservatrice nobiliare. Negli ultimi anni della
repubblica varie personalità tra i populares sono state tacciate d'esser
irrimediabilmente effeminate, oltre a Gaio Giulio Cesare anche Marco Antonio,
Publio Clodio Pulcro e Lucio Sergio Catilina assieme a tutti i suoi amici
cospiratori (vedi congiura di Catilina): venivano tutti derisi in quanto
eccessivamente curati (ben vestiti e profumati) o perché giravano voci
insistenti su loro trascorsi sessuali con altri uomini nei cui confronti
avrebbero assunto il ruolo denigrato della femmina; allo stesso tempo però
l'effeminato era anche il donnaiolo, il Don Giovanni impenitente in possesso di
fascino e carisma superiori alla norma e che amava vestirsi elegantemente ed
esser sempre profumato. Forse l'episodio più celebre di crossdressingnell'antica
Roma si è verificato quando il succitato Clodio Pulcro violò i riti annuali
della Bona Dea e che erano riservati alle sole donne; essi si svolsero nella
casa di Cesare, nell'epoca in cui questi si trovava quasi al termine del suo
mandato di pretoree s'apprestava ad assumere l'investitura di pontefice
massimo. Clodio si travestì come una flautista per riuscire ad entrare, come
viene descritto da Cicerone che lo addita come sacrilego Togli il suo vestito
color zafferano, la sua tiara, le sue scarpette dai lacci viola, il suo
reggiseno e il suo Salterio, togli il suo comportamento sfacciato e il suo
crimine sessuale, ed ecco che allora Clodio si rivela improvvisamente come un
democratico. Le azioni di Clodio, che era stato appena eletto questore ed era
in procinto di compiere trent'anni, sono spesso state considerate come un
ultimo scherzo giovanile. La natura tutta femminile di questi riti notturni ha
attirato nel corso del tempo molta speculazione pruriginosa negli uomini; sono
state fantasticate come enormi orge lesbiche compiute tra i fumi dell'alcol e
che potevano pertanto anche essere molto divertenti da osservare. Clodio si
suppone che avesse avuto lo scopo di sedurre la moglie di Cesare, ma la sua
voce maschile lo ha smascherato prima di poter riuscire ad averne la
possibilità. Lo scandalo ha spinto Cesare a cercare di ottenere un divorzio
immediato per poter in tal maniera tenere sotto controllo i danni sopravvenuti
alla propria reputazione, dando origine alla famosa frase divenuta proverbiale "la
moglie di Cesare deve essere sopra di ogni sospetto." L'incidente ha
riassunto comunque il disordine vigente durante gli ultimi anni della
repubblica romana. L'ambiguità sessuale è poi una caratteristica
peculiare dei sacerdoti della dea Cibele conosciuti come Galli, il cui
abbigliamento rituale includeva capi femminile. Essi sono a volte considerati
come una specie di sacerdozio transgender, in quanto veniva richiesto loro di
sottoporsi ad auto-evirazione ad imitazione di Attis. La complessità
dell'identità di genere nella religione di Cibele e Attis e nel relativo mito
sono ben esplorate da Catullo in una delle sue poesie più lunghe, il Carme .Rapporti
omosessualiModifica mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Omosessualità
nell'Antica Roma. Lato della Coppa Warren che mostra il
"conquistatore erotico" del puer delicatus (ragazzino), incoronato.
Gli uomini romani erano del tutto liberi di avere rapporti sessuali con maschi
di status inferiore, senza per questo aver alcuna percezione di una qualche
perdita di mascolinità; soltanto coloro che prendevano il ruolo passivo nel
rapporto (a volte indicati come sottomessi) venivano fortemente denigrati come
deboli e privi di virilità. I cittadini romani che erano solitamente
contrassegnati come "maschile" potevano attuare la penetrazione
sessuale di uomini sia verso coloro che esercitavano la prostituzione maschile
che nei confronti degli schiavi i quali solitamente erano ragazzi sotto i
vent'anni d'età. La letteratura comprende molte opere che parlano di
omoerotismo; comprende le poesie di Catullo dedicate al suo ragazzino
quattordicenne di nome Giovenzio, le elegie di Tibullo e Properzio, la seconda
egloga delle Bucoliche di Virgilio e diverse poesie di Orazio. Lucrezio
affronta il tema dell'amore provato nei confronti dei ragazzi nel suo De Rerum
Natura . Sebbene OVIDIO (si veda) includa di trattare esempi mitologici di
omoerotismo nelle sue Metamorfosi, egli risulta altresì prendere al riguardo
una posizione che è insolita fra i poeti d'amore latini, ed in effetti tra i
Romani in generale, quando esprime opinioni aggressivamente eterosessuali. Il
Satyricon di Petronio Arbitro è talmente permeato di erotismo culturale di tipo
omosessuale che nei circoli letterari europei, il suo nome è diventato
addirittura un sinonimo di omosessualità. Anche se il diritto romano non
riconosceva il matrimonio tra uomini, nel periodo imperiale alcune coppie
maschili celebrarono riti matrimoniali tradizionali. Tali forme di matrimonio
tra persone dello stesso sesso sono riportati da fonti che li deridono; i
sentimenti dei partecipanti non sono registrati. Lo stupro sugli
uominiModifica Gli uomini che erano stati violentati perdevano la
legittimazione all'agire sociale, ne venivano esentati; acquisivano lo status
di infamia, lo stesso degli uomini dediti alla prostituzione maschile o di
quelli che assumevano volontariamente il ruolo passivo nell'atto sessuale.
Secondo il giurista Pomponio, dopo che l'uomo è stato violentato con la forza
dai ladri o dal nemico in tempo di guerra, dovrebbe sopportarne lo stigma. I
timori di stupri di massa a seguito di una sconfitta militare veniva esteso
anche ai maschi oltre che alle potenziali vittime di sesso femminile. Il
diritto romano ha affrontato lo stupro di un cittadino di sesso maschile già
nel II secolo a.C., quando venne emessa una sentenza riguardante una causa che
potrebbe aver coinvolto un maschio di orientamento omosessuale; anche se un
uomo che aveva lavorato nell'ambito della prostituzione non poteva essere
violentato per una questione di diritto, è stato stabilito difatti che anche un
uomo poco raccomandabile e discutibile fosse in pieno possesso degli stessi
diritti degli altri uomini liberi di non avere il proprio corpo sottoposto da
una sessualità forzata. In un libro sull'arte della retorica lo stupro di un
maschio nato libero (ingenuus) è equiparato a quello di una matrona ed in
quanto ciò trattarsi di un crimine capitale. La Leges Iuliae#Lex Iulia de vi
publica et privata definisce lo stupro come il sesso forzato contro un ragazzo
o una donna e lo stupratore era oggetto di esecuzione, una sanzione alquanto
rara nel diritto romano. Costituiva inoltre un delitto capitale per un uomo
rapire un bambino nato libero per utilizzarlo in scopi eminentemente sessuali;
la corruzione del protettore del ragazzo per averne l'opportunità ne
rappresentava un'aggravante: in questo caso la negligenza degli accompagnatori
poteva essere perseguita sotto varie leggi, riversando patte della colpa su
coloro che non erano riusciti nelle loro responsabilità come guardiani,
piuttosto che sulla vittima. Anche se la legge riconosceva l'irreprensibilità
della vittima, la retorica utilizzata dalla difesa indica che i cosiddetti
"atteggiamenti colpevoli" avrebbeto potuto essere sfruttati fra i
giurati. Nella sua collezione di codici aneddotici che si occupavano d
assalti alla castità, lo storico Valerio Massimo dispone in egual misura di un
numero di vittime di sesso maschile rispetto a quelle di sesso femminile.
Sessualità militare. Il soldato romano, come ogni romano libero e rispettabile
dello Stato, avrebbe dovuto mostrare autodisciplina in materia di sesso. Ai
soldati colpevoli di adulterio veniva dato un congedo disonorevole, mentre agli
adulteri condannati era impedito l'arruolamento, con condanne rigorose che
potevano vietare le prostitute e i magnaccia dal campo, Anche se in generale
l'esercito romano, sia in marcia che in un forte permanente (castra)
mantenevano tra i partecipanti un numero di seguaci di campo che potevano
includere anche le prostitute. La loro presenza sembra essere data per scontata
e menzionata soprattutto quando poteva diventare un dato problematico; per
esempio quando Scipione Emiliano stava partecipando all'assedio di Numanzia respinse
i seguaci sessuali del campo come una delle sue misure per il ripristino della
disciplina. Forse la cosa più singolare è il divieto contro il matrimonio
romano mentre si faceva parte degli effettivi dell'esercito imperiale. Nel suo
primo periodo, Roma aveva un esercito di cittadini che avevano lasciato le
proprie famiglie per prendere le armi, quando ve ne fosse stato bisogno.
Durante l'espansionismo della media repubblica romana, Roma iniziò ad acquisire
vasti territori da difendere come le province (vedi la provincia romana), ma
nel corso dell'epoca di Gaio Mario l'esercito era stato sempre più
professionalizzato. Il divieto di matrimonio per i soldati in servizio
iniziò sotto Augusto,forse per scoraggiare le famiglie al seguito dell'esercito
e compromettendone così la sua mobilità. Il divieto di matrimonio era applicato
a tutti i ranghi fino a quello del centurione; mentre per gli uomini delle
classi dirigenti c'era l'esenzione. Con il II secolo la stabilità dell'impero
conosciuta come pax romana ha costretto la maggior parte delle unità a forti
permanenze in terre lontane, cosicché si potevano spesso sviluppare rapporti
anche con donne locali. Sebbene legalmente queste unioni non potevano essere
formalizzate in matrimonio legittimo, è stato riconosciuto che il loro valore
stava nel fornire un supporto emotivo. Dopo che un soldato fosse stato
dimesso, alla coppia era concesso il diritto di matrimonio legale in quanto
cittadini (il connubium) e tutti i bambini che già eventualmente avevano veniva
loro concesso lo status di esser nati cittadini. Settimio Severo revocò il
divieto augusteo. Altre forme di gratificazione sessuale a disposizione
dei soldati erano l'uso di schiavi, gli stupri di guerra e la relazione tra
persone dello stesso sesso. Il comportamento omosessuale tra i soldati è stato
oggetto di sanzioni, compresa la pena la morte in quanto violazione della
disciplina e del diritto militare. Polibio riferisce che l'attività omosessuale
all'interno delle forze armate era punita con la fustuarium, una fustigazione
fino a morte. Il sesso tra commilitoni violava il decoro romano in quanto
s'intratteneva un rapporto sessuale con un altro maschio nato libero. Un
soldato aveva sopra ogni altra cosa il dovere di mantenere la propria
mascolinità, non consentendo in nessun caso pertanto che il proprio corpo
potesse essere utilizzato per scopi sessuali. Questa integrità fisica era in
contrasto con i limiti imposti sulle sue azioni come uomo libero all'interno
della gerarchia militare; più sorprendentemente, i soldati romani erano i soli
cittadini regolarmente sottoposti a punizioni corporali, riservate al mondo
civile soprattutto agli schiavi. L'integrità sessuale ha contribuito a
distinguere lo status del soldato, che altrimenti avrebbe sacrificato molto
della sua autonomia civile rispetto a quella dello schiavo. Nella guerra,
subire lo stupro equivaleva alla sconfitta, un altro motivo per il soldato di
non compromettere il proprio corpo sessualmente. La sessualità femminile
A causa dell'enfasi romana data alla famiglia, la sessualità femminile è stata
considerata una delle basi per l'ordine sociale e la prosperità. Ci si
aspettava che le donne romane esercitassero la propria sessualità all'interno
del matrimonio, e venissero premiate per la loro integrità sessuale (pudicitia)
e fecondità. Augusto concesse onori e privilegi speciali alle donne che avevano
dato alla luce almeno tre bambini, attraverso lo Ius trium liberorum; la sua
legge morale era incentrata sullo sfruttamento della sessualità delle
donne. Il controllo della sessualità femminile era considerata necessaria
per la stabilità dello Stato, tanto che era sancito nella forma più vistosa
data dalla verginitàassoluta delle Vestali attendenti al sacro fuoco. Una
vestale che avesse violato il proprio voto sarebbe stata sepolta viva in un
rituale che avrebbe imitato per alcuni aspetti le pratiche funerarie romane ed
il suo amante l'avrebbe seguita. La sessualità femminile, sia disordinata sia
esemplare, spesso poteva avere impatti anche profondi sulla religione di Stato
in tempo di crisi per la repubblica romana. Come avveniva per gli uomini,
anche per le donne libere che si fossero esposte sessualmente, come prostitute
od esecutrici di lenocinio, o che si fossero rese disponibili
indiscriminatamente, sarebbero state escluse dalla protezione legale dovuta
loro nonché dalla rispettabilità sociale. Molte fonti letterarie romane
approvano le donne rispettabili che esercitano la passione esclusivamente
all'interno dell'istituzione matrimoniale; mentre la letteratura antica prende
con prepotenza una visione fortemente maschilista della sessualità, il poeta
augusteo Publio Ovidio Nasone esprime invece un interesse esplicito e
praticamente unico del modo in cui le donne subiscono il rapporto sessuale (ciò
innanzi tutto nellArs amatoria ma anche negli Amores). Il corpo
femminileModifica Gli atteggiamenti morali nei confronti della nudità femminile
differivano, almeno in parte, da quelli dei Greci, pur essendo notevolmente
influenzati da loro; questi ultimi avevano idealizzato il corpo maschile nudo -
il nudo eroico - mentre ritraggono sempre le donne rispettabili coperte. La
parziale nudità delle dèe nell'arte imperiale romana, tuttavia, poteva mettere
in evidenza il seno come parte fisica dignitosa, ma in quanto per renderne
un'idea piacevole d'immagine di nutrimento, abbondanza e tranquillità.
L'arte erotica sopravvissuta di questo periodo indica che le donne con seni
piccoli e fianchi larghi raffiguravano l'ideale forma del corpo umano
femminile. Dal I secolo d.C. l'arte romana comincia a mostrare un vasto
interesse per il nudo artisticofemminile impegnato in varie attività tra le
quali anche la sessualità (vedi l'arte erotica a Pompei e Ercolano); l'arte
pornografica rappresentante donne in qualità di presunte prostitute nel momento
in cui svolgono atti sessuali poteva mostrare il seno coperto da uno
"strophium" (una sorta di reggiseno) anche quando il resto del corpo
era nudo. Nel mondo reale, così come viene descritto in letteratura, le
prostitute a volte si presentavano nude all'ingresso del cubicolo del bordello
a loro riservato, oppure si mostravano indossare abiti di seta trasparente; gli
schiavi (e schiave) in vendita sono stati spesso esposti nudi per consentire
agli acquirenti d'ispezionare i loro eventuali difetti, ma anche per simboleggiare
che non avevano il diritto di controllare il proprio corpo. Seneca il Vecchio
descrive il momento della vendita di una donna: "lei si presentò nuda
sulla riva, a piacere dell'acquirente: ogni parte del suo corpo è stato
esaminato e ritenuto. Volete ascoltare il risultato della vendita? Il pirata ha
venduto, il protettore ha comprato, che la si potesse impiegare come una
prostituta. La visualizzazione del corpo femminile lo rendeva
maggiormente vulnerabile, Varrone ha detto che la vista era il più grande dei
sensi, perché mentre gli altri sono in un modo o nell'altro limitati dalla
vicinanza, la vista poteva penetrare anche fino all'altezza delle stelle; egli
pensava che la parola latina per vista-lo sguardo intenso, "visus",
fosse etimologicamente collegato a vis-forza/potere. Ma il legame tra visus e
vis, continua, implica anche la possibilità sempre presente di violazione
(tramite quindi lo sguardo maschile), come Atteone guardando nuda Diana ne
aveva violato la divinità. Il corpo femminile completamente nudo come
viene ritratto nella scultura romana è stato pensato essenzialmente per
incarnare un concetto universale di Venere, la cui controparte greca Afrodite è
la Deapiù spesso dipinta in stato di nudità nell'arte greca. Genitali
femminili Il termine basilare osceno per i genitali femminili è
"cunnus"-fica, anche se forse non così fortemente offensiva come per
la moderna lingua anglosassone. Marziale utilizza la parola più di trenta
volte, Catullo una volta e Orazio tre solo nei suoi primi lavori; appare anche nei
Priapea e nei graffiti. Una delle parole gergali usate dalle donne per i loro
genitali era "porcus", in particolare quando donne mature discutevano
di ragazze; Varrone collega quest'uso della parola al sacrificio di un maiale
alla dea Cerere nel corso dei riti preliminari di nozze. Le metafore di
campi, giardini e prati sono anch'esse comuni, come lo è l'immagine dell'aratro
maschile riferito al solco femminile; altre metafore includono la grotta, la
fossa, il sacchetto, il vaso, la stufa, il forno e l'altare. Anche se i
genitali delle donne appaiono spesso nelle invettive e all'interno dei versi
satirici come oggetti di disgusto, sono invero raramente presenti nell'elegia
d'amore. OVIDIO (si veda), il più eterosessuale dei poeti classici d'amore, è
l'unico che si riferisce al dare un piacere alla donna attraverso la
stimolazione dei genitali; Marziale invece scrive dei genitali femminili
solamente in una maniera offensiva, descrivendo la vagina di una donna come
fosse l'esofago di un pellicano. e la paragona inoltre al sedere del ragazzo
come ricettacolo per il fallo. La funzione della clitoride
("landica") è stata ben compresa[135]; nel latino classico il termine
era di un'oscenità altamente indecorosa ritrovato solo nei graffiti e nei
Priapea. Il clitoride era solitamente indicato come una metafora, come ad
esempio fa Giovenale quando lo chiama "crista" (cresta) Omosessualità
femminile Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del lesbismo. Le parole
greche indicanti una donna che preferisce il sesso con un'altra donna includono
l'hetairistria (da confrontare con hetaira-cortigiana/compagna), tribas
(plurale tribadi) e lesbia Sessualità e gioventùModifica Sia i maschi che
le femmine nati liberi potevano indossare la "Toga praetexta", una
toga bianca normale con una larga striscia viola sui bordi; era riservata ai
ragazzi cittadini che non avevano però ancora raggiunto la maggiore età. Questa
toga assegnava chi la portava lo status di inviolabilità; lo stupro di un
ragazzo nato libero costituiva un crimine capitale. Riti di
passaggioModifica Ulteriori informazioni Questa sezione sull'argomento
sessualità è ancora vuota. Aiutaci a scriverla! Sesso, matrimonio e
societàModifica Relazione padrone-schiavoModifica L'attrattiva sessuale era una
delle caratteristiche principali richieste negli schiavi in quanto considerati
proprietà oggettiva, il loro padrone poteva utilizzarli sessualmente a
piacimento o anche richiederli in prestito se appartenevano ad altri. Le
lettere di Cicerone hanno suggerito ad alcuni studiosi che egli potesse aver
avuto una relazione omosessuale a lungo termine col proprio schiavo, e poi
liberto, di nome Marco Tullio Tirone. Prostituzione Lo stesso argomento
in dettaglio: Prostituzione nell'antica Roma. Atti sessuali e relative
posizioniModifica MasturbazioneModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Storia della masturbazione. Ermafroditismo e
androginiaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Ermafrodito, Afrodito e Androgino. NoteModifica ^ Catharine Edwards,
The Politics of Immorality in Ancient Rome (Cambridge Verstraete and Vernon
Provencal, introduzione a Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and
in the Classical Tradition (Haworth Per una più estesa discussione su come la
percezione moderna della decadenza sessuale romana sia stata prodotta ad arte
dalla polemistica cristiana nei suoi strali anti-pagani, vedi Blanshard,
"Roman Vice," in Sex: Vice and Love from Antiquity to Modernity
(Wiley-Blackwell, Langlands, Sexual Morality in Ancient Rome (Cambridge Hölkeskamp,
Reconstructing the Roman Republic: An Ancient Political Culture and Modern
Research (Princeton Langlands, Sexual Morality, p.17. ^ Langlands, Sexual Morality,
Fantham, "Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in
Republican Rome", in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature
from Plautus to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Richlin, "Not
before Homosexuality: The Materiality of the cinaedus and the Roman Law against
Love between Men", Journal of the History of Sexuality. Under the Empire,
the emperor assumed the powers of the censors Foucault, Storia della sessualità
vol. II: la cura di sé (New York: Vintage (in
contrasto con la visione cristiana della sessualità come "legata al
male") et passim, e come viene sintetizzato da Inger Furseth and Pål
Repstad, An Introduction to the Sociology of Religion: Classical and
Contemporary Perspectives (Ashgate, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico (Yale, originariamente in italiano Langlands, Sexual Morality,
Cantarella, Bisessualità nel mondo antico, Clarke, Looking at Lovemaking:
Constructions of Sexuality in Roman Art (California Press, Langlands, Sexual
Morality; Clarke, Looking at Lovemaking, McGinn, The Economy of Prostitution in
the Roman World (University of Michigan Press, 2004), p. 164. ^ Craig Williams,
Roman Homosexuality (Oxford, citando Saara Lilja, Homosexuality in Republican
and Augustan Rome (Societas Scientiarum Fennica, Nussbaum, "The Incomplete
Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman", in The Sleep of
Reason: Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome
(University of Chicago Skinner, introduction to Roman Sexualities (Princeton
Langlands, Sexual Morality, Edwards, The Politics of Immorality, Clarke,
Looking at Lovemaking, p. 8, sostiene che gli antichi romani "non hanno
un'idea consapevole della loro sessualità". Vedi anche Diana M. Swancutt,
"Still before Sexuality: 'Greek' Androgyny, the Roman Imperial Politics of
Masculinity and the Roman Invention of the tribas", in Mapping Gender in
Ancient Religious Discourses (Brill, e la discussione di costruttivismo sociale
contrario all'essenzialismo di Thomas Habinek, "The Invention of Sexuality
in the World-City of Rome", in The Roman Cultural Revolution (Cambridge
Clarke, Looking at Lovemaking, Richlin, "Sexuality in the Roman
Empire", in A Companion to the Roman Empire (Blackwell, Richlin,
"Sexuality in the Roman Empire," Ovid, Tristia Griffin,
"Propertius and Antony", Journal of Roman Studies Ovid, Tristia
Hofmann, Latin Fiction: The Latin Novel in Context (Routledge, Plutarco, Vita
di Crasso Clarke, Looking at Lovemaking, p. 3 et passim. ^ Clarke, Looking at Lovemaking, La
"Tabella" era un piccolo dipinto portatile, distinto dalla pittura
murale permanente. ^ Ovidio, Tristia
2, così com'è citato da Clarke in Looking at Lovemaking, Clarke, Looking at
Lovemaking, Clarke, Looking at Lovemaking, quotation. L'osservazione critica
proviene da Svetonio, Vita di Orazio: Ad res Venerias intemperantior traditur;
nam speculato cubiculo scorta dicitur habuisse disposita, ut quocumque
respexisset ibi ei imago coitus referretur; Clarke, Looking at Lovemaking,
Svetonio, Vita di Tiberio Clarke, Looking at Lovemaking, Richlin,
"Sexuality in the Roman Empire," Richlin, "Sexuality in the
Roman Empire, Ad esempio, Agatha of Sicily e Febronia of Nisibis; Sebastian P.
Brock and Susan Ashbrook Harvey, introduction to Holy Women of the Syrian
Orient (University of California Harvey, "Women in Early Byzantine
Hagiography: Reversing the Story," in That Gentle Strength: Historical
Perspectives on Women in Christianity (University Press of Virginia,. I racconti di mutilazione del seno si trovano nelle
fonti e nell'iconografia cristiana, non nell'arte e nella letteratura romana..
^ Richlin, "Sexuality in the Roman Empire, Anche se non vi sono dubbi sul
fatto che Ausonio fosse un cristiano, le sue opere contengono molte indicazioni
che dimostrano un notevole interesse - forse addirittura ne è stato un
praticante - nei riguardi delle religioni tradizionali romane e celtiche. Come sostenuto da Ariadne
Staples in tutto il suo From Good Goddess to Vestal Virgins: Sex and Category
in Roman Religion (Routledge, Schultz, Women's Religious Activity in the Roman
Republic (University of North Carolina Lipka, Roman Gods: A Conceptual Approach
(Brill, See Flamen Dialis and rex sacrorum. Beard, North, and Price, Religions
of Rome: A History (Cambridge Wildfang, Rome's Vestal Virgins: A Study of
Rome's Vestal Priestesses in the Late Republic and Early Empire (Routledge,
Staples, From Good Goddess to Vestal Virgins, CICERONE (si veda), De officiis:
nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi,
prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus,
communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium reipublicae;
MacCormack, "Sin, Citizenship, and the Salvation of Souls: The Impact of
Christian Priorities on Late-Roman and Post-Roman Society," Comparative
Studies in Society and History Com'è espresso nella prima invocazione a Venere
di Tito Lucrezio Caro nel De rerum natura: "Begetter (genetrix) of the
line of Aeneas, the pleasure (voluptas) of human and divine." ^ J. Rufus
Fears, "The Theology of Victory at Rome: Approaches and Problem,"
Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Silla poteva in quel momento essere o meno stato un
àugure. Williams, Roman Homosexuality: Ideologies of Masculinity in Classical
Antiquity (Oxford Henig, Religion in Roman Britain(London: Batsford, PLINIO (si
veda), Naturalis historia, dice che quando un generale celebrava un trionfo, le
Vestali appendevano l'effigie del Fascinus nella parte inferiore del suo carro
per proteggerlo dall'invidia. Turcan, The Gods of Ancient Rome (Routledge; originally published in
French; Rüpke, Religion in Republican Rome: Rationalization and Ritual Change
(University of Pennsylvania Iter amoris, "journey" or "course of
love". See Propertius; Ovidio, Fasti;George,
"The 'Dark Side' of the Toga," in Roman Dress and the Fabrics of
Roman Culture, Toronto; Palmer, "Mutinus Titinus: A Study in Etrusco-Roman
Religion and Topography," in Roman Religion and Roman Empire, Pennsylvania,
ha sostenuto che quello di Mutunus Tutunus fosse un sotto-culto di quello che
era dedicato a Libero; Agostino di Ippona, De civitate Dei, ha detto che un
fallo era un oggetto divino utilizzato durante la Liberalia per respingere le
influenze malevoli dalle colture. ^ Clarke, Looking at Lovemaking, Langlands,
Sexual Morality, Spaeth, The Roman Goddess Ceres (University of Texas Press,,
citing Festus (87 in the edition of Müller) parlando della torcia, rileva che
le sacerdotesse devote e dedicate al culto di Cerere nelle province romane
nordafricane fanno voto di castità come avviene tra le Vestali (Tertulliano, Ad
uxorem 1.6 Oehler). Ovidio nota che Cerere è soddisfatta anche da piccole
offerte, purché siano caste (Fasti). Statius dice che Cerere stessa è casta
(Silvae). La preoccupazione di associare la dea con la "castitas" può
avere a che fare con la sua funzione di tutelare i passaggi oltre i confini,
compresa quindi anche la transizione tra la vita e la morte, come avviene nelle
religioni misteriche. Brouwer, Bona
Dea: The Sources and a Description of the Cult (Brill; Mueller, Roman Religion
in Valerius Maximus; Rasmussen, Public Portents in Republican Rome (L'Erma» di
Bretschneider, Wildfang, Rome's Vestal Virgins, Crassus's nomen was Licinius;
the Vestal's name was Licinia (see Roman naming conventions). His reputation
for greed and sharp business dealings helped save him; he objected that he had
spent time with Licinia to obtain some real estate she owned. For sources, see
Alexander, Trials in the Late Roman Republic (Toronto; Plutarch, Life of
Crassus, implies that the prosecution was motivated by political utility. One
or more Vestals were also brought before the College of Pontiffs for incestum
in connection with the Catiline Conspiracy (Alexander, Trials, The sources on
this notorious incident are numerous; Brouwer, Bona Dea, p. 144ff., gathers the
ancient accounts. Frier and McGinn, A Casebook on Roman Family Law, Oxford
Richlin, The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression in Roman Humor (Oxford
Stuprum cum vi or per vim stuprum: Richlin, "Not before Homosexuality, For
instance, in the mid-3rd century BC, Naevius uses the word stuprum in his Bellum
Punicum for the military disgrace of desertion or cowardice; Elaine Fantham,
"Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in Republican
Rome," in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature from Plautus
to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Fantham, "Stuprum: Public
Attitudes and Penalties," p. Moses, "LIVIO (si veda)’s Lucretia and
the Validity of Coerced Consent in Roman Law," in Consent and Coercion to
Sex and Marriage in Ancient and Medieval Societies (Dunbarton; Gillian Clark,
Women in Late Antiquity: Pagan and Christian Life-styles (Oxford Moses,
"Livy's Lucretia, Gillespie and Hardie, introduction to The Cambridge
Companion to LUCREZIO (si veda) (Cambridge). A scholiast gives an example of an
unnatural and unnecessary desire as acquiring crowns and setting up statues for
oneself; see J.M. Rist, Epicurus: An Introduction (Cambridge Hardie,
"Lucretius and Later Latin Literature in Antiquity," in The Cambridge
Companion to LUCREZIO (si veda); McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in
Ancient Rome (Oxford. See the statement preserved by Aulus Gellius that "
it was an injustice to bring force to bear against the body of those who are
free" (vim in corpus liberum non aecum adferri). Fantham, "The
Ambiguity of Virtus in Lucan's Civil War and Statius' Thebiad," Arachnion;
Bell, "Cicero and the Spectacle of Power," Journal of Roman Studies
Ramage, “Aspects of Propaganda in the De bello gallico: Caesar’s Virtues and Attributes,”
Athenaeum Myles Anthony McDonnell, Roman manliness: virtus and the Roman
Republic (Cambridge); Evans, Utopia Antiqua: Readings of the Golden Age and
Decline at Rome (Routledge, Craig A. Williams, Roman Homosexuality(Oxford
Cantarella, Bisexuality in the Ancient World, p. xi; Skinner, introduction to
Roman Sexualities, Richlin, The Garden of Priapus, Edwards, "Unspeakable
Professions: Public Performance and Prostitution in Ancient Rome," in
Roman Sexualities, Edwards, "Unspeakable Professions, Aulus Gellius;
Williams, Roman Homosexuality, Richlin, "Sexuality in the Roman
Empire," in A Companion to the Roman Empire.The law began to specify
harsher punishments for the lower classes (humiliores) than for the elite
(honestiores). ^ This is a theme throughout Carlin A. Barton, The Sorrows of
the Ancient Romans: The Gladiator and the Monster (Princeton Heskel, "Cicero
as Evidence for Attitudes to Dress in the Late Republic," in The World of
Roman Costume (University of Wisconsin Bonfante, "Nudity as a Costume in
Classical Art," in American Journal of Archaeology Ovid, Fasti Newlands,
Playing with Time: Ovid and the Fasti (Cornell Williams, Roman Homosexuality,
Zanker, The Power of Images in the Age of Augustus (Michigan; Zanker, The Power
of Images in the Age of Augustus, Plutarch, Life of Cato 20.5; Williams, Roman
Homosexuality, Zanker, The Power of Images in the Age of Augustus, p. 6. ^ Fino alla tarda Repubblica, un bagno di casa
probabilmente offerto le donne un'ala o struttura separata, o ha avuto un
programma che permetteva alle donne e agli uomini di fare il bagno in tempi
diversi. Dalla tarda Repubblica fino alla prevalenza del cristianesimo nel
tardo impero, non vi è una chiara evidenza di balneazione mista. Alcuni
studiosi hanno pensato che solo le donne delle classi inferiori si bagnassero
con gli uomini, o le prostitute che erano infames, ma Clemente di Alessandria
ha osservato che le donne delle più alte classi sociali potevano essere viste
nude ai bagni. Adriano vietata la balneazione mista, ma il divieto non sembra
fosse rigorosamente rispettato. In breve, i costumi variavano non solo nel
tempo e nei luoghi, ma anche rispetto alla struttura sociale predominante; vedi
Garrett G. Fagan, Bathing in Public in the Roman World (University of Michigan
Clarke, Looking at Lovemaking, p. 84; David J. Mattingly, Imperialism, Power,
and Identity: Experiencing the Roman Empire (Princeton Richlin, "Pliny's
Brassiere," in Roman Sexualities, Mattingly, Imperialism, Power, and
Identity, Williams, Roman Homosexuality, citing Suetonius, Life of Nero. ^ Edwards, The Politics of
Immorality, Edwards, Politics of Immorality, The case, which nearly shipwrecked
Clodius's political career, is discussed at length by his biographer, Tatum,
The Patrician Tribune: Publius Clodius Pulcher, North Carolina; Clodius, a
crocota, a mitra, a muliebribus soleis purpureisque fasceolis, a strophio, a
psalterio, a flagitio, a stupro est factus repente popularis: Cicero, the
speech De Haruspicium Responso, given a
Lacanian analysis by Leach, “Gendering Clodius,” Classical World Williams,
Roman Homosexuality, Edwards, The Politics of Immorality see also Tatum, Always
I Am Caesar (Blackwell Murray, Homosexualities (University of Chicago
Bachvarova, "Sumerian Gala Priests and Eastern Mediterranean Returning
Gods: Tragic Lamentation in Cross-Cultural Perspective," in Lament:
Studies in the Ancient Mediterranean and Beyond (Oxford See also
"Hermaphroditism and androgyny" below. ^ Williams, Roman
Homosexuality, Catullo, Carmina Tibullus, Book One, elegies Propertius McGinn,
Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome (Oxford McGinn,
Prostitution, Sexuality and the Law, Potter, "The Roman Army and
Navy," in The Cambridge Companion to the Roman Republic, Southern, The
Roman Army: A Social and Institutional History (Oxford; Phang, The Marriage of
Roman Soldiers: Law and Family in the Imperial Army (Brill, Phang, The Marriage
of Roman Soldiers Il [[De Bello Hispaniensi|]], circa la guerra civile di
Cesare sul fronte della Spagna romana, parla di un ufficiale che ha una
concubina di sesso maschile (concubinus) che si porta appresso. Polibio, Storie
(translated as bastinado). Phang, Roman Military Service: Ideologies of
Discipline in the Late Republic and Early Principate (Cambridge See also
"Master-slave relations. Phang, Roman Military Service, Roman law
recognized that a soldier was vulnerable to rape by the enemy: Digest, as
discussed by Richlin, "Not before Homosexuality, Severy, Augustus and the
Family at the Birth of the Roman Empire (Routledge, 2003), p. 39. ^
Hans-Friedrich Mueller, Roman Religion in Valerius Maximus (Routledge; Langlands,
Sexual Morality; See further discussion at Pleasure and infamy below. Clarke,
Looking at Lovemaking, Gibson, Ars Amatoria (Cambridge Cohen, "Divesting
the Female Breast; Cameron, The Last Pagans, p. 725; Bonfante, "Nudity as
a Costume in Classical Art," passim. See discussion of the iconography of
breastsfollowing. Olson, "The Appearance of the Young Roman Girl," in
Roman Dress and the Fabrics of Roman Culture (University of Toronto Clarke, Looking
at Lovemaking, Clarke, "Look Who's Laughing at Sex," in The Roman
Gaze, Blanshard, Sex: Vice and Love from Antiquity to Modernity
(Wiley-Blackwell, Harper, Slavery in the Late Roman Mediterranean, Cambridge
Seneca, Controversia VARRONE (si veda), De lingua latina, citing a fragment
from the Latin tragedian Accius on Actaeon that plays with the verb video,
videre, visum, "see," and its presumed connection to vis (ablative
vi, "by force") and violare, "to violate": "He who saw
what should not be seen violated that with his eyes" (Cum illud oculis
violavit is, qui invidit invidendum); David Frederic, "Invisible
Rome," in The Roman Gaze. Ancient etymology was not a matter of scientific
linguistics, but of associative interpretation based on similarity of sound and
implications of theology and philosophy; see Davide Del Bello, Forgotten Paths:
Etymology and the Allegorical Mindset (Catholic University of America Clement
of Alexandria, Protrepticus; Allison R. Sharrock, "Looking at Looking: Can
You Resist a Reading?" in The Roman Gaze; Adams, The Latin Sexual
Vocabulary, Adams, The Latin Sexual Vocabulary; VARRONE (si veda), On
Agriculture; Hersch, The Roman Wedding: Ritual and Meaning in Antiquity
(Cambridge Spaeth, The Roman Goddess Ceres (University of Texas Press, Adams,
The Latin Sexual Vocabulary, Adams, The Latin Sexual Vocabulary; Richlin, The
Garden of Priapus. Throughout the Ars Amatoria ("Art of Love");
Gibson, Ars Amatoria Martial, Epigrams: tam laxa ... quam turpe guttur
onocrotali; Richlin, The Garden of Priapus, Richlin, The Garden of Priapus, Clarke,
Looking at Lovemaking, Adams, The Latin Sexual Vocabulary, Juvenal; Adams, The
Latin Sexual Vocabulary, Il bordo viola appare anche sulle toghe dei magistrati
tra le cui funzioni vi è anche quella di presiedere ai sacrifici; era inoltre
la toga indossata da un figlio in lutto dopo aver effettuato i riti funebri, ed
infine lo stesso colore appariva sui veli delle Vestali; Judith Lynn Sebesta,
"Women's Costume and Feminine Civic Morality in Augustan Rome,"
Gender et History and "Symbolism in the Costume of the Roman Woman; Adams,
J.N. The Latin Sexual Vocabulary. Johns Hopkins Brown, Robert D. Lucretius on
Love and Sex. Brill; Cantarella, Eva. Bisexuality in the Ancient World. Yale
Clarke, John R. Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art
University of California Edwards, Catharine. The Politics of Immorality in
Ancient Rome. Cambridge; Fantham, Stuprum: Public Attitudes and Penalties for
Sexual Offences in Republican Rome." In Roman Readings: Roman Response to
Greek Literature from Plautus to Statius and Quintilian. Gruyter, Frederic,
David, ed. The Roman Gaze: Vision, Power, and the Body. Johns Hopkins Gaca,
Kathy L. The Making of Fornication: Eros, Ethics and Political Reform in Greek
Philosophy and Early Christianity. University of California Gardner, Women in
Roman Law and Society. Indiana Hallett, Judith P., and Skinner, Marilyn, eds.
Roman Sexualities. Princeton Hubbard, Thomas K. Homosexuality in Greece and
Rome: A Sourcebook of Basic Documents. University of California Langlands,
Rebecca. Sexual Morality in Ancient Rome. Cambridge McGinn, Prostitution,
Sexuality and the Law in Ancient Rome. Oxford; McGinn, The Economy of
Prostitution in the Roman World. Michigan Press, Nussbaum, The Incomplete
Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman." In The Sleep of
Reason: Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome.
University of Chicago Phang, The Marriage of Roman Soldiers: Law and Family in
the Imperial Army. Brill, Richlin, Amy. "Not before Homosexuality: The
Materiality of the cinaedus and the Roman Law against Love between Men."
Journal of the History of Sexuality Richlin, Amy. The Garden of Priapus:
Sexuality and Aggression in Roman Humor. Oxford; Verstraete and Provencal,
Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and in the Classical
Tradition. Haworth, Williams, Craig A. Roman Homosexuality: Ideologies of
Masculinity in Classical Antiquity. Oxford Younger, Sex in the Ancient World
from A to Z. Routledge; Ancona, Ronnie, and Greene, Ellen eds. Gender Dynamics
in Latin Love Poetry. Johns Hopkins University Press, Skinner, Marilyn. Sexuality in Greek And Roman Culture. Blackwell
Publishing. Voci correlateModifica Arte erotica a Pompei e Ercolano
Omosessualità nell'Antica Roma Sessualità nell'antica Grecia Storia della
sessualità umana. Portale Antica Roma Portale Erotismo. Baraldini Omosessualità nell'antica Roma Irrumatio tipo
di pratica del sesso orale Lex Scantinia Wikipedia Il contenuto Omosessualità
nell'antica Roma Lingua Segui Modifica Gli atteggiamenti sociali nei confronti
dell'omosessualità nell'antica Roma e i comportamenti relativi differiscono -
spesso in una maniera assai notevole - da quelli assunti della contemporanea civiltà
occidentale e presenti in essa; il tema deve pertanto essere affrontato
necessariamente attraverso la visione del mondo e della sessualità tipica della
maggioranza delle società antiche, molto diversa da quella moderna.
Graffito in versi proveniente da Pompei antica. Lo scrivente, bruciato
dalle fiamme d'amore, incita il mulattiere a smetterla di bere e a pungolare
semmai i muli per arrivare prima a casa, dove un bel ragazzo, di cui egli è
innamorato, lo attende (là ove l'amore è dolce). Il ruolo passivo come
discriminante moraleModifica Per le antiche civiltà precristiane intrise di
paganesimo, soprattutto per quelle del mondo classico (antica Grecia e antica
Roma), non esisteva un'autentica differenziazione individuale basata
sull'orientamento sessuale o di identità di genere. Piuttosto, questa esisteva
in base al ruolo assunto all'interno del rapporto sessuale: l'identificazione e
le leggi che regolavano le relazioni e le varie pratiche amorose non si
fondavano sull'oggetto del desiderio (una persona dello stesso sesso o di
quello opposto), ma la discriminante era bensì data dal fatto che quella
persona ricoprisse un ruolo attivo e associato quindi alla virilità e alla
mascolinità, oppure uno passivo, generalmente considerato come estremamente
degradante e tipico della femminilità (era dato cioè dall'atto che poteva
essere dominante o sottomesso, come viene indicato anche nell'uso dei termini
catamite e irrumatio). Agli antichi romani era peraltro completamente
sconosciuta anche la dicotomia del concetto moderno tra un'esclusiva
omosessualità e un'altrettanto esclusiva eterosessualità, proprio per il fatto
che l'identificazione sessuale avveniva per lo più in base al ruolo svolto
durante l'atto intimo (vedi attivo e passivo nel sesso); la stessa lingua
latina manca di parole traducibili con eterosessuale o omosessuale come
un'identità consapevole di chi prova attrazione solo nei confronti di persone
dell'altro o del proprio stesso sesso. Antinoo, il giovane di cui
s'innamorò l'imperatore romanodel II secolo Publio Elio Traiano Adriano. Quando
l'amato morì, Adriano ne fece letteralmente un dio, innalzandogli decine di
statue in tutto l'impero. La società romana seguiva i dettami del patriarcato,
un sistema impregnato da forti connotazioni di maschilismo; per i maschi adulti
ingenui, quelli che possedevano cioè a tutti gli effetti la cittadinanza romana
(la Libertas-libertà politica e il diritto di governare sé stessi e la propria
familia con l'autorità derivante dal pater familias), la Virtus è stata sempre
intesa come una delle qualità attive per eccellenza e attraverso la quale
l'uomo-vir si viene maggiormente a definire. Gli uomini erano liberi
d'intrattenere rapporti sessuali con altri maschi senza alcuna percezione di
perdita di virilità o di status sociale, fintanto e a condizione che avessero
assunto la posizione di comando (sessualmente penetrativa). Il ruolo
attivo come segno di virilità Modifica La mentalità di conquista e il culto
della virilità formano nel corso del tempo anche le relazioni omoerotiche; la
pratica omosessuale a Roma si afferma molto presto come rapporto di
dominazione, ad esempio del cittadino sopra lo schiavo, il tutto a conferma
della decisa virilità mascolina dell'uomo romano; la schiavitù nell'antica Roma
contemplava difatti anche una decisiva sudditanza sessuale nei confronti di chi
deteneva il potere sopra altre persone. L'ideale romano di mascolinità funge in
tal modo da premessa all'assunzione di un ruolo attivo sempre e comunque, preso
e innalzato a valore supremo: ciò costituiva "la prima direttiva del
comportamento sessuale maschile per i Romani. Partner maschili
accettabili erano sia gli schiavi sia tutti coloro che si dedicavano alla
prostituzione maschile ma anche quelli il cui stile di vita li immetteva nel
nebuloso campo sociale dell'infamia, gli esclusi dalle normali protezioni
accordate a ogni cittadino, questo anche se fossero stati tecnicamente liberi.
Pur preferendo nella generalità dei casi la pederastia(compagnia intima con
giovani di età compresa tra i 12 e i 20 anni), con i minori di sesso maschile
nati liberi agli uomini adulti era rigorosamente proibito qualsivoglia tipo di
approccio, mentre i prostituti di professione e gli schiavi potevano essere
anche molto più vecchi[4]. Omosessualità femminileModifica Le relazioni
omosessuali tra le donne sono meno documentate. Anche se le donne nell'antica
Romaappartenenti alle classi più alte (come le matrone) erano solitamente
istruite e vi sono esempi noti di scrittura poetica e vaste corrispondenze con parenti
di sesso maschile, molto poco e frammentario è ciò che è sopravvissuto rispetto
a quello che potrebbe essere stato effettivamente scritto da mani femminili.
Gli scrittori maschi hanno mostrato ben poco interesse al modo in cui le donne
hanno sperimentato e vissuto la sessualità in generale; il poeta latino
dell'era augustea (vedi Storia della letteratura latina Publio Ovidio Nasone
risulta qui un'eccezione, dimostrandosi particolarmente acuto e sensibile al
riguardo; ma egli è anche uno dei più strenui sostenitori di uno stile di vita
fortemente improntato all'amore verso le donne e in opposizione alle norme
sessuali romane alternative a esso. Durante la repubblica romana e nel
corso dell'epoca costituita dal principato e dall'inizio dell'alto impero romano
assai poco viene registrato riguardo a relazioni sentimentali tra donne, mentre
prove migliori e di più ampio genere sussistono, anche se variamente disperse,
per il successivo periodo del tardo impero romano e della tarda
antichità. Excursus storicoModifica Quando si parla di omosessualità
nella romanità antica bisogna necessariamente distinguere almeno tre grandi
periodizzazioni storiche, in cui spesso cambia la concezione e la visione e
accettazione stessa dei rapporti omosessuali: il periodo dell'Età regia
di Roma e quello repubblicano antecedente al 146 a.C. (Grecia romana); il
periodo repubblicano successivo alla conquista della Grecia fino all'Alto
Impero romano; infine il periodo del basso Impero. Busto antico romano di
ignoto adolescente, conservato all'Ermitage di San Pietroburgo e datato al II
secolo d.C. Periodo antecedente la conquista della Grecia Lo stesso argomento
in dettaglio: Vizio greco (antica Roma). Nel periodo repubblicano antecedente
alla conquista della Grecia i rapporti omosessuali erano osteggiati e visti con
sospetto. I Romani identificavano infatti il rapporto tra persone dello stesso
sesso come il vizio greco, sostenendo che nei loro antenati non esistesse
l'omosessualità, ritenuta un'offesa al costume degli avi (il famoso mos maiorum),
contraria al rigore del "civis Romanus" e motivo dell'indebolimento e
del rammollimento della società romana stessa. La libertà politica di un
cittadino è stata definita in parte dal diritto di preservare il proprio corpo
da qualsivoglia costrizione fisica, comprendente pertanto sia la punizione
corporale sia l'abuso sessuale; il sentimento di mascolinità era la premessa
imprescindibile della capacità di governare sia sé stessi sia altre persone di
status inferiore e la Virtus, come già sottolineato, è il valore che rende
l'uomo più pienamente uomo: la virtù attiva per eccellenza, quindi.
Periodo successivo alla conquista della Grecia e Alto ImperoModifica Con la
conquista della Grecia, assieme alla cultura della Grecia classica, Roma assorbe
anche molte usanze, tra cui il cosiddetto "amore greco". Ma i
civesromani praticavano l'omosessualità solamente con gli schiavi e con i
liberti. Era deprecabile che un cittadino assumesse il ruolo passivo in un
rapporto omosessuale, perché questo era in conflitto con una certa ideologia
virile e dominatrice presente in tutta la società romana. La conquista
sessuale diviene presto metaforacomune, utilizzata spesso nell'arte retorica
romana più favorevole all'imperialismo[9], e la mentalità da conquistatori,
inerente anche alla sfera della sessualità nell'antica Roma, faceva parte di un
culto generico della virilità il quale poteva condurre anche a particolari
forme di pratiche omosessuali tra gli uomini. Gli studiosi contemporanei
tendono pertanto a vedere le espressioni inerenti alla sessualità maschile
umana all'interno della civiltà romana in termini di opposizione binaria nel
modello penetratore-penetrato; cioè l'unico modo corretto per un maschio romano
di cercare gratificazione sessuale era quello di inserire il suo pene nel/nella
partner: permettere di lasciarsi penetrare avrebbe invece minacciato la propria
libertà come cittadino, oltre che la sua intrinseca integrità sessuale. Il
ruolo passivo indicante sottomissione era sommamente disprezzato e visto come
sintomo di mollezza, di rinuncia alla virilità e perciò deprecabile e
vergognoso, specialmente se era un cittadino romano a ricoprirlo. Ci si
aspettava ed era socialmente accettabile per un uomo romano nato libero di
voler consumare esperienze sessuali con entrambi i tipi di partner, sia
maschili sia femminili, l'importante era mantenere un ruolo dominante[13]. La
moralità del comportamento dipendeva poi anche dalla posizione sociale del
partner, indipendentemente dal fatto che fosse un uomo o una donna; le donne e
i giovani uomini sono stati entrambi considerati normali oggetti del desiderio,
ma fintanto che si manteneva al di fuori del vincolo matrimoniale un uomo
avrebbe dovuto cercare di soddisfare i propri desideri solo con schiavi,
prostitute (che spesso erano schiave o ex-schiave anch'esse) e gli infames (i
succitati sottoposti a infamia). Il sesso di un partner non determinava
se questa relazione fosse accettabile o meno, sempre però a patto che il
godimento di un uomo non usurpasse l'integrità di un altro uomo: era altamente
immorale ad esempio avere una relazione con la moglie di un altro uomo nato
libero, con una ragazza in età da marito o con un ragazzo minorenne di buona
famiglia, o con lo stesso cittadino libero adulto; mentre l'uso sessuale degli
schiavi di un altro uomo doveva sottostare al permesso del proprietario. La
mancanza di autocontrollo, anche nell'ambito della gestione della propria vita
sessuale, indicava platealmente che quell'uomo era del tutto incapace di
governare gli altri; troppa indulgenza nei confronti dei "bassi piaceri
sensuali" minacciava di erodere l'identità del maschio dell'élite nella
sua qualità di persona istruita (quindi migliore e destinata a governare). Particolare
della tomba-monumento di un giovane che mostra un antico ragazzo romano con
indosso una bulla, l'amuletopensato per proteggere un bambino nato libero da
influenze sovrannaturali malevoli e lo segnava come sessualmente
indisponibile/intoccabile. La Lex Scantinia condanna espressamente l'uomo nel
caso di rapporti omosessuali tra un adulto e un puer o praetextati (da
praetexta, la toga bianca orlata di porpora che portavano i ragazzi che non
avevano ancora raggiunto l'età della piena maturità sessuale (fino ai 15-17
anni)), mentre nel caso di rapporto omosessuale tra cittadini liberi adulti
veniva punito quello che tra i due assumeva il ruolo passivo, con una multa che
poteva ammontare fino a 10.000 sesterzi. La Lex Scantinia, di cui non ci
è pervenuto il testo ma che abbiamo solamente attraverso citazioni tratte dagli
scritti del filosofo Marco Tullio Cicerone, di Decimo Magno Ausonio, dello
storico Gaio Svetonio Tranquillo, del poeta Decimo Giunio Giovenale e infine da
parte degli autori cristiani Tertulliano e Prudenzio, è un'importante
testimonianza a dimostrazione del fatto che l'omosessualità veniva praticata in
tutti gli ambienti sociali. Stele funebre dell'adolescente
Philetos, del demo di Aixone che indossa la toga. Esposta nel cortile interno
coperto del "Museo archeologico del Ceramico" ad Atene. In età
imperiale, le ansie circa la perdita della libertà politica e la subordinazione
del cittadino all'imperatore si sono espresse nella percezione di un aumento
del volontario comportamento omosessuale passivo tra gli uomini liberi,
accompagnato da una crescita documentata nell'esecuzione di punizioni corporali
sui cittadini. La dissoluzione degli ideali repubblicani di integrità fisica in
relazione alla "libertas" contribuisce alla licenza sessuale e si
riflette nella decadenza associata con l'impero. A ogni modo, analizzando
i testi e i poemi degli scrittori antichi, non si può fare a meno di notare
alcune contraddizioni, almeno dal punto di vista del pensiero moderno, sul tema
dell'omosessualità: se da una parte infatti molti scrittori esaltano e
descrivono le gesta omoerotiche, vantandosi di conquiste amorose nei confronti
di giovani, schiavi e liberti (in molte tra le poesie di Caio Valerio Catullo,
o addirittura dando consigli su come conquistare i ragazzi (come fa Albio
Tibullo); dall'altra altri scrittori, se non gli stessi, ironizzano, in modo
molto spesso violento, contro chi si macchia di effeminatezza (gli uomini che
ricoprono il ruolo passivo nei rapporti omosessuali maschili) soprattutto se
cittadini romani, scherniti e derisi quando non violentemente attaccati come
causa di decadimento sociale (lo stesso Catullo nei Carmina). Questa
apparente contraddizione è in un certo senso giustificata dalla visione che
della società avevano i romani, tipicamente e prettamente maschilista, dove il
ruolo attivo in un rapporto sessuale, sia con donne sia con uomini, era sintomo
di virilità e veniva esaltato, in rapporto anche alla superiorità della Gens
Romana sopra gli altri popoli, destinata quindi a dominarli anche
sessualmente. Statua di Giulio Cesare, esempio di nudo eroico. Anche molti
uomini illustri tra i più noti e stimati, uno fra tutti Gaio GIULIO (si veda) Cesare
- membro autorevole della Gens Giulia e capostipite della dinastia
giulio-claudia - provavano una forte attrazione nei confronti di persone dello
stesso sesso: l'omosessualità, o meglio la bisessualità, di Cesare è ben
testimoniata da Cicerone secondo cui egli era "il marito di tutte le mogli
e la moglie di tutti i mariti". I suoi gusti nella sfera sessuale
furono spesso motivo di pettegolezzo e canzonatura da parte sia dei detrattori
sia degli stessi soldati a lui sottoposti; Plutarco e Svetonio narrano
approfonditamente della sua relazione omoerotica avuta in gioventù con l'ultimo
sovrano del regno di Bitinia Nicomede IV; non vi fu nemico o personaggio
pubblico che non cogliesse l'occasione, anche a distanza di anni, per fare
della maldicenza a proposito dei rapporti particolari intercorsi fra il giovane
Cesare e il re. Cesare veniva di volta in volta definito "rivale
della regina di Bitinia", "stalla di Nicomede", "bordello
di Bitinia". Marco Campurnio Bibulo, collega di Cesare nel consolato,
riprendendo la vecchia accusa che lo dipingeva come regina di Bitinia, per
attaccare la sfrenata ambizione di Cesare che manifestava tendenze monarchiche
affermò: "Questa regina, una volta aveva voluto un re, ora vuole un
regno". I legionari, il giorno del trionfo di Cesare sui Galli, seguendo
il costume che consentiva ai soldati di indirizzare il giorno del trionfo versi
piccanti e scurrili al proprio comandante, intonarono un canto che suonava più
o meno così. Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: ecce Caesar nunc
triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem. (Svetonio,
Vita di Cesare.) Lo stesso Cicerone, riferendosi ai fatti di Bitinia, scriveva
nelle sue lettere che con Nicomede Cesare ha perso il fiore della giovinezza e
un giorno, in Senato, durante una seduta in cui Cesare per perorare la causa di
Nisa, figlia di Nicomede, ricorda i benefici ricevuti da quel re, Cicerone
pubblicamente lo interruppe esclamando. Lascia perdere questi argomenti, ti
prego, poiché nessuno ignora che cosa egli ha dato a te e ciò che tu hai dato a
lui”. Gaio Valerio Catullo ebbe a sostenere che Cesare e il suo ufficiale
Mamurra durante la campagna di Galliaavessero avuto una relazione, ma più tardi
si scusò: in quest'episodio Cesare dimostrò tutta la sua clementia, concedendo
al poeta il suo perdono e lasciandogli frequentare la sua domus. Marco Antonio,
infine, insinuò, nel tentativo di diffamare il suo avversario durante la guerra
civile, che Cesare avesse avuto un rapporto anche con il nipote Ottaviano, e
che la causa della sua adozione fosse stata proprio la loro relazione
amorosa. Ottaviano Augusto da giovinetto. Omoerotismo tra gli
imperatoriModifica D'altra parte, tra i primi imperatori romani tutti (tranne
Claudio) ebbero predisposizione ad abituali e ripetute esperienze omoerotiche:
dopo Cesare, soprannominato con dileggio la "Regina di Bitinia" e la
"moglie di tutti i mariti"; Augusto, il quale quand'era chiamato
ancora solo Ottaviano veniva additato con disprezzo dai detrattori col nome di
Ottavia: Marco Antonio ebbe modo in seguito di accusare Ottaviano di essersi
guadagnato la sua adozione da parte di Cesare attraverso favori sessuali, anche
se occorre dire che Svetonio descrive l'accusa rivoltagli da Antonio come pura
calunnia politica. Dopo che Marco Favonio fu catturato e giustiziato a
seguito della battaglia di Filippi Ottaviano acquistò uno dei suoi schiavi, un
certo Sarmento, quando tutte le proprietà del nemico sconfitto vennero messe in
vendita: è stato affermato poi ch'egli divenne il catamite preferito dello
stesso futuro imperatore. Quinto Dellio dirà in seguito a Cleopatra che, mentre
lui e gli altri dignitari venivano trattati come vino acido da Antonio,
Ottaviano si stava gustando il "catamite Falerno" a Roma. Busto di
Tiberio. Tiberio a Capri predilige i ragazzini appena puberi raccolti tra i
figli della comunità locale e li chiamava i suoi "pesciolini",
spiandoli mentre nuotavano nudi in piscina o intrattenevano rapporti sessuali
tra di loro; è sempre Svetonio a dirci, forse volutamente esagerando (tanto da
fargli commentare: "si rese colpevole anche di azioni ancora più turpi e
infamanti, che a mala pena si possono riferire e ascoltare, o addirittura
credere"), che l'anziano imperatore avesse addestrato dei fanciulli in
tenerissima età per andare in seguito a vivere con lui nella residenza di Villa
Jovis, li invitava poi a scherzare tra le sue gambe mentre nuotava e a
risvegliare i suoi sensi con baci e morsi. Nelle ville capresi infine, le orge
sarebbero state all'ordine del giorno e si sarebbero svolte davanti a una
collezione di dipinti erotici di arte greca da prendere a modello. Caligola era
bisessuale e incestuoso; Neronesottopose a castrazione il suo schiavo
adolescente Sporo per poi incoronarlo come propria sposa reale, ma sposò anche
un uomo di nome Pitagora. Anche i successivi imperatori pare non fossero
immuni dall'amore tutto maschile: Servio Sulpicio Galba, che amava gli uomini
grandi e grossi; Vitellio, soprannominato spintria ("marchetta") per
esser stato tra i favoriti di Tiberio quando si trova alla sua corte a Capri;
Domiziano, accusato dagli avversari di essersi prostituito per far carriera al
pretore Clodio Pollione e poi per interesse al predecessore Marco Cocceio
Nerva, fu accusato anche di mollezza e di essere un dissoluto. Ebbe varie
relazioni con uomini, come del resto anche il fratello Tito: il grande amore
provato nei confronti dell'eunuco Flavio Earino, suo schiavo affrancato, fu
celebrato sia da Stazio sia da Marco Valerio Marziale. Traiano era noto
per la sua predilezione nei confronti dei bei ragazzi; Publio Elio Traiano
Adriano fece diventare il suo giovane amante Antinoo dopo la morte niente meno
che un dio, innalzandolo in apoteosi; Eliogabalo a 18 anni promise metà
dell'impero a chi fosse riuscito a dotarlo di genitali femminili per poter così
diventare una donna a tutti gli effetti, scandalizzando l'intera Roma che lo
vide sposarsi con un auriga, un certo Ierocle di Smirne. I busti di
Adriano e Antinoo al British Museum. Adriano e AntinooModifica Il caso
riguardante la relazione d'amore tra Adriano e Antinoo è particolarmente
significativo; l'imperatore ebbe per anni come suo amasio preferito questo
giovinetto di origini greche (che molto probabilmente non era uno schiavo)
proveniente dalla Bitinia. Dopo la sua morte, avvenuta in circostanze
rimaste in parte oscure, Adriano innalzò in apoteosi l'amato Antinoo e fondò un
culto organizzato dedicato alla sua persona che si diffuse presto a macchia
d'olio in tutto l'Impero; poi, sempre per commemorare il proprio diletto, fondò
la città di Antinopoli, fatta sorgere vicino al luogo dove il ragazzo aveva
trovato la sua prematura fine terrena e che divenne un centro di culto per
l'adorazione del "dio Antinoo" in forma di Osiride. Infine
Adriano, per commemorare il ragazzo, organizzò dei giochi che si tenevano in
contemporanea ad Antinopoli e ad Atene, con Antinoo divenuto simbolo dei sogni
panellenici dell'imperatore. Busto di Polideuce, allievo e amante
di Erode Attico; quando egli morì in giovane età divenne un autentico oggetto
di culto da parte di Erode. Erode Attico e Polideuce. Il filosofo di origini
greche ed esponente della seconda sofistica Erode Attico (Lucius Vibullius
Hipparchus Tiberius Claudius Herodes Atticus), è stato un retore e politico al
servizio dell'impero; amico personale di Adriano, tra i suoi allievi vi fu
anche il giovane erede al trono Marco Aurelio. Erode era noto, oltre che per la
ricchezza e munificenza (fece costruire tra gli altri anche l'Odeo di Erode
Attico) nella sua qualità di filantropo e mecenate di opere pubbliche, anche
per i numerosi rapporti amorosi con i propri discepoli, in riferimento alla
tradizione della pederastia greca. Il suo affetto nei confronti del
figlio adottivo Polideuce (Polydeukes/Polydeukion, da "Polluce") ha
creato uno scandalo, non per il rapporto omosessuale intercorrente tra i due o
per la giovane età del ragazzo, ma per l'intensità della passione dimostrata,
considerata smodata e del tutto sconveniente. Quando l'adolescente morì
prematuramente Erode - come già precedentemente l'imperatore Adriano aveva
fatto con Antinoo - incominciò un plateale culto della personalità del defunto
e proclamandolo "eroe", facendo costruire tutta una serie di statue e
monumenti in suo onore. L'anziano visse in un parossismo di disperazione
pubblica alla morte del suo eromenos, arrivando a commissionare giochi sontuosi,
iscrizioni e sculture su ampia scala, Rilievo votivo in marmo pentelico del II
secolo raffigurante l'apoteosidi Polideuce, il ragazzo amato da Erode Attico.
Qui è mostrato con attributi eroici: il serpente e la sua nudità. Lo scrittore
Luciano di Samosata racconta, nella sua biografia del filosofo esponente del
cinismoDemonatte che questi affermò di avere in suo possesso una lettera
proveniente dal defunto giovinetto; quando Erode chiese di essere informato su
che cosa vi fosse scritto, Demonatte gli disse che il ragazzo dichiarava di
essere triste perché il suo amante non era ancora giunto a fargli visita
(nell'aldilà). Demonatte vuol qui criticare come eccessiva e indegna di
un filosofo l'espressione dei sentimenti di dolore di Erode: soltanto l'enorme
ricchezza e l'enorme potere di Erode gli permisero di esprimerlo in modo
pubblico, anziché celarlo nel silenzio. Arte erotica e oggetti di uso
quotidiano. Lo stesso argomento in dettaglio: Arte erotica a Pompei e Ercolano
e Simbolismo fallico. Le rappresentazioni della sessualità omosessuale maschile
e lesbica sono meno rappresentate nell'arte erotica dell'antica Roma rispetto a
quelle che mostrano atti sessuali tra maschio e femmina. Un fregio di Pompei
antica presente alle Terme Suburbanemostra una serie di sedici scene di
posizioni sessuali, in cui ve n'è una omosessuale e un'altra lesbica, oltre ad
abbinamenti omosessuali in rappresentazioni di sesso di gruppo. Due
uomini e una donna che si accoppiano. Pittura parietale pompeiana, da una delle
Therms (bagni), parete sud degli spogliatoi - dipinta intorno al 79 a.C. Il
sesso a tre (o threesome) nell'arte romana mostra solitamente due uomini che
penetrano una donna, ma in una delle tante scene presenti nei muri delle
"Terme suburbane" si vede un uomo penetrare una donna in posizione da
dietro mentre a sua volta viene penetrato da un altro uomo posto dietro di lui:
questo scenario viene descritto anche da Catullo nel Carmen 56ritenendolo un
fatto umoristico. L'uomo in mezzo potrebbe essere un cinaedus-cinedo, un uomo
cioè a cui piace subire il sesso anale ma che al contempo è anche considerato
attraente dalle donne[44]. Anche l'attività sessuale a quattro (foursome o
"quartetto") appare, in genere composta da due donne e due uomini e a
volte in coppie composte da persone dello stesso sesso. Gli atteggiamenti
romani verso la nudità maschile (vedi storia della nudità) differiscono anche
in maniera notevole se confrontati con quelli assunti dagli antichi Greci, che
hanno sempre considerato le rappresentazioni idealizzate del nudo maschile come
espressione di eccellenza, ad esempio attraverso il nudo eroico. L'uso della
toga virile designa un uomo romano come libero cittadino; connotazioni negative
della nudità includono anche la sconfitta in guerra, dal momento che i prigionieri
venivano spogliati, e la schiavitù, poiché gli schiavi messi in vendita in
piazza erano spesso esposti nudi. Amuleti fallici della fertilità e della buona
fortuna. Al tempo stesso il Phallus-fallo è stato visualizzato ubiquitariamente
in forma di fascinus, ossia un "fascino magico" pensato per
allontanare le forze maligne (come i moderni cornetti portafortuna), ed è
divenuto col tempo una decorazione facente parte delle consuetudini e che si
ritrova ampiamente tra le rovine pompeiane, in particolare sotto forma di
speciali campanelli eolici detti Tintinnabulum. Il fallo eretto e
smisurato del dio Priapo potrebbe originariamente essere servito per uno scopo
apotropaico, ma in arte il suo aspetto grottesco ed esagerato provoca spesso
una grande risata. L'ellenizzazione tuttavia ha influenzato la
rappresentazione della nudità maschile all'interno dell'arte romana, portando a
una più complessa significazione della forma del corpo umano maschile mostrato
nudo, parzialmente nudo o indossando la lorica musculata. La coppa Warren,
skyphos romano d'argento che rappresenta una scena erotica omosessuale. Warren
CupModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Warren Cup. La Coppa Warren è una coppa d'argento raffigurante due scene di
atti omosessuali in ambiente di simposio(pratica socio-rituale della
convivialità collegata al banchetto), di solito datata al tempo della dinastia
giulio-claudia. Si è sostenuto che i due lati di questo calice rappresentino la
dualità nella tradizione presente nel mondo classico dell'istituzione della
pederastia greca in contrasto con la forma esistente all'interno della cultura
romana. Sulla parte della coppa che rappresenta l'ideale greco vediamo un
uomo maturo con la barba mentre si unisce in posizione da dietro a un giovane
maschio già sviluppato e muscoloso il quale gli sta seduto sopra. L'adolescente
si tiene in equilibrio rimanendo attaccato con la mano sinistra a un sostegno,
così da mantenere una posizione sessuale altrimenti imbarazzante o scomoda. Uno
schiavo bambino osserva la scena di nascosto attraverso una porta
socchiusa. L'uomo con la corona del "conquistatore
erotico" e il suo puer delicatus. Lato B della Warren Cup Il lato romano
della coppa invece mostra un puer delicatus, all'incirca di 12 o 13 anni,
mentre viene tenuto saldamente stretto tra le braccia di un maschio più
anziano, ben rasato e in perfetta forma fisica. Mentre il primo uomo con la
barba può essere greco, con un partner che partecipa più liberamente
all'incontro e con uno sguardo di piacere, la sua controparte, che ha un taglio
di capelli più grave, sembra a tutti gli effetti essere romano e quindi
utilizza uno schiavo; la corona di mirto che indossa simboleggia inoltre il suo
ruolo di conquistatore erotico. La coppa potrebbe essere stato concepita
come un ritratto atto a stimolare la conversazione su quel tipo di ideali di
amore e di sesso, che avevano luogo durante i banchetti simposiali tradizionali
greci. L'antichità della Coppa Warren è stata però contestata e potrebbe invece
rappresentare la percezione dell'omosessualità greco-romana com'era al momento
della sua ipotetica fabbricazione. Busto di Publio Virgilio Marone. Letteratura
omoeroticaModifica Numerose testimonianze riguardanti la presenza
dell'omosessualità e dell'omoerotismo in generale ci vengono da poeti e
scrittori dell'epoca. Il tema omoerotico viene introdotto in letteratura latina
a partire dal II secolo a.C. con la crescente ellenizzazione e una sempre
maggior influenza Greca sulla cultura romana. Il console nonché letterato
Quinto Lutazio Catulofaceva parte di un circolo letterario frequentato da poeti
che componevano brevi strofe richiamantesi alla moda della poesia ellenistica;
uno dei suoi pochi frammenti superstiti è costituito da una poesia d'amore
rivolta a un maschio con un nome greco. L'innalzamento della letteratura greca,
ma anche dell'arte greca in generale a modello espressivo in ambito poetico ha
promosso tra le altre cose anche la celebrazione dell'omoerotismo come uno dei
segni distintivi delle personalità urbanizzate e maggiormente sofisticate[56].
Nonostante ciò non vi sono prove o ipotesi generali su come questo abbia potuto
avere un qualsiasi effetto sull'espressione del comportamento sessuale nella
vita quotidiana reale tra i romani. L'amore greco ha influenzato
esteticamente i latini in relazione ai mezzi di espressione, molto meno nei
riguardi della natura dell'omosessualità romana in quanto tale. L'omosessualità
nell'antica Greciadifferiva da quella Romana principalmente nell'idealizzare
dell'eros tra i cittadini maschi nati liberi di pari status, anche se di solito
con una differenza di età (vedi pederastia greca) inserita nell'istituto
erastes-eromenos. L'esistenza di un rapporto erotico-sentimentale tra un
ragazzo e un adulto al di fuori della famiglia, visto come un'influenza
positiva tra i Greci, nella società romana avrebbe minacciato l'autorità del
paterfamilias. Poiché le donne romane erano attive nell'educazione dei
figli e si mescolarono con gli uomini socialmente, e le donne delle classi
dirigenti spesso continuavano a consigliare e influenzare i loro figli e mariti
anche nella vita politica, l'omosocialità non era così diffusa a Roma così come
lo era stata ad esempio nell'antica Atene la quale ha indubbiamente contribuito
a produrre il più avanzato livello di cultura pederastica, quella della
pederastia ateniese. La poesia neoterica dei Poetae novi si concretizza
preminentemente con l'opera poetica di Caio Valerio Catullo (i Liber o Carmina)
la quale include diverse poesie che esprimono il suo forte desiderio nei
riguardi di un giovane nato libero chiamato esplicitamente "Giovenzio;” il
poeta, oltre ad amare l'amica Lesbia non era quindi meno ambiziosamente
desideroso dei baci del suo bel ragazzo quattordicenne, che esalta in vari
versi di volta in volta amorosi o ironici, definendolo effeminatoe
passivo. Il nome latino e lo status di cittadino libero del ragazzo amato
da Catullo sovverte totalmente la tradizione romana, ma contemporaneamente a
lui anche Tito Lucrezio Caro nel suo De rerum natura riconosce esplicitamente
la propria attrazione nei confronti dei "ragazzi"-pueri, il che può
designare invero un partner sottomesso accettabile e non necessariamente
ragazzino appena adolescente; vi si può leggere inoltre che il piacere sublime
consiste nel trasferire il proprio seme in un'altra persona, preferibilmente in
un ragazzo piuttosto che in una donna. «Si agita in noi questo seme, appena
l'adolescenza rafforza le membra. Dall'uomo, solo l'attrattiva dell'uomo fa
scaturire il seme Così dunque, chi riceve i colpi dai dardi di Venere lo
trafigga un fanciullo di membra femminee tende là ove è ferito e anela a
congiungersi e in quel corpo spandere l'umore tratto dal corpo. Eurialo e
Niso, Louvre. A testimoniare il fatto che il fenomeno omosessuale stava
divenendo sempre più un rapporto di desiderio e amore, interviene anche VIRGILIO
(si veda), il quale racconta nell'Eneide le storie di due coppie di guerrieri,
gli appartenenti al popolo dei troiani Eurialo e Niso e i latini Cidone e
Clizio, che nel reciproco amore trovano la forza per combattere da autentici
eroi (soltanto Cidone scamperà alla morte); coppie di giovani uniti da un
tenero legame omoerotico. Di Clizio, Virgilio ci dice che è ancora un
giovinetto, solo una leggerissima barba bionda incornicia il suo bellissimo
volto; su Cidone invece il poeta non dà una descrizione fisica: scrive invece
che prima di Clizio ha amato altri adolescenti, sicché è da ritenere che
rispetto al compagno egli abbia un'età leggermente superiore (Eneide). Il
particolare rapporto che lega Eurialo e Niso è definito dall'autore
"amore", ciò che nel contesto dell'epoca va inteso come serena
manifestazione di continuità tra l'amicizia fraterna e l'affettuosità
omoerotica. Qui il poeta si avvale della tradizione dell'omosessualità militare
nell'antica Grecia, ritraendo apertamente il rapporto amoroso esistente tra
questi giovani il cui valore militare li segna solidamente come autentici
uomini romani (viri). Virgilio descrive il loro legame come "pius",
collegandolo alla virtù suprema della "pietas", in egual modo
posseduto dallo stesso eroe Enea; una relazione avallata come "onorevole,
dignitosa e collegata ai valori della centralità di Roma. Ancora nelle
Bucoliche il poeta latino canta e descrive numerosi amori omosessuali e
riconducibili alla pederastia greca, come la vicenda riguardante il giovane
schiavo Alessi che viene concupito sia dal suo padrone Iolla sia dal bel
pastore Coridone (Ecloga II), o quella di un altro pastore di nome Menalca il
quale elogia la bellezza di Aminta (Ecloga). Il mito di Ciparisso e Apollo,
tratto dal racconto di Ovidio descritto nelle Metamorfosi (Ovidio). Temi
omoerotici appaiono anche nelle opere di altri poeti del periodo augusteo (vedi
Storia della letteratura latina: Albio Tibullo, Sesto Properzio e ORAZIO (si
veda) fra tutti. A schierarsi invece decisamente a favore dell'amore femminile
sarà OVIDIO (si veda): avere una relazione sessuale con una donna è più
piacevole perché, a differenza delle forme di comportamento omosessuale ammesse
all'interno della cultura romana, qui il piacere è reciproco. Non mancano
comunque anche in questo autore descrizioni di amori omosessuali, tutti
appartenenti alla tradizione della mitologia greca: Ati e Licabas, il dio
Apollo con Giacinto e Ciparisso. Habinek fa infine notare che il significato di
rottura presentato da OVIDIO (si veda) nella categorizzazione delle preferenze
sessuali è stata oscurata nella storia della sessualità umana dal concetto di
eterosessualità (considerata normale e innata) sopravvenuto nella più tarda
cultura occidentale. Nella letteratura del primo periodo dell'impero
romanoun posto privilegiato spetta al Satyricon di Petronio Arbitro; la
narrazione è talmente permeata da riferimenti al comportamento omosessuale che
nei circoli letterari europei il nome dell'opera finì col divenirne un
sinonimo. Anche il poeta e autore di epigrammi Marco Valerio Marziale
spesso deride le donne come uniche partner sessuali preferendo di gran lunga i
bei ragazzi-pueri. Atti sessuali Modifica Oltre al sesso anale, che viene
frequentemente descritto sia nell'arte figurativa sia in quella letteraria, era
comune anche il sesso orale. Uno dei graffiti di Pompei è in questo caso
inequivocabile: "Secundus felator rarus" ("Secundus è un
fellatore di rara abilità. A differenza che nell'antica Grecia, il pene di
grandi dimensioni era un importante elemento d'attrattiva; Petronio ne descrive
uno veduto in un bagno pubblico. Molti imperatori vengono raffigurati
circondati da uomini con grandi sessi. Il poeta Ausonio fa una battuta su
un trio sessuale maschile in cui "quello che sta nel mezzo compie il
doppio dovere. Il sostantivo astratto impudicitia (aggettivo impudicus)
raffigura la negazione assoluta della pudicitia (morale sessuale, castità);
come caratteristica dei maschi spesso implica la volontà e il desiderio di
essere penetrati sessualmente[80]. Ballare era espressione, per un maschio, di
impudicitia (la danza era difatti caratteristica della prostituta e
dell'effeminato). L'impudicitia può anche essere associata a
comportamenti in quegli uomini giovani che avevano conservato un certo grado di
fascino da ragazzini, ma che erano comunque abbastanza grandi da esser tenuti a
comportarsi secondo le ferree regole maschili e a sottostare alle sue
normative. GIULIO (si veda) Cesare è accusato di portare l'infamia su di sé
perché quando aveva circa 19 anni assunse per un certo periodo di tempo il
ruolo passivo in una relazione pederastica con Nicomede re di Bitinia e in
seguito anche per i molti "affari sessuali" avuti con donne adultere.
Lucio Anneo Seneca il giovane (il tutore di Nerone) ha osservato che
"l'impudicitia è un crimine per colui che è nato libero, una necessità in
uno schiavo, un dovere per il liberto. La pratica omosessuale a Roma afferma il
potere del cittadino sopra gli schiavi, confermandone al di sopra di ogni
dubbio la propria mascolinità. Ganimede rapito dall'aquila di Giove. Scultura
romana copia di un originale greco, esposta nel Palazzo Grimani a Venezia. Il
termine catamite, indicante per lo più un giovane prostituto, è una derivazione
latina del nome "Ganimede". Ruoli sessuali Un uomo o un ragazzo che
assumeva il ruolo passivo all'interno della relazione omosessuale poteva venir
denominato in vari modi, tra cui i più comuni e frequenti erano cinaedus,
pathicus, exoletus, concubinus (prostituto), spintria (marchetta), puer(ragazzo),
pullus (pulcino), puso, delicatus(specialmente come puer delicatus-ragazzino
squisito), mollis (molle, utilizzata in genere come qualità estetica in
contrapposizione alla naturale aggressività maschile), tener (tenero, in
opposizione alla durezza mascolina), debilis (debole), effeminatus(effeminato),
discintus (discinto, volgare come una prostituta) e morbosus (malato).
Come si può notare, il significato del termine moderno gay (come anche di
omosessuale) non è contemplato in quest'elenco, in quanto nel pensiero antico
non v'era alcun'idea di identità sessuale: la persona era invece definita solo
dal ruolo svolto all'interno dell'atto sessuale (attivo=maschio;
passivo=femmina). Alcuni di questi
termini, come exoletus, vengono a riferirsi specificamente a un adulto: gli
antichi romani, fra cui vigeva il valore sociale contrassegnato come
mascolinità, limitavano genericamente la penetrazione anale ai prostituti
maschi o agli schiavi di età inferiore a 20 anni (chiamati ragazzi). Alcuni
uomini più anziani potevano a volte preferire il ruolo passivo; Marco Valerio
Marziale descrive ad esempio, nella sua solita maniera molto schietta, il caso
di un uomo che aveva assunto il ruolo passivo facendo occupare al suo giovane
schiavo quello attivo: Mentula cum doleat puero, tibi, Naevole, culus Non
sum divinus, sed scio quid facias. Epigrammi (Marziale) Il desiderio di un
maschio adulto di essere penetrato sessualmente veniva considerato un morbus,
una malattia; il desiderio di penetrare un bel ragazzo era invece considerato
del tutto normale. Cinaedus Cinedo è una parola dispregiativa che
denotava un maschio con una identità di genere considerata deviante dalla
norma, per la sua scelta di determinati atti sessuali o per la preferenza di
certi partner sessuali; tali preferenze erano percepite come una carenza di
virilità. Catullo definisce cinedo (cioè un effeminato senza attributi virili)
il collega poeta Marco Furio Bibaculo che si trova in compagnia d'un suo amico,
nel famoso Carme osceno numero 16, in cui afferma senza tanti giri di parole
che "pedicabo ego vos et irrumabo" (io ve lo metto prima nel didietro
e poi direttamente in bocca). Anche se in alcuni contesti il cinedo può
denotare l'omosessuale passivo, ed è il termine più frequentemente usato per
indicare un maschio che si è lasciato penetrare analmente[89], un uomo chiamato
cinedo poteva bensì, in certi determinati casi, anzi esser considerato molto
attraente e desiderabile per le donne (non necessariamente quindi equivale al
termine dispregiativo inglese faggot o agli italiani frocio-checca, tranne per
il fatto che tutti questi termini vengono usati per deridere e insultare un
uomo considerato carente di virilità): con caratteristiche così ambiguamente
androgine che le donne possono trovare sessualmente anche molto
eccitanti). L'abbigliamento, l'uso di cosmetici e i manierismi
(atteggiamenti, movimenti, modi di parlare) di un cinedo lo contrassegnavano
inequivocabilmente come un effeminato: ma la stessa effeminatezza che gli
uomini romani potrebbero trovare allettante in un puer, diventa assolutamente
poco attraente nel maschio adulto e anziano. I cinaedus rappresentano quindi
l'assenza generalizzata fatta persona di quello che i Romani consideravano un
vero uomo, e la parola rimane di fatto intraducibile nelle lingue
moderne. In origine un cinaedus (parola derivante dal Greco Kinaidos) era
un ballerino professionista generalmente poco più che adolescente, di origini
persiane o comunque orientali, la cui performance era caratterizzata da una
danza accompagnata dal suono di tamburelli e timpani e da movimenti
ancheggianti del sedere che mimavano il rapporto anale. Alcuni uomini
romani tenevano un concubinus (concubina maschio) in casa fino a quando non si
sposavano con una donna: Eva Cantarella ha descritto questa forma di
concubinato come "una relazione sessuale stabile, non esclusiva ma
privilegiata. All'interno della gerarchia degli schiavi domestici, il
concubinus sembra essere stato considerato in possesso di uno status speciale o
comunque abbastanza elevato, e che veniva minacciato con l'arrivo di una
moglie. In uno dei suoi inni nuziali (Ephitalamium) Catullo il concubinus
dello sposo si ritrova ansioso per il suo futuro e con la paura d'esser
abbandonato: i suoi lunghi capelli saranno tagliati e dovrà d'ora in poi
ricorrere alle schiave per la sua gratificazione sessuale, il che indica
ch'egli prevedeva di dover presto cambiare ruolo sessuale da passivo ad attivo.
Al concubino poteva poi anche capitare di intrattenere relazioni sessuali con
le donne della casa, diventando magari anche padre di qualche bambino, questo
almeno a seguire le invettive di Marziale (Epigrammi. I sentimenti e la
situazione del concubino sono trattati nella citata poesia matrimoniale di
Catullo e occupano 5 strofe: egli svolge un ruolo attivo durante la cerimonia,
distribuendo le noci tradizionali che poi i ragazzi dovevano lanciare in segno
di buon augurio (un po' come il riso nella tradizione occidentale
moderna). Il rapporto di un cittadino romano col proprio concubino poteva
essere sia discretamente tenuto nell'ombra sia manifestato in modo più aperto:
i concubini maschi a volte partecipavano anche alle cene (convivium) indette
dal padrone di casa e rappresentar ufficialmente la parte di compagno, un ruolo
particolarmente ambito e pregiato. Marziale sembra anche suggerire che il
concubino del padrone di casa poteva esser ereditato dal figlio alla morte de
padre. Un ufficiale poteva anche essere accompagnato durante le campagne
militari dal proprio concubino. Come il catamite e il puer delicatus
(vedi sotto) il ruolo del concubino è stato regolamentato ispirandosi al mito
greco di Ganimede (il cui nome in latino diventa Catamitus), il principe adolescente
troiano rapito da Zeus affinché lo servisse sull'Olimpo come coppiere. La
concubina femminile, che poteva anche essere una donna libera, manteneva uno
status legale tutalato dal diritto romano, ma i concubinus no dal momento che
erano tipicamente degli schiavi, Pathicus è una parola un po' soft per indicare
l'uomo che è stato penetrato sessualmente; deriva dall'aggettivo greco phatikos
(verbo paskhein) ed equivalente al latino patior-pati-passus (subire,
sottomettersi, sopportare e soffrire): il termine passivo deriva proprio dal
latino passus. Pathicus e cinaedus non sono spesso così distinti nell'uso
che ne fanno gli scrittori latini, ma cinedo può essere indicativamente il
termine più generale per indicare un maschio non conforme al suo ruolo di vir -
vero uomo; mentre pathicus denota precisamente un maschio adulto che ha assunto
il ruolo passivo da donna all'interno di un rapporto, che desidera essere usato
così. Nella cultura romana sodomizzare un altro maschio adulto esprime
quasi sempre disprezzo e desiderio d'umiliazione; il pathicus può essere
interpretato allora, ancor più che come omosessuale passivo, come un masochista
a cui piace farsi umiliare (da un uomo o da una donna indifferentemente):
potrebbe anche esser penetrato da una donna tramite un dildo o essere costretto
a eseguire cunnilingus, senza dimostrare alcun desiderio di assumere un ruolo
attivo o alcuna eccitazione sessuale. Con la parola puer s'indicava sia
un ruolo nell'ambito sessuale sia uno specifico gruppo d'età, Sia puer sia il
suo equivalente femminile puella-ragazza possono riferirsi al partner sessuale
di un uomo. Il cittadino romano nato libero all'età di 14 anni assumeva la toga
virile e questo era il primo rito di passaggio oltre l'infanzia, ma doveva
attendere poi fino a 17-18 anni prima di poter cominciare a prender parte
attivamente alla vita pubblica. Uno schiavo, che non veniva mai considerato un
vir, un uomo vero, sarebbe stato chiamato puer, ragazzo, per tutta la vita. I
pueri venivano utilizzati come alternativa sessuale alle donne, cosa che non si
poteva assolutamente fare con gli adolescenti maschi nati liberi: accusare un
uomo romano d'essere un puer era un insulto contro la sua virilità, soprattutto
in campo politico. Un cinedo anziano, un omosessuale passivo potevano anche
voler presentare sé stessi come puer. Il puer delicatus era uno
"squisito" schiavo giovanissimo, scelto dal padrone per la sua
bellezza come giovane amante, citato anche al plurale come deliciaem 'dolcetti'
o 'delizie', A differenza dell'eromenos greco, che era protetto dal costume
sociale, il romano delicatus rimaneva sempre invece, sia fisicamente sia
moralmente, inferiore rispetto all'adulto che ne disponeva. La relazione spesso
coercitiva, di sfruttamento e non certo alla pari, tra il padre di famiglia e
il delicatus (il quale poteva benissimo anche essere un minore di 12 anni), può
essere definita come pedofila a differenza della pederastia greca. Il
ragazzino, appena compiuti 13 anni, veniva a volte castrato nel tentativo di
preservare intatti nel tempo i suoi caratteri giovanili: l'imperatore Nerone
fece questo nei confronti del suo puer Sporo, che fece evirare per poterlo poi
sposare. Vari pueri delicati sono stati idealizzati nella poesia latina:
nelle Elegie erotiche di Tibullo il delicatus di nome Marathus indossa abiti
sontuosi e molto costosi. La bellezza che doveva caratterizzare il delicatus è
stata misurata mediante le norme e misure apollinee, soprattutto per quanto
riguardava i lunghi capelli i quali avrebbero dovuto sempre essere ondulati e
profumati. Il tipo mitologico per eccellenza del delicatus era
rappresentato da Ganimede, il principino troiano rapito da Zeus per diventare
il proprio compagno divino nonché coppiere alla corte olimpica. Nel Satyricon,
il ricco liberto Trimalcione parla del puer delicatuscome di un bambino-schiavo
al servizio sia del padrone sia della padrona di casa. Il termine pullus
indica genericamente un piccolo animaletto e in particolare il pulcino: è una
parola affettuosa usata tradizionalmente per un ragazzo-puer che era stato
amato da qualcuno in senso osceno. Il lessicografo Sesto Pompeo Festo ne
fornisce la definizione illustrandola con un aneddoto comico: Quinto Fabio
Massimo Eburno, console e censore è molto noto per il suo rigore morale, tanto
da guadagnarsi il soprannome (Cognomen) di Eburno che significa avorio
(l'equivalente moderno più simile potrebbe essere anche porcellana); questo a
causa del suo candido e avvenente aspetto. Si diceva fosse stato colpito tempo
addietro da un fulmineproprio sulle natiche (riferimento a una voglia che aveva
sul sedere. Si scherzò quindi sul fatto che fosse stato contrassegnato da Zeus
signore dei fulmini che s'era accorto della sua bellezza tanto da farne il
proprio pullus/pulcino pensando anche al rapporto esistente tra il re degli Dei
col giovanissimo coppiere catamite Ganimede. Anche se l'inviolabilità
sessuale dei cittadini maschi minorenni era di solito molto ben sottolineata,
quest'aneddoto è una prova che anche i giovani romani di buona famiglia avrebbero
potuto passare attraverso una fase in cui potevano esser veduti come oggetti
sessuali. Forse colpito dal destino, questo stesso membro della illustre Gens
Fabia ha dovuto concludere la sua vita in esilio come punizione per aver ucciso
suo figlio dopo averlo incolpato di impudicitia[130]. Nel IV secolo il
poeta Ausonio registra la parola pullipremo e dice che per primo tale termine è
stato utilizzato dal poeta satirico Lucilio. Etimologicamente relazionato a
puer, anche pusio significa ragazzetto; spesso aveva una connotazione
spiccatamente sessuale e umiliante. Giovenale indica che il pusio era
desiderabile in quanto più compiacente e al contempo meno impegnativo di quanto
fosse una donna. Scultimidonus Questo è un relativamente raro termine gergale
tra i più volgari (equivalente a pezzo di m. o buco di c.) che appare in uno
dei frammenti di Lucilio e glossato come: "coloro che elargiscono
gratuitamente il proprio orifizio anale-scultima" (cioè la parte corporea
più intima di sé, come fosse la parte interna di una prostituta/scortorum
intima. Iolao assieme all'eroe e amante Ercole. Mosaico dalla Fontana del
Ninfeo di Anzio, Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo alle Terme, Roma.
Sottoculture Il mondo e la cultura latina hanno avuto una tale ricchezza di
parole per indicare gli uomini al di fuori della norma maschile-vir, che alcuni
studiosi sostengono l'esistenza di una vera e propria sottocultura di tipo
omosessuale a Roma. Plauto menziona una strada che era conosciuta come luogo
d'incontro con giovani che praticavano la prostituzione maschile, e anche i
bagni pubblici sono indicati come uno dei luoghi più usuali quando si voleva
andar in cerca di partner sessuali maschi: Giovenale indica il grattarsi la
testa con l'indice come segno di riconoscimento reciproco (nella II delle sue
Satire). Apuleio dice che i cinaedi formavano una vera e propria alleanza
sociale allo scopo di realizzar il piacere generale, soprattutto organizzando
banchetti e feste: nelle Metamorfosi (Auleio) (o Asino d'oro) descrive un
gruppo che ha acquistato e condiviso un concubinus; mentre in un'altra
occasione hanno invitato un giovane molto ben dotato (rusticanus iuvenis)
alternandosi subito dopo nel sesso orale su di lui, Altri studiosi, soprattutto
quelli che sostengono il punto di vista del costruttivismo socio-culturale,
sostengono invece che non vi è mai stato un gruppo sociale identificabile di
maschi che si sarebbero auto-identificati come appartenenti a una qualche
"comunità omosessuale. Matrimonio omosessuale Liceat modo vivere;
fient, fient ista palam, cupient et in acta referri, Giovenale, Satira. Anche
se, in generale, i romani consideravano il matrimonio come unione eterosessuale
al fine di generare figli, durante il periodo imperiale si sono verificati
episodi in cui coppie maschili hanno celebrato il rito tradizionale del
matrimonio romano in presenza di amici; queste forme di matrimonio tra persone
dello stesso sesso sono riportati da fonti che ne deridono gli intenti, mentre
non vengono registrati i sentimenti dei partecipanti. Il primo
riferimento nella letteratura latina di un matrimonio avvenuto tra uomini si
trova nelle Filippiche di CICERONE (si veda), il quale si trova a insultare MARC’ANTONIO
(si veda) per essere stato in gioventù "la sgualdrina" di Gaio
Scribonio Curione e aver "stabilito con lui un matrimonio vero e proprio
(matrimonium), come se avesse indossato una stola(l'abito tradizionale di una
donna sposata) da matrona. Anche se le implicazioni sessuali a cui vuole alludere
Cicerone sono chiare, il punto fondamentale del passaggio oratoriale del
filosofo stoico latino è quello è di gettare discredito su Antonio indicandolo
nel ruolo di sottomesso all'interno del rapporto omosessuale, mettendo così in
tal maniera in dubbio la sua virilità di cittadino; non vi è alcun motivo di
pensare che siano stati effettivamente eseguiti riti matrimoniali ufficiali. Sia
Marziale sia Giovenale - nelle sue Satire - si riferiscono al matrimonio tra
uomini come a un fatto che non accade di rado, cioè come qualcosa di usuale e
diffuso, abbastanza ricorrente all'interno della società dell'epoca, anche se
poi i due autori citati si ritrovano a disapprovarlo. Il diritto romano non ha
mai ufficialmente riconosciuto il matrimonio tra uomini, ma uno dei motivi
principali di disapprovazione espressi nella satira datata alla prima metà del
II secolo è che continuare a celebrarne i riti avrebbe anche potuto condurre a
un'aspettativa di registrazione ufficiale per tali unioni. Giovenale si
scaglia contro la diffusione dei rapporti omosessuali, identificati dal poeta
con l'effeminatezzae il vizio in generale; passa a descrivere coloro che
mascherano i propri vizi sotto il mantello della filosofia greca: i pervertiti
si vestono effeminatamente in pubblico, vi è poi chi difende la sua causa in
vesti trasparenti, chi giunge fino al punto di sposare un qualche
"suonatore di corno"... ma peggio ancora sono coloro che partecipano
ai misteri della Bona Deavestiti e truccati come fossero delle donne (satira).
Busto di Nerone. Nerone Varie fonti antiche (tra cui Svetonio, Tacito,
Dione Cassio, e Aurelio Vittore) affermano che l'imperatore romano del I secolo
Nerone abbia celebrato ben due matrimoni pubblici con degli uomini, una volta
assumendo per sé il ruolo della moglie (questo accadde col liberto chiamato
Pitagora), un'altra volta invece prendendo il ruolo del marito (con
l'eunucoSporo); vi sono poi indizi su un terzo caso in cui sembra aver avuto
ancora la parte della moglie. Le cerimonie neroniane includevano elementi
tradizionali come la dote e l'indossare il velo da sposa romana. Anche se le
fonti al riguardo si trovano a essere nella loro generalità pregiudizialmente
ostili, lo stesso Dione Cassio fa implicitamente notare che gli atti pubblici e
politici di Nerone venivano considerati molto più scandalosi dei suoi matrimoni
con degli uomini. Sporo rimase accanto a Nerone fino all'ultimo giorno, e si
tramanda che fu presente anche alla sua morte (Vita di Nerone), e, addirittura,
secondo Sesto Aurelio Vittore (Epitome de Caesaribus), sarebbe colui che resse
il gladio con cui egli si dava la morte. Un ruolo di rilievo al suo personaggio
compare viene dato anche in varie opere teatrali che descrivono tale evento (ad
esempio Martello). Alcuni studiosi considerano quella effettuata su Sporo come
la prima operazione di cambiamento di sesso storicamente descritta.
Profilo dell'imperatore Eliogabalo. EliogabaloModifica Agli inizi del III
secolo il giovanissimo imperatore di origini siriache Eliogabalo è indicato per
esser stato la sposa in un matrimonio che ha voluto celebrare col suo partner
maschile; ma anche molti altri uomini maturi della sua corte sembra avessero
dei mariti ufficiali, facendo per lo più notare che ciò era fatto a imitazione
dei matrimoni imperiali. L'orientamento sessuale di Eliogabalo e la sua
identità di genere sono stati origine di controversie e dibattiti; va notato,
però, che in Eliogabalo l'aspetto religioso e quello sessuale erano
profondamente intrecciati, come normale nella cultura orientale, ma la società
romana non comprese questo aspetto a essa alieno e dunque considerò stravaganti
e scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i
rapporti omosessuali e transessuali, la prostituzione, all'interno delle quali
va intesa la ricerca - nella figura dell'androgino - del desiderio di
castrazione. Stando a quanto ne dice il membro del senato romanoe storico
contemporaneo Cassio Dione Cocceiano, la sua relazione più stabile sarebbe
stata quella con un auriga, uno schiavo biondo proveniente dalla Caria di nome
Ierocle, al quale l'imperatore si riferiva chiamandolo suo marito. La Historia
Augusta, scritta un secolo dopo i fatti, afferma che sposò anche un uomo di
nome Zotico, un atleta di Smirne, con una cerimonia pubblica svoltasi nella
capitale. Cassio Dione scrisse inoltre che Eliogabalo si dipingeva le palpebre,
si depilava e indossava parrucche prima di darsi alla prostituzione nelle
taverne e nei bordelli di Roma, e persino all'interno del palazzo
imperiale: «Infine, riservò una stanza nel palazzo e lì commetteva
le sue indecenze, standosene sempre nudo sulla porta della camera, come fanno
le prostitute, e scuotendo le tende che pendevano da anelli d'oro, mentre con
voce dolce e melliflua sollecitava i passanti.» (Cassio Dione Cocceiano,
Storia romana, lxxx.13) Erodiano commenta che Eliogabalo sciupò il suo
bell'aspetto naturale facendo uso di troppo trucco. Venne spesso descritto
mentre «si deliziava di essere chiamato l'amante, la moglie, la regina di
Ierocle», e si narra che abbia offerto metà dell'Impero romano al medico che
potesse dotarlo di genitali femminili. Di conseguenza, Eliogabalo è stato
spesso descritto dagli scrittori moderni come transgender, molto probabilmente
transessuale. Proibizioni legali chiare e nette contrarie al matrimonio
omosessuale cominciarono ad apparire durante il IV secolo, via via che la
popolazione dell'impero romanostava sempre più convertendosi al
cristianesimo. Sileno ed Eros abbracciati. Bassorilievo in
terracotta degli inizi del I secolo. Lo stupro omosessuale Il diritto romano ha
affrontato la questione relativa allo stupro di un cittadino di sesso maschile,
quando venne emessa una sentenza all'interno di una causa che potrebbe aver
coinvolto un maschio di orientamento omosessuale. È stato stabilito che anche
un uomo "disdicevole e discutibile" (infamis e suspiciosus) aveva lo
stesso diritto appartenente a tutti gli altri uomini liberi che il proprio
corpo non fosse sottoposto al sesso forzato. Nella Lex Julia de vi publica,
risalente al tempo del dittatore romano Gaio GIULIO (si veda) Cesare lo stupro
viene definito come un forzare al rapporto sessuale un ragazzo o una donna e lo
stupratore è oggetto di esecuzione capitale, una sanzione abbastanza rara nel
diritto romano. Gli uomini che erano stati stuprati venivano esentati
dalla perdita dello status giuridico e sociale subita da coloro che concedevano
volontariamente il proprio corpo per dare piacere agli altri (soprattutto
attraverso il sesso anale e la fellatio); un giovane che si dedicava alla
prostituzione maschile o che comunque intratteneva sessualmente altri uomini è sottoposto
a infamia e pertanto escluso dalle protezioni legali di regola concesse ed
estese a tutti gli altri cittadini. Considerata come una questione di diritto,
uno schiavo o una schiava non avrebbero potuto essere violentati, ma in quanto
oggetto di proprietà e non in quanto persone il proprietario dello schiavo
poteva tuttavia perseguire il violentatore per danni alla proprietà. Il
timore di stupri di massa a seguito di una sconfitta militare si estendeva
anche a tutte le potenziali vittime di sesso maschile (in primis i bambini)
oltre che alle donne. Secondo il giurista Pomponio qualunque cosa l'uomo abbia
subito (compresa la violenza sessuale a causa della forza soverchiante dei
ladri o da parte del nemico in tempo di guerra), è una cosa che si deve
sopportare senza alcuna stigmatizzazione. La minaccia di un uomo di
sottoporne un altro alla pedicatio (rapporto anale) o irrumatio (rapporto
orale) è un tema assai frequente delle invettive poetiche, particolarmente
famosa quella espressa da Catullo nel suo "Carmen ed è stata anche una
forma comune di millanteria maschile; lo stupro è stato inoltre una delle
punizioni tradizionali inflitte su un uomo adultero da parte del marito offeso,
anche se forse più come fantasia di vendetta che effettivamente realizzato
nella pratica[166]. In una raccolta di dodici aneddoti che si occupano di
"assalti subiti dalla castità" lo storico Valerio Massimodispone le
vittime di sesso maschile a parità di numero se confrontate con le donne. In un
caso di processo farsa (esempio processuale) descritto da Seneca il Vecchio, un
adulescens (un giovane che non ha ancora formalmente incominciato la propria
vita da adulto) viene violentato da dieci suoi coetanei; anche se il caso è
ipotetico Seneca qui presuppone che la legge contempli la possibilità effettiva
di un tal accadimento. Un'altra ipotesi immagina un caso estremo in cui la
vittima di stupro venga indotta al suicidio; qui il maschio nato libero
(appartenente agli ingenui) che ha subito violenza si uccide: i romani
consideravano lo stupro su un ingenuus come uno tra i peggiori crimini che
potevano essere commessi, assieme col parricidio, la violenza su una ragazza
ancora in condizione di verginità e il furto all'interno di un tempio
romano. Relazioni omoerotiche nelle forze armate Lo stesso argomento in
dettaglio: Omosessualità militare nell'antica Grecia. Il soldato romano, come
ogni altro cittadino maschio libero e rispettoso dello Stato, avrebbe dovuto
mostrare autodisciplina anche in materia sessuale. Augusto aveva vietato ai militari
di sposarsi e questa proibizione è rimasta in vigore per l'esercito romano imperiale
per quasi due secoli; le forme di gratificazione sessuale a disposizione dei
soldati rimanevano quindi la prostituzione e l'utilizzo di persone ridotte in
schiavitù, lo stupro di guerra e le relazioni tra persone dello stesso
sesso. Il Bellum Hispaniense, narrante gli eventi della guerra civile
romana nella Spagna romana, cita un ufficiale che tiene con sé un
concubinus/prostituto durante tutta la campagna militare. Il sesso tra
commilitoni tuttavia violava il decoro romano, contrario a ogni tipo di
rapporto sessuale tra cittadini liberi; di primaria importanza per un soldato
era mantenere intatta la propria virilità (da vir, la sua condizione di uomo)
non permettendo mai quindi che il suo corpo potesse venir utilizzato da altri
per soddisfare scopi sessuali. In guerra lo stupro simboleggiava la
sconfitta, un motivo che rendeva il corpo del soldato costantemente vulnerabile
sessualmente. Durante il periodo della repubblica romana gli atti omosessuali
tra commilitoni erano soggetti a sanzioni severe, che potevano comprendere
anche la condanna capitale, in quanto violazione della disciplina militare;
Polibio riferisce che la punizione per un soldato che volontariamente avesse
acconsentito a essere sottomesso sessualmente, quindi sottoposto a
penetrazione, era il fustuarium(ossia la bastonatura a morte). Gli storici
romani registrano racconti cautelativi di ufficiali che abusano del loro potere
per costringere i propri sottoposti a compiere atti sessuali e quindi a subire
conseguenze disastrose. Agli ufficiali più giovani, che ancora potevano
mantenere alcune delle caratteristiche attrattive adolescenziali favorite
maggiormente nelle relazioni tra maschi, era consigliato di rinforzare le
proprie qualità maschili e non usare profumi, né tagliarsi i peli alle narici e
non radersi le ascelle. Un episodio riferito da Plutarco nella sua
biografia di Gaio Mario illustra il dovere del soldato di mantenere la propria
integrità sessuale nonostante le pressioni che potevano provenire dai suoi
superiori. Una bella e giovane recluta di nome Trebonio ha subito molestie
sessuali per un certo periodo di tempo dal suo ufficiale superiore, che si
trovava anche a essere il nipote di Mario, Gaio Luscius. Una notte, dopo
essersi nuovamente difeso, in una delle numerose occasioni in cui era stato
sottoposto alle attenzioni indesiderate dell'uomo, Trebonio è stato convocato
alla tenda di Luscius. Incapace di disobbedire al comando del suo superiore, si
trova così a essere improvvisamente l'oggetto di una violenza sessuale e, a
questo punto, sfoderata la spada uccide Luscius. La condanna per l'uccisione
di un ufficiale tipicamente provocava l'esecuzione immediata. Quando è stato
portato a processo, il ragazzo è stato però in grado di produrre testimoni per
dimostrare che aveva ripetutamente dovuto respingere Luscius, e che "non
aveva mai prostituito il suo corpo a nessuno, nonostante le profferte di regali
costosi". Marius non solo ha assolto Trebonio dall'accusa di aver
assassinato un suo parente, ma gli ha consegnato una corona (vedi ricompense
militari romane) per il coraggio dimostrato. Diana e Callisto, di Jollain.
Lesbismo Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del lesbismo. I riferimenti
al sesso tra donne non sono frequenti nella letteratura latina della repubblica
romana e dell'inizio del principato (storia romana). Ovidio, che è uno dei
massimi sostenitori d'uno stile di vita generalmente rivolto all'amore per le
donne, descrive e nota poi con partecipazione la storia di Ifi (o Ifide,
cresciuta e allevata come fosse un maschio) che s'innamora di Iante e in
seguito anche di Anassarete: si tratta di uno dei pochissimi miti lesbici
presenti nella tradizione classica. Scena di sesso lesbico. Terme Suburbane
(Pompei). In epoca imperiale successiva le fonti riguardanti relazioni
omosessuali tra donne divengono via via più abbondanti, in forma di ricette
mediche, incantesimi e pozioni d'amore, tesi di astrologia e interpretazione
dei sogni. Un graffito rinvenuto nei muri di Pompei antica esprime il desiderio
di una donna nei confronti di un'altra: "vorrei poter tenerla stretta al
collo, abbracciandola ed accoglier tutti i suoi baci sulle mie labbra. Parole
di lingua greca indicanti una donna che preferisce la compagnia intima di
un'altra donna includono hetairistria (in parallelo a hetaira-compagna (l'etera
o cortigiana), tribas (tribade, da cui deriva tribadismo) e lesbia (dall'isola
di Lesbo patria della poetessa Saffo). Alcuni termini della lingua latina sono
tribas (per prestito linguistico, fricatrix-colei che strofina o sfrega (i
propri genitali su quelli di un'altra) e virago (da vir-uomo, quindi una
donna-maschio). Saffo e le sue amiche a Lesbo, dipinto erotico di Édouard-Henri
Avril. Un primo riferimento ai rapporti omosessuali tra donne definito come
lesbismo si trova nello scrittore greco del II secolo Luciano di Samosata:
"dicono che ci sono donne come quelle di Lesbo, di aspetto maschile e che
si prendono come consorti altre donne, proprio come se fossero uomini.
Dato che il modo di pensare romano nei riguardi del rapporto sessuale era
eminentemente fallocratico e richiedeva in ogni caso un partner attivo
dominante gli scrittori uomini immaginavano che nella sessualità tra lesbiche
una delle due donne avrebbe dovuto utilizzare un fallo finto (dildo) oppure
avere una clitoride eccezionalmente grande tanto da consentire con essa la penetrazione
sessuale; per entrambe sarebbe stata un'esperienza piacevole proprio in quanto
si verificava l'atto penetrante. Raramente menzionati nelle fonti romane,
oggetti a forma di fallo da utilizzare al posto del reale penemaschile sono un
popolare elemento di comicità nella letteratura greca e nell'arte in genere, anche
attraverso la tradizione del simbolismo fallico; esiste invece una sola
raffigurazione nota nell'arte romana di una donna che penetra con questo
sistema un'altra donna, mentre l'utilizzo di un fallo artificiale da parte di
donne è più comune nella pittura vascolare greca. Marco Valerio Marziale
descrive le lesbiche come aventi appetiti sessuali fuor di misura che, prese da
quest'esagerazione di desiderio, potevano giungere a eseguire atti sessuali con
penetrazione su altre donne, ma anche su bambini; i ritratti imperiali di donne
che sodomizzano ragazzi, che bevono e mangiano come i maschi e che s'impegnano
in vigorosi regimi fisici, possono riflettere in parte le ansie culturali circa
la crescente indipendenza delle donne romane. Identità di genereModifica
Mosaico che mostra Ercole mentre porta un abbigliamento femminile ed è in
possesso di un gomitolo di lana (a sinistra), mentre Onfaleindossa la pelle del
Leone di Nemea. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Temi transgender nell'antica Grecia. Travestitismo e crossdressing Lo stesso
argomento in dettaglio: Storia del crossdressing. Il crossdressing appare
nell'arte e nella letteratura latina in vari modi per contrassegnare
l'incertezza nell'identità di genere: come invettiva politica, quando un
uomo pubblico è accusato di indossare abiti eleganti e seducenti al modo degli
effeminati. come tropo mitologico, come nella storia di Ercole e Onfale che si
scambiano gli abiti e con essi anche i ruoli sessuali. come una forma di
investitura religiosa, ad esempio nel sacerdozio degli adoratori di Cibele.
molto raramente come feticismo di travestimento. Ulpiano categorizza
l'abbigliamento romano sulla base di coloro che possono più opportunamente
indossarlo: l'abbigliamento virilia-da uomo e caratteristico dei
paterfamilias-i capi famiglia; puerilia è invece l'abbigliamento che marca chi
lo indossa come bambino o minore; muliebria sono i capi d'abbigliamento della
materfamilias; communia quelli che possono essere indossati da entrambi i
sessi; infine i familiarica ovvero gli abiti per i famigli, i subalterni e gli
schiavi di una casa. Un uomo che volesse indossare abiti adatti alle donne,
osserva sempre Ulpiano, rischierebbe di farsi oggetto di scherno: le prostitute
erano le uniche donne a cui era concesso d'indossare a piacere anche la
togamaschile, essendo loro di fatto al di fuori della categoria sociale e
legale normativa indicante la donna. Un frammento del commediografo Accio
sembra riferirsi a un uomo che indossava segretamente "fronzoli più adatti
a una vergine. Un esempio di travestitismo è riferito in una causa legale, in
cui "un certo senatore era abituato a indossare di sera vestiti da donna. In
una delle lezioni di diritto lasciateci da Seneca un giovane-adulescens viene
violentato mente indossava abiti da donna in pubblico, ma il suo abbigliamento
è spiegato come atto di sfida compiuto davanti agli amici, non come una scelta
basata sulla ricerca del piacere erotico. L'ambiguità di genere era una
caratteristica dei sacerdoti della Dea Frigia Cibele: conosciuti come Galli, il
loro guardaroba rituale comprendeva capi di abbigliamento femminile. Essi sono
a volte considerati come un'autentica casta sacerdotale transgender o
transessuale: durante la celebrazione più importante in onore della Dea, a
imitazione di Attis si auto-eviravano presi da smania e follia sacra. La
complessità della religione e del mito di Cibele e Attis viene esplorata in una
delle poesie più lunghe di Catullo. L'Ermafrodito dormiente,
conservato al museo del Louvre. Ermafroditismo e androginia Il termine
ermafroditismo viene riferito a una persona nata con caratteristiche fisiche di
entrambi i sessi (vedi intersessualità); nell'antichità la figura
dell'ermafrodita era una delle questioni primarie riguardanti l'identità di
genere. Plinio il Vecchioosserva nella sua Naturalis historia che "ci sono
anche coloro che sono nati con entrambi i sessi, sono quelli che noi chiamiamo
ermafroditi, un tempo detti androgini" (dal Greco Andr-uomo + Gyn-donna;
un uomo che è anche una donna quindi). Lo storico Diodoro Siculo del I secolo
a.C. scrisse che "alcuni dichiarano che il nascere di creature di questo
tipo sia un evento meraviglioso (teratogenesi) in quanto, essendo un fatto
molto raro, sia annunziatore del futuro, a volte con profezie benevole e altre
con previsioni più malevoli. Isidoro di Siviglia descrive in maniera abbastanza
fantasiosa un ermafrodito come colui "che ha il seno destro di un uomo e
quello sinistro di una donna e dopo l'atto sessuale possono diventare sia il
padre sia la madre dei loro eventuali figli. Secondo il diritto romano un
ermafrodito doveva essere classificato o come maschio o come femmina, non
esistendo una terza possibilità all'interno della categorizzazione giuridica: l'ermafrodito
rappresenta così una "violazione dei confini sociali, in particolare di
quelli fondamentali per la vita quotidiana, come l'essere maschio o l'essere
femmina. Nella religione romana tradizionale la nascita di un ermafrodito
rientrava nell'ambito del prodigium, un evento cioè che segna un'interruzione
nella pace tra Dei e umani; ma Plutarco osserva anche che mentre una volta
erano considerati dei presagi divini, ora gli ermafroditi erano diventati
oggetto di piacere-deliciae e venivano ampiamente contrattati e venduti al
mercato degli schiavi. Ermafrodito in un dipinto murale di Ercolano (prima metà
del I secolo). Nella tradizione mitologica classica Ermafrodito era un
ragazzino molto avvenente e grazioso figlio di Mercurio e Venere. OVIDIO (si
veda) ne ha scrive in dettaglio il racconto più famoso e influente, nelle sue
Metamorfosi sottolineando che, anche se il bel giovane è nel pieno della sua
bellezza e attrattiva adolescenziale, respinse l'amore che gli veniva offerto
esattamente come già aveva fatto Narciso. La ninfa Salmace che lo aveva
scorto lo desiderò immediatamente: rifiutata lei finse di ritirarsi ma poi, appena
il ragazzo cominciò a spogliarsi per poter fare il bagno nel fiume, si slanciò
su di lui abbracciandolo stretto e nel contempo pregando gli Dei di non essere
mai separati. Gli spiriti benevoli accolsero la sua richiesta supplicante e
così i due corpi, quello del ragazzo e quello della ninfa, si fusero in uno
dando luogo a un essere fisicamente bisessuato. Come risultato tutti gli
uomini che andavano a bere dalle acque di quella sorgente avrebbero sentito
sempre più crescere dentro sé caratteri da effeminatoe il morbo
dell'impudicitia. Il mito di Ila, il giovane compagno e amante maschio di
Ercole che venne rapito da una ninfa delle acque (Lympha), condivide con
Ermafrodito e Narciso il tema dei pericoli che si affacciano sul maschio
adolescente nell'età della transizione che lo dovrebbe portare alla
riconosciuta virilità adulta, e che invece ha esiti differenti per ognuno. Raffigurazioni
di Ermafrodito erano molto popolari tra i romani: "Rappresentazioni
artistiche di Ermafrodito portano in primo piano le ambiguità concernenti le
differenze sessuali costitutive di uomini e donne, nonché l'intima ambiguità
esistente in tutti gli atti sessuali... Gli artisti trattano sempre Ermafrodito
in qualità di spettatore di sé stesso, che scopre improvvisamente la sua più
autentica identità sessuale... La figura di Ermafrodito è una rappresentazione
altamente sofisticata, invadendo i confini esistenti tra i due sessi che sembra
essere così chiara nel pensiero classico. Macrobio descrive infine una
forma maschile della Dea Venere la quale aveva il suo culto principale
nell'isola di Cipro: dotata di barba e genitali femminili, indossava invece
abiti femminili. Gli adoratori di tale divinità travestita erano uomini vestiti
da donna e donne vestite da uomini. Il poeta latino LEVIO (si veda) parla
dell'adorazione di una Venere che non si sapeva bene se fosse maschio o femmina
(sive femina sive mas); questi è stato talvolta chiamato Afrodito e in diversi
esemplari di scultura questi si tira su le vesti rivelando d'avere genitali
maschili, gesto tradizionalmente riconducibile a un rito magico dal potere
apotropaico. La transizione da paganesimo a cristianesimoModifica Infine
non va sottovalutato il fatto che, è vero, nel tardo impero romano fu la
condanna cristiana a rendere l'omosessualità un reato (cioè uno stuprum) sempre
e comunque; tuttavia la terminologia usata per giustificare la condanna non è
cristiana, ma è ripresa dalla filosofia greca e non dalla teologica ebraica. Il
concetto di "contro natura", per esempio, viene da Platone, non dalla
Bibbia. Per l'ebraismo, l'omosessualità non è contro natura, ma semmai impura,
abominazione (to'ebah) Lo stesso argomento in dettaglio: Omosessualità ed
Ebraismo. Tuttavia è innegabile che il cristianesimo e la morale giudaica e
testamentaria funzionarono da base e fulcro alle leggi che, successivamente
adottate dagli imperatori cristiani come Costante, Teodosio I e Giustiniano,
proibirono e punirono con la pena capitale il nuovo reato di omosessualità.
Teodosio era infatti fortemente influenzato dal vescovo di Milano
Sant'Ambrogio, tanto che quando promulgò la legge che condannava gli atti
omosessuali passivi era sotto una penitenza assegnata dallo stesso Ambrogioin
un contesto in cui si stava svolgendo una lotta tra ariani e cattolici e in cui
gli "eunuchi", molto influenti nella corte imperiale, erano schierati
per la maggior parte con gli ariani affermando la natura umana di Gesù, ed
esercitavano pressioni nei municipi contro i cristiani niceni, cioè cattolici,
che sostenevano la duplice natura, divina e umana di Gesù, figlio di Dio. Un
anno prima del decreto che puniva gli atti omosessuali, un decreto di Teodosio
tolse agli eunuchi neo-ariani il diritto di fare e ricevere testamento. Sotto
il dominio cristiano Nel Basso Impero il modo di concepire l'omosessualità
cambia via via in modo sempre più restrittivo, fino ad arrivare al codice
Teodosiano che, recependo due leggi precedenti, reprimeva l'omosessualità
passiva e l'effeminatezza con la pena capitale o la mutilazione, mentre con
Giustiniano ogni manifestazione di omosessualità, anche attiva, fu bandita perché
in ogni caso offendeva Dio, con riordino del sistema della persecuzione
criminale e con pena di morte per infanda libido, formulando anche un giudizio
morale ("infanda" = letteralmente che non può esser detta,
innominabile). Le cause di questo cambiamento legislativo, di
irrigidimento e intolleranza sempre più crescente verso l'omosessualità sono
ancora oggi dibattute da alcuni storici e studiosi. Indubbiamente un ruolo
importante fu svolto dalla morale cristiana e dal passaggio del Cristianesimo
da religione segreta e proibita a religione di Stato, unica ammessa in tutto
l'Impero. La morale cristiana infatti, a differenza di quella pagana
greco-romana, considerava comunque peccato l'atto omosessuale, di là dal ruolo
svolto, contrapponendo, alla visione maschilista tipica della società romana
sul sesso, una visione più ascetica e distaccata in cui il sesso era sempre
considerato un peccato e un atto impuro, al di fuori della finalità di unione
nella complementarità sessuale evocata in Genesi e della apertura alla
procreazione, e quindi dividendo le pratiche sessuali in lecite (rapporto tra
uomo-donna atto alla riproduzione, sacralizzato a Dio tramite il matrimonio) e
in illecite (tutto il resto, cioè gli atti sessuali non atti alla riproduzione,
tra cui anche l'omosessualità attiva e passiva, oltre che la
masturbazione). Alcuni studiosi tuttavia ritengono che l'irrigidimento
fosse stato coadiuvato, senza niente togliere alla morale cristiana sempre più
dominante, anche a un certo puritanesimo pagano sempre più crescente di fronte
alla decadenza dei costumi tipica del Tardo Impero. Apollo tra gli amati
Giacinto (mitologia) e Ciparisso, del pittore Ivanov. Scultura di Bissen
che ritrae Ila, bellissimo giovinetto amato da Ercole. Uno dei tanti busti
dedicati d’ADRIANO (si veda) ad Antinoo. Rapporto sessuale tra Antinoo e
l'imperatore Adriano in uno dei tanti dipinti erotici di Édouard-Henri
Avril. Corteo trionfale del dio Bacco. Mosaico del II secolo. Busto
romano di ragazzo (forse Polydeukes amato da Erode Attico), conservato
all'Ermitage di San Pietroburgo Craig Williams, Roman Homosexuality (Oxford,
citando Saara Lilja, Homosexuality in Republican and Augustan Rome (Societas
Scientiarum Fennica, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Williams, Roman
Homosexuality (Oxford Williams, Roman Homosexuality, passim; Elizabeth Manwell,
"Gender and Masculinity," in A Companion to Catullus (Blackwell,
Habinek, "The Invention of Sexuality in the World-City of Rome," in
The Roman Cultural Revolution (Cambridge McGinn, Prostitution, Sexuality and
the Law in Ancient Rome (Oxford. Si
veda la dichiarazione conservata in Aulo Gellio sul fatto che vim in corpus
liberum non aecum adferri). Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico-"Bisexuality in the Ancient World" (Yale, originariamente in
italiano), Fantham, "The Ambiguity of Virtus in Lucan's Civil War and
Statius' Thebiad," Arachnion; Bell, CICERONE (si veda) and the Spectacle
of Power," Journal of Roman Studies Ramage, “Aspects of Propaganda in the
De bello gallico: GIULIO (si veda) CESARE’s Virtues and Attributes,” Athenaeum;
Myles Anthony McDonnell, Roman manliness: virtus and the Roman Republic, Cambridge;
Rhiannon Evans, Utopia Antiqua: Readings of the Golden Age and Decline at Rome
(Routledge, Lopez, "Before Your Very Eyes: Roman Imperial Ideology, Gender
Constructs and Paul's Inter-Nationalism," in Mapping Gender in Ancient
Religious Discourses (Brill, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, p. xi; Marilyn B.
Skinner, introduzione a Roman Sexualities (Princeton Langlands, Sexual Morality
in Ancient Rome (Cambridge Per un ulteriore approfondimento su come l'attività
sessuale definisce il libero cittadino rispettabile dallo schiavo considerato
non-persona e quindi passibile di qualsiasi abuso, vedi anche la voce
Sessualità nell'antica Roma nella parte riguardante la relazione
schiavo-padrone. ^ Amy Richlin, The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression
in Roman Humor (Oxford Edwards, "Unspeakable Professions: Public
Performance and Prostitution in Ancient Rome," in Roman Sexualities,
Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," in A Companion to the Roman
Empire (Blackwell La legge ha cominciato con l'indicare pene più severe per le
classi più basse (humiliores) rispetto all'elite (honestiores). ^ Questo è un
tema esposto da Barton, The Sorrows of the Ancient Romans: The Gladiator and
the Monster (Princeton Liber (Catullo) Carmina Elegie (Tibullo) Cantarella,
Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico (Yale, originariamente in
italiano) Svetonio, Vita di Cesare; Carmina, Svetonio, Vita di Cesare, (Vita di
Augusto) Osgood, J. Caesar's Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman
Empire, CUP, in books.google. com Plutarco, penelope. uchicago. edu/Thayer/E/ Roman/Texts/
Plutarch/Lives/Antony Vite parallele: Antonio] Fraquelli Omosessuali di destra
Svetonio, Vite dei Cesari: Tiberio Svetonio, Vite dei Cesari: Vitellio III.
Cassio Dione,; Tacito, Agricola, Cassio Dione, Pollione&source= bl&ots=ma--4gCTxi&sig=
BLfjJsIiqk0vwvEuu2 VA Qh45m2Q&hl=it &sa=X &ei= UQ2vVOTfHMf7 ygOVl4K4
CA&ved=0CCYQ6A EwAQ#v= onepage&q= Clodio%20 Pollione& f=false ^
Silvae, Marziale Epigrammi (Marziale) NAr3Riy4EYMC &pg =PA60&lpg= PA60&dq=
Clodio+Pollione& source=bl&ots= FTuncuSDtC&sig= Hwrnh0vVLuL C6digxZLfe
KFhMyE&hl =it&sa= X&ei=UQ2vVO TfHMf7 yg OVl4K4CA&ved= 0 CDAQ6AEw
Aw#v=onepage &q= Clodio%20 Pollion e&f=false M. Fraquelli Omosessuali di destra; Mambella,
Antinoo. L'ultimo mito dell'antichità nella storia e nell'arte, Ed. Nuovi
Autori, Milano Luciano di Samosata, Dialoghi e epigrammi IG Polydeukion, su
Aedicula Antinoi: A Small Shrine of Antinous. Lambert, Beloved and God: The Story of Hadrian and
Antinous, Luciano de Samosata, I dialoghi e gli epigrammi, Casini/I dioscuri,
Genova, Clarke, Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art (University of California Press, Clarke,
Looking at Lovemaking, Habinek, The Invention of Sexuality in the World-City of
Rome," in The Roman Cultural Revolution, Williams, Roman Homosexuality,
Richlin, "Pliny's Brassiere," in Roman Sexualities, Fredrick, The
Roman Gaze: Vision, Power, and the Body (Johns Hopkins Zanker, The Power of
Images in the Age of Augustus, Michigan Pollini, "The Warren Cup:
Homoerotic Love and Symposial Rhetoric in Silver," Art Bulletin Clarke,
Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art, California,
asserts that the Warren cup is valuable for art history and as a document of
Roman sexuality precisely because of its "relatively secure date. Pollini, "The Warren Cup, Pollini, "Warren
Cup," Pollini, "Warren Cup, Marabini Moevs, “Per una storia del
gusto: riconsiderazioni sul Calice Warren,” Ministero per i Beni e le Attività
Culturali Bollettino d'Arte Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico, Courtney, The Fragmentary Latin Poets, Oxford MacMullen, "Roman
Attitudes to Greek Love," Historia Halperin, "The First
Homosexuality?" in The Sleep of Reason: Erotic Experience and Sexual
Ethics in Ancient Greece (Chicago, with criticism of MacMullen. Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico, p. xi; Skinner, introduzione a Roman Sexualities, Cantarella, Secondo
natura. La bisessualità
nel mondo antico; Skinner, introduzione a Roman Sexualities, Vedi i Carmina
Pollini, "The Warren Cup: Homoerotic Love and Symposial Rhetoric in
Silver," Art Bulletin Richlin, "Not before Homosexuality: The
Materiality of the cinaedus and the Roman Law against Love between Men, Journal
of the History of Sexuality LUCREZIO (si veda), De rerum natura). Vedi anche Sessualità nell'antica Roma#Rapporti
omosessuali; Prima che sia peccato. L'omosessualità nella letteratura latina. A cura di
Manni, Williams, Roman Homosexuality VIRGILIO (si veda), Eneide, Petrini, The
Child and the Hero: Coming of Age in Catullus and Vergil (University of
Michigan, Winn, The Poetry of War (Cambridge Ecloga Tibullo, Elegie (Tibullo)-
Properzio OVIDIO (si veda), Ars Amatoria; Pollini, "Warren Cup,"
Metamorfosi (Ovidio) Habinek, "The Invention of Sexuality in the
World-City of Rome, Crompton, Byron and Greek Love (London, CIL; tr. from Hubbard,
Homosexuality, Petronius: Satyricon, Aelius Lampridius: Scripta Historia
Augusta, Commodus, Ausonius, Epigramma Green Kuefler, The Manly Eunuch:
Masculinity, Gender Ambiguity, and Christian Ideology in Late Antiquity
(University of Chicago RIchlin, "Not before Homosexuality," RIchlin,
The Garden of Priapus, Svetonio, Vita di Cesare; Richlin, "Not before
Homosexuality," Come citato da Cantarella, Bisexuality in the Ancient
World, Cantarella, Bisexuality in the Ancient World, Richlin, "Not before
Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Williams, Roman
Homosexuality, Williams, Roman Homosexuality, Williams, Roman Homosexuality,
Williams, Roman Homosexuality. Butrica, "Some Myths and Anomalies in the
Study of Roman Sexuality," in Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman
Antiquity, confronta l'uso di cinaedus come "faggot" nella canzone
dei Dire Straits intitolata "Money for Nothing", in cui un cantante è
chiamato esplicitamente "that little faggot with the earring and the
make-up" e "gets his money for nothing and his chicks for free. Williams,
Roman Homosexuality, Williams, Roman Homosexuality, Cantarella, Secondo natura.
Bisesualità nel mondo antico, Catullus, Carmen Butrica, "Some Myths and
Anomalies in the Study of Roman Sexuality," Richlin, "Not before
Homosexuality; Ronnie Ancona, "(Un)Constrained Male Desire: An
Intertextual Reading of ORAZIO (si veda) Odes and Catullus Poem 61," in
Gendered Dynamics in Latin Love Poetry (Hopkins, Petrini, The Child and the
Hero: Coming of Age in Catullus and Vergil (University of Michigan Williams,
Roman Homosexuality: Martial: "quartus cinaeda fronte, candido voltu / ex
concubino natus est tibi Lygdo: / percide, si vis, filium: nefas non est. Cantarella, Bisexuality in the Ancient World;
Robinson Ellis, A Commentary on Catullus (Cambridge Petrini, The Child and the
Hero, Quintiliano, Institutio oratoria, disapprova la frequentazione sia di
concubini sia di (amicae) di fronte ai propri figli. Ramsey MacMullen, "Roman
Attitudes to Greek Love," Historia Williams, Roman Homosexuality, citing
Martial: tuoque tristis filius, velis nolis, cum concubino nocte dormiet prima
Caesarian Corpus, De Bello Hispaniensi; MacMullen, "Roman Attitudes to
Greek Love, They use the word Catamitus for Ganymede, who was the concubinus of
Jove," according to the lexicographer Festus (as cited by Williams, Roman
Homosexuality, Butrica, "Some Myths and Anomalies in the Study of Roman
Sexuality," in Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity, Parker,
"The Teratogenic Grid," in Roman Sexualities, p. 56; Williams, Roman
Homosexuality. Parker, "The Teratogenic Grid, citing Martial Richlin,
"Not before Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Richlin,
"Not before Homosexuality," Richlin, "Not before Homosexuality;
Williams, Roman Homosexuality, Richlin, Not before Homosexuality, Fantham,
"Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in Republican
Rome," in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature from Plautus
to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Richlin, "Not before
Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Manwell, "Gender and
Masculinity, A Companion to Catullus, Blackwell, Vioque, Manwell, "Gender
and Masculinity," Verstraete and Vernon Provencal, introduction to
Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and in the Classical
Tradition (Haworth Vout, Power and Eroticism in Imperial Rome (Cambridge (for
Sporus in Alexander Pope's poem "Epistle to Arbuthnot", see Who
breaks a butterfly upon a wheel?). Keith, "Sartorial Elegance and Poetic
Finesse in the Sulpician Corpus," in Roman Dress and the Fabrics of Roman
Culture, Antolín, Lygdamus. Corpus Tibullianum: Lygdami Elegiarum Liber (Brill,
Vioque, Fitzgerald, Slavery and the Roman Literary Imagination (Cambridge. As
at Orazio, Satire e Svetonio, Vita di Caligola, as noted by Dutsch, Feminine
Discourse in Roman Comedy: On Echoes and Voices (Oxford See also Plauto,
Poenulus, come osserva Saller, "The Social Dynamics of Consent to Marriage
and Sexual Relations: The Evidence of Roman Comedy," in Consent and
Coercion to Sex and Marriage in Ancient and Medieval Societies (Dumbarton Oaks,
Le parole pullus e puer possono derivare dalla stessa radice Indo-Europea; vedi
Martin Huld, la definizione "child," nell' Encyclopedia of
Indo-European Culture (Fitzroy Dearborn, Richlin, The Garden of Priapus:
Sexuality and Aggression in Roman Humor (Oxford University Press, Festus in the
Teubner edition of Lindsay; Williams, Roman Homosexuality, Leclercq, Histoire
de la divination dans l'antiquité (Millon Richlin, The Garden of Priapus, Richlin,
The Garden of Priapus, trova la reputazione di Eburno come pulcino di Giove e
la sua successiva estrema severità contro l'impudicitia del figlio come molto
significativa e stimolante. CICERONE (si veda), Pro Balbo; VALERIO (si veda)
Massimo; Pseudo-Quintiliano, Decl; Paolo Orosio; Broughton, The Magistrates of
the Roman Republic (American Philological Association, Kelly, A History of
Exile in the Roman Republic (Cambridge; Richlin, The Garden of Priapus. Williams,
Roman Sexuality. As at Apuleio, L'asino d'oro; Cicerone, Pro Caelio (in
riferimento al suo nemico personale Publio Clodio Pulcro); Adams, The Latin
Sexual Vocabulary (Johns Hopkins Geffcken, Comedy in the Pro Caelio
(Bolchazy-Carducci, Giovenale, Satire; Erik Gunderson, "The Libidinal
Rhetoric of Satire," in The Cambridge Companion to Roman Satire, Cambridge
Richlin, The Garden of Priapus, Glossarium codicis Vatinici, Corpus Glossarum
Latinarum IV p. xviii; see Götz, Rheinisches Museum Primarily Amy Richlin, as
in "Not before Homosexuality. Plautus, Curculio Williams, Roman
Homosexuality, As summarized by Clarke, "Representation of the Cinaedus in
Roman Art: Evidence of 'Gay' Subculture," in Same-sex Desire and Love in
Greco-Roman Antiquity, Cicerone, Fillippiche, citato da Williams, Roman
Homosexuality Williams, Roman Homosexuality, Martial; Juvenal. Williams, Roman
Homosexuality, Hersh, The Roman Wedding: Ritual and Meaning in Antiquity
(Cambridge Vout, Power and Eroticism in Imperial Rome (Cambridge, Williams,
Roman Homosexuality, Le fonti sono citate da Williams, Roman Homosexuality,
Dione Cassio; Williams, Roman Homosexuality. Tra gli altri: Durant; Koranyi Williams, Roman
Homosexuality, citando Dione Cassio e Elio Lampridio. Cassio Dione, Historia
Augusta, Cassio Dione, Erodiano Cassio Dione, Benjamin Godbout Richlin,
"Not before Homosexuality,". As recorded in a fragment of the speech De Re Floria
by CATONE (si veda) the Elder (frg. Jordan = AULO GELLIO (si veda), as noted
and discussed by Richlin, "Not before Homosexuality," Digest Richlin,
"Not before Homosexuality,". See also Digest on legal definitions of
rape that included boys. Richlin, "Not before Homosexuality,"
Cantarella, Bisexuality in the Ancient World, McGinn, Prostitution, Sexuality
and the Law, Williams, Roman Homosexuality. Digest, as noted by Richlin,
"Not before Homosexuality," Richlin, The Garden of Priapus, in
Marziale, Williams, Roman Homosexuality; Skinner, introduzione a Roman
Sexualities; Richlin, "The Meaning of irrumare in Catullus and Martial,"
Classical Philology. Williams, Roman Homosexuality (con un esempio proveniente
da Marziale Edwards, The Politics of Immorality in Ancient Rome (Cambridge)
Valerio Massimo; Richlin, "Not before Homosexuality," Richlin,
"Not before Homosexuality," Quintiliano, Institutio oratoria;
Richlin, "Not before Homosexuality," Richlin, "Not before
Homosexuality, citando il passaggio proveniente da Quintiliano. ^ Men of the
governing classes, who would have been officers above the rank of centurion,
were exempt. Pat Southern, The Roman Army: A Social and Institutional History
(Oxford University Press, Phang, The Marriage of Roman Soldiers: Law and Family
in the Imperial Army (Brill, Phang, The Marriage of Roman Soldiers, Phang,
Roman Military Service: Ideologies of Discipline in the Late Republic and Early
Principate (Cambridge University Press, Phang, Roman Military Service. See
section above on male rape: Roman law recognized that a soldier might be raped
by the enemy, and specified that a man raped in war should not suffer the loss
of social standing that an infamis did when willingly undergoing penetration;
Digest, as discussed by Richlin, "Not before Homosexuality, McGinn,
Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome (Oxford Polibio, Storie
(metodo antico di bastinado). Phang, The Marriage of Roman Soldiers, Phang,
Roman Military Service, citing among other examples Juvenal, Satire Lo stesso
nome è citato anche altrove in Plozio Tucca. Plutarco, Vita di Mario; vedi anche Valerio Massimo;
Cicerone, Pro Milone, in Dillon e Garland, Ancient Rome,; in Dionigi di
Alicarnasso 16.4. Discussione di
Phang, Roman Military Service, e The Marriage of Roman Soldiers, Cantarella,
Secondo natura. La bisessualità nell'antica Roma, Ovidio, Metamorfosi (Ovidio),
citato in Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Brooten, Love
between Women: Early Christian Responses to Female Homoeroticism, Chicago, The
Latin indicates that the I is of feminine gender; CIL, as cited by Richlin,
"Sexuality in the Roman Empire," Brooten, Love between Women,Luciano,
Dialoghi delle cortigiane. Walters, "Invading the Roman Body: Manliness
and Impenetrability in Roman Though, and Gordon, "The Lover's Voice in
Heroides: Or, Why Is Sappho a Man?," p. 283, both in Roman Sexualities;
Clarke, "Look Who's Laughing at Sex: Men and Women Viewers in the
Apodyterium of the Suburban Baths at Pompeii," both in The Roman Gaze,
Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Swancutt, "Still
before Sexuality: 'Greek' Androgyny, the Roman Imperial Politics of Masculinity
and the Roman Invention of the tribas," in Mapping Gender in Ancient
Religious Discourses (Brill), Martiale, 50; Richlin, "Sexuality in the
Roman Empire, Clarke, Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in
Roman Art, California Press, Clarke, Looking at Lovemaking, Digest, as cited by
Richlin, "Not before Homosexuality," Edwards, "Unspeakable
Professions," Cum virginali mundo clam pater: Kelly Olson, "The
Appearance of the Young Roman Girl, in Roman Dress and the Fabrics of Roman
Culture(University of Toronto Press, Digest as cited by Richlin, "Not
before Homosexuality," Vedi sopra alla sezione stupro maschio-maschio. Lucio
Anneo Seneca il Vecchio, Controversia; Richlin, Not before Homosexuality, Murray,
Homosexualities (Chicago, Bachvarova, "Sumerian Gala Priests and Eastern
Mediterranean Returning Gods: Tragic Lamentation in Cross-Cultural Perspective,
Lament: Studies in the Ancient Mediterranean and Beyond (Oxford University
Press, Clarke, Looking at Lovemaking, Taylor, The Moral Mirror of Roman Art (Cambridge)
Pliny, Natural History: gignuntur et utriusque sexus quos hermaphroditos
vocamus, olim androgynos vocatos; Veronique Dasen, "Multiple Births in
Graeco-Roman Antiquity," Oxford Journal of Archaeology Diodorus Siculus, Roscoe,
"Priests of the Goddess: Gender Transgression in Ancient Religion,"
in History of Religions, Isidoro di Siviglia, Etimologie, Roller, "The
Ideology of the Eunuch Priest," Gender et History, Roscoe, "Priests
of the Goddess," Plutarco, Moralia; Dasen, "Multiple Births in
Graeco-Roman Antiquity," Ovid, Metamorphoses Taylor, The Moral Mirror of
Roman Art; Clarke, Looking at Lovemaking, Taylor, The Moral Mirror of Roman
Art, Paulus ex Festo; Richlin, "Not before Homosexuality," Taylor,
The Moral Mirror of Roman Art, Clarke, Looking at Lovemaking, Macrobio,
Saturnalia, Macrobio dice che Aristofane chiama una tale figura col nome di
Aphroditos. Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius des Grossen,
Monaco, In: Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften,
Philosophisch-historische Klasse,Atanasio, Storia degli Ariani, Codice di
Teodosio. Gaio Valerio Catullo, I Carmi. Publio
Virgilio Marone, Bucoliche. Albio Tibullo, Elegie. Tito Petronio Nigro,
Satyricon. Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius des Grossen,
Monaco, Foucault, La volontà di sapere. (Storia della sessualità), Feltinelli,
Milano Foucault, L'uso dei piaceri. (Storia della sessualità), Feltrinelli,
Milano Williams: Roman Homosexuality, Ideologies of Masculinity in Classical
Antiquity. in: Oxford: Ideologies of Desire. Oxford, Vioque, Martial, A Commentary, traduzione di
Zoltowski, Brill, Hubbard: Homosexuality in Greece and Rome, a Sourcebook of
Basic Documents. Los Angeles, London, Cantarella, Secondo
natura - La bisessualità nel mondo antico, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, RAYOR, Homosexuality
in Greece and Rome: A sourcebook of basic documents. Univ of California Press, Voci correlate Storia LGBT
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nell'Antica Roma Portale Antica Roma Portale LGBT Lex
Scantinia Sessualità nell'antica Roma Terminologia dell'omosessualità – Grice:
“And then there’s Roman sex”. Grice: “Like me in ‘Some remarks about the senses, Fardella with Giorgi
follow Lucrezio’s materialism, -- and Cicero’s sensible terminology on
sensibilia!” Michelangelo Fardella. Fardella. Keywords: metafisica, ontologia,
razionalismo, aritmetica, geometria, solipsismo, percezione, vedere – sentire –
atomismo di lucrezio, sensismo di Giorgi – Cartesio is actually borrowing it
all from Platone’s Timeo – for whom the world is also only interpretable ‘more
geometrico’. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fardella”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Fariano: la ragione
conversazionale e il circolo di Giuliano -- Roma antica -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Friend of
Giuliano. Studies philosophy with
Giuliano and Eumenio.
Luigi Speranza -- Grice
e Fassò: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Igitur
est RES PVBLICA RES POPVLI – l’implicatura di Bruto – scuola di Bologna –
filosofia bolognese – filofosia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo
bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia. Grice: “I
like Fassò; for one,
he was, like my friend H. L. A. Hart, a philosophical lawyer! But unlike Hart,
Fassò, being a Roman, knew what he was talking about!” “My favourite is his
explication of Bruto’s reaction when being brought the corpses of his two
sons!” Fassò, mi viene a conforto col suo ottimo
lavoro, che dà una diligentissima ed acuta interpretazione ed esposizione del
corso non già logico ma storico, o per meglio dire, psicologico della
formazione della Scienza nuova; esposizione che è utile possedere e che si
segue con curiosità. Con pari bravura è condotta la ricerca di quel che VICO
attinse o credette di attingere ai quattro suoi autori. Croce, Illusione degli
autori sui “loro” autori,). Figlio di Ernesto, generale dell'esercito, e
Caterina Barbieri, discendente dalle famiglie Barbieri (il di lei nonno è
Lodovico Barbieri) e Dallolio (Maria Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di
Alberto e Alfredo Dallolio), trascorre i suoi primi anni, fino all'adolescenza,
fra il Piemonte (Mondovì), l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova).
Temperamento religioso, ereditato dall'educazione famigliare e dalla
frequentazione con un anziano sacerdote, si caratterizza sempre per il rigore
negli studi (perciò Mazzetti, suo compagno di gioventù, poté definirlo schivo
degli incontri e quasi della società, teso in un impegno di chiarezza mentale,
di serietà e finezza di sentire. Conseguita la maturità classica al Virgilio di
Mantova, si laurea a Bologna, sotto Borsi con “L'elemento demografico nelle
provvidenze assistenziali a favore dei lavoratori: la legislazione del lavoro”.
Dopo aver rinunciato ad impiegarsi come funzionario nell'unione industriale, ottiene
anche la laurea in Filosofia, sotto SAITTA (si veda), con “Vico e Michelet”. Confide
poi al suo allievo,Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere
redditizia, è un matrimonio con «madonna povertà», cui egli, tuttavia, non
volle sottrarsi, non essendo versato, come rivelò a Nicolini, nella
«professione forense. Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e
filosofia, inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna, poi a
Forlì e, infine, al Liceo Righi di Bologna. Il suo saggio, dedicato a Vico nel
pensiero del suo primo traduttore francese, che, però, a causa dell'indisponibilità
degli editori, sarebbe stato pubblicato, grazie all'intervento di Saitta come
memoria dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Vicino al
Partito Liberale Italiano, a guerra conclusa accetta di candidarsi, per il
medesimo partito, alle elezioni comunali bolognesi. Divenuto assistente
volontario di Filosofia del diritto nell'Ateneo felsineo, fu convinto da Felice
Battaglia a concorrere per la libera docenza, che ottenne. Nel medesimo anno,
al Parma, gli viene quindi assegnato l'incarico in Filosofia del diritto. Aggiudicatosi
l'ordinariato, si trasferì successivamente a Bologna, dove insegnò filosofia
giuridica, presso la Facoltà di Giurisprudenza, e Storia delle dottrine
politiche, nella Facoltà di Lettere e Filosofia. Si occupa di studi
vichiani (della cui validità scientifica è testimonianza una epistola di
Solari, in cui si apprende che l'interpretazione giuridica della Scienza nuova
proposta da F. supera la visione Croce-Nicolini, ponendosi al livello
qualitativo di quelle di Fubini e di Donati) e groziani, della cura e
traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di Grozio e
scrisse VICO (si veda) e Grozio, nonché, la Storia della filosofia del diritto
in tre volumi, giudicata da Bobbio come la storia della filosofia del diritto più
completa» esistente sulla faccia della terra. Oltre Croce, F. criticò
anche GENTILE (si veda), autore di una concezione speculativa indubbiamente
grandiosa, che si risolveva, però, in vana retorica, negante, entro la dialettica
dello spirito, la realtà del fenomeno giuridico. Fra le altre opere, La
democrazia in Grecia; Il diritto naturale; dello stesso anno è La legge della
ragione, considerata una «tra le opere migliori di filosofia del diritto uscite
in Italia» al tempo, e consistente in una «appassionata rivalutazione» del
diritto naturale; Società, legge e ragione, apparso nell'anno della morte (i
due ultimi volumi citati, tuttavia, ripropongono scritti precedenti). Le
pubblicazioni in cui si esprime con più chiarezza l'ispirazione teoretica di F.
sono, invece, La storia come esperienza giuridica (in cui, ha commentato BOBBIO (si veda) si
dimostra che tutti i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini, contengono un
germe di organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche») e Cristianesimo
e società, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente cattolico,
incontrando financo il favore di Prezzolini. Il suo testament disponeva
funerali semplici, «senza fiori e senza seguito di estranei. In un codicillo, inoltre,
soggiungeva che, se si trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti o
dattilografati, non si stampino, perché non possono essere stati riveduti come
avrei ritenuto necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere «in
volume opuscoli sparsi o scritti minori, operazione che non dovrebbe mai esser
fatta se non dall'autore». Alla memoria di F., oltre che a quella di Gaudenzi,
è intitolato il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto,
Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica a Bologna,. Benché F.
abbia apprezzato il Romano sostenitore della concezione non normativistica del
diritto, egli non poté tacerne il limite, consistente nell'assenza di una
«definizione esauriente» dell'istituzione, dovuto alla volontà di Romano di
tenersi «fuori dal campo della filosofia». Il più limpido storico del
giusnaturalismo». Formatosi filosoficamente nella temperie culturale
neoidealistica, Fassò se ne distaccò, rifiutandone soprattutto l'immanentismo,
con La storia come esperienza giuridica, opera ispirata dalle suggestioni
istituzionalistiche di Romano (ma di questi deplorerà, nella successiva Storia
della filosofia del diritto, il circolo vizioso, per cui una istituzione è
giuridica solo quando è giuridica. A Croce, che faceva coincidere storia e
filosofia, F. replica con l'identificazione di storia e giuridicità, estendendo
il concetto di istituzione — contrariamente a quanto aveva fatto Romano, e
risolvendone così il circolo vizioso — a tutti gli aspetti della vita sociale,
cioè della vita dell'uomo nella storia, che è sempre vita dell'uomo in società.
L'elisione dell'identità fra realtà storica e razionalità filosofica non
implica la rimozione dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità
conoscitiva, ricadendo la «concreta unità del reale» (sotto l'aspetto
gnoseologico) nell'ambito del privo di senso, sebbene restasse attingibile in
uno slancio mistico, descritto, in una pagina de La legge della ragione, come
partecipazione dell'«uomo al valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli
Dio per unirsi a lui, trascendendo la propria umanità, la propria soggettività
empirica, storica». È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia
legato l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo
misticheggiante, ma — giusta l'osservazione di Vallauri — abbia formulato un
«dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità dell'etica intesa
come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione essenziale della ragione
giuridica nel mondo. Proprio il riconoscimento della centralità della ragione
giuridica nel governo della «concreta molteplicità del reale» costituì, per F.,
un ulteriore motivo critico nei confronti dell'anti-gius-naturalismo crociano,
da cui, dopo l'approfondimento della storia del giusnaturalismo, prese più
convintamente le distanze. La concezione giusnaturalistica fassoiana, infatti,
cerca di non cadere nell'errore proprio della tradizione precedente (errore che
nella Storia della filosofia del diritto, non esitò a indicare quale «difetto
capitale» della scuola del diritto naturale, consistente nell'astrattismo e nel
conseguente antistoricismo), intendendo il diritto naturale quale ordine che
nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non essere inserito proprio per
la sua dimensione storica, che è la sua dimensione essenziale. Medaglia d'oro
ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme
ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte. Croce,
Illusione degli autori sui “loro” autori, su Quaderni della Critica, Laterza, Ora
anche in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Savorelli, Napoli,
Bibliopolis, Cfr. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza. La sua
ricerca di Saitta, anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una
protesta. Polemica e protesta che attraversano ugualmente l'attività così di
Calogero come dello Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti
della sinistra gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo
benevolmente, di crocianesimo». Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio
del pensiero di F.. F. segue con particolare attenzione i corsi di Saitta, che
gli suggerì di approfondire Michelet, che lo avrebbe condotto a Vico. Scheda senatore Dallolio, su Scheda senator
Dallolio, su senato. Le parole di Mazzetti sono riportate in Faralli, Il
maestro e lo studioso, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino,
Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno
Accademico, Bologna, Società Tipografica già Compositori,Elenco dei laureati e
diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico. Bologna,
Tipografia Compositori, Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla
gnoseologia, ontologia e concezione della filosofia di F., in Rivista di
filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino. “Mi disse che ci sarebbe stato un
concorso per assistente ordinario alla cattedra e mi chiese se fossi
interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due avvertimenti sui quali avrei
dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi sono: "chi fa filosofia
del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa madonna povertà e nell'università
occorre sapere ingoiare amaro e sputare dolce perché l'intelligenza degli
accademici è di regola superiore a quella dei comuni mortali, e ciò implica che
essi siano capaci di cattiverie più raffinate e perfide di quelle di cui sono
capaci i comuni mortali. La citazione è tratta dal carteggio Fassò-Nicolini,
richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto. Contributo allo studio del
pensiero di F., premesso. In altre lettere allo stesso Nicolini, scrive di non
sentire nessuna vocazione per la professione forense. Curriculum vitae di
Andrea Fassò, Consiglio Nazionale del Notariato.. Gli studi vichiani di F., in
Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida, Ha ultimato VICO nel
pensiero del suo primo traduttore francese nel ma causa la difficoltà di
trovare un editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto poté
presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di Saitta. Pattaro,
Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F., in F., Scritti di
filosofia del diritto, Pattaro, Faralli,
Zucchini, Milano, Giuffrè. Dopo i disagi della guerra, aveva ripreso le
proprie ricerche incoraggiato da Battaglia, che lo convinse ad affrontare
l'esame di libera docenza in filosofia del diritto. Conseguita la libera
docenza in filosofia del diritto, F. ebbe il suo primo incarico in questa
materia, a Parma. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Battaglia, F.:
in memoria, in Rivista di filosofia del diritto [giunse] alla libera docenza, e
nello stesso anno lo abilitarono a tenere l'incarico della filosofia del
diritto nella Parma, ove divenne professore della materia. Passa all'Bologna,
dove rimase titolare della disciplina, tenuta con alto prestigio e qualificata
dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa giornata». Pattaro, Gli studi vichiani di F., in
Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida. Tra le carte personali di
F. ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta da Solari. In essa,
tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto della verità della interpretazione
giuridica della Scienza Nuova: ma Lei ne ha dato ampia, profonda, persuasiva
dimostrazione. La cautela con cui è sostenuta è frutto della Sua modestia, e
della Sua serietà di studioso. Il suo saggio sui quattro autori può stare a
paro cogli scritti vichiani di Donati e Fubini e supera la visione
Croce-Nicolini che sul punto della genesi giuridica della scienza nuova stanno
ancora sulle generali. Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei
dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non
angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più complete. Così
Bobbio saluta la Storia della filosofia del diritto. In tutta la filosofia del
Gentile si ha una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, ma che si
risolve in vana retorica, negante l'esperienza della realtà effettuale. Non è
tuttavia dalla negazione della molteplicità dei soggetti che discende la
negazione della realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come in quella
del Croce, essa è compiuta in relazione alla dialettica dello spirito, cioè del
soggetto assoluto. È importante, infine, sottolineare il valore di impegno
civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso venne
riconosciuto dalla traduzione greca. Thessalonike, Poseidonas], all'epoca della
dittatura militare in Grecia». Bobbio,
Giusnaturalismo e positivismo giuridico, prefazione di Ferrajoli, Roma-Bari,
Laterza, Bobbio, La filosofia del
diritto in Italia, in Jus, Milano, Faralli,
I momenti della riflessione critica su F., Prezzolini chiosa Cristianesimo e
società sia in un articolo su Il resto del carlino sia nel libro Cristo e/o
Machiavelli. Conservo la prima edizione di Cristianesimo e società, egli scrive.
La volli come compagna perché dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò
l'apertura, ma la conferma dotta, serena, eppure appassionata di un punto di
vista importante. Prezzolini ritiene di aver trovato in Fassò, argomentate con
un'alta filologia, sempre al corrente della produzione critica e accompagnata
dalla conoscenza dei testi filosofici, quelle stesse idee che anch'egli aveva
manifestato ‘lanciate piuttosto da un intuito che da un sapere storico Annuario,
Bologna, Tipografia Compositori, Pattaro, Ricordo, in Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile, Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del
Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica, sStoria
della filosofia del diritto, edizione aggiornata Faralli, Roma-Bari, Laterza. Romano si tiene
deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non sfruttando neppure quegli
indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce, che potevano valere a
suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul terreno della
considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né premesse né
conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa. Neppure il Romano dà
del concetto di istituzione una definizione esauriente». Marini, Il giusnaturalismo nella cultura
filosofica italiana del Novecento, in Storicità del diritto e dignità dell'uomo,
Napoli, Morano, Cfr. Matteucci, recensione a F., Cristianesimo e società,
Giuffrè, Milano, in Il Mulino, «L'esigenza filosofica fondamentale che si palesa
nei lavori del F. è quella di uscire dallo storicismo immanentistico dei Croce
e dei Gentile che vedeva nella storia la manifestazione di un principio assoluto
(lo Spirito, l'Atto. Cfr. Pattaro, In che senso la storia è esperienza
giuridica: l'istituzionalismo trascendentale, in appendice a F., La storia come
esperienza giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino. L'esperienza che
Fassò aveva avuto della filosofia idealistica egemone in Italia nella prima
metà del secolo, la quale all'interno dei suoi precedenti studi vichiani,
condotti in chiave di storia della filosofia, non necessariamente costituiva
un'ipoteca con cui dover fare conti precisi, in sede teoretica, sia pure di
filosofia del diritto, venne chiamata ad un inevitabile redde rationem. F.,
Storia della filosofia del diritto, Faralli, Roma-Bari, Laterza, Il giudizio,
tuttavia, è già presente in F., La storia come esperienza giuridica. È proprio
questo, del resto, il punto debole della dottrina del Romano, che fu subito
rilevato dai suoi critici: il circolo vizioso in cui egli si aggira,
presupponendo la giuridicità di quella istituzione che poi identifica con il
diritto. In altre parole, Romano afferma che sono istituzione, ossia
ordinamento giuridico, ossia diritto, quegli enti o corpi sociali che hanno carattere
giuridico. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Farnetti, con una nota
al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, Croce, La storia come pensiero e come
azione, Conforti, con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, «Si può
dire che, con la critica storica della filosofia trascendente, la filosofia
stessa, nella sua autonomia, sia morta, perché la sua pretesa di autonomia era
fondata appunto nel carattere suo di metafisica. Quella che ne ha preso il
luogo, non è più filosofia, ma storia, o, che viene a dire il medesimo,
filosofia in quanto storia e storia in quanto filosofia: la
filosofia-storia, che ha per suo principio l'identità di universale ed
individuale, d'intelletto e intuizione, e dichiara arbitrario o illegittimo
ogni distacco dei due elementi, i quali realmente sono un solo. La storia
come esperienza giuridica. L'esperienza giuridica non è altro che l'esperienza
umana nella sua totalità, la storia stessa insomma dell'uomo. In che senso la
storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., «La
concreta unità del reale, l'universale concreto, è un residuato della grandiosa
retorica metafisica idealistica. F., con l'onore delle armi, lo colloca nella
dimensione che gli compete, ossia dell'inconoscibile, indicibile,
incomunicabile per definizione: dell'indiscutibile che è tale non perché sia
vero o certo di là da ogni ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile
oggetto di discorso, non è suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni
comprensione e spiegazione razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di
senso. Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica:
l'istituzionalismo trascendentale. Resti chiaro, peraltro, che F. rinvia sì al
piano mistico l'unità del reale, l'assoluto, l'universale concreto, ecc., ma
che, non per questo, egli professa una filosofia mistica intuizionistica. Il
giudizio di Vallauri è espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè,
Milano. Considerata nel suo arco complessivo, forma un dittico, che da un lato ribadisce
rigorosamente la sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta al suo
culmine (identificato nella carità), e dall'altro lato riconosce la funzione
preziosa della ragione giuridica nel mondo, dove ogni individuo limita e
contraddice l'altro e dove una norma di coesistenza è indispensabile’») e
accolto in F., Società, legge e ragione, Milano, Comunità, Pattaro, In che
senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F.,
La concreta molteplicità del reale, il flusso eracliteo dei particolari
concrerti, l'eterogeneo continuum di cui parla richiamando Ross, è la realtà
empirica, fenomenica: molteplicità infinita di eventi originali e irripetibili,
non essendovi nello spazio, e più ancora nel tempo, due fenomeni perfettamente
identici. Sulla posizione crociana rispetto al giusnaturalismo cfr., per
esempio, Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Tarantino, con una
nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis. Contraddittorio è altresì il
concetto di un codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un
diritto universale, razionale o naturale, o come altro lo si è venuto
variamente intitolando. Il diritto naturale, la legislazione universale, il
codice eterno, che pretende fissare il transeunte, urta contro il principio
della mutevolezza delle leggi, che è conseguenza necessaria del carattere
contingente e storico del loro contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse
fare quel che esso annunzia, se Dio permettesse che gli affari della Realtà
fossero amministrati secondo le astratte idee degli scrittori e dei professori,
si vedrebbe, con la formazione e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di
colpo lo svolgimento, concludersi la Storia, morire la vita, disfarsi la
realtà. Sulla presa esplicita di distanza di F. da Croce, cfr. Società, legge e
ragione. Ho continuato a ripetere la stessa cosa. Il diritto nasce dalla natura
umana, la quale è natura storica e natura sociale. Ho rifiutato dapprima, sotto
la suggestione dell'anti-gius-naturalismo del tempo in cui ero cresciuto, di
chiamare naturale un siffatto diritto. Più tardi, dopo avere approfondito la
conoscenza storica del gius-naturalismo ed essermi meglio chiarito la parte che
esso ha avuto nella difesa della libertà contro l'assolutismo politico, mi sono
deciso a designare con quell'aggettivo in realtà equivoco il diritto che la
ragione trova nella natura della società. Laddove, invece, si è riscontrata
coincidenza cronologica, si è preferito seguire l'ordine alfabetico. Altre
saggi: “I quattro auttori del Vico: saggio sulla genesi della Scienza nuova”
(Milano, Giuffre); “La storia come esperienza giuridica, Faralli, Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Cristianesimo e società” (Milano, Giuffrè); “La
democrazia in Grecia, Faralli, Pattaro e Zucchini (Milano, Giuffrè); “Il
diritto naturale” (Torino, ERI, “La legge della ragione, Faralli, Pattaro e
Zucchini (Milano, Giuffrè); “Storia della filosofia del diritto, Roma-Bari,
Laterza); “VICO e Grozio” (Napoli, Guida); “Società, legge e ragione” (Milano, Edizioni
di Comunità); “La flosofia del diritto” (Milano, Giuffrè); Diritto della
guerra” (Napoli, Morano). Dizionario biografico degli italiani, Gli studi
vichiani di F., Centro Studi Vichiani,
Napoli, Guida), “Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.”,
“In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo
trascendentale di F.”, “Lo storicismo di F.”, “Sulla annosa e ricorrente
disputa tra positivisti e giusnaturalisti”, “Un itinerario filosofico tra
diritto e natura umana”. L'iniziativa di raccogliere gli scritti di
filosofia del diritto di F. è altamente opportuna e meritoria. Gli studiosi ne
debbono essere grati ai curatori: Pattaro (che al Maestro è succeduto sulla
cattedra bolognese), Faralli, Zucchini. Con questi tre ricchi volumi diviene
facilmente accessibile una produzione, altri- menti sparsa in riviste e in atti
occasionali, che sta a testimoniare il cammino limpido e coerente di una tra le
personalità intellettualmente più vive ed oneste della nostra cultura del
secondo dopoguerra, purtroppo strappata anzi tempo agli studi. I curatori
avvertono che del- l'opera di F. rimangono escluse da questa pur ampia raccolta
le opere pubblicate quali volumi separati, articoli occasionali che sono parsi
non riconducibili alla filosofia del diritto, e scritti di letteratura e di
critica cinematografica. Si può convenire sull’opportunità di preservare la
purezza e omogeneità scientifica della raccolta, escludendo gli scritti delle
due ultime categorie menzionate; giudicheranno i curatori, o altri studiosi
interessati, se non sia opportuna la pubblicazione separata degli scritti
minori ora esclusi, per dare un’immagine completa della cultura e
dell’evoluzione di F., ovvero di uno studioso che, alieno quant’altri mai da
digressioni e dilettantismi, mostra però in ogni pagina la vastità e classicità
delle proprie conoscenze. Evidente è invece la necessità di escludere le opere
apparse quali volumi separati. Tra esse sono opere a tutti note, che hanno
saldamente stabilito il prestigio scientifico di F. Basti ricordare gli studi
vichiani e groziani (da I (( quattro auttori D del VICO. Saggio sulla genesi
della Scienza nuova, alla cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della
guerra e della pace di Grozio, dello stesso anno, a Vico e Grozio, e la
fondamentale STORIA DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO – DA CICERONE A CICERONE. Sono
anche da ricordare: La democrazia in Grecia; Il diritto naturale; La legge
della ragione, dello stesso anno; Società, legge e ragione, apparso nell’anno
della morte (ma i due ultimi volumi raccolgono e rifondono scritti precedenti,
che si trovano in questa stessa raccolta). Ricordiamo per ultimi, non per caso,
i due scritti in cui è documentata la fisionomia teoretica di F., il quale, se
fu grande storico del pensiero, ebbe anche un’impronta filosofica
originalissima, e una chiarezza ideale che diede senso unitario ai molti
interventi su problemi teoretici, oggi raccolti nei presenti volumi. Ci
riferiamo alle opere L a storia come esperienza giuridica, e Cristianesimo e
società. Oltre agli scritti di F., la raccolta contiene: una Nota dei curatori,
che spiega i criteri seguiti;un’ampia Introduzione di Pattaro, dal titolo
Sull’assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.; na Bibliografia degli
scritti filosofico- giuridici di F., a cura di Zucchini; uno studio di Faralli
dal titolo I momenti della riflessione critica su F.. Di modo che questi volumi
offrono una base per chiunque si accosti criticamente all’opera e al pensiero
di F.: lo status quaestionis è chiaramente delineato. È ancora da dire che gli
scritti di F. sono ripartiti in tre categorie: saggi e articoli, voci di enciclopedia, e recensioni. Saggie
articoli occupano la maggior parte dei volumi, notevole è però anche la mole
delle voci di enciclopedia: un genere che F. coltiva con assiduità, e che era
particolarmente congeniale alla sua mente storica, e alla chiarezza concettuale
alla quale egli era sempre solito congiungere rigorosamente la ricostruzione
storica: poche pagine sono in grado, in queste voci, di dare le linee maestre
di Milano un tema, o dell’opera di un autore (esemplari ci sembrano, tra
le voci su temi teoretici, Democrazia,e Giusnaturalisrno;tra le voci su temi
storici, quelle sui due autori di F. per eccellenza, Groot, e VICO Non molte
sono invece le recensioni in chi pure e studioso di larghissime letture. Se si
tolgono le recensioni legate agli esordi scientifici e ai loro temi, rimangono
pochi interventi; tra questi dobbiamo ricordare, per l’interesse oggettivo e
per la luce che portano sulla personalità di Fassò, le recensioni dedicate ad
autori coi quali egli fu in singolare vicinanza spirituale: come le recensioni
a volumi di BOBBIO su temi filosofico-giuridici, o al volume di PIOVANI,
Giusnaturalismo ed etica moderna -- la recensione. Peraltro, per valutare la
presenza attiva, insieme critica e costruttiva, di F. nella filosofia italiana,
si deve pensare alle molte discussioni che egli costantemente e con passione
sollevava su temi storici e teoretici: più della recensione, lo attraeva la
discussione ampia che ruotasse intorno a un problema a lui congeniale. Si pensi
alle osservazioni che egli svolse su due saggi di COTTA, ancora uno studioso
col quale egli fu in profondo dialogo: i libri di questo su AQUINO e su AGOSTINO
sollecitarono la meditazione di F. in due articoli: AQUINO giurista laico? e
Agostino e il giusnaturalismo.Inoltre, tutta l’attività di . fu segnata dalla
polemica, spesso anche dura o sarcastica, che egli rivolgeva ad autori grandi e
piccoli, lontani e vicini. Polemizza su temi filologici ed eruditi, riprendendo
e correggendo; polemizzava su problemi teoretici, dove non trovasse chiarezza
di pensiero, egli che era scrittore limpido e rifuggiva da qualsiasi ambiguità
o da compiacenti silenzi. Talvolta colpisce, ancor oggi, la durezza della
polemica; ed egli ne era certo consapevole, e scrisse una volta queste parole,
che valgono a spiegare un tratto della sua personalità: nella sua connaturata
avversione ai radicatissimi luoghi comuni nella ricerca scientifica come nei
modi del pensare politico, egli replica sempre con vigore, e talora con troppo
vigore, e metteva in luce componenti opposte a quelle Comunemente accettate,
Seri- veva: (Forse, nel cercare di metterle in luce, ho calcato troppo sulla
loro importanza? Se questo è avvenuto, è stato (per ricorrere ancora una volta
a Grozio e prendere a prestito da lui l’immagine di cui si serve a proposito di
Erasmo con l’intenzione con cui si piegano in senso opposto gli oggetti
incurvatisi, per cercare di farli tornare nella posizione giusta D. In
quell’occasione, egli parlava delle convinzioni diffuse sulle componenti
originarie dell’etica laica, di solito vista derivare dal protestantesimo e dai
suoi moti preparatori; mentre egli vedeva componenti più ampie, e radici che
egli individua per gran parte proprio in AQUINO (si veda).. Egli era quindi in
uno dei campi prediletti della sua indagine; ma quell‘intenzione lì dichiarata
e illustrata, con l’immagine degl’oggetti incurvatisi vale a farci comprendere
la intransigente vena polemica, strumento per riportare alla posizione giusta, che nel suo caso era la
posizione della verità scientifica e del rigore metodologico. Di quella vena
polemica, gran parte degli scritti qui pubblicati sono testimonianza, talora
vivacissima. C’e in F. tutta la serietà intellettuale di chi conosce la fatica
della paziente ricerca quotidiana. Non solo la storia del pensiero propriamente
detta, con le sue regole filologiche; anche la filosofia aveva i suoi canoni e
le sue conoscenze tecniche. Nel corso di una polemica, su uno dei temi che più
gli stettero a cuore, quello del rapporto fra cristianesimo e società, egli
scrisse, sulla dignità della filosofia, parole di sapore hegeliano, che hanno
la loro permanente e ritornante validità. Allora, ammoniva disinvolti ((
giuristi cristiani a starsene nei propri confini di giuristi; il cristianesimo
era altra cosa, e scrive. E strano, ma mentre tutti fanno a gara a dire che LA
FILOSOFIA è cosa astrusa, non v’è
nessuno che non si senta legittimato a discuterne senza alcuna preparazione:
ciò che non si sognerebbe di fare riguardo a qualsiasi altro argomento
scientifico o tecnico. Perché egli, che era in senso proprio e fino in fondo FILOSOFO
del diritto, ha chiara la dimensione filosofica e CONCETTUALE della propria
ricerca, e non intese mai che la propria controversa disciplina fosse
riducibile a riflessione o generalizzazione di giuristi dotati di vocazione,
temperamento, sia pure cultura, Opportunamente, gli scritti di F. sono
riprodotti in ordine cronologico -- all’interno delle tre categorie citate
sopra: saggi e articoli; voci di enciclopedia; recensioni. Se si tengono
presenti anche i saggi pubblicati come volumi a parte, e sopra ricordati, ne
viene la possibilità di giungere ad una periodizzazione. Pattaro, nel suo
studio intro- duttivo, suggerisce la quadripartizione seguente: il periodo
dedicato alla STORIA della filosofia, in particolare a VICO. Il periodo che
comprende La stovia come esfierienza giuridica e Cristianesimo e società, caratterizzato
precipuamente dalla tematica, che potrebbe dargli il nome, ‘Assoluto e storia e
il periodo culminante nei volumi primo e secondo della Storia della filosofia
del divitto che potrebbe intitolarsi a ‘ I1 diritto naturale, il periodo nel
quale si conclude la grande opera storiografica, che potrebbe di converso
intitolarsi a ‘il diritto positivo.’ Così Pattaro, e con buone ragioni. Ma egli
stesso ricorda che il Maestro (( riconobbe valida in uno dei suoi ultimi
scritti la distinzione-periodizzazione suggerita da Vallauri, il quale
vedittico affermante - così riferiva F. consentendo intesa come esperienza
religiosa, e dall’altro la funzione essenziale della ragione giuridica nel
mondo. Società, legge e vagione. Vallauri formula quel suggerimento deva nella
sua opera come un da un lato la sopragiuridicità dell’eticità in Amicizia,
carità, diritto, Milano. Tenendo presenti i punti di vista espressi dai due
studiosi, saremmo propensi a vedere una tri-partizione, che è insieme una
partizione temporale e tematica, una periodizzazione e una distinzione di
interessi scientifici; dove i periodi si collegano l’un l’altro per affinità e
per approfondimenti in- terni. Il primo periodo vede nascere gli studi su VICO e
su Grozio, e che è segnato dalla presenza di motivi neo-idealistici e
dall’emergere dell’originale storicismo di F. Il secondo periodo vede apparire
il dittico di cui parla Vallauri, quel dittico a cui Pattaro dà il nome di assoluto
e storia. In questo, è enunciata la filosofia di F.; gli anni successivi
approfondiranno e talora ritoccheranno, ma i pilastri sono già posti
saldamente. Dove la periodizzazione di Pattaro sembra meno giustificata, perché
forse c’è soltanto accentuazione all’interno di un’unità, è in una cesura che
pone. Sembra di poter dire che tutta l’attività e che muove, come Pattaro
ricorda, dall’articolo ‘AQUINO, giurista laico?’, è dedicata alla meditazione
integrale, per estensione dia-cronica e sin-cronica, del problema della ragione
giuridica nel mondo storico-sociale: è ripercorso tutto il pensiero
occidentale; si ha la progressiva accettazione di un diritto di ragione, il
quale ha una sua autonomia di fronte al diritto tradotto in leggi. Anche la
riflessione politica di F. e più, certamente, dopo gli sconvolgimenti, rientra
in quella visione di una ragione che opera nella storia con i suoi equilibri e
meccanismi. Gli scritti raccolti in questi volumi consentono di ritrovare gli
aspetti salienti della meditazione di F., di ripercorrerla nelle singole tappe
del suo maturarsi, di seguire, come in una fuga a più voci, l’accedere di nuovi
motivi a quelli di datazione più antica. In questo senso, come s’è già detto
all’inizio, grande è l’utilità di questa raccolta per chi studi l’opera di F.;
non solo, ma per chi si dedichi a ricostruire la vita intellettuale e morale,
la cultura politica di quegli anni, I n questa occasione, a chi scrive
interessa porre in luce alcuni essenziali aspetti teoretici di quella
riflessione. Ma ciò non intende certo sminuire il rilievo che si deve
riconoscere a F. storico delle idee. Lo studioso di VICO e di Grozio, del
diritto naturale classico, cristiano e moderno, è tale che ogni suo contributo
è degno di attento studio vuoi per l’oggetto trattato, vuoi per ricostruire in
modo più adeguato l’evoluzione dello stile di ricerca storiografica del suo autore,
vuoi infine per gli apporti d’ordine teoretico che esso fornisce. In
quest’ultimo senso, quello che qui interessa maggiormente, molti studi storici
apportano argomenti per la visione della storia e della sua organizzazione
giuridico-politica. Ma per fermarsi al solo rilievo storiografico, si deve
ricordare che in questi volumi tornano studi su molti temi tipici e prediletti
dell’attività di F.. Si vedano i vari ritorni su VICO: Vico nel pensiero del
suo primo traduttore francese (dedicato al rapporto Vico-Michelet); al quale si
ricollega, ventun anni dopo, U n presunto discepolo di Vico. Michelet; e
inoltre vari interventi critici sulla Scienza Nuova e su temi vichiani, a
cominciare dalla Genesi storica e genesi logica della filosofia della Scienza
nuova, per finire con lo Il problema del
diritto e l’origine storica della Scienza Nuova. Si vedano anche gli scritti
vari su Grozio: Grozio tra medioevo ed età moderna, e il saggio, assai
significativo per l’evoluzione personale di F., Ragione e storia nella dottrina
di Grozio. Accanto a tali studi dovrebbero esserne menzionati molti altri, a
cominciare da quello su Sociologia e diritto nella filosofia civile di
ROMAGNOSI, fino ai molti studi su temi storici, sulla laicità immanente in
pensatori cristiani, o sull’evoluzione del pensiero giuridico in senso più
stretto, come nel saggio postumo, scritto per la Storia delle idee politiche,
economiche e sociali diretta da FIRPO, dal titolo La scienza e la filosofia del
diritto: ricostruzione storica ammirevole nella sua lucida sinteticità, frutto
maturo di una mente storica che aveva già prodotto le sue opere maggiori. Né si
devono dimenticare i ritornanti interessi per il mondo greco, e per la forma
democratica che in esso si realizzò: valga l’esempio dello studio dLa
democrazia nell’antica Grecia e la riforma agraria. Si può dire che non manchi,
in questa raccolta, nessuno dei grandi temi storiografici di Fassò: VICO e
Grozio, il pensiero cristiano, l’affermarsi della ragione giuridica, la
grecità. Chi voglia ricostruire l’itinerario scientifico di F. storico delle
idee, avrà ora a disposizione un materiale imponente, qui riunito dalle varie
sedi in cui egli usava pubblicare i suoi saggi e articoli, e che erano quasi
sempre riviste giuridiche: singolare e significativa predilezione in un autore
che non ridusse mai la filosofia del diritto a teoria generale del diritto, ne
volle preservata la filosoficità, ma volle anche mostrare come non si potesse
prescindere dalla cono- scenza dei problemi scientifici del diritto. In questo
senso si può esser certi che F. ebbe profonda e genuina dimestichezza con i
problemi dei giuristi. Anche lo stile del suo pensiero e il suo stesso modo di
esprimersi, serio e sobrio, tutto attento alle prove e ai nessi concettuali,
risentiva beneficamente della formazione giuridica e degli interessi giuridici,
anche se questi non furono peculiari ad un ramo specifico del diritto, ma si
rivolsero piuttosto alla teoria generale, e semmai ai modi procedurali del
divenire del diritto - si pensi all’interesse per il problema del giudice -
come a quelli in cui meglio si scorge l’originalità della ragione giuridica nel
suo affermarsi. Si può anche dire che la cultura giuridica di F. influì
sull’originale forma del suo storicismo, al quale, fino agli ultimi anni, egli
non venne mai meno, Gli scritti appartenenti al primo periodo mostrano F. che,
movendo dall’interno della prospettiva neoidealistica, ne esce con una propria
visione della realtà come storia, e della storia come struttura in sé
organizzata, razionale, scandita in istituzioni. Lo stori- cismo assoluto di
Croce (un autore che, pure, F. ha ben conosciuto) è estraneo a questa forma di
storicismo, tutto fatto di cose e di nessi reali, Vico e Grozio sono stati i
fondamenti filosofici di questa visione della storia, Pattaro pone bene in luce
come l'avversione di F. a un razionalismo astratto divenga visione storicistica
nei primi studi vichiani riferisce quanto F. stesso scriveva, sull’esser
vichiani per il fatto di avere una visione della storia come concreta
razionalità. Pattaro prosegue illustrando il passaggio di F. dagli studi
vichiani, condotti in quell'atmosfera speculativa (non necessariamente o
integralmente condivisa), alla personale visione storicistica del diritto. Qui
influirono le nuove correnti che si affacciavano in Italia. Le suggestioni del
neoempirismo che si affaccia nella nostra cultura trovarono un'accoglienza non
ostile in un F. convinto che, nella filosofia del diritto, molto spesso
l'empirismo non è lontano dallo storicismo, La specifica tematica
giuridico-filosofica, lo fa incontrare con le correnti sociologiche ed
istituzionalistiche, ma nel contempo lo induceva, per superarne 1’oggettivismo
naturalistico, ad adottare un'impostazione filosofica di fondo lato sensu
kantiana, così Pattaro. In queste parole è detto l'essenziale sulla visione
filosofica di F. I1 quale descrive egli stesso come vede la crisi dell'idealismo,
provocata da varie correnti di pensiero, che egli enumera: il marxismo,
l'esistenzialismo, lo spiritualismo cristiano, il neopositivismo. Empirismo e
storicismo, egli li accosta nelle parole prima citate, tratte dall'Introduzione
ai Prolegomeni di Grozio e nuovamente li accosta, parlando dell'opera di Levi,
quando ritene utile muovere, sia pur con misura e senso delle sfumature, dalla
constatazione delle affinità tra storicismo idealistico e sociologismo
positivistico. In quello stesso scritto su Levi, F. avverte un'analogia tra due
generazioni in crisi, quella di Levi, che usce dal positivismo, la sua, che usce
dall'idealismo: due generazioni accomunate da una posizione che conduce ad
apprezzare, non già i beati possessori della verità, ma coloro che sono andati
faticosamente fabbricandosene una, senza cieche fedeltà a dogmi e senza
chiudere gli occhi davanti alla storia in cammino. Quello scritto su Levi vede,
come altri scritti, lo sgretolarsi dell'idealismo per l'irruzione di nuove
tendenze di pensiero, più legate all'osservazione diretta dell'esperienza.
Rientrano in questo quadro anche le polemiche che F. conduce contro le facili
riesumazioni del diritto naturale, talora troppo coerenti, e inconsapevoli
nella loro professione di un diritto astorico, talora troppo incoerenti e
disinvolte nella loro combinazione di diritto naturale e storia. Lo storicismo
era così diffuso in quegli anni, e senza effettiva consapevolezza critica, che
si ebbero anche coloro che F. chiama i giusnatural-storicisti. Lo storicismo di
quegli anni, e specialmente all’interno della cultura filosofico-giuridica (una
cultura, in quel periodo, assai vivace, in ricambio con altri àmbiti filosofici
e culturali), è uno storicismo di origine, più che filosofica, empiristica, o
addirittura empirica: fu lo storicismo di chi era cresciuto nell’indagine delle
teorie giuridiche sociologiche e istituzionalistiche, e medita sul diritto e
sui modi del suo farsi.I1diritto come sistema storicamente progrediente,
avrebbe detto Savigny; e in modi affini pensano Romano, Gurvitch, Capograssi,
per fare soltanto pochissimi ma influenti nomi (per la valutazione
dell’influenza di Capograssi, si può qui vedere la recensione di F. alla
IntevFYetazione di Capograssi, pubblicata da Carnelutti). Anche lo storicismo
di F. si modellò in aspetti affini, pur nella indubbia sua penetrazione
filosofica. Ma quello storicismo, se aveva le sue basi in Vico e in Grozio, si
approfondì e dispiegò nella visione istituzionalistica del diritto. Tra gli
autori di . non è Hegel (né in sé né nelle scuole che a lui si richiamarono), e
non sono gli autori del moderno storicismo indivi- dualistico, da Dilthey in
poi, che tanta influenza avrebbero avuto su Piovani, pure affine a F. per più
interessi ed aspetti. Si può dire allora che lo storicismo professato da F. fu
di impronta giuridica. Ebbe tratti affini allo storicismo post-crociano da
molti condi- viso in quegli anni; ma non derivava tanto da precise correnti
filosofiche, quanto dai giuristi non strettamente positivisti: la scuola
storica del diritto in Germania; ma molto di più le correnti
istituzionalistiche; e infine la tradizione di common-law, da F. ammirata come
esem- plare organizzazione giuridica e politica e presidio del valore liberale
della dignità deli’individuo. La storia era, secondo il titolo dell’opera,
ESPERIENZA giuridica; e non era questo
un pensiero da poco, ma anzi una robusta e meditata posizione storicistica,
perché il diritto, come struttura razionalizzatrice e regolatrice della
convivenza, mo- strava la ragione immanente alla storia, che era anche l’unica
ragione accessibile all’uomo. Avverso al razionalismo omnicomprendente - fosse
la metafisica metastorica della tradizione o la metafisica della storia come
totalità (idealismo, materialismo storico) -, F. crede in una razionalità che
guida la convivenza, che nasce dall’interazione di individui e di gruppi, che è
garanzia di libertà per gli individui. I valori nltimi, invece, non sono
accessibili agli uomini per via razionale; la ragione non può che fermassi a
questo mondo terreno, e studiarlo nelle strutture che in esso si formano e
variano. Era una visione, se vogliamo parlar filosoficamente, neokantiana, nel
senso di tanto neokantismo diffuso nella filosofia del diritto e nelle scienze
sociali. Conoscibile razionalmente il mondo dei fenomeni come mondo storico;
non-conoscibile, ma soltanto sperimentabile emozionalmente, il mondo del
valore. Cade la fondazione pratica della morale; restava la inconoscibilità dei
valori ultimi. In questo senso, Radbruch o Weber non pensano diversamente. Quel
che ebbe F., a differenza di questi autori (ma non del neokantismo in genere),
è l’interesse per quel sopramondo che egli affermava non-conoscibile, e che
vede tradotto, nella forma più pura, nel cristianesimo, è questo l’altro
versante della filosofia di F., che si tradusse in Cristianesimo e società,
opera tra le più alte della nostra cultura recente. E forse interessante notare
quel che scrive F., recensendo Piovani sul giusnaturalismo. Piovani fa sua la
proposizione (la personalità stessa è l’assoluto), che d’altronde traeva da
Kierkegaard, e la svolgeva nel senso di un individualismo visto come unico
coerente sbocco dell’etica moderna. Scrive F. E qui si potrebbe, naturalmente,
discutere a lungo e del resto anche chi,
come me, davanti alle affermazioni di una presenza, che non sia totalmente
mistica, dell’assoluto nell’individuo, rimanga perplesso, e non veda come un
ipersoggettivismo quale quello professato da Piovani possa sfuggire al
relativismo, non può non apprezzarne il profondo significato morale: assai più
alto in ogni caso di quello delle etiche oggettivistiche, che, coprendosi della
retorica dei valori eterni, conducono all’alienazione dell’uomo, e lo privano
di ciò che costituisce la sua umana essenza morale. Tre affermazioni sono da
rilevare in questo passo: v’è il rifiuto della retorica dei valori eterni,
giudicata alienante e tale da privare l’uomo della sua essenza morale, che è,
evidentemente, collegata alla ricerca e all’irrequietezza; l’iper-soggettivismo
(ma tanto varrebbe dire soggettivismo) non può sfuggire al relativismo, sentito
da F. come pericolo. F. si dichiara perplesso davanti alle affermazioni di una
presenza dell’assoluto nell’individuo, ma con l’eccezione che si tratti di una
presenza a totalmente mistica B. Rifiutate un’etica oggettivistica e un’etica
soggettivistica, che cosa rimane nella visione morale di F.? Rimangono: la
razionalità formale del diritto come ragione vivente nella storia e
l’esperienza mistica come unica via di accesso all’assoluto. Questi due piani
sono privi di relazione; ma essi appaiono tali da produrre queste conseguenze:
è salvata l’irrequietezza che è condizione della morale; è evitato il pericolo
del relativismo; è consentito l’accesso all’assoluto. Il mondo dei valori
assoluti è accessibile soltanto all’esperienza mistico-religiosa. La carità,
intesa in senso teologico, ovvero come virtù teologale, è proprio questa
capacità di inserirsi nella vita divina, La simpatia di F. va agli spiriti
capaci di questa immedesimazione: da Paolo a Kierkegaard, va a coloro che hanno
ben chiara la distinzione tra mondo della terra, della legge, della ragione, e
mondo divino, della carità. Quella linea del cristianesimo aveva contrapposto
il mondo, regno del peccato e della legge, al regno della carità,
dell’immedesimazione in Dio quel mondo che non conosce diritto. Tra
cristiaizesimo e società v’è quindi un contrasto ineliminabile, come tra generi
diversi e inconciliabili, come tra santità e peccato, come tra l’assolutezza
dei valori e il mondo degli uomini comuni, I1 saggio in cui queste tesi erano
argomentate fu quello che sollevò le maggiori polemiche. Sul piano più
propriamente filosofico, BAGOLINI è il critico più attento - come PATTARO ricorda
a lucida analisi quella divisione netta tra la realtà e il valore, per
affermarne l’insostenibilità: gli appare inconseguente negare la conoscibilità
razionale del valore e allo stesso tempo parlarne. Ma si può dire - prosegue
Pattaro che F. (intenzionalmente rinvia tutti i valori che si pretende siano di
questo mondo nel cielo indefinito e indefinibile dell’assoluto). F. conobbe e
trattò il mondo imperfetto e relativo; non dimenticò - è la strada della
mistica - il mondo perfetto e assoluto del quale ci hanno dato testimonianza
grandi spiriti, e che noi stessi avvertiamo nel nostro desiderio di perfezione.
Ma quella divisione così recisamente affermata provocò le polemiche più accese
al di fuori del campo propriamente filosofico, e se è discussa e rispettata da
teologi e da uomini di fede e di chiesa (questa raccolta ne reca più tracce:
dai giudizii Lener fino a quelli espressi nel colloquio di Strasburgo, dedicato
proprio al tema tipico di F.: L a révélation chrétienne et le droit), è
trattata invece con non altrettanta serietà e consapevolezza da giuristi, e da
coloro che, professandosi i giuristi cristiani o, o (( giuristi cattolici)), si
fondano proprio sulla tesi opposta a quella sostenuta da F. nel suo libro. Sono
due tesi teologiche a confronto, dov’era conoscenza dei problemi; ma F. ha buon
gioco a spiegare ai suoi interolcutori giuristi che la carità e la giustizia di
cui parla il Vangelo riguardano il rapporto con Dio, rispetto al quale tutto il
resto vien dato per soprappiù, e non il rapporto con gli uomini, che è soltanto
una conseguenza del vivere in Dio. Se carità e mondo sono in un tale contrasto,
non si può parlare, senza cadere in contraddizione, di diritto cristiano, di
giuristi cristiani, di politica cristiana, di cristianesimo sociale.
Ripetutamente F. polemizza con i giuristi cristiani, innanzi a tutti con CARNELUTTI;
e ricorda che carità non è filantropia, e che la giustizia, nel vangelo, sta a indicare
una situazione d’ordine esclusivamente religioso, l’elezione, la perfezione, la
santità – cf. H. P. Grice on J. O. Urmson, eroi e santi --, e non è la virtù
sociale pur teorizzata da teologi e filosofi morali cristiani, e che AQUINO
definisce IVSTITIA METAPHORICE DICTA. Rispondendo a Carnelutti è lo stesso
scritto nel quale deplora, con parole prima ricordate, che tutti si sentissero
autorizzati a parlar di filosofia), F. precisa: Ciò di cui non posso
ringraziare l’illustre maestro è d’aver pensato che a me non garberebbe
d’aggiungere al mio titolo di filosofo del diritto l’aggettivo cristiano il che
mi fa ritenere che anche a me, anzi soprattutto a me egli si rivolga, quando,
nell’intitolare il suo scritto garbatamente parodiando l’intitolazione del e
sottopose mio, parla di pericoli per i filosofi non cristiani Non vedo in
verità perché quell’aggettivo non dovrebbe garbarmi, né che cosa abbia potuto
far sospettare ciò al pur benigno lettore: forse perché ho criticato qualche giurista
cattolico il quale mostrava di non conoscere con troppa esattezza alcuni
termini usati nei testi cristiani? Quei concetti venivano organicamente
presentati, dal punto di vista storico e teorico, nel saggio “Giustizia, carità
e filantropia,” e sono anche inseriti negli scritti in onore di JEMOLO (si
veda), grande giurista storico e grande spirito religioso, uno degli spiriti
più congeniali a F., se non forse il più congeniale. La separazione di
cristianesimo e società era pure destinata a scontrarsi con l’opinione
dominante nel mondo religioso, e di coloro che, richiamandosi al cristianesimo,
intendevano tradurlo nella società. F. dissente in maniera totale dalle idee di
BALBO (si veda). Ritorna il sufposto cristianesimo sociale, e il titolo di una
nota polemica come pure, naturalmente, dalle idee di chi nutrisse progetti
politici meno radicali. Ribade che il cristianesimo è una religione, e che la
religione ha per oggetto Dio e soltanto Dio, e che la novità, e quindi
l’essenziale significato del cristianesimo rispetto alla filosofia ed alla
morale greca ed alla morale ebraica sta tutta in questa sua proiezione totale
verso Dio, che consuma e supera ogni interesse umano e mondano e perciò anche
sociale. Non nega certo un ideale di vita cristiano; nega che il cristianesimo
potesse tradursi in dettami politici. Facciamo cristiani noi stessi, dice; ma
guardiamoci dall’a immischiare Dio nei problemi di Cesare. E conclude quelle
pagine ammirando la scelta religiosa di Dossetti, che così commentava: a Questo
sì è il vero ideale cristiano; ed è bello vedere che c’è chi, riconosciutolo,
ha - o riceve - la forza di realizzarlo. 1 superficiali interpreteranno tutto ciò
come una rinuncia, come l’accettazione dolorosa di una sconfitta. Io penso che
sia una grande vittoria, la sola vera vittoria cristiana. Questa visione del
problema andava risoluta- mente, e con insofferenza dichiarata, contro la
sintesi politico-religiosa di Maritain, che tanto ha influenzato nel nostro
tempo il cristianesimo sociale (si vedano in proposito i vari cenni di F. E
anda contro le soluzioni e conciliazioni dello spiritualismo cattolico del
quale spesso si trova menzione in queste pagine), nel quale ultimo F. svelava
(( una grave contraddizione nello sforzo di assumere una posizione che sia ad
un tempo religiosa e razionalistica, trascendentistica e storicistica, salvando
in pari tempo, e connettendoli e conciliandoli, il valore (trascendente) e la
storia, la moralità e la giuridicità, la città di Dio e quella città terrena,
che è pur sempre, per chi senta davvero religiosamente, la città del demonio e
del peccato: soddisfacendo ecletticamente due istanze pienamente legittime e
valide, certo, ma irriducibili fra di loro. Tutto un periodo della vita di F. -
quello che sopra si è detto il secondo - gravita intorno a questi pensieri; ma
è il periodo in ogni senso centrale della vita di F.. Quel che vale per il
problema religioso vale per L’ÀMBITO FILOSOFICO generale, Di qui anche
l’avversione di F. alle facili combinazioni di diritto naturale e storia, e ai
teorici di un diritto naturale razionalmente deducibile e perciò anche
applicabile (si vedano le ripetute e dure critiche a Strauss, e particolarmente
lo scritto Diritto naturale e storicismo, appunto in polemica con questo).
L’assoluto non è conoscibile; conoscibile è soltanto il mondo della storia, e
ad essa, come a mondo pervaso da strutture e istituzioni che si formano, volge
lo sguardo lo studioso del fenomeno giuridico, La storia, aveva scritto F.
nell’opera è esperienza giuridica; e su quella visione egli avrebbe fondato
negli anni le sue riflessioni, le sue ricerche storiche, i suoi interventi sui
prblemi politici e culturali. Di lì nascevano la sua concezione del diritto e
la sua concezione della vita associata. La storia del pensiero giuridico
occidentale conduceva a una visione razionalistica, che poteva ben dirsi laica e
liberale. Questi due attributi sono usati da Pattaro, e si può esser d’accordo
con quella definizione; naturalmente non dimenticando tutto quel che s’è detto
finora sulla com- plessità e ricchezza del pensiero di F.: nel senso, in ogni
modo, nel quale se ne potrebbe parlare per JEMOLO (si veda), ma anche per
studiosi prima menzionati, e a lui in quel tempo vicini per affinità di sentire
su molti temi, come BOBBIO (si veda), PIOVANI (si veda), COTTA (si veda). In
questo senso può dirsi che la meditazione di F. sia tutta rivolta alla inve-
stigazione storiografica e teoretica di quella visione razionalistica, laica e
liberale della storia, I1 diritto diviene, allora, la ragione conoscibile agli
uomini, la ragione che salva la convivenza degli individui. L’assoluto può
essere attinto da invididui eccezionali o in momenti eccezionali, è un dono
concesso e non una strada consentita alla ragione; ma il mondo della storia ha
una sua dimensione razionale proprio nel diritto, che assicura istituzioni in
grado di garantire gli individui nel loro vivere in comune, Se Cristianesimo e
società insegna che non si può mescolare Dio a Cesare, le opere, insistendo
sull’indagine del mondo storico-giuridico, già avviata nell’opera, insegnano
che neppure si può, né si deve, trasformare Cesare in Dio, e vedere nella
storia valori e significati immanenti. Questa etica e questa visione politica
si chiariscono e arricchiscono via via nella ricerca di F.. I1 problema si
intreccia con quello del rispetto della legge, e quindi con la valutazione del
positivismo giuridico. F. si domandava, e concludeva senza risposte perentorie:
Dobbiamo insegnare l’obbedienza assoluta alla legge. È il problema del
fondamento della convivenza e del fondamento dell’obbligatorietà della legge.
Diventa anche il problema se fosse razionalmente deducibile la democrazia, F.
nega, e con chiarezza in uno scritto, LETTURE, che fra diritto naturale e
democrazia ci fosse nesso necessario, contraddicendo in tal modo diffuse
concezioni. Conveniva invece su di un fondamento morale della forma democratica
(che per la cristal- lina mente di F. volle sempre dire forma
democratico-liberale) della convivenza. È un diritto che puo magari esser detto
naturale, ma ricordando la storicità della natura umana: il diritto naturale
sul quale la libertà e la democrazia possono fondarsi non può essere un
astratto dogma esterno alla storia dell’uomo: esso non può consistere che
nell’idea di giustizia che l’uomo ritrova nella propria coscienza morale, il
cui valore è sì certamente assoluto, ma il cui con- tenuto può essere soltanto
quello che lo sviluppo storico di questa coscienza comporta. La limpida
relazione su Stato di diritto e stato di gizlstizia, rivendicava il valore
dello stato liberale di diritto, che non ha fra i suoi scopi – F. conclude con
i versi di Holderlin - di far dello stato il paradiso dell’uomo, col risultato
di farne un inferno, Si richiamava all’esperienza costituzionale inglese, che
avrebbe ribadita come modello di sviluppo giuridico, civile e politico nella
prolusione bolognese, La legge della ragione. In quell’occasione, contemporanea
al saggio dallo stesso titolo, F. afferma che non possiamo, oggi, rifiutare il
giusnaturalismo, quando il giusnaturalismo si propone come appello alla legge
della ragione. È un modo di affermare, più che un diritto naturale, il diritto
di giudicare le circostanze storiche al lume della ragione; al modo seguito dai
giuristi inglesi di common law. Le leggi, il diritto positivo, avevano il loro
valore, e si doveva loro obbedienza, ma la ragione giuridica non si limita a
sistemare i loro dettami, in un modo che sarebbe anch’esso astratto, pur se in
modo opposto a quello tenuto dal giucnaturalismo meta-storico ma se continuiamo
a rifiutare - obietta F. a SCARPELLI (si veda) come abbiamo sempre rifiutato,
l’idea di un diritto naturale extra-storico, immutabile ed eterno, dobbiamo per
questo abbracciare il culto di un diritto positivo altrettanto extrastorico e
astratto?. Sta avvenendo in F. un passaggio dal rifiuto dell’espressione
diritto naturale ove non fosse coerentemente inserita in una metafisica
soprastorica, ad un’accettazione della medesima espressione in un senso più
lato, come diritto di una natura dell’uomo che è ragione operante nella storia.
In questo senso si poteva anche affermare un diritto naturale, che giudicasse
razionalmente, in modo storico, fatti, istituzioni, leggi, ma senza
sistemazioni assolute. Era il sistema pragmatico, empirico, storico, anche
antiilluministico, seguito dalla civiltà giuridica anglosas- sone, la quale,
non a caso, era anche quella che aveva dato il più duraturo esempio di stato
democratico-liberale. Su questa base, scientifica e politico-morale, si sarebbe
espresso F. negli ultimi anni della sua vita, durante i sussulti e degli anni
seguenti, durante quegli avvenimenti e quelle teorizzazioni che tanto avrebbero
influito sulla [Giuffrè, Milano] nostra ultima storia, e che da lui furono
giudicati senza le incertezze, le ambiguità, i silenzi, le fragili adesioni, di
cui molti si resero responsabili. In verità, tutta la formazione culturale,
oltreché l’intransigenza morale, garantiva F. di fronte alla crisi di quegli
anni. Era stato sempre convinto che il diritto è il momento razionalizzatore
nella storia, e che è esso stesso fenomeno storico. I1 riferimento
all’esperienza anglosassone gli permetteva di criticare con misura il
positivismo giuridico-legalistico si veda Il positivismo giuvidico, contestato;
ma lo faceva anche accorto, sul piano politico, del valore irrinunciabile dello
stato democratico-liberale, coi suoi valori di tutela della libertà
individilale attraverso metri comuni a tutti gli individui e attraverso misure
inevitabilmente repressive. Contro la riduzione del diritto a politica, egli
non cedette alle nuove idee che si diffondevano tra giuristi e magistrati, e
che pretendevano di richiamarsi a una democrazia sostanziale; seppe subito
additare le fonti teoriche di quelle idee, e le rintraccia in Schmitt, nelle
parole, certo, di un insigne giurista; il giurista più insigne del Terzo Reich.
Puo parlare, per quelle correnti, di nazismo giuridico, e dovendo scegliere tra
Positivismo e nazismo giuvidico, egli potè richiamarsi tranquillamente ai suoi
autori, e a quella ragione artificiale di cui aveva parlato Coke. Si tratta,
come egli intitolava un saggio, di vedere in modo razionale e insieme storico
il rapporto tra giudice e legge (si veda Il giudice e l’adeguamento del diritto
alla realtà storico-sociale, ampia indagine teorica e storica del problema).
Vede i pericoli insiti nel rifiuto del principio di legalità; rifiutava che si
potesse parlare del diritto di resistenza nella società democratico-liberale, e
vedeva nella contestazione di quegli anni non il riferimento a una ragione
diversa per stabilire un ordine più giusto, ma la negazione di qualsiasi
ordine, di qualsiasi istituzione repressiva, della stessa ragione, in nome di
un atteggiamento che definiva anarchico e religioso; ripeteva che diritto è
necessariamente repressione, e che si trattava soltanto di fare in modo che
quella repressione fosse frutto della ragione (si veda, Società, diritto e
repressione. Da questi stessi principi e preoccupazioni era ispirato l’ampio
saggio postumo già menzionato su La sciefiza e la filosofia del diritto, viste
nel loro sviluppo storico. Questa indagine, come d’altronde tutta la Stovia
della filosofia del divitto, ribadiva la visione del diritto come F. era venuto
maturandola negli anni della sua coerente meditazione. In queste occasioni, di
fronte ai problemi più gravi dei tempi, Fassò poteva richiamarsi a quanto aveva
pensato, sul rapporto fra cristianesimo e storia, nel suo periodo teoretico. Nella
società che non è società, e neppure comunità, ma comunione dei santi, come si
è liberi dal diritto, così lo si è dalla ragione. Siccome invece purtroppo non
siamo guidati dallo spirito, siamo, come ci ricorda San Paolo, sotto la legge;
e l’unica cosa che possiam fare per non sentirne troppo la repressione è
cercare che essa sia conforme alla RAGIONE. Ma è riduttivo vedere l’ultimo
periodo della riflessione di F. nella luce di queste polemiche contro idee
effimere; anche se si dove ricordarle per rendere onore alla coerenza e alla
rettitudine dello studioso. In realtà, alla base di quelle polemiche è la
meditazione di tutta una vita, nella quale è sempre stato operante l’amore per
la distinzione: distinzione tra Dio e GIULIO (si veda) CESARE, tra esperienza
religiosa ed ESPERIENZA GIURIDICA, tra assoluto e STORIA. Ricerca Lucio Giunio
Bruto politico romano Lingua Segui Modifica Lucio Giunio Bruto Project Rome
logo Clear. png Console della Repubblica romana Capitoline Brutus Musei
Capitolini MC1183. jpg Busto di Bruto, nei Musei Capitolini in Roma. Nome
originale Lucius Iunius Brutus Nascita Roma Morte Roma GensIunia Consolato Lucio
Giunio Bruto è stato il fondatore della Repubblica romana e secondo la
tradizione uno dei due primi consoli. Il nome di Bruto è legato alla
leggendaria cacciata dell'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.
Secondo la narrazione di Livio, rafforzata da Ovidio, Bruto aveva molti motivi
di ostilità contro il re, di cui era nipote in quanto figlio di una sorella:
nel corso degli eccidi familiari che spesso accompagnano la presa di potere di
un despota, Tarquinio aveva disposto fra l'altro l'omicidio del fratello di
Bruto, il senatore Marco Giunio. Bruto, temendo di subire la stessa sorte,
allora si mimetizzò nella famiglia di Tarquinio, impersonando la parte dello
sciocco (in latino brutus significa sciocco). Lui accompagnò i figli di
Tarquinio, Tito ed Arrunte, in un viaggio all'oracolo di Delfi. I figli
chiesero all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma e l'oracolo
rispose che la prossima persona che avesse baciato sua madre sarebbe diventato
re. Bruto interpretò la parola "madre" nel significato di
"Terra" così, al ritorno a Roma, finse di inciampare e baciò il
suolo. In seguito Bruto dovette combattere in una delle tante guerre di Roma
contro le tribù vicine e tornò in città solo quando venne a sapere della morte
di Lucrezia. Lucio Giunio Bruto da giovane Il giuramento di
Bruto, Jacques-Antoine Beaufort, I littori portano a Bruto i corpi dei due
figli, Jacques-Louis David. Secondo la leggenda, la cacciata dell'ultimo re da
Roma ebbe inizio con il suicidio di Lucrezia, moglie di Collatino e parente di
Bruto, perché costretta a cedere con le minacce alle richieste amorose di Sesto
Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Livio racconta che, suicidatasi
davanti ai suoi occhi, del marito Collatino e del padre di lei Spurio Lucrezio,
Bruto estrasse il coltello dalla ferita e disse: «Su questo sangue,
purissimo prima che il principe Sesto Tarquinio lo contaminasse, giuro e vi
chiamo testimoni, o dei, che da ora in poi perseguiterò Lucio Tarquinio il
Superbo e la sua scellerata moglie, insieme a tutta la sua stirpe, col ferro e
con il fuoco e ogni mezzo mi sarà possibile, che non lascerò che né loro, né
alcun altro possano regnare a Roma.» (Tito Livio, Ab Urbe condita libri)
Bruto, il padre ed il marito di Lucrezia giurarono di vendicarne la morte.
Quindi trasportarono il corpo della donna nella piazza principale della città
di Collatia, dove la donna si era suicidata, attirando l'attenzione della
folla, che dopo aver saputo dell'accaduto si indignò per la protervia di Sesto
Tarquinio. Molti dei giovani lì presenti si offrirono volontari per
condurre una guerra contro i Tarquini. Le truppe ora riunite riconobbero in
Bruto il loro comandante, facendo rotta su Roma per conquistarne il potere.
Giunti a Roma, Bruto si rivolse al popolo romano riunito nel Foro, raccontando
della triste sorte toccata a Lucrezia. Aggiunse quindi della superbia del
re, Tarquinio, e della miseria della plebe romana, costretta dal tiranno a
costruire ed a ripulire le fogne, invece che portata a combattere come era
nella natura dei Romani. Ancora ricordò dell'indegna morte di re Servio Tullio,
calpestato da sua figlia, moglie di Tarquinio, con un cocchio. Invocò infine
gli dei vendicatori, infiammando gli animi del popolo romano alla rivolta
contro il tiranno, tanto da trascinarlo ad abbattere l'autorità regale e a
esiliare Lucio Tarquinio, insieme alla moglie ed i figli. Partì quindi per
Ardea, dove il re era accampato, per ottenere che anche l'esercito si
schierasse dalla sua parte, dopo aver lasciato il comando di Roma a Lucrezio
(in precedenza nominato praefectus della città, da parte dello stesso Superbo).
Frattanto, Tullia, moglie di Lucio Tarquinio riuscì a fuggire dalla città. Quando
la notizia di questi avvenimenti arrivò ad Ardea, Tarquinio il Superbo,
allarmato dal pericolo inatteso, partì per Roma per reprimere la rivolta.
Bruto, allora, informato che il re si stava avvicinando, per evitare
l'incontro, fece una breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea
dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli
del re, mentre a quest'ultimo venivano chiuse in faccia le porte di Roma e
comunicata la condanna all'esilio. Due dei figli seguirono il padre in esilio a
Cere(Cerveteri), Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato,
da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute. In
seguito a questi eventi, il prefetto della città di Roma convocò i comizi
centuriati, che elessero i primi due consoli della città: Lucio Giunio Bruto e
Lucio Tarquinio Collatino. Busto conservato al Museo archeologico nazionale di
Napoli I primi provvedimenti di Bruto furono: evitare che il popolo, preso
dalla novità di essere libero, potesse lasciarsi convincere dalle suppliche
allettanti dei Tarquini, costringendolo a giurare che non avrebbe permesso più
a nessuno di diventare re a Roma; rinforzare il senato ridotto ai minimi
termini dalle continue esecuzioni dell'ultimo re, portandone il totale a
trecento, nominando quali nuovi senatori i personaggi più in vista anche
dell'ordine equestre. Da qui l'uso di convocare per le sedute del senato i
padri (patres) ed i coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva
agli ultimi eletti). Il provvedimento aiutò notevolmente l'armonia cittadina ed
il riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale. Durante il consolato i
suoi figli, Tiberio e Giunio, complottarono con il deposto re Tarquinio il
Superbo, per farlo tornare a Roma come re, ma furono scoperti grazie ad uno
schiavo. Incatenati, chiesero pietà e il popolo, impietosito, ne chiedeva la
loro liberazione. Ma Bruto fu irremovibile, e li fece uccidere, assistendo
personalmente senza versare una lacrima per la loro morte. In seguito
alle dimissioni forzate del collega Lucio Tarquinio Collatino, Bruto chiese al
popolo di nominare un altro console in sua sostituzione, così da non dare adito
al sospetto che volesse governare sulla città come un monarca. Allora i
cittadini riuniti elessero Publio Valerio Publicola. Il suo consolato terminò
con la battaglia della Selva Arsia, combattuta contro gli Etruschi, che si
erano alleati con i Tarquini, per restaurarne il potere. Durante la battaglia
Bruto si scontrò con Arrunte Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo e cugino
di Bruto; i due, spronati i loro cavalli al galoppo, si trafissero
vicendevolmente con le loro lance, perdendo la vita nello scontro. Il
console superstite, Valerio, dopo aver celebrato un trionfo per la vittoria,
tenne un funerale di grande magnificenza per Bruto, che fu pianto dalle
nobildonne per un anno. Altro Servilio Ahala e Bruto in un denario di
Marco Giunio Bruto. Marco Giunio Bruto, il cesaricida che si vantava di essere
un discendente di Lucio Giunio Bruto, nel 54 a.C., dieci anni prima delle Idi
di marzo quando Giulio Cesare rimase ucciso, emise un denario con al diritto la
testa di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica romana e la scritta
BRVTVS ed al rovescio la testa di Gaio Servilio Strutto Ahala e la scritta
AHALA. Secondo Crawford (Roman Repubblican Coinage) il denario fu emesso quando
a Roma corse la voce che Pompeo volesse diventare dittatore. Critica
storica Il racconto proviene dall'Ab Urbe condita di Livio e tratta di un punto
della storia di Roma che precede le annotazioni storicamente affidabili
(praticamente tutte le annotazioni precedenti furono distrutte dai Galliquando
saccheggiarono Roma) La figura di Bruto nell'arte Il busto di Bruto si
trova nel palazzo dei Conservatoridi Roma. Proveniva dalla collezione privata
del Cardinale Rodolfo Pio da Carpi, che la donò alla città nel XVII secolo.
Trafugato da Napoleone che lo fece esporre al Louvre, fu riportato a Roma.
ALIGHIERI (si veda) lo cita nel limbo, nell’Inferno, quando scrive. VIDI QUEL
BRUTO CHE CACCIÒ TARQUINO (Alighieri, Divina Commedia, Inferno) Shakespeare,
nella sua tragedia Giulio Cesare, fa un riferimento a Lucio Giunio, quando fa
ricordare a Cassio che parlava a Bruto, l'altro cesaricida, lo spirito
repubblicano dei propri antenati. Lucio Giunio Bruto è uno dei personaggi
principali de Il ratto di Lucrezia, un poema sempre di Shakespeare, e nella
tragedia di Nathaniel Lee, Lucius Junius Brutus; Father of his Country. A
Giovan Francesco Maineri è attribuito un dipinto, databile tra il 1490 e il
1493, dal titolo Lucrezia, Bruto e Collatino. Nel 1789, all'alba della
rivoluzione francese, il pittore francese Jacques-Louis David realizzò il
dipinto I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, oggi esposto al
Louvre di Parigi. Il dipinto provocò grandi timori nelle autorità, poiché si
temeva un paragone tra l'intransigenza del console Lucio Giunio Bruto, che non
esitò a sacrificare i figli che cospiravano contro la Repubblica, e la
debolezza di Luigi XVI rispetto al fratello conte d'Artois, favorevole alla
repressione dei rappresentanti del Terzo Stato. Giunio Bruto è anche
un'opera seria musicata da CIMAROSA (si veda), libretto di ACANZIO (s veda) Matyszak,
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Livio,
Ab Urbe condita libri Santillana e Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi Livio,
Periochae ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe
condita libri Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Periochae ab Urbe condita
libri Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Livio,
Ab urbe condita libri Livio, Ab urbe condita libri Dionigi racconta che furono
due i figli accusati ed uccisi da Bruto, Antichità romane, Libro VIII, 79. ^
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Iunia e
Servilia; Sydenham; Crawford.Fonti primarie Livio, Ab Urbe condita. Fonti secondarie William
Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Taylor, Walton
and Maberly, London. Matyszak, Chronicle of the roman Republic, New York,
Thames et Hudson. Carandini, Res publica: Come Bruto cacciò
l'ultimo re di Roma, Milano, RCS Libri S.p.A. Voci correlate Bruto capitolino
Consoli repubblicani romani Gens Iunia Lapis Satricanus Elenco degli oracoli di
Delfi. Bruto, Lucio Giunio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Lucio Giunio Bruto, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Lucio Giunio Bruto nel Dizionario delle antichità greco-romane
di William Smith Portale Antica Roma Portale Biografie PAGINE
CORRELATE Tarquinio il Superbo settimo e ultimo re di Roma Lucrezia
(antica Roma) figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino e moglie di Collatino
Lucio Tarquinio Collatino politico romano. Keywords: RES PVBLICA RES POPVLI, ius,
Grice on Hart, Hart’s failure as a jurisprudentialist – “La filosofia romana”
“La giurisprudenza romana” la genesi logica della scienza nuova di Vico, la
genesi storica della scienza nova di vico, Michelet, filosofo uganotto
discipolo di Vico, Croce su F., F. su Gentile, F. su Romano – iurisprudenza,
ius-naturalismo – legge e raggione, legge raggione, societa – positivismo –
storia come esperienza giuridica, l’assoluto giuridico – natura umana – grozio
e vico – lo stato fascista di Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fassò” –
The Swimming-Pool Library. Guido Fassò. Fassò
Luigi Speranza --
Grice e Fausto: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano– Riez --.
Contra Claudiano Mamerto.
Luigi Speranza --
Grice e Favonio: la ragione conversazionale a Roma antica – il portico a Roma –
il cinargo a Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Filosofo del portico,
amico e ammiratore di CATONE (si veda) Uticense. Fugge con Pompeo. E
giustiziato per essere proscritto. Dopo che Marco F. E catturato e giustiziato
a seguito della battaglia di Filippi Ottaviano acquistò uno dei suoi schiavi,
un certo Sarmento, quando tutte le proprietà del nemico sconfitto vennero messe
in vendita: è stato affermato poi ch'egli divenne il catamite preferito dello
stesso futuro imperatore. Osgood, J.
Caesar's Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire, Cambridge. Marcus
F., a Roman politician during the period of the fall of the Roman Republic. Noted
for his imitation of Catone the Younger, his espousal of the Cynic philosophy –
CINARGO --, and for his appearance as the Poet in William Shakespeare's play
Julius Caesar. Life Aerial view of Terracina with the Circeo
promontory in the background Favonius was born in around 90 BC[1] in Tarracina
(the modern Terracina), a Roman colony on the Appian Way at the edge of the
Volscian Hills.[2] Favonius in Latin means "favourable"; in Roman
mythology Favonius was the west wind, whose counterpart in Greek mythology was
Zephyrus.[3] Political career Favonius,
with the support of Cato, was chosen aedile at some time between 53 and 52
BC.[2] According to Plutarch, Favonius
stood to be chosen aedile, and was like to lose it; but Cato, who was there to
assist him, observed that all the votes were written in one hand, and
discovering the cheat, appealed to the tribunes, who stopped the election.
Favonius was afterwards chosen aedile, and Cato, who assisted him in all things
that belonged to his office, also undertook the care of the spectacles that
were exhibited in the theatre.[4] As
well as being chosen aedile, he was also chosen quaestor and served as legatus
in Sicily, "probably after his quaestorship".[2] Although many
classical reference works list Favonius as having been a praetor in 49 BC, it
is a matter of some controversy whether or not he was a praetor at any time
between 52 and 48 BC. According to F. X. Ryan, in his 1994 article 'The
Praetorship of Favonius', the matter hinges on the meeting at the senate at
which he bade Pompey "stamp on the ground". "When we are forced
to decide whether a man who spoke at a meeting summoned by consuls was a
praetor or a senator, all we can say is that probability greatly favors the
latter alternative."[2] Cassius Dio wrote of Favonius' relation to Cato
that Favonius "imitated him in everything",[5] while Plutarch wrote
that Favonius was "a fair character ... who supposed his own petulance and
abusive talking a copy of Cato's straightforwardness".[6] An instance of
his imitation of Cato's plainspeaking that was ruder and more vehement than the
behaviour of his model might have allowed came in 49 BC; in a dispute in the Senate,
Pompey, challenged as to the paucity of his forces when Julius Caesar was
approaching Rome from Gaul, answered that he not only could call upon the two
legions that he had lent to Caesar but could make up an army of 30,000 men. At
which Favonius "bade Pompey stamp upon the ground, and call forth the
forces he had promised".[6]
According to Plutarch, Favonius was known amongst his fellow Roman
aristocrats as a Cynic because of his outspokenness,[7] but a modern writer on
Greek philosophy labels him as an "early representative of Cynic
type" who fell short of the (possibly unattainable) ideal cynicism of the
earliest Greek proponents of the doctrine (a slightly later example of the type
was Dio Chrysostom). Despite his wild, vehement manner, F. is capable of acts
of humility, such as he performed to Pompey when he entertained Deiotarus I of
Galatia aboard ship. Pompey, for want of
his servants, began to undo his shoes himself, which Favonius noticing, ran to him
and undid them, and helped him to anoint himself, and always after continued to
wait upon, and attended him in all things, as servants do their masters, even
to the washing of his feet and preparing his supper. Against the triumvirate F.
was a member of the optimates faction within the Roman aristocracy; in a letter
to Caesar on ruling a state (Ad Caesarem senem de re publica oratio),
traditionally attributed to Sallust but probably by the rhetorician Marcus
Porcius Latro, Caesar is told of the qualities of some of these nobles. Bibulus
and Lucius Domitius are dismissed as wicked and dishonourable while Cato is
someone "whose versatile, eloquent and clever talents I do not
despise." The writer continues, In
addition to those whom I have mentioned the party consists of nobles of utter
incapacity, who, like an inscription, contribute nothing but a famous name. Men
like Lucius Postumius and Marcus F. seem to me like the superfluous deckload of
a great ship. When they arrive safely, some use can be made of them; if any
disaster occurs, they are the first to be jettisoned because they are of least
value. Like Cato, F. opposed the
corruption of many of Rome's leading politicians in general and the rise of the
First Triumvirate in particular. When Caesar returned from his praetorship in
Spain and successfully stood for consul, he allied himself with Pompey (to whom
he gave his daughter Julia in marriage) and Clodius. Following an incident in
which Cato prevented Caesar from both having a triumph and standing for
consulship by a filibustering tactic, after which Cato and Bibulus were
physically attacked by Caesar's supporters, Caesar's party demanded two things
of the senate: first, that it sign a law concerning the distribution of land;
second, that all senators swear an oath promising that they would uphold the
law. Silver denarius of Cato the Younger. According to Plutarch, "heavy
penalties were pronounced against such as would not take the oath", which
in this case meant exile. A party led by Cicero, Lucullus and Bibulus, to which
Cato and F. allied themselves, opposed these measures, but eventually either
swore the oath or abstained. Cato, however, feared these laws and the oath as
not being for the common good but as extensions of the power of Caesar and
Pompey; Plutarch writes of Cato that "he was afraid, not of the distribution
of land, but of the reward which would be paid for this to those who were
enticing the people with such favours." Eventually all senators except
Cato and F. agreed to Caesar and Pompeys's measures, whereupon Cicero made an
oration urging Cato to soften his attitude. According to Plutarch, The one who was most successful in persuading
and inducing him [Cato] to take the oath was Cicero the orator, who advised and
showed him that it was possibly even a wrong thing to think himself alone in
duty bound to disobey the general will; and that his desperate conduct, where
it was impossible to make any change in what had been done, was altogether
senseless and mad; moreover, it would be the greatest of evils if he should
abandon the city in behalf of which all his efforts had been made, hand her
over to her enemies, and so, apparently with pleasure, get rid of his struggles
in her defence; for even if Cato did not need Rome, still, Rome needed Cato,
and so did all his friends; and among these Cicero said that he himself was
foremost, since he was the object of the plots of Clodius, who was openly
attacking him by means of the tribuneship. Finally Cato was persuaded to give
up his opposition, followed by F., the last to submit. Plutarch writes,
"By these and similar arguments and entreaties, we are told, both at home
and in the forum, Cato was softened and at last prevailed upon. He came forward
to take the oath last of all, except F., one of his friends and intimates. Upon
hearing the news that of the members of the Triumvirate, Caesar was to be given
a fresh supply of money, and Pompey and Crassus were to be consuls again the
following year, F., "when he found he could do no good by opposing it,
broke out of the house, and loudly declaimed against these proceedings to the
people, but none gave him any hearing; some slighting him out of respect to
Crassus and Pompey, and the greater part to gratify Caesar, on whom depended
their hopes. Assassination of Caesar Despite the fact that he opposed Caesar, F.,
like Cicero, was not invited by Brutus and Cassius to participate in the plot
to assassinate Caesar. In his Life of Brutus, Plutarch wrote, As indeed there were also two others that
were companions of Brutus, Statilius the Epicurean, and F. the admirer of CATONE
(si veda), whom he left out for this reason: as he was conversing one day with
them, trying them at a distance, and proposing some such question to be
disputed of as among philosophers, to see what opinion they were of, Favonius
declared his judgment to be that a civil war was worse than the most illegal
monarchy. Execution after Philippi After Caesar's death, F. became an opponent
of his successors in the Second Triumvirate. According to Cicero's letter to
Atticus, F. was present at a meeting of the Liberatores who opposes Antony's
near-dictatorial regime. Also present at this meeting were Cicero, Brutus,
Cassius, Porcia Catonis, Servilia and Junia Tertia. Along with Cicero, his
brother Quintus Tullius CICERONE (si veda), and Lucius Julius Caesar, F. is
proscribed by the triumvirate, and imprisoned after Antony and Octavian (later
Augustus) defeated the forces of Brutus and Cassius at the Battle of Philippi.
His imprisonment did little to assuage his intemperate behaviour. According to
Suetonius, "Marco F., the well-known imitator of Cato, saluted Antonius
respectfully as Imperator when they were led out in chains, but lashed Augustus
to his face with the foulest abuse. F.’s abuse was apparently as a result of
Octavian's brutal treatment of the prisoners captured at Philippi. Of his death Cassius Dio wrote, Most of the prominent men who had held
offices or still survived of the number of Caesar's assassins or of those who
had been proscribed straightway kill themselves, or, like F., are captured and
put to death; the remainder escaped to the sea at this time and later joined
Sextus. F.’s slave Sarmentus, who was bought after his master's death when his
estate was sold, is claimed to have become a catamite of the emperor Augustus. Osgood
says this might have been as a slander planted by supporters of MARC’ANTONIO,
but both ancient and contemporary students of Roman sexuality have observed
that a man's sexual use of his own slaves, male or female, is not a target for
social condemnation. Sarmentus was the subject of Quintus Dellius' complaint to
Cleopatra that while he and other dignitaries were served sour wine by Antony
in Greece, Augustus' catamite was drinking Falernian in Rome. Legacy
Shakespeare's GIULIO (si veda) CESARE
Facsimile of the first page of Julius Caesar from the First Folio. F. is
the character known as the Poet who appears in Shakespeare's play GIULIO (si
veda) CESARE. Shakespeare takes the details of this scene from Plutarch's
Parallel Lives, in which, on Brutus' journey to Sardis, Plutarch writes that
Brutus and Cassius fell into a dispute in an apartment (Shakespeare assigns
this scene to Brutus' tent), which ultimately led to their sharing angry words
and both of them bursting in tears. Their friends attempted to break into the
room to see what the dispute was about and forestall any mischief, but were
prevented from doing so by a number of attendants. F., however, was not to be
stopped. According to Plutarch, Marcus F., who had been an ardent admirer of
Cato, and, not so much by his learning or wisdom as by his wild, vehement
manner, maintained the character of a philosopher, was rushing in upon them,
but was hindered by the attendants. But it was a hard matter to stop F.,
wherever his wildness hurried him; for he was fierce in all his behaviour, and
ready to do anything to get his will. And though he was a senator, yet,
thinking that one of the least of his excellences, he valued himself more upon
a sort of cynical liberty of speaking what he pleased, which sometimes, indeed,
did away with the rudeness and unseasonableness of his addresses with those
that would interpret it in jest. F., breaking by force through those that kept
the doors, entered into the chamber, and with a set voice declaimed the verses
that Homer makes Nestor use – "Be ruled, for I am older than ye
both." At this Cassius laughed; but BRUTO (si veda) thrust him out,
calling him impudent dog and counterfeit Cynic; but yet for the present they
let it put an end to their dispute, and parted. Cassius made a supper that
night, and Brutus invited the guests; and when they were set down, F., having
bathed, came in among them. Brutus called out aloud and told him he was not
invited, and bade him go to the upper couch; but he violently thrust himself
in, and lay down on the middle one; and the entertainment passed in sportive
talk, not wanting either wit or philosophy. In Shakespeare's version of this
encounter in Julius Caesar, Favonius' opening lines in his role as Poet are:
POET. [Within] Let me go in to see the generals; There is some grudge between
'em, 'tis not meet they be alone. Forcing his way into Brutus' tent, he
addresses Brutus and Cassius: POET. For shame, you generals! what do you mean?
Love, and be friends, as two such men should be; For I have seen more years,
I'm sure, than ye. To which, Cassius replies: CASSIUS. Ha, ha! how vilely doth
this cynic rhyme![20] and Brutus drives
him from his tent. Here Shakespeare departs from Plutarch's account of the
scene, as F. does not feature in Brutus and Cassius' subsequent drinking
bout. Dudley, A History of Cynicism –
From Diogenes on, Read Books, at books.google.com, Ryan, The Praetorship of F.,
at accessmylibrary.com, Brewer, E. Cobham, Brewer's Dictionary of Phrase and
Fable at Bartleby Plutarch, Life of CATONE (si veda) the Younger Cassius Dio, Roman History, at uchicago Plutarch,
Life of Pompey Plutarch, Life of Brutus
Dawson, D. Cities of the Gods: Communist Utopias in Greek Thought OUP,
Pseudo-Sallust, Letter to Caesar on the State, at uchicago Dillon, M. and
Garland, L. Ancient Rome, Taylor e Francis, Plutarch, Life of Caesar CICERONE (si veda), Letters to Atticus,
Suetonius, Life of Augustus, Cassius Dio, Roman History, at uchicago Osgood, GIULIO
(si veda) CESARE’s Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire,
CUP, books.google Osgood, GIULIO (si veda) CESARE’s Legacy: Civil War and the
Emergence of the Roman Empire, CUP, books.google.com, Craig Williams: Roman
Homosexuality: Oxford Plutarch, Life of MARC’ANTONIO (si veda), Shakespeare, GIULIO (si veda) CESARE, cur. Danniel,
editorial note, GIULIO (si veda) CESARE at books.google.com, Shakespeare,
Julius Caesar, Geiger, Favonius: three notes". RSA. Linderski, J. "The Aedileship of Favonius, Curio the
Younger and CICERONE (si veda)’s Election to the Augurate". Harvard
Studies in Classical Philology. Ryan, F. X. "The Praetorship of
Favonius". American Journal of Philology. Ryan, The Quaestorship of
Favonius and the Tribunate of Metellus SCIPIONE (si veda)". Athenaeum. vte
Cynic philosophers Greek eraAntisthenes Diogenes Onesicritus Monimus Philiscus Hegesias
of Sinope Anaximenes of Lampsacus Crates Hipparchia Metrocles Cleomenes Bion Menippus
Menedemus Cercidas Teles Meleager Roman eraFavonius Demetrius Dio Chrysostom Agathobulus
Demonax Peregrinus Proteus Theagenes Oenomaus Pancrates Crescens Heraclius Asclepiades
Maximus I of Constantinople Horus Sallustius Categories: births deaths People
from Terracina Romans Ancient Roman politiciansSenators of the Roman Republic People
executed by the Roman Republic Roman aediles executions Roman-era Cynic
philosophers Roman governors of Macedonia. A Cynic. He attached himself to CATONE
Minore, whom he sought to imitate. He was also a friend of Marco BRUTO, but
they fell out and Bruto told him that while he only PRETENDED to be a Cynic, he
really WAS a dog! Favonio. Keywords: implicature. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Favonio”, The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Favonio: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italianao. Eulogio. F. Eulogio. Cartaginese, ha come maestro di
retorica Agostino, dal quale risulta che esercita quell’arte in Africa, Dedicò
la sua "Disputatio de sommio Scipionis" a Superio, consolare della
provincia di Bizacena. Questa disputazione in ultimo deve derivare dal
commento posidoniano al "Timeo," mediato da Varrone, al quale si
ritengono attinte le fonti citate. La prima parte della disputazione presenta
la teoria dei numeri, essenza delle cose e tratta del significato simbolico di
essi, dall’I al IX. La seconda parte della disputazione si occupa dell’armonia
delle sfere. Queste teorie sono pitagoriche in generale.Ma il Neo-Pitagorismo
appare in ciò che Favonio Eulogio dice della monade, in cui espone in modo poco
chiaro una teoria monistica che deriva da essa ogni realtà. Il numero è
eterno, intelligibile, incorruttibile, e include con la potenza tutto ciò che
è.Ma inteso in senso proprio è una pluralità unificata e divisibile e perciò
comincia con la diade.Invece la monade, l’unità assoluta e indivisibile e
identica al divino, è il seme e l’inizio dei numeri. I numeri poi sì
distinguono dalle cose corporee numerabili che sono accidenti e sostrati dei
primi, che sono riducibili alla monade. Però le cose numerabili non sono
altro che tale unità assoluta, che è prima, entro e dopo tutte le
cose. Infatti, ogni quantità proviene dall’uno e in esso mette capo ed
esso permane immutabile quando periscono le altre cose che possono accoglierlo
in sè. Retore romano, discepolo d’Agostino ed operò a Cartagine. È
noto per un episodio narrato dal suo maestro, che lo rende identificabile con F.
autore dell'operetta Disputatio de somnio Scipionis. Il suo scritto lo pone fra
gli studiosi neopitagorici e neoplatonici. La Disputatio, dedicata a
Superio, vir clarissimus atque sublimis, è suddivisa in due parti: la prima è
dedicata all'aritmologia; la seconda espone in breve la teoria musicale greca. Holder,
F. Disputatio de Somnio Scipionis, Lipsiaem Weddingen, F. Disputatio de Somnio
Scipionis, édition et traduction, Collection Latomus, Bruxelles; Scarpa,
Favonii Eulogii Disputatio de Somnio Scipionis, Accademia patavina di Scienze,
Lettere e Arti, Università di Padova. Istituto di filologia latina, Padova; Lukas
J. Dorfbauer: Überlieferung und historischer Kontext der Disputatio de Somnio
Scipionis des Favonius Eulogius. Latomus. Marcellino, F. Disputatio de Somnio
Scipionis, edizione critica, traduzione e commento, Napoli, D'Auria, Camille
Gerzaguet - Béatrice Bakhouche - Mylène Pradel-Baquerre; Drelon: F. Exposé sur le songe de Scipion. Les Belles Lettres, Paris,
edizione critica con annotazioni Heberlein: F., Abhandlung über das Somnium
Scipionis. Mit einem Essay von Lukas J. Dorfbauer.
Steiner, Stuttgart, edizione critica con traduzione e commento. F. in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Opere di F.,
su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro.
Opere di F., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di F., su Open Library,
Internet Archive. Portale Biografie:
accedi alle voci di che trattano di biografie Categoria: Retori romani[altre]. Favonio Eulogio was a pupil
of Agostino and wrote an analysis of Cicero’s Dream of Scipione. Favonio Eulogio. Favonio.
Luigi Speranza --
Grice e Favorino: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia
italiano – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo
italiano. Comes from Arelate. Said by Flavio Filostrato to have been a
hermaphrodite. Pupil of Dion Cocceianos. Achieves fame as a sophist. Writes
many books on philosophy, including works on Epitteto. He is exiled by Adriano. Favorino
Luigi Speranza -- Grice
e Fazio: all’isola -- la ragione conversazionale all’isola -- l’implicatura
conversazionale della colloquenza – scuola di Palermo – filosofia palermitana
-- filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo palermitano. Filosofo siciliano. Filosofo
Italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Allmeyer; especially his rambles on
Roman philosophy when he taught at Rome – ‘La filosofia romana’ has a very
datable beginning: that infamous embassy that terrified the old Romans but
charmed the younger ones, such as Scipione!” --
Grice: “Due to Gentile, Allmaayer was forced to focus on Italian
philosophy, and Gentile allowed him to call Galileo a ‘filosofo’! – Grice:
“Allmayer’s pragmatics is Griceian: there is a colloquium, when a ‘soggeto’
empirico recognises another soggesto empirco (il tu del’io) – and they shape a
‘noi’ – for this he appeals to concepts of objectivity as intersubjectivity –
If I imply, it is the UTTERER’s expression and implication that is primary, but
I INTEND my implicature to be reccognised by the ‘tu’ – and this does not
‘alienate’ my concrete subjectivity – it does not vanish – it is merely
re-invoked by the other – ‘invoke’ being a linguistic term – vox –: this is
what the ‘assoluto’ stands for, that terrified Bradley!” -- Grice: “I love the fact that Allmayer taught
the history of logic, with a focus on ‘stoic’ logic – and it’s only natural
that ‘stoicismo’ was his favourite stage in Roman philosophy!” – Grice: “Oddly,
Allmayer has a genial commentary on my favourite of Arisotle’s treatises and
the foundation of my method in philosophical psychology – “De Anima””! Insieme a GENTILE (si veda), e altri filosofi, uno
degl’esponenti di spicco della corrente filosofica detta
attualismo. Nacque da Giuseppe Emanuele FAZIO, originario di Alcamo (ex
garibaldino e in servizio presso il Museo nazionale di Palermo) e da Felicina
Allmayer, di origine tedesca, ma residente in Italia. Fin da ragazzo si
interessa alla storia dell'arte. Si laurea in giurisprudenza ma poiché è
appassionato alla filosofia, inizia subito gli studi filosofici e a frequentare
la biblioteca filosofica di Palermo, dove ha modo di conoscere GENTILE (si
veda). Si laurea. Insegna al liceo "Umberto I" di Palermo, dove
comincia la sua ricca produzione saggistica che lo rende famoso in
Italia. La sua carriera continua a Roma. Subito dopo la caduta del
fascismo, F. è sospeso dall'insegnamento; per essere reintegrato dopo la fine
della guerra. Dopo un periodo travagliato della sua vita riprende la
molteplice attività di saggista e critico, oltre che di docente. Si sposa
con Concettina Carta, con cui ha tre figli. Rimasto vedovo, si sposa in seconde
nozze con Bruna Boldrini che, conosciuta col cognome acquisito, è stata tra i
maggiori critici di Fazio e ne ha promosso un'edizione completa delle Opere
(Firenze). F., colpito da infarto tre anni prima, muore a Pisa. In
memoria di questo insigne filosofo e pedagogista di origine alcamese, il liceo
delle Scienze Umane, Economico Sociale, Linguistico, Musicale (ed autorizzato
per le Arti coreutiche) è stato intitolato al suo nome. Professore presso
il liceo di Matera: professore al liceo di Agrigento, vince una borsa di studio
per perfezionamento presso l'Roma docente presso il liceo "Umberto I"
di Palermo: libero docente di storia della filosofia a Roma trasferito a
Palermo, è condirettore del Giornale critico della filosofia italiana,
fondato da GENTILE (si veda) e diretto dallo stesso prima di essere ministro:
docente di filosofia a Palermo: docente di storia della filosofia (con corsi su
Bacone e sui sofisti e Platone) presso l'Roma, in sostituzione di GENTILE (si
veda) e incaricato di pedagogia al magistero di Roma: collaboratore di GENTILE
(si veda) per la riforma scolastica e, con l'incarico di ispettore centrale
degli istituti medi di istruzione, ha affidata la redazione dei programmi della
scuola media: professore non stabile di storia della filosofia medievale e
moderna: ha la cattedra di filosofia teoretica in sostituzione di CARABELLESE
(si veda): preside della facoltà di lettere: commissario per l'amministrazione
straordinaria della sezione arti decorative, annessa alla Scuola artistica e
industriale di Palermo in poi: commissario governativo per l'Accademia di Belle
Arti: sospeso dall'insegnamento e reintegrato dopo la fine della guerra:
cattedra di storia della filosofia dell'Pisa: direttore dell'istituto di
filosofia. Il tramonto del positivismo e l'amicizia con GENTILE (si veda) lo
portano a un impegno ideologico a favore dell'attualismo che sembra poter
portare a un rinnovamento culturale e civile. Secondo l'attualismo, è l'atto
del pensare in quanto percezione, e non il pensiero creativo in quanto
immaginazione, a definire la realtà. Assieme a GENTILE (si veda) e RUGGIERO
(si veda), è uno dei sostenitori di quell'attualismo che ha tutta la seduzione
romantica e tutta la fiducia ottimistica a trarre a séi migliori dei scontenti,
quelli che non si muovevano verso ANNUNZIO (si veda) o MARINETTI (si veda), e
appoggia apertamente, anche con conferenze, l'intervento dell'Italia nel
conflitto mondiale, ma venne riformato alla visita militare. Nelle parole
di Boldrini, che tende a sottolineare la sostanziale autonomia della ricerca
del F. dalla metafisica di GENTILE (si veda), F. giunge a giustificare
l'esperienza storica come vita concreta, in cui le molteplici e diverse forme
confluiscono in un rapporto intersoggettivo, sintesi etico-estetica, nella
specificità di ciascuna. D'altronde, anche CROCE (si veda) in una recensione
del saggio Contributo alla teoria della storia dell'arte (poi in Opere),
mettein dubbio che si puo parlare ancora di idealismo attuale per F. Nel
secondo dopoguerra, in un momento denigratorio dell'idealismo, e maggiormente
dell'attualismo, che è accusato di connivenza col FASCISMO, la posizione di F. è
di aperta difesa dell'attualismo e di un fedele sviluppo del proprio
pensiero. Insegnare è non morire Insegnare vuol dire non morire, ma
entrare in un processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: su
questa certezza di F., si basa una spinta pedagogica di tipo socratico, per cui
il maestro si sente un uomo tra uomini, lui più esperto, e loro più giovani, ma
protesi verso il nuovo. L'educatore, nel suo farsi persona, diventa
storico di se stesso, nel rapporto con i propri alunni li deve riconoscere
nella loro singolarità, piuttosto che livellarli. Aprirsi agli altri è il
contributo al vivere: allorché viene meno questo senso di solidarietà col
tutto, si crea in noi il disagio dell'angoscia. Quindi il senso della
vita è quello della speranza e dell'amore: gli altri individui non sono
antitetici al proprio io, ma un indispensabile sbocco del proprio io. Ognuno di
noi si fa compossibile agli altri per ciò che dà e per quello che ripiglia
dagli altri, così il particolare si risolve nell'universale e quest'ultimo nel
particolare. Per F. la speranza è nella certezza che il futuro è nel
presente: sono vecchi, quindi, gli insegnanti che, presi dal passato, trovano
disprezzabile tutto ciò che si produce nel presente, e sciocchi i giovani, e
sbagliato ogni nuovo pensiero. La scuola è vecchia se non riesce a vedere il
mondo nuovo e in rinnovamento; l'insegnante che si racchiude nelle memorie del
passato, manifesta la malattia mortale che si chiama vecchiaia.
Fondazione La Fondazione Nazionale F. è
sorta a Palermo, creata da Giambalvo e F., che venne in Sicilia dalla Toscana
per insegnare Filosofia morale e Storia della Pedagogia; tale istituzione è
stata fondata per onorare il ricordo del marito e per suscitare nelle giovani
generazioni l'interesse per la filosofia. Opere Su: La Sicile illustrée,
articoli e saggi Su: Rassegna d'arte, articoli e saggi, Studi sul pensiero
antico; Sansoni, Galilei; R. Sandron,
Galilei, Palermo, poi in Opere, GALILEI (si veda); Sansoni, Novum
organum: Bacon; Laterza, Dell'anima Aristotele; Laterza, la formazione del problema kantiano, in
Annali della Bibl. filosofica di Palermo, poi in Opere) La scuola popolare e
altri discorsi ai maestri: Battiato, Introduzione allo studio della storia
della filosofia; Zanichelli; Materia e sensazione (Sandron, Palermo, in Opere)
Materia e sensazione; Sansoni, Introduzione alla filosofia; Sansoni, La teoria
della libertà nella filosofia di Hegel (Messina, in Opere) Saggio su Bacone
(Palermo, in Opere) Saggio su Bacone; Il problema morale come problema della
costituzione del soggetto, e altri saggi (Firenze, Monnier, in Opere) Il
problema morale come problema della costituzione del soggetto e altri saggi;
Sansoni, Il significato della vita; Sansoni, Il significato della vita;
Divagazioni e capricci su PINOCCHIO; G.C. Sansoni, Divagazioni e capricci su PINOCCHIO;
Fondazione nazionale F., Ricerche hegeliane; G. C. Sansoni, Ricerche hegeliane;
Fondazione nazionale F., Storia della filosofia; Palumbo, Storia della
filosofia; Sansoni, I vigenti programmi della scuola elementare: Commento e
interpretazione; Firenze, F. Le Monnier, Morale e diritto; Sansoni, Discorsi,
lezioni; Sansoni, Saggi e problemi; Sansoni, Recensioni e varie, La Pinacoteca del
Museo di Palermo e altri saggi; notizie dei pittori palermitani, Palermo,
Prolusioni e discorsi inaugurali; Sansoni, Alcune lezioni edite e inedite;
Sansoni, Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, Spunti di storia della
pedagogia Moralita dell'arte: rievocazione estetica e rievocazione suggestiva
(con postille); Sansoni, Moralita dell'arte e altri saggi; Sansoni. Logica e
metafisica; Sansoni, La storia; Sansoni, Lettere a Bruna; Fondo F. Lettere a GENTILE
(si veda); Fondo F., Introduzione allo studio della storia della filosofia e
della pedagogia; Sansoni, La teoria della liberta' nella filosofia di Hegel;
Principato, Opere; Sansoni, Commento a PINOCCHIO; G. C. Sansoni, Il problema
PIRANDELLO (si veda); Firenze, Belfagor, treccani/ enciclopedia f. (Dizionario-Biografico
GARIN (si veda), Cronache di filosofia italiana., Bari, ad Indicem; f. treccani,
treccani enciclopedia vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/. F.,//faf. /index//.
Vita e pensiero di F., Firenze, Palermo, con
degli scritti del e sul F., alle
Massolo: F. e la logica della compossibilità, Giornale critico della
filosofia italiana, LUPORINI (si veda), Ricordo di F. in Belfagor, Francesco:
Intenzionalità ermeneutica e compossibilità nell'attualismo comunicazionale di F.:
implicazioni pedagogiche; Fondazione F., A. GUZZO (si veda), F. e ROSSI (si
veda), Filosofia, Giornale critico della filosofia italiana, (scritti di SAITTA
(si veda), MASSOLO (si veda), CARAMELLA (si veda), ALBEGGIANI (si veda), MINEO
(si veda), F.); SANTUCCI (si veda), Esistenzialismo e FILOSOFIA ITALIANA,
Bologna, Negri, In ricordo di F., in Filosofia, GARIN (si veda), Cronache di
filosofia italiana, Bari ad Indicem; F. Esistenza e realtà nella fenomenologia
di F., Bologna, Sichirollo, Filosofia e storia nella più recente evoluzione di
F., in Per una storiografia filosofica, Urbino
Giambalvo, La metafisica come esigenza in Bergson e l'esigenza della
metafisica in F., Palermo, SINI (si veda): Studi e prospettive sul pensiero di
F. il Pensiero, ist. editoriale Cisalpino, Milano-Varese Atti del Congresso di
filosofia F., oggi, Palermo Atti del Convegno su l'estetica come ricerca e
l'impegno dell'artista nel suo mondo, Palermo
(con interventi di Lugarini, Mirabelli, Russo. Attualismo (filosofia) GENTILE
(si veda) RUGGIERO (si veda) Alcamo
treccani, treccani/enciclopedia vito-fazio-allmayer Dizionario-Biografico Filosofia Filosofo Filosofi italiani Pedagogisti
italiani Insegnanti italiani Insegnanti italiani Professore. Lezione sulla
logica. LORENZINI (si veda). Keywords: colloquenza, colloquio, dialettica,
dialogo, hegel – fascism – he was forced to retire after the fall of fascism,
altmeyer wurd allmeier, LORENZINI, PIRANDELLO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Fazio” – The Swimming-Pool Library. Vito Fazio. Fazio.
Luigi Speranza -- Grice
e Fazzini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola
di Vieste – filosofia viestese – filosofia foggiana – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Vieste). Filosofo viestese. Filosofo
foggiano. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Vieste, Foggia, Puglia. Grice:
“I like Fazzini; he can be too theological, but that’s okay!” Divulgatore
di materie filosofiche e il fondatore
dell'omonima scuola private a Napoli, una delle più celebri nel regno delle Due
Sicilie. Figlio di Tommaso e Porzia Medina, che apparteneno a due delle
famiglie più agiate della città. Il suo talento per la filosofia e la
matematica è notato fin dai primi anni. I genitori decisero quindi di far
proseguire i suoi studi in ambienti che potessero garantire una formazione adeguata.
F. si trasferì a Foggia, poi a Benevento e in ultimo nel seminario di Nusco. Qui
trascorse l'adolescenza approfondendo anche lo studio dei
classici. Terminato il seminario, torna a Vieste. Lì, poco dopo il suo
rientro, recita in duomo un'orazione in lode dell'Arcangelo Michele che è molto
apprezzata dal clero e dai fedeli. Il rientro nella città natale è
comunque di breve durata. Desiderando continuare i suoi studi, si trasfere a
Napoli. Venne ordinato sacerdote e nello stesso anno ha come insegnante FERGOLA
(si veda). La scuola di quest'ultimo è un rinomato centro per la formazione e
un punto di incontro per studiosi e ricercatori del Mezzogiorno. Ne è uno degl’allievi
più illustri. Prosegue anche gli studi in filosofia. Si avvicina al
sensismo (empirismo). Ottenne dalla chiesa il permesso di acquisire testi
proibiti sul sensismo, a patto che non ne divulga i contenuti. Questo aspetto
della formazione filosofica influe sulla sua docenza e sulla sua personalità,
determinando una contraddizione che, secondo le testimonianze d’allievi e
amici, lo accompagna per tutta la vita. Apre una scuola privata in cui
venivano insegnate filosofia, matematica e fisica. La scuola ha sede nella
Strada nuova dei Pellegrini, nel quartiere di Montecalvario, e divenne uno dei
centri di studio più rinomati di Napoli. Nel periodo di maggior successo La F. arriva a
contare tra i 300 e i 400 allievi. In una data non precisabile, dovette quindi
spostare la scuola in una sede più grande, in via Magnacavallo, nello stesso
quartiere. Anche dopo aver aperto la propria scuola, comunque, insegna
presso altre scuole private. Dedica all'insegnamento sei o sette ore al giorno.
La maggior parte del tempo di insegnamento di F. è dedicata alla matematica. Al
servizio di questa attività F. pubblica aritmetica, geometria piana e geometria
solida. Oltre all'insegnamento della filosofia, si dedica alla ricerca e alla
divulgazione. Al servizio di queste tre attività allestì anche un laboratorio
scientifico, considerato uno dei migliori di Napoli. Per F. venne composta da
DONIZETTI (si veda) una messa da Requiem oggi perduta, mentre PUOTI (si veda) recita
un elogio di F., di cui è amico. Si occupa a lungo di ricerche scientifiche in
vari campi della fisica. In particolare, studia l'induzione elettromagnetica,
il magnetismo in generale e la relazione tra luce e magnetismo. Non pubblica
però quasi nulla a proposito di queste ricerche, che sono note soprattutto
attraverso le testimonianze di TELLINI (si veda) e di F. È convinto che
diverse delle forze naturali allora note, e in particolare il calorico, la
luce, l’elettricismo, il galvanismo e il magnetismo, sono in realtà diverse
manifestazioni di un'unica forza. Partendo da questa idea di base, studia
soprattutto il magnetismo, e in particolare due fenomeni d’induzione, oggi
spiegati in base alla legge di Faraday, scoperta negl’anni immediatamente
precedenti: il magnetismo di rotazione, scoperto d’ARAGO (si veda)-- il
fenomeno per cui un ago magnetico posto sopra un disco di rame in rotazione
inizia a sua volta a ruotare -- l'induzione tellurica, scoperta da Faraday: la
generazione di una corrente elettrica indotta in un circuito che si muove
attraverso il campo geo-magnetico. Per quanto riguarda il magnetismo di
rotazione, ripeté e approfondì le esperienze d’ARAGO (si veda) notando che la
rotazione dell'ago magnetico si verifica anche quando al di sopra del disco di
rame si sovrappone materiale isolante, mentre non si verifica se il disco di
rame vienne sostituito da un disco di materiale isolante. Per quanto
riguarda l'induzione tellurica, ne identifica con maggiore chiarezza le
modalità. Cerca poi di combinare lo studio di questo fenomeno con quello del
magnetismo di rotazione, costruendo per questo tre diversi apparecchi. Una
ricostruzione dettagliata del modo in cui gli apparecchi operano è fornita sulla
base delle testimonianze lasciate da CIRELLI (si veda) e F.. Descrie una dvelle
sue esperienze sull'induzione tellurica in una lettera a Faraday. Questa
lettera è l'unica descrizione lasciata da F. in persona riguardo ai propri
esperimenti. Esegue inoltre esperimenti sul rapporto tra luce e magnetismo,
proiettando raggi di luce su un ago magnetico. Le testimonianze rimaste, tutte
indirette, non permettono però di ricostruire in modo sicuro le intenzioni di F.
e i risultati dei suoi esperimenti. Altri saggi:: “Elementi di geometria piana”
(Napoli), “Geometria solida: la sfera e il cilindro (Napoli); Elementi di
aritmetica (Napoli). Dizionario biografico degli italiani. La terna dei numeri
primi dispari entro la decade. Il pentalfa pitagorico e la stella fiammeggiante.
La tavola tripartite. La Grande Opera e la Palingenesi. La Tetractis pitagorica
ed il Delta massonico II - La quaterna dei numeri composti o sintetici. Il
numero e le sue potenze REGHINI (si veda). Il matematico ed erudito
fiorentino REGHINI (si veda), alto dignitario della Massoneria prima del suo
scioglimento ad opera del FASCISMO, è il più noto esponente del neo-pitagorismo
nel XX secolo e teorico dell’“lmperialismo Pagano”. Amico di AMENDOLA (si veda)
e di PAPINI (si veda), personaggio di punta della scapigliatura fiorentina
all’epoca delle riviste “Leonardo”, “Lacerba” e “La Voce”, fu a sua volta
fondatore delle riviste “Atanòr”, “Ignis”, e - con EVOLA (si veda) - “UR” - Alla
sua opera sono legate la riproposizione della “magia colta”, neo-platonica e
rinascimentale, che contrappose al Cristianesimo come via d’accesso al divino,
ed una critica radicale dell’occultismo e degli pseudo-esoterismi moderni. In
collaborazione con René Guénon, auspicò la rinascita spirituale dell'Occidente
attraverso la formazione di un’élite iniziatica nel quadro di un processo di
rigenerazione della Massoneria, in cui vedeva un residuo “deviato” di un'antica
organizzazione ermetico-pitagorica, d’origine pre-cristiana ed erede degli
antichi Misteri. Polemista efficacissimo; fu interventista e fautore del primo
fascismo, ma ruppe con Mussolini all’epoca del delitto Matteotti e con
l’instaurazione della dittatura, ritirandosi nello studio della geometria e
della matematica pitagoriche. Già in vita, sul suo conto s’era formata una
corposa leggenda di “mago” e di facitore di prodigi, arricchitasi con il tempo
di altre fantasiose aggiunte». In questi termini, icastici ma sostanzialmente
esatti, una recente biografia (1) presentava la complessa figura di Arturo
Reghini. La storia della presente opera, l’ultima scritta da Reghini prima
della morte, è stata brevemente narrata dal suo discepolo PARISE (si veda) nella
“Nota” di presentazione ad un opuscolo postumo dello stesso REGHINI (si veda):
Chiesi ad A. R. lo sviluppo filosofico ed iniziatico della opera sui numeri
pitagorici; poté condurre a termine, in circa due mesi, un volume su I numeri
sacri nella tradizione pitagorica massonica. LUCA, Reghini. Un intellettuale
neo-pitagorico tra Massoneria e Fascismo, Atanòr, Roma, REGHINI A.,
Considerazioni sul Rituale dell’apprendista libero muratore con una nota sulla
vita e l’attività massonica dell’Autore di Giulio Parise, Edizioni di Studi Iniziatici,
Napoli. Il saggio è finito di stampare per i tipi dello stab. tip. S. Barbara
di Ugo Pinnarò, Roma – Via Pompeo Magno. Editore è il già citato PARISE (si
veda), attraverso Ignis, la medesima che pubblica il saggio reghiniano Per la
restituzione della geometria pitagorica. REGHINI (si veda) muore sei mesi prima.
Nell’elaborazione del testo elettronico si è provveduto ad operare le
correzioni indicate dall’Editore nell’Errata Corrige in allegato alla prima
edizione, nonché quelle di errori di stampa individuati nel corso della
trascrizione, come pure a rettificare talune (rarissime) imprecisioni
bibliografiche sparse qua e là ed indubbiamente dovute alle particolari
condizioni in cui Reghini si trovò a lavorare nell’immediato dopoguerra, senza
la possibilità di effettuare gli opportuni riscontri. Con ciò il Curatore ha
inteso assolvere un debito di riconoscenza contratto esattamente 40 anni fa nei
confronti di PARISE (si veda), sebbene all’insaputa di quest’ultimo. Cosmopoli.
REGHINI I NUMERI SACRI NELLA TRADIZIONE PITAGORICA MASSONICA. Reghini. I
Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse Premesse
Libertà va cercando ch'è sì cara Come sa chi per lei vita rifiuta. DANTE,
Purg.,Secondo quanto affermano concordemente gli antichi rituali e le antiche
costituzioni massoniche, la Massoneria ha per fine il perfezionamento
dell'uomo. Anche gli antichi misteri classici avevano lo stesso scopo e
conferivano la teleté, la perfezione iniziatica; e questo termine tecnico era
etimologicamente connesso ai tre significati di fine, morte e perfezione, come
osservava già il pitagorico Plutarco. Ed anche Gesù ricorre alla stessa parola,
tèleios, quando esorta i suoi discepoli ad essere «perfetti come il Padre
vostro che è nei cieli, sebbene, con una delle frequenti incongruenze delle
Sacre Scritture, lo stesso Gesù affermi che nessuno è perfetto ad eccezione del
Padre mio che è nei cieli. La definizione che abbiamo riportato sembrerebbe
esplicita e precisa; eppure con una lieve alterazione formale essa ha subìto
una grave alterazione nel concetto. Per esempio, il dizionario etimologico del
Pianigiani afferma che il fine della Massoneria è il perfezionamento
dell'umanità; e non soltanto molti profani ma anche molti massoni accettano
questa seconda definizione. A prima vista può sembrare che perfezionamento
dell'uomo e perfezionamento dell'umanità significhino la stessa cosa; di fatto
si riferiscono a due, concetti profondamente diversi, e l'apparente sinonimia
genera un equivoco e nasconde una incomprensione. Altri adopera l'espressione:
perfezionamento degli uomini, anche essa equivoca. Ora, evidentemente, non è
possibile sentenziare quale sia l'interpretazione giusta, perché ogni massone
può dichiarare giusta quella che si confà ai suoi gusti, e magari può
compiacersi dell'equivoco. Se però si vuole determinare quale sia, storicamente
e tradizionalmente, la interpretazione corretta e conforme al simbolismo
muratorio, la questione cambia aspetto e non è più questione di gusti. Il
manoscritto rinvenuto dal Locke nella Biblioteca Bodleyana e pubblicato solo
nel 1748 e che è attribuito alla mano di Enrico VI di Inghilterra, definisce la
Massoneria come «la conoscenza della natura e la comprensione delle forze che
sono in essa»; ed enuncia espressamente l'esistenza di un legame tra la
Massoneria e LA SCUOLA ITALA, perché afferma che Pitagora, un greco, viaggiò
per istruirsi in Egitto, in Siria, ed in tutti i paesi dove i Veneziani (leggi
i Fenicii) avevano impiantato la Massoneria. Ammesso in tutte le loggie di
Massoni, acquistò un grande sapere, tornò in Magna Grecia e vi fonda una
importante loggia in CROTONE. A vero dire il manoscritto parla di Peter Gower;
e, siccome il cognome Gower esiste in Inghilterra, Locke rimase alquanto
perplesso nella identificazione di Peter Gower con Pitagora. Ma altri (1)
HUTCHINSON, Spirit of Masonry; PRESTON, Illustrations of Masonry; DE CASTRO,
Mondo segreto, REGHINI, Noterelle iniziatiche. Sull’origine del simbolismo
muratorio, Rassegna Massonica, REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella
tradizione pitagorica massonica - Premesse manoscritti e le stesse
Costituzioni dell'Anderson fanno esplicita menzione di Pitagora. Il manoscritto
Cooke dice che la Massoneria è la parte principale della Geometria, e che fu
Euclide, un sottilissimo e savio inventore, che regolò quest'arte e le dette il
nome di Massoneria. E delle reminiscenze pitagoriche nelle Old Charges è
traccia anche nel più antico rituale stampato il quale attribuisce un pregio
speciale ai numeri dispari, conforme alla tradizione pitagorica. Gli antichi
manoscritti massonici concordano dunque nell'indicare come fine della
massoneria quello del perfezionamento dell'uomo, del singolo individuo; e le
prove iniziatiche, i viaggi simbolici, il lavoro dell'apprendista e del
compagno hanno un manifesto carattere individuale e non collettivo. Secondo la
concezione massonica più antica, la «grande opera» del perfezionamento va
attuata operando sopra la «pietra grezza», ossia sopra l'individuo singolo,
squadrando, levigando e rettificando la pietra grezza sino a trasformarla nella
pietra cubica della Maestria, ed applicando nella operazione le norme
tradizionali dell'Arte Regia muratoria di edificazione spirituale. Con perfetta
analogia una tradizione parallela, la tradizione ermetica che compare anche
innestata a quella puramente muratoria, insegna che la grande opera si attua
operando sopra la «materia prima» e trasformandola in «pietra filosofale»
seguendo le norme dell'Arte Regia ermetica. Essa è compendiata nella massima di
Basilio Valentino: Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum
lapidem oppure nella Tabula smaragdina attribuita da moderni arabisti al
pitagorico Apollonio Tianeo. Secondo invece la concezione massonica profana e
meno antica, il lavoro del perfezionamento va attuato sopra la collettività
umana, è la umanità ossia la società che bisogna trasformare e perfezionare; e
in questo modo all'ascesi spirituale del singolo si sostituisce la politica
collettiva. I lavori massonici acquistano in tal modo uno scopo ed un carattere
prevalentemente sociali, se non unicamente sociali; ed il fine vero e proprio
della massoneria, cioè il perfezionamento dell'individuo, viene posto in
seconda linea, se non addirittura trascurato, dimenticato ed ignorato. La
concezione tradizionalmente corretta è sicuramente la prima, e nella
letteratura massonica di due secoli fa ebbero grande voga esagerati e
fantasiosi avvicinamenti ed identificazioni dei misteri eleusini e massonici.
Senza ombra di dubbio il patrimonio ritualistico e simbolico dell'Ordine
muratorio è in armonia soltanto con la concezione più antica del fine della
massoneria; infatti il testamento dell'iniziando, i viaggi simbolici, le
terribili prove, la nascita alla luce iniziatica, la morte e resurrezione di
Hiram, non si capisce quale relazione possano avere coi lavori massonici e con
lo scopo della Massoneria se tutto si deve ridurre a fare della politica.
Storicamente l'interessamento e l'intervento della Massoneria nelle questioni
politiche e sociali si manifesta solo in alcune regioni europee col
trapiantamento della Massoneria inglese nel continente. Quel poco che si
conosce delle antiche loggie muratorie mostra la presenza e l'uso nei lavori
massonici di un simbolismo di mestiere, architettonico, geometrico, numerico;
il quale per sua natura ha un carattere universale, non è legato ad una civiltà
determinata e neppure ad una lingua particolare, ed è indipendente da ogni
credenza di ordine politico e religioso. Per questa ragione il massone, secondo
il rituale, non sa né leggere né scrivere. Un elemento ebraico compare nella
leggenda di Hiram e della costruzione del Tempio, e le parole sacre del novizio
e del compagno (i soli gradi allora esistenti) che si riferiscono a questa
leg(2) The Grand Mystery of Free-masons discovered wherein are the several
questions put to them at their Meetings and installation, London. VERGILIO
VIRGILIO (si veda) Bucolicon, Eglo: Numero impari Deus gaudet. Le iniziali di
questa massima formano la parola vitriol, il solvente universale degli
alchimisti, detto ancor oggi acqua regia. REGHINI (si veda) I Numeri Sacri
nella tradizione pitagorica massonica - Premesse genda sono ebraiche.
Questa leggenda non fa parte del patrimonio tradizionale dell'Ordine; la morte
di Hiram non figura negli antichi manoscritti massonici, e le costituzioni
dell'Anderson ignorano il terzo grado. Comunque la presenza di elementi e
parole ebraiche non deve stupire in un tempo in cui l'ebraico era considerato
una lingua sacra, anzi la lingua sacra in cui Dio aveva parlato all'uomo nel
Paradiso terrestre; è una presenza di cui non va esagerata l'importanza ed il
significato, e che non basta certo a giustificare l'asserzione del carattere
ebraico della Massoneria. La lettera G dell'alfabeto greco-latino, iniziale di
geometria e dell'inglese God, che compare talora nella Stella Fiammeggiante o
nel Delta massonico, sembra che sia una innovazione (senza utilità per chi non
sa né leggere né scrivere), mentre quei due simboli fondamentali dell'Ordine
non sono altro che i due più importanti simboli del pitagoreismo: il pentalfa o
pentagramma e la tetractis pitagorica. L'arte muratoria od arte reale od arte
regia, termine di cui fa uso il filosofo neoplatonico Massimo di Tiro, era
identificata con la geometria, una delle scienze del quadrivio pitagorico, e
non si capisce come Wirth, il dotto massone ed ermetista, possa scrivere che i
Massoni hanno potuto proclamarsi adepti dell'Arte reale perché dei re si
interessarono un tempo all'opera delle corporazioni costruttive privilegiate
del Medio Evo. Gli elementi di carattere muratorio puro costituiscono, insieme
al simbolismo numerico e geometrico, il patrimonio simbolico e ritualistico
arcaico e genuino della fratellanza. Non diciamo patrimonio caratteristico
perché questi elementi compaiono, almeno parzialmente, anche nel compagnonnage,
del resto assai affine alla Massoneria. In seguito, quando le loggie inglesi
principiano ad accettare come fratelli anche gli accepted masons, vale a dire
anche persone che non esercitano la professione di architetto od il mestiere di
muratore, compaiono anche elementi ermetici e rosacroce, ad esempio Elia
Ashmole, come mostra il Gould nella sua storia della Massoneria. Questo
contatto tra la tradizione ermetica e quella muratoria avviene anche fuori
dell'Inghilterra presso a poco nel medesimo tempo, il che naturalmente implica
l'esistenza nel continente di loggie massoniche non derivanti dalla Gran Loggia
d'Inghilterra. Il frontespizio di un importante testo di ermetismo contiene
accanto a simboli ermetici (il Rebis) anche i simboli prettamente muratori
della squadra e del compasso, ed altrettanto accade in un libretto italiano di
alchimia impresso in lamine di piombo e che risale presso a poco a quel
periodo. In questo libretto è raffigurato, tra l'altro, Tubalcain che tiene
nelle mani una squadra ed un compasso. Ora Tubalcain è nella Bibbia il primo
fabbro; e per un errore etimologico allora accettato ed assai diffuso, per
esempio dall'erudito Vossio, venne identificato con Vulcano, il fabbro degli
Dei e Dio del fuoco, che secondo il concetto degli alchimisti ed ermetisti
presiedeva al fuoco ermetico (od ardore spirituale), fuoco il quale compiva da
solo la grande opera della trasmutazione. In un nostro lavoro giovanile (9)
abbiamo dato una errata interpretazione della parola di passo Tubalcain, non
conoscendo la errata identificazione di Vulcano con Tubalcain accettata dagli
ermetisti ed in generale dagli eruditi del seicento e del settecento. Ci sembra
oggi manifesto che questa parola ed altre parole di passo traggano la loro
derivazione dall'ermetismo, e riteniamo probabile che siano state introdotte in
massoneria e poste a lato delle parole sacre a testimonianza del contatto
stabilito tra le due tradizioni, la muratoria e l'ermetica. Le parole di passo non esistono
TYR, Discours Philosophiques, FORMEY, Leida. Cfr. WIRTH, Le Livre du Maître. Si tratta della Basilica Philosophica MYLII, Francof.
(NEGRI, Un codice plumbeo alchemico italiano, nella rivista UR [“Pietro Negri” è lo pseudonimo impiegato
dallo stesso REGHINI (si veda) sulla rivista «UR»] REGHINI, Le parole sacre e
di passo ed il massimo mistero massonico, Todi. Reghini - I Numeri Sacri nella
tradizione pitagorica massonica - Premesse nel rituale del Prichard.
Ermetismo e Massoneria hanno per fine la «grande opera della trasmutazione», e
le due tradizioni trasmettono il segreto di un'arte, che entrambe designano con
il termine di arte regia, già usato da Massimo di Tiro. Era quindi naturale che
si riconoscessero mutuamente affini. Osserviamo come l'adozione del simbolismo
ermetico non avvenga a detrimento della universalità massonica e della sua
indipendenza dalla religione e dalla politica, perché anche il simbolismo
ermetico od alchemico è per sua natura estraneo ad ogni credenza religiosa o
politica. L'arte massonica e l'arte ermetica, detta anche semplicemente l'arte,
è un'arte e non una dottrina od una confessione. Ogni loggia massonica è libera
ed autonoma; i fratelli di una officina erano ricevuti come visitatori nelle
altre purché sapessero rispondere alla tegolatura, ma ogni maestro Venerabile
era l'autorità unica e suprema per i fratelli di una officina. Si ha un
mutamento con la costituzione della prima Grande Loggia, la Grande Loggia di
Londra, e poco dopo venivano compilate per opera del pastore protestante
Anderson le Costituzioni massoniche per le Loggie all'Obbedienza della Gran
Loggia di Londra; e, sebbene teoricamente un'officina potesse e possa mantenere
la propria autonomia o mettersi all'Obbedienza di una Gran Loggia, nella
pratica vengono oggi considerate loggie regolari quelle che direttamente od
indirettamente sono emanazione e derivazione della Gran Loggia di Londra,
supponendo che questa derivazione e soltanto essa possa conferire la
regolarità. Ora è molto importante notare che le Costituzioni dell'Anderson
affermano esplicitamente che per essere iniziato ed appartenere alla Massoneria
si richiede solo di essere un uomo libero e di buoni costumi, ed esaltando (a
differenza delle varie sette cristiane) il principio della tolleranza reciproca
di ogni fratello per le altrui credenze, aggiungendo solo che un massone non
sarà mai uno «stupido ateo. Taluno potrà forse pensare che l'Anderson ammetta
che il massone possa essere un ateo intelligente, ma è più verosimile che l'Anderson
da buon cristiano ammetta che un ateo è necessariamente uno stupido, seguendo
la massima che dice: Dixit stultus in corde suo: Non est Deus. Bisognerebbe qui
fare una digressione ed osservare che in questa disputa tanto chi afferma
quanto chi nega non ha in generale nozione alcuna di quanto afferma esistere o
no, e che la parola Dio viene adoperata di solito con un senso talmente
indeterminato da rendere vana qualunque discussione. Comunque le Costituzioni
della Massoneria sono esplicitamente teistiche; e quei profani che accusano la
Massoneria di ateismo sono in mala fede od ignorano che essa lavora alla gloria
del Grande Architetto dell'Universo; ed osserviamo ancora che questa
designazione oltre ad essere in armonia col carattere del simbolismo muratorio
ha un significato preciso ed intelligibile a differenza di altre designazioni
vaghe o prive di senso come quella di «Nostro Signore», di «Padre di tutti gli
uomini» ecc. Maggiore interesse offre il requisito di uomo libero fatto al
profano per iniziarlo ed al massone per considerarlo fratello. L'Anderson non
fa che continuare a chiamare liberi Muratori i FreeMasons, e resta solo da
esaminare in che cosa consista questa freedom dei Free masons. Si tratta solo
di franchigia economica e sociale che esclude gli schiavi o servi e delle
franchigie e dei privilegi di cui godeva la corporazione dei liberi muratori
rispetto ai governi degli stati e delle varie regioni in cui essa svolgeva la
sua attività? Oppure questo appellativo di liberi muratori va inteso anche in
altro senso di non schiavo dei pregiudizii e delle credenze che non era il caso
di ostentare? Se cosi fosse sarebbe vano cercarne le prove documentate, e la
questione resterebbe indecisa. Pure è possibile dire qualche cosa in proposito
grazie ad un documento del 1509 la cui esistenza od importanza sembra non sia
stata finora avvertita, (10) O. WIRTH esprime categoricamente questa opinione
(Livre du Maître). REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella tradizione
pitagorica massonica - Premesse Si tratta di una lettera ad Agrippa da un
suo amico italiano, certo LANDOLFO (si veda), per raccomandargli un iniziando.
Scrive LANDOLFO (si veda). È un tedesco come te, originario di Norimberga, ma
abita a Lione. Curioso indagatore degli arcani della natura, ed uomo libero,
completamente indipendente del resto, vuole sulla reputazione che tu hai già,
esplorare anche lui il tuo abisso. Lancialo dunque per provarlo nello spazio; e
portato sulle ali di Mercurio vola dalle regioni dell'Austro a quelle
dell'Aquilone, prendi anche lo scettro di Giove; e se questo neofita vuole
giurare i nostri statuti, associalo alla nostra confraternita». Si tratta di
una associazione segreta ermetica fondata da Agrippa ed è manifesta l'analogia
tra questa prova dello spazio da fare affrontare all'iniziando e le terribili
prove ed i viaggi simbolici della iniziazione massonica, sebbene qui la prova
si effettui sulle ali di Ermete; Ermete psicopompo, il padre dei filosofi
secondo la tradizione ermetica, è la guida delle anime nell'al di là classico e
nei misteri iniziatici. Anche qui compare la qualifica di uomo libero,
sufficiente ad aprire le porte a chi bussa profanamente alla porta del tempio;
anche qui compare in sostanza il principio della libertà di coscienza e
conseguentemente della tolleranza; le due tradizioni parallele muratoria ed
ermetica pongono la stessa unica condizione al profano da iniziare: quella di
essere un uomo libero; e ne deriva che presumibilmente essa non si riferiva
alle franchigie particolari delle corporazioni di mestiere, che sarebbe stato
del resto fuori di luogo pretendere dagli accepted Masons che non erano
muratori di mestiere ma liberi muratori. Il carattere fondamentale delle
Costituzioni massoniche d’Anderson sta adunque nel principio della libertà di coscienza
e della tolleranza, che rende possibile anche ai non cristiani di appartenere
all'Ordine. Nelle Costituzioni dell'Anderson la Massoneria conserva il suo
carattere universale, non è subordinata ad alcuna credenza filosofica
particolare né ad alcuna setta religiosa, e non manifesta alcuna tendenza a
lavori di ordine sociale e politico; può darsi che questo carattere
aconfessionaJe e libero inspirasse anche la Massoneria e che Anderson non abbia
fatto altro che sancirlo nelle Costituzioni. Trapiantandosi in America e nel
continente europeo la Massoneria conserva in generale questo suo carattere
universale di tolleranza religiosa e filosofica e resta aliena da ogni
partecipazione ai movimenti politici e sociali, talora accentuando, come in
Germania, il suo interesse per l'ermetismo. Sorgono per altro i nuovi riti e
gli alti gradi, i quali però hanno cura di mantenere intatti il rito ed i
rituali dei primi tre gradi, ossia della vera e propria massoneria detta anche
massoneria simbolica od azzurra. I rituali di questi alti gradi sono talora uno
sviluppo della leggenda di Hiram, oppure si riattaccano ai Rosacroce,
all'ermetismo, ai Templari, allo gnosticismo, ai catari, vale a dire non hanno
un vero e proprio carattere massonico, e dal punto di vista della iniziazione
massonica sono assolutamente superflui. La massoneria sta tutta nei primi tre
gradi, riconosciuti da tutti i riti, e posti alla base degli alti gradi e delle
camere superiori dei varii riti. Il compagno libero muratore, una volta
divenuto maestro ha simbolicamente terminato la sua grande opera; e gli alti
gradi potrebbero avere una qualche funzione veramente massonica soltanto se
contribuissero alla corretta interpretazione della tradizione muratoria ed a
una più intelligente comprensione ed applicazione del rito ossia dell'arte
regia. Naturalmente questo non significa che si debbano abolire gli alti gradi
perché i fratelli insigniti degli alti gradi sono liberi, e quelli di loro cui
piace di riunirsi in riti e corpi per svolgere lavori non in contrasto con
quelli massonici debbono avere la libertà di farlo. Però dal punto di vista
strettamente massonico questa loro appartenenza ad altri riti ed a camere
superiori non li pone in alcun AGRIPPA, Epistol. Cfr. anche la monografia di
REGHINI premessa alla versione italiana della Filosofia Occulta di
Agrippa. Reghini - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica -
Premesse modo al di sopra di quei maestri che non sentono il bisogno di
altro lavoro che quello della universale massoneria dei primi tre gradi. Del
resto è manifesto che riti distinti, come quello di Swedenborg, quelli
scozzesi, quello della Stretta Osservanza, quello di Memphis... appunto perché
differenti non sono più universali, oppure lo sono solo in quanto si basano
sopra i primi tre gradi. Dimenticarlo o tentare di snaturare il carattere
universale, libero e tollerante della Massoneria, per imporre ai fratelli delle
Loggie particolari punti di vista ed obbiettivi, sarebbe mettersi contro lo
spirito della tradizione muratoria e contro la lettera delle Costituzioni della
Fratellanza. La prima alterazione appare in Francia, simultaneamente alla
fioritura degli alti gradi. Il fermento degli spiriti in cotesto periodo, il
movimento dell'Enciclopedia, si ripercuotono nella Massoneria, che si diffonde
largamente e rapidamente; ed accade cosi per la prima volta che l'interesse
dell'Ordine si dirige e si concentra nelle questioni politiche e sociali.
Affermare che la rivoluzione francese sia stata opera della Massoneria ci
sembra per lo meno esagerato; è invece innegabile che la Massoneria subì in
Francia, e sarebbe stato difficile che ciò non avvenisse, l'influenza del
grande movimento profano che condusse alla rivoluzione e culminò poi
nell'impero. La Massoneria francese divenne e rimase anche in seguito una
massoneria colorata politicamente ed interessata nelle questioni politiche e
sociali, e si formò quella che da taluni è considerata come la tradizione
massonica, sebbene sia tutt'al più la tradizione massonica francese, ben distinta
dalla antica tradizione. Questa deviazione e questa persuasione è la causa
prima, sebbene non la sola, del contrasto che è poi sorto tra la massoneria
anglosassone e la massoneria francese; anche in Italia essa è stata la sorgente
dei dissensi massonici di questi ultimi cinquanta anni e della conseguente
disunione e debolezza della Massoneria di fronte agli attacchi ed alla
persecuzione fascista e gesuitica. Comunque anche i fratelli che seguono questa
tradizione massonica francese non hanno dimenticato il principio della
tolleranza, e nelle loggie massoniche italiane, anche prima della persecuzione
fascista, si trovavano fratelli di ogni fede politica e religiosa, compresi i
cattolici ed i monarchici. Va anche ricordato che nel periodo di poco
precedente lo scoppio della rivoluzione francese non tutti i massoni
dimenticarono la vera natura della Massoneria, sebbene disorientati dalla
pleiade di riti diversi e contrastanti; e si tenne il Convento dei Filaleti
allo scopo di rintracciare quale fosse la vera tradizione massonica, ossia, la
vera parola di maestro che, secondo la stessa leggenda di Hiram, era andata
perduta. Al Convento dei Filaleti convennero massoni di ogni rito, tutti
desiderosi di ristabilire l'unità. Il solo Cagliostro, che aveva fondato il rito
della Massoneria Egiziana in soli tre gradi, dedito esclusivamente all'opera
della edificazione spirituale, rifiutava di partecipare al Convento dei
Filaleti per ragioni che sarebbe lungo esporre. L'influenza massonica francese
si affermò, dopo la rivoluzione e durante l'impero, anche in Italia; la
presenza anche oggi di alcuni termini tecnici nei «travagli» massonici come il
«maglietto» del Venerabile, versione poco felice del maillet ossia del
martello, ne fa testimonianza La massoneria francese e quella italiana ebbero
durante tutto lo scorso secolo intimi rapporti, ed assunsero insieme talora
atteggiamento rivoluzionario, repubblicano ed anche materialista e positivista
seguendo la voga filosofica del tempo. Non si può dire per altro che la massoneria
divenne in Italia una massoneria materialista, perché non soltanto fu sempre
tollerante di tutte le opinioni, ma venerò in modo speciale la grande anima di MAZZINI
(si veda); ed i grandi massoni italiani come GARIBALDI (si veda), BOVIO (si
veda), CARDUCCI (si veda), FILOPANTI (si vda), PASCOLI (si veda), TORRIGIANI
(si veda) ed AMENDOLA (si veda) sono tutti idealisti e spiritualisti. È
riserbata alla TEPPA FASCISTA la selvaggia furia di devastazione dei Cosi pure
pietra polita invece di pietra levigata dal francese pierre polie; lupetto ed
anche lupicino che è una versione di louveton, a sua volta trasformazione
fonetica e semantica da Lufton, figlio di Gabaon, nome generico del massone
secondo i primitivi rituali inglesi e francesi. REGHINI (si veda) - I
Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse nostri
templi, delle nostre biblioteche ed il vandalismo che fece a pezzi i ritratti
ed i busti dei grandi spiritualisti come MAZZINI (si veda) e GARIBALDI (si
veda) che decorano le nostre sedi. D'altra parte bisogna riconoscere che, se la
massoneria anglosassone ha sempre mantenuto il carattere spiritualista e non ha
mai pensato a dichiarare la inesistenza del Grande Architetto dell'Universo,
essa è stata spesso incline, e lo è ancora, a conferire un colorito cristiano
al suo spiritualismo, allontanandosi dallo spirito di assoluta imparzialità ed
aconfessionalità delle Costituzioni dell'Anderson. Non si può negare che
l'imporre il giuramento sul Vangelo di Giovanni sia una manifestazione non
troppo tollerante rispetto a quei profani ed a quei fratelli che, essendo
agnostici, o pagani, od ebrei o liberi pensatori, non sentono particolare
simpatia per il Vangelo di Giovanni e non sanno nulla della tradizione
gioannita. L'intolleranza si accentua con l'andazzo di infliggere la lettura ed
il commento di versetti del Vangelo durante i lavori di Loggia. Questo mal
vezzo, qualora si affermasse, ridurrebbe i lavori di Loggia al livello di un
service di una chiesa quacchera o puritana, ad una specie di rosario e vespro
fastidioso, inconcludente, e ripugnante alla libera coscienza dei moltissimi
fratelli i quali, anche in Inghilterra, ed in America, non solo non vanno alla
messa, e non accettano l'infallibilità del Papa, ma non accettano più neppure
l'autorità della Bibbia. Vale la pena di provocare il disagio e l'insofferenza
tra le colonne senza sensibile compenso? Si crede proprio con simili mezzi di
convertire gli altri alla propria credenza, e di arginare la potente ondata
dell'agnosticismo inglese ed americano? Queste considerazioni inducono a
mantenere alla Massoneria il suo carattere universale al di sopra di ogni
credenza religiosa e filosofica e di ogni fede politica. Il che non vuol dire
che si debba fare astrazione dalla politica. Occorre infatti difendersi.
L'intolleranza non può lasciare prosperare la tolleranza; e la tolleranza tutto
può tollerare salvo l'intolleranza dichiaratamente ostile. Appena comparvero le
Costituzioni dell'Anderson col loro principio della libertà e della tolleranza
la Chiesa cattolica scomunicò la Massoneria rea appunto di tolleranza; e
l'accanimento contro la Massoneria non si è mai più smentito. In Italia la
persecuzione contro la Massoneria in questo ultimo ventennio è stata iniziata e
sostenuta dai gesuiti e dai nazionalisti; ed i fascisti per ingraziarsi questi
messeri non esitarono a provocare l'avversione del mondo civile contro l'Italia
con le loro gesta vandaliche contro la massoneria. I gesuiti hanno perduto
questa guerra; ma la peste dell'intolleranza non è finita, anzi si affaccia
sotto nuove forme e ne segue la necessità di prevenirla. D'altra parte giunge
l'ora, se non erriamo, di spargere la Massoneria sopra tutta la superficie
della terra e di stabilire una fratellanza tra gli uomini di tutte le razze,
civiltà e religioni; e per assolvere questo compito è necessario che la
Massoneria non abbia una fisionomia ed un colorito che appartiene solo alla
minoranza dell'umanità a cui le grandi civiltà orientali, tutta la Cina, tutta
l'India, il Giappone, la Malesia, il mondo dell'Islam si sono dimostrati
refrattarii. La cosa è possibile sin tanto che la Massoneria non si circoscrive
in una qualunque credenza e resta fedele al suo patrimonio spirituale che non
consiste in una fede codificata, in un credo religioso o filosofico, in un
complesso di postulati o pregiudizii ideologici e moralistici, in un bagaglio
dottrinale in cui si creda contenuta ed espressa la verità cui convertire i
miscredenti. Bisogna pensare che, anche se esiste la vera religione o la vera
filosofia, è una illusione il credere di poterla conquistare o comunicare con
una conversione o con una confessione od una recitazione di formule
determinate, perché ognuno intende le parole di questi credi e formule a modo
suo, conforme alla sua cultura ed intelligenza: ed in fondo esse non sono, come
diceva Amleto, che words, words, words. Fin tanto che non ci si ragiona sopra,
permane l'illusione di comprendere queste parole nello stesso modo; appena si
comincia a ragionare, sor Cfr. gli art. Di BODRERO nell'organo della Compagnia
di Gesù, la Civiltà cattolica, ed il giornale Roma Fascista; cfr. et.: Ignis e
Rassegna Mass., annata REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione
pitagorica massonica – Premesse] gono le sette e le eresie, ciascuna persuasa
di possedere la verità. La sapienza non può essere razionalmente intesa,
espressa e comunicata; essa è una visione, una vidya, essenzialmente e
necessariamente indeterminata, incerta; e, aprendo gli occhi alla luce con la
nascita alla nuova vita, ci si avvia a questa visione. L'arte muratoria od arte
regia è l'arte di lavorare la pietra grezza in modo da rendere possibile la
trasmutazione umana e la graduale percezione della luce iniziatica. Il che non
significa naturalmente che la Massoneria abbia il monopolio dell'arte regia.
Durante questi ultimi due secoli la grande maggioranza dei nemici della
massoneria ha fatto sistematicamente ed unicamente ricorso soltanto
all'ingiuria ed alla calunnia facendo leva sui sentimenti moralistici e
patriottici. Si è affermato che i lavori massonici consistono in orgie
abbominevoli, svisando a questo scopo i rituali, si sono svelate le cerimonie
massoniche ponendole in ridicolo, si è accusato i massoni di tradire la loro
patria a causa del carattere internazionale dell'Ordine, si è affermato che la
Massoneria non è altro che uno strumento degli Ebrei, sempre mirando ad
ingannare ed aizzare i fedeli credenti ed il grosso pubblico contro la «Società
Segreta». I massoni naturalmente sapevano bene che non si trattava che di
calunnie; e, non potendoli persuadere, si è pensato a sopprimerli od a togliere
ad essi la possibilità di adunarsi, di lavorare, di rispondere e di difendersi.
Recentemente uno scrittore cattolico ha pubblicato uno studio storico sopra «la
Tradizione Segreta» condotto con competenza ed abilità, ed in cui le contumelie
e le solite calunnie dirette a fare presa sull'animo dei profani sono state
sostituite da una critica insidiosa diretta a fare presa sul lettore colto ed
anche sull'animo dei fratelli. Questa critica afferma che nel fondo della
tradizione segreta è contenuto il vuoto assoluto e conclude con l'affermare che
«la Scuola Iniziatica o per essa la Tradizione Segreta, non ha insegnato
assolutamente nulla all'umanità. Veramente non si capisce bene come si possa
allora anche affermare che questo vuoto assoluto, «questa tradizione segreta
coincide, se pure spesso in forma corrotta, con le dottrine gnostiche», ma non
pretendiamo troppo. La Massoneria è dunque, secondo l'autore, una sfinge senza
segreto perché non insegna alcuna dottrina, ed il lettore è così portato a
concludere che essendo priva di contenuto la Massoneria non val niente. In
quanto precede noi abbiamo mostrato che la Massoneria non insegua alcuna dottrina
e non deve insegnarne; e che questo è un merito e non un demerito della
Massoneria. Per concludere poi che, non contenendo una dottrina, la Tradizione
segreta contiene il vuoto assoluto bisogna credere che soltanto una dottrina
possa occupare il vuoto. Afferma ancora il Del Castillo che «il sistema
iniziatico suppone che l'uomo possa arrivare a capire con lo sforzo del
cervello i problemi insoluti del cosmo e dell'al di là»; e che la Chiesa
cattolica oppone alle vane elucubrazioni dei così detti iniziati la forza
intangibile del suo dogma che deve essere unico perché non possono esistere due
verità»; e che IL SISTEMA INIZIATICO è
incompatibile can il cristianesimo. A queste e simili affermazioni rispondiamo
che ignoriamo la esistenza di un sistema iniziatico, che non conosciamo
iniziati che facciano delle supposizioni, e tanto meno che si illudano di
potere capire col solo cervello e con elucubrazioni di problemi insoluti: ma
non ci è possibile ammettere che la fede in un dogma costituisca una conoscenza
perché sapere non è credere. Anzi noi comprendiamo che la verità è
necessariamente ineffabile ed indefinibile, e lasciamo ai profani l'ingenua e
consolante illusione che sia possibile una qualsiasi formulazione della verità
e della conoscenza in credi, formule, dottrine, sistemi e teorie. Anche Gesù,
del resto, sapeva che le sue parabole non erano che delle parabole, ma diceva
anche ai suoi discepoli che ad essi «era dato intendere il mistero del regno
dei cieli». Evidentemente sola fides sufficit ad firmandum cor sincerum, ma non
sufficit per intendere i misteri. Lo stesso dicasi naturalmente per il solo
raziocinio. E con questo CASTILLO, La tradizione segreta, Milano, Bompiani, REGHINI
(si veda) I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse
non intendiamo menomare il valore della fede e del raziocinio; la sola fede
conduce al fanatismo ignorante, il solo raziocinio conduce alla disperazione
filosofica; sono un po' come il tabacco ed il caffè: due veleni che si
compensano; ma naturalmente non basta fumare la pipa e centellinare il caffè
per assurgere alla conoscenza. Alla conoscenza multi vocati sunt, non tutti; e,
tra questi molti, pauci electi sunt; secondo la Chiesa cattolica invece basta
la fede nel Dogma, e conoscenza e paradiso sono alla portata di tutte le borse
a prezzi di vera concorrenza. Riassumendo: Non esiste una dottrina segreta
massonica; ma esiste un'arte segreta, detta arte reale, od arte regia o
semplicemente l'Arte; è l'arte della edificazione spirituale cui corrisponde l'architettura
sacra. Gli strumenti muratorii hanno perciò un senso figurato nell'opera della
trasmutazione; ed al segreto dell'arte regia corrisponde il segreto
architettonico dei costruttori delle grandi cattedrali medioevali. E' naturale
che i liberi muratori venerino il Grande ARCHITETTO dell'Universo, anche se non
si definisce cosa si debba intendere con questa formola. Nell'architettura
antica, specialmente in quella sacra, avevano grande importanza le questioni di
rapporto e di proporzione; l'architettura classica regolava la proporzione
delle varie parti di un edificio, ed in particolare dei templi, basandosi sopra
un modulo segreto cui accenna Vitruvio; sopra l'architettura egiziana e
specialmente sopra la Piramide di Cheope esiste tutta una letteratura che ne
mostra il carattere matematico; ed, anche procedendo con molto scetticismo, è
certo ad esempio che tale piramide si trova esattamente alla latitudine di 30°
in modo da formare col centro della terra e col polo Nord un triangolo
equilatero, è certo che essa è perfettamente orientata e che la faccia rivolta
a settentrione è esattamente perpendicolare all'asse di rotazione terrestre,
anzi alla posizione di questo asse al tempo della sua costruzione. Ed anche i
costruttori medioevali non erano guidati da criterii puramente estetici, e si
preoccupavano dell'orientazione della chiesa, del numero delle navate ecc.; e
l'arte dei costruttori era posta in connessione con la scienza della geometria.
La squadra ed il compasso sono i due simboli fondamentali di mestiere dell'arte
muratoria; e la riga ed il compasso sono i due strumenti fondamentali per la
geometria elementare. La Bibbia afferma che Iddio ha fatto omnia in numero,
pondere et mensura; i pitagorici hanno coniato la parola cosmo per indicare la
bellezza del cosmo in cui riconoscevano una unità, un ordine, un'armonia, una
proporzione; e tra le quattro scienze liberali del quadrivio pitagorico, cioè
l'aritmetica, la geometria, la musica e la sferica, la prima stava alla base di
tutte le altre. ALIGHIERI (si veda) compara il cielo del Sole all'aritmetica
perché come del lume del Sole tutte le stelle si alluminano, cosi del lume
dell'aritmetica tutte le scienze si alluminano, e perché come l'occhio non può
mirare il sole così l'occhio dell'intelletto non può mirare il numero che è
infinito. Lasciando da parte ogni critica di questo passo resta stabilita la
posizione occupata secondo Dante dalla Aritmetica. Tanto la Bibbia quanto
l'architettura portavano alla considerazione dei numeri. Oggi, anche rifiutando
di riconoscere nel cosmo un'unità, un ordine, un'armonia, una legge ed
accettando solo un determinismo limitato dalla legge di probabilità la fisica
moderna si riduce sempre alla considerazione di numeri e rapporti numerici;
anzi non restano altro che quelli, e tanto Einstein quanto Bertrand Russel
hanno constatato e riconosciuto il ritorno della scienza moderna al
pitagoreismo. La stessa cosa era
già stata detta dal WIRTH: «Comme la méthode initiatique se refuse à inculquer
qui que ce soit, il n'est guère admissible qu'une doctrine positive ait été
enseignée au sein des Mystères» (Le livre du Maître). Il DEL CASTILLO invece sostiene senza alcuna prova
che la Massoneria ha preteso insegnare una tale dottrina segreta, constata che
di questa dottrina positiva non si trova traccia, ed invece di riconoscere che
la sua personale asserzione non ha fondamento, accusa la Massoneria di
millantato credito e di incapacità. O Vos qui cum Jesu itis, non ite cum
Jesuitis. ALGHIERI (si veda), Conv. REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella
tradizione pitagorica massonica - Premesse Non stupisce quindi che i
liberi muratori identificassero l'arte architettonica con la scienza della
geometria e dessero alla conoscenza dei numeri tale importanza da giustificare
la loro pretesa tradizionale di essere i soli ad avere conoscenza dei «numeri
sacri». Dobbiamo per altro fare ancora alcune osservazioni. La geometria nella
sua parte metrica, ossia nelle misure, richiede la conoscenza dell'aritmetica;
inoltre l'accezione della parola geometria era anticamente più generica che ora
non sia, e geometria indicava genericamente tutta la matematica; di modo che la
identificazione dell'arte reale con la geometria, tradizionale in Massoneria,
si riferisce non alla sola geometria intesa nel senso moderno, ma anche alla
aritmetica. In secondo luogo dobbiamo osservare che questa relazione fra la
geometria e l'arte regia dell'architettura e della edificazione spirituale è la
stessa che inspira la massima platonica ACCADEMIA: NESSUN IGNARO DELLA GEOMETRIA
ENTRI SOTTO IL MIO TETTO. Questa massima è di attribuzione un po’ dubbia perché
è riportata solo da un tardo commentatore: ma in opere che indiscutibilmente
appartengono a Platone leggiamo essere «la geometria un metodo per dirigere
l'anima verso l'essere eterno; una scuola preparatoria per una mente
scientifica, capace di rivolgere le attività dell'anima verso le cose
sovrumane», essere «perfino impossibile arrivare ad una vera fede in Dio se non
si conosce la matematica e l'astronomia e l'intimo legame di quest'ultima con
la musica. Questa concezione ed attitudine di Platone è la medesima che si
ritrova nella SCUOLA ITALA o pitagorica che esercitò sopra Platone grandissima
influenza, di modo che anche volendo sostenere che la Massoneria si sia
inspirata a Platone, si è sempre in ultima analisi ricondotti alla geometria ed
all'aritmetica dei pitagorici. Il legame tra la Massoneria e l'Ordine
pitagorico, anche se non si tratta di ininterrotta derivazione storica, ma
soltanto di filiazione spirituale, è certo e manifesto. ANGHERÀ (si veda) nella
prefazione alla ristampa degli Statuti Generali della Società dei Liberi
Muratori del Rito Scozzese Antico ed Accettato, già pubblicati in NAPOLI, afferma
categoricamente che l'Ordine massonico è la stessa, stessissima cosa
dell'Ordine pitagorico; ma anche senza spingersi tanto oltre l'affinità tra i
due ordini è sicura. In particolare l'arte geometrica della Massoneria deriva,
direttamente od indirettamente, dalla geometria ed aritmetica pitagoriche; e
non più in là, perché i pitagorici furono i creatori di queste scienze
liberali, a quanto risulta storicamente e secondo la attestazione di Proclo. Ad
eccezione di alcune poche proprietà geometriche attribuite, probabilmente a
torto, a Talete, la geometria, dice il Tannery, scaturisce completa dal genio
di Pitagora come Minerva balza armata di tutto punto dal cervello di Giove; ed
i pitagorici sono stati i primi ad iniziare lo studio dell'aritmetica e dei
numeri. Per studiare le proprietà dei numeri sacri ai Liberi Muratori e la loro
funzione in Massoneria, la via che si presenta spontaneamente è dunque quella
di studiare l'antica aritmetica pitagorica; e di studiarla sia dal punto di
vista aritmetico ordinario, sia dal punto di vista dell'aritmetica simbolica od
aritmetica formale, come la chiama Pico della Mirandola, corrispondente al
compito filosofico e spirituale assegnato da Platone alla geometria. I due
sensi si trovano strettamente connessi nello sviluppo dell'aritmetica
pitagorica. La comprensione dei numeri pitagorici faciliterà la comprensione
dei numeri sacri alla massoneria. LORIA, Le scienze esatte nell'antica
Grecia, 2a ed., Milano, Hoepli Reghini - I Numeri Sacri nella tradizione
pitagorica massonica La Tetractis pitagorica ed il Delta massonico La
Tetractis pitagorica ed il Delta massonico No, io lo giuro per colui che ha
trasmesso alla nostra anima la tetractys nella quale si trovano la sorgente e
la radice dell'eterna natura. Detti aurei. Riesumare e restituire
l'antica aritmetica pitagorica è opera quanto mai ardua, perché le notizie che
ne sono rimaste sono scarse e non tutte attendibili. Bisognerebbe ad ogni passo
ed affermazione citare le fonti e discuterne il valore; ma questo renderebbe la
esposizione lunga e pesante e meno facile la intelligenza della restituzione.
Perciò, in generale, ci asterremo da ogni apparato filologico, ci atterremo
soltanto a quanto resulta meno controverso e dichiareremo sempre quanto è
soltanto nostra opinione o resultato del nostro lavoro. La bibliografia
pitagorica antica e moderna è assai estesa, e rinunciamo alla enumerazione
delle centinaia di libri, studii, articoli, e passi di autori antichi e moderni
che la costituiscono. Secondo alcuni critici, storici e filosofi, Pitagora
sarebbe stato un semplice moralista e non si sarebbe mai occupato di
matematica; secondo certi ipercritici Pitagora non sarebbe mai esistito; ma noi
abbiamo per certa la esistenza di Pitagora, e, accettando la testimonianza del
filosofo Empedocle di GIRGENTI (si veda) quasi contemporaneo, riteniamo che le
sue conoscenze in ogni campo dello scibile erano grandissime. Pitagora di
CROTONE (si veda) visse nel sesto secolo prima di Cristo, fonda in Calabria una
scuola ed un ordine che Aristotile del LIZIO chiama scuola itala, ed insegna
tra le altre cose l'aritmetica e la geometria. Secondo Proclo, capo della
scuola di Atenee, è Pitagora che per il primo eleva la geometria alla dignità
di scienza liberale, e secondo Tannery la geometria esce dal cervello di
Pitagora come Athena esce armata di tutto punto dal cervello di Giove. Però
nessuno scritto di Pitagora od a lui attribuito è pervenuto sino a noi, ed è possibile
che non scrive nulla. Se anche è diversamente, oltre alla remota antichità che
ne avrebbe ostacolato la trasmissione, va tenuta presente la circostanza del
segreto che i pitagorici manteneno, sopra i loro insegnamenti, o parte almeno
di essi. Il fìlologo Delatte, in Études sur la littérature pythagoricienne,
Paris, fa una dottissima critica delle fonti della letteratura pitagorica; ed
mette in chiaro tra le altre cose che i famosi detti aurei o versi aurei,
sebbene sono una compilazione ad opera di un neo-pitagorico, permettono di
risalire quasi all'inizio della scuola pitagorica perché trasmettono materiale
arcaico. Questo saggio di Delatte è la nostra fonte principale. Altre antiche
testimonianze si hanno negli scritti di Filolao, di Platone, di Aristotile e di
TIMEO (si veda) di Tauromenia. FILOLAO (si veda), insieme al tarentino ARCHITA
(TARANTO (si veda)), uno dei più eminenti pitagorici nei tempi vicini a
Pitagora, TIMEO (si veda) è uno storico del pitagoreismo, ed il grande filosofo
Platone risenti fortemente l'influenza del pitagoreismo e 12 REGHINI (si
veda), I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonicaLa Tetractis
pitagorica ed il Delta massonico] possiamo considerarlo come un pitagorico,
anche se non appartenente alla setta. Assai meno antichi sono i biografi di
Pitagora cioè Giamblico, Porfirio e Diogene, che sono dei neopitagorici e gli
scrittori matematici Teone da Smirne e Nicomaco di Gerasa. Gli scritti
matematici di questi due ultimi autori costituiscono la fonte che ci ha
trasmesso l'aritmetica pitagorica. Anche BOEZIO (si veda) ha assolto questo
compito. Molte notizie si debbono a Plutarco. Tra i moderni, oltre a Delatte ed
al saggio un po' vecchio di Chaignet su Pythagore et la philosophie
pythagoricienne, Paris, ed al Verbo di Pitagora di ROSTAGNI (si veda), Torino,
faremo uso dell'opera The Theoretic Arithmetic of the Pythagoreans, London del
dotto grecista Taylor che è un neo-platonico ed un neo-pitagorico; e tra gli
storici della matematica faremo uso delle Scienze esatte nell'antica Grecia,
Milano, Hoepli, di LORIA (si veda), e dell'opera A History of Greeck
Mathematics di Heath. Per la matematica l'unità è il primo numero della serie
naturale dei numeri interi. Essi si ottengono partendo dall'unità ed
aggiungendo successivamente un'altra unità. La stessa cosa non accade per
l'aritmetica pitagorica. Infatti una stessa parola, monade, indica l'unità dell'aritmetica
e la monade intesa nel senso che oggi diremmo meta-fisico; ed il passaggio
dalla monade universale alla dualità non è così semplice come il passaggio
dall'uno al due mediante l'addizione di due unità. In aritmetica, anche
pitagorica, vi sono TRE operazioni dirette: l'addizione, la moltiplicazione e
l'innalzamento a potenza, accompagnate dalle tre operazioni inverse. Ora il
prodotto dell'unità per sé stessa è ancora l'unità, ed una potenza dell'unità è
ancora l'unità. Quindi soltanto l'addizione permette il passaggio dall'unità
alla dualità. Questo significa che, per ottenere il due, bisogna ammettere che
vi possano essere DUE UNITÀ, ossia avere già il concetto del DUE – cf. Kant: 1
+ 1 = 2, sintetico a priori --, ossia, che la monade puo perdere il suo
carattere di unicità, che essa puo distinguersi e che vi puo essere una duplice
unità od una MOLTEPLICITÀ di unità. Filosoficamente si ha la questione del MONISMO
e del dualismo, meta-fisicamente la questione dell'essere (Grice, “Aristotle on
the mutliplicity of being”) e della sua rappresentazione, biologicamente la
questione della cellula e della sua riproduzione. Ora, se si ammette la
intrinseca ed essenziale unicità – the uniqueness of the king of France (Grice)
-- dell'unità, bisogna ammettere che un'altra unità non può essere che una
apparenza; e che il suo apparire è una ALTERAZIONE (othering – Grice on ‘other
than’) dell'unicità proveniente da una distinzione che la monade opera in sé
stessa. La coscienza opera in simil modo una distinzione tra l'IO ed il “NON-IO.”
(“I am hearing a sound”). Secondo il Vedanta advaita questa è una illusione,
anzi è la grande illusione (film francese), e non c'è da fare altro che
liberarsene. Non è però una illusione che vi è questa illusione, anche se essa
può essere superata. I pitagorici diceno che la diade è generata dall'unità che
si allontana o separa da sé stessa, che si scinde in due: ed indicano questa
differenziazione o polarizzazione con varie parole: DIERESI, TOLMA. Per la
matematica pitagorica l'unità non è un numero, ma è il principio, l' di tutti i
numeri, diciamo principio e non inizio. Una volta ammessa resistenza di
un'altra unità e di più unità, dall'unità derivano poi, per addizione, il due e
tutti i numeri. I pitagorici concivano i numeri come formati o costituiti o
raffigurati da PUNTI variamente disposti. Il punto è definito dai pitagorici
l'unità avente posizione, mentre per Euclide il punto è ciò che non ha parti.
L'unità è rappresentata dal punto ( = segno) od anche, quando venne in uso il
sistema alfabetico di numerazione scritta, dalla lettera A od “α,” che serve
per scrivere l'unità. Una volta ammessa la possibilità dell'addizione
dell'unità ed ottenuto il due, raffigurato dai due punti estremi di un segmento
di retta, si può seguitare ad aggiungere delle unità, ed ottenere
successivamente tutti i numeri rappresentati da due, tre, quattro... punti
allineati. Si ha in tal modo lo sviluppo lineare dei numeri. Tranne il due che
si può ottenere soltanto come addizione di due unità, 13 REGHINI (si
veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Cap. I - La
Tetractis pitagorica ed il Delta massonico tutti i numeri interi possono
essere considerati sia come somma di altri numeri; per esempio il cinque è 5 =
1 + 1 + 1 + 1 + 1; ma è anche 5 = 1 + 4 e 5 = 2 + 3. L'uno ed il due non godono
di questa proprietà generale dei numeri: e perciò come l'unità anche il due non
era un numero per gli antichi pitagorici ma il principio dei numeri pari.
Questa concezione si perdette col tempo perché Platone parla del due come pari
(1), ed Aristotile (2) parla del due come del solo numero primo pari. Il tre a
sua volta può essere considerato solo come somma dell'uno e del due: mentre
tutti gli altri numeri, oltre ad essere somma di più unità, sono anche somma di
parti ambedue diverse dall'unità; alcuni di essi possono essere considerati
come somma di due parti eguali tra loro nello stesso modo che il due è somma di
due unità e si chiamano i numeri pari per questa loro simiglianza col paio,
così per esempio il 4 = 2 + 2, il 6 = 3 + 3 ecc. sono dei numeri pari; mentre
gli altri, come il tre ed il cinque che non sono la somma di due parti o due
addendi eguali, si chiamano numeri dispari. Dunque la triade 1, 2, 3 gode di
proprietà di cui non godono i numeri maggiori del 3. Nella serie naturale dei
numeri, i numeri pari e dispari si succedono alternativamente; i numeri pari
hanno a comune col due il carattere cui abbiamo accennato e si possono quindi
sempre rappresentare sotto forma di un rettangolo (epipedo) in cui un lato
contiene due punti, mentre i numeri dispari non presentano come l'unità questo
carattere, e, quando si possono rappresentare sotto forma rettangolare, accade
che la base e l'altezza contengono rispettivamente un numero di punti che è a
sua volta un numero dispari. Nicomaco riporta anche una definizione più antica:
esclusa la diade fondamentale, pari è un numero che si può dividere in due
parti eguali o disuguali, parti che sono entrambe pari o dispari, ossia, come
noi diremmo, che hanno la stessa parità; mentre il numero dispari si può
dividere solo in due parti diseguali, di cui una pari e l'altra dispari, ossia
in parti che hanno diversa parità. Secondo l'Heath questa distinzione tra pari
e dispari rimonta senza dubbio a Pitagora, cosa che non stentiamo a credere; ed
il Reidemeister dice che la teoria del pari e del dispari è pitagorica, che in
questa nozione si adombra la scienza logica matematica dei pitagorici e che
essa è il fondamento della metafisica pitagorica. Numero impari, dice VIRGILIO
(si veda), Deus gaudet. La tradizione massonica si conforma a questo
riconoscimento del carattere sacro o divino dei numeri dispari, come risulta
dai numeri che esprimono le età iniziatiche, dal numero delle luci, dei
gioielli, dei fratelli componenti una officina ecc. Dovunque si presenta una
distinzione, una polarità, si ha una analogia con la coppia del pari e del
dispari, e si può stabilire una corrispondenza tra i due poli ed il pari ed il
dispari; cosi per i Pitagorici il maschile era dispari ed il femminile pari, il
destro era dispari ed il sinistro era pari.... I numeri, a cominciare dal tre,
ammettono oltre alla raffigurazione lineare anche una raffigurazione
superficiale, per esempio nel piano. Il tre è il primo numero che ammette oltre
alla raffigurazione lineare una raffigurazione piana, mediante i tre vertici di
un triangolo (equilatero). Il tre è un triangolo, o numero triangolare; esso è
il risultato del mutuo accoppiamento della monade e della diade; il due è
l'analisi dell'unità, il tre è la sintesi dell'unità e della diade. Si ha così
con la trinità la manifestazione od epifania della monade nel mondo
superficiale. Aritmeticamente 1 + 2 = 3. Proclo (5) osservò che il due ha un
carattere in certo modo intermedio tra l'unità ed il tre. Non soltanto perché
ne è la media aritmetica, ma anche perché è il solo numero per il quale accade
che PLATO dell’ACCADEMIA, Parmenide di VELIA, ARISTOTILE del LIZIO, Topiche,
HEATH, A History of Greek Mathematics, REIDEMEISTER, Die arithmetic der
Griechen, PROCLO, Comm. alla proposizione di Euclide, e cfr. TAYLOR, The
Theoretic Arithmetic of Pythagoreans, Los Angeles, REGHINI, I Numeri Sacri
nella tradizione pitagorica massonica, La Tetractis pitagorica ed il Delta
massonico sommandolo con sé stesso o moltiplicandolo per sé stesso, si
ottiene il medesimo resultato, mentre per l'unità il prodotto dà di meno della
somma e per il tre il prodotto dà di più, ossia, si ha: 1+1=2>1.1
; 2+2=4=2.2 ; 3+3=6. Grice: “Some of my Oxonian friends are masonic, and
some are Pythagorean!” Keywords: la
matematica di Pitagora, Platone, aritmetica, geometria, definizione di assioma,
problema, lemma, numero, demonstrazione, ragione, postulato, numero sacro,
reghini – crotona, Taranto, aristosseno, meloponto filolao crotone crotona -- ecc.
Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fazzini” – The Swimming-Pool Library. Lorenzo
Fazzini. Laurentis Maria Antonius Fazzini. Fazzini.
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